Junjou di Vala (/viewuser.php?uid=53013)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** romantica ***
Capitolo 2: *** egoist ***
Capitolo 3: *** terrorist ***
Capitolo 1 *** romantica ***
“Allora…questo va
qui…quest’altro va nella mensola
sopra…e questo…”.
Giornata tranquilla di ferie estive. Giornata di pace in solitudine.
Giornata noiosa. E cosa c’è di meglio da fare in
una giornata noiosa se non spolverare?
Aveva organizzato tutto con precisione di chirurgo. Non doveva fare
nient’altro che avvicinarsi allo scaffale colmo di manga,
riviste e libri. Doveva solo toccarli, prenderli in mano uno alla
volta, posarli a terra in ordine, e rimetterli a posto esattamente
com’erano. Nulla di più facile.
“…questo…questo…questo…”.
Misaki guardò la copertina del volumetto che aveva in mano e
rabbrividì. Era l’ultima opera di Akikawa Yayoi.
Aveva preso posto sullo scaffale meno di una settimana prima, ma era la
prima volta che lui aveva avuto il coraggio di prenderla in mano.
Tremante, l’indice sfiorò la carta della copertina
per poi scendere a far frusciare i fogli candidi sul lato del libro.
Era solo un libro, non doveva aver paura di una cosa così
semplice. Eppure gli bastava leggere lo pseudonimo
dell’autore per provare un sacro terrore che gli faceva
battere i denti. Coraggio!
L’indice sempre più incerto giocherellò
per qualche secondo con la copertina più spessa
finché non si decise ad aprire a caso una delle prime
pagine. I caratteri gli parvero bruciare gli occhi. Non avrebbe dovuto
farlo.
Akihiko
scostò con dolcezza una ciocca di capelli bagnata di
sudore dagli occhi del suo amante che lo ringraziò con un
sorriso stentato mentre cercava di contenere le emozioni nel suo corpo
risvegliato, ora in trepidante attesa. Le mani si strinsero alla
ricerca di conforto, di ulteriore contatto, e mentre Akihiko si
lasciava andare dentro di lui, il sorriso di Misaki si
allargò fino a scomparire, nascosto dalla spalla tremante
del compagno.
“Misaki…non
devi nasconderti mai
più…penserò io a
te…”.
Il grido di piacere
salì spontaneo alle labbra di Misaki,
troppo a lungo trattenuto.
“Ti
amo…” sussurrò alla
spalla ora più salda del compagno mentre vi premeva un bacio
carico di desiderio, di fiducia.
Le mani di Akihiko gli
carezzarono il volto segnato da dolci lacrime e
le loro labbra si incontrarono nuovamente, una necessità che
il ragazzo sentiva di non poter più celare,
un’urgenza di essere amato che lo spaventava, una voglia
che…
Le ginocchia di Misaki toccarono il pavimento pulito con un tonfo
incredulo. Ce l’aveva fatta, aveva letto un intero brano. Ma
gli era costata cara.
“Quel pervertito di Usagi, me la pagherà
cara!!” l’urlo risuonò per tutta la casa
deserta, senza risposta, e per un istante si sentì
soddisfatto di non avere addosso lo sguardo oltre che le mani del
padrone del lussuoso appartamento, con quel suo modo di fare che lo
irritava tanto.
Il ragazzo richiuse il libro di scatto, non poteva lasciargli capire
che lo aveva letto, non doveva permettere che si preparasse alla
vendetta terribile che gli sarebbe piovuta addosso dal cielo, la
punizione divina che finalmente avrebbe colto quell’idiota di
Usagi. Furibondo, macchinando la sua atroce vendetta ai danni
dell’autore, sbatté il volume in cima a tutti gli
altri sul pavimento prima di riprendere il delicato lavoro di pulizia.
“Vedrai baka-Usagi, non avrai scampo!”.
Mentre la risata maligna riempiva la stanza, Misaki urtò la
pila di libri porno in precario equilibrio facendola rovinare a terra.
Nel disperato tentativo di non scivolare e cadere lui stesso, la sua
mano si artigliò alla mensola dando un violento scossone
alla libreria, facendo cadere alcuni libri a caso che sbatterono di
malagrazia a terra mentre lui impacciato li guardava cadere con
espressione costernata. La preparazione della vendetta
avrebbe dovuto attendere ancora qualche tempo.
“Allora…questo andava…”.
“…sono a casa...” mormorò per
la seconda volta. Nessuna risposta.
Usami Akihiko si lasciò andare sul suo divano accanto a
Suzuki-san mentre con una mano si allentava la cravatta.
Dov’era Misaki? Si guardò attorno ma non vide
nulla che potesse fargli intuire la presenza del ragazzo con il quale
divideva l’immenso attico lussuoso.
“Misaki!” chiamò, la voce roca per le
sigarette o per l’astinenza da esse durante quel noioso
colloquio alla casa editrice. Nessuna risposta.
Si alzò, pensieroso, per andare a controllare di persona,
quando ecco che finalmente Misaki comparve in cima alle scale, un
coltello affilato in mano. Aveva l’aria minacciosa con quello
strumento di morte tra le dita serrate in una morsa
d’acciaio, ma lui come al solito si barricò dietro
la sua facciata da adulto attendendo, tranquillo, lasciandosi di nuovo
cadere sul divano.
“Sono a casa!” esclamò togliendosi la
giacca con un gesto deliberato, senza guardare il giovane che scendeva
le scale.
“Bentornato!” rispose Misaki, un sorriso sulle
labbra rosee, gli occhi che brillavano
“Com’è andata la riunione? Preferisci
lavarti? O vuoi prima mangiare?”.
Usami guardò il suo giovane coinquilino e scartò
per una volta l’idea di stuzzicarlo con qualche frase buttata
apparentemente a caso. Meglio non dire nulla sulla macchia di sugo che
aveva sul grembiule in corrispondenza di una certa parte anatomica,
meglio non sottolineare che aveva le labbra più colorate del
solito, probabilmente perché se l’era scottate,
meglio non abbracciarlo e lasciar vagare le mani sul suo
corpo…anche perché aveva un coltello da macellaio
in mano. Non dubitava affatto della sua capacità di
sfilarglielo prima che potesse produrre danni seri, così
come non credeva che Misaki sarebbe stato in grado di rivoltarglielo
contro…non senza provocazione notevole.
“È già tardi, mangiamo…al
bagno ci pensiamo dopo…” si limitò a
dire con quella sua voce quasi sospirata che fece correre un brivido
freddo lungo la schiena del cuoco, al quale non era sfuggito quel
plurale.
Misaki si accostò al piano cucina ove posò con
noncuranza il coltello affilato. Il suo piano stava funzionando, Usagi
non sospettava nulla. Con un sorriso maligno diede un’ultima
mescolata alla zuppa ristretta che aveva preparato per cena, poi con
l’ausilio di un mestolo apposito la versò nei
piatti, in parti uguali. Sarebbe stata dura, ma avrebbe vinto quella
sfida. Il riso nelle ciotole era già disposto,
così anche la verdura. Perfetto.
Portò il tutto in tavola, si sedette e giunse le mani nella
solita formula di ringraziamento, come fece immediatamente anche il
padrone di casa.
“Itadakimasu!”. [n.a. formula giapponese che
precede i pasti, non sapendo come tradurla correttamente in italiano,
preferisco lasciarla “originale”]
“Itadakimasu…!” rispose Misaki, e le sue
dita strinsero con più forza le bacchette di legno mentre
aspettava spiando da sotto le ciglia i movimenti dell’uomo
che gli sedeva di fronte.
Le bacchette di Usami si abbassarono, raccolsero del riso, e lo
portarono alle labbra. Poi si abbassarono ancora, raccolsero un pezzo
di carne della zuppa, e lo portarono alle labbra. Poi ancora al piatto
delle verdure, e di nuovo al riso. Azioni meccaniche che si compivano
ogni giorno, nulla di anormale. Misaki non resistette
all’impulso, doveva verificare.
“Ehm…ecco…Usagi-san…”
mormorò confusamente mettendo giù le bacchette,
non aveva ancora toccato cibo.
“mmm?” rispose Usagi, altro riso misto a carne in
bocca, masticava lentamente, senza fretta. Il suo sguardo pareva
stupito dall’interruzione.
“…insomma…non
è…troppo saporito…?”
tentò di accennare casualmente Misaki guardando i piatti
come se fossero pronti a saltargli addosso da un momento
all’altro.
“Ah…” replicò Usami
guardandolo fisso e sorridendo affabile mentre sceglieva un altro pezzo
di carne con le bacchette “non c’è
problema. Quando ero bambino, avevo un cuoco personale che non mi
faceva mai mancare nulla e preparava alla perfezione ogni singolo
capriccio che mi venisse in mente, per cui…provare la vita
di una famiglia normale…gustare un banale piccolo errore
nelle dosi del sale…mi mette di buon umore!”.
Misaki per poco non svenne. Un banale piccolo errore…eppure
era certo di aver messo doppia dose di sale in ogni singola pietanza.
Incredulo, afferrò le bacchette, prese un pezzo di carne
come stava facendo il commensale, e se lo ficcò in bocca. Se
non lo sputò fu solo perché vide lo sguardo
trasognato di Usami che lo guardava. Normale vita famigliare. Gli
errori capitavano nelle normali famiglie, quelle che non avevano un
cuoco. Mandò giù il boccone amaro in tutti i
sensi. Aveva fallito la prima prova.
Terminare il pasto fu per lui un vero incubo. Bevve in
continuazione mentre il suo padrone di casa si limitò a
qualche bicchiere d’acqua come sempre. Probabilmente si stava
divertendo un mondo ad assaporare “gli errori della normale
vita famigliare”. Avrebbe dovuto immaginarlo. Finalmente, la
cena finì e Misaki posò sulla ciotola del riso le
bacchette. Ce l’aveva fatta, aveva finito tutto.
Dall’altro lato del tavolo, Usami lo guardava sorridendo
pensieroso. Si sentiva la bocca e la gola in fiamme. Accidenti!
Il ragazzo si alzò e raccolse le ciotole da lavare, come
faceva sempre dopo i pasti. Era suo compito, i lavori domestici erano
l’unico modo che aveva per ripagare
l’ospitalità non potendo contribuire
all’affitto…non che Usagi glielo permettesse. Che
anche gli approcci fisici fossero compresi nel pagamento
dell’alloggio? Il suo volto divenne di un rosso acceso mentre
l’acqua scorreva sulle stoviglie sporche. Il bersaglio della
sua vendetta era tranquillamente andato a cambiarsi. Scattava la
seconda parte della sua vendetta. Ora si sarebbe divertito. Ed il
sorrisino maligno riaffiorò sul suo viso mentre strofinava
con lena, la schiuma che gli ammorbidiva la pelle. Tutto preso dalla
pregustazione, non si accorse dei passi che scendevano le scale,
né dell’avvicinarsi dell’oggetto dei
suoi pensieri.
Usami non poteva resistere ad una tentazione del genere, Misaki stava
beatamente lavando le stoviglie, immerso nel suo mondo fantastico,
troppo bello, troppo facile. Le sue braccia si allargarono, le dita si
fletterono nell’impazienza, e con uno scatto da predatore
portò a termine il movimento abbracciando stretto il ragazzo
che emise uno squittio di sorpresa e protesta voltando la testa nella
sua direzione. Troppo facile. Le labbra si incontrarono, sapore salato
e dolce allo stesso tempo, credette di perdersi nelle sensazioni
risvegliate dal contatto. Era da tempo che non gli faceva quello
scherzo, ma anche se glielo avesse fatto solo cinque minuti prima, non
ne era mai sazio. Per gioco, gli forzò le labbra senza
insinuare all’interno della cavità orale altrui la
lingua che se ne stesse nel suo covo come una serpe pronta a colpire,
letale se necessario, una minaccia che aleggiava nell’aria.
Misaki se ne accorse e si irrigidì ulteriormente mentre
lasciava cadere nel lavello la ciotola che aveva in mano, un 'tunk'
secco che segnalò una probabile rottura, magari aveva
cozzato contro qualcos’altro. Al momento non aveva importanza
mentre il ragazzo cercava finalmente di ribellarsi a
quell’abbraccio, a quella bocca che lo stava lentamente e
inesorabilmente catturando in una prigione che lui ben conosceva.
Riuscì a staccarsi a fatica continuando a far leva con
entrambe le mani bagnate contro la camicia pulita dell’uomo.
“Usagi-san! Basta! Fermo!” urlò
infuriato, la voce più acuta di un paio di toni per
l’irritazione, le mani che slittavano sulla stoffa stirata di
fresco senza trovare un appiglio, un modo per spingere via
l’invasore.
Le labbra ripresero a lottare, feroci, instancabili, e più
Misaki cercava di scappare, più l’altro lo
rincorreva nel tentativo di afferrarlo, di coinvolgerlo nel gioco. Ma
ecco, le mani disperate trovarono un appiglio nel colletto inamidato,
lo tirarono, lo torsero, fino a convincere il padrone della camicia che
piuttosto che morire strozzati era preferibile lasciare spazio e aria.
Le braccia si aprirono ed il cerchio pericoloso si spezzò,
Misaki fu libero di allontanarsi di qualche passo. L’acqua
scorreva ancora libera nel lavello, nessuno se ne curava.
“Misaki…” sussurrò Usami con
la sua voce bassa, seducente, e Misaki si tappò le
orecchie con i palmi delle mani per non sentire. Non doveva sentire.
Quando si fu calmato a sufficienza per formulare una frase di senso
compiuto, solo allora staccò le mani dal capo ed
indicò la camicia pulita che Usami aveva indossato poco
prima.
“Usagi-san…ecco…la
camicia…” balbettò, più che
formulare mentre tornava sicuro al lavello a finire il suo dovere
domestico “mentre la stiravo è accaduto che il
telefono ha cominciato a suonare, io sono corso a rispondere ed era
niichan che mi chiamava per il solito controllo…ma
ecco…ha voluto raccontarmi a tutti i costi di una gita
fuoriporta che ha fatto con la sua giovane moglie e
quindi…ho perso tempo a parlare, il ferro intanto si
è scaldato troppo…hanno mangiato bene, avevano
preparato una sorta di picnic all’aria aperta, con gli
uccelli…gli alberi…le formiche…Usagi,
dove stai toccando!?”.
Le mani di Usami si erano spinte a sfiorare la schiena al lavoro del
ragazzo che si muoveva di continuo seguendo il ritmo del risciacquo,
un’altra tentazione irresistibile. Misaki gli
soffiò contro, e lui suo malgrado allontanò le
mani vogliose per spendere un po’ di tempo in parole.
“Non importa, non è affatto un
problema…anzi!” gli occhi di Usami brillavano di
pura estasi mentre si sfiorava, con le stesse mani che poco prima
avevano toccato la maglietta di Misaki sperando non ci fosse,
l’evidente macchia di bruciato dalla forma inequivocabile che
spiccava nitida contro il bianco candido della camicia “fin
da bambino ho sempre avuto dei domestici personali che non mi facevano
mai mancare vestiti puliti e stirati perfettamente, non mi era mai
capitata una cosa simile…è
così…normale!”.
La fronte di Misaki sbatté con violenza contro gli sportelli
della cucina sovrastanti il lavello. Doveva immaginare anche questo. E
dire che lui si era tanto sentito in colpa, che aveva guardato con la
morte nel cuore quella camicia rovinarsi, che aveva scelto ad occhio la
più economica con l’intenzione di ripagarla una
volta ottenuta la sua vendetta. Invece, tutto per niente. Tanta pena
per rendere quel maniaco ancora più contento.
Sospirò teatralmente asciugandosi le mani sul grembiule.
Oramai era fatta. Mancava solo l’ultima, poi sarebbe potuto
andare a dormire e dimenticare quella che si prospettava come
un’orrenda giornata persa a pianificare una vendetta
inesistente.
Quando Misaki voltò il capo, non vide più Usami.
Si era di nuovo allontanato in silenzio. Si tolse il grembiule, lo
ripiegò ordinatamente e lo ripose al suo posto. Ultimo atto.
Non doveva sbagliare ora.
“Usagi-san!” chiamò, la voce incerta
“preparo il bagno!”.
Un borbottio dal divano gli fece capire che l’uomo era
beatamente sdraiato su Suzuki-san, lo abbracciava teneramente. Magari
si era addormentato e pensava che l’orso di pezza fosse lui.
Il ragazzo si intenerì e per un istante pensò di
cancellare l’ultima terribile vendetta…per un
istante. Il tempo necessario ad Usami per aprire un occhio e fissarlo
con desiderio. Meno di un secondo. Misaki salì le scale come
fosse inseguito da un demonio.
Spalancò la porta del bagno ed entrò. Tutto
pronto. Aprì del tutto i rubinetti dell’acqua
fredda e attese paziente che scorresse a bagnare la vasca e riempirla
della giusta quantità. Non un filo di vapore si levava, era
naturale dopotutto, ma allo stesso tempo talmente strano da lasciarlo
interdetto. Anche se freddo, poteva considerarsi bagno? In quella
varcò la soglia Usami, Suzuki-san sottobraccio.
L’enorme peluche venne posato sopra l’armadietto ad
attendere mentre il padrone cominciava a spogliarsi. Misaki quando si
voltò se lo trovò davanti, a petto nudo, e per
poco non urlò di nuovo.
“…ecco…Usagi-san…”
mormorò invece guardando ovunque tranne che l’uomo
davanti a lui.
“mmm?” rispose l’adulto continuando a
levarsi gli indumenti, uno ad uno, la camicia che scivolava dalle
spalle con un movimento sensuale apparentemente casuale.
“…ecco…vediamo…mi spiace
ma…mi sono dimenticato che…non
c’è…l’acqua
calda…ecco…gli operai…lavori in
corso…le caldaie…quindi…mi spiace
ma…”.
Durante tutto il borbottio confuso Misaki non aveva guardato Usami una
sola volta, ma lui aveva oramai finito di spogliarsi e si era diretto
con tutta tranquillità verso la doccia ai piedi della grande
vasca da bagno colma d’acqua fredda. Cosa volesse fare, il
ragazzo non ne aveva la minima idea, ma era troppo imbarazzato per
guardare o chiedere, mentre pregustava la seccatura che
l’assenza d’acqua calda poteva essere per il
principe dei pervertiti. Peccato che i suoni che uscirono dalle labbra
di Usami quando la pelle entrò in contatto con
l’acqua gelida della doccia, non furono esattamente quelli
che si aspettava.
“Sai, Misaki…” parlò con
quella sua dannata voce “non è affatto un problema
l’acqua fredda, anzi! …”.
“…da…da piccolo avevi acqua calda
quando volevi…quindi adesso questo inconveniente
fa…fa molto famiglia?” finì per lui
Misaki serrando gli occhi e coprendoli con le mani per maggior
sicurezza nonostante desse la schiena all’uomo nudo che si
apprestava ad entrare nella vasca.
“…no.” Replicò
tranquillamente Usami mentre si avvicinava all’ignaro ragazzo
“Sai Misaki, l’acqua fredda tonifica il corpo,
riattiva la circolazione e quindi dà
vigore…”.
“Ah…” si limitò a buttare
fuori il ragazzo con gli occhi ostinatamente chiusi mentre non poteva
vedere le forti braccia che si richiudevano nuovamente su di lui.
“Sai Misaki…” parlò ancora
Usami mentre voltava verso di sé il ragazzo, rosso in volto
ma con gli occhi aperti e lo sguardo arrendevole “forse non
sono poi così stanco…”.
Fu un bene che Suzuki-san fosse al sicuro dagli spruzzi
d’acqua.
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Capitolo 2 *** egoist ***
[Scusate
l’attesa, ma la realizzazione della seconda parte dedicata
alla coppia egoist (Hiro-san, ti addorrrrro!) è stata
più difficoltosa del previsto. Sperando di aver fatto
comunque un lavoro decente e di non avervi deluso…Buona
lettura!]
I suoi passi risuonavano nella strada affollata di gente come se fosse
solo. Le vetrine illuminavano i suoi capelli castani chiari colorandoli
di riflessi al neon mentre procedeva con calma. Era ampiamente in
anticipo, come sempre del resto. L’ansia lo attanagliava
quando doveva vederlo, non arrivava mai tardi, sempre con
mezz’ora buona di anticipo. Del resto, come si ripeteva
sempre, lui detestava chi non era puntuale, perder tempo era una
seccatura inutile.
I suoi passi rallentarono fino a fermarsi al segnale rosso del
semaforo. Era quasi arrivato. Guardò nervoso
l’orologio da polso ed il quadrante illuminato dal neon viola
della vetrina alla sua sinistra: le sei e mezza passate da quattro
minuti. Aveva tutto il tempo. Eppure non era tranquillo. Probabile che
quello stupido di Nowaki fosse già ad aspettarlo sapendo che
arrivava prima. A che serviva darsi un’ora se poi non la si
rispettava mai?
Come sempre la sua fronte si corrugò per
l’irritazione. Gli succedeva molto spesso quando pensava a
lui, lo amava eppure non poteva fare a meno di imbestialirsi ogni volta
che gli veniva in mente il suo viso. Gettò uno sguardo
distratto alla vetrina alla sua sinistra, il viola lampeggiante gli
disturbò gli occhi mentre guardava i completi esposti. I
manichini erano della sua altezza, misura giapponese standard. Giusto,
lui non era basso, era Nowaki che era troppo alto.
Nell’ultimo anno era cresciuto ancora. Odiava sentirsi un
tappo, il suo orgoglio ribolliva ogni volta che lo vedeva abbassarsi
per baciarlo.
“Maledetto gigante!!” bofonchiò mentre
continuava a camminare sotto il rassicurante neon verde del semaforo
pedonale. L’avrebbe di nuovo guardato dall’alto in
basso, gli avrebbe sorriso con quel suo fare irritante e gli avrebbe
detto che era carino. Lui odiava quando gli diceva che era carino.
Accidenti a Nowaki, da quando lo aveva conosciuto non si riconosceva
più! Ma adesso basta, era ora di finirla, lui era assistente
di un professore universitario, non era carino!
Gli venne voglia di sollevare di nuovo il polso per controllare
l’ora, ma non ce n’era bisogno: davanti ai suoi
occhi apparve l’alto palo dell’orologio sotto il
quale si davano abitualmente appuntamento, davanti al loro solito
ristorante per famiglie. E accanto al palo, inequivocabile,
l’alta figura del suo ragazzo attirava il suo sguardo come
una calamita. Se fosse cresciuto ogni anno come l’ultimo, ben
presto avrebbe potuto raggiungere il grande orologio circolare.
Sghignazzò all’idea…per poi irritarsi
ancora mentre le sopracciglia si toccavano inesorabilmente. Lo sapeva,
era di nuovo in anticipo, e stavolta era perfino arrivato prima di lui!
Improvvisamente, vide le spalle dell’alto ragazzo dai capelli
scuri irrigidirsi ed il suo capo voltarsi come indirizzato
dall’ago di una bussola. Aveva avvertito la sua presenza. Lo
faceva sempre. Non riusciva mai a sorprenderlo alle spalle, in qualche
modo sapeva quando lui c’era. A volte aveva il sospetto che
lo fiutasse. Ed ecco, il sorriso risplendente di Nowaki
rilassò il suo corpo e la sua mente sgombrandola da ogni
pensiero. Era lì per lui. Solo per lui. Quel tifone non
voleva altro dalla vita che stargli accanto. Che idiota.
“Hiro-san!!” lo salutò Nowaki
correndogli incontro, le lunghe gambe che si flettevano per
raggiungerlo il prima possibile, per allungare anche di poche manciate
di secondi il loro tempo insieme.
“Nowaki! Sta’ attento a come ti muovi, stupido
gigante!!” lo riprese Hiroki avendo notato che nella fretta
il suo ragazzo aveva quasi urtato una coppia di ragazze che parlavano
senza guardare davanti a loro.
Le ragazze in questione si voltarono a guardare l’alta sagoma
di Nowaki che sfrecciava per poi arrestarsi di colpo davanti al
più basso e minuto uomo dai lineamenti delicati. Le due
giovani si portarono le mani alla bocca per commentare tra di loro
qualcosa, ma anche senza far leggere il labiale, i loro occhi la
dicevano lunga mentre esploravano la muscolatura della schiena di
Nowaki, vagamente curva verso il compagno in un modo del tutto
automatico, non ricercato. Hiroki si accorse degli sguardi e si
irritò ulteriormente.
“Avevamo detto alle sette! Che ci fai già
qui?!” brontolò pungolando Nowaki con
l’indice sugli addominali.
“Sapevo che Hiro-san arriva sempre con largo anticipo e non
volevo farlo aspettare!” ribatté allegro
l’altro scompigliandogli appena i capelli. Ecco, ora
l’avrebbe detto. Stava per dirlo. Hiroki affondò
ulteriormente l’indice per impedirgli di dire quella parola
irritante.
“Andiamo!” comandò seccato, e Nowaki lo
seguì come un cagnolino, con il suo solito sorriso.
Accidenti a lui, era davvero bello. E rassicurante. Anche se si
irritava sempre quando lo pensava, nel momento in cui lo vedeva si
tranquillizzava e tutte le preoccupazioni diventavano nulla. Era un
idiota peggiore del ragazzo più giovane di quattro anni.
“Cos’hai fatto oggi
all’università?” domandò il
più naturalmente possibile, per non lasciare che il silenzio
si impossessasse della sua mente ancora a lungo.
Nowaki sembrò sorpreso, quasi deluso dalla domanda in un
primo momento. Come se non se l’aspettasse. Eppure si
chiedevano sempre cosa avevano fatto durante le rispettive giornate nei
loro appuntamenti. Era una sorta di rituale ormai: si trovavano alla
stessa ora davanti allo stesso ristorante per famiglie, mangiavano
quasi sempre le stesse cose, parlavano di cosa avevano fatto, e poi
tornavano a casa, verso la stazione. Per la strada più lunga.
“Oggi ero in laboratorio, per il
tirocinio…” cominciò Nowaki a parlare.
Parlava sempre lui finché non arrivavano al ristorante.
Dentro a tavola toccava a Hiroki rispondere, a monosillabi solitamente.
“Ah sì, era interessante?”
commentò Hiroki ricordando vagamente qualcosa, probabilmente
gli aveva accennato che quel giorno sarebbe stato in laboratorio. Beh,
non poteva ricordarsi tutto.
Eppure non riusciva a togliersi dalla testa lo sguardo allarmato che
gli aveva lanciato alla sua domanda. Nowaki continuava a parlare come
se nulla fosse, ma quello sguardo era ancora presente nella mente di
Hiroki, lo tormentava. Davvero gli aveva già parlato di quel
tirocinio? E se gliene aveva parlato, perché non vi aveva
prestato attenzione? Non ricordava nulla in particolare di quel dato,
ma sentiva che avrebbe dovuto ricordarsene.
I dubbi e le incertezze lo abbandonarono ben presto quando arrivarono
al loro tavolo. Come al solito, presero posto ed immediatamente la
cameriera si fece avanti per le ordinazioni. Era carina, giovane e
simpatica. Faceva spesso battute sull’altezza di Nowaki e
salutava lui come “prof”. Non ricordava di averla
mai avuta in classe tuttavia. Anche quella sera non fece eccezioni.
“Buonasera e grazie di essere tornati! Cosa porto oggi al
prof?” domandò con la sua voce squillante, il
taccuino per gli appunti già pronto, la penna in sospeso
sulla carta linda.
Nowaki le sorrise e le orecchie della ragazza divennero di un rosso
acceso. Gli piaceva. Certo, come poteva non piacerle? In fondo lui era
sempre gentile, rispondeva alle sue battute, la guardava perfino a
differenza degli altri ospiti del locale che difficilmente rivolgevano
più di uno sguardo distratto al personale. E le sopracciglia
di Hiroki si riavvicinarono pericolosamente.
“Il solito, grazie!” rispose secco giocherellando
con le cinghie della cartelletta che portava sempre con sé,
per estrarre il pc. Non viveva senza quella tecnologia a portata di
mano. Nowaki sorrise ancora alla cameriera, ed il pc sbatté
sul tavolo.
“Anche per me, grazie Yuri-san!”
confermò come sempre Nowaki senza smettere di sorridere. Le
dita di Hiroki presero a pigiare furiosamente sui tasti e continuarono
anche mentre la ragazza si allontanava saltellando quasi. Cominciava a
pensare che forse sarebbe stato meglio cambiare ristorante ogni tanto,
se non altro per non vedere Yuri-san scodinzolare.
“Hiro-san!” lo stava chiamando. Smise di battere a
macchina per alzare appena lo sguardo verso il volto ancora sorridente
di Nowaki. Accidenti a lui, gli stava sorridendo come faceva con la
cameriera?!
“Nowaki…?” rispose come sempre, oramai
le battute anche se non segnate, regolari uscivano dalle sue labbra.
“Hiro-san, cosa ha fatto oggi?”.
“Nulla di particolare, continuo a lavorare per quello
schiavista del prof Miyagi…” mormorò
Hiroki mentre le dita riprendevano il loro lavoro silenzioso a parte
quel ticchettio dato dai tasti in movimento.
“Ah, Hiro-san dà sempre il meglio a lavoro! Non ci
si può aspettare niente di meno da Hiro-san!”
commentò Nowaki.
Lo stava prendendo in giro? Hiroki alzò lo sguardo per
controllare, ma il compagno aveva sempre la stessa espressione felice
quando era con lui, e sorrideva ora apertamente con quel suo modo di
fare incoraggiante. No, non aveva mai sorriso così alla
cameriera. Uno a zero per lui, ben ti sta Yuri-san.
La voce di Nowaki riprese ma la sua mente ormai era già
concentrata su altro. Non poteva fare a meno di concentrarsi per
scrivere, o avrebbe rischiato di commettere un errore dietro
l’altro, e questo non poteva permetterselo se voleva
diventare professore associato il prima possibile. Doveva sul serio
dare il meglio di sé. Era contento di avere al suo fianco
qualcosa come Nowaki che lo sosteneva e consigliava, che gli dava il
suo appoggio incondizionato, che gioiva con lui di ogni piccolo
traguardo facendolo sembrare un trionfo anche quando lui minimizzava.
Era modesto, gli diceva. No, non si sentiva modesto. Semplicemente non
gli sembrava di stare facendo abbastanza.
“Ah! Ho sbagliato!!” brontolò mentre
rileggendo vedeva l’errore come una macchia sullo schermo
colmo di caratteri.
Le bibite erano arrivate. Staccò una mano dal pc,
afferrò il suo bicchiere e lo scontrò brevemente
con quello del suo ragazzo prima di prendere un lungo sorso del liquido
freddo che li rischiarò le idee. Doveva correggere
quell’errore, non ammetteva sviste simili. Non era da lui
sbagliare in modo così madornale. L’indice
premette canc con sicurezza e fatalità cancellando la riga
sbagliata. Nowaki lo guardava lavorare in silenzio, assorto e
tranquillo. Ma anche se avesse parlato non avrebbe fatto differenza.
Quando lavorava non esisteva nessuno a parte il suo lavoro ovviamente.
“Ecco qui! Buon appetito!” era di nuovo Yuri-san.
Era arrivato il cibo. Doveva smettere di scrivere almeno mentre
mangiavano…se non altro per i primi cinque minuti. Ma quando
alzò lo sguardo verso il piatto pieno, vide di nuovo quel
sorriso sul volto di Nowaki e la reazione della ragazza, e si
imbestialì. Riprese a pigiare sui tasti con rinnovato
vigore. Il suo ragazzo non sembrava essersene accorto.
“Itadakimasu!”.
“I-ta-da-ki-ma-su…” scandì
Hiroki lentamente per non scriverlo sul suo lavoro.
Nowaki lo guardò perplesso ma fece finta di nulla e
iniziò a mangiare. Non valeva la pena arrabbiarsi con
Hiro-san per la sua freddezza o per quei suoi scatti strani, era fatto
così ed era quella la persona che amava con tutto se stesso.
Di nuovo il sorriso gli affiorò alle labbra, ma stavolta
Hiroki non lo vide, impegnato com’era a battere a macchina il
suo lavoro. A volte Nowaki aveva l’impressione che se fosse
sparito non se ne sarebbe reso conto se non alla fine del paragrafo.
La cena proseguì più o meno allo stesso modo
abituale: Hiroki scriveva sul suo computer, Nowaki parlava senza sapere
se era davvero ascoltato. La routine quotidiana che non pesava a
nessuno dei due, ma non soddisfava appieno nessuno dei due. Forse il
più soddisfatto in quel senso era Nowaki: a lui bastava
passare più tempo possibile accanto al suo Hiro-san per
essere felice.
“Grazie, tornate a trovarci!” li salutò
Yuri mentre stringeva nervosa il suo grembiule.
Hiroki uscì in fretta dal locale e venne seguito a ruota da
uno scodinzolante Nowaki. Quella ragazzina poteva provarci quanto
voleva, lui era suo!
“Hiro-san! Oggi, mentre tornavo da…”
Nowaki riprese la sua parlantina per non lasciare un silenzio
imbarazzante tra loro. Era logico, non voleva metterlo a disagio. Per
un secondo gli sorrise ed il volto dell’alto ragazzo si
illuminò come il cielo sotto i fuochi d’artificio.
E l’artefice di tutto era lui, si sentiva un po’
strano al pensiero.
“Ehi, guarda!”.
“Com’è alto…”.
“E che bello!!”.
“Dai, andiamo a chiedere…”.
Avevano passato un gruppo di ragazze. Ovviamente Nowaki non vi aveva
fatto caso mentre continuava a parlare, ma Hiroki le aveva sentite
benissimo e stava ribollendo. Ecco, lo sapeva! Non sarebbe dovuto
uscire, non avrebbero dovuto fare quella strada! Gettò uno
sguardo infuocato dietro di loro per vedere se quelle streghe li
stavano seguendo. Sì, due di loro continuavano a venire
dietro. E Nowaki faceva finta di nulla. Impossibile non notare quelle
galline, starnazzavano in modo impressionante!
Nowaki attirava sempre gli sguardi, di tutti e soprattutto tutte. Era
alto, bello e prestante. Qualunque ragazza l’avrebbe trovato
attraente e probabilmente anche un sacco di ragazzi. Hiroki si
scoprì a guardarsi in giro alla ricerca di possibili maschi
che attentassero al suo ragazzo e vide altre persone voltarsi al
passaggio del gigante che sorrideva beato continuando a parlare
all’amico più basso e vecchio.
Ecco, lo aveva pensato di nuovo, lui era vecchio. In qualunque modo la
rigirava, lui aveva quattro anni più di Nowaki, e non era
una differenza da poco che si poteva appianare in un soffio. Erano
differenti, lo sarebbero sempre stati. E la loro relazione era strana.
In qualunque modo la rigirava, la loro relazione era davvero strana.
Il suo ragazzo smise di parlare fissandolo intensamente, preoccupato.
Aveva notato, come sempre del resto, che qualcosa non andava. Era
sempre così attento a lui…
“Hiro-san?”.
Hiroki non rispose, continuò a camminare come se nulla
fosse, ma sul volto aveva ancora tracce di quell’amarezza che
l’aveva attraversato prima. Quanto tempo ci avrebbe messo il
suo alto amico a rendersi conto che poteva avere ben di meglio? Che lui
era un peso? Che la loro era una relazione che non poteva durare a
lungo?
Alzò lo sguardo e lesse negli occhi di Nowaki una
preoccupazione sincera. Quanto a lungo avrebbe continuato ad amarlo?
Aveva un carattere impossibile, prima o poi si sarebbe stancato di lui,
del suo modo di fare, e avrebbe cercato altrove qualcuno più
adatto da amare, qualcuno…ma il solo pensiero di Nowaki con
un altro o con un’altra lo faceva star male. Accidenti a quel
ragazzo, era colpa sua se la sua vita stava andando a rotoli!
“Hiro-san?” lo chiamava ancora e ancora, con tono
sempre più allarmato. Basta, non ce la faceva più.
“Nowaki…” cominciò a parlare
addolorato, senza sapere bene cosa dire, ma proprio in quella una
risatina nervosa alle sue spalle lo fece voltare di scatto,
intenzionato a mordere chiunque si fosse avvicinato al suo ragazzo. Si
trovò davanti le due ragazze di prima. Erano carine, ben
vestite e dall’aria innocente. Forse quella era
l’occasione buona per lasciarlo andare, per permettergli di
abbandonarlo e buttarselo alle spalle…
Stava già per voltarsi in modo da andarsene e lasciarlo da
solo con quelle ragazze, quando la mano fresca e timida di una delle
due gli sfiorò esitante la camicia.
“Mi scusi…” mormorò, la voce
insicura la giovane donna che gli stava davanti, buttando fuori tutto
il coraggio che aveva “…ma
noi…ecco…è da qualche sera che la
vediamo e…volevamo chiederle se possibile…il suo
nome…per piacere…!”.
Le due ragazze si inchinarono fino a terra, in un atto di totale
deferenza. E Hiroki restò allibito. Non puntavano Nowaki
dunque? Ma…ma…lui era…vecchio e...il
suo carattere…e…e…
“Scusate, ma Hiro-san è già
impegnato!” parlò per lui Nowaki mentre sentiva
una mano grande e calda afferrarlo per un braccio e trascinarlo via,
via dalla strada principale, verso il percorso più lungo per
la stazione, verso la loro solita routine.
“Ehi! Nowaki! Aspetta!!”.
Ma non sentiva ragioni, il suo alto gigante, continuava a trascinarlo
come se nulla fosse, macinava metri e metri e lui con le gambe
considerevolmente più corte faceva fatica a stargli dietro.
Alternava passi veloci ad una vera e propria corsa nel tentativo di non
venire trascinato via totalmente di peso. Finalmente, Nowaki si
fermò e si voltò a fronteggiarlo. Niente sorriso
per lui, solo un’espressione frustrata.
“Hiro-san!! Non lo accetto!!”.
“…eh?”.
I due si guardarono negli occhi per qualche minuto, infuriato e quasi
spaventato Nowaki, perplesso e imbambolato Hiroki. Qualcosa non
quadrava, perché era così arrabbiato? E
perché quelle ragazze si erano rivolte a lui invece che al
compagno? Ma soprattutto, perché sentiva strisciante una
sensazione come di soddisfazione?
“Hiro-san! Fin da quando siamo usciti dal ristorante, eri
strano! Da quando quelle ragazze ti seguivano! Se ti piacevano,
perché non me l’hai detto, perché
non…?”.
“Ohi, Nowaki! Guarda che…!”
parlò incerto per calmarlo.
“Hiro-san! Non lo accetto!!” quasi urlò
rabbioso il suo ragazzo afferrandolo per le spalle.
“Nowaki, ti dico che…!”.
“Hiro-san!!” gli occhi di Nowaki erano
incredibilmente tristi, ed era tutta colpa sua. Hiroki si
sentì morire per aver causato con il suo comportamento
l’infelicità della persona a lui più
cara.
“Nowaki! Pensavo-puntassero-te!!” sputò
di colpo sovrastando la voce dell’alto gigante che gli
lasciò andare le spalle doloranti per la stretta.
E adesso? Era terribilmente imbarazzato. La sensazione di soddisfazione
provata perché lo avevano preferito nonostante gli anni e la
scarsa altezza, svanita del tutto, aveva lasciato posto
all’amarezza e al fastidio, come se avesse fatto qualcosa di
sbagliato…o lui fosse sbagliato. Non era capace di esternare
quello che provava facilmente, ma ogni volta che Nowaki faceva quella
faccia così triste e sapeva che era colpa sua,
l’unico modo per fargliela passare era rassicurarlo.
Rassicurare lui e rassicurare se stesso ripetendosi che stavano
insieme, che andava tutto bene, che non poteva stare senza di
lui…
“Nowaki!” riuscì a dire, rosso in volto
ma alzando gli occhi a incontrare quelli spalancati del suo amore
“Io pensavo che quelle ragazze seguissero te…e che
se io mi fossi fatto da parte, se ti avessi lasciato
andare…abbiamo quattro anni di differenza, tu ti stai
impegnando così tanto per il tuo sogno e io non voglio
essere un peso in nessun caso, quindi se vuoi…”
spiegazione patetica, tentativo patetico, risultato per nulla patetico
anche se scontato in un certo senso.
Il volto di Nowaki si abbassò rapido sul suo per posare un
bacio sincero di affetto sulle sue labbra socchiuse, chiudendo la
questione. No, non lo avrebbe lasciato per nessun motivo. No, non aveva
alcuna intenzione di fargli pesare l’età. No, era
lui l’idiota perché aveva pensato tutte quelle
cose senza renderlo partecipe dei suoi dubbi.
Il volto di Hiroki era soffuso di un rossore piacevole mentre si
abbandonava al petto forte del suo ragazzo, sentendo i loro cuori
battere rapidi allo stesso ritmo e pian piano calmarsi man mano che la
paura se ne andava, che l’imbarazzo svaniva lasciando il
posto alla tenerezza. Nessuno in giro a testimoniare il loro diverbio,
le loro insicurezze. Sarebbe stato un segreto che ben presto avrebbero
cancellato.
“Hiro-san! È logico che quelle ragazze si siano
avvicinate a Hiro-san, perché Hiro-san è
davvero…carino!”.
Ecco, lo aveva detto.
“Nowaki…!!”.
Hiroki si staccò dal petto solido del suo ragazzo, fece un
passo indietro, e mentre ancora il capo di Nowaki era a portata della
sua altezza, la sua fronte scattò implacabile a colpirlo.
Centro perfetto. Adesso la testa gli pulsava dolorosamente e di certo
avrebbe avuto un bozzo una volta tornato a casa, ma lo stesso avrebbe
avuto anche Nowaki che ora si massaggiava la fronte nel punto esatto in
cui avevano cozzato. Stava già diventando di un bel rosso
acceso, ma il proprietario della parte lesa sorrideva indulgente,
felice. Tutto a posto. Se lui era felice, anche Hiroki lo era. Magari
era burbero, scontroso, irritabile, insoddisfatto, distratto, egoista,
testardo, incapace di un gesto romantico, ma se Nowaki era felice, a
lui non serviva altro.
La grande mano di Nowaki si posò sulla sua testa a
scompigliargli appena i capelli e le sopracciglia di Hiroki si
ricongiunsero nel solito cipiglio a metà tra il seccato e
l’imbarazzato.
“Andiamo, scemo!”.
“Sì, Hiro-san!!”.
E mentre il passo delle lunghe gambe di Nowaki si adattava al suo, la
mano salì a raggiungere quella del compagno in cima alla sua
testa per poterla stringere, per sentire il suo calore raggiungerlo
ancora e sempre. Davvero, finché quella mano fosse rimasta
alla sua portata, non voleva altro.
[Per
aka_z (grazie per l’ottima recensione ^^)
Itadakimasu
= è una frase fatta, che in effetti in italiano viene
tradotta con “buon appetito”. Tuttavia il
significato a mio parere non è comparabile, in quanto la
trovo segnata sotto i verbi di “prendere” o
“ricevere”. Provando a tradurre in italiano,
suonerebbe malissimo, quindi meglio lasciarla
“originale”.
Scusa
per eventuali dubbi, si tratta di una mia opinione che ho trovato
verificata anche in alcune traduzioni in inglese.]
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Capitolo 3 *** terrorist ***
“Questo è destino”.
Non faceva che ripetere quelle parole che alle sue orecchie sembravano
così…così…irritanti. Si
passò una mano tra i capelli scuri e sospirò. Poi
alzò gli occhi, l’espressione di chi non crede
ancora a quello che gli sta capitando. In casa sua, un liceale occupava
il suo tempo e la sua esistenza, innervosendolo e facendolo sentire
inadeguato ad ogni passo, lui, un adulto, un educatore!
Shinobu se ne stava comodamente seduto sul divano, tranquillo. Troppo
tranquillo. Tra le mani non aveva un libro di preparazione agli esami
di ammissione, ma uno strano volumetto che aveva tutta l’aria
di essere stato comprato in una bancarella dell’usato. Niente
di anormale, in fondo a molti giovani piaceva leggere, anche se il suo
momentaneo disturbatore non pareva il genere.
Mentre lo stava studiando inconsapevolmente, il ragazzo alzò
lo sguardo e divenne rosso accorgendosi degli occhi di Miyagi che
percorrevano il suo volto. Carino, fu la prima parola che
passò per la mente dell’uomo notando il rossore
diffondersi dalle guance a tutto il viso incorniciato dai capelli
miele. Di certo molto popolare, ci avrebbe scommesso il suo stipendio.
Doveva a tutti i costi resistere all’impulso di imbavagliarlo
e rinchiuderlo da qualche parte lontano da lui, lontano dalle sue
orecchie. Poteva quasi leggergli nella mente, ecco, adesso avrebbe
puntato l’indice contro il suo petto di uomo adulto, e
avrebbe detto la solita frase ad effetto che tanto gli rendeva la vita
impossibile. Incrociò le braccia sul petto e
poggiò la schiena contro la parete per prepararsi
all’impatto devastante delle parole del ragazzo.
“Miyagi…guarda qui!” esclamò
trionfante Shinobu mettendogli davanti agli occhi un foglio di carta
fitto di calcoli.
Si avvicinò per guardare, non era solo educazione ma pura
curiosità la sua. Cos’erano tutti quei numeri?
Cosa significava quel grafico sulla sinistra? E soprattutto,
perché c’era un grafico molto simile anche sul
libro usato che ora giaceva aperto sul tavolino basso di fronte al
divano?
Uno, due, tre passi e si piegò per avere meglio quei numeri
arabi davanti agli occhi. Non ci capiva molto. A dire il vero non ci
capiva nulla. Era un professore di lettere, non di matematica o
astrologia. Sì, perché accanto al grafico, vi
erano riferimenti ad alcune costellazioni, riconosceva i nomi e li
ricordava a causa di antichi testi che aveva studiato in passato. Il
sorriso del liceale non accennava a calare.
“Visto?! È destino!!” riecco quelle
parole. Lo sguardo di Miyagi passò da vagamente interessato
e incuriosito a seccato e disperato.
“Visto, cosa?” domandò, la voce che
pareva uscita dall’oltretomba tanto era bassa per la
frustrazione.
“Qui!” Shinobu indicò con orgoglio dei
calcoli sulla destra, i primi che aveva fatto. Poi prese il libro dal
tavolino, lo sfogliò fin quasi all’inizio delle
pagine rilegate, poi gli mostrò anche quello. Altri calcoli.
Che sperava di dimostrare?
“…ah…ah…ahahah!”
la risata nervosa riempì la stanza di Miyagi non appena si
rese conto pienamente di cosa era quel volumetto, ed il capo gli
ciondolò in avanti, incapace di sostenerlo per lo sgomento.
“Qui, guarda! Ho fatto tutti i calcoli tre volte, non
c’è possibilità di errore!”
continuò il liceale, rosso in volto, alzandosi dal divano
mentre Miyagi vi si sedeva prendendosi la testa tra le mani. Non ci
credeva, non voleva crederci. Quel ragazzo era un vero incubo con
quella sua fissazione.
“Shinobu-chin, dove hai trovato quel libro?”
domandò Miyagi sforzandosi di sorridere mentre il liceale
voltava il volumetto permettendogli di leggere con facilità
la copertina dai caratteri rossi.
“In una bancarella ieri. In Australia avevo
un’altra edizione, ma anche questa va bene nonostante
manchino alcuni calcoli e riferimenti rispetto
all’altra”.
Per poco Miyagi non scivolò dal divano. Quello che aveva
davanti era un temutissimo volume di “Astrologia e
affinità di coppia: l’amore è questione
di numeri”, un libro che aveva terrorizzato le sue giornate
fin da quando lo aveva intravisto di sfuggita in una bancarella per le
strade. Era solo questione di tempo prima che lo trovasse anche il suo
giovane e fissato compagno. Avrebbe dovuto comprarlo, ma si era
rifiutato di spendere anche solo uno yen per una cosa del genere, lui,
un professore di letteratura. Di nuovo la testa gli ciondolò
senza forze in avanti mentre con mano tremante cercava il pacchetto di
sigarette nella sua tasca. Ne estrasse una e la accese senza nemmeno
controllare dove fosse il posacenere. Tanto in casa sua ce
n’era quasi uno in ogni angolo da quando quel ragazzino gli
aveva invaso l’esistenza.
“Guarda, è tutto scientifico!”
esclamò ancora più convinto Shinobu piazzandogli
davanti al naso nuovamente quel foglio fitto di calcoli “Ho
controllato più volte, non c’è
possibilità di errore! Qui per esempio” e
indicò delle file di numeri in basso a destra
“dimostra che il numero di tratti del tuo nome e del mio sono
compatibili! Oppure qui” e indicò un passaggio
più a sinistra “è evidente come si
possano trovare radici comuni…ma mi stai
ascoltando?!”.
Miyagi aveva finito a tempo record la prima sigaretta e ora ne aveva
accesa un’altra. Non ce la faceva più.
Annuì quasi di riflesso con un sorrisino di sufficienza, e
le mani del ragazzo si strinsero sul colletto della sua camicia
minacciando di strangolarlo.
“Ci ho messo un giorno intero per fare tre volte tutti i
calcoli! Questa è la prova inconfutabile che è
destino!!” gli strillò quasi in faccia Shinobu, la
voce che si alzava di alcune tonalità.
“Quel libro non prova nulla a parte il fatto che ti sei fatto
fregare dei soldi da un venditore e che l’autore è
uno schizzato…” mormorò
l’uomo portandosi la sigaretta alle labbra e tirando una
lunga boccata di fumo.
Shinobu sbatté il foglio di calcoli in faccia al convivente
indicandogli un altro punto.
“Qui ho confrontato la posizione delle costellazioni al
momento della mia nascita e al momento della tua! Vi è
un’altra percentuale di compatibilità! E qui, ho
calcolato la tua altezza, divisa per la circonferenza del torace,
moltiplicata per il numero di scarpa, sommata al quoziente
intellettivo, diviso il numero civico…”.
Accidenti, avrebbe dovuto bruciare quel libro, altro che sperare che
non lo trovasse. Un intero foglio di calcoli sprecato. Non ci sarebbe
cascato, tutte quelle cose erano buffonate.
“Non mi credi? Allora guarda qui!!” Shinobu
estrasse un altro foglio su cui aveva tracciato disegni per lui privi
di significato, ma la guardò lo stesso se non altro per
farlo contento mentre finiva di fumare la seconda sigaretta
“Questa è la nostra mappa astrale! Qui
è segnato il giorno propizio per la prima
dichiarazione…e coincide con il giorno in cui io sono
tornato dall’Australia e ti ho incontrato! Qui è
segnalato il giorno in cui si sarebbe verificata una svolta importante,
ed è esattamente quando mio padre ti ha chiesto di tenermi
in casa tua! E qui…” Shinobu divenne rosso come un
peperone mentre indicava incerto l’incrocio di alcune linee
“…qui segna il punto
per…per…ecco…”.
Miyagi guardò la data e sobbalzò. Accidenti, si
ricordava quel giorno. Gettò uno sguardo perplesso al
pavimento mentre flash gli annebbiavano gli occhi.
“Fammi indovinare, quello è il giorno propizio per
il primo bacio?” domandò continuando a fissare il
punto in cui aveva spinto il ragazzo sul pavimento baciandolo per
convincerlo ad uscire dalla sua vita…peccato che avesse
ottenuto l’effetto opposto.
Le orecchie di Shinobu avevano assunto una tonalità
allarmante mentre evitava accuratamente di guardare l’uomo
seduto sul divano, la sigaretta dimenticata che rischiava di bruciargli
le dita.
“Esatto!” commentò bofonchiando,
imbarazzato “E questo è il giorno propizio
per…per…”.
Già, sorrise Miyagi posando la sigaretta e scompigliandosi i
capelli a disagio, non l’avevano ancora fatto. Da qualche
settimana Shinobu viveva nuovamente a casa sua dopo che era
andato a recuperarlo in aeroporto impedendogli di partire per un altro
continente, ma da quella volta non era accaduto nulla di significativo.
Guardò la data e si preoccupò non poco: il giorno
si avvicinava.
“Ahn…!” gli uscì dalle labbra
mentre si alzava dal divano “Shinobu-chin! Un ragazzo con la
tua decantata esperienza non dovrebbe usare questi mezzucci!”
lo prese in giro mentre si allontanava di alcuni passi dal divano per
svuotare il posacenere pieno delle sigarette di tre giorni
“Hai detto tu stesso che l’hai già fatto
molte volte, quindi non dovrebbe essere un problema semplicemente
chiederlo, mn?”.
Il posacenere vacillò pericolosamente tra le due dita quando
le braccia del ragazzo lo cinsero da dietro. Il suo respiro caldo sulla
schiena gli fece venire i brividi e dovette posare una mano a sostegno
contro il bancone della cucina per non scivolare. Non se
l’era aspettato. E se ora gliel’avesse chiesto?
Come avrebbe reagito?
Si voltò appena, solo la testa gettata
all’indietro, e vide la massa di capelli chiari del ragazzo
premuta con forza contro il suo corpo di adulto. Shinobu
alzò lo sguardo. Era se possibile ancora più
rosso, il viso lava pura. Gli occhi di Miyagi si allargarono dallo
stupore quando realizzò che quello che aveva pensato non
appena lo aveva visto in quell’istante era stato
“adorabile”. Qualcosa non andava.
“Ah…ahahah! Shinobu-chin, forse è il
caso che rifai i calcoli! Non vorrei mai che sbagliassi
giorno!”.
Il volto si Shinobu fu attraversato da un’espressione di
stupore e felicità, poi si strofinò
un’ultima volta contro la sua schiena e si staccò
per tornare al divano. Prese un altro foglio bianco, una matita, il
libro, e ricominciò a tracciare le linee, il volto sempre in
fiamme.
Per quel giorno ce l’aveva fatta. Mentre svuotava il
posacenere però l’uomo adulto cominciò
a fare i calcoli. Non mancava poi molto. Un brivido freddo gli
passò lungo la schiena. Gettò appena
un’occhiata al ragazzo sul divano, e sorrise. Adorabile, la
parola giusta.
“Ohi, Shinobu! Preparo la cena mentre sei
impegnato?” domandò speranzoso.
Shinobu alzò immediatamente la testa dal lavoro con
un’espressione truce.
“No, mi sono esercitato ancora, stavolta sono sicuro
che…”.
“Hai, hai…” mormorò Miyagi
depresso prendendo dal frigo la solita verdura tra le tante verdure
tutte uguali. E dire che a lui il cavolo non piaceva nemmeno
particolarmente.
“Cosa non si fa per…” mormorò
bloccandosi di botto prima di finire la frase. Cosa non si fa
per…
“Hai detto qualcosa?” chiese il liceale afferrando
il cavolo dalle sue mani bloccate.
Miyagi scosse la testa con forza più volte. Stava
impazzendo, non c’era altra spiegazione logica.
“Ho bisogno di un’altra
sigaretta…”.
[E
con questa si chiude il ciclo. Mamma mia che faticaccia! Sarebbe bello
poter mettere la parola “fine” e basta,
però mentre scrivevo mi è venuta in mente
un’altra idea, alla quale è seguita
un’altra ancora…insomma, qualcuno prima o poi
dovrà pur rinfoltire le fanfic di Junjou, no? Alla prossima
storia!
Grazie infinite a athenachan e aka_z (questa com'era? ^^)
kissu
special per i commenti ^3^]
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