KUCHISAKE-ONNA
Camminava
tranquillamente per il marciapiede ormai deserto, fatta eccezione per
qualche
coppietta diretta al cinema o a cena e chi, come lui, usciva tardi dal
lavoro.
Non
gli
dispiaceva essere sprovvisto di un mezzo di locomozione, al contrario
la
trovava un’occasione per godersi delle rilassanti passeggiate
all’aperto, anche
nelle sere fredde come quella.
Passando
davanti a un ristorante di basso livello, di quelli accessibili a tutte
le
tasche con i tavoli bassi all’orientale e il rullo con le
pietanze che
scorrevano a buffet, si soffermò con lo sguardo proprio su
quest’ultimo.
Adorava
il
sushi in tutte le sue forme, per non parlare delle polpettine di riso!
Ma
come
solito non aveva nemmeno un centesimo, causa la bassa paga che recepiva.
Di
andare a
mangiare fuori proprio non se ne parlava.
Così
proseguì la strada verso il suo appartamento, lasciando su
quel cibo un pezzo
del suo cuore.
Si
accorse
solo allora di una figura che veniva verso di lui.
Snella,
dal
portamento elegante, con un lungo cappotto che celava forme
all’apparenza
pronunciate, lunghi e fluenti capelli rossi ad incorniciare un viso
ancora
troppo distante per essere definito.
Man
mano che
si avvicinava, però, sembrava essere sempre più
bella, in particolar modo il
colore latteo della sua pelle e i suo grandi occhi da gatta.
Una
bella
ragazza insomma.
Peccato
per
quell’unico particolare stonante, che impediva alla sua
bellezza di mostrarsi
in tutta la sua interezza: una mascherina bianca a coprirle il volto.
Forse
era
cagionevole di salute, o forse la portava come si soleva fare
nell’usanza
comune per la protezione da germi e smog.
Impossibilitato
ad osservare ciò che stava sotto, si limitava ad ammirarne
gli occhi.
Anche
lei lo
guardava con una certa insistenza, tanto da metterlo in imbarazzo.
Discostò
lo
sguardo, fingendo indifferenza, ma la sensazione di avere gli occhi
puntati
addosso non scomparve.
E
infatti,
quando si girò nuovamente per controllare, la
trovò ancora intenta a fissarlo.
Ora,
più che
in imbarazzo si sentiva letteralmente a disagio.
Cos’è,
si
era innamorata di lui a prima vista?!
Si
schiarì
la gola, non perché ne avesse realmente bisogno quanto per
lanciarle un velato
messaggio: “ti
sei accorta che mi stai fissando da più di due minuti? Pensi
di
finirla?”.
Niente.
Ormai
erano
a pochi passi l’uno dall’altra, e ancora non aveva
smesso di guardarlo.
Non
voleva
essere scortese, ma la cosa era snervante.
Come
se
tutto ciò non bastasse, quando giunse davanti a lui si
fermò di colpo,
bloccandogli il passaggio.
Ma
che
diamine voleva?!
La
guardò
storcendo il naso, assumendo la tipica espressione di chi ha le scatole
piene.
-
Si può sapere perché mi
fissi?!- non
riuscì a trattenersi.
In
tutta
risposta, la ragazza continuò a guardarlo, sempre con la
stessa apatica espressione
sul volto.
Se
così si
poteva definire, dato che per metà era oscurato dalla
mascherina.
-
Trovi che io sia bella?- se ne
uscì.
Il
suono
delle sue parole risultò ostruito dalla mascherina.
Ciò
che si
stava ostruendo, però, era il suo cervello.
Che
razza di
domanda era?!
Lo
aveva
fissato per secoli, arrivando addirittura a fermarlo nel bel mezzo di
un
marciapiede, per chiedergli se era bella?!
Doveva
avere
dei seri problemi mentali, su questo non vi erano dubbi.
-
Ma che domande fai?! Non so nemmeno chi tu
sia!- replicò.
-
Sono bella, allora?-
ripeté, come se non
gliene importasse nulla.
-
Hai capito che ho detto?!- si
scaldò.
-
Trovi che sia bella?-
continuò a
recitare quella frase come un robot programmato.
Le
opzioni
erano due: piantarla lì e andarsene, oppure dare una
risposta qualsiasi per
farla contenta.
Voleva
solo
liberarsi di quella scocciatrice e andarsene a casa.
-
Senti, io me ne vado-
tentò di
sorpassarla.
Di
nuovo la
ragazza gli si parò davanti, bloccandogli il passaggio.
-
Secondo te sono bella?-
Aveva
una
strana luce negli occhi, come se la risposta a quella domanda
rappresentasse
per lei una questione di vita o di morte.
Era
inquietato da quella ragazza, nel vero senso della parola.
Se
non
poteva andarsene, forse la cosa migliore era assecondarla.
Di
certo a
una domanda del genere, qualsiasi donna avrebbe voluto ricevere come
risposta
un sì.
Da
quello
che aveva visto, la strana tizia non era male nel complesso, ma mancava
metà
volto per poter dare un giudizio complessivo.
-
Come faccio a saperlo? Hai la faccia
nascosta dalla mascherina. Se non la togli non posso vederti-
-
Pensi che io sia bella?-
Che
stupido!
Come
poteva
pensare che a una qualsiasi richiesta potesse rispondere con qualcosa
di
sensato che non fosse “credi che sia
bella?”!
Era
pazza,
ma pazza sul serio.
E
i pazzi
vanno sempre assecondati.
-
Sì, sei bella. Contenta ora? Posso
andare a
casa?- pigiò il tono sull’ultima
domanda, ormai al limite della
sopportazione.
Quello
che
ottenne, però, fu tutt’altro.
La
vide
portarsi una mano dietro l’orecchio, sfilando il laccio che
teneva ancorata la
mascherina.
La
scostò
lentamente, fino a toglierla del tutto.
Ringraziò
gli dei di avere uno stomaco forte e un livello di resistenza alla
paura
piuttosto alto, perché quella visione avrebbe fatto
riversare le interiora a
chiunque.
Era
disgustoso, ai limiti dell’orrido.
Mai
nella
sua vita avrebbe creduto di assistere a uno spettacolo simile.
Se
di
spettacolo si poteva parlare, ovvio.
La
ragazza
non aveva la bocca.
O
meglio,
l’aveva, forse fin troppo.
Uno
squarcio
netto, che l’attraversava da orecchio a orecchio, sfigurava
un volto che
sarebbe stato altrimenti perfetto.
Gengive
e
denti erano tutti in bella mostra, rendendola simile a una maschera di
Halloween.
Ma
quella
non era una maschera.
Sgranò
gli
occhi fino a sentirli dolere per lo sforzo, indietreggiando di qualche
passo.
Non
aveva
nemmeno la forza per mettersi a correre.
La
ragazza
fece un passo avanti, senza staccargli gli occhi di dosso.
-
Allora? Sono bella?- ripropose la
domanda.
Adesso
era
sicuro di quale sarebbe stata la risposta, ma aveva paura a dirlo.
Non
voleva
sembrare offensivo, perché forse quella ragazza era
diventata pazza a causa di
quella malformazione, che doveva pesarle non poco.
Dall’altra
parte, temeva che dicendo sì se sa la sarebbe comunque
presa, pensando che la
stesse deliberatamente prendendo in giro.
L’orrore
saliva, così come la tensione.
-
S-sì…s-sei
c-carina…- riuscì a malapena
a mentire.
Deglutì
sonoramente, in attesa di una qualsiasi reazione.
-
Allora puoi esserlo anche tu-
cambiò
finalmente parole.
Quell’affermazione
non gli piacque affatto.
In
quel
momento preferì sentirla di nuovo ripetere quella domanda
che gli era sembrata
così petulante e odiosa.
-
Ti…ti ringrazio, ma…mi
va benissimo restare
come sono!- sorrise nervoso, portandosi una mano dietro la
nuca.
La
donna non
disse nulla, si limitò a portare una mano sotto il cappotto,
estraendone un
lungo coltello dalla lama scintillante.
Ok,
ora
aveva paura.
Oltre
che
pazza era anche pericolosa!
Capì
che gli
restava una sola cosa da fare: scappare.
Si
girò
velocemente, iniziando a correre nella direzione opposta a quella in
cui stava
andando prima.
Pensò
che
sarebbe riuscito a seminarla in fretta, poiché la sua
resistenza era temprata
grazie agli allenamenti di kendo ai quali si sottoponeva da anni.
Una
ragazza
così gracile, per quanto folle, non lo avrebbe mai
eguagliato.
Gli
bastava
raggiungere un posto qualsiasi e nascondersi, attendendo di depistarla
per poi
tornarsene a casa alla velocità della luce.
Voltò
leggermente il capo all’indietro, per controllare dove fosse.
Inorridì,
ritrovandosela a pochi passi di distanza.
Com’era
possibile che fosse così agile e veloce?!
Sembrava
quasi disumana!
Accelerò
la
velocità della corsa, raccogliendo più energie
che poteva.
Inutile.
Non
riusciva
a seminarla.
Il
cuore
sembrava scoppiargli nel petto, fra la corsa sfrenata e la paura che
cresceva,
il fiato si faceva sempre più corto.
Non
avrebbe
resistito ancora per molto.
Doveva
fare
una pausa.
Scorse
a
pochi metri di distanza l’atrio esterno di un complesso di
appartamenti,
davanti al quale passava ogni giorno sulla strada di casa dal lavoro.
Poteva
rifugiarsi lì per pochi secondi, giusto il tempo di
riprendere un minimo di
fiato.
Girò
l’angolo,
appoggiandosi con le spalle al muro e respirando forte, gonfiando a
dismisura
la cassa toracica.
Alle
sue
orecchie, pulsanti per i battiti cardiaci accelerati, giungeva ovattato
il
suono dei tacchi della donna.
Ormai
era
prossima a raggiungerlo.
Aria
o non
aria, doveva riprendere a correre.
Facendo
un
ultimo, profondo respiro, uscì dal suo nascondiglio con un
passo lungo e
veloce.
Troppo
tardi.
Si
sentì
afferrare per le spalle con forza, per poi essere nuovamente spinto
contro il
muro.
L’orribile
volto di quella donna era prossimo al suo, così come la lama
del coltello che
brandiva.
Odiava
la
violenza sulle donne, ma quello era un caso a parte.
Iniziò
a
spingerla per farla indietreggiare, ma lei fu più veloce,
ancora una volta.
Portò
la
mano libera dal coltello sul suo collo, stringendo forte.
La
già
accentuata assenza di aria dovuta alla corsa si tramutò in
un’apnea
insopportabile.
Qualunque
movimento non gli era concesso, perché lo sforzo per
compierlo sarebbe stato
troppo grande.
Sapeva
di
essere spacciato.
Boccheggiò,
nel vano tentativo di prendere aria.
Fu
allora
che la lama del coltello gli lacerò le mascelle, tagliando
la carne delle
guance come burro.
Percepì
un
dolore lancinante, accompagnato dal sapore del sangue che sgorgava
dentro e
fuori da quella che una volta era la sua bocca.
La
presa sul
suo collo si sciolse, e la donna rise sguaiatamente soddisfatta del suo
operato.
Portò
entrambe le mani a coprirsi, cercando di placare il dolore e la
fuoriuscita di
sangue.
Guardò
con
odio la donna, che riposto il coltello dentro il cappotto si
apprestò ad
entrare nel complesso di appartamenti.
Dunque
era
lì che viveva?
Buono
a
sapersi, perché gliela avrebbe pagata cara.
Si
accasciò
sul suolo freddo, sentendo le forze venirgli meno.
L’ultima
cosa che ricordò furono le piccole luci dei campanelli
dall’altra parte del
muro.
…………….
Si
risvegliò
il mattino seguente in ospedale, scoprendo di essere stato accompagnato
lì da
un passante che lo aveva trovato riverso al suolo in mezzo a tanto
sangue.
Quando
la polizia
lo interrogò chiedendogli dell’aggressione,
raccontò di una donna dai lunghi capelli
rossi, con il volto sfigurato esattamente come il suo, che viveva in
uno degli
appartamenti del complesso sotto il quale era stato rinvenuto.
Dopo
svariati controlli, gli agenti dichiararono che in quel palazzo non
abitava
nessuno con quelle caratteristiche.
Ancora
oggi
nessuno è riuscito a trovare la donna con il volto sfigurato.
ANGOLO DELL’AUTORE
E
aggiornata
anche questa! Intendo finirla il prima possibile perché
voglio iniziare una
nuova long (di cui non vi anticipo nulla) ma prima devo terminare una
di quelle
in corso sennò mi intrippo! XD
Allora, vi è
piaciuta anche la storia della Kuchisake-onna? Vi metto le nozioni che
ho
trovato sia su Wikipedia, sia su un altro sito di cui da brava scema
non ho
copiato il nome (ma potete ritrovarlo tranquillamente). Siccome certi
dettagli
cambiavano da un racconto all’altro, ho cercato di fare un
po’ e un po’ non
conoscendo la vera leggenda. Ve le riporto entrambe:
- Coloro che
camminano da
soli la notte rischiano di imbattersi nella Kuchisake-onna, una donna dalla bocca
completamente squarciata da
orecchio a orecchio. Ella ha l’abitudine di nascondersi il
viso con una
mascherina (fatto comune per i giapponesi, che la utilizzano per
proteggere gli
altri da possibili contagi da raffreddore o influenza), chiedendo a
colui che
incontra: «Sono bella?». Se la persona risponde no,
viene uccisa con delle
forbici che Kuchisake porta sempre con sé, se risponde
sì, la donna si toglie
la mascherina mostrando il viso sfigurato e riproponendo la domanda. In
questo
caso non c’è scampo, se si risponde no si viene
uccisi, se si risponde sì si
subisce la sua stessa mutilazione alla bocca. Un modo per sfuggire a
Kuchisake sarebbe quello di rispondere
“sei così così” mettendola in
confusione, o lanciarle della frutta e scappare
mentre lei se ne nutre.
(da Wikipedia)
- Secondo una
leggenda, centinaia di anni fa (alcune versioni dicono nel periodo
Heian)
viveva una giovane donna, moglie o concubina di un samurai, che sembra
fosse
molto bella e molto vanitosa e che si dice tradisse il marito. Il
samurai, che
era estremamente geloso, in un impeto d'ira colpì la donna
con la propria
katana, aprendole la bocca da orecchio a orecchio e gridando:
«Chi dirà che sei
bella adesso?!». Da allora
cominciarono a girare voci su una donna che vagava nelle notti di
nebbia con il
volto coperto da una mascherina (cosa non del tutto insolita in
Giappone, dove
chi è in preda al raffreddore si copre naso e bocca con
queste mascherine per
evitare di contagiare chi gli sta intorno) e che, incontrato un
passante, lo
fermava e gli chiedeva: «Trovi che io sia bella?»
(«Kirei da to omou?»), per
poi ripetere la domanda dopo essersi tolta la mascherina rivelando la
sua bocca
abnorme.
A questo
punto la leggenda prende vie diverse e fantasiose: alcune voci dicevano
che la
kuchisake-onna divorava le sue vittime con la sua enorme bocca, mentre
altre
meno paurose che, spaventato il passante, cominciava a ridere in modo
agghiacciante per poi sparire nel nulla.
In una
versione più articolata, invece, qualora la vittima fuggisse
inorridita
dall'aspetto della kuchisake-onna, veniva inseguita e uccisa con una
lama di pugnale
sulla soglia della propria casa dopo essere stata sfigurata allo stesso
modo in
cui lo era stata lei; l'unico modo per non essere inseguiti era
rispondere in
maniera vaga, confondendo le idee della donna. Se invece si veniva
inseguiti,
sembra che l'unico espediente per salvarsi fosse quello di gettarle
della
frutta, di cui era sempre affamata, e di scappare mentre lei mangiava.
Bene, con
queste informazioni si chiude il capitolo!
Al prossimo
allora!
Baci
Place
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