~A WINTER NIGHT~

di Eirien98
(/viewuser.php?uid=707123)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memorie rosso morte ***
Capitolo 2: *** Domande ***



Capitolo 1
*** Memorie rosso morte ***


A WINTER NIGHT

 



1° capitolo - Memorie rosso morte -








Era una notte d’inverno, lo ricorderò per sempre. Stavo camminando sulla neve con la mia mamma. Io avevo sei anni e lei era ancora nella primavera della sua vita. Si chiamava Julia. Stava parlando al telefono quando si è avvicinato un uomo alto e strano. Aveva una giacca di pelle. Gli occhi erano coperti dall’ombra del cappello che portava. Poi tutto ad un tratto si avventò su mia madre. Ricordo urla forti e la mia disperazione mescolata alla paura. Non capivo cosa stesse succedendo. Quel mostro mi guardò. Io ero seduta a terra e piangevo. La neve non era più bianca, ma rosso morte. Vidi mia mamma giacere per terra e poi i suoni delle allarmi delle polizia. L’uomo mi fissò una seconda volta poi sparì; si levò in aria e non lo vidi più. Mi portarono al pronto soccorso dove poi mi venne a prendere mio padre. Da quel giorno non riuscii più a sorridere veramente. Mi mancavano le sue carezze, le sue risate, i suoi baci della buonanotte…  Ero sempre isolata dagli altri bambini e mio padre non mi aiutava certo a risolvere la situazione; lui pensava solo a ubriacarsi. Così crebbi, sola al buio costretta ad affrontare le mie paure. Quante volte ho risognato quella notte in quel parco! Era il mio demone. Piangere non serviva a niente e così capii che dovevo arrangiarmi e mettere da parte tutto per far vedere di essere forte. A undici anni aiutai mio padre a smettere con l’alcool. Ricordo che una sera stava cercando di picchiarmi. Era tornato a casa tardi dal suo giro notturno per bar e io stanca di sopportare quelle violenze; così presi la pistola che lui teneva in camera sua dopo la morte di mamma e gliela puntai davanti e gli dissi che gli avrei sparato se avesse osato toccarmi. Quando si calmò cadde a terra piangendo disperato. Posai la pistola e mi sedetti di fianco a lui. Gli dissi che se voleva che io restassi con lui avrebbe dovuto imparare a stare lontano dall’alcool e che doveva farsi seguire da qualcuno e così fu. Recuperammo il rapporto padre-figlia, ma io continuavo a non dormire la notte per i miei incubi e i demoni che mi inseguivano. La notte urlavo di paura ricordando quella notte d’inverno. Poi cominciarono le superiori e conobbi un ragazzo: Jake. Lui aveva solo due anni in più di me. Era carino, dolce e simpatico. Insomma il tipico ragazzo perfetto. Tutto sembrava andare per il meglio. Io cominciavo a stare meglio. Cominciai a sorridere di nuovo. Ma poi una sera, tornando dal cinema, lui cercò di violentarmi. Era diverso, era diventato cattivo e violento. Non lo riconoscevo più. A un certo punto vidi un piede di porco in un bidone della spazzatura, lo presi e glielo sbattei in testa. Lui urlò e cadde a terra lamentandosi e io allora ne approfittai per scappare da lui. Tornai a casa e tutto mi crollò di nuovo addosso. Cominciai a non mangiare più perché i ricordi del passato ritornavano a possedermi. Tutte le paure erano uscite di nuovo e io non volevo più andare a scuola. Mio padre era disperato, non sapeva come aiutarmi. Così mi mandò da una psicologa. Io rifiutavo il suo aiuto perciò dopo due mesi smettemmo le cure. Ci trasferimmo e cambiai ovviamente scuola. I miei incubi non smettevano, ma durante l’estate cominciai a mangiare di nuovo. Il primo anno alle superiori nuove furono un disastro, io ero di nuovo isolata. Così cominciai a tagliarmi. Ma mio padre se ne accorse e mi aiutò a rialzarmi. Era difficile perché avevo ricominciato a non volere più mangiare, ma grazie a lui potei tornare a stare meglio. Ci avvicinavamo sempre più al nuovo anno e io mi preparavo a tornare.


Aprii la porta dell’atrio e un’ odore di gesso rubò l’ossigeno alle narici. Mi guardai intorno, vidi gruppi di ragazzi e ragazze e mi dissi che ero pronta al nuovo anno. Le prime settimane furono semplici, ero da sola ma stavo bene. Poi un giorno una ragazza mi si avvicinò, io ero al mio armadietto e cominciò a parlarmi:

 “ Ehi, ciao! Scusa sai dove si trova il bagno?”

“ Ehm, certo… percorri il corridoio fino alla fine e poi giri a destra e alla tua sinistra la prima porta è il bagno delle ragazze”

“ Grazie! Comunque io mi chiamo Eireen, piacere!”

“ Piacere, Allison”

“ Sai ti vedo sempre sola a pranzo e mi chiedevo perché non vieni a sederti con me gli altri?”

“ Ehm certo, grazie ci penserò” risposi, poi dissi che avevo una lezione e a salutai.

Poi a pranzo stavo per sedermi tranquillamente nel mio solito posto e siccome ero abituata a mangiare da sola, leggevo sempre qualche libro dell’ horror, ma quel giorno fu diverso. Non saprò mai come, ma quel gruppo di ragazzi decise che volevano farsi miei amici e così la ragazza di prima, di cui a stento ricordavo ancora il nome, mi chiese nuovamente di unirsi a loro per pranzo. Si presentarono tutti e furono gentilissimi con me. Al tavolo erano seduti: Nina, una ragazza bionda a cui probabilmente piaceva molto il verde perché ne era ricoperta dalla testa ai piedi; Brian, di colore che si presentò come l’anima del gruppo; Edwin, un tipo che sembrava calmo ma con l’aria del so-tutto-io e Jesper, alto con la pelle olivastra con occhi blu scuro che sembravano voler scavarti nell’anima per carpirti i segreti più intimi. Io rimasi in silenzio un po’ per tutto il tempo poiché non li conoscevo, anche se loro cercarono di integrarmi spesso nei loro discorsi, ma io rispondevo a monosillabi. Comunque tutto filò liscio e fu così per almeno altri due mesi di seguito e io cominciai a stare bene con loro e a integrarmi. Cominciai perfino ad uscire con loro e scoprii che erano tipi molto simpatici. Io rimanevo sempre un po’ comunque tra me e me perché non ero abituata a stare in mezzo a tante persone e non sapevo cosa volesse dire avere un amico per davvero. La prima uscita insieme era stata al cinema e l’avevo proposta io, mi ero buttata perché volevo vedere come sarebbe andata. Vedemmo un film horror che spaventò a morte tutti quanti. Poi andavamo in giro per il centro, uscivamo a cena insieme e cominciai a legarmi in modo particolare con Nina. Un giorno di Dicembre andammo in un lago e ci divertimmo parecchio. Facemmo il bagno nonostante il freddo e poi ci ammalammo. Io cominciai a stare un po’ alla volta meglio nonostante la notte avessi ancora gli incubi. Non avevo trovato ancora il modo di sentirmi completamente bene. Stavo bene, anche se non completamente, quando stavo con loro. Il mio cervello continuava a pensare cose terribili e quindi, soffrivo in silenzio. Ma sentivo che non dovevo abbandonarmi ai demoni, loro non dovevano vincere. Io dovevo essere il capitano della nave.

Un giorno di Febbraio ero in una biblioteca con Nina alla quale mi ero avvicinata così tanto, da raccontarle perfino dell’esperienza di mia madre. Stavamo studiando a un progetto di scienze e avevamo deciso di cercare in libri di scienze anziché cercare in internet. Arrivarono le sette e fummo costrette a uscire perché stavano chiudendo. Lei allora prese il motorino e mi salutò. Io dovevo aspettare mio padre, ma passò un’ora e lui non era ancora arrivato così scelsi di andare a piedi anche se era tutto scuro. Mi trovavo in una stradina poco illuminata quando cominciai a sentirmi seguita. Mi girai una volta, ma non vidi nessuno. Decisi comunque di affrettare il passo. Continuavo a sentire quella sensazione così mi girai una seconda volta e questa volta c’era un uomo alto con una giacca in pelle. Cercai di tenere la calma perché non era certo che stesse seguendo me. Probabilmente doveva solo andare verso la mia stessa direzione. Mi girai una terza volta e vidi che aveva allungato il passo così anche il mio si fece più veloce. Il mio cuore batteva sempre più forte, sentivo che avrebbe potuto uscire dal petto; ero terrorizzata. Ora stavo quasi correndo. Dopo aver voltato un’ angolo per prendere una scorciatoia, d’istinto mi girai una quarta volta, ma non vidi più la figura così tirai un sospiro di sollievo. Cominciò a nevicare e decisi di sbrigarmi. Ma quando mi voltai vidi quell’uomo di fronte a me. Il mio cuore si fermò. Mi congelai completamente. Non riuscivo più a muovermi e non sapevo se urlare o no. Aprii la bocca ma non uscì neanche un suono. Poi l’uomo cominciò a parlare:

“ sono qui, ragazzina”

Non potevo vedere il suo viso coperto da un cappello. Riuscivo solo a vedere la sua bocca da cui usciva una voce che gelava le vene. Finalmente riuscii a muovere le gambe e cominciai a indietreggiare lentamente. Sudavo freddo e non riuscivo a chiudere le palpebre immobilizzate dallo spavento.

“ sei cresciuta parecchio… ti ricordi di me? Ma si che ti ricordi! Quella notte d’inverno, chi la scorda! “ disse l’uomo, “ la tua mammina era proprio buona. Il suo sangue era così dolce; peccato che io non abbia potuto assaggiare il dessert. Sono rimasto a lungo affamato di quel sangue puro come l’oro, ma ora finalmente non devo più aspettare…” e si avventò su di me.
 






 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Domande ***


Note autore: Ciao a tutti, grazie per aver visualizzato e letto il primo capitolo! spero vi sia piaciuto e spero vi piaccia anche il seguente:) chiedo scusa per questo capitolo in cui non riesco a dividere le parti del testo e non capisco perchè :( spero sia comprensibile lo stesso! se avete qualcosa da dire riguardo la grammatica, cronologia del racconto o altro che non vi piace per favore, fatemi sapere! è la prima storia che scrivo e non so quanto sia buona... ringrazio tutti quanti e vi ricordo di recensire. buona giornata :) _________________________________________________________________________________________________________________________________________ Stavo camminando in una stradina poco illuminata. Pensai, che se fossi stato come qualche anno fa, forse avrei avuto paura del buio, ma ora non era così e sapevo che non sarebbe mai più stato così. Aveva appena cominciato a nevicare e mi ricordai quanto prima mi piacesse sentire la neve fredda sulla pelle… ma il freddo ora, ero io. Improvvisamente mi accorsi che proprio sotto i miei occhi stava per accadere una cosa che non avrei voluto vedere: una ragazza, che attirò subito la mia attenzione, stava per essere attaccata da un essere che capii di conoscere benissimo. Sentii parte del discorso. Solitamente non mi intromettevo in certi affari, ma questa volta decisi di agire ricordando certe regole importanti. Ascoltai attentamente il discorso dell’uomo, ma senza veramente capire. Cercai una qualche via di fuga o qualcosa con cui colpirlo: non c’era niente. Sentii che forse era arrivato il mio momento e forse avrei raggiunto mia madre. Vidi l’uomo che faceva dei passi verso di me, chiusi gli occhi come se volessi evitare il dolore. Poco dopo me lo sentii addosso e svenni. Saltai velocemente addosso all’essere cercando di levarlo dal corpo della povera ragazza. Si girò di scatto e mi morse al braccio destro e allora lo presi per la testa e cominciai a calciarlo sulla pancia il più forte possibile. Il pazzo alzò le braccia e mi prese per il collo e mi gettò a terra. Velocissimamente si gettò nuovamente sulla ragazza e io mi fiondai sopra le sue spalle tirandogli la testa verso l’alto cercando di staccarla. Mi prese per i piedi e mi scaraventò in strada. In un attimo fu su di me. Cercò di colpirmi, ma riuscii ad alzarmi e a sfuggirli. Cercai di portarlo più lontano possibile del corpo inerme della ragazza. Presi forza e gli corsi in contro, ma fu come abbracciare l’angelo della morte. Mi strinse a sé cercando di stritolarmi. Lo spinsi in avanti e infine lo presi per un braccio e lo buttai a terra. “ Questo territorio è proibito lo sai! Vuoi che avverta i superiori?” gli dissi, “ tu non la conosci nemmeno e poi sai che ci serve ogni tanto.” rispose, “ VATTENE “ urlai. Lui si alzò, mi guardò sogghignando poi si levò in aria. Corsi dalla ragazza che cominciava a svegliarsi. La testa le faceva male, probabilmente l’aveva sbattuta mentre veniva attaccata. I capelli neri e lunghi erano pieni di neve che le facevano venire ancora più freddo. Alzò la testa e vide due figure sfuocate sulla strada poco distanti da lei. Non riusciva a mettere a fuoco, quindi chiuse gli occhi qualche secondo. Quando gli riaprì c’era un ragazzo di fianco a lei. Urlò cercando di indietreggiare. “Chi sei?” chiese la poverina, “ Tranquilla, sono qui per aiutarti!” rispose con un sorriso,” Era solo un maniaco credo. Sono riuscito a scacciarlo, l’ho convinto dicendo che stavo parlando al telefono con la polizia. Una ragazza bella come te, non dovrebbe girare per strada da sola” disse lo straniero, “ ti ricordi qualcosa di quello che è avvenuto?” Allison era sconvolta e non capiva niente. Disse che ricordava solo che qualcuno la stava seguendo, ma del discorso non ricordava quasi niente. Era troppo spaventata e sotto shock per ricordarsi qualcosa. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e le chiese come si sentiva. Lei non rispose, era ancora un po’ scettica nel accettare il suo aiuto. Cercò di alzarsi, ma le girava troppo la testa. “ Forse dovresti andare all’ospedale o se vuoi ti accompagno a casa…” propose lui “ grazie, ma non dovrei accettare passaggi da sconosciuti…” rispose Allison “ Beh allora piacere, mi chiamo Jamaar ” disse il ragazzo allungandole la mano per aiutarla ad alzarsi, “ Grazie… forse dovrei chiamare mio padre” “ si credi di si… se vuoi ti presto il mio cellulare” Allison ringraziò e chiamò suo padre che era disperato e parecchio arrabbiato. Le chiese che cosa era successo e le disse che sarebbe arrivato immediatamente dopo che gli avesse detto dove si trovava. Si scusò anche per essersi dimenticato di venirla a prendere, ma era stato trattenuto a lavoro. Lei cercò di tranquillizzarlo, dopodiché si salutarono. Restituì il cellulare al ragazzo che la ringraziò. Ci fu un momento di imbarazzante silenzio fino a quando la ragazza decise di rompere il silenzio. “ Mi chiamo Allison comunque…” disse, “ Quanti anni hai, Allison?” chiese lui, curioso “ Come posso essere sicura che tu non fossi quello che prima voleva farmi del male?” domandò lei, “ Perché avrei dovuto aiutarti allora? Che senso avrebbe essere stato gentile? “ “ Perché sono svenuta e non avresti potuto divertirti così…” “ Hahaha, la tua mente è contorta! “ disse Jamaar mentre sorrideva, “ E’ che ho subito tante angherie e sono sospettosa di tutto e di tutti” “ Tranquilla, di me non devi aver paura” e questa volta lo disse con una serietà tale che fece rabbrividire, ma anche capire ad Allison, che poteva fidarsi. Appena terminata quella frase arrivò il padre di Allison che uscì dall’auto in preda al panico, buttandosi sulla figlia per abbracciarla e baciarla e chiederle se stava bene. Si accorse di Jamaar che li osservava da dietro e chiese chi fosse. Allison gli disse che era il ragazzo che l’aveva aiutata; quest’ultimo cerco di presentarsi al padre il quale concluse in fretta tutta la situazione: “ Bene, grazie. Ora però noi dobbiamo andare. Sali in macchina Ally” disse fulminando Jamaar al quale scappò un sorriso. “ Allora… Ci vediamo” disse Allison e salì in macchina con uno sguardo assente. Jamaar fece un segno di saluto alla ragazza che sparì nel buio della strada. Quella notte la ragazza, andando a letto continuava ad avere flashback di quella sera e di quel ragazzo. Non era certa che fosse andata come lui aveva detto. Cominciava a ricordarsi delle parti del discorso dell’uomo. Quella notte non riuscì mai a prendere sonno, se non in un momento in cui però ebbe un incubo nel quale rivide tutto ciò che era avvenuto quella sera. Non riusciva però ancora a ricordare tutte le parole di quell’uomo che l’angosciava e le sembrava di conoscere. La mattina ero distrutta poiché avevo dormito solo un’ora durante la quale avevo avuto uno i miei soliti incubi. Scesi le scale, salutai mio padre, presi un pezzo di pane tostato e corsi a prendere l’autobus. Ero così stanca che non riuscivo neanche a tenere gli occhi aperti. In autobus mi ero addormentata quasi sei volte in cinque minuti. Poi cominciai ad avere le visioni. Vedevo l’uomo che mi aveva aggredita. Lo vedevo fuori dall’autobus sui marciapiedi e mi fissava. Subito non ci feci caso perché ero stanca e pensavo fosse una conseguenza della notte insonne, ma poi mi convinsi che quell’uomo era davvero fuori. Cercai di non farci caso e non guardai più fuori dal finestrino. Quando arrivai a scuola lo rividi poco distante da me. Mi spaventai, così corsi dentro l’edificio. Corsi in bagno dove mi sciacquai la faccia per rinfrescarmi. Mi guardai allo specchio ed ebbi continui flashback della sera precedente. Presi la testa tra le mani a causa della forte fitta di dolore che stavo provando. Uscii dal bagno e mi recai in classe. Cercai di seguire la lezione più volte, ma invano. Mi trattenevo dal guardare fuori dalla finestra per paura di vedere l’aggressore. Pensavo di essere diventata matta. A pranzo non mangiai niente e rimasi sempre in silenzio facendo preoccupare i miei amici che più volte mi chiesero cosa era successo, ma io raccontai che ero solo stanca. Arrivò finalmente la fine delle lezioni e venne mio padre a prendermi. Fui assolutamente grata di questa sua azione perché non avrei sopportato un’altra mezz’ora tra il casino degli adolescenti. La sera passò tranquilla e la notte ebbi di nuovo lo stesso incubo della sera precedente, ma con una sola diversità: ora sapevo che cosa mi aveva detto l’uomo. Credevo potesse essere solo un’invenzione della mia testa che aveva collegato il mio episodio a quello di mia madre, ma in effetti gli uomini sembravano somigliarsi parecchio tra loro. Avevo bisogno di capire, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a far luce sulla storia. L’unica persona che poteva era Jamaar, il ragazzo che mi aveva aiutata o almeno lui diceva così. Dovevo ritrovarlo anche se non sapevo come, ma dovevo assolutamente. Passarono i giorni, sperai di vederlo a scuola poiché mi era sembrato avesse avuto la mia età e tra l’altro quella era l’unica scuola superiore della zona. Quindi avevo due possibilità: cercare ancora a scuola o tornare sul posto dell’accaduto sperando con un po’ di fortuna di trovarlo. L’unica paura che avevo, era ritrovare il pazzo. Erano passate due settimane dall’accaduto e Allyson aveva provato a recarsi nel luogo per cercare il ragazzo ma invano. Inoltre non aveva voluto restare molto tempo da sola poiché aveva avuto paura di trovare il maniaco ad aspettarla. Ormai era marzo e aveva quasi perso le speranze, ma non riusciva a smettere di pensare a quello che era successo. Finché una mattina mentre camminava per un corridoio si scontrò con un ragazzo. Stava leggendo un libro e quindi non si era accorta che stava per scontrarsi con qualcuno. “ Oh… M-mi dispiace! Scu-scusa non volevo. Che disastro!!” disse la ragazza, alla quale erano caduti il libro e tutti gli appunti delle lezioni precedenti. “ Non dovresti leggere in corridoio” rispose il ragazzo in tono freddo “ Ho detto che mi dispiace cos’altr…” si fermò di colpo appena alzò lo sguardo e vide che era lui. L’aveva trovato! O meglio, ci aveva sbattuto contro, ma era lì finalmente! “Tu!” fu solo in grado di dire lei, “ oh, guarda chi si rivede… tutto bene la testa? Scusa ma… sono di fretta” disse lui, “ io… no aspetta! Devo chiederti delle cose riguardo quella sera. Io, io ti ho cercato per tanto tempo e… ho bisogno di risposte! “ “ mi dispiace, ma devo andare “ “ per favore!” poi si bloccò, non capiva come mai lui fosse così scontroso con lei. Non le sembrava il tipo di qualche giorno fa: disponibile e gentile. “ voglio solo capire” “ ti ho già spiegato cosa è successo, ora ho lezione.” “ non sapevo fossi in questa scuola, come…” ma non riuscì a concludere la frase perché un ragazzo che lei non aveva neanche notato fosse con lui, si intromise: “ Jamaar, andiamo ora. Non voglio essere ripreso un’altra volta per i tuoi ritardi” e i due se ne andarono. Jamaar sembrava avere un’aria malinconica come se si stesse forzando di non parlare con la ragazza. Lei non capiva il comportamento. Rimase lì, impietrita nel bel mezzo del corridoio finché anche l’ultimo ritardatario entrò nell’aula in cui aveva lezione. Uscì correndo dalla scuola, attraversò il parcheggio insegnanti ed entrò in un piccolo bosco poco lontano da lì. Doveva capire, subito! Non sarebbe riuscita a rimanere un altro giorno a scuola con gli stessi pensieri, le stesse paure, le stesse domande… ormai si credeva al sicuro perché non aveva più rivisto il maniaco e cominciava a credere che forse Jamaar le avesse raccontato il vero, soprattutto dopo averlo rivisto. Ma c’erano dei particolari che non tornavano! Il pazzo era identico a quello che aveva ucciso sua madre e, anche se non era sicura perché poteva esserselo inventato, ricordava parti del discorso dove l’ uomo le parlava della madre… ma poteva essere sempre una sua invenzione. Era spaventata al ricordo delle due notti e le sembrava di impazzire! Non riusciva a trovare un conclusione. Le sembrava di vivere in uno dei suoi libri horror. Le sembrava che il mondo stesse girando troppo in fretta, vedeva gli alberi sfocati, non riusciva a stare in piedi, la testa faceva male. Era inginocchiata a terra con la testa fra le mani quando vide in lontananza una figura, ma era sfocata. Non riusciva a mettere a fuoco, non capiva chi o che cosa era. Le sembrò avvicinarsi a lei, ma non riuscì a provare paura: era troppo confusa e non capiva niente. Vide poi un’altra figura che si piazzò davanti a lei dandole le spalle, ma non riuscì a vedere chi fosse e perse conoscenza sbattendo la testa. L’ ultima cosa che ricordo dopo essere svenuta, è il viso di mia madre. Credo di averla sognata. Mi sorrideva e mi porgeva la mano; ma proprio nel momento in cui cercai di prendergliela tutto tornò buio e cominciai a riprendere coscienza. Sentivo in lontananza qualcuno parlare. Una voce era famigliare, l’altra non la conoscevo. Aprii gli occhi e vidi che ero in camera mia. La testa mi faceva ancora male. Guardai la finestra e vidi che era buio. Poi girai la testa alla mia destra e vidi Jamaar. Fu la prima volta che notai veramente come era fisicamente: aveva capelli scuri e poco sopra il mento con una specie di frangia, gli occhi erano color ghiaccio e aveva ciglia nere e lunghe. La pelle era chiara, troppo chiara. Era corrucciato e mi stava fissando. “ Che, che ci fai tu qui? “ dissi fievolmente, “ Io stavo camminando nel bosco e ti ho vista per terra svenuta… credo tu abbia sbattuto la testa abbastanza forte” rispose con un tono di voce freddo, ma calmo “ mi stavi seguendo?! Perché ogni volta che succede qualcosa tu, tu spunti fuori?! Come… perché?” “ io… no! io… volevo, proteggerti … almeno un grazie me lo meriterei!” disse Jamaar alzandosi cominciando a innervosirsi. “ ehm… si, scusa… grazie. Ma tutto questo mi sembra strano e senza senso. Io ricordo di aver visto qualcuno mentre ero sola, ma poi qualcun altro mi si è piazzato davanti e… proteggermi? Cosa intendi?” “ avrai immaginato, ma è comprensibile dopo il brutto colpo che hai preso” disse cercando di evitare il contatto visivo con i miei occhi, “ perché hai cercato di evitarmi oggi a scuola? Perché eri così rude nei miei confronti? Cosa intendi per proteggermi? Da cosa? Da chi? Dall’uomo dell’altra sera, ho indovinato? Chi è? Perché mi vuole? Cosa cerca? Che sta succedendo?” dissi tutto d’un fiato col cuore che batteva a mille perché cominciavo ad essere sempre più agitata, “ devi… solo… starne fuori. Non… cercarmi. Non stare più da sola. Divertiti coi tuoi amici. Dimentica tutto quanto” rispose a fatica “ come… perché? Ho bisogno di risposte! Non puoi dirmi così. Tutto si ricollega a mia madre e io… ho bisogno di sapere.” Dissi con le lacrime agli occhi mentre nella mia testa si creava solo più confusione, “ te lo dico per il tuo bene: stanne fuori. Devo andarmene! Tuo padre è giù con un infermiere, tra poco arriverà” disse secco quasi urlando e sembrava disperato “ ma tu… tu sai! Allora io ho ragione, c’è qualcosa! Fermo! Non andare! Io ora ricordo le parole dell’uomo!” urlai, Quando Jamaar udì le ultime parole, si impietrì e si girò con uno sguardo tra l’assente e l’inorridito guardando Allison. Ma fu il momento in cui entrò il padre di lei che era preoccupato a causa delle grida che aveva sentito provenire dalla stanza. Chiese alla figlia se stava bene, se Jamaar le avesse fatto qualcosa di male e lo guardò in cagnesco. Allison rispose che tutto era a posto mentre il ragazzo se ne andava. Allora il padre di lei lo accompagnò alla porta dicendogli di rimanere lontano da sua figlia perché da quando lo aveva incontrato, erano successe troppe cose strane. Jamaar rispose con un “non si preoccupi” dicendo che la figlia non era di suo interesse. Quando se ne andò, Lewis, il padre, andò in camera di Allison per assicurarsi che tutto fosse a posto. Lei era rimasta con le braccia conserte cercando di unire tutti i pezzi del puzzle, ma senza riuscirci. Aveva deciso che non si sarebbe arresa nonostante il padre le avesse detto di stare lontano da quel ragazzo; lei invece sentiva che doveva parlarci di nuovo e questa volta voleva avere delle risposte.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2684968