8 weeks.

di firstmarch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** La Cerimonia. ***
Capitolo 3: *** Week 1. ***
Capitolo 4: *** Week 1.2 ***
Capitolo 5: *** Week 2. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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8 WEEKS


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PROLOGO
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In un futuro imprecisato, con lo scopo di riportare la popolazione della Terra ad un numero quantomeno simile a quello precedente la Grande Epidemia, i matrimoni e le nascite dei bambini vengono controllati dalla tecnologia e dalla scienza, capaci di garantire unioni perfette, senza il rischio di separazioni. I bambini sono costretti a lasciare la loro famiglia all'età di nove anni, destinati poi a entrare in una delle due Accademie di Formazione, separate solo da un alto muro, in base al loro sesso. Le Accademie di Formazione, presenti in ogni capitale di ogni stato, hanno lo scopo di, appunto, formare i bambini e di impedire che maschi e femmine interagiscano tranne in alcune rare occasioni. Tutto ciò impedisce sconvenienti possibili relazioni destinate a finire compiuti i diciotto anni.
Raggiunta la maggiore età, infatti, i ragazzi partecipano ad una Cerimonia di Fine Formazione, nella quale viene annunciato pubblicamente, ad ognuno di loro, il compagno o la compagna della loro vita. I computer elaborano quindi ogni singolo dato, ogni singola caratteristica di ogni singolo individuo di diciotto anni, combinandoli insieme, creando coppie perfette. Questo processo avviene ogni anno, regolare e preciso come un orologio, una macchina che accoppia ragazzi di tutte le nazioni, senza distinzioni.
Dopo la Cerimonia di Fine Formazione i ragazzi hanno a disposizione un mese per conoscersi e un altro per organizzare le nozze. Per il sistema deve essere un meccanismo veloce: otto settimane per passare da ragazzini chiusi in un' Accademia a uomini e donne sposati.
Otto settimane per determinare tutta una vita, per capire come avere un minimo di libero arbitrio in un sistema così ferreo e rigido.
Otto settimane per innamorarsi di qualcuno mai visto prima.


Stare tra le braccia forti di Justin era una sicurezza per me, la mia ancora di salvataggio dall'Accademia e dalla Cerimonia, ormai vicina.
Lì, sotto quei fitti alberi cresciuti incontrastati, quel piccolo luogo dove la natura aveva il sopravvento sulle opere dell'uomo, era il posto dove negli ultimi quattro anni io e Justin avevamo passato i nostri incontri. Gli alberi in questione erano dietro all'Accademia, ma non troppo lontani da risultare sospetti per qualche incontro segreto. Un ramo dell'albero più grande oltrepassava timidamente il confine con l'Accademia Maschile, mentre poco più in basso, alla base del muro, era stato creato un passaggio dapprima molto piccolo, ma ogni anno sempre più grande, adattandolo alla nostra crescita.
Io e Justin ci conoscevamo da quando avevamo sei anni, quando iniziammo ad andare a scuola. Eravamo subito diventati amici del cuore e anno dopo anno, questo nostro legame era diventato qualcosa di preoccupante per le nostre famiglie. Come avremmo reagito al distacco causato dalle Accademie?
Reagimmo male, ovviamente. All'età di nove anni, come di regola, entrai nell'Accademia Femminile di Formazione di Ottawa e lui in quella maschile. Per cinque anni ci vedemmo solo quattro volte all'anno: le due Accademie si riunivano soltanto per festeggiare il Natale, l'anno nuovo, la Pasqua e il Ringraziamento. Per cinque anni attesi quei quattro giorni, per cinque anni cercai di dimenticarlo e di lasciare che le mie compagne di stanza fossero le mie uniche amiche. Ci provai, ma nessuno riuscì ad eguagliarlo, neanche Jessica, la ragazza con la quale avevo legato di più all'Accademia.
Poi, durante i festeggiamenti dell'anno nuovo, il sessantacinquesimo a seguito della Grande Epidemia, Justin si era avvicinato a me e mi aveva dato, per così dire, appuntamento al giorno seguente. Quella notte non avevo dormito. Non solo non si era dimenticato di me, ma voleva anche trasgredire le regole per me. L'indomani ci incontrammo nel luogo che fece da sfondo ad ogni nostro incontro seguente. Avevamo quattordici anni e fu inevitabile notare come entrambi stavamo cambiando anno dopo anno. Non eravamo più bambini, i nostri visi erano più adulti rispetto a quando avevamo nove anni, eravamo più alti, la sua voce stava cambiando e io avevo lasciato crescere i capelli corvini, una volta tagliati corti.
Mi innamorai di lui in breve tempo, la forte amicizia che ci legava si trasformò in qualcosa di più, qualcosa che entrambi rifiutavamo di ammettere, di accettare.
Lo capivo dai suoi sguardi, da come evitava di toccarmi anche solo per sbaglio, da come rideva alle mie pessime battute, da come cercava di nascondere il rossore quando gli ero troppo vicino.
Notavo, notavo, notavo e ne ero felice, ma non avrei dovuto esserlo. Me lo ripetevo tutte le notti, passate ovviamente a ripensare al suo viso e ai momenti passati con lui, ma era inevitabile; una piccola fiammella di speranza si agitava dentro di me, destinata a crescere sempre di più. Mi consumava. Il desiderio di annullare le distanze tra di noi, di sfiorargli le labbra con le mie, dei nei nostri corpi talmente vicini da impedire il respiro, tutto ciò mi consumava, mi logorava.
Cercare di reprimere ciò che provavo era inutile. Le possibilità che durante la cerimonia avrebbero detto i nostri due nomi insieme erano non scarse, di più, ma anche lì la speranza mi diceva che tutto poteva accadere, tutto poteva essere.
Perciò un anno e mezzo dopo il nostro primo incontro, quando stavo per compiere sedici anni, decisi di trasgredire completamente le regole. Lo avevo già fatto incontrando Justin quasi una volta a settimana, tanto valeva trasgredirle completamente. Se non lo avessi fatto, me ne sarei forse pentita a vita.
Quel giorno lo baciai. Non avevo mai baciato un ragazzo ovviamente, e lui neppure, ma fu la cosa più naturale che potesse succedere. Sentii un grosso nodo alla gola sciogliersi, sentii di essere libera, sentii che forse avevamo davvero una possibilità di restare insieme anche dopo la Cerimonia.
I nostri incontri sembravano essere sempre più corti, non riuscivamo a staccarci l'uno dall'altra, era come se solo in quel posto e in quei momenti riuscissimo ad essere noi stessi. Qualche volta parlammo della Cerimonia e io adoravo come riuscisse a farmi ridere e scherzare su quell'argomento, ma come riuscisse anche rassicurarmi su quello che sentivamo.
 “Saremo la prima coppia che annunceranno. Sarà meglio che inizi a pensare al tuo abito da sposa”, mi diceva ogni tanto.
  “Ma ci sono così tanti ragazzi della nostra età, Justin! Così tanti che potremmo capitare con persone che neanche parlano la nostra lingua, ti immagini?”, rispondevo io.
  “Non succederà,”
  “Come fai a dirlo?”
  “Perché ti amo, e questo vale molto di più della scienza e della tecnologia. Io ti amo e non immagino nessun altro al tuo posto, nessun altro che possa restare con me per tutta la vita, nessun altro che possa darmi dei figli, nessuno se non te. Credi a me, non credere a quelle macchine. Credi a me anche se dovessero dire tutto il contrario.”
   “Crederò a te, Justin, ti crederò sempre, qualunque cosa succeda.”
A quel punto eravamo quasi sempre costretti ad andarcene, ma quelle volte in cui potevamo rimanere ancora insieme, dovevamo trattenerci per non andare oltre: se non fossimo divenuti una coppia, ci avrebbero scoperto in fretta e ci avrebbero potuti denunciare.


La nostra storia continuava da un anno, un anno nel quale mi sembrò di sognare, di vivere una vita non mia, con la paura che tutto ciò potesse finire con la Cerimonia di Fine Formazione.
Essa veniva celebrata verso la fine dell'estate, a cavallo tra settembre e ottobre. Così, quando quel ventidue agosto venne resa nota la data della Cerimonia, il ventiquattro settembre, la minaccia di quell'evento divenne sempre più concreta.
   “Abbi fiducia, Scarlett.”
   “Siamo milioni di diciottenni, Justin, milioni. Forse dovremmo abituarci all'idea di capitare con perfetti sconosciuti”, presi fiato e sospirai, “forse dovremmo smettere di vederci, forse non avremmo mai dovuto incominciare a farlo.”
   “Non puoi pensare davvero questo, Scarlett.”
   “Non voglio, Justin, ma devo. Devo perché sì, l'amore non è basato su calcoli e affinità stabilite da un computer, ma purtroppo la società ci impone questo e noi non possiamo fare niente per cambiare ciò. Non è l'amore a formare le coppie, è la scienza. E forse l'abbinamento sarà così perfetto che ti dimenticherai facilmente di me, forse è perché le coppie formate così hanno davvero successo che nessuno si lamenta di questo metodo. Forse dovremmo accettarlo e basta.”
   “Non troverò mai nessuno come te, Scarlett. Dovessi avere la ragazza che più mi assomiglia o che è il mio opposto, nessuno sarà mai come te. Io voglio Scarlett Evelyn Moore, nessun altro. Credi quello che ti pare, ma io rimango convinto che sia meglio sposarsi in base all'amore che a stupide statistiche e calcoli.”
   “Non lo credo, Justin, ma forse sarebbe meglio farlo, sto dicendo questo...io ti amo e non immagino un futuro senza di te, ma sii realistico, quante possibilità abbiamo di rimanere insieme dopo la Cerimonia?”
   “Nessuna in più e nessuna in meno che con chiunque altro.”
   “Oh, Justin, perché ostinarti a-”
   “Perché mi rifiuto di perderti, Scarlett.”
Mi prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo, abbassando lo sguardo sulle mie labbra e poi rialzandolo, fino a quando non incontrò i miei occhi.
   “Mi rifiuto”, continuò.

Mi baciò come se non avesse più potuto farlo, come se fosse il nostro ultimo bacio, come se si rendesse conto della realtà dei fatti. Lasciai perdere i miei dubbi e le mie preoccupazioni; la Cerimonia non sarebbe avvenuta prima di un mese, volevo concedermi il lusso di vivere ancora nell'illusione che tutto sarebbe andato come sognavo da anni.

 

SPAZIO AUTRICE.

Eh già, non sono morta. In questi quattro mesi sono stata molto impegnata, perciò capitemi, please.
Adesso che la scuola è finita ho tempo per scrivere, e quindi ho deciso di fare questa breve fanfiction
(composta da solo dieci capitoli, come già scritto in descrizione). Che dire? Spero vi piaccia! (Grazie 
mille per le oltre 5000 visualizzazioni al primo capitolo di Lennox - 0127, per aver scaricato 124 volte 
il pdf e grazie a tutte coloro (41) che mi hanno aggiunto agli autori preferiti.)                                       
Baci,     
firstmarch

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Capitolo 2
*** La Cerimonia. ***


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La Cerimonia.
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La Cerimonia era un evento globalmente sincronizzato, generalmente celebrato di domenica, così da dare il via alle otto settimane il giorno seguente, il lunedì.
Quest'anno la Cerimonia si sarebbe svolta alle nove di sera, anticipata da quasi un mese di preparativi. Era l'evento dell'anno, quasi più importante delle feste nazionali e ciò richiedeva una meticolosa preparazione, niente poteva essere lasciato al caso.
Questa era la nona edizione che vedevo; vi avevo sempre partecipato, nonostante non fossi una diretta interessata.
La Cerimonia, celebrata all'aperto, nel grande giardino dell'Accademia, riuniva maschi e femmine di tutte le età, dai nove ai diciotto anni, e i loro genitori. I più piccoli, i nuovi arrivati, erano ovviamente sistemati nelle file posteriori, le ultime prima di quelle occupate dai genitori, mentre man mano che si risaliva lungo le file, si poteva notare come l'età dei ragazzi aumentasse, fino all'apice, al culmine: le prime file, dove i ragazzi più grandi attendevano di sentir pronunciare il loro nome, vestiti elegantemente e di tutto punto.
Quando partecipai per la prima volta alla Cerimonia, pensai a quanto mi parevano belli i ragazzi più grandi, a quanto erano fortunati a poter uscire di lì, a come l'emozione del momento desse loro quel tocco in più che mi affascinava.
Pagherei oro per tornare a nove anni, fa, oro e argento e tutti i soldi del mondo, pensai mentre mi facevo chiudere la zip del vestito blu da Jessica, appena un'ora prima che cominciasse la Cerimonia.
   “Si può sapere perché sei così in ritardo? Sei rimasta in camera perché ti girava la testa e hai saltato la cena, e nemmeno sei pronta! Forza, Scarlett, fuori i trucchi!”, mi rimproverò Jessica.
In realtà ero stata con Justin. Ci eravamo visti un'ultima volta prima della Cerimonia, prima che i nostri destini potessero essere compromessi per sempre. Eravamo rimasti insieme il più a lungo possibile, cercando di prolungare quell'idillio che di lì a poco sarebbe finito.
   “Scusami, hai ragione, Jess, sono solo nervosa. Ho rimuginato parecchio e mi è passato il tempo.”
   “Be', non è il momento per rimuginare, Scarlett.”
Jessica finì di truccarmi, cosa concessa solo per le occasioni speciali (anche se ogni tanto infrangevamo le regole mettendoci un po' di mascara a lezione), mi sistemò i capelli in una crocchia ordinata, lasciando da parte due piccole ciocche che lasciò ricadere ai lati del mio viso.
Se non fosse stato per lei non sarei mai riuscita a fare tutto ciò così velocemente.
Lei era già pronta. Non era mai stata così bella: il suo vestito di seta viola faceva risaltare i punti forti del suo corpo, le scarpe alte la slanciavano incredibilmente, facendola sembrare una modella. I capelli erano così lunghi da arrivarle appena sopra al sedere, mossi quanto bastava per darle un'aria sensuale. Chiunque l'avesse sposata, sarebbe stato molto fortunato, e non solo per il suo aspetto, ma anche per la persona che era.
   “Sicura che non avrai freddo?”, le chiesi io guardando le sue spalle nude e il tessuto del suo vestito.
   “Gli unici brividi che sentirò saranno dovuti all'emozione, amica mia, solo per quello! E ora forza, andiamo a scoprire chi saranno i fortunati ad averci per moglie.”
Detto questo -e devo ammettere che aggiunse troppa enfasi anche per i suoi standard- aprì la porta del bagno della nostra stanza, incitando Camille e Diane, le nostre compagne di stanza, a uscire da lì e a raggiungere le altre in giardino. Quando le tre uscirono, mi concessi un momento per guardare quella camera per un'ultima volta, lasciando che i ricordi degli ultimi nove anni riaffiorassero nella mia mente.
Poi uscii a passo deciso, diretta alla Cerimonia di Fine Formazione.


Nel giardino dell'Accademia Femminile quasi tutte le ragazze erano già ai loro posti, mentre sapevo che i ragazzi sarebbero arrivati non un minuto prima né uno dopo l'orario stabilito.
Vedevo già una discreta folla oltre i cancelli d'ingresso: parenti, amici e genitori aspettavano con ansia di poter rivedere i loro cari e soprattutto di scoprire chi avrebbero sposato.
Quando i cancelli si aprirono, io ero già seduta al mio posto in prima fila, di fianco a Jessica e Camille. Cercavo di non dare nell'occhio con il mio continuo sbirciare tra la folla, in cerca di Justin.
I ragazzi erano appena arrivati, in contemporanea con l'apertura dei cancelli, ma non lo vidi fino a quando non si sedette, ovvero nel lato sinistro della passerella che portava al palco, dove la preside e gli insegnanti avrebbero preso posto. Nonostante tutti gli altri ragazzi della nostra età presenti, lui mi sembrava comunque il più bello, nel suo smocking nero e con una cravatta del medesimo colore.
Non so come facesse a scherzare con i suoi amici, ma la tensione nell'aria era palpabile. Sorrisi di cortesia, saluti sbrigativi e strette di mano veloci, tutti sintomi di una crescente ansia. Justin picchiettava incessantemente il terreno con un piede, mentre si guardava intorno alla ricerca della sottoscritta. Quando trovò il mio sguardo mi fece un sorriso tirato, come per dire “andrà tutto bene”, ma in quel momento la preside prese parola e io fui costretta a distogliere lo sguardo.
Tutti erano ormai seduti, persino i ragazzini più piccoli, perciò niente avrebbe impedito l'inizio della Cerimonia.
   “Signori e signore, alunni e alunne dell'Accademia di Formazione di Ottawa, vi do il benvenuto alla Cerimonia di Fine Formazione dell'anno sessantanovesimo dalla Grande Epidemia!”
Applausi scroscianti accolsero con fervore le parole della preside, una donna a cui non ero mai riuscita ad affibbiare un'età precisa. Cercai di applaudire, ma odiavo la sensazione di sudore freddo alle mani, perciò decisi che le avrei battute il meno possibile. Con grande forza di volontà non mi mangiai le unghie e non mi tormentai i capelli. Jessica mi prese per mano, emozionata.
Sapevamo che i convenevoli sarebbero stati pochi: troppie persone da nominare, troppa ansia, non c'era bisogno di allungare il tutto con inutili discorsi.
   “Sono orgogliosa di essere la preside di questa prestigiosa Accademia e lo sono soprattutto dei miei ragazzi...”
Persi la concentrazione, mi morsi le labbra, le pareti interne della bocca, mi passai il dorso della mano sulla fronte e poi mi girai a guardare Justin. Era più immobile di una statua, fermo a fissare la preside e il corpo docenti, sopra il quale vi era una grande schermo, al momento bianco, ma non ancora per molto, avrei scommesso.
   “...e questa Cerimonia è un importante passo verso...”
Chiusi gli occhi e cercai di controllare il respiro. Strinsi ancora di più la mano di Jessica e afferrai anche quella di Camille, seduta anche lei al mio fianco.
   “Scarlett, mi stai stritolando la mano”, mi disse lei senza distogliere lo sguardo dal palco. Non potevo vedere la sua espressione, i capelli biondi le coprivano parte del viso.
   “Scusa.”
   “E come sempre partiremo dalle ragazze!”
La preside finì il suo breve discorso che a me parve durare un'eternità, e l'attenzione di tutti, dopo aver applaudito, naturalmente, passò allo schermo sul palco.
Comparve il volto della prima ragazza, l'ordine era alfabetico, perciò non avrei dovuto aspettare troppo.
Ci siamo, Scarlett, ci siamo.
   “Emily Abbington”, disse la preside leggendo il nome comparso sullo schermo, sotto la foto della ragazza. Dopo pochi secondi esso si divise a metà, lasciando spazio alla foto di un ragazzo, al suo nome e ad una bandierina, ad indicare la sua nazionalità.
   “Clark Stevens, Stati Uniti.”
Emily si alzò dal suo posto e ricevette uno scroscio di applausi, mentre anche il volto del suo futuro marito scompariva dallo schermo. La foto della seconda ragazza prese il suo posto e il processo si ripeté. La cosa andò avanti per un tempo infinito, mentre io cercavo disperatamente di non vomitare dalla tensione.
   “Jessica Michealson.”
Jessica, la mia migliore amica da più di nove anni, stava per conoscere con chi avrebbe passato il resto della sua vita. Temetti di perdere una mano per la sua forte stretta.
Quando sullo schermo comparve un ragazzo biondo, australiano e piuttosto carino, la sentii calmarsi. Si alzò trionfante, ricevendo compiaciuta la sua dose di applausi. Prima che potessi finire di applaudire anche io, la preside chiamò il mio nome.
   “Scarlett Evelyn Moore.”
Sentivo lo sguardo di Justin su di me, ero più che certo che mi stesse guardando, ma io fissavo lo schermo immobile, terrorizzata. In meno di un secondo tutti i momenti passati con lui riaffiorarono nella mia mente, tanto che per un momento pensai che davvero avrebbe potuto comparire la sua foto.
Ma non fu così.
   “William George Lannister, Inghilterra.”
Sullo schermo vi era la mia foto fatta a inizio dell'anno scolastico, sorridente e in ordine, e quella di un ragazzo a me totalmente sconosciuto. Aveva i capelli corti e scuri, gli occhi castani, le labbra carnose e uno sguardo di sfida verso la fotocamera che lo aveva immortalato. Era di gran lunga uno dei ragazzi più carini che fossero comparsi sullo schermo, ma non era Justin.
La folla iniziò ad applaudire, ma io non mi mossi. Non era lui. Non avrei mai passato la mia vita con Justin, mai. Avrei dovuto sposare un ragazzo che non avevo mai visto in vita mia, forse trasferirmi in Inghilterra, abbandonare la mia famiglia.
   “Scarlett, che ti prende? Alzati, per l'amor del cielo!”
Jessica mi tirò su quasi a forza, e io non riuscii a non posare il mio sguardo su Justin. Mi guardava. Il suo sguardo era quello di una persona a cui era stata tolta la cosa più importante, era uno sguardo pieno di dolore, uno sguardo di supplica. Quello sguardo mi distrusse, non riuscii a reagire.
Gli applausi finirono come erano iniziati e io potei tornare seduta.
Non guardai più lo schermo. Almeno fino a quando non fecero il nome di Diane e Camille.
Alla foto di Diane si era affiancato quella di un ragazzo mingherlino, con gli occhiali e i capelli scompigliati. Sembrava avere quattordici anni. Lei cercò di non piangere, ma io la vidi asciugarsi velocemente una lacrima non appena si sedette.
   “Camille Margot Verénce.”
Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere lo schermo dividersi in due parti, lasciando il posto ad una foto di Justin. Il mio Justin. Lasciai la mano di Camille, mentre la folla era in completo delirio: una coppia nella stessa Accademia, caso più unico che raro.
   “Justin Drew Bieber, Canada.”
Lei si alzò e si voltò verso Justin, sorridendo appena. Lui ricambiò, ma lo vidi spostare lo sguardo su di me pochi attimi dopo. Le poche volte in cui si erano visti, non avevano fatto altro che mettersi i bastoni tra le ruote. Due caratteri così forti erano destinati a scontrarsi, in qualche modo. E per la scienza il modo era questo.
Non applaudii, non la guardai e non lo guardai. Rimasi zitta e immobile per tutta la durata della Cerimonia. Il mio mondo era crollato come un castello di carte, e non ne sarebbero dovute rimanere le macerie.

 
SPAZIO AUTRICE.

Ecco il secondo capitolo della fanfiction, che allungherò di un capitolo.
Non ho potuto evitare di dedicare un capitolo intero alla cerimonia, 
quindi sì, direi che verranno undici capitoli. Posto oggi, in anticipo rispet-
to ai mei tempi (una settimana circa), perché domani parto per il mare
e per dieci giorni non avrò la possibilità di aggiornare, anche se pro-
verò lo stesso a scrivere. Grazie per le visualizzazioni e recensioni,
vi lascio i nomi degli attori che mi immagino nei panni dei personag-
gi di Scarlett, Camille, Diane e William.

 
Scarlett - Felicity Jones                           Camille - Claire Holt                               Diane - Emma Watson                             William - Ansel Elgort        

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Capitolo 3
*** Week 1. ***


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WEEK 1

parte uno.


TRAILER.


Justin premeva quasi con prepotenza le sue labbra sulle mie, quasi a volerne rivendicare il suo possesso, mentre io inarcavo la schiena portandola inevitabilmente contro il suo petto. Cercavo un contatto che non avrei potuto più avere, lo cercavo disperatamente, cercavo di creare un ricordo indelebile al passare del tempo, un ricordo che avrebbe lasciato una traccia di ciò che eravamo stati l'uno per l'altra, che sancisse gli anni passati insieme. E mentre creavamo quel ricordo, non dovevamo pensare a niente se non al momento che stavamo vivendo. Così feci.
Lasciai che le sue mani percorressero la mia schiena in tutta la sua lunghezza, lasciai che mi togliesse il respiro nella foga del momento. Gli sbottonai velocemente la camicia bianca e, una volta tolta, la scaraventai a terra, contenta di essermi liberata di quell'ostacolo che mi impediva di toccare la sua pelle, calda, quasi rovente, mentre la mia mano toccava i suoi addominali e poi i pettorali, fino a quando non trovò le sue spalle e poi il collo. A quel punto lo spinsi ancor di più contro di me, le gambe si scontravano con le sue, il vestito che avevo indossato quella sera veniva sollevato fino ad essere sfilato completamente.
Sentii i suoi muscoli contrarsi quando gli slacciai la cintura dei pantaloni, una piacevole sensazione che mi fece sorridere maliziosamente, mentre ormai a dividerci restavano pochi indumenti.
Mi staccai da lui per guardarlo negli occhi e per guardare quanto era irrimediabilmente bello, le guance rosse e i capelli scompigliati dalle mie mani, le labbra socchiuse quasi a chiedere più baci, quasi lo gridavano e io non potevo ignorare quella chiamata.
   “Ti amo, Scarlett Moore, adesso e per sempre.”
    
***


La mattina seguente mi svegliai di buon'ora: l'aereo diretto a Londra era alle dieci di mattina, perciò alle sette ero già in piedi, la cartella di William George Lannister sul tavolo della cucina, accanto alla tazza di latte e cereali che mamma mi aveva preparato come colazione.
Il giorno prima eravamo andate alla segreteria dell'Accademia, dove erano state consegnate delle schede personali su ogni futuro partner degli studenti, in modo da poter contattarsi l'un l'altro e avere qualche informazione in più sulla persona. Io non avevo toccato la cartella prima di quel momento, se ne era impossessata mia madre non appena arrivata a casa e aveva subito chiamato i Lannister per organizzare il primo incontro. Stettero al telefono quasi due ore, nella quali mio fratello, dichiaratosi aiutante ufficiale della mamma, cercava su internet offerte last minute per voli diretti a Londra.
Una volta conclusi i preparativi, mia madre aveva chiesto di poter parlare con William, ma in quel momento era fuori casa perché andato a prendere la mia cartella all'Accademia di Londra. Grazie a Dio, se fosse stato disponibile avrei dovuto parlargli al telefono e la cosa non mi allettava particolarmente.
Quella sera stessa avevamo avuto ospiti, con un piccolo inconveniente: nessuno si era preoccupato di dirmi che Justin e la sua famiglia avrebbero cenato da noi. Tutti troppo impegnati nei preparativi per il viaggio, evidentemente.
Mi ero preparata in tutta fretta, cercando di sembrare presentabile dato il così poco preavviso (dieci minuti al massimo). E poi avevo dovuto sopportare le chiacchiere dei genitori per tutta la sera, le impressioni che avevano su Camille e su William, i commenti su quanto fossero felici che non ci fossero capitate persone con delle facce poco raccomandabili. Io avevo fissato Justin tutto il tempo, mangiandomelo con gli occhi per quanto era bello in giacca e cravatta, come un vero uomo e lui aveva fatto altrettanto, solo più esplicitamente. Avevo distolto lo sguardo ogni volta che mi guardava e sorrideva con malizia e avevo pregato mentalmente che non mi si sedesse vicino una volta finita la cena. Sembrava che la Cerimonia del giorno prima fosse solo un brutto ricordo, anziché una condanna a vita. La sua presenza mi rendeva allo stesso tempo leggera e mi tormentava, ricordandomi che non sarebbe mai stato mio.
A fine serata, mentre lui e la sua famiglia si accingevano ad andarsene, mi aveva sussurrato in un orecchio di aspettarlo in camera mia e così avevamo passato la notte a baciarci, strusciarci e anche a parlare, a rassicurarci a vicenda. Stava per sorgere il sole quando Justin mi disse di provare a dormire. Quando quella mattina mi ero svegliata, lui non c'era più.
   “Scarlett, avrai tempo per leggertela da cima a fondo quella scheda, ma adesso fai la tua valigia o arriveremo tardi in aeroporto.”
   “Mh mh”, risposi a mia madre mentre lei viaggiava a tutta velocità da una stanza all'altra, prendendo le ultime cose da infilare in valigia.
Ignorai quello che mia madre mi aveva appena detto e feci colazione sfogliando la cartella di William, anche se in realtà non la stavo leggendo veramente.
   “Che hai da sorridere, Scarlett?”, mi riprese mio padre una volta entrato in cucina, quasi pronto per uscire di casa. Mi accorsi di avere un'espressione da totale ebete stampata in viso, perciò mi affrettai ad assumere un'aria seria, nonostante in quel momento mi si addicesse poco.
   “Qualcosa scritto su William è così divertente da strapparti letteralmente dal fare i bagagli? Tra venti minuti siamo in macchina, datti una mossa.”
   “Sì, papà.”
Chiusi la cartella del ragazzo e smisi di pensare alla serata appena trascorsa. Mi alzai dalla sedia finendo la colazione e in quel momento mi resi conto che le otto settimane erano effettivamente iniziate. L'inizio della fine.


Avevo scelto il posto vicino al finestrino, in modo da poter vedere tutto quello che sorvolavamo. Mia madre era seduta alla mia sinistra e mio padre sedeva un posto più in là, mentre mio fratello era rimasto a casa, dato che aveva preferito rimanere vicino a sua moglie. Per quasi due ore feci finta di ascoltare la musica (anche se in realtà le canzoni sul mio iPod si susseguivano ininterrottamente), alternandola alla lettura, anche se già dopo una decina di minuti avevo la nausea data la frequente sensazione di vuoto che faceva sussultare la maggior parte dei passeggeri, me compresa.
   “Tesoro, vuoi che chiami una hostess?”, mi chiese mia madre quando allungai e poi ritrassi una mano verso il sacchetto davanti a me, nel sedile più avanti.
   “No, sono sicura che mi passerà.”
Detto questo provai ad appisolarmi e, ignorando la brutta sensazione che mi attanagliava lo stomaco, riuscii ad addormentarmi. Non so quanto durò, ma quando mi svegliai, il pranzo era già stato servito e i miei erano palesemente addormentati. Ne approfittai per prendere dalla borsa la cartella di William e darle un'occhiata. Non pensavo avrei trovato qualcosa di interessante, ma dovetti ricredermi. Oltre al suo nome, alla data di nascita e alle sue caratteristiche principali vi era una breve presentazione del ragazzo, scritta da lui in persona. Mi chiesi perché a noi non era stato richiesto fare una cosa simile.
   “Tutto quello che bisogna sapere su di me non può essere scritto su questo foglio. Tutti quelli che mi conoscono mi descrivono in maniera diversa, quindi lascerò che sia la mia futura fidanzata a farsi direttamente un'idea del sottoscritto una volta giunto il momento, senza che io le tracci una mappa invisibile di me stesso che magari non corrisponderà alla sua realtà.
Fine. Tutto qui. Non avrei saputo definire il suo gesto. Era altezzoso oppure enigmatico? Aveva un'alta considerazione di sé o magari gli piaceva far impazzire la gente, chi poteva saperlo.
Caro William Lannister, puoi stare certo che non appena ti vedrò mi farò una chiara idea della persona che sei.


   “Scarlett, ti prego, fai un bel sorriso e smettila di guardarti le scarpe strisciandoti dietro la valigia.”
Per l'ennesima volta avevo alzato lo sguardo e per l'ennesima volta il panorama era lo stesso: una folla scalpitante di persone ammucchiate che cercavano di farsi spazio in quell'ammasso soffocante di corpi. Forse mia madre notò la mia faccia leggermente schifata alla vista del cartello “Aeroporto di Londra”, perché mi riprese un'altra volta.
   “Dov'è che sono?”, chiesi io di rimando. Mi riferivo ovviamente ai Lannister, i quali ci sarebbero dovuti venire a prendere all'aeroporto per portarci all'hotel e fare il primo incontro.
Mia madre mi lanciò un'occhiata di fuoco.
   “Dovresti essere contenta di essere la futura moglie di un ragazzo di così buona famiglia, Scarlett. Non ti capisco proprio.”
Certo che non capiva, non le era mai stata strappata la possibilità di scegliere, non le era mai stato strappato via il ragazzo che amava. Avevo promesso a Justin di chiamarlo non appena mi sarei sistemata in hotel, anche se in quel momento si fosse dovuto trovare insieme alla famiglia di Camille.
Camille Vérence, amica da più di nove anni che aveva involontariamente attratto su di sé il mio risentimento. Avevo parlato al telefono con Diane, ma avevo evitato di proposito di sentire Camille. Non potevo parlarle da amica, non ancora, nonostante lei non avesse colpa di niente.
   “Comunque sono appena fuori dall'aeroporto...guarda, si vedono già! Scarlett, dritto davanti a te, vedi quel ragazzo alto alto? È lui, tesoro, è lui. Che bel ragazzo, figliola, davvero bello. Hai avuto proprio fortuna.”
Mia madre non stava più in sé dalla gioia, mio padre sorrideva alla vista della sua reazione, mentre io aguzzavo la vista per vedere meglio il famoso William George Lannister.
Una volta più vicina notai che era davvero molto alto, doveva superarmi di qualcosa come venti centimetri, e che era anche più carino di com'era apparso nella foto mostrata alla Cerimonia di Fine Formazione. Non aveva niente che mi ricordasse Justin e non seppi se quello fosse un bene o un male. La prima cosa che notai di lui, però, fu il suo atteggiamento quasi rilassato, in netto contrasto con quelle delle nostre madri, completamente in visibilio nel vederci l'uno davanti all'altra.
Sembrava essere a suo agio persino quando sua madre lo chiamò Willy, come se fosse un pupazzo o un cane.
Quando i suoi occhi incrociarono i miei, dimenticai tutto. Dimenticai i nostri genitori che si stavano presentando a vicenda, dimenticai la valigia che mi stava trascinando lentamente verso il basso da quanto pesava, dimenticai anche Justin per un secondo o poco più, incredibilmente.
   “È un piacere conoscerti, Scarlett. Io sono William.”
Mi riscossi dallo stato di trance momentaneo in cui ero caduta.
   “Il piacere è mio.”
Ricambiai il suo sorriso con più imbarazzo di quanto avessi voluto. Il suo essere così alto, così sicuro di sé e calmo mi faceva sentire piccola, inadeguata e non all'altezza.
Si allungò verso di me abbassandosi e io trattenni istintivamente il respiro per un attimo.
   “Permetti? Deve essere molto pesante.”
Mollai la presa sul trolley, ormai retto da William, che lo stava già caricando su un auto indubbiamente all'avanguardia, ma incapace di contenere sei persone e i bagagli di tre.
   “Grazie mille”, feci appena in tempo a rispondere, prima che la mano libera venisse letteralmente afferrata dalla madre di William, Cassandra disse di chiamarsi, e poi da suo padre, Victor.
Scoprimmo che i Lannister erano venuti con due auto. Evidentemente si erano posti il problema dello spazio. Così dovetti salire sulla macchina in cui William aveva caricato la mia valigia, che scoprii essere la sua di auto, mentre i miei genitori di entrambi salirono sull'altra.
Per un momento mi chiesi se non fosse meglio andare nel sedile posteriore, da sola.
   “Contenta del risultato della Cerimonia?”, mi chiese dopo qualche minuto di viaggio, spiazzandomi.
In realtà avevo in mente di sposare un altro ragazzo, comunque nella sfiga direi che ho avuto fortuna, grazie.
   “Ehm, io non...”
   “Scusami, ci conosciamo da cinque minuti.”
Rilassai le spalle e lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
   “Te lo chiederò domani.”
Mi girai verso di lui e lo vidi accennare un sorrisetto che molte delle mie compagne di scuola avrebbero definito sexy.
   “Perché, cosa abbiamo in programma per domani?”, chiesi senza sembrare rigida e in tensione come in realtà ero.
   “Chiedimelo domani e saprò risponderti.”
   “Vuoi dirmi che tua madre non ha organizzato l'intera giornata? Sprizzava gioia da tutti i pori, quasi quanto la mia! Ne rimarrei sorpresa.”
   “Oh no, lei l'ha fatto e così anche io. Non vorrai mica restare tutto il giorno con i nostri, mi auguro.”
   “Preferirei di no.”
   “Bene, allora forse domani ti dirò qualcosa riguardo ai nostri programmi.”
Da una parte sì, non avrei voluto passare tutto il giorno con i miei con una perenne attenzione alle mie buone maniere, ma dall'altra non credevo sarei stata a mio agio da sola con William, anche se sapevo che il momento sarebbe arrivato.
Ora come ora Justin mi sembrava lontano più che mai, perciò, non appena raggiunsi la mia camera in hotel, dopo aver salutato i Lannister, mi precipitai sul mio cellulare e digitai il numero che ormai sapevo a memoria da anni. Mi mancava e per quanto William potesse rivelarsi fantastico e bellissimo, sapevo che non sarebbe mai stato come Justin.
   “Scarlett!”
Non appena sentii la voce di Justin al telefono, l'ansia che mi attanagliava lo stomaco si sciolse.
   “Puoi parlare?”
   “Posso. Come vanno le cose?”
Il suo tono di voce era spento e malinconico, nonostante avesse avuto una punta di entusiasmo non appena aveva risposto al telefono.
   “Qui tutto bene, ma...che hai, Justin?”
Prima di rispondere lo sentii sospirare.
   “Non mi sono reso conto di quanto sarebbe successo prima di stamattina, quando ho visto Camille e i suoi. E tu sei partita, adesso...mi fa impazzire saperti con un altro, Scarlett, impazzire mi fa.”
Mi lasciai cadere supina sul letto della mia camera, i miei occhi incontrarono il lampadario spento prima di chiudersi.
   “Vale lo stesso per me, non credere. Io...io non credo che tu e Camille possiate andare d'accordo per più di dieci minuti, non capisco come sia potuto accadere...”
   “Ci siamo visti tre volte all'anno per nove anni, credo di non aver avuto molte possibilità di conoscerla, adesso è arrivato il momento. E William? Lui com'è?”
Lo sentii esitare a quella domanda, come se avesse paura che tra noi succedesse qualcosa da un momento all'altro.
   “Ehm...interessante.”
   “Interessante?”
Interessante era l'aggettivo che usavo sempre per definire qualcosa che non sapevo definire; comprendeva in sé un'immensità di altri aggettivi che non avrei saputo affibbiare.
   “Passerò la giornata con lui domani, ti saprò dire.”
   “Da soli?”
Era preoccupato, mi immaginai la sua espressione in quel momento e questo peggiorò solo le cose.
   “Forse.”
Ci fu una pausa di diversi secondi prima che uno dei due parlasse di nuovo.
   “Non vorrei andarci, Justin, lo sai meglio di me...ma non posso farci niente.”
La voce mi tremava, ma sperai che lui non se ne accorgesse.
   “Sì. Sì, lo so.”
Altra pausa, questa volta più straziante.
   “Troveremo un modo, lo abbiamo già fatto.”
   “Un modo per cosa, Justin? Per stare insieme tradendo William e Camille? Ti ricordo che lei è mia amica da nove anni.”
   “Troveremo un modo per infrangere le regole.”

 
***


Quel mercoledì mattina avevamo fatto colazione in un bar nel centro di Londra insieme ai Lannister, seguita da una passeggiata nei dintorni. Mi ero sempre tenuta vicina a papà, sperando di non dover rimanere in disparte con William, ma il più delle volte fui costretta a restare accanto a lui mentre passeggiavamo per le vie di Londra. Quando non gli ero vicino, camminavo a fianco di sua madre, così interessata alla mia vita da essere quasi esasperante, ma aveva così buone intenzioni nei miei confronti che mi era impossibile non risponderle senza sorridere.
Dopo aver pranzato in hotel, potei scoprire cos'aveva in mente William per il nostro pomeriggio.
   “Non dirmi che ci saliremo davvero, William”, dissi non appena vidi l'enorme ruota panoramica che si innalzava davanti a noi in tutti e suoi centottantacinque metri.
Stavamo camminando da poco più di dieci minuti, nei quali mi ero tenuta a debita distanza da lui e non avevo quasi proferito parola. Ma davanti alla London Eye, io, che mi cagavo addosso per salire al sesto piano di un edificio, non riuscii a stare zitta.
   “Regola numero uno: non mi chiamare William. Questo è il genere di cose che fanno i genitori. Regola numero due: fidati di me.”
Mi girai verso di lui visibilmente preoccupata, ma lui non dava il minimo segno di essere in ansia, anzi, sorrideva. Sobbalzai quando mi ritrovai il braccio di William attorno alle spalle e desiderai che quel brivido che mi aveva scossa all'istante fosse solo di fastidio. Sapevo che non era così.
Non replicai a ciò che mi disse, aspettai solo di avere il mio biglietto per salire -mio malgrado- sulla ruota. Quel giorno vi era assai poca fila per la London Eye, troppo poca, perché il tempo passato ad annuire e a scuotere la testa per dire “sì” e “no” senza dover innescare involontariamente una conversazione era passato troppo in fretta. Avevo non solo paura di salire su quella stramaledetta ruota panoramica, ma avevo paura di rimanere da sola con lui, in una cabina a troppi metri da terra.
Le probabilità che fossimo da soli, comunque, erano molto basse, non eravamo gli unici a fare la fila.
Difatti non fummo soli, ma c'erano comunque poche persone per i miei gusti, anche se da una parte ne ero contenta, perché meno si era in una cabina, meno peso doveva sostenere quest'ultima e quindi non sarebbe di sicuro caduta. Proprio così, questi erano i ragionamenti che la mia mente concepiva una volta alimentata dal panico.
Fui l'unica a non stare appiccicata alle pareti della cabina, nonostante fosse quasi impossibile, dato che era tutta di vetro. William mi stette accanto non appena capì che avevo realmente una gran paura delle altezze.
   “Bisogna affrontare le proprie paure, Scarlett, o si sarà sempre terrorizzati da esse”, mi disse dopo pochi attimi. Era ovvio che si riferisse all'altezza, ma non era solo quella paura ad attanagliarmi lo stomaco in una morsa d'acciaio. Avevo paura di averlo così vicino, avevo paura di conoscerlo.
E se non mi fosse piaciuto? O addirittura, se mi fosse piaciuto, come lo avrei detto a Justin? E soprattutto, come sarei riuscita a mascherare il mio evidente disagio di fronte alle sue attenzioni?
Dovrai sposarlo, Scarlett, che tu lo voglia o no, quindi forse sarà meglio che tu te lo faccia piacere, mi disse la parte più razionale di me.
   “Spiegami una cosa.”
Mi accorsi di non aver detto neanche una parola da quando eravamo in fila e questo non andava assolutamente bene. Non potevo, aldilà delle mie paure e di tutto, farci la figura della ragazza scortese e menefreghista. Non potevo perché William sembrava un ragazzo fantastico e non potevo perché io non ero così.
“Spiegami perché sei così restia a parlarmi”, continuò lui. Ecco, se n'era accorto. Gran bel lavoro, Scarlett, gran bel lavoro. Mi voltai repentinamente verso di lui, temendo di vedere sul suo viso un'espressione arrabbiata. Ma la cosa che mi fece sobbalzare non appena mi girai fu la sua vicinanza, non la sua espressione, che sembrava più che altro confusa.
“Io...è tutto così veloce e così definitivo”, dissi cercando di essere il più credibile possibile.
“Ti capisco, Scarlett, ma se non ne approfittiamo adesso di queste otto settimane per conoscerci, poi ci ritroveremo sposati senza sapere nulla sull'altro.”
“In un modo o nell'altro dovremo sposarci, quindi credo avremo tempo a disposizione per conoscerci, all'incirca la nostra intera vita.”
Sputai letteralmente quelle parole, pentendomi della mia maleducazione pochi secondi dopo.
“Senti, scusami, ma...”
“Ami già qualcuno, non è vero?”, disse sospirando.
Ringraziai il cielo che gli altri tre turisti presenti fossero lontani da noi per non sentire la nostra conversazione.
“Cosa...come puoi pensare una cosa simile?”, finsi di essere indignata, ma in realtà ero terrorizzata. Non conoscevo William, avrebbe potuto farmela pagare per sempre, avrebbe potuto sbandierarlo ai quattro venti: io non avrei mai più rivisto Justin e sarei stata la vergogna della famiglia. Dovevo fingere e mentirgli, per il bene di tutti.
   “Non c'è bisogno che tu finga con me. Lo vedo dai tuoi occhi. Riconosco quello sguardo, credo di averlo avuto anche io quando la ragazza per cui stravedevo mi disse che era meglio non vedersi più durante gli eventi in cui gli studenti delle Accademie si riunivano.”
Ero a bocca aperta. Stupita da come mi rivelava di aver infranto a sua volta le regole, stupita della facilità con cui mi diceva di averlo fatto. In realtà non aveva propriamente infranto le regole, quello lo avevamo fatto io e Justin, ma comunque non si sarebbe dovuto innamorare di nessuno prima dei diciotto anni, punto e basta.
Dovevo negare o dovevo confessare? Tenermi tutto dentro e fingere o rischiare e parlargliene?
   “D'accordo, hai ragione. Ma ti chiedo di non dirlo a nessuno.”
   “Ti ho appena detto che mi è capitata la stessa cosa, secondo te avrei la faccia tosta di metterti nei casini?”
William mi sorrise e per la prima volta non distolsi lo sguardo. Rimasi lì, a vederlo sorridere, ricambiando timidamente quel suo gesto di confidenza.
   “Se ne avrai voglia, più avanti me ne parlerai”, continuò lui, tornando a guardare il panorama che l'altezza a cui eravamo ci offriva. Io annuii, sapendo che avrebbe notato il movimento.
Ansiosa di cambiare argomento e di non dover parlare di cose serie o anche solo pensarci, gli feci la mia prima domanda.
   “Mi stavo chiedendo...se non vuoi essere chiamato William, come dovrei chiamarti?”
Mi voltai verso di lui e mentre si accingeva a rispondere, ebbi la prontezza di osservare attentamente il suo viso senza che lui se ne accorgesse. Non era sicuramente il ragazzo più bello che avessi mai visto, ma dal suo sguardo, dai suoi movimenti e dal suo sorriso si poteva constatare una qualità ben più apprezzabile della sola pura bellezza. Aveva fascino, fascino nel parlare, con quel suo irresistibile accento inglese, e fascino nei movimenti, nel modo in cui ti guardava. Quel giorno era vestito come ogni ragazzo di diciotto anni, non come il giorno prima, quando si era presentato in giacca e cravatta (e io non avevo potuto fare a meno di squadrarlo dalla testa ai piedi, assumendo di certo un'aria alquanto ebete). William mi rispose, ma io ero intenta a guardare come la manica corta della t-shirt gli fasciasse le braccia, evidenziandone i muscoli perfettamente...
   “Scarlett?”
   “Come, scusa?”
   “Cosa stavi guardando?”
   “La tua maglia. Mi piace, è proprio figa.”
William spostò lo sguardo sulla sua maglia e io potei riprendere a respirare. Sperai di non avere le guance troppo rosse.
   “Domani ti porto in giro per i negozi e te ne compro una uguale, allora.”
   “Oh, va bene.”
Notai che mi stava di nuovo guardando e stava ancora sorridendo. Scosse la testa divertito.
   “Puoi chiamarmi Will, comunque.”
   “Will? Ah. Solo Will, sicuro? Mh, come vuoi.”
Ci stavamo avvicinando a terra, e io ero più che impaziente di uscire da lì, dove la situazione mi stava sfuggendo di mano.
   “Ti ci vorrà del tempo, ma sono sicuro che col mio aiuto te ne servirà meno di quanto tu immagini.”
Ci misi un secondo di troppo a capire a cosa si stava riferendo, ma una volta fatto eravamo già fuori dalla cabina e io non mi sentii costretta a rispondere.
Per ora un sorriso era abbastanza.

 
***


Montréal, prima settimana, giovedì.


   “So che in quelle poche volte in cui abbiamo avuto l'occasione di parlare, non siamo andati molto d'accordo, ma voglio sperare in uno sforzo da parte tua per conoscermi.”
Camille giaceva ad occhi chiusi sul dondolo della veranda di casa Vérence, accanto a me. Stavo aspettando impaziente una chiamata da parte di Ryan, mio amico di vecchia data, più grande di me di un paio d'anni. Tormentavo penosamente il cellulare, lo rigiravo tra le mani quasi come bruciasse, ma la telefonata non arrivava.
   “Tu lo farai?”, le chiesi.
   “Certo che lo farò, Justin, non arriverò al giorno del mio matrimonio senza neanche conoscere il mio futuro marito.”
Ora Camille mi fissava intensamente, con una luce diversa negli occhi che la faceva apparire più determinata che mai. Sospirai.
   “Non credo che questa faccenda delle otto settimane serva a qualcosa, in realtà.”
   “Cosa stai dicendo?”
   “Pensaci, Camille, a cosa servono se non ai preparativi per le nozze? Se fossero davvero state pensate per favorire una conoscenza tra i due ragazzi, alla fine delle otto settimane si potrebbe scegliere. Scegliere se sposarsi o no. Invece tutto è già stato scritto, quindi non credo mi cambierà molto conoscerti prima o dopo il matrimonio.”
   “Non mi importa cosa sono queste otto settimane per tutti. A me servono per conoscerti, io non voglio arrivare in chiesa e presentarmi davanti ad uno sconosciuto. Quindi tu, per la miseria, farai lo sforzo di sopportarmi, dato che ti costa tanto, e io farò lo stesso. Cercherai di trovare i miei pregi a te invisibili e farai finta di affezionarti a me, anche se non dovesse accadere. Voglio un futuro normale, non un marito che neanche sopporta il parlare con me.”
Ora eravamo uno davanti all'altro, io leggermente più alto di lei anche da seduto, lo sguardo fisso negli occhi di lei. Non avrei ceduto e lei lo avrebbe dovuto capire.
   “O se no, Camille? Non pretendere di cambiarmi, perché per te non lo farò.”
Lei distolse lo sguardo e si coprì il viso con le mani, i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
   “Te lo chiedo per favore, ho bisogno di sapere con chi dovrò sposarmi.”
   “E se non ti piacerà quello che hai davanti cosa farai?”
   “Niente, Justin, niente! Ma tu promettimi che non darai per scontato che io e te non possiamo andare d'accordo, promettimelo.”
Sospirai di nuovo e mi appoggiai stancamente allo schienale del dondolo. Mentre pronunciai quelle parole, il viso di Scarlett fece capolino nella mia mente, facendomi sentire uno schifo, quasi un traditore.
   “D'accordo. Se questo ti farà stare meglio, ci proverò. Saremo sposati, dopotutto.”
Lei si voltò verso di me e mi parlò con una nota di speranza nella voce.
   “Mi fido di te, non farmi rimpiangere questa scelta.”


   “Ryan, dimmi che questa è una cosa fattibile.”
Avevo appena raccontato brevemente al mio amico ciò che avevo in mente, un piano di fuga da Camille, William Lannister e chiunque altro impedisse a me e a Scarlett di stare insieme.
   “Amico, io i documenti falsi posso anche procurarveli, ma ci metteranno poco a rintracciarvi, non so se ce la farete, sinceramente.”
Ryan sembrava scettico, ma a me interessava il giusto. Poteva procurarmi dei documenti falsi, questo era già abbastanza.
   “Sai benissimo anche tu che in Australia non ci daranno mai la caccia, lì le regole sono diverse. Quello è un mondo a parte, Ryan, non sono obbligati a sposarsi con chi viene loro assegnato. Possono decidere cosa fare alla fine del tempo stabilito. Loro possono, noi no, ma se io e Scarlett andassimo là...be', sono più che sicuro che nessuno verrebbe a dirci qualcosa se stessimo insieme.”
   “Sei così sicuro che non vi daranno la caccia? Sai che potrebbero ipotizzare che tu hai rapito Scarlett e che quindi non sia una cosa consensuale? Justin, non fare pazzie.”
   “È un rischio che devo correre, Ryan. Devo farlo per lei.”
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi la conversazione riprese.
   “Va bene, quando vuoi partire?”
   “Poco prima dei matrimoni, quando tutti saranno impegnati coi preparativi.”
   “Vedrò che posso fare, Justin. Se riuscirai in questa impresa, mandami una cartolina, mi raccomando.”
   “Puoi contarci, amico. Grazie per tutto.”
Lo avevo promesso a Scarlett e a me stesso, avrei trovato un modo. Ora avevo un piano e qualcosa per cui lottare.

 
SPAZIO AUTRICE
 
Buonasera signore! Scusate il ritardo mostruoso, ma come vi avevo detto
nell'altro spazio autrice, sono stata in vacanza dieci giorni e poi è anche 
stato il mio compleanno...e insomma, un capitolo così lungo richiedeva del
tempo, capitemi:( Cercherò di aggiornare tutte le settimane, non vorrei fini-
re la fanfiction a dicembre, lol. Credo che dovrò allungarla di un paio di 
capitoli, da arrivare quindi a 12-13. Grazie mille a tutte quelle che leggono,
recensiscono e mettono tra le seguite/preferite! Un bacio a tutte e scusate 
per eventuali errori, non ho riletto.

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Capitolo 4
*** Week 1.2 ***


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WEEK 1.

parte due.

 

 

Il giorno seguente avevamo passato solamente metà giornata con la famiglia Lannister, ma non mi era dispiaciuto affatto stare da sola per un po'. Avevo provato a telefonare a Justin più volte, ma il telefono squillava a vuoto, instillandomi dentro una punta di ansia e scetticismo. Volevo sapere come gli stavano andando le cose, avevo voglia di sentirlo, di isolarmi da tutto questo casino parlando con lui. Avevo bisogno di staccare la spina da William, Londra e tutto ciò che ne conseguiva. Quella sera stessa mi arrivò un messaggio da parte di Justin, così breve e conciso che mi venne voglia di buttare il cellulare dalla finestra.
   
“Ci sentiamo domani, fatti trovare disponibile.”
Il signorino non aveva risposto al telefono per tutto il giorno, disponibile proprio per un cavolo, mentre io mi sarei dovuta tenere pronta a una sua chiamata in qualsiasi momento della giornata? Cos'è, lo avevo disturbato mentre era impegnato con Camille?
Forse stavo solo diventando paranoica o forse sopravvalutavo la mia importanza per lui.
Fui sfuggente e sgradevole per tutta la sera, tant'è che mi rifiutai di uscire persino dopo cena. Mi rinchiusi in camera e sperai di prendere sonno in fretta, più facile a dirsi che a farsi, dati tutti i pensieri che mi vorticavano per la testa.

 

***

 

Quella mattina fu il mio cellulare a svegliarmi, preso a vibrare mostruosamente, tormentando il letto su cui ero sdraiata e su cui lo avevo lasciato.
La mia prima reazione fu quella di avventarmi su di esso, nonostante fossi ancora mezza rincoglionita dal sonno, ma una volta scoperto che non era Justin a chiamarmi, ma bensì un numero sconosciuto, tutta l'energia che avevo dimostrato di avere, mi abbandonò.
Guardai l'ora sul display prima di rispondere: le sette e ventuno. Mi portai il telefono all'orecchio sospirando, per poi lasciarmi ricadere sul letto, di nuovo.
   
“Chi è?”
   
“Chiunque tu voglia che sia”, mi rispose la voce di William dall'altro capo della linea. Sorrisi nel sentirlo parlare così.
   
“Per caso hai assunto un investigatore privato e così sei riuscito a scoprire il mio numero?”
   
“Chiamalo investigatore, chiamalo fato. Io lo chiamo “madre di Scarlett Moore”.”
   
“E tu hai detto alla madre di Scarlett Moore cos'avresti fatto con il mio numero?”
   
“Non credo lo voglia davvero sapere.”
   “E perché no?”
Era divertente parlare con lui, quasi non sentivo il fatto che fossero le sette e venti di mattina, e quasi non ne risentivo più del fuso orario.
   
“Ci sono conversazioni che una madre non sarebbe felice di ascoltare.”
   
“Conversazioni presenti solo nella tua testa, William Lannister. E ora dimmi perché mai mi chiami a quest'ora folle.”
Mentre dicevo quelle parole non riuscivo comunque a non sorridere. Per lui era un gioco e dovevo ammettere che era molto bravo nel giocarlo.
   
“Hai due opzioni, Moore. La prima: esci il più in fretta possibile dall'hotel e vieni con me. La seconda: esci il più in fretta possibile dall'hotel, ma mi fai entrare. E allora sì che tua madre si pentirebbe di aver dato il numero della sua figliola a un simile ragazzo.”
Scoppiai a ridere prima di potermi controllare. Era incredibile come osasse mettermi così in imbarazzo senza neanche conoscermi. Justin non lo avrebbe mai fatto...ma la cosa non mi dava fastidio, anzi, le sue proposte, seppur messe sul ridere in questa maniera, stuzzicavano irrimediabilmente la mia curiosità. Dove avrebbe voluto portarmi? Mi scocciava ammetterlo, ma ero impaziente di saperlo.
   
“Ti ricordo, Lannister, che l'ultima volta in cui ho deciso di fidarmi ciecamente di te e delle tue idee, mi sono ritrovata su una ruota panoramica a quasi duecento metri da terra. La mia più grande paura.”
   
“Non hai torto, Moore. Questa volta niente di pericoloso, giuro.
Lo sentii ridacchiare e io non potei non fare lo stesso. Ero già in piedi prima che finisse la frase.
   
“Stupiscimi, William Lannister.”
Chiusi la chiamata senza aspettare una risposta, non volevo farlo attendere troppo. L'errore che commisi fu quello di dimenticarmi di mettere in borsa il cellulare, abbandonato sul comodino accanto al letto.
 

   “Siamo arrivati?”
Erano ormai passate due ore da quando ero salita in macchina con William e ancora non sapevo dove fossimo diretti. Avevo detto a mia madre che sarei tornata a casa quella sera stessa, ma se il viaggio fosse durato ancora molto, sarebbe stata dura ritornare in tempo.
   
“Peggio dei bambini, Moore.”
   
“Smettila di chiamarmi per cognome, dall'Accademia ci siamo già usciti.”
   
“Io ti chiamo come voglio, Moore. O preferisci Miss Moore?”
Era continuamente uno scherzo per lui.
   
“Mi faccia capire, Mr Lannister, io non posso chiamarLa William, ma Lei può chiamarmi come vuole? È un dittatore, per caso?”
   
“Come desidera, Moore. E per la cronaca, siamo quasi arrivati.”
Scendemmo dall'auto dopo dieci minuti e io non potei fare a meno di controllare che ore fossero sul cellulare. Il cellulare... dove diavolo lo avevo messo?
   
“Cerchi qualcosa?”
   
“Il telefono, ma credo di averlo lasciato in hotel.”
Dovevo avere un'espressione omicida, perché non potevo aver dimenticato il cellulare. Justin mi avrebbe chiamato quel giorno stesso, che avrebbe pensato se non gli avessi risposto?

Lasciai stare la borsa che mi ero portata dietro e iniziai a camminare per lasciare che la rabbia verso me stessa passasse. Sentii William seguirmi, ma non mi fermai.
   
“Ho io il cellulare. Se hai bisogno di chiamare i tuoi, posso benissimo prestarti il mio.”
   “No. No, grazie.”
Avevo caldo, un caldo mostruoso. Mi resi conto di non sapere dove stessi andando, così iniziai a rallentare fino a fermarmi.
   
“Ehm...dov'è che dobbiamo andare?”, chiesi vergognandomi del mio scatto d'ira. Che stupida dovevo sembrare.
   
“Anche se te lo dicessi, tu non sapresti come arrivarci.”
William era appena dietro di me, potevo immaginare il suo irresistibile sorrisetto da “so tutto io” sulla sua faccia. Mi voltai un po' troppo in fretta, perché mi scontrai contro di lui. Per fortuna era più alto di me di molti centimetri o a quest'ora la mia testa avrebbe incontrato la sua e mi sarebbe spuntato un bel livido in fronte per la botta.
   
“Ehi, ehi, calma i tuoi bollenti animi, Miss Moore.”
Lui non si mosse dal posto, mi tenne solo ferma per le braccia. Lo guardai di traverso.
   “Smettila con questi appellativi, William.”
Non era il momento giusto per stuzzicarmi.
   
“D'accordo, Scarlett Moore. Permettimi di darti il benvenuto a Stratford-upon-Avon, città natale di Shakespeare.”
Mi guardai intorno e mi chiesi come avessi potuto essere così stupida da non accorgermi di dove fossimo.
   
“Mi concederai l'onore di essere la mia Giulietta, quest'oggi? O Cleopatra o Titania, regina delle fate, ma non credo che Oberon sia stato molto carino con la sua sposa...”
Mi porse la mano con il palmo rivolto verso l'alto e in quel momento non potei evitare di sorridere.
Allungai la mia mano e la posai sulla sua, per poi lasciare che me la sfiorasse con un bacio. Non staccò gli occhi dai miei neanche quando si abbassò sulla mia mano.
   
“Solo per oggi, mio signore.”
   
“Mi piace “mio signore”, mi piacerebbe essere chiamato così anche domani e dopodomani e il giorno...”
   
“Solo oggi.”
   
“D'accordo, Miss Moore.”
William mi sorrise soddisfatto, mentre ci incamminavamo verso il centro della città, senza ancora aver lasciato la mia mano.

 

Camminammo tutto il giorno e la cosa mi stancò meno di quanto mi aspettassi. Quella di oggi era stata una full immersion nel mondo di Shakespeare, un flashback nel sedicesimo secolo, ma non mi era dispiaciuto affatto, anzi, era stata di gran lunga una gita interessante. Questa volta “interessante” non alludeva minimamente ad altri aggettivi.
Dovetti ammettere di essermi persa nel guardare William, ogni tanto, ma solo per poco. Le vere distrazioni provenivano dalla mia testa. Continuavo a tormentarmi per la telefonata di Justin. Non avrei saputo proprio come giustificare la mia assenza. Avrei potuto dirgli che me lo ero dimenticata in hotel, ma il fatto che non potessi andare a prenderlo per tutto il giorno aveva come conseguenza un'unica domanda: cosa avevo fatto di tanto importante per non tornare in hotel per tutto quel tempo? Avrei dovuto dirgli la verità, dirgli che ero stata da sola con William, in un'altra città, lontani dalle nostre famiglie, e che mi era pure piaciuta la gitarella da lui organizzata.
Non c'è stato niente di male nel farlo, Scarlett, non hai fatto niente per cui tu debba sentirti in colpa.
Erano circa le sette e mezza, quando ci fermammo in un ristorante che difficilmente avrebbe fatto entrare due diciottenni come noi, oltretutto neanche vestiti eleganti. A dispetto di quello che credevo, nessuno ci disse niente sul nostro abbigliamento non del tutto consono, anzi, scoprii che ci era stato riservato un tavolo abbastanza in disparte.
    “Potrei addormentarmi in macchina se arriviamo a casa tardi, sai?”, gli dissi io mentre assaggiavo il dolce appena portato dal cameriere, a fine serata. Lui alzò lo sguardo su di me. Non perdeva minimamente la sua aria affascinante neanche quando masticava, la guance gonfie per via del cibo. Trattenni una risata, volevo essere convincente.
   
“Nessuno te lo impedisce”, mi rispose lui sorridendo o, almeno, ci provò. Sorrisi forzatamente, tornando a fingere di concentrarmi sul dessert.
   
“Non ti sarei di grande compagnia.”
   
“Siamo insieme dalle sette di stamattina.”
Appoggiai il cucchiaino nel piatto in cui mi avevano portato il dessert e lo guardai dritto negli occhi.
   
“Vorrei essere in hotel per un orario decente, se non ti dispiace.”
Per la prima volta lo vidi spazientirsi. Mi pentii immediatamente dei miei toni bruschi. Dopotutto ero lì per conoscerlo e lui stava organizzando delle cose carinissime per me, mente il mio unico pensiero era quello di attaccarmi al telefono e parlare con Justin.
   
“Scusami, sono solo stanca”, dissi prima che potesse rispondermi.
   
“Se hai finito, vado a pagare il conto.”
Vidi che era serio, così non mi azzardai a dire più di un “sì, grazie”. Non osai parlare nemmeno una volta usciti dal ristorante, mentre camminavamo vicini verso il centro della cittadina. Dopo una decina di minuti in completo silenzio, mi decisi a rompere la barriera che si era creata tra di noi.
   
“Scusami per prima, Will. Non intendevo essere così sgradevole.”
Usai un tono così formale che quasi mi vergognai di me stessa.
   
“Vorrei solo che tu la smettessi di pensare continuamente a quel ragazzo. Forse ho sottovalutato i tuoi sentimenti per lui, sono più seri di quanto immaginassi.”
Rimasi in silenzio un secondo di troppo.
   
“Mi dispiace, Will, è difficile per me...”
   
“Lo è anche per me, Scarlett. Ti conosco da quattro giorni e già non mi dai alcuna chance. So che pensi ad un altro e sento che qualunque cosa faccia sia inutile.”
Il suo tono era deciso e irremovibile.
   
“Questo non è vero.”
La luce era scarsa, solo ogni tanto riuscivo a sbirciare la sua espressione grazie a quella emanata dai lampioni affacciati sulla strada.
   
“È vero se tu non deciderai di provarci con me. È la cosa migliore che tu possa fare, dato che non possiamo scegliere con chi sposarci.”
   
“Ti chiedo solo del tempo, solo quello.”
Aveva così ragione che mi faceva male ammetterlo.
   
“Abbiamo otto settimane e poi ci sposeremo. Non voglio sposare una donna che è innamorata di un altro.”
   
“Mi stai dando una scadenza? Non posso garantirti che entro quella data non penserò più a Justin.”
   
“Justin.”
Mi era scappato, ma ormai era troppo tardi. Sembrò riflettere un attimo su quell'unica parola, come se ci fosse effettivamente da riflettere su un nome, poi parlò.
   
“Cosa posso fare, Scarlett?”
   
“Quello che stai già facendo.”
   
“E cosa starei facendo?”
Ci eravamo fermati, accanto a noi vi era un parco da cui giungevano le urla divertite di alcuni bambini, ma la mia attenzione era rivolta a William, di fronte a me, così vicino da sentire il calore del suo corpo. Non sapevo bene come tradurre la sua espressione. Esitava, in attesa di una risposta, ma, allo stesso tempo, vedevo i suoi occhi percorrere il mio corpo in tutta la sua altezza. La sua vicinanza mi stava mettendo a disagio, molto.
   “Questo.”
Allargai le braccia a indicare metaforicamente la gita di oggi e le sue attenzioni, ma con quel gesto riuscii anche ad allontanarmi leggermente da lui.
   
“Devi promettermi una cosa”, mi disse lui, il tono di voce così basso da farmi rabbrividire. Questa volta, quando si avvicinò di nuovo a me, non mi azzardai ad allontanarmi. Rimasi immobile, aspettando che mi dicesse altro.
   
“Promettimi che farai di tutto per non pensare a lui e che ti impegnerai a farmi sentire a mio agio quanto lo sto facendo io per te, una volta venuto in Canada.”
Non sono a mio agio, pensai.
   
“Queste sono due cose, però”, risposi io, riuscendo ad accennare un sorriso. Adesso mi stava mettendo in imbarazzo.
Il mio petto si scontrò delicatamente contro il suo. Senza che me ne fossi accorta, William si era avvicinato ancora di più a me. Ma se da una parte avrei voluto spingerlo via, dall'altra non riuscivo a muovere un dito, in attesa di ciò che sarebbe successo.
   
“Promettimelo”, mi sussurrò all'orecchio, dopo essersi abbassato su di me. Vidi con la coda dell'occhio la sua bocca troppo vicina al mio viso, tanto che un brivido mi percorse tutta la schiena.
   
“Io...”
Spostò la testa più a destra, trovandosi così nella posizione perfetta per...
   
“Te lo prometto.”
Mi ritrovai a trattenere il sospiro, quasi in trance, mentre il tempo rallentava e l'attimo si prolungava all'infinito. Avevo lo sguardo fisso sulle sue labbra, erano così invitanti che non potevo non desiderarle. Lì, quasi al buio, in un paese che non conoscevo, lontana da tutto e da tutti e così vicina a lui, tutto sembrava appartenere a un altro mondo.
Sentii la sua mano toccarmi la nuca e avvicinarmi a sé e prima che potessi soltanto pensare qualcosa, mi ritrovai stretta a lui, la sua bocca contro la mia. Avevo un caldo pazzesco, le guance bruciavano e sentivo crescere quasi un fuoco dentro di me, che mi imponeva di non staccarmi da William.
Poi mi ricordai dell'ultima volta che avevo baciato un ragazzo, di quanto era stato simile a quel momento. Era stato cinque giorni prima e quel ragazzo era Justin. Premetti le mani contro il suo petto e lo allontanai da me.
   
“Ma per questo credo dovrai aspettare.”
Quelle parole mi erano uscite così male...erano come un'altra promessa, come se fosse sottinteso che prima o poi mi avrebbe potuta baciare come se niente fosse. No, non doveva più succedere.
La ragione mi diceva che non c'era niente di sbagliato nel baciare il ragazzo che sarebbe diventato mio marito, ma il cuore urlava, urlava quanto fosse stato grave quell'errore, che non avrei dovuto permettere che le sue labbra toccassero le mie neanche per quei pochi secondi, che ero stata una stupida a cedere così facilmente all'innegabile attrazione che provavo per William. Sì, ero attratta da lui, ma non ne ero innamorata. Volevo Justin, non lui.
Lo vidi respirare affannosamente, come se avesse fatto uno sforzo, ma poi sorrise.
   
“Posso aspettare.”
   
“Perché l'hai fatto?”, chiesi, sentendo rabbia e fastidio crescere dentro di me. Come si era permesso?  
   
“Per vedere come avresti reagito. Per vedere se ho davvero qualche possibilità.”
Rimasi ammutolita.
   
“E allora?”
   
“E allora ho avuto le mie risposte.”
Sorrideva così trionfante che capii che non sarei riuscita in nessun modo a fargli cambiare idea.
   
“Torniamo a casa?”, mi chiese un attimo dopo.
   
“D'accordo.”
Non riuscii a dire altro, il senso di colpa era così forte da far male e la debolezza che mi aveva fatto assecondare William mi faceva incazzare.
Per tutto il tragitto fino alla macchina restammo in silenzio, anche se notavo gli sguardi di fuoco che di tanto in tanto mi lanciava, come a ricordarmi della sua vittoria. Guardai dritto davanti a me tutto il tempo. Avevo combinato un casino.
 

Era quasi mezzanotte quando rientrai in camera mia. Raggiunsi in fretta il cellulare ancora appoggiato sul comodino accanto al letto e sbloccai la schermata iniziale. Cinque chiamate perse, due messaggi in segreteria. Oh Dio, dovevo chiamarlo subito. Facendo un rapido calcolo, doveva essere tardo pomeriggio a casa, perciò non esitai un attimo nel richiamarlo.
   
“Si può sapere dove diavolo sei stata per non rispondere a cinque chiamate? Te lo avevo pure detto che ti avrei chiamata!”
Non appena sentii di nuovo la sua voce, mi sentii non una stupida, peggio.
   
“Scusa, scusa, scusa, ho dimenticato il telefono in hotel, non ho potuto rispondere, mi dispiace tanto, credimi.”
Lo sentii sospirare, irritato.
   
“Mi sei mancata, Scar, solo questo. Aspettavo il momento di chiamarti per sentirti e tu non c'eri.”
Nessuno mi chiamava Scar se non lui, odiavo quel soprannome, ma a Justin non interessava. Il mio nome era forse troppo lungo per i suoi gusti.
   
“Se è per questo tu non ci sei stato giovedì, Justin.”
   
“Ero impegnato.”
   
“Impegnato con Camille?”
Sospirò ancora.
   
“Te lo dirò più avanti, quando tutto sarà più sicuro.”
Sentii crescere dentro di me un sentimento così potente da sopraffare qualsiasi pensiero razionale. Gelosia.
   
“Cosa sta succedendo tra te e Camille?”
   
“Niente di cui tu ti debba preoccupare! Ma forse sono io a doverti chiedere cosa sta succedendo tra te e William.”
Rimasi in silenzio e seppi che ciò gli fece male, gli fece capire che c'era qualcosa di rilevante che non sapeva.
   
“Cos'è successo, Scarlett?”, ripeté risoluto, questa volta con un tono di voce che mi fece rabbrividire.
   
“Sa di noi. Se n'è accorto.”
   
“Che co...sa di noi?! Stai scherzando, spero! Ci denuncerà, Scarlett, è una faccenda seria, non un gioco.”
   
“No! Sa solo che sono innamorata di un certo Justin, nient'altro, figurati se vado a raccontargli la storia della mia vita dopo quattro giorni.”
Intanto però hai lasciato che ti baciasse. Strinsi gli occhi cercando di mantenere un contegno, anche se nessuno avrebbe potuto vedere cosa stessi facendo.
   “Nient'altro, d'accordo. Scarlett, mi hai fatto cagare in mano, non rifarlo.”
Poi, senza pensarci due volte, dissi ciò che non mi sarei mai immaginata di potergli dire.
   
“Credo che non dovremmo sentirci per un po', almeno fino a quando non tornerò a casa.”
Silenzio, ancora.
   
“Smettila con gli scherzi.”
   “Sono seria.” 
   
“Perché mi chiedi una cosa del genere? Perché William ti piace, è così?”
Sentivo la rabbia montargli dentro, lo sentivo dal suo tono di voce. Cercai di mantenere la calma e di ricacciare indietro le lacrime. Avevo promesso una cosa a William ed era probabilmente la cosa giusta. L'unico modo per smettere di pensare a Justin era tagliare i rapporti almeno fino al mio ritorno.
   
“Gli ho promesso di provare a conoscerlo e di non essere così scostante come lo sono stata fino ad adesso.”
   
“E questo quando è successo?”
   
“Stasera.”
Ancora silenzio.
   
“E questa promessa implica il non sentirmi?”
   
“Non posso essere carina e gentile con un altro ragazzo se nella mia mente ci sei solo tu, Justin.”
   
"Non mi sta bene, Scarlett, mi dispiace.”
   
“Mi ha dato un bacio, Justin”, dissi prima di poter riflettere. Non riuscivo a fare finta di nulla, non riuscivo a mentirgli, perché era come mentire a una parte di me.
   
“Ha fatto cosa? Spero tu gli abbia tirato uno schiaffo, santo Dio, se ti tocca di nuovo...”
Era furioso, come mai lo era stato. In altre occasioni mi sarei sentita lusingata nel sentirlo così geloso, ma adesso mi sentivo solo in colpa.
   
“L'ho allontanato dopo un attimo.”
Lo sentii in parte calmarsi, ma sapevo che se avesse realmente saputo o visto com'erano andate le cose, né io né William ne saremmo usciti indenni.
   
“E tu hai davvero intenzione di dargli una possibilità?”
   
“Sì.”
   
“Ci sentiamo al tuo ritorno, Scarlett.”
E poi chiuse la telefonata.

 

***

 

Quel sabato passai l'intera giornata coi miei genitori, dato che il giorno seguente saremmo dovuti partire. Non avevo sorriso neanche una volta. Mia madre, quasi come se non si fosse accorta di nulla, mi informò che, il giorno seguente, mio fratello Thomas e sua moglie Felicity sarebbero andati a fare un'ecografia. Invidiai per un momento Felicity e il figlio che forse stavano aspettando, perché da quando io e Thomas eravamo entrati all'Accademia, niente era più stato come prima. Certo, potevamo vederci chiedendo permessi speciali, dato che comunque eravamo fratelli, ma non era lo stesso. Eravamo sempre stati molto uniti, ma dopo l'arrivo di Felicity in famiglia non avevo più potuto comportarmi come prima con mio fratello. L'avevo incontrata così poche volte che per me era quasi una sconosciuta. Una sconosciuta simpatica, ma pur sempre un'estranea.
Perciò l'unica cosa che dissi fu: “spero sia femmina”.
 

La sera cenammo dai Lannister. Nonostante cercai di sedermi tra mia madre e mio padre, fui costretta a stare accanto a, rullo di tamburi, William.
Fu verso la fine della cena che Cassandra propose la cosa più assurda che potesse proporre.
   
“Per noi non sarebbe un problema ospitare Scarlett per qualche giorno, se siete d'accordo.”
   
“Mia moglie ha ragione. Potrebbe tornare in Canada con noi, tra pochi giorni verremo noi da voi. I ragazzi potrebbero passare più tempo insieme”, disse il signor Lannister, seduto a capotavola.
Quando vidi mia madre scambiare uno sguardo di intesa con Cassandra, capii che era finita. Nessuno avrebbe chiesto quello che volevo io, perciò avrei dovuto mettermi l'anima in pace. Poi pensai al fatto che avrei dormito nella stessa casa di William, che sarei stata insieme a lui praticamente ventiquattro ore su ventiquattro.
   
“...il fratello di William non abita più qui da qualche anno, abbiamo una camera in più...”
Bevvi un sorso d'acqua, ma rovesciai gran parte di essa sulla tovaglia, attirando su di me lo sguardo di tutti.
Non avevo più ascoltato i loro discorsi, sapevo che tutto era già deciso.
   
“Scarlett, stai bene?”, mi chiese William non appena mi sbrodolai addosso l'acqua come una deficiente. No, non stavo bene. Avevo caldo e mi sentivo soffocare. Volevo solo tornare a casa, tornare addirittura all'Accademia. Non ce la facevo più.
   
“Ho solo bisogno di un po' d'aria.”
William annuì e si alzò dal tavolo, facendomi strada verso il giardino. Avrei evitato volentieri di rimanere ancora da sola in sua compagnia.
Dopo pochi minuti, quando ormai mi ero calmata, William parlò.
   
“Non sei obbligata a restare.”
   
“No, va bene così.”  
   
“Sei sicura?”
No. “Sì.”
   
“Partiremo o lunedì o martedì, starai sì e no un paio di giorni.”
Mi voltai verso di lui, annuì e sfoggiai il mio miglior sorriso falso.
   
“Va bene così.”
Rientrai in casa senza aspettarlo.

 

***

 

La mattina seguente mi alzai presto, nonostante avessi già preparato le mie cose per spostarle a casa Lannister. Erano le otto di mattina quando uscimmo dall'hotel. Davanti a me vi era William, appoggiato contro la sua macchina, in attesa del mio arrivo. Mi concesse solo un sorriso provocatorio e un'occhiata tagliente, prima di prendere la mia valigia e caricarla in macchina.
   
“È stato un piacere conoscervi, signori Moore. Ci rivediamo tra qualche giorno”, salutò così i miei genitori. Sperò di cavarsela, ma mia madre lo strinse in un abbraccio, ai miei occhi, esagerato. Mio padre gli strinse la mano e gli raccomandò di “prendersi cura della sua bambina”. Poi fu il mio turno ad abbracciarli.
   
“Sii gentile, Scarlett, non mancargli di rispetto. Ti voglio bene”, mi sussurrò mia madre all'orecchio, prima di lasciarmi andare dal suo abbraccio. Io mi limitai ad annuire. Lo avrei fatto, lo avevo promesso sia a me che a lui.
 

Quando entrai per la prima volta in casa Lannister, non mi soffermai molto sui dettagli, ero più che altro distratta, ma quella mattina mi accorsi di quanto fosse grande e ben arredata. Al piano inferiore vi erano la cucina e il salone, il quale dava sul giardino curatissimo. Al piano superiore, invece, vi erano le tre camere da letto e altrettanti bagni: uno comunicante con la camera dei signori Lannister, uno che collegava la camera di William e quella di suo fratello e uno in fondo al corridoio. Notai subito quanto fosse stata personalizzata la camera in cui sarei stata. Era ovviamente stata di un ragazzo. I colori erano scuri, varie tonalità di blu, ma il pavimento era l'unica cosa che si differenziava, essendo bianco. Di fronte al letto vi era una portafinestra che dava su un balcone affacciato sul giardino.
   
“Se ti serve qualcosa, faccelo sapere, Scarlett. Adesso ti lascio da sola”, disse Cassandra prima di richiudere la porta alle sue spalle. Passai il resto della mattinata lì, a contemplare il soffitto e a cercare di non pensare a niente. Scesi solo una volta, per pranzo, ma tornai subito in camera mia, non avevo voglia di stare da sola con William. Purtroppo per me, venne a bussare alla mia porta non appena me la richiusi alle spalle. Non appena entrò lo guardai indispettita, ma mi ricordai immediatamente della promessa che avevo fatto.
   
“Che ci fai qui, William?”
   “Devo dirti quello che penso davvero o no?”, chiese avvicinandosi a me.
   
“Preferirei di no.”
   
“Meglio così, non credo che la verità ti sarebbe piaciuta...o forse sì”, disse, ammiccando.
   
“Dimmi ciò che hai da dire e poi sparisci”, dissi ridendo.
   
“Mi stai cacciando da casa mia, Moore?”
Io lo guardai storto.
   
“Va bene, va bene. Questo pomeriggio mi vedo con degli amici. Vieni anche tu?”
   
“Ehm...non so quanto...”
   
“Ok, alle cinque passo e ti trascino fuori.”
Detto questo uscii, senza lasciarmi la minima possibilità di controbattere. Così, quando furono le quattro e mezza, iniziai a prepararmi. mancavano pochi minuti all'orario stabilito quando il mio cellulare suonò. Era mamma.
   
“Ciao mamma. Tutto bene il viaggio?”, chiesi con voce annoiata.
   
“Scarlett, devi tornare subito in Canada.”
Mia madre era tesa e spaventata come mai lo era stata, riuscivo a sentirlo.
   
“Mamma, calmati e dimmi che sta succedendo.”
   
“Prendi il primo volo e raggiungici. Chiedi scusa ai Lannister per...”
   
“Mamma, calmati! Che cosa è successo?!”
Sentivo un gran baccano di sottofondo, ma non capivo cosa fosse.
   
“Thomas e Felicity.”
Mi bastarono quei due nomi per interrompere mia madre. Senza accorgermene alzai la voce anche io.
   
“Siete all'ospedale.”
   
“Hanno fatto un incidente, sono gravi entrambi.”
Non capii se mia madre stesse piangendo, ma avevo saputo abbastanza.
   
“Farò il prima possibile.”
Chiusi la telefonata e mi precipitai verso la porta della camera, che però si aprì in quel momento. Non appena William vide la mia espressione, si rabbuiò, ma io non gli permisi di fare domande.
   
“Devo tornare a casa.”
 


SPAZIO AUTRICE.

Capitoli sempre più lunghi, yeaah! Quindi, dopo quest'ultimo, 
abbiamo capito due cosucce: a Scarlett piace William, punto uno,
rivedremo Justin nel prossimo capitolo, punto due. Voi per chi sie-
te? La coppia Jarlett (???) o Warlett (???) Lasciando da parte questi
nomi ridicoli, spero vi sia piaciuto, il capitolo! A presto, un bacio.

 

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Capitolo 5
*** Week 2. ***


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WEEK 2.




Entrammo nel taxi quasi volando, nonostante avessimo le nostre due valige con noi. Una volta sistemate nel bagagliaio, dissi al tassista di volare letteralmente all'ospedale di Ottawa dove mia madre mi aveva detto che Thomas e Felicity erano ricoverati. Il tragitto dall'aeroporto all'ospedale non durò più di venti minuti, ma mi sembrò comunque un'eternità. Avevamo preso il primo aereo disponibile, che si era rivelato essere alle undici di sera, ma grazie al fuso orario eravamo arrivati in Canada poco dopo le undici.
William aveva subito avvertito i suoi genitori, che avevano preferito lasciare andare solo noi due, loro ci avrebbero raggiunti martedì sera. Avevano fatto i migliori auguri di guarigione a mio fratello e Felicity e ci avevano accompagnato all'aeroporto e pagato il viaggio (pure a me, sì) senza che ci fosse bisogno di chiedere qualunque cosa. Avevano solo chiesto di ricevere notizie da William su come fosse andato il viaggio e su come la situazione si stesse evolvendo. Li avevo ringraziati per la loro disponibilità e gentilezza e poi io e Willam avevamo dovuto salutarli.
Per tutto il viaggio in aereo rimasi sveglia, non chiusi letteralmente occhio, rimasi in tensione, soprattutto quando Will cercò di stringermi una mano tra le sue. Lo scansai sovrappensiero, ma quando più tardi ci ripensai, capii che forse ero stata troppo brusca. In fondo voleva solo consolarmi, in fondo era lì con me, con una ragazza appena conosciuta, diretto dall'altra parte del mondo perché un ragazzo a lui sconosciuto era in fin di vita. Così, quando ormai ci stavamo preparando per atterrare, gli presi la mano appoggiata al bracciolo che ci divideva e gli chiesi di non lasciarmi, qualunque cosa sarebbe successa. Mi aveva promesso che non lo avrebbe fatto e aveva detto che molto probabilmente si sarebbe tutto risolto. A quello avevo annuito con poca convinzione. Non avevo mai sentito mia madre così spaventata, non poteva essere qualcosa da poco e ciò spaventava anche me. Non avevo avuto notizie di mio fratello o di Felicity da quando, prima di fare il check-in, mia madre mi aveva mandato un messaggio con su scritto l'ospedale, il piano in cui si trovavano e uno sbrigativo “stabili”.
Avevo bisogno di vedere Thomas, che mi avessero fatto entrare nella sua stanza o no, lo avrei visto.
L'ansia riusciva a tenermi perfettamente sveglia, anche se sapevo che non appena fossi arrivata a destinazione, sarei crollata dalla stanchezza.
   “Potresti dirmi un hotel dove stare stanotte, Scarlett?”, mi chiese William piano, quasi come se avesse paura di disturbarmi. Mi ci volle un attimo per pensare a cosa rispondergli.
   “Stai a casa mia.”
   “Non voglio essere d'intralcio, con questa situazione poi...”
   “Non sei d'intralcio. Se a te va bene, puoi restare.”
E io non sarò sola. Io e Justin non ci eravamo più parlati, quindi pensai che non sapesse niente dell'accaduto. In cuor mio speravo lo venisse a sapere senza che io gliene parlassi, che venisse da me e mi stringesse fino a quando mio fratello non sarebbe stato meglio. Sapevo che lui non mi avrebbe richiamata per primo e io non avevo voglia di parlare con un Justin maldisposto nei miei confronti. William era con me e questo era abbastanza, forse.
   “Grazie.”
Mi sorrise, anche lui stanco, e io mi sforzai di ricambiare, anche se forse l'unica cosa che mi uscii fu una smorfia. Non appena il taxi si fermò, tirai fuori la banconota con più valore che avessi con me e non aspettai neanche che mi desse il resto, saltai giù dal veicolo e camminai spedita verso l'ingresso dell'ospedale, con William al mio seguito. Mi accorsi solo quando entrai che aveva preso entrambe le valigie, dato che io me ne ero completamente dimenticata.
   “Oddio, scusami, lascia che prenda la mia.”
Corsi verso di lui, nonostante il mio istinto mi dicesse di correre nel senso opposto. William appoggiò le valigie a terra e mi fermò prima che io potessi prendere la mia. Mi afferrò per le braccia e mi tenne ferma.
   “Le porto dentro io, chiedo ce le guardino per un po' e tu intanto chiedi esattamente dove si trovi tuo fratello. Stai tranquilla.”
La calma nella sua voce mi indusse a calmarmi appena il giusto per poter respirare normalmente. Non potevo più aspettare. Annuii in fretta, dopodiché mi voltai e corsi dentro. Non appena mi affacciai sul bancone oltre il quale lavoravano delle infermiere, la maggior parte al telefono, una di loro mi chiese se mi sentissi bene. Annuii con foga prima di chiedere dove diavolo fossero Thomas Moore e sua moglie Felicity Tambler.
   “Sono al secondo piano, stanze 216 e 217, ma, signorina, devo informarla che...”
Non aspettai oltre, mi girai verso l'entrata dell'ospedale, dove trovai William dirigersi verso di me, adesso a mani vuote.
   “Presto”, gli dissi e senza aspettarlo corsi verso le scale che solo due volte in vita mia avevo percorso, ma che ormai conoscevo. Una volta arrivata al secondo piano, avevo il respiro affannoso, ma non mi fermai un attimo, neanche per controllare che William mi stesse seguendo: sapevo lo avrebbe fatto. Urtai un paio di medici mentre correvo guardando i numeri delle stanze, ognuno dei quali ricevette le mie scuse da parte di William. Decisi di fermarmi un attimo per dargli il tempo di stare al mio passo, ma mi accorsi di averlo proprio dietro di me. Ripresi a correre.
213, 214, 215...216.
   “Scarlett!”, sentii mia madre chiamarmi, così abbassai lo sguardo sul corridoio, staccandolo dal numero sopra la porta. Non appena vidi il viso di mia madre, capii che la situazione era veramente grave. Accanto al posto in cui era seduta vi era il cellulare di mio padre, segno che in quel momento doveva essersi andato a prendere un caffè. Seduta accanto a mia madre c'erano con tutta probabilità i genitori di Felicity, con facce non migliori di quella di mia madre.
   “Mamma.”
   “Tesoro, che ti hanno detto le infermiere, giù?”
Non capii che volesse dirmi. E non mi chiamava tesoro da quando mi disse che il nostro gatto era morto.
   “Che dovevano dirmi?”, chiesi quasi arrabbiata. Volevo sapere di Thomas, subito. Mia madre scoppiò a piangere prima che potesse dirmi qualcosa, così fu il padre di Felicity a parlarmi.
   “Tuo fratello non ce l'ha fatta, Scarlett. Ci dispiace infinitamente.”
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi.
   “Scarlett, Scarlett, reggiti.”
Fu William a parlarmi, mentre il mondo vorticava attorno a me, mentre mi tenevo stretta a lui e al padre di Felicity, che mi avevano sorretto prima che potessi cadere a terra.
   “Chiamate un dottore, la ragazza non si sente bene.”
   “No.”
Mi appoggiai al muro, allontanando i due. Era tutto così surreale che avrei potuto scommettere di essere in un sogno.
   “Voglio vederlo.”
   “Non puoi, non adesso”, mi disse il padre di Felicity, John. Mi chiese se non avessi bisogno di un dottore.
   “Voglio vederlo, ho detto.”
   “Non sono io che decido, Scarlett, se facessi io le regole, potresti andare dove ti pare in questo ospedale”, mi rispose lui di rimando.
   “Va bene.”
Intanto mia madre si era seduta, accanto a lei vi era Stephanie, la madre di Felicity, intenta a consolarla. Lasciai che John si allontanasse da me per aprire la porta della stanza e vedere solo la sagoma del corpo di mio fratello, coperto con un telo bianco. Mi precipitai dentro e scostai il telo, vedendo il viso di Thomas, così bianco e immobile da spaventarmi. Mi resi conto di quanto la realtà mi stesse schiacciando, di quanto tutto avesse perso senso senza mio fratello. Vidi il suo viso che sembrava sereno, quasi come se dormisse, prima che William potesse portarmi fuori di peso, mentre io mi dimenavo per rimanere accanto al suo corpo. Non volevo lasciarlo, perché sapevo che non lo avrei più rivisto se non dentro una maledetta bara, al suo funerale. Non mi accorsi di piangere fino a quando non mi passai una mano sul volto e la trovai bagnata di lacrime. William mi portò fuori e John richiuse la porta della stanza dietro di sé, sperando che nessuno avesse visto.
   “Portala a casa sua, ragazzo.”
Sentii William assentire e poi fui quasi portata di peso fuori dall'ospedale e poi su un altro taxi. Avevo solo voglia di piangere ancora. Lui se n'era andato e io sentivo di aver perso la persona a me più vicina. Non l'avrei mai più rivisto, mio fratello Thomas non c'era più.


Quella notte, quando rientrai a casa mia dopo quasi una settimana, fui grata di trovarla vuota, anche se avrei potuto intuirlo se solo fossi stata lucida. Avevo detto io l'indirizzo al tassista, avevo guidato io William fin dentro casa mia, ma una volta arrivata in camera mia, mi ero solo sdraiata sul letto e avevo fissato il muro. No, non poteva essere vero, eppure lo era e io lo sapevo benissimo.
William mi chiese se avessi bisogno di lui, ma io gli dissi soltanto dove avrebbe trovato la sua camera, quella che, un tempo, era stata di mio fratello. Mio fratello. Mi rigirai nel letto, voltandomi dall'altra parte per non mostrare a William le mie lacrime. Pensai se ne fosse andato per dieci secondi buoni, ma non appena sentii qualcuno sedersi sul mio letto, capii che non lo avrebbe fatto fino a quando non gliel'avessi chiesto espressamente.
   “Forse non sono la persona che vorresti avere al tuo fianco in questo momento, ma qui, adesso, ci sono io e mi fa male vederti così. Non ho intenzione di lasciarti da sola in queste condizioni.”
Mi misi a sedere senza preoccuparmi dell'aspetto che dovevo avere in quel momento, al buio forse non mi avrebbe visto. O forse sì, visto che quando lo guardai, vidi il suo sguardo addolcirsi.
   “Abbracciami, Will.”
Lui non se lo fece ripetere due volte e mi strinse in un abbraccio in cui mi sarei voluta perdere per sempre. Mi sentivo così piccola e inutile, ma in quel momento, tra le sue braccia, almeno non ero sola. Avevo bisogno di qualcuno e quel qualcuno poteva essere lui, anche se non ero sicura di volerlo del tutto. Avrei voluto ci fosse mio fratello al suo posto, a dirmi che era stato solo un incubo.
L'odore di William mi era quasi famigliare, perciò chiusi gli occhi e lasciai che mi cullasse per un tempo indefinito, fino a quando sentii che il sonno stava prendendo il sopravvento.

 
***


Il giorno seguente mi alzai tardi e mi ci volle un po' per rendermi conto di cosa fosse successo il giorno prima.
   “Mamma”, dissi senza neanche pensarci. Lo ripetei più forte perché mi accorsi di averlo solo bisbigliato.
   “Mamma!”
Al suo posto, sull'uscio della mia camera, comparve William, ancora vestito con gli abiti del giorno prima e i capelli spettinati.
   “Tua madre è appena andata in ospedale, ha lasciato un biglietto in cucina. Ieri tuo padre non si è sentito bene alla notizia, lo tengono in osservazione fino a questo pomeriggio. Stai bene, Scarlett?”
Annuii poco convinta, poi mi alzai e mi diressi in cucina, passandogli oltre.
   “Devo andare anche io.”
William mi fermò, impedendomi di proseguire.
   “Tu vieni con me a distrarti, vedrai tuo padre una volta tornati a casa, non ha niente di grave. Voglio che tu pensa a questa faccenda il meno possibile.”
   “Mi è impossibile, te ne rendi conto?”
   “Lo renderò possibile.”
E così avevo passato la giornata fuori casa, ascoltando sì e no William mentre parlava del più e del meno, ottenendo come risposte dei monosillabi. Non si lamentò e io non potei fare altro che essergli grata per tutto quello che stava facendo per me. Quella sera sgattaiolò in camera mia per vedere come stessi e io gli chiesi di restare come aveva fatto il giorno prima. Ci addormentammo insieme, non importava quanto stessimo stretti, ero contenta di averlo vicino, era l'unica mia distrazione dalla dura realtà. La cosa si ripeté anche la sera seguente, quella prima del funerale e, sorprendentemente, la sua presenza mi aiutò davvero a dimenticare per un po' cosa sarebbe accaduto l'indomani.

 
***


Quella mattina di inizio autunno, un giovedì, fu mia madre a svegliare me e William, trovandoci purtroppo nello stesso letto. Erano passati tre giorni da quando mio fratello era morto, uno da quando Felicity era uscita dal coma e troppi da quando non sentivo Justin.
"Preparatevi, ragazzi, ci aspettano al cimitero per le undici."
Solo questo disse mia madre, con il viso stravolto dal dolore e la voglia pari a zero di vedere tutti coloro che avevano sì conosciuto Thomas, ma che mai erano stati presenti in maniera rilevante nella sua vita, ricomparendo solo ora, stringendo le mani dei miei genitori in un susseguirsi di "condoglianze a tutta la famiglia". Feci velocemente colazione, per quanto il mio stomaco lo permettesse, prima di tornare in camera mia a prepararmi. William aveva comprato un completo nero ed elegante il giorno prima, mentre io avrei messo un vestito del medesimo colore che mi arrivava più o meno al ginocchio. Come se in quel momento mi importasse qualcosa di come mi sarei vestita. Dopo essere passata in bagno, mi pettinai davanti al grande specchio presente in camera mia, fino a quando non fui interrotta dal bussare alla mia porta.
    "Tua madre ti chiama", mi disse William. Mi girai verso di lui e non potei evitare di guardarlo dalla testa ai piedi. Era davvero molto bello con quel completo, simile a quello di quando ci eravamo visti per la prima volta.
    "Che non si preoccupi, sarò pronta in pochi minuti." Guardai l'orologio appeso sopra la mia scrivania. Le dieci e quarantuno. "Stai benissimo così, Scarlett." Gli sorrisi forzatamente, perché in quel momento sembrare carina non era proprio la mia priorità.
Mi diedi un po' di fard sulle guance, giusto per non mostrare quanto poco in forma fossi, poi scesi le scale e arrivai in sala, dove William e mia madre mi stavano aspettando.
   “Scarlett”, disse mia madre quando mi vide, trattenendo le lacrime. Mi venne incontro e io non potei fare a meno di abbracciarla. Avremmo dovuto essere più vicine in un momento del genere, ma stranamente era più forte il desiderio di rimanere da sola che di crogiolarmi nel dolore collettivo famigliare. Sola o con William.
   “Mamma.”
   “Sei bellissima, tesoro.”
Se solo la situazione non fosse stata quella, le avrei tirato un'occhiataccia per quel complimento.
Mi limitai ad annuire e a concederle un sorriso, poi chiesi dove fosse mio padre.
   “Ci aspetta in macchina.”
E così uscimmo da casa, quella casa ormai piena di ricordi e che sarebbe stata troppo vuota per i miei gusti. Mio padre ci aspettava davanti al vialetto, già al posto di guida, con le mani sul viso per nascondere la sua espressione. Quando si accorse che stavamo arrivando, raddrizzò la schiena e assunse un'espressione quasi neutra, tranne per gli occhi rossi; quelli non poteva nasconderli. Mi sedetti in uno dei sedili posteriori dell'auto, vicino a William, con il quale non scambiai una parola fino all'arrivo. Nessuno, per la verità, parlò, solo quando arrivammo nel punto esatto in cui era stata posizionata la bara di mio fratello, fummo costretti a farlo. Qualcuno era già presente, anche se si supponeva dovessimo essere noi i primi ad arrivare. Nel giro di dieci minuti erano arrivate più di trenta persone e io faticai a ringraziare tutti per le condoglianze, non volendo ripetere sempre la stessa frase. Eravamo nel bel mezzo del cimitero, circondati da alberi con le foglie scosse dal vento fresco di ottobre; il lieve brusio rispettoso del momento e tutta quella gente che conoscevo a malapena riuscivano a distrarmi da mio fratello. Guardai il suo corpo poco prima che la cerimonia iniziasse, ma non piansi. Non piansi per tutta la cerimonia, cercai di non pensare al viso di Thomas e al suo pallore mentre giaceva in quella bara. Rimasi con gli occhi fissi su di essa, ma ero abbastanza distante per non poter vedere dentro di nuovo. Avevo chiesto a William di seguirmi, volevo restare fuori da tutta quella calca, volevo avere il mio spazio per seguire la cerimonia. Poi venne in momento di chiudere la bara e di calarla giù, nella buca profonda scavata per contenerla, e allora, una volta fatto, tutti i presenti si allontanarono piano verso i loro veicoli, diretti verso casa nostra, dove avremmo tenuto un rinfresco in sua memoria, una tipica tradizione americana. Fu allora, quando tutti cominciavano ad andarsene, quando il brusio e il rumore fastidioso di foglie calpestate scemava, che lo vidi, distante, appoggiato ad un albero come tanti, vestito anche lui di scuro tranne la camicia bianca, con la cravatta nera che disegnava cerchi nell'aria, tanto il vento si stava intensificando. Feci un passo istintivo verso di lui, ma indietreggiò fino a quando non fu dietro l'albero, nascosto alla mia vista.
Stavo quasi per avviarmi verso di lui, ma la voce di William mi fermò.
   “Vuoi andare?”
Mi voltai verso di lui, spiazzata.
   “Io...aspetterei che se ne siano andati tutti.”
Ma lo sguardo di Will era ormai in direzione di Justin, anche se adesso non si vedeva più.
   “Hai visto niente?”, mi chiese con noncuranza.
   “No, c'è qualcosa da vedere?”
Lui non rispose, così gli toccai il braccio e iniziai a camminare nella direzione opposta.
   “Direi che possiamo tornare a casa, Will”, dissi con il tono più convincente che avessi. Lui aspettò ancora un minuto.
   “William, andiamo.”
Gli diedi uno scossone e lui si decise a seguirmi, finalmente.
Justin non voleva nascondersi da me, voleva non essere visto da lui.


Mi svegliò la vibrazione del mio cellulare, dimenticato acceso sulla scrivania di camera mia. Non stavo comunque dormendo, perciò non mi costò molto raggiungerlo e rispondere alla chiamata.
Quando lessi chi mi stava chiamando, il mio cuore perse un colpo, per poi battere molto più velocemente di prima. Grazie al cielo ero sola, avevo chiesto a William di lasciarmi sola per quella notte, volevo isolarmi per un po' da tutto e da tutti. Ovviamente fu impossibile, ma non mi dispiacque affatto. Per la prima volta in quella settimana provai un fremito di felicità, un brivido che mi infuse il coraggio di rispondere.
   “Ehi.”
   “Affacciati alla finestra.”
Io non risposi, ero troppo contenta di sentire di nuovo la sua voce, aprii direttamente la finestra di camera mia e guardai in basso.
Justin era lì, così vicino, così raggiungibile, finalmente. Aveva ancora addosso gli abiti formali che aveva indossato quella mattina al funerale. Mi era mancato, mancato da farmi male. La sensazione che provai nel momento in cui i miei occhi incontrarono i suoi non era descrivibile a parole, ma di una cosa ero certa: non potevo aspettare un secondo di più, avevo bisogno di lui, di abbracciarlo, di baciarlo e di parlargli. Mi mancava tutto di lui.
Sorrisi, un sorriso vero, quello, poi mi diressi verso la porta di camera mia e, aprendola piano, percorsi il corridoio che mi separava dalle scale. Una volta uscita all'esterno, lo vidi avvicinarsi a me e fermarsi poco distante. Mi sembrava di non vederlo da una vita e forse era così.
   “Ehi”, mi disse lui senza staccare lo sguardo da me.
Era così bello vederlo, averlo davanti dopo quasi due settimane di lontananza, che non riuscii a spiccicare parola. Gli occhi mi bruciarono nel tentativo di fermare un pianto quantomeno ridicolo, ma Justin lo notò e quando mi strinse a sé, non riuscii a non scoppiare. Piangevo per Thomas e piangevo perché finalmente Justin era con me, piangevo perché in due settimane si erano creati più problemi che in tutta la mia vita.
   “Sono qui, Scar, sono qui.”
Il suo profumo così famigliare mi faceva finalmente sentire a casa, il modo stesso in cui mi stringeva a sé lo faceva. Rimanemmo così per diversi minuti, prima che mi calmassi e mi staccassi da lui. Mi offrì un fazzoletto per asciugare quella valle di lacrime creatasi sul mio viso, sorridendomi come solo lui sapeva fare.
   “Sono un disastro”, dichiarai non appena mi fui passata il fazzoletto sotto gli occhi e sulle guance.
   “Mi piacciono i disastri.”
Sorrisi senza accorgermene, mentre lui si avvicinava a me per abbracciarmi ancora.
   “Mi dispiace, Scarlett, mi dispiace tantissimo.”
Io annuii contro il suo petto e farfugliai un “lo so”. Quando finalmente riuscii a guardarlo negli occhi, mi resi conto di avere un bisogno fisico di lui e delle sue attenzioni, che sarei stata per ore attaccata a Justin, se fosse stato possibile.
Mi baciò prima che potessi farlo io. Indietreggiai fino alla porta di casa, mentre Justin continuava a baciarmi. Mi ritrovai schiacciata tra la porta e il suo corpo e la cosa mi mandò così su di giri da desiderarlo ancora più vicino a me, anche se era materialmente impossibile. Non fu un bacio dolce all'inizio, anzi, pensai che Justin potesse consumarmi con il suo ardore e la sua passione. Ne ero contenta, perché era tutto ciò che desideravo da quando ero salita su quell'aereo per Londra, da quando ci eravamo lasciati. Le sue labbra erano così morbide e calde che per un attimo mi persi nel mordergliele, il che provocò un lamento da parte sua, un lamento roco che non fece altro che farmi perdere del tutto il controllo. La porta cigolò dietro di me e per un attimo temetti che i miei genitori o William potessero sentirci, ma un secondo dopo il pensiero era già svanito. C'eravamo solo io e lui. Justin mi tormentava le labbra con le sue, la sua lingua contro la mia, le sue mani sul mio corpo che mi stringevano come se quella fosse l'ultima volta che avrebbero potuto farlo.
Riprendemmo fiato e quello che mi disse mi paralizzò per la sorpresa, ma accese anche una piccola speranza dentro di me.
   “Vieni con me, andiamocene per qualche giorno. Andiamocene via da tutti e da tutto.”

 

SPAZIO AUTRICE.

Ehilà, girlzz! Beh sì, lo ammetto senza problemi:
mi piace ammazzare i personaggi nelle mie storie.
E ammetto anche che sono lenta ad aggiornare, 
ma...ho iniziato i compiti delle vacanze,quindi ca-
pitemi, please! Finalmente Justin è arrivato, ma la
domanda è: dirà di sì, Scarlett? Beh, ditemi voi...

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