I will try to fix you

di Bidirezione
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Sasuke non è uno sbronzo felice. ***
Capitolo 2: *** Sabati notte in cui vuole solo scopare. ***
Capitolo 3: *** Sabati notte colmi di errore. ***
Capitolo 4: *** Sabati notte in cui mi sentivo uno sciamano. ***
Capitolo 5: *** Sabati notte in cui Sasuke voleva solo piangere. ***
Capitolo 6: *** Una domenica positive. ***
Capitolo 7: *** Sabati notte in cui ci volevamo bene. ***
Capitolo 8: *** Sabati normali. ***
Capitolo 9: *** Quel sabato notte in cui Sasuke mi portò nel luogo della perdizione. ***
Capitolo 10: *** Una sera - triste - della settimana. ***
Capitolo 11: *** Sabati notte in cui facevo il coglione. ***
Capitolo 12: *** Sabati notte felici. ***
Capitolo 13: *** Una giornata perfettamente normale. ***



Capitolo 1
*** Prologo: Sasuke non è uno sbronzo felice. ***


Salve tenerezze!
Stasera (ormai sono da 'ste parti ogni sera) Vi propongo l'inizio di una
raccolta tremendamente angst, tremendamente triste e scassa marroni per quanto sarà forte e nonsense, ma sono in un periodo altalenante (per quello avrete notato scrivo un botto, è uno sfogo) e mi viene da buttare giù cose tutt'altro che positive, quando oscillo verso il basso come ieri sera.
Questa fic doveva essere una flashfic singola ma da bravo bambino (?) ho deciso di farne una raccolta! Si tratta di una sorta di
relazione sofferta (ma va') tra Naruto e Sasuke, osservata e raccontata dal punto di vista di Naruto. L'idea centrale che da il via a tutto è che Sasuke si presenta sbronzo quasi ogni sabato notte a casa di Naruto e questi non può fare altro che accoglierlo.
Ogni sabato è diverso, ogni sabato è una storia a sé eppure collegata a tutte le altre tristi storie che raccontano di Sasuke. Questa raccolta sarà a flashfic incentrate ognuna su di un sabato notte, scandito su di un
desiderio, un umore, una voglia di Sasuke. Man mano forse capiremo qualcosa di più su Sasuke, sulla sua condizione, da lì prenderà il via il racconto e il monologo strampalato di Naruto, anche la sua vita. Insomma tante (o poche) cose! Spero che l'idea Vi abbia incuriosito, io in questa prima fic (una specie di) prologo ci ho vomitato l'anima la scorsa sera, riferimenti ne ho trovati e sparsi nella storia: ovviamente tutto il resto è finzione. Oh, ci sarà del nonsense, ovviamente: sono o no quello che vi rompe gli zebedei con il nonsense?! AHAHA XD E pure con la confusione,visto il mio tentativo fallito di spiegarvi cosa andrò a fare prossimamente, guardate lo capirete spero leggendo look u.u
Quiiiindi bando alle ciance ed ccco a Voi la prima, spero di incuriosirvi e lasciarvi qualcosa, alla fine è pesante e tristissima, ma la realtà è una mazzata. Vira però anche sul tragicomico...ricordiamoci che è Naruto a parlare! Baka. :3
Buona lettura, spero di sentirvi nei commenti.:3


Sasuke non era uno sbronzo felice. - Prologo.

Almeno una volta a settimana si presentava da me sbronzo da morire, ciondolando nel giardino e piombandomi addosso sui primi gradini di casa; avevo preso l'abitudine di lasciare il cancelletto aperto e a volte pure la porta d'ingresso, se per caso mi trovavo impossibilitato a raggiungerlo in tempo.
Non era uno sbronzo felice, Sasuke. O almeno, non quando beveva davvero troppo. Ti si presentava di fronte con una faccia serissima, un po' omicida ma tutto sommato a posto e avresti detto fosse pulito come un neonato se non avesse aperto bocca per dirti il solito cadenzato “ospitami” con voce gracchiante e non ti avesse riempito le narici di molecole pestilenziali.
Di solito lo prendevo per un braccio e lo trascinavo dentro, prendendomi nel tragitto fino al divano una miriade di spintoni, gomitate, gestacci, sgridate perchè lui voleva fare da solo ma a stento si reggeva in piedi.
Non era uno sbronzo felice, Sasuke. Si piazzava seduto sul divano con le mani sulle ginocchia e prima di tutto mi parlava di suo fratello in un lungo monologo fatto di grugniti e “non vuole che io faccia così” “non vuole che io faccia quello, quell'altro”. In pratica: odiava il fratello perchè questi era iperprotettivo nei suoi confronti, sostituiva – e questo lo diciamo io e la mia psicologia spicciola – una madre ansiosa ela figura di un padre morti quando Sasuke aveva neanche otto anni. Itachi non aveva mica capito che il fratellino aveva ventidue anni, questo Sasuke me lo continuava a ripetere sempre in un mantra.
Poi mi fissava ad occhi socchiusi e labbra schiuse, anzi quasi aperte proprio, piccolo importantissimo segno che non era proprio lucido: alla fine mi veniva da ridergli in faccia e spesso lo facevo, sembrava gli avessero anestetizzato la lingua e le labbra. Però come tutti gli sbronzi che si rispettano non sapeva di essere una figura buffissima che biascicava le parole e ripeteva sempre quella, che a scatti alzava le mani gesticolava disarmonico e appoggiava di nuovo le mani sulle ginocchia, come si sentisse un grande oratore.
Io ascoltavo in piedi davanti a lui, magari abbassando a gradi il volume della televisione. Di solito tendevo a lasciare acceso un canale di musica, sapevo che in qualche modo a lui faceva bene – e pure a me – sentirsi qualche pezzo magari recente ed idiotissimo.
Non che dicessi molto, più che altro ero in posizione di dover stare attento a cosa dire: delle volte una mia parola sbagliata poteva causarmi un livido che durava per giorni, o poteva scatenare il mutismo più assoluto per uno sbronzo o poteva fargli saltare in testa l'idea pazza di scopare. Pericolosa idea, questa, visto che quando Sasuke non c'era di testa era violento e sgraziato, ti lasciava altro che lividi. Ti lasciava il cuore stracolmo di tristezza e allora sì che era difficile riprendersi. Anche per lui che già l'indomani non ricordava nulla.
Non era uno sbronzo felice, Sasuke. Arrivava a scompigliarmi quasi tutti i sabati sera, quantunque io cercassi ogni volta di fargli la mia ramanzina sobria e diligente. Quantunque io lo aiutassi tenendogli anche i capelli quando vomitava rivolto sul water, a volte, quantunque cercassi di fargli capire in ogni situazione il bene che provavo e volevo per lui, lui si ripresentava sempre ubriaco fradicio. “Naruuuuto” esclamava nei suoi momenti più attivi, entrando dal cancelletto aperto a grandi e ondeggianti falcate, e sfumava sempre l'ultima sillaba, chiamandomi finalmente con un diminutivo, un vezzeggiativo – tutte cose che lui odiava, bene o male.
A volte succedeva che anche piangesse, ma dovevo far finta di non guardarlo, non sapevo nulla io, guai al mondo se il mondo avesse saputo che Uchiha Sasuke piangeva! Se provavo a consolarlo era buono di morsicarmi una mano, se stavo zitto morsicava un cuscino.
No, non era uno sbronzo felice, Sasuke. A volte voleva bevessi anche io e mi minacciava con atroci punizioni se non prendevo il primo alcolico povero dalla mia misera dispensa e lo trangugiavo a grandi sorsi. Ero un coglione, sapete, ad accettare. A violenza si univa violenza, ma perchè io soprattutto sulle prime diventavo allegro, più di sempre, diventavo simpatico, facevo battute e sì gli ridevo in faccia. E questo lo faceva incazzare da morire, si alzava dal divano e mi spintonava, mi rubava la bottiglia di vino scadente e beveva, poi ridacchiava e minacciava di ammazzarmi perchè « tanto vi ammazzo tutti » diceva, tornandosene poi a sedersi sul divano, riprendendo la posizione di oratore a schiena dritta.
Lo ascoltavo attentamente anche da un po' brillo, ma dovevo stare più attento alle cazzate, si è capito. Di solito quelli erano i sabati notte meno pesanti, ma le domeniche mattine macigni che piombavano sulle mie spalle. Sulle sue non so cosa piombasse, era troppo occupato a soffrire e dirmi del mal di testa. A dirmi che « Vi ammazzo tutti, tutti. » mentre si alzava troppo veloce dal letto e gli veniva un calo di pressione, cosìcchè io accorrevo a sorreggerlo e, se capitava, lo cingevo in un vero abbraccio. Erano momenti teneri, quelli, non ci crederete. Anche se poi Sasuke mi mollava un morso su una spalla e correva a chiudersi in bagno, anche se volevo piangere per il male e la delusione.
No, non era uno sbronzo felice, Sasuke. Lo ero io, non poteva esserlo lui.
Quelli erano tempi in cui avrei tanto desiderato non vederlo più i sabati sera, cosa assurda per me che tempi prima e anni dopo avrei anelato alla sua presenza facendo di tutto, anche ammazzando il mondo vivente intero per conto suo.
Ero un babbeo, un coglione, un amico falso.
Non riuscivo a farlo sparire dai miei sabati sera.
A farlo allontanare dai suoi mali affinchè si allontanasse dall'alcool; erano lontani i tempi in cui si beveva per scherzare e si scherzava per bere, cose da ragazzini. Sasuke e l'alcool non avrebbero dovuto incontrarsi.
Un sabato di giugno però non si fece vedere, ma era crollato a pochi metri da casa mia, steso a pancia in giù sull'asfalto. Quanto risi, da grande stronzo quale ero. Lo trascinai fino al cancelletto, non voleva alzarsi e cosa strana rideva anche lui. Ma aveva smesso subito, facendomi passare una
indimenticabile notte di cui porto ancora le cicatrici fuori e dentro.

**




N/A
Solo un piccolo preannuncio per la prossima! Si intitolerà “sabati notte in cui Sasuke vuole solo scopare”, sempre narrata da Naruto ovviamente. Su questi schermi tra più o meno una settimana, se tutto va bene.
A presto!
The other side of bidirezione


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Capitolo 2
*** Sabati notte in cui vuole solo scopare. ***


Salve tenerezzze!
Sono rimasto così piacevolmente stupito di sapere che c'è gente a cui è piaciuto questo inizio di “raccolta-esperimento”! Insomma, grazie di aver dato a questa piccola nuova storia un'occasione (?) *abbraccia. Allooooora, come avrete capito nella migliore (anzi peggiore) delle mie ispirazioni scriverò a mo' di flusso di coscienza, quindi mmm anche questa flashfic sarà il flusso di pensieri
miei di Naruto, delle sue sensazioni, dei suoi ricordi; oggi vedremo come Naruto ricorda i sabati notte in cui Sasuke vuole solo fare sesso, sapremo qualcosa sulla vita del biondo, vedremo come lui vede/cataloga questi sabati notte: una continuazione della prima flash, forse. CI tengo a lasciare una sensazione Il prossimo capitolo probabilmente vi farà scoprire diverse cose invece sui loro passati, ricordate che sono tutti frammento e...sì, non è una storia lineare (ma non lo sono nemmeno io, quindi. Look.) anche se c'è un filo conduttore ben preciso, che credo Vi lascerà stupiti... Comunque tutto ciò potete prenderlo anche come uno sfogo, l'ennesimo. Butto fuori un po' di masse scure da me.
Vi lascio alla lettura, spero vorrete farmi sapere che ne pensate...ci conto... un mega abbraccio e buona lettura!



Sabati notte in cui vuole solo scopare.
Alla fine avevo sbagliato io, era stato il mio passo falso a far cominciare tutto quindi non c'è da stupirsi se quella sera tarda mi ritrovai piegato a novanta sul tavolo col cazzo di Sasuke dentro di me. Cosa avevo fatto? Bè, gli avevo soffiato nell'orecchio che «... manco da sbronzo perdi il sex appeal, caro! » Tutto qua.
Sasuke partiva sempre velocemente, almeno non avevo dubbi su quanto io gli piacessi o meno. Insomma, era certo che mi desiderasse da morire.
Faceva male, Sasuke. Non ero preparato né fisicamente né psicologicamente, uscivo da una giornata massacrante in agenzia viaggi e da due ore di fila di allenamento con la squadra, ero stanco morto; avevo solo voglia di accasciarmi al tavolo, lasciarlo scopare senza dargli alcuna soddisfazione. Non lo desideravo in quel momento, provavo a convincermi ma permaneva la coscienza della verità, a ogni affondo dei suoi fianchi dovevo trattenere gli urli morsicando il labbro inferiore e pizzicandomi la coscia per evadere dalla trance sessuale in cui mi incastrava. Poi, che cazzo, non si faceva così, non ero mica uno strumento per il piacere del suo cazzo quando voleva lui, per quanto voleva lui! Dov'erano i sentimenti? A volte Sasuke sapeva scoparmi bene, addirittura con dei movimenti lenti del bacino e strusciando per tutta la parete del mio buco il cazzo prima di ricominciare a spingere, pure da sbronzo a volte lo sentivo, sentivo quanto volesse godere assieme a me.
Invece non mi accasciai per nulla. Pure lo implorai di rientrare in me, di distruggermi quel cazzo di buco di culo stretto come una morsa solo per lui, quando Sasuke uscì sussurrandomi all'orecchio « e se mi fermo qui? » sadico, stringendomi i fianchi con le mani e strusciandosi alla mia schiena.
Era un fottuto bastardo, alternava morse sui fianchi e sul collo con quelle mani fredde, disperate. Voleva strozzarmi, farmi urlare di dolore. Rideva se urlavo, godeva se urlavo.
Alla fine però, quando cominciò a masturbarmi con foga, mi ritrovai a desiderarlo con tutto me stesso, volevo venire a tutti i costi e volevo farlo
assieme a lui. « Sei irrecuperabile » con voce strozzata, poco prima di venirmi dentro, riempirmi col suo seme, « irrecuperabile», ripetè, poco prima di avere la mano destra sporca del mio di seme.
Ironia della sorte: avrei dovuto dirglielo io eppure sorrisi e mi accasciai sul tavolo, ora sì, e pensai che quella era tutta l'armonia che potevamo permetterci. Venire nello stesso istante, rilasciare la tensione sospirando appena, accasciarsi l'uno sopra l'altro: era tutta e sola l'armonia che io e lui avevamo costruito in quel tempo.
Avrei dovuto intristirmi, ma quella sera ero stato obbligato a bere; ci avrei pensato lunedì mentre dolorante sorridevo a trentadue denti ad una cliente che voleva andare a tutti i costi in Burundi o in Culonia, mentre sbagliavo password per entrare nel programma online dell'agenzia, mentre fumavo una sigaretta con Sakura, la mia unica collega carina. Perchè anche io riflettevo sui fatti accadutimi; sembravo ben superficialotto ma alla fin fine anche io pensavo, a modo mio, ma ogni tanto me ne concedevo il lusso.
Però lasciavo passare la domenica. Quella me la concedevo liscia, dopotutto non sarei riuscito a trarre conclusioni su nulla e poi la domenica avevo ancora addosso in modo vivido le sensazioni e le ustioni della notte precedente, la domenica riuscivo a comporre solo troppe domande senza riuscire a dipanarne una trama.
Sasuke era irrecuperabile. Questo dato di fatto avrebbe potuto farmi impazzire ma per fortuna mantenevo l'ottimismo datomi dal mio assurdo corredo genetico e mi beavo di quell'armonia ritrovata nelle note che la luna piena poteva cantare al nostro riposo. Cosa ci vedessi di romantico in tutto ciò – perchè ci vedevo davvero del romanticismo, lo ammetto - fatico ancora a realizzarlo.
Anche se Sasuke sbronzo, forse, era quanto di veramente romantico ci fosse al mondo. Non era un bohemien del cavolo? Un intellettuale dannato? Non era forse dominato dalle passioni divoranti, che lo facevano combattere contro i mulini a vento nati dalle ombre della città e lo facevano scattare nel sonno, svegliandosi col cuore tamburellante e gli occhi spalancati?
La domenica mattina avevo sempre nella testa una matassa di pensieri pregni di dubbi e fuggenti nelle risposte. Mi svegliavo ed erano lì, non mi davano neanche il tempo di aprire gli occhi. Prima il tentativo di ricordare la nottata precedente, poi una fitta in testa ed una allo stomaco. Sasuke dov'era? Me lo domandavo ogni fottutissima mattina, come avessi paura fosse scappato per sempre da qualche parte. A volte, quando non lo trovavo al risveglio, rischiavo di dar di matto. Mi mettevo a chiamarlo: uno, due, tre tentativi; una due tre chiamate perse per lui. Tuttavia, di solito era sotto alla doccia o steso accanto a me; puntualmente lo toccavo con una mano, constatando così ancor più la sua presenza, sorridevo al soffitto, gli chiedevo come stesse per chiederlo a me.
Mentre non mi rispondeva passavo al secondo pensiero, quello più importante: un altro sabato sera da aggiungere alla lista? Nascondevo il primo assalto di rimorso, rischiavo l'assassinio o di rovinargli quel po' di tranquillità
che magari stava godendo. Perchè c'erano delle albe in cui Sasuke si svegliava con un'espressione mistica dipinta sul volto pallido. Come fosse in pace con se stesso, come avesse superato i limiti dell'umano e raggiunto un nirvana tutto suo. Non avrebbe permesso a me di accompagnarlo in quel trip mentale ma so che non gli spiaceva avermi a fianco.
Le chiamavo le mattinate religiose, erano quelle che più preferivo, mi permettevano di riaccompagnare Sasuke a casa senza un groppo alla gola e arrivare il giorno dopo al lavoro pieno di vero entusiasmo.
Niente a che vedere con le mattinate tragicomiche: vomiti e piagnistei, porte sbattute, mal di testa.
« Comunque è finito il docciaschiuma » fu la sola cosa che mi disse quella particolare mattina di giugno, uscendo vestito di tutto punto dal bagno, prima di recuperare l'orologio che gli avevo lasciato sul tavolo in cucina e sgusciare fuori da casa mia.
Non era una mattinata religiosa eppure restava una domenica mattina positive come poche.
Quel pomeriggio entrai nell'unico supermercato aperto e feci scorta di shampoo e docciaschiuma al cocco, il suo preferito, il mio. Ero proprio un caso perso, avevo raggiunto limiti assurdi.
Accidenti, quanto facevano male al mio amor proprio quei sabati sera in cui Sasuke voleva solo scopare.



N/A
Grazie di aver letto fin qui, spero non mi tirerete ortaggi vari e...di sentirvi nelle recensioni, sono la mia spinta!
A presto,
Bidirezione

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Capitolo 3
*** Sabati notte colmi di errore. ***


Salve tenerezze :)
Ecco un nuovo capitolo, scritto in queste ultime tarde serate post studio matto. Ho deciso di pubblicare già poiché ho pensato meglio farlo adesso che ho pronto del materiale piuttosto che farvi aspettare quando magari, avendo io un periodo incasinatissimo che mi si prospetta ancora per moooolto tempo, rischio di non riuscire a pubblicare poi...non so se mi sono spiegato. XD credo di no ma morale? Capitolo nuovo a Voi, ne ho ancora un paio pronti e spero che l'ispirazione non mi abbandoni nonostante i tremila impegni anche mentali. Ecco. Che dire del capitolo? E' più lungo, qui siamo su una one shot: Naruto si dilunga, come vi avevo preannunciato, a parlare un po' di più...tocca ad un accenno al loro passato...tocca ad un sabato notte pesante...si sapranno diverse cose su una figura che appartiene all'esistenza di Sasuke, cose oscure, che vi parranno ragionamenti e concetti assurdi, ma credetemi sono reali. Vediamo come Sasuke reagirà questo sabato notte, che ci racconterà tramite i ricordi di Naruto.
Quindi buona lettura a voi belle anime, grazie di seguirmi, vedo che siete tanti, grazie di cuore. Buona lettura, spero vi possa piacere.


3 -Sabati notte colmi di errore.

Era cresciuto senza una mamma e un papà, proprio come me. Probabilmente era questo dato di fatto che ci aveva fatto legare subito, noi due soli contro al mondo non orfano, fieri del nostro essere speciali quindi due grandissimi idioti. Alla fine ci eravamo esclusi dal resto del mondo.
Lo avevo conosciuto in seconda liceo, ricordo ancora la data e il tempo di quella mattinata che me lo vidi entrare in classe, longilineo e serissimo, e piazzarsi accanto alla cattedra tenendo le mani dietro la schiena, la testa alta, gli occhi rivolti verso noi che guardavamo curiosi l'intruso.
Era un cinque aprile piovoso e per tutta la lezione posteriore dell'arrivo del nuovo alunno non avevo fatto altro che guardare oltre la finestra, beccandomi le solite sgridate del proff Hatake; persino un gessetto mi aveva lanciato! Sapete, meno male che ogni anno ero seduto vicino a quella finestra: ne vedevo di cose scorrere! Alla fine a me piaceva guardare la gente che transitava nel cortile o nella strada al di là del cancello della scuola che mi imprigionava per così tante ore. E' per questo che mi piacque guardare quello che si presentò: Sasuke Uchiha, trasferitosi qui da una cittadina piuttosto lontana per “seguire gli studi del fratello maggiore”. Aveva detto solo questo, scandendo bene le parole a voce bassa, puntando gli occhi proprio nella mia direzione.
Fui per prima cosa stupito dal nero delle sue iridi, non riuscivo a distinguere dove fosse la pupilla, neanche quando scivolò per l'aula andando a sedersi nel banco dietro al mio, captai traccia di pupilla: sembravano due buchi neri. Meglio, pensai a due barili di avorio pieni di petrolio che avrebbero potuto risucchiarmi.
Immediatamente ne fui attratto. A me di solito piaceva conoscere gente nuova e quando qualcuno mi colpiva volevo subito scoprirne di più, risultavo un rompi balle unico; la maggior parte delle persone di solito mi mollava infastidita dal mio fare troppo espansivo, troppo
easy way, incapace di evitare di ficcare il naso in affari altrui, incapace di dimostrare un minimo di serietà anche nelle peggiori situazioni. Figuriamoci col moto di curiosità che provai verso lui quanto volli assolutamente saperne di più sul suo conto. Provai fin da subito un'attrazione fortissima.
Diciamo che fui discreto nell'entrare a contatto...diciamo la verità, feci più o meno di tutto per avvicinarmi a lui, i primi giorni ricevetti solo picche addirittura ad ogni mio saluto! Tuttavia piano piano cominciammo a passare le ricreazioni assieme: io a parlare mentre lui fingeva di ascoltarmi - col tempo legammo.
Non me lo venne mai a dire, ma man mano che scoprimmo le carte delle nostre vite di comune e tacito accordo, anche lui contribuì a costruire un mondo privato in cui rifugiarci, con la sicurezza che non avremmo trovato altro che noi. Eravamo orfani, eravamo soli. Ci bastavamo l'uno all'altro nei nostri continui litigi, nel darci botte, nel condividere tutto, nel costruire grandi piani, nel sopravvivere alla crudezza del destino, alle risa dei nostri compagni, al fatto che non riuscivamo a farci un amico vero al di fuori di noi. Quei pochi amici che ero riuscito a farmi prima di conoscere Sasuke, mi abbandonarono perchè li avevo abbandonati. Sparirono. Li lasciai fare.
Cambiai. Ben presto il professore Hatake parlò ai nostri unici parenti in vita, per me il nonno e per lui – maledizione - il fratello, del fatto che forse avremmo dovuto staccarci un po' per migliorare le nostre capacità relazionali, il nostro livello sociale, la crescita personale dal confronto col mondo... Ci provarono, a dividerci. Niente più pomeriggi assieme, attività di gruppo sempre divisi, l'anno seguente finimmo in classi diverse. Tutto inutile. Finimmo il liceo attaccati l'uno all'altro come due metà di una stessa conchiglia priva di mollusco: un'immagine triste, così delicata rispetto al male che presto imparammo a farci.
« Dove sei finito? »
Mi ero proprio dimenticato di dove mi trovavo e con chi, cosa aveva fatto scattare in me la molla dei ricordi? Guardai Sasuke nella poca luce che l'abat-jour del salotto ci donava, mi stava osservando intensamente, serissimo come lo avevo sempre conosciuto; sembrava molto più stabile nello sguardo rispetto a tanti sabati precedenti. Era arrivato da poco, - rammentai cercando di scacciare l'alone denso di malinconia che il passato aveva portato con sé, confondendomi - meno barcollante, meno arrabbiato. Aveva subito acceso la televisione da solo e si era seduto sul divano accanto a me ad osservarla ipnotizzato, non considerandomi.
Avevo tirato un sospiro di sollievo,
non ci sarebbero stati lividi quella notte - mi ero detto.
Quindi da quant'era che si era tolto dall'ipnosi della televisione? Da quando mi fissava?
Mi sentii arrossire come poche volte mi succedeva con lui, ormai non avevamo imbarazzi tra noi.
« Mpf, non sono fatti tuoi eheh » gli dissi grattandomi la nuca. Io e quel mio tic nervoso dal quale non riuscivo a staccarmi. Pure Sasuke aveva un tic e dei più fastidiosi, anche se lui in pubblico tentava di non farlo: scrocchiava le giunture delle ossa. Dita, spalle, schiena, collo. Non lo sopportavo, era una delle poche cose che davvero non avevo mai tollerato fino in fondo di lui. Sembrerà assurdo ma scrocchiò il collo proprio poco prima di rispondermi, prendendosi la testa e inclinandosela innaturalmente verso la spalla con l'orecchio a toccare la clavicola.
Rabbrividii. Stavo per ripetergli per l'ennesima volta che “ti fa male fare così” nel mio tono più paternale ma mi trattenni perchè Sasuke si mise a parlare, non guardandomi e giocherellando con il telecomando come quando aveva l'aria di voler fare grandi discorsi.
Forse avevo fatto male a tirare un sospiro di sollievo, perchè di lividi ce ne sarebbero comunque stati di lì a poco: solamente
meno visibili, interni, spine nel cuore che lui mi avrebbe lanciato.
Le prime parole non le captai, perso nel fluire dei miei pensieri ritmati dalla musica pop del canale musicale, dalle immagini psichedeliche che mi inquietavano sempre. Quando però notai una punta di
impazienza in quella sua fredda voce abbassi al minimo il volume della tv e passai ad osservare solo lui, girandomi per bene a guardarlo, in posizione quanto più comoda potessi su quel divano vecchio e scomodo, regalo del nonno ai miei, per il loro matrimonio, ventidue anni prima.
Scrocchiò pure le mani mentre parlava. Doveva essere più che teso, avrei voluto tranquillizzarlo in qualche modo ma né gli abbracci né gli sguardi comprensivi avrebbero aiutato. In quel momento io dovevo solo ascoltare, io il chiacchierone per eccellenza ai più, diventavo l'ascoltatore privilegiato di Sasuke.
Zitto, immobile, sguardo attento, annuire ad ogni sua pausa o fare delle domande strategiche e lui ti avrebbe raccontato tutto. Ormai avevo battuto ogni manuale di psicologia con la mia psicologia spicciola basata sull'esperienza.
« Guarda oggi ha raggiunto il limite. »
Annuire.
« Non vuole che domani venga al mare con te. Quella testa di cazzo non me l'ha detto espressamente, figurati, tutto per sotto! Lo sai no, tutte le sue mosse ogni sua parola sono schifato Naruto io non ne posso più basta era un cazzo di invito al mare, Naruto, tuo nonno che ci invita, pure. No non gli sta bene nulla, ma si figurati se me lo dice apertamente. Lo odio odio lo odio gli staccherei il braccio con cui opera a martellate evitando di reciderlo completamente ma lasciandolo aggrappato per un lembo di pelle alla spalla quanto lo odio. »
Annuire lentamente. Mi dovetti però mordere il labbro inferiore per resistere alla tentazione di intervenire e lanciare merda su suo fratello: non poteva che essere lui il fulcro di quel monologo appena cominciato. Mi sentivo chiamato in causa a tutto spiano, qui: era stato mio nonno, di ritorno da un viaggio alle terme in cima a una montagna (per recensire il luogo su richiesta degli stessi gestori della località) a dirci che avrebbe fatto tappa al mare (abitiamo poco distanti dalla costa) e a proporci di raggiungerlo per fare assieme una giornata l'indomani, un modo per staccare dallo studio, dal lavoro, dalle beghe, da tutto. Più o meno queste erano le motivazioni che avevo addotto a Sasuke per convincerlo, via telefono il pomeriggio prima, a dirci di sì.
Mio nonno era un uomo tutto per conto suo, sempre in viaggio per lavoro, ma nonostante avesse visto Sasuke solo rare volte, specie in quegli ultimi mesi, aveva capito tutto. Di lui, di noi, di quello che gli toccava. Nonno Jiraya sapeva quel che faceva invitandoci al mare? Sapeva a cosa sarebbe andato incontro Sasuke in casa?
Era un tipo che poteva sembrare banalotto, easy way lui come me, ma alla fine aveva visto tanta di quella gente nella sua vita che aveva colmato il suo non spiccare per acutezza e profondità con una vastissima conoscenza dei tipi e delle relazioni umane e li sapeva riconoscere con l'istinto, guardandoli vacuo. Da piccolo gli chiedevo come riuscisse a leggere tanto nelle persone e lui, sorridendo e abbracciandomi, rispondeva ogni volta che era solo perchè li amava tanto; quell'umanità idiota che non lo voleva mai così eccentrico, che riusciva a comprendere tanto senza parole.
Ecco, mi dovetti trattenere stringendo i pugni per non sovrastarlo con il mio monologo confuso
che gustava di tutto ciò che vi ho appena detto, a difesa di nonno, dell'idea, di me stesso che avevo messo me e lui dentro all'idea, di tutto e tutti.
« Dillo apertamente se ti sto scocciando eh. »
Track. Avevo sbagliato: sguardo non immobile su di lui, vacuo. Lui riusciva sempre a capire se tu lo stavi guardando per davvero o no semplicemente constatando la presenza o meno di una
vacuità nell'occhio. Un altro talento che non riuscivo a far mio.
Ci riprovai, un altro scrocchio di mani di Sasuke e ripartì il monologo.
« La domenica la dobbiamo passare assieme ah ah ah. » rise sprezzante, finto: Sasuke si stava incazzando, si mise seduto sul bordo del divano così vicino che per pochissimo le nostre ginocchia non si sfioravano. « C'è da pulir casa, la
sua casa, capisci. Non domani, non io come solito oggi, no! Quando vuole lui che non ha mai pulito casa una singola volta la domenica e anzi obbliga me a fare tutto durante la settimana e sempre quando non è lui in casa così da non essere disturbato da rumori e fastidi. Che caso voglia proprio domani» aggiunse con un tono secco che doveva esser stato quello usto da Itachi.
Io odiavo quell'essere umano con tutto me stesso, era lui che mi faceva piombare a casa ogni sabato sera un Sasuke distrutto, alla fine quantunque Sasuke avesse anche centomila obiettivi anche idioti per bere e dar di matto, Itachi rimaneva sempre il fulcro di ogni nervoso, di ogni problema e rabbia.
Tanta rabbia stavo provando, eppure mai quanta ne provasse Sasuke, era spaventoso anche solo provare a quantificarla.
Itachi ai tempi del liceo, alle prime vere frequentazioni tra me e Sasuke, mi aveva fatto un'ottima impressione, anche a pelle proprio, già vista! Bello, alto, magro, pulito, in camicia, con gli occhiali...all'epoca continuavo a dirgli che sembrava un professore, ma lui mi correggeva sempre, sorridendo, con “quasi dottore”. Mi invitava a cena da loro, mangiavo bene, ci lasciava vedere films o usciva con una ragazza. Insomma, tutto bene.
All'epoca.
Poi non seppi più molto di lui per circa un anno, l'anno in cui Itachi andò a fare l'ultimo semestre di studio all'estero, e quando tornò lo trovai cambiato. Io e Sasuke avevamo appena finito il liceo, nell'ultimo anno erano successe molte cose - o poche, dipende da che punto la si guardi. Insomma, eravamo cambiati. Sasuke però se ne accorse dopo di quel che vedevo io nel loro rapporto, nel modo possessivo con cui Itachi
ora trattava Sasuke, fuori luogo, indecente nelle offese e nelle catene che lo incastravano. Quando se ne accorse cominciarono i casini.
Quando quei buchi neri sul volto divennero ancora più magnetici capii che per Sasuke era avvenuta la svolta.
Morale? Mi sentivo in colpa. Avevo seminato io il seme della svolta! Avevo innestato nel suo conscio la verità dietro al fratello ed erano stati cazzi.
Sasuke mi diede un calcio nella caviglia, un male cane ma non urlai né feci scenate, in altra occasione mi sarei offeso a morte. “Cazzo fai? Guarda che ti sto ascoltando!” ma non dissi ciò, sussurrai uno “scusa” per essermi perso nel mio personale monologo mentale e lo invitai a continuare. Gli chiesi rapido se volesse dell'acqua da bere (di solito, se non aveva bevuto tanto, l'acqua aiutava a smaltire l'alcool prima, lo avrebbe fatto star meglio l'indomani) mi disse di sì, stranamente, così corsi in cucina a prendergli un bicchiere di acqua di rubinetto e glielo porsi. Come bevve! Si era bagnato tutte le labbra e un po' il mento, mi tentò quell'immagine: possibile dovessi eccitarmi in quella situazione lì pure? Persino la lentezza con cui si passò le nocche della mano sulle labbra per asciugarle mi tentò. Mi venne letteralmente un po' duro.
« Davvero siamo a questi livelli? Jesus, non ci credo. »
Sasuke stava indicando la cintura dei miei pantaloni. Anzi no, più giù. Ero uno scemo, pensai che mi avrebbe disintegrato seduta stante invece si mise a ridacchiare, a premere le dita della mano sopra i jeans, nella
rigonfiatura, non aiutandomi affatto. Poi le tolse di colpo, tornò serio, le scrocchiò.
« Da pulir casa, ma proprio da...
are you serious? » commentai con la prima istintiva frase che mi venne in testa, il solito instintivo e scemo intercalare, e Sasuke ripartì.
Il mio cazzo rimase buono, probabilmente quella notte lo sarebbe rimasto di filato. Quelli erano sabati sera in cui Sasuke voleva solo sfogarsi verbalizzando (più o meno, non che fosse fiscale al riguardo - chiedere al mio didietro).
Non so dire se fossero i migliori o i peggiori, di certo ne uscivo sia più tranquillo che più triste: una contraddizione assurda. Ma da un lato Sasuke si era sfogato, aveva ricapito di non dover avere senso di colpa, si era tolto l'acido dal corpo; dall'altro ci raccontavamo sempre quella. Ancora una volta un male causato da suo fratello. Un'altra mezza fuga. Ormai erano non più contabili le volte in cui ci eravamo detti, al tiepido lume dell'abat-jour, quanto il comportamento di Itachi fosse deplorevole, schifoso, matto. Ma ciò, visto che si continuava imperterriti a citarlo in giudizio senza avere la possibilità di farlo condannare, non aveva ancora portato ad alcun risultato.
Ed era triste, triste, triste. Una delle cose più tristi al mondo, per me; assieme al vomito di Sasuke, alla sua anima imprigionata in una esistenza triste, alla rabbia che gli contorceva il corpo e spiritava gli occhi, alla mia impotenza nei confronti del suo piovoso destino, inutilità, a tutte le cose che ruotavano attorno a me e lui. Insomma, alla fine avevo troppe cose tristi da conteggiare. Eppure di me non lo si sarebbe detto, almeno non chi mi osservava per la prima volta; ma anche chi mi conosceva da sempre sapeva di me solo la faccia ottimista della medaglia, che ero quel ragazzo solare e rompicazzo che sapeva girare il brutto in bello, che non si arrendeva mai alle difficoltà della vita.
Una sottospecie di eroe, un salva-vita, l'interruttore della luce. La salvezza, addirittura. Dicevano di me che ero fatto per stare tra la gente per regalarle sorrisi, anche se la gente mi aveva sempre voluto evitare in prima battuta.
Eppure con Sasuke era tutta un'altra storia, stavo perdendo ogni piccolo stimolo a vedere una via d'uscita per lui e noi, era come se fossi scivolato nel petrolio e le mie presunte ali fossero sciolte per l'acidità che si era formata nei barili. Non vedevo che tonalità scure, non provavo che rabbia.
Avevo seriamente paura di perdere anche l'ultimo anelito di
ottimismo. Sprofondare senza mai toccare il fondo, entrare con tutto il corpo in un limbo continuo.

Ecco, mi ero perso di nuovo in me stesso; fortunatamente uscii da me in tempo per captare le parole che stava dicendo Sasuke, per non farlo spazientire.
« Ho dovuto prepararmi nel più religioso silenzio, preparare le mie cose s'intende. Addirittura tirare l'acqua della doccia per lavarmi, non ho potuto. Mi ha detto che in casa sua non si usa l'acqua per
quelle cose, che il divertimento mica è sempre ammesso. Ha ripetuto che sono una sanguisuga, un parassita che succhia ogni sua energia forza libertà; eppure sai bene che non gli chiedo nulla, che lui è sempre in giro a fare quello che vuole mentre io devo stare ad aspettarlo in cucina perchè lui esige la mia attenzione quando ne ha desiderio, che se io cerco di fare la mia vita lui diventa violento e mi insulta senza ragione. Quando gli ho risposto che erano tutte balle mi ha dato del matto che risponde a tono, della coda di paglia., di quale arroganza ho per permettermi di discurere la sua grandezza morale, che lui è più intelligente e superiore eppure non me lo fa pesare eccetto quando gli mostro la sua piccolezza. Morale? Ho detto che saremmo partiti da casa tua all'alba così sono fuggito. Voleva trattenermi con la forza ma non l'ha fatto solo perchè ha dovuto rispondere al telefono per lavoro, così ho approfittato per sgattaiolare via. Tutto qui. Le solite cose. »
Sasuke e quel fratello matto, pieno di sé, arrogante da vomitare, vuoto.
Avrei voluto prendere la macchina, piombare nell'appartamento al sesto piano dove abitavano e fare ad Itachi una scenata che avrebbe ricordato in eterno. Riempirlo di botte su quel viso così delicato, così dolorosamente simile a quello del
fratellino, rivoltargli addosso le sue stesse parole, fargli capire quanto fottuto in testa era, quanto sbagliava a non leggere le falle nei suoi discorsi malati e illogici sostenuti soltanto dalle sue convinzioni malate. Quante volte mi ero trattenuto in quell'ultimo anno e mezzo.
Se avessi fatto così, sarebbe stata davvero la fine. Rischiavo di perdere Sasuke per sempre. Un assassinio, un suicidio o entrambe le cose si sarebbero appoggiate sulla mia esistenza, indelebili. Non me lo potevo permettere.
Sasuke stava sorridendo. Rimasi sulle prime incredulo, ma poi pensai all'effetto dell'alcool, chissà dove aveva trovato da bere. Sorrideva appena, scuotendo lentamente la testa. No, non si trattava solo dell'alcool: era un sorriso convinto, acerbo,
rassegnato.
Era un sorriso di rassegnazione da far schifo.

Saltai in piedi all'istante.
« Cosa stai facendo? » domandai brusco.
« Eh? »
Alzò la testa di scatto, mi guardò stupito. Sparito era il sorriso,
menomalemenomale- pensai e sentii la tensione che mi aveva contorto le budella pochi secondi prima scemare, tutta d'un botto.
Che mi combini Sas'ke?
« Non farci caso, va bene? » sussurrai, muovendomi per tornare a sedermi ma Sasuke mi bloccò per un polso. Una stretta forte, uno sguardo duro.
« Che cazzo sarebbe tutto ciò? » sputò sprezzante, stringendo ancor più, le unghie arpionate nella mia carne.
Era diventato improvvisamente il Sasuke violento.
« Mi ha pungolato una vespa! » esclamai evasivo ma con un sorrisetto di quelli miei ironici, pensando vanamente di rabbonirlo.
« Guarda che è tutto chiuso qui. Per di più sono le undici di sera, pure le vespe sono a dormire. » e mi sferrò un pugno in piena faccia, facendomi sputare sangue.
« Non mi prendere per il culo, non provare a fare lo stronzo con me. » Mi rifilò un calcio alla bocca dello stomaco lasciandomi il braccio, caddi a terra tossendo. Sputò sul pavimento, a pochi centimetri dai miei occhi; mi guardò con odio.
Odiava quando cercavo di trattarlo con sufficienza eppure non aveva capito che ero solo preoccupato per lui tanto da non poterglielo dire. Maledetto me quando pensai che sarebbe stata una serata tranquilla, maledetto me! Lo avevo risvegliato da bravo idiota, non ero capace di fare altro.
Si inginocchiò e mi catturò i capelli, li usò per sbattermi a terra la faccia. Vedevo sul tappeto il sangue misto a muco, capì subito da dove venisse. La sbattè ancora due volte, allargando la macchia. Nonostante il dolore e il duro stupore mi chiedevo come avrei potuto fare a spiegarla al nonno, quale motivazione usare per non farlo arrivare subito alla cruda verità.
Sasuke mi mollò per terra e camminò spedito fino al televisore spegnendolo con un pugno. Una fottuta scena di un fottuto noir. Io stetti immobile, terrorizzato. Lui raccolse l'attizzatoio in ferro battuto dal caminetto che non usavamo mai neanche nelle notti più fredde e se lo girò in mano. Lo levò in alto e mi colpì sul retro della caviglia destra spingendomi l'attrezzo con tutta la forza che il suo peso gli permetteva.
Urlai fino a non avere più aria nei polmoni e lui lasciò la presa, il rumore mettallico dell'attrezzo sul pavimento, e si piazzò le mani a poco dagli occhi, come a cercare di comprendere perchè avessero agito così. Sul suo volto non era comparso neanche un lontanissimo rimorso, vi aleggiava solo confusione; eppure la sua rabbia non era finita.
« Stronzo. »
Capii, vedendo le lacrime che salivano agli occhi brucianti e permalose, che quello era un sabato notte in cui avrei dormito da solo.
E vidi Sasuke uscire, la porta che fece tremare i dipinti appesi.





N/A.
Itachi è entrato in scena, avete avuto un'idea di che razza di persona è/rappresenta per Sasuke, la causa originale, una delle cause, alla distruzione psico-fisica di Sasuke. Un personaggio contorto, vero? Inquietante, lo so. Sono curioso di sapere che ne pensate... capitolo violento sul finale, non sarà una fanfic facile, lo avete intuito. XD
Grazie di aver letto fin qui, ci sentiamo nelle recensioni, vi aspetto lì con speranza. Un mega abbraccio!
Bidirezione

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Capitolo 4
*** Sabati notte in cui mi sentivo uno sciamano. ***


Salve tenerezze :) buon SasuNaru day!
Eccomi tornata con un aggiornamento... ho notato che il terzo capitolo ha dato da pensare ne sono molto soddisfatta! Però... quanto sono sadica verso Sasuke? Ormai qualcuno avrà forse notato come mi diverto a “costruire” una storia, un mondo attorno all'Uchiha...mi ci trovo a utilizzarlo a mio piacimento, lo ammetto, si presta bene. Eeeeh ragazzi, ho scelto un alter ego proprio easy way...SE. XD
Questo capitolo è ancora una volta una one shot, non sono riuscita a concentrare i pensieri di Naruto tutti in una flashfic, ma forse prossimamente torneremo alle flash... chissà (?) Grazie di dare ascolto al flusso strambo di coscienza di Naruto e a questa storia un po' fuori e molto molto pesante, le vostre riflessioni sono preziose per me! Voi che seguite siete il mio conforto, davvero. Spero perciò che questo capitolo vi possa piacere, sarà molto particolare e molto più calmo dello scorso (?), pure un po' dolce, vedrete.
Buon NaruSasu, buona lettura! Ci sentiamo nelle recensioni... :3


Sabati notte in cui mi comportavo come uno sciamano.
Ero andato apposta a comprare il gelato affinché lo trovasse al suo arrivo, una pallina di nocciola e una di nutella in una coppetta, gli unici gusti al mondo che gli avessi sempre visto scegliere.
Questo moto di gentilezza mi faceva provare un fortissimo senso di colpa: era aspettarsi che Sasuke si facesse del male ancora un'altro sabato, e io scommettevo esattamente su questo: mi sentivo come se manovrassi il destino, mi visualizzavo come un povero diavolo palese e poco smaliziato e mi facevo paura in questa veste perversa di attesa del dolore per averlo da me.
In un raptus delle dieci di sera stavo quasi per aprire il congelatore e buttare via quella coppetta tronfia che vi avevo appoggiato ore prima ma mi trattenni per pigrizia. Avessi potuto lo avrei mangiato io quel gelato che odiavo ma detestavo il gusto nutella ed ero allergico alla nocciola. Ecco una delle cose in cui io e Sasuke eravamo opposti: il gusto del gelato; una delle innumerevoli differenze che ci allontanavano nello zodiaco e ci attraevano come un magnete ed un ago. Chi era il magnete? Di certo lui era l'ago. Mi entrava nella carne in tutti i sensi, sottilmente, cuciva le mie mancanze con le sue, ci legava a doppio nodo col filo del nostro destino.
Eppure io mi mettevo bellamente a manovrare superstizioso i fatti e i fati, forte del fatto che le abitudini non venivano meno, che erano passate due settimane dacchè Sasuke non piombava da me, che la tregua tra lui, l'alcool e suo fratello non sarebbe durata più di così.
Chissà per quanto ancora avrei resistito coi sensi di colpa.
Arrivò poco dopo l'ora abituale; lo aspettavo direttamente in giardino fumando una sigaretta quando verso l'una di notte sentii dei cani abbaiare e delle imprecazioni roche. Apparve ciondolante dietro al cancelletto socchiuso, appoggiandovisi sopra con tutto il suo peso così quello si aprì cigolando e per poco non lo catapultò a terra col muso ai miei piedi. Infilai la sigaretta tra le labbra e corsi subito a sorreggerlo.
Puzzava di alcool da far spavento, quella notte di luglio. A giudicare da come non mi guardò, rimanendo inebetito a fissare il vuoto o chissà cosa pensai che doveva aver bevuto più di sempre. Gracchiò un « cani di merda » girandosi scoordinato verso il vialetto alle nostre spalle e per poco non mi sfuggì dalla presa con cui gli avevo cinto il braccio sinistro.
Spesso mi ero chiesto come cazzo facesse a raggiungere casa mia in quelle condizioni, ma ormai non me lo chiedevo neanche più: aveva il tragitto dal bar in cui si ficcava sempre o da casa sua a dove abitavo io incorporato, un navigatore automatico che non aveva bisogno di lucidità per attivarsi; e poi entrava in gioco l'istinto di sopravvivenza che ancora gli rimaneva, quello che gli diceva
raggiungilo, va' da lui.
Mentre lo guidavo lungo il giardino e poi sui gradini che conducevano all'entrata ricordai la coppetta di gelato nel congelatore: viste le condizioni di Sasuke sarebbe giaciuta lì fino a marcire, a meno che io non me ne fossi ricordato prima e gliel'avessi proposta l'indomani mattina, nel caso si fosse sentito meglio.
Era stata proprio una cazzata comprargli il gelato, la cosa più deplorevole che potessi fare per dimostrare la mia speranza nel dolore – pensai – e non osai girarmi ad osservare Sasuke; avevo paura di quel che avrei visto, mi sentivo sporco. Lo avrei osservato una volta al lume della televisione, ma ancora non volevo aprire gli occhi sul sabato notte che si stava prospettando davanti.
Ricordo vividamente che il braccio di Sasuke era gelido, magrissimo, che il peso che mi portai dietro fino in salotto era così forte che nonostante la mia mole feci fatica, perchè lui non mi dava alcun aiuto, anzi strattonava per rimanere fuori, continuava a ripetere che voleva dare una sistemata ai cani.
Feci più fatica di sempre a portarlo in salvo; diedi la colpa anche all'afa di quegli ultimi giorni, allo sforzo di tenere la sigaretta tra le labbra che si stava riducendo a un mozzicone fumoso e bruciante sugli occhi, infatti lo buttai a terra, al rumore assordante dei cani, delle sirene della polizia chissà dove; diedi la colpa alla nausea che mi assaliva per aver mangiato il pollo arrosto a cena, alla luce che avevo dimenticato di accendere nel corridoio, al peso morto di Sasuke. Insomma diedi la colpa a qualsiasi cosa che mi venisse in mente per giustificare la mia fatica di quella sera tarda, per non arrivare alla consapevolezza che
quella fatica era un segnale.
Io non volevo fare fatica.
L'altra parte di me che manovrava il destino andava in
controtendenza.
L'angelo perduto e furbo che albergava in me, forse, quella notte appena iniziata, mi stava facendo percepire la fatica affinchè non lo aiutassi, STOP, lascia fare a lui, aspetta provi a salire le scale, okay barcolla ma vedi ce la fa, ancora un attimo e si siede sul divano e va bene ha i conati vedi riesce a correre in bagno da solo, vomitare da solo.
E via così. Parlava l'angelo perduto e furbo, ma né io né il povero diavolo sfigato lo ascoltavamo: continuai a faticare e alla fine lo portai in salvo, prima seduto sul divano nel silenzio della sua bocca puzzolente di fogna e nell'alone folk triste di un videoclip alla televisione che accesi senza che lui se ne accorgesse; poi poco dopo vedendolo tenersi la pancia e tentare di alzarsi tra imprecazioni e mugugni ma senza riuscire a fare altro che girarsi. Lo presi per un braccio di nuovo e lo condussi in bagno.
Lo feci inginocchiare vicino al water, gli raccolsi i capelli sudati e glieli tirai all'indietro tenendoli in una crocchia con una mano, con l'altra spinsi piano il volto di Sasuke verso la tazza; dall'alto vedevo le sue esili braccia tese nello sforzo delle mani di aggrapparsi alla tazza, vedevo alcuni sottilissimi capelli neri, bagnati, acidi, sfuggirmi e andare a ricadere sulla faccia bagnata, sopra un'occhio o a precipizio sul water; vedevo una nuca delicata appena sopra ad un lungo collo diafano invitante baci; più vedevo più mi assaliva la voglia di piangere. Mi piaceva quel che vedevo perchè appartenente Sasuke, non mi piaceva
come lo stavo vedendo, attraverso che luce e filtro io lo stessi osservando.
Un ragazzo dalla bellezza delicata di passerotto chinato su un water nell'attimo prima di vomitare.
Ma chi l'avrebbe mai detto tre anni prima che un giorno avrei dovuto vedere tutto questo? Me lo domandai molto a posteriori ciò, in quei momenti avevo solo grovigli nello stomaco e il solito groppo alla gola per non so cosa e per l'ansia.
L'ansia, altra cosa che fin da subito aveva accomunato me e Sasuke: ce l'avevamo abbastanza nascosta, soprattutto Sasuke. Era il male originale di ogni effetto psico-fisico, era come Itachi per noi adesso: la causa di ogni male. Pure l'ansia, a pensarci, era portata da Itachi.
Pacchi e pacchi stracolmi di ansia che noi portavamo invisibili sulle nostre spalle; solo che ora ne percepivo il peso solo io sulle spalle, mentre Sasuke, inginocchiato a vomitare più e più volte sotto di me, non la sentiva più. Per quella sera se l'era anestetizzata, anche se l'effetto aveva superato il beneficio.
Quando ebbe finito di vomitare Sasuke si alzò tutto d'un botto, si trasse dalla mia presa, strappò bruscamente della carta igienica e si pulì bocca e mento, gettando poi la carta nel water prima di tirare l'acqua. Movimenti nervosi, disarticolati eppure più decisi rispetto a mezz'ora prima.
Fece per superarmi ma lo bloccai in tempo prendendolo per un braccio, era la terza volta in un lasso così breve di tempo.
Quelli erano sabato notti scanditi dalla ripetitività dei gesti.
Lo obbligai a sedersi sulla tavoletta del water che gli abbassai e forse per la confusione acconsentì, sedendosi a capo chino e mani coi palmi in giù sulle ginocchia, in una posizione che gli avevo visto assumere così tante volte. Ma quella notte non avrebbe parlato da buon oratore quale era, no, avrebbe partecipato ad un rito, un rito di
purificazione da me inventato sul momento e chiamato e analizzato così solamente tempo dopo nel corso di riflessioni su riflessioni.
Io ero colui che eseguiva il rito che alla fine vedeva partecipare entrambi in connubio tra malato e officiante. Con tutto ciò volevo purificare me e lui: me dal senso di colpa, lui dalle tossine, dall'alcool, e anche - e questa è una sparata davvero grossa - dal male di esistere, almeno per una notte:
proviamoci, mi dissi, rimboccandomi le maniche della camicia che non avevo, strofinandole appena e portando dappertutto lo sguardo alla ricerca di cosa mi necessitava.
« Si può sapere dove sono finito? » Sasuke ci mise una lentezza assurda a pronunciare quella frase, biascicando ogni singola parola e allungando ogni vocale. Lo guardai di colpo pensando volesse alzarsi ma nada, continuava a rimanere seduto nella stessa posizione. Ora si guardava attorno divertito.
Per quella notte intanto erano sparite la confusione e lo sguardo ebete sul volto pallidissimo di Sasuke, emaciato, rosso solamente nella punta delle orecchie – un piccolo segreto che conoscevo solo io, questo che a Sasuke se si imbarazzava o beveva alcolici gli si arrossava immediatamente la punta dell'orecchio – ora visibili grazie ai capelli che gli avevo legato.
Un tocco femmineo, i capelli raccolti. Sembrava più androgino di sempre. Ricordo che mentre cominciai a spogliarlo me lo immaginai che poi l0 avrei rivestito come una geisha, dio se sarebbe stato bene, ne ero convinto. Mi sarei fatto fare di tutto da una geisha-lui, era o no feticismo ciò? Mah, fatto sta che si spogliò pure da solo ma per poco non cadde sul lavandino per alzarsi a togliersi i pantaloni; nel mentre non sfracellò al suolo tutti i bagnoschiuma, piazzati agli angoli estremi del davanzale nel raccogliere i vestiti senza darmi il tempo di raccoglierli.
Mi ero deciso che volevo fare le cose bene, come i professionisti, altrimenti il rito andava a puttane.
Raccolsi i vestiti e li buttai dall'ingresso del bagno al lettone di camera mia con un tiro perfetto. Quando tornai a girarmi lo vidi in piedi centro del bagno, nudo eppure non riuscii a focalizzarmi sul suo membro molle, i capelli sciolti fino alle spalle, le braccia lungo i fianchi, le spalle leggermente curve, due buchi neri puntati su di me che avanzavo piano verso di lui e quando me li ritrovai davanti,
assorbirono il groppo alla gola che mi aveva fatto compagnia fino quel momento. Erano i buchi neri che conoscevo da sempre, con la foschia che conoscevo da poco.
« Doccia insieme ? » proposi sinceramente entusiasta e subito controllai che l'accappatoio di Jiraya fosse al suo posto vicino al mio, sulla porta; sapevo ci fosse dato che lo avevo lavato da poco per farglielo trovare pronto.
Le cose stavano filando come volevo io, quel continuo di nottata.
Entrammo in doccia all'unisono, richiudendo dietro di noi l'unica ampia anta in vetro ruvido. Quella doccia aveva la fortuna di avere un posto su cui sedersi: era stato un regalo che aveva fatto il nonno sia per sé che per me non molto tempo fa, un regalo che ci eravamo fatti insomma. Era molto più rilassante poter avere un angolo in cui stare seduto sotto il getto della doccia.
« Nuovo.....nuoooooovo! » esclamò Sasuke prendendo in mano uno dei tre nuovi bagnoschiuma al cocco; a vederlo sembrava tornato con l'espressione stupita e felice di un bambino ma si chiuse nella durezza e « li hai presi per me tutti questi? » grugnì indicando il gruppo sopra la mini anta attaccata alla parete.
Scossi la testa e alzai pure le spalle.
« Cosa vuoi che sappia?? Al supermercato erano tutti in sotto-costo! » Gli spiegai e poi, constatando che Sasuke era andato a sedersi, mi riempii le mani di sapone per insaponarlo.
Un altro pezzo del rito stava seguendo il suo corso, ero uno sciamano ora e sì, esserlo finalemente non mi dispiaceva.
Ecco, i sensi di colpa li potevo eliminare, quella notte, per tutte e due, ero un fottuto sciamano! Ne fui talmente convinto che Sasuke si fece fare tutto in un silenzio e in una calma straordinari, gli occhi ad un certo punto chiusi.
L'effetto dell'alcool che arrivava allo stadio sonno: probabilmente stava avvenendo ciò nel corpo di Sasuke ma a me importava relativamente poco perchè in quel momento ero uno sciamano bravissimo, prescelto.
«
Ma ci tan bui a pigidi... » mentre insaponavo le spalle di Sasuke mi misi a canticchiare un vecchio motivo di una ninna nanna nativo americana che avevo imparato da piccolo ascoltando e riascoltando un cd che mi aveva regalato il nonno, improvvisando come quando avevo otto anni il testo della canzone.
Mi accorsi mentre passavo le mie mani su quelle spalle ossute che Sasuke stava tremando, prima piano poi come una foglia, tremava fortissimo; a guardare bene aveva la pelle d'oca. Perciò presi di corsa il getto della doccia, accesi l'acqua e virai la manopola sul caldo e quando sentii sulle mie mani che la temperatura dell'acqua poteva andare cominciai ad irrorare Sasuke, partendo proprio dalle spalle.
« Cazzo fai? » grugnì e parve riprendere facoltà della propria forza, infatti fece per mandarmi via, ma poco dopo sbuffò e si lasciò di nuovo andare con la schiena contro alla parete, seduto su quel piccolo sgabello incorporato nella doccia extra lusso che io e nonno ci eravamo concessi.
« Dai, vieni qua... » mi sentii invadere da uno strano
moto di affetto che mi bruciò in petto e, dopo avergli detto di chiudere gli occhi, gli gettai il getto d'acqua sui capelli che subito si lisciarono e ricaddero dritti sul suo volto e sulle spalle. Quando erano cresciuti così tanto? Ne rimasi stupito mentre gli prendevo il mento tra l'indice ed il pollice e piano gli reclinavo la testa all'indietro, per rischiarargli quel bel volto dai capelli.
Glieli insaponai a lungo, riponendo il getto sui miei piedi. Massaggiai il cuoio capelluto con una lentezza che credevo non appartenermi, ipnotizzato dalle mie stesse azioni. Sasuke non tremava più, non aveva più aperto gli occhi.
« Ma ci tan bui a pigidi... » canticchiavo e insaponavo, canticchiavo e sciacquavo facendo filtrare l'acqua nei capelli tramite le mie dita, posizionando il getto sull'attaccatura dei capelli, e sciacquando via tutto il sapone, tutto il sudore, tutto
lo sporco. Avevo la costante idea di star depurando di tutto il mio migliore amico, ad ogni passaggio dell'acqua su quel corpo provavo soddisfazione, o meglio, liberazione. Fu una sensazione stranissima, che non provai più, unita a quel moto di affetto che continuava a bruciarmi dentro.
Probabilmente avrei pianto, non fossi stato troppo concentrato nel mio ruolo.
Ricordo vivamente che non provai alcun eccitazione fisica, davvero. Non venne mai duro né a me né a lui; fu più che altro un'eccitazione mentale. In un'altra condizione probabilmente gli sarei saltato addosso appena entrati nella doccia, o meglio, mi sarebbe saltato addosso, facendomi cozzare contro alla parete, girandomi di modo da avere il mio culo bello in mostra. Invece non successe nulla di tutto ciò, nemmeno dopo, quando finimmo sul letto.
Uscii prima io di corsa dalla doccia, mi coprii con l'accappatoio verde che possedevo da quando avevo quindici anni e presi di corsa quello del nonno per portarlo a Sasuke; lui solo in quel momento aprì gli occhi e si accorse, forse, di non essere più sotto al getto dell'acqua. Si guardò intorno confuso per qualche istante, assottigliando gli occhi e privandomi quindi della visione di quei buchi neri che altrimenti mi avrebbero risucchiato anche quel nuovo fortissimo moto di affetto. Uscì dalla doccia lentamente, barcollando appena, chiedendomi spiegazioni con lo sguardo.
« La doccia come quando eravamo più piccoli, ricordi? » dissi la prima cosa che mi venne in testa, mentre lo aiutavo a mettersi l'accappatoio. Mi sentivo il nonno una decina di anni prima, quando facevamo il bagno assieme quelle rari notti d'inverno per scaldarci se i ricordi si facevano troppo pesanti da sopportare. Sasuke scosse la testa, « Sei nauseante » disse a voce roca, ma poi si strinse nell'accappatoio e aggiunse: « ho freddo e ho sonno » tremando e guardandosi i piedi bagnati sul marmo umido.
Non mi guardò più quella notte.
Lo condussi in camera e gli feci indossare il mio vecchio pigiama, quello che ormai era diventato
il suo; mugugnò qualcosa come « tu sei fuori » mentre si tuffava sul letto– ma tuffava proprio letteralmente, prendendo lo slancio e piombando sul letto -; lo vidi muovere le lenzuola per trovare da che parte entrare e poi distendersi su un fianco, raggomitolandosi tutto, corrucciato e ad occhi chiusi.
Di nuovo mi venne quel bruciore in petto, di nuovo per poco non piansi.
Non ebbe altri exploit di
forza e consapevolezza quel sabato notte; lo vidi scivolare nel mondo dei sogni neanche cinque secondi dopo che si era disteso, sentii il suo respiro pesante farsi leggerissimo; così decisi di stendermi anche io vicino a lui, come spesso aveva fatto nonno Jiraya in certe mie passate notti di incubi, dopo essersi assicurato che io mi fossi addormentato.
Doveva essere stanco morto; l'alcool fortunatamente lo aveva riempito di sonno e la doccia aveva aiutato a rilassarlo incredibilmente; chissà dove era finita la sua testa quella sera, cosa lo aveva costretto a rifugiarsi nel solito bar gestito da uno che odiavo con tutto me stesso ma che ancora non avevo osato
combattere per sottrargli Sasuke, cosa era avvenuto ai suoi neuroni, quali si erano irrimediabilmente rotti, che cosa avrebbe sognato. Chissà se si sarebbe alzato a metà notte pieno di sete, come spesso succedeva, ma non mi diedi alcuna risposta, non ebbi voglia e soprattutto non ne ebbi il tempo: mi addormentai come un bambino poco dopo Sasuke.
Ricordo l'attimo prima di chiudere gli occhi, stavo fissando la nuca di Sasuke con gli occhi pieni di lacrime stupide.
Dormimmo come sassi per quel che rimaneva di quel sabato notte. Lo trovai sulla porta d'ingresso della camera al mattino, che mi stava chiamando per nome per salutarmi prima di andare via.
« Oggi si va in gita al cimitero » disse senza spiegare e uscì sparendo veloce dalla mia vista, la coppetta lasciata sul tavolo.
Non feci in tempo a rincorrerlo.
Non lo sentii per per una settimana a venire.
Come sempre.



N/A
La canzone è “Mahk Jchi”! Robbie Robertson, in “music for the Native Americans”. Non ho fatto pronunciare le parole giuste a Naruto! A dir la verità io l'ho sempre cantata come lui :') se volete darle un ascolto è molto molto piacevole (ma vabbè io sono di parte, dovete sapere che ho un gran interesse per i Nativi Americani e la loro sofferta storia. Okay, scusate la divagazione. XD)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come avrete visto Sasuke era totalmente out con la testa ma in un sabato notte più calmo, Naruto fa tenerezza vero? Spero di essere riuscita a rendere ancora qualche sfumatura in più su quello che è il suo personaggio, lo conoscerete sempre più man mano, così come Sasuke.
Bè ora finisco di sproloquiare noiosamente – chiedo venia – e ci sentiamo nelle recensioni! Abbraccione
Bidirezione

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Capitolo 5
*** Sabati notte in cui Sasuke voleva solo piangere. ***


Salve gente :)
Eccoci qua con il quinto capitolo di questa massacrante storia! XD E' un capitolo molto triste, vi avviso. (ma va' direte voi.) Vedremo un'altra sfumatura di Sasuke, più umana, un altro suo sfogo, altre piccole cose. Naruto lascia andare i ricordi a quel tale sabato in cui Sasuke voleva solo piangere.
Grazie a quanti stanno seguendo/preferendo/ricordando: sono colpita! E a quelle poche povere anime che recensiscono: siete la mia forza, lo sapete! :3
Buona lettura, cari, a presto


Cinque -Sabati notte in cui Sasuke voleva solo piangere.

Sarà stata più o meno l'una di notte quando me lo vidi arrivare in salotto. Avevo lasciato pure il portone di casa aperto, c'era un caldo pazzesco e quella sera almeno avevo goduto di un po' di giro d'aria in casa per sfuggirvi.
Era vestito di tutto punto, ricordo ancora come gli fasciavano bene le lunghe gambe i jeans attillatissimi e quanto fosse provocante la canottiera nera strappata in diversi punti arrapanti come sotto lo sterno, che gli metteva in bella mostra le spalle, con i loro muscoli ben delineati seppur fossero magrissime.
Davanti a me si era presentato un Sasuke “in tiro” con i capelli ancora perfetti, legati in un codino basso che non poteva altro che stargli benissimo. Capii subito dove fosse stato fino a quel momento; sorrisi.
« Tunz tunz tunz » dissi subito andandogli incontro a grandi falcate; lo salutai con una pacca sulla spalla come un vecchio amico rompi-balle. Non avevo notato – non ancora – che gli occhi contornati da un velo di matita nera erano persi a fissare il vuoto, che quindi non mi stavano mettendo a fuoco.
Per un attimo avevo dimenticato che era sabato, che era già tardi, che Sasuke beveva.
« Sfotti sfotti, tanto me ne sono venuto via da quella merda. » la sua voce era roca, il suo alito pesante. Capire ed afferrare che Sasuke aveva trangugiato alcolici anche quella sera, ancora una volta, non fu facile quel sabato notte appena iniziato, non riuscii ad attivare subito il mio occhio clinico, vederlo arrivare così fottutamente sexy mi aveva azzerato il cervello, o meglio la capacità di analisi, la profondità. Come se essere in tiro significasse stare okay.
Sasuke camminò con passo incerto nei suoi mocassini blu vecchi fino al divano, vi si sedette barcollando sulle esili gambe, piombandovi di peso con un rumore secco, incassandosi nella pelle logorata dagli anni.
« Ti eri stufato di ballare? » gli rivolsi una domanda random con tono da sfottio.
Odiavo le discoteche, non le avevo mai capite, odiavo la musica house, odiavo chi la ascoltava, odiavo quei balli da cerebrolesi che avevo visto fare di persona a uomini e donne senza un minimo di controllo, a gente che voleva smarrirsi un po'. Odiavo anche questo fatto, questa idea di perdersi un po' a quel modo scemo.
Eppure alla fine Sasuke andava in discoteca almeno una volta ogni tre mesi, ballava in pista come uno scatenato – solo dopo il terzo giro di aperol liscio -, dichiarava di andarci per perdersi un po', anzi, per staccare proprio la testa, sfogarsi, dimenticare.
E io non potevo farci niente, Sasuke non lo odiavo. Non riuscivo ad odiarlo nemmeno per questo. Una volta mi ci aveva pure portato, anni prima, ma avevo rischiato di essere espulso dalla Sicurezza per aver raccolto baruffa con uno che continuava a palpare il culo a Sasuke.
Ascoltavo pure la sua musica, tunz tunz per minuti e minuti, a volte, quando Sasuke si raggomitolava vicino a me e mi passava una cuffietta con quel suo sorrisetto ammaliante, furbo.
Sasuke e la discoteca: che binomio assurdo. Devo ammettere che non sono mai riuscito a capacitarmi di questa unione; in parte la capivo insomma, davvero ci si sfogava e si dimenticava, dall'altra la trovavo una via di evasione profondamente triste.
Ero uno di vecchio stampo io, a me bastava incontrare qualcuno al bar dell'angolo per svagarmi, mi bastava giocare alla play col mio migliore amico, parlare con i colleghi e andare a cena con loro a volte. Pranzare con Sakura quando avevamo il turno assieme dalle due, dirci cavolate e pure confidarci cose intime.
Certo, a pensarci ora era triste pure questa mia via. Oltremodo vecchia, nauseante. Mi conduceva sempre a pensare che dopotutto io non avevo amici al di fuori di Sasuke ed era così da molti anni; tuttavia alla fine non è che chi andava in discoteca avesse davvero degli amici: c'erano solo dei passaggi in auto di comodo, dei letti da condividere da qualche parte nelle ore che rimanevano all'alba. Insomma, il mio ragionamento era assurdo e pretenzioso, faceva acqua da tutte le parti, eppure ne andavo fiero, una fierezza sciocca che però mi rendeva appagato come poche cose ormai.
In realtà le cose stavano così per me: Sasuke e la discoteca aggiungevano tristezza alla mia tristezza formando un mare tempestoso blu scuro che si muoveva con le sue onde fuori e dentro me, vedevo un mare triste ovunque, avrei voluto uscirne ma alla fine a volte il mare si calmava e la tristezza diventava quieta e dolce, mi cullava come in certi sabato notte lenti, come quando mi divertivo a fare lo sciamano da bravo coglione; a volte poi quel mare trasbordava oltre me e lui, riversando fiumi di lacrime salate su di me o su di lui ma senza svuotarci mai, come fossimo stati sotto una maledizione.
Magari avessi potuto dare la colpa di tutto ad un cazzo di maleficio. Dio, se avessi avuto abbastanza coraggio e follia da affidarmi al repertorio magico che mi ero creato, e non mi fossi accontentato delle mie stupide superstizioni.
« Vedo che mi stai ascoltando per bene. »
Sasuke mi guardava scuro in volto, le gambe stese sullo sgabello davanti al divano, le mani incrociate sulla pancia che non aveva. Sembrava in posizione di rilassamento ma nell'aria c'era elettricità, il suo corpo emanava solo tensione.
Possibile che dovessi perdermi così tanto in me stesso ogni volta? - pensai cercando di mascherare il moto di sconforto verso me stesso che mi aveva assalito; lo nascosi dicendogli un “ti prego, ripetimi” quasi implorante; sperai con tutto me stesso che Sasuke non si arrabbiasse, volevo che non mi guardasse con quello sguardo pieno di delusione
Non ero nemmeno un bravo ascoltatore, eppure era tutto quello che – in quel momento – sapevo fare. Dio, quanto mi facevano male queste constatazioni. Mi creavo delle paranoie che non erano altro che mostri nel mare, degli ostacoli mentali, mentre queste constatazioni non facevano altro che affossare ogni mia minima autostima a causa di tutta quella situazione, verso quell'altra faccia della mia medaglia.
« Ci vado perchè stacco, azzero il cervello, lo sai bene, Naruto. » cominciò così o meglio quelle furono le prime parole che il mio cervello riuscì a captare. Sasuke aveva iniziato a discorrere guardando la televisione spenta, rivolgendomi il suo profilo delicato. Una mezza luna delicatissima e piena di presagi, ecco che cosa sembrava. A pensarci adesso, questa immagine gli calzava a pennello. Guardavo una mezza luna che non emanava luce; non avrei voluto guardare null'altro al mondo. Gli facevo luce io, di riflesso. O almeno avrebbe dovuto essere così.
« Ma sì, lo so, lo so bene. » commentai col tono quanto più convincente che potessi ma risultai evasivo, troppo evasivo, perchè avevo una paura boia, ero terrorizzato che Sasuke esplodesse in un moto di rabbia per la mia fatica a concentrarmi su di lui. Era davvero troppo teso.
« Non mi sono divertito un cazzo, se vuoi saperlo. » sospirò, scrocchiò le nocche delle mani. « Li odiavo tutti ad un certo punto. Quella massa di idioti sudati, li odiavo tutti, la tipa che mi si è strusciata addosso fino all'attaccare del primo pezzo, il tipo che mi ha palpato il culo non una ma tre volte nonostante avessi minacciato di picchiarlo, il dj scadente, tutto odiavo tutto, il fatto che non trovavamo un buco di parcheggio, il tizio brufoloso che distribuiva i biglietti d'entrata, facevano tutti schifo ad un certo punto. Presente quando ti viene da odiare tutti, no? » parlò tutto d'un fiato, la voce sempre più alta; di lì a poco si sarebbe messo ad urlare.
Annuii, non potevo fare altro. Cambiai posizione sul divano, incrociando l'altra gamba, un minimo movimento che mi distraesse dal miscuglio di parole che Sasuke mi aveva vomitato addosso, dalla rabbia che sentivo addosso per osmosi.
Sasuke e la discoteca: un binomio esplosivo. Perchè non le cose andavano lisce tra loro. Si amavano per interesse, mica per purezza.
« Ma alla fine cazzo non sono pensieri miei, io non odio nessuno capito? »
Annuii più volte. Mi guardò allargando gli occhi, diventando per degli istanti una luna piena. Notavo la luce di consapevolezza che mi piaceva vedergli. Stava dicendo cose che mi piacevano, continuò a dilettarmi sempre di più infatti. Perchè?
Perchè quel sabato notte mi parlò di Itachi e del suo inganno. Mi fece capire che aveva capito che era tutto un incantesimo, che si trovava nella tela di ragno intessuta egregiamente da quelle mani da chirurgo. In cosa consisteva l'inganno, mi chiederete? Instaurare nella mente di Sasuke pensieri non suoi; un po' come avevo fatto io col seme dell'idea che i comportamenti di Itachi non erano giusti solo che, rispetto a cosa instillava Itachi, questo pensiero, sotto sotto, apparteneva anche a lui: latitava nel suo inconscio, l'avevo solo tirato fuori.
« Mi stavo preparando e compare sulla porta di camera a smerdarmi. Tu non sai stare con la gente, alla fine non sopporti nulla. Vai lì e ti distruggi i neuroni, stai in mezzo alla gente ma alla fine sei da solo, li odi tutti. In quel posto per far finta di essere come gli idioti mentre non ti abbassi al loro livello senza mai stringere rapporti piú stretti perchè ti credi migliore di tutti lor. Mi ha detto così guardandomi come uno stronzo, con quel suo sorrisetto saccente, voglio proprio vedere il prossimo che lo scambia per affabilità gli parlo ben io, gli dico ben io come stanno le cose, di come Itachi abbindola le persone con una ipocrisia vomitevole.
Ti pare sia un posto per te? Sei un'ipocrita. Ha detto proprio così. »
« E' geloso da far schifo » lo dissi di botto senza neanche pensare a cosa stessi rispondendogli. La mia teoria d'altronde era proprio quella, che Itachi sparasse tutte quelle stronzate perchè in fondo in fondo (ma neanche tanto in fondo) era geloso. Schifosamente geloso del fratello. Oltre che insicuro al cento per cento sulla sua relazione con qualsiasi essere umano, figuriamoci col suo fratellino di sangue. Pur tuttavia che quest'ultima cosa fosse un discorso a parte.
Sì, Itachi era una persona complessa. Quasi più di quanto lo eravamo noi, di quanto ancora lo sono io, che pure mi è rimasto così poco di tutto quel periodo se non un pugno di ricordi e riflessioni senza senso, che ora vegeto nella mia poltrona con un bicchiere di birra in mano.
« Sono misantropo, capisci. Devo imparare a non fare le cose come le faccio, prendo per il culo tutti in discoteca io. Alla fine la discoteca è solamente un mezzuccio per dirmi che nelle situazioni sociali io ci sto male, non le so affrontare e anche se le affronto trovo scorciatoie, metto una barriera tra me e il mondo. E poi... pure la musica assordante è una barriera, è il non permettersi di parlare con l'altro. »
Gli si ruppe la voce quando pronunciò le ultime parole, strozzata da un singhiozzo che gli partì dal più profondo di sé. Straziante è l'aggettivo giusto, risuona ancora nella mia mente il suono dei singhiozzi che ogni tanto prendevano possesso del corpo di Sasuke. Lo scuotevano nel vero senso della parola, preludio ad una cosa che lui non tollerava fare.
Preludio al pianto.
« Oh non fare così... » sussurrai ancora di botto, slanciandomi per abbracciarlo, ma non volle essere toccato, inutilmente gli andai vicino cercando di contornargli le spalle con un braccio, di pigiare le nostre guance l'una sull'altra. Mi spinse via, mi strattonò, quando insistetti ancora mi mollò una gomitata nello sterno. Rimasi seduto vicino a lui, ma tenni le mani strette come se stessi pregando, non potendo far altro che assistere da spettatore ad un maremoto sulle mezze lune.
« Io davvero non sopporto nessuno; è così Naruto no? »
Non so come resistetti dal non mollargli un ceffone in piena faccia quel sabato notte. Possibile che appena provassi un minimo di conforto questo veniva lavato via dal più totale senso di vuoto? Mi ero appena detto che Sasuke aveva capito l'inganno. Se ne usciva con quella domanda?
Divenne di nuovo una luna piena girandosi ad osservami, a pormi la domanda pure con gli occhi, quei pozzi neri colmi di acqua che volevano estorcermela, che mi risucchiarono il principio di rabbia.
« Sono discorsi da rincretinito totale vero? Tutte cazzate no, tutte pare mentali da bambino dell'asilo vero Naruto? Dimmelo avanti sono un fottuto bambino di otto anni che non sa accettare alcun tipo di giudizio da una persona a lui vicina, è così o no? Se non me lo dici giuro che ti faccio del male. »
Sasuke mi afferrò un polso e me lo strinse con forza, affondando le unghie lunghe nella carne. Più passavano i secondi di silenzio e più stringeva, alla fine se avesse continuato a stringere avrei perso la sensibilità della mano.
Non ricordo molto di quello che successe dopo, ero troppo perso nell'ipnosi di quegli occhi, nel panico di trovarmi con le spalle al muro, inchiodato, ottenebrato da troppe sensazioni. Eppure la risposta ce l'avevo pronta, la ricordo ancora, ma non riuscii a dirla subito. Non parlai immediatamente, esitai. Avevo troppo dolore al polso e mi aveva colto troppo di sorpresa.
Ricordo solo che Sasuke scoppiò in un pianto senza alcuna possibilità di conforto, tenendosi la testa e coprendosi gli occhi, stropicciandoli in continuazione per non farsi vedere piangere, incurvandosi e chiudendosi nelle spalle, dandomi di nuovo il profilo e poi le spalle; vidi a lungo le sue spalle scosse dai tremiti dei singhiozzi, forse, stetti a lungo in silenzio dopo aver quasi urlato la mia risposta perentoria, forse. Forse diede dei calci al tavolino davanti al divano, facendolo cadere; forse si graffiò le braccia, forse mi picchiò perchè non riuscivo a porre fine al suo pianto e perchè in fondo non gli ero mai di alcuna compagnia.
Sono tutte ipotesi, queste; purtroppo non ricordo più alcun dettaglio di quel sabato avendolo cancellato per il dolore di doverlo vedere così ma la forza delle abitudini e la catalogazione delle decine e decine di dati di altri sabati simili a quello mi fanno pensare a quelle ipotesi come certezze. Probabilmente Sasuke non accettò neanche un bicchiere d'acqua, non varcò mai la soglia di camera per rimanere in salotto, rannicchiato sul divano. Sì, probabilmente si mise giù per chiudere gli occhi nella quiete che il pianto gli donava al suo fermarsi e si addormentò all'istante, ancora una lacrima che colava assieme alla matita nera, formando macchie scure sotto a quei buchi neri tappati.
Non era il primo sabato che faceva così, lo avrete capito. Pensate un po' come mi dovessi sentire in quei momenti che neanche il mio abbraccio era accettato. Una volta ho letto in un articolo di giornale che chi non sa accettare gli abbracci è una persona malata, ci avevano azzeccato; solo che quell'articolo aggiungeva anche cose come è una persona fredda, arida, un mucchio di cazzate che mi avevano dato fastidio.
Sasuke non era né arido né freddo, non avrei mai più conosciuto turbinii di emozioni come lui che ne aveva troppi, andava in cortocircuito ad un certo punto, complice anche l'alcool, la bestia.
E piangeva.
Non ve lo dico per fare la vittima, è l'ultima cosa che voglio fare, ma mi sentivo davvero una merda all'indomani di quei sabati dediti al pianto. Mi alzavo, tiravo su la persiana e i raggi solari illuminavano il volto emaciato e gonfio di Sasuke, i buchi neri quasi nascosti dalle spesse occhiaie, le labbra rosse e tagliuzzate dallo sforzo del piangere. Era seduto sul letto e mi osservava senza voler davvero guardarmi, forse d'abitudine o forse per darmi un piccolo segno di riconoscimento, di gratitudine. Grazie Naruto, ti guardo, sono qui. Dietro a quello sguardo vacuo c'era la profonda vergogna di un uomo che non vuole fare ricordare di aver pianto davanti ad un altro uomo, c'era la consapevolezza di aver detto chissà cosa un paio di ore prima. C'erano pensieri di odio verso la propria persona; ancora tanta verogna. Tutte cose che io avrei voluto non esistessero. Glielo avevo anche detto, più volte, che era tutto normale. Piangere, sfogarsi, dopo tutto quello che gli capitava, era normale.
Trovavo anche della normalità in tutta l'assurdità delle nostre vite in quei momenti dove non riuscivamo a superare il peso delle azioni sincere che avevamo compito e finivamo solo per stare lontani nonostante ci fossimo aperti in modo impervio il cuore, delle costanti a cui aggrapparmi, dei modi di essere tipici di ogni uomo al mondo che mi riportavano sulla soglia dell'ottimismo; giusto quel po' da riuscire a portare a casa Sasuke con un sorriso sulle labbra senza fargli capire nulla di come io mi sentivo.
Giusto quel poco da riuscire a dirgli “se non va tornatene subito da me” con quanto più coraggio possibile prima che Sasuke smontasse dalla macchina e tornasse dentro la prigione dorata.
Ora che penso a tutto ciò mi viene in mente un piccolo pensiero realista, una cosa che mi dilania l'anima assopita risvegliandola un poco, che mi fa rivere un po' dell'adrenalina di allora: io sbagliavo sempre.
Sbagliavo a non dirgli come si sentiva realmente Naruto Uzumaki. Chissà, se gli avessi raccontato cosa succedeva in me durante quei sabati notte forse le cose sarebbero andate in altro modo. Avremmo sofferto entrambi molto di meno.
Mio nonno diceva sempre che non si vive col senno di poi. L'ho capito andando avanti quanto avesse ragione.
Quanto mi stanno sulle scatole i giorni in cui conosci troppo per poter sia dimenticare sia cambiare qualcosa.
Quanto odio una coscienza passiva.


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Capitolo 6
*** Una domenica positive. ***


Salve belli :)
Sesto capitolo pronto e...posso dirvi che non sarà la solita tragedia! Muahahahaha sì, ogni tanto questa storia prende una piega meno angst ma...non aspettatevi balli di gruppo e risate sguaiate, ecco. *ride. A parte gli scherzi... (amo prendere in giro questa mia divertentiiiiissima storia), questo capitolo si colloca temporalmente dopo il terzo, e ho detto tutto, credo. u.u
Spero vi piaccia, ci metto sempre tutto il mio massimo! Grazie a coloro che stanno seguendo, di cuore. Spero anche di sentirvi nelle recensioni, ne ho bisogno: altrimenti cado a picco come Naruto in questa fanfic se non si sbriga... più o meno. Bè buona lettura ragassuoli.


Sei - Una domenica mattina positive.
Non avevo conosciuto che amori strani, diversi. Almeno fino a poco tempo fa io, che non avevo capito che in fondo di amore c’è sempre e solo quello, che c’è Amore e basta, pensavo così.
Mio nonno mi amava coi suoi abbracci e le sue arrabbiature improvvise, la sua educazione sessuale impartita fin dalla prima infanzia, le sue risate sguaiate e i regali che mi portava dal mondo; mi avevano amato i miei dandomi alla luce, mi aveva amato - quei nove mesi e tre giorni che convivemmo - mia madre, mi aveva amato dal momento del nascere mio padre che, con la sua voce dolce, aveva potuto proseguire ad amarmi fino all’arrivo dei miei tre anni, la
malattia.
Mi aveva amato il maestro delle elementari, Iruka, mettendomi in punizione durante le ricreazioni affinchè non venissi bullato dai miei compagni o combinassi bufere di lotte contro di loro; mi aveva amato il mio professore del liceo, Hatake, addirittura nel momento in cui aveva deciso di dividere me e Sasuke!
Mi aveva amato la ultima compagna del nonno, Tsunade la vecchia – con l’appellativo che le davo io visto che, nonostante si tenesse in forma egregiamente, qualcuno le doveva pur ricordare che aveva superato i settanta! - quando nella mia adolescenza si era appropriata della sola parte della mia famiglia coi suoi modi bruschi, con le sue voglie alterne, le sue passioni ambivalenti e scostanti, il suo continuo appoggiarmi duro ma sincero in ogni mia difficoltà arrivando dal nulla o dal Sahara.
Mi aveva amato Sasuke.
Sì, Sasuke mi aveva amato. Avete sentito bene.
Con la sua rabbia, con il suo egoismo, con lo sfottermi, con le botte e con le lacrime, mi aveva amato; dandomi il buongiorno in certe domeniche mattine positive, sorridendomi varcando la soglia di casa mia...pure in quel periodo buio come i suoi occhi mi aveva amato. Forse mi amò in quei mesi più che non prima, prima quando non eravamo che due amici, certo, un po’ particolari ai più, ma amici. E non degli scopa-amici, amanti, amici, punch ball, spugne, mezze lune e galassie che si allontanano dal sole.
Le sentivo sulla pelle come sale rimasto dopo un bagno nel mare e asciugato dal sole le tracce del suo amore. Le immaginavo esattamente così: piccoli e invisibili granelli di sale che mi coprivano interamente a cui ogni tanto dare una leccatina per sentirne il sapore, sapere che c’è.
Io e le mie metafore marine: quanto ero fissato con il mare? Tantissimo; lo
sono ancora oggi. Sarà che sono nato in una cittadina di mare e che non ci ho mai abitato tanto lontano, sarà che ce l’ho nei geni (mio nonno prima di aprire l’agenzia viaggi era stato marinaio per molti anni), sarà che è proprio una fissazione ma il mare non riesco a fare a meno di tirarlo fuori, in tutte le salse, in ogni concetto che devo esprimere.
Sasuke odiava queste mie similitudini... Come tutti diciamo. Gli riempivo la testa di conchiglie, granchi, sabbia e sale... come biasimarlo? Dovete sapere che lui aveva un rapporto strano col mare, l’ha sempre avuto: gli porta malinconia e lo ama, gli porta via i pensieri e lo odia. Paradosso no? Di solito era il mare d’inverno ad abbattermelo di più, anche se c’era stata una sera d’estate in cui, seduto sul pontile, le gambe penzolanti nell’aria, davanti alle ultime tracce rosso scure e rosa chiare del tramonto, lontano all’orizzonte, lo avevo visto diventare di colpo serio e capii che quella serietà altro non era che malinconia e tristezza e poi... lacrime e il circolo vizioso dei pensieri auto- distruttivi era entrato in circolo.
Dovetti portarlo a forza a mangiare una granita perchè sapevo che almeno un po’ di glucosio riusciva a tirargli un po’ di vita, a riprendersi.
Quella domenica si presentò sotto casa mia con gli occhiali da sole già piazzati davanti ai buchi neri, il solito zaino eastpack delle scampagnate sulle spalle, le infradito nere ai piedi.
Non lo vedevo da una manciata di ore, da quando aveva preso la porta quel sabato notte, andandosene inferocito. Chissà dove aveva dormito, visto come era conciato probabilmente era passato per casa sua. Aveva incontrato suo fratello? Che si erano detti? Non gli avrei chiesto alcunchè, mi era bastata la lezione di rabbia di poche ore prima.
Mi diressi verso l’auto dopo averlo salutato con una pacca sulla spalla, senza dire niente; tirai dritto verso la macchina e ci entrai sicuro di me, volevo dimostrargli che andava tutto bene, che sapevo contenermi nella mia curiosità e pena. Entrò poco dopo, puzzava di fumo ma anche di docciaschiuma alla vaniglia. E’ stato a casa sua, quindi - pensai – ha fatto la doccia lì.
« Sì, profumo. Vuoi per caso saltarmi addosso? » mi domandò piegandosi in avanti per accendere la radio. Cambiò circa una decina di stazioni, rintronandomi da morire. Ad un certo punto, mentre continuava ad andare avanti col bel dito lungo pigiato sul tasto con la freccia verso destra, pensai che lo stesse facendo apposta: per distrarmi. O per farmi innervosire fino al punto da dirgli qualcosa; ma sospirai e girai la chiave facendo partire la mia simpatica utilitaria arancione: mi sarei trattenuto.
« Solo pubblicità in questo schifo di radio. »
Annuii.
« Giusto per rompere i coglioni alle sette e mezza di mattina, no? »
Annuì lui.
Ricordo che lo guardai con la coda dell’occhio e trovai un sorriso a increspare le sue labbra sottili come carta velina. Ricordo che guidai liscio come l’olio, tranquillo, scivolando su strade ancora deserte, una sensazione di quietezza che non avevo da molto in corpo. Assurdo come andasse il destino, persino la
caviglia su cui Sasuke aveva inflitto la sua beffa di rabbia non faceva male. Assurdo il cervello, la sua dinamica, la pazzia intrinseca all’essere umano che ti anestetizza e ti fa godere anche di un piccolissimo viaggio in macchina ai primi raggi del sole in una fresca mattinata di luglio.
Restammo senza parlarci per quasi tutta la durata del viaggio, forse Sasuke si addormentò. Non lo so, mi persi nelle note della radio, trasmisero solamente canzoni di mio gusto, tutte cose pop-malinconiche che abbeveravano la mia anima malinconica e calma.
Di come siano andate le cose poi, nella giornata, non ho molti ricordi. Mi pare che il nonno ci accolse ridendo sguaiato di quanto fossimo pallidi e di quanto avessimo entrambi bisogno di divertirci un po’, di come lui due così smorti mica li voleva vicino; ci fece strada tutto sornione verso la spiaggia, girandosi ogni tanto a farmi l’occhiolino, dicendo che Tsunade - la vecchia – ci aspettava al bar della spiaggia con due belle brioche calde e profumate.
Ricordo che fui assalito dalla voglia di abbracciarlo ma mi trattenni, che Sasuke sorrise nel vedere la camminata stramba del nonno, a gambe larghe, che facemmo tanti bagni, che Sasuke sorrise ancora e ancora.
A pensarci bene, ricordo bene i sorrisi di quel giorno, sorridevamo tutti ai momenti lieti che solamente del tempo trascorso sotto al sole e nella sabbia e nel sale potevano dare all’uomo, appagandolo. Almeno per me fu così.
Non ho idea di cosa facemmo di preciso, di che parlammo, non ricordo neanche un particolare della vecchia, nulla di nulla di dove mangiammo, di quando ritornammo.
Immagazzinai solo delle labbra che si piegavano, ad ogni sorriso il rischio di strapparsi. « Grazie Naruto. »
E quelle parole dette a fine giornata, forse in macchina, forse in un orecchio quando il nonno non ci ascoltava, forse mentre mi stuzzicava stringendomi a sé nell’acqua. Sì, ricordo pure questo. Lo so, sono un furbo. Eppure certe cose a volte mi imbarazzo a dirle anche se lo so, ve ne ho raccontate di ben peggiori. Il fatto è che ho una mente strana, perversa quanto volete ma per certe cose come quella mi imbarazzo ancor oggi: un rimasuglio di pudore adolescenziale? Chissà. Ammetto che mi eccitai da morire a sentire il corpo di Sasuke attaccato al mio, a constatare quanto fosse duro il suo cazzo sotto il costume.
Che giornata, ragazzi. Non potei fare a meno di pensare che me l’avevano regalata da lassù quella domenica lì. Mamma e papà, quei due furbi che si facevano sentire quando volevano. Li pensai a lungo i giorni seguenti: alla fine il mare muoveva pure il mio inconscio, non solo quello di Sasuke.
Chissà cosa gli smosse quel giorno; chissà cosa si ritrovò a pensare i tempi seguenti. Io, il sabato dopo, non lo vidi.


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Capitolo 7
*** Sabati notte in cui ci volevamo bene. ***


Salve tenerezze (?) :3 perdonate il ritardo, ma a mia giustificazione dico che a parte l'ispirazione bagorda (?) e un po' di sconforto, ho un periodo incasinatissimo! Ma ecco pronto per voi un altro momento della relazione tra Naruto e Sasuke, sempre sull'onda della “dolcezza” (se davvero così la si può chiamare) tra i due, dopo esserci lasciati alle spalle l'intrusione in una loro domenica positive... Spero che questo capitolo possa piacervi quanto a me è piaciuto scriverlo, ovvero tanto u.u. Grazie di cuore a chi sta seguendo questa raccolta, e ancor più a chi la sta commentando, rubando parte del suo preziosissimo tempo per dirmi il proprio parere. Un bacione a voi quindi,e buona lettura!


7 - Sabati notte in cui ci volevamo bene.

Partii da me quel momento dolcissimo di cui riesco ancora a rimembrare la sensazione. Era come se, tutto a un tratto, il tempo si fosse fermato per tutti tranne che per noi che ci stringevamo in un abbraccio; come se per qualche istante ci fossimo rifugiati in una bolla atemporale che teneva lontano qualunque cosa potesse attaccarci, ostacolarci, impensierirci... una bolla in cui noi esplodemmo.
Fu una esplosione pitturata di colori pastello, sulle gradazioni del rosa e del rosso acceso. Erano i colori che io davo al pianto; per me certe lacrime non erano né trasparenti né azzurre come nei disegni dei bambini ma rosa, rosse, anche arancioni. Erano lacrime nate da esplosioni interne al ritmo delle onde gamma lanciate dal nostro cervello impazzito: eravamo di buon umore e stavamo piangendo.
Tutti e due.
Avevo la mano sinistra sulla sua nuca, la spingevo verso l’incavo della mia spalla con delicatezza mentre l’altra mano toccava la sua schiena, le dita che la accarezzavano senza una direzione precisa. Il mio mento sfiorava i suoi capelli liscissimi, lo bagnavo di lacrime come lui bagnava la mia maglietta arancione per casa - la mia copertina di Linus -.
Eravamo scoppiati a piangere quasi all’unisono: prima io mi ero subito lasciato prendere da portentosi singhiozzi poi lui mi aveva dato un pugno sulla spalla, “scusa” aveva sussurrato prima di scoppiare a piangere oltre le gocce che coprivano i miei occhi.
Si era nascosto il volto più volte, ci aveva provato, dandomi le spalle affinchè non lo vedessi ma alla fine avevo vinto io e lo avevo tirato verso di me, circondandolo con le mie possenti braccia ed imprigionandolo. Ora l’avevo tutto per me, era in mio possesso il mio Sasuke.
Mio, mio, mio – continuavo a ripetermi mentalmente, un mantra bellissimo. Pure lo dissi e Sasuke sbuffò, tirò su col naso.
Quando piangeva tornava bambino. I grandi occhi neri si colmavano fino a far straripare le lacrime, copiose, la fronte si corrucciava, la bocca si allungava verso l’esterno del viso con prepotenza, gli estremi delle labbra gonfie a momenti verso il basso, tremanti. Copriva malamente con le nervose mani quel volto segnato dal pianto intenso, rendeva tutto quasi buffo. Continuava a coprirsi e pulirsi con le mani, i palmi bagnati da lacrime che poi trascinava in giro per la faccia, sul collo, sui miei e suoi vestiti.
Buffo, goffo, timido. Era il Sasuke che piangeva. Un po’ rabbioso ma di una rabbia positiva, un nervoso passeggero dettato dall’orgoglio smisurato.Lo sentivo solamente continuare a cercare di bloccare i singhiozzi che tuttavia uscivano pieni di forza, infermabili, come piccoli scoppi di piccoli petardi che lo muovevano tutto tra le mie braccia.
« Ehi... » gli sussurrai in un orecchio e prendendolo per le spalle lo staccai da me per poterlo vedere in volto, cercavo il bambino che aveva fatto capolino da Sasuke. « Ti si fanno gli occhi belli, lo sai? » dissi ma in realtà fu un tentativo mal riuscito di sdrammatizzare. Lo trovai il Sasuke bambino. Ed è per non sorridere a quella visione che dissi una cosa a caso, per sorridere con la scusa che fosse per quella battuta. Non volevo Sasuke si offendesse.
« Infatti ho constatato già che è un’altra cazzata delle tue » rispose, scuotendo la testa e poi dandomi il profilo, rinunciando a staccarsi dalla mia morsa sulle spalle. Traduzione: non era davvero offeso, era straordinariamente a posto. Godevamo ancora in pieno dell’effetto dell’esplosione di colori; ora Sasuke emanava un’aura di pace. Sì, certo c’era stanchezza e compagnia bella, eppure nonostante ciò sembrava in uno dei suoi mo- menti estatici. Quelli che io a guardarlo ero tutto un “wao”.
Era in mio possesso, sotto al mio controllo fisico, ma era come un’entità extracorporea o meglio, che la sua anima stesse volando via o fosse già volata via a guardare il cielo fuori pieno di stelle, restando vicina a noi ma lasciando Sasuke in pace, cosciente di non poter poi che ricavare altro che del bene dal ritorno della sua anima. Oppure era perso in quel nirvana tutto suo, come certe domeniche mattine.
Era lì di fronte a me, vedevo quel suo finissimo profilo e le lacrime che cadevano giù nel vuoto dal mento. Sasuke era chissà dove.
Certo è che per entrambi si era formata la bolla atemporale, ci avvolgeva senza farci temere nulla, eravamo al caldo, al sicuro.
Ci eravamo abbracciati finalmente. Sapete, erano passati dodici mesi da quando lo abbracciai così stretto stretto a me. L’anno precedente lo trovai sulla soglia di casa, attendeva che tornassi dalla mia prima giornata di lavoro, “ti aspettavo” mi aveva detto col tono titubante di chi aspetta le notizie di un proprio caro e non ero riuscito a trattenermi: ero corso sotto alla pioggia senza ombrello ed ero andato ad abbracciarlo, si era lasciato stringere, sornione e in fondo appagato anche lui dall’aggressione del mio corpo.
Avevo realizzato di amarlo. « Ti amo, lo sai? »
Lo realizzai pure quel sabato sera, con Sasuke nella sua sbronza strana che mi dava solo il profilo, quello spicchio di luna a cui stavo dando luce più che mai.
« Io no, ovvio. » mormorò; vidi l’estremità delle labbra piegarsi all’insù: sorrise.
« Basto io per tutti e due, sono un dispensatore di amore a capienza illimitata! » dissi una cazzata, mi interessava solo il moto di affetto che stavo provando.
Le lacrime che salivano agli occhi, il groppo alla gola che stava per sciogliersi.
Sorrisi, mi tremarono le labbra.
« E pure un dispensatore di cazzate, sì. »
Si voltò ad osservarmi, gli occhi gonfi di lacrime e si vedeva lontano miglia che si stava trattenendo dal rifare quello che invece colse di nuovo me. Sorrise anche lui a labbra tremanti, scosse la testa con fare rassegnato teatrale.
Mi indicò con una delle sue dita lunghe e magre. « E un piagnone, giusto Sas’ke? » Annuì. Puntò il dito sulla mia fronte, spinse. « Mi hai contagiato anche in questo, cazzo. »
Si chinò su di me sorridente e grave allo stesso tempo, l’esatto binomio di ciò che era per me bellezza.
Aveva sempre avuto carisma a pacchi, Uchiha Sasuke. Fin dai primi istanti in cui lo avevo avuto vicino, mi aveva trasmesso una enorme libido e intrappolato in un labirinto magnetico di difficile uscita.
Ecco che amavo anche il suo carisma, una delle molte, troppe cose che amavo di lui. Non fossi rimasto a bocca asciutta per lo stupore di ciò che avvenne di lì a poco probabilmente gli avrei pure elencato tutto ciò che amavo volevo desideravo adoravo di lui, innervosendolo, beccandomi sicuramente schiaffi, rompendo quella bolla temporale che si dissolse comunque.
Quell’abbraccio che ci eravamo appena dati. Ecco, amavo e amo pure quello.
Come preannunciato rimasi zitto.
Sasuke leccò una lacrima che stava sgattaiolando via dal mio occhio sinistro, la prima di una lunga serie di lacrime.
Scoppiai a piangere e mi tuffai su di lui, catapultandolo sul divano e premendo forte il mio corpo su di lui, strusciando le mani sotto alla sua schiena e sopra il divano, abbracciandolo come potevo, in quella posizione supina, come volevo.
« Non te lo ripeterò più, sappilo. Ti amo. »
Forse le ha inventate la mia memoria quelle parole, e a furia di ripetermele mentalmente le ha distorte tantissimo facendole divenire tutt’altro rispetto le originali, poco importa, riuscì a farmi tacere ancora. Due volte nel giro di qualche secondo, zittito dal miracolo.
Ma che miracolo...in fondo io lo avevo sempre saputo e sempre lo seppi.
Sasuke mi morse una spalla e io premetti forte il ginocchio sinistro sulla sua coscia destra in risposta.
Sempre seppi che Sasuke Uchiha mi amava.
Non ebbi la forza per fare un altro movimento, era così caldo il corpo di Sasuke...così calmo ora... ricordo che mi venne sonno. Ricordo che Sasuke rimase immobile, che il suo respiro si fece sempre più lieve.

Probabilmente quell’alba timida che arrivò ci trovò a dormire l’uno sopra all’altro, ancora abbracciati.
Ricordo che quella domenica mattina, che arrivò con un sole prepotente, andai con Sasuke a far colazione alla gelateria vicino casa mia. Per me amarena e yogurt, per lui nutella e nocciola – ordinai alla cameriera mora che conoscevo bene perchè era stata mia compagna di classe alle elementari e alle medie -.
Ricordo che lo accompagnai a casa a piedi, quando arrivammo sotto casa Sasuke mi prese la coppetta vuota che avevo tra le mani e la mise sopra alla sua, decidendo di buttarle via in appartamento. Decisione rischiosa se Itachi era presente eppure una cosa così normale se Itachi non lo era.
Sasuke aveva voglia di far così, punto, perciò non feci storie. Lo salutai con un sorriso allegro, ero sincero, avevo davvero voglia di trasmettergli quel sorriso colmo di una ritrovata allegria.
Ricordo che mi disse che sembravo tornato il Naruto stupido; me ne tornai a casa felice.
Gli scrissi un messaggio che doveva esser stato una cosa come “certo che tu nutella nel cuore eh?”, una roba molto stupida, un battibecco dal sapore di passato; lui forse rispose un “meglio che al gusto di ZUPPA inglese” di modo che il botta e risposta continuasse.
Insomma messaggiammo molto quella mattina, non gli chiesi di Itachi né se il rientro fosse andato tutto okay.
Ricordo sensazioni molto positive, fu una domenica positive. Talmente tanto che il lunedì arrivai al lavoro con il caffè per tutti - preparato in un mega thermos poco prima di partire da casa - e tazzine in plastica. Sakura mi sorrise sorniona, fu una delle prime volte in cui mi domandai se quella mia collega carina sapesse qualcosa di me oltre a quanto mostravo e raccontavo.
Di Sakura vi parlerò più avanti, non rimase un personaggio in sordina nella mia vita da film, o meglio, non fu uno di quelli che passano e hanno una particina piccola ed un bell’aspetto piacciono al regista e al pubblico e se ne vanno. Decisamente no. Certo, non esattamente il personaggio chiave ma...qualcosa di simile, anche se ebbe poche vere scene. Qualche ciak, diciamo, ma qualche ciak importante per la Naruto’s sad love story. Che titolo banale per un film drammatico.
La mia vita di quei momenti meritava un titolo migliore, un “I will try to fix you” avrebbe fatto al caso mio.
Mah, di certo all’epoca mi sentivo dappertutto tranne che in un film. Semmai in più generi di film miscelati al punto da non trovare il filo logico di ognuno; quella era la vita vera e me ne accorsi quando il dipanarsi delle sottotrame e dei silenzi si fece chiaro, ormai troppo tardi. Dura, bella, pura.
Fatto sta che quel titolo c’entra il punto. Quelli erano i tempi in cui provai a sistemare un po’ Sasuke, per dirla in modo semplice. Riassestarlo. Ripararlo. Ricostruirlo mantenendone i pezzi.

Sapete, gente, dopo notti su notti e domeniche su domeniche, il qui presente Naruto Uzumaki non sa ancora dirvi se ci sia riuscito, a fix you.

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Capitolo 8
*** Sabati normali. ***


Salve :)
Capitolo ottavo a Voi, parla di un sabato normale, per continuare la tendenza più o meno positiva dei weekend di Naruto e Sasuke. Buona lettura di questa piccola cosa, grazie a quanti di voi seguono la fanfic, sia silenziosamente che “attivamente”. Mi farebbe piacere un commento,anche minuscolo, per farmi sapere se merita di stare su questo fandom o se in preda all'impulsività devo farla sparire dalla faccia della tera (?) si sono di umore nero, stasera. XD Un abbraccio, a presto!



Sabati nomali.
Sei a uno. Ricordo ancora il risultato di una partita dei mondiali che stavo vedendo stravaccato sul divano. Credo fosse una per gli ottavi di finale, il colosso di casa le stava prendendo dal piccolino: un vero e proprio spettacolo. Era la prima volta che non mi annoiavo a vedere una partita di calcio, anche perchè non avevo mai visto piangere i giocatori in campo assieme alla gente ammassata sugli spalti.
Ero talmente preso dentro al gioco che non mi accorsi dell'arrivo di Sasuke, il che è tutto dire.
« Ti sei rincoglionito una volta per tutte? »
Sobbalzai a sentire una voce diversa da quella del cronista e girai bruscamente la testa verso chi aveva parlato, non riuscendo sulle prime a riconoscere in quella voce Sasuke.
Realizzai fosse lui quando mi si sedette vicino crollando pesantemente sul divano e sentii le sue spalle magre sfiorare le mie, quando le mie narici si riempirono delle molecole forti del profumo del mio migliore amico, quando lui ripetè la domanda.
« Uno spettacolo! » esclamai e indicai lo schermo della televisione; lo guardai bene e vidi che c'era della pubblicità spazzatura: capii che la partita doveva essere finita proprio quando mi ero accorto dell'arrivo di chi
teoricamente aspettavo.
« Immagino, quasi quanto il mio fratellino con il cappello da rapper. » disse Sasuke nel tono più
acceso ed ironico che possedesse, uscendosene subito dopo in una minuscola risatina che somigliava ad un ringhio basso.
« Quei cappellini orrendi con la frontiera intendi? »
Sasuke doveva essere di
buon umore – pensai all'istante, mentre portavo avanti quella conversazione iniziata. Era un' ottima partenza sia per me che per lui. Significava che prima di tutto Sasuke era lucido quel tanto da non avere la testa piena di nebbia densa - nella quale era difficile riuscire a trovarci qualcosa di utile al fine di farlo stare meglio (perchè io cercavo sempre e solo quello, quel qualcosa) - né di rabbia pura e dura.
Ovviamente il suo buon umore non era quello che pensate voi tutti, soprattutto durante i sabati notte; solo che se usava quel tono e quell'ironia lì io sentivo automaticamente che non era nero, che quel sabato ci sarebbe stata come minimo
comunicazione. Certo è che mica si metteva a ballare la macarena solo perchè si era svegliato col piede giusto e voleva esternare al mondo quanto stesse bene con se stesso! No, semmai quello ero io. Decisamente.
« Ha deciso che deve fare il gggiovane. »
« E per questo va in giro con un cappellino da sfigati? »
Udii la risata di Sasuke accanto a me, sorrisi ma non volli girarmi a guardarlo. Potevo anche non permettermelo, tanto sapevo che i suoi occhi erano luminosi, quel sabato notte e che sulla sua faccia non albergava alcuna smorfia. Insomma,
stava bene. Non dovevo constatare alcunchè.
« Il suo calciatore preferito ha lanciato la moda, quindi lui se ne è comprato uno ed è andato a fare la partitella mensile coi suoi colleghi così... »
Scoppiai a ridere. Se c'era una persona che non mi immaginavo con quel cappellino che consideravo da fottuti in testa, quella era Itachi Uchiha col suo aplomb. Aplomb...per modo di dire: almeno esternamente, ecco.
« God, quanto pagherei per vedere le facce dei suoi colleghi quando si presenta al circolo così. »
« No ma aspetta, non ho mica finito qua. »
Mi girai verso di Sasuke, questa giro non ne potei fare a meno.
Aveva un'espressione schifata mentre si accingeva a parlare ancora.
Era bello pure con la faccia contorta da una smorfia. Mi piaceva tantissimo.
Notai che i suoi occhi erano privi di matita nera: capi che non era andato in discoteca; notai anche che il suo volto sembrava
più pieno, come fosse andato su di peso in quegli ultimi sette giorni. Sasuke oscillava sempre di peso, pur nella sua magrezza, e se prendeva anche mezzo chilo glielo si vedeva tutto, perchè gli venivano le guance più tonde, gli si distendeva il volto come dopo ore ed ore di dormita.
Era proprio bello – mi ritrovai a pensare intensamente – non ci facevo caso da un po', a quanto quel suo volto mi piacesse. E non vederlo gonfio o emaciato o truccato rappresentava per me una fonte di soddisfazione.
Sei bello, cazzo. Fui lì lì per dirglielo e andare a baciare quelle labbra rossissime, sottili eppure carnose al punto giusto.
« Voleva lo indossassi pure io, ti giuro. L'ha comprato anche per me. Ha aperto lo scatolone sul tavolo della cucina e ha tirato fuori quei due
cosi blu, con su scritto “Winner”. Winner. Ti rendi conto? »
Mi dissi che era da un sacco che non lo vedevo così
vivo, e rimasi imbambolato ad osservare il sorrisino che aveva incurvato quelle labbra che immaginavo morbide ed umide che volevo da matti.
Quel principio di sabato notte mi stavo eccitando, eppure Sasuke
non stava facendo assolutamente niente per farmi venire voglia, anche se forse si era accorto che gli stavo osservando la bocca con un po' troppa insistenza. Si passò guarda a caso la lingua sul labbro inferiore che poi morse appena.
Probabilmente non sarei resistito molto – mi dissi – e avevo assolutamente ragione.
« Se ti becco andartene tranquillamente in giro con il cappellino col frontino ti ammazzo, posso? »
Sasuke annuì due volte, si puntò il dito indice della mano destra alla tempia. Addirittura quell'azione melodrammatica mi fece eccitare: c'era qualcosa di decisamente
eccitante nel suo guardarmi serio negli occhi mentre si puntava una pistola alla tempia ma, certo, neanche adesso so dirmi che cosa.
La partita di calcio mi aveva fottuto quel poco di materia grigia che possedevo. Avrei fatto meglio a guardare un film visto e rivisto con i sottotitoli per i non vedenti, magari a
questo punto della serata non sarei stato in preda ai bollori. Anzi no, alla fine credo che fossi proprio io di mio quel giorno in tale condizione assetata del corpo di Sasuke, così come questi sembrava essere venuto da me con quella di essere – inconsciamente? - la mela tentatrice.
Le cose stavano così: uscivo da sei ore e mezza all'agenzia, due ore di allenamento con la squadra con annessa cena in pizzeria e novanta minuti davanti alla televisione: ero stanchissimo eppure parecchio rilassato. Di solito era proprio quando mi trovavo in questo status psicofisico che mi veniva voglia di fare sesso.
E se per caso era pure sabato, ci scappava una scopata sicuro.
Non mi sarei fatto scopare da nessuno al mondo oltre a Sasuke, sia chiaro. La mia voglia era esclusivamente per lui; ma ormai si sarà capito.
« Gli ho risposto male e si è offeso, il signorino. »
Ecco che cosa davvero premeva dire a Sasuke.
« ...minchia. »
« Non accetto regali, non condivido mai nulla con lui, e compagnia bella. » il suo tono era cambiato, si era fatto piccato; il suo esprimersi graffiante. Continuava a guardarmi dritto negli occhi con durezza, senza mai abbassare lo sguardo. Ricambiai anche io, senza perdermi a fissargli le labbra.
La tensione era salita.
« Comunque nulla di che, doveva andare a giocare così si è dileguato dalla mia vista. Chiamasi culo no? »
Sasuke mi fece l'occhiolino. Non strizzava l'occhio quasi mai, non era cosa da lui perchè non ne era capace. Il suo tentativo di strizzarmi l'occhio di solito mi faceva scompisciare dalle risate, era negato da matti. Eppure quella sera risultò credibile, aumentando la sua carica
sessuale.
La tensione scese, quella di poco fa. Salì di nuovo la tensione erotica, la mia.
« Quindi sei venuto qui direttamente da là? » chiesi, non so perchè. Non mi davo neanche il tempo di pensare a quello che dicevo.
Sasuke rimase qualche secondo come interdetto, spiazzato. Per un attimo temetti fosse lì lì per arrabbiarsi.
« Ho studiato dalle otto ad adesso. » disse calmo, come se stesse rispondendo ad una domanda di un qualche interrogatorio e non avesse colpe. A me fece questo effetto e mi sentii strano per questo. Fino a che punto si spingeva il mio ruolo paternale? E quello da
stalker? Volevo sapere se avesse fatto tappa nel bar di Orochimaru, ma non avrei mai avuto il coraggio di chiederglielo direttamente. Però quella sera tale domanda avrei dovuto risparmiarmela, Sasuke sembrava non aver bevuto addirittura.
Jesus grazie – pensai sentendomi bruciare in petto il moto di affetto che spesso e volentieri si accendeva con lui - E' sobrio.
Un sabato notte in cui Sasuke era sobrio.
Lo avevo tanto desiderato e alla fine era arrivato quando mi ero dimenticato di desiderarlo. Un classico per l'essere umano.
« E io mi sono rincoglionito con una partita di calcio, lo ammetto. » dissi mettendo su una faccia di compassione verso me stesso, pura recitazione, ma ero troppo contento per darmi toni da attore quella sera in cui – realizzai – non ci sarebbero stati
ruoli.
Non ci sarebbe stato bisogno nemmeno di fare il rincoglionito inscenando una
rappresentazione mistica in cui ero uno sciamano. Meglio di così.
Sarei stato me stesso, o almeno, saremmo stati noi stessi; quelli di una volta, forse, quelli di quando dal nulla ci avvinghiavamo l'uno all'altro e facevamo
l'amore tutta la notte o tutto il pomeriggio, di quando, a casa di Sasuke, da adolescenti maturi soffocavamo i mugugni per non farci sentire dal fratello che rientrava prima a casa.
Insomma, saremmo stati due che hanno voglia di godere un po' l'uno dell'altro e basta. No remore né paranoie mentali.
« Sei bello. » alla fine lo dissi.
Mi ritrovai ad abbassare di colpo la testa in preda ad un'ondata di imbarazzo a cui come sapete bene non ero più abituato, grattandomi la nuca con una mano nervosamente. Perchè Sasuke aveva sgranato gli occhi, era rimasto in silenzio guardandomi sorpreso per diversi secondi ed io non ero più riuscito a sostenerne lo sguardo.
Mi dimenticai, quella volta, che fosse un sabato notte. Fu come tornare indietro di alcuni anni. Ricordo che era una giornata di fine giugno poiché le prime partite di quel mondiale cadevano in tali giorni e perchè l'agenzia si era riempita di clienti che volevano partire all'ultimo minuto, per farsi i primi giorni di luglio via dalla città impestata o da una vita che doveva concedere anche qualche pausa. Quando l'agenzia si riempiva così non poteva che essere fine giugno o fine agosto o fine ottobre. Ormai conoscevo bene le abitudini vacanziere della gente e per questo non andavo mai in vacanza a inizio luglio inizio agosto o inizio novembre.
« Ah sì? » non disse altro, Sasuke. Mi saltò addosso.
Bentornato, Sas'ke-kun.

Vi sembrerà tutto retorico o banale, ma alla fine a ripensarci ora mi fanno tristezza quei sabati di assoluta normalità: non solo presagivano sempre presagivano sempre un'onda anomala, ma anche erano il segno tangibile che la mia vita e la nostra sono stati in quel tempo un totale sfinimento: mi ritrovo a contare sulle dita i sabati notte normali. Li ricordo con la stessa sensazione di straniamento di allora, quasi di sospetto.
Avevo sempre il timore che succedesse qualcosa da un momento all'altro, c'era in me sottopelle una costante sensazione di inquietudine.
Quei sabati notte comunque mi divertivo un mondo: abbracciavo il mio Sasuke con tutta l'intensità di cui ero capace, fino addirittura a scrocchiargli le ossa – era l'unico momento in cui sopportassi certi scricchiolii -; mi facevo prendere con forza piegato a novanta con le mani ben ancorate su una mensola della libreria del nonno in salotto. Non c'era violenza alcuna mentre mi lasciavo scopare il culo fino a provare dolore. Un dolore così poco difficile; mi divertivo a dirgli di andare più forte solo per sentirlo darmi della puttana, perchè così ridevo della mia impudicizia e sapevo che lui stava al gioco.
Quando sfiniti raggiungevamo il letto di camera mia gli appoggiavo la testa sulla spalla perchè tanto sapevo che lui non mi avrebbe detto niente. In altre occasioni si sarebbe quasi scandalizzato per quell'atto di dolcezza e mi
avrebbe spinto via, ma nei sabati notte normali mi lasciava fare e alcune volte pure mi raggomitolavo vicino a lui, aggrappandomi ad un suo braccio e addormentandomi attaccato a lui come un bambino alla sua mamma.

« Stanotte sognerò di indossare un cappellino sfigato, lo sento. » dissi mentre mi beavo della sensazione della calda spalla di Sasuke, sgranchendo le gambe sul letto a una piazza e mezza che mi ero regalato col mio primo stipendio. « Ma lo indosserai pure tu, quindi non sarà poi quell'incubo! »
Sasuke mi diede una manata in cima alla testa. « Ma quante cazzate spari tu in un giorno? » mi chiese mentre si sistemava meglio sotto alle lenzuola, lasciandomi ben aggrappato al suo braccio sinistro. Si sarebbe addormentato a pancia in su, pur di non spostarmi da dove ero.
« Troppo lavoro fa male. » dissi ma ero già a metà strada tra il mondo reale e i sogni, già il corpo sfinito era leggero, finalmente, leggerissimo e la mente vagava in altri mondi pieni di cappellini sfigati. Sorrisi.
« Troppo calcio, vuoi dire. »
Annuii sfregando la testa sulla sua spalla nuda. « E troppo sesso. » dissi qualcosa del genere poi probabilmente mi addormentai, visto che il mio ricordo finisce qui. Anzi, finisce in un sogno in cui rincorrevo un coniglio con un cappello col frontino su di una strada sterrata, lo rincorrevo perchè credevo essere Itachi ma alla fine appena arrivavo a poco da lui diventava Sasuke e poi poco prima di svegliarmi era diventato me.
Avrei voluto raccontare tutto ciò a Sasuke la mattina che seguì, ma al mio risveglio più tardi del solito non lo trovai né accanto a me né in bagno. Però – cosa rarissima – mi lasciò un biglietto - che conservo ancora - sul tavolo della cucina: “Grazie mille.”

Piansi come un infante fino all'arrivo in agenzia.







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Capitolo 9
*** Quel sabato notte in cui Sasuke mi portò nel luogo della perdizione. ***


Buonasera! Nono capitolo pronto...da un po', ma non mi decidevo mai a postare (sì, picchiatemi pure). E' un capitolo tutto sommato diverso, i toni cambiano, vedrete perchè :') Insomma, mi sono divertita parecchio stavolta a scrivere, prendendo a modello un mio amico e certe sue serate (senza che lui lo sappia: muahahaha). Bè, ci ho messo del mio.
Buona lettura e grazie mille a quelle pie anime che commenteranno. :3
Un abbraccio, spero di sentirvi, mi farebbe piacere.


Nove – Quel sabato notte in cui mi portò nel luogo della perdizione.



Nonno, appena rientrato da un viaggio in Arizona con un giorno di anticipo, ci trovò a dormire abbracciati sul mio letto ad una piazza e mezza. Probabilmente sorrise scuotendo la testa e « stupidi gay» disse tra sé e sé neanche tanto a voce bassa uscendosene dalla stanza senza smettere di sorridere. Avrei scommesso parecchi soldi che era andata così, ma non ebbi mai il coraggio di affrontare l'argomento e lui stesso dal canto suo non accennò mai al fatto di avermi visto dormire con Sasuke di domenica mattina.
Nonno conosceva
tutto, ne ero sempre stato sicuro, ma non avevamo mai parlato della mia presunta omosessualità né di che rapporto in realtà io avessi con Sasuke, il mio migliore amico.
Nonno era una gran persona, sicuramente non gli andava tanto giù la cosa che avessi rapporti sessuali con uno del mio stesso sesso, lui così ancorato al genere femminile che venerava, e sicuramente non vedeva di buon occhio che io e Sasuke avessimo definito la nostra relazione anche in campo sessuale, ma non mi aveva mai detto niente. Mi aveva sempre lasciato fare.
Si fidava di me, per questo gli sono sempre stato grato.
Certo, si preoccupava per me e si preoccupò tantissimo quando in quel periodo mi immischiai in quelle che probabilmente giudicava come “faccende più grandi di noi umani senza ratio” (indicando con noi il nostro ceppo familiare), ovvero nel periodo in cui dimagrii dieci chili e non volli più seguirlo nei viaggi per l'agenzia; ma mi lasciò fare,
vivere. Buttando un occhio su di me quando poteva, chiamandoci al mare ad esempio e chiamandomi da chissà dove e chiedendomi cose come “Sasuke sa cucinare il ramen vero?” e altre mille cose senza senso che sottintendevano sempre un suo preoccuparsi quasi materno per la mia condizione.
Mi manca oggi avere vicino il nonno, almeno saprei che quello che vi sto raccontando va bene lo stesso, anche se è tutto passato sotto il filtro della mia coscienza, eppure dovrebbe essere ricordo puro! E non riesco a darvi un quadro chiaro di come fossimo davvero io e il mio Sasuke in quel periodo. Perchè non mi farei nessuna paranoia mentale come mi sto facendo, penserei a sfogarmi e basta.
Soprattutto però mi manca sapere il nonno da qualche parte di questa terra perchè non posso essere più spiazzato da un suo ritorno senza preavviso, da una sua chiamata da Timbuctù, da una sua mail con contenuti erotici direttamente da Las Vegas, dal suo saperlo qui e pure lì, in un'ubiquità degna di Dio.
Il nonno era inoltre tutto quello che, in quel periodo che andò dai ventuno ai ventitrè anni della mia vita,
possedevo oltre a Sasuke.
La mia famiglia, insomma.
Non fu facile separami da lui, ma
fortunatamente successe nel momento in cui riuscii a convincere Sasuke di una cosa per il nostro futuro. E riuscii così a rendere la separazione meno dolorosa per entrambi.
Mi dedicò un sorriso e alzò una mano per scompigliarmi i capelli nonostante fosse pieno di cavi e non avesse che la forza di un uomo al termine della sua gloriosa e stancante vita, l'ultimo giorno in cui lo vidi senza sapere che fosse l'ultimo.




La discoteca era affollatissima, esattamente come me la immaginavo con la mia fantasia più negativa ed autodistruttiva. Ero compresso da culi, braccia, piedi, petti...mi sentivo soffocare. Quello era l'impatto: dovevo ancora abituarmi.
« Testa di cazzo avanza ancora un po', che siamo quasi al tuo luogo salvagente »
Era la prima volta che sentivo il tono di Sasuke così chiaro e limpido nel mio orecchio, così forte. Mi ci era voluta la discoteca! Sorrisi ma mi sentii spinto da dietro e allora sbuffando cominciai a farmi largo tra la gente, spostando dal mio cammino addirittura di peso una ragazzina rossa di capelli che mi guardò spalancando gli occhi mentre la posizionavo dietro di me, insieme a tre ragazzi che si stavano spartendo una sola ragazza. Chissà -pensai- magari avevo smosso le cose tra di loro....le avevo equilibrate? Continuai ad avanzare imperterrito nella fiumana di gente e finalmente i miei occhi incontrarono gli appartati tavoli scuri di cui Sasuke mi aveva tanto parlato, esattamente in fondo al locale, pure lontani dalla calca.
« Ancora sedie libere cazzo, fiondiamoci! » ritrovai il mio entusiasmo e mi catapultai verso i tavoli dell'angolo quasi lounge bar della discoteca, non curandomi se Sasuke mi stesse seguendo e cercando il posto più lontano da tutti per sedermi. Cercai di evitare di rompere le scatole a due ragazzi che stavano limonando della grossa su due sedie che per poco non notai cadendoci sopra.
« Ti decidi? »
Sasuke mi venne vicino, sentii il suo respiro caldo sul collo. Rabbrividii e mi eccitai pure un poco, a quel contatto così fragile. Adoravo quando Sasuke mi respirava e parlava col fiato sul collo, anche a livello mentale, oltre che corporeo: era una cosa che mi faceva bene all'anima. Una cosa da conoscenze intime, di amore. Ero proprio un romantico del cazzo!
Mi sedetti all'ultimo tavolo dello spazio lounge bar e tirai subito un gran sospiro di sollievo, scuotendo la testa davanti a Sasuke che mi guardava accigliato.
« Non ti siedi? » gli domandai, accennando al posto alla mia destra sul quale poi subito si sedette, facendomi da scudo alla visione di molte cose, soprattutto di quei due che ancora un po' si mettevano a fare del vero sesso.
Risi, cosa me ne importava!
Osservai Sasuke con odio, realizzando una cosa. « E così grazie a qualcuno sono in una fottuta discoteca. »
Sasuke fece una cosa che non dimenticherò mai, niente di nuovo, certo, ma sempre qualcosa che gli era poco abituale: sorrise di un sorriso furbo, divertito, le labbra increspate così come la sua pelle sottile e diafana; gli si illuminarono pure gli occhi cerchiati da un velo di matita nera.
Voleva per caso
comprarmi ancora? Ci stava riuscendo. Sospirai di nuovo, diedi una scorsa al menu sul tavolo e decisi che poteva andare un aperol liscio. Chiamai la cameriera – una splendida ragazza bionda con la coda alta – e ordinai due aperol lisci per me ed il mio amico. Quando indicai Sasuke la ragazza annuì e fece una specie di cenno di saluto con la testa, promulgandosi in un sorriso brillantissimo. Si conoscevano? Guardai il mio amante con sguardo dubbioso, quando la cameriera fu sparita dietro al banco, per chiedere conferma. Sasuke annuì, disse che ogni tanto la trovava lì.
« Ti viene dietro » mormorai non riuscendo a trattenermi.
Sasuke fece spallucce, mi stava dando il profilo. Chissà cosa si era perso ad osservare nella pista alle sue spalle che si stava gremendo sempre di più.
« Ecco a voi! » trillò la voce della ragazza di pochi istanti prima, e con le sue lunghe dita raccolse i due calici dal vassoio e li appoggiò al tavolo. Da vicino la ragazza sembrava ancora più alta, i jeans corti stretti e a vita alta che indossava le donavano come avrebbero potuto donare ad una modella, così come la canottiera rosa larga, il poco e sensualissimo petto, il collo lungo e quella coda altissima che dondolava sulla sua sinuosa schiena.
Osservandola mi domandai se una così avrebbe potuto togliere ogni pensiero omosessuale dalla testa di una persona in dubbio.
E da uno come Sasuke?
« Ma sai che sei proprio carino tu, nuovo? »
Strabuzzai gli occhi e piegai la testa all'indietro per guardare in faccia colei che aveva pronunciato quelle parole. Mi sentii picchettare la punta del naso.
La cameriera sorrideva tutta convinta, o almeno così parve a me. Un sorriso rubacuori.
E anche qualcos'altro.
« Are you serious? »
Mi rimisi dritto con la testa solamente per fissare accigliato Sasuke. Lui che di solito non interveniva mai nei discorsi, soprattutto tra me ed estranei (se non era strettamente necessario) era intervenuto e per esclamare tale cattiveria! Misi un broncio epico e scossi la testa alla volta della ragazza dicendo « come vedi mi vuole bene » nel tono più drammatico che potessi usare. Ma le feci l'occhiolino e lei ridacchiò in risposta, prima di tornarsene via. La seguii con lo sguardo andare a togliere i bicchieri vuoti dal tavolino dove stavano seduti i due che
limonavano.
Davvero una gran bella
femmina – mi ritrovai a pensare, ma come pura osservazione mentale: alla fine a me lei non faceva alcun effetto, ci siamo capiti vero?
Quando tornai a dare attenzione a Sasuke lo trovai che mi scrutava ad occhi socchiusi, il nasino perfetto più all'insù di sempre. Capii subito che era
nerissimo. Diedi automaticamente un'occhiata al suo calice: aveva quasi bevuto tutto l'aperol liscio, e teneva il bicchiere con entrambe le mani.
« Ehi non fare la checca! Sono io che dovrei essere arrabbiato » sparai la prima cosa che mi venne in testa. Quanto mi maledissi mentalmente! Io e la mia impulsività, difetto che mi caratterizza tutt'ora, ahimè, anche se ora ho imparato a contare almeno fino a due, in certe occasioni. Fortunatamente.
Ricordo che Sasuke trangugiò l'ultimo sorso di alcool senza mai smettere di guardarmi negli occhi. Non era difficile intuire cosa stesse pensando: mi stava semplicemente odiando.
Mi ritrovai a bere anche io diversi sorsi di aperol, mentre mi guardavo intorno per cercare di stemperare la situazione.
Ricordo che provai a concentrarmi sui suoni bassi della musica che, nonostante fosse alta, non mi sembrava assordante come me l'ero immaginata, forse a causa della nostra lontananza dalle casse. La pista si era già riempita assai, mi focalizzai sulle figure tutte uguali che ballavano davanti a me: mi fecero sorridere.
Sotto sotto le odiavo tutte. Mi sembravano degli automi. Mi persi a fissare la gente senza ricevere da essa, a livello di sensazioni, alcunchè; solamente un grande senso di vuoto.
Ero pieno di pregiudizi, ma alla fine davvero pensavo che la mia vita senza lo sfogarmi in discoteca fosse meglio. Eppure faceva schifo, in realtà. E forse se fossi stato un po' meno vecchio dentro chissà che bella vita avrei vissuto in quegli anni.
Insomma, mi persi in quei pensieri, più o meno. Anche se li sto condendo adesso di riflessioni a posteriori. A volte non so proprio discernere quale pensiero davvero appartenga al
me passato o quale sia frutto del me di questi giorni: poco importa, specie riguardo a momenti come quella metà serata in discoteca. Conta solo che Sasuke mi odiò a livelli altissimi. L'avevo fatta grossa, anche se non avevo ancora capito quale fosse la motivazione di un simile cambio di umore.
« Senti, io vado a ballare. » disse perentorio e prima di alzarsi guardò qualcosa oltre le mie spalle. Quando mi girai –
subito – per appurare chi fosse riconobbi la figura slanciata della cameriera di pochi istanti prima.
La stava osservando? Davvero l'aveva cercata con lo sguardo?
Vi giuro che all'epoca passarono tute queste domande e molte altre nella mia mente bacata. Quindi potete ben capire perchè mi alzai di scatto imitando Sasuke e lo affiancai nel dirigersi nella mischia.
Sembravo la sua guardia del corpo. Giuro. Mi sentivo enorme persino in un posto dove faticavo ad andare avanti. Come quando eravamo arrivati, riuscivo a fare in modo di isolare un po' del mio Sasuke dal risucchio della massa, dalla forza di corpi in calore.
Recuperai parte del mio proverbiale entusiasmo, stupendo di ciò persino me stesso. E quando Sasuke si voltò appena per constatare la mia presenza riuscii addirittura a sorridergli in modo furbo.
« Pensi che non voglia provare il
pacchetto intero, ora che mi hai portato qui? » dissi avvicinandomi con la bocca al suo orecchio, per farmi sentire.
Usavo metafore provenienti direttamente dall'agenzia viaggi, con una nonchalance che mi divertiva assai. La cosa del “pacchetto” l'avevo coniata appena Sasuke, la settimana prima, mi aveva invitato (obbligato) a seguirlo in discoteca; e aveva detto: “
ma non fai la pigna, né ti metti a fare scena. Non puoi uscire senza di me né appartarti. Chiaro?” Al che io avevo risposto, non riuscendo assolutamente a risultar scocciato « Devo pigliarmi l'intero pacchetto, insomma. » e Sasuke aveva annuito e nonostante fosse a testa bassa avevo riconosciuto nascere sulle sue labbra un piccolo brevissimo sorriso.
Fino a quel momento avevo rispettato l'ordine di cenare in pizzeria una cosa, entrare in disco a mezzanotte passata e aspettare
il boom ai tavolini. Ero arrivato a metà pacchetto? Che cose ridicole – ma questo l'ho pensato solo tempo dopo e lo penso ora. Alla fine, almeno per quanto riguarda quella metà serata, non mi ero trovato così a disagio.
E pensare che era la prima vera uscita – dopo anni – che facevo con lui.
I miei nervi non erano mai stati così tesi, forse, ma questo lo avrei capito il giorno dopo nel nostro letto caldo, l'attimo prima di riaddormentarmi abbracciato a lui fino all'una di pomeriggio.
« Di sicuro almeno una certa bionda apprezzerà i tuoi movimenti spastici. » disse vicino al mio orecchio che morse con violenza.
« Mi hai fatto male! » biascicai pizzicandogli un braccio e guardandolo in cagnesco.
« Meglio. » rispose alzando la voce più che poteva, continuando a tirare dritto verso il centro esatto della pista. La gente che lo vedeva arrivare si spostava automaticamente, un po' grazie alla mia prestanza fisica (possanza), come vi ho detto, un po' per un atteggiamento di timore e venerazione per il Dio che stava passando vicino a loro. Che roba strana pure questa, non ho mai più incontrato qualcuno capace di esercitare una sorta di autorità con qualsiasi persona vivente, per giunta sconosciuta.
Arrivammo in un buco non occupato della calca, ci fermammo proprio nel momento in cui il dj esclamava con un'odiosa voce che
ora cominciava la vera serata e metteva su un pezzo che tutti quanti dovevamo conoscere. Ovviamente remixato. All'inizio mi piacque anche la canzone, era una hit di quella estate che aveva fatto da sottofondo pure ai recenti mondiali di calcio; mi ricordava delle cene con i miei compagni di squadra, chissà perchè, provocandomi uno stupido moto di nostalgia.
Nostalgia in discoteca! Durò poco, comunque.
Sasuke cominciò a muoversi come un ossesso non appena partì il
suono omologato (come chiamavo io quei tunz tunz tutti fottutamente uguali). Lo fissai incuriosito per un bel pezzo, vederlo ballare era pressocchè una novità.
Di tutte le reazioni che potevo avere forse ebbi la peggiore.
« Stronzo. »
Non udii la sua voce, ma gli lessi il labiale.
Ero scoppiato a ridere. Non ero proprio riuscito a resistere.
Non ce lo vedevo proprio a dimenare le mani al soffitto e a continuare ad annuire con la testa ad ogni quarto di tempo.
Ecco: fu la prima volta che Sasuke Uchiha mi risultò
buffo in qualcosa. Anzi no, la prima volta fu quando pianse davanti ai miei occhi.
« Mpfh, vedrai ora che ballo io... » dissi ma non mi udì quasi sicuramente, perso con gli occhi chiusi a seguire con tutto se stesso il ritmo.
Venne a ballarmi attaccato, strusciandosi a intermittenza su di me. Mi ritrovai a muovermi anche io, chissà come ,e ben presto afferrai con le mani i fianchi di Sasuke che, agli occhi di tutti, forse, divenne la mia
donna.
Muoveva il bacino a non finire, quello sciocco. Si staccò dalla mia presa e si girò per strusciarmi addosso, il suo sedere sulla cintura dei miei pantaloni.
Che cosa stava facendo?
Mi guardai intorno cercando di capire che cosa stesse succedendo, dove fossi. Cominciavo a perdere la testa. Ero sfiorato da chiunque, qualcuno mi aveva appena dato una botta (o una carezza?) su una spalla. Ma non riuscii a focalizzarmi su nessuno, avevo troppo l'impulso di afferrare di nuovo i fianchi di Sasuke che ora mi dava le spalle, sentire tra le mie mani quel bacino che pareva muoversi solo per me.
Mi venne duro.
E impazzii.
Non so bene cosa feci dopo che lo presi per i fianchi e lo indirizzai su di me, volendo fargli sentire quanto fossi eccitato. Credo che ballai un po' beandomi della sensazione del mio cazzo a toccare le sue natiche, nonostante gli strati dei vestiti; poi ballai e basta, sempre tenendo attaccato a me Sasuke, per niente contrario alla cosa, anche se due tipi adiacenti a noi continuavano a intromettersi e ballare con noi. Uno persino palpò il culo al mio amante, proprio come quella volta, anni prima, che Sasuke mi aveva portato in un locale simile ad una discoteca. Ma non feci casini stavolta, mi limitai a cingere il collo di Sasuke con le braccia e costringerlo ad una danza stretti stretti, come se stessimo ballando su di una ballata, cosa che non c'entrava un cazzo con la musica che stavamo ascoltando.

Probabilmente prendemmo altre due volte da bere chiedendo direttamente alla cameriera bionda senza sederci ai tavoli, per ritornare subito in pista, ebbri e impazienti di risentirci.
Ricordo che Sasuke continuò a trattarmi con sufficienza, alternava momenti in cui si staccava da me per ballare da solo o attaccato a qualche ragazza vicino a noi, a momenti in cui si faceva prendere da me e rispondeva con violenza, soffiandomi sul collo e dicendomi nell'orecchio che ero un incoerente, facendomi capire che ero la persona più inserita nel contesto dell'intero universo.
Ci demmo anche un bacio, o almeno a me pare così, a stampo, e dietro di me sentii delle esclamazioni e delle risatine, ma fortunatamente ero troppo brillo per tirar su baruffe o mettermi a fare il buffone.
Non ricordo a che ora uscimmo dal locale, come guidai fino a casa mia. So che appena dentro casa Sasuke mi tirò per un lembo della maglia fino al divano, cominciò a togliermi i vestiti e a mordermi. Succhiava e mordeva la pelle, fu una cosa sublime. So che andarono così le cose per via dei piccoli ematomi che mi trovai sulla pelle l'indomani, lividi che la mia collega carina lunedì non mancò di notare guardandomi in modo furbo.
So che non riuscimmo a raggiungere camera, ma mi scopò in salotto, sul divano, io sotto lui sopra.
Mi prese con durezza, a secco. Mi arrivò dentro tutta la sua rabbia, il nervoso provocato da quei momenti con la cameriera bionda. Capii dopo che la sua era gelosia. Un'emozione comunque negativa, ma almeno per una sera non c'entrò Itachi, non venne neanche nominato.
Venni più e più volte, continuammo a fare sesso tutta la notte.
Non so quando ci addormentammo, né come, ma so che il nonno ci trovò abbracciati. Svegliò il mio sonno leggero il passo del nonno sul corridoio che portava alle camere.
Aprii un occhio senza farmi vedere e lo riconobbi, abbronzato come sempre. Sorrideva e scuoteva la testa.
Feci finta di dormire mentre scopriva
cosa eravamo diventati io e Sasuke nei tempi della sua assenza, o meglio: mentre aveva delle conferme.
Nonno lasciò due brioche sul tavolo per entrambi. Quelle due brioche alla marmellata rappresentano un ricordo vivido che ho, accompagnate da un biglietto con su scritto “
sono uscito un attimo”.
Il nonno era appena rientrato da un viaggio in Arizona e mi avvertiva che usciva sotto casa per neanche mezz'ora: io e Sasuke commentammo che era una persona proprio strana.
Sasuke mi regalò il primo sorriso del giorno, probabilmente l'ultimo. Ma ciò che conta è che me lo regalò.


Comunque siano andate le cose, non volli più tornare in discoteca.





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Capitolo 10
*** Una sera - triste - della settimana. ***


Salve gentili lettori :)
Sono stata contenta di sapere che lo scorso capitolo, così diverso dal resto della storia, vi sia piaciuto comunque. Grazie infinitamente alle persone che lo hanno commentato, siete la mia forza per andare avanti. Spero che questa storia continui a piacere! Ringrazio anche le persone che seguono silenziosamente.
Questo capitolo, preparatevi, è molto molto diverso dal precedente. Siete pronti? Ehm, date la colpa al mio umore! =p
Buona lettura!


Una sera – triste - della settimana.


« Sono un isolato. »
« Ti sbagli. »
« Penso brutte cose. »
« No. »
« E' meglio se non esistessi. »
« Cazzo stai dicendo. »
« E' peggio che se non esistessi in carne ed ossa. »
« Smettila con le cazzate, adesso, Sasuke. »
« Buonanotte,
a domani. »

Scaraventai il cellulare sul letto, lo osservai rimbalzare sul copriletto per piombare sul cuscino, sicuro di non farsi del male per il suo essere un modello sfigato.
Magari fosse stata la volta buona per liberarmi contemporaneamente di certe conversazioni che non avevo il coraggio di eliminare e di quel cellulare che si bloccava in continuazione. Dannazione! - Lanciai un pugno sulla scrivania.
« Cazzo! Cazzo! Cazzo! »
Mi presi la testa tra le mani, mentre sentivo le prime lacrime bruciarmi negli occhi e in gola.
Ehi, Naruto che cosa stai facendo?
Ero frustato. Ancora una volta non ero riuscito a dire niente di sensato né di utile a Sasuke che chiedeva silenzioso aiuto tramite quei messaggi ossessivi delle undici di sera.
Non c'entrava un cazzo il cellulare in sé, con la mia rabbia triste. Era un semplice veicolo al mio nervoso, un pretesto per scaricare quella rabbia.
Presi il pupazzo a forma di leone che ci eravamo regalati io e lui in una delle nostre ultime uscite i sabati pomeriggi, quattro anni prima, durante il liceo, vincendolo ad una lotteria stupida. Andò a sbattere contro l'armadio a muro dove tenevo quel caos che erano i miei vestiti assieme e rimbalzò fino ai miei piedi.
Mi sorrideva.
Diedi un calcio a quel dolce muso sorridente, scaraventandolo a pancia all'aria lontano da me.
Pupazzo del cazzo. Sasuke del cazzo.
Sasuke del cazzo.
Sasuke del cazzo.
Mi voltai bruscamente e mi diressi dal cellulare, ancora super acceso sulla conversazione e tranquillo sulla coperta. Lo afferrai e digitai alla velocità della luce la risposta che mi era appena salita alle labbra, per paura di dimenticarla.
Di solito non rispondevo più, o almeno: la tentazione era forte. Tanto dopo un po' il mio sforzo di non partire a fargli ramanzine/monologhi su quante cavolate stesse dicendo, sull'esistenza sua, mia e degli altri, andava puntualmente a farsi fottere e cominciavo con le ramanzine e i monologhi esistenzialisti.
« Checca. »
Premetti il tasto invio e scoppiai in una risata solitaria che risuonò per tutta la mia camera e sicuro il nonno, nella sua, sentì; tanto che per un po' mi aspettai entrasse a chiedermi se ero impazzito. Ma il nonno non entrò e non potè constatare le lacrime che cadevano giù dagli occhi dopo lo scroscio iniziale della risata.
Piansi a lungo prima di andare a dormire, verso l'una, decidendo di spegnere portatile e pc e di costringermi ad andare sotto alle coperte
fresche.
Quelle per me erano sere passate a messaggiare con Sasuke mentre cazzeggiavo su internet e mi intristivo. Non erano serate che mi facevano bene, usciva il Naruto riflessivo, quello sbiadito. Triste.
Il Naruto checca, che dalle nove all'una di notte si estraniava dal mondo fino ad arrivare alla conclusione di non esistere. Alle stesse conclusioni di Sasuke.
Non esistevo più nella realtà esterna alla mia, nessuno mi conosceva fuori. Sakura, il nonno, Hinata, i compagni di squadra...mi conoscevano? No, non mi conoscevano. Non esistevo per loro.
Esistevo per Sasuke?
Sì, per lui sì.
Eppure in quelle sere mi sentivo chissà perchè un pesce fuor d'acqua, ma fuor d'acqua perchè è arrivato a galla morente.
Non so spiegarvi cosa scattasse in me, non ho letto abbastanza manualetti di psicologia e i terapisti da cui sono stato non mi hanno mica proposto teorie o similia. Mi hanno semplicemente aiutato a guarire da una dipendenza, scavando nel mio passato e recuperando l'autostima perduta.
Cose che non c'entrano con l'argomento.
Erano venerdì sera tristi, e per lunghi mesi si ripetevano tutti uguali, se mi ritrovavo da solo chiuso in camera mia alla scrivania.
Forse Kiba, il mio migliore giocatore, non mi avrebbe riconosciuto in quegli istanti in cui stavo piangendo accasciato sul letto, il cellulare tra le mani.
« Quanto hai bevuto, idiota? »
« Nulla, Kiba, nulla! »

Pensai a Kiba, chissà perchè, poco prima di addormentarmi per il crollo della stanchezza.
Era un po' il me semplice e solare, un po' più burbero. Buono ma facilmente infiammabile, non avrebbe mai apprezzato le paranoie di Sasuke, e le mie se solo le avesse sapute almeno in parte.
E se avessi fatto conoscere Kiba a Sasuke?
Quella domanda mi passò nella testa per poco, prima di finire nel mondo sognato dei sogni.
No, quei due non si sarebbero di certo sopportati.
E non sarebbe servito a un cazzo far conoscere qualcuno come lui ad una persona che si sentiva così sola da non percepirsi esistente.
Non servivo io così vicino a Sasuke che arrivavo a simili pensieri, figuriamoci qualcun altro. Sconosciuto.
Qualcuno che Sasuke potrebbe conoscere...
L'indomani mattina mi svegliai col messaggio di Sasuke nel cellulare che avevo portato a dormire con me, vuota ingiusta deprimente sostituzione al corpo tiepido di Sasuke sotto alle coperte.
« Parla la checca, buongiorno. »
E col nome di Sakura tra le labbra.

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Capitolo 11
*** Sabati notte in cui facevo il coglione. ***


...salve, gente! Ehm, sono un peletto (okay tanto) in ritardo, ma...ma...eh, sigh, non posso dare giustificazioni valide mi sa, e se vi dico che il capitolo era già pronto ma mi sono venute manie ipercorrettive e tre milioni di dubbi mi uccidereste. Con questo aggiornamento torniamo alle tinte scure che caratterizzano questa strana raccolta, Vi avviso già, torniamo ai mattoni insomma! Ringraziate l'umore della sera in cui scrissi questa cosa qui, e all'idea di un mio amico. Spero che Vi possa piacere e possa farmi così perdonare per il ritardo. ci sentiamo nelle recensioni, ci conto! Oh, prima di lasciarvi alla lettura, ci tengo a ringraziare tutti coloro che seguono – anche silenziosamente – la storia, siete inaspettatamente non pochi. Abbraccio.


11 - Sabati notte in cui facevo il coglione.


La risata roca di Sakura, la mia collega carina, mi risuonava ancora nelle orecchie e il mio sorriso doveva ancora essere ben stampato sulle mie labbra quando scesi dalla macchina che avevo parcheggiato davanti al cancelletto di casa.
Avevamo cenato assieme dopo il lavoro e ci eravamo divertiti parecchio, complici anche dei bicchieri di troppo per entrambi e l'alchimia che avevamo a pelle, quella che tre quarti delle volte ci faceva litigare e per il restante quarto ci faceva stare assieme come due amici d'infanzia.
Finalmente avevo saputo del suo amore impossibile per qualcuno di cui non aveva voluto dirmi le credenziali, della sua storia di infatuazione infantile fin dai teneri tempi dell'infanzia per uno che non l'aveva mai degnata di attenzione, del suo non riuscire a vivere che amori ideali. Insomma: Sakura non concretizzava quasi mai con un uomo, se lo faceva la relazione poi durava pochissimo; non concretizzava mai con chi amava – almeno platonicamente -.
Non ci somigliavamo se non per il fatto che io concretizzavo solo con chi amavo come lei. Però lei viveva al condizionale e attraverso questo sognava e si disilludeva, io vivevo al presente e avevo il passato e potevo - seppur con sofferenza
visto tutto - propormi un futuro sempre di concretezza.
Avevamo parlato di sesso, lo avrete capito. Senza alcun imbarazzo, come due amici maschi o due amiche femmine, dipende dal punto di vista con cui un individuo ci può guardare. Per quanto mi riguarda, pensandoci ora mi sentivo così a mio agio perchè forse era come starsene a chiacchierare con un lei e un lui in una stessa persona. Qualcosa che non avevo mai provato.
Sasuke era un uomo: al cento per cento. Okay alcune sfumature più femminili ce le aveva, ma come tutti. Non una propensione verso un genere più che un altro. Non c'entrava un cazzo con il fatto che gli piacessero gli uomini. Era forse uno dei pochi ad essere davvero facilmente catalogabile in una qualche categoria, almeno di genere
.
Apparentemente.
In realtà tutta la sua matassa di pensieri mentali non era solo propria del maschio, anzi. Interiormente Sasuke era una ragazza a volte isterica, umorale, capricciosa, viziata, che riusciva a pensare tremila cose in contemporanea, sensuale,
fatale.


« Porca puttana se non la smettono quei cani li ammazzo. Dio li ammazzo giuro. »
Sasuke.
Mi immobilizzai con una mano sul cancelletto mezzo aperto.
Sasuke era seduto al centro del minuscolo giardino, accanto al vialetto in ghiaia che ci aveva assestato la vecchia che come manualità dava cento a zero ad ogni pseudo maschio, le ginocchia rannicchiate fino al mento.
...Sasuke.
Mi sentii gelare il sangue nelle vene perchè quel sabato notte non me lo aspettavo lì. Quel giorno avevo lavorato tutto il pomeriggio a causa degli straordinari per prendere qualcosa in più a fine mese ed ero partito in quarta quando Sakura mi aveva invitato a cena fuori. Sakura non dava mai preavvisi, non era una da cerimonie, per nulla. Non mi ero fatto alcun problema a dire di sì, sebbene l'immagine di Sasuke mi fosse arrivata a galla insieme a mille pensieri, ma non mi ci ero focalizzato.
L'avevo visto la notte della discoteca e poi era sparito per tre settimane, neanche un messaggio, niente di niente mi era stato mandato, detto. Non ci avevo dormito le notti alla ricerca del perchè tardasse tanto, sapevo essere andato nel suo paese di nascita col fratello per il quindicesimo anniversario della morte dei suoi genitori e per “il tour delle tombe”, ma non avrei mai detto potesse occupare tutti quei giorni. Di certo c'era qualcos'altro sotto e con chissà quale scusa Itachi l'aveva tenuto o mollato lì nei soffocanti posti di origine, ma, anche se ero giunto a ipotizzare ciò, mi ero detto che era inutile continuare a ragionare inutilmente e dopo alcuni disperanti giorni ero tornato a
vivere respirando per bene l'aria a pieni polmoni, curandomi di più del mio aspetto fisico, ritardando di più il rientro a casa per stare in compagnia della mia squadra. Ed ecco che quel sabato sera avevo accettato in bomba l'invito della mia collega carina.
Ci misi quella che mi parve un'eternità ad entrare dal cancelletto; mi tremarono le gambe mentre avanzavo verso Sasuke. Quando gli andai di fronte non alzò la testa.
« Cane di merda. » disse.
Me la meritavo tutta tale frase, mi meritavo anche peggio. Ricordo che pensai ad una macchina del tempo e immaginai ossessivamente quanto sarebbe stato bello poter tornare indietro solamente di qualche ora, per declinare l'invito di Sakura –
sono troppo stanco oggi – e avere salva la pelle. Anzi, la coscienza.
Mi sentii tremendamente in colpa. Rimasi senza parole se non uno “scusa” detto tra i denti, vergognandomi proprio come un cane.
Era la prima volta in un anno e mezzo che non
volevo un sabato notte, che mi rendevo conto di essere letteralmente scappato da Sasuke.
Poi invece pensai al fatto che era terribilmente ingiusto che io non potessi prendermi le mie libertà, mai una serata fuori, che io
non potessi non volere, ma mi sentii subito uno sciocco ed uno stronzo: Sasuke si sentiva così sempre a causa di Itachi.
Probabilmente, ma questo lo dico oggi
con l'occhio della lontananza, stavo ereditando qualche suo modo di fare e vedere, qualche comportamento distorto e pensiero malato; ma mi fermai subito.
Presi un profondo respiro e cercai di fare piazza pulita nella mia mente, di visualizzare un foglio bianco, come anni prima mi aveva insegnato la mia amica Hinata, la ragazza che gestiva il bar a pochi metri da dove abitavo.
Coraggio, Naruto.
« Andiamo.»
Afferrai Sasuke per un braccio, non incontrai alcuna resistenza. Ma neanche alcun segno di vita.
Ormai avevo fatto la cazzata. Mi domandai per quanto a lungo mi avrebbe considerato pari al nulla. Quando si offendeva davvero con me di solito Sasuke mi guardava senza alcun broncio ma con fare di sufficienza, si vedeva lontano un miglio che non voleva darmi soddisfazioni. Era la mossa giusta con me, perchè io ci morivo e rodevo dentro da paura. Fino a implorarlo tacitamente di smetterla.
Aveva bevuto, lo notai dal fatto che le sue gambe non lo ressero dritto in piedi che qualche secondo, per poi ondeggiare pericolosamente. Sarebbe caduto a terra non lo avessi tirato a me forte forte.
Fui lì lì per approfittare del momento ed abbracciarlo, ma desistetti considerando quanto poco avrebbe
sentito il mio abbraccio. Lo condussi in casa passetto dopo passetto come una badante con la sua vecchia, portandolo direttamente in camera, esaudendo in questo una sua richiesta non espressa.
Si raggomitolò subito sul letto, senza neanche degnarmi di un'occhiata.
Non entrò sotto alle lenzuola, rimase a lungo immobile su di un fianco ad occhi spalancati. Probabilmente gli girava la testa, sicuramente non stava focalizzando alcunchè della mia camera infantile, con la gigantografia di alcune delle foto più belle di me e il nonno appese alle pareti.
Una foto in cui sorridevo all'obiettivo con tutta l'allegria di cui ero capace, sotto ad un'ascella del nonno, era proprio davanti a Sasuke. Sembrava che il me appena adolescente gli stesso sorridendo dolce. Ora che ci penso: almeno lui, visto che io non riuscivo neanche a sorridere un poco quella sera.
« Scusami. » ripetei prima di coricarmi sull'altra parte del letto, distante quanto possibile da lui. Sapevo che non voleva che nemmeno lo sfiorassi.
Non seppi mai cosa aveva fatto e che era successo durante le ore precedenti al suo arrivo da me, ma dedussi che doveva aver litigato di brutto con suo fratello per tutto il giorno. Talmente tanto che dopo aver fatto tappa in quel bar infernale e non avermi trovato a casa, si era sedut0 sul prato umido e mi aveva aspettato. In trance, forse. Forse con la sete matta di bere ancora, con la voglia matta di farmi del male.
Pianse nel sonno quel sabato notte.
Non fu la prima volta che lo vidi piangere mentre dormiva, ma comunque fu un ascolto doloroso. Non riuscii a svegliarlo.
L'indomani mattina tardi lo accompagnai a casa nel più rigido silenzio. Come volevasi dimostrare non se ne era andato prima che mi svegliassi (alla fine ero rimasto sveglio tutto il resto della notte ma feci finta di dormire), voleva
vedermi, beccarmi, farmi capire che che non aveva problemi. Però fu un pezzo di ghiaccio, mi mise uno sconforto addosso enorme.
Così si comportava Itachi.
Quella domenica mattina mi resi conto che forse era troppo tardi.
Il seme malato si era naturalmente instaurato anche in Sasuke.
Se solo avesse voluto andare da uno psicologo senza fare storie per i soldi, quante volte gli avevo detto che lo pagavo io intanto!
Ma alla fine mi rendo conto bene ora che lo psicologo non c'entrava un cazzo in quei momenti. Era un appigliarsi a qualcuno di esterno che risolvesse la sua, la nostra situazione, quando né io né lui avremmo mosso un dito.
Sasuke non avrebbe mosso un dito, quantunque ci avrebbe provato con tutto se stesso ad uscire da quella vita di merda.
Avrebbe anche seguito tutti i consigli del mondo, da lucido.
Fa' quello, di' questo e vedrai, piano piano andrà meglio.
Ma la merda sarebbe rimasta: di questo ero sicuro all'epoca; ma ero a un passo da realizzare dell'altro: la merda sarebbe rimasta continuando a rimanere lì.
Sasuke, in quell'appartamento col fratello, in quella città col fratello, avrebbe potuto andare dal migliore psicologo di tutto il mondo, seguire i migliori consigli, ma sarebbe durata poco
la vita normale.
Dopotutto viveva lì.
Nella merda.
Mi ci sarebbe voluta proprio l'aiuto della mia collega carina per fare questa importantissima constatazione, così apparentemente
banale, a pensarci adesso.
Ci parlammo in un'altra delle nostre uscite, questa volta a casa mia. E arrivammo dritti al punto di svolta, dopo che io le avevo parlato senza remore e a lungo d
i un mio amico.
“Deve andare via.”
Vi avevo detto, no, che Sakura sarebbe stata la chiave di svolta?
Mi ci vollero parecchi giorni per definire il mio pensiero, ma ben presto mi convinsi fortemente di quel fatto.
“E come, Sakura? Come?”
Sakura aveva sorriso mentre si voltava piano a fissare gli occhi nei miei: “Lo puoi portare via tu.” aveva detto col tono più calmo del mondo. Più definitivo, eppure.
Avrei dovuto portarlo via da lì.

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Capitolo 12
*** Sabati notte felici. ***


Buona sera ragassuoli, come state? Qui non mi diverto molto ma...fortuna che riesco a trovare un po' di tempo notturno per scrivere un po'... il mondo è grigio grigio intorno a me ultimamente, anche li? Mah, ho solo bisogno di coccole. >_<. Bè, detto ciò...mi scuso se non ho risposto alle recensioni, prima ero arci convinta di averlo fatto e appena stavo per pubblicare mi rendo conto che no, non l'ho fatto, quindi questa testa quadra - se riesce a sopravvivere alla pesantezza dell'essere di uno studio inutile – risponderà prossimamente ai commenti di questo capitolo. Sperando ce ne e siano e magari anche qualcuno in più? Ma siete tutti timidi/pigri/amorevolmente anonimi come la sottoscritta? XD Avanti! No, dai, non obbligo nessuno. Anzi abbraccio quelle anime pie che seguono/preferiscono/ricordano la fanfic, è molto per me.
In ritardo sul compleanno di Naruto, gli dedico questo aggiornamento che dopotutto, come vedrete, gli dona un bel po' di felicità. Naruto se la merita tutta tutta tutta. E io lo amo. (L) Auguri in ritardo, bakaaa.
Buona lettura, perdonatemi eventuali sviste. A presto, abbraccio.


12 – Sabati notte felici.
Non avrei mai pensato che Sasuke potesse raffigurare l'emblema della tenerezza. Mai.
Nè avrei mai pensato che in tutta la mia vita avrei visto Sasuke in versione vomitevolmente fluff. Sembrava uscito da quelle storie che mi leggevo su un sito internet ogni tanto per passare il tempo, vecchio retaggio di una mia passione adolescenziale; intendo certe storie di genere fluff/sentimentale che ogni tanto mi sparavo per calmare la mia mente vorticosa, magari quando avevo litigato proprio con lui.
Inoltre non avrei mai pensato che dopo tutto ciò che era successo tra noi e tra di noi a furia di sabati notte infernali mi sarebbe stata concessa la gioia di un sorriso ameno. Ameno ma sincero come quello che stavo osservando. Mostruosamente appariscente.
Un altro inaspettato sorriso per un'altro momento positivo concessomi da qualcuno lassù. Mi sembrava anche di sapere da chi proveniva tale regalo divino!
Perchè per me tutto ciò che aveva a che fare con “Sasuke che stava bene” era, ormai, un dono dato da forze più grandi di me, visto che ormai i tentativi di positivizzare la maggior parte delle nostre giornate erano fallaci.
« Miciiiiiini! »
Avete presente quando la duchessa ne “Gli Aristogatti” chiama i suoi gattini che sono stati rapiti dal maggiordomo? Credo che quando urlai quella parola allungando le “I” quanto possibile a toni altissimi fossi risultato praticamente identico a lei. Mi trovi incredibilmente simpatico, e ancora adesso a ripensarci mi diverte la cosa. Così come mi diverte rivedermigli Aristogatti una tantum, come una volta facevo con lui. Era il nostro film preferito.
Mentre aspettavo che Sasuke si voltasse verso di me per urlarmi contro qualcosa mi balenò per la mente l'idea pressante che avremmo potuto davvero, una sera di quelle, vedere gli Aristogatti. Dopotutto erano due lunghissimi anni che non lo facevamo.
Probabilmente avrei dovuto aspettare prima di disturbare Sasuke e il gattino.
Teneva il micio sulle ginocchia e lo accarezzava ripetutamente dietro le orecchie, o gli lisciava il pelo, e il micio in cambio gli donava fusa e pane.
Appena avevo varcato la soglia del salotto, correndo per paura che nel lasso di tempo che avevo lasciato solo Sasuke col micio potesse succedere qualche putiferio tra i due (del tipo che Sasuke graffiasse il gatto o lo lanciasse fuori dalla finestra, o viceversa), mi ero trovato davanti quella scena dolcissima e mi ero immobilizzato vicino alla porta come uno spettatore nascosto.
Sasuke non aveva fatto altro che accarezzare il gatto il quale non aveva fatto altro che fargli fusa, miagolargli e pigiargli le piccole zampe sulla pancia.
Avrei pagato oro per vedere la faccia di Sasuke in quel momento, ma purtroppo ero alle sue spalle.
« Coglione, si stava assopendo. »
Non si voltò, prese il micino che sembrava l'essere più contento del mondo e se lo accomodò meglio sulla pancia piatta. Il micio in risposta gli diede una leccatina sotto a un'ascella.
Sasuke trattenne a stento una risatina, ma io ero sicuro che fosse stato lì per farla, riconoscevo i colpi falsi di tosse dei miei polli.
Mi presentai tutto tronfio davanti a loro, le braccia incrociate.
« Siete tutto a posto? »
Sasuke alzò la testa, finalmente, ad osservarmi. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, ma stonavano assai con le guance insolitamente velate di un tocco color porpora.
« Quindi di chi è questo essere puzzolente? »
Fece una smorfia e scosse la testa, appoggiandosi meglio con la schiena allo schienale, per tenere la testa più elevata possibile dal gatto che, a quel movimento, mugugnò qualcosa infastidito.
« Purtroppo i vicini dicono che non è loro né hanno mai visto girare un gatto del genere per la zona... » dissi e cercai di ricordare le parole che mi erano appena state dette da chi abitava vicino a noi.
Una donna di mezza età della casa adiacente alla nostra mi aveva detto che il gattino probabilmente doveva essersi perso da non molto lontano, visto che sembrava in ottime condizioni, ma proprio non aveva idea di chi fossero i proprietari. Probabilmente qualcuno del condominio alla fine della via, qualche nuova coppia, chissà! Naruto aveva ascoltato tutto attentamente, ma non sapeva che pensare, o meglio, che giudizio formulare.
Quando tornato dal lavoro l'avevo trovato a piangere come un pazzo in mezzo al giardino di casa, non ci avevo pensato su un attimo e mi ero fiondato ad accarezzarlo e prenderlo in braccio. E quando nel braccio il gattino rosso aveva cominciato a farmi le fusa, non ci avevo visto più dalla gioia e me l'ero portato dentro tutto felice.
Lo avevo sfamato, dissetato e gli avevo pure pulito un po' il pelo dalla terra e da certi rametti microscopici che ivi si erano impigliati. Dopo aver lasciato il gatto a dormire su di una cesta che gli avevo preparato immediatamente fuori dalla porta di casa, mi ero seduto sul divano stanco morto, e avevo acceso la televisione su di un canale di sport, come sempre dopo una giornata di lavoro, per rilassarmi un attimo; ma quando avevo chiuso gli occhi per addormentarmi, ecco delle urla provenire da fuori, prima deboli poi insistenti e degli strani rumori alla porta. Presi un colpo prima di realizzare che non erano i ladri ma qualcos'altro. Inutilmente avevo quindi sperato che, attendendo mezz'ora, il gatto si quietasse. Più miagolava disperato più tristezza in corpo mi metteva, tanta tristezza che persino il telegiornale sullo sport e sul calcio mi metteva una voglia di piangere assurda. Così mi ero alzato ciabattando e mi ero diretto verso la porta, pronto già a spartire il divano con un micio affamato di coccole e calore...
« Che. Cazzo. Sta. Succedendo. Spiegami. Che è sta roba urlante che stavo per pestare davanti casa tua. Naruto, esigo una spiegazione. Subito! »
...e mi ero ritrovato in faccia il volto ed il sopracciglio alzato di Sasuke.
Più o meno, era andata così.
Ed eccomi ora ad avere a che fare con un gatto ed un Sasuke nuovamente accigliato.
« Cos'è 'sto tono fatalista? » grugnì Sasuke cercando di alzarsi dal divano, scivolando alla sua destra di modo che il gatto si ribaltasse sul cuscino alla sua sinistra, cosa che non avvenne perchè a quanto pare quella piccola palla di pelo era troppo rincoglionita per avere i riflessi di non cadere dal divano, spanciato. « Ma che gatto stupido è poi? » fu il repentino commento di Sasuke che si inginocchiò e lo recuperò, portandoselo al petto.
Osservai rapito quella scena e mi sentii invadere dalla stessa sensazione di dolcezza che mi aveva impregnato pochi minuti prima allorchè avevo varcato la soglia del salotto.
Sospirai di contentezza e « Per oggi resta qui. » dichiarai avvicinandomi a loro.
Sasuke mi fulminò con lo sguardo e stese le braccia per passarmi il gatto. « Tieni, il tuo nuovo Amore. »
Presi il gatto in braccio che subito si aggrappò spaventato ad una mia spalla, roba che mi graffiasse a sangue. Lo restiuii un po' offeso al « nuovo papi » e Sasuke, benchè innervosito e contrariato, riprese il micio con sé e se lo portò appresso in giro per la casa fino alla cucina. E come stava buono quel furbo peloso!
« Quindi stanotte la passa con noi? »
Raggiunsi Sasuke in cucina e strabuzzai gli occhi a vederlo che mi puntava addosso una forchetta. Cercai il gattino con lo sguardo e lo trovai ai suoi piedi, si stava strusciando sulle sue gambe.
« Quindi ceni e dormi da me?! » chiesi subito in un moto di pura contentezza, sentendomi già sorridere a trentadue denti.
Quella era una sorpresa, per me, una gran sorpresa! Quel sabato pomeriggio non lo aspettavo, sapevo che doveva rimanere a casa essendo Itachi in viaggio di lavoro, invece era giunto da me.
Fu come essere invaso da tanti raggi luminosi che mi trapassavano da parte a parte riempiendomi di sensazioni calde.
Era da tanto che non tornavo a casa dal lavoro e mi ritrovavo così felice.
Ricordo che era il 15 ottobre, lo ricordo perchè fu un gran bel ritornare a casa.



Ronfavano uno meglio dell'altro, la luce della tv illuminava i loro musi rilassati e i loro corpi sfatti che io stavo osservando con particolare attenzione attraverso lo schemo del cellulare. Stavo cercando di scattare loro una foto ma quel dannato apparecchio decrepito che mi rirovavo come telefonino non ne voleva sapere di scattarla, continuando ad impallarsi ad ogni mio tentativo.
Era davvero uno spasso poter assistere ad una scena del genere e non volevo assolutamente perdermela! Mi sembrava che la mia fortuna di quel pomeriggio fosse del tutto in ascesa e volevo catturare almeno una prova tangibile del fatto che anche Naruto Uzumaki, ventidueenne con una marea di problemi fuori e dentro di sé, poteva avere delle ore completamente serene.
Di quel 15 ottobre che giungeva al termine ricordo la placidità con cui scorrevano i minuti, come non volessero arrivare alla conclusione di un ciclo di ventiquattro ore per ricominciarne un altro ma volessero restarsene immutati a fare da sfondo ad un'eterna bellezza.
Bellezze eterne erano Sasuke e il gatto abbracciati l'uno all'altro sul divano. Li sentivo miei entrambi, mentre li osservavo, provavo la sensazione appagante di sapere di essere in possesso di cose rare e bellissime. Probabilmente stavo pensando che erano solo miei, quei due – mettevo già dentro nel pensiero il micio, come avrete notato avevo il cuore duro come un cioccolatino al latte e già l'intenzione di non lasciarlo andare via – miei e di nessun'altro.
Il suono proveniente dal televisore alle mie spalle coronava in modo perfetto quei momenti in cui me ne stavo in pura contemplazione, momenti che avevano il gusto di una famiglia che una volta ogni tanto si riunisce sul divano a vedere un programma in tv tutta assieme, nel calore reciproco.
Riconobbi dai suoni quale pezzo del film lo schermo stesse mistrando alle mie spalle, stava per partire il finale degli “Aristogatti”, il mio pezzo preferito del quale ogni volta cantavo la canzone a squarcia gola e ridendo come fossi ancora un bambino di sette anni che vede quella meraviglia di film per la prima volta. Ebbi la tentazione di alzare il volume ma poi mi ricordai che stavo armeggiando con il cellulare e desistetti dall'idea.
Finalmente il vecchio si decise a fare la fottuta foto che rimase per qualche secondi fissa nello schermo a mostrarsi in tutta la sua vena fluff ai miei occhi umidi di contentezza. Mi accertai che la foto fosse salvata e poi misi in tasca il cellulare.
Stavo per risedermi sul divano, con molta delicatezza, quando mi sentii tirare per un braccio e sul divano ci finii catapultato. Mi feci pure male andando a cozzare contro qualcosa di duro.
Scoprii che la cosa dura era una spalla di Sasuke che mi aveva tirato per un polso.
« Si può sapere cosa hai combinato? »
Aveva la voce impastata di sonno e pur sentendo addosso tutta l'aura temibile che Sasuke tentava di mandarmi, non potei fare a meno di sorridere al sentire tale voce assonnata. Nella mia mente le scene fluff continuavano a riempirsi di particolari e credo che stavo per arrivare a un punto in cui mi sarebbe andato in tilt il cervello per i troppi zuccheri mentali, se solo Sasuke non avesse deciso, di lì a pochi secondi, di movimentare un po' la serata su decisamente altre corde.
« Oh ben svegliato! » esclamai e facendo un po' di forza cercai di girarmi per guardarlo in faccia ma Sasuke mi cinse la pancia con un braccio, intrappolandomi addosso a sé.
Il suo corpo era caldissimo.
Mi ritrovai ad appoggiare il gomito su qualcosa di ancora, se possibile, più caldo e guardando con la coda dell'occhio alla mia destra scoprii che si trattava del gatto. Gli avevo appoggiato un gomito sulla pancia, essendo questi ben piazzato da circa dure ore sulle gambe di Sasuke.
« Credi non lo sappia già di mio? »
« Di cosa stai parlando? »
« Hai fatto talmente tanto casino che era impossibile non me ne accorgessi, a cominciare da quando ti sei alzato dal divano come fossi una balena anziché un uomo. »
Il respiro di Sasuke mi stuzzicava l'orecchio facendomi venire dei brividi intensissimi, più parlava e più mi faceva il solletico col suo respiro tiepido sul collo e sull'orecchio. Era un solletico piacevole, che conoscevo. Era una di quelle volte in cui ero particolarmente sensibile ai tocchi di Sasuke.
C'erano delle volte, infatti, in cui mi bastava un semplice bacio a stampo sul collo da parte di Sasuke per partire a dimenarmi per i brividi, preso da un'eccitazione subito fortissima. Succedeva quando ero troppo stanco o quando non ero toccato da lui da un bel po' di tempo.
Erano volte molto pericolose, poiché – se era lucido – Sasuke capiva subito la mia debolezza e cominciava a stuzzicarmi a più non posso.
Erano sempre serate positive, di norma, quelle in cui mi ritrovavo ad essere come una ragazza alle sue prime esperienze
intime con l'altro partner. Le ricordo come tanti colori pastello accostati l'uno all'altro, tempere su un foglio a carta ruvida, macchiati qua e là da qualche pennellata rossa, simbolo – che solo io e lui sapevamo interpretare - di una passione che sarebbe nata presto dalla mia apparente ingenuità e purezza.
« Mpf e sentiamo cosa vorresti farmi adesso che l'hai scoperto? » gli domandai appoggiando una mano sul braccio che mi cingeva la vita. « Hai intenzione di cancellare la foto? A tuo rischio è pericolo...ci vorranno come minimo un altro paio di orette per compiere suddetta operazione... » dissi tutto d'un fiato cercando di darmi un contengo e ridacchiai.
Presi istintivamente ad accarezzare il braccio di Sasuke, disegnando tante piccole forme passando il dito sul tessuto nero della sua maglietta a maniche lunghe nere. Era un tipo di maglia che gli donava parecchio, stendendosi morbida sul suo busto scolpito, dando l'idea di comodità e freschezza assieme. Adoravo quando la indossava, mi rendeva fiero della sua bellezza.
A pensarci adesso, capisco che ero talmente tanto
innamorato da avere dei capi di abbigliamento suoi preferiti, da conoscere a memoria ogni suo abbinamento e vestito, da ricordare a memoria ogni singola sensazione data alle mie mani da ogni singolo tessuto da lui portato addosso.
E' una cosa che a dire il vero ho ancora adesso, questa di fare molto caso agli indumenti di chi amo. L'ho sempre avuta, è come un tratto della mia personalità. Ai giorni d'oggi ad esempio conosco a memoria ogni tutina di mio
nipote, e so di preciso – già al tatto – se sta indossando quella che gli ho regalato io. Ma... Ma tale osservazione c'entra poco con quel 15 ottobre che sto ricordando, quanto so divagare! Perciò ritorno diligentemente con la mente a ciò che accadde nei momenti immediatamente successivi alla mia risposta a tono forzatamente contenuto, altrimenti rischierei di dirvi cose che forse farebbero perdere il filo del racconto non solo a me, ma anche a voi; ammesso che un filo esista. (Mi è stato però detto che non importa se non seguo un filo logico, basta racconti, tutto, devi raccontare tutto – mi è stato continuamente ripetuto da chi mi ha seguito la testa per un paio di anni e io non me la sono mai sentita di non seguire ciecamente quel consiglio. Stavo troppo male.)
« Ti voglio fare del male, ovvio. » soffiò Sasuke nel mio orecchio, morse la cartilagine e io scoppiai in un urlo di dolore che fece sobbalzare e scendere il gatto dalle gambe di Sasuke.
« Cattivo l'hai fatto scendere! » esclmai guardando gli occhi luminosi nel semibuio del gatto che ora se ne stava davanti a noi sul tavolino che di solito funzionava da appoggiapiedi di fronte al divano.
« Era ora, ..così ho
libertà di movimento. »
Sasuke mi immobilizzò entrambe le mani stringendole sotto ad una delle sue contro alla mia pancia, con l'unica sua mano libera cominciò a scendere verso la cintura dei pantaloni.
Sapevo benissimo dove voleva andare a parare, provai a dimenarmi ma davvero non avevo voglia di resistere. Neanche giocare a resistergli mi allettava quella sera in cui avevo unicamente voglia di entrare definitivamente in possesso della mia rinnovata luce, ergo il mio migliore amico, il mio amante, tutto. Entravo definitivamente in possesso di lui tramite la sua possessione di me.
Suona molto come un concetto filosofico e contorto, ma a conti fatti fu molto semplice. Volevo che lui entrasse in me quella notte e volevo che il mio corpo lo facesse godere come non mai, così mi sarei sentito appagato assieme a lui, avrei sentito che quell'atto di sottomissione non sarebbe stato che bellissimo, puro nella sua palese volgarità ai più, una possessione non macchiata dalle scure tinte della non lucidità.
Sasuke non aveva toccato alcool. A cena avevamo bevuto mezza cocacola in due. Ammetto di essere stato attento a non tirare fuori dal frigo il vino secco che mi aveva lasciato Jiraya da un suo viaggio in Italia pochi giorni addietro, prima di ripartire per la Francia. (Vero vino Italiano! - aveva detto – dall'estremo oriente dell'Italia!)
Non lo avrei mai fatto provare a Sasuke, avevo paura.
« Cazzo fai? » dissi ma chiusi gli occhi quando la mano di Sasuke si insinuò sotto alle mie mutande, resistendo alla pressione che l'elastico dei pantaloni faceva su di essa. Aveva le dita fredde.
Quelle dita trovarono il mio cazzo giù duro come il marmo del pavimento su cui poggiavamo i piedi.
Sasuke mugunò nel mio orecchio, prima di darmi un bacio sul collo, vicino alla mascella. Non capii cosa disse, ma suonò come una risata soffusa mischiata a qualche quadrisillabo del tipo “sapevo”.
Sorrisi, anche se lui non poteva vedermi.
« Coccolo un certo micio, no? »
Mamma, papà, ma me li fate apposta questi scherzi? Farmi piombare in una situazione tipica del me adolescente... io una scena così l'ho già vissuta sette anni fa!! Vedere un film sul divano con Sasuke, il sabato sera; Sasuke che si addormenta, io che lo fisso, lui che mi blocca a sé, io che mi dimeno, inutilmente. Lui che mi vuole, ribollendo di eccitamento almeno quanto me. Un televisore che non ha più niente da dire, il placido buio attorno a noi, un buio che da sicurezza perchè siamo uno attaccato all'altro, caldi e infuocati. Mamma, papà, ma non vi vergognate un po' ogni tanto? Chi è stato a voler ciò, tu mamma? Non è che poi spifferate tutto al nonno? Quella volta, sette anni fa, c'è mancato poco che lo scoprisse! Papà, ma non ti vergogni di cosa mi sta facendo Sasuke? Ma poi, mi chiedo cosa mai vi stia dicendo, non mi vergogno? Mamma, papà, mi sentite? Sono felice, mi sentite? Mamma, papà?
Cominciò con movimenti lenti, il mio cazzo nel suo palmo. Su e giù, sotto alle mutande, la sua mano avvolgente il mio cazzo.
Ero perso in me quando sentii che Sasuke velocizzò la velocità, lo capii dai miei muscoli tesi e dal suo respirare affannato, dal fatto che stavo stringendo le unghie contro alla pancia, inficcandole quasi nella pelle, sotto alla sua mano che le teneva bloccate.
Mi risvegliai dal torpore in cui ero piombato, avevo un “mamma” tra le labbra, forse pure vi uscì, e Sasuke lo sentì. Non so, non lo saprò mai.
Fu un'esperienza strana, definirei mistica anche se...di esperienze così, all'epoca, ne avevo tante. Ne avevo sempre avute, tanto che anni prima mi ero convinto di possedere il famoso sesto senso, di essere particolarmente
sensibile, di poter davvero reputarmi poteri soprannaturali. Ora ero cresciuto ma...quei momenti mistici rimanevano, un po' come certe domeniche mattine mistiche con Sasuke che forse, accanto a me sul letto, aveva raggiunto il nirvana.
Quando aprii gli occhi mi ritrovai lo schermo del televisore illuminato senza la minima immagine in sovraimpressione, ero sommerso in una luce elettrica eppure buio.
Il cuore batteva forte in petto, sembrava volesse uscire e farsi due corse in giro per il salotto e invece rimaneva lì a martellarmi nelle orecchie.
« Non ce la fai più vero? »
Ero al culmine, annuii.
Non mi lasciò venire, smise di masturbarmi di colpo e lasciò andare la presa che mi attanagliava la pancia.
« Bastardo... » mormorai a voce roca, e mi alzai di scatto dal divano. Presi per un polso Sasuke e lo costrinsi a fare altrettanto. « Avanti, continua a divertirti un po'. » aggiunsi e mi piegai in avanti appoggiando le mani allo schienale del divano, lasciando andare il peso del corpo su di esso.
Sasuke aderì col proprio corpo al mio, da dietro. Sentii il suo cazzo da sotto i suoi pantaloni premere tra le mie natiche.
Il tessuto non era mai stato tanto fastidioso, ironia della sorte. Andava tolto di mezzo, volevo sentire il suo membro caldo tra le natiche, strusciarsi e poi entrare, anche di colpo. Non mi importava del male.
A ripensarci ora, credo di esser stato davvero un pervertito in quei miei pensieri. Ma forse mi fa pensare ciò il senno di poi. Incredibile come in quel presente io fossi completamente avulso da ogni pensiero in merito all'atto che compivo. Non ci facevo caso se mi piegavo a novanta per farmi penetrare a secco dal mio uomo, se lo lasciavo chinarsi su di me e prendermi il cazzo nella stessa mano che l'aveva fatto godere pochi istanti prima, se continuava a strusciare quel suo grosso membro tra le mie natiche, facendo tentativi poco convinti di provare ad addentrarsi nella mia carne.
Facevo caso solamente alle sensazioni che mi arrivavano e che davano.
Nella bieca luce di una televione che non ha più alcunchè da dire io fremevo di eccitamento nell'attesa che si compisse la nostra unione.
Non parlammo più, ma era nostra abitudine, specie nel passato. Ci scambiammo solamente due battute, quella notte prima di dormire, ma successe dopo, successe quando, ormai io ero venuto da un bel pezzo macchiando il divano e la mano di Sasuke. E Sasuke era venuto in me, macchiandomi fino alle gambe.
Finalmente Sasuke entrò in me. Non nascondo che fece male, un dolore lancinante come tante fitte che ti pervadono ovunque ma concentrate lì, nel mio ano, ma subito il piacere provocato da quell'intrusione potente superò ogni dolore, come era prevedibile. E mi ritrovai a chiedere subito di più.
Sasuke rispetto a quanfo facevamo sesso quando non era sobrio– quelle poche volte – era molto più convinto seppur meno violento, però sentivo che anche lui non stava riuscendo molto a resistere. Ma poi: a che cosa stavamo resistendo? C'era come un tacito accordo che dovessimo andar piano,assaporare ogni attimo di noi uniti, perchè era bello così e così andava bene, dopotutto eravamo insieme come una volta.
Esattamente come una volta...
Eppure il tacito accordo – fortunatamente – cadde in breve, Sasuke cominciò ad entrare ed uscire da me con forza, a far scorrere il suo cazzo in me con velocità sostenuta e alimentata dallo stesso scontrarsi dei nostri bacini nudi.
A vedere ora la scena mentalmente, rivedo i nostri pantaloni che arrivavano fino a metà ginocchia, e mi sorge spontaneo il parallelo con i pantaloni dei Sasuke e Naruto adolescenti, che non avevano quasi mai né il tempo né la possibilità di spogliarsi del tutto e perciò ci si tirava giù gli indumenti di ostacolo in fretta e rimanevano lì, a metà gambe. Quei pantaloni ora mi fanno tenerezza, abbassati a metà gamba, buffi e goffi ci facevano sembrare.
Eppure ci credevamo i più supereroi dell'universo, e anche quella sera di metà ottobre fu così.
Ci ervamo pure completamente dimenticati del gatto, che pure era stato un elemento essenziale a quella ritrovata armonia tra di noi. Ora so che se ne stette a dormire da qualche parte su una sedia sotto al tavolo del salotto per tutta la notte fino all'arrivo dell'alba quando ci venne a svegliare, ma quella notte me ne dimenticai completamente.
Fu l'unico testimone del nostro atto sessuale, l'unico – oltre a Sasuke – che sentì il mio urlo di piacere allorchè Sasuke mi impalò sul divano, costringendo le mie mani a stringere talmente forte lo schienale in pelle per farmici appoggiare che mi si ferirono scivolando sulla pelle lucida.
Fu l'orgasmo più intenso che ebbi dopo molto tempo, quello che ebbi nella mano di Sasuke poco dopo che questi era venuto in me.
Non dissi alcunchè, sorrisi anche se lui non poteva vedermi.
Sentivo i suoi capelli umidi sulla mia nuca, il suo respiro caldo sul collo e nell'orecchio. Si era appoggiato a me stremato ed ansimante, ora che tutta la tensione muscolare era scemata.
Mi sentii invaso per l'ennesima volta da un'onda di terenezza che mi fece girare leggermente la testa alla sinistra di modo che potesse cozzare contro quella di Sasuke, volevo dargli un piccolo buffetto.
Era caldo e sudato il corpo di Sasuke su di me, era dolce,
dolcissimo.
Una dolcezza che non ho più sentito, forse perchè proveniva da tutta una serie di piccoli avvenimenti di una giornata fortunata che non avevamo da tanto perchè tanti altri grandi avvenimenti non l'avevano permessa.
Mi convinsi solamente del fatto che qualcuno lassù doveva averci visti e ci stava vedendo e arrossii. Ora sì, finalmente di nuovo conscio.
« Naruto... » la voce di Sasuke era sommessa, roca come piaceva a me.
« Che c'è? »
« Non lasciarmi mai... »
Si spense in un fievole tono, poi il silenzio.
Continuai ad arrossire per diversi minuti mentre assaporavo che timbrica avesse la mia felicità.




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Capitolo 13
*** Una giornata perfettamente normale. ***


Salve gente, non dico niente sul ritardo...che è meglio. Piuttosto mi scuso, inchinandomi a Voi che avete dovuto attendere così a lungo. Spero con questo capitolo di ripagare almeno un poco le vostre attese... Che dire, è un capitolo diverso, non si tratta di un sabato! Non svelo altro ;) Buona lettura, grazie a quanti stanno seguendo questa storia *__*
Bidirezione



Una giornata perfettamente normale.

Avevo sempre ascoltato le canzoni di un autore che ai più non era mai piaciuto, e con i più intendo quelli della mia generazione. “Che schifo”, “Ma che è sta roba melensa?” “Vogliamo parlare dei testi?” tutte domande che mi ero sentito fare ogni volta che avevo proposto qualche canzone di questo autore ai miei amici, conoscenze o chicchessia. Fino a che avevo deciso di tenermelo per me, il mio cantante preferito, perchè tanto nessuno ci capiva un accidente. Quello che vedevo io sentivo io nelle sue canzoni nessun altro lo vedeva, se non quelli forse come me perchè legati a qualche ricordo che, in una maniera o nell'altra, aveva avuto quella determinata canzone di sottofondo. Così avevo preso ad ascoltarlo con le cuffie nelle orecchie o a pieno volume nella “sala della musica” del nonno al piano di sopra. Gelosamente ascoltavo canzoni che arrivavano a toccare corde di me che nessun altra cosa al mondo – nemmeno Sasuke - riusciva a toccare.
Si trattava di vera e propria musicoterapia.
“Non è che vuoi entrare in qualche specie di trance mistica tu?” mi domandò un giorno il nonno trovandomi steso sul divano, chiuso dentro nella saletta con la canzone preferita del mio album preferito del mio autore preferito a pieno volume. Avevo le lacrime agli occhi quando risposi che “Musicoterapia, nonno. Non la trovi una cosa figa?”
Nonno non mi rispose e scosse la testa mentre usciva dalla stanza, dimenticandosi di chiudere la porta. Avrei voluto chiedergli se a lui quell'autore piaceva, stavo quasi per rincorrerlo perchè dopotutto era la mia ultima possibilità di trovare qualcuno per cui quell'autore valesse come valeva a me, ancora più di tutto l'oro del mondo; ma le noti trascinanti e malinboniche della canzone mi fecero rimanere incollato al divano e quella domanda non gliela feci mai più, anche se avevo un sentore che a lui quell'autore in un modo o nell'altro lo conoscesse, gli fosse familiare.
Avevo la sicurezza, mentre mi lasciavo cullare da certe canzoni, di ritrovare una casa, una famiglia, un'atmosfera che avevo avuto in passato. E mi si scioglieva quel groppo alla gola che spesso mi mozzava il respiro e incominciavo a piangere come un bambino.
Avevo quindici anni quando scoprii che certe canzoni ti riportano indietro negli anni, nei ricordi, tolgono da te ciò che c'è di oscuro, oltre che di positivo, mescolandoli a volte, creando mix letali eppure benefici.
Scendevo giù in cucina dal nonno più leggero e più riposato, seppur stordito a livelli incredibili, visto quanto se la rideva il nonno mentre lo aiutavo ad apparecchiare la tavola.
“Ti va di mangiare uova?”
“Uh si, ideona!”
Ma poi cominciavo a parlare delle solite cose col nonno e anche la più remota, ultima, possibilità di porre quella domanda al mondo veniva meno.
Io e quell'autore eravamo definitivamente destinati a rimanere legati senza che il mondo potesse intromettersi.
Cominciò così la mia dipendenza dall'autore della mia vita.
A ripensarci ora, a 14 anni ero un ragazzino proprio strano.
Musica malinconica e soave, testi semplici metaforici ed infantili, grandi cori gospel o sussurrati, simpatie di giochi linguistici: ecco tutto ciò che adoravo in un brano musicale.
Eppure quel mix mi piaceva: toccava cose dentro me, l'ho già detto, cose che avrei scoperto meglio più avanti.
La vera musicoterapia sarebbe arrivata molto, molto più avanti.
All'epoca ero esclusivamente un bambino strano, che andava in cerca di emozioni nella sua stessa casa, in compagnia di se stesso.

Tutto qua.



« Che ci faccio qui? »
Guardai Sasuke c0n l'espressione più sconfortata di cui ero capace, roteando poi gli occhi in giro per il corridoio gremito di persone.
« Me lo sto chiedendo anche io, in effetti. »
Riflettei intensamente sul fatto che mi trovavo in una sede universitaria, o meglio: nell'università che frequentava Sasuke. Stavo aspettando facesse l'esame.
Aspettavamo da quaranta minuti e del professore neanche l'ombra. La gente attorno a noi sembrava dovesse andare al patibolo o a combattere tra gladiatori, l'atmosfera era così tesa che avevo tutto un brivido lungo il corpo. Fortunatamente c'erano quei due - tre individui con un'aurea più tranquilla che guarda a caso erano in piedi vicino a me e Sasuke. Con un ragazzo col codino ci avevo pure parlato un po', ascoltando come se ne sapessi qualcosa il suo affermare che la materia che aveva studiato per quell'esame era stata la cosa più noiosa che avesse mai incontrato dopo la sua fidanzata.
Mi faceva strano trovarmi in quell'ambiente, e all'inizio mi ero sentito davvero a disagio: tutti studenti prossimi alla laurea e io in università non ci avevo mai messo piede prima! E soprattutto l'ultima volta che avevo studiato davvero qualcosa era stato per l'esame di maturità, due anni e mezzo prima.
« Ma sono andati a farsi l'aperitivo? » domandai cercando lo sguardo non solo di Sasuke ma pure del ragazzo col codino, che mi pareva si chiamasse Shikamaru. Questi ridacchiò appena annuendo, poi alzò le spalle e « un classico.» disse con aria stanca.
Tornai ad osservare Sasuke che sul volto dall'espressione composta tradiva un velo di ansia, glielo notavo dal modo in cui socchiudeva le labbra o risucchiava le guance, dagli occhi un po' troppo spalancati. Non sapevo come confortarlo in una situazione del genere, perciò dissi la prima cosa che mi passò in mente.
« Andrà bene, vedrai »
Ovviamente non feci altro che irritarlo di più.
« Ovviamente non serve che me lo dici tu. » sussurrò senza farsi sentire da Shikamaru che comunque aveva preso a fissare fuori dalla finestra, perso in chissà quali pensieri.
Mi faceva strano pure vedere Sasuke nell'ambiente che lo aveva rubato un po' a me in quegli ultimi due anni. Il suo seguire i corsi era stato un po' uno choc i primi tempi, abituato come ero a vederlo ogni giorno. Ma poi avevo preso a lavorare a tempo pieno dal nonno in agenzia e lo choc era stato sostituito da un senso d'abitudine e dalla certezza che ci saremmo visti ogni weekend.
Credo che pure per Sasuke i primi tempi di allontanamento da me furono non facilissimi; a volte metteva dei bronci incredibili senza apparente motivo, quando ci rivedevamo il sabato pomeriggio o sera, e poi venivo a scoprire che era perchè non avevo risposto a un suo messaggio e inutilmente gli dicevo che era perchè all'agenzia non avevo un minuto. Sia chiaro, non me lo dava a vedere che gli mancavo, non sarebbe stato da lui, ma quei bronci e certi suoi sabati possessivi mi avevano sempre fatto capire che all'effetto della lontananza non era estraneo nemmeno lui. C'erano dei sabati notte in cui il suo corpo parlava da solo, si trattava di quelle volte in cui mi sentivo desiderato in una maniera così appagante da farmi dimenticare di colpo tutta la stanchezza e la frustrazione di un'intera settimana passata lontano da lui e vicino ai problemi fastidiosi della quotidianità lavorativa.
A ripensarci ora, realizzo che mi sentivo come un papà che per un motivo o per l'altro si ritrova nella scuola dove il figlio studia.
« Ecco mi pare stiano arrivando. »
Arrivarono i professori in smoking, o meglio, come avevo appreso, il professore e i suoi due elegantissimi assistenti. Entrarono nell'aula di fronte a dove ci trovavamo noi per uscirne subito dopo a fare l'appello.
Sapevo che Sasuke era il primo della lista, poiché il giorno in cui si era iscritto on-line all'esame era uno di quei sabati in cui eravamo tranquilli a casa, lui sobrio io mezzo annientato dal sonno. Ma per qualche strano (ma da quelle parti
classico caso del destino) si ritrovò sesto.
Mi colpì il modo in cui Sasuke non protestò in alcun modo alla lista improvvisata che il docente fece la lista scegliendo la gente a caso nel gruppetto che si era formato di fronte a lui. Fui lì lì per protestare io quando una tipa dai capelli rossi e dall'aria antipatica passò avanti a Sasuke che stava per dire il proprio nome quando il professore lo aveva guardato per dirgli di presentarsi.
Mi venne da sorridere.

« Che è quel sorrisetto? »
Sasuke mi guardò con odio, appena la gente intorno a noi fu scemata a causa dell'inizio dell'appello. In pratica quel giorno il professore avrebbe esaminato dieci persone, quindi a parte i curiosoni nel corridoio eravamo rimasti io, il ragazzo col codino, un amico di questi, e delle ragazze troppo chiassose (tra cui la tipa rossa di poco prima).
Quel giorno appresi un sacco di cose su come funzionano le cose in università.
Mi sentivo così sciocco!
« Nulla, nulla, però ti passano davanti noto... »
La tipa rossa udì le mie parole e subito si mise a confabulare sotto voce con una ragazza castana al suo fianco, lanciandomi occhiatacce di sottecchi. Le mostrai la lingua e così lei mi diede le spalle
«... questa è l'università, Naruto. Mica l'asilo. »
Di certo Sasuke era nervoso, ma di un nervosismo diverso da quello che gli conoscevo. Un nervosismo più normale, che accomunava un po' tutti gli esseri umani davanti ad una prestazione di quel genere, perciò non mi preoccupò quel nervoso. Anzi, sapevo che non avrebbe fatto altro che aiutarlo a prendere un voto altissimo. Dopotutto Sasuke aveva la media altissima, checchè ne dicesse quella merda di suo fratello.
Ad ogni modo alta era l'ansia perchè aveva il chiodo fisso del risultato da
mostrare a suo fratello: questa era una cosa che non potevo tollerare ma a parte qualche volta non gli avevo detto nulla. Spiegargli che il voto lo doveva prendere solo per sé era inutile.
Non era stato facile giungere in università quel pomeriggio, a causa di questo gran nervoso di Sasuke. Avevo rischiato di incendiarlo già da metà mattina quando mi ero presentato a casa sua con uno sbadiglio che mi bloccava la mascella. Mi aveva odiato: gli mettevo sonno! E non poteva permetterselo. Inoltre avevo dimenticato di far benzina alla macchina e la fermata al primo distributore disponibile era stata per Sasuke un colpo al cuore. Quanto me ne aveva dette! Stavo per bloccare la macchina e farlo andare all'università da solo ma poi mi ero reso conto che era fuori dalla mia portata fare un'azione simile e quindi avevo impostato la prima marcia e sgommai fuori dal distributore.
« Pensa che è il tuo quasi ultimo esame! »
« Me ne manca ancora uno dopo questo, coglione. »
Inutile, erano cinque ore ormai che qualsiasi cosa dicessi non andava bene. Cominciavo seriamente a innervosirmi anche io, quindi tirai fuori il cellulare e mi misi a giocare con un gioco di memoria stupido.
Sasuke prese a fissarmi senza interruzione.
Quel giochino di memory era un mio vizio, dovete sapere. Diciamo che era un po' il mio scaccia-pensieri, il mio antistress. Nonostante non arrivassi che al terzo livello quasi sempre, perdermi a giocarci rappresentava recuperare un po' di solidità mentale. A volte mi aiutava anche ad estraniarmi da un ambiente che mi metteva a disagio.
Di certo però sembravo un idiota poiché era un giochino con i tasselli raffiguranti del cibo, una cosa molto da bambini. Del tipo che dovevo accoppiare delle brioche con delle brioche e dei gamberoni con dei gamberoni, ecco. Potete immaginare come Sasuke odiasse quel gioco.
« Dopo dobbiamo passare a prendere tuo nonno? »
Sasuke che mi faceva una domanda era cosa più unica che rara, specie in quella situazione, ma visto che stavo giocando a quella “merda” come la chiamava lui e che l'ansia gli giocava brutti scherzi la vidi come una cosa normale e col mio più grande sorriso chiusi il gioco al terzo livello e risposi che sì, dovevamo passare a prendere Jiraya visto che eravamo da quelle parti...nonno era andato a trovare un suo vecchio amico non molto lontano da dove ci trovavamo noi, ci era andato in corriera al mattino presto, avendo io la macchina.
« Sperando non finiate a mezzanotte. » aggiunsi cercando uno sguardo complice dai presenti, che ricevetti dal ragazzo col codino.
« A quanto pare però è il mio turno. » disse questi e mentre lo diceva sembrò davvero stanco e tristemente sorpreso. Lo vidi afferrare la sua borsa da terra e entrare a testa bassa e ciondolante in aula, mentre vi usciva il suo amico un po in carne che aveva appena sostenuto l'esame.
Venni colpito per la seconda volta da una cosa: dal modo in cui Sasuke si avvicinò al ragazzone e cominciò a fargli quesiti su cosa gli avesse chiesto il professore.
Quei lati di Sasuke mi impressionarono. Asociale, timido, chiuso, arrivista? A me sembrava tutt'altro da quello che lui stesso diceva di sé grazie al lavaggio di cervello di quella strega di Itachi.
Era un Sasuke inedito quello che mi si presentava, al di là delle arrabbiature con il sottoscritto (la normalità). Una persona perfettamente integrata col suo ambiente, ecco.
Ne fui felice. Talmente tanto felice che cominciai anche io a intromettermi nella conversazione tra i due, fino a salutare con una pacca sulla spalla quel ragazzone che scoprii chiamarsi Chouji quando ci disse che doveva andare a prendere il treno.
« La tua fisicità non ha limiti. » mormorò Sasuke quando rimanemmo soli vicino alle finestre. Mi guardò con un sorrisetto di compatimento, ma non sembrava poi così sconfortato da quella mia manifestazione di solarità e fisicità con gente sconosciuta.
« Mi ispirava quel tipo, sai come è. »
Sasuke ridacchiò.
«...in che
senso? » mi chiese avvicinandosi a parlarmi con la bocca all'orecchio.
Sembrava si fosse dimenticato di dove si trovasse per qualche istante.
Mi sentii particolarmente ispirato dalla situazione e mi chinai a mordicchiargli un orecchio, per poi addossarmi alla parete già con le braccia a mo' di difesa per il sicuro attacco che il buon tempestivo Sasuke mi avrebbe sferrato.
« Cazzo fai? » ringhiò ma non mi diede alcuna botta, anzi si distaccò da me di un passo andò a controllare se per caso si vedesse qualcosa dalla porta semi aperta dell'aula dove si stava svolgendo l'esame.
Sembrava tutto composto nella sua tenuta elegante da esame, il suo passo sicuro e la schiena bella dritta, ma sapevo che in quel preciso istante stava sudando come fosse estate nella sua camicia bianca stirata fin troppo bene dal fratello e che le spalle nascondevano una tensione non poco piccola.
Lo avevo colto decisamente di sorpresa con quel morso che, tra l'altro, mi aveva eccitato non poco. Ma fortunatamente nessuno notò niente, poichè mi ero subito girato verso la finestra e avevo preso a guardare fuori, per distrarmi, anche se il pensiero di un Sasuke che non si era accorto di star usando un po' troppa
complicità con me davanti a tutti mi stuzzicava al punto da farmi sorridere come un ebete alla vetrata.
« E' il mio turno, idiota. »
Poco dopo sentii un respiro caldo sulla nuca, mi rivoltai di scatto e lo trovai pallidissimo e con gli occhi sgranati.
Era incredibilmente terrorizzato, lo sapevo e per questo mi venne da sorridere: Sasuke Uchiha che si faceva prendere dal panico prima di entrare nell'aula di un esame!
Probabilmente questa fu l'unica cosa giusta che feci in quelle ore d'attesa all'esame, visto che Sasuke acquisì colore nelle guance e gli occhi si assottigliarono di colpo. Mi diede un calcio su una caviglia e poi sgusciò via oltre la porta che richiuse con troppo rumore alle sue spalle.
Lo avevo distratto e fatto tornare in sé dopo la chiamata del professore, facendolo arrabbiare certo, perchè avevo riso di lui, ma avevo fatto la cosa giusta, tirando fuori uno dei miei sorrisi più ingenui, quelli che mostro solamente quando qualcosa davvero coglie la mia attenzione.
A pensarci ora: quanto era
normale tale giornata? Era da un sacco di tempo che non vivevamo del tempo assieme con gli altri, in un ambiente ricco di persone e stimoli sociali, che non vivevamo all'infuori di noi. E' una constatazione che mi fa fremere di tristezza, perchè so che non ce ne furono altre per lungo tempo, poi, di giornate così normali, di giornate come quelle della maggioranza delle persone, forse.
Rimasto solo guardai a lungo la porta socchiusa davanti a me e tirai le orecchie più che potevo ma non riuscii ad ascoltare alcunchè di ciò che il professore stava chiedendo al mio Sasuke, perciò venni preso da uno strano moto di ansia e mi rimisi a giocare a memory sul telefonino, stringendomi nelle spalle ed appoggiandomi alla parete fredda.
Aspettare un amico che fa un esame... tutto così
fottutamente normale. Eppure prima e dopo quell'esame era e sarà l'inferno.
Mi si prospettava un pomeriggio buono, molto buono, nel quale Sasuke sarebbe stato al settimo cielo per via del voto ricevuto e sapevo che dovevo far tesoro dei sorrisi della felicità che Sasuke mi avrebbe mostrato, eppure sapevo che non ci sarei riuscito poiché il pensiero di quanto fosse assurdo che lui dipendesse da un voto
– da suo fratello – mi avrebbe continuamente continuato a balenare per la testa, infastidendomi, distraendomi dalla felicità – seppur finta – di chi amavo.
Perciò sì abbracciai con trasporto Sasuke, appena arrivammo dietro l'angolo dove nessuno ci potesse vedere, quando uscì dalla stanza d'esame; perciò sì gli dissi che era un grande e mi feci offrire da bere, ma le mie frasi, il mio sorriso continuò a suonare troppo teatrale, stanco, sbiadito.
Avevo paura della felicità di Sasuke, di qualsiasi forma di felicità potesse trattarsi. C'era sempre il buio dietro le porte. Sempre.
« Stasera dormo da te, deciso. »
Mi voltai a guardarlo stupito, una volta salito in macchina.
Avevo sentito bene? Era mercoledì!
« Ma c'è il nonno... » biascicai riuscendo solo a pensare al fatto che effettivamente il nonno in quei giorni si trovava a casa per fare un po' il punto della situazione all'agenzia.
Mi si era inaridita la gola, e non solo a causa del troppo parlare lungo il tragitto verso il parcheggio dall'università o nel bar. Ero stato colto talmente tanto di sorpresa che ero rimasto a bocca aperta, e poi avevo respirato di bocca per non soffocare.
Nessuno mi ha più stupito come Sasuke.
« E non ti pare le cose siano più interessanti, così? »
Annuii immediatamente girandomi per non dargli a vedere le guance rosse.
Erano momenti di felice stupore, mi accontentavo e ci accontentavamo di poco, dopotutto.
Avremmo fatto l'amore tappandoci la bocca l'un l'altro per non farci sentire dal vecchio, sepolti sotto ad un mucchio di lenzuola, proprio come una volta, come quando avevamo sedici anni.
Mi salì un brivido lungo la schiena a pensare che davvero avremmo fatto l'amore avvinghiati come due adolescenti che non vogliono farsi scoprire, a reprimere le urla di piacere l'un con l'altro.
Sarebbe stata una nottata memorabile, se solo avessi potuto godermi in pieno almeno quella! Dannato pensiero! Dannato Sasuke che dipendeva da un voto! Da un cazzo di giudizio! Dannato Sasuke che aveva risposto alla chiamata di Itachi e gli aveva detto il voto, dannato Itachi che non era capace di essere falso e aveva messo su un tono falso che l'avevo sentito persino io vicino a Sasuke mentre gli faceva i complimenti e gli diceva “Va' a divertirti”.
Dannato me che non ero capace di sbattermene e di godermela e basta quella situazione idillica che mi si prospettava con un tuffo nel passato più bello.
Dannato pensiero.
Quando ripartimmo ero già che cantavo sulle note della mia canzone preferita, “Senza di te”, di quel famoso mio autore del cuore di cui vi ho parlato poco fa e Sasuke era già a minacciarmi di morte se non tiravo fuori quel “cd indecente” e mettevo su una “buona radio”.
Ero già tornato il Naruto solito, quello scanzonato che tutti conoscono, persino Sasuke conosce ancora.
Eppure dentro avevo l'inferno. Si specchiava nei miei occhi all'incontrario, dentro me. Mi diceva, l'inferno, che stava per arrivare.
Ero in preda ad un'illusione ormai, vivevo così.
Disillusioni e illusioni. Che fine avrei fatto?
Intanto avrei fatto l'amore, almeno questa certezza un po' sciocca in testa.
Sì, avrei fatto l'amore.



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