Mano a mano che vi
si addentrava, la bizzarra architettura di quella
villa le diveniva nota, seppur non comprensibile.
Era impossibile,
per la
logica, giustificare i vicoli ciechi, i labirinti tortuosi, le
prospettive
sbilenche e le scale improvvisamente troncate sul nulla: eppure mentre
li
percorreva
Shanoa scopriva
che i locali e gli ambienti di quella dimora
infernale riemergevano con microscopico anticipo dalla sua mente
confusa, come
sagome massicce che apparivano improvvisamente in una brughiera densa
di
nebbia.
Era
già stata in quel luogo raccapricciante, ne aveva
già respirato
l'atmosfera strana e pesante in modo indefinibile e studiato le tracce
decennali di demoni e mostri.
Ogni centimetro
di spazio che vedeva, la mente
dopo qualche secondo lo ricordava, trasmettendole
un soffocante senso di predeterminazione.
Era un qualcosa di
insondabile e profondo, che le incombeva sulle spalle e
nelle gambe e, a tratti, sembrava serrarle il petto in una morsa
micidiale.
Cosa era successo
in quella casa?
Shanoa sospirò, scuotendo il
capo affranta: ai pensieri razionali si sovrapponevano
disordinatamente i ricordi e le emozioni appena ritrovati,
ingarbugliando tutto
in una matassa dalla quale non avrebbe saputo come distinguere ed
estrarre i
vari bandoli, almeno per il momento.
La cosa migliore
che potesse fare,
probabilmente, era continuare ad andare avanti senza fermarsi, sperando
che
quella sgradevole inquietudine svanisse.
Percorse quindi
la villa fino a
raggiungere i solai per poi ridiscendere al pianterreno, sempre
più scorata
mano a mano che le stanze si succedevano l'una all'altra: asimmetriche,
insensate, deturpate, odiosamente ricordate eppure al tempo stesso
anonime alla
sua memoria. Chissà cosa...
Fu l'istinto,
perfezionato dagli anni di
allenamento costante, ad impedirle di sbattere contro il muro: mentre
rimuginava, infatti, le sue gambe l'avevano automaticamente ricondotta
alla
ripida scala che portava alla cantina, salvo poi indirizzarla verso il
lato
opposto del ballatoio, chiuso da una parete sporca e sbrecciata.
Shanoa
aggrottò la fronte, perplessa, e fece per voltarsi, ma in
quel momento un
sottile refolo di aria umida le sfiorò il mento e le labbra,
riaccendendo una
luce nella sua mente: una luce smorta ed implacabile, ipnotica e
malefica,
diversa da qualsiasi altra perché emanata da Agonia,
l'ultimo pezzo di Dominus.
Ricordò
ogni cosa: la nicchia quasi invisibile, la scaletta ripida e contorta,
la corsa nel buio.
Il gusto della
caccia e l'odore della preda, finalmente in
trappola.
Desiderò
con tutto il cuore fermarsi, eppure non concesse al suo
passo di esitare neppure per un istante.
Percorse la scala
e lo stretto
corridoio, varcò la soglia e l'oscena vividezza della scena
che le si presentò
d'innanzi riuscì in quello in cui il suo cuore aveva fallito.
La morte di Albus
per mano sua era evocata in quella stanza, replicata sin nei minimi
dettagli.
Un' altra lei
stessa le dava le spalle, i capelli sollevati verso l'alto dalla
magia, l'estremità della gonna svolazzante, la schiena e le
braccia nude
illuminate dal bagliore del glifo appena attivato.
Un glifo falce
nero, stretto
con tanta naturalezza dalla sua mano da sembrarne parte integrante e
talmente
affilato da aver squarciato e trapassato il petto di Albus senza quasi
fare
fatica, sollevandolo verso l'alto come un fantoccio privo di peso.
Inarcato
dall'impatto e dal dolore, privato di una sostanziosa parte di sangue,
scavato
dalla follia omicida di Dominus e dalla fame: più che un
giovane studioso
prossimo alla morte, quello a Shanoa era sembrato il concreto
incarnarsi di una
delle innumerevoli statue o raffigurazioni di anime dannate che
ricoprivano ed
arredavano buona parte degli ambienti di Ecclesia come monito
costante.
Ucciderlo era
stato facile, quasi giusto.
Solo ora, dopo
aver recuperato
ricordi ed emozioni, aveva notato gli occhi, ancora vigili nonostante
il dolore
e la sorpresa.
Roteavano nelle
orbite, furibondi e disperati: per la sconfitta?
Per il dolore? Per la consapevolezza? Per il rimorso? La guerriera non
lo
avrebbe mai scoperto.
La risata
beffarda di Albus, tramutatasi
in un grido di dolore non appena
il glifo falce lo aveva colpito, aveva raggiunto il suo culmine ed ora
si stava
rapidamente spegnendo, perdendosi nella notte assieme alla sua vita.
Esattamente come
ricordava, la morte restituì al corpo dello studioso tutto
il
suo peso inanimato, e la giovane lo vide scivolare lentamente
giù, verso il
pavimento sporco ed intriso di sangue. Albus cadde a terra, spezzato, e
finalmente la guerriera fu libera di risvegliarsi da quella lunga
notte.
Spalancò
gli occhi e si alzò a sedere, ripiegandosi poi su se stessa e tentando di soffocare
con un pugno serrato
sulla bocca l'urlo che lottava per uscirle dalle labbra, senza
però potere
nulla per le calde lacrime che le zampillavano dagli occhi e scavavano
brucianti solchi di dolore e vergogna sul viso.
Non che avesse
mai avuto dubbi
sul ruolo più che cruciale che aveva ricoperto nella morte
di Albus, ma
riviverlo inaspettatamente, in maniera tanto nitida e soprattutto
mentre non
aveva il minimo controllo sulla marea di ricordi ed emozioni che aveva
recuperato era stato davvero troppo.
Aveva bisogno di
aria, di muoversi, di
solitudine.
Ancora
più agile e silenziosa del solito, nel tentativo di non
svegliare Monica, Shanoa si alzò in piedi, percorse la
stanza appena illuminata
dalle ultime braci del focolaio e risalì la scala di legno,
trovandosi per la
seconda volta sullo stretto ballatoio che conduceva al piano
superiore.
Non
indugiò
neppure questa volta e, discesa la scala, si ritrovò in
quella che solo ora
notava essere stata con tutta probabilità la vecchia
carbonaia della villa.
L'ambiente era
sporco e male illuminato, ma l'incubo era stato nitido
abbastanza da farle intuire chiaramente i segni della collutazione e le
macchie
ormai rugginose di sangue, quindi raggiungerle non fu un
problema.
La rigida
educazione che aveva ricevuto era molto chiara circa quello che avrebbe
dovuto
fare, ora, per sentirsi meglio: aveva ucciso un essere umano, certo, ma
per
volere di Dio e per salvarlo dall'opera del maligno, quindi sarebbe
bastato
porgere le proprie scuse e quell'opprimente peso sul petto sarebbe
svanito in
un attimo.
Ma già
mentre si inginocchiava, la guerriera sapeva che, almeno in
quell'occasione, le scuse e le preghiere non sarebbero servite a nulla:
l'anima
di Albus era stata divorata da Dominus, e dubitava che fosse
così facile poterla raggiungere.
Inoltre era stato
Barlowe ad
insegnarle come comportarsi, in quella circostanza come in mille altre,
esaltando la grandezza e potenza del Signore e la necessità
di combattere nella
sua luce e per il suo trionfo. Ma Barlowe si era dimostrato folle,
corrotto dal
male, bramoso solo di resuscitare il vampiro che lo aveva
posseduto.
Pur con
l'enorme confusione che le annebbiava la mente, Shanoa ora vedeva
nitidamente
che nella richiesta del suo mentore di recuperare il glifo era anche
racchiusa
la speranza o la certezza che Albus morisse nel conflitto.
Albus, che come
lei
era stato allevato ed istruito da Barlowe stesso, che aveva vissuto,
studiato,
mangiato, pregato in seno ad Ecclesia sin dal principio della sua vita
e che
era stato infine da essa tradito, ed ucciso per mano di un'amica a
causa della
menzogna di un uomo corrotto.
Niente di tutto
ciò che era stato o di quello che
aveva fatto era stato considerato, e a niente sarebbe servito
inginocchiarsi e
chiedere perdono, anche se non avesse fatto altro per tutto il resto
della sua
vita.
E siccome quella
vita era un dono dello studioso, ora la guerriera giurò
a se stessa che, oltre a battersi quotidianamente contro i mostri per
difendere
gli umani, avrebbe fatto tutto il possibile per riabilitare il nome
dell'amico
presso chiunque avesse orecchie per sentire.
Tuttavia non
riuscì ad impedirsi
di congiungere le mani e pregare, nonostante sentisse che era del tutto
vano:
gli anni passati nell'Ordine erano stati tanti, troppi per poterli
cancellare
da un momento all'altro.
Pregò
con concentrazione e serietà, nonostante tutto,
e si rialzò in piedi solo dopo molte ore, quando ormai il
sole era alto e le
sue orecchie percepirono la voce di Monica che la chiamava, lontana ed
assonnata.
Stiracchiando
appena le membra indolenzite e spazzolando
distrattamente con le mani il tessuto blu della gonna, Shanoa si
alzò in piedi.
Esitò
un solo secondo e poi varcò la soglia della carbonaia,
evitando con
intenzione di guardarsi indietro. Il passato non le serviva a nulla, se
davvero
voleva andare avanti.
Monica la
incontrò a metà di un corridoio, e
tirò un sospiro di sollievo:
chiaramente il sonno l'aveva rimessa in sesto.
Avrebbe voluto
poter dire lo
stesso, ma nonostante la cena e la notte di riposo, tutta la fame, la
tensione
e la stanchezza che aveva accumulato nei giorni precedenti sembravano
essersi
intensificate, invece che attenuate, al punto che persino restare in
piedi e
vigile le richiedeva un enorme sforzo di concentrazione e
volontà.
Avrebbe
voluto coricarsi di nuovo e dormire, dormire, dormire per tutta la
vita, ma
purtroppo non era possibile: doveva tornare a Wygol da Daniela, Irina,
padre
Nikolaj, Jacob e tutti gli altri.
Oramai doveva
mancare da casa da più di una
settimana, invece dei pochi giorni che aveva previsto, e il solo
pensiero di
quanto dovessero essere in ansia per lei gli abitanti del villaggio la
avviliva
profondamente.
Inoltre era
preoccupata per Shanoa, per quanto assurdo potesse
suonare: la giovane era una guerriera portentosa, intelligente e
tenace,
sicuramente più che in grado di cavarsela da sola in ogni
situazione.
Eppure
Monica sentiva che qualcosa non andava, che la ragazza dissumulava un
qualche
genere di problema, e desiderava con tutto il cuore poterla
aiutare.
La guerriera
però non era tipo da lasciarsi andare a confessioni a cuore
aperto o richieste
di aiuto, quindi il lungo viaggio di ritorno era tutto il tempo che
Monica aveva
per individuare la causa del male della giovane o, in alternativa,
trovare il
modo di farla fermare al villaggio per qualche tempo.
La sarta
sospirò
lievemente e si concentrò sulla ricca colazione che Shanoa
aveva velocemente
materializzato dalla sua bisaccia, soppesando mentalmente varie ipotesi
e
strategie.
La guerriera
notò il suo insolito silenzio, ma lo accolse con
gratitudine: era ancora troppo provata dalla difficile nottata appena
trascorsa.
Inoltre era sempre
preferibile muoversi in silenzio, quando si
percorrevano le infestate strade della regione transilvanica.
La colazione fu
ben presto terminata, gli avanzi riposti e le tracce del loro passaggio
cancellate.
Sempre in
silenzio, le due giovani percorsero tranquillamente gli
ambienti della casa fino a raggiungere il malandato stanzone
d’ingresso,
dominato da ampie intelaiature di quelle che un tempo dovevano essere
finestre.
Solo allora la
guerriera rallentò la sua marcia: intimando a Monica di
fermarsi
con un cenno, si avvicinò con fare circospetto ad uno dei
finestroni badando
bene di non venire scorta dall’esterno, e, dopo aver
equipaggiato un glifo
spada, osservò a lungo fuori, cercando movimenti o tracce
che indicassero la
presenza di mostri, demoni o semplici briganti.
Dopo alcuni
minuti, finalmente
Shanoa poté dirsi soddisfatta e, abbassata la lama, fece
alla sarta cenno di
seguirla fuori.
La mattina era
limpida e tersa, con un luminoso sole invernale
che faceva scintillare la generosa spruzzata di neve caduta in quei
giorni,
rendendola abbacinate.
Riparandosi appena
gli occhi col dorso della mano, la
guerriera si guardò attorno per circa una frazione di
secondo e poi iniziò a
marciare a passo sostenuto verso Sud Ovest.
Monica la seguiva,
meditabonda,
insensibile persino a quello che, senza ombra di dubbio, era il suo
periodo
dell’anno preferito, l’inizio inverno, quando il
freddo non era ancora così
mortalmente intenso e la neve conservava ancora gran parte del suo
fascino
magico.
Si stava
scervellando sul problema, ma non riusciva proprio a farsi
venire in mente una soluzione valida. In cerca di spunti,
sollevò il capo ed
osservò a lungo la ragazza che camminava davanti a lei,
aprendole la strada: la
guerriera avanzava con passo sicuro, rapido ed elastico, la schiena
perfettamente diritta e le braccia rigide lungo i fianchi.
Alzava ed
abbassava
continuamente il viso, in
modo da
monitorare i dintorni e seguire contemporaneamente il sentiero, ma la
sarta era
certa di riuscire ad indovinare l’espressione sul volto
dell’altra anche senza
bisogno di vederla: vuota, distante, trasognata.
Cosa poteva aver
lasciato un
segno simile nell’animo di una ragazza tanto caparbia e forte?
Monica non ne
aveva idea, ma era più che mai determinata a scoprirlo: non
avrebbe lasciato Shanoa
sola nella sua disperazione, a sfogarsi combattendo follemente ancora,
ancora
ed ancora, fino a cadere uccisa.
Doveva trovare il
modo, ma come fare?
Shanoa teneva gli
occhi perennemente aperti da ore ed ore, ignorando il
bruciore e le lacrime causate dal riflesso della neve.
Sapeva la strada
a
menadito, ma non osava permettere a nessun altro pensiero, che non
fossero le
indicazioni e la sicurezza di Monica, di farsi largo nella sua mente.
Non la
scala oscura, non il rumore del glifo falce, non al fatto che, una
volta
lasciata la sarta al sempre più vicino villaggio di Wygol,
resistere a quei
ricordi sarebbe stato quasi impossibile, visto che il solo scopo della
sua vita
sarebbe stato nobilitare in qualche modo la memoria di Albus.
La guerriera
scosse seccamente il capo, liberando i capelli neri da qualche fiocco
di neve:
ci avrebbe pensato dopo.
Avrebbe potuto
raccontare la sua storia in qualche
taverna, o magari ad un giornalista come Marcel. O
forse…
La lama le
penetrò
profondamente nel fianco destro, trapassando facilmente lo spesso
mantello di
lana ed arrivando a mordere la robusta corazza di cuoio e il tessuto
semplice e
resistente dell’abito blu.
L’impatto
del fendente e l’effetto sorpresa
lasciarono la guerriera stupefatta e boccheggiante, mentre cadeva nella
neve
fresca e la fredda e grigia apatia in cui era caduta quella mattina
veniva
momentaneamente infranta e colorata di rosso sangue.
“Shanoa!”
Monica si
slanciò verso la compagna, ancora incredula per
ciò che aveva visto: dal nulla
era improvvisamente comparso un mostro grottesco, simile al mezzo busto
di una
donna completamente putrefatto, che aveva infilzato la guerriera con
una sorta
di falce e poi era nuovamente sparito, ridendo sguaiatamente.
“Monica,
no!”
Urlò la guerriera, scattando e portando la sartina, ancora
totalmente
sbalordita, dietro il proprio corpo nel momento esatto in cui il demone
ricompariva e sforbiciava l’aria nel punto in cui fino a
pochi secondi prima si
trovava la giovane.
L’essere
emise un verso di disappunto e veleggiò verso di
loro, ma Shanoa non si fece cogliere impreparata una seconda
volta.
“Allontanati
da me, ma rimani dove posso vederti.” Sussurrò
alla sarta, prima
di lanciarsi all’attacco, caricando sul braccio destro un
glifo Melio Macir,
dall’aspetto di una grossa e letale mazza ferrata.
Nonostante il
peso
dell’arma, l’attacco partì rapido e
sicuro, ma il nemico si spostò appena e
così il colpo, invece di centrarlo in pieno petto, si
abbatté su una delle sue
braccia armate, strappandogliela di netto dal corpo.
Shanoa
sibilò
un’imprecazione tra i denti e balzò
all’indietro per evitare la furia del
mostro, che prese ad attaccarla con violenza triplicata, volteggiando
qua e là
e smaterializzandosi senza sosta, cercando di coglierla nuovamente di
sorpresa.
La guerriera
saltava e schivava gli attacchi con relativa facilità, ma lo
sforzo per tenere sempre sott’occhio la compagna e
l’impeto furibondo della
creatura non solo le impedivano di contrattaccare, ma la stavano anche
costringendo ad arretrare verso gli alberi del bosco che stavano
costeggiando,
con il chiaro intento di chiuderla in trappola.
“Sta’
giù!” L’urlo di
avvertimento rovinò parzialmente l’effetto
sorpresa, ma per il resto il piano
di Monica funzionò egregiamente: Shanoa si scostò
di qualche centimetro e così
la falce colpì solamente il demone, distogliendo
momentaneamente la sua
attenzione dalla guerriera, che approfittò immediatamente
del vantaggio per
rigirare contro l’avversaria il suo stesso
stratagemma.
Un po’
bersagliandola
con sfere di fuoco incantato ed un po’ incalzandola con la
mazza ferrata, la
ragazza spinse la creatura contro una folta macchia di alberi
bitorzoluti e
cominciò a colpirla forsennatamente, non dando importanza
allo strano pulsare dei
disegni incantati sulle sue braccia.
L’arma
ed il fuoco colpirono in pieno il
petto del nemico e poi piovvero inarrestabili sul braccio superstite,
sul
cranio, nell’incavo tra collo e spalla, sul viso.
Nulla di tutto
ciò, però,
parve anche solo minimamente in grado di abbattere il demone che, anzi,
si
stava velocemente riprendendo dallo stordimento e cominciava a
rispondere
vigorosamente agli assalti.
Snervata ed
accecata dalla rabbia e dalla
frustrazione, Shanoa abbandonò ogni tattica e prudenza,
slanciandosi
ferocemente nello scontro con violenza.
Le sue braccia
mulinavano colpi potenti
e precisi, dalle sue dita scorrevano come fuochi artificiali i glifi
magici più
disparati e complessi, ma nulla di tutto questo sembrava in grado di
fermare la
sua avversaria.
E, nella
concitazione dello scontro, la guerriera non si rese
conto del fatto che le maniche del suo vestito blu iniziavano a
bruciare.
Qualcosa non
andava.
Monica era
praticamente sicura che, dopo il suo
intervento, Shanoa avrebbe concluso lo scontro in un batter
d’occhio e invece,
per quanto gravemente ferito, il demone continuava ad attaccare senza
mostrare
il minimo segno di cedimento.
Per di
più, la sua compagna sembrava aver perso
totalmente la calma e la sarta dubitava che, in quelle condizioni,
sarebbe
riuscita a concentrarsi abbastanza da cercare di analizzare la
situazione.
Ci
voleva un diversivo, qualcosa che riuscisse a spostare nuovamente su di
sé
l’attenzione di quella creatura e che permettesse a Shanoa di
riprendere il suo
rigido autocontrollo.
La sarta si
guardò attorno febbrilmente, cercando invano
una grossa pietra o qualcosa di simile, ed improvvisamente la sua
attenzione
venne attirata dalla falce demoniaca che aveva brandito pochi istanti
prima:
quando l’aveva imbracciata la prima volta non aveva avvertito
nulla di
particolare, ma ora l’arma riluceva e sibilava appena, come
animata da una
qualche misteriosa forma di energia, e aveva sciolto il cumulo di neve
dentro
il quale era precipitata durante la colluttazione.
Senza esitare,
Monica si
slanciò verso l’oggetto e lo afferrò,
ma l’arma demoniaca sembrò animarsi di
vita propria ed iniziò a contorcersi tra le sue mani,
cercando in ogni modo di
attaccarla.
Un’intuizione si fece strada nella mente della giovane che,
afferrata la falce nel punto che reputò più
sicuro, prese a sbatterne e
strisciarne violentemente la lama sul terreno gelato e contro gli
alberi e le
rocce, puntando a smussare e rovinare la lama con tutte le sue forze.
Il mostro
fermò a metà un fendente e si slanciò
violentemente verso
sinistra, ululando e cercando disperatamente di divincolarsi.
Shanoa
riuscì a
mantenere l’equilibrio e la presa per un soffio e
voltò il capo, cercando di
capire il perché di tutta
quell’agitazione.
Quando vide Monica
e intuì ciò che
la giovane stava facendo, un grido di giubilo le salì alle
labbra e si voltò
per fronteggiare il nemico con nuovo vigore.
In qualche
misteriosa maniera, la
sarta era riuscita a trovare il punto in cui il demone aveva nascosto
la
propria energia vitale e, avendo intuito che distruggerlo era
l’unico modo per
abbattere la creatura, si stava impegnando con tutte le sue forze in
quello
che, la guerriera lo sapeva bene, non sarebbe stato un compito per
nulla
facile.
Shanoa avrebbe
voluto poter aiutare la compagna ma ora che aveva visto
il proprio trucco svelato e la sua sconfitta profilarsi imminente, la
creatura
era diventata ancora più difficile da trattenere.
Tanto che,
nonostante il
dolore a braccia e schiena cominciasse a diventare davvero intenso, la
guerriera si trovò praticamente costretta ad armare a piena
potenza tutti e tre
i suoi glifi.
Fiamme, ghiaccio e
scariche di energia si abbatterono sul mostro,
circoscrivendolo, nonostante tutti i suoi sforzi e le sue urla,
all’interno di
un’invalicabile barriera magica.
Ritta in piedi
innanzi al cerchio magico, la
giovane concentrava tutta se stessa nello sforzo di mantenere attivi i
tre
incantesimi elementali: si fece scivolare addosso la stanchezza, il
dolore, la
rabbia e la sensazione dell’abito che, per la consunzione dei
glifi, le ardeva
su braccia e schiena.
Chiuse gli occhi
ed ignorò le urla della bestia, le
imprecazioni di Monica, il rumore ritmato della lama del glifo falce
sulla
roccia. Nulla ebbe più importanza, finché non
udì l’urlo trionfante della
compagna, quello terrorizzato del demone e, infine, uno scoppio
tremendo,
improvviso ed inaspettato, che la fece barcollare.
Spalancò gli occhi.
Monica
era accasciata a terra, il volto coperto di sangue e
l’impugnatura fumante
della falce ancora fermamente stretta tra le mani.
Terrorizzata,
Shanoa si
voltò per raggiungere la ragazza, ma proprio in quel momento
i suoi glifi
raggiunsero il loro limite e si squarciarono, strappandole un lungo
grido di
dolore.
La ragazza
piombò a faccia in giù nella neve, svenuta, col
nome della
compagna sulle labbra.
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