Junjou

di Vala
(/viewuser.php?uid=53013)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** romantica ***
Capitolo 2: *** egoist ***
Capitolo 3: *** terrorist ***



Capitolo 1
*** romantica ***


“Allora…questo va qui…quest’altro va nella mensola sopra…e questo…”.
Giornata tranquilla di ferie estive. Giornata di pace in solitudine. Giornata noiosa. E cosa c’è di meglio da fare in una giornata noiosa se non spolverare?
Aveva organizzato tutto con precisione di chirurgo. Non doveva fare nient’altro che avvicinarsi allo scaffale colmo di manga, riviste e libri. Doveva solo toccarli, prenderli in mano uno alla volta, posarli a terra in ordine, e rimetterli a posto esattamente com’erano. Nulla di più facile.
“…questo…questo…questo…”.
Misaki guardò la copertina del volumetto che aveva in mano e rabbrividì. Era l’ultima opera di Akikawa Yayoi. Aveva preso posto sullo scaffale meno di una settimana prima, ma era la prima volta che lui aveva avuto il coraggio di prenderla in mano. Tremante, l’indice sfiorò la carta della copertina per poi scendere a far frusciare i fogli candidi sul lato del libro. Era solo un libro, non doveva aver paura di una cosa così semplice. Eppure gli bastava leggere lo pseudonimo dell’autore per provare un sacro terrore che gli faceva battere i denti. Coraggio!
L’indice sempre più incerto giocherellò per qualche secondo con la copertina più spessa finché non si decise ad aprire a caso una delle prime pagine. I caratteri gli parvero bruciare gli occhi. Non avrebbe dovuto farlo.
Akihiko scostò con dolcezza una ciocca di capelli bagnata di sudore dagli occhi del suo amante che lo ringraziò con un sorriso stentato mentre cercava di contenere le emozioni nel suo corpo risvegliato, ora in trepidante attesa. Le mani si strinsero alla ricerca di conforto, di ulteriore contatto, e mentre Akihiko si lasciava andare dentro di lui, il sorriso di Misaki si allargò fino a scomparire, nascosto dalla spalla tremante del compagno.
“Misaki…non devi nasconderti mai più…penserò io a te…”.
Il grido di piacere salì spontaneo alle labbra di Misaki, troppo a lungo trattenuto.
“Ti amo…” sussurrò alla spalla ora più salda del compagno mentre vi premeva un bacio carico di desiderio, di fiducia.
Le mani di Akihiko gli carezzarono il volto segnato da dolci lacrime e le loro labbra si incontrarono nuovamente, una necessità che il ragazzo sentiva di non poter più celare, un’urgenza di essere amato che lo spaventava, una voglia che…
Le ginocchia di Misaki toccarono il pavimento pulito con un tonfo incredulo. Ce l’aveva fatta, aveva letto un intero brano. Ma gli era costata cara.
“Quel pervertito di Usagi, me la pagherà cara!!” l’urlo risuonò per tutta la casa deserta, senza risposta, e per un istante si sentì soddisfatto di non avere addosso lo sguardo oltre che le mani del padrone del lussuoso appartamento, con quel suo modo di fare che lo irritava tanto.
Il ragazzo richiuse il libro di scatto, non poteva lasciargli capire che lo aveva letto, non doveva permettere che si preparasse alla vendetta terribile che gli sarebbe piovuta addosso dal cielo, la punizione divina che finalmente avrebbe colto quell’idiota di Usagi. Furibondo, macchinando la sua atroce vendetta ai danni dell’autore, sbatté il volume in cima a tutti gli altri sul pavimento prima di riprendere il delicato lavoro di pulizia.
“Vedrai baka-Usagi, non avrai scampo!”.
Mentre la risata maligna riempiva la stanza, Misaki urtò la pila di libri porno in precario equilibrio facendola rovinare a terra. Nel disperato tentativo di non scivolare e cadere lui stesso, la sua mano si artigliò alla mensola dando un violento scossone alla libreria, facendo cadere alcuni libri a caso che sbatterono di malagrazia a terra mentre lui impacciato li guardava cadere con espressione costernata. La preparazione della vendetta avrebbe dovuto attendere ancora qualche tempo.
“Allora…questo andava…”.

“…sono a casa...” mormorò per la seconda volta. Nessuna risposta.
Usami Akihiko si lasciò andare sul suo divano accanto a Suzuki-san mentre con una mano si allentava la cravatta. Dov’era Misaki? Si guardò attorno ma non vide nulla che potesse fargli intuire la presenza del ragazzo con il quale divideva l’immenso attico lussuoso.
“Misaki!” chiamò, la voce roca per le sigarette o per l’astinenza da esse durante quel noioso colloquio alla casa editrice. Nessuna risposta.
Si alzò, pensieroso, per andare a controllare di persona, quando ecco che finalmente Misaki comparve in cima alle scale, un coltello affilato in mano. Aveva l’aria minacciosa con quello strumento di morte tra le dita serrate in una morsa d’acciaio, ma lui come al solito si barricò dietro la sua facciata da adulto attendendo, tranquillo, lasciandosi di nuovo cadere sul divano.
“Sono a casa!” esclamò togliendosi la giacca con un gesto deliberato, senza guardare il giovane che scendeva le scale.
“Bentornato!” rispose Misaki, un sorriso sulle labbra rosee, gli occhi che brillavano “Com’è andata la riunione? Preferisci lavarti? O vuoi prima mangiare?”.
Usami guardò il suo giovane coinquilino e scartò per una volta l’idea di stuzzicarlo con qualche frase buttata apparentemente a caso. Meglio non dire nulla sulla macchia di sugo che aveva sul grembiule in corrispondenza di una certa parte anatomica, meglio non sottolineare che aveva le labbra più colorate del solito, probabilmente perché se l’era scottate, meglio non abbracciarlo e lasciar vagare le mani sul suo corpo…anche perché aveva un coltello da macellaio in mano. Non dubitava affatto della sua capacità di sfilarglielo prima che potesse produrre danni seri, così come non credeva che Misaki sarebbe stato in grado di rivoltarglielo contro…non senza provocazione notevole.
“È già tardi, mangiamo…al bagno ci pensiamo dopo…” si limitò a dire con quella sua voce quasi sospirata che fece correre un brivido freddo lungo la schiena del cuoco, al quale non era sfuggito quel plurale.
Misaki si accostò al piano cucina ove posò con noncuranza il coltello affilato. Il suo piano stava funzionando, Usagi non sospettava nulla. Con un sorriso maligno diede un’ultima mescolata alla zuppa ristretta che aveva preparato per cena, poi con l’ausilio di un mestolo apposito la versò nei piatti, in parti uguali. Sarebbe stata dura, ma avrebbe vinto quella sfida. Il riso nelle ciotole era già disposto, così anche la verdura. Perfetto.
Portò il tutto in tavola, si sedette e giunse le mani nella solita formula di ringraziamento, come fece immediatamente anche il padrone di casa.
“Itadakimasu!”. [n.a. formula giapponese che precede i pasti, non sapendo come tradurla correttamente in italiano, preferisco lasciarla “originale”]
“Itadakimasu…!” rispose Misaki, e le sue dita strinsero con più forza le bacchette di legno mentre aspettava spiando da sotto le ciglia i movimenti dell’uomo che gli sedeva di fronte.
Le bacchette di Usami si abbassarono, raccolsero del riso, e lo portarono alle labbra. Poi si abbassarono ancora, raccolsero un pezzo di carne della zuppa, e lo portarono alle labbra. Poi ancora al piatto delle verdure, e di nuovo al riso. Azioni meccaniche che si compivano ogni giorno, nulla di anormale. Misaki non resistette all’impulso, doveva verificare.
“Ehm…ecco…Usagi-san…” mormorò confusamente mettendo giù le bacchette, non aveva ancora toccato cibo.
“mmm?” rispose Usagi, altro riso misto a carne in bocca, masticava lentamente, senza fretta. Il suo sguardo pareva stupito dall’interruzione.
“…insomma…non è…troppo saporito…?” tentò di accennare casualmente Misaki guardando i piatti come se fossero pronti a saltargli addosso da un momento all’altro.
“Ah…” replicò Usami guardandolo fisso e sorridendo affabile mentre sceglieva un altro pezzo di carne con le bacchette “non c’è problema. Quando ero bambino, avevo un cuoco personale che non mi faceva mai mancare nulla e preparava alla perfezione ogni singolo capriccio che mi venisse in mente, per cui…provare la vita di una famiglia normale…gustare un banale piccolo errore nelle dosi del sale…mi mette di buon umore!”.
Misaki per poco non svenne. Un banale piccolo errore…eppure era certo di aver messo doppia dose di sale in ogni singola pietanza. Incredulo, afferrò le bacchette, prese un pezzo di carne come stava facendo il commensale, e se lo ficcò in bocca. Se non lo sputò fu solo perché vide lo sguardo trasognato di Usami che lo guardava. Normale vita famigliare. Gli errori capitavano nelle normali famiglie, quelle che non avevano un cuoco. Mandò giù il boccone amaro in tutti i sensi. Aveva fallito la prima prova.
Terminare il pasto fu per lui un vero incubo. Bevve in continuazione mentre il suo padrone di casa si limitò a qualche bicchiere d’acqua come sempre. Probabilmente si stava divertendo un mondo ad assaporare “gli errori della normale vita famigliare”. Avrebbe dovuto immaginarlo. Finalmente, la cena finì e Misaki posò sulla ciotola del riso le bacchette. Ce l’aveva fatta, aveva finito tutto. Dall’altro lato del tavolo, Usami lo guardava sorridendo pensieroso. Si sentiva la bocca e la gola in fiamme. Accidenti!
Il ragazzo si alzò e raccolse le ciotole da lavare, come faceva sempre dopo i pasti. Era suo compito, i lavori domestici erano l’unico modo che aveva per ripagare l’ospitalità non potendo contribuire all’affitto…non che Usagi glielo permettesse. Che anche gli approcci fisici fossero compresi nel pagamento dell’alloggio? Il suo volto divenne di un rosso acceso mentre l’acqua scorreva sulle stoviglie sporche. Il bersaglio della sua vendetta era tranquillamente andato a cambiarsi. Scattava la seconda parte della sua vendetta. Ora si sarebbe divertito. Ed il sorrisino maligno riaffiorò sul suo viso mentre strofinava con lena, la schiuma che gli ammorbidiva la pelle. Tutto preso dalla pregustazione, non si accorse dei passi che scendevano le scale, né dell’avvicinarsi dell’oggetto dei suoi pensieri.
Usami non poteva resistere ad una tentazione del genere, Misaki stava beatamente lavando le stoviglie, immerso nel suo mondo fantastico, troppo bello, troppo facile. Le sue braccia si allargarono, le dita si fletterono nell’impazienza, e con uno scatto da predatore portò a termine il movimento abbracciando stretto il ragazzo che emise uno squittio di sorpresa e protesta voltando la testa nella sua direzione. Troppo facile. Le labbra si incontrarono, sapore salato e dolce allo stesso tempo, credette di perdersi nelle sensazioni risvegliate dal contatto. Era da tempo che non gli faceva quello scherzo, ma anche se glielo avesse fatto solo cinque minuti prima, non ne era mai sazio. Per gioco, gli forzò le labbra senza insinuare all’interno della cavità orale altrui la lingua che se ne stesse nel suo covo come una serpe pronta a colpire, letale se necessario, una minaccia che aleggiava nell’aria. Misaki se ne accorse e si irrigidì ulteriormente mentre lasciava cadere nel lavello la ciotola che aveva in mano, un 'tunk' secco che segnalò una probabile rottura, magari aveva cozzato contro qualcos’altro. Al momento non aveva importanza mentre il ragazzo cercava finalmente di ribellarsi a quell’abbraccio, a quella bocca che lo stava lentamente e inesorabilmente catturando in una prigione che lui ben conosceva. Riuscì a staccarsi a fatica continuando a far leva con entrambe le mani bagnate contro la camicia pulita dell’uomo.
“Usagi-san! Basta! Fermo!” urlò infuriato, la voce più acuta di un paio di toni per l’irritazione, le mani che slittavano sulla stoffa stirata di fresco senza trovare un appiglio, un modo per spingere via l’invasore.
Le labbra ripresero a lottare, feroci, instancabili, e più Misaki cercava di scappare, più l’altro lo rincorreva nel tentativo di afferrarlo, di coinvolgerlo nel gioco. Ma ecco, le mani disperate trovarono un appiglio nel colletto inamidato, lo tirarono, lo torsero, fino a convincere il padrone della camicia che piuttosto che morire strozzati era preferibile lasciare spazio e aria. Le braccia si aprirono ed il cerchio pericoloso si spezzò, Misaki fu libero di allontanarsi di qualche passo. L’acqua scorreva ancora libera nel lavello, nessuno se ne curava.
“Misaki…” sussurrò Usami con la sua voce bassa, seducente, e Misaki si tappò le orecchie con i palmi delle mani per non sentire. Non doveva sentire. Quando si fu calmato a sufficienza per formulare una frase di senso compiuto, solo allora staccò le mani dal capo ed indicò la camicia pulita che Usami aveva indossato poco prima.
“Usagi-san…ecco…la camicia…” balbettò, più che formulare mentre tornava sicuro al lavello a finire il suo dovere domestico “mentre la stiravo è accaduto che il telefono ha cominciato a suonare, io sono corso a rispondere ed era niichan che mi chiamava per il solito controllo…ma ecco…ha voluto raccontarmi a tutti i costi di una gita fuoriporta che ha fatto con la sua giovane moglie e quindi…ho perso tempo a parlare, il ferro intanto si è scaldato troppo…hanno mangiato bene, avevano preparato una sorta di picnic all’aria aperta, con gli uccelli…gli alberi…le formiche…Usagi, dove stai toccando!?”.
Le mani di Usami si erano spinte a sfiorare la schiena al lavoro del ragazzo che si muoveva di continuo seguendo il ritmo del risciacquo, un’altra tentazione irresistibile. Misaki gli soffiò contro, e lui suo malgrado allontanò le mani vogliose per spendere un po’ di tempo in parole.
“Non importa, non è affatto un problema…anzi!” gli occhi di Usami brillavano di pura estasi mentre si sfiorava, con le stesse mani che poco prima avevano toccato la maglietta di Misaki sperando non ci fosse, l’evidente macchia di bruciato dalla forma inequivocabile che spiccava nitida contro il bianco candido della camicia “fin da bambino ho sempre avuto dei domestici personali che non mi facevano mai mancare vestiti puliti e stirati perfettamente, non mi era mai capitata una cosa simile…è così…normale!”.
La fronte di Misaki sbatté con violenza contro gli sportelli della cucina sovrastanti il lavello. Doveva immaginare anche questo. E dire che lui si era tanto sentito in colpa, che aveva guardato con la morte nel cuore quella camicia rovinarsi, che aveva scelto ad occhio la più economica con l’intenzione di ripagarla una volta ottenuta la sua vendetta. Invece, tutto per niente. Tanta pena per rendere quel maniaco ancora più contento. Sospirò teatralmente asciugandosi le mani sul grembiule. Oramai era fatta. Mancava solo l’ultima, poi sarebbe potuto andare a dormire e dimenticare quella che si prospettava come un’orrenda giornata persa a pianificare una vendetta inesistente.
Quando Misaki voltò il capo, non vide più Usami. Si era di nuovo allontanato in silenzio. Si tolse il grembiule, lo ripiegò ordinatamente e lo ripose al suo posto. Ultimo atto. Non doveva sbagliare ora.
“Usagi-san!” chiamò, la voce incerta “preparo il bagno!”.
Un borbottio dal divano gli fece capire che l’uomo era beatamente sdraiato su Suzuki-san, lo abbracciava teneramente. Magari si era addormentato e pensava che l’orso di pezza fosse lui. Il ragazzo si intenerì e per un istante pensò di cancellare l’ultima terribile vendetta…per un istante. Il tempo necessario ad Usami per aprire un occhio e fissarlo con desiderio. Meno di un secondo. Misaki salì le scale come fosse inseguito da un demonio.
Spalancò la porta del bagno ed entrò. Tutto pronto. Aprì del tutto i rubinetti dell’acqua fredda e attese paziente che scorresse a bagnare la vasca e riempirla della giusta quantità. Non un filo di vapore si levava, era naturale dopotutto, ma allo stesso tempo talmente strano da lasciarlo interdetto. Anche se freddo, poteva considerarsi bagno? In quella varcò la soglia Usami, Suzuki-san sottobraccio. L’enorme peluche venne posato sopra l’armadietto ad attendere mentre il padrone cominciava a spogliarsi. Misaki quando si voltò se lo trovò davanti, a petto nudo, e per poco non urlò di nuovo.
“…ecco…Usagi-san…” mormorò invece guardando ovunque tranne che l’uomo davanti a lui.
“mmm?” rispose l’adulto continuando a levarsi gli indumenti, uno ad uno, la camicia che scivolava dalle spalle con un movimento sensuale apparentemente casuale.
“…ecco…vediamo…mi spiace ma…mi sono dimenticato che…non c’è…l’acqua calda…ecco…gli operai…lavori in corso…le caldaie…quindi…mi spiace ma…”.
Durante tutto il borbottio confuso Misaki non aveva guardato Usami una sola volta, ma lui aveva oramai finito di spogliarsi e si era diretto con tutta tranquillità verso la doccia ai piedi della grande vasca da bagno colma d’acqua fredda. Cosa volesse fare, il ragazzo non ne aveva la minima idea, ma era troppo imbarazzato per guardare o chiedere, mentre pregustava la seccatura che l’assenza d’acqua calda poteva essere per il principe dei pervertiti. Peccato che i suoni che uscirono dalle labbra di Usami quando la pelle entrò in contatto con l’acqua gelida della doccia, non furono esattamente quelli che si aspettava.
“Sai, Misaki…” parlò con quella sua dannata voce “non è affatto un problema l’acqua fredda, anzi! …”.
“…da…da piccolo avevi acqua calda quando volevi…quindi adesso questo inconveniente fa…fa molto famiglia?” finì per lui Misaki serrando gli occhi e coprendoli con le mani per maggior sicurezza nonostante desse la schiena all’uomo nudo che si apprestava ad entrare nella vasca.
“…no.” Replicò tranquillamente Usami mentre si avvicinava all’ignaro ragazzo “Sai Misaki, l’acqua fredda tonifica il corpo, riattiva la circolazione e quindi dà vigore…”.
“Ah…” si limitò a buttare fuori il ragazzo con gli occhi ostinatamente chiusi mentre non poteva vedere le forti braccia che si richiudevano nuovamente su di lui.
“Sai Misaki…” parlò ancora Usami mentre voltava verso di sé il ragazzo, rosso in volto ma con gli occhi aperti e lo sguardo arrendevole “forse non sono poi così stanco…”.
Fu un bene che Suzuki-san fosse al sicuro dagli spruzzi d’acqua.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** egoist ***


[Scusate l’attesa, ma la realizzazione della seconda parte dedicata alla coppia egoist (Hiro-san, ti addorrrrro!) è stata più difficoltosa del previsto. Sperando di aver fatto comunque un lavoro decente e di non avervi deluso…Buona lettura!]

I suoi passi risuonavano nella strada affollata di gente come se fosse solo. Le vetrine illuminavano i suoi capelli castani chiari colorandoli di riflessi al neon mentre procedeva con calma. Era ampiamente in anticipo, come sempre del resto. L’ansia lo attanagliava quando doveva vederlo, non arrivava mai tardi, sempre con mezz’ora buona di anticipo. Del resto, come si ripeteva sempre, lui detestava chi non era puntuale, perder tempo era una seccatura inutile.
I suoi passi rallentarono fino a fermarsi al segnale rosso del semaforo. Era quasi arrivato. Guardò nervoso l’orologio da polso ed il quadrante illuminato dal neon viola della vetrina alla sua sinistra: le sei e mezza passate da quattro minuti. Aveva tutto il tempo. Eppure non era tranquillo. Probabile che quello stupido di Nowaki fosse già ad aspettarlo sapendo che arrivava prima. A che serviva darsi un’ora se poi non la si rispettava mai?
Come sempre la sua fronte si corrugò per l’irritazione. Gli succedeva molto spesso quando pensava a lui, lo amava eppure non poteva fare a meno di imbestialirsi ogni volta che gli veniva in mente il suo viso. Gettò uno sguardo distratto alla vetrina alla sua sinistra, il viola lampeggiante gli disturbò gli occhi mentre guardava i completi esposti. I manichini erano della sua altezza, misura giapponese standard. Giusto, lui non era basso, era Nowaki che era troppo alto. Nell’ultimo anno era cresciuto ancora. Odiava sentirsi un tappo, il suo orgoglio ribolliva ogni volta che lo vedeva abbassarsi per baciarlo.
“Maledetto gigante!!” bofonchiò mentre continuava a camminare sotto il rassicurante neon verde del semaforo pedonale. L’avrebbe di nuovo guardato dall’alto in basso, gli avrebbe sorriso con quel suo fare irritante e gli avrebbe detto che era carino. Lui odiava quando gli diceva che era carino. Accidenti a Nowaki, da quando lo aveva conosciuto non si riconosceva più! Ma adesso basta, era ora di finirla, lui era assistente di un professore universitario, non era carino!
Gli venne voglia di sollevare di nuovo il polso per controllare l’ora, ma non ce n’era bisogno: davanti ai suoi occhi apparve l’alto palo dell’orologio sotto il quale si davano abitualmente appuntamento, davanti al loro solito ristorante per famiglie. E accanto al palo, inequivocabile, l’alta figura del suo ragazzo attirava il suo sguardo come una calamita. Se fosse cresciuto ogni anno come l’ultimo, ben presto avrebbe potuto raggiungere il grande orologio circolare. Sghignazzò all’idea…per poi irritarsi ancora mentre le sopracciglia si toccavano inesorabilmente. Lo sapeva, era di nuovo in anticipo, e stavolta era perfino arrivato prima di lui!
Improvvisamente, vide le spalle dell’alto ragazzo dai capelli scuri irrigidirsi ed il suo capo voltarsi come indirizzato dall’ago di una bussola. Aveva avvertito la sua presenza. Lo faceva sempre. Non riusciva mai a sorprenderlo alle spalle, in qualche modo sapeva quando lui c’era. A volte aveva il sospetto che lo fiutasse. Ed ecco, il sorriso risplendente di Nowaki rilassò il suo corpo e la sua mente sgombrandola da ogni pensiero. Era lì per lui. Solo per lui. Quel tifone non voleva altro dalla vita che stargli accanto. Che idiota.
“Hiro-san!!” lo salutò Nowaki correndogli incontro, le lunghe gambe che si flettevano per raggiungerlo il prima possibile, per allungare anche di poche manciate di secondi il loro tempo insieme.
“Nowaki! Sta’ attento a come ti muovi, stupido gigante!!” lo riprese Hiroki avendo notato che nella fretta il suo ragazzo aveva quasi urtato una coppia di ragazze che parlavano senza guardare davanti a loro.
Le ragazze in questione si voltarono a guardare l’alta sagoma di Nowaki che sfrecciava per poi arrestarsi di colpo davanti al più basso e minuto uomo dai lineamenti delicati. Le due giovani si portarono le mani alla bocca per commentare tra di loro qualcosa, ma anche senza far leggere il labiale, i loro occhi la dicevano lunga mentre esploravano la muscolatura della schiena di Nowaki, vagamente curva verso il compagno in un modo del tutto automatico, non ricercato. Hiroki si accorse degli sguardi e si irritò ulteriormente.
“Avevamo detto alle sette! Che ci fai già qui?!” brontolò pungolando Nowaki con l’indice sugli addominali.
“Sapevo che Hiro-san arriva sempre con largo anticipo e non volevo farlo aspettare!” ribatté allegro l’altro scompigliandogli appena i capelli. Ecco, ora l’avrebbe detto. Stava per dirlo. Hiroki affondò ulteriormente l’indice per impedirgli di dire quella parola irritante.
“Andiamo!” comandò seccato, e Nowaki lo seguì come un cagnolino, con il suo solito sorriso.
Accidenti a lui, era davvero bello. E rassicurante. Anche se si irritava sempre quando lo pensava, nel momento in cui lo vedeva si tranquillizzava e tutte le preoccupazioni diventavano nulla. Era un idiota peggiore del ragazzo più giovane di quattro anni.
“Cos’hai fatto oggi all’università?” domandò il più naturalmente possibile, per non lasciare che il silenzio si impossessasse della sua mente ancora a lungo.
Nowaki sembrò sorpreso, quasi deluso dalla domanda in un primo momento. Come se non se l’aspettasse. Eppure si chiedevano sempre cosa avevano fatto durante le rispettive giornate nei loro appuntamenti. Era una sorta di rituale ormai: si trovavano alla stessa ora davanti allo stesso ristorante per famiglie, mangiavano quasi sempre le stesse cose, parlavano di cosa avevano fatto, e poi tornavano a casa, verso la stazione. Per la strada più lunga.
“Oggi ero in laboratorio, per il tirocinio…” cominciò Nowaki a parlare. Parlava sempre lui finché non arrivavano al ristorante. Dentro a tavola toccava a Hiroki rispondere, a monosillabi solitamente.
“Ah sì, era interessante?” commentò Hiroki ricordando vagamente qualcosa, probabilmente gli aveva accennato che quel giorno sarebbe stato in laboratorio. Beh, non poteva ricordarsi tutto.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo allarmato che gli aveva lanciato alla sua domanda. Nowaki continuava a parlare come se nulla fosse, ma quello sguardo era ancora presente nella mente di Hiroki, lo tormentava. Davvero gli aveva già parlato di quel tirocinio? E se gliene aveva parlato, perché non vi aveva prestato attenzione? Non ricordava nulla in particolare di quel dato, ma sentiva che avrebbe dovuto ricordarsene.
I dubbi e le incertezze lo abbandonarono ben presto quando arrivarono al loro tavolo. Come al solito, presero posto ed immediatamente la cameriera si fece avanti per le ordinazioni. Era carina, giovane e simpatica. Faceva spesso battute sull’altezza di Nowaki e salutava lui come “prof”. Non ricordava di averla mai avuta in classe tuttavia. Anche quella sera non fece eccezioni.
“Buonasera e grazie di essere tornati! Cosa porto oggi al prof?” domandò con la sua voce squillante, il taccuino per gli appunti già pronto, la penna in sospeso sulla carta linda.
Nowaki le sorrise e le orecchie della ragazza divennero di un rosso acceso. Gli piaceva. Certo, come poteva non piacerle? In fondo lui era sempre gentile, rispondeva alle sue battute, la guardava perfino a differenza degli altri ospiti del locale che difficilmente rivolgevano più di uno sguardo distratto al personale. E le sopracciglia di Hiroki si riavvicinarono pericolosamente.
“Il solito, grazie!” rispose secco giocherellando con le cinghie della cartelletta che portava sempre con sé, per estrarre il pc. Non viveva senza quella tecnologia a portata di mano. Nowaki sorrise ancora alla cameriera, ed il pc sbatté sul tavolo.
“Anche per me, grazie Yuri-san!” confermò come sempre Nowaki senza smettere di sorridere. Le dita di Hiroki presero a pigiare furiosamente sui tasti e continuarono anche mentre la ragazza si allontanava saltellando quasi. Cominciava a pensare che forse sarebbe stato meglio cambiare ristorante ogni tanto, se non altro per non vedere Yuri-san scodinzolare.
“Hiro-san!” lo stava chiamando. Smise di battere a macchina per alzare appena lo sguardo verso il volto ancora sorridente di Nowaki. Accidenti a lui, gli stava sorridendo come faceva con la cameriera?!
“Nowaki…?” rispose come sempre, oramai le battute anche se non segnate, regolari uscivano dalle sue labbra.
“Hiro-san, cosa ha fatto oggi?”.
“Nulla di particolare, continuo a lavorare per quello schiavista del prof Miyagi…” mormorò Hiroki mentre le dita riprendevano il loro lavoro silenzioso a parte quel ticchettio dato dai tasti in movimento.
“Ah, Hiro-san dà sempre il meglio a lavoro! Non ci si può aspettare niente di meno da Hiro-san!” commentò Nowaki.
Lo stava prendendo in giro? Hiroki alzò lo sguardo per controllare, ma il compagno aveva sempre la stessa espressione felice quando era con lui, e sorrideva ora apertamente con quel suo modo di fare incoraggiante. No, non aveva mai sorriso così alla cameriera. Uno a zero per lui, ben ti sta Yuri-san.
La voce di Nowaki riprese ma la sua mente ormai era già concentrata su altro. Non poteva fare a meno di concentrarsi per scrivere, o avrebbe rischiato di commettere un errore dietro l’altro, e questo non poteva permetterselo se voleva diventare professore associato il prima possibile. Doveva sul serio dare il meglio di sé. Era contento di avere al suo fianco qualcosa come Nowaki che lo sosteneva e consigliava, che gli dava il suo appoggio incondizionato, che gioiva con lui di ogni piccolo traguardo facendolo sembrare un trionfo anche quando lui minimizzava. Era modesto, gli diceva. No, non si sentiva modesto. Semplicemente non gli sembrava di stare facendo abbastanza.
“Ah! Ho sbagliato!!” brontolò mentre rileggendo vedeva l’errore come una macchia sullo schermo colmo di caratteri.
Le bibite erano arrivate. Staccò una mano dal pc, afferrò il suo bicchiere e lo scontrò brevemente con quello del suo ragazzo prima di prendere un lungo sorso del liquido freddo che li rischiarò le idee. Doveva correggere quell’errore, non ammetteva sviste simili. Non era da lui sbagliare in modo così madornale. L’indice premette canc con sicurezza e fatalità cancellando la riga sbagliata. Nowaki lo guardava lavorare in silenzio, assorto e tranquillo. Ma anche se avesse parlato non avrebbe fatto differenza. Quando lavorava non esisteva nessuno a parte il suo lavoro ovviamente.
“Ecco qui! Buon appetito!” era di nuovo Yuri-san. Era arrivato il cibo. Doveva smettere di scrivere almeno mentre mangiavano…se non altro per i primi cinque minuti. Ma quando alzò lo sguardo verso il piatto pieno, vide di nuovo quel sorriso sul volto di Nowaki e la reazione della ragazza, e si imbestialì. Riprese a pigiare sui tasti con rinnovato vigore. Il suo ragazzo non sembrava essersene accorto.
“Itadakimasu!”.
“I-ta-da-ki-ma-su…” scandì Hiroki lentamente per non scriverlo sul suo lavoro.
Nowaki lo guardò perplesso ma fece finta di nulla e iniziò a mangiare. Non valeva la pena arrabbiarsi con Hiro-san per la sua freddezza o per quei suoi scatti strani, era fatto così ed era quella la persona che amava con tutto se stesso. Di nuovo il sorriso gli affiorò alle labbra, ma stavolta Hiroki non lo vide, impegnato com’era a battere a macchina il suo lavoro. A volte Nowaki aveva l’impressione che se fosse sparito non se ne sarebbe reso conto se non alla fine del paragrafo.
La cena proseguì più o meno allo stesso modo abituale: Hiroki scriveva sul suo computer, Nowaki parlava senza sapere se era davvero ascoltato. La routine quotidiana che non pesava a nessuno dei due, ma non soddisfava appieno nessuno dei due. Forse il più soddisfatto in quel senso era Nowaki: a lui bastava passare più tempo possibile accanto al suo Hiro-san per essere felice.
“Grazie, tornate a trovarci!” li salutò Yuri mentre stringeva nervosa il suo grembiule.
Hiroki uscì in fretta dal locale e venne seguito a ruota da uno scodinzolante Nowaki. Quella ragazzina poteva provarci quanto voleva, lui era suo!
“Hiro-san! Oggi, mentre tornavo da…” Nowaki riprese la sua parlantina per non lasciare un silenzio imbarazzante tra loro. Era logico, non voleva metterlo a disagio. Per un secondo gli sorrise ed il volto dell’alto ragazzo si illuminò come il cielo sotto i fuochi d’artificio. E l’artefice di tutto era lui, si sentiva un po’ strano al pensiero.
“Ehi, guarda!”.
“Com’è alto…”.
“E che bello!!”.
“Dai, andiamo a chiedere…”.
Avevano passato un gruppo di ragazze. Ovviamente Nowaki non vi aveva fatto caso mentre continuava a parlare, ma Hiroki le aveva sentite benissimo e stava ribollendo. Ecco, lo sapeva! Non sarebbe dovuto uscire, non avrebbero dovuto fare quella strada! Gettò uno sguardo infuocato dietro di loro per vedere se quelle streghe li stavano seguendo. Sì, due di loro continuavano a venire dietro. E Nowaki faceva finta di nulla. Impossibile non notare quelle galline, starnazzavano in modo impressionante!
Nowaki attirava sempre gli sguardi, di tutti e soprattutto tutte. Era alto, bello e prestante. Qualunque ragazza l’avrebbe trovato attraente e probabilmente anche un sacco di ragazzi. Hiroki si scoprì a guardarsi in giro alla ricerca di possibili maschi che attentassero al suo ragazzo e vide altre persone voltarsi al passaggio del gigante che sorrideva beato continuando a parlare all’amico più basso e vecchio.
Ecco, lo aveva pensato di nuovo, lui era vecchio. In qualunque modo la rigirava, lui aveva quattro anni più di Nowaki, e non era una differenza da poco che si poteva appianare in un soffio. Erano differenti, lo sarebbero sempre stati. E la loro relazione era strana. In qualunque modo la rigirava, la loro relazione era davvero strana.
Il suo ragazzo smise di parlare fissandolo intensamente, preoccupato. Aveva notato, come sempre del resto, che qualcosa non andava. Era sempre così attento a lui…
“Hiro-san?”.
Hiroki non rispose, continuò a camminare come se nulla fosse, ma sul volto aveva ancora tracce di quell’amarezza che l’aveva attraversato prima. Quanto tempo ci avrebbe messo il suo alto amico a rendersi conto che poteva avere ben di meglio? Che lui era un peso? Che la loro era una relazione che non poteva durare a lungo?
Alzò lo sguardo e lesse negli occhi di Nowaki una preoccupazione sincera. Quanto a lungo avrebbe continuato ad amarlo? Aveva un carattere impossibile, prima o poi si sarebbe stancato di lui, del suo modo di fare, e avrebbe cercato altrove qualcuno più adatto da amare, qualcuno…ma il solo pensiero di Nowaki con un altro o con un’altra lo faceva star male. Accidenti a quel ragazzo, era colpa sua se la sua vita stava andando a rotoli!
“Hiro-san?” lo chiamava ancora e ancora, con tono sempre più allarmato. Basta, non ce la faceva più.
“Nowaki…” cominciò a parlare addolorato, senza sapere bene cosa dire, ma proprio in quella una risatina nervosa alle sue spalle lo fece voltare di scatto, intenzionato a mordere chiunque si fosse avvicinato al suo ragazzo. Si trovò davanti le due ragazze di prima. Erano carine, ben vestite e dall’aria innocente. Forse quella era l’occasione buona per lasciarlo andare, per permettergli di abbandonarlo e buttarselo alle spalle…
Stava già per voltarsi in modo da andarsene e lasciarlo da solo con quelle ragazze, quando la mano fresca e timida di una delle due gli sfiorò esitante la camicia.
“Mi scusi…” mormorò, la voce insicura la giovane donna che gli stava davanti, buttando fuori tutto il coraggio che aveva “…ma noi…ecco…è da qualche sera che la vediamo e…volevamo chiederle se possibile…il suo nome…per piacere…!”.
Le due ragazze si inchinarono fino a terra, in un atto di totale deferenza. E Hiroki restò allibito. Non puntavano Nowaki dunque? Ma…ma…lui era…vecchio e...il suo carattere…e…e…
“Scusate, ma Hiro-san è già impegnato!” parlò per lui Nowaki mentre sentiva una mano grande e calda afferrarlo per un braccio e trascinarlo via, via dalla strada principale, verso il percorso più lungo per la stazione, verso la loro solita routine.
“Ehi! Nowaki! Aspetta!!”.
Ma non sentiva ragioni, il suo alto gigante, continuava a trascinarlo come se nulla fosse, macinava metri e metri e lui con le gambe considerevolmente più corte faceva fatica a stargli dietro. Alternava passi veloci ad una vera e propria corsa nel tentativo di non venire trascinato via totalmente di peso. Finalmente, Nowaki si fermò e si voltò a fronteggiarlo. Niente sorriso per lui, solo un’espressione frustrata.
“Hiro-san!! Non lo accetto!!”.
“…eh?”.
I due si guardarono negli occhi per qualche minuto, infuriato e quasi spaventato Nowaki, perplesso e imbambolato Hiroki. Qualcosa non quadrava, perché era così arrabbiato? E perché quelle ragazze si erano rivolte a lui invece che al compagno? Ma soprattutto, perché sentiva strisciante una sensazione come di soddisfazione?
“Hiro-san! Fin da quando siamo usciti dal ristorante, eri strano! Da quando quelle ragazze ti seguivano! Se ti piacevano, perché non me l’hai detto, perché non…?”.
“Ohi, Nowaki! Guarda che…!” parlò incerto per calmarlo.
“Hiro-san! Non lo accetto!!” quasi urlò rabbioso il suo ragazzo afferrandolo per le spalle.
“Nowaki, ti dico che…!”.
“Hiro-san!!” gli occhi di Nowaki erano incredibilmente tristi, ed era tutta colpa sua. Hiroki si sentì morire per aver causato con il suo comportamento l’infelicità della persona a lui più cara.
“Nowaki! Pensavo-puntassero-te!!” sputò di colpo sovrastando la voce dell’alto gigante che gli lasciò andare le spalle doloranti per la stretta.
E adesso? Era terribilmente imbarazzato. La sensazione di soddisfazione provata perché lo avevano preferito nonostante gli anni e la scarsa altezza, svanita del tutto, aveva lasciato posto all’amarezza e al fastidio, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato…o lui fosse sbagliato. Non era capace di esternare quello che provava facilmente, ma ogni volta che Nowaki faceva quella faccia così triste e sapeva che era colpa sua, l’unico modo per fargliela passare era rassicurarlo. Rassicurare lui e rassicurare se stesso ripetendosi che stavano insieme, che andava tutto bene, che non poteva stare senza di lui…
“Nowaki!” riuscì a dire, rosso in volto ma alzando gli occhi a incontrare quelli spalancati del suo amore “Io pensavo che quelle ragazze seguissero te…e che se io mi fossi fatto da parte, se ti avessi lasciato andare…abbiamo quattro anni di differenza, tu ti stai impegnando così tanto per il tuo sogno e io non voglio essere un peso in nessun caso, quindi se vuoi…” spiegazione patetica, tentativo patetico, risultato per nulla patetico anche se scontato in un certo senso.
Il volto di Nowaki si abbassò rapido sul suo per posare un bacio sincero di affetto sulle sue labbra socchiuse, chiudendo la questione. No, non lo avrebbe lasciato per nessun motivo. No, non aveva alcuna intenzione di fargli pesare l’età. No, era lui l’idiota perché aveva pensato tutte quelle cose senza renderlo partecipe dei suoi dubbi.
Il volto di Hiroki era soffuso di un rossore piacevole mentre si abbandonava al petto forte del suo ragazzo, sentendo i loro cuori battere rapidi allo stesso ritmo e pian piano calmarsi man mano che la paura se ne andava, che l’imbarazzo svaniva lasciando il posto alla tenerezza. Nessuno in giro a testimoniare il loro diverbio, le loro insicurezze. Sarebbe stato un segreto che ben presto avrebbero cancellato.
“Hiro-san! È logico che quelle ragazze si siano avvicinate a Hiro-san, perché Hiro-san è davvero…carino!”.
Ecco, lo aveva detto.
“Nowaki…!!”.
Hiroki si staccò dal petto solido del suo ragazzo, fece un passo indietro, e mentre ancora il capo di Nowaki era a portata della sua altezza, la sua fronte scattò implacabile a colpirlo. Centro perfetto. Adesso la testa gli pulsava dolorosamente e di certo avrebbe avuto un bozzo una volta tornato a casa, ma lo stesso avrebbe avuto anche Nowaki che ora si massaggiava la fronte nel punto esatto in cui avevano cozzato. Stava già diventando di un bel rosso acceso, ma il proprietario della parte lesa sorrideva indulgente, felice. Tutto a posto. Se lui era felice, anche Hiroki lo era. Magari era burbero, scontroso, irritabile, insoddisfatto, distratto, egoista, testardo, incapace di un gesto romantico, ma se Nowaki era felice, a lui non serviva altro.
La grande mano di Nowaki si posò sulla sua testa a scompigliargli appena i capelli e le sopracciglia di Hiroki si ricongiunsero nel solito cipiglio a metà tra il seccato e l’imbarazzato.
“Andiamo, scemo!”.
“Sì, Hiro-san!!”.
E mentre il passo delle lunghe gambe di Nowaki si adattava al suo, la mano salì a raggiungere quella del compagno in cima alla sua testa per poterla stringere, per sentire il suo calore raggiungerlo ancora e sempre. Davvero, finché quella mano fosse rimasta alla sua portata, non voleva altro.

[Per aka_z (grazie per l’ottima recensione ^^)
Itadakimasu = è una frase fatta, che in effetti in italiano viene tradotta con “buon appetito”. Tuttavia il significato a mio parere non è comparabile, in quanto la trovo segnata sotto i verbi di “prendere” o “ricevere”. Provando a tradurre in italiano, suonerebbe malissimo, quindi meglio lasciarla “originale”.
Scusa per eventuali dubbi, si tratta di una mia opinione che ho trovato verificata anche in alcune traduzioni in inglese.]

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** terrorist ***


“Questo è destino”.
Non faceva che ripetere quelle parole che alle sue orecchie sembravano così…così…irritanti. Si passò una mano tra i capelli scuri e sospirò. Poi alzò gli occhi, l’espressione di chi non crede ancora a quello che gli sta capitando. In casa sua, un liceale occupava il suo tempo e la sua esistenza, innervosendolo e facendolo sentire inadeguato ad ogni passo, lui, un adulto, un educatore!
Shinobu se ne stava comodamente seduto sul divano, tranquillo. Troppo tranquillo. Tra le mani non aveva un libro di preparazione agli esami di ammissione, ma uno strano volumetto che aveva tutta l’aria di essere stato comprato in una bancarella dell’usato. Niente di anormale, in fondo a molti giovani piaceva leggere, anche se il suo momentaneo disturbatore non pareva il genere.
Mentre lo stava studiando inconsapevolmente, il ragazzo alzò lo sguardo e divenne rosso accorgendosi degli occhi di Miyagi che percorrevano il suo volto. Carino, fu la prima parola che passò per la mente dell’uomo notando il rossore diffondersi dalle guance a tutto il viso incorniciato dai capelli miele. Di certo molto popolare, ci avrebbe scommesso il suo stipendio.
Doveva a tutti i costi resistere all’impulso di imbavagliarlo e rinchiuderlo da qualche parte lontano da lui, lontano dalle sue orecchie. Poteva quasi leggergli nella mente, ecco, adesso avrebbe puntato l’indice contro il suo petto di uomo adulto, e avrebbe detto la solita frase ad effetto che tanto gli rendeva la vita impossibile. Incrociò le braccia sul petto e poggiò la schiena contro la parete per prepararsi all’impatto devastante delle parole del ragazzo.
“Miyagi…guarda qui!” esclamò trionfante Shinobu mettendogli davanti agli occhi un foglio di carta fitto di calcoli.
Si avvicinò per guardare, non era solo educazione ma pura curiosità la sua. Cos’erano tutti quei numeri? Cosa significava quel grafico sulla sinistra? E soprattutto, perché c’era un grafico molto simile anche sul libro usato che ora giaceva aperto sul tavolino basso di fronte al divano?
Uno, due, tre passi e si piegò per avere meglio quei numeri arabi davanti agli occhi. Non ci capiva molto. A dire il vero non ci capiva nulla. Era un professore di lettere, non di matematica o astrologia. Sì, perché accanto al grafico, vi erano riferimenti ad alcune costellazioni, riconosceva i nomi e li ricordava a causa di antichi testi che aveva studiato in passato. Il sorriso del liceale non accennava a calare.
“Visto?! È destino!!” riecco quelle parole. Lo sguardo di Miyagi passò da vagamente interessato e incuriosito a seccato e disperato.
“Visto, cosa?” domandò, la voce che pareva uscita dall’oltretomba tanto era bassa per la frustrazione.
“Qui!” Shinobu indicò con orgoglio dei calcoli sulla destra, i primi che aveva fatto. Poi prese il libro dal tavolino, lo sfogliò fin quasi all’inizio delle pagine rilegate, poi gli mostrò anche quello. Altri calcoli. Che sperava di dimostrare?
“…ah…ah…ahahah!” la risata nervosa riempì la stanza di Miyagi non appena si rese conto pienamente di cosa era quel volumetto, ed il capo gli ciondolò in avanti, incapace di sostenerlo per lo sgomento.
“Qui, guarda! Ho fatto tutti i calcoli tre volte, non c’è possibilità di errore!” continuò il liceale, rosso in volto, alzandosi dal divano mentre Miyagi vi si sedeva prendendosi la testa tra le mani. Non ci credeva, non voleva crederci. Quel ragazzo era un vero incubo con quella sua fissazione.
“Shinobu-chin, dove hai trovato quel libro?” domandò Miyagi sforzandosi di sorridere mentre il liceale voltava il volumetto permettendogli di leggere con facilità la copertina dai caratteri rossi.
“In una bancarella ieri. In Australia avevo un’altra edizione, ma anche questa va bene nonostante manchino alcuni calcoli e riferimenti rispetto all’altra”.
Per poco Miyagi non scivolò dal divano. Quello che aveva davanti era un temutissimo volume di “Astrologia e affinità di coppia: l’amore è questione di numeri”, un libro che aveva terrorizzato le sue giornate fin da quando lo aveva intravisto di sfuggita in una bancarella per le strade. Era solo questione di tempo prima che lo trovasse anche il suo giovane e fissato compagno. Avrebbe dovuto comprarlo, ma si era rifiutato di spendere anche solo uno yen per una cosa del genere, lui, un professore di letteratura. Di nuovo la testa gli ciondolò senza forze in avanti mentre con mano tremante cercava il pacchetto di sigarette nella sua tasca. Ne estrasse una e la accese senza nemmeno controllare dove fosse il posacenere. Tanto in casa sua ce n’era quasi uno in ogni angolo da quando quel ragazzino gli aveva invaso l’esistenza.
“Guarda, è tutto scientifico!” esclamò ancora più convinto Shinobu piazzandogli davanti al naso nuovamente quel foglio fitto di calcoli “Ho controllato più volte, non c’è possibilità di errore! Qui per esempio” e indicò delle file di numeri in basso a destra “dimostra che il numero di tratti del tuo nome e del mio sono compatibili! Oppure qui” e indicò un passaggio più a sinistra “è evidente come si possano trovare radici comuni…ma mi stai ascoltando?!”.
Miyagi aveva finito a tempo record la prima sigaretta e ora ne aveva accesa un’altra. Non ce la faceva più. Annuì quasi di riflesso con un sorrisino di sufficienza, e le mani del ragazzo si strinsero sul colletto della sua camicia minacciando di strangolarlo.
“Ci ho messo un giorno intero per fare tre volte tutti i calcoli! Questa è la prova inconfutabile che è destino!!” gli strillò quasi in faccia Shinobu, la voce che si alzava di alcune tonalità.
“Quel libro non prova nulla a parte il fatto che ti sei fatto fregare dei soldi da un venditore e che l’autore è uno schizzato…” mormorò l’uomo portandosi la sigaretta alle labbra e tirando una lunga boccata di fumo.
Shinobu sbatté il foglio di calcoli in faccia al convivente indicandogli un altro punto.
“Qui ho confrontato la posizione delle costellazioni al momento della mia nascita e al momento della tua! Vi è un’altra percentuale di compatibilità! E qui, ho calcolato la tua altezza, divisa per la circonferenza del torace, moltiplicata per il numero di scarpa, sommata al quoziente intellettivo, diviso il numero civico…”.
Accidenti, avrebbe dovuto bruciare quel libro, altro che sperare che non lo trovasse. Un intero foglio di calcoli sprecato. Non ci sarebbe cascato, tutte quelle cose erano buffonate.
“Non mi credi? Allora guarda qui!!” Shinobu estrasse un altro foglio su cui aveva tracciato disegni per lui privi di significato, ma la guardò lo stesso se non altro per farlo contento mentre finiva di fumare la seconda sigaretta “Questa è la nostra mappa astrale! Qui è segnato il giorno propizio per la prima dichiarazione…e coincide con il giorno in cui io sono tornato dall’Australia e ti ho incontrato! Qui è segnalato il giorno in cui si sarebbe verificata una svolta importante, ed è esattamente quando mio padre ti ha chiesto di tenermi in casa tua! E qui…” Shinobu divenne rosso come un peperone mentre indicava incerto l’incrocio di alcune linee “…qui segna il punto per…per…ecco…”.
Miyagi guardò la data e sobbalzò. Accidenti, si ricordava quel giorno. Gettò uno sguardo perplesso al pavimento mentre flash gli annebbiavano gli occhi.
“Fammi indovinare, quello è il giorno propizio per il primo bacio?” domandò continuando a fissare il punto in cui aveva spinto il ragazzo sul pavimento baciandolo per convincerlo ad uscire dalla sua vita…peccato che avesse ottenuto l’effetto opposto.
Le orecchie di Shinobu avevano assunto una tonalità allarmante mentre evitava accuratamente di guardare l’uomo seduto sul divano, la sigaretta dimenticata che rischiava di bruciargli le dita.
“Esatto!” commentò bofonchiando, imbarazzato “E questo è il giorno propizio per…per…”.
Già, sorrise Miyagi posando la sigaretta e scompigliandosi i capelli a disagio, non l’avevano ancora fatto. Da qualche settimana Shinobu viveva nuovamente a  casa sua dopo che era andato a recuperarlo in aeroporto impedendogli di partire per un altro continente, ma da quella volta non era accaduto nulla di significativo. Guardò la data e si preoccupò non poco: il giorno si avvicinava.
“Ahn…!” gli uscì dalle labbra mentre si alzava dal divano “Shinobu-chin! Un ragazzo con la tua decantata esperienza non dovrebbe usare questi mezzucci!” lo prese in giro mentre si allontanava di alcuni passi dal divano per svuotare il posacenere pieno delle sigarette di tre giorni “Hai detto tu stesso che l’hai già fatto molte volte, quindi non dovrebbe essere un problema semplicemente chiederlo, mn?”.
Il posacenere vacillò pericolosamente tra le due dita quando le braccia del ragazzo lo cinsero da dietro. Il suo respiro caldo sulla schiena gli fece venire i brividi e dovette posare una mano a sostegno contro il bancone della cucina per non scivolare. Non se l’era aspettato. E se ora gliel’avesse chiesto? Come avrebbe reagito?
Si voltò appena, solo la testa gettata all’indietro, e vide la massa di capelli chiari del ragazzo premuta con forza contro il suo corpo di adulto. Shinobu alzò lo sguardo. Era se possibile ancora più rosso, il viso lava pura. Gli occhi di Miyagi si allargarono dallo stupore quando realizzò che quello che aveva pensato non appena lo aveva visto in quell’istante era stato “adorabile”. Qualcosa non andava.
“Ah…ahahah! Shinobu-chin, forse è il caso che rifai i calcoli! Non vorrei mai che sbagliassi giorno!”.
Il volto si Shinobu fu attraversato da un’espressione di stupore e felicità, poi si strofinò un’ultima volta contro la sua schiena e si staccò per tornare al divano. Prese un altro foglio bianco, una matita, il libro, e ricominciò a tracciare le linee, il volto sempre in fiamme.
Per quel giorno ce l’aveva fatta. Mentre svuotava il posacenere però l’uomo adulto cominciò a fare i calcoli. Non mancava poi molto. Un brivido freddo gli passò lungo la schiena. Gettò appena un’occhiata al ragazzo sul divano, e sorrise. Adorabile, la parola giusta.
“Ohi, Shinobu! Preparo la cena mentre sei impegnato?” domandò speranzoso.
Shinobu alzò immediatamente la testa dal lavoro con un’espressione truce.
“No, mi sono esercitato ancora, stavolta sono sicuro che…”.
“Hai, hai…” mormorò Miyagi depresso prendendo dal frigo la solita verdura tra le tante verdure tutte uguali. E dire che a lui il cavolo non piaceva nemmeno particolarmente.
“Cosa non si fa per…” mormorò bloccandosi di botto prima di finire la frase. Cosa non si fa per…
“Hai detto qualcosa?” chiese il liceale afferrando il cavolo dalle sue mani bloccate.
Miyagi scosse la testa con forza più volte. Stava impazzendo, non c’era altra spiegazione logica.
“Ho bisogno di un’altra sigaretta…”.


[E con questa si chiude il ciclo. Mamma mia che faticaccia! Sarebbe bello poter mettere la parola “fine” e basta, però mentre scrivevo mi è venuta in mente un’altra idea, alla quale è seguita un’altra ancora…insomma, qualcuno prima o poi dovrà pur rinfoltire le fanfic di Junjou, no? Alla prossima storia!
Grazie infinite a athenachan e aka_z (questa com'era? ^^)
kissu special per i commenti ^3^]

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=268073