It’s not Me, it’s You.

di Bad A p p l e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Retrace I: Locked in a Cage. ***
Capitolo 2: *** Retrace II: Smoke and Mirrors ***
Capitolo 3: *** Retrace III: Deeper and Deeper. ***



Capitolo 1
*** Retrace I: Locked in a Cage. ***


 

 

 

 

Retrace I: Locked in a Cage.

 

Kuroko si trovava a casa di Akashi, seduto di fronte a lui e con una tazza di tè fumante tra le mani, tuttavia non aveva ancora ben chiaro come fosse potuta succedere una cosa del genere.

No, in realtà lo sapeva fin troppo bene, solo che faceva ancora fatica a metabolizzare l’accaduto: quella mattina a scuola il ragazzo lo aveva fermato nel corridoio e lo aveva invitato a casa sua nel pomeriggio, senza neanche un minimo accenno al motivo di quella richiesta.

Non era riuscito a nascondere tutta la sua riluttanza, dopotutto si conoscevano da pochissimo e nonostante Akashi lo avesse aiutato ad entrare in prima squadra, non si sentiva ancora così tanto in confidenza con lui da accettare, ma rifiutare sarebbe stato maleducato, no?

Alla fine non gli era restato che accettare, anche perché quello di Akashi più che un invito era sembrato un vero e proprio ordine, ma avrebbe anche potuto sbagliarsi.

Scacciò quei pensieri dalla sua mente e tornò alla realtà in cui era davvero a casa del compagno di squadra; bevve un generoso sorso dalla sua tazza, osservando Akashi di sottecchi, cercando di capire quale potesse essere il suo scopo.

«Sono molto interessato alla tua Misdirection» rivelò infine Akashi, guardandolo con attenzione.

Non disse nulla, come ad esortarlo ad andare avanti, cominciando a sentirsi abbastanza incuriosito.

«Unito alla tua poca presenza può trasformarsi in un’arma invincibile, non solo per quanto riguarda il Basket, anzi, sarebbe un peccato sprecare il tuo talento limitandolo allo sport».

Kuroko venne colto da un brutto presentimento, tuttavia non se ne preoccupò più di tanto, dopotutto stava solo parlando con Akashi.

Certo, gli sembrava strano che l’avesse invitato da lui solo per parlare della sua Misdirection e in più non capiva proprio in che altro ambito avrebbe potuta usarla, ma decise di scacciare del tutto quella brutta sensazione che sentiva sottopelle, tacciandosi di essere paranoico: Akashi si era sempre comportato in modo più che corretto con lui e non c’era nulla che potesse fargli pensare che questa volta sarebbe stato diverso.

Il ragazzo dovette intuire in parte i suoi pensieri e gli dedicò un sorriso di circostanza,

«Tetsuya, ti piacerebbe aiutare i tuoi genitori? Mi sembra che la vostra situazione economica sia a dir poco disastrosa» disse seriamente, lasciando ancora a Kuroko l’impressione che più che una proposta fosse un’ingiunzione.

Sgranò gli occhi per lo stupore, ma si impose di non abbassare lo sguardo.

“Come fa a sapere una cosa del genere?” pensò, esitante.

«Io so tutto, Tetsuya, sempre».

«Akashi-kun, ho molto da studiare per domani. Se non ti dispiace, tolgo il disturbo» disse con tutta la cortesia di cui era capace, facendo per alzarsi.

Non fece in tempo, Akashi riprese subito il discorso e lui si ritrovò costretto dalla propria educazione a non potersi muovere finché l’altro non avesse finito di parlare.

«Devo dedurne che non vuoi aiutare la tua famiglia ad uscire da questo periodo nero?» domandò; il tono di voce era calmo, come se avesse la certezza assoluta di avere la situazione in pugno. Non era solo un’impressione, Akashi era davvero convinto che sarebbe riuscito a persuadere in poco tempo il compagno di squadra.

Kuroko dal canto suo cominciava a sentirsi davvero infastidito dalla situazione e dovette usare tutto il suo autocontrollo per impedirsi di consigliare ad Akashi di farsi gli affari suoi.

Quell’argomento era il suo punto debole, odiava parlarne e non sopportava che gli venisse rinfacciata la sua completa inutilità di fronte ad una situazione come quella della sua famiglia.

Nonostante ciò, il suo desiderio di aiutare ebbe la meglio sull’irritazione e si convinse ad ascoltare fino in fondo ciò che l’altro aveva da dirgli.

Insomma, se Akashi-kun potesse davvero aiutarmi ad essere più utile per la mia famiglia, sarebbe stupido tirarsi indietro” si disse, mordicchiandosi appena un labbro, per poi tornare a concentrare tutta la sua attenzione su Akashi, che si permise un sorriso compiaciuto

«Lasciami premettere una cosa» esordì Seijuro, il tono di voce era diventato all’improvviso mortalmente serio, «dal momento in cui ti farò la mia proposta, non potrai rifiutare per nessun motivo al mondo, ma tieni presente che la mia famiglia in uno schiocco di dita può annullare tutti i debiti della tua. Hai un minuto per decidere se andartene o ascoltare cosa ho da dirti».

“Quindi non è nulla di legale…” pensò con un lieve sospiro. La decisione, suo malgrado, l’aveva presa nel momento stesso in cui si era seduto per la seconda volta su quella sedia.

Ormai non poteva andarsene, sapendo di avere tra le mani una scappatoia per la sua famiglia.

Quel minuto concesso da Akashi passò in un’eternità, come se ogni secondo rintoccato dall’orologio volesse metterlo in guardia su quanto stesse prendendo la strada sbagliata.

Akashi sorrise ancora, soddisfatto dalla piega che stava prendendo la situazione «hai preso la decisione giusta».

“Comincio ad avere qualche dubbio al riguardo” pensò, ma si astenne dal dirlo.

«Allora, Tetsuya, conosci l’associazione Amnesty

In quel momento, Kuroko capì che la sua vita poteva considerarsi finita.

Era ovvio che conoscesse l’associazione Amnesty, ma non credeva esistesse davvero, pensava fosse una leggenda metropolitana.

Amnesty era un’organizzazione di assassini che operava con il benestare del governo Giapponese, benché non ci fossero prove effettive della sua esistenza.

“Insomma, è solo una storiella, no? Non può esistere davvero” si disse, deglutendo a fatica. Qualcosa nello sguardo di Akashi gli fece pensare, per assurdo, che forse poteva non essere solo una leggenda metropolitana, anche se ciò che rimaneva del suo lato razionale urlava che non era per nulla possibile.

«Sì, dalla tua faccia direi che la conosci» riprese Akashi, dopo aver osservato con attenzione la sua espressione smarrita, «esiste davvero e la mia famiglia ne è a capo».

Kuroko fece per scostare la sedia e andarsene, ma bastò uno sguardo autoritario di Akashi per congelarlo sul posto.

«Alzati da quella sedia e lo prenderò come un rifiuto da parte tua ed allora non potrei farti uscire vivo da questa stanza» disse, gelido, guardandolo dritto negli occhi.

Si impose la calma e prese di nuovo la tazza di tè, bevendone un sorso per dissimulare la paura.

«La capacità di non essere visto, di essere un’ombra, è essenziale per un killer».

«Mi stai proponendo di diventare un assassino?» chiese con cautela Kuroko, incerto su cosa pensare.

Dopo la premessa fatta da Akashi, si era immaginato di tutto, perfino che gli volesse proporre di prostituirsi, ma una cosa del genere superava di gran lunga tutte le cose assurde che gli erano passate per la mente.

«No, Tetsuya, non te lo sto proponendo, te lo sto ordinando». Kuroko fece per ribattere, indignato, ma Akashi lo fermò con un gesto della mano, «te l’ho detto prima: ormai non puoi tirarti indietro se tieni alla tua vita».

«Akashi-kun, tutto questo è assurdo. Non mi piacciono gli scherzi» Si alzò e fece per uscire, quando un coltello si conficcò nella porta, a pochi centimetri da lui. Si paralizzò subito, senza nemmeno il coraggio di girarsi verso l’altro.

«Non è uno scherzo. Un altro passo verso quella porta ed il prossimo coltello ti colpirà in pieno» disse Akashi, così tremendamente serio che non gli restò che tornare a quella sedia per l’ennesima volta, avendo cura di tenere le mani sotto al tavolo, per nascondere quanto tremassero.

Akashi lo guardò per lunghi secondi, prima di lasciarsi andare ad un sospiro liberatorio, rilassando le spalle «Meno male che sei un ragazzo intelligente, per un momento ho creduto davvero di doverti uccidere e credimi, sarebbe stata una grossa perdita per me».

Kuroko non rispose nulla, limitandosi ad ascoltare Akashi, non osando abbassare la guardia nemmeno per un secondo, nonostante la tensione nell’aria si fosse sciolta nel momento stesso in cui l’altro si era rilassato.

«Posso contare su di te, Tetsuya?»

Aveva davvero scelta? No, ovviamente sapeva già di non averne. Se se ne fosse andato, Akashi lo avrebbe ucciso–ormai su questo non aveva più dubbi- e soprattutto non avrebbe potuto aiutare la sua famiglia. Se fosse restato, sarebbe stato l’inizio del suo inferno personale, ma almeno avrebbe fatto qualcosa di utile per i suoi genitori e per sua nonna; loro tre non avrebbero mai più dovuto preoccuparsi di nulla.

«Puoi fidarti, Akashi-kun» disse, deciso, nonostante l’assurdità di tutta quella situazione.

«Bene».

 

[…]

 

 

Ormai era una proprietà di Akashi.

Questo pensiero lo sfiorò nel momento stesso in cui acconsentì alla sua proposta e si odiò per aver concepito un’idea simile. Si ripromise che qualunque cosa fosse successa da quel momento in poi, sarebbe appartenuto sempre e solo a se stesso.

Era bastata una telefonata di pochi secondi, poi Akashi gli aveva comunicato che tutti i debiti della sua famiglia erano stati estinti e che l’avrebbe condotto nel luogo dove avrebbe fin da subito iniziato il suo addestramento.

Seguì Akashi in quello che scoprì essere il quartier generale dell’Amnesty, un luogo esposto in modo così eccessivo allo sguardo del mondo esterno da essere ridicolo. Poi ci pensò meglio.

Io stesso sono la prova che si tende ad ignorare ciò che si ha sotto il naso” pensò, guardandosi attorno.

L’ambiente era quasi del tutto spoglio, era tutto così bianco e asettico da sembrare quasi un ospedale. C’erano solo corridoi infiniti e scale, il tutto contornato da porte chiuse in cui lui non aveva il permesso di entrare.

Akashi gli spiegò che per il momento poteva avere accesso solo ai locali adibiti all’addestramento, che si trovavano al livello più basso dell’edificio, a diversi metri sotto terra.

Kuroko non era mai stato claustrofobico o cose simili, ma l’idea di essere intrappolato sotto terra gli metteva i brividi.

“E’ come se stessi camminando verso la mia tomba” si ritrovò a pensare mentre scendeva e scendeva gradini, non avendo nulla avanti a sé se non la schiena di Akashi.

Infine, Seijuro aprì la porta e lo trascinò all’interno della “palestra”. Anche in quella stanza regnava un candore così falso da dargli il voltastomaco; le due pareti principali erano del tutto rivestite di armi da ogni tipo ed il locale era diviso a zone: ogni zona era dedicata ad un allenamento specifico.

Akashi gli lasciò il tempo necessario a guardarsi attorno, poi gli fece cenno di seguirlo e si avvicinò ad una pedana dove due ragazzi si stavano allenando nel corpo a corpo; uno doveva avere circa venticinque anni e l’altro –quello che stava avendo la meglio-notò strabiliato che doveva avere circa la sua età; qualcosa, però, stonava in modo terribile, lo sguardo di quel ragazzo non aveva nulla di umano. Aveva qualcosa di completamente folle, che al momento non riuscì ad inquadrare. Si rese conto solo dopo, osservandolo mentre rompeva un braccio al suo avversario, che quella scintilla di follia doveva essere causata dall’evidente piacere che quel ragazzo provava nel provocare sofferenza.

Sbatté con forza l’avversario a terra e gli premette un piede sulla gola, guardandolo dall’alto con aria strafottente, «se questo non fosse un addestramento, potrei ucciderti in questo istante» biascicò con un ghigno.

Akashi guardò in modo grave il ragazzo steso a terra. «Tre missioni fallite su tre e non riesci neanche a tenere testa ad un ragazzino» poi lo sguardo si posò sull’altro, «Se vuoi puoi eliminarlo, è inutile per l’Amnesty».

Nemmeno il tempo di un battito di ciglia che il piede del ragazzo si abbatté con così tanta forza sul collo dell’altro da spezzarlo.

Kuroko si impose di non indietreggiare, usando ogni minima goccia di autocontrollo.

Un uomo era appena stato ucciso sotto i suoi occhi.

Un uomo era stato ucciso e non solo lui non aveva potuto far nulla per impedirlo, ma in quel momento si rese davvero conto di cosa significasse la sua presenza lì. Da quel momento l’unico scopo della sua esistenza sarebbe stato quello di togliere la vita agli altri.

«Lui chi è? Altra spazzatura?»

Akashi lanciò ad entrambi un’occhiata valutativa e poi si concesse qualche secondo prima di rispondere. «Forse, no. Makoto, lui è Kuroko Tetsuya; Tetsuya, lui è Hanamiya Makoto. Da oggi vi allenerete insieme».

 

 

Death Note: Okay, questo capitolo è stato ri-pubblicato dopo che quella santa donna di Rota mi ha aiutata (dopo mie suppliche xD) per quanto riguarda la forma e l’IC –ma anche certi Orrori grammaticali che mi erano sfuggiti xD-

Quindi, la ringrazio davvero tanto <3

Ringrazio anche quella poveretta di _Doll, che è stata costretta a leggere i capitoli nonostante il fandom non le vada troppo a genio

Detto questo… SONO UNA PERSONA SPREGIEVOLE.

E, niente, vi amo tutti <3 *sparge fiorellini ovunque*

 

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Capitolo 2
*** Retrace II: Smoke and Mirrors ***


Intromissione: Ehilà 8D prima di lasciarvi al capitolo, volevo solo far presente che ho appena ri-pubblicato il capitolo 1, dopo che quella santissima donna di Rota me l’ha corretto <3

 

 

 

 

 

Retrace II: Smoke and Mirrors.

 

Kuroko entrò nell’edificio senza la minima difficoltà. La quiete era così densa che sarebbe bastato solo uno spostamento d’aria a tagliarla, ma ormai il suo passo era tanto felpato da amalgamarsi in modo perfetto a quel silenzio assordante.

Si guardò attorno con attenzione, gli occhi del tutto abituati al buio; quando si convinse che il posto era sicuro, si diresse verso le maestose scale in marmo.

Quella casa era un vero e proprio labirinto e lui aveva avuto davvero poco tempo per memorizzarne la planimetria, ma Hanamiya era fuori e monitorava costantemente la sua posizione, in caso di difficoltà sapeva che si sarebbe reso utile. Non che avesse fiducia nell’altro, ma se lui avesse fallito anche Makoto avrebbe pagato, quindi nessuno dei due poteva permettersi errori.

Amnesty funzionava così, non erano ammessi errori, chi si rivelava inutile doveva essere eliminato. Lo stesso Akashi sottostava a questa regola, ma questo lo aveva capito solo dopo parecchio.

Gli era sembrato strano fin da subito che un ragazzo così giovane avesse tanto potere all’interno di un’associazione come quella e la soluzione all’enigma era fin troppo semplice: faceva parte dell’addestramento personale di Seijuro e anche lui e Hanamiya ne facevano parte.

Era stato un grandissimo azzardo volere tra le sue file, alle sue dirette dipendenze, due ragazzini, ma in due anni e mezzo non lo avevano mai deluso, quindi con il passare del tempo tutti si erano abituati alla loro presenza. Il rischio corso da Akashi era stato ripagato.

Questa, tuttavia, era una missione un po’ diversa da quelle a cui Kuroko era abituato, non si trattava solo di dover uccidere qualcuno, doveva anche rubare dei documenti. Ovvio, non era nulla di impegnativo, ma la novità lo agitava un po’.

Ripensò alle informazioni che avevano raccolto: ventuno stanze, sedici di queste accessibili solo tramite corridoi nascosti; la stanza in cui venivano occultati i documenti cambiava ogni giorno e davanti ad ogni porta c’era una guardia. Il lato positivo era l’assenza di sensori di movimento, che sarebbero stati solo d’intralcio alle guardie in caso di intrusioni, mentre il lato negativo ma non insormontabile erano le numerosissime telecamere piazzate ad ogni angolo della villa.

Questo era uno dei motivi della presenza di Hanamiya: il ragazzo si trovava in un’automobile vicino alla villa. Con il computer si era infiltrato nel sistema di sicurezza della villa, disattivato gli allarmi e le telecamere, facendo in modo che queste ultime trasmettessero al sorvegliante una registrazione di qualche settimana prima.

“Sperando che ci sia riuscito davvero” pensò, estraendo lentamente il pugnale dalla guaina.

Un altro lato positivo nella conformazione di quella casa era appunto la somiglianza ad un labirinto: Tetsuya aveva poca visibilità delle guardie, ma lo stesso valeva per loro e lui aveva dalla sua parte la sua mancanza di presenza e la Misdirection.

Nascosto sugli ultimi gradini della scala, controllò il primo corridoio con uno specchietto. C’era una sola guardia, era fin troppo facile.

Scattò in avanti e prima ancora che la guardia potesse rendersene conto, si ritrovò con una mano a tappargli la bocca e la gola squarciata.

Adagiò a terra il cadavere con delicatezza, per evitare che producesse rumore durate la caduta. Si ripulì alla meno peggio dal sangue e proseguì, ignorando del tutto la porta al quale l’uomo aveva fatto la guardia; secondo il loro informatore, quella sera i documenti che doveva rubare erano nella stanza al centro esatto della casa.

“E’ troppo facile” si disse, sospettoso, mentre eliminava la seconda guardia e procedeva indisturbato.

«Pensi di potercela fare entro l’alba, coglione?»

La voce di Hanamiya gli ferì fastidiosamente l’orecchio sinistro, dov’era posizionato l’auricolare che lo teneva sempre in comunicazione con l’altro.

Storse il naso. «Senpai, potresti tacere, per favore?» sussurrò, così piano che per un secondo Kuroko prese in considerazione l’ipotesi che l’altro non l’avesse sentito, cosa smentita dal grugnito infastidito che gli arrivò in risposta.

Sapeva quanto Hanamiya fosse intelligente, di sicuro anche più di lui, ma sapeva anche quanto fosse una testa calda.

A ruoli invertiti, Makoto si sarebbe limitato ad entrare, fare una strage e solo dopo che fossero stati tutti morti, prendere i documenti; il ché, doveva ammetterlo, a modo suo era geniale, semplice e rapido, ma dato che era Kuroko ad essersi infiltrato, decise che avrebbe fatto a modo suo, facendo le cose per bene e mietendo il minor numero possibile di vittime.

Fu molto tentato di strappare via l’auricolare, pur di non ascoltare i continui “suggerimenti” dell’altro, ma si limitò, in modo molto diplomatico, ad ignorarlo del tutto e in poco tempo raggiunse la stanza dove si trovavano i documenti.

Entrò ed individuò subito la cassaforte, ora arrivava la parte di Hanamiya. L’impianto di sicurezza di quella cassaforte, così tecnologica da essere fin troppo semplice da violare, era collegato a quello del resto dell’intera villa; mentre lui raggiungeva la stanza, Makoto era entrato nel sistema di sicurezza e forzando con destrezza ogni ostacolo era riuscito ad ottenere la combinazione.

“Verrebbe da pensare che le vecchie casseforti fossero più sicure di queste iper-tecnologiche”.

«La combinazione?»

«Ah, adesso mi ascolti?»

«La combinazione, senpai. Per favore».

Dall’altra parte dell’auricolare, il ragazzo sbuffò, annoiato, e gli dettò i numeri che lui si affrettò a digitare. Un lieve segnale acustico annunciò l’apertura e Kuroko prese i fascicoli all’ interno per poi uscire in fretta come era entrato. Era fatta, ora mancava solo la parte più semplice della missione, eliminare il proprietario di quei documenti.

«Adesso ascoltami con attenzione: da qua vedo una scorciatoia per la stanza di quel tizio che sulla planimetria che ci hanno dato da studiare non c’era; si tratta di una stanza nascosta, direttamente comunicante con quella dell’obiettivo. Passa da lì, così finiamo in fretta questa missione e ce ne torniamo a casa».

Kuroko alzò gli occhi al cielo, tentato dal riprendere ad ignorarlo «Se non era segnata ci sarà un motivo, no?» sussurrò, girando nel corridoio alla sua sinistra.

«Torna indietro e gira a destra. A ventisei metri c’è una porta nascosta nella parete, forza la porta e passa di lì. C’è troppa calma e non mi piace, prima finiamo e meglio è».

Il tono dell’altro sembrava davvero preoccupato e dopotutto anche a lui era sembrata fin troppo strana tutta quella calma.

Sapendo che avrebbe finito per pentirsene, tornò sui suoi passi e seguì le indicazioni di Hanamiya fino a trovare la porta nascosta nella parete. Forzarla si rivelò molto più semplice del previsto.

«Non mi convince, è troppo facile» sussurrò, dubbioso.

«E’ troppo facile perché noi siamo professionisti. Ed ora datti una fottutissima mossa».

Kuroko si appuntò mentalmente che una volta uscito da lì, avrebbe dovuto rivedere bene la brutta abitudine dell’altro di dargli ordini; era fin troppo seccante.

Entrò e si chiuse la porta alle spalle, osservando che dall’arredamento e dalla vicinanza con la stanza del loro obiettivo, quello doveva essere il suo studio personale ed era così certo della sicurezza di quella stanza da non aver piazzato nemmeno una guardia all’interno.

“Piazza guardie davanti ad ogni porta e qua niente? Non è che…?”

«Senpai, mi sta venendo un dubbio» annunciò a bassa voce, avvicinandosi all’ampia scrivania che dominava la stanza.

«Se è una delle tue paranoie, stacco le comunicazioni e ad uscire te la cavi da solo» lo informò Hanamiya, annoiato.

Kuroko decise di glissare su ciò che aveva detto l’altro e cominciò a frugare nei cassetti, «Penso che i documenti che ho appena recuperato siano solo uno specchietto per le allodole» esordì, guadagnandosi un barlume dell’interesse di Hanamiya, «La sorveglianza era così scarsa da essere ridicola, benché a primo acchito sembrasse ben organizzata. Il fatto di cambiare nascondiglio a dei documenti ogni giorno in realtà potrebbe servire ad occultare una realtà ben più semplice. Le persone non vedono mai ciò che hanno sotto agli occhi» smise di parlare qualche istante, battendo piano le nocche sui fondi dei cassetti, per poi concedersi un accenno di sorriso, «Tipo un doppio fondo nel cassetto della scrivania del nostro obiettivo».

«Ha una logica» ammise Hanamiya a malincuore, per poi pentirsene subito, «Anzi, la avrebbe se non fosse assurdo lasciare i veri documenti in una stanza vuota. Complimenti, Einstein, bella pensata».

Kuroko inspirò in modo profondo; non poteva abbassarsi al livello di Makoto e mandarlo affanculo, per quanto ne fosse infinitamente tentato, no?

Suvvia, se la stanza fosse stata piena di gente armata, pure un’idiota avrebbe pensato che nascondesse qualcosa di importante. Il doppio fondo c’è davvero e sono sicuro che nasconda i documenti” pensò, decidendo che avrebbe tentato anche se non fosse riuscito a far valere le proprie ragioni a parole.

«Delle guardie avrebbero attirato l’attenzione. E stando al suo profilo, il bersaglio è tanto sicuro di sé da sfiorare i limiti della stoltezza».

Hanamiya rispose con un versetto scettico, «Datti. Una. Cazzo. Di. Mossa».

Kuroko sollevò il doppio fondo del cassetto, che conteneva un fascicolo identico a quello che aveva rubato pochi minuti prima.

In quel momento, scattò l’allarme.

Strinse tra le labbra un’imprecazione e afferrò i documenti, per poi maledire mentalmente Hanamiya e quell’allarme che a quanto pareva non era riuscito a disattivare.

Tornò nel corridoio, valutando quale sarebbe stata la via di fuga più sicura, ma in quel momento venne raggiunto da una mezza dozzina di guardie.

Spalancò la porta della stanza, usandola come scudo e ringuainò il coltello, per poi estrarre la pistola.

Eliminò tre guardie, prima di decidere che era il momento giusto per usare la Misdirection e scappare. Voltò l’angolo, ma non riuscì ad impedire che un proiettile lo colpisse al braccio; imprecò mentalmente e riuscì ad infilarsi nel condotto dell’aria prima che arrivassero altre guardie a dare supporto ai colleghi.

Si permise un sospiro e gattonò piano verso l’uscita.

«Sono certo che in questo momento stiano scortando fuori l’obiettivo, puoi occupartene tu? Io non lo raggiungerei in tempo» soffiò, cercando di mantenere un tono educato, nonostante la rabbia.

«Tsk».

 

 

 

Makoto odiava più di ogni altra cosa quando le cose non andavano come voleva lui e quello ne era senza dubbio un esempio.

“Da dove cazzo è spuntato quell’allarme?” si chiese, prima che Kuroko gli domandasse di occuparsi del bersaglio al posto suo.

Avrebbe voluto ribattere qualcosa di offensivo, per poi dirsi di lasciar perdere: l’allarme era scattato perché lui non era riuscito a disattivarlo, aveva ben poco da dire, per quanto la tentazione fosse molto forte.

Be’, l’importante era che la missione poteva considerarsi compiuta: Kuroko aveva preso i veri documenti e lui di sicuro sarebbe riuscito ad eliminare l’obiettivo.

Non ebbe nemmeno bisogno di avvicinarsi troppo alla casa: per puro scrupolo, prima di infiltrarsi Kuroko aveva piazzato delle cariche esplosive sotto ogni veicolo presente nel perimetro della villa, gli bastò aspettare che l’obiettivo e la scorta salissero a bordo e far detonare le cariche, nulla di più semplice.

Dopo poco Kuroko lo raggiunse e salì in auto, lanciandogli addosso i due fascicoli con malagrazia. «Mi hai quasi fatto uccidere» gli fece presente Tetsuya, atono.

Hanamiya lo guardò malissimo e mise in moto, allontanandosi velocemente da quel luogo, lasciando che tra loro due calasse un silenzio ostinato.

Non che avessero molto da dirsi: non si sopportavano affatto e riuscivano a collaborare in modo quasi civile solo se si trattava di missioni che dovevano svolgere insieme.

Non riusciva davvero a capire cosa c’entrasse Kuroko in un mondo come quello, sembrava un pesce fuor d’acqua. Nonostante cercasse di rimanere impassibile era palese quanto odiasse uccidere, se lo faceva era solo perché non poteva scappare da quella realtà. Era patetico.

Gli faceva venire una gran voglia di eliminarlo con le sue mani, ma uccidere un “compagno” senza un valido motivo era considerato tradimento ed era punito con la morte.

Che palle” pensò annoiato, per poi scoccare una rapida occhiata a Kuroko; il respiro era un po’ irregolare e si stringeva forte il braccio destro.

«Stai bene?» domandò, suo malgrado, giusto per accertarsi che non gli morisse lì sul sedile.

«Benissimo» tagliò corto l’altro, prima di perdere i sensi.

 

 

[…]

 

 

Quando Kuroko si svegliò si rese conto subito di essere nell’infermeria dell’Amnesty. Sospirò di sollievo, a quanto pareva Hanamiya aveva avuto abbastanza buonsenso da non approfittarsene per ammazzarlo e magari fare credere che fosse morto durante la missione.

Provò a mettersi seduto ma una fortissima fitta alla testa lo fece desistere: piombò di nuovo sul cuscino e si impose di respirare in modo profondo per recuperare quanta più lucidità possibile.

Per quale motivo era svenuto?

«Il proiettile che ti ha colpito era avvelenato».

Voltò lo sguardo quel tanto che bastò per scorgere Akashi in un angolo della stanza. A volte gli sembrava che il ragazzo potesse davvero indovinare i suoi pensieri, ma decise che quello non era il momento adatto per dare sfogo a quei pensieri fuori luogo.

Non disse nulla, aspettando che Akashi continuasse a parlare.

«La missione ha seriamente rischiato di essere un disastro, ma alla fine avete fatto un buon lavoro. Certo, da te e da Makoto più che un “buon lavoro”, mi aspetto un “lavoro perfetto”, ma mi rendo conto che avendo ricevuto informazioni sbagliate, non potevo aspettarmi niente di meglio. Per questa volta va bene così».

Kuroko si limitò ad annuire; sentiva la gola molto secca e in più in un caso del genere non aveva la più pallida idea di cosa rispondere, soprattutto perché si trattava di quell’Akashi.

Tetsuya, da che lo conosceva, aveva sempre pensato che Akashi nascondesse dentro di sé qualcosa di profondamente oscuro, ma non sarebbe mai riuscito ad immaginare fino a che punto, proprio come non avrebbe mai potuto prevedere che sarebbe stato uno stupidissimo uno contro uno con Murasakibara ad accendere la miccia che lo avrebbe portato ad essere “l’Imperatore”. Era semplicemente assurdo, all’Amnesty erano sottoposti tutti ad una pressione psicologica incredibile, primo tra tutti lo stesso Seijuro, eppure a scatenare quell’inferno era stato ciò che sarebbe dovuto essere null’altro che un passatempo.

Non che il ragazzo avesse mai preso con leggerezza qualcosa che –a confronto con le loro vere vite- era una mera sciocchezza, ma arrivare a perdere il controllo in quel modo era stato così inaspettato da lasciarlo più sconvolto di quanto avrebbe voluto ammettere con se stesso.

Al cambiamento di Akashi aveva assistito l’intera Generazione dei Miracoli, ma con tutte le probabilità, tra tutti solo lui aveva capito davvero cosa stava davvero succedendo, pur non riuscendo a capacitarsene.

Poi ci aveva pensato meglio ed aveva capito, rimanendo inorridito dalle sue stesse conclusioni.

Il loro mondo era spietato, non erano permessi fallimenti, per questo l’ipotesi di poter perdere un semplice uno contro uno a basket doveva aver turbato così profondamente Seijuro.

“Se perdo a qualcosa come il basket, come posso riuscire in tutto il resto”.

Kuroko era convinto che per la mente di Akashi dovesse essere passato un pensiero del genere e a quel punto, qualcosa era scattato.

L’Akashi che conosceva era scomparso, ed ora rimaneva lui, l’Imperatore e, neanche a dirlo, ciò aveva influenzato in modo profondo ciò che accadeva all’Amnesty.

Ormai non bastava più limitarsi a portare a termine le missioni, Akashi da lui e da Hanamiya pretendeva la perfezione assoluta, quindi sentirgli dire che una missione portata a termine per un soffio “andava bene così”, era da considerarsi un evento più unico che raro.

Trattenne un sospiro di profondo sollievo e tornò a concentrarsi sull’altro.

«Sei sopravvissuto per puro miracolo e sei rimasto privo di sensi due giorni» gli disse Akashi, incrociando le braccia al petto, come se l’aver rischiato la vita fosse stato un oltraggio nei suoi confronti. Era ovvio che all’Imperatore non importasse nel modo più assoluto della sua vita, era solo un pezzo della scacchiera, ma era altrettanto ovvio che se lui avesse perso la vita in una missione del genere, la credibilità di Akashi ne avrebbe risentito in modo molto grave.

«Due giorni, questo vuol dire che dopodomani iniziamo il liceo» mormorò appena Kuroko, per portare la conversazione su un argomento meno pesante.

«Già. E a proposito di questo, non verrai al Rakuzan assieme a me» gli disse, sedendosi accanto a lui.

Kuroko inclinò appena la testa di lato, senza riuscire a trattenere una punta di curiosità nello sguardo. «Perché?»

«Ho bisogno di qualcuno che si infiltri al liceo Seirin per sorvegliare una persona. Il padre di questo ragazzo è un trafficante d’armi. Per il momento dovrai solo avvicinarlo e tenerlo d’occhio; se il padre non si piegherà al nostro volere, dovrai uccidere il ragazzo» spiegò, spiccio. Eventuali dettagli glieli avrebbe dati in seguito.

«Chi è l’obiettivo?»

«Kagami Taiga».

 

 

 

Death Note: Tan Tan Taaan. Il nostro povero Taiga a quanto pare è nei guai <3 E abbiamo visto in azione la Strana Coppia <3 E questo spazio si sta riempiendo in modo smisuratamente osceno di cuoricini D8 (<3). No, okay, Stahp!

Come sempre, ringrazio tanterimo Rota che mi sta davvero dando un grossissimo aiuto e ringrazio anche _Doll che sopporta i miei scleri <3

Hasta la Pasta a tutti <3

 

 

 

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Capitolo 3
*** Retrace III: Deeper and Deeper. ***


 

 

 

Retrace III: Deeper and Deeper.

 

Kuroko inspirò l’aria fresca del mattino, sentendosi sereno come non lo era da tempo.

Dopotutto quella missione avrebbe potuto fargli bene: gli era capitato solo una volta e per pochissimi minuti di veder giocare la squadra di basket del liceo Seirin e senza scampo ne era rimasto affascinato.

Si era detto che, se fosse stato un ragazzo normale, avrebbe voluto giocare in una squadra come quella, dove la fiducia nei propri compagni era quasi palpabile, al contrario della Teiko, dove in modo lento ma inesorabile si era insinuato un gelo così tagliente da recidere i fili che avevano unito la Generazione dei Miracoli. Ovviamente la loro squadra non si era sgretolata solo a causa dello sbocciare dei vari talenti, ma lui stesso –che tanto aveva fatto “ramanzine” ad Aomine per il fatto che saltasse sempre più spesso gli allenamenti- alla fine si era ritrovato a non presentarsi quasi più in palestra a causa delle missioni che cominciavano ad occupare tutto il suo tempo libero.

Inventarsi scuse convincenti per giustificarsi con gli altri era diventato sempre più difficile e alla fine non gli era restato che arrendersi al fatto che non sarebbe riuscito a far tornare le cose come prima, soprattutto se lui stesso saltava tre allenamenti su quattro.

Sospirò così piano da essere quasi del tutto impercettibile e decise che non voleva annegare in quei pensieri.

Adesso devo solo avvicinare Kagami Taiga e fare in modo che si fidi di me, che male può farmi fingere di non essere un sicario ma un semplice ragazzo del liceo?” si domandò, per poi ricordarsi un altro particolare molto importante: per un po’ di tempo sarebbe stato lontano da Hanamiya.

In pratica era un sogno, quindi non si sentì affatto in colpa nel non riuscire a trattenere un sorriso, riconoscente per quegli attimi di pace che gli si prospettavano davanti.

Tirò fuori un libro e si mise a leggere mentre camminava. Non riuscì neanche a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva davvero letto un romanzo che in realtà non fosse qualche manuale su come ammazzare le persone, opportunamente nascosto dietro la copertina di qualche grande classico per non destare sospetti.

Si stiracchiò appena, si sentiva ancora un po’ indolenzito, ma andava molto meglio di quando si era risvegliato all’Amnesty, due giorni prima.

Non riuscì ad impedirsi di ripensare alle parole che gli aveva rivolto Akashi in quella situazione.

 

«Ascoltami bene, Tetsuya, questa forse sarà la missione più difficile che tu abbia affrontato fino ad ora, quindi cerca di non deludermi» aveva detto Akashi, dopo essersi assicurato che Kuroko non distogliesse lo sguardo dal suo.

Kuroko era riuscito a mettersi seduto sul letto ed incrociò gambe e braccia, non comprendendo le parole dell’altro, «Cosa dovrebbe esserci di complicato?» aveva mormorato, per poi concedersi un attimo di esitazione, «Le vite umane sono assurdamente fragili, nessuna esclusa. Cosa ci dovrebbe essere di difficile nel spezzare questa in particolare?»

«La vicinanza, Tetsuya. Per farti un esempio, se io te lo ordinassi in questo preciso istante, tu uccideresti quel tuo “amico”, Shigehiro Ogiwara

Kuroko sapeva fin troppo bene che, vista la sua posizione, avrebbe dovuto rispondere subito con un “Sì”, ma ancora una volta aveva esitato, cosa che era bastata ad Akashi per capire la vera risposta. Tuttavia, a Tetsuya non era sembrato affatto stupito di ciò.

«Sei un essere umano, dopotutto. E’ per questo che ho provveduto ad allontanarlo da te, rischiava di compromettere la vita che stai svolgendo».

«Quindi la partita...?»

«Esatto, era tutto programmato. Devo impedire che la tua umanità possa diventare un intralcio» Akashi si era passato una mano tra i capelli per poi riprendere a parlare, «non avvicinarti emotivamente al tuo bersaglio o sarà la tua rovina».

«Penso che ormai per me sia impossibile avvicinarmi emotivamente a qualcuno, Akashi-kun. Non c’è pericolo che io possa deluderti».

L’altro gli aveva sollevato appena il viso con il pollice e l’indice e gli aveva rivolto un sorriso che nascondeva in sé qualcosa di terribilmente falso, «Ne sono sicuro».

«Non c’è davvero bisogno che io mi avvicini a Kagami, per tenerlo d’occhio» aveva notato Kuroko, dopo qualche secondo di silenzio, in un’implicita richiesta di spiegazioni.

«Vero» gli aveva concesso Akashi, «I motivi per cui io voglio che tu lo avvicini sono due: il primo è perché potrebbe farsi sfuggire con te qualche informazione su suo padre. Il secondo motivo lo saprai a tempo debito».

«Ma-»

Era bastata un’occhiata tagliente di Akashi per interrompere in modo immediato la frase di Tetsuya.

«Stai davvero pensando di contestare un mio ordine?» il tono di voce era stato calmo come al solito, ma Kuroko aveva avvertito in modo distinto una nota di pericolo.

«No, ovviamente no».

 

 

 

Kuroko sospirò, dicendo addio al buonumore che lo aveva animato fino a pochi secondi prima.

Odiava vedere Akashi sorridere in quel modo e più di ogni altra cosa desiderava vederlo tornare in sé, ma non aveva la più pallida idea di come fare.

Sbuffò e accelerò il passo, raggiungendo la scuola in poco tempo, senza smettere di leggere mentre avanzava.

Una volta varcato il cancello, venne investito da un caos senza fine, fatto di voci che sbraitavano da una parte all’altra, incitando gli studenti ad iscriversi ai vari club scolastici.

Nonostante avesse dovuto predominare il nero delle divise, il cortile della scuola oltre che da voci era invaso da colori fin troppo sgargianti.

Sembra un circo” pensò Kuroko, ormai troppo abituato al rigore della Teiko e dell’Amnesty.

Si fece coraggio e si mise a cercare lo stand del club di basket, tenendo davanti a sé il suo fidato libro, come a creare uno scudo tra sé e tutto quel frastuono.

Sicuramente Kagami si iscriverà al club di Basket, così mi ha detto Akashi-kun. Se mi iscrivessi prima del mio bersaglio e rimanessi nei paraggi dello stand, potrei approfittarne per iniziare a studiarlo già da subito” si disse, voltando una pagina del libro.

Per fortuna non ebbe neanche bisogno di utilizzare la Misdirection per passare del tutto inosservato e non ci mise troppo tempo a trovare ciò che stava cercando.

Si avvicinò allo stand, ma non rivolse la parola alla ragazza seduta dietro al tavolino, limitandosi a prendere un modulo di iscrizione, compilandolo; inutile dire che nessuno se ne accorse e a Kuroko non rimase che aspettare lì di veder spuntare il suo obiettivo.

Non ci volle molto prima che un ragazzo identico alla fotografia che gli aveva dato Akashi si facesse avanti, reclamando un modulo di iscrizione con voce quasi annoiata, come se con la sua presenza stesse solo facendo un favore a tutti quanti.

Arrogante” pensò subito Tetsuya, cercando di convincersi che quel ragazzo non gli ricordasse in modo incredibile Aomine. Storse il naso in modo impercettibile, sentendosi un po’ infastidito.

“Questi fenomeni si credono davvero chissà chi… se scoprissero quanto in realtà siano fragili, forse smetterebbero di darsi tutte queste arie” pensò, distratto, rendendosi conto solo dopo di quanto un pensiero del genere fosse cinico e lontano dal tipo di persona che voleva essere.

Scacciò quelle riflessioni e si affrettò a seguire Kagami, che dopo aver lasciato sul tavolo il modulo, compilato solo per metà, si diresse verso l’interno della scuola.

Kuroko scoprì che lui e Taiga erano nella stretta classe; coincidenza troppo fortuita per essere considerata tale, quindi si disse che in tutto quello doveva esserci lo zampino di Akashi.

Meglio così, avrò più tempo per studiarlo”.

Si sedette al banco dietro a quello del suo bersaglio e passò l’intera giornata ad analizzarlo nei dettagli, come se non fosse una persona ma un misero oggetto di studi.

Come aveva già appurato prima allo stand, doveva essere una persona molto sicura di sé, ma oltre alla presunzione c’era qualcosa nel ragazzo che in quel momento non riuscì a comprendere del tutto.

Notò che aveva un anello appeso ad una catenina legata al collo ed ogni volta che lo sfiorava, senza rendersene conto il suo sguardo si velava di una leggera malinconia. Doveva essere il ricordo di qualcuno a cui voleva bene.

Si disse che anche a lui sarebbe piaciuto avere un legame del genere con qualcuno, per poi ricordarsi che in effetti lo aveva: Ogiwara gli aveva lasciato il suo polsino, il loro legame era ancora vivo, nonostante la profonda ferita inferta da Akashi.

L’ha fatto per il mio bene” si ripeté per l’ennesima volta, sperando di riuscire a convincersene al più presto.

Si disse che quella era la prova che il vecchio Akashi fosse ancora da qualche parte dentro Seijuro: cercava di reprimere la sua umanità non per cattiveria ma per salvarlo da se stesso. Un killer che si permette di essere umano spesso fa una brutta fine.

In quel momento prese la sua decisione, avrebbe riportato indietro il vero Akashi a qualsiasi costo. Seijuro era vittima di quel mondo ancora più di lui, c’era nato dentro, non aveva mai avuto scelta; ora che più che mai quella voragine nera lo stava risucchiando, non poteva lasciarlo a se stesso.

Forse per questo l’Imperatore lo avrebbe rimproverato di nuovo per la sua eccessiva “umanità”, ma ad essere sincero, in questo caso non gliene importava. Killer o non killer, non poteva abbandonare Akashi.

Una volta risvegliatosi da quei pensieri, si biasimò per quella sua improvvisa incapacità di restare concentrato e tornò ad osservare Kagami, sospirando appena.

 

[…]

 

 

Studiare qualcuno non è mai stato così stancante” pensò Kuroko, abbandonandosi sfinito ad un tavolo del Maji Burger.

Il giorno prima aveva perfino sfidato Kagami ad un uno contro uno, venendo stracciato all’istante, mentre quel pomeriggio gli aveva mostrato la sua Misdirection nella partita contro i senpai, dimostrando come si era ritagliato uno spazio nella Generazione dei Miracoli.

Guardò con profonda nostalgia il Vanilla Shake che aveva comprato e che non avrebbe bevuto.

Ormai erano due anni e mezzo che non beveva Vanilla Shake. L’evitare di consumare cibi di cui non conosceva la provenienza e che quindi potevano contenere veleno, era una delle prime cose che gli erano state insegnate, quindi questo valeva anche per i suoi adorati Vanilla Shake.

Aveva fatto tesoro di quella regola, ma la paranoia vera e propria per il cibo gli era venuta solo dopo che Hanamiya aveva deciso di specializzarsi nella preparazione di veleni.

Suppongo sia uno degli svantaggi di avere un partner psicopatico” pensò, guardando quasi con tristezza il bicchiere.

Avrebbe potuto risparmiarsi quello strazio, ma la verità era che starsene seduto in un fast food ad osservare le persone gli era più utile di quanto avesse mai creduto possibile, quindi quasi tutti i giorni arrivava, si comprava un Vanilla Shake e faceva finta di berlo, immergendosi per qualche minuto nelle vite degli altri e scordandosi la propria.

 Tra poco devo fare rapporto su come procede la missione” pensò, guardando l’orologio appeso dietro al bancone.

Cosa avrebbe detto a Seijuro? A conti fatti, benché avesse cominciato già a smuovere qualcosa, al momento non aveva nulla in mano. No, presentarsi da Akashi e dirgli che non aveva ancora concluso nulla non lo allettava affatto come idea.

Udì qualcuno sedersi al suo stesso tavolo e questo lo riscosse dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà.

Kagami-kun?

Il ragazzo non sembrava essersi nemmeno accorto che il tavolo fosse già occupato e prese a scartare uno dei numerosissimi panini che gli ingombravano il vassoio.

Davvero ha intenzione di ingurgitare tutta quella roba?”

«Buonasera, Kagami-kun» disse a bassa voce, osservandolo con noncuranza.

Taiga per poco non si strozzò con il panino e lo guardò come se avesse appena visto un fantasma, reagendo con un’imprecazione pesante mormorata a denti stretti, per poi domandargli da dove fosse spuntato.

Kuroko non si scompose «Sono qui da prima che arrivassi tu» spiegò, tranquillo.

«Be’, vattene, non voglio che la gente pensi che siamo amici» sussurrò Kagami, guardandosi attorno come se temesse che tutto il locale stesse osservando proprio loro due.

«Questo è il mio solito posto» si limitò a commentare Kuroko, fingendo di bere un sorso di Vanilla Shake.

A costo di sembrare ripetitivo: arrogante”.

Kagami sospirò e poi, senza nessun preavviso o senso logico, gli lanciò un panino. Tetsuya lo prese al volo e guardò il suo obiettivo con aria dubbiosa.

«Non mi interessano i deboli, ma almeno questo te lo sei meritato» disse l’altro, distogliendo appena lo sguardo.

Kuroko non riuscì a trattenere del tutto un sorrisetto vittorioso: era riuscito ad attirare l’attenzione di Taiga, ora non gli rimaneva che trovare un modo per legarlo a sé. Avrebbe portato a termine la missione a qualsiasi costo, il fallimento non era contemplato.

«Grazie» disse, senza però accennare a scartare il panino.

Di sicuro Kagami lo credeva un semplice studente e non avrebbe mai immaginato a chi si stesse davvero avvicinando, ma la prudenza non era mai troppa, quindi mise da parte il panino per poi ributtarlo nel cumulo di quelli di Taiga alla sua prima distrazione.

Riprese a fingere di consumare la sua bibita, aspettando che uno dopo l’altro gli hamburger sparissero nella bocca del compagno di squadra. Scosse la testa in modo quasi impercettibile, in segno di disapprovazione: in meno di un quarto d’ora aveva ingurgitato più panini di quanto uno stomaco umano potesse contenere senza esplodere.

Gli venne più che naturale seguire Kagami fuori dal fast food e l’altro dal canto suo non se ne lamentò, quindi per un po’ camminarono in assoluto silenzio, fianco a fianco.

«Com’è questa Generazione dei Miracoli? Se dovessi affrontarli adesso, come finirebbe?» chiese all’improvviso Taiga.

«Ti farebbero a pezzi» rispose Kuroko senza la minima esitazione.

Ovviamente non era la risposta che si aspettava Kagami, perché lo guardò malissimo, «Dovevi proprio dirlo così?!»

Come avrei dovuto dirlo? Prefazione, svolgimento ed epilogo?”

 Alzò gli occhi al cielo, per poi guardare ancora Taiga. «Tutti i cinque membri della Generazione dei Miracoli sono andati in una scuola differente e di sicuro ognuna di quelle scuole raggiungerà la vetta» spiegò.

Il sorriso entusiasta che gli rivolse Kagami lo colse impreparato «Grandioso» disse, sorridendo come se non potesse contenere l’emozione «Ho deciso, li batterò tutti e diventerò il numero uno del Giappone».

Kuroko non riuscì a trattenere un sorriso sincero, per poi pentirsene subito dopo. Cosa stava facendo? Cominciava a simpatizzare per il suo bersaglio? Si marchiò indelebilmente in testa che quel ragazzo con tutte le probabilità sarebbe stato null’altro che l’ennesimo nome che avrebbe arricchito l’elenco delle persone che aveva ucciso in quegli anni. Doveva restare il più distaccato possibile.

No, non devo preoccuparmi per quel sorriso, di sicuro era solo immedesimazione nella parte. Dopotutto farci amicizia fa parte della mia copertura, devo fingere che non mi sia indifferente” pensò, prima di darsi dell’idiota per non aver capito subito cosa significassero in realtà le parole di Kagami.

Taiga aveva aperto un varco e lui si sarebbe insinuato al suo interno senza esitazioni, tenendolo così in pugno finché sarebbe stato necessario.

«Non credo che ce la farai» disse tranquillo, fermandosi ed alzando lo sguardo verso di lui, «Non so se tu abbia qualche talento nascosto, ma da ciò che ho visto, non sei affatto al loro livello, non puoi farcela da solo. Perciò anche io ho deciso. Io sono un attore non protagonista, un'ombra. Ma un'ombra diventa più scura quando la luce è forte ed è così che fa risaltare il bianco della luce. Come ombra ti renderò luce e ti farò diventare il numero uno del Giappone».

Kagami sgranò gli occhi, stupito da un discorso del genere, per poi riprendersi subito e sorridergli quasi con arroganza.

«Va bene».

 

 

[…]

 

 

Akashi quella sera si era fermato al quartier generale dell’Amnesty e si sentiva profondamente irritato. Era rimasto in ufficio solo per aspettare Tetsuya ed il suo rapporto, ma l’altro era in ritardo di quasi un’ora.

Inaccettabile.

Se Tetsuya non fosse tornato con notizie più che ottime, in grado di giustificare quel ritardo inammissibile, lo avrebbe punito.

Sentì un tocco leggero alla sua porta e seppe subito che si trattava di Kuroko; ormai aveva imparato a riconoscere quel suono, non poteva sbagliarsi. Aprì la porta, ma non diede all’altro il tempo di provare a giustificarsi e lo freddò con un’occhiata che non lasciava nessun dubbio sulle sue intenzioni: senza una motivazione più che valida, lo avrebbe ucciso senza rimpianti.

«Ti conviene avere buone notizie. Sai bene che non tollero i ritardi».

A dispetto di ogni aspettativa di Akashi, Tetsuya accennò un sorriso quasi del tutto impercettibile, per nulla sconvolto da quella occhiata.

Che se lo sia aspettato?” si chiese.

«Ho notizie molto migliori che “buone”».

Akashi lasciò la presa sull’altro e gli fece cenno di continuare a parlare. Capitava di rado che Tetsuya fosse soddisfatto di se stesso, per quanto riguardava il loro lavoro, quindi dovevano essere notizie davvero ottime.

Si sedette dietro la sua scrivania, osservando Kuroko con attenzione. «Hai già avvicinato il tuo obiettivo?»

«Ho fatto di meglio, ho trovato il modo per impedirgli di allontanarsi da me», si sedette di fronte all’altro, guardandolo negli occhi, «vuole sconfiggere la Generazione dei Miracoli e l’ho convinto che per farlo avrà bisogno di me».

Akashi decise di graziarlo con un sorriso compiaciuto e gli sfiorò impercettibilmente il viso per qualche rapido istante, in un’assurda imitazione di una carezza, che in realtà era solo uno sfoggio di proprietà «Ti ho addestrato bene, Tetsuya. Non solo sei riuscito in poco tempo a guadagnarti la fiducia del tuo bersaglio, ma sei anche riuscito ad ottenere ciò che vuoi davvero».

«E cos’è che vorrei davvero?»

«Un mezzo per sconfiggere la Generazione dei Miracoli, ovvio».

 

 

Death Note: Lo so, lo so… la chiacchierata tra Tetsu e Bakagami è praticamente copiata pari pari dall’originale… shame on me ;; Solo che, be’, così doveva andare e così è andata.

Comunque, Akashi è sempre più perso nelle sue psicosi e Kurokocchi si sta brillantemente avvicinando a Kagami. Si accettano scommesse su come andrà avanti u.u

Come sempre ringrazio Rota per aver betato il capitolo <3

 

 

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