Don't let the water drag you down

di LightsTurnOff
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo #01: New home. ***
Capitolo 3: *** Capitolo #02: Music ***
Capitolo 4: *** Capitolo #03: Out of control ***
Capitolo 5: *** Capitolo #04: Costanti di equilibrio ***
Capitolo 6: *** Capitolo #05: Nothing ***
Capitolo 7: *** Capitolo #06: Compromise ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Don't let the water drag you down
Prologo.






Matt se n'era andato.
Brian aveva guardato il treno partire percorrendo la banchina a grandi passi come a volerlo raggiungere, ma questo aveva aumentato di velocità fino a scomparire oltre le colline che si scorgevano in lontananza; poi si era fermato sul ciglio e avevo preso a guardare le rotaie abbassando lo sguardo fino ad incontrare la punta delle proprie scarpe.
Gli faceva male la testa, lo stomaco scioglieva le sue stesse pareti.
Alcuni passanti avevano prestato attenzione a quel ragazzo solo per pochi secondi, altri lo avevano additato mentre cercava di rincorrere l'ultima carrozza, nessuno invece gli aveva rivolto la parola.
Un' espressione sconsolata gli accartocciava il volto, le guance erano di un rosso acceso per la rabbia che aveva accumulato e forse si sarebbe messo ad urlare, se non fosse stato troppo orgoglioso da cercare di tener dentro il più possibile.
Si sedette su una panchina mentre una voce maschile annunciava l'arrivo di un treno sul binario quattro, i gomiti erano piantati nelle cosce e la testa racchiusa tra i palmi; picchiettava i piedi a terra, Brian, come se si aspettasse di veder riapparire Matt da un momento all'altro con un mazzo di fiori ed un enorme sorriso stampato sulle labbra.
Il cellulare che aveva nella tasca dei pantaloni vibrò e lui lo tirò fuori il più velocemente possibile, per poi rimanere deluso dopo aver scorto il nome del mittente del messaggio sulla parte alta dello schermo: Jimmy.
Diceva solo: torna a casa, ma in quelle tre parole si celava un mondo intero fatto di preoccupazioni e di sigarette fumate nervosamente in veranda, di unghie mangiucchiate e di rabbia che lacerava le pareti delle guance sanguinanti per colpa dei denti.
Quel ragazzo era stata l'unica ancora di salvezza per Brian per moltissimo tempo e lo era ancora, erano l'uno i salvatori dell'altro e non c'era istante in cui James non provasse apprensione nei confronti del suo migliore amico, quando non era al suo fianco con una bottiglia di birra in mano.
Erano fratelli, ognuno conosceva i segreti più reconditi e le reazioni dell'altro in qualunque situazione, perciò Jimmy sapeva che il suo migliore amico non avrebbe mai risposto a quel messaggio e così fu, ma sapeva anche che avrebbe seguito all'istante il suo consiglio, cosa che altrettanto fece.
Infilò il cellulare di nuovo in tasca e poi si affidò totalmente alla musica mettendo le cuffiette e premendo il tasto play senza neanche far caso a quale canzone fosse in riproduzione: qualunque essa fosse avrebbe fatto male in ogni caso.
Stava tornando a casa, tornava da Jimmy.
Love, love will tear us apart... again.*
Ecco, quel brano faceva parte del mucchio di stronzate che Matt gli aveva infilato nel lettore portatile, lui e quella fottuta musica di merda.
Love, love will tear us apart... again.
Ed era quella stessa musica che anche l'altro ragazzo stava ascoltando a bordo della carrozza numero sei, sedile vicino al finestrino. Il dolore partiva dalle caviglie e saliva sempre più giù, gli intorpidiva le ossa e le dita delle mani.
In quel momento aveva gli occhi chiusi e la testa appoggiata al vetro, la musica chiudeva qualsiasi rapporto con il mondo esterno ed una parte di lui avrebbe voluto andare avanti così per sempre con solo il ritmo lento ma cadenzato dei Joy Division ed il buio intorno a lui.
Si ricorda ai gentili passeggeri che-”
Matt alzò un po' il volume così da coprire del tutto quella voce che rimbombava fastidiosamente in ogni carrozza per poi tornare al suo dolore fisico e psicologico, a quella sensazione di soffocamento che non riusciva in alcun modo ad alleviare; aveva anche provato a piangere, aveva stretto gli occhi più che poteva spremendo le ghiandole lacrimali al massimo, ma niente: il senso di vuoto e la disperazione e la sensazione che nulla sarà mai di nuovo come prima lo avevano prosciugato anche dei liquidi corporei.
Love, love will tear us apart... again.
Mancavano ancora diverse ore alla fine del suo viaggio e, prima di vedere gli sportelli chiudersi, aveva incrociato le dita nella speranza di addormentarsi, ma concentrarsi su qualunque cosa che non fosse la musica che era costretto ad ascoltare significava ricordare il viso di Brian che lo fissava oltre il vetro, che esprimeva tutto e niente come delle nuvole grigie da cui, inaspettatamente, parte un fulmine che incendia un albero poco lontano. E non puoi fare altro che rimanere a guardare, spaventato ed affascinato, ad assistere al tragicamente meraviglioso spettacolo della natura.
Perché Brian non era altro che questo: pesanti gocce d'acqua che ti fendono il viso ma che ti dissetano.
Quando aprì gli occhi, Matt si rese che il sole non era più alto come prima, che forse l'estate stava finendo ma che ad Huntington Beach avrebbe continuato a fare caldo perché era questa l'unica cosa che quella città sapeva fare, bruciare e sciogliersi, ma forse lì dove stava andando il clima sarebbe stato diverso e magari in quel momento stava tirando vento o il cielo era terso ma l'aria molto meno umida.
Anche il tempo non era lo stesso, in quel posto dove stava andando con così tanta fretta, il paesaggio fuori dalla finestra della sua camera sarebbe stato sconosciuto ai suoi occhi per diversi giorni e, seppur avrebbe continuato a cercare ogni mattina, non avrebbe mai più trovato il profumo di Brian sotto il cuscino.
Then love, love we tear us apart... again.

***

Brian alla fine aveva passato tutto il weekend a casa di Jimmy avvisando i suoi genitori con un messaggio freddo e sbrigativo, erano rimasti seduti al piccolo tavolo della cucina a mangiare cibo surgelato, a bere e fumare con le giuste dosi di caffè di tanto in tanto. Avevano anche parlato, qualche volta, ma per la maggior parte del tempo erano stati ad osservarsi in silenzio; d'altronde non c'era alcun bisogno di parlare, se non si aveva nulla di nuovo da dire.
La testa di entrambi era leggera, lievemente annebbiata ed una nuvola di fumo aleggiava sopra le loro teste. Jimmy, invece, aveva gli occhi ridotti a fessure e gli zigomi arrossati per colpa della birra, la finestra aperta alle sue spalle faceva sì che la brezza estiva gli scompigliasse i capelli.
Il cielo si era scurito, non vi erano più le linee dorate del sole a striare le nuvole, stava per farsi notte, ma non faceva freddo.
Brian aveva voglia di fumare, ancora, con i gomiti poggiati sul davanzale ed il naso oltre gli infissi, così si alzo ma dovette attendere qualche istante prima di muoversi ed aspettare che la testa smettesse di girare. Accese la Marlboro e tirò piano, attese poi l'arrivo del sapore amarognolo ma questo era attutito dal pastone che aveva in bocca da giorni, l'alcol e il tabacco e il cibo gli avevano chiuso le papille gustative. Non poteva fare a meno, mentre prendeva boccate di fumo, di volgere lo sguardo al braccio avvolto da pellicola trasparente: poco prima era andato nel suo negozio di tatuaggi di fiducia per dare colore ai demoni e mostri che gli correvano sulle braccia, lo aveva fatto perché Matt se n'era andato e, da allora, il suo costante desiderio di autodistuggersi si era placato o, almeno, sapere di star ingerendo catrame a pieni polmoni poteva bastargli. Inizialmente quelle facce grottesche che gli si erano mischiate alla pelle erano il suo modo per tirar fuori tutte le paure e le preoccupazioni che infestavano la sua vita tardo adolescenziale che si affacciava in quella degli adulti ma, dopo tutto quello che era successo, guardarsi le braccia gli ricordava solo il viso del ragazzo che per quei mesi aveva accarezzato, baciato, forse amato.
Non importava cosa gli stessero marchiando addosso, poteva essere di tutto per ciò che lo riguardava, la cosa importante era che ci fosse sempre quel leggero bruciore a fior di pelle, il rossore e l'ago che entrava ed usciva.
Quando Jimmy venne al suo fianco con un plaid nero sulle spalle, Brian si distolsi dai suoi pensieri, anche l'amico fumava e il suo sguardo si perdeva oltre quanto lui stesso potesse vedere.
La loro amicizia, quella sua e di Jimmy, era fatta di battute squallide e azioni ancor più stupide, non parlavano mai davvero, non avevano mai avuto la necessità di conoscersi perché bastava trovare ognuno negli occhi dell'altro le risposte che cercavano. E, nei suoi occhi, quando ormai la sera aveva avvolto le case e i grattacieli, vedeva lo sgomento e la paura di perdere Brian forse per sempre; il moro avrebbe voluto mettergli una mano sulla spalla e dirgli che non sarebbe successo, che stava bene, ma sarebbe stata una bugia che avrebbe rincuorato più lui stesso che Jimmy.
"Finirà mai?" chiese Jimmy, con sguardo preoccupato.
"Di cosa stai parlando?"
Brian rispose con un'altra domanda dopo aver buttato fuori qualche sprazzo di fumo, la sigaretta era quasi alla fine e ormai faceva schifo, era quasi tentato a spegnerla.
"Di te che ti autodistuggi e io che cerco di salvarti, di me che rischio di lasciarci la pelle per colpa tua e di noi che ci chiudiamo in casa a farci del male col sorriso sulle labbra; è patetico, ok? Patetico, smettiamola."
Brian gli rivolse uno sguardo dispiaciuto, non sapeva cosa dire. "Vado a rollare un'altra canna." aggiunse subito dopo.
Jim gli voleva bene e non voleva salvarsi senza di lui il quale, pur essendogli grato, si sentiva terribilmente in colpa perché, l'unica cosa che riusciva a pensare era che tutto quello schifo era solo all'inizio.
Si spostò dalla finestra per andare in camera dell'amico, direzione? La scrivania piena di vestiti sporchi, suoi e di Jimmy,vestiti che fece cadere a terra con un gesto noncurante per poi sedercisi su, gambe aperte e gomiti sulle cosce, pronto per girare quella sua canna tanto desiderata. Con il grinder già posato sulla scrivania, tirò fuori dalla tasca il sacchettino trasparente in cui conservava la marijuana, notando che era quasi finita.
“Ma sì, che con quella che resta non ce ne esce neanche un'altra,” disse svuotando il contenuto nel grinder nero e posizionandoselo fra le mani, facendolo girare con i palmi per non perdere la pressione.
James, rimasto dietro di lui, lo guardava con la coda dell'occhio mentre si sistemava l'erba fra le mani e nel frattempo faceva scivolare via il tabacco dalla Marlboro, vedeva quello sguardo vuoto come non lo vedeva da tanto; aveva finalmente trovato una via d'uscita lui, ma ora era ancora peggio di prima, glielo si leggeva -anzi per meglio dire non glielo li leggeva- in faccia, sembrava un automa, il cui unico scopo era fuggire via dalla sofferenza e per farlo, si autodistruggeva.
Brian voleva diventare un corpo vuoto, privo di anima.
“Et voilà,” disse il moro con un sorriso sardonico in volto mentre mostrava la lunga canna al suo migliore amico, girata ad arte anche grazie alle dia affusolate e ben allenate e, diciamolo, non tutto era merito della sua passione per la chitarra.
La cosa che faceva preoccupare Jimmy era che Brian non parlava, per nulla. Non che ci fosse bisogno di parlare con lui, la loro amicizia andava oltre quello, si capivano con uno sguardo, un gesto, anche con il silenzio, ma questo avrebbe fatto bene a Brian che invece faceva finta di nulla. Era un processo che l'amico conosceva fin troppo bene, Haner era fatto così, quello che lo feriva be', lo cancellava dalla sua vita.
Per lui non era mai esistito.
E non gli importava che questo cancellare il passato lo portasse alla distruzione totale, fisica e mentale, la sua reazione era sempre la stessa. Non importava se la notte il suo inconscio gli ricordava che quei ricordi erano reali, lui affondava la testa nella sabbia per non vedere e non sentire, si buttava sull'alcool e sulla droga per non sentire le catene che stringevano il suo cuore in una morsa letale, che lo facevano sanguinare dolorosamente.
Quello che non capiva Brian era però che anestetizzare la parte non fa, sì sentire dolore, ma nel frattempo ne ritarda anche la guarigione lasciando quella ferita sempre aperta, pronta ad infettarsi. Il danno collaterale è che se la ferita è anestetizzata non riesci a sentire l'infezione e probabilmente quando la si avverte è troppo tardi.
“Dai, passami 'sta canna,” disse James prendendola fra le mani prima che una metà si bruciasse e inspirando il fumo a pieni polmoni, trattenendolo quanto bastava per sentirli far male, mentre il suo corpo assorbiva catrame e thc, oltre a tutte le altre schifezze prodotte dalla combustione.
Pensare che proprio in quella stanza aveva avuto inizio tutto lo faceva quasi sentire in colpa.
Dal canto suo Brian aveva la mente sgombra, non pensava a nulla se non al mal di testa che però non sentiva, sapeva di averlo, ma non gli faceva male davvero. Nulla gli faceva male, neanche il ricordo dei suoi occhi, neanche il riverbero della sua voce. Lui stava bene, almeno per quel momento in cui l'alcool e la droga attutivano le sue emozioni. Poi se tutto passava tornava la rabbia, tornavano le lacrime che gli bruciavano negli occhi senza voler uscire, tornavano le parole urlate e quelle non dette, tornava il dolore. Il dolore di averlo perso, il dolore di non aver lottato abbastanza, il dolore del suo stomaco che implodeva su se stesso perchè il suo corpo in qualche modo doveva pur reagire, il dolore delle unghia che affondavano nella carne perchè non potevano più graffiare la sua schiena.
Il dolore della consapevolezza di essere fragile, di potersi rompere da un momento all'altro come una bottiglia di birra.
Tornava il dover dimostrare a se stesso che lui non si sarebbe infranto, voleva sentirsi invincibile e lo faceva così, distruggendosi; si distruggeva perché sapeva che qualcuno l'avrebbe salvato, che Jimmy non l'avrebbe lasciato affondare nel mare della disperazione, lui ci riusciva sempre a tirarlo su.
“Bri, forse dovresti fare una pausa, non per fare il guastafeste ma domani c'è l'anniversario di matrimonio dei tuoi, lo sai come ci tengono.”
“Oh fanculo Jimmy, lo sai che tanto andrà tutto bene.”
Il suo cellulare squillava ma lui non lo sentiva, steso nel letto l'unica cosa che riusciva a percepire era la testa che gli scoppiava, lo stomaco che bruciava forte, accompagnato da quel senso di vuoto con la nausea per il cibo, e una fitta al petto, di quelle che sembra che quell'organo non funzioni più, quella fitta che lui evitava da giorni.
Era ora di bere.
Per dimenticare e non sentire.
Svicolò dal letto cercando di non svegliare l'amico che dormiva sulla poltrona come un barbone, facendo lo slalom tra le bottiglie vuote e i vestiti sparsi per il pavimento, evitando accuratamente le mutande che Jimmy aveva deciso di usare come zerbino. Il suo obiettivo era la bottiglia di sambuca avanzata dalla sera prima, quella che stava sullo scaffale, nascosta dietro lo zucchero e il sale.
Prese un bicchiere e lo sciacquò con noncuranza solo per versarci il liquore prima che una mano gli fece cadere tutto addosso, bagnandogli parte della maglia e tutto il pantalone e lasciando che Brian esprimesse tutto il suo disappunto con colorite espressioni.
"Ti sembra ora di iniziare a bere, coglione?" La voce che arrivò dritta alle orecchie del moro non fu quella che si sarebbe aspettata di sentire. Quella frase dai toni incazzati, ma solo perché aveva imparato a volergli bene a modo suo, fu accompagnata dal tonfo di un borsone buttato per terra e nella visuale, rimasta fissa sul bicchiere vuoto e sui pantaloni bagnati, entrò il coinquilino di James che lo osservava con la severità dipinta negli occhi dal taglio sottile. La puzza di alcool ed erba appestava tutto l'appartamento e sapeva benissimo cosa volesse dire. Non gli andava a genio che i suoi due amici si trascinassero in serate devastanti o almeno non quanto quelle dei loro tempi più bui!
"Bentornato a casa nanerottolo," disse Brian scompigliandogli i capelli per poi posare il bicchiere sul piano di marmo bianco e liscio, macchiato da alcool e caffé, e sarebbe tornato in stanza se le urla di Jimmy non lo avessero bloccato.
"Haner, bastardo! Puoi prendertelo il cazzo di cellulare la prossima volta? Sta suonando da ore!"
E Sullivan entrò in cucina lanciandolo in direzione del proprietario che lo mancò di striscio, con soltanto i boxer addosso, solo per accorgersi in un secondo momento del coinquilino che lo guardava torvo, spostando lo sguardo da James a Brian, cercando silenziosamente le motivazioni, che in cuor suo già sapeva, che giustificassero le loro azioni. Soprattutto perché entrambi sapevano che poi il casino l'avrebbe dovuto ripulire tutto lui.
"Oh ben tornato Johnny, com'è andato il weekend?"
"Sicuramente meglio del vostro," rispose acido iniziando a svuotare i due posaceneri stracolmi sotto lo sguardo divertito di James.
Il telefono di Brian, caduto a terra, riprese a suonare e solo allora il proprietario si degnò di raccoglierlo e rispondere borbottando qualcosa come un buongiorno, seguito poi da una sciorinata di scuse su quanto fosse impegnato quel giorno.
"Non ci vengo, l'hai capito sì o no? No, non me ne frega nulla che è importante per voi, non ne ho voglia ok?" E chiuse il telefono, spegnendolo onde evitare altre rotture di scatole. Non sarebbe andato a quel noiosissimo anniversario, non in quelle condizioni in cui sentiva il suo corpo e la sua mente fare male, in cui il senso di colpa gli legava lo stomaco già martoriato dal ritmo di vita sregolato di quei giorni, in cui il pensiero che tutto potesse essere diverso gli logorava il cervello. Non aveva voglia di vedere i suoi felici quando lui moriva dentro, non quando lo poteva sentire almeno.
"Era tua madre?" Chiese James riempendosi un bicchiere d'acqua e sedendosi sulla prima sedia libera, osservando il suo coinquilino che sbuffando si stava già dando da fare a sgomberare la cucina.
"Non ci vado alla festa dell'anniversario, inutile che parli James," fu la risposta secca del moro che sfilandosi una Marlboro dal pacchetto se l'accese, lasciando il pacchetto aperto sul tavolo come a dire chi ne vuole ne prenda.
"Col cazzo Haner, tu alzi il culo e te ne torni a casa!"
La risposta arrivò secca da Johnny, che impassibile cercò l'approvazione del coinquilino che si limitò a chinare il capo senza rispondere. Neanche Brian disse nulla, si prese semplicemente le sigarette e il telefono e uscì sbattendo la porta d'ingresso.
Non sarebbe rimasto dove non era voluto.
Prese la via di casa senza neanche voltarsi indietro, la testa gli pulsava, sentiva addosso ancora i segni, gli odori, i postumi, del suo weekend con l'amico, che il coinquilino aveva amabilmente rovinato in pochi minuti ma adesso non era quello il problema e non lo era neanche tornare a casa, era affrontare la realtà che varcando la soglia di casa, investito dall'imminente sfuriata dei suoi, non avrebbe chiamato il suo Matt per sfuggire all'ambiente malsano dei genitori. Doveva sbattere in faccia alla realtà dei fatti, non c'era più Jimmy che lo aiutava a fuggirla, avrebbe dovuto ammettere che aveva combinato un casino e che non avrebbe potuto rimediare.
Si rimise a fumare, ma le sigarette non erano sufficienti a placare quel turbinio inconsistente di pensieri, emozioni e ricordi. Camminava ma non vedeva veramente il paesaggio intorno a lui, non vedeva la gente, le palme che segnavano il percorso lungo la costa, non vedeva l'oceano, il traffico e gli edifici, vedeva solo quell'addio doloroso e senza senso senza capire come erano arrivati a quel punto, ripercorrendo tutti gli errori del passato e chiedendosi se potendo tornare indietro avrebbe cambiato il suo modo d'agire. Erano queste considerazioni che gli facevano male, la consapevolezza che lui si sarebbe comportato allo stesso modo, pronto ad affogare ma impreparato a cambiare.
Non sapeva dire quanto tempo ci avesse messo per ritrovarsi davanti la porta di casa, aveva perso la cognizione del tempo già da giorni a dire il vero, e neanche gli importava, sfilò le chiavi dalla tasca posteriore del jeans ed entrò in casa.
Ad accoglierlo trovò suo padre in smoking, che appena lo vide cambiò almeno un paio di volte colore in viso.
“Si può sapere dove sei stato? Non l'avevi smessa con 'sta storia?” gli chiese lui urlandogli contro non appena realizzò che il figlio aveva ripreso le vecchie abitudini, l'odore di erba e alcool e le occhiaie ne erano testimoni inequivocabili.
“Non sono affari che ti riguardano,” rispose secco il figlio senza neanche degnare di uno sguardo il genitore e avviandosi verso le scale, in cerca della sua camera e della sua chitarra; venne però fermato dal padre che lo costrinse a voltarsi e, con la mano ancora salda sull'avambraccio del figlio, gli mollò un sonoro schiaffo in pieno viso, schiaffo che Brian non sentì ma che anzi gli fece quasi bene, quel formicolio era imparagonabile a quella distruzione che aveva dentro.
“Sono affari che mi riguardano invece, fin quando ti distruggi a spese mie,” urlò ancora puntando gli occhi scuri in quelli del figlio, così simili ai suoi. Ma quelli del padre trasmettevano ansia e preoccupazione, quelli di Brian erano beffardi e vuoti.
“Ok, va bene, ora vai che se no mamma si incazza; divertitevi.”
Svincolandosi dalla presa del padre se ne salì in camera sua, lasciando il genitore sconcertato e attonito al piano di sotto, mentre lui si stese sul letto e chiuse gli occhi che gli bruciavano. Non l'avesse mai fatto, il film della sua vita gli passò davanti in mille flash e il vuoto dentro crebbe.
Gli occhi si inumidirono di nuovo.





*Love will tear us apart, Joy Division


--- Corner ---
Nuova storia, nuova collaborazione, nuova avventura!
I propositi sono buoni, bisogna solo sperare che gli esami e i vari impegni siano clementi e che permettano ad ispirazione e stesura di proseguire avanti senza intoppi.
Il titolo è tratto da una canzone dei The Pretty Reckless, Under The Water.
Hope you enjoyed, guys, ogni commento o inserimento tra preferiti/seguite/ricordate sarà più che gradito!

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Capitolo 2
*** Capitolo #01: New home. ***


New home.
Capitolo Uno






Erano già diversi minuti che Matt sfogliava le pagine di quel giornale, decine di righe erano state evidenziate di giallo ma nessuno degli annunci che aveva selezionato lo interessavano davvero: prezzi troppo alti, assenza di foto, fumatori non ammessi; eppure li aveva presi in considerazione lo stesso, avrebbe per esempio smesso di fumare pur di non vivere più sotto lo stesso tetto con i suoi.
Quando ormai il tappo dell'evidenziatore iniziava a mostrare i segni dei denti del ragazzo che lo avevano aggredito nervosamente per tutto il tempo, l'attenzione di Matt fu catturata dall'immagine di una stanza singola a fine pagina, all'apparenza spaziosa e ben tenuta. Anche il costo sembrava rientrare nel suo budget e non vi erano restrizioni particolari, anzi sembrava quasi che non vigessero regole.
Segnò il numero su un pezzo di carta con la sua calligrafia piccola ed ordinata, poi chiuse il giornale e lo lasciò sul tavolino del salotto: doveva cambiarsi e correre al lavoro o avrebbe fatto tardi. Lavorava al piccolo supermercato ad un paio di isolati di distanza da meno di due settimane ed aveva già ritardato diverse volte rischiando di essere licenziato quasi ancora prima di aver firmato il contratto d'assunzione.
A quel punto quindi infilò la divisa da lavoro alla bell'e meglio e si precipitò verso la porta di casa che sbatté poi alle sue spalle.
Odiava essere in ritardo, odiava correre ed odiava sentire i polmoni quasi tirare perché non riuscivano a sostenere il ritmo delle gambe; le avrebbe buttate quelle sigarette, prima o poi, aveva fatto una promessa a se stesso.
Quando arrivò a destinazione il capo non c'era, per fortuna, il negozio era stato affidato al suo collega a cui ora avrebbe dovuto dare il cambio.
“Ehi Matt, il capo è andato a sbrigare una commissione.”
“Va bene Randy, adesso ci penso io qui tu puoi andare.” rispose, con un leggero sorriso.
L'altro ragazzo terminò il conto della cliente che stava servendo e poi si allontanò dalla postazione, facendo così spazio a Matt che lo sostituì. Mentre passava distrattamente i prodotti sul lettore a barre, si ricordò di quel numero di telefono che aveva scritto ma che aveva lasciato a casa – si maledisse mentalmente più volte – e si torturò per trovare un modo per riaverlo così da chiamare durante la pausa che gli sarebbe stata concessa più tardi; doveva sperare che sua madre o sua sorella fossero tornate a casa così da poterselo far dettare via telefono.
Quando il suo capo tornò, una ventina di minuti dopo, lo mandò a controllare i vari reparti e ad assicurarsi che fosse tutto in ordine e Matt sbuffò silenziosamente, non appena si rese che qualcuno aveva accidentalmente rovesciato un cartone di latte e che, quindi, gli toccava pulire. Ma d'altronde lui era lì per quello, per prendersi cura dei clienti e del negozio, e non veniva pagato per nascondersi nel retro a fumare.
“Puoi andare in pausa, Sanders.” gli disse il direttore guardando l'orologio, dopo che il ragazzo si avvicinò alla porta del ripostiglio per svuotare il secchio di acqua sporca nel water. Prese il pacchetto di sigarette e il cellulare dalla tasca inferiore dello zaino appeso all'appendiabiti e poi uscì dalla porta di servizio che non chiuse completamente. Da lì riusciva a vedere una porzione del parcheggio del negozio e, più in là, la Pacific Coast Highway che attraversava tutta la città. Si appoggiò al muro, quando posizionò la sigaretta appena accesa tra le labbra e, poi, cercò il numero di sua madre nella rubrica.
“Pronto, Matt? È successo qualcosa al lavoro?”
La voce della signora Sanders arrivò preoccupata all'orecchio del ragazzo che sembrava non volersi fermare neanche per riprendere fiato.
“No mamma tranquilla, va tutto bene. Ho solo lasciato un foglietto sul tavolino del salotto su cui ho scritto un numero di telefono, e vorrei che me lo dettassi,” rispose, cercando di mantenere un tono calmo, “Per favore”.
Matt non ricevette subito una risposta ma sentì i passi della madre percorrere l'abitazione.
“Ah sì, eccolo.” disse, a fil di voce. “Stai cercando casa sul serio, allora?”
Il figlio chiuse gli occhi per un momento e trattenne il fiato per non lasciarsi scappar via un'imprecazione: non aveva alcuna intenzione di litigare ancora, e soprattutto per telefono, e tanto meno mettersi a pregare per ottenere quel dannato numero.
Non adesso.” si limitò a rispondere, sperando che bastasse. “Ne abbiamo parlato decine di volte ma, se non bastano, lo rifaremo. Solo ti prego ma', non adesso.”
E, con un sonoro sospiro, la signora Sanders dettò quel numero di telefono cifra per cifra.
La sigaretta di Matt era finita da un bel pezzo quando si decise a buttare la cicca a terra e sentiva un lieve nodo all'altezza dello stomaco, visto che stava per contattare qualcuno che non aveva mai visto neanche in vita sua; non sapeva neanche che genere di voce aspettarsi, maschile o femminile, aggressiva o gentile, niente. Il telefono dall'altra parte aveva appena fatto in tempo a squillare una volta ma il ragazzo era già nel panico più totale.
Pronto, chi è?”
Per un istante, quando si rese conto che qualcuno aveva risposto, ebbe la tentazione di chiudere la chiamata, ma per fortuna riuscì a trattenerla.
Salve, sono Matthew Sanders e chiamo per l'annuncio: sarei interessato alla camera in affitto.”
Il ragazzo udì un: “Sì Jimmy, chiama per la stanza, sta' zitto”, prima che l'interlocutore si decidesse di rivolgergli l'attenzione.
Piacere di conoscerti Matt io sono Johnny, se non hai domande particolari possiamo fissare un appuntamento così vedi la stanza e valuti se può interessarti davvero o meno.”
Il ragazzo non si aspettava una conversazione così diretta e dritta al punto, aveva immaginato un turbinio infinito di frasi e domande di circostanza, una specie di interrogatorio riguardo le sue abitudini e chissà quant'altro, invece nessun episodio di quelli che avevano invaso la sua mente si era verificato, per fortuna.
S-Sì, certo. Di solito finisco di lavorare alle otto e, se l'orario va bene, possiamo incontrarci in qualunque giorno della settimana.”
Stasera va bene? L'appartamento si trova all'incrocio tra la Sesta Strada e Walnut Avenue.”
La voce del ragazzo che gli stava rivolgendo la parola era gentile ed educata, se lo fosse stato anche di persona avrebbe di certo preso la stanza.
Perfetto, ci vediamo più tardi allora.”
Attese che anche l'altro lo salutò, chiuse la chiamata, e poi tornò all'interno del negozio fino alla fine del turno.
Nel frattempo, nell'appartamento della palazzina in cui si trovavano i due ragazzi, iniziò una disperata corsa per riuscire a sistemare la casa in tempo per l'arrivo di Matt. Jimmy si era dedicato alla pulizia della cucina che, siccome non avevano ancora mangiato, risultò veloce e poco faticosa, mentre Johnny dovette spendere ciò che rimaneva del pomeriggio per pulire e rendere accessibile il bagno. La camera vuota del futuro coinquilino invece, non era stata più usata dopo l'ultima volta che l'avevano riordinata e, quindi, risparmiò ai due ragazzi un bel po' di lavoro.
Jim, ti prego,” iniziò Johnny quando andò in cucina per riprendere fiato e bere un bicchiere d'acqua, “non farlo scappare. Non possiamo sostenere le spese della casa da soli, abbiamo un disperato bisogno di questo coinquilino.”
Croce sul cuore, amico.” rispose l'altro, con fare teatrale. “Anche se, ci tengo a precisare, non sono io a farli scappare, o almeno non direttamente.”
È il tuo abuso di alcol e droga.” sottolineò Johnny, in un misto tra il divertito e lo stizzito.
Mi comporterò bene stavolta, gli mostrerò il grinder solo dopo avergli fatto firmare il contratto.” concluse il ragazzo, alzando in su il pollice con un largo sorriso.
Quando Matt salutò il capo con un cenno della mano mentre quest'ultimo abbassava la serranda del negozio, alle otto e qualche minuto, tirò subito fuori il cellulare con la sinistra e abbassò lo sguardo per sapere se qualcuno lo aveva nel frattempo cercato.
L'icona di una busta da lettere lampeggiava sullo schermo e, curioso, si sbrigò a leggere il contenuto del messaggio:

Ciao Matt sono Summer, ti ricordi? Spero non ti dispiaccia che abbia chiesto il tuo numero a Zacky e, quando vuoi, possiamo uscire a bere qualcosa xx

Il ragazzo arricciò il volto in un'espressione infastidita, chiuse la conversazione mentre accelerò il passo e si sbrigò a cercare il numero di Zacky.

Ti sei bevuto il cervello? Come ti è venuto in mente di dare il mio numero a Summer?
Grazie Zachary, grazie mille.

A quel punto però, rimise il telefono al suo posto e spostò la sua attenzione sulla strada che stava percorrendo diretto all'incrocio tra la Sesta Strada e Walnut Avenue; per fortuna non era lontana e poteva arrivarci a piedi senza problemi, non aveva alcuna voglia di aspettare l'autobus. Non voleva neanche ripensare agli ultimi avvenimenti, a Summer e a quel breve incontro che avevano avuto qualche giorno prima.
Si era solo abbassato i pantaloni e l'aveva lasciata fare, non significava niente.

***


Jimmy e Johnny si presentarono subito all'ingresso non appena Matt suonò al citofono, gli aprirono la porta e attesero che li raggiungesse fino al terzo piano. Avevano entrambi un largo sorriso sulla faccia – Matt doveva prendere in affitto quella stanza, per forza – ed una parte di loro, una grande parte a dir la verità, era curiosissima di sapere che faccia avrebbe avuto il loro futuro coinquilino. Quando questo fece capolino dalla rampa di scale però, con un po' di fiatone, non riuscirono a classificare la reazione che ebbero.
Quel coso era enorme, per avere circa la loro età.
Ciao.” disse subito Matt con un sorriso imbarazzato ed un cenno della mano, nessuno dei tre sapeva bene come comportarsi, era sempre un problema rapportarsi con gente nuova, soprattutto con potenziali coinquilini.
Ciao Matt, accomodati!” rispose Jimmy e anche l'altro lo salutò, poi si spostarono per dargli la possibilità di entrare. “Io sono James e lui, come già sai, Johnny. Vuoi qualcosa da bere?”
No grazie, sono apposto davvero.” rispose il nuovo arrivato mentre attraversava lo stretto corridoio con passo incerto. Il notevole numero di porte che gli si presentarono davanti lo incuriosivano, moriva dalla voglia di scoprire cosa ci fosse dietro ognuna di esse; non gli era mai capitato di entrare in una casa di soli ragazzi, poteva nascondersi qualunque cosa in quell'appartamento e Matt aveva l'impressione che fossero tutte cose nuove ed interessanti che non gli avrebbero mai fatto rimpiangere il tetto sotto cui attualmente ancora abitava.
Ti mostriamo subito la tua futura stanza.”
Johnny prese la parola non appena ne ebbe l'opportunità, non doveva dare a Jimmy la possibilità di condurre la conversazione; si comportò come se il ragazzo avesse già accettato di vivere lì con loro, tentava di condizionarlo più o meno velatamente.
L'altro rispose con un secondo sorriso imbarazzato e seguì il ragazzo, quello più basso dei due. Quando si trovò sull'ingresso della camera, tentò di captarne ogni minimo dettaglio il più velocemente possibile: le pareti erano tutte e quattro bianche e spoglie, vi erano solo dei pezzi di scotch qua e là, un grosso armadio ne occupava una e il letto era di fronte. C'erano anche comodino e scrivania, tutto esattamente come nella foto.
Che te ne pare?” chiese Johnny, impaziente di sapere che cosa frullava nella mente dell'altro ragazzo. Dal suo sguardo non riusciva a capire molto, i suoi occhi erano verdi e grandi e luminosi ma lo erano dal momento in cui aveva messo piede in quella casa quindi non sapeva bene cosa volesse dire. Matt nel frattempo aveva fatto qualche passo in avanti fino a sedersi sul materasso così da valutarne la consistenza.
Quando posso trasferirmi?” rispose, con un'altra domanda. Le sue labbra erano distese in un largo sorriso rilassato ed una coppia di fossette gli si erano disegnate agli angoli della bocca; Johnny col tempo avrebbe imparato a conoscerle, ma non avrebbe mai smesso di rimanere incantato, ogni volta che gli si sarebbero formate sul volto.
Non vuoi vedere neanche il resto della casa?” si intromise Jimmy facendo capolino dalla porta, mancavano pochi centimetri e avrebbe sfiorato lo stipite con la testa.
Andiamo,” continuò Matt, “ma io la mia decisione l'ho già presa.”
Forse il desiderio di allontanarsi dai suoi genitori e dalle loro pressioni avevano accelerato il corso degli eventi, ma si sentiva a suo agio in quella stanza e in più i due ragazzi sembravano gentili e disponibili. Il più alto aveva una strana luce negli occhi, ispirava simpatia a prima vista.
Quanti anni hai?” domandò Johnny mentre Matt ispezionava il bagno.
Quasi diciannove, mi sono diplomato quest'anno.” rispose il ragazzo e scoprì subito che James aveva la sua stessa età mentre Johnny era più piccolo, andava ancora al liceo ma, nonostante questo, aveva reclamato la sua indipendenza ed i suoi gliel'avevano concessa a patto che terminasse gli studi in tempo e che trovasse un lavoro part time con cui pagare almeno la stanza. E Matt un po' lo invidiò.
Sei sicuro di non voler restare a cena con noi?” disse Jimmy, quando vide che il ragazzo si avviava verso la porta. “Puoi restare qui anche da subito e, se ti serve una mano con il trasloco, non esitare a chiedere aiuto.”
Grazie ragazzi ma stasera devo tornare a casa, purtroppo. Ci vediamo domani mattina così inizio a portare qualche scatolone.”
Perfetto, così chiamo il proprietario e fissiamo un appuntamento per risolvere le questioni burocratiche.”
La voce di Johnny era sempre calma e con toni delicati, sembrava quasi accarezzare le parole; Matt non poté fare a meno di notarlo.
“Bene, allora ci vediamo domani,” concluse timidamente Matt quando fu sulla porta di casa, salutando i suoi futuri coinquilini e lasciando che la porta si richiudesse alle sue spalle.
Era appena uscito da quell'appartamento che già non vedeva l'ora di ritornarci con i suoi scatoloni; voleva trasferirsi il prima possibile, non ce la faceva più a combattere con i suoi genitori, di fatto, per qualsiasi cosa. Era consapevole delle sue scelte e di certo se la sapeva cavare, non era più un moccioso, né tanto meno uno stupido! Poteva decidere lui della sua vita, non c'era bisogno che loro storcessero il naso per tutto quello che non concordava con il loro modus operandi! Fu proprio quello a soffocare l'entusiasmo di Matt mentre rincasava, il pensiero di dover discutere nuovamente con la madre, ora che era pronto a trasferirsi sul serio.

Ma se da un lato c'erano l'ansia e la preoccupazione di quello che lo aspettava a casa, dall'altro riusciva a sentirlo, il profumo dell'indipendenza, tanto agognata da quel ragazzo che si preparava a diventare un adulto.
Respirava l'aria pungente di quella sera afosa ma stranamente piacevole, cosa che non accadeva da tempo per lui, che odiava il clima della città in cui viveva; lo trovava opprimente, con quella cappa di umidità e smog che non voleva mai dissolversi, sempre pronta a schiacciare chiunque camminasse a piedi per quelle vie.
Arrivò appena in tempo alla fermata dell'autobus, non aspettò neanche due minuti che il bus 29, quello che lo avrebbe portato a casa, nella zona residenziale di Clarkdale, si era parcheggiato per farlo salire. Non che fosse lontano da lì, erano poco più di quaranta minuti a piedi, ma non aveva voglia di camminare, sentiva la stanchezza intorpidirgli le gambe. Per cui si sedette al primo posto disponibile e mise le cuffie nelle orecchie, alzando il volume mentre ascoltava Seek and Destroy e pensava alla sua nuova vita imminente; le immagini di festini, birre in veranda con i suoi futuri amici, le sigarette fumate alle due e mezza di notte, le volte in cui ubriaco avrebbe fatto l'alba, erano piacevolmente dipinte nella sua mente e voleva sapere, voleva sapere cosa si provasse davvero ad avere pieno possesso della propria vita, a non ascoltare nient'altro che la propria testa.
Fu solo la vista dell'imminente fermata ormai a lui così familiare che lo spinse a tornare al presente e a prenotare la fermata. Quando il suono del campanello che avvertiva l'autista che avrebbe dovuto fermarsi arrivò alle orecchie dei passeggeri erano ormai prossimi alla fermata di Beach-Adams. Matt si alzò, cuffie ancora nelle orecchie, con i Metallica a fargli compagnia, pronto ad affrontare il resto della strada che avrebbe dovuto fare a piedi.
Ci vollero più o meno una ventina di minuti per arrivare davanti la porta di casa e il giovane notò le luci in soggiorno prima ancora di entrare; le tende erano tirate ma riusciva a distinguere la sagoma di sua madre che faceva avanti e indietro davanti alla finestra, gesticolando ogni tanto.
Che si stesse preparando il discorso che doveva fargli?
Ma chi se ne frega, ormai è fatta.
Fece un profondo respiro e entrò in casa. Ovviamente nessuno lo sentì visto che la voce dei genitori era sopra i decibel consentiti dalla legge.
Ehm, sono a casa!” urlò allora Matt andando in salotto e cercando di sovrastare il pasticcio di urla che si era impadronito di casa Sanders.
Tu,” iniziò la madre guardando il figlio come se lo volesse uccidere da un momento all'altro, “tu, razza di ingrato incosciente, quando avevi intenzione di dirmelo?!”
E' inutile dire quanto Matt fu sconcertato da quell'accoglienza; sì che non si aspettava l'applauso, ma neanche quelle urla assassine di una madre isterica che decisamente stava esagerando!
Ma', è da mesi che ne parliamo che mi trasferisco,” gli fece notare il giovane dagli occhi verdi restando sulla porta.
Veramente tua madre si riferisce a questa!”
Una lettera?”
La Columbia? Sul serio Matthew? Quando volevi dircelo che te ne saresti andato dall'altra parte degli States con i nostri soldi? Già è tanto che abbiamo accettato la tua strana idea di fare lo scrittore, nessuno ti manda alla Columbia!”
Gli occhi di Matt si spalancarono pian piano. Quella lettera era arrivata dalla Columbia e, a giudicare da quanto fossero incazzati i genitori, avevano accettato la sua application.
Era dentro.
Era alla Columbia!
Ma aveva i genitori di traverso, di nuovo.
Pa', ma lo capisci? Mi hanno preso nell'Ivy League! Che cazzo, cioè, è la Columbia University, cosa c'è di male?” gli chiese scioccato, per una volta potevano almeno sforzarsi di capirlo! Di essere felice per lui, no?
Non me ne frega niente se è l'Ivy League o meno, tu non ci andrai, hai capito?”
Ecco fatto. Lo sapeva, neanche c'avevano provato, sempre la solita storia.
Non sarò mai un fallito come te,” rispose semplicemente Matt, prima di salire in camera sua con il viso rosso di rabbia . Tirò fuori dall'armadio gli scatoloni che aveva accumulato in quelle settimane di lavoro e iniziò a riempirli a caso, prendendo tutto ciò che gli capitava fra le mani. Prima se ne andava meglio era, per lui e la sua sanità mentale. Non voleva restare un secondo di più in quella casa che di ospitale non aveva praticamente più nulla per lui.
Ormai aveva deciso.
Quando ebbe finito di riempire gli scatoli prese il cellulare e mandò un sms a Summer, sicuro che avrebbe accettato di vederlo e di nuovo come qualche giorno prima l'avrebbe lasciata fare, avrebbe sfogato la sua rabbia su di lei perchè glielo avrebbe permesso; avrebbe sfogato tutto su quella ragazza per stare bene lui.
Quando il telefono vibrò lo prese fra le mani per vedere cosa aveva risposto la ragazza. Trovò anche un messaggio di Zacky di cui non si era accorto prima:

Ho pensato solo che un po' di distrazione ti avrebbe fatto bene, la prossima volta non ti faccio piaceri tranquillo Sanders ;)

Era un cretino quel ragazzo, ancora si chiedeva come faceva ad essergli amico. Però aveva ragione, una distrazione gli avrebbe fatto bene, tanto con una come Summer non c'era pericolo che diventasse qualcosa di serio, soprattutto non ora che sarebbe dovuto partire per il college.
Non rispose a Zacky e andò a leggere quello che gli aveva mandato la ragazza.

Certo che possiamo vederci, dal messicano vicino casa tua?

Mh, no, non aveva di certo intenzione di portarla a cena fuori.
Doveva mettere di già i puntini sulle i? Due palle.

Vengo a prenderti io.

E scese, iniziando a caricare i vari pacchi nel cofano della sua auto, facendo su e giù per le scale come un automa, osservando di tanto in tanto i genitori che passarono dal discutere della condotta ingrata del figlio al guardare la televisione senza tanto interesse, seduti sul divano, come in tutti gli stereotipi di famiglia americana media.
Mentre portava l'ultimo pacco notò che sul tavolino di fronte al divano avevano lasciato incustodita la sua lettera che ancora neanche aveva visto. Posò a terra la scatola piena di cd e riviste di musica e si avviò deciso al tavolo, prendendosi ciò che era suo con un gesto secco e guardando torvo i due genitori che ricambiarono l'occhiata acida, soprattutto il padre, negli occhi della madre si potevano notare invece sofferenza e preoccupazione, se si andava oltre il disappunto e la delusione ovviamente.
Questa è mia,” disse semplicemente, portandosi via quel pezzo di carta così prezioso e infilandolo nello scatolo che aveva lasciato vicino la porta.
Non appena finì di caricare quell'ultimo, e anche molto prezioso, scatolone in macchina, chiuse il cofano nero e lucido per entrare e mettere in moto quella che sarebbe stata la sua prossima ancora di salvezza. La direzione era ovvia, doveva andare a prendere la sua nuova valvola di sfogo, cercando di non pensare a come se ne stesse approfittando e il constatare con quanta facilità lei si offriva a lui lo faceva sentire decisamente meno in colpa. Alla fine a lei sembrava che andasse bene.
Fece partire Far Beyond Driven a tutto volume mentre guidava verso casa di Summer, immergendosi completamente in quelle sonorità grette, oscure e nel contempo perfettamente nitide che erano quelle dell'album dei Pantera. Andò avanti fino a cercare I'm Broken, la sua preferita di quell'album perchè trasmetteva rabbia, una rabbia devastante e paurosa, era quella rabbia oscura che era la catena portante del disco, era il dolore del cantante che affogava nella droga perchè non voleva sentire la schiena far male.
Era quella rabbia che Matt avrebbe sfogato in qualche modo, ancora troppo fresca per poter essere digerita.
Parcheggiò davanti casa di Summer e le fece uno squillo, dicendole di scendere non appena lei rispose. Non ci volle molto, pochi minuti e Summer si ritrovò seduta al sedile del passeggero, mentre Matt rimetteva in moto pronto ad andare in spiaggia.
Ho portato un paio di birre,” le disse guardandola con la coda dell'occhio mentre percorreva le vie interne della città per evitare il traffico della Pacific Coast Highway, la vide voltarsi verso di lui con un sorriso innocente sul viso, che stonava con la sua reputazione.
Dove stiamo andando?”
Zacky ha organizzato un falò in spiaggia,” rispose lui accostando in una stradina isolata e guardando per la prima volta la ragazza negli occhi, con un sorriso sghembo che chi non lo conosceva bene non poteva capire fosse finto.
Ma prima...” e non finì la frase che subito cercò le labbra della ragazza, baciandola con foga, non come si bacia una ragazza a cui si tiene ma come si bacia uno sconosciuto. Lei ricambiò senza opporre resistenza, lasciando che le mani grandi del ragazzo le toccassero il corpo, mentre lei cercava il suo viso, desiderosa di averlo fra le mani.
Ma il corpo non mente e anche chi è stupido ne riesce a capire le intenzioni. Così quando le mani di Matt andarono ai bottoni della camicia lei lo fermò, allontanandosi di qualche centimetro dal ragazzo per guardarlo negli occhi.
Matt, non ora, vorrei che prima ci godessimo la serata!”
Va bene.”
Mise nuovamente in moto e fece inversione ad U, sentendo quell'aggressività crescergli dentro, ora rivolta a quella ragazza che si stava dimostrando inutile in quell'occasione. Se era una storia che cercava aveva fatto fiasco. Lei lo capì solo quando Matt parcheggiò nuovamente sotto casa sua.
Che significa?” chiese guardando il diciannovenne, interrogativa.
Scendi,” rispose semplicemente Matt con un sorriso tranquillo, mentre spegneva il motore e si dedicava ad osservare la biondina anonima che sedeva di fianco a lui.
Ma che... avevo capito che volessi vedermi!” ribattè lei con una punta di isteria nella voce.
Sì, perchè pensavo che tu volessi scopare, ora se non ti dispiace ho un falò che mi aspetta,” rispose prendendo dalla tasca le sigarette e accendendosene una mentre il rumore dello sportello gli disse che la ragazza era scesa incazzata dalla sua auto.
Rimise in moto e si diresse verso la spiaggia, aveva tutta l'intenzione di sfogarsi, magari con il suo amico al suo fianco.






--- Corner ---

Il primo vero capitolo non ha tardato ad arrivare, siamo state inaspettatamente puntuali e precise.
In questo piccolo angolino ci tenevamo solo a ringraziare dal profondo del cuore CathleenGinger6661 che ha recensito ed inserito la storia tra le preferite insieme a everybodyisdoingtheir time e raffapurple25, e Logan Way, MetalA7XLinkinParkPantBull, PierceTheVengeance_ e xharrysnecklace che l'hanno invece inserita tra le seguite.
Spero che questo vero inizio che va a collocarsi dove tutto è iniziato non abbia deluso ma che, anzi, vi spinga a farci sapere cosa ne pensate e a continuare a seguire insieme a noi lo sviluppo di trama e personaggi.
Alla prossima, sperando che non sia lontana!

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Capitolo 3
*** Capitolo #02: Music ***


Music
Capitolo due




La sveglia suonò puntuale alle sette del mattino, troppo presto dopo una sera passata sulla spiaggia a bere con i suoi amici, ma proprio perchè era troppo presto Matt aveva tutto il tempo per darsi una sistemata. Alla fine era rimasto a dormire da Zacky, che come al solito non aveva esitato a dargli un tetto che non fosse quello della macchina, come faceva ogni volta che Matt voleva scappare dal trambusto di casa Sanders. Pensandoci, ancora non gli sembrava vero che fosse finita, che finalmente avrebbe avuto una sua casa, con una sua vita e che presto avrebbe persino lasciato Huntington Beach per andare in un'università che era il suo sogno, che non aveva neanche sperato entrasse a far parte della sua vita.
"Già in piedi Matt? Ma come cazzo fai?" mugulò Zacky aprendo appena un occhio per vedere la figura del ragazzo eretta davanti a sé, intento a cercare il suo portafogli e le chiavi della macchina.
"Inizio a portare le cose nel nuovo appartamento così le sistemo subito, tanto avevo detto che andavo presto," rispose lui con un sorriso chinandosi verso l'amico e scompigliandogli i capelli, con risultato che quello mugugnò qualcosa e si rigirò nel letto, tirandosi ancor più su il lenzuolo che lo copriva.
"Dai Zack, io vado, ti chiamo non appena mi sono sistemato, ok?" gli disse entusiasta Matt mentre raccoglieva le ultime cose sparse in stanza, quali cuffie e sigarette, e sistemandosi per uscire di casa.
"Va bene Matt, in bocca al lupo!"
Matt non rispose ma sorrise all'amico che ancora poltriva a letto e che,probabilmente,  avrebbe continuato per un bel po', avviandosi poi verso la macchina, chiudendosi alle spalle la porta della stanza di Zacky prima, quella di casa Baker poi, pronto a partire per quella nuova piccola avventura che era certo non lo avrebbe deluso.
Quindi si chiuse in macchina, musica di sottofondo, e si avviò verso l'incrocio fra la Sesta e Walnut Avenue, dove ad aspettarlo ci sarebbe sicuramente stato qualcuno. Guardò l'orario all'orologio per controllare che non fosse eccessivamente presto: otto e mezza, non era improponibile come orario suvvia, si poteva fare.
Quando scese si fermò in una pasticceria prima di andare a casa, così per fare un attimo colazione e mettere qualcosa in quello stomaco che stava iniziando a digerirsi da solo, reclamando a gran rantoli cibo. Era a pochi metri dalla palazzina in cui sarebbe andato ad abitare di lì a breve e constatò poi che facevano dei muffin al cioccolato squisiti; ci sarebbe venuto spesso, già aveva deciso! Lasciò sul tavolo il conto e se ne tornò alla macchina, solo per prendere la scatola, quella preziosa con la lettera della Columbia, i suoi lavori e la sua musica, e avviarsi verso casa. La riconobbe subito, come se fosse stata la millesima volta che ci andava. Suonò il citofono e venne aperto, nessuno chiese "chi è" quindi pensò che i due coinquilini avessero capito che era lui e l'ipotesi si rafforzò quando, bussando alla porta, una voce urlò "arrivo subito" senza chiedere nuovamente nulla.
Se avesse avuto modo di passare più tempo con Johnny e Jimmy si sarebbe reso conto prima che la voce non era di nessuno dei due ma di un ragazzo che non conosceva; non avendo però avuto quest'occasione se ne rese conto soltanto quando, aperta la porta, se lo trovò davanti.
Capelli neri non troppo corti, scompigliati sul volto spigoloso, più basso di lui, labbra sottili e occhi nocciola e... Tatuaggio sul pettorale sinistro, corporatura nella media con i musicoli scolpiti, non quanto i suoi ma non era messo male.
Arrossì di botto quando si rese conto che lo fissava senza dire nulla già da diversi secondi, le labbra appena socchiuse per la sorpresa.
"Ehm, forse ho sbagliato appartamento," disse subito cercando di riprendersi dalla figura di merda che si era appena sparato e ansioso di levare le tende appena possibile. Ecco, troppo sicuro di sé come sempre!
Il moro sorrise divertito prima di fargli largo sulla porta, come ad inivitarlo ad entrare, fissando curioso il ragazzo imbarazzato e spaesato che si ostinava a restare sulla porta, indeciso sul da farsi.
"No, sei il ragazzo nuovo no? Jimmy mi ha chiesto di aspettarti, la coppietta felice è scesa a fare la spesa," gli disse facendogli cenno con la testa per farlo entrare. Lo fissava attentamente cercando di cogliere ogni espressione che potesse nascere sul viso del ragazzo, incuriosito dalla reazione che avrebbe avuto a quelle parole; voleva conoscere il nuovo malcapitato, così incosciente da voler vivere con quei due.
"Stanno insieme?" Chiese Matt sorpreso, entrando e avviandosi verso la sua stanza per posare la scatola e tirare fuori una manciata di fogli a cui avrebbe dedicato la sua attenzione in attesa del ritorno dei due. Il ragazzo scoppiò a ridere a causa della smorfia che fece capolino sulla faccia del giovane; bene, era uno a cui non piaceva fare il terzo in comodo e probabilmente non amava neanche le coppiette.
"Ovvio che no, idiota, volevo solo vedere la tua reazione," lo canzonò prima di sparire nella cucina. Andò pure lui, portandosi dietro i fogli, irritato un po' dall'atteggiamento del tipo che lo aveva accolto in casa. Era diverso dai due coinquilini, era molto più irritante e sfacciato lui, sembrava non conoscesse la cordialità eppure era sicuramente un loro amico e si chiedeva come facesse uno come lui ad andare d'accordo con quei due, che sembravano molto più allegri e socievoli. Lui era solo un arrogante, questa era la sua prima impressione e non è che si sbagliasse poi così tanto Matt, ma c'era un mondo dietro quegli occhi di cioccolato che ancora doveva scoprire e imparare a conoscere.
Arrivato in cucina trovò due tazze di caffé piene sul tavolo e il tipo era intento a zuccherarsi la sua, ovvero a riempire di una quantità di zucchero eccessiva la tazza mentre girava di tanto in tanto, con una sigaretta già posizionata fra l'indice e il medio della mano destra.
"Non l'ho zuccherato, fai pure; comunque sono Brian," disse il moro senza neanche veramente guardare Matt, preso dal bere il suo caffé e buttare la tazza nel lavandino, senza troppa cura. Perfetto, era a casa sua e quel tipo lo trattava come un ospite del cazzo. Era un atteggiamento che lo stava innervosendo non poco quello di Brian.
"Matt," rispose semplicemente prendendo il caffé così com'era, non gli piaceva zuccherato, e buttandosi a capofitto nelle carte. La prima cosa che fece fu leggersi la lettera di accettazione della Columbia e perse un battito mentre leggeva le righe che motivavano l'ammissione, assaporando già il suo futuro, e questo lo spinse a riprendere il suo lavoro lasciato a metà.
Brian lo guardava da fuori al balcone, lo osservava anzi, cercando di capire quel ragazzo a tratti timido, a tratti pieno di personalità. E poi era bello, decisamente bello. Gli occhi verdi erano espressivi e anche il volto, che non riusciva a trattenere le emozioni celate.
Fumava la sua Marlboro con naturalezza, quella che denota i gesti abituali, e si perdeva in quelle osservazioni, rientrando dopo pochissimo tempo per prendere il posacenere e, non riuscendo a trattenere la curiosità, si sporse oltre la spalla di Matt per vedere che leggeva con tanto entusiasmo.
"Columbia eh? Attento secchioncello che potresti togliere il lavoro a Johnny," gli disse con un sorriso dandogli una pacca sulla spalla. Matt storse il naso e probabilmente lo avrebbe zittito se non avesse visto Brian fargli un occhiolino e capendo che forse era il suo modo per complimentarsi.
"Sono stato solo fortunato," rispose accendendosi anche lui una sigaretta.
Non gli piaceva molto che gli si facessero queste osservazioni, non gli piaceva molto essere al centro di una conversazione con un perfetto sconosciuto a dire il vero ma non riusciva a replicare come si deve, cercava solo di far cadere in discorso. Non capiva bene perché, forse perché si sentiva a disagio in un ambiente che non era suo, forse perché quel ragazzo lo teneva stretto in un'invisibile morsa da cui non riusciva a sganciarsi, forse perché non gliene fregava nulla delle parole che uscivano dalla bocca di Brian, spiegazione molto più plausibile delle altre alla fine, di fatto. O almeno non glien'era fregato niente finché non si era reso conto che il giovane si stava studiando i suoi appunti con attenzione, soppesando i pensieri con la sua matita in mano, il piede che batteva ogni tanto a terra mentre la matita faceva curve in aria se non segnava qualcosa sui suoi fogli.
"Ma che cazzo stai facendo?" Chiese con un filo di rabbia nella voce riprendendosi con scatto deciso il foglio e allontanadolo dal moro che lo guardò con espressione accigliata.
"Oh scusami, solo che mi piace un sacco quello che hai scritto; colpa mia," rispose alzando le mani e posando la matita sul tavolo. Si alzò e sparì dalla cucina, lasciando Matt solo a friggere nella sua stessa incazzatura.
"Che idiota," borbottò mettendo da parte la lettera della Columbia per cancellare il pastrocchio che sicuramente aveva fatto quel coglione. Ma quando abbassò lo sguardo sul suo testo non vide correzioni, cancellature o annotazioni, come si aspettava da uno che si credeva un genio, come lui l'aveva etichettato in quei pochi momenti di compagnia, e rimase sorpreso nel vedere il testo diviso in battute, con sopra la notazione di qualche accordo e qua e là la scritta riff o solo, accompagnato da qualche distorsione appuntata in piccolo al lato dei versi.
Non stava facendo altro che dare la voce alle sue parole!
Mentre Matt era intento a decifrare la scrittura di Brian e a immaginarsi cosa gli stesse frullando nella testa, Brian si era rifugiato nella stanza di Jimmy cercando di capire cosa aveva sbagliato con il nuovo arrivato; non lo digeriva, di questo era sicuro, ma non capiva il perché! Lui era sempre lo stesso Brian, inutile dire che il problema era proprio quello e che lui ovviamente non ci arrivava. Arrivava però al fatto che aveva sbagliato a non farsi gli affari suoi ma era stato più forte di lui, mentre leggeva quelle parole la sentiva dentro la musica adatta a quel testo e non voleva dimenticarla. Aveva imparato in ogni caso un'altra cosa, Matt sapeva scrivere testi fantastici, ora capiva perché la Columbia lo voleva nella sua elite di studenti.
"Suonala."
La voce di Matt arrivò chiara e limpida alle orecchie di Brian, una voce che trovò musicale e pulita. Una voce che non sarebbe dovuta restare nascosta dietro un testo, secondo la sua non modesta opinione.
"E perché dovrei Matt?" Ribatté lui guardando il giovane statuario senza muoversi dalla sua posizione, mento sui pugni e gomiti sulle gambe.
"Perché mi hai scarabocchiato tutto il foglio e prima di cancellare voglio sapere cosa mi perdo," rispose allora prendendo una chitarra che stava su un tre piedi vicino alla scrivania di Jimmy.
"Non suono con quella schifezza," gli disse Brian alzando gli occhi al cielo e sparendo un attimo per tornare con un amplificatore e in spalla una fodera che conteneva sicuramente la sua chitarra.
Ne estrasse una Gibson Les Paul bianco ghiaccio, molto semplice ed elegante nel suo design, che attaccò al piccolo amplificatore, settato sul momento per avvicinare il più possibile il suono reale a quello della sua testa. Prese il foglio che gli aveva dato Matt e ne fece una rilettura veloce, notando che per alcune distorsioni gli sarebbe servita la sua pedaliera, che non aveva con sé. Lo fece notare anche al giovane e si scusò, ma questi con un sorriso gli rispose: "vorrà dire che la prossima volta te la porti."
"Vorrà dire che non puoi cancellare i miei scarabocchi."
"Per qualche giorno posso tollerarli!"
Brian scosse la testa e con un mezzo sorriso si chinò sulla chitarra, iniziando a suonare quello che in parte aveva scritto sul foglio.
Le dita correvano sulla tastiera improvvisando qualche piccolo riff sulla scala che aveva scelto per le strofe, donando intensità al pezzo che Matt aveva scritto, volendo trasmettere le emozioni di cui aveva letto e quelle che in lui aveva suscitato. Fra le note pulite, prive delle distorsioni che avrebbe voluto inserirci, si sentiva la voglia del cambiamento, l'oppressione di una vita diversa da quella che si era costruito, la speranza che tutto potesse essere diverso e, poi, quel qualcosa che Matt non capiva; un desiderio imminente, un desiderio di fuga e di comprensione. Ma era ovvio che Matt non potesse capire di cosa si trattava, non poteva che capirlo il musicista, intrappolato in una routine da cui voleva disperatamente uscire ma da cui non aveva il coraggio di scappare. Si accontentava di sopravvivere, non riusciva a vivere. Aveva anche lui i suoi desideri ma erano stati distrutti e da allora non riusciva più a provare nuovamente per paura di perdere ancora una volta. E quelle parole lo avevano colpito perché quel ragazzo spuntato dal nulla nella sua vita lottava per raggiungere i suoi obiettivi, come una volta aveva fatto lui e come ormai aveva smesso di fare.
Si fermò all'improvviso e staccò la chitarra dall'amplificatore, prendendo piuttosto la sua maglietta bianca per rimmetersela.
“Sarà meglio che vada.” disse Brian alzandosi con la chitarra in mano, che ebbe poi cura di rimettere nella custodia. Anche Matt scattò in piedi insieme all'altro ragazzo, non riuscì neanche a rendersi conto del perché, sapeva soltanto che non aveva voglia di rimanere da solo in una casa che non ancora conosceva.
“Ma Jimmy e Johnny non sono tornati,” ribatté, “Aspetta ancora un po', solo per salutarli.”
“Mi dispiace, ma devo andare da una ragazza che abita ad un paio di isolati da qui, lezione di chitarra.” spiegò issandosi lo strumento sulle spalle e uscendo dalla stanza.
Nel frattempo, però, un rumore in corrispondenza della porta fece capire ad entrambi che gli altri coinquilini erano tornati.
“Bri? Matt è già arrivato?”
La voce di Jimmy era lievemente frammentata a causa del respiro pesante, aveva trascinato le buste della spesa fin lassù. Johnny invece si fermò per un istante in camera sua, prima di raggiungere gli altri; lanciò le chiavi ed il portafoglio sulla scrivania e poi fece la sua apparizione nell'altra stanza.
“Sì, sono qui!” rispose Matt, rivolgendo un sorriso amichevole ai due ragazzi appena arrivati.
Johnny iniziò subito a sistemare parte della spesa in frigo, compreso un considerevole numero di bottiglie di birra che tintinnavano ad ogni contatto. Le sistemò come meglio riuscì tentando al tempo stesso di chiudere lo sportello.
“Stasera festa di benvenuto per il neo-coinquilino, ci sarai vero Haner?” chiese Jimmy mentre cercava il caffè nella dispensa. Il diretto interessato sorrise debolmente grattandosi la nuca con una mano.
“Mio padre mi ha trovato un ingaggio in un locale, non posso disertare o mi ammazza.”
Il suo sguardo si era lievemente accigliato, gli si leggeva negli occhi che non era uno che adorava seguire gli ordini, le feste comandate, e qualsiasi imposizione di altro genere.
La chitarra era tutta la sua vita, ma la sola idea di aprire la propria anima ad un pubblico che a malapena lo avrebbe ascoltato lo irritava; i locali in cui facevano suonare i principianti erano quelli in cui la musica non veniva considerata come l'attrazione principale, nessuno ci faceva caso o, almeno, smetteva di ascoltare non appena arrivava il momento di ordinare.
“Ragazzi, non fate quelle facce.” aggiunse Brian, notando le espressioni supplichevoli sui volti di Jimmy e Johnny. “Ci vediamo in questi giorni. Mi raccomando ragazzino, studia.”
Fece l'occhiolino in direzione di Matt e si allontanò verso la porta d'ingresso. Il viso dell'altro sembrò appuntirsi, non gli era piaciuto il modo in cui lo aveva trattato.
“Non farci caso,” Johnny intervenne subito, “Si diverte a punzecchiare le persone, soprattutto quelle che non conosce.”
Matt guardò il suo nuovo amico ma non rispose, non gliene importava niente delle abitudini di Brian, sapeva solo che non gli piaceva che qualcuno si rivolgesse a lui con quel tono, e soprattutto non accettava certe cose da uno che aveva la sua stessa età.
“Ecco il caffè!” esclamò Jimmy dopo qualche minuto di silenzio e con un largo sorriso sulle labbra tentando di smorzare la tensione. Lasciò a Johnny il compito di versarlo nelle tazze, lui era troppo occupato a cercare qualcosa nella tasca anteriore dei pantaloni.
“Ti dispiace se fumo?” chiese quando con la mano libera prese l'accendino vicino ai fornelli. Lo usavano per accendere il gas, visto che la manopola non c'era più.
Matt fece cenno di no con la testa e anzi, gli allungò il suo pacchetto che era stato lasciato sul tavolo. Il ragazzo prese una sigaretta ma, con grande sorpresa dell'altro, tentò di aprirla così da poter prendere un po' di tabacco. Johnny nel frattempo si era seduto e sorseggiava il suo caffè lentamente, sembrava quasi assaporarne ogni singola goccia con estrema devozione, aveva desiderato un attimo di relax per tutto il tragitto dal supermercato a casa.
“Jo vado a prendere un filtro in camera tua.”
Jimmy non attese neanche una risposta che subito sgattaiolò via, ma i due non fecero in tempo ad accorgersi della sua assenza che era già di ritorno; girò la canna mentre tornava in cucina e osservò soddisfatto la sua opera.
“A te l'onore di accenderla, coinquilino.” annunciò, porgendo a Matt anche l'accendino.
“Oh ehm...” rispose il diretto interessato con un filo di imbarazzo nella voce. “Fa' tu Jim, preferisco fare un tiro più tardi.”
“Ho capito amico, devo istruirti.” concluse James, facendogli l'occhiolino.
Gli altri due risero e Matt per un istante sentì che quella casa fosse davvero anche sua, che presto avrebbe saputo cosa nascondessero tutti i cassetti della dispensa e che, il suo ripiano del frigo, sarebbe stato riempito dai suoi cibi preferiti; sul tavolo, ogni mattina, ci sarebbero stati il suo bicchiere, il suo pacchetto di sigarette e le sue cicche nel posacenere, piatti della sera prima nel lavabo compresi. Erano dettagli quasi irrilevanti, per un osservatore poco attento, ma potevano significare il mondo per un ragazzo che aveva iniziato ad accarezzare la propria libertà solo da qualche ora.
“Continuerai gli studi, Matt?” chiese Johnny, forse riagganciandosi all'ultima frase di Brian.
“Sì, sono stato preso alla Columbia!”
L'enorme sorriso che gli illuminò il volto lasciavano trasparire l'emozione e l'entusiasmo che aveva provato dal primo momento in cui aveva letto con i propri occhi il contenuto della lettera che gli era stata recapitata, lettera che giaceva ancora lì, sul tavolo, e che mostrò agli altri due con estrema soddisfazione; gli diedero il cinque entrambi, uno alla volta, poi Johnny aprì il frigorifero e ne estrasse una bottiglia di vetro verde, certe notizie andavano festeggiate con della birra fredda.
“Tira, avanti,” lo incitò Jimmy, “non si va mica alla Columbia tutti i giorni!”

Il resto della giornata era trascorso tranquillo con un Matt alle prese con gli scatoloni ed i vestiti da sistemare nell'armadio; i suoi genitori non si erano fatti sentire e questo non poteva che giovare al suo buonumore che aumentava esponenzialmente al passare delle ore. Persino il fastidio che aveva provato quando Brian era andato via gli era ormai scivolato addosso e a malapena ne conservava un minimo ricordo; non l'aveva raccontato neanche a Zacky quando era passato a trovarlo, troppo preso com'era da tutte le cose che aveva da dirgli. L'altro ragazzo si era subito appropriato del suo letto e lo aveva osservato mentre sistemava la stanza e non poteva far a meno di prenderlo in giro quando notava l'enorme entusiasmo che aveva nella voce. Gli era dispiaciuto però non aver potuto conoscere Jimmy e Johnny i quali erano entrambi a lavoro, ma ne avrebbe senz'altro avuto l'occasione durante la festa di benvenuto di Matt: era il suo unico vero amico, non avrebbe mai potuto mancare.
Intorno ad ora di cena il ragazzo aveva deciso di rendere onore alla sua prima serata in quella casa con un pacchetto di patatine ed una birra, poi però Johnny fece capolino dalla porta d'ingresso con in mano tre cartoni di pizza.
“Volevi davvero cenare con quelle?” gli chiese subito, con un largo sorriso sulle labbra.
Matt non era riuscito a dire nulla se non a sorridere, sia lui che Jimmy lo conoscevano da appena ventiquattr'ore e sembrava quasi che condividessero lo stesso appartamento da anni; lo si percepiva dai gesti, dal tono della voce, dai sorrisi complici che non avevano bisogno di parole.
Fecero appena in tempo ad apparecchiare la tavola che anche il terzo ragazzo rientrò a casa stanco e sudato, corse ad infilarsi sotto la doccia senza neanche salutare.
“Quindi appena dopo l'estate ci abbandonerai?” chiese Jimmy un paio di ore dopo, quando erano tutti e tre seduti in veranda su tre sedie di plastica bianca. Anche il tavolino era dello stesso materiale, c'era un buco da una parte, ma a loro bastava che mantenesse il posacenere.
Le guance dei ragazzi erano tutte arrossate dall'alcol e dall'umidità, si stava facendo tardi ma la temperatura era a malapena scesa di qualche grado: Huntington Beach non aveva nessuna intenzione di dar tregua ai suoi poveri abitanti disidratati.
“Mi dispiace, ma non posso proprio rinunciare alla Columbia!” rispose l'altro ridendo, prima di far cadere un po' di cenere sui pantaloncini. “Merda, mi cicco sempre addosso.”
Gli altri due ridacchiarono, poi Jimmy si alzò in piedi e tirò su entrambe le braccia per stiracchiarsi.
“Altro giro?”
Johnny fece di sì con la testa mentre Matt decise di passare, d'altronde doveva ancora finire l'altra bottiglia che aveva in mano, ne erano rimasti ancora un paio di sorsi.
Non avevano chiacchierato intensivamente durante la serata o meglio, il nuovo arrivato si sarebbe aspettato una serie di domande infinite sulla sua vita privata che in realtà non erano arrivate; lo avevano lasciato parlare, interagivano e si raccontavano a poco a poco, era come spogliarsi vicendevolmente ma con lentezza, senza la preoccupazione di dover per forza dire qualcosa di cui non si aveva voglia di parlare.
“Jim, tu suoni la chitarra?” domandò Matt ad un certo punto, ricordandosi di aver visto lo strumento nella sua stanza, sul tre piedi.
“Suonare è un parolone, diciamo che la strimpello; suono la batteria... cioè, la suonavo. È ancora dai miei, devo trovare il modo per farla passare dalla porta e, soprattutto, trovarle un posto in casa.”
Rideva Jimmy, lui lo faceva sempre, il suo tono della voce era allegro e coinvolgente, anche la lista della spesa recitata da lui riusciva a strapparti un sorriso. Johnny, nel frattempo, avrebbe voluto dire a Matt che l'altro suonava anche il piano ed un'altra decina di strumenti, ma si limitò a stare zitto perché sapeva che a James non piaceva mettersi in mostra cercando sempre in un modo o nell'altro di sminuirsi.
“Tu invece suoni qualcosa, Jo?”
“Oh sì, il basso, da qualche anno ormai.”
Ad ogni secondo che passava, quella casa gli piaceva sempre di più. Per un attimo Matt ebbe la tentazione di andare nella sua stanza per prendere alcuni degli ultimi testi che aveva scritto così da mostrarli agli altri due, poi però se ne vergognò un po' e decise di lasciar perdere; non permetteva neanche a Zacky di leggerli, non ancora, li trovava continuamente incompleti. E poi non era abituato a farsi guardare dentro in quel modo, arrossiva al solo pensiero.
“Io canto, più o meno. Non ho mai preso lezioni, ma mi hanno detto che me la cavo.”
E alla Columbia avrebbe potuto farlo, avrebbe potuto scrivere e cantare durante il laboratorio di musica, perdersi tutto il giorno tra libri e spartiti.
Non vedeva l'ora.
“Sarebbe un onore poterti ascoltare, Matthew.” disse Jimmy in tono teatrale e con gli occhi lucidi, accennando anche un inchino.
Matt scosse la testa ridendo, i suoi occhi erano lucidi per la birra e ogni cellula del suo corpo si opponeva a quella richiesta: non avrebbe mai cantato davanti a loro, fine della storia.
“Dovrai accontentarti di sentirmi sotto la doccia, scusa amico.”

***

Brian aveva passato tutta la serata con le dita sulle corde, si era dilettato in decine di cover ma senza troppo entusiasmo, in realtà aveva solo aspettato che il tempo passasse e che arrivasse l'ora di rimettere la chitarra nella custodia. Ormai suonava con la luce negli occhi dei primi tempi solo quando era solo, nel silenzio della sua stanza, o in compagnia di Jimmy. Improvvisavano jam session con il batterista che provava a suonare con gli utensili da cucina più disparati. Sentiva quasi di aver perso la motivazione, la voglia di suonare così da raggiungere uno scopo; muoveva le dita sulla tastiera per liberarsi dalle pressione della vita quotidiana, e nient'altro.
Il testo che aveva letto quel giorno però, quello scritto da Matt, lo aveva fatto sentire come se qualcuno gli avesse dato un colpo in testa svegliandolo dal torpore: quelle parole, il ritmo che aveva creato nella sua mente, sembravano avere il sapore della libertà e di una vita che valeva la pena di essere vissuta. Conosceva appena quel ragazzo, aveva avuto la possibilità di leggere solo poche righe, eppure sentiva che c'era tanto lì sotto, lì dentro, che Matt la musica la custodisse davvero.
Non gli era mai capitato di provare stima per musicisti locali della sua età, Jimmy a parte, eppure una parte di lui sentiva che in quel ragazzo si nascondeva una vena artistica che meritava di essere smascherata; d'altronde non era stato preso alla Columbia per niente.
Sorrise amaramente, quando chiuse lo sportello dell'auto di suo padre il quale mise subito in moto per tornare a casa, almeno qualcuno stava correndo verso i propri obiettivi.





 

Corner:

Ed eccoci anche con questo secondo capitolo, finalmente i due si sono incontrati *^* Eravamo tutte ahdbhsbdcyhed per questo capitolo ahahah
Bene, ringraziamo di cuore viriginiaaa e CathleeneGinger6661 per le recensioni lasciateci, in più le tre persone che hanno preferito e le sei che hanno seguito.
Speriamo che sia anche questo capitolo di vostro gradimento, così da continuare al meglio questo percorso autrici-lettrici che si è creato!
Fateci sapere ok? ;)
See you next time!
 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo #03: Out of control ***


Out of control
Capitolo tre




Il fiato corto sul suo collo.
Il sudore che avvolgeva la sua pelle.
Il suono rotto di ansimi taciuti.
Aveva provato a trattenersi ma non c'era riuscito, avrebbe volentieri chiuso tutto dentro di sè, ma gli impulsi non erano ostacolati da una solida barriera, visto che l'alcool aveva fatto il suo effetto sul corpo asciutto del moro. Più che altro Matt gli stava simpatico, gli sarebbe dispiaciuto rovinare tutto; non che il ragazzo dagli occhi verdi la pensasse allo stesso modo.
Erano soli nella stanza di James, non riuscivano a ricordare neanche come si erano ritrovati lì dentro da soli: nessuno dei due si era dimenticato il loro primo ed unico incontro, soprattutto Matt. Proprio quest'ultimo sentiva dentro un tumulto dettato dall'alcool. Ripensava a Summer e a come fosse andato in bianco quella sera, ripensava alla rabbia che aveva covato dentro e a quella che covava. Non ci stava capendo molto, si era solo trovato a fissare gli avambracci di Brian su cui i disegni stavano prendendo forma, seduta dopo seduta, per rimanere impressi nella pelle fino alla fine. Ma quello che riusciva a vedere Matt era il magnetismo di quel ragazzo sfacciato e a tratti fastidioso, una calamita che attraeva anche senza guardare, il fascino incondizionato di chi sapeva cosa avesse da offrire. 
"Ti conviene uscire Matt," gli disse Brian alzandosi e andando alla scrivania per prendere un posacenere. Si fermò lì, con il capo chino e l'espressione di chi ha molto da pensare, la Marlboro fra le labbra e il bacino poggiato al bordo della scrivania per evitare di sbandare, vista l'ingente quantità di alcool ingerita.
"Perchè Brian? Chi saresti per dirmi cosa fare?" ribattè Matt scocciato da quell'atteggiamento, alzandosi in piedi e avvicinandosi, passo dopo passo, sempre più a Brian, che ad ogni passo sbiancava sempre di più, negli occhi un barlume di paura per quello che avrebbe potuto fare a Matt. 
Perchè aveva paura di rovinare tutto?
Matt si fermò a pochi passi da lui, puntò i suoi occhi smeraldini in quelli di cioccoloato fuso di Brian, entrambi avevano gli occhi rossi e opachi, segno della stanchezza dei loro bulbi oculari. Ma a nessuno dei due importò.
"Io ti ho avvertito Sanders," fu l'unica risposta di Brian alle domande di Matt, poi lasciò che i gesti sostituissero le parole. Fu fulmineo, Matt quasi non se ne rese conto che Brian aveva annullato quella poca distanza che restava fra loro per prendergli con forza il viso fra le mani e baciarlo con foga, scendendo subito a torturargli il collo, mordendolo ritmicamente in modo che le scosse di dolore percorressero il corpo del ragazzo a intervalli regolari. Tutto fu chiaro quando sentì qualcosa di caldo scendere dalla zona martoriata da Brian fino ai suoi pettorali, ancora coperti dalla camicia grigia e rossa che aveva messo per la serata. 
Brian gli leccò la ferita che lui stesso gli aveva procurato e si staccò dal collo per guardare Matt negli occhi, per vederli lucidi quanto i suoi, per cercarci lo stesso desiderio che lo attanagliava: ci lesse invece una rabbia repressa, la voglia di sfogarsi forse, non lo capiva bene. Ma non gli importava molto, lui sarebbe stato il suo partner per quella notte, per cui avrebbe accettato qualsiasi motivo che portasse Matt nella sua direzione. Non riuscì però a finire queste considerazioni perchè fu distratto da uno strattone che lo sollevò da terra per farlo ricadere violentemente sulla scrivania di Jimmy, che era incasinata come sempre. Così i due dovettero farsi spazio mentre le loro lingue si intrecciavano pericolosamente, con violenza e passione, spingendo i due corpi, sempre più desiderosi, sempre più vicini. Infatti Matt teneva una mano sulla cavità lombare di Brian e spingeva per sentire la fascia addominale del chitarrista premere sulla sua, Brian invece aveva agganciato le spalle larghe del ragazzino tirandoselo verso il basso finchè non decise che avevano aspettato abbastanza, che a loro non serviva titubare, che aveva fatto fin troppo la donna della situazione.
E via i vestiti, via la vergogna, via i sentimenti. 
Si ritrovarono sul letto di Jimmy, avvolti dalle lenzuola di raso nere, complici dello stesso gioco. Non importava come o perchè, non vi sarebbero stati sensi di colpa per quello che stava succedendo: Matt non si sarebbe sentito in colpa se mai avesse cercato l'odore di sesso che Brian emanava e Brian non si sarebbe sentito in colpa se avesse chiesto di Matt a Jimmy ogni volta che questi non era in casa. Non vi era nulla fra loro se non quel legame che vibrava nell'aria mentre Brian sovrastava Matt, bloccandogli i polsi sulla testa mentre era intento ad esplorarne il corpo, a scoprirne la forma, curioso di provare qualsiasi cosa con quel ragazzo e non bastava graffiare i muscoli o mordere i capezzoli fino a sentire Matt ringhiare, voleva sentire l'erezione del compagno premere sul suo corpo, voleva che Matt lo desiderasse davvero dentro, lo voleva pronto ad accettare le conseguenze; si giocava con le sue regole.
Intanto Matt aveva gli occhi chiusi, sentiva il collo pulsare e il petto bruciare, la presa salda di Brian sui suoi polsi rendeva difficoltosa la circolazione ma, tutto questo, non faceva altro che alimentare quelle fiamme che gli bruciavano il corpo dall'interno, ed ogni cosa che Brian gli faceva era per lui una scossa di piacere, scossa che il suo compagno poteva apprezzare sulla sua pelle quando le pulsazioni si scontravano con i tessuti di Brian. Dopo l'ennesima scossa al basso ventre, dovuta ad un morso sul fianco, vide il viso spigoloso e arrossato di Brian sempre più vicino, con il sudore che gli iniziava già ad imperlare il viso, gli occhi lucidi e le gote rosso vino che lo rendevano un adone agli occhi di Matt. 
Ed era sempre piu vicino.
Quando si impadronì nuovamente della bocca del futuro universitario non ci fu bisogno di parlare; le lingue erano calde e morbide, si scontravano e si urtavano come se tutto fosse normale, si mordevano a vicenda quando uno dei due provava a ritirarsi. Brian morse il labbro inferiore di Matt, dove aveva il labret, succhiando il cerchietto metallico e leccandolo come se non fosse un semplice piercing, ma trasmettendo in quel gesto tutte le sue intenzioni più profonde, pronto a metterle in pratica ad un via qualsiasi di Matt, via che non tardò ad arrivare sotto forma di un gemito sommesso, così profondo da sembrare un ringhio, come quelli che faceva quando lo mordeva o lo graffiava, ma con qualcosa di diverso, poichè una diversa sensazione lo aveva generato. Fu solo allora che Brian lasciò la presa sui polsi di Matt, lasciando che le mani bollenti accarezzassero il profilo di entrambe le braccia, quello del petto e degli addominali, mentre le sue labbra scendevano, lasciando una scia di morsi rossi che si soffermava a leccare, fino a che non raggiunse la punta dell'erezione di Matt, che non perse tempo a percorrere con la punta della lingua, soffermandosi sulla sommità, lanciando di tanto in tanto qualche sguardo al povero Matt, vermiglio in volto, che emetteva rantoli di piacere. 
E così Brian si concentrò sul membro gonfio e pulsante di Matt, avvolgendolo fra le sue labbra sottili ma morbide, sentendo immediatamente la bocca salire di temperatura per via del calore emanato dall'erezione che aveva dentro; eccitato nello stringere fra le mani e fra le labbra qualcosa di così imponente e nel frattempo vedere il proprietario completamente succube, dipendente da lui e dalle unghia affondate nella pelle tesa mentre le labbra facevano su e giù con lentezza, assaporando ogni centimetro di Matt: non voleva perdere neanche un pezzo di lui mentre si eccitava nel vedere gli occhi brillanti di Matt chiedere pietà per la sua sofferenza. Fu per questo che si allontanò da lui, solo per piantare le sue mani ai lati della sua testa, strusciandosi su di lui per fargli sentire che non era l'unico a voler arrivare alla fine e, con sommo dispiacere di Brian, un eccessivo rumore di bottiglie gli ricordò che oltre la porta c'era una festa e che quella non era neanche la camera di Matt: il proprietario sarebbe potuto arrivare da un momento all'altro. Si rimise quindi a cavalcioni su Matt, nella stessa identica posizione in cui si erano ritrovati all'inizio del test del materasso, ammirando la bellezza del suo dio greco personale, restando stupefatto alla vista di quel corpo rosso di graffi, lividi, con qualche ferita ogni tanto 
Era perfetto.
"Vieni qui," gli disse facendogli cenno di avvicinarsi con il viso e, quando Matt lo raggiunse, alzò la mano destra verso il suo volto, solo un paio di dita tese, il resto chiuse in pugno. Matt prese quella mano nella sua e si portò le dita alla bocca, succhiandole come un bambino fa con il capezzolo della madre, ingoiandole fino alla base per poi risalire alla punta, leccando ogni fessura, ogni piega della pelle, tutto, tutto quello che riusciva a toccare con la sua lingua.
Sapeva bene cosa quello significasse e la sua temperatura aumentò, se possibile, ulteriormente al solo pensare cosa quel moro chitarrista gli avrebbe fatto di lì a breve. Sentiva il suo corpo e quello del suo compagno bruciare, febbricitanti nell'attesa che li logorava già dai primi giochi che avevano fatto. 
Quando Matt finì di assaporare quelle dita lunghe ed affusolate, il braccio tonico di Brian lo avvolse mentre con l'altra mano gli accarezzava il viso, seguendo con i polpastrelli callosi il profilo di quel volto arrossato, baciandone gli zigomi caldi che si irrigidirono non appena Matt sentì quelle dita entrare e muoversi dentro di sè con ritmo sempre più deciso e guardando con gli occhi lucidi il volto spigoloso del chitarrista, notando con piacere come ogni suo poro trasudava il desiderio di farlo suo.
Andava tutto bene. 
Lui stava bene.
"Fallo," disse Matt con un filo di voce all'orecchio di Brian, mordendogli il lobo a sangue per poi leccare la ferita, finalmente lasciando anche lui il suo segno sul corpo di chi aveva condotto i giochi. 
Non se lo fece ripetere due volte Brian, che estrasse le sue dita solo per chinarsi a cercare qualcosa sotto il letto. Fortunatamente Jimmy era uno abitudinario e le cose le teneva al posto tuo.
"Chiudi gli occhi Matt," disse Brian guardandolo con un sorrisetto malizioso procurò a Matt una scarica lungo la spina dorsale.
Assicuratosi che Matt avesse chiuso davvero gli occhi, Brian tirò fuori dalla scatola delle meraviglie, come si ostinava a chiamarla il proprietario, due paia di manette, con cui agganciò Matt alla spalliera del letto.
"Goditi il momento, Matthew."
Quando Matt sentì le mani calde di Brian che lo spingevano a stendersi aveva capito che c'era qualcosa che non andava, fu quando sentì il ferro freddo a contatto con la pelle che capì cosa aveva in mente il moro. Aprì subito gli occhi e lo vide ghignare, un ghigno sexy oltre ogni misura; provò a muovere le braccia ma come aveva previsto le manette lo avevano costretto in quella posizione. Sorrise quando la presa salda di Brian portò il suo bacino sopra il suo, sentiva la calda erezione sfregare sui suoi glutei e non desiderava altro che sentirla dentro, voleva provare quella sensazione di collasso che da troppo tempo stava aspettando e che Brian non si sbrigava a dargli; questo pensava Matt quando Brian lo prese, quando quelle fantasie passeggere divvenero reali, quando finalmente sentì il compagno dentro di sé, entrato con prepotenza e deciso a prendersi tutto ciò che Matt poteva offrirgli.
Era caldo, era ospitale, era eccitante vedere Matt alla sua mercé, quel corpo statuario martoriato dalle ferite, l'orecchio di Brian ancora caldo per il morso del giovane sotto di lui, tutto gli diceva che quella poteva essere una delle sue migliori scopate! I ringhi di Matt, i gemiti soffocati di Brian, quella stanza trasudava sesso, tacita testimone di ciò che si stava consumando in quelle mura, testimone del culmine del piacere di entrambi, che vennero uno dopo l'altro, collassando sulle lenzuola nere, il respiro affannato e le guance rossissime, finalmente soddisfatti di quello che avevano vissuto.

*

Matt era rientrato in casa, Brian aveva sentito i passi ma non l'aveva visto, troppo concentrato com'era a mantenere lo sguardo davanti a sé. Gli occhi erano rossi, pieni di sangue, gli zigomi arrossati ma il viso pallido e sudato.
“Ti va un gelato?”
L'altro aveva scosso la testa così Matt si era seduto di nuovo al suo fianco e aveva scartato il suo cono alla panna con lentezza quasi fastidiosa, strappare via la carta sembrava un'impresa titanica, tant'è che Brian si propose di aiutarlo. Il ragazzo rifiutò e, quando finalmente sentì il gelato sciogliersi sulla lingua, sorrise soddisfatto. La schiena era completamente appoggiata alla sedia, i muscoli lo spingevano giù mentre si rilassavano; la festa di benvenuto era terminata già da un bel pezzo, ma lui iniziò ad assaporare quell'attimo di solitudine solo in quel momento. Per un istante si chiese dove fosse finito Zacky, poi pensò soltanto che probabilmente si era addormentato sul suo letto e aveva semplicemente smesso di preoccuparsene.
“Ti sei sporcato.” disse Brian ad un certo punto, voltandosi verso Matt ed interrompendo quel breve silenzio che si creava tra un morso e l'altro.
“Mmh?”
“Proprio qui...”
La voce del primo si era abbassata diventando quasi languida e, all'improvviso, il suo viso si era fatto più vicino del previsto: nonostante l'alcol e le droghe Brian era stato fulmineo nei momenti, aveva sfiorato la guancia di Matt con il palmo di una mano appoggiando il pollice sull'angolo della bocca per cancellare via quella piccola traccia di cioccolato indesiderato; il polpastrello si spostò per accarezzare quelle labbra carnose, il contatto di un paio di secondi sembrò durare un'eternità per quanto era intenso, soprattutto perché quel paio di occhi scuri sembravano sciogliersi attraverso i suoi provocandogli numerose scosse lungo la colonna vertebrale.
“Adesso sei apposto.” concluse, e Matt giurò di averlo visto mordersi delicatamente il labbro inferiore. I secondi che seguirono furono lunghi, quasi dolorosi, desiderava quasi strappargliele a morsi, quelle labbra; l'intimità di qualche ora prima sembrava non contare più, era stato tutto troppo veloce ed erano entrambi troppo ubriachi per rendersi conto della portata di quei gesti che si erano scambiati sulla scrivania di Jimmy all'inizio, e sul letto poi.
Brian aveva voglia di scopare e non se l'era fatto ripetere due volte, Matt invece non sapeva bene cosa volesse in quel momento, si era trovato a baciare quello sguardo enigmatico e quei capelli improponibili, gli zigomi squadrati e le piccole lentiggini sul naso, così aveva continuato.
Se ne stettero per un po' in silenzio, Matt stava finendo di mangiare e l'altro ragazzo aveva preso una sbronza troppo grossa per fare troppi movimenti tutti insieme. Gli veniva da ridere, quello sì, e anche di slacciarsi i pantaloni e fare di nuovo qualcosa di molto stupido.
“Stai bene?”
Il nuovo arrivato glielo chiese perché aveva notato le sue pupille ancora più rosse e lo sguardo sempre più spento; chiunque avesse pensato che stesse per tirare le cuoia da un momento all'altro. Ed invece quello stato, per Brian, era anche meglio delle montagne russe. Quasi non aspettava nessun momento della giornata come attendeva la sua abituale sbronza, veloce e bella forte, così intensa da non farlo pensare e ridere come uno stupido. La passava seduto sul letto in camera sua, o seduto sulla vecchia sedia a dondolo che i suoi avevano messo nel retro del giardino e se ne stava lì a fissare qualunque cosa ci fosse di fronte a sé sentendosi un po' più libero.
“Alla grande, tu?”
Gli rivolse un largo sorriso e gli occhi si fecero ancora più lucidi.
“Brian forse dovresti andare a letto.”
“E forse tu dovresti succhiarmi un po' il cazzo, visto che io la mia parte l'ho fatta.”
Matt scoppiò inaspettatamente a ridere, proprio non riuscì a trattenere lo stimolo che fu talmente forte da costringerlo a mantenersi la pancia. L'espressione di quel ragazzo, il tono della sua voce, da ubriaco ogni suo lato diventava buffo, quasi grottesco.
Erano passate diverse ore dall'ultima goccia di alcol che aveva ingerito e in più aveva mangiato il gelato, quindi aveva la lucidità necessaria per rendersi conto della situazione che stava vivendo, che Brian aveva bisogno di dormire e che l'indomani avrebbero entrambi desiderato vomitare lo stomaco o direttamente morire.
“Dai, andiamo a cercare un letto.”
“Io le mie chiappe da qui, non le scollo.”

“BUONGIORNO CAZZONI, SVEGLIA!”
La voce di Jimmy e l'incredibile frastuono causato dal mestolo sbattuto ripetutamente contro una pentola, versarono Matt e Brian in uno stato di disperazione totale; avrebbero voluto entrambi alzarsi e gridare ma, al tempo stesso, erano troppo a pezzi per poter anche solo dischiudere leggermente una palpebra.
“Mi sto vendicando per quello che avete fatto ieri sera in camera mia.” aggiunse poi prima di rientrare, come se questo bastasse a giustificare quell'immondo caos che alla fine aveva finito per svegliare anche il resto della casa.
Brian fu il primo ad aprire del tutto gli occhi e per un attimo, insieme ad una terribile sensazione di panico e vomito all'altezza dello stomaco, si chiese chi diavolo fosse quel ragazzo che gli dormiva accanto; poi però qualche leggero ricordo della serata precedente si decise a rendersi meno indefinito e la situazione gli fu pian piano più chiaro. I suoi occhi si soffermarono sulla forma del mento, sul profilo del naso e sui segni rossastri che gli aveva lasciato sul collo: era bello, da quando l'aveva visto per la prima volta non era più riuscito a smettere di pensare altro.
Con fatica, a causa di muscoli addormentati e ossa doloranti, si era tirato su trascinandosi con sé parte del plaid che l'altro ragazzo era andato a prendere prima di sedersi al suo fianco e allora aveva cercato di sistemare la situazione come meglio riusciva. Si erano addormentati a terra, alla fine, con la testa appoggiata contro il muro ed un' orribile puzza di etanolo che aleggiava attorno ai loro corpi.
“Caffè, adesso.” disse Brian appena entrò in cucina, non riusciva a muovere la testa e qualunque movimento, anche leggero, rischiava di farlo vomitare nel giro di un paio di secondi. Jimmy lo sapeva bene e quindi, accanto alla tazzina, aveva già posizionato un'aspirina.
“Devi dirmi qualcosa, Brian?”
Mandarti a fanculo, avrebbe voluto rispondere, però ci mise poco a rendersi conto che non avrebbe potuto vincere nessuna discussione in quel momento e perciò decise di attuare la tecnica del mutismo. Bevve il caffè a testa basta e cercò di farlo il più velocemente possibile, così da potersi poi subito rifugiare nella doccia. Bramava ardentemente quelle gocce fredde, la sensazione di pulito che depurava i pori, la testa meno pesante ed i pensieri più limpidi.
Quando fu il turno di Matt, ovvero quando toccò a lui confrontarsi con la dura realtà e con il dolore lancinante di quella sbronza, Brian aveva già smesso di girare per casa per un bel po', forse si era addormentato sul letto di Jimmy o forse era semplicemente andato via – d'altronde quella non era casa sua – ma il ragazzo non ci pensò neanche per un attimo, non gli importava. La prima cosa che fece però, dopo essersi maledetto per un po', fu andare nella sua stanza per controllare la situazione: Zacky dormiva, esattamente come aveva immaginato, con le braccia strette attorno al cuscino e le labbra semi dischiuse. Matt si stese al suo fianco facendo attenzione a non svegliarlo, osservò per un po' i suoi lineamenti e poi chiuse gli occhi anche lui, tranquillo.

Ho voglia di baciarti.” soffiò Matt nell'orecchio di Zacky, facendogli quasi il solletico. Erano seduti vicini, il primo era troppo ubriaco anche solo per pensare una frase più articolata mentre il secondo lo stava seguendo a ruota.
Sta zitto, Matt.”
Zacky era arrossito, quando aveva parlato, ma d'altronde Zacky arrossiva sempre, anche quando non vi era motivo. Però avere il viso del suo migliore amico così vicino gli stava facendo sentire dannatamente caldo e non poté resistere dal mordersi il labbro inferiore fino ad incontrare uno dei suoi due piercing con la punta del canino.
Ma voglio farlo.” continuò l'altro mentre un sorriso sornione accompagnava le due fossette ai lati delle guance. “There is a light and it never goes out...” canticchiò subito dopo e d'altronde c'erano i The Smiths in sottofondo, c'era Morrisey che cantava di una luce che rimaneva sempre accesa, di musica e di ragazzi giovani e vivi.
Ed era così che Matt si sentiva in quel momento: giovane, ma soprattutto vivo.
I don't care, I don't care...” sussurrò ad un soffio dalle labbra di Zacky, che si preoccupò subito di coprire con le sue. Chiusero entrambi gli occhi e il festeggiato racchiuse il viso dell'altro tra i palmi, come a volergli suggerire di non allontanarsi, non ancora.
Well, the pleasure – the privilege is mine.
Intorno a loro, però, la festa andava avanti, i ragazzi bevevano e fumavano e ridevano, si appoggiavano al muro con una Tennent's in mano, rollavano drum con la stessa velocità con cui si prende un respiro profondo. Ed era concentrato proprio in quello, Brian, a chiudere la sua piccola opera quando si accorse della scena che stava avvenendo accanto a lui che continuò ad osservare con la coda dell'occhio.
Qualcuno se la stava spassando, ed era davvero una strana sensazione quella che si provava quando non era lui stesso, quel qualcuno; lasciò il drum incustodito sul tavolo anche se sapeva che Johnny glielo avrebbe fregato non appena avesse voltato lo sguardo e allungò un braccio per cercare la mano di Matt. Lo strattonò con forza e, quando il ragazzo si decise a prestargli sufficiente attenzione, lo tirò verso di lui costringendolo ad alzarsi e lo portò fuori da quella stanza.

I sogni di Matt furono agitati, durante quel breve sonno, le immagini erano caotiche ma un senso d'angoscia gli annebbiò i pensieri costringendolo, alla fine, ad aprire gli occhi di soprassalto scoprendosi con la fronte sudaticcia e fredda. Zacky, sentendo tutti quei movimenti al suo fianco, si svegliò anche lui e lo osservò per qualche istante con un 'espressione confusa dipinta sul viso assonnato.
“Mmh, stai bene?” mormorò con la bocca impastata ed un orrendo sapore sulla lingua. Non ci stava capendo niente, vedeva solo il suo migliore amico muoversi agitato ma questo non bastò a svegliarlo del tutto; cercava di osservarlo tenendo gli occhi il meno aperti possibile.
“Sì, tutto bene.” risposte l'altro, distratto, mentre cercava di mettere in ordine i sogni ma niente, non aveva la più pallida idea di cosa lo avesse svegliato. Per un attimo pensò a Brian e poi al bacio che aveva dato a Zacky, dopo però scosse la testa e tornò ad appoggiare la testa sul cuscino; l'amico al suo fianco aveva di nuovo chiuso gli occhi.
“Ho voglia di pizza,” aggiunse subito dopo. Lo stomaco era un casino, faceva più male che altro, ma al tempo stesso avvertiva un certo languorino. E poi gli mancava fare qualcosa di stupido con Zacky, qualcosa che riguardasse solo e soltanto loro due; quando era un bambino il suo intero universo era composto solo da quel ragazzo e a volte la consapevolezza che le cose erano cambiate, che erano semplicemente cresciuti, gli metteva un po' di tristezza.
“Zee...” Gli diede un paio di colpetti su una spalla. “Pizza, ti va?”
“Tu sei matto.” rispose senza aprire gli occhi, ma accennando un sorriso.
“La ordiniamo e ce la mangiamo sul letto, poi se ne abbiamo voglia torniamo a dormire o ascoltiamo un po' di musica, o facciamo quello che vuoi.”
L'altro ragazzo si avvicinò un po' fino a che Matt non sentì il suo respiro accarezzargli la punta del naso.
“Dipende.” disse con un filo di voce, qualche secondo dopo stropicciandosi gli occhi. “Stai cercando di farti perdonare per aver tentato di stuprarmi?”
Il padrone di casa arrossì, anche se tentò di non dar a vedere l'imbarazzo che stava provando.
“I-io...”
“Ti voglio bene, Matthew.” Si sporse per dargli un leggero bacio sulle labbra e poi, prima di dividersi, sorrise. “E sarò qui a mangiare pizza sul letto tutte le volte che vorrai.”

“Jo sto andando in lavanderia, devi lavare qualcosa?”
La voce di Jimmy violò prepotentemente il silenzio di quella stanza, Johnny aveva appena fatto in tempo ad addormentarsi che il suo coinquilino lo aveva svegliato di nuovo.
“Sullivan vattene.”
“Poi però non lamentarti che hai la cesta dei panni sporchi piena!” rispose il secondo ragazzo con un largo sorriso, anche se l'altro non poté vederlo. Uscì di casa senza bussare alla porta di Matt, non sentiva voci e suppose che stesse ancora dormendo; la serata appena trascorsa lo aveva confuso e non poco, la sua unica certezza in quel momento era che dovesse lavare le sue lenzuola nere il prima possibile, ci si era addormentato solo perché era troppo ubriaco anche solo per tenere gli occhi aperti. Quando al risveglio, però, si era reso conto di aver appoggiato la propria pelle sullo stesso tessuto su cui Matt e Brian avevano riversato i loro liquidi corporei, si sentì costretto a farsi almeno due docce di fila.


 

Corner:

Eccoci qui con il nuovo capitolo, sperando vivamente che vi sia piaciuto! Matt e Brian sono aksjfnashbdabshdasjfnj *fangirl time*
Be' che dire, stiamo iniziando ad esplorare quell'universo complesso che sono questi personaggi, e a sfogare gli ormoni; cosa succederà ora? Nessuno lo sa bwahahahah 
Passateci se c'è scappato qualche errore, Shizue se li perde sempre per strada anche se rilegge cinquecento volte il testo! LOL
As always un grazie enorme a CathleeneGinger6661 che recensisce ogni nostro capitolo e un grazie anche a 
faithisunavailable per aver inserito la storia fra le preferite!
Ovviamente fateci sapere cosa ne pensate! ;)
Alla prossima, xo

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Capitolo 5
*** Capitolo #04: Costanti di equilibrio ***


Costanti di equilibrio
Capitolo quattro





James si era trovato davanti all'abitazione dei suoi genitori senza sapere bene neanche il perché, doveva aspettare che la lavatrice lavasse le sue cose e così aveva pensato di farsi un giro nei dintorni; erano state le sue gambe a portarlo fin lì, forse guidate da un subconscio tanto subdolo quanto spicciolo. In ogni caso era lì, davanti alla stessa casa in cui aveva abitato per anni, ma che a vederla in quel momento sembrava totalmente diversa.
Quando non si vive più in posto, la percezione che si ha di esso cambia, tutto ciò che si prova si amplifica e ci si rende conto che non si appartiene mai davvero ad un luogo, è sempre un qualcosa di temporaneo che prima o poi ti viene strappato via.
Erano le tre del pomeriggio e Jimmy era indeciso sul da farsi, i suoi erano in casa perché vedeva le loro ombre muoversi attraverso la finestra della cucina.
“Chi è?”
Dopo aver suonato il campanello, riconobbe subito la voce di sua madre e sorrise subito non appena la udì.
“Ciao ma' sono io, Jim.”
Gli aprì subito e il suo viso piccolo e rassicurante fece capolino dalla porta. Indossava ancora il grembiule con cui aveva cucinato il pranzo della domenica, probabilmente aveva appena finito di sistemare piatti e stoviglie.
“Che bella sorpresa, tesoro.” disse e allargò le braccia per accogliere il suo giovane testardo in un abbraccio; la superava di parecchi centimetri, ma quando Jimmy si trovava vicino a sua madre sembrava farsi piccolo piccolo, sembrava desiderare ancora nascondersi tra le sue braccia e inspirare a pieni polmoni quel profumo dolce che sapeva di casa.
“Dovrei venire più spesso a trovarvi, lo so.” rispose, grattandosi la nuca. “Papà?”
“Di sopra, è andato a riposare una mezz'oretta fa. Va' pure a chiamarlo, sarà felice di vederti.” gli disse mentre si dirigeva in cucina.
“Non fa niente passerò a trovarlo domani, tra poco devo andare a ritirare i panni in lavanderia.”
“Non vuoi neanche un po' di caffè?”
L'espressione della donna si fece preoccupata e, quando Jimmy fece no con la testa, gli occhi piccoli e lucidi, le occhiaie e la pelle più pallida del solito trovarono una spiegazione.
“James Owe-”
“Ma', ti prego!”
Il ragazzo fece roteare gli occhi dopo aver rivolto lo sguardo verso l'alto.
“Sono solo in pensiero per il mio ragazzo.” rispose la signora Sullivan, quasi in un sussurro. “Da quando non suoni più nei Pinkly Smooth ti vedo strano, diverso, per non parlare di Brian. L'ho incontrato l'altro giorno al supermercato con suo fratello Brent e a stenti l'ho riconosciuto.”
Nel frattempo mamma e figlio si erano seduti al tavolo della cucina l'uno di fronte all'altro, Barbara aveva allungato una mano per accarezzare il dorso della mano del più giovane.
“Brian ha superato un po' il limite, lo ammetto, ma lo sto tenendo d'occhio.”
“Il fumo e l'alcol lo stanno mangiando vivo e non voglio che succeda anche a te; avete sempre avuto questo vizio di farvi del male insieme, di tenervi per mano per buttarvi giù da un precipizio e non per aiutarvi vicendevolmente a rialzarvi.”
Sua madre aveva ragione e Jimmy lo sapeva bene, per questo smise di guardare la donna negli occhi e tentò di concentrarsi su qualcos'altro.
“Sto bene, te lo assicuro, e Brian tornerà normale.” disse, continuando però a non alzare lo sguardo. “Ora devo andare, le lenzuola saranno pronte.”
Si era alzato di scatto, come se volesse fuggire dalla madre che, preoccupata, stava soltanto esprimendo ad alta voce quelle verità che lui non voleva accettare. Lei cercò di trattenerlo con lo sguardo supplichevole, voleva farlo ragionare, voleva fargli capire che quel loop in cui era finito era sbagliato, ma lei non capiva! Non capiva il doppio filo che lo legava a Brian, non riusciva a capire che se Brian aveva mollato era soltanto colpa sua; aveva spinto troppo, forse peccando di arroganza e presunzione, verso quel fallimento che aveva segnato entrambi. La differenza fra i due stava nell'assorbire il colpo; Brian era più fragile, i suoi castelli di carta erano stati demoliti dal vento e non riusciva a riprendersi.
Per questo lui l'avrebbe aiutato a rialzarsi, anche se questo significava sprofondare con lui. Jimmy lo sapeva bene: per tirare fuori Brian da quel circolo vizioso doveva essere spinto fuori dall'interno ed era compito suo, del suo migliore amico, dargli lo strattone; anche se aveva la sensazione che qualcuno lo avrebbe potuto aiutare inconsapevolmente, qualcuno che non conosceva affatto quel mondo complicato che era Brian Haner.
"Ci vediamo domani, passerò a salutare Papà," disse semplicemente senza guardare la madre e uscendo di casa, sentendo il bisogno di schiarirsi le idee. Non era stato in quella casa per più di dieci minuti e già vedeva tutto con una diversa angolazione.
Sua madre non disse nulla, continuò semplicemente a guardarlo preoccupata mentre Jimmy si richiudeva la porta d'ingresso alle spalle, sparendo dalla sua viste e lasciandola con un pugno di cenere fra le dita piccole e sottili.
Silenziosamente pregava che tutta quella situazione non portasse sul fondo suo figlio, ancorato a Brian, che stava cadendo di peso verso l'abisso.

La lavanderia era piccola e cupa, c'era solo una finestra, troppo piccola per illuminare decentemente la sala piena di lavatrici bianche tutte uguali, una di fianco all'altra, senza un minimo di spazio che le separasse l'una dalle altre.
Jimmy si diresse verso la cinque con lo sguardo perso in una visione che solo lui poteva vedere , immerso nei ricordi e cercando di capire dove aveva sbagliato, come erano arrivati a quell'epilogo, così diverso da quello che lui aveva sempre sognato, che a furia di raccontarlo sembrava l'unica opzione possibile.
Ed invece, qualche mese prima, lui e il suo amico avevano capito che la strada non è sempre come l'Highway, a volte ci si ritrova catapultati in una stradina sterrata senza rendersene conto, finchè non si fa un bell'incidente di percorso.
Così lo aveva chiamato Jimmy quando la risposta non era arrivata, per lui era un incidente di percorso, ma non lo era per Brian evidentemente. Per lui era stata la fine dei loro sogni.

Oh fanculo Jim, abbiamo sempre pensato di essere i migliori sulla piazza e dove ci ha portato? Ad un demo che non vuole nessuno!” aveva urlato Brian paonazzo, le vene del collo erano ben visibili come quelle sulle tempie, in mano i resti della sua acustica che stava suonando prima che il suo amico facesse irruzione in camera.
Bri, cazzo, cerca di ragionare! Noi siamo i migliori ma evidentemente non basta. Ci rimettiamo a scrivere, a provare, ci faremo sanguinare mani e piedi più del necessario e diventeremo non il meglio in circolazione, ma la perfezione! Incideremo di nuovo se servirà, saliremo sui migliori palchi, lo sai che ce la faremo. Noi meritiamo questa realtà.”
E il moro dagli occhi di cristallo lo pensava davvero, vedeva quelle immagini così vicine, non voleva credere che tutto potesse infrangersi per un rifiuto! Be' tecnicamente più di uno, ma a lui non importava! Sapeva che le notti insonni passate con Brian a fantasticare su come potesse essere suonare su un grande palco, con migliaia di fan che ti acclamano e ti adorano, non erano altro che proiezioni più o meno certe del loro futuro.
Ma evidentemente il chitarrista non la pensava allo stesso modo perchè lo fulminò con i suoi occhi nocciola duri e spietati, segnati dal sangue pulsante nei capillari. Lì per lì James aveva avuto paura che gli potesse prendere qualche attacco.
James, io sto ragionando, sei tu che non hai capito che i Pinkly Smooth sono finiti! L'abbiamo avuta la nostra occasione e l'abbiamo bruciata come se fosse una cartina strappata, così velocemente che neanche ce ne siamo accorti! Io ho chiuso con questo progetto amico, ho volato troppo in alto e le ali di cera si sono sciolte, lasciandomi precipitare nell'oceano. Ora voglio solo annegare, sei con me o contro di me Sullivan?”
Jimmy sospirò chinando lo sguardo e subito i sensi di colpa lo assalirono. Se aveva ragione Brian? Se i Pinkly Smooth non erano mai stati pronti per quel passo che il cantante li aveva spinti a fare, fiducioso che tutto sarebbe andato per il meglio? Se ci fosse stata solo un'occasione e loro l'avevano appena bruciata, come diceva il suo chitarrista?
Sapeva che Brian aveva ragione, nessuno avrebbe ascoltato un secondo demo di una band esordiente che avevano già scartato.
Non chiamarmi Sullivan, Bri,” gli disse aprendo il primo cassetto della scrivania dell'amico e prendendo il tubicino d'inchiostro di una bic ormai smembrata da tempo e infilandolo in un forellino. Alzato il doppio fondo che Bri aveva costruito per nascondere le sue cose ai genitori, ne estrarre il grinder nero e si mise a girare lentamente.

Scosse la testa energicamente, come se questo potesse aiutarlo a far svanire i ricordi di un passato troppo recente e finalmente si decise a togliere i panni dalla lavatrice e a buttarli nella cesta per riportarli a casa.
Fece tutto con eccessiva lentezza, come se tornare a casa sua gli pesasse, probabilmente non se la sentiva di affrontare Brian in quello stato, dove al solo pensiero gli si stringeva lo stomaco per la colpa. Se ci fosse stato l'amico a casa la prima cosa che avrebbe fatto Jimmy sarebbe stata tirare fuori l'erba solo per sentirsi in pace con se stesso, sapendo che Brian non l'avrebbe lasciato solo, mai.
Quando si ritrovava a pensare alla sua amicizia con Brian riusciva a comprendere le parole di chissà quale persona: i parenti non li scegli ma la famiglia te la crei. A James piaceva pensare a lui e Brian come una piccola famiglia, sempre unita, qualsiasi cosa la sorte gli riservasse. Se le cose andavano bene o male a loro non era mai importato, erano pronti a sostenersi a vicenda, quasiasi fossero le intenzioni dell'uno o dell'altro, perchè sapevano che per quanto in basso potessero scivolare, prima o poi si sarebbero rialzati insieme.
Pensava a queste cose quando arrivò davanti la porta di casa e si fermò ad osservarla per qualche istante prima di decidersi ad entrare. Tutto andava bene, era ora di cacciare via quei pensieri dalla testa!
"Sono a casa!" disse senza urlare per paura di svegliare chi dormiva. Non finì però di parlare che subito spuntò Johnny dalla sua stanza e lo raggiunse, prendendo fra le mani la cesta dei panni di Jimmy e lasciandola a terra. Aveva lo sguardo preoccupato, perchè però Jimmy non lo sapeva, come poteva capire che aveva un aspetto orrendo se non si era guardato allo specchio?
"Fosse ora Sullivan, pensavo li stessi lavando a mano questi panni," disse lo gnometto di casa, dando una veloce occhiata alla cesta e alzando un sopracciglio. In realtà la domanda silenziosa di Seward era cosa avesse turbato il suo coinquilino, solitamente così restio a farsi smuovere da qualcosa.
"Perché hai portato a lavare le lenzuola se le hai messe pulite solo ieri?"
"Jo, ma qualcosa di ieri sera te la ricordi? Pure i vicini hanno sentito Matt e Brian che scopavano in camera mia e tu mi chiedi perché lavo le lenzuola?"
Jimmy dedusse che non ricordava un cazzo d
alla faccia che fece Johnny. Prese un lato del lenzuolo e glielo lanciò, prendendo lui l'altro capo e i due iniziarono a piegare il tessuto nero.
"Davvero? Capisco Brian, ma Matt doveva essere proprio sbronzo per farselo, non ripete sempre che non sopporta la sua aria di sufficienza?"
"Sicuro era meno sbronzo di te gnomo," sospirò James portando le lenzuola pulite in camera sua e aprendo la finestra. Sentiva ancora la puzza di sesso di quei due aleggiare nell'aria! Probabilmente quello sarebbe stato un trauma che si sarebbe portato dietro a vita!
Il suo coinquilino lo seguì e si sedette sul materasso, coperto solo dalla spugna che lo difendeva dal tempo e dalla polvere, osservando Jimmy perdersi nel caos della sua camera; si vedeva che voleva sistemare, ma nello stesso tempo prendeva tutto solo con la punta di pollice e indice, borbottando che qualsiasi cosa poteva essere stata toccata da uno dei due la notte prima. L'occhio di Johnny finì sulle manette ancora attaccate al ferro bianco del letto di Jimmy.
“Certo che ci sono andati pensante,” fece notare all'amico, come se questi non fosse già abbastanza schifato al pensiero. Ma lo faceva apposta Seward? Ormai anche quelle schifose immagini gli passavano per il cervello.
“Jimmy, si può sapere che ti prende? Non hai quella faccia perchè qualcuno ha profanato la tua stanza, lo sai anche tu,” gli disse poi di punto in bianco il coinquilino, rompendo il silenzio che si era creato. Una smorfia di disappunto si dipinse sul viso del moro, era stato punto sul vivo e a lui faceva saltare i nervi; a lui, che era sempre pronto ad aiutare gli altri, non piaceva che fossero gli altri ad aiutare lui.
Si sedette di fianco all'amico e prese a fissarsi la punta dei piedi, prima di decidersi a parlare.
“Sono stato a casa dei miei. Solita storia, difendi Haner, tranquillizza mamma, solo che stavolta.. E' colpa mia se Brian sta così, sono io che gli ho dato il colpo di grazia! Dovevamo aspettare, aveva ragione lui..”
Alla fine aveva parlato, o meglio farfugliato, quelle poche frasi al suo coinquilino solo perchè le sentiva premere dentro la sua testa e doveva farle uscire, se non voleva scoppiare. Johnny questo lo aveva capito, lo conosceva bene ormai e sapeva che se James parlava dei suoi problemi era perchè lo tormentavano, come sapeva anche che la confessione durava una manciata di secondi perchè lui era Jimmy Sullivan, quello sempre allegro e spensierato, e come tale voleva restare. O almeno provarci.
“Jim, lo sai che le cose accadono e basta. Doveva andare così, e poi conosci Brian, lo sai che ogni scusa è buona per lui per lasciarsi andare, vuole lasciarsi trascinare dalla corrente piuttosto che affrontare se stesso, inutile che ti addossi colpe che non hai.”
“Non trovi che quel porta penne sia fuori posto?” chiese Sullivan guardando l'oggetto a terra, il contenuto sparso tutto intorno. Fece una smorfia mentre Johnny scuoteva la testa rassegnato: aveva deciso che la conversazione sarebbe finita lì, non voleva ascoltare altro.
Erano proprio destinati ad essere inseparabili, lui e Brian: stessa testa di cazzo.
“Non abbiamo neanche sfiorato la tua scrivania, se stai ancora pensando a quello.”
La voce di Brian fece sobbalzare entrambi i coinquilini. Brian era tornato a casa, di questo erano entrambi sicuri, ma in quel momento era proprio Brian poggiato con la spalla allo stipite della porta, con un mezzo sorrisetto mentre osservava Jimmy fare smorfie teatrali; gli si leggeva in faccia che quello stava diventando il suo nuovo incubo!
“Come hai fatto ad entrare Bri?” chiese Johnny guardandolo incredulo, dal momento che nessuno aveva bussato e tanto meno nessuno aveva aperto. Probabilmente in casa erano svegli solo loro due.
“Uno dei due ha lasciato la porta aperta, cazzoni,” disse sorridendo ed entrando in stanza, raccogliendo da terra il porta penne e tutto ciò che conteneva, posandolo sulla scrivania tutt'altro che ordinata di James.
“Sempre il solito Sullivan, vado in bagno, va',” esclamò il più basso dei tre uscendo e lasciando soli gli altri due, che si fissarono per qualche secondo nel silenzio più assoluto.
Dato che Jimmy non si decideva a parlare, Brian decise che era inutile titubare, gliel'avrebbe data senza rispondere alle domande, come aveva programmato a casa sua quando aveva preso la cartella di plastica lucida. Così frugò nella sua borsa per una manciata di secondi per poi passare la cartellina all'amico.
“Senti Jim, l'altro giorno ho buttato giù qualcosa. Vedi che ne pensi e magari prova ad arrangiarla come si deve, ok?”
Jimmy sembrava non aver capito bene il significato di quelle parole, o meglio, non lo aveva realizzato a piento finchè non aprì la cartellina, estraendone dei fogli numerati e scritti a mano, pieni di correzioni e appunti su ogni spazio libero. Alla vista di quello scritto gli occhi si dilatarono e le pupille si restrinsero per la sorpresa. Il suo amico gli aveva appena consegnato un intero strumentale -stimò di una durata di più o meno sette minuti ad un'occhiata veloce della partitura- su cui era evidente avesse passato un bel po' di tempo, e in più gli aveva chiesto di revisionarlo ed arrangiarlo.
Stava completamente fuori!

Haner, dai, almeno provaci cazzo, no?”
Jimmy, quante volte ti devo ripetere che io e la musica abbiamo chiuso?

“Cosa ti ha fatto cambiare idea Brian?” chiese dopo aver letto le prime parti di tablatura scritta alla meno peggio dal giovane. Non che non fosse contento che l'amico stesse reagendo, ma era troppo presto ed era stato così improvviso che Jimmy non poteva non essere stato colto di sorpresa. Era fuori dai tempi di ripresa di Brian, ma lui non sapeva che qualcosa era stato smosso da qualcuno di completamente inaspettato.
Brian aveva ripensato alle parole scritte da Matt, ci aveva ripensato molto e aveva ripensato molto al giovane e a quel piccolo momento insieme, dove suonare e comporre non era stato un peso per lui, e aveva capito che lui poteva voltare pagina, poteva scrivere delle meraviglie se solo avesse voluto, meraviglie che avrebbero potuto valorizzare quei testi un giorno, chi lo sa, ma che sicuramente potevano portarli lì dove avevano sempre sognato lui e Jimmy.
Voleva il palco, lo aveva sempre voluto, doveva solo riabituarsi all'idea che poteva farcela senza mandare tutta la sua vita all'aria.
Passo dopo passo avrebbe conquistato il suo posto nel mondo.
“Possiamo farcela Jimbo; i Pinkly Smooth saranno anche finiti, ma noi ci siamo ancora e abbiamo talento da vendere. Hai ragione, noi siamo nati per stare sul palco James, noi cambieremo la storia della musica.”
Voleva tornare a volare alto, tanto non aveva paura di cadere, Jimmy lo avrebbe ripescato ogni volta.

*

Alla fine Matt non aveva ordinato nessuna pizza, c'erano gli occhi luminosi di Zacky e il suo largo sorriso, così aveva finito per rimanere lì sotto le coperte al suo fianco a godere di quei momenti.
Magari alla Columbia non avrebbe conosciuto nessuno, forse non sarebbe riuscito ad integrarsi, così aveva deciso di vivere davvero ciò che aveva in quel momento, di valorizzarne ogni sfaccettatura e, senza quasi neanche accorgersene, si era ritrovato a cingere un fianco dell'altro ragazzo e ad aggrapparcisi come se fosse la sua unica speranza. Era il suo migliore amico, l'unica persona che aveva esplorato ogni sua angolazione e che aveva condiviso con lui tutto ciò che aveva.
"Ti voglio bene anche io, Zachary." aveva sussurrato diversi minuti dopo, rispondendo alla frase che l'altro gli aveva detto prima. Questa volta fu lui a baciarlo sulla labbra e si fece però ancora più vicino, Zacky odorava di tabacco e alcol andato a male, anche se l'alcol non scadeva, anche se a lui non dava fastidio, gli piaceva perché era l'odore della persona a cui voleva più bene al mondo e, in un certo senso, si sentiva quasi a casa.
Lo baciò di nuovo ed ancora ed ancora, entrambi sapevano che non significava niente, che erano fratelli, ma continuavano a baciarsi sempre con dolcezza senza approfondire il contatto; era un rapporto strano, il loro, ma che al tempo stesso rasentava la semplicità: due persone sole che non avevano altro che loro stesse e l'un l'altro e si stringevano con più vigore possibile perché non potevano permettersi di lasciarsi scivolare via.
Non te ne andare, gli diceva Matt, con quegli occhi socchiusi e le labbra che accarezzavano quelle dell'altro, resta con me perché ne ho bisogno.  
E Zacky avrebbe voluto rispondergli di non partire, che avrebbero trovato un modo per far funzionare tutto, ma d'altronde quello era il suo sogno e, siccome gli voleva bene davvero, non gli avrebbe mai e poi mai impedito di raggiungerlo.
Con uno scatto Matt fu sopra e i suoi gesti si fecero più decisi iniziando ad esplorare il viso ed il collo di Zacky. Erano morbidi e pallidi, anche solo appoggiandoci le labbra si formavano leggeri segni rossi.

"Matt! Che ci fai qui?"
"Ho appena preso la patente, porto il mio migliore amico a fare un giro."

Il ragazzo che in quel momento guidava il gioco, sfilò la maglietta all'altro e poi, quasi con avidità, decise di far sua più pelle che poteva. Lo baciava quasi senza neanche prendere fiato prendendosi però il giusto tempo: voleva coccolare Zacky come mai nessun altro aveva fatto.

"Quando arriviamo?"
"Non lo so, arriviamo quando ci pare."
Si sorrisero, e il sedicenne sul sedile del passeggero ciccò fuori dal finestrino; si sentiva leggero e al sicuro, nessuno gli avrebbe mai fatto del male se Matt fosse rimasto al suo fianco.

E Matt in quel momento era arrivato ai capezzoli, anche se con un filo di imbarazzo iniziò a leccarli facendo sospirare Zacky più profondamente ed ebbe come l'impressione di sentirlo inarcarsi, per un attimo. 
"A-Aspetta, ehi, f-fermati..."
L'altro obbedì all'istante ed alzò il volto tutto rosso, le guance quasi andavano a fuoco anche per il timore di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma soprattutto per la vergogna. Guardare quel ragazzo negli occhi gli procurava dolore, a volte, come se quello che facevano fosse sbagliato. 
"Rilassati, va tutto bene." continuò subito, non appena intercettò lo sguardo del ragazzo con gli occhi smeraldini. "È solo che si sta facendo tardi e devo andare a casa, posso usare la doccia? Giuro di metterci un attimo."
"S-Sì, certo." rispose Matt con un filo di voce, spostandosi subito e tornando ad appoggiare la schiena al materasso. Si sentiva stupido, stupido ed improvvisamente solo, e con una bella erezione che non sapeva come placare. La vista di Zacky che usciva dalla stanza solo in boxer non aiutò, e alla fine decise di approfittare di quegli attimi di solitudine per infilare le mani nelle sue, di mutande, e di toccarsi sempre più velocemente.
 
L'acqua scrosciava calda, in doccia, delle dense nubi di vapore avevano annebbiato lo specchio ed anche la superficie delle mattonelle iniziava a risentire di quell'inaspettato innalzamento di tempetura. Il ragazzo che si strofinava con la spugna, aveva chiuso gli occhi dal momento in cui aveva chiuso l'anta e si era rinchiuso in quel piccolo spazio fatto di bolle; non sapeva bene così gli ronzasse per la testa, sapeva solo di non aver voglia di fare l'amore con Matt. Gli piaceva quello che il suo amico gli faceva e le attenzioni che gli dedicava, non c'erano dubbi, ma non aveva alcuna intenzione di farsi sfuggire la situazione di mano: vadano i baci da sbronzi, vadano i sorrisini e le parole dolci, ma Matt e Zacky non dovevano più fare sesso, avrebbero solo finito per farsi male. Le cose dovevano rimanere così, esattamente com'erano, che già una volta aveva rischiato di prendersi una sbandata bella tosta che gli avrebbe fatto rimpiangere il giorno in cui sua madre aveva deciso di metterlo al mondo.
Non doveva accadere, loro due non si amavano, e Matt se ne sarebbe andato.
Zacky continuò a pensare a quello mentre si avvolgeva un asciugananor intorno alla vita, che per la prima volta da quando l'altro ragazzo era entrato nella quotidianità delle sue giornate, sarebbe stato davvero solo.
"Zacky muoviti, devo pisciare!" urlò Johnny, bussando vigorosamente contro la porta.
Quando il ragazzo uscì dalla doccia, Matt dormiva. Il suo viso era increspato in un leggero broncio ed era tutto rannicchiato in se stesso, le lenzuola erano ammucchiate ai piedi del letto e forse aveva freddo. 
"Sto tornando a casa." gli sussurrò Zacky a pochi centimetri dall'orecchio. "Ci sentiamo dopo."
L'altro non si mosse, continuò a dormire con quell'espressione buffa a cui il ragazzo sorrise.

Matt si svegliò un paio di ore dopo, le serrande della camera erano ancora abbassate e la stanza avvolta dalla penombra. Impiegò qualche minuto per rendersi conto di dove fosse, aveva le gambe gelate e una pesante sensazione di spossatezza.
Il resto della casa sembrava piuttosto silenzioso, così ne approfittò per sgattaiolare fuori e correre sotto la doccia. Mentre si sfilava i boxer notò i calzini di Zacky in un angolo. 
Con uno sbuffo divertito li raccolse, glieli avrebbe lavati e poi resi.
Dopo essersi ripreso ed aver infilato un paio di pantaloncini ed una maglietta, con i capelli ancora bagnati Matt si diresse verso la camera di Jimmy.
Nel frattempo Zacky gli aveva mandato un messaggio invitandolo a fare una passeggiata, così aveva pensato di includere anche il resto degli abitanti della casa. 
"Ehi Jim-"
Il ragazzo, ancora con la mano sulla maniglia, si bloccò. Dopo una rapida periferica della stanza tornò a soffermarsi sull'unico oggetto, o meglio individuo, fuori posto della stanza.
"Brian, non sapevo ci fossi anche tu."
"Te la cantavi sotto la doccia, quando sono arrivato." rispose prontamente l'altro, affiancando un sorriso canzonatorio alle sue parole.
Matt si obbligò a rimanere calmo, dove controllare il formicolio all'altezza delle dita o si sarebbe trovato a cancellare quell'espressione del cazzo a suon di pugni; e di rovinare il bel faccino di Brian non ne aveva particolarmente voglia.
"V-Volevo solo dirvi che tra un paio d'ore mi vedo con Zacky, andiamo a fare una passeggiata sul pontile dove hanno allestito degli stand, vi va di unirvi?"
Un largo sorriso illuminò gli occhi di Jimmy, contento all'idea di poter passare un'altra serata tutti insieme.
"Siamo dei vostri, ci stai Bri?"
"Certo amico, non mi perderei mai Matt intento a rimorchiare tutta Huntington Beach.” 
Il viso del ragazzo a cui si stava riferendo era ormai livido e il respiro si era fatto irregolare, le dita delle mani formicolavano con l'intenzione sempre crescente di chiudersi a pugno e cancellare da quella faccia sempre più strafottente quel fastidioso sorrisetto saccente.
Però poi non fece niente, si limitò a sussurrare un a dopo e ad uscire dalla camera di James. 
Nel momento in cui qualcuno bussò alla sua porta, non se ne accorse subito, troppo concentrato com'era dai suoi pensieri; si era concesso qualche minuto per pensare ai auoi genitori, nonostante tutto il veleno che si erano sputati addosso negli ultimi tempi, gli fece comunque male non ricevere neanche una telefonata. D'altronde stava per iniziare l'università, non organizzare una rapina a mano armata.
Solo al terzo o quarto colpo quindi, si voltò dietro la porta e diede a chiunque ci fosse oltre la porta il permesso di entrare.
"Che vuoi?" sbottò subito, non appena riconobbe i lineamenti dritti di Brian. Non gliel'avrebbe mai fatta passare liscia, in un modo o nell'altro.
"Solo sapere se la checca di casa ha finito di prepararsi, ti stiamo aspettando." rispose subito, col tono di chi non vede l'ora di farti incazzare nero. E poi fu questione di pochi secondi, Matt scattò ad un soffio da Brian, lo afferrò per le spalle e poi lo avvicinò al muro. Il ragazzo aveva ancora gli occhi aperti e lo stava guardando dritto nei suoi, anche se sapeva che da un istante all'altro si sarebbe trovato con il naso rotto o qualcosa del genere. Ed invece furono le labbra di Matt a colpirlo e cercarlo, lo baciarono ma subito quel contatto si trasformò in una ricerca disperata di sangue e pelle: i suoi denti lo assaggiarono, mangiarono, Brian sentì un leggero sapore di sangue farsi strada tra l'epidermide screpolata ed il dolore misto ad una particolare forma di eccitazione fargli brillare lo sguardo.
“Non azzardarti mai più a chiamarmi checca, Haner, o la prossima volta ti ritroverai qualcosa di davvero grosso  tutto su per quel tuo culetto vergine.”
Matt uscì dalla porta della sua stanza a grandi passi, asciugandosi sangue e saliva con il dorso della mano. 




 

Corner:

Siamo tornate! Un po' di ritardo, lo sappiamo e Shizue chiede scusa poichè è colpa sua, esame a breve! Ancora niente vacanze per lei. Arrivando a noi: Cioè, siamo sempre le solite, se non creiamo un po' di casini in questo o quel personaggio non siamo noi! Lol
Siamo abbastanza soddisfatte di come si sta evolvendo questa fanfic, nata come Bratt ma che si sta evolvendo lasciando la coppia quasi in secondo piano, qui si stanno raccontando delle vite, e questo è ciò che ci piace fare. Vogliamo avere una vista più ampia, che ci rispecchi in qualche modo, non limitarci a scrivere una love story trita e ritrita!
Ok, fine sclero. A dire il vero potremmo iniziarne un altro sul titolo ma sorvoliamo e arriviamo all'angolo ringraziamenti! :D
Come sempre ringraziamo tutti quelli che ci seguono silenziosi, ma un grazie particolare va a Yellow_ che ha inserito la storia fra le prefeite e Ceinwein19 che ha recensito lo scorso capitolo, come sempre è un piacere sentire le vostre opinioni; è uno stimolo per noi a continuare e far sempre di meglio!
Ora vi lasciamo, nella speranza che abbiate apprezzato questo nuovo capitolo! 
xo LightsTurnOff
 

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Capitolo 6
*** Capitolo #05: Nothing ***


Nothing
Capitolo cinque






Le scale del condominio dove Matt abitava sembravano infinite quel giorno, erano quasi le due del pomeriggio e voleva solo infilarsi a letto e dormire, tenere gli occhi chiusi più a lungo che poteva; incontrare suo padre al negozio era stato il peggior evento della settimana, lo aveva completamente buttato a terra.
Tua madre non fa altro che piangere, gli aveva detto, le manchi e l'unica cosa che vuole è riaverti a casa.
E allora Matt non aveva potuto fare a meno di pensarci, a sua madre, ai suoi occhi gonfi e lucidi e forse alle sue notti insonni. Non era riuscito ad evitare di sentirsi uno schifo, avrebbe voluto raccontargli cosa stesse provando, però poi convenne di non volersi sentire ancora peggio e allora non disse niente, aspettò che l'uomo uscisse dal negozio e poi tornò al suo lavoro, fingendo che nulla fosse successo.
Pensava a questo mentre rientrava a casa, elaborava i ricordi cercando di metabolizzarli e poi urlò un sono a casa, prima di aprire la porta della propria stanza e buttarsi a peso morto sul letto. Con il viso premuto contro il copriletto chiuse gli occhi, quasi non riusciva a respirare ma cercò di restare in quella posizione il più a lungo possibile. Una parte di lui avrebbe voluto farla finita in quel momento, zittire per sempre quel senso di colpa che gli divorava l'anima, poi però decise che magari un bicchiere d'acqua avrebbe potuto farlo sentire meglio e schiarirgli le idee.
"Ciao ragazzi..." disse quasi in un sussurro, non appena varcò la soglia della cucina. Jimmy e Brian risposero al suo saluto e a Matt sembrò di vedere il secondo ragazzo arrossire, ma sarebbe stato talmente strano che alla fine si convinse di esserselo immaginato.
"Dov'è Johnny?" chiese poi, rivolto a Jimmy.
"E che ne so, non sono mica il suo babysitter." rispose l'amico, acido.
Il ragazzo lo guardò inarcando un sopracciglio, però non disse niente perché era troppo stanco e sfiduciato per preoccuparsi di altre questioni, almeno in quel momento. Voleva solo tornare a vegetare, da solo.
“Te ne torni già in camera?”
La voce di Brian bloccò le sue gambe che si stavano dirigendo fuori dalla stanza, si appoggiò con una mano allo stipite della porta e poi guardò indietro.
“Sono stanco. E poi la checca toglie il disturbo, no?”
L'altro roteò subito gli occhi, avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva ma Matt era già sparito lungo il corridoio. Uccise le scuse che gli si erano appoggiate sulla lingua mordendola, andava bene tutto ma diventare patetico era troppo.
“Che c'è?”
“Oh niente Bri, sai già cosa penso di te.”
Il più alto a quel punto si alzò e gli scompigliò i capelli, poi si diresse verso il frigo per prendere qualcosa da mangiare.
“Devo andare a lavoro tra poco.” aggiunse. “Puoi restare, se vuoi, ma non combinare danni.”
Brian, in tutta risposta, si aprì nel più bel sorriso che i suoi denti privi di imperfezioni riuscirono ad esibire.
Matt era appena riuscito ad addormentarsi, quando l'unico ragazzo rimasto in casa bussò alla sua porta. Mugolò debolmente con l'intenzione di tirare il lenzuolo fin sopra alla testa, dopo però raccolse tutta l'educazione che gli era stata insegnata nel corso degli anni e diede il permesso, a chiunque ci fosse d'altra parte, di entrare.
“Ehi...” La voce di Brian era un lieve sussurro roco, Matt la riconobbe all'istante anche se la stanza era avvolta nel buio. “Posso accendere la luce?”
“Sì.”
Intanto si era messo a sedere con la schiena contro la testata del letto, con le mani si stropicciava gli occhi che bruciavano un po' mentre cercavano di abituarsi all'ambiente di nuovo luminoso.
“Così va meglio," asserì tra sé e sé, "ti ho preparato una cioccolata... sì ecco... per chiederti scusa. Te la lascio qui e poi sparisco, promesso.”
Matt sorrise subito, come avrebbe potuto non farlo?
Lì davanti a lui c'era il ragazzo più stronzo e antipatico che avesse mai conosciuto in vita sua con una tazza di cioccolata e l'espressione più dispiaciuta del mondo. Era incredibilmente sexy, con i capelli che andavano da tutte le parti e il viso pulito che aveva preso un po' di colore a causa del tragitto che compiva a piedi tutti i giorni per andare lì da loro.
“Resta.” fu la risposta di Matt, secca e dolce allo stesso tempo. Con una mano batté sul materasso e contemporaneamente si fece da parte così da fare spazio anche a Brian che lo raggiunse con la tazza ancora in mano. “Non ti facevo un tipo da.. insomma, da questo.”
“Tu non sai niente.” rispose, porgendogli la bevanda con un largo sorriso. Però non riusciva a guardarlo negli occhi, alzare il viso sembrava un'impresa titanica.
Matt preferì bere, piuttosto che rispondere o pensare qualunque cosa; forse voleva solo fare scena e quelle parole non significavano nulla, era pur sempre Brian Haner e aveva già ottenuto più di quanto avesse mai sperato.
Brian lo baciò, si avvicinò all'improvviso non appena Matt abbassò la tazza preparandosi a gustare quel sorso corposo che aveva appena preso, lo baciò e poi con la lingua tracciò il contorno del suo labbro superiore cancellando così le tracce dolciastre che aveva disseminato bevendo. Poi tornò a concentrarsi su tutto il resto, sulla mano di Matt premuta su una guancia come a volersi aggrappare a lui, alla lingua che lo cercava e lo voleva, ai denti che tentavano di morderlo delicatamente; non aveva resistito, Brian, appena lo aveva visto con gli zigomi arrossati dal calore del cioccolato e le labbra sporche, il suo corpo aveva risposto di conseguenza senza neanche pensare alle azioni che stava per compiere.
Lo fece e basta, e la tazza ancora fumante finì abbandonata sul comodino.
“Perché?” sussurrò Matt per riprendere fiato, prima di lasciargli un altro bacio sull'angolo della bocca. I suoi occhi brillavano, si erano fatti piccoli piccoli e lucidi.
Non lo so, avrebbe voluto rispondere l'altro, ma non sarebbe stata la verità. In cuor suo sapeva il perché, ma non poteva dirgli certe cose, non poteva farlo così tra capo e collo e rovinare quelle effusioni, incrinare la tensione sessuale che aveva così sapientemente costruito.
“Perché?” ripeté, alla fine. Ogni tocco era una prepotentemente presa di posizione, come se Brian stesse marcando il territorio, come se tutta quella pelle e quei muscoli così ben disegnati e gli occhi e le fossette fossero tutta roba sua.
“Non fa niente.”
Matt si rassegnò, lasciò scivolare la presa dal suo amante e si distese per poi fissare il soffitto. L'altro ragazzo fece lo stesso, lo avvolse però con un braccio e lo strinse a sé. In quel momento avrebbero potuto essere chiunque, eppure decisero essere niente.
Se ne stettero lì in silenzio con la luce accesa e le tapparelle abbassate per diverso tempo, Brian non voleva dire niente per paura di combinare altri guai – e fortuna che Jimmy gli aveva esplicitamente detto di non farne -  poi però a guardare il viso di Matt increspato a quel modo ma al tempo stesso ancora limpido ed innocente, gli venne voglia di andare nella stanza del suo migliore amico a prendere la chitarra.
Così lo fece, sotto lo sguardo interrogativo dell'altro ragazzo che, quando lo vide rientrare, si rilassò completamente sotto le coperte.
Brian spense la luce e, anche se erano ancora le sei del pomeriggio e il sole incendiava l'asfalto, loro due potevano avere il loro buio personale; perché si sa, la notte amplifica le emozioni umane, sottolinea ciò che di bello si porta nel cuore.
Si sedette sulla sedia vicino alla scrivania facendo attenzione a non cadere, ci mise un secondo a trovare la giusta posizione delle dita sulle corde e cominciò a muoverle quasi a caso, prima di trovare la melodia giusta.
Matt non lo vedeva, ma riusciva a percepire i suoi occhi nel buio.
“Canta per me.”disse, quando un leggero sottofondo iniziò a pervadere la stanza. Fermò subito le dita e aspettò una risposta, un cenno, un sospiro, qualunque cosa che però non arrivò. L'altro se ne stava lì sul letto, completamente impalato, senza sapere cosa fare. Non poteva cantare, anche se avesse voluto le sue corde vocali non avevano alcuna intenzione di vibrare.
“C-Cosa dovrei cantare?” riuscì a rispondere, con le guance che gli andavano a fuoco per l'imbarazzo.
“La canzone che sto suonando, conosci il testo.”
E lì Matt capì, capì che quella era la base che gli aveva appuntato sul quaderno quando si erano conosciuti.
Chiuse gli occhi ed aprì la bocca, in qualche modo l'avrebbe fatta funzionare, avrebbe cantato solo per Brian.

“Essence left my heart tonight...”
La voce di Matt era andata affievolendosi così come la melodia che era sfumata fino a spegnersi. Il chitarrista aveva tenuto gli occhi chiusi per tutta la durata della canzone, era completamente in balia di quelle parole e del calore che nasceva dalla gola dell'altro; non c'era nient'altro intorno a lui, a loro, nulla poteva essere migliore di così.
Matt invece, ancora sul letto, fu internamente grato alla luce spenta: sentiva la pelle bollire, il sudore gli bagnava il viso ed il cuore sembrava volergli attraversare l'esofago. Quei secondi di silenzio erano come un cappio stretto al collo, l'imbarazzo lo stava uccidendo.
Poi sentì Brian posare la chitarra a terra e forse alzarsi in piedi, i suoi passi iniziarono a muoversi timidi per la stanza fino a che non sentì il materasso sotto le dita che si muovevano a tentoni nel buio. Matt lo prese per mano e lo aiutò a posizionarsi al suo fianco, anche lui aveva le mani calde e sembrava quasi che tremassero. La verità era che non sapeva cosa fare, non voleva rovinare quel momento così intimo e profondo ma al tempo stesso aveva bisogno di sentirlo suo anche se solo per pochi minuti, voleva illudersi che tutto andasse bene e che avrebbe potuto baciarlo in quel modo tutte le volte che voleva. Sentì Matt sorridere sulle sue labbra e lui fece lo stesso di rimando, percepiva una sensazione strana all'altezza dello stomaco che gli impediva di rilassare le guance.
“Che c'è?” chiese Matt, ridacchiando, tutte quelle attenzioni lo avevano subito tranquillizzato e ormai all'imbarazzo non ci pensava più. Lo domandò perché Brian si era fermato all'improvviso e cercava i suoi lineamenti nonostante l'oscurità.
“N-Niente.” balbettò arrossendo, ma in quella situazione non aveva importanza.
“Parlami, Bri.” Non lo aveva mai chiamato in quel modo, mai, e sobbalzò quando glielo sentì dire. Contemporaneamente Matt si mise a sedere aiutandosi con le braccia e poi si abbassò di nuovo avvicinando il viso a quello dell'altro quasi sovrastandolo. “Voglio sentirti parlare, almeno per una volta.”
Gli baciò la punta del naso e poi entrambi gli zigomi, infine strofinò la fronte su una delle guance. Era lento e delicatissimo nei movimenti, sembrava quasi impossibile che un ragazzo di quelle dimensioni avesse un tocco così leggero.
Matt aveva deciso di giocare d'azione, di vedere fino a che punto Brian fosse in grado di spingersi, quanto di bello avrebbe potuto ottenere da quella situazione senza neanche pensare alle conseguenze; tanto tra un paio di mesi se ne sarebbe andato, cosa succedeva tra quelle mura sarebbe rimasto solo e soltanto lì, per sempre.
“Sarebbe un inutile spreco di tempo.” rispose subito il chitarrista, alzando di poco il collo per cercare quelle labbra che gli stavano togliendo il fiato. Tornò in posizione completamente distesa ma, avendo stretto i palmi delle mani dietro la testa di Matt, lo portò giù con lui.

***

Johnny aveva finito il proprio turno di lavoro diversi minuti prima, se ne stava seduto sul marciapiede con ancora la divisa addosso intento a girare una sigaretta. Il suo viso era stanco e corrucciato e neanche quando aspirò il primo tiro di fumo parve sentirsi meglio.
Persone camminavano dietro di lui e macchine sfrecciavano davanti ai suoi occhi ma il ragazzo continuava a sentirsi solo, disperso, un punto nero su di un'immensa cartina impossibile da vedere o considerare.
Aveva controllato il cellulare già una decina di volte da quando era uscito, ma lo schermo era rimasto sempre lo stesso, senza alcun messaggio o avviso di chiamata; d'altronde si trattava di James, non poteva aspettarsi altrimenti.

“È arrivato un avviso di pagamento, non hai pagato l'ultima bolletta del gas.”
“Non abbiamo pagato.”
“No, James, non HAI pagato, visto che ti avevo gentilmente chiesto di farlo visto che ho dovuto sorbirmi gli straordinari, la settimana scorsa!”
Jimmy si morse un labbro e si voltò a guardare fuori dalla finestra.

Johnny strinse a pugno la mano libera che però lasciò subito cadere. Un po' di cenere gli finì suoi pantaloni che lui pulì subito.

“Non hai niente da dire, neanche una parola? E pensare che mi avevi anche assicurato di averlo fatto! Sei come Brian, esattamente come lui.”
“E adesso Bri che c'entra?”
Jimmy gli si era rivolto con improvvisa rabbia, le guance si erano arrossate subito e le gambe irriggidite.
“C'entra sempre! C'entra da quando ti stai rovinando la vita per colpa sua! Manco ti ricordi della bolletta e delle palle che mi racconti tutti i giorni perché ti stai fondendo il cervello.”
E poi, di nuovo inaspettatamente, l'altro ragazzo rise.
“Sei geloso.” gli fece l'occhiolino, mentre parlava.
“Ma vaffanculo, testa di cazzo. Sono solo tuo amico e scusami se non vorrei vederti morire. Vado a lavoro, ciao.”

Aveva quasi l'impressione di sentire ancora il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle e il fiatone che gli chiudeva la gola dopo aver fatto tutte le scale di corsa.
Contemporaneamente, quando il sole era ormai sceso del tutto, Brian aveva approfittato della momentanea assenza di Matt per sfogliare un quaderno che aveva visto sulla scrivania. Era alla ricerca di altri testi che l'altro ragazzo desiderava tenere nascosti con l'intenzione di donare a tutti loro la luce del sole, la bellezza delle sue parole non meritavano di restare solo dei piccoli segreti appuntati agli angoli delle pagine. 
Dopo aver sfogliato alcune pagine, si trovò davanti ad un'impaginazione diversa: la solita calligrafia di Matt non era ordinatamente distesa in versi, erano parole tutte vicine che quasi sembravano confuse, andava a capo solo quando anche l'ultimo millimetro di carta era stato riempito d'inchiostro:
«I suoi capelli erano neri e quel sorriso con cui era solito salutarlo scioglieva pure i ghiacciai; le lentiggini sembravano fuochi d'artificio e nel marrone degli occhi ci vedeva il Grand Canyon, grande e maestoso come le profondità delle iridi.
"Andiamo." sussurrò, per poi prenderlo per mano. "Andiamo dove possiamo essere niente."»
Brian chiuse il quaderno e rimase a fissare un punto davanti a sé per qualche istante: erano niente, qualcosa di indefinito che aveva tutto il tempo di diventare qualcosa; ma il loro era sesso a scadenza e le lancette dell'orologio non gli erano mai sembrate così veloci.
Nonostante questo però, per la prima volta nella sua vita la parola niente aveva una connotazione positiva; al tempo stesso era tutto ma solo perché al suo fianco c'era Matt.
Si toccò il viso, i fuochi d'artificio che aveva sulle guance e sorrise, un sorriso che l'altro ragazzo avrebbe probabilmente paragonato al cielo lattiginoso tipico dell'autunno, malinconico e romantico.
Quando apparve in cucina alle spalle di Matt che tentava di preparare la cena, quest'ultimo sobbalzò per poi rilassarsi subito quando sentì le braccia del chitarrista abbracciarlo da dietro e avvolgergli la vita nuda. Lo baciò un paio di volte sulla nuca e strofinò la punta del naso su una scapola; non si era ancora fatto la doccia e il loro odore era ancora sulla sua pelle.
Matt percepì un brivido correre lungo la schiena mentre tagliava a metà i pomodorini, si stava deconcentrando ma non gli disse di smetterla.
"Andiamo a non essere niente." sussurrò Brian, vicinissimo all'orecchio.
L'altro ragazzo arrossì violentemente, quell'idiota aveva letto il quaderno e adesso sapeva, lo aveva con prepotenza letto dentro. Non fece però in tempo a dire o fare niente perché Brian aveva iniziato a baciargli il collo e una delle mani prese ad accarezzargli l'erezione che cominciava a crescere da sopra i pantaloni.
"B-Bri..." rise e arrossì ancora. "Sto cercando di preparare la c-cena."
Brian mugolò con le labbra ancora sulla sua pelle, poi si divise dopo aver lasciato un ultimo bacio; anche la mano stava lentamente tornando al suo posto.
"Solo perché è anche il mio cibo. Però poi posso venire nel piatto di Johnny, vero?"
"Sei disgustoso, sul serio."
Matt si voltò indietro e lo baciò sulle labbra.
"Sto scherzando." si lamentò l'altro arricciando il naso.
"Smettila di sedurmi! E passami l'olio, per favore."
"Uff, non sto facendo niente. Tieni, chi ti ha insegnato a fare la pasta?"
Gli passò la bottiglia unticcia e poi andò a sedersi alle spalle di Matt, tentava di raccogliere con lo sguardo più pelle possibile.
"La madre di Zacky, è italiana."
La madre di Zacky, certo, come poteva non esserci sempre il nome di Zacky sulle sue labbra? Al solo nominarlo gli si era stretto lo stomaco, ma non era una stretta rassicurante, come quelle che solitamente aveva nel vedere Matt, era una stretta violenta, che faceva male dentro, di quelle che vorresti strapparti le viscere per non sentire la morsa della gelosia farsi strada dentro di te.
Subito le immagini della festa gli tornarono alla mente, le parole dolci canticchiate all'orecchio del suo amico di vecchia data probabilmente, quelle parole che a lui non erano concesse; no, a lui era concesso il sesso, il piacere, l'essere niente. Era bastato un nome perché Brian si dimenticasse delle frasi lette sul quaderno, della voce di Matt che cantava sopra la sua musica, di tutti quegli istanti in cui i due erano stati qualcosa di diverso dal nulla. Non gli interessava più di quello che i due condividevano, gli premeva solo sapere di cosa dovesse preoccuparsi perché sentiva che, per quanto lontano sarebbe andato, per quanto ci avrebbe lavorato, il cuore di Matt non gli sarebbe mai appartenuto: aveva fatto un grosso errore lasciando entrare quel ragazzo dentro di sé, oltre la barriera. Si maledisse silenziosamente per aver letto quelle parole quel giorno; probabilmente se non avesse scoperto il talento di Matt nello scrivere non sarebbe stato lì a rodersi per un nanerottolo che si ubriacava con pochi cicchetti.
Dal canto suo Matt era concentrato a preparare la pasta ma per quanto si potesse isolare si rese conto del silenzio che era piombato in quella stanza, quasi gli vennero i brividi quando si accorse che il moro non parlava da più di cinque minuti. Non che il silenzio lo infastidisse o lo mettesse a disagio, erano stati avvolti dal silenzio altre volte prima, ma sentiva nell'aria qualcosa di strano ed aveva ragione, a confermarlo furono le parole di Brian sussurrate alla sua schiena.
Tu e Zacky siete stati fidanzati?”
Brian si era alzato e gli aveva sfiorato un braccio con un dito, seguendo il profilo delineato del bicipite di Matt. Nessun altro contatto se non quello delle sue parole, sussurrate con un tono di voce tagliente ma nel contempo atono. Matt, che ancora non conosceva quasi nulla del chitarrista, non era riuscito a capire né il perché né il tono risultato strano alle sue orecchie, non riusciva a capire il dolore che scorreva nelle vene di Brian insieme al sangue, mentre maturava consapevolezze che probabilmente sarebbero potute solo diventare certezze.
Brian, Zacky è il mio migliore amico,” rispose allora l'altro voltandosi e guardando il moro nei suoi occhi stanchi e cerchiati leggermente di rosso.
Non era questa la domanda,” gli fece notare l'altro infastidito. Conosceva bene quella sensazione che stava maturando dentro, quella gelosia che nulla aveva col sentimentale, o almeno la sua parte razionale diceva così: la consapevolezza di volere qualcosa, completamente, rendendosi conto che pur avendola fra le mani non sarà mai realmente tua.
Brian era possessione, senza di quella era semplicemente perso.
E Matt, per quanto si volessero, per quanto si ottenessero, non era mai realmente suo.
Matt era arrossito nel frattempo e aveva abbassato lo sguardo quando in quegli occhi nocciola non riuscì a vedere nulla di diverso da una vasta pianura desolata, erano piatti e inespressivi, così diversi da quelli che era solito vedere quando erano da soli, così uguali a quelli che era solito vedere quando erano con gli altri.
A-abbiamo un passato, contento adesso?” gli disse di rimando tornando alla cucina, scolando la pasta e versando il condimento nella pentola per mescolarlo insieme all'ingrediente principale di quella ricetta straniera. Gli pesava dover rispondere a questo genere di domande, dover rispondere a Brian in particolare, la persona con cui poteva trascorrere bei momenti senza legami e restare comunque con il sorriso dopo.
Vado a comprare le sigarette, torno subito,” disse Brian cambiando completamente discorso e timbro vocale, ora così simile a quello che aveva quando lo aveva conosciuto.
Non gli diede il tempo di rispondere che il moro era già sparito.
Una rapida occhiata al tavolo della cucina per vedere il pacchetto di Marlboro rosse aperto e con ancora sette o otto sigarette dentro.
Scosse la testa e tutta la stanchezza che aveva quel pomeriggio gli ritornò addosso di colpo, mise il coperchio alla pentola per evitare che la pasta si raffreddasse e si prese una delle sigarette di Brian, accendendosela e mettendosi a fumare seduto lì dove poco prima era seduto il moro chitarrista. Non aveva capito nulla di quello che era passato per la testa del suo amante, se così si può definire, aveva soltanto capito che di punto e in bianco lo aveva lasciato lì con una scusa campata in aria senza un apparente motivo, o almeno non uno che avesse senso. Per il carattere che aveva Matt la gelosia era qualcosa che gli era estranea, ed era sicurissimo che Brian non fosse geloso del suo amico, non era da lui, non per l'immagine che si era creato di Brian Haner.
Che ci fossero sentimenti in ballo diversi da quella chimica che era evidente li legava lo metteva in dubbio, si conoscevano da troppo poco e di certo non bene per provare affetto o addirittura amore, ma qualcosa non tornava, questa era l'unica certezza che Matt aveva. E fumare quella sigaretta che aveva il sapore pungente e dal retrogusto amaro di Brian non aiutava di certo a trovare delle risposte, solo altre domande. Si maledisse per non essere bravo nel capire le persone al volo, in quel momento avrebbe pagato a peso d'oro chiunque se questo poteva aiutarlo a comprendere quel cazzone egoista di Haner.
Poi una scintilla gli illuminò i freschi occhi verdi, un attimo fuggente di un'idea maturata in qualche secondo. Qualcuno che conosceva ogni angolo della mente del chitarrista c'era, molto più vicino di quanto pensasse e di certo che non si sarebbe fatto pagare per aiutarlo.
Rise di quest'ultimo pensiero e prese il cellulare, componendo velocemente il numero prima di premere il tasto verde. Uno squillo, due squilli, stava passando troppo tempo, tre squilli, quattro squilli, probabilmente non avrebbe risposto, cinque squilli...
“Pronto?”
“Ehi Jim sono Matt, disturbo?”
Aveva risposto, per fortuna.
“Lo so che sei Matt, esce il tuo nome sai? Dimmi tutto, non disturbi,” rispose il coinquilino dall'altro capo del telefono, con un tono di voce non troppo allegro.
“Senti Jimmy, ho bisogno di un chiarimento perchè io inizio a non capirci più niente...”
E Matt iniziò a raccontare quello che era appena successo, evitando particolari che era sicuro non interessassero, come tutto quello che era successo in camera sua per esempio.
Jimmy intanto ascoltava, lo capiva perché ogni tanto sentiva qualche “coglione” buttato a caso e qualche sbuffo. Poteva giurare anche di averlo sentito borbottare una frase tipo io gli avevo detto di non far danni, ma era stata borbottata così sommessamente che fece finta di non sentire, era la cosa migliore.
“Senti Matt, non provarci neanche a capire cosa gli passa per la testa, Brian è fatto così, si fa i suoi trip mentali e cambia umore in base a quelli. E' semplicemente un po' lunatico, magari si è messo a pensare ai fatti suoi, qualcosa lo ha infastidito e se l'è presa con te. Tu stai tranquillo, penso di tornare comunque fra un'oretta, più o meno. Johnny è a casa?”
Matt alzò un sopracciglio sentendo il tono di James mutare dal monotono all'ansioso verso la fine del discorso, in un crescendo non molto regolare, culminante nell'ultima frase.
“No, non è ancora tornato. Perché?”
“No, niente, così.”
Matt a quel punto decise di non approfondire, spense la sigaretta nel posacenere sul tavolo e ringraziò Jimmy prima di chiudere la chiamata. No, non poteva esserci più del sesso con quel ragazzo, ne era più che sicuro: non lo reggeva proprio.
Il cellulare che aveva in mano vibrò con energia, facendogli cadere la sigaretta dalle mani e dando l'occasione a Brian di imprecare vigorosamente. Si mise il telefono sulle gambe e raccolse la mezza sigaretta dal marciapiede, bruciando il filtro per disinfettarla e riprendendo a fumare tranquillo, o per lo meno ci provava. Si malediceva per il suo comportamento, ma non appena Matt gli aveva detto che lui e Zacky erano stati qualcosa era scattato, se non se ne fosse andato avrebbe combinato ancora più danni.
Lo voleva di nuovo, con più ansia e impazienza di prima, voleva cancellare i suoi ricordi di quel passato lontano per sostituirli con quelli di un passato molto più recente, ma Matt non si meritava di essere trattato come un oggetto; lui che gli aveva aperto gli occhi su una profondità d'animo che credeva rarissima nelle persone non poteva essere trattato come uno qualsiasi. Era per questo che se n'era andato, aveva bisogno di schiarirsi le idee, di prendere un po' d'aria e forse di considerare l'idea di tornare a casa di James per cena.
Il cellulare vibrò di nuovo facendo saltare per la seconda volta il moro che finalmente si decise a leggere il messaggio che gli era arrivato.

Sei un coglione Bri, un coglione con la c maiuscola. Matt è preoccupato.


Brian avrebbe preferito mille volte non leggerlo quel messaggio. Si sentiva in colpa ora, chissà che aveva pensato Matt di lui, se lo avrebbe cacciato dalla sua vita o meno, di certo qualsiasi cosa se la meritava per come si stava comportando. Prese una nuova sigaretta e l'accese, continuando a sedere sul marciapiede di fronte il tabacchino sotto casa di Jimmy, guardando senza vedere le macchine sfrecciare per la strada trafficata per via dell'orario. La gente che tornava a casa dalle proprie famiglie, che non vedeva l'ora di rincasare dopo una giornata di stress lavorativo; avrebbe voluto provare anche lui quella sensazione un giorno, il voler tornare il prima possibile dalla persona amata. Con la sua famiglia non gli era mai capitato, non che fosse tremenda, alla fine voleva bene ai suoi, ma non riuscivano mai a capirlo fino in fondo, o forse lo capivano troppo. Sapeva solo che quello non era il suo posto e il non stare quasi mai a casa lo dimostrava.
Guardò l'orologio che aveva stretto sul polso sinistro soltanto per constatare che era mezz'ora che stava giù in quella posizione a fumare come una ciminiera. Era ora di prendere una decisione e agire solo per affrontarne le conseguenze, qualsiasi esse fossero. Aveva bisogno di sapere il finale, non riusciva a sopportare il peso dell'incertezza, le domande che si poneva erano troppo grevi per non dargli alla testa.
Si decise per questo ad aprire il portone, che aveva fatto lasciare socchiuso a tutti quelli che erano entrati o usciti dalla palazzina, e si diresse su verso l'appartamento di Matt, salendo i gradini a due a due di fretta e furia, fino ad arrivare al terzo piano per suonare il campanello stonato della porta a lui tanto familiare ma che mai gli era sembrata così minacciosa.
Ok, aveva paura, poca, ma c'era, non riusciva a negarselo ulteriormente. Avrebbero litigato come fidanzati oppure Matt avrebbe fatto finta di nulla, solo per abbandonarlo così come lo aveva accolto? Solo l'idea di separarsi da quel ragazzo gli faceva venire i brividi lungo la schiena perché sapeva di essere fragile. Stava attraversando una fase delicata, quella della risalita, e la stava affrontando solo perché Matt inconsciamente gli aveva permesso di farlo; se l'avesse abbandonato in quel momento sarebbe ricaduto, si conosceva fin troppo bene e proprio per questo era consapevole del fatto che, per la prima volta nella sua vita, lui non voleva ricadere.

Lui era pronto solo a scalare la vetta.
Ad aprirlo, dopo interminabili secondi lunghi anni, ci fu proprio Matt, con una sigaretta fra le mani che profumava di Marlboro lontano chilometri e con in volto un'espressione sorpresa e allo stesso tempo interrogativa.

Non pensavo tornassi dopo la pessima scusa che hai trovato per scappare via,” gli fece notare stando sulla porta, senza lasciare entrare il ragazzo che si trovava davanti, guardando piuttosto il viso arrossato e coperto da un lieve strato di sudore sugli zigomi e sulla fronte, chiedendosi perché fosse spuntato nuovamente e all'improvviso, con tanta fretta quanto ne aveva avuta nello sparire.
Le ho prese davvero le sigarette,” gli disse lui con un mezzo sorriso sfilando il pacco di rosse morbide dalla tasca dei jeans e facendoglielo vedere come per scusarsi e nel contempo fargli notare che era stato un pretesto solo a metà. Aveva deciso che il sorriso sarebbe stata la soluzione migliore, che non sarebbe servito a nulla mettere le mani avanti, ma non aveva programmato altro, non ne aveva avuto il tempo!
Perché dovrei farti entrare?”
Perché devo dire una cosa a Jimmy.”
Non è in casa, ritenta domani e sarai più fortunato,” rispose acido Matt, stufo di sentirsi preso per il culo da Brian Haner e volendosi solo chiudere la porta alle spalle. Brian però fu più veloce, non appena comprese le intenzioni del ragazzo mise un piede fra la porta e lo stipite, imprecando sottovoce per il dolore vista la forza che Matt ci aveva messo nel volergli sbattere quella porta in faccia. Entrò seguendo il ragazzo dagli occhi smeraldini, che non si era voltato a guardarlo neanche per un attimo ed era entrato in cucina, continuando ad apparecchiare la tavola per tre; ovvio che non aveva contato Brian per la cena.
Ok, va bene Sanders. Ero incazzato per fatti miei e non volevo che tu ci finissi in mezzo, mi dispiace,” ammise infine, restando sulla porta ad osservare Matt che apparecchiava e rendendosi conto che quella pasta lui la voleva assaggiare davvero -anche se era sicuro facesse pena- e non gli andava giù che in tavola ci fossero solo tre posti. Ecco, gli aveva detto la verità, almeno in parte, quello che bastava ecco. Non poteva nominare certo la faccenda di Zacky, anzi avrebbe fatto di tutto per dimenticarla, non ne valeva la pena perdersi quel poco che Matt riusciva ad offrigli perchè non voleva dargli tutto, meglio qualcosa che niente. Ci avrebbe provato ad essere meno possessivo, si ripeteva che gli sarebbe bastato sentire il suo nome pronunciato dalla calda e graffiante voce di Matt per stare bene, anche se non era certo che fosse la verità.
Era difficile da dire per te?” chiese Matt fermandosi e guardando per la prima volta Brian negli occhi da quando era arrivato, qualche minuto prima. Perché non voleva parlargli? Aprirsi con lui era tanto difficile? Eppure con Jimmy era così tranquillo e trasparente... sì certo, si conoscevano appena ma lui voleva che si aprisse, che si sfogasse con lui e lo lasciasse entrare ma per quel che aveva visto non gli era consentito. Però era consentito a Brian impicciarsi di affari che non gli riguardavano, gli era consentito dal giorno che si erano conosciuti secondo lui e questa sua prepotenza era uno dei difetti che più facevano irrigidire e innervosire Matt.
Sì, lo era e lo è Matt,” rispose l'altro abbassando lo sguardo e sedendosi sulla prima sedia che gli era capitata a tiro, poggiando i gomiti sulle ginocchia e lasciando le mani sospese in aria fra le gambe divaricate.
Mi spieghi cosa c'è di difficile da dire nel fatto che hai i cazzi girati?”
A quel punto Matt si stava innervosendo e Brian se ne accorse, non alzò la testa nel rispondere, aveva paura di incrociare lo sguardo di Matt, di scorgere il rimprovero nei suoi occhi e di alterarsi anche lui, finendo così in quell'epilogo che lui già aveva immaginato prima sul marciapiede.

Tu non sai niente Matt,” sussurrò più a se stesso che al suo interlocutore riprendendo le stesse parole che aveva usato quel pomeriggio, ma pronunciandole con un tono di scuse, come se volesse trasmettergli tutti i suoi pensieri, tutti i suoi mi dispiace che non riesco a parlarti che continuava a ripetersi in testa come un disco rotto. Si distrasse solo quando alzò la testa per fumare l'ennesima sigaretta e si rese conto che Matt stava aggiungendo il suo posto a tavola. Non capiva cosa avesse fatto cambiare idea al ragazzo ma sentì il calore tornargli dentro nel rendersi conto che forse non aveva rovinato tutto.
Sarà fredda ormai, ma almeno abbiamo la cena pronta,” gli disse Matt togliendogli di mano il pacchetto di sigarette che era sul tavolo e intascandoselo, beccandosi così un'occhiataccia di Brian, contrariato dall'essere privato della sua linfa vitale.
Questo me lo prendo io, considerala una sanzione,” gli disse Matt facendogli l'occhiolino e afferrandogli la mano per trascinarlo in camera sua. Avevano ancora un po' di tempo prima che la casa si riempisse nuovamente e lui ne avrebbe approfittato; non riusciva a resistere a quegli zigomi spigolosi arrossati, erano una visione perfetta. Erano perfetti quando gli occhi di Brian erano sinceri, come poco prima, quando aveva sussurrato quelle confessioni a metà e Matt aveva deciso di farsele bastare; non si sarebbe smosso ulteriormente solo per non rovinare quello strano rapporto che lui era interessato a scoprire, ci sarebbe passato sopra e avrebbe fatto finta di nulla, sicuro che prima o poi la verità sarebbe saltata fuori.
In quel momento la sua unica preoccupazione era quella di chiudere la porta della sua stanza a chiave, lasciandosela alle spalle, perché entrambi sentivano il bisogno di spiegarsi e scusarsi e lo avrebbero fatto nell'unico modo in cui nessuno dei due avrebbe potuto mentire.









--- Corner ---
Ta dan, nuovo capitolo online!
Non pensavate mica che stavamo trascurando il progetto, vero? Niente da temere, questa fanfiction è ormai parte fondamentale delle nostre vite dove infiliamo un po' quello che è tutto il nostro mondo (alcol e tabacco in pratica, sì siamo parecchio tristi, lol).
Speriamo davvero di ricevere riscontri soprattutto dopo questo capitolo bello lungo e denso di eventi, ci addentriamo sempre di più in quello che è il mondo dei personaggi alla ricerca delle motivazioni che li spingono a comportarsi in determinati modi.
Beh per il momento è tutto gente, grazie per esserci sempre!
xoxo LightsTurnOff 





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Capitolo 7
*** Capitolo #06: Compromise ***


Compromise
Capitolo Sei

 


Erano le dieci di sera quando Jimmy rincasò silenzioso; non voleva che Johnny lo sentisse arrivare, era sicuro che avrebbero ripreso a litigare senza più finire e lui non ne aveva voglia, non voleva litigare con lui più di quanto non avessero già fatto.
Ma, una volta entrato, si rese conto che la casa era silenziosa quanto Jimmy: la porta della stanza di Matt era chiusa e quella della stanza di Johnny invece ancora aperta, segno che lui non era in casa. Nel rendersene conto Jimmy si lasciò andare ad un sospiro liberatorio, trovando una nuova calma che gli permise di godere del profumo di basilico e cipolla soffritta che veniva dalla cucina, profumo così insolito per quella casa da fargli ipotizzare che la cena l'avesse preparata Matt, l'unico di cui ancora non conosceva a memoria le abitudini alimentari e le abilità culinarie.
Non era entrato in cucina per vedere cosa lo aspettava a cena per cui non vide il tavolo apparecchiato per quattro, ma ugualmente capì che un ospite era a casa sua, tutto grazie ad un rumore sordo e ad una successiva imprecazione.
“Vado a vedere se c'è qualcosa per ripararlo,” disse Matt uscendo dalla porta di camera sua e trovandosi in boxer davanti a Jimmy che lo guardava con un sopracciglio alzato. Il giovane dagli occhi verdi arrossì immediatamente e abbassò lo sguardo fino a fissarsi la punta dei piedi.
“Ho quasi paura di sapere cosa devi riparare,” disse Jimmy non appena si riprese dal suo fare due più due, facendo solo ulteriormente arrossire il coinquilino, che in quel momento si sentiva decisamente fuori posto. Non che fosse un segreto di stato che lui e Brian facevano sesso da un po' ma non era mai stato detto ad alta voce e il fatto che Jimmy stesse alludendo proprio a quella sua nuova abitudine non poteva non metterlo a disagio.
“Matt, non ce n'è bisogno, ho fatto!”
E spuntò anche Haner, completamente sudato e ancora arrossato. Quando vide Matt paonazzo e Jimmy davanti alla porta, scoppiò a ridere e non poté trattenersi dal mettere a disagio entrambi con un'unica frase.
“Oh, ciao Jim! Tranquillo che il tuo letto questa volta è stato risparmiato,” disse facendo l'occhiolino all'amico e lasciando un leggero bacio sulle labbra di Matt prima di scomparire nel bagno senza ascoltare i commenti che seguirono a quella sua sparata del cazzo, come l'aveva appena definita Matt.
Nel frattempo che Brian occupava il bagno, Matt si era rivestito ed era andato a fare compagnia a Jimmy che stava seduto in cucina, fra il balcone e la stanza, perchè diceva di aver caldo e in quel punto circolava aria, così forse non sarebbe morto schiacciato dal calore della serata californiana.
Ovviamente erano tutte storie.
“Si può sapere che combinate voi due? Un'ora fa mi chiami per dirmi che si comporta da stronzo e poi lo trovo che esce dalla tua stanza, fate schifo,” gli disse James sorridendo non appena Matt entrò nella sua visuale stringendo fra le labbra una delle sigarette del suo compagno. Non disse nulla del messaggio che aveva mandato al suo migliore amico, quelli erano segreti professionali, ma espresse la sua sorpresa nel ritrovarlo in quell'appartamento poiché pensava che, anche con quel messaggio, Brian non sarebbe tornato indietro. Brian non gliela raccontava giusta, doveva scoprire qualcosa di più. Doveva tirare fuori il suo spirito da portinaia per non pensare ai suoi problemi.
“Non me lo aspettavo neanche io che tornasse ma, be' non so bene cosa è successo Jimmy, è successo e basta,” rispose Matt arrossendo lievemente e guardando fuori, verso l'orizzonte, dove l'oscurità non permette di distinguere la sottile linea sbiadita che divide cielo e oceano, rendendoli un tutt'uno nella notte afosa di Huntington Beach.
“Voi due sarete la mia rovina,” borbottò sorridendo Jimmy, accendendosi anche lui una sigaretta e chiudendo gli occhi, lasciando che la testa ricadesse all'indietro, poggiata al muro, mentre pensava a tutto quello che voleva dimenticare. Non riuscì a trattenere una smorfia quando si rese conto che la prima cosa a cui pensò fu a Johnny e a dove si potesse essere cacciato, sapeva che il suo turno a lavoro era finito già da un paio di ore ma lui non era ancora rientrato. Il primo impulso fu quello di chiamarlo, ma poi rimise il cellulare in tasca: non toccava a lui chiamare quella volta.
“Hai notizie di Johnny, Matt? Io ho fame,” chiese il più alto dei due aprendo un occhio e richiudendolo subito dopo. Matt non potè non notare l'aria stanca del moro dagli occhi cristallini. Non lo aveva mai visto così fiacco, sembrava che avesse retto il peso del mondo per tutta la giornata.
“Nessuna, probabilmente farà tardi,” ribatté semplicemente e avrebbe continuato a parlare se Brian non fosse spuntato dal nulla occupandogli le labbra e la bocca.
“E che schifo Haner! Smettila di ficcargli la lingua in gola, sembra che me lo fai apposta!” sbuffò Jimmy non appena i due approfondirono il bacio lasciando la tenerezza a chi ne voleva far uso. Matt si staccò non appena Jimmy parlò e fece fatica a trattenere le risate mentre Brian abbracciò il suo migliore amico sussurrandogli un grazie all'orecchio. Lui avrebbe capito tutto.
“Ma io lo faccio apposta Jim, è divertente diventare il tuo incubo,” disse poi ad alta voce mantenendo l'abbraccio, facendo finta che quel sussurro non fosse mai stato detto. Perchè erano quelle cose, quelle lasciate al caso e che non tornano più, che erano importanti in quell'amicizia.
Tutti risero quando Brian si guadagnò un sonoro schiaffo sulla nuca e alla fine, quando le lacrime iniziavano a inumidire gli occhi e gli addominali a far male, decisero che era finalmente ora di cena e che essendo Johnny irraggiungibile, gli avrebbero lasciato la sua porzione in frigo. Quindi si misero a mangiare nel silenzio più assoluto, avevano tutti una fame tremenda, chi per un motivo chi per un altro; la mano di Brian ogni tanto si allungava sotto il tavolo ad accarezzare la coscia di Matt, Jimmy aveva la testa china sul piatto e mangiava frettolosamente la sua cena, ansioso di scappare via da quei due e chiudersi nel silenzio della sua camera.
Non appena finì si congedò con altrettanta fretta per sparire nel buio traditore della sua stanza, inciampando all'entrata nel suo tre piedi. Ecco, Brian si era fottuto di nuovo la sua chitarra!
Si stese poi sul letto e iniziò a fissare il soffitto e inevitabilmente la sua attenzione fu catturata dai freschi ricordi di quella discussione avuta con Johhny che, proprio come era successo con la madre, si era rifiutato di ascoltare, perchè sapeva che aveva ragione, che stavano arrivando al punto di non ritorno con Brian, sempre a bere e a fumare come se non ci fosse un domani. Sentiva sul suo stesso fisico il peso di quella vita: lo stomaco era sempre in subbuglio e spesso aveva acidità, la sua memoria a breve termine stava avendo dei decifit, ma a lui non importava molto... il suo primo pensiero era sempre e comunque il suo amico Brian. Aveva bisogno di lui e si era incazzato con Johnny perchè neanche lui lo aveva capito, pensava che almeno lui avesse finalmente imparato a leggere nella sua mente e nel suo cuore e invece aveva sbattuto di faccia sul muro della realtà: neanche lui lo aveva minimamente capito.
“Idiota,” borbottò il moro girandosi su un fianco e chiudendo gli occhi stanchi. I muscoli si rilassarono all'istante, lasciando che la stanchezza fisica prevalesse spudoratamente sulla sua voglia di pensare e ripensare, di trovare domande solo per non avere altre risposte.
Dopo neanche due minuti Jimmy stava dormendo con gli occhiali da vista ancora addosso.

Brian aveva finito la sua cena in una manciata di minuti e aveva così tanta fame che quel piatto di pasta scotta e incollata gli era sembrato il primo migliore che avesse mai mangiato. Matt lo guardò interrogativo, non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto fare piazza pulita di quella roba in così poco tempo, soprattutto visto quanto era diventata gommosa nello stare a riposo tutto quel tempo.
“Solitamente è più buona, sai bisogna mangiarla sul momento o perde la cottura,” si giustificò mentre sparecchiava e lasciava cadere delicatamente i piatti nel lavello.
“A me è piaciuta,” ribattè il chitarrista in un largo sorriso mentre si puliva la bocca con un tovagliolo di carta per poi alzarsi e buttarlo nel cestino della carta. Ogni volta si chiedeva perchè Johnny si ostinava a voler fare a tutti i costi la differenziata, era solo una rottura di palle.
“Ma secondo te perchè Johnny ha deciso di non tornare a casa? Jimmy mi ha chiesto di lui almeno due volte e oggi pomeriggio hai visto come ha reagito quando gliel'ho chiesto io,” gli fece notare Matt mentre si grattava la parte laterale della testa cercando di capire cosa potesse essere successo in sua assenza fra i due.
La differenza fra lui e Brian stava nel tempo: Matt non ne aveva avuto abbastanza per conoscere quanto Brian i suoi due coinquilini, per cui quello che per il moro era evidente e alla luce del sole, per lui era scuro e sfocato. Più avanti probabilmente avrebbe rimpianto i momenti in cui non riusciva a capirli anche se aveva la risposta sotto il naso.
“Hanno litigato sicuramente, e Jimmy si starà sentendo in colpa ma non è il tipo da prendere di petto le situazioni. Chiariranno, capita spesso.”
“Se lo dici tu...”
Brian sorrise e aiutò Matt a lavare le stoviglie; restarono in silenzio e impassibili per tutto il tempo, l'unica cosa che mutava era il rossore che affiorava sugli zigomi di Brian ogni qualvolta Matt sfiorava accidentalmente la sua mano. Stringersi la mano era uno di quei piccoli gesti che a loro non erano concessi. Loro erano sesso occasionale, e che sesso, ma nulla di più. Brian doveva ancora decidere se gli andava bene o meno quella situazione. Per quanto odiasse ammetterlo, provava per Matt qualcosa che andava oltre quella routine: arrossiva, si emozionava, si calmava. Matt lo aiutava a stare bene, bastava averlo al suo fianco.
Una volta finito di sistemare tutto, Brian lasciò l'appartamento senza salutare James. Si era sporto a spiare nella stanza del migliore amico solo per vederlo steso sul letto, rannicchiato, senza capire se stesse dormendo o meno. Era un gigante indifeso in quella posizione e Brian sapeva bene che non avrebbe dovuto vederlo in quello stato, per cui si allontanò facendo finta di nulla, soffrendo dentro solo perché lui voleva soffrire insieme al suo migliore amico, come se questo potesse alleviare la sua pena.

*

La madre lo buttò letteralmente giù dal letto, urlando qualcosa di incomprensibile che dovette ripetere tre volte prima che la frase giungesse chiara alle orecchie ancora addormentate del figlio, come tutto il resto del corpo d'altro canto.
“Jo, c'è Brian di sotto! Alzati.”
“Sì, ma', adesso scendo.”
Si era messo una maglietta a caso ed era sceso così come si era svegliato -occhi gonfi e sapore di sonno compreso- trovandosi davanti il moro con un sorriso a trentadue denti e il volto allegro, che stonavano con la pigrizia fisico-mentale che ancora governava il povero Seward. Quest'ultimo infatti non aveva fatto in tempo a biascicare un che vuoi e ad aver messo a fuoco decentemente Brian che si ritrovò dei fogli sventolati ad un pollice e mezzo di distanza dalla sua faccia.
“Che diavolo è questa roba Bri?”
“La bolletta pagata, la manda Jimmy,” rispose continuando a sorridere soddisfatto e mettendola nelle mani del più basso con una particolare noncuranza, era evidente che non gli importava molto di quei fogli. Ma era d'umore allegro, cosa che ultimamente era rara da vedere.
“Davvero?”
Jonathan aveva sgranato gli occhi e si era svegliato di colpo al solo sentire le parole “bolletta”, “pagata” e “Jimmy”. Non che queste avessero ancora molto senso nel suo cervello e sicuramente non aveva ancora la forza né di porsi domande sufficienti a giustificare la presenza di quello che era ormai diventato il loro ospite abituale, né per pensare ad altro se non al fatto che per la prima volta forse Jimmy aveva fatto ammenda e si era dimostrato responsabile. Sorrise al solo pensiero, stringendo fra le mani i fogli che Brian gli aveva dato.
“Guardare per credere,” rispose allora il più alto che reputava di aver visto abbastanza. Salutò Johnny con la scusa che aveva da fare lezioni ad un ragazzino e scappò via letteralmente da casa Seward, lasciando Johnny ancora incredulo sull'uscio che guardava la bolletta timbrata.
“Tutto ok Jo'?”
Sua madre era spuntata silenziosa dalla cucina, ma fu subito sollevata dal sorriso del figlio che si distendeva sul suo volto. Johnny annuì e annunciò alla madre che sarebbe tornato a casa; l'abbracciò e poi salì su in camera a sistemare le poche cose che si sarebbe dovuto portare dietro.
Nel frattempo che lui si preparava e sistemava, Brian aveva fatto bruscamente inversione a U e si era precipitato a casa del suo migliore amico senza far caso ai semafori e alla segnaletica stradale.
Aveva parcheggiato alla cazzo sotto casa, si era fatto i gradini tre a tre e di corsa, era arrivato alla porta senza fiato e, non appena Jimmy lo aveva aperto, lui era scappato nella stanza del suo migliore amico.
Brian aveva i nervi a fior di pelle, la pelle era rossa e bruciava, dalla sua bocca usciva un fiume di parole senza senso, tutte sconnesse e di tono crescente, atteggiamento che Jimmy conosceva alla perfezione e che non sopportava ogni volta.
“Bri, perchè non ti calmi?”
Le parole di Jimmy, più che esasperato da quella situazione, non raggiunsero però minimamente le orecchie del moro chitarrista, che continuava a fare avanti e indietro per la stanza, imprecando e gesticolando. Era paonazzo, irascibile e avrebbe voluto schiaffeggiarsi da solo se avesse potuto, azione impedita dalla sua eccessiva autodifesa e dalla sua dignità.
“Calmarmi? Come cazzo faccio Jim eh? Ma l'hai visto?!”
Jimmy alzò gli occhi al cielo solo per poi guardare il punto che Brian si ostinava a fissare e che gli procurava tutto quel tilt di emozioni. Solo allora il batterista scoppiò a ridere a crepapelle, qualche lacrima uscì dagli occhi strizzati per il troppo ridere. Era davvero troppo, non l'aveva capito appena era entrato nella stanza, ma ora riusciva a fare due più due e non si poteva restare impassibili davanti ad una scena come quella.
“Sì che lo vedo Bri, lo vedo eccome!” rispose all'amico non appena la risata gli diede un attimo di tregua, per ritornare solo più forte non appena incrociò il suo sguardo con quello velenoso di Brian. Roba da non credere, era furioso e lui non sarebbe riuscito a calmarlo, non in quella situazione, non sapeva proprio come comportarsi.
“Vaffanculo Sullivan! E mo che devo fare? E' saltata fuori dal nulla!” sospirò alla fine decidendo finalmente di sedersi al bordo del suo letto, continuando a fissare il suo problema, il suo gravissimo problema.
“E che ne so Bri, pensa ai gattini morti, forse ti passa,” ribattè Jimmy cercando di fare il serio, con scarso risultato. Aveva appena finito di parlare che subito riprese a ridere. Quanto gli dispiaceva non poter registrare tutta la scena, era sicuro che avrebbe riso per altri mille anni se l'avesse riguardata in futuro. Poi vide l'amico chiudere gli occhi, il volto immerso nelle mani pallide, i muscoli tesi, forse per la concentrazione; sbuffò sonoramente dopo neanche cinque minuti, alzandosi di scatto e riprendendo il suo frenetico andirivieni ancora più rosso in volto di quanto non lo fosse prima. Jimmy scosse la testa e non appena vide Brian alzarsi strabuzzò gli occhi per la sorpresa, aveva finito le risate a disposizione e i muscoli delle guance e dell'addome gli facevano un male cane, se no avrebbe continuato, in quel momento più che mai.
“No. No, ti prego, non l'avrai fatto sul serio?!”
“Sì che l'ho fatto cretino!” urlò Brian fermandosi di scatto e fulminando per la seconda volta James, solo per poi continuare ad urlare, la voce sempre più alta fino a rasentare l'isteria: “Mi rifiuto di masturbarmi pensando a Matthew Sanders, è lui quello a cui si dovrebbe drizzare al solo pensarmi! Sembro una verginella, mi faccio schifo da solo.”
Quest'ultima frase fu più che altro un borbottio, che suonò per lo più come una verità imbarazzante. Non appena si era messo in macchina gli era tornata in mente la scena di Matt appena uscito dalla doccia ed era stato costretto a mordersi il labbro per non sospirare deluso da quella sessione mancata, perchè le goccioline che ancora scorrevano su quella pelle lucida erano troppo sensuali per lasciarle vivere, dovevano essere leccate via e lui invece era solo arrossito, immobile a guardare senza riuscire a toccare. Da qui l'erezione e il casino con la macchina.
Il quadretto degno di una sit-com fu però interrotto dal rumore della porta di casa che si apriva e Jimmy, dubbioso sul fatto che fosse Matt e speranzoso che fosse Johnny, fece capolino dalla stanza solo per vedere quest'ultimo che lo salutava e spariva nella sua stanza.
“Bri, continuiamo dopo il discorso su quanto tu sia checca!” urlò di fatto quando era già uscito dalla sua stanza per prendere le sigarette in cucina e ritrovarsi subito dopo seduto sul letto di Johnny, lasciando Brian imprecare contro il nulla. Gli era mancato quello gnomo e non riusciva proprio ad essere ulteriormente arrabbiato con lui quando si era presentato con quel sorriso in casa, come se nulla fra loro fosse mai successo.
“Non ti chiederò scusa per aver messo in mezzo Brian, lo sai,”sussurrò Jimmy senza neanche salutare il coinquilino, fissandosi i piedi. “Però potrei chiederti scusa per il mio comportamento.”
Johnny gli si sedette affianco e gli diede una pacca sulla spalla perchè non erano importanti per lui le scuse, erano importanti i gesti e la voglia di migliorare che lui sembrava, almeno per ora, dimostrare.
“Senti, abbiamo litigato tante volte e tu sei sempre rimasto dell'idea che avessi ragione, perchè sei fatto così. Questa volta invece hai capito l'errore, a me basta questo Jimmy, che tu sia un po' più responsabile!”
Johnny sorrise e gli diede la ricevuta che Brian gli aveva messo in mano si e no un'ora e mezza prima. Jimmy la osservò attentamente, leggendo le cifre e guardando il timbro di pagamento con la data di quel giorno.
“Perchè l'hai pagata a nome mio Jo'?” chiese Jimmy guardando interrogativo l'altro ragazzo che strabuzzò gli occhi incredulo.
“Non l'hai pagata tu?”
“No, perchè?”
Ecco, si era fatto infinocchiare da quel cretino di Haner. Anche Jimmy era arrivato alla stessa conclusione ad un esame più attento della grafia e gridarono entrambi contemporaneamente, un urlo così potente che avrebbe potuto tranquillamente far tremare la casa.
“BRIAN!”
Il ragazzo appena interpellato si precipitò subito dagli altri due; in cuor suo sapeva di essere stato scoperto ed era consapevole di cosa lo aspettava, ma intanto i suoi amici erano tornati a parlarsi ed era solo questo che importava, il resto lo avrebbe risolto pian piano.
“Che c'è?” chiese non appena entrò nella stanza, facendo finta di nulla.
“Smettila di prenderci per il culo!” esclamò Johnny parandosi subito davanti a Jimmy e trovandosi quindi ad un paio di passi da Brian. Era scuro in volto e il respiro sembrava quasi strozzarglisi in gola. “Non so cosa avessi intenzione di fare con i tuoi giochetti del cazzo, ma per quanto mi riguarda ti chiedo di andartene e di non tornare, non in questa casa almeno. Ci vivi più tu che io e ho le palle piene di tutto questo.” prese un respiro profondo, aveva parlato senza neanche pensare a quali parole stesse facendo uscire dalla bocca, era arrabbiato sia con Brian che con Jimmy e voleva solo restare solo. “Andatevene.” aggiunse, abbandonandosi sul letto e abbassando lo sguardo.
Gli altri due obbedirono in religioso silenzio, il batterista sorrideva perché adorava quando Johnny finalmente parlava smettendo di farsi mettere i piedi in testa.
“Dì a Matt che sono passato, quando lo vedi.” sussurrò Brian per poi avviarsi verso la porta d'ingresso. Non era arrabbiato o particolarmente triste, Johnny aveva bisogno di stare solo e non avendo nessuno intorno avrebbe prima o poi chiarito con Jimmy.
“Non diceva sul serio, Bri.”
“Per adesso è meglio così.” concluse mentre abbozzava un leggero sorriso.
L'altro ragazzo lo lasciò andare e poi rimase fermo lì nel bel mezzo del corridoio senza sapere bene cosa fare: di andare dal coinquilino non se ne parlava, gli attriti che c'erano tra di loro sarebbero solo peggiorati.

Matt infilò la divisa nello zaino e poi indossò i propri vestiti: sentiva le gambe stanche ed aveva una fame da lupi, la sua mente era già proiettata alla confezione di ramen precotto che aveva comprato un paio di giorni prima e che aveva riposto in dispensa sul piano di Johnny perché sul suo non c'era più spazio.
Controllò il cellulare che poi ripose anch'esso nello zaino e, infine, uscì dal negozio ed iniziò ad abbassare la serranda. Mentre era intento in quest'ultima operazione, udì un'auto arrivare alle sue spalle che si fermò con il motore ancora acceso; conosceva piuttosto bene quel rumore e sapeva già chi aspettarsi, alla guida.
“Che ci fai qui, Z?” chiese Matt mettendo a posto le chiavi, dopo essersi alzato in piedi.
“Dai sali, o ci fregano il posto migliore.”
Un'espressione interrogativa si dipinse sul volto dell'altro ma decise di non fare domande, almeno per il momento, ed eseguì gli ordini.
“Non so dove tu mi stia portando.” asserì dopo aver chiuso lo sportello. “Ma sappi che sto morendo di fame.”
Senza dire niente Zacky indicò i sedili posteriori e Matt vi trovò una busta del Mc Donald's ancora chiusa; il ragazzo si allungò subito per agguantare la sua porzione di patatine che divorò durante il tragitto in auto.
“Scusa,” sussurrò Matt non appena si rese conto del gesto che aveva appena compiuto, “non ce la facevo proprio ad aspettare.”
Il suo migliore amico sorrise facendo spallucce, poi finalmente si decise a parlare.
“Ho pensato che sarebbe stato carino passare una serata al Drive-In... per l'ultima volta.”
Zacky non lo guardò in viso anzi, non si mosse affatto. Entrarono con l'auto nel parcheggio e infine si posizionarono dove erano soliti fermarsi, dovevano solo aspettare l'inizio della proiezione.
Huntington Beach organizzava eventi come quello ogni estate e Matt e Zacky ci andavano almeno una volta all'anno, da quando avevano preso la patente. Per lo più ne avevano approfittato per vedere film horror, ma raramente discutevano o si confrontavano per scegliere durante quale pellicola partecipare. Di solito prendevano la macchina e basta, poco importava del film in sé, ciò che contava davvero era rispettare quella loro piccola tradizione personale.
“Hai fatto bene.” rispose Matt con un largo sorriso, anche se in realtà una voragine gli si era aperta nello stomaco tutta di colpo: ultima volta.
Sapeva bene che presto avrebbe lasciato la vita che aveva qui per una totalmente diversa e nuova, ma non aveva riflettuto bene sul peso che un anno di distanza portava con sé: Zacky avrebbe avuto nuovi amici, una ragazza, qualcuno che si prendesse cura di lui meglio di quanto fosse riuscito a fare egli stesso, Jimmy e Johnny magari avrebbero preso una casa più piccola per non avere troppe pressioni fiscali, Brian forse se ne sarebbe andato con la chitarra sulle spalle o forse avrebbe continuato a bere, fumare e scopare senza un ordine ed un senso preciso. Gli fece male pensare a loro, alle persone che indipendentemente dal tempo trascorso insieme, considerava la sua vera famiglia.
“Sei sicuro? Se no ti riporto a casa.”
“Ehi, basta.” lo tranquillizzò Matt per poi sistemarsi meglio sul sedile così da riuscire ad appoggiare la testa sulla spalla dell'altro. Zacky si mosse un po' per stare il più comodo possibile ma, per fortuna, riuscì a sistemarsi un attimo prima dell'inizio del film che risultò non essere affatto male, anzi.
Solo poco dopo la fine del primo tempo, Matt sentì il telefono nello zaino vibrare. Non si mosse ma allungò una mano per cercarlo e prenderlo, poi sbloccò la tastiera.

Sono stato bandito da casa tua, poi ti spiego, scendi giù? Ci fumiamo una sigaretta insieme.
SG

Aveva sempre trovato stupido che continuasse a firmare i suoi messaggi, soprattutto con Synyster Gates, anche dopo aver salvato il suo numero, ma evitava di dirgli qualcosa per paura di offenderlo.

Mi dispiace, ma non sono a casa. Ci vediamo domani?

Schiacciò il pulsante Invio con la consapevolezza che non avrebbe ricevuto risposta, qualcosa sul conto di Brian l'aveva d'altronde imparata.

“Ehi Jo ti va una tazza di caffè?” chiese Jimmy dopo aver bussato alla porta del suo migliore amico. “L'ho appena fatto, è bollente.”
Si avvertirono dei passi provenire dall'interno della stanza e poi la porta si aprì rivelando un viso che fece preoccupare il batterista.
Johnny aveva la faccia di una persona totalmente privata delle proprie forze, la pelle era pallida e le occhiaie ben evidenziate, le pupille sembravano essere reduci da una guerra nucleare e il respiro aveva tutta l'impressione di essere pesante: aveva pianto.
“Stai bene?” domandò e per fortuna ebbe l'impulso di bloccare la porta che altrimenti si sarebbe chiusa senza permettergli di ricevere risposta.
“Fingi che io non esista James, non interagire con me e non bussare alla mia porta.”
“Come puoi chiedermelo?”
“Non la voglio vedere la persona a cui più tengo al mondo morire davanti ai miei occhi.”
Jimmy si bloccò per un attimo, per la prima volta era davvero senza parole.
“Io n-non...”
“Non mentirti, non insultare la tua intelligenza così tanto.”
Il ragazzo tornò verso il suo letto dove era stato sdraiato per tutto quel tempo e Jimmy alla fine decise che forse quella strigliata un po' se la meritava quindi si limitò a chiudere la porta e a tornarsene in cucina, da solo.
Quando Matt tornò a casa, appena dopo la fine del film, si stupì del silenzio che regnava tra quelle pareti; la luce della camera di Jimmy era ancora accesa, così diede un colpetto sulla porta prima di entrare.
“Ehi, tutto bene?”
Trovò l'amico seduto sulla sedia in posizione ricurva, tutto preso e concentrato da qualcosa che stava scrivendo. Batteva velocemente i piedi sul pavimento, si stava dando il tempo, e quasi sembrava non essersi accorto della presenza del coinquilino.
“Ciao Matt...” mugugnò senza alzare lo sguardo. “Sì tutto bene, ho avuto solo un attimo d'ispirazione e quindi mi sono messo a scrivere.”
“Bene.” rispose quello in piedi, sempre più dubbioso. Gli occhiali da vista rendevano Jimmy un tipo quasi rispettabile, di quelli da cui ti aspetteresti un buon lavoro e parecchie responsabilità sulle spalle.“Johnny si è visto?”
Il batterista non rispose, per un attimo Matt ebbe l'impressione di aver parlato a voce troppo bassa e stava per ripetere, quando il suo amico gli rivolse un'occhiata veloce che chiarì qualsiasi dubbio: non aveva alcuna intenzione di parlarne.
“Senti ci conosciamo da poco, vi conosco da poco, però secondo me sarebbe molto importante che tu chiarissi con Jo. Vuole solo che tu stia bene.”
Matt si grattò la nuca con una mano, non sapeva neanche se si fosse espresso nel modo adeguato, ma in cuor suo sperò di aver usato le parole giuste.
“Domani tu chiarisci con Johnny e io con Brian, d'accordo?”
Anche questa volta Jimmy non disse niente, ma l'altro ragazzo lo vide sorridere e questo, almeno per il momento, poteva bastare.
Il mattino seguente, quando Johnny aprì gli occhi, notò subito una seconda presenza sotto il suo lenzuolo. Si voltò quel poco che bastava per intravedere i ciuffi di capelli scuri di Jimmy e la sua fronte alta, dormiva ancora respirando piano. Sorridendo si chiese quando il suo amico si fosse infilato nel suo letto, ma aveva il sonno così pesante che non riuscì minimamente a ricordare quando fosse successo.
“James.” lo chiamò, scuotendolo. “Alzati, nessuno ti ha dato il permesso di dormire qui.”
L'altro protestò mugugnando e subito dopo si stropicciò gli occhi, cercando infine di tirare su il busto.
“Quanta gentilezza, buongiorno anche a te Seward.”
“Dai sbrigati.”
In tutta risposta Jimmy gli cadde addosso a peso morto, bloccando l'altro tra le lenzuola.
“Non posso fingere che tu non esista, mi sento male al solo pensiero.” disse, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Ne abbiamo già parlato, va' via.”
“Tu hai parlato, io non ho detto niente.”
“Perché, qualche volta lo fai? Ah sì, quando parli di Brian.”
“Dacci un taglio, Jo!”
Lo abbracciò forte, come se solo quei gesti potessero risolvere le cose.
“E toglimi le mani di dosso, cazzo. Sono incazzato, Jim, non è una cosa che passa così facilmente.”
A quel punto il batterista obbedì così vide l'amico alzarsi e cercare per la stanza i vestiti da indossare per quel giorno; camminava a piedi nudi ma a rilento, come se non avesse ancora messo bene a fuoco la propria camera.
“Non posso abbandonare Brian, lo sai, ma non voglio neanche che tu esca dalla mia vita. Come la mettiamo?”
“Non ti ho chiesto di abbandonare Brian.” blaterò Johnny mentre si infilava una t-shirt. “Aiutalo senza farti male.”
“I-Io...” iniziò il batterista, sospirano. “Non posso, Jo.”
“Ascoltami bene: sono stanco, ok? Così esausto da non riuscire più neanche a tenere gli occhi aperti, mi state facendo impazzire! Quindi adesso tu termini quello che stavi scrivendo ieri sera, lo dai a Brian e insieme ricomincerete a suonare.” Mentre parlava, gli stava puntando un dito contro. “Non accetto repliche, mettete su una cazzo di band e spaccate il culo al mondo, sono anche disposto da farvi da bassista basta che uscite da tutto questo schifo.”
Con un salto Jimmy fu in piedi, gli bastarono non più di due passi per raggiungere Johnny e abbracciarlo forte. Stava mettendo le cose apposto, ancora, nonostante tutto.
“E non infilarti mai più a sorpresa nel mio letto.” concluse il più basso, senza più riuscire a trattenere una risata.

La zona attorno al molo era piuttosto trafficata, soprattutto di mattina, i turisti facevano su e giù per gustare appieno le bellezze dell'oceano mentre gli abitanti preferivano recarsi nei loro luoghi d'interesse in bici, pattini o skate, così i marciapiedi era sempre affollatissimi.
Matt invece aveva deciso di andare a piedi, cuffie nelle orecchie e sole cocente sulla faccia; non aveva una meta precisa, si limitava a gironzolare su e giù con il telefono in mano: lui e Brian dovevano parlare, questa volta davvero, non potevano sempre risolvere tutto con il sesso, che poi le cose non dette aumentavano e diventava sempre più difficile guardarlo negli occhi.

Dove ti sei cacciato? Ti sto aspettando da mezz'ora.

Dopo aver inviato il messaggio decise di sedersi sul ciglio di un muretto e di aspettare lì, con le gambe che penzolavano, per al massimo altri dieci minuti; poi se ne sarebbe tornato a casa e fanculo Brian.
“Oh, eccoti.”
Matt fece appena in tempo a voltarsi verso quella voce che si ritrovò davanti l'oggetto dei suoi desideri, con tanto di capelli lunghi e disordinati ed espressione da stronzo.
“Finalmente.” commentò, facendogli capire di sedersi accanto a lui. “Tutto bene?”
“Io sì, e tu?”
Quel tono lasciava intendere tutto, gli faceva capire che Brian sapeva esattamente cosa stesse per succedere ma lo affrontava di petto come qualunque altra cosa, non si lasciava scalfire. O almeno non lo dava a vedere.
“Senti Brian, dobbiamo parlare.”
La voce di Matt era quasi spaventata e le mani avevano cominciato a sudare.
“Sono tutto orecchi.” rispose l'altro, accendendosi poi una sigaretta.
“V-Volevo solo dirti che...”
Che non siamo fidanzati, che sei sesso a scadenza, che voglio solo averti nel mio letto per sentirmi meno solo, che non provo niente.
Non riuscì a continuare, tutte le parole gli morirono in gola e lui rimase fermo a guardare Brian che lo fissava con aria di sufficienza. Perché forse non era del tutto vero, che non provasse niente.
“So che è solo sesso Matt, davvero, che tu devi partire e questa è solo un'avventura estiva.”
La risolutezza del chitarrista stupì del tutto l'altro, si stava facendo tutte quelle paranoie perché temeva di ferirlo, ma forse aveva frainteso tutto e a quanto sembrava anche per Brian quello che stavano vivendo non era nulla di serio. “Solo che mi piacerebbe che fossimo un'avventura a trecentosessanta gradi, ecco, non solo quando ne hai voglia tu.”
Alla fine proprio non ci riuscì, a tenersi tutto dentro, ed un po' di verità non poté fare a meno di rivelarla: voleva Matt, voleva stare con lui a qualunque costo, anche se questo significava allontanarsi da lui tra poco meno di un mese e soffrire come un cane.
“H-Hai ragione.” fu l'unica cosa che l'altro ragazzo disse, totalmente preso alla sprovvista. Lo pensava sul serio, Brian aveva ragione, e avrebbe cercato di non tagliarlo fuori così, senza motivazioni, sarebbe stato il suo compagno fino a quando non sarebbe partito. Si sporse e lo baciò delicatamente, come si aspettò fu travolto dal sapore forte delle Marlboro e questo gli fece approfondire il bacio: gli bastava un solo giorno lontano da Brian, per sentire la mancanza di tutti quegli odori e sapori che si portava dietro.
“Andiamo a stenderci sulla sabbia, ti va?” sussurrò quello dai capelli scuri a pochi centimetri dalle labbra dell'amante.
La felicità che guidava la sua mano verso quella di Matt e che gli diede la forza di stringerla però, era controbilanciata dalla consapevolezza di non essere importante, di essere sostituibile non appena fosse iniziato l'inverno.
“Certo che mi va.”
Si baciarono di nuovo, poi si diressero verso la spiaggia.

 






Corner:
Eccociiii, non siamo morte!
Scusate il ritardo ma questo capitolo è pronto da settimane e quella cretina -passate il termine- di Shizue si è completamente scordata di aggiornare! Comunque speriamo che il prossimo aggiornamento sia molto più veloce, anche perchè abbiamo in programma tante cose carine, credo xD
Un grazie come sempre a tutti voi che leggete, seguite, ricordate e preferita, ma in particolare a chi recensisce. E' importante avere un riscontro, soprattutto ora che siamo nella fase centrale!
See you soon!
xo Lights Turn Off

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