Musical Love

di Qetsiyah313
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Impatto ***
Capitolo 2: *** La Sveglia ***
Capitolo 3: *** Buone Novelle ***
Capitolo 4: *** La Malattia ***
Capitolo 5: *** E inaspettatamente... ***



Capitolo 1
*** Primo Impatto ***


Sorrido. Apro gli occhi e tasto con la mano alla ricerca della sveglia, che ormai mi sta trapanando i timpani. Scatto giù dal letto. Sono elettrizzata. La data del 2 Aprile coincide con l'inizio del liceo e la prima lezione di danza del nuovo anno! Mi vesto in fretta. Non posso aspettare, devo arrivare in anticipo per la cerimonia di benvenuto. E inoltre devo anche salutare mio fratello, il segretario delegato del college dove per i prossimi quattro anni vivrò la mia vita. Certo, non sarà facile convivere con un'altra persona in quei piccoli alloggi, ma ce la farò. E dovrò farmi scrivere una giustificazione dalla ragazza di mio fratello, la segretaria della direttrice, la dolcissima Mayu Taneda, per le lezioni di danza a tre chilometri dalla scuola. Non sarà per nulla facile, considerando gli standard di quella scuola. Arrivo velocemente davanti ai cancelli del college grazie al sub di mio padre. Tutta la roba che la mia stanza conteneva ero riuscita a schiacciarla miracolosamente in soli quattro borsoni, due trolley e almeno dieci sacchetti enormi. Bhe, sono fortunata ad avere mio padre qui a darmi una mano. Avendo il segretario delegato come fratello, so esattamente qual'è  la mia stanza. La numero 3 del dormitorio a ovest, quello più isolato tra i quattro dormitori. Scaravento la mia roba sul letto sotto la finestra e corro via, verso la sala magna dell'istituto, lasciando mio padre a boccheggiare stracarico di borse. Raggiungo velocemente il portone principale. La ghiaia scricchiola sotto i miei piedi, tutto il sentiero alberato è ricoperto di queste minuscole pietrine, e, qualche volta, il vento trasporta i piccoli fiori rosa, caduti dagli alberi che circondano il viale. Vado a sedere nell'unico posto nel mio campo visivo ancora libero, in fondo al salone. Accanto a me vedo una ragazza dai capelli tinti di azzurro, entrambi i posti di fianco sono vuoti, quindi mi sistemo di fianco a lei, che è tutta intenta a torturarsi una ciocca di capelli turchini. Appena mi nota si volta e mi squadra. Anche lei ha un taglio di occhi occidentale. Mi afferra per le spalle.
-Wow, una ragazza come me!
-C-come te?!
Il suo sorriso si spalanca. Ora capisco perché non ha nessuno di fianco.
-Siiii! Piacere, io sono Federica, chiamami Akiko se vuoi! Che bello!!! Diventeremo migliori amiche! 
Mi abbraccia un po' troppo forte, tanto che per qualche secondo non riesco a respirare.
Lascia la presa per controllare l'orologio.
-mamma mia! Quella ragazza è sempre in ritardo! Giuro, appena arriva la prendo a schiaffi! Enia Enia, bisogna svegliarsi presto, la mattina...
Lascio la ragazza ai suoi pensieri, perché vengo distratta dalla voce pacata della preside che risuona chiara nel salone. Anche Federica si zittisce e si gira a sentire il lungo e noioso discorso che ci si sta per presentare davanti. Ogni tanto vedo la mia vicina sbadigliare, annoiata a morte dal discorso, e ogni tanto affascinata dal tono soave della voce dell'anziana signora.

Torno nella mia stanza, leggermente sgomenta dalla frettolosa presentazione di Federica e ancora imbarazzata per aver recitato più o meno abilmente il discorso delle matricole. Non capisco a cosa serva. Anche se sono entrata con i voti più alti della scuola non vuol dire che sono in grado di parlare davanti a un'intera scuola. Apro la porta dell'alloggio numero 3.   La scena che mi ritrovo davanti agli occhi è abbastanza esilarante. Ci sono due ragazze, una di queste ha i capelli tinti di rosso, l'altra di azzurro, stanno combattendo per il letto di fianco al mio. Stamattina, trafelata come ero, non mi ero accorta della presenza di tre letti, al posto dei soliti due. La turchina si gira. Oh no, ancora Federica. Quindi ora avrei dovuto anche viverci assieme, perfetto...
Mi saltò addosso. 
-Ma ciaooooo! Enia, questa è.... Aspetta, come ti chiami?
Trattengo una risata di scherno per tutta questa agitazione.
-Francesca.
-Francesca!!! Lei è Enia. Enia Francesca, Francesca Enia!
Disse infine indicandoci. 
Mi siedo sul mio letto a cui mio padre ha avuto la premura di mettere le lenzuola e una coperta.
Mi fermo a guardare Enia.
-Ma noi....noi non ci siamo già viste da qualche parte?
Azzardo.
Sul viso della ragazza comparve un'espressione pensosa.
-Umh.... Che scuola elementare hai frequentato?
Appena pronuncio il nome della scuola il volto di Enia di illumina.
-Non ci posso credere! Francy!!!
Fino a sera mi perdo nei racconti di Enia, su ciò che ha fatto in tutto questo tempo. Poi guardo l'orologio, e qui vado nel panico. Corro verso la stazione e in meno di mezz'ora arrivo nella grande sala di parquet.
-Scusa Ale, davvero, non ho visto l'ora! 
Boccheggio disperata. Alessandra, la mia insegnante di danza, si avvicina bonaria e mi rassicura. 
-Tranquilla, non abbiamo ancora finito il riscaldamento, cambiati in fretta e vieni qui. Spero però che non capiti mai più! 
Aggiunge infine con tono più severo. 

La lezione finisce e torno con calma verso il mio dormitorio. 
-Non ho salutato mio fratello.... Va bhe, andrò domani a salutarlo. 
Quando entro in camera sia Federica che Enia dormono già. Posò la mia roba a terra e senza far rumore mi cambio e mi infilo nel letto, con una leggera spossatezza a chiudermi gli occhi. Scivolo nel sonno in pochi minuti.










 

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Capitolo 2
*** La Sveglia ***


Mi sveglio con il trillo insistente del cellulare. Guardo il numero sconosciuto con sguardo torvo. Quale pazzo chiamerebbe qualcuno alle sei e un quarto del mattino?! Decido di rispondere, ma prima che possa schiacciare quel tasto verde che mi separa dall'uccidere qualcuno la chiamata viene declinata. Meglio così, il rompiscatole si è salvato chiudendo la chiamata. Mi tuffo con la testa sul cuscino. Il cellulare torna a squillare. Questa volta lo afferro con cattiveria e rispondo, quasi gridando un "Pronto?!" secco.
Dall'altro capo del telefono parla una voce suadente, con una nota giocosa che guizzava in tutte le parole da esso pronunciato, era una voce maschile.
-Ryoko? Sono io, Patrick. Ricordati di lasciare le chiavi dove ti ho detto ieri, nel vano tra il vetro e il supporto di legno. Voglio saltare la seconda e la terza ora, non mi piace la matematica. Hey, Ryoko, ci sei ancora?
-Ma con che criterio pensi di poter chiamare la gente a quest'ora?! 
Sbotto furiosa.
-Non sei Ryoko?
-Ti sembra la mia la voce di un ragazzo?! Non so, se lo fossi ti avrei già raggiunto e preso a pugni, non credi?!
Sono arrabbiata. Davvero, come faceva a essere così idiota?!
-Non tutti i ragazzi sono così, sai?
-Sai dire solo frasi con il punto interrogativo?
-Potrei dire la stessa cosa a te.
Rimango di sasso. Finora nessuno era mai riuscito a lasciarmi senza parole, se fossi stata in Italia mi avrebbero urlato "Ti ho chiuuuuso!!!", ma dato che siamo in Giappone questo tizio si è limitato a un sottile sarcasmo nei miei confronti. Ed è una cosa che odio.
-Comunque, si può sapere il nome di questa furiosa fanciulla?
-Perché mai dovrei darti quest'informazione?
Il ragazzo ride, con una vena di sarcasmo in quella breve risata. Magari odio  il modo in cui si stava relazionando con me, ma la sua voce era davvero stupenda, credo di non averne mai sentite di simili. È vellutata ma penetrante e sonora nello stesso tempo.
-Perché stai ridendo?
-Perché ti sei messa sulla difensiva in un modo che qui in Giappone ho visto rare volte fare. Tu non sei di qui, vero? Nemmeno io sono giapponese, i miei sono coreani, ma mia mamma ha discendenze inglesi, mio nonno si chiamava Patrick, ecco spiegato il motivo del mio nome qui insolito. Sono in Giappone da quando sono nato, perché mentre mia madre mi portava in grembo mio padre fu trasferito qui per lavoro.
Sospiro.
-Cosa ti fa pensare che io voglia sentire la storia della tua famiglia.
Lui ride ancora, con la stessa risata che prima mi stregato.
-Era solo per scioglierti un po', sai, pensavo che parlandoti di me avresti capito che non sono un malintenziona...
-Bhe, pensavi male, caro il mio Patrick.
Lo interrompo. Durante la mia sfuriata sia Enia che Federica si sono svegliate. Leggo il loro labiale mentre si strofinano gli occhi. Mi stanno chiedendo che ore sono.
-Dimmi, che ti ho fatto di male per non meritare di sapere nemmeno il tuo nome?
-Che hai fatto? CHE HAI FATTO?! Ti rendi conto che sono le sei del mattino e tu chiami la gente per dirgli che salterai matematica?! Che poi, come fai a sapere l'orario delle lezioni se la scuola inizia tra un'ora e mezza circa?!
-Se ti calmi e la finisci di urlarmi nelle orecchie posso dirti che mi sveglio tutte le mattine alle cinque per poter fare una bella passeggiata. Mentre facevo questa suddetta passeggiata ho visto la segreteria aperta per chissà quale assurdo motivo e ho dato una sbirciatina agli orari, essendo la segretaria della direttrice mia cugina so esattamente qual'è la mia classe, ovvero la 1^F, e se mi dici il tuo nome posso dirti qual'è la tua classe e gli orari della giornata. Ah, giusto, c'è un unico nome straniero nella mia classe, ed è Francesca, non è forse il tuo? Che simpatico, la nostra classe coincide con la tua iniziale. 
Interessante. E così ho un legame, seppur lontano, con questo rompiscatole...
-Forse. Cosa te lo fa pensare?
-intuito.
Risponde vago. Ride una terza volta.
-Ora devo andare, devo andare carissima Francesca, ci vediamo a lezione... Ti aspetto nell'aula di letteratura!... *tu tu tu tu tu*
La chiamata era terminata. Mentre io finivo la conversazione Federica aveva aperto la finestra, arrampicandosi sul mio letto, ed Enia aveva rifatto il suo letto. Si girano entrambe verso di me, ammiccando e scambiandosi qualche occhiata complice.
-Sentiamo un po', chi era al telefono?
-Un tizio che sto per andare a uccidere!
Mi vesto in fretta e furia sotto le occhiate sconcertate delle mie due compagne di stanza. 
-Tra l'altro, un uccellino mi ha detto che non siamo in classe insieme! 
Esco dalla camera sbattendo la porta. Nella tracolla ho soltanto un piccolo quaderno e qualche penna colorata per prendere appunti. Accelero il passo, sono troppo curiosa di sapere chi è il pazzoide che mi ha svegliato.

Dopo circa venti minuti di corsa per i corridoi trovo finalmente l'aula di letteratura. Entrò con irruenza. Seduta all'ultimo banco in fondo all'aula, vicino alla finestra c'è seduta una ragazza bionda, sta disegnando qualcosa su un enorme blocco da disegno. Appena entro però chiude tutto di botto, spaventata dalla mia entrata piuttosto fuori dal normale. 
-Ciao.
Dico timidamente.
-Non è che shi visto un ragazzo dall'aria spavalda qui vicino?
La ragazza fa segno di no con la testa. Bene, sono già stata fregata. Torno nella mia stanza, dove le mie compagna si stanno ancora preparando. Mi si avvicina Enia.
-Hey, lo hai trovato? Uff, ma guardati, hai ancora i capelli tutti arruffati!
Prende un pettine e inizia a pettinarmi i capelli. Guardo le sue dita giocare con le ciocche scure dei miei capelli, attraverso lo specchio.
-Perché quel broncio?
Domanda Federica.
-Prova a indovinare.
Rispondo secca io, torturandomi il labbro son i denti.
-Non so cosa stai facendo, ne ho capito che hai detto questa mattina, quindi non so che dirti.
-Meglio così.

Io ed Enia usciamo a braccetto dalla camera. Federica vuole aspettare ad uscire anche se è piuttosto tardi, contendo che non conosce quale sia l'aula dove deve andare. Attraversiamo i corridoi della scuola con sicurezza, ora che ho trovato l'aula per la prima lezione. Enia controlla sul suo foglio con la piantina della scuola e gli orari delle lezioni. Mi sembrava di aver visto l'aula di scienze poco più indietro rispetto alla mia. Lascio Enia davanti alla porta ed entrò per la seconda volta in oggi nell'aula di letteratura. Ora oltre alla ragazza con il blocco da disegno ci sono altri ragazzi, seduti a gruppetti che parlano tra di loro, ma nonostante questo il rumore delle loro chiacchiere è molto basso. Mi siedo nell'ultimo banco, dalla parte opposta della ragazza di questa mattina. Mentre aspetto l'arrivo di tutti gli studenti e della professoressa penso a cosa posso dire per presentarmi. Buongiorno a tutti, mi chiamo Francesca, fino ai miei 12 anni ho vissuto in Italia, quindi perdonate il mio modo stentato di parlare giapponese. Si, così potrebbe andare. Sono così assorta dai miei pensieri che non mi accorgo che qualcuno si é seduto nel posto di fianco al mio. Mi giro. Due penetranti e freddi occhi verdi mi scrutano. Sussulto.
-Che c'è, ti sei forse spaventata?
Questa voce... Quello sbruffone?!
-Certo che no!
Dico scocciata. Mi giro verso la parete davanti a me, poggiando i gomiti sul banco e il mento sui pugni chiusi della mia mano. Mi scostò i capelli e li mise dietro l'orecchio.
-Hey, Francesca... Puoi per lo meno guardarmi in faccia.
-No!
Taglio corto.
Lui sospira.
-È arrivata la prof. Ti dispiace se resto qui?
-Si, mi dispiace eccome.
-Non ti chiedo che ti ho fatto perché sono sicuro di ricevere una sfuriata da parte tua. Mi sembri un pokèmon sai? Un piccolo pokèmon coccoloso che si è arrabbiato tanto tanto.
Le sue labbra formano una specie di tre e la voce diventa quella di un bambino piccolo. 
-Quindi resto qui!
-O mio Dio...
Mi rassegno all'idea di un intero anno con questo tizio rompiscatole.

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Capitolo 3
*** Buone Novelle ***


-Finiscila, per l'amor del cielo! Già ti sto lasciando il permesso di seguirmi in ogni dove, non ti mettere a flirtare con tutte!
Patrick si mette a ridere, con quella risata che mi fa impazzire, perché lui lo sa che amo la sua voce, lo vede dalla mia reazione alla sua risata, e lo fa apposta per farmi odiare me stessa.
-Forza e coraggio Francy, dovresti essere felice, in questo giorno ti farai una buona reputazione.
-Stando con te? Pff, certo...
Mi passa un braccio sulle spalle e si avvicina maliziosamente al mio orecchio.
-Certo che si! E poi, abbiamo un intero anno da passare insieme, ricordi?
-La tua scelta "completamente casuale" del tuo posto a sedere mi affascina sai, come mai hai scelto proprio quel posto, la visuale dei professori su di te è ottima da quell'angolazione.
Sospira.
-A volte bisogna fare dei sacrifici.
Scoppio a ridere. Metto una mano davanti alla bocca per cercare di fermare quella risata così poco aggraziata.
-Ma da dove ti escono 'ste cose?!
Ride anche lui. Poi mi arruffa i capelli, così, senza un motivo apparente, rovinando tutto il lavoro accurato precedentemente fatto da Enia. In quel momento passa davanti a me una figura familiare.
-Uhhhh, vedo che hai già fatto colpo, sorellina.
Arrossisco.
-Disgraziato di un delegato! Torna in segreteria, fratello! E comunque NO, non mi sognerei nemmeno di avercelo amico, 'sto tizio, è davvero odioso.
-A me non sembra sai? Non stavi ridendo?
Mi faccio scura in faccia.
-Puoi gentilmente stare zitto?!
Ride. Che diavolo ha da ridere, quel fratello cattivo?
-Comunque, mi sembra di averti già visto da queste parti...
Dice a Patrick.
-Si infatti ci siamo già conosciuti. Bhe, non proprio, diciamo che ci siamo visti al compleanno di Mayu, che non capisco per quale motivo continui a fare feste con i parenti alla sua età. Ha ventotto anni, cavolo!
Si gratta dietro il collo.
-Ama stare con la famiglia.
Dice ridendo Nathaniel.
-Io sono il cugino di Mayu, Patrick. Da quel che ho capito tu sei Nathaniel, il suo fidanzato, giusto? E sei anche il fratello di questa disgraziata.
-Hai indovinato, purtroppo.
-Hey, guardate che sono qui, io, Francesca, la persona che state prendendo per i fondelli.
Nathaniel mi tira un buffetto sulla testa, scompigliandomi ancora di più i capelli arruffati.
-Ah, voglio che tu sia la prima a saperlo...
Si avvicina al mio orecchio e parla piano, in modo che possa sentirlo solo io.
-Tra qualche mese diventerai Zia!
Resto di stucco per un attimo. Poi inizio a saltellare come una pazza con l'epilessia.
-Sììì! Che bello!!! Non ci posso credere!!! ZIA!!! O mio Dio santissimo!!! SI!
Patrick lancia un'occhiata preoccupata a Nath.
-Lascia perdere... Purtroppo per te sarà così tutto il giorno, e probabilmente anche domani, e per tutta la settimana, deve metabolizzare la notizia... E l'entusiasmo.
Patrick porta una mano alla fronte.
-O santo cielo...

Patrick mi ha convinto a saltare le due ora di matematica. Che bello, darò subito al professore l'impressione sbagliata. Stiamo camminando tra i sentieri ghiaiosi del college, parlottando su quando fosse bella la struttura scolastica, sui pro e i contro del sistema scolastico e sulla FANTASTICA notizia appena ricevuta. 
Ad un tratto lui ferma tutto il discorso, e inizia a recitare una poesia, una poesia che avevo letto una volta sul libro di testo delle medie. Una poesia davvero bella. Mentre recita verso per verso, con le pause giuste che rendono piacevole l'ascolto, si china verso un mucchietto di piccoli fiorellini rosa, ne raccoglie qualcuno e ne posa uno tra i miei capelli. Arrossisco leggermente.
-Eheh, ci avrei giurato. Guardare film da ragazze ogni tanto è divertente, così posso vedere che cosa fate voi quando qualcuno fa le stesse cose nella vita reale. È davvero spassoso.
Rimango un attimo sconcertata. "Contento lui" penso, mentre lo guardo ridere.
Sorride e mette il braccio sulle mie spalle. Dopo un po' vedo un grande albero, che a prima vista sembra estraneo a quel posto colorato di un rosa delicato, quelle foglie con quel verde così potente sono come un pugno in un occhio. Però...guardandolo bene crea una sensazione più naturale, tutto quel rosa mi stava dando sui nervi. Prendo il braccio di Patrick e lo tolgo dalle mie spalle. Corro più veloce che posso verso il grande albero. Mentre corro lo guardo bene. Le sue radici sono tozze, possenti, affondate nel terreno come una grossa ancora. Appena arrivo poggio la schiena contro il tronco ruvido, per riprendere fiato. Apro gli occhi e davanti a me, come materializzato dal nulla, c'è Patrick, che non presenta nemmeno un piccolo accenno di stanchezza per avermi rincorso lungo tutto il viale. Il suo respiro è semplicemente...normale.
-Sei veloce, chibi-tan, ma non quanto me!
Respiro profondamente, i polmoni che bruciano un po' per la corsa e il cervello in palla per la vicinanza del Rompiscatole.
-Chibi-tan? Che vorrebbe dire?
Ride. Credo che abbia qualche problema a trattenere le risate.
-In giapponese vuol dire "Piccoletta", CHIBI-TAN!!!
Si mette a correre e, un po' per il fatto che mi aveva urlato nelle orecchie assordandomi un timpano, un po' perché c'era qualcosa di magico nei suoi modi di fare, che mi affascinava, inizio a rincorrerlo. 
Ma come aveva detto lui, era troppo veloce per me. 

Salgo sul pullman diretto al centro della città. La scuola di danza non é molto lontana dalla grande piazza. Fortunatamente, grazie a mio fratello e a Mayu, la Preside mi ha fatto uscire dalla a scuola anche se era sera. Infilo un auricolare nell'orecchio e premo "Play" dal mio MP3. Il suono del piano ha un effetto rilassante. Purtroppo non basta per scacciare tutti i pensieri che mi affollano la mente.
Come mai Patrick, pazzo sconosciuto, è riuscito in poco tempo a creare una specie di contatto con me, che sono così dura con il genere maschile.
E perché mi sta sempre attaccato al fianco?
Perché ha deciso di chiamarmi "Piccoletta"?!
Scendo dal pullman.
E poi, perché sto pensando a lui così tanto?
Entrò nella sala da ballo; gli enormi specchi sulla parete da una parte, le sbarre dalla parte opposta. Mi siedo sul parquet e mentre aspetto l'arrivo delle mie compagne inizio a riscaldarmi. Oggi sono stranamente in anticipo di più dei soliti cinque minuti. Oggi ho cambiato routine; sono arrivata già con la tenuta della scuola di danza. Mentre faccio qualche allungamento rifletto; è davvero stata una fortuna trovare una scuola di danza classica dove l'insegnante era italiana e per di più vicino al liceo. Davvero una fortuna. Non credo che saró mai più così fortunata per il resto della mia vita.

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Capitolo 4
*** La Malattia ***


Come da consuetudine mi sveglio di cattivo umore e come al solito sento Federica rimproverarmi per non aver bevuto il suo the verde super calmante di sua creazione e che, non che avesse un cattivo sapore, ma aveva un cattivo odore, un non so che di... Schifo.Mi alzò dal letto e guardando con un occhio solo mi infilo la divisa scolastica, mi pettino e mi lavo i denti. Pochi secondi prima che possa aprire la porta sento il mio cellulare squillare. Guardo il display; Rompiscatole.Che cosa vorrà a quest'ora?Chiudo la chiamata e mi indirizzo nuovamente verso la porta ma ecco che di nuovo il mio cellulare si mette a suonare, imperioso. É sempre lui. Decido di rispondere per evitare di stare incollata alle sue chiamate fino all'inizio delle lezioni.

-Che diavolo vuoi?

-È forse questo il modo di salutare?!

Il suo tono era scontroso ma parlava come se stesse molto, molto male.

-Dí al professore che non mi sento molto bene, okay?

-Okay. Posso sapere almeno che hai?

-Credo di avere l'influenza. Sai, quella che sta girando in questa stagione. Forse non dovevo stare fuori con tutto il freddo che ha fatto ieri sera.
-Ma di sera c'é il coprifuoco, come hai fatto a uscire?
-Ti ho seguito fino a quel posto...e mi sono anche iscritto al corso di hip hop, era da tanto che non ballavo più. Ah, dimenticavo di dirtelo, con quella tuta stai benissimo.
Cosa? Mi aveva seguito? E si è preso l'influenza per starmi vicino? Ma che cavolo...?C'era qualcosa dentro di me che però mi impediva di dirgli qualsiasi cosa, anzi, volevo solo andare da lui per abbracciarlo. Senza rendermene nemmeno conto inizio a parlare, le uniche parole che arrivano al cervello sono "Dimmi il numero della tua stanza!".
Dopo solo pochi minuti sono davanti al dormitorio maschile. Mi fiondo dentro correndo tra decine e decine di ragazzi assonnati che come zombie arrancano verso il vialetto. Trovo la sua stanza, la 17. Busso alla porta ed entro appena sento la voce roca di Patrick che mi intima di entrare. Lo trovo steso sul letto mezzo addormentato con una coperta spessissima di pail attorcigliata alle gambe. Era piuttosto sudato. Il suo pigiama consisteva in una semplice T-shirt bianca e un pantalone a quadretti rossi. Devo ammetterlo, nonostante tutto Patrick è estremamente sexy.
-Ma guarda come ti sei ridotto...
Dico mielosa.
-Non parlarmi come se fossi un piccolo cucciolo ferito.
-Oh caro, ma tu sei un piccolo cucciolo ferito.
Dico, aggiungendo ancora più miele nella mia voce.Quanto amo farlo arrabbiare!
-Ti prego, non parlare, ho troppo mal di testa. Coff coff.
Tossisce e si porta una mano alla tempia, facendo una smorfia. Il solito esagerato.
-Va bene. Posso aprire un secondo la finestra per far passare l'aria?
Sussurro. Lui annuisce lentamente.Il tempo di aprire un varco tra tutti i vestiti riversati al suolo e aprire la finestra che Patrick si è già addormentato.Guardo il suo viso assopito e i muscoli rilassati. Gli occhi grandi dal vago taglio asiatico sono chiusi; ha delle ciglia lunghe e folte (quelle che vorrei avere io, così che il mascara faccia meglio il suo dovere.Cerco di districare piano la coperta dalle sue gambe. Lo copro fino sotto al mento. Nella tracolla ho un fazzoletto di stoffa mai utilizzato, regalo della nonna, che tenevo sempre nella borsa per l'assurda credenza che portasse fortuna.Esco nel corridoio dove alcuni ritardatari stanno tentando la rottura di un arto pur di arrivare in classe in tempo. Entro nel privo bagno che vedo. Faccio scorrere un po' di acqua fredda sul fazzoletto e lo strizzo per togliere l'acqua in eccesso. Ritorno velocemente nella camera di Patrick "malato version". Gli metto il panno freddo sulla fronte e gli rimbocco le coperte vicino ai piedi. Spero che la mandria di zombie di questa mattina non mi abbia notato. Immagino già TUTTA la scuola a spettegolare e creare false voci sul fatto che sono nel dormitorio dei ragazzi, nella stanza del ragazzo che dall'inizio della scuola non mi ha mai lasciato un minuto (anche se non la smetteva di flirtare con le altre ragazze. Povere illuse, sta solo giocando a fare il ragazzo dei film romantici) e che, dannato inverno, si era ammalato per seguirmi trasgredendo ogni regola e coprifuoco.Diciamocelo, alla fin fine... Sono davvero sfortunata.Mi guardo intorno. Questa stanza è un vero casino. Individuo alcune magliette di Patrick nel cumulo che ricopre il pavimento. Dalla borsa estraggo l'MP3 e gli auricolari. Faccio partire a basso volume qualche musica classica, con il ritmo del pianoforte che scandisce il tempo inizio a raccogliere vestiti e a piegarli sul letto (fortunatamente senza coperte per aria. È forse l'unica cosa a posto della stanza) di Ryoko, che da quanto ho capito è il suo compagno di stanza. In soli 15 minuti la stanza è come nuova, vestiti (ben piegati) sul letto a parte. Non avendo nulla da fare scorrazzo un po' per la stanza. Sulla scrivania trovo un piccolo quaderno rosso con la scritta DRAGONBALL a caratteri cubitali di un giallo acceso.Non mi piace frugare tra la roba degli altri, ma vedendo scritta sulla copertina il nome di Patrick provo una certa curiosità.Lo apro e faccio scorrere le pagine. Una calligrafia molto simile a quella di Patrick aveva riempito interi fogli, insieme a qualche disegno. Mi soffermo sull'ultima pagina, scritta da lui non molto tempo fa, visto che L'inchiostro, nei tratti più calcati, non si era ancora asciugato.
 "È da una settimana ormai che esco di nascosto per seguire Francesca. Lei non lo sa, e non credo che possa capire il fatto che voglio stare con lei, al suo fianco, sempre, fino a quando non morirò. Non è la persona che è possibile amare, scontrosa come è ma a me piace il suo carattere e sono sicuro, sicurissimo, che in fondo sia la persona più amorevole di questa terra..."
-Che stai facendo?
-Nulla.
Dico mentre poso il quaderno.
-Puoi venire qua?
-Certamente.
-Come mai non fai storie oggi?
Mi siedo per terra, di fianco al suo letto.
-Sono in dovere di prendermi cura di un povero ragazzo malato
.-Ahahah brava, prendimi in giro. È anche colpa tua.
-Non è esatto...Lui apre un occhio e mi guarda torvo.
-Okay. È tutta colpa mia!
Lui mi passa una mano tra i capelli.
-Brava bimba.Mi verrebbe voglia di ribattere con una battuta acida, ma non riesco a dire nulla, sono tr
oppo scioccata da ciò che ho letto prima. Mi metto a giocherellare nervosa con uno dei braccialetti che avevo al polso.Apre di nuovo un occhio, mi fissa per un po'. Poi a un tratto mi prende per il braccio e mi scaraventa sul suo petto.
-Che cavolo fai?! Lasciami! Patrick! Lasciami subito!!!
Cercavo di dimenarmi, ma la sua presa era salda e nonostante la febbre era ancora molto forte.
-Shhhh. Fai silenzio.
Dice portandomi il dito sulle labbra.Mi stringe a se, cercando di farmi stare ferma e bloccando i miei calci con le gambe.Alla fine mi arrendo, è una battaglia persa. Quando Patrick vuole qualcosa la ottiene. L'ho imparato nei due mesi di scuola con lui, purtroppo.
-Voglio dormire.
Mugugna con la faccia nella mia scapola, con tutti i capelli a solleticargli il viso.
-Rilassati, perfavore.
Dice accarezzandomi il muscolo teso del braccio.Cerco di rilassarmi meglio che posso, contando la situazione.Non credo di voler più vedere il Patrick moribondo.Ho dormito nel suo abbraccio praticamente tutto il giorno, se non per dargli qualche medicina e raffreddare il panno, e mi svegliavo ogni cinque minuto, a ogni. Singolo. Rumore.Quando finalmente sono riuscita a dormire per più di mezz'ora (cosa potevo fare di altro con una piovra chiamata Patrick avvinghiata al corpo?) ecco che entra dalla porta un ragazzo con uno zainetto blu, i capelli a caschetto nerissimi e grossi occhiali dalla montatura nera. Mi guarda come se fossi un alieno e io mi alzo in fretta, svegliando e facendo male alla Piovra Patrick.
-E tu chi sei?
Chiede con un sorriso beffardo sulla faccia.
-Ehm, non è come sembra, lui stava male e io...insomma, mi ha fatto sdraiare....ohh al diavolo! Sono una sua AMICA che è stata qui per controllare che non si uccidesse con dosi sbagliate di medicine.
-Non sono così idiota. E poi, da quando siamo amici?Dice assonnato.
-Da mai!
-Smettila di urlare, idiota.
Quello che credo sia Ryoko scoppia a ridere.
-Dovreste vedervi, siete davvero spassosi. Sapete che vi ci vedo bene a stare insieme?
Entrambi lo guardiamo male e lei si piega in due dalle risate.Dopo pochi secondi si guarda intorno. 
-Com'è che sul mio letto ci sono vangavate di roba ben piegata?
-Non avendo nulla da fare mi sono messa a riordinare, se non vi dispiace.
-Nono, hai fatto bene, grazie mille.
Segue un silenzio imbarazzante.
-Ooookay. Forse è meglio che io vada.
-Ciao, alla prossima. 
Dice Rioko.
-Ciao Chibi-tan.
Nascondo una smorfia a risentire quel nomignolo.
-Ciao ragazzi!
Faccio per uscire ma Patrick mi blocca.
-Lasciami, porca paletta.-
Non si bestemmiano le palette, dovresti saperlo. 
Dice ridendo. Infine mi lascia andare dopo una lunga occhiata. Finalmente sono libera.Mentre attraverso il corridoio sento dire ad alta voce "PATRICK È INNAMORATO LALALALALAAAA" e rispondere "ZITTO TESTA DI IMBECILLE!!!".

Nella notte sento il cellulare squillare.Fratellone.Rispondo subito.
-Pronto?
Dico con voce roca.
-Francy, vieni subito all'ospedale di Yokohama! Mayu ha le contrazioni!
Rimango di sasso.
-Ma è incinta di soli sette mesi...
-È proprio questo che mi preoccupa!!! 
Chiude la chiamata. Rimango un attimo spiazzata. Poi, non so per quale motivo, schizzo verso il dormitorio di Patrick, smanetto un po' con la porta della sua stanza fino a quando non arriva Ryoko ad aprire e trascino via un semicoscente Patrick gridando un "PRESTAMI LA TUA AUTO!" con voce rotta.

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Capitolo 5
*** E inaspettatamente... ***


Ho fatto guidare Patrick fino all'ospedale alla velocità della luce. Credo di avergli anche fatto prendere una multa. 
Appena si è fermato sono rimbalzata fuori e mi sono messa a correre verso il reparto maternità. 
Non ho avuto tempo e coraggio per spiegare a Patrick cosa stava succedendo. 
Nei due mesi precedenti avevo seguito passo passo la maternità di Mayu, aiutandola in tutto, studiando libri sui neonati e iniziando già a comprare le cose necessarie per un bimbo. Ero pure andata con lei a tutte le visite, le ecografie; tutto.
E ora c'era il rischio che il piccolo/a Joshua/Lynn cessasse di esistere ancora prima di nascere.
Le probabilità che sopravviva sono molto alte, ma la preoccupazione è tanta.
Appena intercetto Nathaniel, con gli occhi cerchiati dal sonno, i capelli arruffati e i segni del cuscino sulla faccia, lo abbraccio più forte che posso.
Vedo Patrick corrermi dietro e fermarsi vicino a noi con un grande punto interrogativo in viso.
Appena riacquisto un po' (davvero poca) di calma cerco di spiegargli il meglio che posso cosa sta succedendo. 
Lui cerca di tranquillizzarmi.
-Hey, su, calmati. Anche io sono nato prematuro, a sei mesi e mezzo, ed eccomi qui.
-La differenza è che tu potevi anche morire, lui no!
Solo dopo mi accorgo di cosa ho appena detto.
Lo vedo stringere il pugno, irritato.
-Scusami, davvero! Sono così agitata, non lo pensavo davvero.
-Parli come se fossi tu a dover partorire. Se vuoi così tanto un bambino vai a farti mettere incinta in mezzo ad una strada!
Si alza di scatto e se ne va.
Lo rincorro per tutto l'ospedale. Poi, alla fine, riesco a prendergli il braccio e a farlo voltare, nel parcheggio buio.
-Scusa.
Dico.
-Scusa!
Dico più forte.
-SCUSA!
Ora sto gridando. Le lacrime mi rigano il viso.
-Non so che mi prende. Ho pensato così tanto a Joshua/Lynn che sono più snervata di Nath. Scusa. Scusa. Scusa.
Lui rimane un attimo di sasso.
Cerco il suo abbraccio, e lui mi stringe forte, facendomi sentire protetta, più tranquilla, come se fossi in un posto in cui posso dire e fare cosa voglio, in cui potermi sfogare.
-Non è da te chiedere scusa. Si vede che sei davvero preoccupata. Ma devi stare tranquilla. Prima ho parlato con tuo fratello, mentre eri al telefono con i tuoi. Ha detto che Joshua/Lynn è fuori pericolo, nascerà sano in meno di tre ore.
-Davvero?
-Si.
Dice sorridendo, ma non con il suo solito sorriso, con uno un po' smorzato.
-E non sono nemmeno arrabbiato per ciò che mi hai detto prima.
-Perché te ne sei andato, allora?
Sorride ancora.
-Volevo portarti in un posto meno affollato.
Si avvicina e mi bacia, piano e dolcemente, facendomi venire l'alta marea nel cervello.
La fortuna....non mi serve. 
Io ho Patrick.

Joshua è finalmente nato. Un maschietto di due chili e sei. Sano. Con gli occhietti ancora chiusi sorride dall'incubatrice quando ci avviciniamo io e Patrick.
Il mio piccolo Joshua nella sua tutina blu che gli tiene caldo. È troppo tenero.
Mayu mi ha detto che Joshua era podalico e che hanno dovuto farle il cesareo, ovvero un piccolo taglio sul ventre grande pochi centimetri dove far uscire il bambino.
È una vera fortuna che sia a tutto a posto, penso.

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