Japanese Metropolitan Legends: Welcome to the Horror

di Placebogirl_Black Stones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Aka Manto ***
Capitolo 2: *** Chimei-Tekina Jokyaku (Passeggero Fatale) ***
Capitolo 3: *** 3 - Kuchisake-onna ***
Capitolo 4: *** 4 - Teke Teke ***
Capitolo 5: *** 5 - La Bambola di Okiku ***



Capitolo 1
*** 1- Aka Manto ***


AKA MANTO

 

Non ce la faceva più.

Era impossibile andare oltre.

Se non avesse trovato al più presto il bagno se la sarebbe fatta sotto senza troppi complimenti.

Correva per il corridoio urtando gli altri studenti, senza nemmeno chiedere scusa.

Non aveva tempo per farlo.

La speranza si ravvivò nei suo occhi color caramello, quando vide l’insegna della toilette comparire alla sua destra.

Con le ultime forze che le restavano, quelle che non aveva impiegato per trattenere la pipì, si diresse verso di essa, pregando perché tutte le cabine non fossero occupate.

La fortuna volle che di sette cabine una sola fosse rimasta libera.

L’ultima.

Sospirò, appoggiata allo stipite della porta per riprendere fiato, dirigendosi poi verso quella che sarebbe stata la sua salvezza.

Chiuse la porta della cabina, si abbassò le mutandine e si sedette sulla tavola del water, lasciando finalmente che i suoi liquidi corporei in eccesso uscissero liberi facendola rinascere di gioia.

Si passò una mano sulla fronte, per scostare la rossa frangia resa appiccicaticcia dal sudore della corsa.

Mentre se ne stava lì beatamente seduta, un’ombra accompagnata da un fruscio presero vita fuori dalla sua cabina.

Poté distintamente vedere l’ombra passare sotto la fessura della porta.

Forse un’altra ragazza che era appena uscita dal bagno.

Per nulla turbata, si girò per prendere la carta dall’apposito contenitore.

Fu allora che una voce proveniente dal nulla la fece trasalire.

 

- Carta rossa o carta blu?-

 

Era una voce profonda, baritonale, prettamente maschile.

Ma da dove poteva provenire?

Che ci fosse qualche maschietto nascosto nel bagno per fare uno scherzo?

Alzò gli occhi, per controllare se la persona che aveva parlato non si stesse sporgendo dal bagno opposto.

Gli avrebbe rotto il naso se avesse scoperto di essere stata spiata!

Ma dalla parete separatoria non sporgeva nessuno.

Si ricordò solo allora dell’ombra che aveva visto passare qualche minuto prima fuori dalla porta.

 

- Chi è là?! So che sei lì fuori, perciò smettila di importunarmi!- alzò la voce, piuttosto seccata.

- Carta rossa o carta blu? Cosa scegli?- ripeté la voce, per niente intimorita.

- Adesso smettila! Non è divertente!-

 

Gli stava dando parecchio su nervi tutta quella situazione.

Non che fosse spaventata, non c’era niente di pauroso in qualcuno che ti chiedeva se volevi la carta rossa o blu (e ancora non aveva capito di che diavolo di carta stesse parlando), ma non le andava giù di essere importunata mentre si trovava in una situazione così intima.

 

- Ho detto di smetterla!!! Non posso alzarmi da qui se continui a spiarmi!!!- alzò la voce, sull’orlo dell’esasperazione.

- Carta rossa o carta blu?-

 

Inutile.

Chiunque fosse non aveva intenzione di cedere.

L’unico modo per uscire dal bagno era stare al suo gioco.

 

- E va bene, brutto rompiscatole! Carta rossa!- si arrese.

 

Non aveva idea di cosa volesse fare quella voce misteriosa, ma se doveva scegliere fra i due colori proposti di sicuro quello che le apparteneva di più era il rosso.

Chiuse gli occhi, sospirando, nell’attesa che l’uomo misterioso facesse la sua prossima mossa.

Con sua grande sorpresa, quando li riaprì si trovò davanti una figura alta, dai tratti virili, che indossava una lunga cappa rosso scarlatto e aveva il volto nascosto dietro una maschera bianca che gli copriva naso e occhi.

La bocca, lasciata libera, era contratta in un ghigno inquietante ma al tempo stesso terribilmente seducente.

Poteva intravedere dai buchi della maschera i suoi occhi neri che la fissavano.

Era sicura che dietro quel velo di plastica bianco si nascondesse un uomo dall’aspetto magnifico.

Sobbalzò, colta alla sprovvista da quell’apparizione.

Spalancò la bocca nel tentativo di urlare, ma la mano dell’uomo fu più lesta.

Gliela tappò, tenendoci  premuto il suo palmo ruvido sopra.

Adesso era davvero terrorizzata.

Credeva fosse tutto uno scherzo architettato da qualche compagno di istituto, ma questo andava al di là una semplice beffa.

Chiunque fosse stava esagerando.

Mugolò, tentando inutilmente di liberarsi.

Quel tizio era dotato di una forza pazzesca.

Accadde tutto in pochi istanti.

Lo vide estrarre un coltello da sotto la cappa, avvicinandolo alla sua gola.

Poi più nulla.

 

-------

 

La trovarono qualche ora dopo accasciata al suolo nella cabina del bagno, con ancora le mutandine calate.

Un’enorme chiazza di sangue aveva intriso la maglia della sua divisa scolastica, mentre una grossa ferita spiccava sul suo petto, squarciandolo.

Giaceva a terra in mezzo ad una pozza di sangue, con ancora gli occhi sbarrati e la bocca spalancata.

La mano destra reggeva ancora un coltello sporco.

Tutto faceva presagire un suicidio intenzionale, e le indagini che seguirono lo confermarono: non vi erano altre tracce sul coltello, se non quelle della ragazza.

Una visione macabra, che lasciò tutti sconvolti e perplessi.

Nami era sempre stata una ragazza popolare, conosciuta da tutti come un tipino frizzante e solare che non si lasciava abbattere da nulla.

Ma forse, come tutte le adolescenti della sua età, quella era solo una maschera per nascondere un disagio interiore che andava oltre ogni sguardo.

Le apparenze ingannano.

Non sempre ciò che è bello è anche buono…

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Eccomi con la mia prima raccolta! Questa non sarà la classica raccolta di fic amorose zonami, a dire il vero Zoro e Nami non saranno nemmeno una coppia. La raccolta parlerà di leggende metropolitane giapponesi, piuttosto macabre, che ho deciso di far interpretare a loro! Leggete solo se non siete suscettibili!

Vi metto alcune note sulla leggenda in questione, prese da Wikipedia:

Aka Manto è uno spirito che infesta i bagni, di solito risiede nell'ultima cabina delle toilette femminili. Solitamente vestito di un mantello, di una cappa o di una veste rossa, alcune versioni lo descrivono inoltre con indosso una maschera per coprire il viso, troppo bello per essere mostrato. Quando le malcapitate vittime sono chiuse nella propria cabina, una voce misteriosa chiede loro se vogliono “carta rossa” o “carta blu” (in altre versioni al posto della carta c’è la veste o il mantello). Se si opta per la carta rossa, si viene uccisi violentemente e i propri vestiti vengono intrisi di sangue. Se si opta per il blu, si va incontro a una morte per strangolamento o dissanguamento, lasciando il viso o la pelle di un colore bluastro. Se si sceglie un altro qualsiasi colore si viene trascinati via da delle mani che appaiono dal pavimento.”

Alla prossima fic!

Baci

Place

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Capitolo 2
*** Chimei-Tekina Jokyaku (Passeggero Fatale) ***


CHIMEI - TEKINA JOKYAKU

(PASSEGGERO FATALE)

 


Con la coda dell’occhio guardò l’orario riportato sull’orologio digitale del cruscotto del taxi: mezzanotte e tre quarti.

A quell’ora gli unici passeggeri che poteva incontrare erano ragazzi ubriachi incapaci di tornare a casa con mezzi propri (causa la sbronza presa in qualche locale), e uomini d’affari in compagnia di qualche escort.

Storse le labbra a quel pensiero: non sapeva se preferire il vomito di un ubriaco su tappetini  e sedili o lo schioccare di lingue del riccone e della prostituta che amoreggiavano alle sue spalle.

Era un lavoro del cavolo, ma gli serviva per sopravvivere.

A volte poteva essere piacevole, se aveva la fortuna di incontrare un personaggio simpatico o interessante, ma il più delle volte era un vero schifo.

Meno male che presto non avrebbe più dovuto appoggiare il suo sedere su quel vecchio sedile.

Già, perché la competizione che aveva vinto il mese scorso gli aveva concesso l’opportunità di diventare maestro di kendo in una delle più prestigiose scuole di tutto il Giappone.

Un sogno che diventava realtà.

Amava il kendo da quando era un bambino, e i soldi che era riuscito a racimolare con quel lavoro di tassista gli avevano permesso di pagarsi corsi e allenamenti costanti.

Sospirò, immettendosi in una stradina che percorreva spesso nei suoi viaggi notturni, dal momento che poco lontano si trovava un night club, il che voleva dire clienti sicuri.

Non era il massimo all’apparenza.

Più stretta delle altre, buia per la mancanza di un’adeguata illuminazione, spoglia e senza attrattive di nessun genere.

Più che una strada che portava a un night club sembrava uno di quei vicoli tipici dei film dell’orrore.

Ma lui non era il tipo che si lasciava impressionare per così poco, sapeva mantenere il sangue freddo in ogni situazione.

Immerso nei suoi pensieri, non si era accorto che i fari del taxi avevano illuminato una figura sul marciapiede a lato della strada.

Una donna, per la precisione.

Capelli rossi, carnagione lattea e un’espressione seria sul volto.

Avvolta in un lungo cappotto nero, camminava tenendo le mani nelle tasche.

Non aveva di certo l’aspetto di una delle donne che si esibivano al night club, quelle i cappotti non sapevano nemmeno cosa fossero: per questo si stupì di vederla in quella strada deserta, frequentata solo da donne di quel genere.

Quando fu a pochi metri da lei, la vide estrarre dalla tasca una mano, facendogli segno di fermarsi.

Sarebbe stata lei la prima cliente della sua lunga nottata.

Accostò, fermando il taxi e attendendo che la donna salisse.

Sentì la porta posteriore aprirsi, per poi richiudersi subito dopo.

Aggiustò lo specchietto retrovisore, per osservare meglio la donna.

Solo allora si accorse che doveva avere all’incirca la sua età, perciò era parecchio giovane.

E soprattutto, era bellissima.

Il genere di incontri che vorresti fare sempre in un mestiere così!

Peccato per la sua espressione che restava impassibile e seria come quelle che si vedono ai funerali.

 

- Dove desidera andare?- le chiese, come imposto dal suo lavoro.

- Via Sonzai Sezu per favore- rispose la ragazza, che aveva un timbro squillante ma fermo al tempo stesso.

- Sonzai Sezu?- ripeté lui, per accertarsi di aver ben compreso.

 

Va bene che non era un genio in fatto di orientamento, e che più di una volta si era visto costretto a chiedere agli stessi passeggeri che trasportava indicazioni sul luogo di destinazione, ma quello davvero non lo aveva mai sentito.

L’azienda di trasporti gli aveva persino fatto dono di un navigatore di ultima generazione, per evitare le lamentele dei clienti sull’incompetenza degli autisti.

Anche quella volta, si sarebbe fatto aiutare da quel benevolo computer.

 

- - confermò la ragazza.

 

Un tipo di poche parole.

Sentiva già che si sarebbe annoiato.

 

- D’accordo, andiamo subito- impostò il navigatore su quella località.

 

Ci provò, per lo meno.

Ma quel dannato aggeggio sembrava non voler funzionare.

Digitò la località per ben sette volte, e per sette volte la scritta sullo schermo fu sempre la stessa: “LOCALITÀ NON TROVATA”.

Ci mancava solo questa!

E adesso?!

 

- Allora? Parte o no?- lo incitò la rossa.

- Mi scusi…è che questo affare non vuol saperne di funzionare stasera!- se lo rigirò fra le mani per capire il problema.

- Non importa, le do io le indicazioni se non sa la strada- si offrì.

- Dice sul serio? Non le dispiace?- si stupì.

- No, basta che metta in moto questo taxi…-

 

Carina era carina, ma quel modo di fare un po’ arrogante non gli piaceva per niente.

Se il navigatore non funzionava e lei voleva andare nell’unico luogo del Giappone che nessun giapponese oltre a lei conosceva, non era colpa sua!

Un po’ seccato per quelle parole, diede gas al taxi, uscendo dalla stradina.

 

- Adesso vada sempre dritto fino al secondo incrocio, poi svolti a destra e poi ancora alla prima a sinistra- spiegò la giovane.

 

Ascoltò attentamente le indicazioni, sperando di non commettere sbagli.

Certo che poteva anche segnalargli le svolte una ad una, in modo da creargli meno confusione in testa!

Sperava in un incontro piacevole con una bella ragazza e si era ritrovato a farsi guidare come un idiota da una snob.

Quanto desiderava iniziare quel lavoro alla palestra di kendo…

 

- Ora vada dritto fino al semaforo e poi svolti a destra, poi ancora a destra e poi la terza a sinistra-

 

Eseguì tutte le indicazioni attentamente, nonostante diventassero sempre più difficili e necessitasse di farsele ripetere un paio di volte prima di comprenderle a pieno.

Iniziava a stufarsi.

Ma dove diavolo stava andando quella tizia?!

Abitava forse in Cina?!

Proseguì così, per mezz’ora circa.

Dopo 40 minuti di viaggio, l’esasperazione si tramutò in preoccupazione.

Si erano allontanati di parecchio dal centro di Tokyo, anzi, ne erano completamente fuori.

Mai in tutto il tempo che aveva lavorato come tassista gli era capitato di fare un viaggio del genere.

Se doveva andare così lontano perché non aveva preso il treno o un bus?

 

- Svolti a sinistra alla prossima-

 

Di nuovo.

La pazienza stava per esaurirsi, così come la preoccupazione cresceva.

Si guardava intorno stralunato, notando che il paesaggio fatto di strade trafficate e grattacieli illuminati aveva lasciato spazio alla desolata campagna giapponese.

Se voleva andare a giocare alla contadina poteva evitare di salire sul suo taxi!

Ormai non sapeva nemmeno più dove si trovava, aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio.

Stanco per quella “gita” estenuante, si voltò indietro per chiedere alla donna il punto preciso in cui si trovavano.

Sgranò gli occhi quando si accorse che il sedile posteriore era completamente vuoto.

Della misteriosa ragazza dai capelli rossi non vi era nemmeno l’ombra.

Di certo non poteva essersi nascosta sotto i sedili, e se si fosse buttata fuori dalla vettura si sarebbe accorto della portiera che si apriva.

Non gli era capitato di avere paura molte volte nella vita, quasi sempre era lui a far paura agli altri, ma quella era un’altra storia.

Impossibile non essere spaventati da una simile situazione.

A volte, però, le paure più grandi sono quelle che arrivano alle spalle, quando meno te lo aspetti.

Così come le tragedie che portano con sé.

Si girò verso la strada, per controllare l’andatura del veicolo.

Troppo tardi.

L’ultima cosa che vide fu il gard rail che si avvicinava sempre più al vetro del taxi.

Anche una manovra di emergenza sarebbe stata inutile.

E mentre il taxi cadeva in quel profondo dirupo con lui intrappolato dentro, non poté fare a meno di immaginarsi per un attimo nella palestra di kendo dei suoi sogni, con la divisa da maestro, mentre insegnava agli aspiranti schermitori i segreti delle spade.

 

 

………..

 

 

- Peccato, sarebbe stato un ottimo insegnate…Era il miglior allievo della scuola…- commentò Toshiro, l’uomo che per anni era stato suo maestro.

 

La perdita di quel ragazzo che considerava un figlio lo aveva scioccato.

 

-Lo avevo notato quando ero venuto ad assistere ad un incontro in incognito. Sarebbe stato un onore averlo nel nostro team- replicò il proprietario della prestigiosa palestra nella quale doveva andare a insegnare se avesse vinto il concorso.

 

Erano rimasti solo loro sulla lapide a dare l’ultimo saluto a quel ragazzo dai capelli verdi che in molti conoscevano.

Fu allora che sopraggiunse una terza persona.

Si avvicinò a loro silenziosamente, fermandosi accanto al maestro del ragazzo e fissando la lapide.

Una ragazza che doveva avere più o meno la sua età, con i capelli rossi  e la pelle lattea, avvolta in un lungo cappotto nero.

 

- Anche lei conosceva Zoro?- chiese Toshiro.

- Solo di vista- rispose semplicemente, senza aggiungere particolari.

- Era una delle sue clienti? Con il lavoro di tassista che faceva conosceva molte persone, anche se solo di vista…- precisò.

- No. Non sono solita prendere taxi- replicò secca la fanciulla, girando i tacchi e uscendo dal cimitero.

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Ed ecco a voi la seconda leggenda metropolitana giapponese! State ancora tremando? Allora è il momento di leggere le note riguardanti la storia!

 

Da Wikipedia:

“La leggenda racconta di un autista solitario che percorre col suo taxi una strada buia durante la notte. All'improvviso appare una persona che chiede di salire. La persona si siede sempre e solamente nei sedili posteriori dell’autovettura e chiede di essere portato in un luogo di cui il tassista non ha mai sentito parlare. Quando chiede informazioni al passeggero, quest’ultimo gli fornirà indicazioni sempre più complesse fino a portarlo in vicoli e strade sconosciuti di campagna. Dopo aver percorso questa distanza il conducente incomincia a sentirsi a disagio. Si gira verso il sedile posteriore per chiedere al passeggero il luogo esatto in cui si trovano, ma a quel punto si accorge che egli è svanito nel nulla. Il tassista si rigira verso il volante giusto in tempo per rendersi conto che la sua vettura sta precipitando dal bordo di un precipizio”.

 

Insomma, direi che non necessita di ulteriori spiegazioni!
Aggiungo anche una piccola nota: la strada indicata da Nami non esiste, l'ho inventata io. Le parole "Sonzai Sezu" significano infatti "senza esistenza". Volevo dal nome della via far già capire le intenzioni di Nami, ovvero condurlo in un luogo che non esiste. Ma può essere interpretato anche come la morte di Zoro, ovvero "l'assenza di vita".
Spero che anche questa storia vi sia piaciuta e ringrazio tutti quelli che hanno recensito la volta scorsa (siete stati sorprendentemente in tanti per essere solo l’inizio!), ma anche i lettori silenziosi!
Alla prossima storia dell’orrore!
Baci
Place

 



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 «Place's 707 Room»

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Capitolo 3
*** 3 - Kuchisake-onna ***


KUCHISAKE-ONNA

 

Camminava tranquillamente per il marciapiede ormai deserto, fatta eccezione per qualche coppietta diretta al cinema o a cena e chi, come lui, usciva tardi dal lavoro.

Non gli dispiaceva essere sprovvisto di un mezzo di locomozione, al contrario la trovava un’occasione per godersi delle rilassanti passeggiate all’aperto, anche nelle sere fredde come quella.

Passando davanti a un ristorante di basso livello, di quelli accessibili a tutte le tasche con i tavoli bassi all’orientale e il rullo con le pietanze che scorrevano a buffet, si soffermò con lo sguardo proprio su quest’ultimo.

Adorava il sushi in tutte le sue forme, per non parlare delle polpettine di riso!

Ma come solito non aveva nemmeno un centesimo, causa la bassa paga che recepiva.

Di andare a mangiare fuori proprio non se ne parlava.

Così proseguì la strada verso il suo appartamento, lasciando su quel cibo un pezzo del suo cuore.

Si accorse solo allora di una figura che veniva verso di lui.

Snella, dal portamento elegante, con un lungo cappotto che celava forme all’apparenza pronunciate, lunghi e fluenti capelli rossi ad incorniciare un viso ancora troppo distante per essere definito.

Man mano che si avvicinava, però, sembrava essere sempre più bella, in particolar modo il colore latteo della sua pelle e i suo grandi occhi da gatta.

Una bella ragazza insomma.

Peccato per quell’unico particolare stonante, che impediva alla sua bellezza di mostrarsi in tutta la sua interezza: una mascherina bianca a coprirle il volto.

Forse era cagionevole di salute, o forse la portava come si soleva fare nell’usanza comune per la protezione da germi e smog.

Impossibilitato ad osservare ciò che stava sotto, si limitava ad ammirarne gli occhi.

Anche lei lo guardava con una certa insistenza, tanto da metterlo in imbarazzo.

Discostò lo sguardo, fingendo indifferenza, ma la sensazione di avere gli occhi puntati addosso non scomparve.

E infatti, quando si girò nuovamente per controllare, la trovò ancora intenta a fissarlo.

Ora, più che in imbarazzo si sentiva letteralmente a disagio.

Cos’è, si era innamorata di lui a prima vista?!

Si schiarì la gola, non perché ne avesse realmente bisogno quanto per lanciarle un velato messaggio: “ti sei accorta che mi stai fissando da più di due minuti? Pensi di finirla?”.

Niente.

Ormai erano a pochi passi l’uno dall’altra, e ancora non aveva smesso di guardarlo.

Non voleva essere scortese, ma la cosa era snervante.

Come se tutto ciò non bastasse, quando giunse davanti a lui si fermò di colpo, bloccandogli il passaggio.

Ma che diamine voleva?!

La guardò storcendo il naso, assumendo la tipica espressione di chi ha le scatole piene.

 

- Si può sapere perché mi fissi?!- non riuscì a trattenersi.

 

In tutta risposta, la ragazza continuò a guardarlo, sempre con la stessa apatica espressione sul volto.

Se così si poteva definire, dato che per metà era oscurato dalla mascherina.

 

- Trovi che io sia bella?- se ne uscì.

 

Il suono delle sue parole risultò ostruito dalla mascherina.

Ciò che si stava ostruendo, però, era il suo cervello.

Che razza di domanda era?!

Lo aveva fissato per secoli, arrivando addirittura a fermarlo nel bel mezzo di un marciapiede, per chiedergli se era bella?!

Doveva avere dei seri problemi mentali, su questo non vi erano dubbi.

 

- Ma che domande fai?! Non so nemmeno chi tu sia!- replicò.

- Sono bella, allora?- ripeté, come se non gliene importasse nulla.

- Hai capito che ho detto?!- si scaldò.

- Trovi che sia bella?- continuò a recitare quella frase come un robot programmato.

 

Le opzioni erano due: piantarla lì e andarsene, oppure dare una risposta qualsiasi per farla contenta.

Voleva solo liberarsi di quella scocciatrice e andarsene a casa.

 

- Senti, io me ne vado- tentò di sorpassarla.

 

Di nuovo la ragazza gli si parò davanti, bloccandogli il passaggio.

 

- Secondo te sono bella?-

 

Aveva una strana luce negli occhi, come se la risposta a quella domanda rappresentasse per lei una questione di vita o di morte.

Era inquietato da quella ragazza, nel vero senso della parola.

Se non poteva andarsene, forse la cosa migliore era assecondarla.

Di certo a una domanda del genere, qualsiasi donna avrebbe voluto ricevere come risposta un sì.

Da quello che aveva visto, la strana tizia non era male nel complesso, ma mancava metà volto per poter dare un giudizio complessivo.

 

- Come faccio a saperlo? Hai la faccia nascosta dalla mascherina. Se non la togli non posso vederti-

- Pensi che io sia bella?-

 

Che stupido!

Come poteva pensare che a una qualsiasi richiesta potesse rispondere con qualcosa di sensato che non fosse “credi che sia bella?”!

Era pazza, ma pazza sul serio.

E i pazzi vanno sempre assecondati.

 

- Sì, sei bella. Contenta ora? Posso andare a casa?- pigiò il tono sull’ultima domanda, ormai al limite della sopportazione.

 

Quello che ottenne, però, fu tutt’altro.

La vide portarsi una mano dietro l’orecchio, sfilando il laccio che teneva ancorata la mascherina.

La scostò lentamente, fino a toglierla del tutto.

Ringraziò gli dei di avere uno stomaco forte e un livello di resistenza alla paura piuttosto alto, perché quella visione avrebbe fatto riversare le interiora a chiunque.

Era disgustoso, ai limiti dell’orrido.

Mai nella sua vita avrebbe creduto di assistere a uno spettacolo simile.

Se di spettacolo si poteva parlare, ovvio.

La ragazza non aveva la bocca.

O meglio, l’aveva, forse fin troppo.

Uno squarcio netto, che l’attraversava da orecchio a orecchio, sfigurava un volto che sarebbe stato altrimenti perfetto.

Gengive e denti erano tutti in bella mostra, rendendola simile a una maschera di Halloween.

Ma quella non era una maschera.

Sgranò gli occhi fino a sentirli dolere per lo sforzo, indietreggiando di qualche passo.

Non aveva nemmeno la forza per mettersi a correre.

La ragazza fece un passo avanti, senza staccargli gli occhi di dosso.

 

- Allora? Sono bella?- ripropose la domanda.

 

Adesso era sicuro di quale sarebbe stata la risposta, ma aveva paura a dirlo.

Non voleva sembrare offensivo, perché forse quella ragazza era diventata pazza a causa di quella malformazione, che doveva pesarle non poco.

Dall’altra parte, temeva che dicendo sì se sa la sarebbe comunque presa, pensando che la stesse deliberatamente prendendo in giro.

L’orrore saliva, così come la tensione.

 

- S-sì…s-sei c-carina…- riuscì a malapena a mentire.

 

Deglutì sonoramente, in attesa di una qualsiasi reazione.

 

- Allora puoi esserlo anche tu- cambiò finalmente parole.

 

Quell’affermazione non gli piacque affatto.

In quel momento preferì sentirla di nuovo ripetere quella domanda che gli era sembrata così petulante e odiosa.

 

- Ti…ti ringrazio, ma…mi va benissimo restare come sono!- sorrise nervoso, portandosi una mano dietro la nuca.

 

La donna non disse nulla, si limitò a portare una mano sotto il cappotto, estraendone un lungo coltello dalla lama scintillante.

Ok, ora aveva paura.

Oltre che pazza era anche pericolosa!

Capì che gli restava una sola cosa da fare: scappare.

Si girò velocemente, iniziando a correre nella direzione opposta a quella in cui stava andando prima.

Pensò che sarebbe riuscito a seminarla in fretta, poiché la sua resistenza era temprata grazie agli allenamenti di kendo ai quali si sottoponeva da anni.

Una ragazza così gracile, per quanto folle, non lo avrebbe mai eguagliato.

Gli bastava raggiungere un posto qualsiasi e nascondersi, attendendo di depistarla per poi tornarsene a casa alla velocità della luce.

Voltò leggermente il capo all’indietro, per controllare dove fosse.

Inorridì, ritrovandosela a pochi passi di distanza.

Com’era possibile che fosse così agile e veloce?!

Sembrava quasi disumana!

Accelerò la velocità della corsa, raccogliendo più energie che poteva.

Inutile.

Non riusciva a seminarla.

Il cuore sembrava scoppiargli nel petto, fra la corsa sfrenata e la paura che cresceva, il fiato si faceva sempre più corto.

Non avrebbe resistito ancora per molto.

Doveva fare una pausa.

Scorse a pochi metri di distanza l’atrio esterno di un complesso di appartamenti, davanti al quale passava ogni giorno sulla strada di casa dal lavoro.

Poteva rifugiarsi lì per pochi secondi, giusto il tempo di riprendere un minimo di fiato.

Girò l’angolo, appoggiandosi con le spalle al muro e respirando forte, gonfiando a dismisura la cassa toracica.

Alle sue orecchie, pulsanti per i battiti cardiaci accelerati, giungeva ovattato il suono dei tacchi della donna.

Ormai era prossima a raggiungerlo.

Aria o non aria, doveva riprendere a correre.

Facendo un ultimo, profondo respiro, uscì dal suo nascondiglio con un passo lungo e veloce.

Troppo tardi.

Si sentì afferrare per le spalle con forza, per poi essere nuovamente spinto contro il muro.

L’orribile volto di quella donna era prossimo al suo, così come la lama del coltello che brandiva.

Odiava la violenza sulle donne, ma quello era un caso a parte.

Iniziò a spingerla per farla indietreggiare, ma lei fu più veloce, ancora una volta.

Portò la mano libera dal coltello sul suo collo, stringendo forte.

La già accentuata assenza di aria dovuta alla corsa si tramutò in un’apnea insopportabile.

Qualunque movimento non gli era concesso, perché lo sforzo per compierlo sarebbe stato troppo grande.

Sapeva di essere spacciato.

Boccheggiò, nel vano tentativo di prendere aria.

Fu allora che la lama del coltello gli lacerò le mascelle, tagliando la carne delle guance come burro.

Percepì un dolore lancinante, accompagnato dal sapore del sangue che sgorgava dentro e fuori da quella che una volta era la sua bocca.

La presa sul suo collo si sciolse, e la donna rise sguaiatamente soddisfatta del suo operato.

Portò entrambe le mani a coprirsi, cercando di placare il dolore e la fuoriuscita di sangue.

Guardò con odio la donna, che riposto il coltello dentro il cappotto si apprestò ad entrare nel complesso di appartamenti.

Dunque era lì che viveva?

Buono a sapersi, perché gliela avrebbe pagata cara.

Si accasciò sul suolo freddo, sentendo le forze venirgli meno.

L’ultima cosa che ricordò furono le piccole luci dei campanelli dall’altra parte del muro.

 

…………….

 

Si risvegliò il mattino seguente in ospedale, scoprendo di essere stato accompagnato lì da un passante che lo aveva trovato riverso al suolo in mezzo a tanto sangue.

Quando la polizia lo interrogò chiedendogli dell’aggressione, raccontò di una donna dai lunghi capelli rossi, con il volto sfigurato esattamente come il suo, che viveva in uno degli appartamenti del complesso sotto il quale era stato rinvenuto.

Dopo svariati controlli, gli agenti dichiararono che in quel palazzo non abitava nessuno con quelle caratteristiche.

Ancora oggi nessuno è riuscito a trovare la donna con il volto sfigurato.

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

E aggiornata anche questa! Intendo finirla il prima possibile perché voglio iniziare una nuova long (di cui non vi anticipo nulla) ma prima devo terminare una di quelle in corso sennò mi intrippo! XD
Allora, vi è piaciuta anche la storia della Kuchisake-onna? Vi metto le nozioni che ho trovato sia su Wikipedia, sia su un altro sito di cui da brava scema non ho copiato il nome (ma potete ritrovarlo tranquillamente). Siccome certi dettagli cambiavano da un racconto all’altro, ho cercato di fare un po’ e un po’ non conoscendo la vera leggenda. Ve le riporto entrambe:

 
- Coloro che camminano da soli la notte rischiano di imbattersi nella  Kuchisake-onna, una donna dalla bocca completamente squarciata da orecchio a orecchio. Ella ha l’abitudine di nascondersi il viso con una mascherina (fatto comune per i giapponesi, che la utilizzano per proteggere gli altri da possibili contagi da raffreddore o influenza), chiedendo a colui che incontra: «Sono bella?». Se la persona risponde no, viene uccisa con delle forbici che Kuchisake porta sempre con sé, se risponde sì, la donna si toglie la mascherina mostrando il viso sfigurato e riproponendo la domanda. In questo caso non c’è scampo, se si risponde no si viene uccisi, se si risponde sì si subisce la sua stessa mutilazione alla bocca. Un modo per sfuggire a Kuchisake sarebbe quello di rispondere “sei così così” mettendola in confusione, o lanciarle della frutta e scappare mentre lei se ne nutre.

                                                                                                                                                                (da Wikipedia)

 
- Secondo una leggenda, centinaia di anni fa (alcune versioni dicono nel periodo Heian) viveva una giovane donna, moglie o concubina di un samurai, che sembra fosse molto bella e molto vanitosa e che si dice tradisse il marito. Il samurai, che era estremamente geloso, in un impeto d'ira colpì la donna con la propria katana, aprendole la bocca da orecchio a orecchio e gridando: «Chi dirà che sei bella adesso?!». Da allora cominciarono a girare voci su una donna che vagava nelle notti di nebbia con il volto coperto da una mascherina (cosa non del tutto insolita in Giappone, dove chi è in preda al raffreddore si copre naso e bocca con queste mascherine per evitare di contagiare chi gli sta intorno) e che, incontrato un passante, lo fermava e gli chiedeva: «Trovi che io sia bella?» («Kirei da to omou?»), per poi ripetere la domanda dopo essersi tolta la mascherina rivelando la sua bocca abnorme.
A questo punto la leggenda prende vie diverse e fantasiose: alcune voci dicevano che la kuchisake-onna divorava le sue vittime con la sua enorme bocca, mentre altre meno paurose che, spaventato il passante, cominciava a ridere in modo agghiacciante per poi sparire nel nulla.
In una versione più articolata, invece, qualora la vittima fuggisse inorridita dall'aspetto della kuchisake-onna, veniva inseguita e uccisa con una lama di pugnale sulla soglia della propria casa dopo essere stata sfigurata allo stesso modo in cui lo era stata lei; l'unico modo per non essere inseguiti era rispondere in maniera vaga, confondendo le idee della donna. Se invece si veniva inseguiti, sembra che l'unico espediente per salvarsi fosse quello di gettarle della frutta, di cui era sempre affamata, e di scappare mentre lei mangiava.

Bene, con queste informazioni si chiude il capitolo!
Al prossimo allora!
Baci
Place

 

 

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Capitolo 4
*** 4 - Teke Teke ***


TEKE-TEKE

La campanella aveva finalmente suonato le tanto agogniate tre del pomeriggio.

Quella soffocante permanenza a scuola poteva dirsi definitivamente conclusa.

Odiava starsene ore chiuso in quell’aula ad ascoltare le ciarlatanerie di professori troppo sicuri di sé, specialmente se fuori la primavera iniziava a mostrarsi nel pieno del suo splendore.

Amava starsene all’aria aperta, nei grandi parchi ornati dai ciliegi in fiore, praticando esercizi di kendo con la katana bianca che aveva avuto in dono dal nonno.

Buttò senza cura i libri nella valigetta, fuggendo dall’aula.

In nemmeno cinque minuti si trovava già nel cortile dell’istituto, dopo essersi fatto 4 piani a piedi.

Ghignò soddisfatto, portandosi la valigetta su una spalla e incamminandosi verso il cancello aperto che dava sulla strada.

Casa sua non era distante, gli sarebbe bastato poco per raggiungerla, cambiarsi, prendere la katana e andare al parco che frequentava fin da bambino.

Pregustava già l’odore dei fiori di ciliegio, che erano stati disposti in due file parallele e lineari anche lungo il viale della scuola.

Si perse ad osservarli, mentre gli studenti gli passavano accanto uno dopo l’altro.

In pochi minuti la scuola rimase deserta.

Fu allora che un rumore distinto, riecheggiante in tutto quel silenzio, arrivò alle sue orecchie.

Proveniva chiaramente dalle sue spalle.

Pensò che si trattasse di qualcuno che stava aprendo il lucchetto della propria bicicletta, desideroso come lui di andarsene da quell’inferno giornaliero.

Il rumore, però, persisteva, diventando sempre più insistente.

Era come un fastidioso ticchettio, simile allo zampettare di un cane su un pavimento lucido.

Si girò, più per fastidio che per curiosità, guardandosi intorno alla ricerca dell’ideatore di quel suono.

L’unica cosa che vide fu una ragazza affacciata ad una delle finestre del terzo piano, con le braccia appoggiate sul davanzale, che osservava il mondo al di fuori.

Il fastidio scemò davanti alla sua naturale bellezza.

Pelle diafana, corpo formoso (troppo per quell’uniforme striminzita), capelli rossi e fluenti.

Non l’aveva mai notata prima, ma la cosa non lo stupì più di tanto: non era uno che passava le sue giornate a guardare le sottane di ogni ragazza che si trovava davanti.

Non che non fosse attratto dal genere femminile, e nemmeno che non piacesse a quest’ultimo, solo preferiva pensare ad altre cose.

Doveva però ammettere che quella ragazza era davvero stupenda, difficilmente sarebbe passata inosservata anche in un corridoio pieno di gente.

Ma cosa ci faceva ancora in classe?

La campanella era suonata da un pezzo, e la scuola avrebbe chiuso fra un’ora.

Che si fosse dimenticata qualcosa e fosse tornata a prenderlo?

In quel caso, non le serviva restare affacciata alla finestra a godersi il panorama di un istituto superiore vuoto.

Mentre si faceva tutte queste domande, la ragazza spostò lo sguardo su di lui.

Rimasero a guardarsi per un po’, senza dire nulla.

Lui non era un tipo cordiale ed espansivo, lei sembrava piuttosto solitaria e taciturna.

Poi, la ragazza gli rivolse un sorriso dolce, stringendosi le braccia intorno al corpo.

Senza nemmeno il tempo di batter ciglio, la vide precipitare dalla finestra a gran velocità, come un asteroide che colpisce terra.

Fu allora che si accorse di un particolare che lo fece raggelare.

La ragazza era totalmente priva della parte inferiore del corpo.

Come poteva una simile persona frequentare il suo stesso liceo, e per di più affacciarsi a una finestra come se nulla fosse?!

Gli sembrava di essere improvvisamente vittima di un orrendo incubo al quale gli era impossibile sottrarsi.

Avrebbe voluto andarsene via, ma le sue gambe si erano come bloccate, i piedi incollati al suolo.

Per di più, quella ragazza poteva essere morta, e andarsene fingendo indifferenza era un gesto meschino.

La giovane, però, era tutt’altro che deceduta, e ne ebbe presto la prova.

Si risollevò da terra, facendo forza sui gomiti, iniziando ad avvicinarsi sempre di più a lui correndo su questi ultimi.

Era una scena raccapricciante.

Eppure lui restava lì, immobile.

Di nuovo il suono di poco prima arrivò alle sue orecchie.

Teke teke teke teke

Gli fu chiaro da dove provenisse: era il suono che facevano i gomiti della ragazza appoggiando a terra.

In pochi secondi lo raggiunse, balzando sopra di lui.

Si ritrovò a terra con sopra di lui la ragazza, o almeno quello che ne restava.

La vide estrarre dal nulla più assoluto una falce, di quelle che si vedono solo nei film dell’orrore, con la quale sferrò un colpo preciso.

Un dolore lancinante, un grido che nessuno sentì.

Le sue gambe non c’erano più.

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Lo so, questa è breve ma anche la storia in sé non è complessissima, quindi era piuttosto difficile darle una caratterizzazione profonda. Spero vi sia piaciuta comunque!
Metto come solito delucidazioni sulla leggenda:

 
Teke-teke è una leggenda metropolitana giapponese, riguardante una ragazza che saltò o cadde sopra i binari e fu tagliata a metà dal treno in arrivo. La storia narra di un ragazzo che andando via da scuola, sentì un rumore alle sue spalle. Voltandosi vide una bella ragazza affacciata ad una finestra. La giovane aveva le braccia posate sul davanzale, e lo fissava. Quando si accorse di essere osservata, la ragazza sorrise e strinse le braccia intorno al corpo. All'improvviso, cadde dalla finestra ed atterrò sul suolo. Il ragazzo realizzò con orrore, che lei aveva perso la parte inferiore del corpo. La ragazza iniziò ad avvicinarsi a lui, correndo sui gomiti e producendo un rumore simile ad un teke-teke-teke. Il ragazzo provò a camminare, ma congelato dalla paura non si mosse. In pochi secondi, lei fu sopra di lui, estrasse una falce tagliandolo a metà e rendendolo come lei. Si dice che i malcapitati che vengano uccisi in questo modo diventino teke-teke a loro volta.

 

Mancano ancora due, forse tre leggende (devo vedere) e poi la raccolta sarà conclusa!

Grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia fino a qui!

Baci

Place

 

 

 

 


 

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Capitolo 5
*** 5 - La Bambola di Okiku ***


LA BAMBOLA DI OKIKU

 

C’erano pochi visitatori al tempio di Mannejin quel giorno.

Nami insisteva da mesi nel voler andare lì, e quando le aveva chiesto il motivo di tanto interesse se n’era uscita con una storia assurda.

Perché voglio vedere la bambola maledetta di Okiku!” gli aveva risposto.

Proprio a lui, che a quelle cialtronate non avrebbe creduto nemmeno sotto tortura.

Figurarsi se una bambola di legno poteva essere portatrice di chissà quale sventura!

Ma la sua ragazza era una credulona, e ormai ci aveva fatto l’abitudine a quelle sortite; così aveva deciso di assecondarla.

In fondo lei lo aveva accompagnato a vedere quell’incontro di kendo la settimana scorsa, ora poteva fare qualcosa per ricambiarla.

All’entrata del tempio, subito dopo aver oltrepassato il torii, erano stati accolti da una giovane donna, all’apparenza di qualche anno più vecchia di loro, con i capelli corvini e penetranti occhi di ghiaccio.

Si era inchinata come voleva la tradizione, rivolgendo a loro parole di benvenuto.

Nonostante la sua gentilezza e lo yukata roseo che indossava, il suo sguardo incuteva comunque timore.

Ricambiarono il saluto, per poi procedere entrando nell’ haiden, dove si sedettero su una delle panche di legno presenti nella sala.

Con rispetto ed educazione, Nami chiuse gli occhi e unì le mani, recitando una silenziosa preghiera agli dei.

Cosa che non fece lui, poiché non credeva in forze divine e ultraterrene.

Per lui era vero e degno di rispetto solo ciò che poteva vedere con i suoi stessi occhi.

Tuttavia, rimase in silenzio ad attendere la sua donna.

Quand’ebbe finito, gli fece cenno di uscire dalla sala di preghiera, tornando all’esterno del tempio.

 

- Bene, e ora possiamo andare nella sala della bambola!- sorrise entusiasta.

- Ci tieni proprio a vederla, eh?-

- Certo che sì! Voglio sapere se quello che si dice è vero!-

- Secondo me è una perdita di tempo! Sono tutte fandonie!- storse il naso.

- Lo vedremo!- affermò convinta.

- E dove sarebbe questa bambola?-

- Beh, non so di preciso in quale ala del tempio sia…- si strinse nelle spalle.

- Potremmo chiederlo alla donna dagli occhi di ghiaccio che ci ha salutati all’entrata- propose.

- Mi fa un po’ paura quella…-

- Mi stai dicendo che rompi le scatole per vedere una vecchia bambola presumibilmente “maledetta”, ma ti fa paura una donna in yukata?- alzò un sopracciglio.

- No, dico, ma l’hai vista?! Sembra demoniaca con quegli occhi così azzurri!- incrociò le braccia al petto.

- Sei proprio una mocciosa! Vieni, le parlo io se tu hai paura che ti mangi!- la prese per mano trascinandola nuovamente verso l’entrata.

 

La donna era ancora lì, nella stessa posizione, intenta ad accogliere altre persone appena entrate nel tempio.

Probabilmente il suo compito era proprio quello.

Si avvicinarono a lei, lui in testa e Nami alle sue spalle che gli stringeva forte la mano.

 

- Grazie per aver visitato il nostro tempio, spero torniate presto- sorrise loro la donna, inchinandosi di nuovo in segno di saluto.

 

Forse credeva che stessero già andando via.

 

- In realtà vorremmo vedere una cosa prima di andarcene- parlò per Nami.

- Ah sì? Cosa desiderate?-

 

Si sentiva in soggezione con quegli occhi così azzurri che lo fissavano.

Nami non aveva tutti i torti nel dire che la donna emanava un’aura misteriosa, quasi negativa.

Ma lui non era uno che giudicava dalle apparenze, perciò rimase composto e indifferente.

 

- Dov’è la bambola maledetta?- tagliò corto.

- Dunque siete venuti anche voi per questo…- sorrise enigmatica - Bene. Dovete andare nel retro del tempio: lì c’è una piccola area costruita appositamente per contenere la bambola-

- Ti ringrazio- fece un cenno col capo.

- Non c’è di che-

 

Le diedero le spalle e si incamminarono nella direzione indicatagli.

Per tutto il tempo entrambi sentirono gli occhi della donna puntati sulla schiena, come una fastidiosa sensazione che non voleva saperne di andarsene.

Giunti nel retro, trovarono facilmente l’area di cui parlava: era come un altro piccolo tempio in miniatura, nel quale però si poteva entrare massimo in tre, quattro alla volta.

Nella penombra della stanzetta si poteva distinguere chiaramente una figura muoversi.

Sentì Nami rafforzare la stretta sul suo braccio, facendosi sempre più vicina.

Ormai erano incollati.

 

- Hai cambiato idea? Vuoi che ce ne andiamo?- le chiese.

 

In tutta risposta scosse la testa, senza staccare gli occhi dall’ombra.

 

- Allora forza, entriamo- la esortò.

 

Mossero gli ultimi passi, ritrovandosi sulla soglia dell’entrata.

Ora era possibile distinguere ogni particolare all’interno della stanza, compresa la fisionomia della figura che vi era all’interno.

Un signore di età ormai avanzata, ma nonostante tutto ancora parecchio vispo, con capelli bianchi lunghi fino alle spalle e una barba lasciata crescere solo sulla parte sottostante il mento.

Indossava un paio di occhiali da vista, che gli conferivano un’aria da intellettuale.

Si girò verso di loro, osservandoli per qualche secondo, per poi abbozzare un sorriso.

 

- Benvenuti. Siete qui per la bambola, giusto?-

- - rispose, dal momento che Nami era ancora arpionata al suo braccio e sembrava aver perso l’uso della parola.

- Prego, entrate pure- li invitò.

 

Non se lo fecero ripetere, oltrepassando la porta e avvicinandosi all’uomo.

Dall’aspetto sembrava molto più amichevole della donna di poco prima, nonostante il suo sguardo austero lo facesse apparire molto serio.

 

- Io sono Rayleigh, e sono il custode di questo posto- si presentò.

- Piacere, io mi chiamo Zoro e questa è Nami- le diede uno scrollone per farla staccare.

- P-piacere…- riuscì finalmente a dire.

- La bambola è là, se volete ammirarla da più vicino- fece un cenno con il capo alla loro destra.

 

Si girarono, trovando il tanto agognato oggetto dei desideri.

O meglio, l’oggetto dei desideri di Nami!

Osservò per qualche minuto la bambola, cercando di trovare anche solo un minimo segno di maledizione in essa.

Tutto ciò che vide, però, fu solo una semplice bambola di legno vestita con un elaborato yukata.

Come pensava: tutte cialtronate.

Lanciò un’occhiata a Nami, trovandola con la bocca spalancata mentre tratteneva il fiato.

Per lei doveva invece essere un’emozione, quindi si trattenne dal rovinarle la festa.

 

- Conoscete già la storia?- li interruppe Rayleigh.

- Qualche particolare, ma non molto…- rispose con voce bassissima Nami.

- Che cosa sai?-

- Beh, che apparteneva a una bambina che poi morì e da allora si pensa che bambola sia maledetta…- spiegò.

- Manca il particolare più interessante, allora- sorrise il vecchio.

- E quale sarebbe?- le si illuminarono gli occhi.

- Ti racconterò tutta la storia…- si aggiustò gli occhiali sul naso - Questa bambola venne acquistata nel 1918 in un negozio di Sapporo da un giovane di nome Eikichi Suzuki, che la portò in dono alla sorella minore Okiku. Il dono fu molto gradito alla bambina, ma sfortunatamente morì poco tempo dopo per malattia. La famiglia allestì un altare commemorativo in sua memoria, come richiesto dalla tradizione per poterla pregare ogni giorno, e posizionò la bambola sopra di esso: pochi mesi dopo si accorsero che i capelli della bambola crescevano sempre più, e lo interpretarono come un segno della sopravvivenza dello spirito di Okiku in essa. Nel 1939 venne affidata a questo tempio, e da allora i suoi capelli hanno continuato a crescere. Tuttavia, nessuno è ancora riuscito a spiegare come questo sia possibile- concluse.

- Forse perché è tutta una bufalata?- intervenne.

 

Si beccò uno sguardo inceneritore da parte della sua ragazza, accompagnato da una gomitata nelle costole.

Gli dispiacque in parte di averle rovinato quel momento, ma non era riuscito a trattenersi.

Andiamo, come potevano crescere i capelli ad una bambola?!

Il fatto che provenisse da un’epoca in cui non esistevano ancora le fotografie, nessuno avrebbe mai potuto appurare che i capelli fossero veramente cresciuti.

Sospirò sonoramente, incrociando le braccia al petto e storcendo il naso per mostrare tutto il suo disappunto.

 

- Perché dici questo, ragazzo?- assottigliò lo sguardo Rayleigh.

- Perché a parte la leggenda che viene tramandata non ci sono prove concrete della crescita dei capelli, quindi sono solo chiacchiere- lo fissò serio.

- Ti sbagli…- lo corresse, sorridendo beffardo - Una prova c’è eccome-

- E quale sarebbe?- chiese, ancora scettico.

 

Lo vide dirigersi verso un mobile di legno poco distante dalla bambola, aprendo uno dei cassetti ed estraendo un foglio che gli porse.

Lo osservò, cercando di capire cosa volessero dire tutti quei paroloni riportati sulla carta.

 

- Questa è un’analisi di laboratorio autentica. È stata fatta appositamente per chiarire se la leggenda fosse solo una leggenda, per l’appunto. Ma i risultati parlano chiaro, come puoi vedere. I capelli sono realmente umani-

 

Restò per un attimo sconcertato a quell’affermazione, così come Nami che ormai aveva gli occhi completamente fuori dalle orbite.

Stringeva il foglio fra le dita, rileggendo più e più volte, come se volesse cambiare il responso di quell’analisi per il gusto di avere ragione.

Possibile che esistessero simili casi?

Possibile che ci fossero cose che la razionalità non poteva spiegare?

Il suo mondo vacillava, messo in discussione da una stupida bambola.

Si riprese solo quando il vecchio gli sfilò il foglio dalle mani, riportandolo al sicuro nel cassetto.

 

- Sei uno scettico, vero ragazzo? Allora ti propongo un accordo: torna qui fra un anno esatto, nel giorno di visita ai templi. Se la bambola avrà ancora la stessa lunghezza di capelli, potrai dire che sono un vecchio pazzo, ma se invece dovessero essere cresciuti cambierai idea sul mondo degli spiriti- gli porse la mano.

 

Era una sfida semplice, nulla che non potesse non fare.

Ma la paura di poter perdere lo faceva tentennare.

Odiava ammettere la sconfitta, e quella carta appena vista gli aveva dato un motivo per non accettare.

Se non avesse accettato, però, avrebbe fatto capire a Rayleigh che iniziava anche lui a credere alla leggenda della bambola.

Era in trappola.

La sua unica speranza era confidare nella falsità di quelle analisi.

Forse erano state truccate per dare credibilità alla leggenda…

Questa nuova convinzione gli diede la forza di accettare.

 

- D’accordo. Allora ci rivedremo qui fra un anno- strinse la mano del vecchio.

 

Si congedarono con un saluto rispettoso, uscendo dalla sala.

 

 

…………………..

 

 

Camminavano fianco a fianco lungo la via, l’uno più teso dell’altra.

Era trascorso un anno esatto da quando avevano visitato il tempio di Mannejin.

Il momento della verità si avvicinava inesorabile.

Percorsero la scalinata che portava al torii, oltre il quale ritrovarono sempre la donna dagli occhi di ghiaccio ad accoglierli.

Non era cambiata, se non per il fatto che anche i suoi capelli erano cresciuti, ma almeno loro ne avevano motivo.

La salutarono con il consueto inchino, dirigendosi senza nemmeno passare a dire una preghiera verso il retro dell’edificio.

Rayleigh era sulla soglia dell’entrata, come se avesse previsto il loro arrivo.

Anche lui non era cambiato molto, eccetto per qualche ruga in più sul volto, segno dell’età che avanzava come un treno in corsa.

 

- Benvenuti. Vi stavo aspettando- sorrise, soffermandosi con lo sguardo su di lui.

 

Prese un lungo respiro, pronto ad affrontare il suo destino.

Quel giorno, forse, il suo modo di vedere le cose sarebbe cambiato radicalmente.

Non sapeva se era pronto o no, ma ormai non poteva tirarsi indietro.

Oltrepassarono la porta, girandosi subito verso l’altarino con la bambola.

Sgranarono gli occhi, mentre il vecchio custode ridacchiava sornione.

I capelli della bambola, che un anno prima sfioravano i fianchi della bambola, ora le arrivavano fino ai piedi.

 

 
ANGOLO DELL’AUTORE

E anche questa è conclusa! Devo dire che è la meno spaventosa di tutte, ma mi è piaciuta l’idea di questo spirito che rivive nella bambola. So che avevo detto che Zoro e Nami non sarebbero stati una coppia nella raccolta, ma non ho resistito! Perdonatemi! Sarà comunque l’unica fiction dove hanno una relazione, e sono contenta di essere riuscita a non descriverli come una coppia fino ad ora. È un gran traguardo per una zonamista doc come me! Passiamo alle note doverose:

 - Una delle più famose bambole maledette del Giappone,secondo quanto si racconta venne acquistata nel 1918 da un giovane di nome Eikichi Suzuki in un negozio di Sapporo come regalo per la sorella minore Okiku. La bambina apprezzò molto il dono ma morì improvvisamente per malattia. I suoi familiari piazzarono la bambola su di un altare dove ogni mattina pregavano per la figlia,solo che pochi mesi dopo iniziarono a notare che i capelli della bambola crescevano interpretando questo fenomeno come la prova che lo spirito di Okiku risiedeva in essa. Nel 1939 la bambola venne affidata al  tempio di Mannejin dove tutt’ora si trova,i suoi capelli continuano a crescere ma per il momento nessuno ne ha trovato una spiegazione (anche se un analisi ha appurato che i capelli della bambola sono autentici capelli umani).

- Haiden: la "sala della preghiera o "oratorio" è la zona in cui i fedeli possono recarsi a pregare e dove si tengono alcune cerimonie. È completata solitamente da panche e sedie, come in un tempio cristiano. Non è tuttavia la sola zona in cui si prega, infatti in templi speciali come quello di Ise, sia preti che laici offrono le loro preghiere sedendosi all'esterno, nei giardini del tempio.

 - L'area d'ingresso di un tempio shintoista è nella quasi totalità dei casi contrassegnata dalla presenza di un torii. Il nome (che letteralmente significa "dove risiedono gli uccelli") indica il classico portale mistico che segnala l'entrata nell'area sacra, che oltre ad un tempio può essere una qualsiasi zona naturale caratterizzata da una forte bellezza e singolarità. Un torii è costituito da due pilastri verticali che ne sostengono due orizzontali, e completato da una tavoletta centrale, tra le due aste orizzontali, che solitamente riporta il nome del tempio, dell'area sacra o una frase particolarmente significativa. L'origine di questa struttura è pressoché sconosciuta e si perde nella leggenda.

 Siamo agli sgoccioli! La prossima potrebbe essere l’ultima storia, se non la penultima (devo ancora decidere). Magari una delle due storie, quella meno interessante o più lunga, la terrò da parte nel caso dovessi trovare anche altre storie e riaprire questa raccolta aggiungendo altre leggende!
In ogni caso, alla prossima storia dell’orrore!
Baci
Place

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