Geis Dun - Dorchadas Berserk

di Geis Dun
(/viewuser.php?uid=706151)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 – Lyon, Il Dio Senza Memoria ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Maddy ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il mito è il fondamento della vita,
lo schema senza tempo,
la formula secondo cui la vita si esprime
quando fugge al di fuori dell'inconscio.
Thomas Mann
 
PROLOGO
 
La Banshee era rivolta di spalle, china sulla riva del fiume mentre le dita esili sfioravano l’acqua gelida.
Acqua… era troppo rossa per essere semplice acqua e Maddy lo sapeva.
Il candore della pelle della sidhe era risaltato dalla veste grigia e logora che fluttuava ad un vento apparentemente inesistente, e che la ragazza non avvertiva.
Ma nonostante il paesaggio famigliare e la presenza conosciuta, Maddy percepiva una strana sensazione di disagio che le faceva accapponare la pelle.
Questa volta qualcosa era diverso. Qualcosa stava cambiando.
La fae si alzò lentamente, non l’aveva mai fatto prima.
Madeline la vide voltarsi mentre brividi di terrore le risalivano lungo la spina dorsale: la banshee non aveva occhi.
 
 
 
 
Silenzio, uno assoluto, se non fosse per quella voce che le sue orecchie catturavano, con quei fonemi espressi, ma recepiti in modo talmente distorto da rendere difficoltosa la stessa comprensione. Era una voce maschile però, che si esprimeva a riguardo di una missione. Ma quale incarico? Ma cosa più importante, quale era il suo nome?
Ebbene sì, sembrava che la sua memoria venisse bruciata, lentamente, rimuovendo ogni conoscenza all'infuori della propria educazione, quella ferrea, che gli fu impartita da... No, non ricordava affatto.
Ma, per estrema fortuna, riuscì però a scorgere un ultimo fonema, prima di serrare le proprie palpebre ed immergersi in quella oscurità, che non durò eccessivamente.
Lyon, il suono del suo nome che riecheggiava nella propria mente, vuota e priva di pensieri, prima di poter ottenere nuovamente l'estremo ed importante dono della vista: bianco, un colore così candido, che lo ricopriva completamente, immerso in quell'oceano, si, ma fatto interamente di neve.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 – Lyon, Il Dio Senza Memoria ***


Quelle iridi nere si proiettavano sul loco circostante al proprio corpo, potendo riscontrare solo una quantità immensa di neve e ghiaccio, e difatti, guardandosi attentamente attorno, ruotando il proprio capo in ambedue le direzioni, poteva comprendere facilmente di essere sopra ad un'elevata montagna, ove le temperature permanevano basse, sufficientemente da permettere quel clima glaciale. Il firmamento intanto era scuro, dipinto di un grigiore che non sembrava promettere positivamente. Ma per quanto poteva scuoterne lo spazio all'esterno di quel corpo, all'interno di se stesso risuonava ancora quell'unica voce, quell'unico termine che aveva compreso.
 - Lyon.
 
Schiuse le labbra, di poco, mentre aveva richiamato un briciolo d'aria che immediatamente risalì lungo la cavità orale, per far vibrare le proprie corde vocali ed infine una scansione con la propria lingua, per esplicare quello che dovrebbe essere il proprio nome.
Sembrava quasi assortito da quanto era avvenuto qualche secondo fa: a quella voce non riconosciuta, non ancora. Ma oramai era stanziato lì e non poteva rimanere immobile, sopratutto perché la neve stava iniziando ad accumularsi su quel corpo. Un corpo perfetto, senza pecca alcuna. Un adone, dalla chioma corvina che giunge a sfiorare le proprie spalle, ignude. Ebbene si, il suo busto era completamente scoperto, mancante di qualsiasi indumento possibile, ritrovandosi unicamente con un pantalone nero, che velava le proprie gambe, e degli stivaletti neri che giungevano poco sopra la zona della caviglia. Pelle candida, chiara, che si avvicinava in qualche modo a quella fredda neve, ma stranamente non avvertiva nessuna sensazione, sulla superficie della propria pelle: il freddo non lo scalfiva minimamente!
 
Dopo aver impiegato un briciolo di forza per erigersi, in tutta la sua possente figura e sublime bellezza, il capo sembrò calar di poco, mentre le braccia, che erano fino ad ora adagiate lungo i propri fianchi, in modo parallelo all'eretto busto, si protesero di poco in avanti, galleggianti in aria. Le osservava, con estrema attenzione. Ne ruotava le mani, come se le stesse studiando attentamente, per poi contrarre i propri muscoli, aprendo e chiudendo la mano, imprimendo una lieve pressione dalle dita sui propri palmi. Strinse un poco. Ne avvertì la forza, quella che veniva esercitata. Era vivo.
- Credo che sia meglio muoversi, prima che il tempo peggiori.
 
Ancora una volta quella voce andava ad esternarsi, notando come dell'aria espressa dalle proprie labbra, a contatto con l'aria esterna, si condensi così velocemente, da formulare una piccola nube biancastra, opaca e velata, che risalì verso l'alto, scomparendo subito dopo. La gamba destra indi venne innalzata, con il ginocchio che sfiorava quel busto, definito e delineato sotto ogni aspetto, prima di affondare nuovamente nella neve, ad una decina di centimetri dalla sua posizione precedente. Movimento analogo venne attuato dalla leva inferiore, quella mancina, per proseguire, ed esordire in quella proiezione, casuale e disordinata, senza una meta ben determinata, ma con l'unica speranza di ritrovare una struttura, o qualcosa di simile, ove potersi rifugiare ed attendere che quella tempesta di neve si plachi. Nessun brivido che risaliva la propria schiena, nessun intorpidimento dei muscoli, che venivano contratti e rilasciati con una certa facilità, senza difficoltà alcuna.
Ed in quei minuti che lo accompagnavano, in quel percorso, la propria mente tentò di collegare i vari tasselli di quel puzzle, meglio conosciuto come il proprio passato, ma purtroppo non ebbe nulla su cui basare ogni singolo pensiero. La propria memoria era stata completamente cancellata, demolita brutalmente, e quella sensazione era orrenda. Sperduto, senza poter determinare un'origine e senza poter comprendere il motivo per il quale fosse lì e cosa doveva eseguire.
Il suo volto, intanto, sembrava mancare di una particolare espressione, di un lineamento facciale che potesse esprimere qualche sensazione. Asciutto. Privo di ogni sorta di emozione, in quell'istante, facendo sì che ogni pensiero potesse riguardare e concretizzarsi in quel movimento, lento, ma caratterizzato da ampie falcate. Un continuo susseguirsi di passi. Scandiva un tempo regolare, mentre le braccia sembravano coordinarsi allo spostamento eseguito, in modo tale da massimizzarlo e sprecare quanto meno energie possibili.
 
- Quella...
 
Si, non era totalmente facile poter scandire le proprie parole, notando come il tempo stesse peggiorando, sempre di più, diminuendo nettamente il campo visivo dell'entità divina. Quest'ultimo fu infatti costretto, per proteggersi dalla catastrofe climatica in arrivo, ad alzare le braccia e posizionarle dinanzi al proprio corpo, in modo obliquo, ricreando quasi uno scudo per il proprio volto, ma concedendogli però possibilità di poter scorgere ancora qualcosa. Le palpebre si assottigliarono, per notare che, non molto distante, vi era una forma indefinita, che assomiglia ad una casa.
 
- Forse è meglio rifugiarsi, per ora.
 
Serrò immediatamente le labbra, mentre avanzava ora con lieve difficoltà, seppur quel freddo non sembrava esser degno della sua attenzione; come se il suo corpo fosse rinchiuso e sigillato in una corazza, invisibile, che permetteva una forte resistenza al freddo. Ma lui, purtroppo, non poteva saperlo, nemmeno un accenno, in quanto non ricordava nemmeno di essere un Dio e poter usufruire di poteri sovrumani, i quali furono celati e nascosti, immessi nel suo subconscio.
Altri pochi passi, abbastanza da rendere lo sguardo migliore e poter visualizzare come la forma prima indefinita si rivelò essere realmente una casa, costruita mediante tronchi d'albero.
Si accorse d'una luce artificiale accesa, al suo interno, potendo comprendere che vi fosse qualcuno e che avrebbe avuto una mera possibilità di essere ospitato da costui, per quella notte. Almeno per quella notte, sperando di poter riposare o, forse, di potersi svegliare, se tutto ciò fosse un sogno. Un triste e solitario, sogno.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Maddy ***


La ragazza si era svegliata all’improvviso, destata dal rumore della neve che cadeva dal tetto.
Neve…
Era ormai aprile inoltrato, l’inverno era stato decisamente più rigido degli altri ed inaspettatamente lungo. I raggi pallidi di sole che filtravano dalla finestra erano alquanto deboli e la loro presenza veniva costantemente bloccata da nubi scure e uggiose.
A Green River le nevicate erano sempre state abbondanti, addirittura nella stagione del 1948-49 ci fu una nevicata così forte ed abbondante che mise l’intero Wyoming in ginocchio. La nonna, quando era in vita, glielo ricordava spesso.
Ma quest’anno era diverso. Maddy non ne conosceva il motivo ma sentiva che qualcosa stava cambiando.
 
La ragazza si vestì in fretta. Ormai si stava facendo tardi e i suoi cavalli non potevano certo aspettarla all’infinito.
Da 2 anni Madeline lavorava al River Ranch, nei pressi del fiume Yellowstone e per i suoi 23 anni era decisamente un buon posto di lavoro. I cavalli erano sempre stati la sua passione: cavalcare, godere la velocità e la brezza dell’aria che ti accarezza il viso. Sentire un corpo caldo e robusto tra le gambe, prendersi cura di quegli animali così forti fisicamente e allo stesso tempo tanto fragili da avvicinarsi ai sentimenti umani.
- Maddy, sbrigati, la colazione è pronta!
- Arrivo!
La voce di sua madre la destò improvvisamente dai suoi pensieri; doveva sbrigarsi se non voleva arrivare in ritardo.
 
- Sei sicura di voler andare al ranch? Non sarebbe meglio che telefonassi a Robert? Le condizioni meteo non promettono nulla di buono, è pericoloso.
- Dannazione mamma, non posso fermarmi per una semplice nevicata!
Non era una semplice e Maddy, infondo, lo sapeva.
- Fa come credi, sei uguale a tuo padre! Testarda!
La ragazza vide sua madre voltarsi verso la cucina e fuggire, non era mai stata una donna adatta alle discussioni.
Quindi si alzò e decise di uscire.
 
Appena Maddy aprì la posta di casa fu investita da una folata di vento gelido.
L’aria frizzante (quasi una carezza… una mano fredda, tagliente, famigliare… ) le scostò una ciocca di capelli biondi dal viso.  Come tutte le mattine, un Blinzgulis era svogliatamente “seduto” – se così si poteva definire la posizione di quel dio apparentemente viscido, senza spina dorsale - sul ramo di un albero ormai spoglio da troppo tempo, le zampe cineree artigliavano il tronco lasciandone i solchi mentre le ali argentee erano spiegate quasi a pavoneggiare una bellezza inesistente, almeno per i gusti umani di Maddy.
La ragazza lo ignorò, come di consueto, ignorando altresì le risa di scherno che provenivano da quella bocca spigolosa, formata da labbra biancastre e denti di ghiaccio.
Si avviò velocemente verso la macchina. Ogni soffio di quell’essere era una ventata gelida.
Salì in macchina e si avviò piano verso il ranch.
Neve.
Ovunque Maddy voltasse la testa vedeva solo neve e ghiaccio. E quella notte la nevicata era stata decisamente più abbondante del solito, tanto da non riuscire ad individuare la strada.
Una piccola esplosione proveniente dal cofano dell’auto fece sobbalzare la ragazza che frenò di colpo; l’auto di spense subito dopo.
- Maledizione, ci mancava solo questa…
Provò più volte a girare la chiave ma invano: l’auto non dava cenni di voler ripartire.
La ragazza si sporse dal finestrino e vide che le ruote della macchina erano completamente affondate nella neve. Non sarebbe mai stata in grado di uscire da lì, non da sola.
Doveva cercare aiuto.
Maddy, dopo qualche minuto di indecisione, si decise ad aprire la portiera dell’auto e scese, cercando di ignorare il freddo della neve che le arrivava alle ginocchia.
Si guardò attorno per capire se quello fosse stato uno scherzo di qualche Blinzgulis ma di quei demoni non si vedeva traccia. C’era il silenzio attorno a lei, rotto solamente dal fruscio del vento contro degli alberi dai rami ormai spogli da troppo tempo e che si innalzavano al cielo come scheletri di ghiaccio.
Il cielo plumbeo non prometteva nulla di buono: presto avrebbe ripreso a nevicare.
Prese il cellulare dalla tasca del cappotto per avvisare Robert dell’imprevisto. Digitò il numero… ma non udì nulla. Nessun suono.
Con un gesto di stizza tornò dentro all’auto per prendere la borsa, ci cacciò il cellulare alla rinfusa e se la mise a tracolla. L’unica soluzione sarebbe stata quella di riprendere il cammino verso il paese seguendo le orme dell’auto.
Chiuse a chiave la macchina e…
- Oh mio Dio…
Madeline guardava il retro dell’auto stupita, angosciata, incredula.
La macchina non aveva lasciato orme, sembrava essere spuntata dal nulla in quel mare di neve e freddo.
Era arrivato il momento, lo sapeva.
Era una strana consapevolezza che le creò uno strano brivido lungo la schiena e sapeva con certezza che non era il freddo.
Si guardò attorno sperando di vedere qualcosa di famigliare ma c’erano solo alberi spogli, innevati e tutti maledettamente uguali!
Si passò le mani tra i capelli in preda ad un momento di disperazione. Qualcosa avrebbe dovuto pur fare…
Un lampo secco, inaspettato e seguito da un tuono la fece sussultare e chinare su se stessa, mentre un leggero urlo le usciva dalle labbra.
Dopo qualche istante di incertezza alzò lo sguardo: una baracca. O forse era una capanna, un rifugio… non si vedeva bene ma sicuramente non era molto distante.
Maddy si incamminò con difficoltà, lo scricchiolio della neve sotto gli stivali mentre affondava. Non sapeva cosa o chi avrebbe trovato in quella dimora, sapeva solamente che la sua avventura sarebbe cominciata da lì.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2679488