Il Sentiero

di Ysis Donahue
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao! Grazie per essere capitata/o su questa storia, spero che possa essere di tuo gradimento! Le vicende che andrò a raccontare si riferiscono alla saga “Castlevania” e, in particolare, intendono essere una sorta di spin-off del capitolo “Order Of Ecclesia”: pertanto, ho deciso di riassumere a grandi linee la trama del gioco, affinché la comprensione possa essere chiara anche a chi non abbia giocato al titolo. Leitmotiv della saga “Castlevania” è il combattere e sconfiggere il conte Vlad Tepes Dracula, Signore di Ogni Male, che ciclicamente, attratto dal dolore e dalla disperazione degli esseri umani, ritorna in questo mondo e tenta di sprofondarlo nelle Tenebre. Per anni ed anni i membri della famiglia Belmont, abili cacciatori capaci di maneggiare un’arma sacra, hanno combattuto e scacciato il vampiro ma, all’inizio del XIX secolo, improvvisamente l’intero clan è scomparso nel nulla, costringendo i più importanti studiosi ed esponenti della Chiesa dell’epoca a riunirsi in confraternite con l’obbiettivo di neutralizzare il Conte. Dopo anni di studi ed esperimenti fu il fondatore dell’Ordine di Ecclesia, Barlowe, a sintetizzare l’arma definitiva contro Dracula: i glifi, simboli artistici che rappresentano il potere contenuto in tutte le cose e sono in grado di sprigionare un’incredibile quantità di energia magica. Generalmente, essi possono essere utilizzati solo dopo che sono stati incanalati in specifiche armi o dispositivi magici, ma esistono alcuni esseri umani che, nascendo con glifi già tracciati sul proprio corpo, sono in grado di utilizzarli senza bisogno di tramiti. É questo il caso di Shanoa, giovane guerriera di Ecclesia e “arma segreta” dell’organizzazione, addestrata sin da piccola al combattimento e all’impiego dell’arte dei glifi. All’inizio dell’avventura assistiamo ad un rituale durante il quale la giovane, sotto la guida del Maestro Barlowe, ha il compito di assorbire tre glifi, noti come Dominus, che rappresentano la sola possibilità umana di sconfiggere Dracula. La cerimonia, però, viene interrotta a un passo dalla fine da Albus, giovane studioso dell’Ordine, che, una volta stordita Shanoa, ruba i tre pezzi del glifo e si dilegua subito dopo. Quando la giovane rinviene, scopre di non possedere più né ricordi né emozioni e, per ordine di Barlowe, si mette sulle tracce di Albus. Il giovane la sfida più volte e arriva persino a restituirle due frammenti del glifo, ma tiene per sé la terza parte che, rivelando la propria natura oscura, lo corrompe e rende pazzo. La guerriera, quindi, non ha altra scelta se non sfidarlo a un duello mortale, nel quale uscirà vincitrice. Poco prima di morire, però, Albus rinsavisce e confessa a Shanoa che Barlowe, in realtà, è un folle seguace di Dracula che mira a far resuscitare il suo padrone proprio tramite Dominus. Infatti è stato il glifo, non lui, a rubare alla giovane emozioni e ricordi, e il prezzo che richiederà per poter essere utilizzato in battaglia saranno la vita e l’anima della guerriera. Scioccata da queste rivelazioni, Shanoa giura vendetta: si reca ad Ecclesia, determinata ad uccidere Barlowe, ma non riesce ad evitare che Dracula sia resuscitato. Senza ormai più nulla da perdere, la giovane si dirige a Castlevania, oscuro castello del Conte, e dopo molte peripezie affronta il vampiro. Al culmine della cruenta battaglia, la giovane usa Dominus per scagliare l’attacco decisivo: Dracula viene distrutto e Shanoa si prepara a morire. L’anima di Albus, però, che si era legata all’ultimo pezzo del glifo, reclama su di sé il prezzo dell’oscuro incantesimo, e così facendo salva la vita alla giovane. Poco prima di sparire per sempre, Albus parla all’amica e la esorta a sorridere e a vivere godendo appieno le emozioni e i ricordi che, tramite il suo sacrificio, le sono stati restituiti. Il  videogioco si conclude così, ed è da qui che inizia la nostra storia.


Shanoa era stesa a terra, supina, i lunghi capelli neri aperti a ventaglio, le braccia e le gambe spalancate.Aveva attivato Refectio, un glifo curativo, e ora attendeva che le sue ferite si rimarginassero.
Ci sarebbe voluto molto tempo: lo scontro contro Dracula era stato durissimo e serrato, e la guerriera era fin troppo dolorosamente consapevole di quanto la battaglia e, soprattutto, l’utilizzo di Dominus l'avessero messa a dura prova.
La ragazza si rese conto troppo tardi del suo errore: ricordare il glifo voleva dire anche riportare alla mente i nomi e i volti di Barlowe ed Albus, i loro tradimenti, le loro morti e il fatto che ormai lei fosse sola al mondo.
Shanoa scosse violentemente il capo, gli occhi fastidiosamente pieni di lacrime, ma oramai il pensiero si era consolidato nella sua testa e non c’era modo di rimuoverlo: era davvero sola al mondo. Aveva bruciato la casa dove era cresciuta, ucciso l’uomo che l’aveva allevata e tradita, perduto l’unico amico che avesse mai avuto: la sola cosa che le rimanesse era la sua abilità nel combattere.
Per ironia della sorte, però, proprio il compimento della sua missione aveva reso quel talento inutile: senza l’oscura influenza di Dracula, i mostri e i demoni si sarebbero certamente molto ridotti di numero e gli uomini stessi sarebbero stati meno inclini alle guerre e alle devastazioni.
Non c’era alcun posto, per lei, nel mondo di pace che stava sorgendo.
La guerriera sospirò: quanto avrebbe voluto disattivare il glifo e lasciarsi morire lì, nella sala del trono, a pochi metri dai resti carbonizzati del suo trionfo!
Ma la sua vita non le apparteneva: ogni battito del suo cuore, ogni contrazioni dei polmoni in cerca d’aria, ogni singulto, sussulto e fibra del suo essere erano stati pagati da Albus ad un prezzo enorme.
Lo studioso si era dannato corpo, vita ed anima per permetterle di sopravvivere e, sapendo questo, Shanoa non poteva lasciarsi andare. Doveva rimanere in vita, e sforzarsi di darle un senso.
Pertanto, la prima cosa a cui pensare era come uscire indenne da Castlevania: Dracula era morto, certo, ma probabilmente i suoi servitori invadevano ancora il palazzo, e sarebbero stati più che felici di vendicare il proprio Signore. Probabilmente l’avrebbero attaccata in massa non appena avesse messo piede fuori dalla Sala del Trono e, vista la loro moltitudine, Shanoa valutò che persino attraversare la galleria che collegava la torre all’estremità del piano le sarebbe costato ore ed ore di combattimento serrato.
Il pensiero, però, invece di preoccuparla ebbe l’effetto di rilassarla.
La giovane iniziò a studiare strategie, ideare piani, ripassare le combo di glifi più efficaci per ogni tipologia di mostro, e ad ogni minuto che passava i suoi dolori si facevano sempre più distanti e soffocati.
Quando, finalmente, anche i ricordi sembrarono tornati ad essere seppelliti in un profondo recesso della mente, la guerriera balzò agilmente in piedi, armata di tutto punto e pronta a combattere. Lasciò la sala del trono senza neppure voltarsi indietro e sfondò la porta con una folgore incantata, sguainando contemporaneamente il suo glifo mazza prediletto. La galleria, però, era completamente deserta.
Shanoa vacillò un attimo, sentendosi nuovamente persa, ma recuperò in fretta il proprio sangue freddo. Se i mostri non erano a Castlevania, significava che erano usciti dal palazzo e che, quindi, stavano sicuramente mettendo a ferro e fuoco la regione, massacrando interi villaggi di innocenti.
Non lo avrebbe permesso.
Con un pugno ruppe una delle meravigliose finestre della galleria, attivò un glifo alato e si gettò nell’oscurità della notte transilvana, determinata a dare la morte ad ogni singola creatura infernale che avesse incontrato.


Molte ore dopo, era esausta.
I glifi tracciati sul suo corpo, i compagni potenti e fedeli che la accompagnavano fin dalla nascita e che avevano determinato tutta la sua esistenza e il suo ruolo nella missione di Ecclesia, ardevano come una maledizione e sembravano affondarle nelle carni con crudeltà e godimento. La gambe le tremavano violentemente, e non riusciva quasi più a sollevare o stendere le braccia.
 A malincuore, si trovò ad ammettere che forse per quel giorno sarebbe stato meglio fermarsi.
Il pensiero ebbe appena il tempo di materializzarsi nella sua mente, poi l’urlo femminile squarciò la notte, seguito immediatamente da orribili schiamazzi e grugniti, e Shanoa ingoiò caparbiamente la propria stanchezza ed ogni genere di dolore: evocò un glifo civetta affinché localizzasse l’origine del grido e seguì correndo il suo volo, giungendo dopo non molto dinnanzi ad una villa diroccata.
Imprecando tra i denti ed ignorando il fatto che la vista le si stesse sfocando sempre più, la guerriera entrò nell’edificio e, mentre la sua sentinella alata cercava la ragazza in pericolo, lei rimaneva indietro e scagliava su demoni, Formori, Spettri e Forze Oscure, sfere di luce e vampe infuocate.
Raggiunse così la cantina dello stabile e trovò la sua civetta, intenta a volteggiare attorno al corpo inerme di una ragazza, cercando di proteggerla dal gruppo di sette demoni che incalzavano da ogni lato.
Pregando di non essere giunta troppo tardi, la guerriera si concentrò sui mostri, affrontandoli e sconfiggendoli uno dopo l’altro. Quindi provò a dirigersi verso la giovane, ma quell’ultimo sforzo le era stato fatale: prima di poter anche solo portare a termine il passo, Shanoa rovinò a terra, priva di sensi.


Il risveglio non fu dei migliori: nonostante la pezzuola umida e fresca che le copriva la fronte e gli occhi, la testa le pulsava e ronzava dolorosamente, si sentiva debolissima e molto, molto confusa.
Provò cautamente a muoversi per capire quanto poteva osare e, così facendo, attirò su di se le attenzioni della ragazza che aveva soccorso, che la raggiunse in pochi passi e le posò una mano sulla spalla, fermando i suoi movimenti. “Aspettate, vi aiuto io, voi siete molto debole. Per quasi quattro giorni siete rimasta priva di conoscenza, tormentata dalla febbre: prima di alzarvi dovete mangiare qualcosa e bere molto.”
La voce era familiare alle orecchie della guerriera, ma fu solo dopo che la pezzuola umida le venne tolta da davanti agli occhi che riuscì a riconoscerne la proprietaria. “Monica?” Domandò Shanoa osservando con aria sorpresa la giovanissima sartina del villaggio Wygol. “Cosa ci fai tu qui?”
“E' una storia lunga e noiosa, nulla che valga la pena di raccontare.” Minimizzò la ragazza, chiudendo l'argomento. “Voi, piuttosto, come vi sentite? Ero davvero molto preoccupata!”
“Bene, ti ringrazio. Sei riuscita a mangiare, in questi giorni?” Chiese Shanoa, costringendosi ad alzarsi in piedi ed impedendosi di vacillare e di urlare, nonostante il tremendo dolore che l'avvolgeva da capo a piedi. Si concesse solo di appoggiare una mano al muro e poi cominciò a percorrere il perimetro della cantina delimitato dal chiarore del focolare, aumentando costantemente la velocità, per tentare di sgranchirsi il più rapidamente possibile schiena, gambe e braccia.
“Io…si signorina. Avevo portato qualche provvista per il viaggio.”
“E ne hai ancora?”
“Un poco, signorina, ma non credo che dovreste…”
“Sto bene.” La guerriera troncò sul nascere ogni segno di protesta e riprese il suo vagare, guardandosi attorno. “Mangia e poi cerca di dormire un po’. Voglio partire entro quattro ore. Ti riporto a Wygol.”
“Ma è una follia! Vi siete appena ripresa e faticate persino a camminare! Inoltre tra quattro ore sarà notte fonda, finiremo in un dirupo, o tra le fauci di qualche predatore notturno!”
“Ti assicuro che sono molto più forte di quanto non sembri a prima vista, e che sono stata addestrata a vedere al buio come se fossi in piena luce. Non rischierai di cadere, perderti o ferirti, e muovendoci col favore delle tenebre riusciremo a passare inosservate a molti dei demoni e dei predatori più pericolosi.” Tentò di rassicurarla, ma Monica non era intenzionata a cedere.
“Sciocchezze, muovendoci al buio in queste condizioni non faremmo altro che perderci e finire morte in un burrone o uccise da un demone! Non sono certo sopravvissuta miracolosamente all'assalto della mia carrozza solo per poi rischiare la mia vita in maniera così stupida, e ritengo che anche voi dovreste trattarvi con più riguardo!”
Sbottò la sarta, scattando in piedi e marciando verso un malconcio calderone che aveva recuperato e messo in uso durante le prime perlustrazioni della cantina. Di pessimo umore, vi gettò dentro le provviste e prese a mescolare con furia: non riusciva a credere alle proprie orecchie!
Partire nel cuore della notte, totalmente alla cieca, dopo essersi appena risvegliate da quasi quattro giorni di febbre alta! Ad averlo saputo prima si sarebbe risparmiata tutta la fatica fatta per accudire, nutrire e tenere al caldo la guerriera, visto che, evidentemente, non desiderava altro se non morire!
Profondamente irritata, aumentò il ritmo della mescolatura e finì così col far cedere del tutto un piede del vecchio calderone, che non aveva notato essere instabile. Fortuna volle che riuscisse a scostarsi abbastanza velocemente da evitare di inzupparsi del tutto gli abiti ma, per quanto riguardava la cena non c'era ormai più nulla da fare.
“Oh, dannazione!” Esclamò, scoppiando finalmente a piangere per la rabbia, la fame e la tensione.
Aveva severamente razionato quel cibo per giorni, riducendo al minimo le proprie dosi per cercare di nutrire il più possibile la guerriera svenuta, ed ora non solo quello sforzo si era rivelato del tutto inutile, ma aveva anche sprecato il poco che restava e chissà quando le sarebbe ricapitato di mangiare di nuovo!
Shanoa osservò a lungo la schiena tremante della ragazza, soppesando il suo sfogo e riflettendo: forse prendersi un po' più di tempo per riposare non era poi un'idea tanto malvagia.
In fin dei conti, in quei giorni Monica l'aveva accudita e curata al massimo delle sue possibilità, nonostante il freddo, l'ambiente inospitale e la mancanza di cibo: era di certo esausta e costringerla a marciare sarebbe stato controproducente.
Inoltre, per quanto le dolesse ammetterlo, lei stessa era esausta, sfiancata totalmente da quei pochi metri percorsi mentre discuteva con la sarta.
“E va bene, partiremo domani, non preoccuparti.” Disse la guerriera, raggiungendo la compagna e posandole una mano sulla schiena, spingendola a voltarsi. Sganciò dal proprio fianco una piccola sacca di pelle e gliela porse, accompagnandola con quello che sperava essere un passabile sorriso affabile. “Ho anche io del cibo con me, moltissimo. Vuoi vedere di che cosa si tratta?”
Monica si asciugò le lacrime, prese la bisaccia tra le mani e la soppesò cautamente. Era abbastanza leggera, di cuoio scuro, incredibilmente morbida e ben cucita, ma data la ridotta profondità dubitava che potesse contenere qualcosa di più misterioso di un po’ di pane e qualche pezzo di formaggio.
Tuttavia, la fame e la curiosità erano troppe e così infilò la mano nella borsa, rimanendo letteralmente a bocca aperta per lo stupore dopo pochi istanti: non solo riusciva agilmente a muoversi ben oltre quelle che erano le effettive dimensioni della sacca, ma le sue dita stavano sfiorando il più vasto e variegato assortimento di oggetti che le fosse mai capitato di trovare.
Sconcertata, cercò conferme negli occhi della guerriera e, visto che Shanoa annuiva sorridendo, vinse il timore ed afferrò la prima cosa che le capitava sotto tiro quel momento, estraendola.
“Come può essere possibile un tale prodigio? Come può una semplice bisaccia creare il cibo?” Domandò, rimirando incredula quella che senza ombra di dubbio era la più bella e perfetta forma di pane che avesse mai visto.
“Non creare, solo trasportare.” La corresse la giovane, facendosi restituire la borsa per poi sprofondarvi senza esitazione il braccio sin oltre l’articolazione del gomito. “Questa è una Bisaccia Incantata, una creazione segreta del Santo Ordine al quale appartenevo. Molto spesso dovevamo intraprendere viaggi lunghi e faticosi, che richiedevano un grande quantitativo di provviste e materiali, e queste borse ci erano indispensabili. Sono leggere, resistenti e praticamente senza fondo, e il fluire del tempo, al loro interno,  è pressoché sospeso. Ecco, serviti pure.” Concluse, posando un ultimo recipiente sul pavimento.
Non più distratta dalla spiegazione, Monica seguì il gesto con lo sguardo e rimase a dir poco esterrefatta. Ordinatamente disposti tra lei e la compagna c’erano non meno di venti diversi tipi di pane, impastati, lavorati e cotti nelle maniere più diverse. E poi bracciate intere di frutta, la maggior parte della quale a lei totalmente sconosciuta, zuppiere su zuppiere colme della più incredibile vastità di carni, pesci e contorni che si potessero immaginare, formaggi, pasticci, torte salate e salse di ogni genere, eleganti caraffe piene di vini dalle mille sfumature e bevande misteriose ed, infine, torte e dolci in una quantità tale che la ragazza fu certa del fatto che non sarebbe mai stata in grado di assaggiare tutti.
“Sia lodato il Signore nella sua misericordia! Da dove viene tutta questa bontà divina?” Sospirò Monica, rapita, allungando esitante la mano verso il cibo, quasi temesse di vederlo scomparire da davanti ai suoi occhi.
Le iridi cerulee di Shanoa scintillarono debolmente di divertimento. “L’ho rubato, dalle cucine di Castlevania.”
Al suono del nefasto nome del palazzo, gli occhi della giovane si spalancarono nuovamente, ma questa volta per il terrore. “Ma è impossibile! Nessuno può entrare a Castlevania, derubare le dispense del Conte e sperare di uscirne vivo per raccontarlo!”
“La dispensa era l'ultima delle sue preoccupazioni, posso assicurartelo. Ed in ogni caso non gli ho concesso di sopravvivere tanto da accorgersi della sparizione di tutto questo.”
“Voi avete combattuto contro Dracula? Avete ucciso il conte?” 
“Si. O almeno credo: ultimamente ho scoperto di aver spesso sbagliato su molte cose. Di certo è sconfitto e bandito dal mondo terreno, pertanto non credo sarà un problema se mangiamo il cibo che lui aveva sottratto a sua volta chissà a chi.” Replicò Shanoa, cominciando a servirsi con noncuranza.
Monica annuì e si affrettò ad imitarla, rimandando ad un momento più adatto tutte le domande e concentrandosi su quel sontuoso ed insperato banchetto.
Pensava che conoscere l’oscura provenienza di quel cibo le avrebbe impedito di mangiare di gusto, ma i giorni appena trascorsi di fame e privazione le fecero ben presto perdere ogni perplessità. Si servì numerose porzioni di molti piatti, facendosi aiutare e consigliare di tanto in tanto dalla compagna, e si fermò solo quando il suo stomaco, oramai, non avrebbe più potuto contenere neppure una briciola.
Shanoa, che si era saziata molto più in fretta di lei, riordinò velocemente tutti gli avanzi e le domandò cosa avesse preferito, dando suo malgrado inizio ad una lunga dissertazione su quali fossero le pietanze più gustose, seguita poi da un fuoco di fila di domande e strampalate teorie circa le loro provenienze e ricette.
Per un po' la guerriera si sforzò di partecipare, ma poi la stanchezza, lo stomaco pieno, il tepore del fuoco e l'entusiastico fiume di parole di Monica ebbero la meglio sulla sua resistenza, e la giovane sprofondò in un sonno profondo.
Non appena se ne avvide, la sarta tacque e, dopo aver coperto la compagna, si stese a sua volta, pregustando finalmente una lunga notte di sonno.
Forse, però, il suo appetito era stato sin troppo vorace perché, nonostante gli occhi le bruciassero dal sonno, il suo stomaco rumoreggiava e protestava mentre si impegnava a digerire quella cena luculliana, tenendola sveglia.
Maledicendo la propria ingordigia, la sarta si alzò cautamente e, bene attenta a non fare rumore, raggiunse l'angolino accanto al focolare dal quale aveva vegliato Shanoa per giorni e notti.
Il diario era ovviamente lì, la copertina di pelle intiepidita dalle fiamme e le pagine un po' spiegazzate dalla fretta con cui la giovane lo aveva gettato a terra, non appena si era accorta che la guerriera dava i primi segnali di ripresa. Sospirando, Monica sedette a terra e raccolse il volume, lisciandone distrattamente le pagine mentre si immergeva per l'ennesima volta nella lettura delle tormentate vicende del suo autore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mano a mano che vi si addentrava, la bizzarra architettura di quella villa le diveniva nota, seppur non comprensibile.

Era impossibile, per la logica, giustificare i vicoli ciechi, i labirinti tortuosi, le prospettive sbilenche e le scale improvvisamente troncate sul nulla: eppure mentre li percorreva 

Shanoa scopriva che i locali e gli ambienti di quella dimora infernale riemergevano con microscopico anticipo dalla sua mente confusa, come sagome massicce che apparivano improvvisamente in una brughiera densa di nebbia.

Era già stata in quel luogo raccapricciante, ne aveva già respirato l'atmosfera strana e pesante in modo indefinibile e studiato le tracce decennali di demoni e mostri.

Ogni centimetro di spazio che vedeva, la mente dopo qualche secondo lo ricordava, trasmettendole un soffocante senso di predeterminazione.

Era un qualcosa di insondabile e profondo, che le incombeva sulle spalle e nelle gambe e, a tratti, sembrava serrarle il petto in una morsa micidiale.

Cosa era successo in quella casa?

Shanoa sospirò, scuotendo il capo affranta: ai pensieri razionali si sovrapponevano disordinatamente i ricordi e le emozioni appena ritrovati, ingarbugliando tutto in una matassa dalla quale non avrebbe saputo come distinguere ed estrarre i vari bandoli, almeno per il momento.

La cosa migliore che potesse fare, probabilmente, era continuare ad andare avanti senza fermarsi, sperando che quella sgradevole inquietudine svanisse.

Percorse quindi la villa fino a raggiungere i solai per poi ridiscendere al pianterreno, sempre più scorata mano a mano che le stanze si succedevano l'una all'altra: asimmetriche, insensate, deturpate, odiosamente ricordate eppure al tempo stesso anonime alla sua memoria. Chissà cosa...

Fu l'istinto, perfezionato dagli anni di allenamento costante, ad impedirle di sbattere contro il muro: mentre rimuginava, infatti, le sue gambe l'avevano automaticamente ricondotta alla ripida scala che portava alla cantina, salvo poi indirizzarla verso il lato opposto del ballatoio, chiuso da una parete sporca e sbrecciata.

Shanoa aggrottò la fronte, perplessa, e fece per voltarsi, ma in quel momento un sottile refolo di aria umida le sfiorò il mento e le labbra, riaccendendo una luce nella sua mente: una luce smorta ed implacabile, ipnotica e malefica, diversa da qualsiasi altra perché emanata da Agonia, l'ultimo pezzo di Dominus.

Ricordò ogni cosa: la nicchia quasi invisibile, la scaletta ripida e contorta, la corsa nel buio.

Il gusto della caccia e l'odore della preda, finalmente in trappola. 

Desiderò con tutto il cuore fermarsi, eppure non concesse al suo passo di esitare neppure per un istante.

Percorse la scala e lo stretto corridoio, varcò la soglia e l'oscena vividezza della scena che le si presentò d'innanzi riuscì in quello in cui il suo cuore aveva fallito.

La morte di Albus per mano sua era evocata in quella stanza, replicata sin nei minimi dettagli.

Un' altra lei stessa le dava le spalle, i capelli sollevati verso l'alto dalla magia, l'estremità della gonna svolazzante, la schiena e le braccia nude illuminate dal bagliore del glifo appena attivato.

Un glifo falce nero, stretto con tanta naturalezza dalla sua mano da sembrarne parte integrante e talmente affilato da aver squarciato e trapassato il petto di Albus senza quasi fare fatica, sollevandolo verso l'alto come un fantoccio privo di peso.

Inarcato dall'impatto e dal dolore, privato di una sostanziosa parte di sangue, scavato dalla follia omicida di Dominus e dalla fame: più che un giovane studioso prossimo alla morte, quello a Shanoa era sembrato il concreto incarnarsi di una delle innumerevoli statue o raffigurazioni di anime dannate che ricoprivano ed arredavano buona parte degli ambienti di Ecclesia come monito costante. 

Ucciderlo era stato facile, quasi giusto.

Solo ora, dopo aver recuperato ricordi ed emozioni, aveva notato gli occhi, ancora vigili nonostante il dolore e la sorpresa.

Roteavano nelle orbite, furibondi e disperati: per la sconfitta? Per il dolore? Per la consapevolezza? Per il rimorso? La guerriera non lo avrebbe mai scoperto.

La risata beffarda di Albus,  tramutatasi in un grido di dolore non appena il glifo falce lo aveva colpito, aveva raggiunto il suo culmine ed ora si stava rapidamente spegnendo, perdendosi nella notte assieme alla sua vita.

Esattamente come ricordava, la morte restituì al corpo dello studioso tutto il suo peso inanimato, e la giovane lo vide scivolare lentamente giù, verso il pavimento sporco ed intriso di sangue. Albus cadde a terra, spezzato, e finalmente la guerriera fu libera di risvegliarsi da quella lunga notte. 

Spalancò gli occhi e si alzò a sedere, ripiegandosi poi su se stessa  e tentando di soffocare con un pugno serrato sulla bocca l'urlo che lottava per uscirle dalle labbra, senza però potere nulla per le calde lacrime che le zampillavano dagli occhi e scavavano brucianti solchi di dolore e vergogna sul viso.

Non che avesse mai avuto dubbi sul ruolo più che cruciale che aveva ricoperto nella morte di Albus, ma riviverlo inaspettatamente, in maniera tanto nitida e soprattutto mentre non aveva il minimo controllo sulla marea di ricordi ed emozioni che aveva recuperato era stato davvero troppo.

Aveva bisogno di aria, di muoversi, di solitudine.

Ancora più agile e silenziosa del solito, nel tentativo di non svegliare Monica, Shanoa si alzò in piedi, percorse la stanza appena illuminata dalle ultime braci del focolaio e risalì la scala di legno, trovandosi per la seconda volta sullo stretto ballatoio che conduceva al piano superiore. 

Non indugiò neppure questa volta e, discesa la scala, si ritrovò in quella che solo ora notava essere stata con tutta probabilità la vecchia carbonaia della villa.

L'ambiente era sporco e male illuminato, ma l'incubo era stato nitido abbastanza da farle intuire chiaramente i segni della collutazione e le macchie ormai rugginose di sangue, quindi raggiungerle non fu un problema. 

La rigida educazione che aveva ricevuto era molto chiara circa quello che avrebbe dovuto fare, ora, per sentirsi meglio: aveva ucciso un essere umano, certo, ma per volere di Dio e per salvarlo dall'opera del maligno, quindi sarebbe bastato porgere le proprie scuse e quell'opprimente peso sul petto sarebbe svanito in un attimo.

Ma già mentre si inginocchiava, la guerriera sapeva che, almeno in quell'occasione, le scuse e le preghiere non sarebbero servite a nulla: l'anima di Albus era stata divorata da Dominus, e dubitava che fosse così facile poterla raggiungere.

Inoltre era stato Barlowe ad insegnarle come comportarsi, in quella circostanza come in mille altre, esaltando la grandezza e potenza del Signore e la necessità di combattere nella sua luce e per il suo trionfo. Ma Barlowe si era dimostrato folle, corrotto dal male, bramoso solo di resuscitare il vampiro che lo aveva posseduto. 

Pur con l'enorme confusione che le annebbiava la mente, Shanoa ora vedeva nitidamente che nella richiesta del suo mentore di recuperare il glifo era anche racchiusa la speranza o la certezza che Albus morisse nel conflitto. 

Albus, che come lei era stato allevato ed istruito da Barlowe stesso, che aveva vissuto, studiato, mangiato, pregato in seno ad Ecclesia sin dal principio della sua vita e che era stato infine da essa tradito, ed ucciso per mano di un'amica a causa della menzogna di un uomo corrotto.

Niente di tutto ciò che era stato o di quello che aveva fatto era stato considerato, e a niente sarebbe servito inginocchiarsi e chiedere perdono, anche se non avesse fatto altro per tutto il resto della sua vita.

E siccome quella vita era un dono dello studioso, ora la guerriera giurò a se stessa che, oltre a battersi quotidianamente contro i mostri per difendere gli umani, avrebbe fatto tutto il possibile per riabilitare il nome dell'amico presso chiunque avesse orecchie per sentire. 

Tuttavia non riuscì ad impedirsi di congiungere le mani e pregare, nonostante sentisse che era del tutto vano: gli anni passati nell'Ordine erano stati tanti, troppi per poterli cancellare da un momento all'altro.

Pregò con concentrazione e serietà, nonostante tutto, e si rialzò in piedi solo dopo molte ore, quando ormai il sole era alto e le sue orecchie percepirono la voce di Monica che la chiamava, lontana ed assonnata.

Stiracchiando appena le membra indolenzite e spazzolando distrattamente con le mani il tessuto blu della gonna, Shanoa si alzò in piedi. 

Esitò un solo secondo e poi varcò la soglia della carbonaia, evitando con intenzione di guardarsi indietro. Il passato non le serviva a nulla, se davvero voleva andare avanti. 


Monica la incontrò a metà di un corridoio, e tirò un sospiro di sollievo: chiaramente il sonno l'aveva rimessa in sesto.

Avrebbe voluto poter dire lo stesso, ma nonostante la cena e la notte di riposo, tutta la fame, la tensione e la stanchezza che aveva accumulato nei giorni precedenti sembravano essersi intensificate, invece che attenuate, al punto che persino restare in piedi e vigile le richiedeva un enorme sforzo di concentrazione e volontà.

Avrebbe voluto coricarsi di nuovo e dormire, dormire, dormire per tutta la vita, ma purtroppo non era possibile: doveva tornare a Wygol da Daniela, Irina, padre Nikolaj, Jacob e tutti gli altri. 

Oramai doveva mancare da casa da più di una settimana, invece dei pochi giorni che aveva previsto, e il solo pensiero di quanto dovessero essere in ansia per lei gli abitanti del villaggio la avviliva profondamente. 

Inoltre era preoccupata per Shanoa, per quanto assurdo potesse suonare: la giovane era una guerriera portentosa, intelligente e tenace, sicuramente più che in grado di cavarsela da sola in ogni situazione.

Eppure Monica sentiva che qualcosa non andava, che la ragazza dissumulava un qualche genere di problema, e desiderava con tutto il cuore poterla aiutare. 

La guerriera però non era tipo da lasciarsi andare a confessioni a cuore aperto o richieste di aiuto, quindi il lungo viaggio di ritorno era tutto il tempo che Monica aveva per individuare la causa del male della giovane o, in alternativa, trovare il modo di farla fermare al villaggio per qualche tempo.

La sarta sospirò lievemente e si concentrò sulla ricca colazione che Shanoa aveva velocemente materializzato dalla sua bisaccia, soppesando mentalmente varie ipotesi e strategie. 

La guerriera notò il suo insolito silenzio, ma lo accolse con gratitudine: era ancora troppo provata dalla difficile nottata appena trascorsa. 

Inoltre era sempre preferibile muoversi in silenzio, quando si percorrevano le infestate strade della regione transilvanica. 

La colazione fu ben presto terminata, gli avanzi riposti e le tracce del loro passaggio cancellate.

Sempre in silenzio, le due giovani percorsero tranquillamente gli ambienti della casa fino a raggiungere il malandato stanzone d’ingresso, dominato da ampie intelaiature di quelle che un tempo dovevano essere finestre.

Solo allora la guerriera rallentò la sua marcia: intimando a Monica di fermarsi con un cenno, si avvicinò con fare circospetto ad uno dei finestroni badando bene di non venire scorta dall’esterno, e, dopo aver equipaggiato un glifo spada, osservò a lungo fuori, cercando movimenti o tracce che indicassero la presenza di mostri, demoni o semplici briganti.

Dopo alcuni minuti, finalmente Shanoa poté dirsi soddisfatta e, abbassata la lama, fece alla sarta cenno di seguirla fuori.

La mattina era limpida e tersa, con un luminoso sole invernale che faceva scintillare la generosa spruzzata di neve caduta in quei giorni, rendendola abbacinate. 

Riparandosi appena gli occhi col dorso della mano, la guerriera si guardò attorno per circa una frazione di secondo e poi iniziò a marciare a passo sostenuto verso Sud Ovest. 

Monica la seguiva, meditabonda, insensibile persino a quello che, senza ombra di dubbio, era il suo periodo dell’anno preferito, l’inizio inverno, quando il freddo non era ancora così mortalmente intenso e la neve conservava ancora gran parte del suo fascino magico.

Si stava scervellando sul problema, ma non riusciva proprio a farsi venire in mente una soluzione valida. In cerca di spunti, sollevò il capo ed osservò a lungo la ragazza che camminava davanti a lei, aprendole la strada: la guerriera avanzava con passo sicuro, rapido ed elastico, la schiena perfettamente diritta e le braccia rigide lungo i fianchi.

Alzava ed abbassava continuamente il viso,  in modo da monitorare i dintorni e seguire contemporaneamente il sentiero, ma la sarta era certa di riuscire ad indovinare l’espressione sul volto dell’altra anche senza bisogno di vederla: vuota, distante, trasognata.

Cosa poteva aver lasciato un segno simile nell’animo di una ragazza tanto caparbia e forte?

Monica non ne aveva idea, ma era più che mai determinata a scoprirlo: non avrebbe lasciato Shanoa sola nella sua disperazione, a sfogarsi combattendo follemente ancora, ancora ed ancora, fino a cadere uccisa. 

Doveva trovare il modo, ma come fare?

Shanoa teneva gli occhi perennemente aperti da ore ed ore, ignorando il bruciore e le lacrime causate dal riflesso della neve.

Sapeva la strada a menadito, ma non osava permettere a nessun altro pensiero, che non fossero le indicazioni e la sicurezza di Monica, di farsi largo nella sua mente.

Non la scala oscura, non il rumore del glifo falce, non al fatto che, una volta lasciata la sarta al sempre più vicino villaggio di Wygol, resistere a quei ricordi sarebbe stato quasi impossibile, visto che il solo scopo della sua vita sarebbe stato nobilitare in qualche modo la memoria di Albus.

La guerriera scosse seccamente il capo, liberando i capelli neri da qualche fiocco di neve: ci avrebbe pensato dopo. 

Avrebbe potuto raccontare la sua storia in qualche taverna, o magari ad un giornalista come Marcel. O forse… 

La lama le penetrò profondamente nel fianco destro, trapassando facilmente lo spesso mantello di lana ed arrivando a mordere la robusta corazza di cuoio e il tessuto semplice e resistente dell’abito blu. 

L’impatto del fendente e l’effetto sorpresa lasciarono la guerriera stupefatta e boccheggiante, mentre cadeva nella neve fresca e la fredda e grigia apatia in cui era caduta quella mattina veniva momentaneamente infranta e colorata di rosso sangue. 

“Shanoa!” Monica si slanciò verso la compagna, ancora incredula per ciò che aveva visto: dal nulla era improvvisamente comparso un mostro grottesco, simile al mezzo busto di una donna completamente putrefatto, che aveva infilzato la guerriera con una sorta di falce e poi era nuovamente sparito, ridendo sguaiatamente. 

“Monica, no!” Urlò la guerriera, scattando e portando la sartina, ancora totalmente sbalordita, dietro il proprio corpo nel momento esatto in cui il demone ricompariva e sforbiciava l’aria nel punto in cui fino a pochi secondi prima si trovava la giovane. 

L’essere emise un verso di disappunto e veleggiò verso di loro, ma Shanoa non si fece cogliere impreparata una seconda volta. 

“Allontanati da me, ma rimani dove posso vederti.” Sussurrò alla sarta, prima di lanciarsi all’attacco, caricando sul braccio destro un glifo Melio Macir, dall’aspetto di una grossa e letale mazza ferrata.

Nonostante il peso dell’arma, l’attacco partì rapido e sicuro, ma il nemico si spostò appena e così il colpo, invece di centrarlo in pieno petto, si abbatté su una delle sue braccia armate, strappandogliela di netto dal corpo. 

Shanoa sibilò un’imprecazione tra i denti e balzò all’indietro per evitare la furia del mostro, che prese ad attaccarla con violenza triplicata, volteggiando qua e là e smaterializzandosi senza sosta, cercando di coglierla nuovamente di sorpresa. 

La guerriera saltava e schivava gli attacchi con relativa facilità, ma lo sforzo per tenere sempre sott’occhio la compagna e l’impeto furibondo della creatura non solo le impedivano di contrattaccare, ma la stavano anche costringendo ad arretrare verso gli alberi del bosco che stavano costeggiando, con il chiaro intento di chiuderla in trappola. 

“Sta’ giù!” L’urlo di avvertimento rovinò parzialmente l’effetto sorpresa, ma per il resto il piano di Monica funzionò egregiamente: Shanoa si scostò di qualche centimetro e così la falce colpì solamente il demone, distogliendo momentaneamente la sua attenzione dalla guerriera, che approfittò immediatamente del vantaggio per rigirare contro l’avversaria il suo stesso stratagemma. 

Un po’ bersagliandola con sfere di fuoco incantato ed un po’ incalzandola con la mazza ferrata, la ragazza spinse la creatura contro una folta macchia di alberi bitorzoluti e cominciò a colpirla forsennatamente, non dando importanza allo strano pulsare dei disegni incantati sulle sue braccia. 

L’arma ed il fuoco colpirono in pieno il petto del nemico e poi piovvero inarrestabili sul braccio superstite, sul cranio, nell’incavo tra collo e spalla, sul viso. 

Nulla di tutto ciò, però, parve anche solo minimamente in grado di abbattere il demone che, anzi, si stava velocemente riprendendo dallo stordimento e cominciava a rispondere vigorosamente agli assalti.

Snervata ed accecata dalla rabbia e dalla frustrazione, Shanoa abbandonò ogni tattica e prudenza, slanciandosi ferocemente nello scontro con violenza. 

Le sue braccia mulinavano colpi potenti e precisi, dalle sue dita scorrevano come fuochi artificiali i glifi magici più disparati e complessi, ma nulla di tutto questo sembrava in grado di fermare la sua avversaria. 

E, nella concitazione dello scontro, la guerriera non si rese conto del fatto che le maniche del suo vestito blu iniziavano a bruciare.

Qualcosa non andava.

Monica era praticamente sicura che, dopo il suo intervento, Shanoa avrebbe concluso lo scontro in un batter d’occhio e invece, per quanto gravemente ferito, il demone continuava ad attaccare senza mostrare il minimo segno di cedimento.

Per di più, la sua compagna sembrava aver perso totalmente la calma e la sarta dubitava che, in quelle condizioni, sarebbe riuscita a concentrarsi abbastanza da cercare di analizzare la situazione.

Ci voleva un diversivo, qualcosa che riuscisse a spostare nuovamente su di sé l’attenzione di quella creatura e che permettesse a Shanoa di riprendere il suo rigido autocontrollo. 

La sarta si guardò attorno febbrilmente, cercando invano una grossa pietra o qualcosa di simile, ed improvvisamente la sua attenzione venne attirata dalla falce demoniaca che aveva brandito pochi istanti prima: quando l’aveva imbracciata la prima volta non aveva avvertito nulla di particolare, ma ora l’arma riluceva e sibilava appena, come animata da una qualche misteriosa forma di energia, e aveva sciolto il cumulo di neve dentro il quale era precipitata durante la colluttazione. 

Senza esitare, Monica si slanciò verso l’oggetto e lo afferrò, ma l’arma demoniaca sembrò animarsi di vita propria ed iniziò a contorcersi tra le sue mani, cercando in ogni modo di attaccarla.

Un’intuizione si fece strada nella mente della giovane che, afferrata la falce nel punto che reputò più sicuro, prese a sbatterne e strisciarne violentemente la lama sul terreno gelato e contro gli alberi e le rocce, puntando a smussare e rovinare la lama con tutte le sue forze.

Il mostro fermò a metà un fendente e si slanciò violentemente verso sinistra, ululando e cercando disperatamente di divincolarsi.

Shanoa riuscì a mantenere l’equilibrio e la presa per un soffio e voltò il capo, cercando di capire il perché di tutta quell’agitazione. 

Quando vide Monica e intuì ciò che la giovane stava facendo, un grido di giubilo le salì alle labbra e si voltò per fronteggiare il nemico con nuovo vigore. 

In qualche misteriosa maniera, la sarta era riuscita a trovare il punto in cui il demone aveva nascosto la propria energia vitale e, avendo intuito che distruggerlo era l’unico modo per abbattere la creatura, si stava impegnando con tutte le sue forze in quello che, la guerriera lo sapeva bene, non sarebbe stato un compito per nulla facile. 

Shanoa avrebbe voluto poter aiutare la compagna ma ora che aveva visto il proprio trucco svelato e la sua sconfitta profilarsi imminente, la creatura era diventata ancora più difficile da trattenere. 

Tanto che, nonostante il dolore a braccia e schiena cominciasse a diventare davvero intenso, la guerriera si trovò praticamente costretta ad armare a piena potenza tutti e tre i suoi glifi. 

Fiamme, ghiaccio e scariche di energia si abbatterono sul mostro, circoscrivendolo, nonostante tutti i suoi sforzi e le sue urla, all’interno di un’invalicabile barriera magica. 

Ritta in piedi innanzi al cerchio magico, la giovane concentrava tutta se stessa nello sforzo di mantenere attivi i tre incantesimi elementali: si fece scivolare addosso la stanchezza, il dolore, la rabbia e la sensazione dell’abito che, per la consunzione dei glifi, le ardeva su braccia e schiena.

Chiuse gli occhi ed ignorò le urla della bestia, le imprecazioni di Monica, il rumore ritmato della lama del glifo falce sulla roccia. Nulla ebbe più importanza, finché non udì l’urlo trionfante della compagna, quello terrorizzato del demone e, infine, uno scoppio tremendo, improvviso ed inaspettato, che la fece barcollare.

Spalancò gli occhi. 

Monica era accasciata a terra, il volto coperto di sangue e l’impugnatura fumante della falce ancora fermamente stretta tra le mani. 

Terrorizzata, Shanoa si voltò per raggiungere la ragazza, ma proprio in quel momento i suoi glifi raggiunsero il loro limite e si squarciarono, strappandole un lungo grido di dolore. 

La ragazza piombò a faccia in giù nella neve, svenuta, col nome della compagna sulle labbra.

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