Riot

di Pisquin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Riot

1.
 
Me ne stavo sul marciapiede della scuola con la mia solita espressione annoiata, aspettando che qualcuno decidesse di venire a prendermi e portarmi a casa, perché stavo aspettando da decisamente troppo tempo e non era rimasto quasi nessuno nei paraggi, ergo quasi nessuna macchina e anche essere umano, insomma solo quelli del primo e io odio quelli del primo. Mi rigiravo in mano le mie ciocche di capelli - con tanto di doppie punte – e rimuginavo sul fatto che quella sera avrei dovuto cucinare perché mamma avrebbe fatto il turno notturno, tanto per cambiare. E dovevo far fare i compiti a Tiffany. Ah, avrei dovuto farli anch’io, ma quello era un dettaglio facilmente trascurabile. Puntai gli occhi sulle mie Sketchers nere mezze scassate - giusta osservazione: quel giorno avevo educazione fisica e (1) non avevo voglia di cambiarmi a scuola e (2) portare altro peso in borsa quindi mi ero arresa all’idea di indossarle tutto il giorno – e continuai a pensare a tutta la mole di compiti di letteratura inglese. Stavo quasi per arrendermi e incamminarmi verso la stazione degli autobus quando una moto inchiodò la sua gomma anteriore esattamente a due centimetri dalla mia scarpa destra. “Ma dico io, sei pazzo o cosa?” alzo lo sguardo sul cretino che mi stava per investire e lo incenerisco “Scusami tanto se tu stavi in mezzo alla strada” “Non sono dell’umore giusto, carino. Quindi vedi di andartene” Lo guardai con le mani sui fianchi ed un’espressione che tutto celava meno che gentilezza e comprensione e tutto il resto. Mi fissò con il suo sguardo divertito mentre afferravo la tracolla e mi dirigevo a passo spedito dall’altra parte della strada. La scuola era circondata da alti alberi e piccole aiuole, dava sul centro di Chicago, anche se l’atmosfera non era propriamente cittadina. Schiacciai una lattina di Mountain Dew con la suola della scarpa e continuai ad osservare il cielo: dalle fronde degli alberi si intravedevano nuvole nere e si preparava un temporale coi fiocchi. “Piacere Aaron” Il motociclista di prima mi si affiancò, mantenendo la velocità della moto probabilmente sui cinque chilometri orari. Mi voltai con uno sguardo che diceva solo una cosa: ‘stammi alla larga’. “Ma santo dio, chi ti conosce?” Rise e continuò a seguirmi. Intravidi i suoi stivali neri e i jeans stretti di un blu chiaro. “Si può sapere cosa vuoi?” gli chiesi esasperata, alzando gli occhi al cielo. Rise ancora e mi porse la mano “Piacere Aaron” “Lo hai già detto” gli feci notare. Inarcò un sopracciglio con un ghigno in faccia. “Saccente, mi piaci” “Ma stai zitto” Sotto il casco nero si intravedevano i suoi capelli color miele tenuti fermi sulla fronte da una – cosa diavolo era? – ah, si una bandana. Sotto il casco, mh. Continuava a squadrarmi sorridente con i suoi occhi verde chiaro, cercando quantomeno di non cadere dalla moto, vista la ridotta velocità “Se continui così la benzina finirà nel giro di cinque minuti” “Non mi importa” Continuava a tenere la mano tesa nella mia direzione, per questo benedetto ‘piacere’. “Eh va bene” mi arresi stringendogli la mano “ma non è un piacere Aaron. Comunque io sono Chloe.” “Che nome carino” Mi infiammai alle sue parole e ribattei immediatamente “Non vedi come sono vestita? Ti sembra adatto a me quel nome? Io lo odio, quindi non dire mai più che è carino” Alzò le mani in segno di resa, sorridendomi. In effetti non sembravo affatto una Chloe con i fiocchi perché (1) odiavo il rosa e di solito quello è un nome abbinato a ragazzine piene di pony e brillantini e (2) di solito non indossavo brillantini o cose propriamente femminili infatti (3) in quel momento avevo addosso un paio di jeans bucati, le mie Sketchers già citate in precedenza e una maglia dei Blink-182, per inciso una delle mie band preferite. Come se mi avesse letto nel pensiero disse “Bella la tua maglia, amo i Blink” “Davvero?” mi sentii rispondere. Ma perché gli rispondi? Non ricordi di dover andare perché tra poco inizia un temporale? “Sì, sono davvero forti” “Scusami mi devo affrettare per la fermata degli autobus, tra poco inizia a piovere” Gli feci un sorriso poco convinto e iniziai a camminare più velocemente verso la fermata, per non rischiare di perdere l’ultimo autobus “Hey” sentii la moto affiancarmi di nuovo, mi voltai per vederlo tenere un altro casco in mano “Se vuoi ti accompagno io a casa, ho un casco in più e probabilmente tra cinque minuti inizierà a piovere” Mi sorrise facendo per porgermi il casco. “Non so, magari devi allungare la strada per tornare a casa tua, io abito in Flat Street, è un po’ lontano da qui. Magari ti faccio fare tardi” Stavo per rifiutare il casco quando me lo mise in mano “Dai, io abito praticamente affianco a Flat Street, vieni” “Mia mamma si incazzerà” risi tra me e me infilando il casco “E per cosa?” chiese lui “Sai, la solita ‘non accettare mai caramelle dagli sconosciuti’. Io ho accettato addirittura un passaggio, magari stanotte entrerai in casa e mi ucciderai.” Continuai a ridere salendo in sella alla moto e osservai la carrozzeria nera lucente. Lo vidi scuotere la testa ed accennare ad una piccola risata “Sei proprio strana” “Benvenuto nel mio mondo” Poggiai insicura le mani sulla sua vita, quando lui girò la testa e mi sorrise, portandole all’altezza del petto “Altrimenti cadi” si giustificò. Diede gas e con una brusca accelerata partì. Ero abituata a viaggiare su due ruote, dato che tutte le mattine la mia amica Mya mi accompagnava a scuola con il suo scooter, però su una moto era del tutto diverso. Il veicolo era più potente e quando Aaron dava gas, sfrecciavamo così veloce da sentire il rumore del vento. E il vento non fa rumore, di solito. Non c’era molto traffico a quell’ora ed entro un quarto d’ora raggiungemmo casa mia “Fermo, è questa tinteggiata di lilla” “Ora capisco il tuo nome” rise fermandosi proprio di fronte al vialetto di accesso. Era una casa a due piani, circondata da un giardinetto che mia mamma definiva ‘sfizioso’ ma che in realtà era vomitevole. Accuratamente potato e tagliato si stagliava al centro del giardino un grosso ciliegio e tutt’intorno aiuole e cespugli tutti sui toni del rosa e rosso. Sembrava la casa perfetta per passare San Valentino, ma solo San Valentino. Io ci passavo tutti i giorni. Scesi dalla moto e mi tolsi il casco velocemente, porgendolo ad Aaron che mi guardava sorridendo. “Eccoci giunti alla meta” esordì mettendo il cavalletto alla moto e scendendo dopo di me. Tolse il casco e lo allacciò al manubrio. Oltre ad i jeans chiari indossava un giacchetto di pelle nero – probabilmente era uno di quei motociclisti fissati con borchie e cose varie, da ‘duro’ – sotto di questo si intravedeva una maglietta grigia di una band, da quello che riuscivo a vedere probabilmente erano gli ACDC, o qualcosa del genere, sicuramente. “Si, eccoci” dissi, aprendo il cancelletto e osservando Aaron raggiungermi. “Allora tu vieni nella mia scuola, o no?” dissi di getto, probabilmente si trovava da quelle parti per questo. Lo vidi portare una mano ai capelli, imbarazzato “A dire il vero no, mi sono diplomato l’anno scorso adesso lavoro in un’officina qui vicino, sai come apprendista” Lo guardai incerta sul chiedergli del college ma poi lo feci. “Ed il college?” gli domandai mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e sedendomi sul muretto che circondava casa mia. Lui mi seguì e si sedette affianco a me, dondolando i piedi. “Veramente diciamo che avevo una borsa di studio per il football, ma poi mi sono rotto la rotula e una cosa tira l’altra” “Oh, mi dispiace” gli risposi, e mi dispiaceva davvero. Non so cosa avrei fatto se tra due anni avessi dovuto rinunciare al college di punto in bianco, probabilmente sarei impazzita, perché a diventare una commessa non ci pensavo minimamente. Dopo un sorriso triste cambiò subito argomento “Allora, tu invece a che anno sei?” “Quarto, tra poco toccherà anche a me andarmene, finalmente” Sorrise, mettendo in mostra due fossette ai lati del viso. Guardai distrattamente l’ora dall’orologio allacciato al suo polso sinistro: 17:30 p.m. “Oddio, Aaron, è tardissimo, devo andare a preparare la cena” Scattai in piedi e afferrai la tracolla dal marciapiede “Beh, alla prossima?” disse lui indugiando sul mio viso “Certo” gli risposi incamminandomi verso la porta “tanto sai dove abito, puoi anche sgusciare nella mia camera dalla finestra e costringermi a seguirti nella notte. Ma non farlo, ho il sonno leggero” Rise salendo in moto e allacciandosi il casco “Ripeto, sei proprio strana” Gli feci un cenno di saluto mentre metteva in moto e lo guardai uscire dalla via verso il traffico principale mentre fischiettava un motivetto. Anche lui non era tanto normale.





Ciao a tutti, sono ancora qui, instrappolata in una nuova storia hahaha
Bene, come prima cosa Aaron è spudoratamente simile ad Ashton Irwin, per chi non lo conoscesse, eccolo qui: ashton
Comunque siete liberi di immaginarvelo come volete.
Bene, come vedete Chloe non mi sembra la solita ragazza, il che è positivo, perchè fa la mia storia un po' diversa.
Spero comunque che vi piaccia, anche se questo è solo il primo capitolo.
Mi farebbe piacere ricevere delle recensioni o almeno dei consigli per sviluppare la storia.
Se volete contattarmi, trovate tutto nella mia bio.
Un bacio, a presto,

Sara xx

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Capitolo 2
*** 2. ***


Riot

2.
 
“Tiffany, muoviti. Dobbiamo andare, è tardissimo” Scesi le scale rischiando di rompermi tutte le ossa del corpo, afferrando lo zaino di mia sorella e aprendo la porta. Ero in uno spaventoso ritardo e non ero riuscita a prendere il caffè, quindi ero in uno stato di coma irreversibile e Tiffany non muoveva il suo culo ossuto dalla camera. “Io esco e ti lascio a casa” uscii, facendo per chiudere la porta, quando Tiffany mise un piede in mezzo e uscì con le due trecce che le dondolavano sulle spalle “Sembri un pasticcino” commentai il suo ‘look’ non appena ci affrettammo su per il vialetto e la strada principale “A differenza tua mi piace il rosa” disse con una smorfia, afferrando il suo zainetto dalla mia spalla e infilandoselo. “Vado alla fermata, a stasera” mi fece una linguaccia e si incamminò verso la casa della sua migliore amica Pearl; si, i nomi del vicinato erano uno peggiore dell’altro. Mi affrettai verso la piazza del quartiere dove Mya mi stava aspettando con lo scooter già in moto “E muoviti Chloe, quanto ci hai messo stamattina?” “La sveglia non è suonata e Tiffany non si muoveva. Non ho preso neanche il caffè” “Ahia” fece con una smorfia di disapprovazione e mi passò il casco; sapeva quanto diventavo irritabile senza il mio caffè mattutino “Andiamo che altrimenti il professor Sanchez ci costringe a star fuori anche oggi” Salii velocemente allacciando le braccia intorno alla sua vita minuta mentre lei partì spedita verso la scuola. Mya era molto simile a me su certi aspetti. Aveva i capelli rosso fuoco e quel suo eye-liner perenne. Il piercing sul labbro di certo non la faceva sembrare una ‘brava ragazza’, insomma era una ‘ragazza di Flat Street’ quanto me, il che era un tutto dire. Ci conoscevamo da un sacco di tempo, probabilmente dal’asilo, perché non ho molti ricordi di quanto avevo cinque anni, sai com’è ricordarsi delle cose fatte a cinque anni è pressoché impossibile perché (1) la tua memoria a cinque anni si restringe al nome ‘bambino’, inoltre (2) sono passati circa dodici anni e (3) non ricordo cosa ho mangiato ieri a cena. Appena arrivate al parcheggio della scuola scesi velocemente dal veicolo e mi affrettai verso l’entrata principale, strisciando il badge della presenza. Corsi per il corridoio verso l’aula D5 dove il professor Sanchez teneva il suo corso intermedio di spagnolo. Quest’ultimo si trovava proprio davanti alla porta. Mi fermai quando mi guardò con un sorrisetto scocciato, nel frattempo Mya era arrivata alle mie spalle. “Signorine, vi sembra questa l’ora?” Facemmo un’espressione dispiaciuta a cui avrebbe creduto solo lui, infatti: “Per questa volta va bene, ma alla prossima resterete fuori dall’aula, e non voglio sentire scuse” Si voltò e raggiunse la cattedra, facendoci entrare. Per fortuna gli sfuggì il mio ghigno soddisfatto dopo che andai a sedermi vicino a Gwen. “Ho bisogno di caffè” esordii mentre il professore iniziava ad illustrare la lezione del giorno.
 
***
 
Aaron
 
Mi asciugai le mani con uno straccio che lasciai appeso ad un pomello vicino al piccolo lavandino che si trovava in officina. Lavoravo lì da poco più di sei mesi e ad ogni pausa pranzo non avevo la più pallida idea di dove andare. Casa era troppo lontana e avrei solo consumato la benzina, non potevo restare ogni giorno lì dentro a mangiare gli avanzi della sera prima, quindi conclusi che un bel giro al McDonald’s non me lo avrebbe tolto nessuno. Mi avvicinai alla moto mentre componevo sul cellulare il numero di Nathan. Magari aveva già finito il suo turno e avremmo potuto mangiare insieme. “Hey Aaron, c’è qualche problema?” “Perché ogni volta che ti chiamo deve esserci un problema?” replicai sentendolo ridacchiare “Okay, non c’è nessun problema. Dimmi allora, perché hai chiamato questo poveraccio che tra poco deve iniziare il turno?” “Ah, quindi non hai ancora attaccato? Perfetto, tra cinque minuti ti raggiungo al nostro tavolo” “Okay, mi sono ufficialmente perso metà discorso, ma va bene. A dopo” riattaccò e montai velocemente sulla moto, allacciandomi il casco e partendo con una brusca accelerata verso il McDonald’s più vicino, ovvero quello dove lavorava Nat. Un anno fa gli era successa una ‘disgrazia’ più o meno simile alla mia, quando era stato costretto ad abbandonare il college per la malattia della madre, che poco dopo era venuta a mancare. Eravamo allo stesso anno delle superiori e ci siamo rincontrati casualmente un giorno mentre compravo uno dei miei primi pranzi all’officina, proprio nel McDonald’s dove lui lavora. Di lì ci siamo incontrati sempre più spesso, durante tutte le volte in cui dovevo mangiare e non sapevo dove andare;  iniziammo ad uscire insieme ed è un po’ così che nacque la nostra amicizia. Era il mio confidente e riusciva sempre a tirarmi su di morale, anche quando non mi aspettava niente di buono. E in quel momento volevo parlargli perché non sapevo cosa pensare dell’incontro della sera precedente, con Chloe. Mi era sembrata una ragazza stranissima, con i suoi capelli scuri e quell’acidità che la distingueva. Era così fuoriposto in quel quartiere di ‘signorine per bene’ che mi aveva fatto subito simpatia. Aveva un non-so-cosa di particolare con quella maglietta che non avevo mai visto indossare da una ragazza, soprattutto da una di quelle che abitavano in ‘Flat Street’. In mezzo a tutta quella perfezione la trovavo un piacevole errore. Quando scesi dalla moto, intravidi Nat già seduto al nostro tavolo, uno di quelli che si trovava vicino alle finestre, alla fine della sala. Entrai e lo raggiunsi a passo spedito “Non ci credo, già hai ordinato?” Vidi il mio McMenù dalla mia parte del tavolo e mi sedetti, aprendo l’involucro del panino. “Ti stavo aspettando mon chéri” “Taglia corto con i francesismi, non siamo a Parigi” gli feci un sorrisetto e addentai il mio panino. Amavo ed odiavo la sensazione di addentare un panino del McDonald’s perché (1) era così gustoso ma nel frattempo (2) era pieno zeppo di calorie e (3) sì, ero uno di quelli attenti alle calorie. Ognuno di noi ha un difetto, no? Beh, quella era una delle mie tante debolezze. “Hey A, dimmi perché sei qui.” “Per mangiare?” gli lanciai uno sguardo ovvio “A me non la fai. Quando vieni a mangiare qui c’è sempre qualcosa che mi devi dire. Dai su, sputa il rospo” “Ma non è vero, non è sempre così” Mi lanciò un’occhiata di ammonimento e alla fine cedetti “Okay, okay, questa volta è così. Hai ragione” “Modestamente” sorrise, sbocconcellando delle patatine fritte. Lo osservai chiudendo il coperchio della confezione del panino e giocherellando con la tovaglietta di carta. “Ieri sera ho incontrato questa ragazza” “Uh uh, ragazze” lo fulminai con lo sguardo, anche se il mio sorrisetto compiaciuto mi aveva già tradito. “Insomma stava davanti la scuola e io ho dovuto inchiodare a due centimetri da lei perché una macchina mi stava per investire” mi interruppe con un risolino, poi continuai “Lei ovviamente era tutta un ‘non mi guardare, chi sei?, non mi toccare’” Nat ridacchiò quando sentì quelle parole, convinto che fosse una delle solite ragazze ‘fricchettine’ “E quando lei ha iniziato ad incamminarsi verso la fermata io l’ho seguita” “Ma che sei uno stalker?” “Hey, volevo solo parlarle” “Devo ancora capire cosa ha di speciale questa” “E mi sono presentato e lei non voleva rispondermi. Continuava a camminare ma stava per piovere, quindi alla fine le ho chiesto se voleva un passaggio e lei si è presentata come Chloe, al che ho riso perché non sembra minimamente una Chloe. Sai quando vedi le persone e ti immagini come possano chiamarsi?” lui annui guardandomi mentre gesticolavo “Ecco, lei non è una Chloe. Ha uno stile tutto particolare e le ho visto addosso una maglia dei Blink. Ed è una ragazza! Capisci il perché le ho offerto il passaggio? Mi sembra una persona interessante, ecco.” “Quindi mi vuoi dire che ti piace, e neanche la conosci, giusto?” “No, non è che mi piace. La trovo simpatica e alquanto strana, ma non mi piace.” “D’accordo” annuì poco convinto invitandomi a continuare “Cioè almeno non mi piace in quel senso. Allora le ho chiesto dove abita e lei mi ha detto in ‘Flat Street’, a quel punto sono rimasto interdetto. Le conosci quelle di ‘Flat Street’, no? Non sono quel genere di ragazze e basta, non mettono eye-liner e magliette di band. Comunque, a quel punto è salita in moto e siamo andati a casa sua, che è invece una tipica casa di quel quartiere. Ci siamo messi a chiacchierare e mi ha chiesto del college, le ho raccontato tutto quanto e lei ha detto di fare il quarto. Poi è scappata dicendo che si era fatto tardi, ci siamo salutati e me ne sono andato via” “Insomma, qual è la morale della storia?” chiese Nat, cominciando a sistemare tutte le cartacce sul vassoio che poi avrebbe buttato “In poche parole vorrei rincontrarla ma non so come” “Tipico tuo, insomma” rise e andò a gettare le cartacce, sistemando poi i vassoio negli appositi contenitori. Sbuffai contrariato alle sue parole e mi alzai dal tavolo, seguendolo fuori per la sua - e la mia - solita sigaretta del dopo-pranzo. Accendemmo tutte e due le rispettive cicche e ci sedemmo sul muretto che dava sulla strada principale. Nat era abbastanza diverso da me. Oltre a quella ridicola maglia da commesso di McDonald’s che era costretto ad indossare, portava dei jeans larghi e sformati e degli stivaletti marroni – che io odiavo da quando li aveva sfoggiati la prima settimana del quinto anno. Aveva i capelli ingellati di tutto punto, e io odiavo il gel, ma per il resto, aveva un carattere piuttosto cordiale ed era sempre disposto ad aiutarti, anche se si era rivelato un po’ vendicativo. “Di certo non ti posso dire di andare a casa sua ad aspettarla, come minimo prenderebbe un colpo” risi a quelle parole, espirando il fumo dalla bocca “Puoi aspettarla all’uscita da scuola, o magari il fato ti farà un favore e la rincontrerai dove meno te lo aspetti” “Speriamo” dissi, gettando la sigaretta per terra e schiacciandola con la suola.
 
***
 
Chloe
 
“Che fai qui?” chiese Mya vedendomi appoggiata ad una fila di armadietti “Sto aspettando Gwen da mezz’ora, dove cavolo si è cacciata? Mi deve accompagnare in caffetteria” “L’ho vista cinque minuti fa uscire dall’aula di arte, sai quanto è lontana da qui, no? Starà per arrivare.” “E allora perché tu sei già qui?” “Perché devo mettere subito queste cose nell’armadietto” disse aprendo quest’ultimo e gettandoci dentro un’infinità di libri, ne prese alcuni e lo chiuse sonoramente. “Dove devi andare così di corsa?” “I gemelli sono soli a casa e mia madre è uscita un quarto d’ora fa, mi ha chiamato solo ora e sono sicura che avranno reso la casa un campo di battaglia” Sbuffò contrariata mettendo i libri in borsa “Ci vediamo stasera da me?” le chiesi speranzosa. Non ce l’avrei fatta se avesse rifiutato per colpa di quei due marmocchi “Si, certo. A dopo” mi fece un veloce saluto con la mano e corse come un ossesso verso la porta d’uscita. Quelle due pesti di Ryan e Leah, i due gemelli di otto anni, le combinavano di tutti i colori. E, dato il lavoro della madre, era costretta a badare loro cinque giorni su sette. Non avrei voluto essere al posto suo per niente al mondo. Menomale che la mia cara – non molto – sorellina Tiffany se ne stava in camera sua con la sua amica immaginaria Ariel e i suoi mille mila orsacchiotti. Qualche volta invitava a casa le sue amiche del cuore – quanto odio quella parola – Pearl e Jewels – affermativo, c’è gente che chiama la propria figlia ‘gioielli’ – e io ero costretta a preparare loro merende a basso contenuto di zuccheri perché le loro mamme sono attente alla dieta e tutto il resto. Per ripicca ovviamente io mi preparavo un bel sandwich pieno zeppo di Vegemite e sorridendo lo mangiavo mentre a loro offrivo quelle merde di cibo in scatola che nemmeno il nostro gatto Shan mangerebbe, abituato com’è ai filetti di tonno di mia madre. “Eccomi, eccomi Chloe” una Gwen trafelata si appoggiò al suo armadietto, rifiatando per la corsa appena affrontata. “Alla buon’ora” la presi in giro, mentre lei sistemava i suoi libri. Staccai svogliatamente la mia spalla da un armadietto adiacente a quello di Gwen e la osservai mentre dallo specchietto che teneva appeso sull’anta si accingeva a ritoccarsi il fard. “Sei impossibile. Possiamo muoverci o dobbiamo fare la seduta di trucco?” le chiusi l’armadietto in faccia e lei rimase con i suoi occhi azzurri spalancati, intenta com’era a guardare se il mascara c’era ancora. “Andiamo” la presi sottobraccio e varcammo la soglia della scuola “ho bisogno di caffeina”. Rise e ci incamminammo verso la sua Lexus grigia nuova di zecca, ovviamente suo fratello Miles non aveva badato a spese dato che si trattava della sua – unica – sorellina preferita. Magari avessi avuto io un fratello più grande che mi faceva questi regali per i diciassette anni; Tiffany di solito mi regalava un biglietto d’auguri riciclato da qualcuno che glielo aveva regalato a sua volta per il suo compleanno. Quindi ero costretta ad aprire questo biglietto con scritto ‘Adesso hai 10 anni!’: patetico. Salii sull’auto di Gwen e la guardai sistemarsi il vestito. Se ci aveste visto insieme non ci avreste creduto: eravamo agli antipodi. Lei era una tipica abitante di ‘Flat Street’, con quei suoi capelli biondi e i vestitini a fiori. Era sempre pacata, gentile, studiosa: la ragazza perfetta. Diciamo che io ero tutto il suo contrario: le mie manie sull’eye-liner perfetto e quale maglietta di band sarebbe stata la prossima ad entrare nel mio guardaroba in cui, per giunta, tenevo solo due vestiti: uno usato per il matrimonio di mia zia ed un altro regalatomi proprio da Gwen per i miei diciassette anni, il mese scorso. Ci eravamo conosciute durante il primo anno di superiori, anche se praticamente vivevamo a cento metri l’una dall’altra. Litigavamo spesso e quasi sempre per colpa mia che volevo incoraggiarla a lasciarsi andare e a mollare un po’ quel mondo di lustrini e pailette. Non c’era niente da fare, era fatta così. Quindi dopo un po’ lasciai perdere e mi dedicai ad altri passatempi, come farle perdere la pazienza quando appoggiavo i piedi sul cruscotto “Togli i piedi dal cruscotto, Chloe. Ho lavato la macchina ieri e non ho saputo spiegare al lavasecco le strane impronte sul cruscotto, quindi smettila” Risi e tolsi i piedi, per mettermi a gambe incrociate sul sedile “Scusa, ma composta non ci so stare” Sorrise scuotendo la testa e rallentò quando vide un posto libero proprio davanti la caffetteria. Parcheggiò e uscimmo dall’auto entrando subito nella caffetteria che sprigionava un invitante aroma di caffè. Mi misi in fila mentre Gwen se ne stava seduta ad un tavolo ad aspettare che le prendessi i suoi soliti pasticcini alla fragola. Giocava con il suo iPhone, ennesimo regalo di suo fratello. Mi stavo annoiando da morire, anche perché la signora davanti a me stava ordinando da bere per un esercito. “Hey, ragazza dal nome carino” E adesso chi diavolo era che stava ostacolando la mia assunzione giornaliera di caffeina?






Salve salvino,
rieccomi qui dopo neanche un giorno.
Okay, devo dire la verità, ci ho messo pochissimo a scriverlo hahaha
Si sono aggiunti un po' di personaggi, come vedete
Nathan è ispirato dal fascinosissimo Colton Haynes, come promesso ecco la foto: colton
Mentre Mya l'ho trovata molto simile a Luanna Perez: luanna
La bellissima Gwen l'ho immaginata come una ragazza bon-ton, totalmente differente dalle altre, un po' come Chloe Grace Moretz: chloe
Come avrete visto non ho messo nessuna immagine per la protagonista, Chloe. Infatti siete liberi di immaginarvela come volete, ovviamente come tutti gli altri hahaha
Benissimo, spero che questo secondo capitolo vi piaccia e stavolta continuerò dopo due recensioni, perchè credo sia il minimo ahaha
Come sempre vi invito a recensirmi, anche perchè ne ho tanto bisogno
Se mi volete contattare trovate tutto sempre in bio.
Un bacio,

Sara xx

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Capitolo 3
*** 3. ***


Riot

3.
 
Avevo appena staccato da lavoro e mi assaliva un’assurda voglia di dolce, così mi decisi e andai verso la moto: avrei preso un bel muffin  nella caffetteria qui vicino. Misi in moto e calcai il casco sulla testa, sistemando la mia bandana. La indossavo spesso, era un accessorio che mi piaceva, diciamo che metteva un freno ai miei capelli perennemente scompigliati. Fin da quando ero piccolo mio padre durante l’estate mi legava quella strisciolina di stoffa intorno alla testa, sostenendo l’idea che mi stesse particolarmente bene. Io sbuffavo e la toglievo dopo poco. Alla fine mi abituai e iniziai a metterla sempre, mi ricordava quei giorni, mi ricordava lui. Scacciai quegli strani pensieri dalla testa e ricordai che l’unica persona – oltre a me - a cui avevo visto una bandana era stata Chloe, quel pomeriggio. E mi ricordai subito dei suoi occhi verdi e di quella spessa linea di eye-liner che li contornava. Volevo conoscerla, volevo rivederla. Mi aveva colpito, il perché non lo sapevo neanche io e mentre continuavo ad accelerare pensai a quanto era stata saccente e un sorriso comparve sul mio volto. Svoltai e parcheggiai di fronte al negozio di biancheria, togliendo la chiave e portando con me il casco. Entrai in caffetteria squadrando i tanti tavoli pieni zeppi di studenti. Era pomeriggio inoltrato ed erano appena finite le lezioni. Molti venivano qui a studiare o a fare due chiacchiere; lo facevo spesso anch’io durante le superiori, venendo qui più per le ragazze che per i compiti. Sorrisi tra me e me a quell’osservazione e mi misi in fila alla cassa. Non vedevo l’ora di addentare quel gustoso muffin al cioccolato – anche se poi avrei dovuto fare come minimo cinquanta addominali. Notai una folta chioma scura di fronte a me e, a fermarla, una bandana rosso scuro. Sorrisi sapendo esattamente a chi apparteneva quella figura minuta davanti a me. Mi sporsi vicino al suo orecchio destro e sussurrai “Hey, ragazza dal nome carino” La vidi alzare gli occhi al cielo e voltarsi scocciata. “E adesso chi diavolo è?” tuonò rivolgendomi un’occhiata cupa. Il suo sguardo cambiò immediatamente quando si rese conto che aveva medavanti. “Non dire mai più che il mio nome è carino, hai rotto le palle” replicò scocciata, voltandosi verso la cassa. Scossi la testa e mi affiancai a lei “Ciao anche a te” le dissi, scoccandole un’occhiata impertinente. “Non so tu, ma non mi sembrava di stare facendo la fila insieme a te” mi fece un sorrisino e incrociò le braccia davanti al petto “Altra maglia di band, vedo” sciolse le braccia e le mise lungo i fianchi guardandosi la t-shirt – molto probabilmente neanche ricordava quale fosse – e annuendo “Si, gli Arctic Monkeys, un classico” Sorrisi mentre era arrivato il nostro turno. Ordinò due cappuccini e degli stupidi pasticcini rosa – “alla fragola”, si giustificò  – ma che sicuramente non doveva mangiare lei. Io ordinai il mio muffin ed un cappuccino grande. “Come mai qui?” chiese mentre la barista preparava i nostri ordini “Un giro per un dolcetto, e tu?” “Sono qui con un’amica” disse, indicando con la testa un tavolo poco lontano. Vi era seduta una ragazza bionda con un vestito a fiori, intenta a giocare con il suo iPhone dalla cover a dir poco ‘sbrilluccicosa’. “Nah, quella non è tua amica” “Oh, è arrivato quello che mi dice quali sono o non sono i miei amici. Sì che è mia amica” “Ma” gesticolai guardandola e subito dopo guardando la ragazza al tavolo “siete l’opposto” “E con questo? Non dirmi che hai pregiudizi” Mi guardò con un cipiglio aggressivo, mentre sistemava il suo vassoio con i pasticcini rosa “Adesso capisco per chi sono questi cosi” Alzò gli occhi al cielo per la centesima volta, pagò la sua parte e, afferrati i cappuccini, si avviò al suo tavolo. Presi velocemente il cappuccino e il muffin, lasciando i cinque dollari e venti sul bancone. La seguii e mi sedei affianco a lei sul tavolo, sorridendo alla ragazza bionda che era rimasta spaesata alla mia entrata in scena. Chloe alzò – per l’ennesima volta – gli occhi al cielo. “Nessuno ti ha chiesto di sederti al nostro tavolo, Aaron” “Voi due vi conoscete?” ci indicò l’altra ragazza, prendendo i suoi pasticcini. “Ieri mi ha dato un passaggio, tutto qui” precisò Chloe, fulminandomi con lo sguardo. “E chi è la tua amica? Perché non me la presenti?” le sorrisi e lei gesticolando mi introdusse alla ragazza “Lei è Gwen. Gwen, lui è Aaron-ho-una-moto-vado-veloce-sono-figo-amo-le-tue-maglie” La guardai stralunato porgendo la mano a Gwen. “Piacere” la ragazza si presentò e iniziò a mangiare. “Prima o poi mi dovrai dire perché indossi la bandana” le chiesi, addentando subito dopo il mio gustoso muffin. “Per lo stesso motivo per cui la indossi tu?” domandò lei ovvia, lanciandomi uno sguardo di fuoco. “Io la indosso quasi sempre” “Anch’io” “Mh, bene” Sorrisi e continuai a mangiare. “Oddio Chloe” alzai la testa notando che Gwen si era appena alzata, aveva afferrato la sua borsetta e, a quanto pare, stava per andare via: “è appena iniziata la svendita nel mio negozio preferito e devo andare, immediatamente. Scusa, me ne ero dimenticata. Tanto qui c’è Aaron, può riaccompagnarti lui, no? A stasera, ciao Aaron” Con una scia rosa sparì oltre la porta e non ci diede nemmeno il tempo di assimilare le sue parole “Tipico” esordì Chloe giocando con i resti del suo cappuccino “Perché resto sempre sola con te?”
 
***

 
Chloe
 
Non era possibile. Io odiavo Gwen e le sue svendite del cazzo. Aaron era costretto a riaccompagnarmi a casa e questa era tutta colpa di quel cupcake ambulante. L’avrei strangolata, ci poteva giurare che lo avrei fatto. Aaron mi stava guardando mentre tratteneva a stento una risata; probabilmente mi stava uscendo il fumo dalle orecchie. Mi arresi all’evidenza e poggiai la testa sul tavolo. “A quanto pare dovrai accompagnarmi a casa anche oggi” “E io che smaniavo per rivederti” “Davvero?” gli chiesi, notando il suo cipiglio divertito.”Sì” disse tutto convinto. Continuò a mangiare il suo muffin e io continuai a guardarlo. I suoi capelli ribelli andavano da tutte le parti e lui aveva cercato di fermali con una bandana blu scuro. Gli guardai le braccia muscolose fasciate da una maglietta nera. Era evidente che diceva la verità quando confessava di aver avuto una borsa di studio per il football. “Hai finito di farmi la radiografia?” si voltò, guardandomi da sopra la sua spalla. Tenni la testa  sul tavolo e gli feci una linguaccia. Lui ricambiò e raccolse le cartacce per andarle a buttare. Quando tornò mi accolse con un sorriso “Ti va se ti porto in un posto?” “Basta che non mi stupri” Mi guardò trattenendo una risata. “Dai, sloggia da quella sedia” “Aspetta, devo telefonare a Tiffany per dirle che la vado a prendere più tardi dalla sua amica” “E chi diavolo è Tiffany?” fece una faccia stralunata e si risedé, allungando le gambe sotto al tavolo. “Muoviti, dai” mi incitò. “Intanto ti calmi, carino” gli feci un sorrisetto falso aprendo lo zaino e frugando per trovare il mio iPhone reduce dalla terza guerra mondiale. Metà schermo aveva delle crepe oscene ma ancora funzionava e l’importante era quello. “Carina la cover”accennò, mentre io componevo il numero di casa di Pearl, l’amica di mia sorella. “Salve signora, no mi scusi. No, farò un po’ tardi, ah okay. Per cena va bene qualsiasi cosa. Sì, va bene. Arrivederci.” “Escape the ordinary” Mi guardò profondamente. Non capii cosa mi volesse dire con quella frase. “Eh?” “La frase sulla tua cover” indicò il cellulare soffocando una risata. “Ah, o-oh, si” balbettai confusa guardando il retro del mio IPhone. Vi campeggiava una scritta azzurra su sfondo grigio: ‘Escape the ordinary’. “L’ho comprata tre mesi fa, dimentico subito le cose” “Ho notato” Gli feci una smorfia contrariata. “Beh, per lo stupro è tutto pronto, se vuoi venire” “Non sei simpatico” Gli diedi una spinta mentre mi alzavo e lui restò lì a guardarmi, per poi seguirmi fuori dalla porta della caffetteria. Come al solito Chicago non è Chicago se non c’è vento. E in quel momento ce n’era davvero tanto. Le chiome degli alberi si muovevano velocemente e i palloncini del concessionario di auto a pochi metri dal parcheggio erano volati su per il cielo, costringendo i clienti a farne a meno. Aaron arrivò dietro di me e mi diede una piccola spinta. “Muoviti, sognatrice” Infilò il casco e mi porse l’altro che teneva di riserva. “Non sono una sognatrice” ribattei, allacciandomi il casco ben stretto. “Pronta per la destinazione segreta?” mi chiese. “Basta che non mi stupri davvero” ribadii, salendo sulla moto dietro di lui. Era davvero un bel veicolo, con una carrozzeria nera lucente e pronto a portarti ovunque tu volessi andare. “Non ti stuprerò, parola di lupetto” disse, mettendo una mano sul cuore. “Non ci credo! Stavi negli scout?” risi e mi aggrappai a lui per non cadere “Rimasugli della mia infanzia” replicò, incurvando le spalle sulla moto. Accese il motore e diede gas; partì bruscamente. Fui costretta a stringermi a lui, perché pur essendo un meccanico – in erba, sì, ma pur sempre un meccanico – guidava come uno squilibrato. “Fa piano” urlai per sovrastare il rumore del vento. Non rispose, anzi, accelerò ancora di più. “Quando scendiamo ti ammazzo” gli urlai in un orecchio. Mi aggrappai forte al suo petto, nascondendo la testa dietro la sua schiena. La moto sfrecciava veloce e gli alberi, le case e i negozi diventavano solo macchie indistinguibili. Era anche piacevole starsene lì, circondata dal vento ma, come al solito, c’erano dei ma, in quanto (1) rischiavo di schiantarmi e quindi (2) di morire contro un albero e (3) non ero psicologicamente pronta alla mia morte. Dopo dieci minuti ridusse la velocità del veicolo, spegnendolo e parcheggiandolo in uno spiazzo, vicino ad altre motociclette. Scesi immediatamente, sfilai il casco, glielo lanciai e iniziai la mia interminabile predica. “Ho rischiato di morire” gli urlai contro. Rise vedendomi in quello stato e tolse il casco, scendendo con tutta calma dalla moto. “Va bene che non sono una donzella da salvare e tutto il resto, ma la mia vita poteva finire così, con un ‘puff’-  che mimai con le mani - “e io non sono pronta a morire” urlai non appena vidi che mi veniva vicino. “E togliti” sbraitai quando mi circondò con un braccio le spalle coperte dal giacchetto di pelle. Si avvicinò al mio orecchio e soffiò “No, non mi tolgo. E per tua informazione non ci avrei mai uccisi” sorrise e tornò a guardare dritto davanti a sé. Per la prima volta da quando ero arrivata con quello squilibrato mi resi conto che in realtà non ero così lontana da dove eravamo partiti. Eravamo fermi davanti all’entrata del parco principale della città. Si intravedevano bambini giocare e il sole - di cui poco fa non c’era neanche l’ombra - cominciava ad intravedersi attraverso la coltre di nuvole bianche. Feci un sospiro di sollievo constatando che non mi voleva davvero stuprare. Ovviamente non voleva stuprarmi. Menomale che la mia cover diceva ‘fuggi dall’ordinario’. Mi stavo comportando come una ragazzina terrorizzata e avevo molti buoni motivi per non esserlo. Entrammo dal cancello di ferro battuto cominciando ad incamminarci lungo il viottolo principale. “Allora, dimmi qualcosa di te” “Innanzitutto togli questo braccio dalle mie spalle, grazie” Lo guardai mentre scuoteva la testa con un sorriso e mi lasciava libera, sistemandosi i capelli con una mano. Lo osservai allacciarsi di nuovo la bandana, con un’espressione concentrata. Dovevo finalmente ammetterlo a me stessa: obbiettivamente e senza alcun condizionamento da esterni – che consistevano in lui – Aaron risultava essere un bel ragazzo. Scossi la testa a quell’affermazione silenziosa, osservando i bambini giocare a nascondino. “Ti decidi a parlare?” mi incitò, guardandomi con un sorriso. “Cosa vuoi sapere?” mi trovai a rispondere esausta, sapendo che dovevo arrendermi e spifferare qualcosa sulla mia vita. “Facciamo un gioco” cambiò argomento sorprendendomi “Oddio, ci siamo. Ecco i giochi stupidi.” “Non è stupido, ci servirà a conoscere l’altro.” “Okay, dì pure” “Ognuno fa una domanda e l’altro deve rispondere sinceramente, anche perché se mentirai lo scoprirò” ammiccò nella mia direzione, tornando a guardare in avanti. Eravamo arrivati davanti alla grande fontana al centro del parco. Mi sedei sui gradini, allungando le gambe. “Sorella o fratello?” sparai, cogliendolo di sorpresa, mentre si sistemava affianco a me. Tolsi il giacchetto, ricordando improvvisamente di avere caldo. Mi imitò, ripiegando fino al gomito le maniche della sua maglietta. “Fratello. Si chiama Noah, ha dieci anni. Tu Tiffany, giusto?” Annuii energicamente “Ha la stessa età di tuo fratello, magari vanno anche a scuola insieme. Comunque non mi ha mai parlato di nessun Noah. Costatando il fatto che parliamo pochissimo magari lo conosce anche” Annuì allungando le gambe affianco alle mie. “Tocca a te” gli dissi, guardandolo subito dopo. “Perché hai sempre quella collana?” indicò il ciondolo che penzolava dalla catenina che portavo al collo. Era una placca viola con incisa la parola ‘Troublemaker’. Piegai la testa per osservarla. La indossavo da quando avevo sei anni e mio padre me l’aveva comprata in uno dei suoi viaggi a New York. Diceva che ero la sua ‘combina guai” ed in effetti era vero. Combinavo sempre guai. “E’ stato un vecchio regalo, la indosso sempre” “Quindi sei una ‘combina guai’?” mi sorrise, facendo spuntare due fossette ai lati delle sue guance. Non avevo mai visto delle fossette in vita mia. Erano… carine? Mi fecero sorridere lo stesso. “Già” replicai, voltandomi con il busto verso di lui. “Sei in buona compagnia” disse. Non capii cosa voleva farmi intendere fino a che non iniziò a ripiegare la manica destra arrivando fin sopra la spalla. Sotto il braccio si intravedeva una scritta a caratteri minuti: ‘Troublemaker’. Spalancai gli occhi e iniziai a ridere. Risi così forte che alcune persone si voltarono nella mia direzione per vedere cosa accadeva. “Hey, che c’è?” mi chiese Aaron quando mi ripresi dalla risata. Mi resi conto che nessuno aveva mai ammesso di combinare guai quanto me. Mi aveva spiazzato così tanto che l’unica cosa che ero riuscita a fare era stata ridere. Vidi i suoi occhi incerti quando stavo per rispondergli “Niente, Aaron” “Hai riso del mio tatuaggio” mi disse, guardandomi con occhi duri. In quel momento mi resi conto di aver davvero riso del suo tatuaggio. “No, no, Aaron. Non ho riso del tuo tatuaggio, anzi, mi piace un sacco.” Gli dissi, guardandolo negli occhi. Lo vidi accennare un piccolo sorriso “Allora perché lo hai fatto?” mi rimbeccò. “E’ stata una reazione spontanea. Vedi che sono proprio una combina guai?” Mi indicai sorridendo sconfitta. Rise e mi strinse a sé con un braccio, il braccio del tatuaggio. “Siamo due combina guai, Troubby” “Troubby?” lo guardai con una faccia schifata “E’ il mio nuovo soprannome per te, Chloe. Troubby” “Oh, devo escogitarne uno anche per te, Aaron” Gli rifilai un pugno giocoso sull’altro braccio, facendomi un male cane. “Ma che hai al posto dei muscoli? Il piombo?” scossi un po’ di volte la mano per far diminuire il dolore. “Scusa se mi mantengo in forma” Lo scimmiottai ridendo della sua espressione convinta. Mi sorrise e si tirò su, appoggiandosi al muretto della fontana. Mi osservò mentre mi alzavo e scuotevo i pantaloni per ripulirli. I suoi occhi indugiarono sulla collanina e poi sulla mia fronte, dove si trovava la bandana. Gli sorrisi e tornammo a camminare verso la moto anche perché era eccessivamente tardi e dovevo andare a riprendere Tiffany anche se sicuramente non stava morendo. Cosa che stavo per fare io quando Aaron mi diede un’altra piccola spinta verso la moto. Stavo per inciampare sul marciapiede quando mi afferrò per un braccio. Mi scostai ancora una volta furiosa. “La devi smettere con queste spinte del cazzo” gli urlai mentre lui infilava il casco tranquillo. “Troubby, sta zitta e sali” Mi fece una linguaccia, mentre mi porgeva il casco. Sbuffai infastidita e infilai il casco. “Smettila con quel soprannome” dissi, mentre salivo sulla moto e gli pizzicavo un ginocchio. “Ahia” “Muoviti” Partì veloce mentre allacciavo le braccia intorno al suo corpo. Emanava un calore rilassante.
 
***
 
 Aaron
 
Rallentai quando intravidi una villetta lilla. Chloe – adesso conosciuta come Troubby – se ne stava ancora appoggiata alla mia schiena mentre mi stritolava con le sue braccia. “Siamo arrivati, ora puoi anche smetterla di stringerti a me come se fossi l’unica speranza che hai per non morire” Avrei giurato che Chloe avesse alzato gli occhi la cielo. Scese lentamente, porgendomi subito dopo il casco. Misi il cavalletto e la raggiunsi al cancelletto di casa sua, dopo aver poggiato il casco sulla moto. Presi coraggio e le chiesi quello che avrei dovuto chiederle al parco. “Se ti chiedessi di venire a cena con me accetteresti?” Mi toccai i capelli con una mano, imbarazzato nel parlare con lei di questo. Rimase ad osservarmi per un po’ di tempo, così feci lo stesso con lei. Si rigirava il suo mazzo di chiavi tra le mani mentre con i denti torturava il suo labbro inferiore. Sorrisi osservando quei suoi occhi verdi. Non era uno di quei verdi chiari, quasi trasparenti. Era un verde scuro, pieno, tendente al castano. Era attraversato da pagliuzze più chiare. Le sue ciglia lunghe continuavano a svolazzare mentre si schiarì la voce. Feci subito caso alla penna che ora teneva in mano e aggrottai le sopracciglia. Cosa diavolo stava facendo? “Dammi il braccio” Allungai il mio braccio destro. Allacciò le dita intorno al polso e lo voltò, ripiegando la manica fino al gomito. Aveva un tocco gentile. Scrisse delle cifre sul mio avambraccio con una calligrafia rotonda e ordinata. Poi ritirò la mano e sorrise vedendo la mia faccia confusa. “Chiamami quando hai deciso dove e quando” La guardai sconvolto e poco dopo capii che non ci sarebbe stato niente da fare, non sarebbe mai stata la classica ragazza che con gli occhi dolci rispondeva un ‘sì’ timido. Era Troubby e a me andava bene così cocciuta, strana, acida e saccente com’era. Sorrisi e mi avvicinai a lei, stampandole un bacio sulla guancia. “A presto allora” le dissi, guardandola sistemarsi una ciocca di capelli. Mi fece la linguaccia dandomi un pizzicotto sul braccio. Rise e stavolta ad alzare gli occhi al cielo fui io. “Non ti capirò mai” “Non capirmi mai” mi disse lei mentre la tiravo a me per abbracciarla. La strinsi forte e lei sbuffò soffiando un “Mi stai facendo sudare” “Oh, ma sta zitta Troubby” “Ti ho già detto che odio quel soprannome?”






Rieccomi qui, a grande richiesta.
Come avrete visto finalmente si è deciso a chiederle questo appuntamento.
Nel prossimo capitolo (forse) vedremo cosa ne pensa Chloe.
Ho pensato che forse vi piacerebbe sapere com'è vestita la protagonista, dato che molto spesso ne parlo.
Quindi ecco qui il suo outfit (che quando servira metterò alla fine dei capitoli): chloe ootd
Stavolta mi dispiace ma per continuare avrò bisogno di almeno 3 recensioni.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/da ricordare
Mi piacerebbe ricevere da voi delle recensioni perchè possiate esprimere la vostra opinione, darmi dei consigli e magari fare delle precisazioni.
Se volete contattarmi è tutto in bio.
Un bacio,

Sara xx

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Capitolo 4
*** 4. ***


Riot

4.
 
Quella settimana era stata la più stressante della mia intera vita. Mya e Gwen andavano e venivano da casa mia con l’intento di trovare questo benedetto outfit per la serata di venerdì. Gwen borbottava che dovevo mettere ‘per forza’ un vestito. Mya la smentiva dicendo che dovevo essere me stessa – ma invitandomi ogni volta a mettere le sue scarpe vertiginose. “Basta” urlai, dopo l’ennesima proposta ‘indecente’ di Gwen: un vestito a fiori. “Il vestito a fiori lo metti alla tua Barbie, okay? Smettetela di dirmi cosa devo indossare” Mya sbuffò alzandosi dal mio letto. “Hai tre ore prima che lui venga qui a prenderti e ancora non hai deciso cosa mettere, ti rendi conto?” Gwen mi squadrò da capo a piedi e fece una smorfia. “Questi shorts sono orribili, tutti strappati. Ma cosa hai fatto?” “Li ho comprati così, Gwen” le risposi in modo accondiscende, anche se probabilmente stavo fumando dalle orecchie. “Ora per favore potete uscire da casa mia e lasciarmi sola in preda a questo dilemma – che non è affatto così importante?” “Ma è importantissimo, Chloe. E’ il primo ragazzo che ti chiede di uscire da un anno. Dopo Kevin nessuno ti ha mai chiesto nulla. E adesso è arrivato questo Aaron – che scommetto è un super figo” replicò Mya, ammiccando nella mia direzione. “Ci puoi giurare che è un figo, Mya. Io l’ho visto” spiegò Gwen per la milionesima volta. “Gwen, santissimo Dio ho capito che lo hai visto, lo hai detto cento volte” replicò Mya, alzando gli occhi al cielo. “Ragazze, davvero. Mi fate perdere solo tempo. Uscite, adesso” aprii la porta e loro uscirono sconfitte. “Chiamaci appena torni a casa” esordì Gwen, seguita subito dopo da Mya: “Vogliamo tutti i particolari” “Okay, va bene. Ma adesso andate. Ciao” chiusi loro la porta in faccia e tornai in camera dove il mio armadio era stato messo a soqquadro dalle due scellerate. Avevo capito che Aaron era carino e tutto ma non c’era bisogno di farne una questione di Stato. Era una semplice cena e basta. Decisi di non strafare con l’abbigliamento. Non sarebbe servito a nulla. Oramai mi conosceva – più o meno – e sapeva che non ero tipo da vestiti, quindi perché mettere un vestito? Spulciando nel mio armadio trovai una gonna stile ‘skater’ e decisi che sarebbe andata bene con un ‘crop top’: scelsi l’unico che avevo, quello dei Rolling Stones. Andai così a farmi una doccia rendendomi finalmente consapevole dell’imminente ‘appuntamento’. Okay, Aaron non l’aveva definito un vero e proprio ‘appuntamento’ ma io avevo tutte le ragioni per farlo perché di solito (1) non si invita una ragazza a cena di punto in bianco e (2) non la si abbraccia e (3) avrei dovuto smetterla. Iniziai a cambiarmi quando mancava una mezz’ora e decisi che andavano bene dei sandali stringati bassi. Mi seccava mettere i tacchi – che in realtà non avevo. Fermai i capelli con gli occhiali da sole neri tirati sulla testa e decisi che la mia ‘folle follia’ sarebbe stata il rossetto rosso – che si sarebbe tolto dopo aver finito il piatto principale. Indossai un anello che prendeva tutto l’anulare destro e, afferrata la tracolla, scesi giù in salone per informare mia madre dell’imminente – quanto rara – uscita con un ragazzo. La vidi seduta sul divano color crema mentre leggeva uno dei suoi soliti romanzi Harmony – che odiavo da morire. Quando alzò lo sguardo mi squadrò da capo a piedi. “Carina. Dove vai stasera con Mya e Gwen?” “Veramente…” mi osservò con i suoi occhi azzurri – che purtroppo i miei geni sono stati restii ad ereditare – “esco con un ragazzo stasera” Sorrise e si alzò per andare in cucina. La vidi togliere il pollo dal forno per girarlo. “Lo avevo capito, signorina. Comunque divertiti, ma sta attenta” Sbuffai ma alla fine le feci un sorriso. “Okay” “Ah, per la mezzanotte sei a casa, vero?” Alzai gli occhi al cielo, speravo non me lo dicesse ancora. “Sì” gracchiai sedendomi sul divano. Sentii rombare un motore nelle vicinanze e corsi alla finestra. Vidi la moto nera di Aaron e le sue lunghe gambe ancorate alla carrozzeria, fasciate da un paio di stretti jeans scuri. Mi ritrovai a sorridere costatando che la sua adorata bandana era rimasta sulla sua testa. Il giacchetto di pelle si contrasse intorno alle braccia quando prese il telefono e osservò il display. Decisi di uscire subito perché non ce l’avrei fatta se mia madre avesse voluto aprire la porta quando Aaron avrebbe suonato. Presi un lungo respiro – non sapevo neanche io perché lo avevo fatto – ed aprii la porta con disinvoltura. Salutai mia madre e richiusi il portone dietro di me. Lo vidi aspettarmi appoggiato alla moto, con le braccia conserte e un sorriso non appena incrociai il suo sguardo. Rimase a bocca aperta dopo avermi squadrato per un minuto buono. “Buonasera. Ah, e mi raccomando chiudi la bocca che entrano le mosche” Gli sorrisi e mi calai gli occhiali da sole sugli occhi, infilando subito dopo il casco che già era poggiato sulla moto. Gli feci una linguaccia mentre lui scuoteva la testa rassegnato “Mi chiedo quando ti vedrò rispondere in modo normale” Salì in sella e lo seguii. “Probabilmente mai” lo sentii ridere mentre infilava il casco e lo allacciava. “Pronta per un’intera serata con me?” disse, voltando la testa per guardarmi. “Certo, non mi fai paura. Ho abbandonato l’idea dello stupro quando mi hai baciato sulla guancia” Alzai le spalle e lui mise in moto, accelerando immediatamente, tanto che il contraccolpo mi sbalzò addosso a lui. “Dammi tempo di reggermi” “Andiamo Troubby, ancora non hai imparato le mie partenze lampo?” Alzai gli occhi al cielo e gli allacciai le braccia al corpo. Se le sistemò sul petto e mi diede un pizzicotto sulla mano, tornando con le mani sul manubrio. “Andiamo, campione di Moto Gp” Rise e partì, mentre mi aggrappavo a lui per non cadere durante le sue curve killer. Dopotutto stava andando bene.
 
***

Aaron
 
Sapevo che Chloe stava indossando una gonna ma era comunque una sensazione strana sentire le sue ginocchia nude intorno ai miei fianchi. Avevo deciso che andare al fast-food sarebbe stata un’idea balorda, quindi optai per un ristorante italiano che si trovava nel centro di Chicago, vicino al parco che la settimana scorsa era stato il teatro della nostra prima vera chiacchierata. Decelerai lentamente cercando un posto libero nel parcheggio adiacente. Sentii Chloe rallentare la presa e un po’ mi dispiacque. Scese cauta per non inciampare – come di solito faceva – e mi guardò mentre toglievo il casco. Tirò gli occhiali da sole sopra la testa e sorrise. Notai il suo rossetto rosso scuro e il contrasto che faceva con i suoi denti bianchissimi. Le feci una linguaccia afferrando il casco e porgendole il suo, che aveva precedentemente poggiato sulla moto. “Questo devi portarlo” le dissi, allacciandoglielo intorno al braccio destro. “Uffa” sbuffò. La scimmiottai e lei alzò gli occhi al cielo. “Ti piace la cucina italiana?” le chiesi, prendendole la mano per entrare nel ristorante. La sentii irrigidirsi al mio tocco, ma dopo poco si rilassò. “Odio la cucina italiana” La guardai terrorizzato. Avevo sbagliato a scegliere il ristorante. Mi portai una mano ai capelli. “Ehm, se vuoi andiamo… Qui vicino c’è un, un sushi bar?” le feci un sorriso sbilenco. Lei scoppiò a ridere a crepapelle. Aggrottai le sopracciglia a quella sua risata. Non ci capivo nulla con lei. “Ti sto prendendo in giro, stupido. Certo che mi piace la cucina italiana” “Mi hai fatto prendere un colpo” ribattei, dandole una piccola spinta. Per l’ennesima volta alzò gli occhi al cielo, riafferrò la mia mano ed entrò nel locale. Chiese al primo cameriere che vidi quale tavolo avessero preparato per noi. “Cognome?” mi chiese. “Schmidt” risposi. Subito dopo ci ritrovammo a seguirlo con Chloe che mi tirava la mano. Quando ci sedemmo mi rifilò uno schiaffetto sul braccio. “Non mi hai detto di essere straniero, signorino” “Nonno austriaco” risposi ammiccando nella sua direzione. Arricciò il naso e fece la sua solita linguaccia. “Ma quale nobiltà” esordì facendo un piccolo inchino con la testa. “Smettila” le intimai. “No” mi pestò un piede sotto al tavolo. “Sadica” le risposi assottigliando gli occhi in uno sguardo contrariato. “Europeo” ribatté, giocando con il tovagliolo.
Dopo aver ordinato e gustato i nostri due antipasti iniziammo a parlare di argomenti completamente estranei ‘a due piccioncini’ – come ci aveva definito la cameriera. Chloe a quel commento aveva alzato gli occhi al cielo – tanto per cambiare – e iniziato a scimmiottare la cameriera che continuava a rivolgersi a me con le ‘ciglia svolazzanti’ – nuova sua espressione. “Quindi fai parte di una band?” mi chiese spalancando gli occhi. Notai che il suo rossetto stava per scomparire e annuii alla sua domanda. In realtà eravamo solo io e Nat ma contavamo di trovare un bassista al più presto. “Tecnicamente si” le risposi “ma in due non se ne fa molto quindi dobbiamo trovare un bassista al più presto” “Io non suono e non canto” replicò lei, sorridendomi. “Io mica stavo parlando di te, infatti” ammiccai con un mezzo sorriso. Mi diede un altro pizzicotto storcendo la bocca. “Volevamo affiggere dei volantini fuori dalla tua scuola e metterne qualcuno anche in caffetteria” le risposi snocciolando le mie idee. “Posso pensarci io a scuola. Qual è il nome del gruppo?” chiese, rigirandosi un anello sull’anulare destro. “Siamo i Paper Nites” le risposi, orgoglioso del nostro nome. Ci avevamo messo due mesi per trovare un papabile appellativo per il nostro gruppo. Quando avevo messo insieme queste due parole insolite si era accesa la lampadina: era perfetto. Annuì versandosi della birra.”Originale, mi piace” “Indovina cosa suono?” le proposi schioccando le dita. Stette un po’ a pensarci fissandomi con il suo sguardo concentrato. I suoi occhi verdi mi squadravano indagatori, arrivando poco dopo alla conclusione. “Batterista”  rispose sicura, piegando la testa da un lato e facendomi un sorriso soddisfatto. “Come hai fatto a capirlo?” sbottai sorpreso mentre lei beveva tranquilla il suo bicchiere di birra. “Di solito i batteristi sono i miei preferiti” confessò, alzando le spalle. Feci un sorriso compiaciuto, smentito subito da un sonoro “Non ti montare la testa” Scossi la testa a quelle parole. Non cambierà mai, ormai ne ero certo.

Dopo la cena – che da bravo gentil’uomo pagai – decidemmo di andare a fare una passeggiata ‘digestiva’ – come l’aveva definita Chloe. Camminammo fino all’interno del parco, dove l’acqua della fontana gorgogliava e le poche persone presenti erano sedute sulle panchine che costeggiavano i viottoli del parco. “Ti sta bene questa gonna” le dissi quando ci eravamo seduti sui gradini della fontana. “Non fare il cascamorto” ribatté stringendosi nella sua giacca di pelle. Scesi dal gradino più alto e mi sedetti affianco a lei, passandole un braccio intorno alle spalle. Sbuffò alzando gli occhi al cielo – da vera Chloe – ma alla fine sorrise. “Hey Troubby, non è mai troppo tardi per ascoltare un po’ di buona musica, no?” “No.” Mi disse aggrottando le sopracciglia. Presi il mio iPod dalla tasca dei jeans e srotolai le cuffiette. Lei sorrise e prese il suo dalla tracolla con le frange. Li tenemmo in mano per un po’ indecisi su quale usare per primo. “Ho la playlist perfetta” esordì lei dopo un po’. Smanettò con il lettore e alla fine mi passò una cuffia. La presi e la posizionai nell’orecchio destro mentre la guardavo fare lo stesso. Si inumidì le labbra e poco dopo schiacciò ‘play’. Il ritmo di una canzone rock mi attraversò le orecchie mentre la vidi  muovere la testa a tempo. Era ‘Always Where I Need To Be’ e quelli erano i Kooks. Stemmo più di due ore ad ascoltare la sua playlist preferita, mentre iniziava a soffiare un vento leggero. In quel momento ero davvero dove avevo bisogno di stare.

***
Chloe
 
Mi rigiravo il suo iPod in mano, osservando la cover di gomma nera. Quella sera, appena rientrata a casa, mi ero fiondata in camera e, indossando i miei pantaloncini del pigiama e una maglia grigia sformata, mi ero buttata sul letto. Dopo aver infilato le cuffiette sorrisi notando i nomi delle playlist. Scelsi quella chiamata ‘All ‘bout LOVE’  e schiacciai il tasto ‘play’. Aveva l’aspetto di un ragazzo duro ma la prima canzone lo tradiva in pieno: ‘All You Need Is Love’ dei – fantastici, eterni e immortali – Beatles. Tutta la playlist andò via come nulla e mentre guardavo la sveglia rendendomi conto che erano appena passate le due di notte continuavo ad immaginarmi lui fare la stessa cosa con il mio iPod. Ero fuori di me. “Terra chiama Chloe” esordì Mya, scuotendomi una mano davanti al viso. “E smettila” la minacciai, riscuotendomi dai miei pensieri. “Gwen se ne stava seduta sullo sgabello della cucina, intenta a bere un frullato – rosa – di frutta. Eravamo a casa di Mya e la rossa era allungata sul tappeto affianco a me. Appoggiata con la testa sulla mano mi scrutava critica mentre riponevo l’iPod di Aaron nella tasca anteriore dei miei jeans. “Cosa vuoi?” le dissi, fulminandola con lo sguardo. “Non hai mai prestato il tuo iPod a nessuno. E quando dico nessuno intendo neanche me e Gwen. E di colpo arriva questo Aaron e lo ottiene con uno schiocco di dita.” “Lui mi ha dato il suo.” Dissi alzando le spalle – coperte dalla mia felpa nera. Sbuffò arrendendosi e addentando un marshmallow preso dalla busta che tenevo ai miei piedi. “A quanto pare dovremmo andare alla caffetteria tra mezz’ora per metterci d’accordo con Aaron e questo suo ‘presunto’ amico per affiggere i volantini a scuola, giusto?” mi rimbeccò Gwen saltando giù dallo sgabello e sedendosi sul divano affianco a me. “Sì e gli ho chiesto se potevo portare anche voi così sarebbe stato più facile dividerci i compiti.” “Ovviamente lui ha detto di sì e adesso ci ritroviamo ad andare al patibolo con te” mi sorrise falsamente Mya. “Beh almeno ci sarà il suo amico. Ti sono sempre piaciuti i chitarristi” ribattei ammiccando nella sua direzione. “Ho la faga fenfazione che fuccederà un cafino” commentò Gwen mentre mangiava cinque marshmallow tutti in una volta.

Quando entrammo nella caffetteria notai subito una chioma fermata da una bandana. Aaron infatti era seduto di spalle mentre il suo amico si gustava il suo bel muffin coperto di cioccolato. Lo vidi puntare il dito contro di noi e dire qualcosa ad Aaron. Quest’ultimo si voltò subito, notandoci sulla porta. Non eravamo quello che si può definire ‘ragazze invisibili’: Gwen indossava un insulso vestitino – pericolosamente rosa -- con i merletti ed i suoi boccoli biondi erano esageratamente vaporosi – neanche fosse uscita da un video musicale degli anni Ottanta. Dall’altra parte c’era Mya che solo con i suoi capelli rosso fuoco avrebbe messo in soggezione chiunque. Indossava queste scarpe alte almeno quindici centimetri a cui ovviamente era abituatissima – ‘nata con i tacchi’ l’apostrofavo sempre. Non potevano mancare gli shorts e il make-up definito. Io ero come sempre, d’altronde Aaron era abituato a vedermi così. Mi fece segno di raggiungerlo e Mya e Gwen mi seguirono. Presi posto affianco a lui e mi salutò con un bacio sulla guancia accompagnato da un “Ciao Troubby” che mi fece storcere il naso. Io gli diedi un pizzico sul braccio e lui scosse la testa, come d’altronde faceva ogni nano secondo. Era impossibile quel ragazzo. “Ciao” salutai il suo amico di fronte a lui. “Ciao, tu devi essere Chloe.” Poi indicò le altre due salutandole con la mano. “Loro sono Gwen e Mya. Gwen già conosce Aaron, quindi Mya questo è Aaron.” La mia amica mi scoccò un’occhiata soddisfatta mentre gli stringeva la mano. Probabilmente Aaron in termini di ‘bellezza’ non aveva tradito le sue aspettative. Alzai gli occhi al cielo a quel pensiero. Aaron ci introdusse al suo amico che scoprimmo poco dopo si chiamasse Nathan o ‘Nat’, come ci invitò lui stesso a chiamarlo. Finite le presentazioni toccò a Gwen andare ad ordinare e noi iniziammo a parlare dell’organizzazione per le audizioni del nuovo bassista, che speravano di trovare entro quelle due settimane. “Scommetto che il nome della band lo ha trovato Nat” dissi quando entrammo in tema. “No, carina. L’ho trovato io” intervenne Aaron pizzicandomi il fianco. Sobbalzai sulla sedia e gli puntai un dito contro: “Non chiamarmi carina. Passi Troubby ma carina no” “Oh Dio” intervenne Mya “quanto siete scontati” “Sta’ zitta” le intimai, prendendo il cappuccino dal vassoio che Gwen aveva appena poggiato sul tavolo.”Vi odio” esordì quest’ultima sedendosi a capotavola. Nat stava conversando con Mya e mi stavo chiedendo se lei non avesse già messo in atto il suo piano “accalappia il leone”. Era una vecchia storia: quando vedeva un ragazzo carino che aveva anche l’aria di essere ‘bravo a letto’ scattava l’operazione. Sospirai alle scelleratezze delle mie amiche. Gwen stava smanettando con il suo iPhone – a cui aveva cambiato la cover che ora era un coniglio rosa. Vomitevole. “Domani mi accompagni a prendere i volantini?” mi sussurrò Aaron all’orecchio. “Okay, ma la prossima volta evita di sputarmi in un orecchio” gli risposi con un sorriso vedendolo aggrottare le sopracciglia. “Non ti ho sputato” si difese pizzicandomi una mano. La ritrassi e gli feci una boccaccia. “Piccioncini, avete finito?” ci richiamò Nat, agitando le mani nella nostra direzione. Mi voltai verso di lui: “Non abbiamo mai iniziato.”

“Allora” ricapitolò Mya, dopo un’ora di chiacchiere e accordi: “Aaron e Chloe vanno a prendere i volantini che porteranno a me e Gwen. Giovedì io e Gwen inizieremo a distribuirli a scuola mentre Nat lo farà al parco. Chloe e Aaron verranno qui in caffetteria e nei dintorni” “Perfetto” constatò Aaron: “Se tutto va bene venerdì prossimo avremo il nostro bassista e  potremo finalmente suonare in qualche pub” “Ci puoi giurare, fratello” gli batté il cinque Nat. “Fratelli” li apostrofai io: “Non dimenticate quanto aiuto vi abbiamo dato” “Spero verrete a vederci quando troveremo qualche posto dove esibirci” ribatté Nat. “Ci puoi giurare” concluse Mya che era rimasta a guardarlo negli occhi. Al diavolo – pensai – avevamo perso anche lei.






Buonsalve gente.
Sono tornata con il nuovissimo quarto capitolo.
Innanzitutto spero vi sia piaciuto, soprattutto l'entrata in scena della band - i 'Paper Nites'.
Adesso è ora di postare tutti gli outfit delle ragazze, di cui ovviamente ho parlato abbondantemente all'interno del capitolo.
1. Chloe all' 'appuntamento': chloe1
2. Chloe in caffetteria: chloe2
3. Mya in caffetteria: mya1
4. Gwen in caffetteria: gwen1
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e che sono stati così gentili.
Questa volta continuerò a 5 recensioni.
Se volete contattarmi è tutto in bio.
Un bacione e a presto,

Sara xx

 

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Capitolo 5
*** 5. ***


Riot
 
5.
 
“Se fai un’altra curva del genere giuro su Dio che ti brucio casa” urlai spazientita dopo essere scampata per la milionesima volta a morte certa. Era uno squilibrato. Sentii, appoggiata alla sua schiena, che stava ridendo. Gli rifilai uno schiaffetto sulla spalla. “Ti odio” “Non è vero” urlò lui. Alzai gli occhi al cielo e dopo poco rallentò, parcheggiando vicino alla caffetteria. Scesi spazientita. “Va bene che oggi sei euforico per i volantini e tutto il resto, ma lo capisci che non voglio morire?” gli dissi, puntandogli un dito contro. “Non ti sei ancora abituata, tra poco lo farai” scrollò le spalle e archiviò la questione. Sbuffai per l’ennesima volta – quel giorno sembravo un treno a vapore – e presi i volantini dalla tracolla. Ci mettemmo all’entrata della caffetteria – ovviamente prima di aver chiesto tutte le dovute autorizzazioni – e, armati di volantini, iniziammo a pubblicizzare le audizioni che si sarebbero svolte giovedì. Già due giorni prima ci eravamo messi a distribuirli lungo la via principale di Chicago e ora toccava alla caffetteria che ci aveva assegnato l’imperturbabile Mya. “Ti va di aiutarci a giudicare il bassista?” mi chiese dopo un po’. Lo guardai e lo vidi sorridermi, incoraggiandomi a rispondere. “E come farei, scusa?” replicai confusa. Scosse la testa – come d’abitudine . “Ti siederai con noi e giudicherai le performance” “Ma io non faccio parte della band” commentai, piuttosto ovvia. “E chi se ne frega?” replicò lui, ammiccando nella mia direzione. Gli diedi un pizzico sul braccio – oramai segno dei miei ‘sì’ – e annuii. “Okay, ma voglio essere ricompensata” “Come?” incalzò lui, mentre passava il volantino ad una ragazza piuttosto prosperosa. La guardai sorridergli inebetita e sbuffai contrariata. Odiavo quel genere di tipe. “Al primo concerto dovrete suonare una canzone che voglio io” Alzò le spalle e annuì: “Per me va bene, basta che non te ne esci con qualcosa tipo Taylor Swift, altrimenti non sarò più responsabile delle mie azioni.” “Ti sembro una che ascolta Taylor Swift?” constatai indicandomi. Quel giorno indossavo dei jeans piacevolmente larghi e con strappi copiosi in parecchi punti. Una maglia dei Beatles – comprata in un mio viaggio in Inghilterra di qualche anno fa – e un vecchio giacchetto di pelle. Ero l’anti-Taylor-Swift fatta persona. Rise copiosamente e mi diede una piccola spinta, facendomi quasi cadere dal marciapiede. “Ti odio quando fai così” replicai, dandogli una spinta a mia volta. “Non è vero” rispose, pizzicandomi il fianco destro. Alzai gli occhi al cielo e ingaggiammo una piccola lotta fatta di pizzicotti. Risi quando mi fece il solletico sui fianchi e gli intimai di smetterla altrimenti “lo avrei castrato”. “Non ci giurerei” rispose lui, aumentando la presa su di me. Le sue braccia, che se ne stavano intorno al mio bacino, si muovevano veloci per farmi il solletico. Indossava una maglia nera dei Coldplay che adoravo. L’avevo vista in un negozio del centro e volevo comprarla a tutti i costi. I passanti ci guardavano confusi mentre Aaron mi afferrava le braccia per fermarmi e io ridevo come non mai. Sembravamo due pazzi. Ergo, eravamo due pazzi.
 
***
Aaron
 
Parcheggiai davanti a casa sua nel tardo pomeriggio. Il sole cominciava a tramontare e, non appena la caffetteria aveva chiuso i battenti, eravamo risaliti in moto, stanchi e affamati. “Hey Ari, ti va di restare a vedere un film?” “Ari?” ripetei confuso. “Tu mi hai rifilato Troubby e credevi non ne trovassi anch’io uno ridicolo per te?” ribatté, sistemandosi la bandana in testa. “Allora? Ci stai per il film?” mi domandò, poggiando il suo casco sulla moto. La guardai frugare nella borsa per trovare le chiavi. “Okay” le risposi, seguendola lungo il vialetto. Armeggiò con la serratura e poco dopo la aprì. L’ingresso era dipinto di uno strano colore – tra il viola e il fucsia – e le pareti erano tappezzate di foto di Chloe e quella che sembrava fosse sua sorella Tiffany. Molti soprammobili erano poggiati sulla grossa cassettiera che si trovava di fronte alla porta. Chloe poggiò la sua tracolla su una sedia e la imitai poggiandoci il giacchetto di pelle che avevo tolto.  Entrammo in soggiorno e l’ambiente non cambiò poi così tanto. Le pareti stavolta erano bianche e al centro della stanza troneggiava un grosso divano in pelle color crema. Un grande schermo al plasma si stagliava di fronte alle sedute e un tavolo era posizionato all’angolo. Era però decisamente più normale come stanza. “Vuoi qualcosa da mangiare?” mi chiese mentre entravamo in cucina, tutta sui toni del turchese. “Tua mamma ha una passione per i colori pastello” constatai, sedendomi sullo sgabello davanti alla penisola di granito bianco. “Li odio” rispose lei alzando le spalle: “Ti va un sandwich pieno zeppo di Vegemite?” mi sorrise, agitando il barattolo davanti ai miei occhi. “Non ci credo, pensavo fossi l’unico a mangiarla!” le risposi sorpreso. “Beh, io la mangio con praticamente tutto” ribatté lei, preparando i sandwich. La vidi concentrata nello spalmare la crema color nocciola. Teneva la lingua tra le labbra mentre cercava di non sporcarsi le mani. Poi mise i panini su un vassoio, posizionandovi sopra anche una confezione di Oreo e un barattolo di burro di arachidi. “Ti va bene la Pepsi?” “Io sono fan della Mountain Dew” le confessai. Lei alzò gli occhi al cielo – avrei potuto giurarlo anche se era voltata verso il frigo – e afferrò una lattina di Pepsi e una di Mountain Dew. “Così va bene, re austriaco?” chiese retorica, portando il vassoio sul tavolinetto basso davanti al divano. “Sì, suddita” le risposi, stando al suo gioco e sedendomi vicino alla penisola, dove lei si era allungata – o dovrei dire spaparanzata. Tolse le Converse e la imitai, togliendomi le Vans. “Ragazzaccia, cosa mi nascondi?” la vidi voltarsi verso la mia direzione, confusa. Indicai con la testa i suoi piedi, dove campeggiava uno smalto brillantinato. Sorrise muovendo le dita dei piedi. “Un momento di debolezza” confessò, alzando le spalle. Le rifilai un buffetto sulla spalla e lei alzò gli occhi al cielo per la millesima volta. Afferrò il telecomando e accese la tv. “Vediamo cosa c’è su” Smanettò un po’ con il telecomando, arrivando alla schermata del lettore DVD. Schiacciò ‘play’ e con mio grande orrore apparve una scritta a caratteri cubitali, con tanto di chitarra: ‘Camp Rock’. “Ti prego ammazzami” la implorai. “Tiffany” soffiò indignata, sbuffando. “Non ho voglia di alzarmi e cercare un film decente quindi accontentati dei Jonas Brothers.” Aggiunse premendo di nuovo ‘play’. “Troubby, dai, prendi un film con i fiocchi. Non posso subirmi queste canzonette oscene per un’ora e mezzo” la pregai, guardandola negli occhi. “Almeno ci divertiamo a fare commenti stupidi” rispose alzando le spalle con un sorriso furbo sul viso. “Ti odio” confessai, rifilandole una spallata. “Non è vero” – stavolta lo disse lei.

“Guarda caso lui, attaccato dalle ragazzine killer, si rifugia dietro una cazzo di siepe e sente questa che nella sala della mensa – dove non si sa perché c’è un pianoforte – inizia a cantare una canzone becera su sé stessa. Mi pare pure giusto che lui si innamori perdutamente della sua voce. Ma la sfiga si mette in mezzo – tanto per cambiare – e quella cogliona esce dalla stanza prima che il figaccione di turno – con i capelli orrendamente piastrati – entri per dirle che è diventata improvvisamente l’amore della sua vita” commentò Chloe, vedendo la scena dove Demi Lovato cantava in mensa. “Odio quella canzone” aggiunsi io, smangiucchiando il mio sandwich. Chloe aprì il barattolo di burro di arachidi e vi inzuppò dentro un Oreo, addentandolo subito dopo. Feci una faccia schifata, che lei notò. “Fe f’è?” mi chiese con la bocca piena. Scossi la testa tornando a guardare quello scempio di film – se così si poteva definire. “E’ buono” si giustificò, inginocchiandosi affianco a me e infilandomi in bocca un biscotto ricoperto di burro d’arachidi. Lo masticai contrariato, constatando subito dopo che aveva ragione. “Hai rafone” replicai, continuando a masticare il biscotto. Mi lanciò un’occhiata soddisfatta e tornò a sedersi affianco a me. Dannazione, aveva sempre ragione lei.

 
***
 
Arrivò così il temuto giorno delle audizioni. Avevamo scritto sul volantino che aspettavamo i candidati al 210 di Flat Street – casa di Gwen. I suoi genitori erano entrambi a lavoro e, non avendo fratelli più piccoli nei paraggi, era il luogo ideale per tenere i provini. Io e Nat stavamo sistemando un tavolo di legno sotto il patio, lasciando uno spazio libero davanti, abbastanza largo per poter far esibire i candidati.  Eravamo arrivati prima delle ragazze e Gwen ci aveva accolto sulla porta con un ampio sorriso e uno dei suoi immancabili vestiti ‘vomitevoli’ – come li definiva sempre Chloe. Gwen, d’altro canto, aveva detto che era felice di contribuire, offrendoci almeno casa sua come ‘quartier generale’. Ci aveva scortato per la casa fino al suo grande giardino, dove ci saremmo sistemati. A metà dell’opera – ovvero posizionare il tavolo per bene – sentii bussare alla porta, che prontamente Gwen andò ad aprire. Sapevo fossero Chloe e Mya ma non sapevo mi avrebbero fatto quell’effetto, soprattutto Chloe – avendo archiviato Mya non appena, dopo di lei, aveva fatto la sua comparsa Troubby. Era abbigliata come al solito, tranne per un paio di shorts striminziti. Avevo capito che, anche se era aprile, faceva caldo, però, cavolo, così faceva venire caldo anche a me! La vidi spostarsi i capelli dietro le spalle mentre mi guardava con occhi indagatori. Probabilmente stava per uscirmi la bava dalla bocca. “Ari, smettila di guardarmi come un cane guarda la sua ultima bistecca prima di un lungo digiuno” Mi riscossi alle sue parole e vidi Mya e Gwen ridere in un angolo del patio. “Ci voleva tanto a mandarmi un messaggio con scritto ‘belle gambe in mostra’? Almeno sarei partito avvantaggiato” Alzò gli occhi al cielo e poi corse ad abbracciarmi. La strinsi forte a me mentre mi faceva una pernacchia sulla guancia. Quel gesto mi aveva lasciato di stucco. Sentii Mya borbottare “Mi astengo dal commentare” e sorrisi. Non mi ero mai preoccupato dell’impressione che poteva fare il nostro rapporto visto dall’esterno. Probabilmente Mya si stava chiedendo perché ancora non ci avessi provato con Chloe – e in realtà me lo chiedevo anch’io, ma mi rispondevo sempre che avrei dovuto aspettare un po’, quanto non lo sapevo. “Okay, lo spettacolo è finito” borbottò Troubby lasciandomi andare, poi aggiunse: “Uomini, avete sistemato tutto per i provini?” Nat annuì e tornammo dentro, aspettando le sei, quando sarebbero iniziate le audizioni. “La maglia mi piace sempre” “Ci avrei giurato” replicò, guardando la sua maglia dei Nirvana. Non avevo mai trovato una ragazza ossessionata dalla musica quanto me – ed era un tutto dire. “Questi shorts sono tuoi?” le chiesi, poggiandole una mano sul ginocchio sinistro. La sentii rabbrividire. “No, me li ha prestati Mya e comunque togli questa mano, è fredda” mi intimò, prendendola e spostandola sul mio ginocchio. Sbuffai contrariato e mi appoggiai allo schienale del divano, osservando la tv sintonizzata su MTV, dove stavano trasmettendo l’ultimo video di Christina Aguilera. “Guai in paradiso?” accennò Nat, guardando me e Chloe. “Ah, sta zitto” lo ammonì lei, appoggiando i piedi sul tavolinetto di legno di fronte al divano. “Beh, manca un quarto d’ora, direi che possiamo andare alla porta” rifletté Mya, alzandosi e portando con sé Gwen. Avevamo pianificato che loro due avrebbero ‘accolto’ i candidati – che molto probabilmente avrebbero spaventato a morte – e in seguito li avrebbero portati dove noi li avremmo ‘giudicati’. Era una cosa messa a punto con i fiocchi da Mya – che si era rivelata essere un’ottima organizzatrice. Non vedevo davvero l’ora di iniziare.
 
***
Chloe
 
“Sono tutti delle merde” sbottai incassando la testa tra le mani. Avevo ascoltato fin troppe imitazioni – becere – di canzoni a me troppo care ed ero sconcertata dalle ignobili prestazioni dei bassisti adolescenti di Chicago. Aaron sbuffò per l’ennesima volta quando sentì che mancavano solo due persone. Non ce l’avrebbero mai fatta se avessero continuato così. Non sapevo gli standard dei ‘Paper Nites’ ma non mi sembravano così basse da accettare individui che suonino con il basso canzoni di Celine Dion – nulla da criticare alle sue canzoni, ovviamente. Nat continuava a scribacchiare cose oscene vicino ai nomi dei candidati: ‘Vai a suonare con la band dei Teletubbies’, ‘Uccidi la persona che ti ha insegnato a suonare il basso’, ‘Fatti delle domande sul perché indossi una parrucca bionda’, ‘Non vogliamo i bassisti del Titanic’ – quest’ultimo ovviamente riferito al poveraccio seguace della Dion. “Ne troveremo mai uno decente?” sbottò Aaron non appena fece la sua comparsa di fronte a noi un ragazzo alto e biondo. Mi sembrava di averlo già visto da qualche parte, ma non ricordavo dove. Il suo basso era di un blu scuro e vi erano diversi adesivi di band attaccati sopra. Dopotutto prometteva bene. “Presentati” esordì Nat sorridendo. Forse anche lui pensava ciò che stavo pensando io. “Ehm, ciao. Io sono Scott Fitzgerald e ho 18 anni. Frequento la Climson.” “Oh, ecco dove ti avevo visto!” sbottai illuminata nel sentire il nome della mia scuola “anche io la frequento, quarto anno” gli dissi sorridendo. Aaron mi lanciò uno sguardo infastidito e io alzai le spalle. “Beh, inizia pure. Cosa ci suoni?” chiese Aaron mentre gli stava facendo una radiografia con gli occhi. Che diavolo aveva di così strano? “American Idiot dei Green Day” rispose Scott. Dopo pochi secondi iniziò a suonare e credetti veramente di star sognando. Era perfetto in confronto ai tizi che avevamo ascoltato prima. Non ero poi una così grande esperta di musica ma, cavolo, mi stava ricordando vagamente Mike Dirnt – e avevo detto tutto. Finita l’impeccabile performance di Scott vidi Nat scribacchiare affianco al suo nome un ‘TI VOGLIO SPOSARE’ – in un bel maiuscolo sottolineato più volte. Sorrisi soddisfatta di aver finalmente trovato qualcuno per completare la band, anche se non ne facevo parte. Aaron sbuffò – non seppi mai veramente perché – e annuì. ‘Spera che il tizio dopo di te non sia il pronipote di Roger Waters e il posto sarà tuo” ammiccò proprio Aaron urlando subito dopo: “Il prossimo” Lo vidi irrigidirsi non appena Scott ci sorrise e se ne andò dentro. Mentre Nat interrogava il nuovo povero malcapitato, diedi un buffetto sul braccio di Aaron. “Che cazzo hai? E’ fantastico!” gli confessai, alzando gli occhi al cielo. Sbuffò e si voltò nella mia direzione. Gli lessi nello sguardo una sola cosa: fastidio. “Hey Ari, cosa ti infastidisce?” gli domandai appoggiando la testa sulla sua spalla. Sospirò con sguardo duro. “Niente” “Vaffanculo!” gli risposi indignata, tornando a guardare l’ultimo candidato. Stava a dir poco storpiando una bellissima canzone dei Clash e le mie orecchie ne stavano risentendo pericolosamente. ‘Basta’ sospirò Nat, dando subito dopo lo stop al ragazzo. “Non sei di certo il pronipote di Waters quindi è un no’ gli disse secco Aaron, rigirandosi tra le dita il braccialetto di cuoio che portava al polso destro. Non sapevo cosa diavolo gli stava succedendo e nemmeno volevo farlo. “Scott, vieni qui” chiamò Nat. Il ragazzo biondo uscì con un largo sorriso e si posizionò di fronte al nostro tavolo. “Per me è un sì ma non faccio parte della band, quindi sono i due uomini che devono decidere” gli confessai con un sorriso. Lui ricambiò e vidi Aaron stritolare quel povero braccialetto. Che odio. Nat e ‘l’uomo bandana’ parlottavano intensamente e vidi Aaron scuotere un po’ di volte la testa. Dopo un po’ i due parevano essersi accordati e fecero sapere a Scott quello che ormai sembrava scontato. “Sei ufficialmente il nuovo bassista dei ‘Paper Nites’” annunciò Nat. Poi i due si alzarono e andarono a congratularsi con Scott, il nuovo bassista. Mi alzai anch’io e andai verso Mya e Gwen che stavano ridacchiando sedute sotto al gazebo. Quando mi videro arrivare si ammutolirono anche se i loro sorrisetti campeggiavano ancora soddisfatti. “Che volete?” esordii scocciata, afferrando una sedia e sedendomi malamente. Osservai i tre parlottare e Aaron che ogni due per tre prendeva a fissarmi: irritante. “Che hai combinato stavolta?” sbuffò Mya affiancandosi a me. “Cosa ho combinato io? L’ho solo mandato a quel paese perché mi irritava con la sua aria superiore da spocchioso” sputai irritata guardandolo fissarmi. Arricciai il naso alzando il dito medio nella sua direzione. Mi osservò sbuffando contrariato. “Ahia, qui si mette male” constatò Gwen dopo quel gesto. “Cosa ti ha detto di tanto strano?” continuò Mya ignorando i miei gesti. “Non lo so. Da quando ha visto che sorridevo a Scott ha cominciato a sbuffare e ad osservarlo con sguardo truce” dissi incrociando le braccia al petto. Mya e Gwen scoppiarono – di nuovo – a ridere e io mi chiesi perché dovessi per forza circondarmi di amiche del genere. “Ancora non l’hai capito?” disse Mya tra le risate. “Cosa non ho capito?” risposi aggrottando le sopracciglia. “E’ geloso, Chloe. Sveglia!” esclamò Gwen continuando a ridere. Geloso. Sì, come no.






Vi prego non uccidetemi, so di essere sadica ma, AMO FARLI LITIGARE!
Ahahah dopo questa strana intro parliamo del capitolo.
Prima di tutto non voglio offendere nè Taylor Swift (dato che sono una sua accanita fan), nè i Jonas Brothers, nè Demi Lovato. Come ben sapete però i nostri protagonisti non li possono vedere, ew.
Come avete visto finalmente abbiamo trovato il bassista, yoho!
Ecco qui Scott, me lo immagino troppo come Alex Pettyfer: alex 
Ed ecco qui gli outfit.
1. Chloe nella prima parte del capitolo: chloe3 
2. Chloe durante le audizioni: chloe4
3. Gwen durante le audizioni: gwen2
4. Mya durante le audizioni: mya2 
Dopo questo vi dico che, come penso sappiate, 'Mike Dirnt' - che ho nominato nel capitolo - è il bassista dei Green Day e il mitico 'Roger Waters' è sempre il bassista dei Pink Floyd.
Dopo questo lunghissimissimo sproloquio spero mi sorprenderete come la scorsa volta e mi lascere un sacco di recensioni.
Stavolta continuerò a 7 recensioni.
Un abbraccio a tutti e grazie per il sostegno,

Sara xx

P.S. Oggi è il compleanno di Ashton, colui che mi ha inspirato il complicatissimo Aaron!
Tanti auguri bandana-man!

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Capitolo 6
*** 6. ***


Riot
 
6.
 
Ascoltavo ancora le canzoni dal suo iPod. Erano sei giorni che non lo vedevo e mi sembrava strano perché mi ronzava sempre intorno. Mi piaceva pensare di scherzare con lui o stare semplicemente sulla sua moto. E anche se non volevo ammetterlo a me stessa mi mancava tanto quanto sapere che al mondo c’era almeno una persona ossessionata dal Vegemite quanto me. “Chloe, stasera verrai a quel dannatissimo concerto” sbuffò Mya dall’altro capo del telefono. Tenevo l’iPhone incastrato tra la spalla e l’orecchio mentre aprivo il barattolo di burro d’arachidi e vi tuffavo dentro il cucchiaio. “Fi ho feffo di no” ribattei a bocca piena. Guardavo distrattamente la tv mentre Mya mi sbraitava in un orecchio: “Devi venire, Chloe. Lo sai che vorrebbero ci fossi” “Vorrebbe” la corressi io, alzando gli occhi al cielo. Aaron credeva che mi piacesse Scott. Beh, era proprio uno stupido, lasciatemelo dire. Solo perché gli avevo sorriso non significava che volevo portarmelo a letto. Per quanto poteva essere bello e suonare il basso così bene a me non faceva né caldo né freddo. “Stasera passo a prenderti con Gwen” “Tanto non vi faccio entrare” “Passiamo alle otto” concluse, riattaccando prima che potessi ribattere. Che odio. Continuai ad ingozzarmi di burro d’arachidi, che la maggior parte della gente avrebbe schifato solo perché lo mangiavo senza nulla, a cucchiaiate. Beh, le ragazze normali mangiano continuamente gelato, io mangiavo burro d’arachidi. Sentii dei rumori fuori in giardino e allungai il collo per vedere cosa fosse, probabilmente la macchina della madre di Jewels che riportava Tiffany a casa. Mi andò di traverso l’ultima cucchiaiata e iniziai a tossire furiosamente quando vidi che in realtà era una moto nera e ciò che vi stava sopra era quello che avrei voluto evitare per i prossimi giorni: Aaron. Abbassai lo sguardo sui miei vestiti e arricciai il naso schifata quando vidi che indossavo una vecchia canottiera dei Clash e dei jeans sformati che risalivano agli anni ’80, ovvero all’adolescenza di mia madre. Sospirai scocciata alzandomi dal divano. Tanto valeva aprirgli prima che mi avesse ossessionato suonando convulsamente il campanello. Quando aprii la porta lo vidi appoggiato con un braccio al muro. Mi fece un sorrisetto e fui tentata a chiudergli la porta in faccia. “Perché sei davanti a casa mia?” “Perché mi hai aperto?” “Non si risponde mai con un’altra domanda” dissi ammiccando e incrociando le braccia al petto. Voleva la guerra e la guerra avrebbe avuto. “Stasera vieni?” mi chiese giocherellando con il braccialetto che teneva allacciato al polso destro. “No” risposi. Sbuffò e lo feci entrare, giusto per non dare spettacolo. I vicini erano avvoltoi pronti all’attacco. “Si può sapere perché mi sei venuto a rompere mentre ingurgitavo chili di burro d’arachidi?” “Mh, bello Geordie Shore” esordì, sedendosi scomposto sul divano.”Non cambiare discorso” sbuffai, sedendomi sulla penisola. Lo vidi osservarmi con la coda dell’occhio mentre faceva – palesemente – finta di guardare MTV. “Stasera verrai.” “Non se ne parla” ribattei acida, vedendo che si stava avvicinando pericolosamente. “Si può sapere perché mi hai mandato a qual paese?” “E te lo chiedi pure? Stavi guardando Scott come farebbe Mike Tyson con il suo avversario” risposi sospirando esausta. Mi faceva girare le palle – che non ho. “Non stavo guardando Fitz in quel modo” “Oh, adesso è Fitz?” ridacchiai. “Che vuoi?” “Ma se lo stavi uccidendo con lo sguardo” “Non è vero” “La smetti di negare?” sbottai stufa guardandolo negli occhi. Lo vidi infastidito. “Che ci fai ancora qui?” gli chiesi. Volevo se ne andasse. Non avrebbe mai ammesso che era stato uno stupido a giudicare ‘Fitz’ nelle maniere meno opportune. “Va bene, me ne vado. Tanto lo so che stasera ci sarai” “Ma non credo proprio” gli risposi, sbuffando. Afferrò il casco che aveva poggiato sul divano e si alzò. “Ciao” salutò andando verso l’ingresso e sbattendo la porta dietro di sé. “Ciao” sussurrai io quando sentii la moto rombare via. Ciao.
 
Mi sarei voluta sotterrare quando sentii la macchina di Gwen che si fermava davanti casa mia. Erano le 7:15 p.m. ed erano in anticipo di quarantacinque minuti, cosa significava? Ero stesa sul letto con il libro di biologia in mano, almeno quel sabato stavo studiando e il mio rendimento a scuola – comunque scarso – non ne avrebbe risentito. Sapevo fossero entrate perché era ormai troppo tempo che dimenticavo di togliere la chiave dalla porta. Quando le vidi piombare nella mia camera scoppiai a ridere. “Cosa diavolo ne hai fatto della solita Gwen?” esordii spalancando gli occhi al suo vestito rosso scuro. Grazie a Dio Mya non le aveva fatto indossare dei tacchi vertiginosi ma dei semplici – mica tanto – stivaletti. Gwen sorrideva imbarazzata stringendosi nella giacca nera. “Corri a fare la doccia” mi intimò la rossa prendendo il libro di biologia e poggiandolo sul comodino. Vedendomi ancora allungata sul letto perse la pazienza. “Muovi il tuo culo immediatamente” urlò, fracassandomi un timpano. Con quegli zatteroni mi sovrastava e il suo abbigliamento, come al solito striminzito, la faceva sembrare cinque anni più vecchia. Oramai ero abituata a vederla abbigliata e truccata così. “Devi fare colpo” continuò Gwen, sorridendomi. Mi alzai svogliatamente dal letto e andai in bagno. Mi dovevo fare questa beneamata doccia, solo per schiarirmi le idee.

“Indossa queste” “Ma le hai viste? Sono alte almeno quindici centimetri” sbraitai contro Mya alla vista dell’ultimo modello che voleva mettessi ai piedi. Mi aveva fatto indossare una gonna skater di pelle ed era stata irremovibile. Grazie a Dio ho potuto scegliere che maglia mettere e adesso mi ritrovavo con una camicia a scacchi. Indossai quelle scarpe e mi sentii altissima. Mi facevano malissimo e non riuscivo a concepire come Mya facesse a metterle tutto il tempo. Mi guardai allo specchio e rimasi scioccata. “Sono la tua brutta copia” constatai rivolgendomi a Mya. “Non è vero” incalzò lei. Mi avevano convinto ad andare a quello stupido concerto. “Vedrai un sacco di persone nuove e magari qualche bel ragazzo” ammiccò Gwen, facendomi pensare che Mya l’aveva proprio stravolta con quell’abbigliamento. “Andiamo” ordinò la rossa e, prendendo la mia tracolla con le frange, mi ripromisi che dovevo  riavere il mio iPod, a costo di separarmi dalle stupende playlist di Aaron.
 
***
Aaron
 
Me ne stavo davanti allo specchio della sala riservata agli artisti. La bandana nera era ferma al suo posto e i miei capelli come al solito scompigliati. Era il primo concerto per i ‘Paper Nites’ e non volevo fare la figura dell’incapace. Mi rigiravo le bacchette tra le mani e pregavo che Chloe venisse. Mi aveva aiutato a distribuire i volantini per la città, a scegliere la scaletta del concerto, a trovare un bassista e volevo solo che fosse lì a vederci, a vedermi. “Aaron, verrà, smettila di pensarci” esordì Nat alzandosi dal divanetto all’angolo. Teneva una lattina di Red Bull in mano e mi osservava con un sorrisetto. Vidi Scott sbucare dal nulla, stringeva una bottiglia di birra e me ne stava porgendo un’altra. “Quando te la dai una calmata?” mi disse dopo averne sorseggiata un po’. “Ho mantenuto quella promessa, anche se non mi ha detto quale cazzo di canzone voleva. Ne ho scelta una a caso dal suo iPod” “Non molto a caso, a quanto pare” ridacchiò Nat dando una spallata a Scott. Mi unii alle loro risate sicuro di stemperare un po’ la tensione. Ero stato tutta la settimana a smanettare con quell’aggeggio. Cercavo la canzone perfetta e non ne trovavo neanche una lontanamente adatta. Mi decisi quello stesso pomeriggio e Nat e Scott mi presero per pazzo, secondo loro non avevamo tempo di suonarla come si doveva. Provammo per circa tre ore e ripassammo anche qualche canzone per il concerto di quella sera. Ero davvero frastornato e quella sensazione mi ricordava tanto la volta in cui durante una recita scolastica vomitai nel cespuglio di cartapesta. Rabbrividii a quei ricordi e uscii fuori per fumarmi una sigaretta. Nat mi seguì mentre iniziava a scaldare la voce per il primo pezzo che avremmo eseguito: ‘Good Times Bad Times’ dei Led Zeppelin. Adoravo quel pezzo e avevo passato gran parte della mia adolescenza in adorazione degli Zeppelin, quindi iniziai a canticchiarlo con Nat. “Perché non ci provi con Chloe? Cazzo, fate tutto insieme, ci manca solo che pomiciate sulla moto e siete due perfetti fidanzatini” esordì scalciando un sassolino con la punta dei suoi anfibi. “Oggi sono andato da lei con l’intenzione di farlo” sbuffai. “Di fare cosa? Hey, cosa mi sono perso?” sorrise sornione, dandomi una spallata. “Che hai capito? Deficiente, ero solo andato a chiarirmi con lei e chissà, magari ci sarebbe scappato un bacetto.” Buttai fuori il fumo e cercai di non mettermi ad urlare nel vicolo che dava sul retro del ‘Mocha Wag’, il pub dove dovevamo suonare tra meno di mezz’ora. Mi aveva fatto esasperare quel suo continuo rifiuto di toccarmi, guardarmi e rivolgermi una parola che non fosse ‘esci’. Ero così incazzato da essermene andato e aver sbattuto la porta, mandando a fanculo ogni chance di vittoria futura. Mi passai una mano sul viso e gettai la sigaretta. “Nat, mi dici che cazzo devo combinare con lei? Un attimo prima è dolce – beh, quanto può essere dolce una come Chloe – e sta con me, mi tiene persino la mano! Dopo tre secondi diventa come l’uragano Katrina, pronta a fare a pezzi tutte le mie convinzioni. Che cazzo ho fatto di sbagliato per farmi piacere una come lei?” “Non lo so, amico. Ma se pensi che davvero ti piaccia devi darti una mossa, gli altri non aspetteranno che tu vada lì e le dica che vuoi diventare il suo compagno di bandane.” Compagno di bandane? Ho sentito bene?
 
***
 
Chloe
 
Gwen non la smetteva un attimo di ripetere che aveva fame e che il suo livello di cibo nell’organismo era sceso gravemente e tutte quelle stronzate da mestruata. “Se non stai zitta ti ficco in bocca il tacco di Mya. Giuro sulla mia collezione di album degli ACDC che lo faccio davvero” sentenziai, stufa di sentire Gwen lamentarsi. Lei capì che i miei adorati cd non reggevano il confronto e si zittì, provocando un sonoro sospiro da parte di Mya, che stava guidando – stranamente senza farci sbattere contro qualche albero. Sbuffai, vedendo che ci avvicinavamo esponenzialmente al luogo che volevo evitare: il Mocha Wag. Se avessi sentito la loro musica sarei rimasta e non avrei avuto il coraggio di andarmene per non vedere quell’impiastro di Aaron. Sapevo che fossero bravi e il fatto che suonassero la musica che adoravo non mi faceva di certo felice, così sarebbe stato più difficile uscire. “Dai Chloe, cosa ti potrà succedere di tanto disastroso? Lo vedrai, nel peggiore dei casi  litigherete e poi te ne andrai per la tua strada.” “E’ giusto quello che dice Mya, non c’è nulla di così catastrofico.” Oh, ci mancava solo Gwen a dar man forte alle idee della rossa. “E’ solo che non voglio vederlo” sussurrai, più a me stessa che in risposta a loro. Nessuno mi era mai corso dietro come stava facendo Aaron ed io quel pomeriggio ero stata tanto gentile da respingerlo amabilmente. Avevo ragione però e non avrei mollato la mia convinzione, a costo di sembrare una socialmente disturbata. Quando svoltammo sulla via principale notai subito il neon dell’insegna del ‘Mocha Wag’, uno dei tanti pub di Chicago. Come al solito tirava vento e appena uscimmo dalla macchina mi strinsi nella mia leggera camicia, arrabbiata con me stessa per essermi dimenticata il giacchetto sul letto. Entrammo nel locale, che puzzava di birra in un modo allucinante. In compenso era pulito e i divanetti non avevano residui corporei di qualcuno, il che era un bene. Ci sedemmo ad un tavolo vicino al palco – e maledii Mya per questo. Meno mi facevo vedere, meglio era. Sbuffai e ordinai una Heineken per tutte e tre. Gwen non era d’accordo – come al solito – infatti prese anche una porzione media di nachos. Quella ragazza era un caso perso.

Dopo circa mezz’ora le luci della sala si abbassarono e si accesero quelle del palco. La batteria e gli amplificatori – con il logo dei ‘Paper Nites’ – erano già posizionati. La gente parlottava ai tavoli, domandandosi chi fosse la band che doveva suonare, dato che era perlopiù sconosciuta. “Arrivano” sussurrò Gwen quando vide avanzare Scott con il basso ben stretto in mano. Sorrise al pubblico. Vidi che indossava dei jeans scoloriti e sopra una larga maglia nera, anonima. Se ne stava alla destra della batteria, aspettando gli altri. Subito dopo lui vidi la folta e scompigliata chioma di Aaron raggiungere la batteria. Mi stupii nel vedergli addosso una maglia degli All Time Low, band che in quel periodo adoravo alla follia, tanto da creare con le loro canzoni almeno cinque playlist sul mio iPod. La sua bandana era al solito posto mentre scrutava la sala, probabilmente in cerca di me. Quando mi vide mi fece l’occhiolino e io alzai gli occhi al cielo. Gli comparì un sorriso e lo vidi ridacchiare mentre scuoteva la testa. Distolsi lo sguardo per vedere Nat entrare con la sua chitarra nera. Si posizionò di fronte al microfono. Suonarono i primi accordi di ‘Good Times Bad Times’ e, ascoltando l’armonia degli strumenti, promettevano davvero un concerto grandioso.

Finita di suonare ‘You Shook Me All Night Long’ dei mitici ACDC, Nat prese il microfono e sorrise. “E adesso ragazzi, permettetemi di introdurvi ad una canzone che è stata voluta dalla nostra fan numero uno” e indicò me. Cosa cazzo stava succedendo? Vidi Aaron rigirarsi le bacchette tra le dita e non potei non sbuffare: traditore. “Chloe ci ordina di cantare Weightless, quindi alzate le mani e dateci dentro!” Sentii la voce di Nat risuonare e la batteria più forte di qualsiasi altra canzone prima. Sorrisi inconsapevolmente vedendo che Aaron si era ricordato della scommessa e aveva anche scelto una delle mie canzoni preferite. Il batterista sorrideva e capii la maglia degli All Time Low solo in quel momento.
 
“Manage me, I'm a mess 
Turn a page, I'm a book half unread 

I wanna be laughed at, laughed with,

just because I wanna feel weightless 
And that should be enough
 
Well I'm stuck in this fucking rut 
Waiting on a second hand pick me up 
And I'm over, getting older 

If I could just find the time 
Then I would never let another day go by 
I'm over, getting old 

Maybe it's not my weekend but it's gonna be my year 
And I'm so sick of watching while the minutes pass as I go nowhere 
And this is my reaction to everything I fear 
Cause I've been going crazy I don't want to waste another minute here”
 
“Muoviti Chloe, dopo questo devi per forza andare a salutarlo” sbraitò Mya spingendomi verso il backstage. “No.” Impuntai le scarpe al suolo e guardai Gwen torva per averle dato l’idea. Lei alzò le spalle e borbottò un “Non avevo idea facesse così.” Vidi la porta nera che dava accesso alla stanza aprirsi e la testa di Scott sbucare. “Oh, mi chiedevo chi era che faceva tutto questo casino qui fuori” ironizzò, chiudendosi la porta alle spalle. “Chloe non vuole entrare” spiattellò Gwen e, quando Scott le sorrise, temetti non potesse diventare più rossa di così. “Grandioso il concerto” dissi io, cercando di complimentarmi almeno con uno di loro. Lui face un sorrisetto e aprì la porta di nuovo. Che cazzo vuoi fare brutto sgorbietto? “Entrate” ci invitò, facendo l’occhiolino a Gwen che confermò le mie paure precedenti diventando esageratamente rossa. Mya gli sorrise spingendomi nella piccola stanza. “Ti ammazzo” urlai contro Scott, non prima di averlo fulminato con lo sguardo. Lui ridacchiò e fece entrare anche Gwen. Non mi stava più simpatico. Quando voltai gli occhi verso l’interno della stanza vidi Aaron di spalle che sistemava l’attrezzatura e Nat che sorseggiava una birra tranquillamente seduto a non fare nulla. “Scott chiudi quella cazzo di porta” esordì Aaron ancora di spalle. Mya ridacchiò, facendo crollare il mio piano di uscire indisturbata. Sbuffai quando lui si voltò e ci accolse con un sorriso furbo. Nat si alzò dalla sedia e andò a salutare Mya e Gwen mentre io me ne stavo contro il muro, pronta a rifiutare qualunque contatto. Sì, il concerto era stato fantastico ma adesso basta, non era in programma nessun maledettissimo meet and greet. “Adesso noi usciamo e lasciamo i due piccioncini soli soletti a chiarirsi” disse Nat circondando con le braccia le spalle di Mya e Gwen e scortandole fuori. Scott prese una lattina di Mountain Dew e ci lanciò un sorrisetto uscendo subito dopo. Avevo cambiato idea: non avrei ucciso solo lui, avrei ucciso anche le mie due migliori amiche complici del cantante di quella fottutissima band da quattro soldi. Mi appoggiai al frigo e attesi che fosse Aaron a dire qualcosa, ne avevo già abbastanza. “Cosa vogliamo fare?” esordì facendo qualche passo verso di me. Mi schiacciai contro il frigo non volendo assolutamente accettare qualsiasi sua avance. ‘Ti odio’ pensai tra me e me, ma la cosa non stava funzionando affatto. “Non lo so, mi hanno costretto ad entrare qui dentro” sbraitai io ad alta voce. “Chloe smettila” mi intimò lui, avanzando. “Smettila cosa? Eri geloso, ammettilo” continuai a punzecchiarlo. Magari cosi si sarebbe arreso e se ne sarebbe andato. “Okay, hai ragione” disse spiazzandomi. Non lo aveva mai ammesso. Alzò un sopracciglio quando vide la mia espressione confusa e lo osservai passarsi una mano tra i capelli. Sorrisi a quel gesto che faceva sempre quando era imbarazzato. “Te ne sei andato da casa mia sbattendo la porta.” “Dopo che tu me lo hai intimato dieci volte” sospirò avvicinandosi ancora. Alzai gli occhi al cielo constatando che era davvero troppo vicino per i miei standard. Mi sorprese dandomi un pizzicotto sul fianco e non potei fare a meno di ridere. “Ecco quello che stavo cercando” disse entusiasta. Sospirai esasperata: sarebbe mai cambiato? “Aaron che vuoi?” piagnucolai vedendolo avvicinarsi ancora. Adesso era a due dita dal mio viso. “Non mi hai ringraziato per la splendida serata e non mi hai fatto nemmeno i complimenti per come suono bene la batteria. Ah, dimenticavo di dirti che la canzone l’ho scelta io tra le 1864 che hai nell’iPod.” “Non ti devo ringraziare di un bel niente” risposi, guardandolo minacciosamente. Purtroppo quello sguardo non mi stava riuscendo molto bene. Dannazione. “Troubby.” “Ari” lo interruppi sfidandolo con lo sguardo. Sul suo volto si materializzò un ghigno e subito dopo incollò le sue labbra alle mie. Spalancai gli occhi scioccata. Che cazzo faceva? Quando posizionò la sua mano destra sul mio fianco mi rilassai e mi lasciai andare. In fondo lo sapevo anch’io anche se continuavo a negarlo: mi piaceva. Strinsi tra le dita la stoffa della sua t-shirt e lui portò la sua mano tra i miei capelli. Quando finalmente ricambiai lo feci con foga e lui rispose mordendomi il labbro inferiore. Mi baciava con impeto, come se fosse l’ultimo bacio prima della fine del mondo. In realtà quel primo bacio sapeva di rabbia repressa, un chilo di frustrazione e un pizzico di orgoglio. Adesso ero davvero spacciata.




Ciao bellissimi/e!
Eccomi qui con il sesto capitolo, FINALMENTE HANNO CONCLUSO.
Come avrete visto non ho rispettato il tetto di recensioni minime, infatti non ho intenzione di metterlo in questo capitolo. Però voi recensite comunque, eh. Per me è molto importante.
Btw, passando al capitolo.
Vi posto gli outfit, come promesso:
1. Chloe a casa: chloeathome
2. Gwen al concerto: gwenatc
3. Mya al concerto: myaatc
4. Chloe al concerto: chloeatc
Bene, bene io la finisco qui e mi raccomando recensite in tanti, voglio sapere la vostra opinione!
Un bacio,

Sara xx

P.S. Oggi sono un po' a tremila perchè sono riuscita a prendere i biglietti per il ROWYSO tour dei 5 Seconds of Summer (la band di ashton) e boh, se qualcuno di voi va a torino che me lo faccia sapere. xx

P.P.S. Vi consiglio di ascoltare la canzone 'Weightless' degli All Time Low (di cui ho inserito un pezzo del lyrics nel capitolo) perchè sono davvero in fissa con questa band ahah.

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Capitolo 7
*** 7. ***


Riot

7.
 
Quando sentii le sue braccia circondarmi i fianchi e la sua lingua solleticarmi il labbro inferiore mi ridestai. Che cosa stavo combinando? Io ero incazzata con lui, oh sì che lo ero. Poggiai le mani sul suo petto e lo spinsi via, aprendo gli occhi. “Chloe.” Lo vidi venire verso di me ma non gli diedi peso. Mi misi le mani sul viso pronta a sbottare. “Cosa diavolo pensavi di fare, Aaron?” gli urlai contro con tutta la forza che avevo. Mi aveva baciato mentre stavamo parlando, senza preavviso e volevo solo ucciderlo con lo sguardo per essermi fatta abbindolare così. Camminavo avanti e indietro per la stanza mentre lui se ne stava seduto su una cassa di birra. Il nervosismo mi stava consumando mentre iniziai a mangiarmi le unghie. “Ascoltami” cercò di iniziare lui ma non lo degnai di uno sguardo. “Chloe” tentò un’altra volta, alzandosi dalla cassa di birra. Mi ero lasciata sopraffare dalle emozioni, non lo facevo mai. Cosa cazzo mi era preso? Perché ero rimasta lì a baciarlo? Non era da me, non lo avrei mai fatto se fossi stata lucida. Dannata birra. “Cazzo Chloe, guardami!” urlò Aaron posizionandosi davanti a me e poggiandomi le mani sulle spalle. Alzai lo sguardo pronta a sfidarlo. “So che tutto questo sembra strano: la canzone, il fatto che ci abbiano lasciato soli, il bacio. Chloe, ho chiesto tutto io, lo capisci?” Scossi la testa esausta e feci per girarmi ma lui mi bloccò stringendo la presa sulle spalle. “Aaron, Santo Dio, ma dirmelo civilmente no?” risposi, alzando gli occhi al cielo. Quei suoi occhi verdi guizzarono sul mio viso e li vidi rasserenarsi. “Ci stavo provando, stupida. Solo che tu mi blocchi ogni volta!” esclamò. Sbuffai contrariata lasciando che parlasse. “Perché non vuoi baciarmi?” Restai a fissarlo intontita mentre quelle parole mi rimbombavano in testa. Perché non volevo baciarlo? Era solo che era passato troppo tempo e non credevo di poter fare tutto così di corsa. E se poi le cose si fossero complicate? E se qualcuno si fosse messo in mezzo? Dovevo ammetterlo a me stessa: Aaron mi piaceva. Era da quando avevo poco più di sedici anni che non baciavo nessuno e che nessuno mi guardava in modo diverso e non quel solito sguardo per definirmi una ragazza-strana-con-una-bandana-sulla-testa-e-gusti-ambigui. Mia madre e le mie due migliori – e uniche – amiche erano le sole persone che mi giudicavano come non fossi solo una persona scontrosa, acida e saccente, che sapeva il fatto suo e che non guardava in faccia a nessuno. Cercavo sempre di nascondere i miei sentimenti e il più delle volte ci riuscivo, sotto quella maschera di sarcasmo e occhi alzati al cielo. Dopo un po’ tutti si arrendevano con me, tutti mollavano la spugna, nessuno resisteva e andava a fondo per vedere cosa veramente fossi stata prima che mio padre se ne fosse andato e prima che il mio ragazzo – per ben due anni – mi avesse tradito con la matricola di turno. Aaron stava cercando di vedere dove nessun’ altro aveva mai avuto il coraggio. “Troubby” mi chiamò lui e scossi la testa per scacciare via i pensieri. “Non lo so” risposi, arricciando il naso. Corrugò le sopracciglia e continuò a tenermi le mani sulle spalle. Lo vidi tentennare perché non trovava le parole adatte; ringraziai mentalmente chi avevo giurato di voler ammazzare quando Nathan aprì la porta e condusse tutta l’allegra ciurma dentro. Aaron mi lasciò e ci voltammo contemporaneamente verso i nostri amici. Nat sbuffò. “Dovrò vendere la mia casa semmai un giorno vorrei vedervi pomiciare senza che pensiate a nulla?” In quel momento tornai ad abbracciare l’idea di fare un genocidio di massa.

***
Aaron
 
Entrai in casa sbattendomi la porta alle spalle. Cosa cazzo avevo fatto di male per farmi piacere quella pazzoide di Chloe? Salii le scale e mi rifugiai in camera mia, sbattendo anche quella porta. Guardai l’iPod che era buttato sul mio letto, con la cover ‘Fuck the police’ rivolta verso l’alto. Presi il cellulare e mi feci coraggio, dovevo risolvere quel problema del cazzo perché più passavano i minuti e più mi incazzavo con me stesso per come stavo perdendo la possibilità di combinare qualcosa con Chloe.
00:23 a.m.
Dormi?
 
00:25 a.m.
Se ti sto rispondendo no,
 idiota.
 
00:26 a.m.
Ah ah.
Btw, domani passo a prenderti
all’uscita da scuola.
[btw = by the way (en) = comunque (ita)]
 
00:30 a.m.
Okay.
 
00:31 a.m.
Buonanotte Troubby,
ti voglio bene. xx
 
00:35 a.m.
Buonanotte,
ti voglio bene anch’io. xo
 
Fissai lo schermo dell’iPhone mentre tutta la casa taceva. L’indomani l’avrei rivista e il solo pensiero di dover chiarire i milioni di problemi che mi – e ci – affollavano la testa mi fece venire il voltastomaco. Chloe aveva il potere di destabilizzarmi. Era entrata nella mia vita senza un vero perché e adesso avevo il motivo per non farla uscire: lei mi faceva vivere come nessuno aveva mai fatto.
 
***
Chloe
 
“Non ci posso credere che ti ha baciata e tu non hai ricambiato” iniziò Gwen mentre prendeva appunti durante la lezione di Storia Americana. Per quella materia io provavo solo odio puro, quindi me ne stavo con la testa poggiata su una mano e lo sguardo diretto ad un punto indefinito davanti a me. “Tecnicamente ho ricambiato all’inizio” le risposi, arricciando il naso “per colpa della birra, eh. Poi però mi sono resa conto di quello che facevo e l’ho spinto via.” “Mh” fu la conclusione di Gwen. Stavo seriamente pensando che entrambe le mie migliori amiche stessero mettendo su una crociata contro la sottoscritta, a suon di ‘Dai ad Aaron una possibilità!’ Infatti quella mattina, mentre facevamo colazione, Mya era stata dieci minuti a dirmi quanto ero stata stupida a mollare Aaron così. Per lei era perfetto e sembravamo fatti l’uno per l’altra. La realtà era diversa: non sapevo cosa fare. Aaron era sempre lì, a darmi la buonanotte e ad aspettare una qualsiasi mia mossa. Io me ne stavo ferma con la mia aria superiore. Se avessimo continuato così non saremmo andati da nessuna parte. “Chloe, la devi smettere di pensare alle conseguenze! Vivi e basta” era stato il mantra che Gwen mi ripeteva ogni volta che cercavo una scusa per non fare una cosa. Scuse che di solito non avevano né capo né coda. Avrei aspettato quel pomeriggio per sapere cosa diavolo fare.
 
Appena uscii dall’ultima lezione della giornata – Letteratura Inglese alle 5:30 p.m. – mi fiondai al mio armadietto. Poco dopo mi raggiunse Mya, che prese i libri da studiare e se ne andò di corsa, dopo avermi propinato la sua solita giustificazione: i gemelli. Gwen aveva il corso di scrittura creativa e non sarebbe uscita da quel carcere prima delle sette. Fantastico, sarei dovuta andare a casa da sola! Appena varcai la soglia dell’edificio ricordai dei messaggi di quella notte e uno strano stato d’ansia iniziò a invadermi. Aaron se ne stava – come suo solito – appoggiato alla moto, con il secondo casco tra le mani e un sorrisetto stampato in faccia. Mi faceva venire voglia di urlare. Camminai verso di lui, che mi aveva visto non appena ero uscita. “Troubby” mi accolse, passandomi il casco. “Ciao, dove andiamo?” fu la mia risposta incolore. “Hey” disse lui guardandomi “non cominciare a fare la spocchiosa stronzetta con me.” “Okay” replicai monocorde. Mi diede un pizzicotto sul fianco destro e mi uscì un sorrisetto. “Ecco qua!” esclamò, salendo in sella alla moto. Lo seguii e cercai di aggrapparmi a lui più forte che potevo. “Per te va bene se andiamo a casa mia?” mi domandò. “Sì” gli risposi e lui diede gas, partendo. Sistemai le mie braccia intorno al suo corpo e lui mi stupì quando, ad un semaforo rosso, si soffermò ad accarezzarmi una mano. Non durò a lungo ma mi fece comunque pensare a come lui si potesse sentire. Lo avevo rifiutato per un numero illimitato di volte ma, altrettanto spesso, avevo fatto gesti strani che si potevano addirittura definire ‘affettuosi’: gli avevo prestato il mio iPod – che nessuno, oltre la sottoscritta, aveva mai toccato, gli avevo lasciato farmi il solletico, guardare un film insieme, ascoltare la mia stessa musica e, ultimo ma non meno importante, avevo ricambiato il suo bacio – anche se per poco, ma era il pensiero che contava. Lui non sapeva cosa combinare tanto quanto me. Eravamo nella completa e totale merda.
 
“Passami il cioccolato.” “Non ne ho voglia” “Dai Aaron, passami quel maledetto cioccolato, ho fame!” “Finché non mi racconti cosa diavolo ti è successo non passo niente a nessuno, soprattutto a te.” Ce ne stavamo sul suo letto: lui steso per metà con il telecomando della tv in una mano e mezza tavoletta di cioccolato extra fondente nell’altra e io seduta a gambe incrociate affianco a lui che cercavo di protendermi per recuperare il cioccolato che continuava a portare a distanza di sicurezza dalle mie mani. Mi stavano seriamente salendo i nervi. “Aaron, giuro che se non molli quel cioccolato ti taglio tutte le bandane che possiedi, razza di idiota!” “Non oseresti” ribatté sicuro, sorridendo strafottente. “No, infatti. Ti spappolo direttamente i coglioni!” esclamai rifilandogli un calcio ai ‘gioielli di famiglia’. Lasciò la tavoletta per portarsi le mani all’inguine e scattai per prenderla. Mi sedetti poi di fronte a lui, godendomi la scena mentre mangiucchiavo il cioccolato. “Chloe, io ti uccido, cazzo. Mi hai praticamente castrato” articolò mentre si stendeva sul letto e si metteva le mani sul viso, visibilmente distrutto.
 Dopo dieci minuti finii il cioccolato e lanciai la carta sul tappeto. “Chloe” mi chiamò lui, invitandomi a guardarlo. “Che c’è Ari?” “Oh, adesso mi richiami Ari.” “E dai, finiscila.” Si alzò dal letto e si posizionò di fronte a me, che me ne stavo ancora seduta a gambe incrociate. La tv trasmetteva una delle tante repliche di ‘Man v. Food’ e lui tirò un gran sospiro mentre si accovacciava alla mia altezza. “Che c’è?” ripetei, guardandolo confusa. “Me lo domandi tu? Sono io che devo chiederti cosa c’è. Dammi una possibilità, Chloe.” “Perché?” gli domandai. Non sapevo davvero come reagire anche se avevo messo in conto una proposta del genere quando ieri avevo risposto ‘Okay’ a quel messaggio a mezzanotte e mezza. Avevo visto quel sms non appena era arrivato ma, volendo fare la sostenuta, gli avevo risposto quattro minuti dopo, quel tanto che ero riuscita ad aspettare. “Ascoltami. So che sembri una spocchiosa acidella perennemente mestruata e con un diavolo per capello. So che certe volte mi fai salire il Quarto Reich con le tue frecciatine e le tue allusioni. Ma so anche che l’iPod di una persona mostra molte cose che quella persona cerca di celare dentro di sé, perché io, anche se nascoste tra mille pezzi rock, le ho viste le dodici canzoni di James Blunt, le nove di Taylor Swift e le quattro di Adele e non sono lì per caso. La musica che qualcuno ascolta riflette le sue emozioni. Tu ti sei rispecchiata in quei brani e non sei riuscita mai a cancellarli perché ti ricordano troppo il tuo passato. Beh, con me non so se ci sarà tempo per deprimerti scaricando l’ultimo album di Lana Del Rey ma ti assicuro che avrai modo di trovare tutte quelle canzoni che sono in entrambi i nostri iPod e ascoltarle insieme, criticarle, elogiarle, ballarci sopra e usarle come sottofondo per ogni cosa e, credimi, ci sono un sacco di cose da poter fare insieme. Solo, Troubby, dammi una possibilità e, per una volta, non combinare un casino dei tuoi.” Quando finì rimasi a fissarlo per dei minuti interminabili. Mi stava dando un modo per fuggire dall’ordinario. Mi stava dando un modo per cercare di riscoprire la vecchia me stessa, anche senza dirlo. Mi stava dando un modo per risolvere le cose ed affrontarle, una volta per tutte, senza finire distesa su un pavimento a piangere. Mi stava dando la possibilità di credere per una volta in un ragazzo. E io volevo credergli. “Chloe, se non vuoi rispondermi subito io posso darti più tempo, posso tro-“ “Sta’ zitto!” risi, tirandogli una cuscinata sul petto. “Che ho fatto adesso?” si lamentò, buttandosi sul tappeto. “Proprio niente signorino.” “Ma se mi hai appena dato una cuscinata senza motivo!” si difese guardandomi stralunato. “Volevo solo destabilizzarti un po’ per fare una cosa” gli risposi sedendomi accanto a lui sulla stoffa blu. “Per fare cosa?” replicò guardandomi confuso. “Per fare questo” gli confessai, prima di poggiare le mie labbra sulle sue.
 
 
“E poi?” urlarono Gwen e Mya all’unisono mentre stavo bevendo un sorso del mio cappuccino. Quella mattina mi avevano costretto a raccontare loro della serata precedente e di come Aaron si era ‘dichiarato’. “E poi niente, ci siamo baciati ancora un po’” sorrisi maliziosa mentre vidi le due spalancare gli occhi. “Che c’è?” incalzai osservando Mya diventare pallida. “Ma per caso, ecco, avete-“ “No, deficiente, ma cosa hai capito?” le risposi alzando gli occhi al cielo. Sospirarono, entrambe sollevate, e Gwen tornò a mangiare uno dei suoi muffin. “Ci scommetto che tra una settimana li vedremo tutti appiccicati a scambiarsi frasi sconnesse mentre sembrano odiosi cupcakes rosa pieni di amore e gioia.” esordì Mya rivolta verso Gwen, mentre si alzava dal tavolo e andava verso l’uscita con una sigaretta già in mano. “Guarda che io sono ancora qui, se non lo avessi capito.” Quella ragazza stava diventando schizofrenica.
 
***
Aaron
 
“Cazzo, giuralo!” esclamò Nat non appena gli raccontai tutto quanto, di Chloe e di quella sera. Di come mi aveva baciato senza preavviso e di come eravamo finiti a guardare American Horror Story insieme sul mio letto. “Lo giuro, Nat. Non ci credo neanche io, porca puttana.” Eravamo seduti in caffetteria e stavamo aspettando le ragazze per una serata all’insegna del cazzeggio. Nat e Scott avevano pensato di chiedermi come fosse andata la serata precedente e io avevo vuotato il sacco, anche se non del tutto. “Cioè, fammi capire” esordì Scott: “le hai fatto una ‘dichiarazione’ messa su al momento, senza capo né coda e lei ti è capitolata ai piedi? Che cazzo, la prossima volta ci provo anch’io!” “Provaci adesso, allora” gli suggerì Nat accennando alla porta di ingresso, che Gwen aveva appena varcato, seguita dalle altre due che parlavano gesticolando, come loro solito. Osservai la smorfia di Chloe mentre alzava gli occhi al cielo all’ennesima frase di Mya e la trovai assolutamente adorabile. Speravo Chloe non leggesse nelle menti delle persone altrimenti mi avrebbe tirato un pugno nello stomaco non appena avesse scoperto cosa credevo di lei. “Buonasera ragazzacci” esordì poi e quando mi alzai per salutarla mi abbracciò pizzicandomi un fianco. Ricambiai la stretta e le diedi un sonoro pizzico sul collo. “Ahia, stupido!” mi rimbeccò lei non appena scoppiai a ridere. Vidi Mya guardarci disgustata mentre prendeva posto a capo tavola. “Giuro che un giorno di questi li troveremo mentre si mordono stile ‘Twilight dei Poracci’” esordì proprio quest’ultima storcendo il naso. “Oh, ma sta’ zitta!” le rispose Chloe mentre prendeva posto accanto a me. “Allora, visto che siamo qui, prendiamoci qualcosa, no?” propose Nat alzandosi per andare a prendere del cibo. “Io voglio un caffè americano.” “Io un cappuccino con panna e un muffin alla fragola.” “Un cappuccino freddo con poco caffè.” “Per me cioccolata amara.” “Vorrei un donut e un caffè ristretto, grazie.” “Mah, dato che ci siete, volete anche una fetta di culo?” concluse Nat sbuffando. Vidi Chloe alzare gli occhi al cielo divertita mentre Mya si alzava per dare un mano al ‘signor battutine-di-pessimo-gusto’. “Dopo dove andiamo ragazzi?” “Vi va il cinema?” propose Gwen mentre smanettava con il cellulare. “Oh, sì, c’è un film d’azione fantastico, Aaron” assicurò Scott. “Ma io volevo vedere l’ultimo di Anne Hathaway!” ribatté Gwen mettendo su un broncio incredibile. “Non ci pensare nemmeno, G. Un’altra commedia romantica no, per l’amor di Dio!” Chloe era sembrata abbastanza convincente da optare per il film d’azione che si preannunciava fantastico. Scott aveva lo sguardo rivolto verso Gwen che se ne stava intenta ad osservare lo schermo del cellulare con una smorfia triste stampata in viso e la tremante mano sinistra poggiata sul tavolo. Era sull’orlo di una crisi di pianto. “Hey, Gwen. Che ne dici se ti porto io a vedere quel bel film un giorno di questi?” esordì Scott mentre poggiava una mano su quella della ragazza ancora tremante. Gwen alzò lo sguardo con gli occhi già lucidi e annuì accennando un sorrisetto. “Sono vomitevoli” esordì Chloe mentre, con la testa appoggiata sulla mia spalla, guardava la scena con me. “Un appuntamento al cinema. Avrei giurato in qualcosa di più originale da parte di Fitz.” “Anch’io credevo avesse più fantasia. E tu eri anche geloso di Scott, che stupido, madonna!” ridacchiò sulla mia spalla. Scossi la testa e le rifilai un morso sul braccio. “Ma vuoi mangiarmi? Cos’è, hai fame?” disse ritirando il braccio e massaggiandoselo. “Sì” dissi. La tirai per le mani fino a portarla vicino a me. Le sfiorai le punte dei capelli. “Sì, ho fame” conclusi mordendole giocosamente una guancia. Rise e mi strinse il mento tra due dita.  Mi avvicinai e le stampai un bacio sulle labbra. Sorrise e mi fece una linguaccia. “Vi prego toglietemeli davanti!” esclamò Mya mentre poggiava il vassoio sul tavolo. Chloe alzò gli occhi al cielo e si voltò verso l’amica prendendo il suo cappuccino freddo e iniziando a sorseggiarlo. Arrivò Nat con un altro vassoio. “Mi dispiace, ma il culo lo hanno finito!” esordì sedendosi al suo posto. “Che deficiente” conclusi afferrando la mia cioccolata e portandomi la tazza alla bocca.
 
“Stai finendo i popcorn.” “Ce ne sono ancora un po’.” “Ma il film non è neanche a metà!” continuò a sussurrare Chloe mentre tutti gli altri erano concentrati sulle sparatorie del – per niente fantastico – film che aveva proposto Scott. In sala eravamo poco più di trenta persone e i miei amici erano gli unici a guardare davvero il film. C’erano varie coppiette intente ad esplorarsi il cavo orale e davanti alcuni ragazzi che parlottavano tra di loro. Chloe se ne stava accovacciata sulla poltroncina, con la testa poggiata sulla mia spalla e il suo indice sinistro che continuava a disegnare cerchi immaginari sulla mia guancia destra. Mi stavo davvero annoiando, quel film era proprio orrendo. Ad un tratto sentii Chloe irrigidirsi e spostare la mano sulla sua pancia. “Ari?” “Mh?” le risposi, voltando la testa verso di lei. La vidi sospirare mentre il viso era contratto in una smorfia di dolore. “Che c’è Troubby? Hey?” le chiesi, vedendola respirare lentamente e con difficoltà. “Portami a casa, Ari” mi implorò, faticando anche a parlare. Cosa le stava succedendo? “Nat? Hey, chiamami Mya. Chloe si sente male.” La rossa alzò le spalle spiegandomi che Chloe probabilmente aveva un forte mal di pancia. “Ari” mi richiamò Chloe, faticando ad articolare le lettere. L’aiutai ad alzarsi e dissi agli altri che sarei tornato a casa con lei. Mi scoprii talmente nel panico che per poco non lasciai Chloe cadere per terra. “Forza, su” la spronai quando uscimmo dalla sala per andare verso la mia moto. “Sto male, non ce la faccio, Aaron.” Stava sudando mentre aveva ancora le mani sulla pancia. “L’ultimo sforzo, dai.” Le infilai il casco e l’aiutai a salire in moto. Decisi di portarla a casa mia perché non avevo le chiavi della sua e molto probabilmente c’era la sorella e non sapevo cosa diavolo dirle. Avevo paura, ero talmente terrorizzato da non badare alla moto che sfrecciava quasi da sola per le strade di Chicago. Raggiunsi il vialetto di casa in dieci minuti e l’accompagnai velocemente dentro. “Devo andare in bagno.” La condussi sulle scale fino al bagno accanto alla mia camera. Entrò e io corsi nella mia stanza a trovarle qualcosa di più comodo da mettere. Mentre infilavo alla svelta il pantalone del pigiama e gettavo la bandana sul comodino la sentii lamentarsi in bagno. Afferrai la maglia che le avrei fatto indossare e bussai. “Stai meglio?” “Sì, un po’ meglio. I miei pantaloni sono sporchi, ecco, potresti darmi qualcosa?” mi chiese, prima di cacciare un grosso sospiro e poi un gemito. Aprii di poco la porta e senza guardare appesi la maglia al porta-asciugamani. “Ti lascio questa ma se non stai bene entro” la avvertii tenendo la porta socchiusa. “No,tranquillo. Mi cambio e arrivo” disse a fatica, mentre la sentii aprire un rubinetto. La lasciai in bagno e tornai in camera, sedendomi sul letto con la testa tra le mani. Cosa diavolo aveva? Perché non mi diceva di che si trattava? Continuavo a tormentarmi quando la sentii camminare scalza sul pavimento. Quando alzai la testa e la vidi era stretta nella mia maglia dei Joy Division, con il trucco lavato via e i capelli scompigliati intorno al viso. “Stai meglio? Che hai? Come posso aiutarti?” iniziai a straparlare non sicuro di cosa sia più appropriato fare in questi casi. “Adesso ti spiego” replicò, sedendosi affianco a me. Le passai un braccio intorno alle spalle e lei si strinse al mio petto nudo. “Vedi, mi succede una volta al mese. Quando iniziano le mestruazioni ho dolori lancinanti che durano due o tre giorni, poi passano. Sembra che qualcuno mi stia segando le ovaie poco a poco. E’ davvero orribile, Aaron. E la cosa che mi fa incazzare di più è che non sarei uscita stasera se solo mi fossi ricordata che oggi era quel giorno. Ma con tutte le cose che sono successe me ne sono completamente dimenticata. Grazie a Dio tengo sempre degli assorbenti in ogni borsa, sai, per le emergenze. Stavolta a quanto pare mi è servito” concluse facendo parecchie pause per non urlare quando le contrazioni si facevano più forti. “Mi hai fatto prendere un colpo, credevo stessi soffocando all’inizio.” Fece una breve risata, trasformatasi subito dopo in una smorfia di dolore. “Chiama tua madre, dille che stasera sei a dormire da Gwen o Mya, una di loro insomma, tanto la scuola non c’è e non avrà nulla da ridire, no?” Annuì e le diedi il cellulare. La sentii sforzarsi di parlare normalmente con la madre e iniziai a passarle una mano sulla pancia, lentamente. Lei mi prese la mano all’altezza del polso e la strinse leggermente. Poco dopo riattaccò. “Hai delle pastiglie per il mal di testa? Di solito funzionano anche per i dolori mestruali” mi chiese. Mi alzai e le porsi un bicchiere d’acqua e delle compresse che usavo spesso quando avevo delle emicrania pazzesche. Buttò tutto giù e mi guardò. Aveva un colorito cadaverico e avrei giurato che avesse anche la febbre per come scottava. Fece un piccolo sorriso e la feci distendere sul mio letto matrimoniale, la vidi coprirsi con il piumone e poi mi allungai affianco a lei. I suoi capelli mi accarezzavano il petto, neri in contrasto con la mia pelle. “Mi dispiace di averti rovinato la serata” esordì poco dopo, quando le mie braccia stavano intorno alla sua pancia e le mie mani cercavano di alleviarle il dolore, accarezzandola. Per parlare probabilmente la pastiglia stava facendo effetto. “Non mi hai rovinato la serata, scema. Se stai male io ti accompagno a casa, no?” le feci notare, appoggiando la testa sulla sua spalla. “No, non sei tenuto a farlo.” “Sì che lo sono. Sono il tuo ragazzo.” “Ah, sì?” convenne lei, incastrando una sua mano nella mia. “Sì, sì” affermai lasciandole un bacio sul collo. Proprio sì.









Vi giuro che non l'ho fatto di proposito!
Ci sono state la scuola, le vacanze di Natale e tutto il resto ma l'ispirazione era andata via.
Da una settimana a questa parte l'ho riacquistata per merito divino e ora eccomi qui, con il capitolo seguente già bello e finito - tra l'altro questo l'ho dovuto solamente completare perchè per la maggior parte era scritto.
Mi scuso con voi per questa assurda attesa e spero che il capitolo vi piaccia.
Nel frattempo ho scritto altre tre storie (ma questo non importa a nessuno!) AHAHAH
Niente, spero mi lasciate il vostro parere e ci vediamo alla prossima.
In questo mese, promesso. :)
Un abbraccio,

Sara xx

 

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