Il Diavolo è l'alibi di Dio

di Etiell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


Salve gente! Dunque, faccio una breve introduzione alla storia per farvi capire cosa mi ha spinto a scriverla. 
Ho uno smodato bisogno della terza stagione. Non è umanamente possibile far finire serie tv in tal modo! Non è sano per coloro che le seguono. Per cui in un giorno monotono al mare, ascoltando musica sotto al torrido caldo, mi è venuta una specie di illuminazione (non immaginate chissà cosa) e ho cominciato la sera a buttare giù qualche riga. L'idea nella mia mente non è malvagia ma vedremo cosa ne salterà fuori scrivendola. Ho preso alcuni spunti dai libri e il resto è frutto della mia mente malata. D'altronde dovevo colmare il bisogno della nuova stagione, in un modo o nell'altro! ^^" Spero comunque che vi possa piacere e... niente, buona lettura! :)


 
CAPITOLO 1


Tutt'intorno il buio. Unica fonte di luce una timida e pallida luna piena, intenta ad illuminare gli spigolosi profili degli alti ed imponenti alberi, distinguendo così una foresta in tutta quell'oscurità. Ed all'interno di quel fitto bosco si faceva strada un piccolo sentiero, ricoperto di terra e foglie morte che emanavano odore di decomposizione. I sentieri sono fatti per essere percorsi e lungo quella tenebrosa via camminava Will Graham, alla ricerca di qualcosa, alla ricerca di qualcuno o più semplicemente, alla ricerca di una risposta.
Il silenzio faceva da padrone nell'aria, nessun rumore, nessuno strano movimento a parte la sua lenta andatura, come quella strana e precaria calma che precede gli ultimi attimi di vita della gazzella prima dell'attacco del leone. Era quasi come se il nulla lo avvolgesse in quella insolita processione . Ma qualcosa, all'improvviso, accompagnò la cadenza dei suoi passi, un sospiro di resa che proveniva da destra, un sospiro flebile, sofferente. Ed eccolo lì, anch'esso illuminato per metà dalla flebile luce lunare, un cervo, lo stesso e ricorrente cervo che dominava la sua mente. Stava a terra, agonizzante e stremato, intento ad esalare il suo ultimo alito di vita. Con calma si avvicinò a quell'animale tanto potente quanto indifeso. Osservò il petto ondeggiare, si concentrò su quei sospiri che mano a mano diventavano sempre più rari ed insicuri. Fin quando non si spensero. Will fece per toccare quell'ispida pelliccia,ma qualcosa lo bloccò. Altre gambe si stavano facendo strada attraverso quella fitta vegetazione. Eccolo arrivare, il predatore con passo famelico, che lo costrinse a voltarsi.
«Io ti perdono, Will…» Quella voce che oscillava tra l'umano e il demoniaco, scatenò un brivido lungo la sua spina dorsale. In piedi, di fronte a lui e dritto come una statua di marmo, trovò quell'uomo, il suo psichiatra, che coperto di sangue lo fissava negli occhi, quasi come volesse nutrire il suo caloroso sguardo rubando la vita da quello di Will.
«Tu mi perdonerai?» La domanda fu secca, diretta, quasi come un Déjà vu, la voce dell'uomo ovattata, lontana nonostante fosse terribilmente vicina. La già minima distanza fu presto ridotta ulteriormente dall'aggraziato avanzare del dottor Lecter. Si arrestò solamente quando fu a pochi centimetri dal volto di Will. Hannibal posò la mano sinistra a metà tra il mento e il collo, attirò così Will a sé, abbracciandolo con arrogante avidità, infinita lussuria e un pizzico d'ira. Il tutto fu breve ma maledettamente intenso. Quando lo psichiatra si fermò, lo fissò un'ultima volta in quegli scuri occhi azzurro ghiaccio prima di pugnalarlo al ventre. Will urlò per il dolore.


Improvvisamente il buio si accese, quel cupo cielo notturno lasciò il posto ad un candido soffitto, insopportabilmente illuminato da grandi luci al neon. Tutto svanì, l'unica cosa che rimase di quell'incubo furono le dolorose grida di Will Graham.
Si svegliò in un letto d'ospedale, dopo dieci giorni d'incoscienza dovuti all'innumerevole quantità di sangue perduto. Era stata una profonda fitta al ventre a svegliarlo da quell'interminabile sonno, una raccapricciante ferita causata da un coltello da linoleum, ora ricolma di punti di sutura e ricoperta di grandi garze.
Will urlava, continuava a lamentarsi senza sosta, tanto che quelle grida furono udite dall'infermiera di turno che, con immediata prontezza, si precipitò dentro la stanza per controllare cosa stesse succedendo.
«Signor Graham, si calmi. Mi serve della morfina!» Urlò la giovane infermiera ancora sulla soglia della porta. «Si calmi, stia tranquillo!» Continuò a parlargli avvicinandosi. Quando gli fu accanto allungò le mani stringendogli le spalle nel tentativo di tenerlo fermo, per evitare che si strappasse la flebo ma lui la spinse via, rabbrividendo a quel semplice tocco che però riportò alla mente il suo ultimo e traumatico contatto umano.
«Dove sono? Dove s…» Continuò Will con voce scioccata.
«E' in ospedale, signor Graham, la prego si calmi.»
pochi secondi dopo, un'infermiera dall'aspetto più maturo entrò, in mano una siringa di morfina che non tardò ad iniettargli, sebbene risultò un'operazione più complicata del previsto a causa dei movimenti convulsi dell'uomo.
Il farmaco impiegò poco meno di un minuto per compiere il suo dovere, costringendo così Will ad una resa incondizionata. Fu in quel momento che cominciò a prendere lucidità, seppur annebbiata dall'effetto narcotico della morfina. Ricordò la strage avvenuta in quella grande casa, realizzò che sarebbe potuto essere l'ultimo sopravvissuto ed una morsa gli strinse il cuore al solo pensiero. Che ne è stato di Jack? Come sta Alana? Dov'è Abigail? Non posso averla ritrovata e poi perduta nuovamente per sempre, pensò.
«Cos'è successo?» Domandò Will con flebile voce.
«Mi dispiace signor Graham, ma non siamo tenute a dirle nulla. Tra poco le manderemo qualcuno che le spiegherà ogni cosa.» La giovane infermiera dai capelli castani, il cui nome scritto sul cartellino sembrava essere Susan, lasciò la stanza visibilmente combattuta.
Una forzata quiete tornò lentamente nella stanza, accompagnata dal veloce passo della ragazza che si allontanava lungo il corridoio. Will non era dell'idea di fare ipotesi, non voleva pensare a quali sarebbero potute essere le conseguenze di quel gesto tanto crudele, avrebbe fatto troppo male, un ulteriore dolore sommato a quello già vissuto. Tentò di concentrarsi su altro, ascoltò il battito del suo cuore, sentiva che era veloce, agitato, trepidante, non intendeva calmarsi. La mente voleva fuggire dalla realtà ma essa continuava ad attanagliare il petto, senza  lasciarlo andare. Lo confermava persino la linea verde che si muoveva irregolare sullo schermo dell'apparecchio per monitorare quell'imprevedibile muscolo. Così si guardò intorno, alla sua sinistra vide una grande finestra, ricoperta da pesanti tende grigiastre che impedivano alla luce naturale di far breccia nella stanza. Che ore sono, si chiese. Cercò così un orologio e lo trovò di fronte a lui, una piccola sveglia appoggiata sul tavolino davanti al letto. Segnava le sei e un quarto circa, quasi sicuramente del mattino, data l'insolita calma dell'ospedale.
Improvvisamente un leggero rumore lo costrinse a voltare la testa, verso destra, in direzione della porta, appena in tempo per vederla aprirsi. Una sagoma scura, apparentemente non molto grande, si stagliava eretta e rigida sulla soglia. Quando quella figura si decise a fare qualche passo avanti, la luce della stanza tradì la sua identità ed ebbe finalmente un nome.
«E' tornato tra noi, signor Graham.»
«Freddie!»

Freddie Lounds, sempre impeccabile in uno dei suoi colorati tailleur, si avvicinò al letto dell'agente speciale dell'FBI sedendosi su una scomoda e bassa sedia, indubbiamente di plastica, che si trovava al suo fianco. Gli occhi di Will erano immersi in quelli della donna e la supplicavano muti per la tanto aspettata risposta alla sua domanda. Non voleva riformularla, il motivo per cui la giornalista era entrata doveva sicuramente essere quello, così tacque, lasciando a lei l'onore della prima parola.
Freddie si schiarì la voce portandosi elegantemente una mano davanti alla bocca, dopodiché cominciò.
«Cosa pensa sia successo, Will?»
«Pensavo fosse venuta lei a dirmelo, signorina Lounds.» La morfina aveva indebolito il suo tono vocale, ma l'uomo si sforzò di renderlo comunque udibile, quasi normale.
«Lei entra nella mente degli assassini, signor Graham. Potrebbe tranquillamente entrare in quella del dottor Lecter e capire l'epilogo delle cose. D'altra parte era presente sulla scena del crimine, non dovrebbe risultarle difficile.»
«Signorina Lounds, non è il momento. Non voglio entrare nella sua mente, non più.» Quelle parole erano cariche di dolore e Freddie se ne accorse. «La prego, me lo dica.» Dovette infine implorare.
La giornalista inspirò, sempre mantenendo la sua freddezza, poi espirò cominciando a parlare.
«La polizia e i soccorsi sono arrivati venti minuti dopo la sua telefonata. Quando giunsero alla villa trovarono la dottoressa Bloom agonizzante nel cortile. Presentava diverse fratture tra cui alla colonna vertebrale. Dopo una caduta del genere c'era quasi da aspettarselo. Poi sono entrati ed hanno ritrovato lei ed Abigail quasi completamente dissanguati, lo stesso per Jack, non appena sono riusciti ad aprire la porta della dispensa. Così vi portarono in ospedale. La polizia provò a cercare il dottor Lecter ma di lui nessuna traccia. » Per qualche secondo il discorso cadde in un silenzio tombale. Ma Will voleva giustamente saperne di più.
«Che ne è di loro?»
Ora la voce di Freddie assunse un pizzico di rammarico «La dottoressa Bloom è morta il giorno dopo, causa le numerose fratture riportate. L'agente Crawford è ancora in coma. Ha perso parecchio sangue, ma non così tanto da rimanerne ucciso. La scheggia di vetro che gli hanno trovato nel collo ha rallentato la sua fuoriuscita salvandolo…» La signorina Lounds fece una pausa, come se temesse il seguito.
«Ed Abigail?» La voce di Will represse malamente un singhiozzo nel tentativo di spronarla a continuare.
«Aveva perso molto sangue. Il dottor Lecter aveva riaperto la cicatrice della ferita infertagli da Hobbs. Ha resistito… fino a poco fa. Se n'è andata prima che si svegliasse lei. Ero nella sua camera quando mi sono venuti ad avvertire del suo risveglio. Era una ragazza forte.»
Will Graham si portò le mani sul viso ma nessuna lacrima scese da quegli occhi feriti, avrebbero voluto ma non riuscivano, quasi fossero rassegnate. Incolpò se stesso per aver ripreso i sensi troppo tardi. Si sentì stringere il cuore per non essere riuscito a dirle addio.
«Perché sono ancora vivo?» Continuò sempre da dietro le mani.
«I medici sostengono che lei sia stato preso in tempo, ancora poco e sarebbe stato troppo tardi. Il dottor Lecter sapeva che sarebbero arrivati i soccorsi, li ha chiamati lui stesso dal telefono della dottoressa Bloom dopo essere uscito. Lui non la voleva morto, signor Graham. L'ha fatto di proposito.»
«Come una punizione.» Dedusse Will.
«Esattamente. Mi dispiace molto, signor Graham.» Freddie fece una pausa ma non poteva reprimere il suo animo da giornalista per cui non tardò molto a fare una domanda a Will, anche se parecchio sconveniente date le circostanze.
«Lei era al corrente che Abigail fosse ancora viva?»
«Ora le dispiacerebbe lasciarmi solo, signorina Lounds?» Rispose debolmente.
«Quando avrà voglia di parlare può chiamarmi al mio nu…»
«La prego, mi lasci solo.» Questa volta fu più persuasivo tanto che costrinse, anche se a malincuore, la ragazza ad uscire dalla stanza.
Will Graham fissava l'orologio sul tavolino. Guardava le sue lancette rincorrere l'infinito tempo in quel limitato cerchio bianco. Sperò con tutto se stesso che potessero cominciare a ruotare nel verso opposto.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2


Erano passati ormai nove mesi da quando Will Graham aveva lasciato l'ospedale tornado così alla sua solita vita, buttandosi però alle spalle la fonte dei suoi ultimi problemi, l'FBI. Tramite i giornali venne a sapere che anche Jack era stato dimesso, precisamente due settimane dopo di lui e, senza esitazione, era tornato sul campo, cosa che di certo non sarebbe risultata facile a Will. Non ebbe più contatti con l'agente Crawford, se non qualche mese dopo in occasione della morte di sua moglie Bella. Will non lo chiamò, limitandosi a spedire un telegramma riportante le sue più sentite condoglianze per l'accaduto. L'ormai ex agente dell'FBI, chiudendosi sempre di più in se stesso, costruì una barriera attorno a sé, sbattendo così  le porte in faccia al mondo. Aveva perciò ricominciato a pescare, piccolo piacere che da tempo si era dovuto negare e, per guadagnarsi da vivere, riparava elettrodomestici su richiesta. Era quasi morto, l'FBI aveva versato un notevole risarcimento a Will, tale che poteva permettersi benissimo un tranquillo e poco redditizio lavoretto momentaneo. Cominciò ad apprezzare di più anche la sua piccola casa, trascorrendo parecchio tempo sotto il portico, in particolar modo la sera, ascoltando lo stridente canto dei grilli accompagnato da qualche stonata raganella di passaggio.
A Will piaceva stare solo, la solitudine e le attenzioni dei suoi cani gli facevano l'essenziale compagnia di cui aveva bisogno. Le poche persone che incontrava gli chiedevano perché se ne stesse sempre solo e lui senza pensarci due volte rispondeva loro "dal momento che perdi tutto, piano piano ti abitui a non avere niente".
Era apparentemente contento della sua nuova vita, considerando anche il fatto che gli incubi erano quasi svaniti, ad eccezione di qualche rara notte in cui rivedeva ancora gli occhi di coloro che aveva perso, occhi desiderosi di aiuto e ricoperti di sangue. Anche quei demoniaci occhi nocciola, brillanti di puntini rossi, gli avevano fatto visita. Ma Will non ci dava peso, data l'ormai loro irregolarità, continuando così il suo nuovo percorso.
Graham si allontanava poco da casa, se non per i bisogni essenziali quali fare la spesa, riportare a qualche cliente il lavoro finito e per andare a trovare Alana ed Abigail. La dottoressa Bloom era stata sepolta nel piccolo e caratteristico cimitero in cui riposava la sua famiglia, proprio accanto ai suoi genitori. La lapide era di marmo quasi argenteo , regolarmente ricoperta dalle rose che Will portava periodicamente. La tomba di Abigail invece, si trovava in un cimitero non molto distante da Wolf Trap. Era solito recarcisi a piedi, evitando di prendere la macchina nonostante ci si impiegasse più o meno mezz'ora per arrivarci. Una volta là si sedeva davanti alla lapide bianca, esaminando sempre quanto poco tempo intercorreva tra la data di nascita e quella di morte. Le portava sempre degli iris, avevano la stessa tonalità azzurra dei suoi occhi.
Will chiacchierava con Abigail, raccontava tutto a quella lastra di marmo, ormai simbolo di una giovane ragazza che sarebbe rimasta tale per sempre. Quel cimitero era diventato la sua nuova chiesa e la lapide il suo confessore. Passava ore parlando al vento, sperando che prima o poi quelle parole giungessero a lei.

Quella mattina di inizio Ottobre, al sole, ormai alto nel cielo, toccò fare i conti con le insistenti nuvole di passaggio che gli impedivano di fare il suo dovere. Tutto sommato non era una giornata tanto fredda, così Will ne approfittò per svolgere il suo lavoro in veranda. Cominciò con la costruzione di qualche nuova esca. era sorprendente la sua abilità nel mettere insieme pezzi così minuscoli, creando senza troppa difficoltà, un inganno letale per gli sfortunati pesci. Usava i più svariati colori, rosso, verde, sfumature di blu e di giallo, ognuno di questi avente la propria funzione, come le veloci pennellate dei quadri impressionisti. Il pomeriggio lo dedicò alla riparazione di qualche elettrodomestico, che avrebbe riconsegnato prima di sera, e dovette fare il bagno a Winston, dato che, per sua sfortuna, era caduto in una pozza di fango nel tentativo di riprendere il bastone di legno che il padrone gli aveva lanciato. Dopo il calare del sole ed una misera cena che consisteva in un insalata di pollo, decise di mettersi tranquillo sulla poltrona che stava davanti al camino, ancora spento, concedendosi il piacere di un libro. Non era il tipo da televisione, preferiva di gran lunga perdersi tra le fantastiche righe di qualche vecchio romanzo. Poi il telefono squillò.
Will si meravigliò di sentire quel suono metallico ed evidentemente arrugginito, tanto da non negare il fatto di esserne stato momentaneamente spaventato dall'improvviso risveglio. Si alzò dalla poltrona chiedendosi chi mai sarebbe potuto essere a quell'ora della sera. Schiacciò il bottone verde e con voce alquanto seccata rispose alla persona sconosciuta.
«Pronto.»
«Buonasera, parlo con in signor Will Graham?» La voce era quella di una giovane donna, subito pensò a qualche insistente e prepotente ragazza dei call center, disposta a sputare sangue per mettere a segno un ordine da qualche malcapitato senza cervello.
«Si, sono io.» Rispose comunque tranquillo, dando l'idea di non partire prevenuto.
«Salve, sono Clarice Starling, tirocinante dell'FBI.»
Will rabbrividì lievemente nell'udire quella sigla.
«Che cosa vuole?» continuò con  apparente fermezza.
«La chiamo perché abbiamo bisogno del suo aiuto, signor Graham. Per… il caso Lecter. Abbiamo avuto promettenti novità riguardo il luogo in cui po…»
«Le ha detto Jack di chiamarmi?»
«Non proprio, l'agente Crawford ha accennato il suo nome, affermando fosse l'unico capace di catturare il dottor Lecter, chiamarla è stata una mia iniziativa. Conosco la sua situaz…»
«Perché sostiene questo? Perche crede che io sia l'unico in grado di catturarlo?»
«Prima di tutto mi lasci finire le frasi, se non le dispiace.»
«Mi scusi.»
«Jack Crawford sostiene che voi due siate uguali, signor Graham. Dice che è entrato così tante volte nella sua mente che potrebbe averne assorbita una parte.»
La telefonata piombò per qualche secondo in un profondo silenzio. Will si rese conto di star tremando. Le parole di quella impavida ragazza avevano portato a galla dolorosi ricordi.
«Signor Graham, è ancora in linea?» Continuò la giovane.
«Sì!... Sì, sono qui.»
«Senta, io non voglio costringerla, le dico solo che con il suo aiuto avremmo maggiori probabilità di catturarlo, o almeno in un tempo più limitato.»
«Catturarlo…» borbottò Will «Lui non si farà catturare, signorina… Come ha detto di chiamarsi?»
«Starling, tirocinante Clarice Starling.»
«Starling. Il nome non mi è nuovo. Era per caso nella mia classe quando tenevo le lezioni a Quantico?»
«Sì, lo ero.»
«Vedo che Jack non ha perso la sua passione per le giovani e promettenti allieve dell'accademia.»
«Ha detto che non si farà catturare…» Will avvertì un tono d'ira nelle parole della ragazza «Perché lo dice?»
«Niente sfugge alla mente di quell'uomo, signorina Starling.»
«Da quanto mi è stato riferito nemmeno alla sua, signor Graham. Senta, se decide di unirsi a noi l'aspetto lunedì mattina alla sede di Quantico, chiederà di me, Clarice Starling»
«E se rifiutassi?»
«Vedremo di cavarcela da soli. Buona notte, signor Graham.» La ragazza dall'altra parte della cornetta riattaccò.
Prima che quel telefono squillasse era una tranquilla giornata di sole, ora sembrava un paesaggio distrutto da un uragano che aveva lasciato macerie ovunque. La fortezza che si era costruito attorno era crollata, esponendolo nuovamente alla dolorosa realtà. Gli aveva ricordato di possedere un dono che era allo stesso tempo la sua condanna.
Will sapeva che era stato Jack a convincere quella giovane tirocinante a telefonargli. Non le parve una bugiarda, solamente troppo acerba per dire menzogne che potessero passare inosservate alla sua esperienza. Spense la lampada del soggiorno dirigendosi nella veranda, immerso in quella troppo fresca notte di ottobre, nel tentativo di trovare una risposta alimentato dal tiepido gelo che gli penetrava la mente.
 



NOTA: Ecco qui il secondo capitolo! Mi sono presa la libertà di aggiungere Clarice a questa mia strana FF, dato che secondo la mia immaginazione, tutte le donzelle sono morte, quindi ci voleva un rimpiazzo femminile adeguato! Spero comunque che questo capitoletto vi possa piacere. E grazie per aver letto! :)
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3


La sede dell'FBI di Quantico, Virginia, era pressoché rimasta la stessa, i lunghi corridoi bianchi continuavano a trasmettere un agitato senso di inquietudine, come se si stesse per fronteggiare qualcosa di spaventoso.
Quel lunedì  mattina Will Graham si era fermato all'entrata, aveva cortesemente chiesto dell'agente speciale Starling ad una nuova segretaria mai vista prima, si era appeso alla camicia il badge con su scritto "visitor" e, preceduto da un grande sospiro di incoraggiamento, si era diretto verso l'ufficio indicato. A Will faceva uno strano effetto ritrovarsi lì dopo tanto tempo. Credeva di aver dimenticato il complicato intreccio di vie che presentava quell'edificio ma, una volta dentro, i ricordi erano riemersi, come un bastoncino di legno in un lago; sta poco sotto la superficie, poi è costretto a risalite.
In un lampo tutta la sua vita, dal giorno in cui Jack l'aveva strappato dall'aula dell'accademia a quando un intelligente psichiatra psicopatico gli trapassò il ventre, gli si presentò davanti agli occhi. Erano successe troppe cose in quei corridoi, cose che non potevano essere ignorate con facilità.
Will Graham raggiunse finalmente l'ufficio, trovandolo sorprendentemente vuoto. Evidentemente la signorina agente speciale Starling non è puntuale, pensò. Cominciò così a darsi un occhiata intorno e focalizzò la sua attenzione sulle disordinate carte sparse per la scrivania. Vi ci trovò dossier di innumerevoli delitti, casi archiviati, casi ai quali lui stesso aveva preso parte e persino fotografie delle vittime del nuovo serial killer della zona, al quale stavano dando la caccia. Will ne aveva sentito parlare, era sulla maggior parte dei giornali e si trovava quasi sempre come argomento di punta nei notiziari alla tv. "Buffalo Bill", una sottospecie di pazzo che scuoiava donne prendendo le parti di pelle che più preferiva.
Improvvisamente qualcuno bussò sulla soglia dell'ufficio. Graham non si voltò, sapeva perfettamente chi avrebbe trovato alle sue spalle.
«Ciao, Jack!» Will non alterò la voce. la mantenne ferma e composta, come se salutasse l'amico visto la sera prima al bar per una birra.
«Ciao, Will. Così l'hai scoperto.»
«Che avevi chiesto tu all'agente Starling di telefonarmi?» Si girò verso Crawford «Sì, l'ho capito subito. Hai davvero un talento unico nel convincere altre persone a fare il lavoro sporco.» Fu strano ritrovarselo di fronte. Lui, quell'uomo che l'aveva esposto troppo, rendendolo vulnerabile al mondo.
«Mi ritiene così sciocca da venire persuasa tanto facilmente?» una voce arrivò dall'esterno dell'ufficio per poi fare la sua teatrale comparsa qualche secondo dopo. «L'agente Crawford ha formulato l'idea, sì.  Ma io ho insistito per metterla in atto. Comunque piacere di conoscerla, sono Clarice Starling.» La ragazza si allungò porgendo la mano a Will. Non appariva tanto alta, una statura che di poco superava il metro e sessanta. Era di aspetto grazioso, una bellezza oggettiva, particolare ma concreta e presentava un fisico asciutto. Gli occhi erano profondamente azzurri ed i capelli che le arrivavano alle spalle, ricordavano tanto un tramonto d'inverno. Era più simile ad una di quelle ragazze che potresti trovare in una confraternita che una futura agente dell'FBI.
«Piacere mio, signorina Starling.» Rispose Will assecondando il suo gesto di cortesia. «E non  la ritenevo sciocca, è che conoscendo le doti persuasive di Jack dovevo comunque ipotizzarlo.»
«Vedo che non ama il contatto visivo, signor Graham.»
Will strinse i denti, travolto dal ricordo della priva colta in cui aveva udito tale affermazione. Ma era vero, da quando era entrata non si era ancora degnato di guardarla negli occhi. Jack si accorse della situazione ed intervenne prontamente.
«Non pensavo saresti venuto, Will.»
Graham tentò di reagire formulando una risposta.
«Non sarei dovuto venire infatti. Sono stato tutta la notte a pensare a quello che avrei o non avrei dovuto fare. Poi c'è stato qualcosa che mi ha convinto a tornare. Che cosa ancora non lo so. D'altronde "Tu ti innamori dell'FBI…»
«Ma l'FBI non si innamora di te."» fece il coro Jack terminando la frase. «Sono certo che qualunque cosa fosse, Will, è stato un bene.»
«Io non ne sono del tutto sicuro» Will sorrise acido. «Allora, parlatemi del motivo perché sono qui.»
«Clarice…» Jack posò il suo sguardo sulla ragazza e con un gesto della mano la invitò ad esporre il caso.
«Le ricerche del dottor Lecter sono cominciate precisamente il giorno dopo che lui… beh, lei sa quello che ha fatto. Un mese dopo siamo venuti a sapere che aveva lasciato gli Stati Uniti su un volo diretto a Parigi. Così abbiamo spedito foto perché potessero identificarlo, ma di lui nessuna traccia. Poco tempo dopo, un hostess di volo riconobbe l'uomo nella foto, disse però che indossava un paio di occhiali da sole a specchio. Così controllammo il volo indicato dalla ragazza e venimmo a sapere che era atterrato a Firenze. Non abbiamo più avuto notizie da allora ma siamo quasi convinti che si trovi ancora lì. Ovviamente tutte queste indagini sono state tenute lontane dalla stampa. Nessuno sa che stiamo lavorando al caso del dottor Lecter al di fuori di queste mura.»
«Esattamente.» Confermò Jack continuando. «Se qualche ficcanaso dovesse scoprire del tuo ritorno gli faremo credere che stai lavorando al caso di Buffalo Bill, lo squartatore. Ormai lo abbiamo in pugno in ogni caso, non è molto bravo a nascondere le prove.»
Will si sentiva confuso, ma in tutto quel caos riuscì a formulare un ipotesi.
«Non vuoi che si sappia nulla perché credi che il dottor Lec… Che lui legga ancora gli articoli di Freddie Lounds?»
«Sei perspicace, Will. D'altra parte, quello è il suo unico e possibile contatto con noi.»
«E noi cosa dovremo fare?» Stava diventando sempre più curioso, una curiosità che si mischiava alla paura di rincontrare quell'uomo.
«Crediamo, anzi, siamo convinti che Lecter si trovi a Firenze. Sai benissimo che è la CIA ad occuparsi dei casi esteri. E sai anche che sia tu che la signorina Starling non siete veri agenti dell'FBI…»
Will cominciava a capire. Si guardò attorno per poi continuare.
«Vuoi che andiamo in Italia per poterlo trovare!»
«Per catturarlo, Will.»
«Lui mi conosce, Jack.»
«Ma a me no.» Intervenne Clarice «Il problema è che forse quasi nessuno riuscirebbe a riconoscere lui. Sarà cambiato, nome, aspetto, comportamento. Ma lei lo conosce troppo bene. E' per questo che mi serve il suo aiuto. In qualche modo abbiamo bisogno che lei lo intrappoli.»
Graham contemplò gli sguardi di entrambi, erano desiderosi del suo aiuto, speravano che il dono di quell'uomo li avrebbe aiutati a dare fine alla folle corsa di quel pazzo.
«La fate facile voi due.»
«Will, anche io ho conosciuto la furia di Hannibal. Non quanto te ma so cosa può causare. Mando te perché lo conosci meglio di chiunque altro» Era vero. La sua rovina era stato vederlo dentro. Jack continuò. «Avrete una copertura. Sarete due fratelli, tu il maggiore in viaggio d'affari, mentre Clarice una studentessa di storia dell'arte e architettura che approfitta di viaggiare col fratello per studiare Firenze. A nessuno, ripeto mai a nessuno dovrete rivelare la vostra identità. Se accetterai, Will, domani ci organizzeremo per limare i dettagli.»
Will annuì un paio di volte silenzioso, tenendo lo sguardo verso il freddo pavimento e le mani nervose nascoste nelle tasche. Ormai aveva lasciato la sua casa interrompendo la sua nuova vita per tornare all'inferno, un inferno chiamato Hannibal Lecter. Forse quella piccola cosa che lo aveva spinto a cedere alle tentazioni dell'FBI era semplicemente una resa dei conti.
«Va bene, accetto.» Disse espirando e portandosi una mano tra gli scuri capelli mossi.
«Perfetto, Will. Ti accompagno all'uscita.»
«D'accordo. Allora a domani, signorina Starling.» Strinse nuovamente la mano alla giovane donna.
«A domani, signor Graham.»
Will e Jack lasciarono la stanza uno affianco all'altro, ripercorrendo a ritroso quei tetri corridoi. Graham non riusciva ad abituarsi al fatto di essere di nuovo lì, accanto a lui, come se stessero andando a far visita ad una famiglia assassinata, una donna uccisa o un uomo mutilato. Era strano perché nonostante fossero trascorsi nove mesi non sembrava cambiato nulla
«Come stai, Will?» Cominciò a parlare Jack dopo alcuni passi accompagnati dalla quiete e dal ronzare delle ventole. «Ti sei ripreso?»
«Sì, va tutto bene.» Mentì «E tu?»
«Tutto bene.» Mentì anche lui.
«Soffri ancora per la perdita di Bella?» Forse non avrebbe dovuto fare quella domanda, troppo diretta, troppo dolorosa. Non ci aveva pensato. Jack sospirò per poi rispondere.
«Ci si abitua alla perdita di qualcuno durante il giorno. Di notte no, è diverso. Alla mente addormentata non sfugge nulla, ogni minimo ricordo viene ributtato fuori, seguito da una valanga di malinconia. Ma ci si abitua, è tutta una questione d'abitudine.» Will comprendeva quelle parole, ci si ritrovava.
«Dal momento che perdi tutto, col tempo ti abitui a non avere niente.»
«Già.» Jack lo guardò comprensivo e malinconico.
Erano arrivati all'uscita. Will si voltò verso l'agente Crawford abbozzando un piccolo sorriso amichevole.
«A domani, Will.»
«A domani, Jack.» Graham si diresse confuso verso la macchina lasciandosi alle spalle quel grande edificio che era la sede dell'FBI. L'ansia non era tanta ma diventava pesante mescolandosi all'assurdità del momento, creandogli un leggero fastidio. Arrivato alla sua vettura aprì la portiera e salì, diretto verso l'hotel che l'avrebbe ospitato per quella notte, mentre continuava a lottare contro la sua mente.
Dall'altra parte della strada, la signorina Freddie Lounds scattò una fotografia.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO 4

L'articolo di Freddie Lounds recitava:

"Will Graham ed FBI; ritorno di fiamma?"
Will Graham, ex agente speciale dell'FBI, si ritirò dal servizio dopo essere stato quasi ucciso dal suo psichiatra, il dottor Hannibal Lecter. Dal giorno in cui uscì dall'ospedale di Baltimora, curato per uno squarcio all'addome lungo quindici centimetri, non ci sono state più notizie su di lui. Ma ieri, dopo ormai più di nove mesi di assenza, si è misteriosamente ripresentato negli uffici dell'FBI. E' stato visto uscire dalla sede accompagnato da Jack Crawford, anch'esso sopravvissuto alla follia del dottor Lecter. L'ipotesi più plausibile che spiegherebbe il suo ritorno è riconducibile al caso "Buffalo Bill", in quanto ci sarà bisogno del suo strano dono per poterlo acciuffare. Non sarà pericoloso ributtarlo sulla scena del crimine dopo il trauma subito? Non sappiamo se la sua instabilità abbia avuto miglioramenti ma considerati i fatti passati potrebbero esserci ancora circostanze poco serene. L'unica cosa certa del suo ritorno è che Will Graham non è un bene per l'FBI.

Il breve articolo terminava con il nome della giornalista a pie di pagina. Accanto al testo la fotografia di Will Graham. Se ne stava affianco alla sua macchina , la mano destra sulla maniglia, intenta ad aprire lo sportello per farlo salire.
Il professor Fell, quasi dall'altra parte del mondo, aveva appena terminato di leggere quel breve pezzo di scadente e grossolano giornalismo attraverso quadrati occhiali da vista. Portava una leggera barba incolta, il professor Fell, e lisci capelli biondi lunghi fino a metà del collo. Se ne stava tranquillo nella sua casa fiorentina, in via de' Bardi, rilassato sulla scura poltrona di pelle, con gambe accavallate e tablet alla mano. La luce delle lampade sfiorava i lineamenti dell'uomo marcando  le ombre su alcuni spigolosi punti del suo viso e rifletteva rossi pallini luminosi dai profondi occhi color sabbia. Continuò per qualche minuto ad osservare senza sosta la figura di Will Graham. Posò poi la combinazione di pollice ed indice sul palmare per poi allontanarli l'uno dall'altro nel tentativo di ingrandire l'immagine. Spostò l'inquadratura sul viso. La barba era quasi assente, se non per qualche piccolo accenno sul mento ed i capelli di poco più corti del solito. La lontananza dall'FBI aveva permesso di curare un po' di più il suo aspetto fisico, in precedenza inevitabilmente trascurato. L'espressione sul volto di Will era decisamente tesa ed il professor Fell ci mise poco a trovare un pizzico di pentimento immerso in quei glaciali occhi azzurri.
Subito dopo dalla cucina uscì silenziosamente una donna, alta, elegante, con lunghi capelli castani visibilmente tinti, traditi dalla piccola ricrescita bionda e dal colore insolitamente chiaro delle sopracciglia. In mano stringeva un calice di vino rosso. Fece il suo ingresso nel piccolo studio andando a posizionarsi vicino alla scrivania situata di fronte alla poltrona su cui sedeva l'uomo. Gli occhi chiari della donna scrutarono furtivi l'enigmatico sguardo del professor Fell mente, lentamente, portava alle labbra il delizioso liquido bordeaux. Prima di deglutirlo lo fece passare tra le guance, sospinto delicatamente dalla lingua. Non tolse mai gli occhi dalla persona davanti a lei, china e seria su quell'oggetto elettronico.
«E' Will Graham, non è vero?» Intervenne la sottile, ferma e calda voce della donna dai finti capelli scuri. L'uomo alzò gli occhi, cominciando a fissare un punto indefinito nella stanza.
«Sapevo che sarebbe tornato.» Ribatté lui. C'era fermezza in quel tono di voce. Difficilmente riuscivi a dedurne qualcosa, nessun tipo di sentimento, come se le emozioni venissero bloccate da una barriera che filtrava tutto il resto. Entrambi portavano una fede all'anulare sinistro, simbolo tale da far intendere il legame tra i due. Erano marito e moglie.
La signora Fell si avvicinò al marito allungandogli il bicchiere in un celato gesto di conforto. Lui allungò la mano afferrandolo. Annusò quello scuro vino e ne bevve un sorso, deglutì e sbatté la lingua sul palato nell'intento di gustarne il sapore fino in fondo.
«E' un'ottima annata.»
«Percepisco timore nei tuoi occhi. Hai il sospetto che venga a cercarci?» Riprese la donna scartando a prescindere il tentativo del professor Fell di cambiare discorso.
«Pensi sia tornato per me?»
«Sai che è così.»
L'uomo sollevò l'angolo sinistro della bocca accennando un debole sorriso.
«Non sono preoccupato per questo. Ma curioso. E' insolito che sia già tornato. Ero convinto che prima o poi avrebbe ceduto alle tentazioni di Jack Crawford ma non in un tempo così breve. E di certo la posta in gioco non consiste in uno psicopatico innamorato della pelle delle donne.» I suoi occhi erano ancora persi nel piccolo universo che era quella stanza, alla ricerca di conferme.
«Perché pensi che abbia accettato? Non gli hai causato solo un forte trauma fisico quella sera ma anche psicologico. Sarebbe stato normale un suo totale e perenne isolamento e molto più comune una risposta negativa. Cosa pensi che lo abbia spinto ad accettare?»
Fell sospirò e si alzò dalla poltrona, appoggiando il tablet ed il bicchiere sul ripiano accanto alla donna. Si portò le mani dentro le tasche avvicinandosi alla finestra, scostò con gentilezza le chiare tende damascate con l'intenzione di spiare la notte fiorentina. Osservò una città apparentemente legata al passato e ostile al presente. Strade strette, vie tetre ma tranquille, rese suggestive dagli antichi e decorati lampioni di ferro appesi alle pareti esterne delle case. Gli piaceva sostare davanti alle finestre. Gli davano un senso di chiarezza, come se si potesse scoprire un mondo dietro quei pochi centimetri di vetro trasparente.
«Vuole dare una fine ai giochi.» Ricominciò il professor Fell «Desidera una resa dei conti.»
«E come reagirai a questo futuro incontro? Succederà, lo sai. Probabilmente non sanno ancora con precisione dove ti nascondi ma lo sapranno. A quel punto ritroverai davanti ai tuoi occhi il viso di Will Graham. Questo ti spaventa?»
«Stai tentando di psicanalizzarmi?»
«E' stato il mio lavoro per anni, ma in questo caso voglio solo capire.»
Il dottor Hannibal Lecter, sotto falso nome di professor Fell, si voltò finalmente verso la sua signora, alias Bedelia du Maurier, guardandola negli occhi. Lei notò un pizzico di malinconia in quelli dell'uomo. La malinconia si manifesta maggiormente quando ti manca qualcosa.
«Sì, temo il suo incontro. Perché lui mi ha tradito. Gli ho aperto me stesso e lui ha fatto entrare ospiti indesiderati. Mi fidavo di lui.»
«E lui si fidava di te. Altrimenti non si sarebbe lasciato uccidere.»
«Il mio intento con Will non consisteva nel commettere un omicidio, ma volevo impartirgli una punizione. L'ho perdonato. Spero che lui faccia lo stesso nei miei confronti.» Hannibal fece qualche passo avanti, afferrò il bicchiere di vino e lo porse gentilmente a Bedelia invitandola a bere.
«Che cosa farai quando arriverà il momento?»
«Perché rivelare tutti i dettagli all'inizio della storia, mia cara? Penso sia giunto il momento di preparare la cena, vuoi unirti a me?» Lecter gli porse la mano invitandola a quell'assurdo rituale che andava in scena ogni sera nella cucina. Lei accettò l'invito, sorridendo segretamente preoccupata. Era uno strano sentimento il suo. Era consapevole di quanto quell'uomo potesse essere pericoloso ma non le importava. Sapeva che non le avrebbe fatto del male. Si avviarono così assieme verso la piccola cucina della nuova casa italiana. Sembravano una coppia nella loro prima settimana di nozze, intenta a condividere ogni singolo momento della vita coniugale.
La luce dello studio si spense, lasciando come unico bagliore lo schermo del tablet che presentava un insolito ingrandimento sul viso di Will Graham.


 

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