Folli non si nasce

di Darth_Riddler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mi hanno detto di provare a stendere due righe su ciò che ricordo, che magari mi avrebbe aiutato. Sinceramente non mi sono mai fidata degli psicologi, ma questo mi è sembrato un buon consiglio, e così eccomi qui a a scrivere. Vi dirò la verità: ho ventidue anni, ma ricordo appena il 20/25% di quella che è la mia vita, tutto il resto lo conosco a grandi linee grazie ai rapporti della polizia e dell’Arkham, e a leggerlo mi è estraneo come se fosse la vita di un’altra persona. Ma a questo ci arriverò più tardi. Il mio nome è Emily Nashton, figlia di Edward Nashton o Nigma se preferite. Mi hanno detto molte cose su mio padre: irritante, ottuso, folle, ossessionato, geniale… ma l’unica cosa che riesco a ricordare è il suo cadavere in una camera d’albergo, legato ad una sedia, con la testa che ricadeva mollemente sul suo petto, il volto reso irriconoscibile dal foro di un proiettile e il sangue che gocciolava sulla sua giacca verde scura macchiandone i punti interrogativi. Allora avevo dodici anni, e quando mia madre in lacrime mi disse con la voce spezzata che era stata lei ad ucciderlo, le credetti, e le sparai un colpo in testa con la pistola che avevo preso da terra sulla scena del delitto. Lasciai di scatto la pistola come se fosse diventata incandescente, e la guardai cadere a terra, probabilmente non pensavo neanche avrebbe sparato. Poi rimasi lì a fissare inorridita il corpo. E lì mi trovarono, poco tempo dopo, i poliziotti, chiamati probabilmente da un passante che aveva sentito lo sparo. Ebbi un processo e ovviamente mi giudicarono colpevole, condannandomi a 10 anni, solo perché ero minorenne, altrimenti mi sarebbe capitato di peggio, credo. Così arrivai a Balckgate, ma avendo come padre un “cliente assiduo” dell’Arkham, e essendoci all’epoca una sovrappopolazione carceraria, presto mi trasferirono in manicomio. Sui primi sei anni di detenzione non ho trovato molte informazioni, non deve essere accaduto nulla di significativo, ma riesco a ricordare molto bene gli ultimi quattro, quando lo psicologo che mi aveva in cura andò in pensione e fui assegnata al neoassunto dottor Jonathan Crane…

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Sono sempre stata bipolare, e con questa scusa hanno giustificato l’omicidio di mia madre. Ma la verità è che non ho mai saputo giustificarlo neanche io, perché non sono mai riuscita a ricordare quel momento. O meglio, questo è ciò che dicevo ai dottori, e loro lo hanno chiamato amnesia lacunare, ma in realtà lo ricordavo, solo che qualcosa non andava in quel ricordo. C’era qualcosa che non riuscivo ad inquadrare, una risata. Una risata che mi ha accompagnato per tutti gli anni a venire, e non avevo mai capito cosa stava a significare. Certo, ora so che era un modo contorto del mio cervello per suggerirmi la risposta alla domanda “Come diavolo sono finita in manicomio?” e anzi mi sembra addirittura banale, ma si sa che i tempi cambiano e le persone con loro, e a quel tempo non avevo ancora abbastanza informazioni per fare due più due. Se posso attribuire un merito a Crane, è di sicuro quello di avermi permesso di fare quella semplice somma, ma non mi metterò di certo a ringraziarlo per questo. Comunque iniziamo dal principio, suppongo che tutti ormai conosciate di fama il dottor Crane, ma allora era conosciuto solo come semplice psicologo, quindi nessuno aveva motivo di immaginare cosa avrebbe fatto. All’inizio tutto procedeva normalmente, sedute periodiche e nulla di più, finché non si inventò che ero affetta da schizofrenia, non ho idea di come gli altri abbiano potuto credergli, sapendo anche che nelle donne è raro che sia riscontrata prima dei ventisei anni, ma lo fecero, e così gli diedero campo libero per effettuare alcuni suoi “esperimenti”. Ora, posso dirvi con certezza di non essere mai stata schizofrenica, non allora almeno, ma a questo ci arrivo dopo. Iniziò con qualcosa che per me aveva a che fare con l’ipnosi, dico per me perché non riesco a ricordare assolutamente nulla di quello che diceva durante le sedute, ciò che ricordo era il dopo. Giorno dopo giorno sentivo che qualcosa non andava, all’inizio solo una sensazione, ma più il tempo passava più questa sensazione si faceva reale, ho iniziato a sentire una voce, la sua voce, anche quando lui non c’era, bisbigliava così piano da impedirmi di capire le parole, ma non si fermava mai. Mi toglieva il sonno, mi impediva di pensare, mi nauseava, arrivai anche a tentare di uccidermi, ma c’era una guardia a controllare le celle, così me lo impedirono. Più il tempo avanzava più quella voce diventava simile alla mia, finché alla fine non riuscii più a distinguere i miei pensieri da quello che diceva la voce. Arrivai persino a chiedere, a supplicare aiuto al dottor Strange, visto che era stato lui ad assegnarmi a Crane, ma quel bastardo ci rise sopra e mi ignorò. Dopo due mesi infernali decise, per fortuna (o sfortuna, dipende dal punto di vista, avendone due non saprei quale scegliere quindi c’est à vous), di cambiare “terapia”. In quel periodo il suo allucinogeno era ancora in sperimentazione, e decise che era arrivato il momento di testarlo, e quale occasione migliore se non sfruttare i suoi pazienti? All’inizio vedevo innumerevoli cose, ma non ho certo intenzione di dirvele, ma la visione più persistente era la morte di mia madre. Mi costringeva a rivederla ancora, e ancora, ormai la vedevo persino quando l’effetto degli allucinogeni era terminato, e sempre sentivo quella maledettissima risata. Ero ossessionata da quella risata la sentivo di continuo. Passavo le ore immobile in cella con i palmi premuti sulle orecchie cercando di non sentirla, ma purtroppo veniva dalla mia testa, non da fuori.... -“Che aspetti? Uccidila!” penso, eppure la mia voce è così distorta… ed’è così vivida da non sembrare un pensiero, che lo abbia detto ad alta voce? La pistola mi compare in mano, la sicura è già tolta “Basta premere il grilletto, solo un click e tutto tornerà come prima” la pistola è pesante nelle mie mani, la tengo a fatica “Ha ucciso tuo padre, non puoi ignorarlo, uccidila e lo avrai vendicato, uccidila!” sto per abbassare la pistola ma d’improvviso quest’ultima diventa più leggera, e torno a mirare alla testa, la donna sta piangendo, e mi guarda disperata, ma quella donna è mia madre, no non è nessuno, la voce ha ragione, è solo… solo una donna qualsiasi, no anzi, ha ammazzato mio padre, non posso perdonarla per questo e non ho intenzione di farlo “Uccidila, ora!” la voce ha quasi un accenno di rabbia, il mio dito fa pressione sul grilletto, il colpo parte e vedo il suo corpo cadere a terra come un fantoccio, poi nella stanza riecheggia una risata folle, quasi maniacale, ma non è mia. Chi sta ridendo? Chi? Mi volto ma la mia memoria non riesce a mettere a fuoco la figura. Non c’è nessuno dietro di me… lascio cadere la pistola. Chi sta ridendo? Mi volto, ma non riesco a… non ricordo. Mi volto… lui è lì davanti a me. Mi volto, il suo volto è sfigurato da un sorriso innaturale. Mi volto, la sua pelle è pallida, quasi cadaverica. Mi guarda e lascia il mio braccio, di colpo la pistola torna a pesare, la lascio cadere e faccio un passo indietro continuando a fissare i suoi occhi verde scuro, dello stesso colore dei capelli. Vorrei gridare, vorrei scappare, ma i suoi occhi colmi di euforica follia mi lasciano pietrificata lì. Prende il telefono e chiama la polizia, poi se ne va continuando a ridere…-

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


- “Non capisco come possa lamentarsi, sta per contribuire notevolmente al progresso della manipolazione genetica.”
Non mi spreco neanche a risponderle, lei e quella sua vocetta fastidiosa, già mi stupisco del fatto che conosca il termine manipolazione genetica.
Sta per aggiungere qualcosa, ma Crane entra, le da un bacio e la fa uscire.
“Ti dirò la verità, ho tentato l’esperimento su numerose cavie e sono tutti morti, ma l’ho perfezionato ora, quindi hai una piccola probabilità che funzioni” sogghigna “pronta?”
“Non mi pare di avere una scelta…”
“No, infatti” fa un cenno alle guardie e queste entrano per portarmi nel reparto di terapia intensiva-

Suppongo che conosciate tutti Harleen Quinzel, prova vivente che solo i casi psichiatrici gravi hanno interesse a diventare psicologi.
In quel periodo però sembrava una persona abbastanza normale, se normale si può definire una che decide volontariamente di psicoanalizzare il Joker, o almeno provarci, quando a decine, dopo pochi minuti di seduta con lui, sono usciti vomitando o in lacrime.
Era l’assistente di Jonathan Crane nonché sua fidanzata, e fu lei a selezionarmi tra i pazienti di Crane come più  idonea per l’esperimento.
Ma lasciatemi fare un passo indietro, qualche mese prima Oswald Cobblepot era stato arrestato, ma grazie ai suoi avvocati era riuscito ad ottenere un’attenuazione della condanna per “infermità mentale”, e così era finito anche lui all’Arkham.
Ma ovviamente non gli bastava, non aveva alcuna intenzione di sprecare il suo tempo in un manicomio, e aveva pagato Crane per organizzargli un diversivo.
Quest’ultimo ovviamente aveva colto l’opportunità per ritentare un suo vecchio progetto al quale aveva dovuto rinunciare per mancanza di fondi.
Scrisse nei rapporti che se avesse funzionato avrebbe portato ad un notevole miglioramento delle capacità umane, anche se non disse come avrebbe fatto. Ma sono certa che non credesse a una parola di ciò che aveva detto.
Così arrivò il giorno dell’esperimento, mi sedarono e mi collegarono a dei tubi, prima avrebbero dovuto iniettarmi un siero che avrebbe riprodotto una versione potenziata delle capacità rigeneranti di Killer Croc, poi un’altra sostanza, ma non ho mai trovato la formula quindi non chiedetemi cosa c’era dentro, con tutta probabilità ha bruciato gli appunti.
La prima parte andò come previsto, dopo un paio d’ore il fattore di rigenerazione aveva iniziato ad adattarsi al mio organismo ed ero già in grado di rimarginare le ferite più superficiali in poco tempo.
Il problema arrivò dopo…

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***



Ma ecco che finalmente viene la mia parte preferita, quella in cui arrivo io… Avete maew0qpnr9nv0te4irofI Come stmaiwpwjopf Come stavo dicendo il fattore rigenerante era indispensabile alla seconda parte dell’esperimento, in quanto senza sarei morta all’istante. Crane lo aveva tentato già parecchie volte, ma i soggetti erano tutti morti dopo poche decine di secondi dall’iniezione. Non era una prospettiva molto incoraggiante, trovate? Passate cinque ore dalla prima fase dell’esperimento diedero inizio alla seconda, ovviamente il sedativo non aveva quasi più effetti sul mio organismo, quindi venne attuata da sveglia. Sul momento non sentii nulla, ma dopo pochi secondi tutti i miei muscoli si irrigidirono e iniziarono a pulsare dolorosamente come se fossero stati presi dai crampi. Ovviamente iniziai a gridare, avrei anche pianto ma il dolore era talmente forte da impedirmelo. Poi le fitte iniziarono a partire dalle ossa stesse, come per dimostrarmi che il dolore che stavo provando prima non era nulla a confronto. Sentii la pelle lacerarsi cercando di stare al passo con le ossa, e rigenerarsi subito dopo, per smettere di gridare mi morsi la lingua coi denti, ma questi iniziarono ad affilarsi e crescere, così mi tranciarono la lingua di netto, ma si rigenerò poco dopo. Tornai a gridare ma non riuscivo più a riconoscere la mia voce, era più bassa, rabbiosa, sembrava quasi un ringhio…


-Sento delle voci, delle grida di sorpresa attorno a me, forme confuse fuggono, sento il puzzo della loro paura mentre cercano di uscire dalla stanza, ma la porta è bloccata, e dall’altra parte un uomo con una maschera marrone sta fuggendo. Un uomo cerca di spararmi contro, ma gli pianto gli artigli nel petto e lo azzanno alla gola. Sangue. È così dolce, ne ho bisogno, ne voglio ancora. Spezzo facilmente il suo collo, è così sottile… Sangue. Mi volto e fisso negli occhi le mie prede, sono terrorizzati, non osano neanche muoversi. Zompo su quello più vicino e sento le sue ossa scricchiolare sotto al mio peso. Sangue. Con una zampata gli squarcio il petto e inizio a nutrirmi delle sue interiora. Poi mi volto e uccido gli altri. Sangue. Datemene ancora, ancora! Sfondo il vetro anti-proiettile e percorro il corridoio di corsa per poi lanciarmi contro la prima guardia che mi capita. No… Io non sono questo… Io… Un’altra guardia inizia a spararmi contro e la uccido. Lasciatemi stare, devo riuscire a… Sento un colpo, non hanno ancora capito che è inuti- Una scarica elettrica mi attraversa, ruggisco di rabbia e me ne arriva addosso un’altra, e un’altra ancora. Cerco di reagire, ma i miei muscoli sono bloccati, non riesco a muovermi… sento un’ultima scarica colpirmi, poi il buio.-

 

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