Carry me away from my pain pt.2

di PersephoneNebel_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ikuinen Virta ***
Capitolo 2: *** Flickan som lekte med elden ***
Capitolo 3: *** Yhden aikauden loppua ***
Capitolo 4: *** Valta. ***
Capitolo 5: *** Hirmumyrsky ***
Capitolo 6: *** Lilja's Lament ***
Capitolo 7: *** Angels don't kill ***



Capitolo 1
*** Ikuinen Virta ***


Children of bodom fanfic

Attenzione: Italiani! No, ok, così sembro Mussolini. Seriamente... sono sempre io, sono sempre DarkSoul_ e questo è solo un altro account. La storia la continuerò da qui.


Carry me away from my pain 

pt.2


Ikuinen Virta


Janika si svegliò la mattina di Natale, pensò che dovesse essere molto presto poiché la stanza era ancora immersa nel buio più totale. Pensò a ciò che le era successo ultimamente, in realtà non riusciva ancora a realizzare gli avvenimenti, il suo ex ragazzo, poi la storia fra Janne e Alexi e la sua sorellina. Pensò che probabilmente a occhi esterni tutto questo sarebbe sembrato delirante e che lei, lei che si sentiva la vittima di un mondo crudele e asettico, sarebbe stata giudicata come la causa, l'unico motivo per cui tutto questo stava accadendo. Si mise a sedere e sorseggiò la birra che stava accanto al suo letto. Lo sapeva, sapeva di essere l'unica vera colpevole di tutto. Ma la cosa che più la faceva star male era il dolore che stava provando sua madre, la malattia di sua sorella non poteva essere colpa di nessuno, sicuramente non poteva darla a se stessa, ed era proprio questo che la faceva imbestialire: non poter puntare il dito contro nessuno, non potersela prendere davvero ma dover semplicemente restare a guardare. Aspettare. Aspettare che cosa? La guarigione? Molto più probabilmente la morte. E chi, chi poteva essere il responsabile? Il destino. Ma cosa fosse il destino Janika non lo sapeva. Forse Dio. Perchè alla fine cos'è Dio se non una figura immaginaria cui poter attribuire meriti ma sopratutto errori dell'uomo. Oppure semplicemente l'ultima spiaggia, qualcuno cui aggrapparsi come salvagente, l'ultima speranza ma, alla fine, tutto questo continuava a sembrarle molto ipocrita. Un Dio perfetto, senza smacchi o scheletri nell'armadio che non prova i sentimenti umani, perché è superiore a tutto questo, come può davvero capire gli uomini? Come si può creare un mondo popolato da esseri che non riesci a comprendere ma, no, perché Dio è onnisciente, quindi deve per forza capire tutto ma come si può capire qualcosa che non si ha mai provato. Ma a cosa servivano tutte queste elucubrazioni mentali? La conclusione era e rimaneva una Janika si sentiva fottutamente sola. Prese il telefono e inconsciamente compose a memoria il numero di Janne, aspettò che l'altro alzasse il ricevitore contando gli squilli a vuoto: uno...due...tre...quattro...Janne rispose con voce quasi rassegnata, sapeva che in ogni caso non sarebbe riuscito a riprendere sonno:
 
- Pronto? -
Janika rispose rovesciandogli addosso un fiume di parole, riportandogli tutti i suoi precedenti pensieri a velocità luce, tanto che il ragazzo dovette alzarsi per cerar di stare dietro alla corrente impetuosa che gli scorreva nelle orecchie, Dio, Alexi, lui e lei, la sorellina, la madre, il destino e tutto condito con una colpa che lui non riusciva a capire quale fosse. Interruppe la giovane che si fermò semplicemente, come un registratore che viene improvvisamente spento; Janne aspettò qualche secondo come spaventato da quel silenzio, poi cercò di trovare le parole per calmarla e sapere il motivo di quella chiamata:
- Janika sta calma! Ascolta, ok, ho capito adesso sei confusa perché ti sono piovuti addosso un sacco di disastri in poco tempo, non sai cosa pensare e continui a incolparti di tutto. No, questo è sbagliato. Non può essere colpa tua, tutti siamo un po' colpevoli. Sono le cinque della mattina di Natale e tu ti sei messa a formulare pensieri catastrofici, almeno per una volta non potresti accettare tutto questo e smetterla di piangerti addosso, trova una soluzione, prendi in mano la tua vita e fanne qualcosa, perché stare qui a dire queste cose a me, ti servirà ben poco. Io non posso importi la felicità. Solo tu puoi farlo. Perché ognuno è padrone delle proprie azioni, sei tu che puoi decidere il tuo destino. Devi trovare qualcuno per cui valga davvero la pena andare avanti. -
La ragazza rimase interdetta dalle sue parole. Qualcuno per cui poter andare avanti. Alexi. Alexi era il suo ragazzo, aveva litigato con Janne per stare con lei, gli doveva tutto ma... Che senso aveva? Alla fine Janne era diventato il suo migliore amico e, sentendosi male, era l'unica persona della quale voleva sentire la voce. Anche ora, nonostante le sue parole fossero dure e contenessero un po' di rancore, ci si stava aggrappando come a un’ancora:
- Janne, io ho trovato qualcuno per cui vivere, ma sono stata stupida e l'ho gettato via. Gli ho voltato le spalle, e me ne sono andata. E ora me ne sto pentendo e mi sento stupida. Perché sono qui a parlare con l'unica persona di cui ho davvero bisogno e non lo capisco, probabilmente continuerò a non capirlo e a tornare da Alexi. Perché poi Alexi? Non ha fatto molto per me, tu mi hai aiutata molto di più. E poi davvero, mi sento la troietta di Twilight, sono qui che sto male perché non riesco a scegliere fra due ragazzi, mentre mia sorella sta morendo lontano da casa e da tutti i luoghi che ama. Dovrei essere io al posto suo, lei è troppo giovane. Non si merita di morire -
Janne si limitò a sospirare e dire che nessuno merita di morire e che trovava stupido sentirsi dire che era la persona più importante della sua vita quando era appena stato scaricato semplicemente perché lei si era stufata, no, non c'era stata una vera motivazione. Ma solo un semplice capriccio. E ora, dopo aver litigato col suo migliore amico, dopo che lui aveva provato a suicidarsi, si sentiva abbastanza preso per il culo. Ma non gli importava, perché preferiva continuare a starle accanto come amico che non starle vicino. Anche se, ovviamente, tutto questo lo faceva star male e tutte le volte che vedeva lei e Alexi baciarsi gli si contorcevano le budella. Aveva imparato il suo ruolo, sapeva che sarebbe sempre stato eclissato dal nanetto biondo e, ormai, ci aveva fatto il callo.
Janika ammutolì. Mentre con una mano accarezzava la superficie liscia del letto, si era persa fra le parole di Janne. Sapeva che aveva ragione lui eppure queste parole per lei tagliavano come un coltello affilato, si conficcavano nella sua anima e cercavano di annientarla con tutta la violenza possibile, con la violenza dell'impassibilità che, com’era già stato dimostrato, era l'arma migliore del tastierista:
- Janne ... tu mi amavi? -
L'altro emise una risata amara. Era semplicemente pronto a fare tutto per lei ma, ormai, tutto questo non aveva più importanza. Detto ciò la salutò frettolosamente e chiuse la chiamata. La giovane si trovava di nuovo sola. Sola con i suoi pensieri, che era la cosa che più la spaventava.
Si rigirò per qualche secondo fra le coperte prima di constatare che tanto non si sarebbe riaddormentata, così si alzò e scese le scale. Appena fu fuori dalla sua stanza si accorse che in realtà il sole pallido filtrava già dalle persiane accostate, era stata al telefono con Janne quasi un'ora. Si ritrovò in cucina, spalancò le finestre in modo che la luce invadesse la stanza e si ritrovò a fissare la neve che scendeva candida e soffice dal cielo ovattato, pensò che era una stupidissima convenzione il fatto che il giorno di Natale nevicasse e più di ogni altra cosa desiderò che spuntasse il sole. Era una cosa così stupida, lo riconosceva, eppure sembrava irritarla più della situazione di merda che stava passando. Ma la neve continuava a cadere, ignorando le inutili richieste di una ragazzetta capricciosa che dopo una vita passata fra le penisole Scandinave non riusciva a provare altro che disgusto per il pantano fangoso che si creava nelle strade. Dopo qualche minuto il telefono prese a squillare. Janika cercò di ignorarlo il più a lungo possibile prima che il rumore ritmato le diventasse insopportabile e dovette scagliarsi con tutta la forza possibile contro il telefono, sollevare la cornetta come se tentasse di strapparla via e chiedere chi parlasse con voce dura che nemmeno lei sembrava riconoscere. Era sua madre che le augurava buon Natale. Come stava? Abbastanza bene, e la sorellina? Non male, era visibilmente migliorata; la conversazione continuò con domande di routine prima che la giovane salutasse sua mamma e riagganciasse la cornetta. Dopo di che decise di vestirsi e di uscire per fare una passeggiata. In pochi secondi fu pronta e scese per strada; L'aria gelida mista alla neve le sferzava il viso rendendole quasi impossibile vedere a pochi metri dal suo naso, mosse qualche passo e iniziò a camminare verso l'unico posto in cui si sarebbe sentita come a casa, il bar in cui aveva conosciuto Janne. In realtà per lei quello era sempre stata come una seconda casa, quell'edificio c'era fin da quando lei aveva pochi anni e, ricordava che in quel periodo ci andava quasi tutti i giorni insieme a sua madre, prima di andare all'asilo. L'odore di caffè e di brioche appena sfornate le metteva allegria, senza contare il fatto che già di prima mattina il locale era aperto ed era uno dei pochi in cui non rischiavi di trovare qualche ubriaco accasciato davanti all'entrata.
Arrivo completamente fradicia, dalla testa ai piedi, si tolse il cappotto e si sedette al suo solito posto dove ordinò il solito cappuccino. Stava per iniziare a bere quando avvertì una presenza familiare. Janne. Si avvicinò a lei e si sedette di fianco. Janika rimase qualche secondo interdetta a fissare la figura del ragazzo che si sedeva impassibile lì, proprio nella sedia vicino alla sua. Senza salutarla, come se fosse una cosa ovvia:
- Cosa ci fai qui? -
Il tastierista si voltò di scatto, come risvegliato dallo stato catatonico in cui si trovava, la fissò negli occhi, come se cercasse la sua anima:
- Ti amo. -


****


No, ok. No. Non posso metterci tre mesi per scrivere un capitolo così. No. Liberi di falcidiarmi. xD
Va bien, sono tornata ... Con un altro profilo e con la seconda parte della storia - ho preferito creare un'altra sezione con l'altra parte della storia sperando che la vediate D: - Spero di riuscire a scrivere più spesso durante le vacanze di Pasqua ç-ç Va beh, la smetto di tediarvi.
Alla prossima :3

 

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Capitolo 2
*** Flickan som lekte med elden ***


Children of Bodom fanfic2
Carry me away from my pain
pt. 2

Flickan som lekte med elden¹

I don't care if your world is ending today,
because I wasn't invited to it anyway.
You said I tasted famous, so I drew you a heart
But I'm not an artist I'm a fucking work of art.
-Marilyn Manson, (s)Aint




Janika rimase sbigottita davanti all'espressione incerta ma sorridente del suo interlocutore. Non era una novità, le aveva solo confermato ciò che già sapeva. Ma sicuramente non si aspettava di trovarlo in quel bar, quella mattina, dopo il discorso che le aveva fatto. Eppure era lì, accanto a lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fosse ovvio; e lo era. Ovviamente la giovane era a conoscenza dei sentimenti di Janne nei suoi confronti e ovviamente era a conoscenza del fatto che il tastierista stava soffrendo più di tutti per questa situazione. Ed era solo colpa sua. Perché proprio non riusciva a capire come un ragazzo potesse amarla e volerla proteggere senza volere nulla in cambio, non riusciva a comprendere il suo amore spassionato e senza pretese; Il suo rispetto per i suoi sentimenti e per la sua fragilità fisica e mentale. Semplicemente aveva sempre pensato che ognuno ha il  partner che si merita, e lei non si meritava la dolcezza di Janne, ma il ruvido amore geloso e bramoso di Trygve. Pensava di essersi sempre meritata la marea di botte che prendeva da lui, la forza che usava per amarla e la violenza, tutta la violenza che le aveva versato addosso.  
Janne aveva abbassato la testa e fissava un punto indistinto sulla tovaglia a quadretti, non stava veramente pensando a quello che aveva appena detto, in realtà non stava pensando affatto. Le parole gli erano scivolate fuori dalla bocca con una naturalezza che quasi l'aveva spaventato. In realtà non temeva le conseguenze ma i suoi sentimenti. L'idea di andarsene, di abbandonare tutto e di lasciare la band erano tornate ad accarezzargli la mente per poi fuggire il più lontano possibile. Janika cercò le parole per rispondere, la sua voce era ancora la dolce melodia vellutata che aveva fatto impazzire il ragazzo:
- Perché? Perché mi ami nonostante tutto quello che ti sto facendo passare? Perché mi ami anche se ti dico che non ti amo? Sei la persona più importante della mia vita, mi hai fatto capire la mia importanza ma, io non ti merito. Non merito il tuo amore. Avevamo detto che non saremmo stati più che amici. E funzionava. Lo sai, io amo Alexi. -
L'altro annuì quasi impercettibilmente, voleva ribattere. Le disse che non l'avrebbe lasciata andare, che non gli importava di essere solo una seconda scelta. Avrebbe aspettato del tempo e sapeva che prima o poi lei e Alexi si sarebbero lasciati. Perché la ragazza aveva bisogno di sicurezza e stabilità sentimentale e fisica, cosa che il vocalist non sarebbe mai riuscito a darle.
In un primo momento lei pensò che si sarebbe dovuta arrabbiare, e urlargli di non dire queste cose perché era solo geloso di tutto questo ma, probabilmente più di chiunque altro, sapeva che Janne aveva ragione. E continuava a non capire perché non si arrabbiasse con lei, perché volesse proteggerla a tutti i costi e evitare di farla soffrire. Si limitò a dirgli "vederemo" e a uscire dal locale dopo aver pagato la consumazione che non aveva neanche toccato.
Il tastierista la seguì, la prese per un braccio e la fermò chiedendole se avesse voglia di andare a casa sua. No, non ne aveva voglia. Doveva andare a casa a fare una telefonata importante.
In meno di venti minuti Janika era di nuovo nel suo salotto, accese il portatile e aspettò che la connessione internet desse segni di vita. Era ormai diventata un'abitudine da quando sua madre era via quella di controllare le sue e-mail tutti i giorni, come se si aspettasse che qualcuno le scrivesse qualcosa di davvero importante. Aprì la casella delle mail e trovò una lettera da Trygve:
"Cara Janika,
No, in realtà non mi sei affatto cara ma, in un modo o nell'altro, dovevo aprire questa mail e ho scelto il metodo più usato.
Il nostro ultimo incontro è stato alquanto violento, non per mia scelta. Stupida ragazzina, secondo te come si sente un padre quando gli viene detto che suo figlio è morto per un capriccio di una bambina insolente? Male, molto male. Tu sai di esserti meritato ciò che ti ho fatto e sai che non è finita. Sì, penso che ti denuncerò in tribunale per ciò che hai fatto. O forse non ce n'è affatto bisogno, forse il tribunale peggiore è quello che sta nella tua testolina vuota. Io davvero mi sto sforzando ma non riesco a capire come possa una madre uccidere suo figlio. Insomma, se ti ritenevi abbastanza grande per venire a letto con me lo eri anche per assumerti le tue responsabilità. Sapevi che sarei tornato e sapevi che avrei preteso mio figlio. Eppure ti sei sbarazzata di lui, come se fosse un inutile peso per la tua vita. Già, con un figlio a carico non ci si può divertire, vero? Perché un bambino richiede responsabilità e competenza. Povero piccolo ... Possibile che tu non abbia pensato neanche un secondo alle conseguenze? Non ti sei fatta troppi scrupoli a sentirti Dio. In ogni caso questa e-mail te l'ho inviata solo per farti sapere che fra di noi non ci sarà mai più nulla. Hai infranto tutto l'amore che provavo per te. L'hai gettato via. Non cercarmi, non ti risponderò. Ormai è inutile. E' Finita. Per sempre.

A mai più rivederci,
Trygve"

Janika rimase qualche secondo a fissare lo schermo. Poi, come a scoppio ritardato, scoppiò a ridere. Cliccò sull'icona "rispondi" e scrisse solo due parole:

"Ma davvero?"

Si alzò dalla sedia e prese il telefono. Come se dovesse davvero chiamare qualcuno. Sapeva benissimo che era stata solo una scusa per allontanare Janne. Per stare da sola con i suoi pensieri. La solitudine che aveva sempre temuto era ora l'unica cosa che desiderasse davvero. Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare i rumori che la circondavano: gli alberi che si scrollavano di dosso la neve e i mobili che scricchiolavano. Sarebbe volentieri rimasta lì, nel più totale silenzio, aspettando che la vita le scivolasse dalle mani e facesse il suo corso senza di lei. Avrebbe voluto guardare tutto come dagli spalti di un campo da calcio, essere solo uno spettatore impassibile davanti a tanto scempio. Probabilmente non le sarebbe piaciuto quello che vedeva, avrebbe voluto chiudere gli occhi e sforzarsi di non piangere, ma poi si sarebbe fatta coraggio, perché quella non era la sua storia. La ragazza bionda che inscenava la tragedia non era lei. Ma avrebbe comunque pianto, sarebbe comunque stata triste: Ma essendo consapevole che quelli non erano fatti che la riguardavano. Sarebbe stata male solo durante la catarsi poi, tutto sarebbe andato meglio. Ma forse lei non avrebbe avuto tutta questa fortuna. Forse la sua vita era destinata a essere una tragedia senza catarsi. Come quelle di Euripide che aveva studiato quando era un'adolescente e quando la vita le sembrava tanto semplice e bella, senza pretese e senza problemi che non si potessero risolvere. Ovviamente prima della malattia di sua sorella, del casino col suo ex ragazzo e prima che rimanesse incinta e conoscesse Janne ed Alexi.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del campanello. Lei si gelò il sangue nelle vene. Sapeva esattamente cosa sarebbe successo, sapeva esattamente chi avrebbe trovato dall'altro lato della porta. Perse qualsiasi capacità di ragionare, si diresse velocemente in cucina dove prese un coltello per il sushi, uno degli arnesi più affilati che si potesse trovare in una cucina e corse verso la porta d'ingresso; Guardò attraverso lo spioncino e i suoi timori vennero confermati. Trygve. Era lì. Con la faccia più strafottente che avesse mai visto. Come se stesse ritornando a casa dopo una lunga giornata di lavoro e si aspettasse di trovare la cena preparata e la moglie pronta a dargliela. Janika nascose il coltello dietro la schiena, aprì la porta e, sorridendogli, lo invitò a entrare. Ovviamente era stupito di tutta quella gentilezza, non se la sarebbe mai aspettata. Inarcò un sopracciglio e la squadrò. Non era cambiata di una virgola. Era sempre la solita nanetta bionda e troppo infantile. Ricambiò il sorriso e le chiese se avesse letto la lettera. Certo che l'aveva letta. E le dispiaceva tanto ... avrebbe voluto rimediare. Riuscì quasi a farsi uscire una lacrima dagli occhi. Gli disse che non era stata colpa sua, anzi lei avrebbe voluto avere questo bambino e poterlo crescere insieme a lui una volta che fosse tornato. Trygve la squadrò di nuovo. Quasi non riusciva a credere alle sue orecchie. Poi Janika riprese a parlare:
- Ascolta, so di averti ferito e so che tu tenevi davvero a questo bambino poichè era tuo figlio. Ma, come ho detto se avessi potuto scegliere l'avrei tenuto e l'avrei cresciuto con te ma.. se davvero vuoi che finisca così, non mi opporrò. Lascia solo che ti dia l'ultimo abbraccio poi ognuno andrà per la propria strada. -
Il ragazzo sembrava incerto sul da farsi. Ma era convinto delle parole di Janika e compiaciuto del fatto che stesse  tornando da lui strisciando come un verme, esattamente come aveva sempre desiderato. Si avvicinò a lei e le tese le braccia, lasciando che la giovane le venisse in contro, le cinse le spalle con le braccia e Janika prese il coltello che aveva infilato nei pantaloni, allargò le braccia e si strinse a lui, conficcandogli la lama nella schiena. Lui gemette e strinse più forte la ragazza, come se tentasse di soffocarla, inconscio del fatto che così facendo l'arnese andava più a fondo scavando nella ferita. Janika estrasse il coltello e diede un calcio a Trygve che cadde a terra, macchiando il tappeto di sangue, era completamente privo di forze. Finalmente la giovane riusciva a sentire la forza nelle sue mani, la vista le si annebbiò e in pochi secondi si ritrovò sopra il corpo del ragazzo sferrandogli colpi al petto prima col coltello poi a mani nude. Lui sputò un fiotto di sangue misto a saliva e esalò il suo ultimo respiro. Janika si alzò e si guardò le mani intrise del liquido scarlatto, sentì le lacrime rigarle il volto e cadde sulle ginocchia, come se qualcuno le avesse tirato un colpo alla schiena, vide la sua faccia riflessa nel sangue sul pavimento e inorridì. Cercò di alzarsi senza successo e si ritrovò sdraiata a terra piangendo e fissando il cadavere di fianco a lei.

****
Come promesso in poco tempo sono riuscita ad aggiornare. Penso che tutto questo si commenti da solo.
Alla prossima e grazie a tutti.

N.d.a.: ¹= "La ragazza che giocava con il fuoco". Anche questo è svedese ed è il titolo originale dell'omonimo libro di Stieg Larsson.

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Capitolo 3
*** Yhden aikauden loppua ***


Children of bodom fanfiction 3
Carry me away from my pain

Yhden aikauden loppua


L'avvocato dell'accusa si alzò quando il giudice ebbe finito di parlare. Tutto gli sembrava fin troppo facile, il cadavere era stato trovato vicino all'arma del delitto e, stranamente, vicino al carnefice. La ragazza, tuttavia sembrava terrorizzata, nonostante il suo difensore continuasse a ribadire che fosse stata solo legittima difesa, lei se ne stava lì, seduta su quella sedia. Fissava il vuoto e sembrava non essere presente in aula. In ogni caso ne aveva viste tante di scenate e probabilmente anche l'affarino biondo stralunato stava solo cercando di ottenere l'inanità mentale.
Chiese di poter porre alcune domande alla ragazza che venne scortata al banco degli imputati. Conosceva l'uomo che aveva ucciso? Sì, era il suo ex ragazzo, era tornato qualche giorno prima dalla Norvegia e continuava a darle il tormento. Quale parte della Norvegia? Oslo.
Il giudice aveva sorriso sotto i baffi. Praticamente tutta l'aula sosteneva il conflitto che divideva Finlandia e Norvegia, e probabilmente solo questo avrebbe fatto cambiare opinione alla giuria. Ma come capo d'accusa essere di un'altra regione scandinava non reggeva.
Era emerso da alcune mail scambiate nelle ore precedenti che fra i due c'era un bambino, era vero? Sì, lei era rimasta incinta ma aveva abortito nel terzo mese di gravidanza. Avevano avuto rapporti da quando lui era tornato?
La difesa si alzò affermando la sua obbiezione, non era fondamentale per il processo. Il giudice la accolse.
L'accusa si schiarì la voce e continuò con le domande, stava cercando un punto debole nelle dichiarazioni fornite da lei in precedenza. Aveva detto di aver ucciso l'uomo per autodifesa, con un coltello da sushi? Sì, era l'arma più vicina che aveva trovato, non avrebbe voluto ucciderlo, era stata costretta. Costretta da qualcuno? Costretta dalle circostanze, qualche giorno prima gli era piombato in casa e l'aveva riempita di botte e l'avrebbe fatto una seconda volta se lei non si fosse difesa.
Janika parlava con un filo di voce, tanto che il giudice continuava a chiederle di ripetere la risposta. In realtà non era triste, non si sentiva in colpa. Per la prima volta nella sua vita era fiera di quello che aveva fatto. L'avvocato che la stava interrogando era stato pagato dalla madre di Trygve, un'arcigna vecchietta che aveva sempre odiato, e dalla nuova fidanzata che se ne stava seduta con un fazzoletto in mano e il capo velato di nero, come se non fosse una tradizione morta secoli prima.
Tutto questo le faceva ridere. Era accusata di aver ucciso un uomo che l'aveva quasi ammazzata di botte. Ma forse, se non fosse stata così avventata, avrebbe potuto denunciarlo lei e invertire tutta la situazione. Si era presentato dicendo di essere cambiato ma l'unica cosa che era cambiata in lui era la facciata. Incrociò lo sguardo di Janne, che l'aveva trovata ancora sdraiata a terra e coperta di sangue, che le aveva detto di chiamare la polizia e che avrebbe fatto di tutto per dichiarare l'autodifesa, gli sorrise, lui ricambiò dolcemente. Ma dov'era Alexi? Era stato dimesso dall'ospedale il giorno prima, sapeva dell'udienza e le aveva promesso che ci sarebbe stato per darle il suo appoggio eppure la sedia accanto a Janne era vuota. Probabilmente era arrivato in ritardo e non l'avevano fatto entrare e ora era seduto sulle scale del tribunale bestemmiando come un matto. Fissò negli occhi l'uomo che le rivolgeva l'ultima domanda. Quante altre volte era stata picchiata? Non lo sapeva di preciso, ma aveva deciso di non denunciarlo per paura.
La ragazza poté sedersi di nuovo al suo posto e il giudice si ritirò insieme alla giuria per deliberare.
La sentenza fu emessa dopo un'ora. Il magistrato si sedette sulla grande sedia e chiamò il silenzio in aula. Si schiarì la voce e sistemò i fogli che aveva in mano, iniziò a parlare lentamente:
- In vista dei fatti esposti e delle considerazioni fatte dalla giuria, la signorina Janika Veera Virtanen viene assolta dall'accusa di omicidio intenzionale e premeditato. Infatti si è preso atto delle circostanze in cui si trovava la giovane e le viene quindi concesso il diritto di autodifesa. Con la presente, dichiaro concluso il processo. -
Questa era stata la terza udienza nel giro di pochi giorni. In poche settimane era stata accusata e poi assolta ma, finalmente, il processo era concluso. Janika era libera. Ma libera da cosa? Aveva pur sempre ucciso un uomo. Non sarebbe andata in galera, non avrebbe passato il resto della sua vita dietro le sbarre ma non riusciva a sentire la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e si sentiva quasi in colpa per questo. Eppure nulla, ripensava continuamente a quel giorno ma l'unica sensazione che le provocava il ricordo del sangue lucido sul pavimento era il piacere più assoluto. Si sentiva più forte. Nessuno l'aveva aiutata, era riuscita a fermare la persona che tanto odiava da sola, con le sue mani. La soddisfazione di conficcare il coltello nella carne, lacerare la pelle e i muscoli, rigirarlo vedendo il liquido rosso colarle sulle mani. L'aveva ammazzato come si ammazza una bestia. E non se ne pentiva. Desiderava, invece, provare di nuovo quell'emozione. Vendetta. Contro tutti quelli che le avevano fatto del male. La Vendetta era l'unica cosa che desiderava.
Uscì dall'aula insieme a Janne, tenendolo per mano e cercando Alexi fra la folla. Ma di lui non si vedeva nemmeno l'ombra. Janika si voltò verso il ragazzo che le stava accanto e gli chiese se per caso sapesse qualcosa, il tastierista abbasso la testa cercando di non incrociare il suo sguardo e sibilò un no. La giovane gli strinse più forte la mano ripetendo la domanda, Janne si arrese:
- Ok, ma poi non prendertela. Ieri è uscito dall'ospedale e pensava che tu lo saresti andato a prendere ma tu eri impegnata con l'avvocato quindi si è incazzato di brutto, ha preso e si è chiuso in un bar. E' tornato alle tre di stamattina con .... ecco Janika vedi, era tanto arrabbiato e probabilmente molto ubriaco e.. -
La ragazza lo fulminò con lo sguardo intimandogli di dirle con "cosa" fosse tornato a casa il Suo ragazzo.  L'altro finì la frase:
- Ecco.. era con una ragazza. Credo che l'abbia conosciuta al bar. -
Lei lasciò la mano del suo accompagnatore e restò qualche secondo nell'apatia totale. Senza sapere cosa una persona qualsiasi avrebbe fatto in una situazione simile. E in quel momento, in quel preciso istante, Janika lo capì. Capì di essere sola. Di esserlo sempre stata. E che la situazione non sarebbe cambiata. Vide Janne molto più dispiaciuto di lei e intuì i suoi sentimenti. La amava.
Janika Veera Virtanen. Ma chi era davvero? In pochi mesi le erano successe tante di quelle cose da poterci fare un film. Eppure lei cercava solo un po' di stabilità, voleva poter tornare a casa di sera e avere un posto sicuro, un viso familiare e quell'atmosfera calda che tanto le mancavano; ricordava gli anni dell'adolescenza, tutti i giorni giurava che se ne sarebbe andata, mentre ora, tutto quello che desiderava era poter tornare. Ma dove? Era mai stata davvero felice? Sì. Ma gli unici momenti che ricordava con felicità e tenerezza erano quelli passati con Janne.
Alzò lo sguardo cercando il volto del ragazzo accanto a lei, incontrò il suo sguardo e lo sostenne per qualche secondo, lasciando che si perdesse nel vuoto dei suoi occhi, avvicinò le labbra alle sue dovendo alzarsi in punta di piedi. L'altro le cinse la vita con le mani e lasciò che le loro lingue si incontrassero. Janika si staccò da lui dopo qualche secondo e gli sussurrò ad un orecchio:
- Ti amo. -

****

Questo capitolo doveva essere pubblicato il giorno del compleanno di Alexi e rimandando il giorno di quello di Janne. Ok, direi che con la tempistica non ci sono xD In ogni caso tra un po' arriva l'estate e spero di riuscire a scrivere più in fretta ... Grazie di nuovo a tutti ^^

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Capitolo 4
*** Valta. ***


children of bodom fanfiction4
Carry me away from my pain

Valta.

"Life is flesh on bone convulsing above the ground."
-the begotten


Janika si svegliò avvolta dalle coperte e appoggiata al petto di Janne. Si guardò intorno, era in camera sua, nulla sembrava cambiato più di tanto nelle ultime settimane. La libreria stracolma delle opere dei più famosi autori europei e sranieri troneggiava sempre di fianco alla scrivania di betulla su cui erano sparpagliati gli ultimi resoconti e i vari documenti; i quadri e le foto incorniciate di quando era adolescente stavano sempre appese alle pareti come per ricordarle che un tempo, forse troppo lontano, anche lei era stata felice. Eppure lei si sentiva cambiata. Sicuramente dal punto di vista fisico: il suo viso risultava più scarno ed emaciato, le labbra avevano un colore più spento e due perenni occhiaie le circondavano gli occhi opachi, inoltre era dimagrita visibilmente; ora le costole le si intravedevano sotto qualsiasi maglietta appena aderente e le clavicole sporgevano imperativamente dalla scollatura ma, nonostante tutto, continuava ad avere quel fascino da angelo indifeso che aveva stregato ben due ragazzi nel giro di poco tempo. Cercò di liberarsi dalla presa del tastierista e, non riuscendoci, dopo pochi tentativi si arrese. Restò qualche secondo a fissare il volto del ragazzo che dormiva beato, iniziò ad accarezzargli dolcemente i lunghi capelli e si mise a pensare. Dopotutto, cosa le rimaneva se non la consolazione nel rimpianto? Nel rimorso, probabilmente, e nell'odio cieco. Alexi l'aveva tradita, di questo ne era sicura. Certamente non si era portato a casa una ragazza per giocarci a poker, eppure si sentiva in colpa. Sapeva che alla fine tutto quanto era successo a causa sua. Ma ormai era tardi. Piangere sul latte versato non l'avrebbe sicuramente aiutata a risolvere la situazione. Per la prima volta dopo molto tempo aveva deciso di smetterla di autocommiserarsi e di iniziare a pensare che c'era un mondo al di fuori di lei e del suo ego. Si liberò dalla presa del tastierista senza provocare troppi danni al suo sonno e si alzò in piedi; era vestita, esattamente come il giorno prima quando era uscita dal processo, urtò con il piede la bottiglia di birra vuota sul pavimento e si chiese come, mezza ubriaca e con il ragazzo che amava, fosse riuscita a tenersi i vestiti addosso. Comunque non se ne preoccupò troppo pensando all'immagine di Janne che la appoggiava dolcemente fra le coperte e a lei che ci si avvinghiava immaginando di trovarsi in chissà quale luogo.
Scese in fretta le scale e si guardò intorno per qualche secondo. L'aveva fatto una volta, questa non sarebbe stata molto diversa. Ripensò alla piacevole sensazione provata in fondo allo stomaco, come se avesse vinto una gara o come quando, da bambina, riusciva a imporsi sugli altri coetanei. Potere. Ma non potere comune, quello che poteva avere il proprietario di un'azienda o la regina d'Inghilterra. Un potere più grande. Un potere che nessuno le aveva conferito, se l'era preso da sola. Con le sue mani. E con quelle stesse mani si era sentita Dio. Ma chi è Dio? Alla fine se l'Onnipotente non ha il Potere di fermare una ragazza con un coltello o un uomo violento, perché viene definito così? Janika sorrise pensando a quella strana figura: un vecchio con la barba bianca. Un vecchio che ha creato dei mostri sul quale ha perso il controllo. Quindi l'Uomo è riuscito a superare Dio. Perciò basta un oggetto per diventare come lui, per interrompere il suo progetto divino. E Janika faceva parte di quel club sempre più numeroso di persone speciali che avevano ottenuto la magnificenza. Il potere di Dio deriva dall'elevazione umana della sua figura, senza gli Uomini lui non ne avrebbe. Quello della giovane e di tutte le persone come lei, derivava da una presa di posizione. Una decisione, se questa fosse giusta o sbagliata a nessuno importava. Janika era il nuovo Dio.
Si diresse in cucina e aprì il cassetto della credenza; questa volta si sarebbe organizzata, non avrebbe lasciato nulla al caso. Dopotutto si sarebbe ritrovata in minoranza, due contro uno. Ma, conoscendo Alexi, la ragazza che si era portato a casa doveva essere una giovane spaurita e presa da chissà quale fondo di un'insignificante birreria. Forse lei non sarebbe stato un grande problema, ma lui sì. La prima volta aveva ucciso un uomo che odiava, perché l'aveva maltrattata moltissime volte, mentre ora si ritrovava a fronteggiare i suoi sentimenti. Ma quelli non le importavano. In realtà quello che temeva, e che sapeva si sarebbe verficato, era la fine dei Children of Bodom. Alexi Laiho non era solo un uomo. Lui era un icona, un simbolo, qualcuno che non poteva semplicemente morire. Eppure lei aveva questo potere, lei poteva decretare la fine di un idolo a cui si erano ispirati un sacco di adolescenti. Era lì, stringeva un coltello da macellaio nella mano destra e si sentiva potente. Provava di nuovo quella sensazione e assaporava  il gusto della morte.
Ma c'era qualcuno fra lei e tutto il suo potere. Janne. Stava in piedi sull'ingresso della stanza e fissava impaurito la giovane. Non sapeva esattamente se le sue paure fossero reali ma, ne era certo, stava per uccidere ancora. Ma chi? Lui? No. molto più probabilmente Alexi e la ragazza con cui l'aveva tradita. Perchè? L'omicidio non era sicuramente l'unica soluzione a questo tipo di problemi. Uccidere Trgve era stato davvero un gesto di difesa, un modo per evitare una nuova persecuzione, ma pur sempre un gesto estremo.
Il tastierista si avvicinò lentamente a lei e sussurò piano:
- Ja..Janika, cosa stai facendo..?-
La giovane sussultò e il suo cuore iniziò a battere all'impazzata. Non ci aveva pensato. Lui l'avebbe fermata, se non fisicamente almeno psicologicamente, perché Alexi era il suo migliore amico e, pur avendo il potere di farlo, non avrebbe mai separato Janne e l'unica persona a cui teneva davvero.
Cercò di sorridere piano riponendo il coltello dove l'aveva trovato. Sentiva le lacrime rigarle il viso, si voltò verso il ragazzo e lo fissò negli occhi, scrutandogli l'anima. Scosse la testa come per scacciare tutti i suoi pensieri e rispose:
- Nulla. Ero solo qui ... tu dormivi e non volevo svegliarti-
Janne ebbe l'impulso di abbracciarla e non riuscì a trattenersi, la strinse con tutta la forza che aveva accarezzandole la schiena, cercando di calmare i singhiozzi che diventavano sempre più forti. In realtà nessuno dei  due capiva davvero cosa stesse succedendo, semplicemente come moltissime altre volte erano abbracciati. Janika sentiva il cuore batterle forte e delle tremende fitte al petto e quell'orribile sensazione allo stomaco, si sentiva tradita e insultata; ma sopratutto sapeva che non avrebbe potuto fare nulla per porre rimedio alla situazione. Per Alexi quella ragazza non doveva significare nulla ma, dopotutto, la facilità con cui l'aveva tradita era la dimostrazione che nemmeno Janika significava molto.
Janne dopo averla calmata le sussurrò piano all'orecchio:
- Tranquilla ... Alexi è fatto così, agisce prima di pensare. E non pensava che ti avrebbe ferita. Lo sai, vedrai che si sistemerà tutto. Si sentirà in colpa, telefonerà e ti chiederà scusa. -
La voce calda e rassicurante del ragazzo riuscì a convincere Janika che si strinse più saldamente a lui ringraziandolo piano:
- Kiitos, Janne-
L'altro sorrise piano e rispose a bassa voce:
- Ole hyvä ...Sai che sono qui per te, non ho intenzione di abbandonarti. Io ... io non posso farlo. Lo so che sembra stupido, noi in realtà ci conosciamo davvero da poco ma, sei tutto. Non potrei lasciarti sola, mai. E' strano, ma sento il bisogno di proteggerti. -
Janika pensò che dopotutto non aveva tutti i torti, non era riuscito ad allontanarsi da lei nemmeno quando avrebbe dovuto. E ora erano lì. Abbracciati. Come eternamente uniti in quella stretta.
Il campanello trillò distoglendoli dai loro pensieri, i due si guardarono scambiandosi un'occhiata complice. Janne aveva ragione. Si diressero insieme verso la porta e il giovane la aprì. Esattamente come si aspettavano, Alexi era in piedi davanti a loro. Gli occhi arrossati e il viso stanco, sembrava stremato, come se fosse appena tornato da una gita di un mese nel deserto. L'amico gli sorrise e gli fece cenno di entrare. Lo sguardo di Alexi si illuminò quando vide la giovane seduta sul divano qualche metro più in là, guardando verso di lui a braccia conserte. Si sedette sulla poltrona lì di fianco e cercò invano di sostenere il suo sguardo. Era arrabbiato, si era ritrovato fuori dall'ospedale da solo. Ma poco dopo, una volta tornato a casa, si era ricordato del processo e del fatto che Janika doveva aver avuto qualche impegno irrevocabile. Si sentiva un verme. Aveva tradito la ragazza che amava e sbattuto fuori casa una che nemmeno conosceva dopo essersela portata a letto. Era imperdonabile. Eppure ora era lì, a testa bassa. Per la prima volta dopo tantissimo tempo era di nuovo a testa bassa. Aveva pensato che il successo e l'essere diventato Wildchild non l'avrebbero mai più ridotto così. Eppure lei aveva questo potere. Lei poteva farlo tornare bambino e fargli implorare pietà. Alexi aveva inesorabilmente bisogno di Janika.
Stava cercando le parole, ma l'altra lo precedette:
- Apprezzo il solo fatto che tu sia qui. Una telefonata mi avrebbe fatta decisamente incazzare. -
Il vocalist alzò lo sguardo e incontrò di nuovo i suoi occhi di ghiaccio. Sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto dire eppure quella parola era bloccata nell'esofago e sembrava non voler uscire, come se quella parola avesse potuto uccidere la sua virilità. Ma trovò il coraggio di sputarla fuori:
- Anteeksi Janika. Io.. non so cosa mi fosse preso. Probabilmente mi vorrai lasciare e posso capirlo. Ma, ti prego, permettimi di poterti restare vicino. Almeno come amico, ma ti prego ... Ti sto chiedendo scusa, ti prego, perdonami. -
La ragazza si alzò e si sedette di fianco a lui, sul bracciolo della poltrona e gli accarezzò i capelli:
- Penso che dovremmo parlarne. Non voglio allontanarmi da te del tutto, penso solo che avremmo bisogno di un momento di pausa. -
Alexi annuì. E tornò a fissarla, stavolta riuscì a guardarla negli occhi e le sorrise piano. Non era una totale vittoria, avrebbe voluto essere perdonato del tutto, ma capiva che quella ragazza, la Sua ragazza, aveva bisogno di tutto meno che di un'altra ferita al cuore. La amava, in realtà l'aveva sempre fatto, ma in un modo quasi perverso e malato. Era un amore possessivo, qualcosa che cresceva da dentro e che portava a vadere Janika solo al suo fianco. Ma, dopotutto, era sempre stato l'unico modello di amore conosceva. Tutte le ragazze che si era portato a letto, persino Kimberly, erano state semplicemente un'avventura e nulla di più. Con Janika era diverso. Ogni secondo passato con lei lo rendeva felice e non gli importava di sembrare uno stupido adolescente quando la prendeva in braccio in mezzo alla folla e le baciava le morbide labbra rosee, era semplicemente tutto quello che un ragazzo potesse desiderare. Ma, in  realtà, nel profondo del suo cuore sapeva. Sapeva esattamente perché bramava in modo così ossessivo Janika: non era poi così difficile capirlo. Janika non era sua. Non gli era mai davvero appartenuta, il cuore della giovane era sempre stato nelle mani di Janne e non nelle sue. Quindi ora si ritrovava innamorata di una ragazza che amava il suo migliore amico e, quasi sicuramente, il suo migliore amico ricambiava.
"Bella merda" si limitò a pensare Alexi prima di alzarsi e andare in cucina a prendere una Heineken in frigorifero.

****
Ommioddio. Questo capitolo è davvero finito? O_O più che non trovare ispirazione per scrivere il problema è che ci ho messo un mese a scriverlo. xD E' già Luglio e io contavo di scrivere molto di più.

Anyway, questo è quanto :) Grazie di nuovo a tutti per la vostra paz... attenzione nel seguire il mio delirio programmato.
Al prossimo capitolo
PersephoneNebel_

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Capitolo 5
*** Hirmumyrsky ***


Children of bodom ff5
Carry me away from my pain

Hirmumyrsky

This was never my world ,
you took the angel away
I'd kill myself to make everybody pay

Era notte fonda quando Janika si trovò seduta sulla poltrona del salotto a fissare la porta d'ingresso. Tutto quello che aveva sentito era stata una forte fitta al petto prima della telefonata della madre che le aveva annunciato la morte della sorella. Se l'era sentito dentro, come se avesse sentito l'ultimo respiro esalato dal fragile corpo della piccola, era stato tutto inutile. Non volle, però, fermarsi a pensare su quanto potesse essere giusto morire in un'età così prematura. La risposta era comunque troppo ovvia. Non ebbe nemmeno l'impulso di entrare nella camera in cui avevano trascorso insieme molto tempo a parlare di quando sarebbe guarita e di tutte le cose che avrebbero potuto fare insieme. Tutto quello che volle fare fu sedersi sulla grande poltrona che aveva il profumo di sua madre; una leggera fragranza di fiori le penetrava nel naso ricordandole tutti i bei momenti trascorsi in famiglia, prima della malattia della sorella, quando tutti riuscivano a sorridere davvero. Perché sia lei che la madre, ma sicuramente anche la sorella, sapevano che da quel momento i sorrisi erano diventati falsi, di compassione, speranzosi forse ma comunque non sinceri. Janika pensò all'inutile guerra silenziosa instaurata fra Janne e Alexi che, nonostante tutto, fingevano ancora una profonda amicizia, ma forse era proprio così, forse gli eventi non li avevano toccati minimamente, il tentato suicidio del vocalist poteva essere stato causato da mille altri fattori che non fossero lei. Si sentì sola. Sola nel dolore per la perdita della sorella, sola perché da sola aveva ucciso un uomo, sola perché solo lei aveva provato piacere nel farlo. Ma sopratutto si sentì lontana. Lontana dal mondo e da tutto quello che la circondava. La poltrona non era una poltrona ma sua madre, la porta era il suo ex ragazzo e casa sua era una scatola dei ricordi, ma al contrario delle normali scatole dei ricordi nella sua vi si potevano trovare molti ricordi spiacevoli, molte liti inutili, molte foto che avrebbe voluto stracciare. Nonostante tutto l'universo continuava a espandersi, il tempo andava avanti e le tazzine rotte non si ricomponevano. Janika sapeva però che la sorellina sarebbe vissuta per sempre dentro di lei, perché nonostante i capricci di un Dio impotente Janika l'avrebbe sempre ricordata con affetto, non con quella tremenda tristezza che l'avrebbe fatta soffrire; non avrebbe ricordato i giorni della malattia o la telefonata della madre, ma quando stava accanto a lei ascoltando le note che uscivano fluide dal pianoforte o quando insieme avevano visitato la Lapponia, così facendo, in un certo senso, la piccola sarebbe guarita e avrebbe vissuto una vita lunga e felice insieme alla sorella maggiore che, in ogni caso, le sarebbe sempre stata vicino.
Janne, al piano di sopra, aveva sentito il telefono squillare e le parole sussurrate di Janika e aveva capito. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato e avrebbe voluto che la ragazza si infilasse di nuovo sotto le coperte, che si stringesse al suo petto e che si sfogasse invece si era limitata a scendere in soggiorno e a non tornare. Più lontana che mai. Lontana dalle sue braccia e lontana dal suo cuore.
Ricordò quando l'aveva incontrata la prima volta, aveva subito capito tutto di lei nonostante alcune stanze della sua mente gli rimanevano oscure e inesplorate. Continuava a chiedersi come quell'angelo biondo avesse potuto uccidere, sapeva benissimo che dopo quel giorno tutto era cambiato ma non voleva ammetterlo. Più volte le aveva detto che non sarebbe riuscito a vivere senza di lei eppure ora si sentiva estraneo a qualsiasi suo pensiero. Si paragonò con lei. Janne aveva avuto tutto dalla vita, i soldi, la fama, buoni amici e l'amore di una famiglia che era sempre pronto ad accoglierlo a braccia aperte mentre Janika non aveva avuto nulla di tutto questo. Pensò a lei unicamente come il prodotto di una famiglia disfunzionale, rotta da litigi e tristezza, l'amore che le era stato negato su tutti i fronti non le permetteva di vedere le cose obbiettivamente ed era come se sapesse che in ogni caso sarebbe andata male. Ma quello che più lo preoccupava era il silenzio. Nessun singhiozzo, nessun pianto. Solo un gelido silenzio in un castello di carte pronto a cadere al primo alito di vento.
Si alzò dal letto e scese piano i gradini, la trovò seduta in soggiorno, lo sguardo fisso e la mente altrove. Si sedette sul divano e aspettò.
La ragazza voltò piano la testa e posò gli occhi sul tastierista che sentì un brivido lungo la schiena, non parlava. Sembrava una bambola di porcellana con gli occhi troppo profondi. Nella penombra della notte tutto sembrava sospeso, nemmeno gli animali notturni osavano rompere quel silenzio.
- Devi andare via, Janne.-
Il ragazzo scrutò la giovane chiedendosi se intendesse via di casa o via dalla stanza, ma non osò chiederlo. Si avvicinò a lei e le strinse il viso contro al petto cullandola dolcemente ma lei lo respinse:
-Janne.. devi andare via-
Questa volta trovò il coraggio di chiedere il perché ma lei si limitò a fissarlo negli occhi. La voce di Janika suonava come un lamento, troppo infantile per essere la sua, quasi come se fosse un capriccio. Chiuse piano gli occhi e si strinse a Janne:
- Ma se vuoi puoi rimanere... -
E ecco le lacrime. Il tastierista si chinò a baciarle la testa continuando a cullarla. Finalmente tutto andava come doveva andare, era rassicurante sapere che da qualche parte anche lei aveva conservato un briciolo di umanità, qualcosa che lasciasse intendere il suo bisogno di affetto che per molto tempo aveva represso e lasciato in fondo al cuore.
Janne le sussurrò dolcemente una ninna nanna finnica, che parlava di un uomo di neve e di un bambino che sognava. Janika scoppiò in un pianto più forte che sovrastò la musica leggera ma lui riuscì a calmarla e la prese in braccio portandola a letto dove tutto tornò come prima.
Janne sdraiato con il lenzuolo a metà busto e Janika con il viso sul suo petto.
Tutto era tornato normale ma nulla sarebbe tornato indietro. Per quanto entrambi potessero illudersi la tazzina rimaneva rotta, i cocci sul pavimento non si sarebbero mai ricomposti per tornare sul tavolo.

****
Per capire questo capitolo penso sia necessario sapere, almeno a grandi linee, la teoria di Stephen Hawking, lo scienziato era stato convinto un tempo che l'universo avrebbe smesso di espandersi per contrarsi di nuovo e che l'entropia potesse invertire il tempo. Qui nasce l'esempio più comune, quello della tazzina. Si suppone infatti che una tazzina rotta possa ricomporsi e tornare sul tavolo da cui è caduta se il tempo si invertisse.

Grazie di nuovo a tutti,
PersephoneNebel_

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Capitolo 6
*** Lilja's Lament ***


Children of Bodom fanfiction6
Lilja's lament

I would have told her that she was the only thing 
that I could love in this dying world 

Lilja Turiekku non aveva avuto una vita facile. Fin da bambina aveva dovuto lottare per tutto; era stata cresciuta da suo padre perché la madre se n'era andata quando lei era molto piccola, ma non le era mai dispiaciuto in realtà se non fosse che viveva inseme ad altri tre fratelli più grandi e il papà era solo un povero operaio che riusciva appena a sbarcare il lunario fra bollette e affitto. Così non aveva potuto frequentare un'università né un liceo come avrebbe voluto, e all'età di appena sedici anni era andata a lavorare in una piccola merceria che in ogni caso non le permetteva grandi aspettative di vita. La vera svolta, forse l'unica nota positiva della sua vita, era avvenuta quando in un soleggiato pomeriggio di fine agosto aveva fatto capolino nel negozio un giovane che veniva da Tampere. Disse di chiamarsi Teemu e cercava invano qualcuno che potesse aiutarlo a trovare il centro di Helsinki e un certo bar che era chiuso da troppo tempo perché qualcuno si ricordasse anche solo il nome. All'inizio le era sembrato strano, alto e allampanato con la sua carnagione sbiadita e i capelli che sembravano piccole pagliuzze di fieno tagliate alla militare e con gli enormi occhi grigi screziati di viola ... effettivamente, aveva pensato Lilja, sembrava un po' un ranocchio. Sarebbe rimasto in città per qualche giorno dato che i suoi genitori avevano importanti affari di lavoro da svolgere, e voleva assolutamente visitare Helsinki, ma il suo problema -disse- era che non aveva una guida e non poteva godersi gli angoli più suggestivi. La giovane fu molto contenta di poter frequentare il ragazzo dai capelli biondi e si mise subito all'opera.  
Pochi giorni dopo i due erano diventati molto amici ma, purtroppo, lui doveva tornare a Tampere poiché i suoi genitori avevano concluso le contrattazioni. Tuttavia i due non persero definitivamente i contatti, una o due volte al mese si scrivevano potendo così rafforzare il loro legame di amicizia. Si innamorarono veramente quando anche il padre le venne a mancare; infatti, saputa la notizia, Teemu trovò il modo di tornare a Helsinki e riuscì ad aiutare sia economicamente che psicologicamente la povera Lilja che riuscì a frequentare un liceo e a ottenere un diploma che le sarebbe servito per poter lavorare come segretaria in un'azienda di trasporti. Raggiunse il culmine della felicità quando il giovane le chiese di sposarla e quando, non molto tempo dopo, era rimasta incinta di due gemelli; entusiasta della notizia iniziò a leggere libri su libri che le spiegavano come evitare di perdere i bambini, cosa che comunque accadde nella metà del secondo mese. Oltre al dispiacere si aggiunse anche la preoccupazione di non poter più avere bambini. Ma, fortunatamente, dopo infinite ore di cure costosissime era riuscita a rimanere nuovamente incinta di una bambina che sarebbe nata in ottime condizioni di salute nove mesi esatti dopo. La piccola, a cui diedero il nome di Janika in onore della nonna materna di Temuu, era molto legata a entrambi i genitori e non faceva mai mancar loro il suo affetto ricambiato pienamente. Il padre pochi anni dopo aveva ereditato l'attività di famiglia incrementandone i guadagni e permettendo a sua figlia di vivere un'infanzia più che felice; nonostante l'apparente felicità Lilja prevedeva un'imminente disastro così, come per assicurarsi il futuro, aveva iniziato a mettere da parte dei risparmi che apparentemente sarebbero serviti a pagare l'università di Janika. Quando questa diventò adolescente ricevette la notizia che la madre aspettava una sorellina e, felicissima di ciò, iniziò a cercare tutti i suoi vecchi giocattoli che sarebbero potuti andare bene anche per la nuova arrivata. Ma non fu dello stesso avviso Temuu che, stressato da infinite ore di lavoro, si era chiuso in se stesso e aveva iniziato a essere più burbero e scontroso sopratutto perché, accecato dall'avidità, aveva constatato che una nuova persona in famiglia indicava una nuova bocca da sfamare.
La piccola non fu mai benvoluta dal padre e veniva costantemente emarginata e rilegata in camera sua in una perenne punizione per qualsiasi cosa facesse. Pochi anni dopo si ammalò di leucemia. La malattia la costrinse a letto per molti giorni consecutivi e a moltissime visite e cure in ospedale che sembravano non portare a niente. Intanto Janika aveva interrotto gli studi per permettere alla madre di lavorare e per prendersi cura della sorellina; le cure erano costose e molto spesso riducevano tutta la famiglia a un silenzio agonizzante che sembrava implorare pietà. Proprio in quel periodo, giusto per non lasciare il danno senza la beffa, Temuu decise di chiedere il divorzio e di tornare a vivere a Tampere dove, all'insaputa di tutti, si era già fatto una nuova famiglia con una donna più giovane di vent'anni e che aspettava un figlio maschio, che era sempre stato il suo grande desiderio. Ma la perdita sembrò toccare solo lontanamente Lilja, come se tutto stesse accadendo al personaggio di una qualche serie tv argentina, che continuò a lottare insieme alle figlie per sconfiggere quel brutto male.
Come un principe su un cavallo bianco era arrivato dalla Norvegia un ragazzo che sembrava essersi perdutamente innamorato della giovane Janika: Trugve, che non appoggiava i conflitti fra le regioni scandinave, decise di prendere sotto la sua ala protettiva la ragazza essendo perfino disposto a pagare le cure alla sorellina. Ma molto presto la maschera cadde. Una sera Janika era rientrata a casa più tardi del solito, sembrava sconvolta e disorientata, appena la vide la madre si allarmò e la portò al pronto soccorso. Infatti un grosso livido troneggiava sulla sua guancia sinistra e il labbro superiore era completamente tumefatto. Ma quella fu solo il primo di molti altri episodi simili che portarono Lilja all'ovvia conclusione: Trugve, molto più che probabilmente, picchiava sua figlia. Janika tuttavia era pienamente consapevole che lui era l'unico che potesse pagare le cure della sorella e quindi non lo accusò mai, arrivando perfino a difenderlo e accusando se stessa di sbadataggine.
E ora, dopo aver visto la figlia maggiore uccidere un uomo, assisteva inerme al funerale della minore. Una piccola bara bianca veniva portata verso la fossa scavata nel terreno. Lilja pregava. Come quando da piccola si sedeva attorno al vecchio tavolo di legno insieme ai suoi fratelli per ringraziare del cibo ricevuto. Ma tutto quello che chiedeva in quella gelida giornata era di essere scambiata con la figlia; avrebbe tanto voluto trovarsi nella bara ed ascoltare il silenzio religioso delle poche persone, ma Dio era stato crudele un'ennesima volta e le aveva portato via anche il suo più prezioso tesoro, tutto ciò che le era rimasto. Accanto a lei Janika stringeva la mano di Janne, in realtà non aveva capito cosa fosse successo durante la sua assenza ma a quanto pareva doveva aver litigato con l'amico del fidanzato che si trovava poco più indietro assieme al resto della band. Al contrario della madre la giovane non riusciva a trattenere le lacrime. Entrambe speravano in una fine alla Misery, speravano in una miracolosa resurrezione che restituisse loro la piccola ma sapevano nel profondo del loro animo che ciò non sarebbe mai potuto accadere.
Janika riuscì a calmarsi solo dopo la fine della cerimonia, stava seduta insieme alla madre e a Janne, che le cingeva le spalle col braccio, sul grosso divano di pelle di uno studio legale. Sembrava assurdo e crudele discutere di quella faccenda dopo così poco dalla morte della giovane eppure quello era l'unico giorno in cui l'avvocato poteva parlarne. La causa della morte non era stata la leucemia. Entrambi gli ospedali in cui era stata ricoverata, l'HUS hospital in Finlandia e il Kaolinska Universitetssjukhset a Stoccolma,avrebbero dovuto dare un risarcimento alla famiglia pari alla cifra di un milione di euro.

*****
Oddio è un secolo che non pubblico qualcosa o.O
Anyway lascio a voi i commenti ^^ Alla prossima :)
Persephone

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Capitolo 7
*** Angels don't kill ***


COB ff 14
Carry me away from my pain

Angels don't kill

Janika stava preparando il pranzo per il picnic che Janne e la band avevano organizzato sul lago Bodom, nulla importava se faceva ancora molto freddo e l'aria frizzante li avrebbe perseguitati per tutto il giorno. La giovane amava cucinare, nonostante si trattasse solo di qualche panino le piaceva l'atmosfera familiare che la cucina le trasmetteva; finalmente dopo moltissimo tempo si sentiva a casa. Tutto questo era dovuto anche al fatto che il tastierista era lì con lei, e la guardava seduto sulla sedia alle sue spalle. Janne sapeva benissimo che Janika era una ragazza molto forte, nonostante potesse sembrare una normale finlandese, bastava poco per capire tutto quello che aveva passato. Ora, nonostante la morte della sorella, aveva energie da vendere per continuare a vivere a testa alta. Ma, ovviamente, aveva preso tutto dalla madre: Lilja dopo aver passato una vita orribile ed essere stata abbandonata da tutti, sapeva che non era ancora arrivata la sua ora. Non poteva lasciare la sua bambina tutta da sola, non l'aveva mai fatto e non aveva nessuna intenzione di farlo. Ma anche lei era rimasta molto provata dalla morte della figlia minore, certo avevano ricevuto ben un milione di euro come risarcimento ma a cosa le sarebbero serviti tutti quei soldi se non aveva nessuno con cui dividerli? Aveva deciso che si sarebbe ritirata in Svezia, nel piccolo appartamento che aveva comprato quando aveva dovuto assistere la piccola e avrebbe lasciato tutti i soldi a Janika che, in realtà, avrebbe preferito tenersi sua sorella e restituire tutti i soldi ai rispettivi ospedali. Tutta la questione era sembrata un'enorme presa in giro, la sorellina era stata ricoverata in un ospedale straniero su consiglio di una delle più importanti strutture della Finlandia per una nuova cura che, tuttavia, non era stata mai approvata ed era semplicemente in via sperimentale. Né Lilja né Janika erano a conoscenza del fatto che la povera bambina era stata usata come cavia per una cura inconcludente e letale. Ora si ritrovavano a dover fronteggiare un'ennesima perdita ma, almeno questa volta, qualcuno aveva riconosciuto loro un risarcimento nonostante entrambe non vedessero l'ora di liberarsene.
Janne si alzò mentre la giovane finiva di mettere i panini nel cesto e la abbracciò da dietro baciandole dolcemente il collo:
-Dobbiamo aspettare che arrivino gli altri ora ... -
Janika si lasciò coccolare perdendosi nel calore familiare di quell'abbraccio tanto caldo quanto rassicurante. Nulla avrebbe potuto farle del male se si fosse trovata fra quelle braccia:
- Alexi ha detto che sarebbe passato verso le undici ... sono solo le dieci -
Janne la prese in braccio di peso e la strinse a sé, non c'era bisogno di parole fra di loro, si erano sempre capiti con una semplice occhiata. Il ragazzo salì le scale e si diresse in camera dove appoggiò la sua amata sul letto e si mise sopra di lei baciandole il collo:
-Janika ... io ti amo. Tu sei tutto quello che ho, non mi importa di nulla se ho te. Sei la mia Musa, sei la musica nella mia vita, non ho mai provato per nessuno quello che provo per te. Ci stavo pensando da un po' di tempo ... vendiamo la casa o affittiamola, tua madre ha deciso di trasferirsi in Svezia e noi potremmo andare fuori dal caos della città, comprarci una villetta e vivere insieme. Io e te. -
La giovane si strinse a lui e lo baciò in un modo ben poco casto, forse questo sarebbe stato il risolvimento del problema, anzi, di tutti i problemi. Forse le serviva davvero poter vivere da sola con la persona che amava, lontano da tutto e da tutti:
- Sì. Lo sai che è quello di cui abbiamo bisogno, domani possiamo mettere gli annunci per affittare la casa e iniziare a cercarne una nuova. Ora.. non pensiamoci-
Janne le sfilò la maglia baciandole il seno e scendendo sul ventre mentre il respiro della giovane si faceva sempre più ansimato, il tastierista le slacciò i jeans scuri e li gettò a terra, le fece aprire leggermente le gambe e le baciò l'inguine attraverso la stoffa sottile degli slip facendola sospirare. Janika infilò le mani fra i suoi capelli per pregarlo di non smettere, cosa che il giovane non aveva nessuna intenzione di fare; Janne le sfilò anche l'intimo lasciandola nuda, aveva un corpo semplicemente mozzafiato: era magra, tanto che le costole le si intravedevano sotto la carne, nonostante ciò aveva un seno piuttosto prosperoso, la pelle chiarissima si arrossava solo sui capezzoli turgidi per il piacere, e le gambe lunghe e sottili la facevano sembrare più alta e aggraziata di quanto non fosse. Il giovane le baciò nuovamente l'inguine, soffermandosi più a lungo per aumentare il piacere della giovane che non si vergognava affatto a fargli capire che era esattamente quello che desiderava. La lingua calda di Janne si insinuò tra le pieghe del sesso di Janika che continuava ad ansimare sempre più in fretta premendo leggermente la testa del ragazzo contro al suo inguine mentre l'altro sorrideva sotto ai baffi succhiandole il clitoride, sapeva di avere Janika in suo potere. Lei aveva completamente perso il controllo, qualsiasi problema era scomparso, qualsiasi preoccupazione era svanita nel nulla. Era completamente sua.
La ragazza lo tirò sopra di sé ma lui non smise di torturarle la parte superiore della vagina con le dita esperte da pianista e lasciandole scivolare sull'apertura umida che reclamava la sua parte di piacere. Janika gli sfilò i pantaloni sentendo il membro premere contro i boxer che sembravano non contenerlo, lo accarezzò attraverso la stoffa prima di sfilargli tutto quello che gli rimaneva addosso; prese il sesso del ragazzo in mano per ricambiare il piacere che le stava facendo provare mentre lui le succhiava i capezzoli e li mordeva piano. Improvvisamente Janne si fermò e si sdraiò lasciando che la ragazza si mettesse a cavalcioni sopra di lui e si strusciasse piano contro il glande, Janika lasciò che iniziasse a penetrarla dolcemente e a muoversi lentamente finché non le ebbe infilato dentro l'intero organo. Il ragazzo rimase fermo qualche secondo per farla abituare alla presenza estranea prima di riprendere a spingere sempre più in fretta; la giovane aveva gli occhi fissi nei suoi e gemeva seguendo il suo ritmo via via più impetuoso, Janne la prese per i fianchi per muoversi più in fretta, erano entrambi al limite ma cercavano di trattenersi per prolungare il piacere, Janika gli accarezzò il viso ansimando:
-Non ce la faccio più ... ah ... vengo amore ... -
Si lasciarono andare insieme, stretti l'uno all'altra, lasciando che il loro piacere si mischiasse diventando una cosa sola. La stanza immersa nel silenzio rotto solo dal respiro affannoso dei due, la ragazza si lasciò cadere sul petto del tastierista che la abbracciò baciandola:
- Ti amo da morire -
- Anche io -
Si sorrisero scambiandosi qualche bacio affettuoso quando il cellulare di Janne squillò segnalandogli l'arrivo di un messaggio; il giovane si allungò verso la tasca dei pantaloni e lo sollevò da terra, era Alexi:
Ehi Janne! Abbiamo saputo che Roope è stato male di brutto stanotte quindi rimandiamo il picnic.
Il ragazzo sorrise e diede un bacio sulla fronte della ragazza:
- Niente picnic, Roope è stato male -
Janika annuì stringendosi fra le braccia del ragazzo. In realtà a nessuno dei due importava del picnic erano semplicemente contentissimi di poter stare insieme, avevano preso una decisione che avrebbe dato una svolta alle loro vite ed erano decisi ad andare fino in fondo.
Il ragazzo si alzò dal letto e si infilò i pantaloni per accendere il computer sulla scrivania, Janika indossò gli slip e la maglia di Janne per sedersi in braccio a lui:
-Prima di trasferirci vorrei chiarire con Alexi ... alla fine l'ultima volta che abbiamo parlato ero incazzata come una belva con lui quando in realtà parte della colpa era mia -
Janne annuì stringendola fra le braccia e le sussurrò a un orecchio che non voleva perderla mai più.

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Finalmente ecco un altro capitolo! Per consolarvi posso dirvi che ho subito pronto il prossimo che pubblicherò fra poco :)

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