When He Cries

di Brokenhearted
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [First Track] Bruised. ***
Capitolo 2: *** [Second Track] Thank You Mom. ***
Capitolo 3: *** [Third Track] A Little Less Sixteen Candles, A Little More Touch Me. ***
Capitolo 4: *** [Fourth Track] Hard To Say. ***
Capitolo 5: *** [Fifth Track] Addicted. ***
Capitolo 6: *** [Sixth Track] When It Rains. ***
Capitolo 7: *** [Seventh Track] Memory. ***



Capitolo 1
*** [First Track] Bruised. ***


Yoooo popolo! Sono già tornata con una nuova storia - sì, mi diverto a rompervi le palle con le mie fic prive di senso. ♥ Questa volta una raccolta, perciò durerà a lungo (si spera). Con tutte le canzoni che mi ricordano la mia adorata OTP. ♥
Premetto: so che sembra scontato, ma vi chiedo per favore di ascoltare la canzone nominata nella storia. Per portarvi ad entrare nella fanfiction, fino a dove le parole non sanno arrivare ma la musica sì. è importante per me, perché a queste song-fic ci tengo davvero moltissimo. :3 Sono tutte mie canzoni preferite. Quindi... ascoltatele, leggetele e godetevele. Preferisco che spendiate due minuti a cercare la canzone piuttosto che a recensire, se ce li avete. Grazie.

Piccolo avviso: notate lo strano cambiamento tra i generi nella storia? Ebbene, ogni storia sarà incentrata soprattutto su un genere, ma EFP non permette di segnarli tutti. Quindi, farò una piccola descrizione della storia prima di ogni song-fic. THAAANK YOOOU. ♥ Ah, quasi dimenticavo: per ora le canzoni che ho in mente sono 8/9, ma se pensate di avere una canzone che vi ricorda l'UsUk, ben venga! Potete propormela e sperare che mi ispiri abbastanza da scriverci su. (: Spero tanto nelle vostre proposte, perciò assalitemi mi raccomando!

Canzone: Bruised (Acoustic Version) by Jack's Mannequin
Ambientazione temporale: American Revolution
Genere: Angst, Drammatico

Infine, questa piccola schifezza è dedicata alla persona che mi accompagna nell'UsUk da mesi e a cui voglio un bene dell'anima. Alla mia meravigliosa America. ♥ Anche se sei diversamente intelligente, mi obblighi a studiare e ti arrabbi se ti chiamo dislessica, ti voglio bene lo stesso, Bro.
Ah, ringrazio la mia adorata beta: Mari, grazie mille. Non solo perchè mi aiuti, ma perché ci sei. Senza di te manco scriverei, lo sai? Sei un po' la mia musa. Ti voglio bene. ♥


[Alfred]


We stood like statues at the gate […]
There's so much sun where I'm from
I had to give it away, had to give you away…


Stavano fermi, immobili, uno davanti all’altro. Arthur lo fissava, tenendo in mano il fucile. Si sfidavano con lo sguardo, invitandosi reciprocamente a fare la prima mossa.
Sparerà davvero…?”.
America non aveva paura; non poteva, non ora. Era stato lui a scegliere, ed ora toccava ad Arthur rispondere. Non importava se Inghilterra gli avesse fatto del male, doveva continuare ad andare avanti. Non per sé stesso, ma per la sua nazione, la sua gente. In quel momento, Alfred non esisteva, contava solo America… eppure, faceva male. E non sapeva neanche lui perché.

[Arthur]

 
Speravo, almeno l’ultima volta che ci fossimo visti, di poter ammirare il tuo sole…”.
E invece pioveva. Arthur si sentiva come se lo avessero privato della luce, anche nell’ultima volta che poteva goderne… un po’ come quando qualcuno ti toglie l’ultimo boccone di cibo dal piatto.
Trattenne una lacrima. Doveva rimanere concentrato, o avrebbe fatto una mossa falsa di cui si sarebbe pentito. L’aveva disarmato, intanto. E ora doveva solo sparargli. Fosse stato facile…
 

Sometimes perfection can be perfect hell, perfect… hell…

 
E si chiedeva perché. Erano felici. Ogni tanto il piccolo Alfred lo faceva impazzire, vero, ma erano felici. Alfred lo aveva salvato, quando si erano incontrati per la prima volta. Lo aveva scelto, cosa che nessun altro aveva mai fatto prima. Perché ora ributtava tutto indietro, come se si fosse pentito?
Un pensiero lo fulminò. Quella era la risposta. Non lo voleva più. Forse, non lo aveva mai voluto veramente, e solo la pietà l’aveva spinto a stargli vicino così a lungo. Cercò di trattenere la fiumana di lacrime, ma non ci riuscì. Era troppo difficile.
Se davvero era così, non aveva più senso combattere. Non aveva più senso sparare. Non poteva forzarlo a provare un affetto falso, a volere un fratello. Cadde in terra. Semplicemente, non aveva più senso neanche lo stare in piedi.
Merda, perché?!
 

[Alfred]


Now every word of every song 
I ever heard  make me wanna stay 

 
Rimase quasi sorpreso dalla sua caduta, come se fosse assurdo che l’altro potesse cascare. Inghilterra era forte. Lo era sempre stato. Non poteva cadere per così poco. Appariva così fragile…Quella visione lo intenerì, quasi. Ricordò le parole dolci che Inghilterra gli diceva, da piccolo, quando era America la nazione fragile. Avrebbe voluto rimanere insieme a lui, abbracciarlo, e ancora una volta farlo smettere di piangere. Come aveva fatto molto tempo prima. Ma non poteva… lo aveva promesso a sé stesso, a quella parte di sé che era America.
 Lo guardò mentre piangeva, le lacrime che si confondevano con la pioggia.
Anche la mia terra piange con te, Inghilterra. E pensare che un tempo eri così grande…”
 

Hours pass, and she still counts the minutes 
That I am not there, I swear I didn't mean 
For it to feel like this 
Like every inch of me is bruised, bruised 

Alfred si sfiorò la guancia, come se quel pensiero gli avesse fatto venire in mente qualcos’altro. Era scioccato, accorgendosi che non soltanto le gocce fredde della pioggia gli solcavano il viso. E s’accorse anche di una stretta al cuore, forte, che quasi non lo lasciava respirare. Perché faceva male…? Cos’era ad addolorarlo tanto?
Si guardò le mani. Tremavano. Eppure, non poteva fare così male, non era previsto! Osservò di nuovo Inghilterra, pieno di rabbia. Era a causa sua che stava così male, no? Nella rabbia, dimenticò qualsiasi pensiero positivo verso l’altro uomo, si girò e andò via, mentre i suoi uomini tenevano ancora i fucili alzati. E sapeva, in cuor suo, che qualsiasi cosa fosse successa non sarebbe tornato indietro. Anche se faceva male.
 

[Arthur]


And don't fly fast. Oh, pilot can you help me? 
Can you make this last? This plane is all I got 
So keep it steady, now 
Cause every inch you see is bruised, bruised, bruised

 

Arthur alzò lo sguardo, notando che Alfred si stava allontanando. Non poteva lasciarlo andare. Non poteva. Sebbene sapesse di non poterlo costringere, doveva farlo. Sebbene sapesse che chi ama dovrebbe lasciare andare, lo amava troppo per potergli permettere di andare via.
Si alzò in piedi, e lo rincorse, correndo. Le braccia in avanti, inciampando nel fucile e nel fango, lo inseguiva come se fosse l’unica sua speranza di salvezza.
Non andare via! Ti prego, non andare via! Non volare via da me… rimani qui… non vedi come mi fai stare male?! NON ANDARE VIA!”
Sentì braccia avvolgersi intorno a lui e bloccarlo, sentiva voci dirgli di fermarsi, ma tutta la sua attenzione era concentrata sulla figura che si stava allontanando. E, osservandola svanire nella pioggia, sentì che non importava quanto avesse pregato fino a quel momento, non l’avrebbe mai vista girarsi e ritornare. Si lasciò cadere per la seconda volta, ignorando se qualcuno l’avesse preso oppure no. Non aveva più importanza.

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Capitolo 2
*** [Second Track] Thank You Mom. ***


Premetto, questo capitolo non mi soddisfa per niente T_T Anzi, fa proprio schifo gente. Ho rovinato la canzone, lo so. A proposito, Arthur mi ucciderebbe per averla scelta e averlo considerato come una donna. xD Ma ci stava troppo bene~
Comunque. Questo, al contrario del precedente, è un capitolo relativamente allegro e fluffoso. ♥ Spero piaccia, ma non credo. Fa schifo. Mi fa schifo come scrittrice, ma ci tenevo ad aggiornare - se non l'avessi fatto ora non l'avrei aggiornata ma più 'sta raccolta. Per dire, questo capitolo non è neppure betato. Ok, crocifiggetemelo. Lo merita. Però la canzone ascoltatela nel frattempo, perché è tanto bella. ♥

Ripeto che comunque potete consigliarmi delle canzoni da mettere nella raccolta, sarebbero ben accolte! E se avete il tempo, mi farebbe piacere ricevere qualche recensione, anche negativa! Grazie mille ♥!

Canzone: Thank You Mom by Good Charlotte
Ambientazione temporalepre-American Revolution (chibi!America)
Genere: Fluff. Fluff. Fluff all'ennesima potenza. :3


Arthur era tornato. Alfred l’aveva abbracciato – o meglio, gli era praticamente saltato addosso – immediatamente, appena era sceso dalla nave. Era felice come non mai, in quel momento, perché nonostante Arthur gli dicesse sempre che sarebbe tornato, Alfred aveva paura che mentisse, paura che svaniva solamente al suo effettivo arrivo. Alfred arrossì: si sentiva debole e in imbarazzo per questo motivo; non voleva che la gente pensasse che fosse dipendente da Arthur.
Quest’ultimo, notando il lieve rossore che si era diffuso sulle guancie di America, lo strinse più forte e gli baciò la fronte con dolcezza. Era cresciuto ancora.
“Ehi, pulce. Sei diventato ancora più alto, vedo,” disse Inghilterra sorridendo al fratello. L’altro sorrise, quel sorriso meraviglioso e più luminoso del sole, e rispose annuendo con forza.
“Sì! Davvero, Inghilterra, la prossima volta che mi verrai a trovare sarò più alto di te!”
“Ah sì? Ci crederò quando lo vedrò!”
I due risero insieme e poi si diressero verso casa. Quella era la discussione che facevano sempre, ogni volta che Arthur tornava… e l’avrebbero fatta per sempre.
 

Always, always and forever…

 
Mentre tornavano, però, America era stranamente silenzioso. Pensava a quanto gli fosse mancato Arthur, a quanto volesse stare con lui per più tempo possibile adesso che ne aveva la possibilità. Voleva mangiare i suoi piatti, voleva vederlo sorridere. Voleva sentirlo ridere di nuovo. Gli strinse la mano forte.
“Arthur, torniamo a casa veloce. Devo farti vedere una cosa.”

I'm listening to the dishes clink 
You were downstairs,
you would sing songs of praise

And all the times we laughed with you

Inghilterra era pressoché sconvolto quando America iniziò a correre trascinandolo per la mano, ma sorrise all’energia del piccolo. Appena arrivarono in vista della loro casa, America lo lasciò, mormorò un “aspetta qui, ti vengo a chiamare tra poco” e si precipitò dentro. L’altro, ancora stupito, rimase lì immobilizzato.
Il piccolo tornò pochi istanti dopo, con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
“Puoi entrare,” mormorò “Ho finito.”
Inghilterra entrò, curioso. America lo condusse in cucina, e ciò che vide lì lo fece commuovere. Sopra il tavolo c’era una serie di utensili da cucina, nuovi di zecca, e sopra tutto un disegno fatto da America, con se stesso e Arthur, e la scritta “I missed you”.
America abbracciò il fratello maggiore, e lo strinse.
“Mi mancava la tua cucina…”
Inghilterra lo strinse a sé, ridendo piano. Era incredibile che a qualcuno mancasse il suo a dir poco pessimo modo di cucinare, e questo lo rendeva felicissimo.
“Allora ti preparo qualcosa? Però devi darmi una mano!”
“Io apparecchio, ovvio!”
I due risero insieme. Così, mentre Alfred si muoveva elegantemente tra tavolo e credenza, facendo rumore coi piatti, Arthur cucinava cantando una di quelle canzoni di guerra e di eroi che ad Alfred piacevano tanto. E Alfred non poteva essere più felice.

You were my mom, 
you were my dad, 
The only thing I ever had was you, 
It's true,

 
Dopo pranzo, Alfred convinse Arthur a uscire a giocare. O meglio, lo prese per il bracciò e lo tirò finché non acconsentì.
Erano andati vicino a un laghetto, e Alfred correva da tutte le parti, cercando di farsi prendere da Arthur – che al contrario, cercava di fermarlo ridendo come un matto.
Dopo un po’ di rincorsa – a cui vinse Alfred, ovviamente – si buttarono stanchi sul prato. Il loro petti si alzavano e abbassavano in fretta, seguendo i loro respiri affannati.
Alfred guardò Arthur con un immenso moto d’affetto. Adorava giocare con lui, cucinare con lui, ascoltarlo cantare. Era l’unica persona cui voleva davvero bene, l’unico che gli fosse sempre stato accanto. Era davvero il suo tutto; lo era stato da quando America l’aveva visto piangere per la prima volta. Era strano; sebbene Arthur fosse in un certo senso suo genitore, era spesso toccato ad Alfred consolarlo e confortarlo, mentre come figura semi-paterna sarebbe dovuto essere il contrario.
Però ad Alfred andava bene così. Si consolavano e facevano compagnia a vicenda; come Inghilterra era il suo tutto, America era tutto per lui. E andava bene così.

And even when the times got hard you were there,
To let us know that we'd get through,
you showed me how to be a man,
You taught me how to understand the things people do

Alzandosi, Alfred osservò l’altro. Sorrideva, gli occhi chiusi, come immerso in qualche sogno troppo bello per svegliarsi. Il piccolo si allontanò, senza fare rumore, e salì sul ponticello che si protendeva verso il lago. Si specchiò nell’acqua, soddisfatto del suo riflesso.
Improvvisamente Alfred sentì la voce di Arthur chiamarlo e si rialzò di scatto; questo lo fece scivolare e cadde in acqua.
Ebbe appena il tempo di gridare “Aiuto” che già era sotto, annaspando nel tentativo di risalire. Non sapeva ancora nuotare bene, perché l’altro non gliel’aveva mai veramente insegnato. Era complicato da spiegare, Alfred non aveva esattamente capito perché non gliel’avesse insegnato – Alfred raramente capiva le cose che facevano le persone, nonostante Arthur lo aiutasse in questo.
In ogni caso, in quel momento non importava. Importava che Alfred stesse affogando e che Arthur non l’avesse ancora salvato. Questo non era normale. Tendenzialmente, Arthur era sempre lì quando aveva bisogno, a dirgli che tutto sarebbe andato bene. Ora stava affogando, e se non l’avesse salvato le cose non sarebbero andate bene.
Alfred pensava giusto. Infatti, appena aveva visto il fratellino cadere in acqua Arthur si era precipitato a prenderlo, tuffandosi tutto vestito, anche se non sapeva nuotare.

And I thank you,
I'll always thank you;
More than you could know,
Than I could ever show.
And I love you,
I'll always love you

“Alfred! ALFRED!”
Qualcuno lo chiamava, ma lui sentiva a malapena. Sott’acqua era rimasto per qualche secondo senza respirare e ora aveva il cervello un po’ fumoso. Sbatté le palpebre, mettendo a fuoco la figura di Inghilterra. Quest’ultimo, piegato su di lui, aveva le lacrime agli occhi.
“Stupido! Non dovevi salire sul ponticello da solo, hai rischiato grosso! E mi hai fatto prendere un colpo quando mi sono svegliato ed ero solo. Non allontanarti più da solo!”
Nonostante le parole dure, Arthur lo strinse forte. Alfred sorrise sul suo petto.
“Grazie, fratellone.” Mormorò, senza forze. Arthur non lo sapeva, ma il suo non era un grazie puramente riferito al fatto appena accaduto. Era un grazie più generale, per fargli capire che gli era grato per tutto ciò che aveva sempre fatto per lui, e che lo amava anche per questo. Era un grazie per le nottate abbracciati quando era spaventato, per i piatti cucinati unicamente per lui, per le storie fantastiche raccontate alla luce lunare.
Alfred lo intese così, eppure sapeva che neanche un milione di quei grazie sarebbe bastato per tutto quello che Inghilterra aveva sempre fatto, e avrebbe fatto ancora, per lui.

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Capitolo 3
*** [Third Track] A Little Less Sixteen Candles, A Little More Touch Me. ***


Okay, la premessa l'avevo già scritta. E quel *censored* di Chrome me l'ha fatta partire. >_> Quindi, perdonate il commento veloce.
Premetto comunque che qualcuna mi vorrà morta per questo. *addit Bro a caso* Scusa, andando avanti così ti rovinerò tutte le canzoni dei Fall Out Boy. D:
Anyway, siete libere di creare bamboline voodoo con la mia faccia e infilzarle con degli spilloni, riempirmi di insulti e mandarmi minacce di morte. Lo accetto e lo comprendo, nella mia immensa bontà. ♥ Anche se mi avete deluso, lettrici - se esistete. 110 visite al primo capitolo e 2 recensioni? Questo non è per niente awesome. Prussia rimarrebbe deluso di voi. D: Chiedo scusa se rompo, eh, ma due minuti ci vogliono per una recensione ;3; so che scrivo male. Ma ci metto impegno ;3; -fine vittimismo della scrittrice-
Poi boh. Non so, questa storia è strana, premetto. Fa un po' commedia americana. E fa un po' schifo, ma ho fatto del mio meglio. Ci tengo però, perché questa è una delle prime canzoni che collegai all'UsUk, anche se un sacco di gente mi ha chiesto cosa avessi fumato per averci pensato. x° Ve lo dico: non fumo niente, mi viene così naturale.


Canzone: A little Less Sixteen Candles, A Little More Touch Me by Fall Out Boy
Ambientazione temporalepost-WWII (imprecisato - uno dei loro svariati meeting. Non pretendete la precisione da me, dammit.)
Genere: Commedia, Romantico, e forse un po' drammatico

Alfred si alzò dalla sedia, piuttosto arrabbiato. Lui ed Arthur stavano litigando. Non che non fosse normale, lui e l’inglese litigavano quasi quanto lo faceva quest’ultimo con Francia – a pensarci, Arthur litigava praticamente con tutti – però questa volta lo stava infastidendo particolarmente.
Aveva, di nuovo, iniziato a discutere della Rivoluzione Americana, di come l’altro l’avesse abbandonato dopo che l’aveva cresciuto per secoli, e del fatto che aveva tradito suo fratello, che l’amava come nessun altro. E bla bla bla.
Insomma, non che a lui non fosse dispiaciuto di lasciare Arthur. Gli era dispiaciuto eccome, e anche per lui era ancora una ferita dolorosa, ma sapeva che dovevano fare pace, per portare il loro rapporto a uno stato più avanzato. E lui ci teneva proprio, a quest’ultima cosa.

I confess, I messed up
dropping "I'm sorry" like you're still around

And I know you dressed up
"hey kid you'll never live this down"

Mentre lui era immerso nei suoi pensieri, Arthur aveva continuato a sbraitare e sbraitare e ancora sbraitare.
“Ma almeno mi stai ascoltando?!” gridò l’altra nazione, piuttosto irritata dall’atteggiamento incurante dell’americano.
“Devo essere sincero? Non molto, a dir la verità. Il problema è che non dici cose interessanti. Parli sempre delle stesse cose… alla lunga è noioso.”
L’occhiata dell’inglese fu, contemporaneamente, una delle cose più divertenti, carine e dannatamente spaventose che avesse mai visto.
Trovava tenero il rossore sulle sue guance, sebbene fosse causato unicamente dall’ira, ma lo sguardo negli occhi verdi lo spaventò: non soltanto per la rabbia presente in essi, ma soprattutto per il dolore immenso che emanavano. Si sentì colpevole, come se lo avesse abbandonato per la seconda volta.
“Scusa…” mormorò, talmente piano da essere incredibile che fosse lui, America, a parlare, normalmente uno tra le nazioni più rumorose.
“Non è per questo commento che devi chiedere scusa…e lo sai,” rispose l’altro con sguardo freddo. Poi tornò a sedersi.  L’atmosfera nella sala si era raggelata, così Germania iniziò di nuovo a parlare del riscaldamento globale per distrarre le nazioni.
Alfred però non lo stava a sentire. Era troppo occupato a pensare che, nonostante i suoi propositi, Arthur non l’avrebbe mai perdonato; non contavano tutte le sue scuse e i suoi tentativi.

'Cause you're just the girl all the boys want to dance with
And I'm just the boy who's had too many chances

Inoltre, c’erano molte altre cose che non aiutavano la sua scalata al cuore dell’inglese. Prima fra tutte, la scomoda presenza di Francia. Non che a lui stesse antipatico… Però era sempre lì, accanto al suo Arthur, e anche se litigavano Alfred sapeva che nascondevano stima reciproca e perché no, affetto. E questo gli dava un immenso fastidio. Non era geloso, assolutamente. Non aveva motivo di esserlo, lui ed Arthur non stavano neanche insieme – anche se gli sarebbe piaciuto molto.
Quel che l’infastidiva era che sapeva di poterci essere lui accanto ad Arthur. Ma, come gli aveva detto Francis una volta che gli aveva fatto notare la loro scomoda vicinanza, aveva avuto la sua possibilità. E l’aveva sprecata miseramente. Semplicemente, l’altro era troppo rancoroso. Una volta che la fiducia da lui offerta veniva tradita, si ritirava come una cozza nel suo guscio di solitudine e diffidenza. E beh, Alfred la sua fiducia l’aveva tradita eccome!

Write me off, give up on me
Cause darling, what did you expect?
I'm just off a lost cause
a long shot, don't even take this bet

 
In ogni caso, la sua occasione l’aveva persa. E Arthur non avrebbe rischiato di soffrire di nuovo. Sospirò a quel pensiero, mentre Germania annunciava il break. Si alzò in fretta, desideroso del suo caffè. Mentre si dirigeva verso il bar, ebbe la sfortuna – o fortuna? – di vedere proprio il suo “pensiero fisso” alle prese con il tè.
“Ehi,” salutò, con voce dolce.
“…Ti sei già dimenticato della nostra discussione? Davvero t’importa così poco?”
Il “Di me”, penso Alfred, era chiaramente sottinteso.
“No! Assolutamente!” gridò, incurante delle occhiate delle altre nazioni presenti, “semplicemente, pensavo che potessimo fare pace a passarci sopra. Come facciamo di solito.”
“Già, ho notato che per te è molto facile passare sopra ai miei sentimenti,” replicò l’altro con amarezza.
Alfred lo fissò. No, non era così che doveva andare.
“N-non è quello che intendevo! Volevo dire… sì insomma… non voglio litigare con te, diamo fastidio e-e penso che non sia giusto… avevamo un così bel rapporto-“
“Hai detto giusto. Avevamo. Ora è finita, America.”
Si guardarono per qualche istante infinito. Alfred aveva capito di aver ragione. Non c’era speranza.
“Quindi… basta? Stop, finita del tutto? Non puoi perdonarmi, darmi un’altra cazzo di possibilità?! No, devi metterla sempre giù difficile. Devi subito prenderla come una causa persa!” disse, aumentando d’intensità con ogni parola.
L’altro spalancò gli occhi: vedere America arrabbiato non era cosa da tutti i giorni. Rispose con freddezza.
“Esatto. Sono proprio così. Quindi, se non ti dispiace, poiché noto che ti arreco disturbo, vado via.”

She said, she said, she said,
"Why don't you just drop dead?"

“No, ti supplico aspetta!” disse l’altro afferrandogli un polso prima che s’allontanasse.
“Cosa, di grazia, devo aspettare? Altri insulti? Dopo che ti ho cresciuto, che ti ho amato come nessun altro… tu mi tratti così! Fammi un favore, dopo tutto quello che ho fatto per te. Vattene, muori, lasciami in pace. Non abbiamo più nulla da spartire, tu ed io.”
Alfred lo lasciò andare. Si sentiva un idiota per essersi comportato così ed aver perso il controllo.
Bravo, America, proprio bravo.”

I don't blame you for being you
But you can't blame me for hating it
So say, what are you waiting for?
Kiss her, kiss her
I set my clocks early 'cause I know I'm always late

L’americano stava malissimo. Gli veniva da urlare per la rabbia e il rimorso. Era davvero stupido. Se aveva pensato, fino a quella mattina, di poter avere una possibilità con Arthur, o almeno di poterci far pace, aveva sbagliato completamente. Era piuttosto evidente che l’altro lo odiava… e anche molto, a giudicare dal suo invito a morire.
Scosse la testa. Quella mattina era stato così convinto che l’incontro sarebbe andato bene… che gli avrebbe parlato e detto la verità per davvero… che si sarebbero baciati e sarebbe tutto finito come nelle commedie per ragazze che fingeva di non guardare.
Ci aveva pensato ore ed ore. E adesso era tutto perduto.
No, non posso arrendermi così! Io sono un eroe!” disse a se stesso.
Aveva aspettato fino a quel momento. Non doveva esitare perché qualcosa era andato storto. Avrebbe dimostrato ad Arthur che si sbagliava, che avevano ancora una possibilità.
Sì, ce la farò!
Così tornò verso la sala conferenze, ritemprato, fino a quando sentì una voce dentro un’altra stanza – una delle tante dell’edificio.
“Ahahah, Arthur, basta ti prego! Mi fai il solletico così!”
Una voce femminile. Perché una voce femminile stava parlando così al suo Arthur? Sembrava fin troppo amichevole.
“Dai… Ho già avuto una brutta giornata, almeno vorrei che la mia ragazza mi baciasse senza fare storie. Chiedo troppo?”
Silenzio. Poi un’altra risatina, e rumori di baci umidi scambiati. Ma ad Alfred non importava granché. Era troppo occupato ad ascoltare il suo cuore, perché era certo di averlo sentito spezzarsi.
“Come mai brutta giornata? Colpa di quell’idiota divora-hamburger?” chiese la ragazza, in una pausa tra i baci.
“Esatto… è dannatamente irritante.”
“E poi come si atteggia! Pensa che a tutti freghi di lui… pensa che a te freghi, soprattutto. Come se t’importasse ancora qualcosa.”
Se non fosse stato un eroe, l’americano si sarebbe messo a piangere a quel commento, ne era certo.
“Già, come se mi importasse ancora qualcosa…”
“Tanto, adesso ci sono io con te. Non è vero? E ti amo tanto!” qualche altra risatina, e di nuovo rumore di baci. Alfred cercava di non ascoltare, di pensare ad altro, perché era troppo doloroso… anche se non quanto l’ultima frase pronunciata da Arthur, tra qualche leggera risata.
“Lo so, e ti amo anche io, Sesel.”

I set my clocks early 'cause I know I'm always late.

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Capitolo 4
*** [Fourth Track] Hard To Say. ***


Incredibilmente, ce l'ho fatta. Per davvero. :3 Sono contenta e soddisfatta, stranamente, perché nonostante tutto sono riuscita a ripagarvi delle vostre dolcissime recensioni e anche solo di aver letto! :3 Vi dirò, volevo fermarmi. E penso che dopo questo capitolo ci metterò un'altra vita a riaggiornare - ma essere riuscita a terminare mi ha rialzato di morale! :3 Quindi boh. Spero vi piaccia, non ne sono così soddisfatta... però chissà. Ah, e poi c'è Mattie. Perché Mattie è figo e io lo amo e senza di lui le cose non sarebbero le stesse.

Vi dico di nuovo che se avete canzoni da usare per loro, parlate. Cioè, lo so che ho giusto due che mi recensiscono, e che nessuno vuole consigliarmi canzoni, ma per favore su ;3; ho fatto del mio meglio per questo capitolo... *puppy eyes* ;3; ...Naaah, scherzo, vi ringrazio anche solo per leggere questa schifezza che chiamo raccolta~

Canzone: Hard To Say by The Used
Ambientazione Temporale: post!American Revolution, imprecisato (comunque prima della WWI)
Genere: Angst. Angst. Angst. Ho già detto angst? E poi introspettivo. E un po' Hurt/Comfort.

Ringrazio ancora una volta la mia fantastica beta, la mia metà Mari. Seriamente, senza di te mi dici un po' come farei? ♥ E boh. Per te, che sai di essere tu. Questa storia l'ho cominciata per te, la sto scrivendo per te anche se abbiamo litigato. E mi dispiace tanto, davvero. Ma non ci posso fare niente. Nel senso, potrei dirti che non importa o che va tutto bene, ma lo sappiamo che non è così e che tutto tornerà come adesso, se la finiamo in questo modo. E vorrei davvero che tornasse tutto come prima, ma non ci credo più. Quindi non so più che dire. Sono una codarda a scrivertelo qua, lo so, ma non so che altro fare. Però ti voglio bene e te ne voglio tanto. E te ne vorrò sempre, anche se mi sto comportando da idiota.


Matthew non sapeva perché, ogni quattro luglio, si ritrovava in un vecchio pub inglese, immerso nella puzza di birra e di vomito, insieme a colui che considerava un “fratello maggiore”. Forse sentiva che fosse un suo dovere rispondere alla chiamata di Francis, e fare compagnia ad Inghilterra… tuttavia, di certo non lo trovava piacevole. Oltretutto, erano comunque passati anni da quando America se n’era andato – l’altro avrebbe dovuto esserci passato sopra tempo fa! Canada aveva iniziato a stancarsi di dover essere sempre una spalla su cui piangere.
Infatti, sebbene nessuno lo notasse, era stato lui ogni volta a consolare Arthur, da quando Alfred l’aveva lasciato. Molti pensavano fosse stato Francis… E questa era la dimostrazione di quanto le altre nazioni poco conoscessero Inghilterra.
In quella notte, quell’unica notte di tutto l’anno, Arthur si concedeva di deprimersi, di ricordare. Si concedeva di odiare Francis più del solito, perché era anche colpa sua se lui se n’era andato. Si concedeva di ubriacarsi e piangere come una ragazzina.

The singer sheds a tear, her fear of falling out
And it's hard to say how I feel today
For years gone by and I cried

La storia era sempre quella. Inghilterra, appena arrivati al pub, iniziava a bere un whisky dopo l’altro, per ubriacarsi il prima possibile. Poco gli importava del mal di testa del giorno dopo, poco gli importava delle lacrime che, non più bloccate dal suo autocontrollo, iniziavano a scendere, continue. In quei momenti semplicemente cadeva nel baratro, in un’oscurità da cui non voleva più rialzarsi.
“S-sai. hic, qual è la cosa che più m-m-mi fa soff-hic-rire?” disse una volta, fissando Matthew con occhi languidi, “è che n-non so neanche, hic, come mi sento. N-non sono, hic, più così triste. È come se, hic, mi avesse tolto ogni emozione che pote-hic-ssi avere…”.
Matthew aveva continuato a fissarlo, attonito. Non credeva che l’americano avesse fatto così tanto male all’inglese da renderlo così.
“E sono, hic, già passati così tanti anni…”

My worries weigh the world, how I used to be
And everything, I'm cold, seems a plague in me

A Matthew non piaceva fare il “consolatore” anche per un altro motivo. Perché faceva male. Era dannatamente doloroso vedere il proprio modello, la propria figura paterna, ridotta ad un ometto debole e sofferente. Era troppo per lui. Le preoccupazioni dell’altro diventavano le sue, e non era sicuro di poterle sopportare. Anche lui aveva diritto ad avere qualcuno che lo proteggesse sempre, come prima lo aveva avuto America. Perché invece gli toccava la parte contraria?
Eppure mai una volta s’era lamentato, mai una volta aveva rifiutato di confortare l’altro. Non importava quanto fosse una piaga per lui doverlo fare, accettava tutto con un sorriso, anche se l’altro ricambiava solo uno sguardo freddo. Ma sapeva di far del bene, soffrendo al posto suo. Il male di Arthur era un male che solo lui, con affetto, poteva curare. O almeno così sperava.
 

It's hard to say that I was wrong
It's hard to say I miss you
Since you've been gone, it's not the same

It's hard to say I held my tongue
It's hard to say if only

“La verità, hic, è che mi manca. M-mi manca il suo, hic, sorriso, mi m-manca il suo affetto, i suoi abbracci, t-tutto. N-nulla potrà portarlo indietro… ed è colpa mia, hic. S-se non gli avessi alzato le tasse… se, hic, fossi tornato più spesso… è tutta colpa mia, e ora lui non c’è e ogni quattro luglio io sono qui, hic, a romperti l’anima… p-patetico, vero?”
E Matthew non sapeva che altro fare, se non guardarlo con occhi vuoti. Forse non c’era speranza, e Arthur non sarebbe mai guarito davvero, senza Alfred. Forse era troppo tardi per sperare.
“S-se soltanto gli avessi detto la verità… s-se gli avessi d-detto, hic, che lo amavo davvero… forse non s-sarebbe mai andato via…”
Quella volta, il canadese era rimasto davvero sconvolto. Non era sicuro di che tipo d’amore parlasse l’altro, ma era relativamente certo che non si trattasse d’amore fraterno. Dopo poco Inghilterra s’era addormentato sul bancone, e lo aveva riportato a casa, in preda a vari pensieri. Quella notte non sarebbe riuscito a dormire.

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Capitolo 5
*** [Fifth Track] Addicted. ***


HAHAHA, salve donnoleH! come al solito sono in ritardo. #si picchia. Avevo promesso che avrei aggiornato entro Natale, ma dovreste aver capito che dico sempre balle in tal ambito =w= ~ In ogni caso, eccoci qui con il nuovo capitolo! (Forse l'unico allegro di tutta la raccolta, quindi godetevelo vuv) ...Peccato che faccia schifo. Seriamente, l'angst è molto più facile da scrivere del comico, quindi credo che ci ritornerò presto- ma questo doveva far ridere! L'ho promesso a me stessa! Ciemmecu, ci ho messo tanto proprio perché ero troppo giù di morale per scrivere un capitolo divertente in modo decente, quindi sorry çAç Ah, all’inizio la storia era un po’ diversa, ma l’ho riscritto tre volte e non mi soddisfava mai, così l’ho cambiata. Se alla fine penserete che Artie è un bastardo… non avrete tutti i torti.

A parte 'sta cosa, ci tenevo a ringraziare tanto LiberTea: delle canzoni che mi hai consigliato mi sono innamorata follemente di The Reason (che tra l'altro giuro, la conoscevo anche prima anche senza ricordarla, perché mi ricordo di aver visto il video su MTV quand'ero piccolaufcnusdv) e sappi che la userò. u.u (tra l'altro, mi ha anche causato una rivoluzione interna psicologica quella canzone- e ti devo ringraziare un sacco per avermela fatta ascoltare, non hai idea di quanto mi ha aiutato ;n;- ma non penso ti interessi della mia vita privata, lol.) Tra l'altro, ma tu c'eri all'hetalia day? nel senso, su facebook c'era scritto che partecipavi, se non ricordo male, e mi ero detta "se c'è devo trovarla e abbracciarla", ma poi siccome sono stupida mi sono scordata di chiedere se una di quelle che c'erano fossi tu (?), quindi poi non so se ci sei stata veramente. Se c'eri, dimmi chi eri ;n;
Ok, sto andando veramente per le lunghe HAHAHA. #si picchia
Doveva esserci qua anche una luuunga dedica a chi ho dedicato questa fanfiction, ma scrivo davvero troppo quindi alla prossima volta. vuv <3 Giusto un grazie per avermi perdonata<3 E un grazie pure all'amore mio, che mi beta ogni cavolo di capitolo e non mi picchia neanche çuç (e dovrebbe. Quanto dovrebbe). Ah, un micro-grazie anche alla Hina, che con questo capitolo ho fatto penare pure lei x° siete troppo buone, donneh.

Canzone: Addicted by Simple Plan
Ambientazione temporale: Altro meeting, successivo a "A Little Less [...]" di qualche mese
Genere: Romantico, romantico e ancora romantico. E dovrebbe essere un pochino comico, ma penso di aver fallito a farlo cwc Cioè, ci sono un paio di momenti che dovrebbero far giusto sorridere. NON SONO CAPACE DI FARE ALTRO. *emo-corner

 

I heard you're doing okay
But I want you to know
I'm addic- I'm addicted to you

Qualche mese era passato dalla pesante litigata tra le due nazioni anglofone, e nei meeting che c’erano stati nel frattempo America era sembrato più triste e abbattuto del solito. Arthur era piuttosto preoccupato, sebbene questo fatto lo facesse arrabbiare molto. Non capiva per quale motivo non riuscisse a impedire al suo cervello di pensare e preoccuparsi per l’altro, seppure si fosse reso perfettamente conto che non era più suo dovere farlo. Era strano, complicato in una maniera che  neppure lui riusciva a comprendere; infatti, differentemente da quello che pensavano tutti gli altri, lui non vedeva Alfred come un fratellino, non più, ma il problema era che nonostante questo non riusciva a smettere di considerarlo importante. E questo pensiero lo irritava e spaventava da morire, soprattutto perché aveva molte altre cose più importanti per la testa, e non riusciva a capacitarsi che comunque lui rimanesse al primo posto anche nella sua mente. Oltretutto, ultimamente oltre ai soliti problemi da nazione - l’economia in crisi, il riscaldamento globale etcetera – Inghilterra si ritrovava oppresso pure da problemi personali, avendo una brutta discussione con Sesel in corso. Recentemente la ragazza era stata molto più possessiva, gelosa e arrabbiata, e lui non riusciva a capire perché. Così litigavano spesso, e lui aveva anche accennato all’idea di prendersi una pausa – finché l’altra non era scoppiata in lacrime, decretando che nel linguaggio delle relazioni, prendersi una pausa era un modo per dire “due mesi e ci lasciamo” – e com’era ovvio nessuno voleva farsi lasciare da quel tocco di gnocco* dell’ex-impero britannico!

I can't pretend I don't care
When you don't think about me
Do you think I deserve this?

E così, si era ritrovato a riflettere ancora su tutto ciò, mentre camminava per i corridoi, diretto alla sala conferenze dove si svolgevano i meeting. Era sempre più confuso su tutto, e avrebbe soltanto voluto smettere di pensare per un po’. Sospirò piano, poi s’accorse di un suono. Credeva d’essere il primo ad essere arrivato, come capitava fin troppo spesso, ma invece si accorse d’aver sbagliato riconoscendo il suono come una voce, una voce piuttosto conosciuta.
Alfred è già qui…?” si chiese, piuttosto sorpreso, dal momento che l’Americano arrivava sempre in ritardo agli incontri. Sentire la sua voce gli fece venire in mente un’idea. Era un’idea piuttosto assurda, inconcepibile, assolutamente non fattibile, eppure in quel momento gli sembrava la cosa più ovvia da fare. Per una volta, decise che non aveva voglia di starci troppo a pensare, e decise di agire e basta. Forse fu l’irritazione e la rabbia a spingerlo a comportarsi così; in ogni caso velocizzò il passo, camminando velocemente – perché un vero gentleman non corre** - per raggiungere l’altro prima che entrasse nella sala conferenze. Raggiuntolo, gli brontolò un “fermati” appena prima di bloccarlo al muro spingendolo con il proprio corpo.
“…Tu pensi che me lo meriti?” sussurrò piano, fissandolo negli occhi, spalancati – dallo stupore? Dalla Paura? Dal disgusto? – dell’altro.
“Meritare cosa?” chiese America, incerto su come reagire a quello strano comportamento. Non era da Inghilterra comportarsi così, e lo preoccupava un po’.
“Tutto questo. Dover… dopo tutto questo tempo, sopportare l’idea che ancora m’importi di te. Tu non hai idea di quanto sia fastidioso! Diamine, vorrei odiarti. Ma non ci riesco, è impossibile, è più difficile di quanto pensassi- come posso?”
Subito dopo averlo detto, se ne pentì. Si chiese come mai, tra tutte le cose di cui poteva lamentarsi, avesse scelto quella- che non avrebbe dovuto essere la più importante (sebbene lo fosse, che lui volesse ammetterlo o no).

I tried to make you happy
I did all that I could
Just to keep you
But you left anyway

“Io… Ar-Inghilterra, non so cosa dirti,” rispose l’altro, incerto, “Cosa vuoi che risponda? Non è colpa mia se non riesci a smettere di pensare di essere il mio fratellone.”
Inghilterra percepì l’immensa voglia di uccidere l’Americano, in quel momento.
“Non è quello! Quello l’ho accettato tempo fa; pensi sul serio che anche adesso, dopo tutto questo tempo, non riesca a vederti come nient’altro? Se mai è il contrario che mi preoccupa!” gridò arrabbiato, “Anche se sì, è vero che ancora mi fa star male pensare che dopo tutto quello che ho fatto per te, tu te ne sei andato, l’ho superata! È che tu non sei mai più tornato, quello fa soffrire!”
“…In che senso?” chiese, con più calma, il più giovane dei due.
“Dopo tutto questo tempo, io ancora mi preoccupo per te. Vederti negli ultimi mesi, così abbattuto, mi ha fatto perdere la testa. Ma a te non importa! Non mi parli, non mi tratti neanche come un amico! Questo, pensi che mi renda felice?”

How long will I be waiting?
Until the end of time
I don't know why I'm still waiting
I can make you mine

A quello, Alfred non ce la fece più. Lo afferrò per le braccia, gridando:
“Pensi davvero che non mi importi?! Che io non mi curo di te?! Non vedi che è tutto il contrario, diamine?! Come l’altra volta, quando abbiamo discusso… tu pensavi solo alla tua ragazza… e poi vieni a dire a me che non m’importa?!”
“Che cosa c'entra la mia ragazz-,“ cercò di dire l’inglese, ma venne bloccato all’improvviso da un sussurro dell’altro.
“Non ce la faccio più ad aspettare,” bisbigliò Al, e lo baciò. Fu una cosa veloce, morbida, al retrogusto di caffè. Nulla di più profondo di un bacio a stampo, eppure mandò una scarica elettrica attraverso il corpo del britannico.
E in un attimo fu tutto chiaro. Il perché del suo continuo interesse nei confronti dell’americano, la sua incapacità a lasciarlo perdere, persino la gelosia di Seychelles. Lei aveva capito. Probabilmente, lo avevano capito tutti tranne lui.

Now it's over
Can't forget what you said
And I never wanna do this again
Heartbreaker

“Zittire una persona con un bacio. Fa molto cliché.”
“Lo so.”
“E questo non significa che ti ho perdonato.”
“Lo so.”
“Io ho ancora una ragazza, giusto per ricordartelo.”
“So anche questo.”
“E mi hai già spezzato il cuore una volta, chi te lo dice che ti darò la possibilità di farlo una seconda?”
“Sei tu a dovermelo dire. È una tua scelta dopotutto. Ma sappi che non ti aspetterò per sempre.”
“Questo non è confortante, te ne rendi conto spero.”
“Ho aspettato più di tre secoli, Arthur, soltanto perché tu te ne rendessi conto. E lo sai che la mia pazienza è breve.”
E così se ne andò, lasciando l’inglese, senza aggiungere altro. Suddetto inglese era incerto su ciò che era appena successo, e su quello che avrebbe dovuto fare. Sperava solo di fare la scelta giusta- inconsapevole che il suo cuore l’avesse già fatta molto tempo prima.

NOTE:
* citazione della mia prof di italiano. Mi sembrava divertente e volevo inserirla anche se fa ridere solo me. Originariamente penso fosse riferita ad Enea, lol. Comunque, è un modo arcaico per dire "pezzo di figo." Sì, sappiamo tutti che Iggs è un dannato Narciso, è innegabile. vuv
** citazione di Beltorax da "Asterix al servizio della Regina" (il film, nel fumetto non ricordo se la battuta c'è. L'ho letto troppo tempo fa. x_x) sì, sono una dannata nerd che si diverte con poco lol. (Ma non ditemi che in quel film tutte le discussioni tra Galli e Britanni non vi fanno pensare ad Artie e Franciccio, non ci credo).

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Capitolo 6
*** [Sixth Track] When It Rains. ***


Ehilà! Guardate un po' chi è risorto dai morti- sì, io. Chiedo scusa, lo so che c'ho messo 5 mesi ad aggiornare, ma ho avuto un sacco di problemi. Il computer s'è rotto, sono andata in montagna, dovevo studiare di brutto etcetera... Ok, sono scuse. Considerando anche che la bozza di metà capitolo era pronta da mesi- ehm. La verità è che questo m'ha fatto penare. La canzone era PERFETTA, e mi aveva dato un'idea fantastica, ma non sapevo come svilupparla e dove metterla sulla linea temporale, poi l'ho scritta e non avevo voglia di batterla a pc, poi dovevo correggerla perché non mi faceva impazzire... insomma, c'ho lavorato un bel po'. Quindi, un grazie alla Mari, che mi ha spinto -obbligato- a lavorarci e me l'ha corretta. ♥  Un enorme e sincero grazie di cuore. E niente, questa storia è sempre dedicata alla stessa persona. ♥ Love ya.
Nota: da questo capitolo in poi non modificherò più le caratteristiche della storia, perché le citazioni di altri capitoli non ci stanno. xD scusate.


Canzone: When It Rains by Paramore
Ambientazione temporale: 1775-1776 (inizia appena prima dello scoppio della Rivoluzione Americana e termina appena dopo la Dichiarazione d'Indipendenza)
Genere: Si torna all'angst, gente! E drammatico, credo. (?)


 Quella giornata era cominciata come tante altre, per Inghilterra. Il sole s’era alzato dietro nuvole cariche di pioggia e pesanti gocce erano scese dal cielo per tutta la mattina. Era strano, ma ogniqualvolta lui andasse in America a trovare la sua adorata colonia sembrava che portasse con sé il maltempo, ed era un vero peccato, perché non c’era nulla che gli dava più gioia di giocare fuori, al sole, con il piccolo Alfred.  Senonché ormai il suo pupillo non era più tanto piccolo.
Arthur stava lavorando alla sua scrivania, rilassato dal rumore della pioggia, quando sentì un rumore di porta sbattuta e alzò la testa.  Sorrise leggermente a vedere America alla sua porta, sebbene il suo volto serio lo scioccasse un po’.
“È educato bussare, America.”
“Non a casa propria.”
L’inglese, a tal risposta, si stizzì.
“Questa però non è solo casa tua, purtroppo.”
“Da oggi in poi ho deciso che lo sarà. Voglio più libertà, e con te qui dentro è impossibile. Devi andartene.”

And when it rains
Will you always find an escape?
Just running away
From all of the ones who love you
From everything

Cadde un silenzio tombale nella stanza. I due si guardavano; uno con sorpresa, l’altro con decisione.
“Non puoi dire sul serio... devi star scherzando,” balbettò l’inglese, il tono sconvolto e quasi spaventato - perché in fondo al cuore sapeva che non era uno scherzo, e anche se tentava di convincersi del contrario, avrebbe dovuto aspettarselo fin dall’inizio.
“Mai stato più sincero,” ribattè America, “Tu non sei più il benvenuto qui. E se non vuoi andare via, me ne andrò io al posto tuo, o ti combatterò fino a quando non eseguirai ciò che ho richiesto. Questa è la mia terra, e ci decido io.”
Dopo queste parole uscì, velocemente, sbattendo la porta. Inghilterra per un attimo rimase pietrificato, incapace di pensare o di muoversi, pregando che tutto fosse stato solo un brutto incubo. Poi si ricompose, si alzò e inseguì il ragazzo.
“Non puoi fuggire così!” gridò, tentando di fermarlo. L’altro si bloccò un istante, poi continuò per la sua strada, senza voltarsi neanche una volta.

You made yourself a bed
At the bottom of the blackest hole
And you'll sleep 'til May and you'll say
That you don't want to see the sun anymore

Passarono giorni, settimane e poi mesi da quell’accaduto, durante i quali la guerra esplose. I combattimenti si susseguivano, senza interruzione o respiro, e ogni giorno di più la terra del nuovo mondo si impregnava di sangue. Uomini un tempo fratelli ora combattevano tra loro, famiglie si dividevano sul campo di battaglia, persone oneste tradivano gli amici più cari. E Arthur faceva finta di non vedere. Non che avesse paura della guerra, al contrario: combattere era qualcosa che aveva sempre fatto parte della sua vita, forse l’unica vera costante nell’esistenza di una nazione. Ma questa particolare battaglia era più che una lotta per il potere o per qualche territorio. Se avesse iniziato a combattere lui stesso, avrebbe dovuto affrontare la reale possibilità di perdere America, anzi, di perdere Alfred. E ciò era qualcosa che non voleva accettare, perciò si nascondeva, chiudendo gli occhi alla realtà dei fatti, dicendo che non voleva vedere più il sole. Poi ci fu il 4 luglio 1776.

Oh, oh, how could you do it?
Oh I, I never saw it coming
Oh, oh I need an ending
So why can't you stay just long enough to explain?

“...Dichiarazione d’Indipendenza? Quando... quando è accaduto?”
“Lo scorso 4 luglio, sir. Tutti i rappresentanti delle tredici colonie si sono riuniti e l’hanno firmata.”
Inghilterrà si irrigidì alle parole del messaggero. Poi parlò, con voce gelida.
“Preparate una nave per l’America. Parlerò io con quel ragazzino e lo costringerò a cambiare idea.”
E così tentò di fare. Purtroppo, il suo dialogo con la personificazione delle tredici colonie (colonie ancora per poco, gli ricordò la sua mente) non andò a buon fine. Non vi furono grida o insulti, solo fredde parole prive di alcun tipo d’emozione. Il ragazzo, ormai quasi un uomo, gli disse in tono piatto che non sarebbe tornato indietro e che avrebbe continuato a combattere finché non avesse vinto. Fatto ciò, si voltò – per la seconda volta, per la seconda  volta lo lasciava volontariamente indietro – in procinto di andarsene. Una flebile voce lo fermò.
“Come hai potuto farlo?”
Appena un sussurro, la voce spezzata da un singhiozzo malcelato, la cui unica risposta fu il  silenzio.
“Dimmi almeno perché.”
“Perché voglio essere libero.”
E se ne andò. In quel momento, Arthur capì che non poteva più fingere, che l’unico modo per non perdere il suo fratellino era scendere in campo lui stesso, a capo del suo esercito – perché il suo esercito combatteva unicamente per la terra, mentre lui l’avrebbe fatto per la salute del suo cuore – e smettere di nascondersi una volta per tutte. E lui lo fece.

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Capitolo 7
*** [Seventh Track] Memory. ***


*spunta dal nulla*
Ebbene sì, la strega è tornata! Come promesso nell'altra fic usuk che ho ricominciato a scrivere, sto aggiornando anche questa raccolta di sputi oneshot. Con una canzone che in realtà non doveva esserci ma vbb. Il fatto è che qualche recensore mi aveva chiesto delle seghe mentali di Artie, e nel frattempo ho trovato una canzone che ci andava come il cacio sui maccheroni, dunque ho deciso di unire l'utile (?) al dilettevole (???) e ho scritto questo chap. è stato difficile, non lo negherò (per altre informazioni guardate l'ultimo capitolo di Remembering Sunday, non ho voglia di riscrivere le stesse cose), soprattutto perché all'inizio ero indecisa sul capitolo da scrivere. Poi Memory mi ha colpito e bum! Ecco qua. in realtà nel complesso non ci sono solo seghe mentali, ma come al solito quando si tratta di usuk e di me io volevo scrivere la fic in un modo e lei andava dalla parte opposta. Ha una sua personalità, questa raccolta ♥ Ma di questo sono felice perché dimostra che ci sto ripigliando la mano e che i miei due mostriciattoli mi ispirano ancora. Ah, vi ricordo di ascoltare le canzoni ewe E con questo credo di aver finito lo spazio per la mia n/a. xD

Canzone: Memory by Sugarcult
Ambientazione temporale: Poco tempo dopo "Addicted", imprecisato
Genere: Commedia, vagamente Fluff, vagamente Comico (?)

Infine, l'immancabile dedica. Questa storia, che è scritta per te, non finirà anche se la nostra amicizia forse è già finita da un po', te lo prometto. Perché nonostante tutto io ti voglio ancora bene e mi manchi, anche se è stupido e immaturo e infantile da parte mia. Se ti capita di ripassare di qua ricordatelo (:


Era passato qualche giorno da quando Alfred l’aveva baciato e gli aveva confessato il suo amore, e Arthur era ancora in stato di shock. Non poteva realmente credere a ciò che era accaduto, gli sembrava fosse stato un sogno o una fantasticheria ad occhi aperti; eppure era successo davvero a giudicare dai messaggini che l’americano continuava a scrivergli, pregandolo incessantemente di rispondere alla sua confessione. Era vagamente irritante in realtà, ma per lo meno l’aveva fatto ritornare con i piedi per terra. A quei messaggi fastidiosi poteva rispondere con la solita stizza con cui trattava usualmente l’altro uomo, mantenendo una parvenza di normalità nel loro rapporto- normalità che in realtà se n’era andata da un pezzo, se il fatto che l’americano era stato innamorato di lui per lungo tempo fosse stato vero. A pensarci era effettivamente sorprendente che Alfred, quell’Alfred che s’annoiava di una cosa dopo soli dieci minuti, l’avesse amato per anni, decenni, addirittura un secolo, ma gliel’aveva detto chiaramente: non s’era mai annoiato del britannico. E, per quanto ad Arthur faceva quasi male doverlo attribuire ad un’azione dell’americano, si sentiva non poco lusingato da questo fatto.
 
This may never start
We could fall apart
And I'd be your memory
 
Purtroppo però questo non gli bastava. Era evidentemente vero che l’uomo fosse innamorato di lui, ma non per questa ragione lui si sarebbe dimenticato di tutti gli screzi che c’erano stati fra di loro. La rottura che avevano passato era stata davvero profonda, dunque non c’era certezza che avrebbe funzionato se anche si fossero ipoteticamente messi insieme. Arthur era preoccupato che non l’avrebbero mai realmente superata e che alla fine Alfred si sarebbe arreso di fronte al caos primordiale che era Inghilterra, non potendo più sopportare le sue stranezze. Oppure si sarebbe potuto annoiare: il fatto che questo non fosse accaduto nello scorso secolo non assicurava che non sarebbe mai successo. C’era un’alta percentuale di rischio, da qualunque lato si esaminasse la faccenda. E l’inglese non era pronto per affrontare di nuovo un cuore spezzato e ricominciare a vivere nei ricordi.
 
This may never start
I'll tear us apart
Can I be your enemy?
 
Non avrebbe dovuto neanche cominciare a pensarci. E se anche lui amava un po’ Alfred, che cambiava? Ci sarebbe passato sopra, come aveva sempre fatto d’altronde. Non era impossibile, era abituato a far tacere i suoi sentimenti per il bene della sua salute mentale. Oltretutto, sarebbe stato un pugno nello stomaco per l’arroganza dell’americano, che si era dichiarato con così tanta baldanza, convinto che si sarebbe sistemato tutto! Era stato davvero inaccettabile da parte sua. L’aveva quasi dato per scontato, dicendogli anche che “non l’avrebbe aspettato per sempre”- ma chi voleva essere aspettato da lui! Arthur aveva una ragazza fantastica che l’amava più d’ogni altra cosa e che non l’aveva mai fatto soffrire, non aveva bisogno d’altro. E forse era vero che da un po’ stava avendo dubbi sulla loro relazione, ma questo capita anche alle coppie migliori e tutto sommato avere dubbi è umano e sacrosanto, soprattutto per una nazione che potrebbe stare accanto a una stessa persona per secoli e secoli. Non significava che lui non l’amava, di questo era certo.
Pensando a Sesel gli apparve  un leggero sorriso sul volto, e così si decise. Non aveva alcun diritto a farla soffrire solo per un capriccio che probabilmente sarebbe anche finito male, così prese il cellulare, intenzionato a chiamare l’americano per dirgli che aveva deciso, quando sentì una voce fuori dalla finestra.
 
Losing half a year
Waiting for you here
I'd be your anything
 
“Che diavolo…?”
Una voce stava cantando. Sotto il suo balcone. Una voce che lui conosceva fin troppo bene.
“Alfred, che cazzo stai facendo?!”
- Erano anni che non lo chiamava per nome, ma dopo quella strana confessione gli sembrava crudele continuare a mantenere quella fredda lontananza chiamandolo solo “America”.
Il ragazzo – che non era più un ragazzo già da un po’, in verità – smise di suonare la chitarra che portava al collo, alzò la testa e sfoderò un sorriso a trentadue denti che quasi dava fastidio agli occhi, tanto era luminoso.
“Non stavi rispondendo ai miei messaggi, ed ero certo che fossi in preda a mille dubbi su come reagire alla mia confessione. Sai quel che ho detto l’altra volta, che era una tua decisione? Be’, ci ho pensato ed è vero, voglio che sia tu a decidere, ma non posso sperare che lo farai in mio favore se io non mi dimostro totalmente sincero e intenzionato a far funzionare questa cosa, così ho pensato di farti una serenata per dimostrarti quanto sei importante per me, dato che so che adori queste cose esageratamente romantiche, anche se non lo ammetti. So che hai paura, Artie, e che spesso mi sono comportato da idiota con te, e che hai una ragazza e che ci sono mille ragioni logiche per cui io non merito questa possibilità, ma io ho una ragione che le supera tutte. Io ti amo. L’altra volta non l’ho detto, pensavo fosse ovvio, ma forse hai bisogno di sentirtelo dire. Io ti amo, e sono qui pronto a tutto pur di potertelo dimostrare ogni giorno.”
 
So get back, back, back to the disaster
My heart's beating faster
Holding on to feel the same
 
“…Sei un idiota.”
Arthur, rosso in volto e con il cuore che stava per uscirgli dal petto, voltò le spalle alla finestra e tornò dentro, chiudendola con forza. Il vetro attutiva per la maggior parte le grida dell’americano, che gli stava urlando di fermarsi e di dirgli cosa stava pensando.
“Artie! Artie, dove stai andando? Artie!”
L’inglese lo ignorò, come ignorò anche quel dannato soprannome, e si diresse in cucina per farsi una tazza di tè e calmarsi. Non poteva crederci. Alfred  che veniva sotto la sua finestra a fargli una serenata era ancora più surreale di Alfred che lo baciava in un corridoio a un meeting del g8.
“Ditemi che questo è solo un incubo...”
Era stato a dir poco imbarazzante, senza considerare anche la dichiarazione. Non avrebbe mai più guardato i suoi vicini in faccia, ne era sicuro. Nonostante questo, capiva le intenzioni dell’altro uomo, e ne apprezzava il coraggio – e la faccia tosta. Dopotutto era stato estremamente imbarazzante anche per lui, però l’aveva fatto comunque. Per Inghilterra. Non poteva negare che la cosa gli faceva sentire uno strano calore nel petto, e che l’americano non aveva del tutto torto: la sua ragione ben valeva le altre più sensate e logiche. E se anche lui avesse provato a seguire questa linea di pensiero, per una volta? Adesso era ancora più confuso di prima. Fece un respiro profondo, e prese una decisione. Se era così difficile decidere di lasciar perdere per sempre Alfred, voleva dire che teneva a lui più di quanto pensasse e che sarebbe stato dunque ingiusto rimanere con Sesel senza amarla quanto meritava. E se avesse lasciato Sesel, tanto valeva dare una possibilità all’americano, che ormai aveva rivoltato le sue convinzioni – e la sua intera esistenza - dalle fondamenta.
“So già che me ne pentirò,” borbottò tra sé e sé, e afferrò il telefono. Stavolta era certo di cosa voleva dire.
 

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