Lose Control

di Oceans_216
(/viewuser.php?uid=273139)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sono il numero quattro ***
Capitolo 2: *** Solitudine ***
Capitolo 3: *** Orfano ***



Capitolo 1
*** Sono il numero quattro ***


Ciao a tutti *ride istericamente*
Okay, sono un po' agitata perchè questa è la prima vera fanfiction che scrivo da sola...
Comunque! Piacere di conoscervi, io sono Arianna ed ho 18 anni.
E' la prima Kurtbastian che scrivo e questo prologo l'ho scritto circa un anno e mezzo fa (se non di più) ma non avendo avuto l'ispirazione per scrivere gli altri capitoli, non l'avevo mai pubblicato. E' tutto l'inverno che raccolgo le idee e consigli per la trama, perciò finalmente penso di essere pronta per pubblicare :)
Come qualcuno avrà notato, la trama non è farina del mio sacco: mi sono ispirata ad un film, 'Sono il numero quattro' con Dianna Agron e Alex Pettyfer. Inizialmente saranno simili, soprattutto perchè ho preso anche delle conversazioni dal film, ma vi posso assicurare che andando avanti sarà completamente diverso! So che il film è tratto da un libro (una saga, in realtà) che però NON ho letto perchè ero preoccupata che la ff vi assomigliasse troppo, perciò anche se avete letto i libri la storia sarà diversissima ;)
Il raiting è giallo ma mi avvalgo della facoltà di 'scurirlo' nei prossimi capitoli.
Un'ultima cosa, per chi volesse potete trovarmi qui su twitter: http://twitter.com/beingawarbler
Ora, finalmente, vi lascio alla storia! ENJOY :)



 LOSE CONTROL
  Sono il numero quattro



Io sono il numero quattro.
Non ho un vero nome né una vera identità, ma solo un numero di identificazione, e questo è il quattro.
Io e i miei otto fratelli non siamo umani, ma proveniamo da un pianeta di nome Lorien, troppo lontano per poter quantificare gli anni luce che lo dividono dalla Terra.
Ognuno di noi ha una collanina con un ciondolo a forma di ottaedro ma differiscono l'uno dall'altro per la decorazione sopra esso impressa. Se riunite, le nove collanine forniscono il potere assoluto a chi le indossa, rendendolo l'imperatore di tutto l'universo.
La nostra era una popolazione pacifica che, anche se in possesso di cotale potere, non lo utilizzava per scopi malvagi, ma lo custodiva.
Ma non tutti sono come noi: un'altra popolazione, i Mogadoriani, bramava il nostro potere e ci attaccò.
I nostri genitori, re e regina di Lorien, ci affidarono una collanina ciascuno ed un numero, proteggendoci con un incantesimo: potevamo morire, sì, ma solo nella giusta sequenza. Il maggiore dei miei fratelli diventò il numero uno ed il minore il numero nove. Io ed il mio gemello decidemmo di fare diventare me il quattro e lui il cinque, poiché la collanina che doveva custodire lui era leggermente più potente della mia.
Inoltre, ogni volta che qualcuno di noi sarebbe morto, il nostro corpo ci avrebbe dato dei segnali, per farci capire quando sarebbe arrivato il nostro turno, e quindi ci saremmo dovuti nascondere meglio.
Quando arrivammo sul pianeta Terra, venimmo affidati a dei tutori, che avrebbero avuto il compito di istruirci e di proteggerci con tutte le loro forze.
Infine, per non farci prendere dallo spavento e dal dolore per la perdita di tutti i nostri cari, cancellarono la mente a noi ultimi sette, lasciandola solo ai miei due fratelli maggiori.
Perciò, tutto ciò che so delle mie origini mi è stato riferito dal mio tutore, Henri, quando il numero uno morì, poiché uno strano tatuaggio era comparso, in modo molto doloroso, sul mio polpaccio.
Poi i tatuaggi divennero due e, in seguito, i tatuaggi divennero tre.
Ero il prossimo.

 
  °°°

 
Aprì gli occhi, ritrovandosi steso sulla sabbia.
Provò ad alzarsi, ma il dolore lancinante al polpaccio lo fece desistere dall'intento: eccolo lì, il terzo tatuaggio. Più che tatuaggio era un marchio e, anche se compariva per colpa dell'incantesimo, era come se gli fosse stato fatto con una spranga di ferro ardente.
Un fruscìo dietro a un cespuglio gli fece alzare lo sguardo, ma quando incontrò quello di Henri poté tirare un sospiro di sollievo.
L'uomo adulto fissò la sua gamba e poi, dopo aver riflettuto, parlò.
“Il terzo marchio... il numero tre è morto. Tu stai bene?”
“Sì” rispose il ragazzo che, aiutato da Henri, si sollevò da terra.
Cominciò a mandare via la sabbia dal suo costume e dal suo ventre muscoloso, sibilando per il dolore che il marchio gli causava.
“Com'è successo questa volta?”
“Ero vicino alla spiaggia quando ho sentito qualcosa, come un'energia, trascinarmi  in mare e poi sott'acqua... Mi è comparso il viso del numero tre, mentre veniva ucciso e subito dopo la mia gamba ha cominciato a fare luce e a bruciare nel punto in cui si stava formando il marchio. Una figata anche questa volta, insomma” rispose il ragazzo sarcastico, chiudendo gli occhi e mettendosi la mano sinistra tra i capelli.
“Anche questa volta, c’era l’acqua… Ti ha visto qualcuno?” domandò Henri, preoccupato.
Il silenzio che seguì alla sua domanda fu eloquente.
Henri diede una pacca sulla spalla al ragazzo e insieme si incamminarono verso la loro casa sul mare.
“Daniel, sai cosa vuol dire tutto ciò, vero? Dobbiamo andarcene”
“Ma Loyola Beach mi piace!” sbuffò l'altro, ben consapevole che, lamentele o meno, il loro trasferimento sarebbe stato imminente.
Henri, ruotando gli occhi alle parole del 'protetto', si diresse verso l'armadio e ne tirò fuori tre valigie, che furono presto riempite di oggetti e vestiti.
Dovettero però abbandonare tutto ciò che poteva essere un indizio della loro vita lì: le foto del liceo, il diploma, tutti i documenti.
Daniel, sconfitto ed arreso, uscì dalla casa e si sedette poco lontano, sulla spiaggia, aspettando che il tutore finisse di distruggere tutto quello che il ragazzo poteva definire come 'ricordi' degli ultimi anni vissuti lì.
“Forza, sali sulla jeep” disse l'uomo dopo pochi minuti.
Il ragazzo si alzò e si pulì i pantaloni, per poi salire in macchina.
Appena si allacciò la cintura, vide una lucertola sul cruscotto dell'auto e, prendendola in mano si rivolse ad Henri.
“Devo bruciare anche lei o posso tenerla?” disse ironico, tenendo in bella vista l'animale sul palmo della mano.
“Daniel, smettila, lo sai che non dipende da me. Dobbiamo distruggere ogni cosa, è-”
“La prassi, sì, lo so” concluse la frase per lui, sbuffando.
“Addio Florida, sei stato il paese dove ho fatto più conquiste e il più soleggiato. Mi mancherai!” disse Daniel drammatico, appena varcarono il confine del paese.

 
 °°°

Dopo qualche giorno di viaggio, finalmente si presero una pausa, fermandosi in un hotel in Ohio.
“Okay, ho sistemato tutto con la tua vecchia scuola. Questa è la tua nuova identità. Ma devi stare attento, perciò niente scuola, niente locali e soprattutto, niente ragazzi! Chiaro?” disse Henri, appoggiando sul mobiletto i nuovi documenti del ragazzo.
“Cristallino. Sebastian Smythe, sul serio? Ti sembro un francese, papà?” lo prese in giro il ragazzo, sorridendogli.
“No, figliolo, ma non è detto che un ragazzo debba essere francese per avere un nome francese”
“Se lo dici tu, Henri...”
“E questa volta devi essere invisibile, chiaro, Sebastian?” chiese duramente l'uomo, fissandolo negli occhi.
“Sì...” rispose il ragazzo, con tono pensieroso, fissando il suo riflesso nello specchio dove si stava radendo.
“...è stato diverso, -continuò, dopo pochi attimi di pausa- oltre alla cicatrice o al marchio o a quello che è, questa volta ho visto il numero tre e l'ho sentito morire accoltellato. So, dentro di me, che anche gli altri l'hanno sentito. Tutti e cinque”
Henri lo guardò serio, capendo che la situazione stava via-via diventando sempre più critica.
“Dobbiamo sbrigarci, i Mogadoriani avranno già fiutato il nostro odore”
“Dove andiamo questa volta?”
“Oh, ti piacerà.. o almeno te lo farai piacere” si corresse l'uomo.
“E' una città soleggiata?” chiese Sebastian, curioso.
“Mmm non troppo, direi”
“E' aperta alla comunità gay?”
“Non troppo”
“E' conosciuta per qualcosa.. tipo una guerra o un personaggio famoso o un cataclisma?”
“Direi di no”
“Cazzo, mi stai praticamente dicendo che è una fottuta cittadina dimenticata da Dio?” esclamò il ragazzo, alterandosi.
“Sì, in poche parole sì”
“E, posso sapere, di grazia, qual è questo posto così meraviglioso?” chiese a denti stretti il giovane, incrociando le braccia al petto.
“La bellissima e fantastica cittadina di Lima, in Ohio” sorrise finto Henri.
“COSA?! Lima? E' praticamente il buco più buco di... tutti i buchi!” si lamentò Sebastian, aprendo le braccia in modo melodrammatico e gemendo frustrato.
“Per questo è perfetto per te, Mr. Invisibile”
“Va bene essere invisibile, ma ho diciotto anni umani, non posso mica stare a casa tutto il giorno!” esclamò shockato il ragazzo.
“Invece è esattamente quello che farai, bijou”
“Ma-”
“Non ricominciare con le solite lamentele, Sebastian, perché davvero non sei nella posizione per farle, chiaro? Sei il prossimo. Sei il numero quattro”
“Sì, lo so. Sono il numero quattro”.

 
°°° 
 
Erano in macchina da circa tre ore quando arrivarono nella nuova casa o, come l'aveva definita Sebastian, la nuova Alcatraz.
“Wow, sta piovendo a dirotto..chissà perché non mi sorprende” disse il ragazzo, maledicendo mentalmente quella città che già odiava.
“E' l'Ohio, non siamo più in Florida caro mio! Qua le persone non sono abbronzate come te, ma pallide come fantasmi” sorrise l'uomo, entrando nella nuova proprietà.
“Ho già detto che tutto questo è una figata?” rispose sarcastico Sebastian, sbattendo volutamente la testa contro il cruscotto.
“Solo un milione di volte nell'ultima mezzora, mon amour”
“Ah-ah-ah. So che te l'ho già chiesto centinaia di volte, ma perché io ogni volta devo cambiare nome e tu rimani sempre Henri? E’ ingiusto” chiese il ragazzo, scendendo dalla jeep verde.
“Perché, come ti ho già detto centinaia di volte, io rimarrò in casa più tempo possibile per monitorare che tutto fili liscio e dato che non avrò molti contatti con l'esterno, non c'è bisogno che mi abitui a sentirmi chiamare con altri nomi. Invece tu, che probabilmente avrai contatti con l'esterno e quindi con altre persone, devi abituarti a presentarti con il tuo nuovo nome e ad avere una reazione se qualcuno ti chiama, caro Sebastian” rispose l'adulto, prendendo le valigie ed entrando in casa.
“La mia vita sarà sempre e solo questo? Cambiare identità e stato ogni volta che ci sarà un avvistamento dei Mogadoriani?”
“Adesso basta, ragazzino! Ne abbiamo già parlato. Tu non ti nascondi solo per te stesso, ma per la tua popolazione che è stata sterminata e per i tuoi fratelli, chiaro? Se ti fai uccidere, sarà il turno del numero cinque. E so che tu non vuoi che qualcuno muoia per te”
“No, signore” disse Sebastian, che utilizzava quell'appellativo solo quando si parlava di cose estremamente serie che riguardavano Lorien.
“Bene. Ora vai di sopra e scegli la stanza che più ti piace”
Sebastian, ubbidendo agli ordini, salì le scale e, dopo aver girato tutta la casa, scelse la stanza più in alto che, nonostante fosse una specie di soffitta, sembrava la stanza più accogliente di tutta l'abitazione.
Stanco a causa del viaggio e delle emozioni provate, Sebastian si gettò sul letto, portandosi un braccio a coprirgli il viso.
Il momento che aveva sempre temuto era arrivato.
Il numero tre era stato ucciso... non voleva crederci.
Lui era quello che si era sempre nascosto benissimo, già da prima che il numero uno morisse e perfino Henri -che in passato aveva rapporti con il suo tutore- non aveva idea di dove fossero.
Lui era invisibile a tutto e a tutti. Per quanto ne sapeva lui, non aveva rapporti con il mondo esterno. Henri sapeva solo che viveva in una specie di giungla o di bosco nel bel mezzo del niente assoluto.
Eppure loro l'avevano trovato.
Perché loro li trovavano sempre.
Prima o poi, avrebbero trovato anche lui e, nonostante gli allenamenti a cui era stato costretto a sottoporsi fin da bambino, non era sicuro di riuscire a combatterli.
Anzi, in quel momento era più che sicuro che l'avrebbero ucciso. Ma in fondo, come poteva evitarlo?
Semplice: non poteva.
E stare chiuso in casa non sarebbe servito, perché i Mogadoriani non conoscevano il suo aspetto esteriore, ma grazie a qualche stramaledetta tecnologia avanzata di cui disponevano, l'avrebbero trovato. Perciò, che lui fosse chiuso in casa o a scuola a studiare, tutto ciò non sarebbe cambiato.
Per questo prese il suo portatile e lo accese, cominciando a cercare su google quali scuole ci fossero vicino ad Alcatraz.
“Vediamo un po'..J-Adam Academy, scuola femminile per detenute. Direi di no. Everbrook, scuola per sordomuti...direi di no anche questa. West Dale, in Fothway, Indiana.. troppo lontana. Carmel High.. eww, dalle foto sembrano un grande e grosso gruppo di fighetti. Per carità, no. Dalton Academy, scuola maschile privata... ci manca solo che io paghi una cifra simile per studiare! Tsk, illusi” elencò ad alta voce Sebastian, sbuffando.
Continuò la sua ricerca finché la sua attenzione non fu rapita dalle foto di una scuola: carina, ma non troppo, con una squadra di football mediocre e un glee club (che diavolo è un glee club? si chiese il ragazzo) che aveva partecipato a delle gare senza vincere nessun premio importante.
Bingo.
“Beh, McKingley High School, da domani avrai un nuovo e affascinante studente tra i tuoi ranghi” ghignò trionfante.
Cercando tra le cianfrusaglie -che in realtà erano strumenti utilissimi- di Henri, riuscì a trovare una stampante e grazie alle sue abilità di contraffattore, riuscì a stampare dei perfetti documenti scolastici da presentare il giorno seguente nella nuova scuola.
Il ghigno di Sebastian si allargò ulteriormente.
Un rumore sospetto lo fece smettere di ghignare all’istante e, come gli avevano insegnato, aguzzò l’udito e la vista mentre, silenziosamente, scendeva le scale fino ad affiancarsi a Henri, che con la sua arma, era già in posizione di allerta.
Il rumore era cessato, ma i due si scambiarono un’occhiata, segno che entrambi avevano sentito quello strano fruscio tra i cespugli.
Henri, delicatamente, aprì la porta di ingresso e si piegò in posizione, pronto a qualunque evenienza, ma nulla accadde. Dopo circa un minuto di silenzio assoluto, Sebastian decise di farsi avanti ed uscire, avvicinandosi al cespuglio.
“Un po’ piccolo per essere un mogadoriano, non credi?” disse Sebastian, prendendo in braccio il colpevole del rumore dei cespugli.
A Henri scappò un sorriso quando vide il cucciolo di pastore tedesco nero che il ragazzo teneva in braccio, mentre la pioggia li aveva ormai bagnati totalmente.
“Forza, entra dentro, diamogli qualcosa da mangiare. Sembra affamato” propose l’uomo, facendo un cenno al ragazzo.
“Aww il grande e spaventoso Henri ha un cuore” lo prese in giro Sebastian, rientrando nella casa e dirigendosi in quella che teoricamente sarebbe dovuta essere una cucina ma che in realtà era solo un ammasso di pentole e stoviglie.
“E’ sicuramente di qualcuno. Non puoi tenerlo, quindi non ti ci affezionare troppo”
“Non ha collare né medaglietta –rispose Sebastian, appoggiando per terra una ciotola con del latte e continuando ad accarezzare il cagnolino- Ti hanno perso, piccolino? Chissà quanto gli manchi, eh?”
“No no, ti ho detto di non affezionarti a quel coso”
“Questo coso è un cane ed è bellissimo. Insomma, altri occhi per fare da guardia alla casa! E inoltre avrò qualcuno con cui parlare”
“Per prima cosa, domani mattina installerò le telecamere, quindi non abbiamo bisogno di altri occhi. E poi...parla con me!” disse Henri, alzando le spalle, come se ciò che avesse detto fosse la cosa più ovvia del mondo.
Sebastian lo fissò accigliato, alzando un sopracciglio.
“Sì, certo, come no”
“…va bene, tieni il cane” si arrese l’adulto, non trovando una reale motivazione per privare dell'animale il protetto.
“Come lo chiami?” chiese Henri, dirigendosi verso il salotto, dove aveva collegato tutti i suoi innumerevoli computer e monitor.
“Cosa te ne pare di ‘Henri Junior’?” propose Sebastian, scoppiando a ridere.
“Per tutti gli universi, oggi sei insopportabile. Vieni qua, simpaticone, ho bisogno di una tua foto nuova”

 
 °°°
 
La mattina seguente, dopo aver fatto i suoi allenamenti mattutini e una doccia rilassante, Sebastian si vestì e, afferrando zaino e documenti scolastici, scese le scale.
“Oh, Sebastian, prima che mi dimentichi! Tutte le tue foto che sono mai comparse su internet e tutte quelle che verranno caricate d'ora in avanti si cancelleranno” spiegò l'uomo, indicando uno dei tanti monitor sulla scrivania.
“E perché mai? Loro non sanno chi sono né che faccia ho”
“Lo so e credimi, è un grandissimo vantaggio. Ma meglio prevenire che curare, giusto? Dobbiamo eliminare ogni minimo dettaglio che potrebbe ricollegarti a Daniel, la tua precedente identità”
“Va bene, va bene. Tanto ormai non credo di potermi opporre” disse il ragazzo, prendendo una mela dal cesto di frutta in cucina e mordendola.
“E tu dove credi di andare con quello zaino?” chiese Henri, notando che cosa il protetto avesse sulla schiena.
“Vado a scuola” rispose l'altro, semplicemente.
“Vai a scuola? No, è fuori discussione”
“Senti, con te sto una favola, ma non da prigioniero e non qui ad Alcatraz. Devo andare a scuola”
“No, escluso, è troppo pericoloso”
“E dai! Il numero tre era sparito, eppure l'hanno trovato. Non è servito”
“Ho detto di no”
“Henri, dai, sarò al sicuro se non mi espongo. Ti prometto di tenere un profilo basso” disse Sebastian, incamminandosi verso la porta, ma Henri lo fermò, portandogli una mano al petto.
“Senti, ammesso e non concesso che io approvi -non che io approvi la cosa, ovviamente- non è che puoi presentarti a scuola come se niente fosse” ribatté l'adulto, sussurrando le ultime tre parole quando Sebastian aveva tirato fuori dallo zaino i documenti.
“Non sei l'unico che sa falsificare i documenti” disse l'altro, porgendoglieli.
Henri li esaminò ma, non ancora completamente soddisfatto, continuò il suo discorso.
“Hai pronti-”
“Vestiti di ricambio, gps, contanti” concluse con un sorrisetto soddisfatto il ragazzo.
“Mh. Come ti chiami?”
“Sebastian Smythe”
“Di dove sei?”
“Toronto”
“Troppo abbronzato per Toronto”
“Santa fe, New Mexico. Sono addestrato, okay?” dichiarò fermamente il giovane, fissandolo negli occhi.
Henri capì la determinazione del ragazzo e, con un sospiro, diede la sua approvazione.
“Tieni- gli disse, porgendogli un cellulare- prendi questo. Ti chiamerò o ti manderò un messaggio ogni ora. Se non rispondi, significa che c'è qualcosa che non va”
“Andiamo! Ogni ora?” ripeté sconsolato Sebastian, fissando l'Iphone nero nelle mani del tutore.
“O così o studierai a casa. E sarò io il professore” disse, sorridendo soddisfatto.
“E va bene” acconsentì il ragazzo.
“Sebastian, non fare lo stupido. Non farti notare” lo avvertì, seriamente.
“So passare inosservato” affermò, pensando che la parte 'nonostante la mia bellezza sovrumana' non fosse appropriata da pronunciare.
Dopo essersi scambiato l'ennesimo sguardo con Henri, finalmente Sebastian uscì di casa.

 
°°°
 
In circa mezzora di camminata, arrivò alla tanto famosa quanto bellissima scuola chiamata McKingley.
E' una schifezza. Ho scelto perfettamente pensò Sebastian, congratulandosi con se stesso.
In poco tempo riuscì a trovare la segreteria e, consegnando i documenti alla vecchiettina dietro una scrivania, si sedette su una sedia, aspettando il suo orario.
Ad un certo punto sentì qualcuno parlare e, preso dalla noia, origliò.
“-ho detto di no, professor Schuester. Quest'anno non mi unirò al glee club” stava dicendo una voce molto acuta.
“Ma dai, sei la nostra arma segreta” rispose un uomo, che Sebastian identificò come l'insegnante.
“Poteva pensarci prima di dare tutti gli assoli alla Berry, signore. Ha avuto tre anni per sfruttare il mio talento, ormai è tardi” ribatté ancora il ragazzo sconosciuto.
“Ma-”
“Professore, lei sa il motivo. Non mi posso opporre ma l'ho accettato. Dovrebbe farlo anche lei”
“Sì, ma tutto questo è cominciato quando-”
“Caro, il tuo orario è pronto!” disse la voce della segretaria, coprendo le voci dei due.
“Oh, grazie mille” rispose gentile Sebastian, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
Guardando la cartina che la signora gli aveva disegnato per arrivare nell'aula della prima ora, non si accorse che qualcun altro stava girando l'angolo nel suo stesso momento e si scontrarono.
“Ah, cazzo, che male” imprecò Sebastian, massaggiandosi il fianco sinistro.
“Oddio, scusami tanto! Ti sono venuto addosso come uno stupido. Scusami” disse il ragazzo e Sebastian riconobbe la voce acuta come quella dello studente che stava discutendo con il professore sul glee club.
“No, scusami tu, io-” iniziò Sebastian, ma quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli azzurrissimi del sul interlocutore, le parole gli si fermarono in gola.
Era bellissimo.
Il ragazzo più bello che avesse mai visto.
Aveva i capelli castani perfettamente acconciati e un paio di jeans strettissimi che delineavano impeccabilmente tutte le sue forme.
Il ragazzo in questione si alzò e gli offrì una mano per rialzarsi. Sebastian accettò l'aiuto, ma tenne la sua mano ancorata a quella del misterioso ragazzo giusto un po' più del normale, lasciandola non appena una lieve scossa gli attraversò tutto il corpo.
“Mh, sei nuovo? Non ti ho mai visto” lo squadrò lo studente, sorridendogli ammaliato.
“...eh? Ah, sìsì, ho iniziato oggi” rispose l'altro, continuando a fissarlo.
“Capisco... io sono Kurt Hummel. Piacere” gli disse, offrendogli nuovamente la mano che, questa volta, il ragazzo strinse solo per pochi attimi. La lieve scossa si ripeté.
“Io sono Da-Sebastian Smythe” rispose, mordendosi la lingua per aver quasi sbagliato nome.
Fantastico, anni di allenamento e stava per far saltare la copertura per un paio di abbaglianti occhi azzurri.
“Ah, va bene Dasebastian. Se non vuoi dirmi il tuo vero nome, non mi offendo” disse l'altro, cominciando ad indietreggiare.
“No no, non è per quello. E' solo che i miei amici mi chiamano sempre con un soprannome orribile e vorrei che tu lo scoprissi più tardi possibile”
“Beh, almeno so che questo fantomatico soprannome inizia per 'Da'. Sono un pezzo avanti” scherzò l'altro, continuando ad indietreggiare.
“Non lo scoprirai mai” disse Sebastian, sollevando le sopracciglia in un modo buffo, facendo ridere l'altro.
Vennero però interrotti dalla campanella.
“Sebastian, ora devo andare. Ci rivedremo sicuramente”
“Ovviamente, dolcezza” ghignò malizioso, facendo arrossire l'altro.
Se Henri avesse saputo che stava flirtando con un ragazzo appena conosciuto dopo aver promesso di tenere un profilo basso, l'avrebbe ucciso.
Letteralmente.
Quando Kurt si voltò completamente, un altro pensiero sfiorò la mente di Sebastian.
Quel ragazzo che aveva già definito mentalmente 'bellissimo', aveva anche un sedere da favola.
Tutto ciò però non doveva distrarlo dalla sua missione: essere invisibile.
Perchè lui non era un ragazzo normale.
Non era Sebastian Smythe.
Era il numero quattro.
Niente di più, niente di meno.
Solo il numero quattro.
 

 
 


Spero davvero che vi abbia incuriosito *incrocia le dita*
Non sono una di quelle persone che scrive 'voglio 4 recensioni o non pubblicherò il prossimo capitolo' e spero di non diventarlo mai, ma se qualcuno mi facesse sapere la sua opinione mi renderebbe immensamente felice :)
E grazie alla mia socia, Chiara, per la betatura di emergenza <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Solitudine ***


Buon pomeriggio :)
Finalmente riesco ad aggiornare! Avrei voluto farlo prima ma io e la Chiara, la mia fedele beta, abbiamo avuto dei problemi a scambiarci i file e a discutere di alcuni dettagli.
Anyway, here I am!
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto ma in particolare:
- itsNichole, enialk, Anna_Vik, IAmAKlainer e Terminator_boom che hanno recensito;
-carpediem91Faanboy___, IAmAKlainer, itsNichole, Terminator_boom e xxzioVoldy che hanno aggiunto la storia tra le preferite;
-Anna_Vik, Tallutina e Terminator_boom che hanno aggiunto la storia tra le ricordate;
-Anna_1990, Anna_Vik, Deirdre Willowfrost, enialk, marghevale123, Noiz, Pikkola Rin, RachelElizabethHolmes, Saranghae7, sery_as, Terminator_boom, _Breakable che hanno aggiunto la storia tra le seguite.
WOW, davvero, WOW! 5 recensioni, 6 preferite, 3 ricordate e 12 seguite solo al primo capitolo... grazie a tutti, davvero <3

P.s. Se ve lo steste chiedendo, la pazza Terminator_boom è la mia socia Chiara ahahahah grazie del sostegno Claire! :* e per il betaggio, of course ;)
 

 LOSE CONTROL
Solitudine

 

Quattro giorni in quella che Sebastian aveva soprannominato Alcatraz 2.0 e già non ne poteva più.

Lui era un tipo da feste, da amici, da popolarità.

Non un 'Mr. Invisibile', ma si stava seriamente impegnando ad esserlo.

Si era ripromesso di sedersi in uno degli ultimi banchi, di socializzare il minimo indispensabile e di non eccellere con i voti. Insomma, non un mister popolarità come era stato in Florida.

Ma poteva accettarlo: se quelle erano le condizioni per poter frequentare la scuola e avere un minimo di relazioni sociali, lui le avrebbe rispettate.

Magari avrebbe potuto flirtare un po' con quel castano dagli occhi chiari e il sedere da urlo che aveva incontrato l’altra mattina; giusto per non perdere la mano.

Sapeva che niente si sarebbe concretizzato, perché il bene e la salvezza di Lorien venivano prima di tutto.

E anche se Lorien e i suoi abitanti non esistevano più, la sua collanina li rappresentava: proteggere essa era proteggere Lorien stessa.

Perciò Sebastian avrebbe svolto il suo compito, senza interferenze né distrazioni eccessive.

Gli dispiaceva per quel Kurt, ma lui era off-limits quell'anno... o per molti degli anni seguenti...

Non ci voleva pensare, né doveva farlo.

Finalmente arrivò l'ora del pranzo: stava morendo di fame.

Aveva un corpo che sembrava umano, sì, ma in realtà c'erano delle differenze tra lui e gli uomini della Terra: lui era più veloce, più forte, più resistente. Poteva resistere anche cinque giorni senza cibo né acqua, poiché essendo un guerriero gli era stato insegnato, fin da piccolo, ad adeguarsi ad ogni situazione, brutta o terribile che fosse.

Anche se non aveva più ricordi di quel periodo della sua vita, il suo corpo aveva mantenuto i progressi fatti.

Tale resistenza era però data dal fatto che facesse dieci pasti al giorno nei periodi pacifici, cioè mangiava circa tre volte un umano normale. Vivendo sulla terra però, si era dovuto abituare alle loro 'usanze', così i dieci pasti quotidiani erano diventati tre, seppure molto più abbondanti del normale.

Molto spesso i suoi amici gli avevano chiesto come potesse avere così tanta fame (lo chiamavano 'Daniel il pozzo senza fondo') e non ingrassare, ma lui rispondeva semplicemente che era così di costituzione e che ogni tanto si allenava; cacchiate. Si allenava ogni giorno minimo quattro ore e non erano corsette intorno al quartiere, ma allenamenti secondo il regime di Lorien. Una tortura, in sostanza, ma che aveva reso Sebastian quello che era e lui non poteva che esserne grato.

Perciò, sfoggiando il suo sorriso migliore, chiese alla signora della mensa due porzioni di tutto. La donna, seppur scocciata, sembrò non riuscire a resistere al sorriso del ragazzo e gliele diede.

Non fallisco mai, si disse Sebastian.

Volse poi lo sguardo verso i tavoli e, non vedendone nessuno vuoto, decise di uscire fuori e mangiare sulle scalinate del campo da football.

Stava per l’appunto arrivando là, quando cambiò direzione e girò a sinistra.

Non sapeva perché, ma sentiva di dover andare a sinistra. In realtà non si stava nemmeno chiedendo il motivo, aveva semplicemente cambiato direzione.

Non sapeva dove stesse andando, ma Sebastian continuava tranquillamente a camminare con il suo vassoio tra le mani e non si fermò finché non arrivò nel bosco dietro la scuola: non era molto ampio né particolarmente bello, ma era esattamente quello che il ragazzo stava cercando.

Un posto silenzioso e vuoto.

Un rumore, seppur impercettibile, lo fece fermare di scatto.

C’era qualcuno poco lontano da lui, riusciva a sentirlo respirare… Spinto una seconda volta dall’istinto, seguì la scia che gli forniva il rumore ed arrivò dalla persona nel bosco.

“Oh, non ci credo! Mi hai seguito?” rise Kurt, appoggiando la schiena al tronco dell’albero sotto cui era seduto.

“In realtà stavo solo dando un’occhiata in giro per trovare un posto dove poter mangiare tranquillamente” sorrise Sebastian, seducente.

“Ah-ah, e quindi mio caro Dasebastian, sei giunto proprio qua! Ma che bella coincidenza”

“Pensi che io sia arrivato fin qua solo per stare con te? Non ti sembri un po’ presuntuoso?”

“Farò finta di crederci. Vuoi pranzare con me?” gli chiese Kurt, gentilmente, prendendo in mano la sua forchetta e guardandolo.

Quando i loro sguardi si incrociarono, qualcosa dentro Sebastian si mosse e non poté che accettare, sedendosi davanti a lui, rilassato.

“Oh cielo, ma quante cose hai preso?” disse Kurt, sgranando gli occhi osservando il suo vassoio.

“Avevo fame e ho preso del cibo, semplice” alzò le spalle, cominciando a mangiare.

“…quel pasto mi basterebbe per almeno due giorni! Mangi sempre così tanto?” si interessò Kurt.

“Oh, dolcezza, posso mangiarne anche il doppio se ho molta fame”

“E come fai ad essere così magro?” lo guardò sospettoso l’altro.

“Sono così di costituzione e beh, l’allenamento aiuta” rispose semplicemente.

“Mh, sarà... ma dimmi qualcosa di te, Sebastian. Da dove vieni? Quanti anni hai?” sorrise Kurt, mangiando la sua insalata.

“Posso chiederti perché ti interessa tanto, dolcezza?” chiese maliziosamente l’altro.

“Pura curiosità. Siamo a Lima, vivo con le stesse persone da tutta la vita. Una faccia nuova è una grande novità qua da noi”

“Vengo da Santa Fe, New Mexico, ho diciotto anni e frequento l’ultimo anno. Tu?”

“Anche io ho diciotto anni e anche io faccio l’ultimo anno ma per mia grande sfortuna ho sempre vissuto qui” storse il naso Hummel, cercando di nascondere un sorriso triste.

“Capisco… che schifezza. Anche se ti posso assicurare che passare da là a qua è traumatizzante”

“Non fatico ad immaginarlo, Dasebastian” scherzò Kurt, mettendosi una mano davanti alla bocca, ridendo.

“E dai, smettila!” mise il broncio Sebastian, incrociando le braccia.

“Ohhhh il povero Dasebastian è triste” fece una finta espressione addolcita Kurt, continuando a ridere.

“Gne gne. Ora capisco perché non hai amici” rispose, sporgendosi verso di lui e fermandosi a circa dieci centimetri dal suo viso.

“Ma io ho degli amici! Cosa ti fa credere che non ne abbia?” arrossì Kurt, allontanandosi.

“Mmmm forse il fatto che è solo il quarto giorno di scuola e ti sei nascosto per pranzare da solo?”

“Questo non vuol dire niente -disse frettoloso Kurt- e comunque sei tu quello che non conosce nessuno e che dovrebbe farsi dei nuovi amici, perciò perché non sei in mensa?”

“Non cerco nuovi amici, semplice” alzò le spalle Sebastian, tranquillo.

Scomodo in quella posizione, decise di stiracchiarsi, piegare le gambe sollevando le ginocchia e appoggiare il vassoio sull'erba.

“Ah sì? E perché sei qui, allora, con me?” sorrise Kurt, guardandolo intensamente.

“Solo perché camminando ci siamo incontrati. Ti ripeto di non montarti la testa. Siete tutti così presuntuosi a Lima?” chiese Sebastian, facendogli l'occhiolino.

“Ha parlato lui! Non sembri Mr. Purezza, sai? E direi che il tuo ego fa concorrenza al mio”

“Può darsi. Di certo in New Mexico non rimorchiamo così” sorrise maliziosamente.

“Perché ti sei trasferito? Se non sono troppo invadente, ovviamente” disse timidamente, finendo la sua insalata.

“No, figurati. Henri doveva spostarsi per lavoro e siamo venuti qua, niente di particolarmente sconcertante”

“E Henri sarebbe?...”

“Il mio tutore”

“Ah, e i tuoi genit-”

‘Whistle’ cominciò a risuonare dall’Iphone di Sebastian, interrompendo nuovamente la conversazione.

“Henri, stavo appunto pensando a te” disse, rispondendo al cellulare.

Sebastian. Tutto bene?

“Sì, tutto bene”

Nessun comportamento sospetto da parte di qualcuno?

“No”

Qualche segno dei Mogadoriani?

“No, signore”

Eccellente. E mi raccomando: non farti notare. Devi essere invisibile

In quel momento, Sebastian alzò gli occhi su Kurt, sorpreso.

Come diavolo era arrivato lì, vicino a lui?

Aveva promesso a se stesso di non interagire con lui… come era potuto succedere? Stavano pranzando insieme e lui nemmeno se ne era preoccupato.

Non era possibile, Sebastian seguiva sempre ciò che si imponeva di fare.

L’autocontrollo era la prima cosa che veniva insegnato ai giovani guerrieri di Lorien, poiché la ragione sconfigge sempre la forza bruta.

‘E’ con la furbizia che ci si salva, non con le armi’ è sempre stato il motto di Henri e Sebastian l’aveva sempre rispettato.

Quindi, che cosa era successo?

Un momento prima stava pensando di andare alle scalinate… e un momento dopo decideva di girare a sinistra.

Perché? Cosa l’aveva spinto fin lì?

Sebastian?

“Sì, scusa Henri. Ho capito, non preoccuparti”

Bene, ti aspetto a casa” chiuse la chiamata l’uomo.

Il ragazzo mise il cellulare in tasca e, velocemente, si alzò e raccolse il suo vassoio ancora pieno.

“Devo andare” disse, sbrigativo, per poi allontanarsi da Kurt che, sorpreso, gli urlò delle parole che Sebastian interpretò con un “Stai bene? E’ successo qualcosa?”, ma non se ne preoccupò.

Gettò il suo pasto nel primo bidone disponibile e poi semplicemente si sedette, incrociando le gambe.

“Okay, sono calmo –cominciò a sussurrare, prendendo respiri profondi- sono un guerriero e sono padrone delle mie emozioni. Esse non mi possono controllare, io controllo loro. Per me, per i miei fratelli e per Lorien”

Cominciò a pensare, a pensare e a pensare.

Si interrogò su tutto quello che era accaduto, eppure non riusciva in nessun modo a spiegarsi il motivo delle sue azioni…

Ma era sicuro di due cose: primo, Henri non sarebbe mai dovuto venire a conoscenza della sua perdita di razionalità di quel giorno; secondo, non sarebbe mai, mai più dovuto accadere.

Ciò che non sapeva, però, era se sarebbe riuscito a placare tutto quello.

Era come se il suo corpo e la sua anima per quella mezz'oretta che aveva passato con Kurt si fossero staccati dal resto del mondo come se nulla oltre a quello che stava accadendo avesse importanza.

Perché? Perché era successo? Perché non era riuscito a rimanere razionale?

Che c’entrasse il nuovo posto dove si trovava? Che c’entrassero le persone che lo circondavano in quella scuola? Che c’entrasse Kurt?

No, ancora una volta Sebastian si ripeté semplicemente che non era possibile…

Era stata una svista. Una svista che non si sarebbe più dovuta ripetere, punto e basta.

Poteva resistere alle tentazioni e alle passioni.

Doveva resistere.

Per Lorien.
 

 



“Finalmente sei a casa!” pronunciò la voce di Henri da un albero.

“Sei inquietante, lo sai?” alzò gli occhi Sebastian, continuando a camminare per il giardino.
“No, sono un genio della tecnologia! Le telecamere e i microfoni funzionano alla perfezione” disse la voce dell’uomo da un sasso.

“Sìsì, come vuoi” annuì Sebastian, entrando in casa e dirigendosi subito in cucina.
“Com’è andata?”

“Futto Fene” rispose il ragazzo mentre cercava di mandare giù un panino.

“Hai fame? Non hai mangiato?”

“No, c’era troppo casino in mensa”

“Mmmm tu che rinunci a mangiare? Non l’avrei mai detto”

“Ah, visto? Non hai sempre ragione, capitano”

“Parlando di cose serie! Sono riuscito a entrare nel sistema operativo della Florida e ho cancellato perfino i più insignificanti dettagli che avrebbero potuto ricondurre chiunque a noi. Ho cambiato la mia identità in Henri Smythe, senza cambiare il nome dato che per tutto il tempo in cui siamo stai là sarò uscito di casa al massimo cinque volte”

“Perfetto, almeno non dovrò chiamarti in nessun altro modo. Già è strano sentirsi chiamare Sebastian, figurarsi se ti dovessi chiamare Pierre

“Pierre? Uh, mi piace! Potremmo chiamare il cane Pierre”

“Tu non chiamerai il mio cane Pierre!” disse inorridito Sebastian.

“E allora come vorresti chiamarlo?”

Il ragazzo, pensieroso, fischiò per chiamare l’animale che in pochi secondi lo raggiunse.
“Cucciolo, come vuoi chiamarti?”

“Paul?”

“Henri, per favore! Lascia scegliere a me… Ce l’ho! Derek! Ti piace il nome Derek, cucciolo?”

Il cane in risposta gli leccò una guancia e Sebastian, felice, lo accarezzò.

“E va bene, che Derek sia” accettò sorridendo Henri, tornando nella sala dove aveva risposto tutti i computer.

Sebastian, con il cane tra le braccia, salì le scale e si sedette sul letto, vicino all’animale.

Cominciò a ripensare agli eventi di qualche ora prima e, con cautela, tirò fuori da sotto la maglietta la sua collanina.

Lorien è pace. Lorien è prosperità.

Lorien è giustizia. Noi tutti promettiamo di proteggerla sempre, a costo della nostra vita.

Ognuno dei nove pezzi è speciale e unico, ma insieme possono combinarsi e creare un potere. Creare un imperatore.

Promettiamo di proteggere questa collana che ora ci state dando come segno di fiducia e di non mettere mai la nostra sopravvivenza davanti a quella di Lorien, perché Lorien è la nostra casa.

Noi siamo Lorien.

Lorien è la nostra essenza.

 

Mentre Sebastian pronunciava quelle parole, la collanina si illuminò di luce viola.

Viola, il colore di Lorien.

Quella promessa era l’unico ricordo che aveva ed ogni volta che lo ripeteva, la collanina emetteva luce.

Alcune volte però si illuminava anche quando non lo faceva e Sebastian aveva sempre pensato che significasse che lo stava facendo un altro dei suoi fratelli. O almeno lo sperava, perché voleva dire che nessuno di loro si era dimenticato la promessa.

Che tutti stavano combattendo, che nessuno si stava arrendendo.

“Sai, Derek, penso davvero di aver bisogno di qualcuno con cui parlare. Sono solo. So che è il mio destino, ma tranne Henri, non ho mai avuto nessuno al mio fianco… non veramente. Ho dovuto abbandonare tutti quelli che consideravo amici, ma non ho mai permesso al mio cuore di affezionarsi a nessuno. Perché sono il numero quattro e la mia missione è proteggere questa collanina, non vivere felice e contento. Ma ci ho fatto l’abitudine ormai, sai? E poi adesso ho te. Penso che diventeremo grandi amici, Derek. Non sarò più solo, non dovrò più tenermi tutto dentro. Perché sono stanco. Stanco di allenarmi. Stanco di recitare. Stanco di scappare da un destino inevitabile. Alcune volte vorrei essere un ragazzo normale, vivere in una bella casa, avere un padre con cui parlare di auto e una madre che mi cucina i pancake la domenica mattina... e magari un fidanzato con cui andare al cinema. Ma questo non accadrà mai, perché io non sono un ragazzo normale. Io sono il numero quattro: questo è ciò che sono, questa è la mia missione e non posso fallire. Sono onorato di questo mio incarico che porterò a termine con tutte le mie forze” disse Sebastian, accarezzando dolcemente l’animale.

Non ci pensava mai, ma era vero.

Era solo.

Certo, aveva Henri ed aveva i suoi fratelli in giro per la Terra, ma era solo.

Fin da piccolo, la sua vita da ‘umano’ era girata attorno all’allenamento e alla preparazione per un eventuale attacco dei Mogadoriani.

Non aveva mai fatto veramente amicizia con nessun bambino o ragazzo della sua età e questo gli aveva permesso di sparire più facilmente, ma gli aveva anche impedito di essere realmente felice.

Come poteva essere felice una persona che viveva solo per allenarsi e combattere?

Quella non era una vera vita.

Non era normale.

Ma, infondo, Sebastian non era normale. Non era un umano.

Sebastian era un alieno ed era il numero quattro.

Quello era il suo destino e mai sarebbe potuto cambiare.

O forse sì.

Ma questo, ancora, lui non lo sapeva.


Nello stesso istante, un ragazzo dagli occhi color ghiaccio soffiò per spegnere una candelina con il numero diciotto sopra e, nella solitudine e nel silenzio di una casa vuota, cominciò ad intonare la canzone 'Tanti auguri', asciugandosi con una manica della felpa le scie bollenti delle lacrime amare che gli scorrevano sul viso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Orfano ***


Buongiorno :)
Per prima cosa vorrei scusarmi per il ritardo, ma scrivendo anche altre due ff il tempo per fare tutto e beh, anche studiare perchè la maturità si avvicina sempre di più, è poco, quindi scusate. Cercherò comunque di aggiornare minimo una volta al mese! :)
Maaaa passiamo ai ringraziamenti!
- IAmAKlainer e Terminator_boom che hanno recensito;
-baileyzabini90 , DuerreWayland, Faanboy____ , smile 333, Tallutina e Vegge_Perry che hanno aggiunto la storia alle seguite.
WOw ragazzi, grazie mille a tutti, davvero :)

E ancora grazie alla mia ChanteClaire che mi beta i capitoli con pazienza e amore :*
Alla prossima,
Arianna


LOSE CONTROL
Orfano

 


“Sebastian, sono quasi le tre! Devi alzarti” disse Henri, togliendogli il cuscino da sotto la testa.

“Mph, adesso mi alzo” rispose assopito l'altro, stiracchiandosi.

“Bene, mi raccomando! Devi eseguire tutti i tuoi esercizi. Io vado a riposarmi qualche ora, svegliami prima di uscire”

“Sì, signore!” affermò il ragazzo, alzandosi dal letto ed indossando una tuta.

Prima di uscire lanciò uno sguardo intenerito a Derek che fin da due sere prima, la notte, si intrufolava sempre nel suo letto.

“Ciao cucciolo” gli sussurrò, dandogli una carezza sulla testa.

Prese il suo orologio e controllò l'ora: 02.49. Aveva il tempo per una colazione veloce.

Scese in quella che in teoria doveva essere una cucina -e che in realtà era solo un ammasso confuso di pentole e tegami- e si mangiò una dozzina di panini che Henri gli aveva preparato.

“Oh Dio, stavo morendo di fame” disse soddisfatto, mangiando l'ultimo boccone del dodicesimo panino.

Uscì dalla porta e, sulla veranda, cominciò a fare stretching.

Alle 3:00 esatte cominciò a correre.

 

***

 

Guardò il foglio con il suo orario.

Martedì, seconda ora: storia.

Oh, finalmente una materia in cui andava bene. Più che bene.

Infatti, secondo Henri e gli altri guardiani, i Mogadoriani per millenni si erano mimetizzati nei vari pianeti ed avevano causato le più disastrose guerre della storia dell'universo; perciò una parte dell'allenamento di Sebastian quando era piccolo era consistito nello studio della storia della popolazione della Terra nei minimi particolari e nel riconoscere i Mogadoriani che si spacciavano per umani. Per fortuna ce n'erano stati pochi, poiché la Terra non era un pianeta dove la loro specie riesce a vivere adeguatamente, a causa della differenza di forza di gravità e di quantità di ossigeno nell'aria. Il piccolo Sebastian (anche se al tempo il suo nome era Ryan) riuscì ad identificare subito Stalin come Mogadoriano ma, per sua sfortuna, scelse come alieno anche Hitler. Peccato che quella persona spregevole fosse semplicemente un uomo. Che poi nelle sue decisioni ci fossero dietro quei mostri, è una delle ipotesi che tutti i guardiani e i protetti hanno sempre condiviso. Perciò, era forte in storia. Aveva una meravigliosa memoria per le date, che aveva ripetuto per anni e anni. Non avrebbe avuto problemi.

Entrò in classe e con suo grande stupore vide Kurt seduto in terza fila nel secondo banco, vicino alla finestra, che stava scrivendo su un quaderno.

Silenziosamente, Sebastian si sedette in quarta fila nel quarto banco: da lì poteva osservare divinamente l'altro ragazzo.

Perfetto.

L'insegnante entrò – un certo Mr. Tanner se aveva capito bene- e subito iniziò a spiegare, senza dare un secondo di pausa.

A Sebastian stava già sulle palle.

“La battaglia di Willow Creeck – disse l'uomo ad un certo punto, rivolgendosi alla classe- è stata combattuta in una cittadina poco lontano da qui, proprio alla fine della guerra. Quante vittime caddero in questa battaglia?” (*)

Ma che diavolo di domanda è?

“Signorina Pears?” chiese l'insegnante alla ragazza seduta alla destra di Sebastian.

“Un milione? Tante? Non ne sono certa, ma direi tante!” rispose felice la biondina.

“Da carini a schiocchi in un istante, signorina Pears. Signor Puckerman, gradisce cogliere l'opportunità per sfatare il mito del palestrato senza materia grigia?”

“Non importa, signor Tanner, a me piace così. Mi fa rimorchiare di più” rispose un ragazzo con la cresta seduto davanti alla biondina.

Sebastian, sorridendo, alzò gli occhi e nello stesso istante Kurt, che stava ridacchiando, si girò.

I loro occhi si incrociarono e Sebastian dovette respirare più profondamente.

Quel ragazzo aveva... qualcosa, che lo lasciava senza fiato.

Non era mai successo prima d'ora.

“Oh, Kurt Hummel, potrebbe essere lei la persona che stiamo cercando. Perché non ci illumina su uno dei più importanti eventi storici di tutta Lima?” si rivolse verso Kurt l'uomo.

Sebastian ne studiò l'espressione.

Per tutta la durata della lezione, aveva guardato male tutti gli studenti, lui compreso, e non aveva fatto che richiamare il silenzio.

Ma, in quel momento, negli occhi dell'uomo vedeva riflesso solo un sentimento: il disprezzo, ed era unicamente per Kurt.

“M-mi dispiace, non lo so” rispose Kurt, abbassando le spalle.

La voce di Kurt era spezzata, piena di vergogna.

Possibile che una semplice risposta mancata potesse farlo sentire così?

O forse... era il signor Tanner ad essere il problema.

“Ero disposto ad essere indulgente con te per ovvi motivi l'anno scorso, Hummel, ma le scuse personali sono finite con le vacanze estive, chiaro?” quasi urlò l'uomo, facendo irrigidire tutta la classe.

Sebastian decise di intervenire.

“Ci furono 346 vittime senza contare i civili del luogo” rispose, sorprendendo sia l'insegnante, che lo guardò stupito, che Kurt, che lo guardò mezzo sorridendo, probabilmente ancora scosso dalla cattiveria ingiusta dell'insegnante nei suoi confronti.

“E' esatto...signor?”

“Smythe”

“Smythe. E' per caso nuovo al liceo McKingley, signor Smythe?”

“Esatto”

“Molto bene, -disse l'uomo, fissandolo e intanto sedendosi sulla cattedra- tranne il fatto che non ci furono vittime civili in questa battaglia”

“A dire il vero ce ne furono 27, signore. I soldati confederati spararono contro la chiesa, pensando che vi fossero nascoste delle armi. Si sbagliavano. Fu una notte di grandi perdite -continuò Sebastian, notando con felicità che l'uomo stava abbassando la testa- Sono sicuro che gli archivi siano conservati nella biblioteca pubblica, nel caso volesse aggiornare i suoi dati, signor Tanner”

L'insegnate, sconfitto, aprì il libro e continuò a leggere, fingendo indifferenza verso la figuraccia appena fatta.

Ma il sorriso luminoso che Kurt gli rivolse fu la soddisfazione più grande.


***


 

“Hey bello, sei nuovo?” pronunciò una voce maschile alle sue spalle, mentre lui chiudeva l'armadietto.

Sebastian, lentamente, si girò ed osservò uno per uno i quattro ragazzi che aveva davanti. Tutti indossavano la stessa felpa rossa e bianca.

“David Karofsky” si presentò quello che identificò come il 'leader', offrendogli la mano.

Sebastian, seppur riluttante, la strinse.

“E loro sono Azimio, Carl e John”

“Sebastian” rispose velocemente lui, salutandoli con un cenno del capo.

“Piacere Sebastian... di dove?”

“Santa Fe”

“Ohhh New Mexico- pronunciò Karofsky con l'accento messicano- facevi sport là?”

“Football?” provò ad indovinare Sebastian, già annoiato.

“Sì!” risposero gli atleti.

“Ehm... no” disse secco.

“Proprio niente?”

“No”

“Baseball? Calcio? Ping-pong? Lacrosse?”

“No” disse ancora, scuotendo la testa e facendo ridere i quattro.

Per cosa stessero ridendo, Sebastian non riusciva a capirlo.

Non che gli interessasse.

“No dai, tranquillo su! Un tifoso in più ci fa piacere, davvero. Senti, per qualunque cosa, ci siamo noi, okay? Siamo i re di questo posto”

Il fatto che dovessero sottolinearlo con così tanta enfasi fece dubitare molto il ragazzo sulla loro effettiva importanza in quella scuola.

“Lo terrò presente” disse Sebastian, facendo un mezzo sorrisetto sperando che quei ragazzi se ne andassero. E in fretta.

“E' stato un piacerone” lo salutò Karofsky, dandogli una pacca sul braccio. Lui e il suo gruppetto se ne andarono.

Sebastian, scuotendo la testa in un gesto di rassegnazione, rispose al messaggio che gli aveva mandato Henri circa cinque minuti prima.

 

***
 

“Sebastian, smettila di sbuffare, mi deconcentri” si lamentò Henri, mentre continuava a premere i pulsanti sulla tastiera.

“Mi annoio!” rispose sbuffando, per rimarcare il concetto.

“Trovati qualcosa da fare” disse l’uomo, alzando gli occhi al cielo.

“Che cosa? Non c’è niente in questa casa, nemmeno la televisione!” affermò il ragazzo, buttandosi sul divano.

“Ma cosa ne so! Vai a dormire!”

“Alle otto di sera?”

“Gioca con il cane”

“Derek!” il ragazzo chiamò il cucciolo, fischiando e sorridendo all’animale quando arrivò.

“Hei, Derek, che ne dici di andarci a fare una passeggiata? –lo coccolò, ricevendo una leccata d’assenso- vedo che l’idea ti piace”

“Visto? Le mie idee sono sempre le migliori” affermò Henri, soddisfatto.

“Ah-ah, sì certo, continua a crederlo! Noi usciamo” disse Sebastian, indossando la felpa rossa sopra la camicia.

“Va bene, ma non tornare troppo tardi e prendi il cellulare!”

“Sì, capo! Derek, bello, andiamo” sorrise trionfante, aprendo la porta di casa.

Il cane, felice, scodinzolando cominciò a correre da tutte le parti, annusando ogni albero fino al limitare del bosco.

Quando raggiunsero delle strade e wow, ci sono delle altre persone in questo buco, Derek si avvicinò piano piano a Sebastian e insieme visitarono tutto il paesino, fermandosi perfino in uno stand di hot-dog e dividendone uno. O meglio, Derek si mangiò tutto il wurstel e a Sebastian rimase solo il pane, ma pazienza.

Dopo aver trovato un negozio di giocattoli aperto ed aver comprato un frisbee azzurro, nella via del ritorno il ragazzo tirò il disco colorato al cane che, felice e allegro, lo ricorreva e glielo riportava, senza mai smettere di scodinzolare.

Ad un certo punto, però, il cane si fermò in mezzo ad una via, rizzando le orecchie e la coda.

“Derek, bello, vieni dai! Non ti fermare” lo richiamò il giovane, ma il cane di punto in bianco cominciò a correre.

Sebastian, confuso, lo rincorse e ben presto lo raggiunse, giusto in tempo per vederlo entrare in un giardino.

“Derek, torna qua!” alzò gli occhi il ragazzo, non capendo il motivo della fuga del cane.

L’animale finalmente si fermò e, senza apparente motivo, si sedette nel vialetto della villetta color panna che avevano raggiunto, una casa al limitare del bosco, discretamente lontana dalle altre.

Sebastian andò incontro al cane e si chinò per prenderlo in braccio, quando quella voce gli parlò.

“Oh ma non ci credo! Sei davvero uno stalker” rise Kurt, uscendo dalla macchina che aveva appena parcheggiato nel giardino.

“…Kurt?” chiese Sebastian confuso, guardandolo.

“In carne e ossa, stalker” sorrise il controtenore.

“Ma-ma che ci fai qui?”

“Beh, io qui ci abito! E tu?”

“Stavo facendo una passeggiata con-” cominciò Smythe, quando vide Derek fissare Kurt, abbaiare e poi correre verso di lui, accoccolandosi ai suoi piedi.

“Oh Dio, ma sei un amore! Posso?” chiese a Sebastian, facendogli capire che volesse prenderlo tra le braccia.

“Certo” sorrise confuso lui, non capendo il comportamento del cagnolino.

“Sei bellissimo. I pastori tedeschi sono la mia razza di cane preferita, così eleganti e selvaggi allo stesso tempo” disse dolcemente Kurt, accarezzando il musetto del cane.

Sebastian, intenerito, sorrise.

“Come si chiama?”

“Derek”

“Oh, Derek, ma sei proprio un amore –sorrise al cane, accarezzandogli la pancia- ti va un bel pezzo di carne?”

L’animale abbaiò felice.

“Perfetto! Sebastian, volete fermarmi un po’ da me? Posso offrirti un caffè o un tè”

No, assolutamente no.

Sebastian, non accettare, rifiuta! Non puoi, hai promesso a te stesso di stargli lontano, non puoi semplicemente-

“Con piacere” rispose, quasi senza accorgersene.

Com’era possibile tutto ciò? Aveva accettato senza volere, come se le parole gli fossero semplicemente uscite dalle labbra, senza potersi opporre.

Kurt gli sorrise raggiante, e Dio, a Sebastian batté più forte il cuore, cominciando a fargli strada verso la porta: appoggiò con dolcezza Derek per terra e tirò fuori le chiavi dalla tracolla, entrando in casa.

Appena mise un piede dentro la dimora, Sebastian venne investito da una strana sensazione: era un misto tra tristezza, malinconia e solitudine mischiate con leggere e delicate sfumature di gioia, amore e serenità.

Che cosa era accaduto in quella casa?

Che cosa volevano raccontargli quelle emozioni?

Confuso, prese un grande respiro e, spalancando gli occhi, realizzò: il suo fiuto sviluppato gli stava facendo sentire solo un odore, quello di Kurt.

Nessun altro odore…ciò poteva voler dire solo una cosa: nessun altro viveva in quella casa.

Com’era possibile? Dov’erano i suoi genitori?

Sovrappensiero, girò l’angolo per entrare in salotto e quasi inciampò per colpa di una scatola posta al limite della stanza.

“Oh cielo, scusa, sono così disordinato ultimamente! Cioè, non che io sia disordinato, in realtà io sono davvero pulito e organizzato, te lo posso assicurare e-”

“Kurt, calmati” lo interruppe Sebastian.

“Io-Cazzo, scusa. Solo che non sono più abituato e tutto ciò mi agita non poco”

“Non sei più abituato a cosa?”

“Ad avere persone in questa casa” ammise il ragazzo, con una semplicità disarmante.

“Ma… i tuoi genitori sono…”

“Sì, i miei genitori sono morti”

Sebastian rimase shockato.

Kurt sembrava un ragazzo così buono e gentile, mai avrebbe immaginato che fosse orfano, anche se forse così riusciva a capire il suo desiderio di isolarsi a scuola.

Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Kurt riprese la parola.

“Ma adesso cambiamo discorso. Allora, come lo vuoi questo caffè?” sorrise triste Hummel.

“In realtà preferirei un tè, grazie”

“Davvero? E io che ti facevo una persona drogata di caffè”

“Beh, in realtà sono allergico alla caffeina”

Diciamo che in realtà, tutti i Lorienani erano allergici al caffè: bastava ingerirne solo un pizzico di troppo e rischiavano di soffocare atrocemente.

“Beh, questa informazione la aggiungo alla lista dei dati che ho sul misterioso Sebastian” sorrise Kurt, arrivando in cucina e trovando della carne per Derek.

“Hai una lista su ciò che sai di me? Woah, devo proprio interessarti molto” ammiccò Sebastian.

“Mh, forse sì” rispose allusivo Kurt, nascondendo il viso con l’anta della dispensa.

In silenzio, il padrone di casa preparò il tè e dopo aver riempito due tazze, ne porse un all’altro.
“Grazie” rispose Sebastian.

“Bene, ora che ti ho sfamato, per così dire, sei costretto a raccontarmi qualcosa di te” rise sotto i baffi Kurt, rilassandosi bevendo il liquido caldo.

“Mh, okay, abbiamo appurato che mi chiamo Sebastian e che ho 18 anni, compiuti da poco. Vengo dal Messico, ho un cane di nome Derek che al momento sta mangiando un enorme pezzo di carne, vivo in una villetta un po’ imboscata –nel vero senso della parola- con il mio tutore, Henri. Ah, e sono allergico al caffè”

“E i tuoi genitori?”

“Sono morti quando ero piccolo. Sono stato affidato ad Henri e da quel momento in poi siamo rimasti solo noi due. Ma la versione ufficiale è che lui è mio padre, quindi…”

“Tranquillo, non ne farò parola con nessuno”

“E tu? Cosa mi dici di te?”

“Kurt Hummel, 18 anni. Vivo in questa casa fin da quando ne ho memoria e la adoro, per questo non riesco a venderla, nonostante mi servirebbero soldi. Ho perso mia madre quando avevo otto anni e mio padre all’inizio di quest’anno. I professori volevano bocciarmi poiché per quasi quattro mesi non ho frequentato ma il preside Figgins era molto amico di mio padre, quindi alla fine sono stato miracolosamente promosso” concluse, alzando le spalle.

“Beh… direi che abbiamo qualcosa in comune…Ma io ho Henri. Tu come fai ad abitare in questa grande casa tutto solo?” gli chiese Sebastian, fissandolo intensamente.

“Ci si abitua, credo. Per un periodo sono stato con mio zio, il fratello di mia madre, ma non abbiamo mai avuto buoni rapporti perciò dopo due mesi lui è tornato a casa sua e io gli ho semplicemente inviato per posta i fogli scolastici che doveva firmarmi come mio tutore provvisorio. Ora ho 18 anni, quindi il problema non si pone”

“Ma non hai mai pensato di prenderti un gatto o un cane?”

“Sono allergico al pelo di gatto e non sai quando avrei voluto prendere un cane, magari bello come Derek – il ragazzo sorrise all’animale che, sentendosi chiamare, gli si avvicinò scodinzolando- ma tra la scuola fino alle tre e le altre cose, non avrei avuto abbastanza tempo da dedicargli. Il cane non è un semplice animale da compagnia, ma qualcuno da accudire con amore. Non avrei potuto lasciarlo da solo per dieci ore al giorno”. Rispose Kurt, con un sorriso tenero che però non arrivava a contagiare anche i suoi splendidi occhi.

Wow…quanto era dolce quel ragazzo? Sebastian si stupì alle sue parole, non aveva mai conosciuto qualcuno così buono e sensibile.

Aveva rinunciato ad avere un animale per non fare soffrire quest’ultimo; esistevano davvero persone del genere? Spesso si vedevano per strada cani randagi che, probabilmente come Derek, erano stati abbandonati per colpa della cattiveria delle persone… e Kurt non voleva prenderlo per non farlo sentire troppo solo quando lui, per primo, soffriva di solitudine più di chiunque altro.

Sebastian era un loreniano, un guerriero, e per lui certe cose, tali dimostrazioni d'affetto erano assurde ma –non capendo come- si sentiva legato a quel ragazzo che aveva davanti. Un ragazzo che aveva sofferto tanto e che Sebastian non voleva vedere soffrire ancora.

Ancora una volta, Smythe si stupì dei suoi pensieri.

Perché si stava preoccupando per lui?

Perché, invece di pensare che da un momento all’altro i Mogadoriani sarebbero potuti arrivare ed ucciderlo –era il prossimo, maledizione- era lì, con Kurt, a prendere un tè?

No.

No.

Doveva uscire da quella casa e tornare ad allenarsi.

Sebastian si alzò di scatto, facendo sobbalzare Kurt.

“Scusa ma devo andare. Mi sono ricordato di una cosa importantissima. Grazie per l’ospitalità” disse, freddamente.

“C-cosa? Hei, ho detto qualcosa che non dovevo?” chiese Hummel, confuso dalla reazione dell’altro.

“No, non preoccuparti, semplicemente dobbiamo andare. Derek, forza” ordinò e l’animale, sentendo il tono del padrone, lo affiancò in un batter d’occhio.

“N-no, aspetta! S-sebastian!-”

“Ciao, Kurt” lo salutò, dirigendosi verso la porta.

Hummel, cercando di fermarlo, si dimenticò di quella maledetta scatola posta in mezzo al salotto e vi inciampò.

Chiuse gli occhi, aspettando il violento impatto con il pavimento…

Impatto che non arrivò.

Al contrario, sentì due forti braccia stringerlo e, aprendo gli occhi e guardando verso l’alto, incontrò lo sguardo di Sebastian.

L’alieno non riusciva a distogliere lo sguardo.

Labbra sottili ma allo stesso tempo carnose, capelli perfetti, sopracciglia che denotavano intelligenza, occhi espressivi, un corpo caldo e morbido.

Voglio toccarlo.

Voglio stringerlo più intensamente.

Voglio proteggerlo.

Voglio baciarlo.

Voglio farlo mio.

Sebastian non riusciva a staccarsi da Kurt, come se il contatto tra loro fosse ciò che aveva sempre segretamente bramato, come se ne fosse diventato dipendente.

Sentiva un’ energia, simile alla scossa che aveva provato la prima volta che si erano toccati, ma meno pungente e più intensa.

Kurt spalancò leggermente gli occhi, continuando a fissare quelli smeraldini di Sebastian che per un secondo - un solo, breve secondo- erano diventati di un viola elettrico.

Continuarono a fissarsi intensamente e, piano piano, cominciarono ad avvicinarsi.

L’uno, Sebastian, sapeva ciò che stava facendo ed era, contemporaneamente, il contrario di tutto ciò che gli era sempre stato insegnato e ciò che gli suggeriva – che gli urlava di fare- il suo istinto; mai, nella sua vita, questi due fattori erano stati in contraddizione.

L’altro, Kurt, sentiva una attrazione impulsiva e intensa verso Smythe ma non voleva combatterla, ma anzi, accoglierla.

Erano lì, a pochi centimetri di distanza, immobili.

Alla fine, inaspettatamente, fu Kurt ad allontanare Sebastian, appoggiando le mani sul suo petto.

Non che non volesse baciarlo, ma era ancora confuso dal suo comportamento.

“Sebastian…” sussurrò Hummel, praticamente sulle labbra dell’altro.

“Sì?” rispose l’altro.

“Perché stavi andando via?”

“Io… non lo so, ma non voglio più andarmene”

Il sorriso di Kurt fu abbagliante.

“Perfetto. Ma, uhm, ti dispiace se ci alziamo da questa posizione? Non che questo mezzo casquè non sia meraviglioso ma mi sta spezzando la schiena” gli sorrise nuovamente.

“Oh certo, scusa!” disse Sebastian, tirandolo su ma non spostandosi nemmeno di un millimetro, tenendo l’altro tra le sue braccia.

In quel momento, il cellulare di Sebastian cominciò a squillare.

“Pronto?” rispose, allontanandosi –seppur poco- da Kurt.

Sebastian, torna a casa

“Henri, dieci minuti e arrivo”

Te ne concedo cinque

Sebastian fece una faccia tra lo scocciato e il rassegnato così buffa che Kurt non riuscì a non scoppiare a ridere.

Smythe, in quel momento, sbiancò.

Sebastian. Con chi sei?

“Ho incontrato un mio compagno di scuola per strada ma, davvero, stavo tornando-”

Sbrigati, dobbiamo parlare. Hai quattro minuti” lo sgridò, chiudendo la chiamata.

“Ciao anche a te, insomma” borbottò il ragazzo, rimettendo il telefono in tasca.

“Immagino di doverti salutare” disse Kurt.

“Già. Ciao dolcezza, devo scappare” si allontanò da lui Sebastian, richiamando Derek.

Quando arrivò alla soglia della casa, però, mandò a fanculo Henri e i suoi pensieri negativi, tornando davanti a Kurt e, dolcemente, gli diede un bacio sulla guancia.

E la scossa tornò, lievemente.

Hummel non rispose al bacio ma le sue guance rosse, per Sebastian, furono la replica migliore che avrebbe mai potuto ricevere.

Con quel pensiero, seguito da Derek, Sebastian corse verso quella che ormai si era arreso a chiamare ‘casa’.






(*)
Il nome dell'insegnante e il discorso che segue sono presi da una puntata di TheVampireDiaries 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2674637