La ragazza iPod

di egip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Libri ***
Capitolo 2: *** Come accadde ***



Capitolo 1
*** Libri ***


La ragazza iPod

Libri.

Grossi, fini, vecchi, stampati di recente, a caratteri grandi, con i margini stretti, appena usciti, best seller, o opera di uno scrittore esordiente di cui non si è mai neanche sentito il nome.

Ce ne sono talmente tanti. E tutti, in qualche modo, si assomigliano e si distinguono. E allora, cos’è che ci spinge a prendere questo o quello? Perché preferiamo quello con la copertina rigida, con il titolo stampato a lettere in rilievo, a quell’altro, in carta riciclata con le scritte colorate? Questione di gusti, immagino. Magari, voi non togliereste mai dallo scaffale un libro di 500 pagine dall’aria sgualcita, e familiare in qualche modo, come probabilmente farei io. O forse voi non ne prendereste proprio nessuno, perché neanche vi piace leggere.

In ogni caso, ho sempre creduto che gran parte della decisione dipenda dal titolo. Comprereste un libro intitolato “Tecniche commerciali nella zona sud-est asiatica verso la fine del 18° secolo”? Non credo, eccetto che voi non siate studenti obbligati da questo ingiusto sistema che viene comunemente chiamato “scuola” a fare una ricerca sul suddetto argomento, oppure semplicemente soffriste d’insonnia.

Ebbene, per questa mia piccola opera ho riflettuto a lungo sul titolo più appropriato. Volevo qualcosa di breve ma d’impatto, una frase o una parola che si stampi nelle vostre retine, qualcosa di forte ma ironico allo stesso tempo, e anche d’effetto. Perché, diciamocelo, tutti adorano le frasi ad effetto; o almeno io le adoro. Frasi che ti si incidono nel cuore, che è impossibile dimenticare. Sfido chiunque a restare totalmente impassibile di fronte a “the show must go on”. È impossibile! Se un libro s’intitolasse così, io lo comprerei. O anche “ognuno è uno, nessuno e centomila”, una frase che racchiude in se un discorso ben più lungo. Ma sto divagando, come mio solito.

Alla fine, come credo abbiate già appurato, e a dispetto di tutte le mie elucubrazioni, ho deciso di chiamarla “La ragazza iPod”. Più che altro, perché descrive perfettamente tutto quello che ho intenzione di scrivere.

Lo so, lo so che adesso nei vostri cervellini frulla una bella domandina, alla quale aspettate con ansia che io dia risposta. Ma abbiate un po’ di pazienza, se non spendo un paio di parole in più del dovuto, questo più che un libro finirà per essere un banale tema in classe.

Dunque, chi è la ragazza iPod? Sperando che voi non vi stavate chiedendo il motivo per il quale si chiama così, perché nel tal caso sareste davvero idioti, dato che mi pare palesemente ovvio, vado a darvi la mia spiegazione:

la ragazza iPod ascolta i Queen,

la ragazza iPod vive nell’attesa di un cambiamento,

la ragazza iPod non si capacita di come faccia la gente a non riconoscere la voce di Freddie Mercury tra quelle di altri mille cantanti,

la ragazza iPod vorrebbe che i suoi amici e l’intera umanità capissero che la bellezza fisica non è tutto,

la ragazza iPod ha certi periodi in cui è incazzata con il mondo senza che manco lei ne sappia il motivo,

la ragazza iPod sono io, e per quanto sia noiosa e totalmente priva di attrattive, questa è la mia vita. Ed è con estremo rammarico che v’informo che voi ci siete appena finiti dentro.

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Capitolo 2
*** Come accadde ***


Come accadde

Io odio scrivere.

So che probabilmente vi sembrerà strano, ma è così: lo odio.

Credo che questo sentimento sia nato la prima volta in cui mi è stato dato un tema come compito scolastico; sapete, i primi titoli che danno sono sempre i più atroci e, per qualche sadico scherzo del destino, sono anche i più comuni: “Parla di te”, “Descrivi un tuo amico”, “Come hai passato le vacanze?”. Non so voi, ma a me, leggendo queste cose, mi vengono sempre i brividi sulla schiena.

Ho subito trovato terribile essere costretti a scrivere di se stessi o di qualsivoglia argomento, senza magari neppure avere qualcosa da dire, o comunque non volerlo fare. Ma la cosa che mi irritava di più, e questo ancora al giorno d’oggi, è la verità che ho ben presto scoperto: non bisogna scrivere la verità, anzi, il contrario semmai. A nessuno interessa davvero. Ti devi limitare a scrivere quello che è giusto, nella norma, stando attenta ad usare bene aggettivi ed avverbi e facendo un adeguato sfoggio delle tue capacità linguistiche. Tutto qua. Poi, se hai raccontato la vita di un altro, hai parlato di un amico che non esiste, di una vacanza che non hai mai fatto o esposto idee che non ti hanno mai lontanamente sfiorato, non è importante.

In pratica, c’insegnano subito a mentire. O meglio, a capire ciò che ci viene chiesto e a dire solamente quello, senza togliere o aggiungere nient’altro. Un modo come un altro di definire l’ipocrisia e l’opportunismo. Poi, definitemi esagerata o quello che vi pare, la mia idea è questa e non cambierà di certo. Non dico di essere sicura di aver ragione, semplicemente questa è la mia opinione. Per questo odio scrivere, è la ovvia conseguenza del mio totale disprezzo per gli ipocriti.

Al contrario, mi piace disegnare. E sono piuttosto convinta di essere anche molto brava. Uso sempre carta e matita, la differenza è che in questo campo non ho limiti. Nessuno mi dice cosa disegnare. Lo faccio semplicemente perché mi piace, il che mi sembra la migliore motivazione che una persona possa avere.

Il mio progetto, infatti, finite le medie, era iscrivermi ad un liceo artistico; per me, illusa dai miei dolci sogni infantili, sarebbe stato quasi il paradiso. Arrivò mio padre, dall’alto della sua onniscienza, a spezzare il mio incanto.

“L’Artistico, Joey?”, mi disse. “Ah! Mia figlia all’Artistico! Vorrai scherzare, spero”. Se ne andò facendosi grosse risate. Poi, sfortunatamente, tornò, questa volta con l’aria seria e grave tipica del genitore esperto. Proferì che avrei frequentato il classico, l’unica scelta possibile per una ragazza intelligente come me. E non c’era da discutere.

Io, dal mio canto, non avevo certo intenzione di discutere. È già da molto che ho perso la voglia anche solo di parlare col grand’uomo che è mio padre. Una persona all’antica, che non ha ancora metabolizzato il fatto che siamo usciti dal ‘900.

Mi ricordo quand’ero piccola, che dal mio metro e venti lo consideravo quasi un dio. Mi affannavo a cercare un argomento di conversazione che lui ritenesse abbastanza elevato per prenderlo anche solo in considerazione. E quando parlava con me era una gioia, lo rammento bene: mi sentivo così importante!

Poi capii. Capii che lui non parlava con me, parlava con la sua figlia perfetta, quel piccolo genio che a meno di dieci anni era in grado di andare discorrendo di politica, scienza ed economica. Ma non ha mai provato a chiedermi di ciò che m’interessava, così pure io ho smesso di farlo con lui.

Così sono andata al classico.

Mia madre, probabilmente se gliene avessi parlato, avrebbe sostenuto la mia idea iniziale, ma sarebbe stato del tutto inutile poi: avrebbe subito ceduto all’infinita saggezza di mio padre, e avrebbe dato ragione a lui. Quindi non gliene ho neanche parlato.

Mia madre è una cara donna e mi sta sempre a sentire; con lei non parlo da quando avevo tredici anni, semplicemente perché ho capito che tutto quello che potevo ottenere confidandomi con una donna che passa la metà del suo tempo ad addobbare la casa come un uovo di Pasqua, era un sorriso e una scatola di cioccolatini conditi con tanto amore.

Non pensate male, i miei genitori sono tanto cari e io li amo sinceramente, ma ritengo inutili e privi di significato i loro grandi discorsi, così ho preso l’abitudine, quando passeggiamo, viaggiamo, o qualsiasi attività a lungo termine, di infilarmi le cuffiette del mio iPod nelle orecchie ed estraniarmi dal mondo, senza dir niente a nessuno. Poi pian piano l’abitudine è diventata bisogno e poi ossessione, tanto che ora non posso più uscire di casa senza di lui. Questo perché ho scoperto che la musica…la musica è forse l’unica cosa che può essere interamente tua. La scegli tu, e nessuno ti può dire che quella scelta sia giusta o sbagliata, semplicemente…è la tua, ed esprime quello che sei tu. E la musica ti riempie, ti segue in ogni momento e c’è una canzone per ogni situazione, ogni emozione, ogni gesto.

E così, senza accorgermene o volerlo, sono diventata la ragazza iPod.






--my space--
Ok, sarò sincera con voi: avevo scritto questo prologo un pò di getto, in una serata di malinconia, immaginando la vita di questa ragazza fuori dal comunue. Rileggendolo, l'ho trovato piuttosta carino e ho deciso di postarlo, avendo tutte le intenzioni di lasciarlo lì come ua storia incompiuta.
A quanto pare, invece, è piaciuto a qualcun'altro oltre me, così ho deciso di provare a continuare, cercando di descrivere, più che una storia, un momento di vita in cui si trova la mia protagonista. Fatemi sapere se posso cavarmela o è il caso che lasci le cose come stanno.
In ogni caso, grazie mille per le recensioni, e spero di non deludervi con questo (posso chiamarlo così?) primo capitolo.
saluti, egip




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