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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Sasuke non è uno sbronzo felice. ***
Capitolo 2: *** Sabati notte in cui vuole solo scopare. ***
Capitolo 3: *** Sabati notte colmi di errore. ***
Capitolo 4: *** Sabati notte in cui mi sentivo uno sciamano. ***
Capitolo 5: *** Sabati notte in cui Sasuke voleva solo piangere. ***
Capitolo 6: *** Una domenica positive. ***
Capitolo 7: *** Sabati notte in cui ci volevamo bene. ***
Capitolo 8: *** Sabati normali. ***
Capitolo 9: *** Quel sabato notte in cui Sasuke mi portò nel luogo della perdizione. ***
Capitolo 10: *** Una sera - triste - della settimana. ***
Capitolo 11: *** Sabati notte in cui facevo il coglione. ***
Capitolo 12: *** Sabati notte felici. ***
Capitolo 13: *** Una giornata perfettamente normale. ***
Capitolo 1 *** Prologo: Sasuke non è uno sbronzo felice. ***
Salve
tenerezze! Stasera (ormai sono da 'ste parti ogni sera) Vi
propongo l'inizio di una raccolta
tremendamente angst,
tremendamente
triste e scassa marroni per quanto sarà forte
e nonsense,
ma sono in un periodo altalenante (per quello avrete notato scrivo un
botto, è uno sfogo) e mi viene da buttare giù cose tutt'altro che
positive, quando oscillo verso il basso come ieri sera. Questa
fic doveva essere una flashfic singola ma da bravo bambino (?) ho
deciso di farne una raccolta! Si tratta di una sorta di relazione
sofferta (ma va') tra Naruto e Sasuke, osservata e raccontata dal
punto di vista di Naruto.
L'idea centrale che da il via a tutto è che Sasuke si presenta
sbronzo
quasi ogni sabato notte a casa di Naruto e questi non può fare altro
che accoglierlo. Ogni sabato è diverso, ogni sabato è una
storia a sé eppure collegata a tutte le altre tristi storie che
raccontano di Sasuke. Questa raccolta sarà a flashfic incentrate
ognuna su di un sabato notte, scandito su di un desiderio,
un umore, una voglia di Sasuke. Man mano forse capiremo
qualcosa di più su Sasuke, sulla sua condizione, da lì prenderà il
via il racconto e il monologo strampalato di Naruto, anche la sua
vita. Insomma tante (o poche) cose! Spero che l'idea Vi abbia
incuriosito, io in questa prima fic (una specie di) prologo ci ho
vomitato l'anima la scorsa sera, riferimenti ne ho trovati e sparsi
nella storia: ovviamente tutto il resto è finzione. Oh, ci sarà del
nonsense, ovviamente: sono o no quello che vi rompe gli zebedei con
il nonsense?! AHAHA XD E pure con la confusione,visto il mio
tentativo fallito di spiegarvi cosa andrò a fare prossimamente,
guardate lo capirete spero leggendo look u.u Quiiiindi bando alle
ciance ed ccco a Voi la prima, spero di incuriosirvi e lasciarvi
qualcosa, alla fine è pesante e tristissima, ma la realtà è una
mazzata. Vira però anche sul tragicomico...ricordiamoci che è
Naruto a parlare! Baka. :3 Buona lettura, spero di sentirvi nei
commenti.:3
Sasuke
non era uno sbronzo felice. -
Prologo.
Almeno
una volta a settimana si presentava da me sbronzo da morire,
ciondolando nel giardino e piombandomi addosso sui primi gradini di
casa; avevo preso l'abitudine di lasciare il cancelletto aperto e a
volte pure la porta d'ingresso, se per caso mi trovavo
impossibilitato a raggiungerlo in tempo. Non era uno sbronzo
felice, Sasuke. O almeno, non quando beveva davvero troppo. Ti si
presentava di fronte con una faccia serissima, un po' omicida ma
tutto sommato a posto e avresti detto fosse pulito come un neonato se
non avesse aperto bocca per dirti il solito cadenzato “ospitami”
con voce gracchiante e non ti avesse riempito le narici di molecole
pestilenziali. Di solito lo prendevo per un braccio e lo
trascinavo dentro, prendendomi nel tragitto fino al divano una
miriade di spintoni, gomitate, gestacci, sgridate perchè lui voleva
fare da solo ma a stento si reggeva in piedi. Non era uno sbronzo
felice, Sasuke. Si piazzava seduto sul divano con le mani sulle
ginocchia e prima di tutto mi parlava di suo fratello in un lungo
monologo fatto di grugniti e “non vuole che io faccia così” “non
vuole che io faccia quello, quell'altro”. In pratica: odiava il
fratello perchè questi era iperprotettivo nei suoi confronti,
sostituiva – e questo lo diciamo io e la mia psicologia spicciola –
una madre ansiosa ela figura di un padre morti quando Sasuke aveva
neanche otto anni. Itachi non aveva mica capito che il fratellino
aveva ventidue anni, questo Sasuke me lo continuava a ripetere sempre
in un mantra. Poi mi fissava ad occhi socchiusi e labbra schiuse,
anzi quasi aperte proprio, piccolo importantissimo segno che non era
proprio lucido: alla fine mi veniva da ridergli in faccia e spesso lo
facevo, sembrava gli avessero anestetizzato la lingua e le labbra.
Però come tutti gli sbronzi che si rispettano non sapeva di essere
una figura buffissima che biascicava le parole e ripeteva sempre
quella, che a scatti alzava le mani gesticolava disarmonico e
appoggiava di nuovo le mani sulle ginocchia, come si sentisse un
grande oratore. Io ascoltavo in piedi davanti a lui, magari
abbassando a gradi il volume della televisione. Di solito tendevo a
lasciare acceso un canale di musica, sapevo che in qualche modo a lui
faceva bene – e pure a me – sentirsi qualche pezzo magari recente
ed idiotissimo. Non che dicessi molto, più che altro ero in
posizione di dover stare attento a cosa dire: delle volte una mia
parola sbagliata poteva causarmi un livido che durava per giorni, o
poteva scatenare il mutismo più assoluto per uno sbronzo o poteva
fargli saltare in testa l'idea pazza di scopare. Pericolosa idea,
questa, visto che quando Sasuke non c'era di testa era violento e
sgraziato, ti lasciava altro che lividi. Ti lasciava il cuore
stracolmo di tristezza e allora sì che era difficile riprendersi.
Anche per lui che già l'indomani non ricordava nulla. Non era uno
sbronzo felice, Sasuke. Arrivava a scompigliarmi quasi tutti i sabati
sera, quantunque io cercassi ogni volta di fargli la mia ramanzina
sobria e diligente. Quantunque io lo aiutassi tenendogli anche i
capelli quando vomitava rivolto sul water, a volte, quantunque
cercassi di fargli capire in ogni situazione il bene che provavo e
volevo per lui, lui si ripresentava sempre ubriaco fradicio.
“Naruuuuto” esclamava nei suoi momenti più attivi, entrando dal
cancelletto aperto a grandi e ondeggianti falcate, e sfumava sempre
l'ultima sillaba, chiamandomi finalmente con un diminutivo, un
vezzeggiativo – tutte cose che lui odiava, bene o male. A volte
succedeva che anche piangesse, ma dovevo far finta di non guardarlo, non sapevo nulla io, guai al mondo se il mondo avesse
saputo che Uchiha Sasuke piangeva! Se provavo a consolarlo era buono
di morsicarmi una mano, se stavo zitto morsicava un cuscino. No,
non era uno sbronzo felice, Sasuke. A volte voleva bevessi anche io e
mi minacciava con atroci punizioni se non prendevo il primo alcolico
povero dalla mia misera dispensa e lo trangugiavo a grandi sorsi. Ero
un coglione, sapete, ad accettare. A violenza si univa violenza, ma
perchè io soprattutto sulle prime diventavo allegro, più di sempre,
diventavo simpatico, facevo battute e sì gli ridevo in faccia. E
questo lo faceva incazzare da morire, si alzava dal divano e mi
spintonava, mi rubava la bottiglia di vino scadente e beveva, poi
ridacchiava e minacciava di ammazzarmi perchè «
tanto vi ammazzo tutti » diceva, tornandosene poi a sedersi sul
divano, riprendendo la posizione di oratore a schiena dritta. Lo
ascoltavo attentamente anche da un po' brillo, ma dovevo stare più
attento alle cazzate, si è capito. Di solito quelli erano i sabati
notte meno pesanti, ma le domeniche mattine macigni che piombavano
sulle mie spalle. Sulle sue non so cosa piombasse, era troppo
occupato a soffrire e dirmi del mal di testa. A dirmi che « Vi
ammazzo tutti, tutti. » mentre si alzava troppo veloce dal letto e
gli veniva un calo di pressione, cosìcchè io accorrevo a
sorreggerlo e, se capitava, lo cingevo in un vero abbraccio. Erano
momenti teneri, quelli, non ci crederete. Anche se poi Sasuke mi
mollava un morso su una spalla e correva a chiudersi in bagno, anche
se volevo piangere per il male e la delusione. No, non era uno
sbronzo felice, Sasuke. Lo ero io, non poteva esserlo lui. Quelli
erano tempi in cui avrei tanto desiderato non vederlo più i sabati
sera, cosa assurda per me che tempi prima e anni dopo avrei anelato
alla sua presenza facendo di tutto, anche ammazzando il mondo vivente
intero per conto suo. Ero un babbeo, un coglione, un amico
falso. Non riuscivo a farlo sparire dai miei sabati sera. A
farlo allontanare dai suoi mali affinchè si allontanasse
dall'alcool; erano lontani i tempi in cui si beveva per scherzare e
si scherzava per bere, cose da ragazzini. Sasuke e l'alcool non
avrebbero dovuto incontrarsi. Un sabato di giugno però non si
fece vedere, ma era crollato a pochi metri da casa mia, steso a
pancia in giù sull'asfalto. Quanto risi, da grande stronzo quale
ero. Lo trascinai fino al cancelletto, non voleva alzarsi e cosa
strana rideva anche lui. Ma aveva smesso subito, facendomi passare
una indimenticabile
notte di cui porto ancora le cicatrici fuori
e dentro.
**
N/A Solo
un piccolo preannuncio per la prossima! Si intitolerà “sabati
notte in cui Sasuke vuole solo scopare”,
sempre narrata da Naruto ovviamente. Su
questi schermi tra più o meno una settimana, se tutto va bene. A
presto! The other side of bidirezione
|
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Capitolo 2 *** Sabati notte in cui vuole solo scopare. ***
Salve
tenerezzze! Sono rimasto così piacevolmente stupito di sapere che
c'è gente a cui è piaciuto questo inizio di “raccolta-esperimento”!
Insomma, grazie di aver dato a questa piccola nuova storia
un'occasione (?) *abbraccia. Allooooora, come avrete capito nella
migliore (anzi peggiore) delle mie ispirazioni scriverò a mo' di
flusso di coscienza, quindi mmm anche questa flashfic sarà il flusso
di pensieri miei
di Naruto, delle sue sensazioni, dei suoi ricordi; oggi vedremo come
Naruto ricorda i sabati notte in cui Sasuke vuole solo fare sesso,
sapremo qualcosa sulla vita del biondo, vedremo come lui
vede/cataloga questi sabati notte: una continuazione della prima
flash, forse. CI tengo a lasciare una sensazione Il prossimo capitolo
probabilmente vi farà scoprire diverse cose invece sui loro passati,
ricordate che sono tutti frammento e...sì, non è una storia lineare
(ma non lo sono nemmeno io, quindi. Look.) anche se c'è un filo
conduttore ben preciso, che credo Vi lascerà stupiti... Comunque
tutto ciò potete prenderlo anche come uno sfogo, l'ennesimo. Butto
fuori un po' di masse scure da me. Vi lascio alla lettura, spero
vorrete farmi sapere che ne pensate...ci conto... un mega abbraccio e
buona lettura!
Sabati
notte in cui vuole solo scopare. Alla
fine avevo sbagliato io, era stato il mio passo falso a far
cominciare tutto quindi non c'è
da stupirsi se quella sera tarda mi ritrovai piegato a novanta sul
tavolo col cazzo di Sasuke dentro di me. Cosa avevo fatto? Bè, gli
avevo soffiato nell'orecchio che «... manco da sbronzo perdi il sex
appeal, caro! » Tutto qua. Sasuke partiva sempre velocemente,
almeno non avevo dubbi su quanto io gli piacessi o meno. Insomma, era
certo che mi desiderasse da morire. Faceva male, Sasuke. Non ero
preparato né fisicamente né psicologicamente, uscivo da una
giornata massacrante in agenzia viaggi e da due ore di fila di
allenamento con la squadra, ero stanco morto; avevo solo voglia di
accasciarmi al tavolo, lasciarlo scopare senza dargli alcuna
soddisfazione. Non lo desideravo in quel momento, provavo a
convincermi ma permaneva la coscienza della verità, a ogni affondo
dei suoi fianchi dovevo trattenere gli urli morsicando il labbro
inferiore e pizzicandomi la coscia per evadere dalla trance sessuale
in cui mi incastrava. Poi, che cazzo, non si faceva così, non ero
mica uno strumento per il piacere del suo cazzo quando voleva lui,
per quanto voleva lui! Dov'erano i sentimenti? A volte Sasuke sapeva
scoparmi bene, addirittura con dei movimenti lenti del bacino e
strusciando per tutta la parete del mio buco il cazzo prima di
ricominciare a spingere, pure da sbronzo a volte lo sentivo, sentivo
quanto volesse godere assieme a me. Invece non mi accasciai per
nulla. Pure lo implorai di rientrare in me, di distruggermi quel
cazzo di buco di culo stretto come una morsa solo per lui, quando
Sasuke uscì sussurrandomi all'orecchio « e se mi fermo qui? »
sadico, stringendomi i fianchi con le mani e strusciandosi alla mia
schiena. Era un fottuto bastardo, alternava morse sui fianchi e
sul collo con quelle mani fredde, disperate. Voleva strozzarmi, farmi
urlare di dolore. Rideva se urlavo, godeva se urlavo. Alla fine
però, quando cominciò a masturbarmi con foga, mi ritrovai a
desiderarlo con tutto me stesso, volevo venire a tutti i costi e
volevo farlo assieme a lui. « Sei
irrecuperabile » con voce strozzata, poco prima di venirmi dentro,
riempirmi col suo seme, « irrecuperabile», ripetè, poco prima di
avere la mano destra sporca del mio di seme. Ironia della sorte:
avrei dovuto dirglielo io eppure sorrisi e mi accasciai sul tavolo,
ora sì, e pensai che quella era tutta l'armonia che potevamo
permetterci. Venire nello stesso istante, rilasciare la tensione
sospirando appena, accasciarsi l'uno sopra l'altro: era tutta e sola
l'armonia che io e lui avevamo costruito in quel tempo. Avrei
dovuto intristirmi, ma quella sera ero stato obbligato a bere; ci
avrei pensato lunedì mentre dolorante sorridevo a trentadue denti ad
una cliente che voleva andare a tutti i costi in Burundi o in
Culonia, mentre sbagliavo password per entrare nel programma online
dell'agenzia, mentre fumavo una sigaretta con Sakura, la mia unica
collega carina. Perchè anche io riflettevo sui fatti accadutimi;
sembravo ben superficialotto ma alla fin fine anche io pensavo, a
modo mio, ma ogni tanto me ne concedevo il lusso. Però lasciavo
passare la domenica. Quella me la concedevo liscia, dopotutto non
sarei riuscito a trarre conclusioni su nulla e poi la domenica avevo
ancora addosso in modo vivido le sensazioni e le ustioni della notte
precedente, la domenica riuscivo a comporre solo troppe domande senza
riuscire a dipanarne una trama. Sasuke era irrecuperabile. Questo
dato di fatto avrebbe potuto farmi impazzire ma per fortuna mantenevo
l'ottimismo datomi dal mio assurdo corredo genetico e mi beavo di
quell'armonia ritrovata nelle note che la luna piena poteva cantare
al nostro riposo. Cosa ci vedessi di romantico in tutto ciò –
perchè ci vedevo davvero del romanticismo, lo ammetto - fatico
ancora a realizzarlo. Anche se Sasuke sbronzo, forse, era quanto
di veramente romantico ci fosse al mondo. Non era un bohemien del
cavolo? Un intellettuale dannato? Non era forse dominato dalle
passioni divoranti, che lo facevano combattere contro i mulini a
vento nati dalle ombre della città e lo facevano scattare nel sonno,
svegliandosi col cuore tamburellante e gli occhi spalancati? La
domenica mattina avevo sempre nella testa una matassa di pensieri
pregni di dubbi e fuggenti nelle risposte. Mi svegliavo ed erano lì,
non mi davano neanche il tempo di aprire gli occhi. Prima il
tentativo di ricordare la nottata precedente, poi una fitta in testa
ed una allo stomaco. Sasuke dov'era? Me lo domandavo ogni
fottutissima mattina, come avessi paura fosse scappato per sempre da
qualche parte. A volte, quando non lo trovavo al risveglio, rischiavo
di dar di matto. Mi mettevo a chiamarlo: uno, due, tre tentativi; una
due tre chiamate perse per lui. Tuttavia, di solito era sotto alla
doccia o steso accanto a me; puntualmente lo toccavo con una mano,
constatando così ancor più la sua presenza, sorridevo al soffitto,
gli chiedevo come stesse per chiederlo a me. Mentre non mi
rispondeva passavo al secondo pensiero, quello più importante: un
altro sabato sera da aggiungere alla lista? Nascondevo il primo
assalto di rimorso, rischiavo l'assassinio o di rovinargli quel po'
di tranquillità che magari stava
godendo. Perchè c'erano delle albe in cui Sasuke si svegliava con
un'espressione mistica dipinta sul volto pallido. Come fosse in pace
con se stesso, come avesse superato i limiti dell'umano e raggiunto
un nirvana tutto suo. Non avrebbe permesso a me di accompagnarlo in
quel trip mentale ma so che non gli spiaceva avermi a fianco. Le
chiamavo le mattinate religiose, erano quelle che più preferivo, mi
permettevano di riaccompagnare Sasuke a casa senza un groppo alla
gola e arrivare il giorno dopo al lavoro pieno di vero
entusiasmo. Niente a che vedere con le mattinate tragicomiche:
vomiti e piagnistei, porte sbattute, mal di testa. « Comunque è
finito il docciaschiuma » fu la sola cosa che mi disse quella
particolare mattina di giugno, uscendo vestito di tutto punto dal
bagno, prima di recuperare l'orologio che gli avevo lasciato sul
tavolo in cucina e sgusciare fuori da casa mia. Non era una
mattinata religiosa eppure restava una domenica mattina positive come
poche. Quel pomeriggio entrai nell'unico supermercato aperto e
feci scorta di shampoo e docciaschiuma al cocco, il suo preferito, il
mio. Ero proprio un caso perso, avevo raggiunto limiti
assurdi. Accidenti, quanto facevano male al mio amor proprio quei
sabati sera in cui Sasuke voleva solo scopare.
N/A Grazie
di aver letto fin qui, spero non mi tirerete ortaggi vari e...di
sentirvi nelle recensioni, sono la mia spinta! A
presto, Bidirezione
|
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Capitolo 3 *** Sabati notte colmi di errore. ***
Salve
tenerezze :) Ecco un nuovo capitolo, scritto in queste ultime
tarde serate post studio matto. Ho deciso di pubblicare già poiché
ho pensato meglio farlo adesso che ho pronto del materiale piuttosto
che farvi aspettare quando magari, avendo io un periodo
incasinatissimo che mi si prospetta ancora per moooolto tempo,
rischio di non riuscire a pubblicare poi...non so se mi sono
spiegato. XD credo di no ma morale? Capitolo nuovo a Voi, ne ho
ancora un paio pronti e spero che l'ispirazione non mi abbandoni
nonostante i tremila impegni anche mentali. Ecco. Che dire del
capitolo? E' più lungo, qui siamo su una one shot: Naruto si
dilunga, come vi avevo preannunciato, a parlare un po' di più...tocca
ad un accenno al loro passato...tocca ad un sabato notte pesante...si
sapranno diverse cose su una figura che appartiene all'esistenza di
Sasuke, cose oscure, che vi parranno ragionamenti e concetti assurdi,
ma credetemi sono reali. Vediamo come Sasuke reagirà questo
sabato notte, che ci racconterà tramite i ricordi di Naruto. Quindi
buona lettura a voi belle anime, grazie di seguirmi, vedo che siete
tanti, grazie di cuore. Buona lettura, spero vi possa piacere.
3
-Sabati notte colmi di errore.
Era
cresciuto senza una mamma e un papà, proprio come me.
Probabilmente era questo dato di fatto che ci aveva fatto legare
subito, noi due soli contro al mondo non orfano, fieri del nostro
essere speciali quindi due grandissimi idioti. Alla fine ci eravamo
esclusi dal resto del mondo. Lo avevo conosciuto in seconda liceo,
ricordo ancora la data e il tempo di quella mattinata che me lo vidi
entrare in classe, longilineo e serissimo, e piazzarsi accanto alla
cattedra tenendo le mani dietro la schiena, la testa alta, gli occhi
rivolti verso noi che guardavamo curiosi l'intruso. Era un cinque
aprile piovoso e per tutta la lezione posteriore dell'arrivo del
nuovo alunno non avevo fatto
altro che guardare oltre la finestra, beccandomi le solite sgridate
del proff Hatake; persino un gessetto mi aveva lanciato! Sapete, meno
male che ogni anno ero seduto vicino a quella finestra: ne vedevo di
cose scorrere! Alla fine a me piaceva guardare la gente che
transitava nel cortile o nella strada al di là del cancello della
scuola che mi imprigionava per così tante ore. E' per questo che mi
piacque guardare quello che si presentò: Sasuke Uchiha, trasferitosi
qui da una cittadina piuttosto lontana per “seguire gli studi del
fratello maggiore”. Aveva detto solo questo, scandendo bene le
parole a voce bassa, puntando gli occhi proprio nella mia direzione.
Fui per prima cosa stupito dal nero delle sue iridi, non riuscivo
a distinguere dove fosse la pupilla, neanche quando scivolò per
l'aula andando a sedersi nel banco dietro al mio, captai traccia di
pupilla: sembravano due buchi neri. Meglio, pensai a due barili di
avorio pieni di petrolio che avrebbero potuto
risucchiarmi. Immediatamente ne fui attratto. A me di solito
piaceva conoscere gente nuova e quando qualcuno mi colpiva volevo
subito scoprirne di più, risultavo un rompi balle unico; la maggior
parte delle persone di solito mi mollava infastidita dal mio fare
troppo espansivo, troppo easy way,
incapace di evitare di ficcare il naso in affari altrui, incapace di
dimostrare un minimo di serietà anche nelle peggiori situazioni.
Figuriamoci col moto di curiosità che provai verso lui quanto volli
assolutamente saperne di più sul suo conto. Provai fin da subito
un'attrazione fortissima. Diciamo che fui discreto nell'entrare a
contatto...diciamo la verità, feci più o meno di tutto per
avvicinarmi a lui, i primi giorni ricevetti solo picche addirittura
ad ogni mio saluto! Tuttavia piano piano cominciammo a passare le
ricreazioni assieme: io a parlare mentre lui fingeva di ascoltarmi -
col tempo legammo. Non me lo venne mai a dire, ma man mano che
scoprimmo le carte delle nostre vite di comune e tacito accordo,
anche lui contribuì a costruire un mondo privato in cui rifugiarci,
con la sicurezza che non avremmo trovato altro che noi. Eravamo
orfani, eravamo soli. Ci bastavamo l'uno all'altro nei nostri
continui litigi, nel darci botte, nel condividere tutto, nel
costruire grandi piani, nel sopravvivere alla crudezza del destino,
alle risa dei nostri compagni, al fatto che non riuscivamo a farci un
amico vero al di fuori di noi. Quei pochi amici che ero riuscito a
farmi prima di conoscere Sasuke, mi abbandonarono perchè li avevo
abbandonati. Sparirono. Li lasciai fare. Cambiai. Ben
presto il professore Hatake parlò ai nostri unici parenti in vita,
per me il nonno e per lui – maledizione - il fratello, del fatto
che forse avremmo dovuto staccarci un po' per migliorare le nostre
capacità relazionali, il nostro livello sociale, la crescita
personale dal confronto col mondo... Ci provarono, a dividerci.
Niente più pomeriggi assieme, attività di gruppo sempre divisi,
l'anno seguente finimmo in classi diverse. Tutto inutile. Finimmo il
liceo attaccati l'uno all'altro come due metà di una stessa
conchiglia priva di mollusco: un'immagine triste, così delicata
rispetto al male che presto imparammo a farci. «
Dove sei finito? » Mi ero proprio dimenticato di dove mi trovavo
e con chi, cosa aveva fatto scattare in me la molla dei ricordi?
Guardai Sasuke nella poca luce che l'abat-jour del salotto ci donava,
mi stava osservando intensamente, serissimo come lo avevo sempre
conosciuto; sembrava molto più stabile nello sguardo rispetto a
tanti sabati precedenti. Era arrivato da poco, - rammentai cercando
di scacciare l'alone denso di malinconia che il passato aveva portato
con sé, confondendomi - meno barcollante, meno arrabbiato. Aveva
subito acceso la televisione da solo e si era seduto sul divano
accanto a me ad osservarla ipnotizzato, non considerandomi. Avevo
tirato un sospiro di sollievo,
non ci sarebbero stati lividi quella notte -
mi ero detto. Quindi da quant'era che si era tolto dall'ipnosi
della televisione? Da quando mi fissava? Mi sentii arrossire come
poche volte mi succedeva con lui, ormai non avevamo imbarazzi tra
noi. « Mpf, non sono fatti tuoi eheh » gli dissi grattandomi la
nuca. Io e quel mio tic nervoso dal quale non riuscivo a staccarmi.
Pure Sasuke aveva un tic e dei più fastidiosi, anche se lui in
pubblico tentava di non farlo: scrocchiava le giunture delle ossa.
Dita, spalle, schiena, collo. Non lo sopportavo, era una delle poche
cose che davvero non avevo mai tollerato fino in fondo di lui.
Sembrerà assurdo ma scrocchiò il collo proprio poco prima di
rispondermi, prendendosi la testa e inclinandosela innaturalmente
verso la spalla con l'orecchio a toccare la clavicola. Rabbrividii.
Stavo per ripetergli per l'ennesima volta che “ti fa male fare
così” nel mio tono più paternale ma mi trattenni perchè Sasuke
si mise a parlare, non guardandomi e giocherellando con il
telecomando come quando aveva l'aria di voler fare grandi
discorsi. Forse avevo fatto male a tirare un sospiro di sollievo,
perchè di lividi ce ne sarebbero comunque stati di lì a poco:
solamente meno visibili,
interni, spine nel cuore che
lui mi avrebbe lanciato. Le prime parole non le captai, perso nel
fluire dei miei pensieri ritmati dalla musica pop del canale
musicale, dalle immagini psichedeliche che mi inquietavano sempre.
Quando però notai una punta di impazienza
in quella sua fredda voce abbassi al minimo il volume della tv e
passai ad osservare solo lui, girandomi per bene a guardarlo, in
posizione quanto più comoda potessi su quel divano vecchio e
scomodo, regalo del nonno ai miei, per il loro matrimonio, ventidue
anni prima. Scrocchiò pure le mani mentre parlava. Doveva
essere più che teso, avrei voluto tranquillizzarlo in qualche modo
ma né gli abbracci né gli sguardi comprensivi avrebbero aiutato. In
quel momento io dovevo solo ascoltare, io il chiacchierone per
eccellenza ai più, diventavo l'ascoltatore privilegiato di Sasuke.
Zitto,
immobile, sguardo attento, annuire ad ogni sua pausa o fare delle
domande strategiche e lui ti avrebbe raccontato tutto. Ormai avevo
battuto ogni manuale di psicologia con la mia psicologia spicciola
basata sull'esperienza. « Guarda oggi ha raggiunto il limite.
» Annuire. « Non vuole che domani venga al mare con te.
Quella testa di cazzo non me l'ha detto espressamente, figurati,
tutto per sotto! Lo sai no, tutte le sue mosse ogni sua parola sono
schifato Naruto io non ne posso più basta era un cazzo di invito al
mare, Naruto, tuo nonno che ci invita, pure. No non gli sta bene
nulla, ma si figurati se me lo dice apertamente. Lo odio odio lo odio
gli staccherei il braccio con cui opera a martellate evitando di
reciderlo completamente ma lasciandolo aggrappato per un lembo di
pelle alla spalla quanto lo odio. » Annuire
lentamente.
Mi dovetti però mordere il labbro inferiore per resistere alla
tentazione di intervenire e lanciare merda su suo fratello: non
poteva che essere lui il fulcro di quel monologo appena cominciato.
Mi sentivo chiamato in causa a tutto spiano, qui: era stato mio
nonno, di ritorno da un viaggio alle terme in cima a una montagna
(per recensire il luogo su richiesta degli stessi gestori della
località) a dirci che avrebbe fatto tappa al mare (abitiamo poco
distanti dalla costa) e a proporci di raggiungerlo per fare assieme
una giornata l'indomani, un modo per staccare dallo studio, dal
lavoro, dalle beghe, da tutto. Più o meno queste erano le
motivazioni che avevo addotto a Sasuke per convincerlo, via telefono
il pomeriggio prima, a dirci di sì. Mio nonno era un uomo tutto
per conto suo, sempre in viaggio per lavoro, ma nonostante avesse
visto Sasuke solo rare volte, specie in quegli ultimi mesi, aveva
capito tutto. Di lui, di noi, di quello che gli toccava. Nonno Jiraya
sapeva quel che faceva invitandoci al mare? Sapeva a cosa sarebbe
andato incontro Sasuke in casa? Era un tipo che poteva sembrare
banalotto, easy way lui come me, ma alla fine aveva visto tanta di
quella gente nella sua vita che aveva colmato il suo non spiccare per
acutezza e profondità con una vastissima conoscenza dei tipi e delle
relazioni umane e li sapeva riconoscere con l'istinto, guardandoli
vacuo. Da piccolo gli chiedevo come riuscisse a leggere tanto nelle
persone e lui, sorridendo e abbracciandomi, rispondeva ogni volta che
era solo perchè li amava tanto; quell'umanità idiota che non lo
voleva mai così eccentrico, che riusciva a comprendere tanto senza
parole. Ecco, mi dovetti trattenere stringendo i pugni per non
sovrastarlo con il mio monologo confuso che
gustava di tutto ciò che vi ho appena detto,
a difesa di nonno, dell'idea, di me stesso che avevo messo me e lui
dentro all'idea, di tutto e tutti. « Dillo apertamente se ti sto
scocciando eh. » Track. Avevo sbagliato: sguardo non immobile su
di lui, vacuo. Lui riusciva sempre a capire se tu lo stavi guardando
per davvero o no semplicemente constatando la presenza o meno di una
vacuità
nell'occhio. Un altro talento che non riuscivo a far mio. Ci
riprovai, un altro scrocchio di mani di Sasuke e ripartì il
monologo. « La domenica la dobbiamo passare assieme ah ah ah. »
rise sprezzante, finto: Sasuke si stava incazzando, si mise seduto
sul bordo del divano così vicino che per pochissimo le nostre
ginocchia non si sfioravano. « C'è da pulir casa, la sua
casa, capisci. Non domani, non io come solito oggi, no! Quando vuole
lui che non ha mai pulito casa una singola volta la domenica e anzi
obbliga me a fare tutto durante la settimana e sempre quando non è
lui in casa così da non essere disturbato da rumori e fastidi. Che
caso voglia proprio domani» aggiunse con un tono secco che doveva
esser stato quello usto da Itachi. Io odiavo quell'essere umano
con tutto me stesso, era lui che mi faceva piombare a casa ogni
sabato sera un Sasuke distrutto, alla fine quantunque Sasuke avesse
anche centomila obiettivi anche idioti per bere e dar di matto,
Itachi rimaneva sempre il fulcro di ogni nervoso, di ogni problema e
rabbia. Tanta rabbia stavo provando, eppure mai quanta ne
provasse Sasuke, era spaventoso anche solo provare a
quantificarla. Itachi ai tempi del liceo, alle prime vere
frequentazioni tra me e Sasuke, mi aveva fatto un'ottima impressione,
anche a pelle proprio, già vista! Bello, alto, magro, pulito, in
camicia, con gli occhiali...all'epoca continuavo a dirgli che
sembrava un professore, ma lui mi correggeva sempre, sorridendo, con
“quasi dottore”. Mi invitava a cena da loro, mangiavo bene, ci
lasciava vedere films o usciva con una ragazza. Insomma, tutto
bene. All'epoca. Poi non seppi più molto di lui per circa un
anno, l'anno in cui Itachi andò a fare l'ultimo semestre di studio
all'estero, e quando tornò lo trovai cambiato. Io e Sasuke avevamo
appena finito il liceo, nell'ultimo anno erano successe molte cose -
o poche, dipende da che punto la si guardi. Insomma, eravamo
cambiati. Sasuke però se ne accorse dopo di quel che vedevo io nel
loro rapporto, nel modo possessivo con cui Itachi ora
trattava Sasuke, fuori luogo, indecente nelle offese e nelle catene
che lo incastravano. Quando se ne accorse cominciarono i
casini. Quando quei
buchi neri sul volto divennero ancora più magnetici capii che per
Sasuke era avvenuta la svolta. Morale?
Mi sentivo in colpa. Avevo seminato io il seme della svolta! Avevo
innestato nel suo conscio la verità dietro al fratello ed erano
stati cazzi. Sasuke mi diede un calcio nella caviglia, un male
cane ma non urlai né feci scenate, in altra occasione mi sarei
offeso a morte. “Cazzo fai? Guarda che ti sto ascoltando!” ma non
dissi ciò, sussurrai uno “scusa” per essermi perso nel mio
personale monologo mentale e lo invitai a continuare. Gli chiesi
rapido se volesse dell'acqua da bere (di solito, se non aveva bevuto
tanto, l'acqua aiutava a smaltire l'alcool prima, lo avrebbe fatto
star meglio l'indomani) mi disse di sì, stranamente, così corsi in
cucina a prendergli un bicchiere di acqua di rubinetto e glielo
porsi. Come bevve! Si era bagnato tutte le labbra e un po' il mento,
mi tentò quell'immagine: possibile dovessi eccitarmi in quella
situazione lì pure? Persino la lentezza con cui si passò le nocche
della mano sulle labbra per asciugarle mi tentò. Mi venne
letteralmente un po' duro. « Davvero siamo a questi livelli?
Jesus, non ci credo. » Sasuke stava indicando la cintura dei miei
pantaloni. Anzi no, più giù. Ero uno scemo, pensai che mi avrebbe
disintegrato seduta stante invece si mise a ridacchiare, a premere le
dita della mano sopra i jeans, nella rigonfiatura,
non aiutandomi affatto. Poi le tolse di colpo, tornò serio, le
scrocchiò. « Da pulir casa, ma proprio da... are
you serious?
» commentai con la prima istintiva frase che mi venne in testa, il
solito instintivo e scemo intercalare, e Sasuke ripartì. Il mio
cazzo rimase buono, probabilmente quella notte lo sarebbe rimasto di
filato. Quelli erano sabati sera in cui Sasuke voleva solo sfogarsi
verbalizzando (più o meno, non che fosse fiscale al riguardo -
chiedere al mio didietro). Non so dire se fossero i migliori o i
peggiori, di certo ne uscivo sia più tranquillo che più triste: una
contraddizione assurda. Ma da un lato Sasuke si era sfogato, aveva
ricapito di non dover avere senso di colpa, si era tolto l'acido dal
corpo; dall'altro ci raccontavamo sempre quella. Ancora una volta un
male causato da suo fratello. Un'altra mezza fuga. Ormai erano non
più contabili le volte in cui ci eravamo detti, al tiepido lume
dell'abat-jour, quanto il comportamento di Itachi fosse deplorevole,
schifoso, matto. Ma ciò, visto che si continuava imperterriti a
citarlo in giudizio senza avere la possibilità di farlo condannare,
non aveva ancora portato ad alcun risultato. Ed era triste,
triste, triste. Una delle cose più tristi al mondo, per me; assieme
al vomito di Sasuke, alla sua anima imprigionata in una esistenza
triste, alla rabbia che gli contorceva il corpo e spiritava gli
occhi, alla mia impotenza nei confronti del suo piovoso destino,
inutilità, a tutte le cose che ruotavano attorno a me e lui.
Insomma, alla fine avevo troppe cose tristi da conteggiare. Eppure di
me non lo si sarebbe detto, almeno non chi mi osservava per la prima
volta; ma anche chi mi conosceva da sempre sapeva di me solo la
faccia ottimista della medaglia, che ero quel ragazzo solare e
rompicazzo che sapeva girare il brutto in bello, che non si arrendeva
mai alle difficoltà della vita. Una sottospecie di eroe, un
salva-vita, l'interruttore della luce. La salvezza, addirittura.
Dicevano di me che ero fatto per stare tra la gente per regalarle
sorrisi, anche se la gente mi aveva sempre voluto evitare in prima
battuta. Eppure con Sasuke era tutta un'altra storia, stavo
perdendo ogni piccolo stimolo a vedere una via d'uscita per lui e
noi, era come se fossi scivolato nel petrolio e le mie presunte ali
fossero sciolte per l'acidità che si era formata nei barili. Non
vedevo che tonalità scure, non provavo che rabbia. Avevo
seriamente paura di perdere anche l'ultimo anelito di ottimismo.
Sprofondare
senza mai toccare il fondo, entrare con tutto il corpo in un limbo
continuo.
Ecco,
mi ero perso di nuovo in me stesso; fortunatamente uscii da me in
tempo per captare le parole che stava dicendo Sasuke, per non farlo
spazientire. « Ho dovuto prepararmi nel più religioso silenzio,
preparare le mie cose s'intende. Addirittura tirare l'acqua della
doccia per lavarmi, non ho potuto. Mi ha detto che in casa sua non si
usa l'acqua per quelle
cose,
che il divertimento mica è sempre ammesso. Ha ripetuto che sono una
sanguisuga, un parassita che succhia ogni sua energia forza libertà;
eppure sai bene che non gli chiedo nulla, che lui è sempre in giro a
fare quello che vuole mentre io devo stare ad aspettarlo in cucina
perchè lui esige la mia attenzione quando ne ha desiderio, che se io
cerco di fare la mia vita lui diventa violento e mi insulta senza
ragione. Quando gli ho risposto che erano tutte balle mi ha dato del
matto che risponde a tono, della coda di paglia., di quale arroganza
ho per permettermi di discurere la sua grandezza morale, che lui è
più intelligente e superiore eppure non me lo fa pesare eccetto
quando gli mostro la sua piccolezza. Morale? Ho detto che saremmo
partiti da casa tua all'alba così sono fuggito. Voleva trattenermi
con la forza ma non l'ha fatto solo perchè ha dovuto rispondere al
telefono per lavoro, così ho approfittato per sgattaiolare via.
Tutto qui. Le solite cose. » Sasuke e quel fratello matto, pieno
di sé, arrogante da vomitare, vuoto. Avrei voluto prendere la
macchina, piombare nell'appartamento al sesto piano dove abitavano e
fare ad Itachi una scenata che avrebbe ricordato in eterno. Riempirlo
di botte su quel viso così delicato, così dolorosamente simile a
quello del fratellino,
rivoltargli addosso le sue stesse parole, fargli capire quanto
fottuto in testa era, quanto sbagliava a non leggere le falle nei
suoi discorsi malati e illogici sostenuti soltanto dalle sue
convinzioni malate. Quante volte mi ero trattenuto in quell'ultimo
anno e mezzo. Se avessi fatto così, sarebbe stata davvero la
fine. Rischiavo di perdere Sasuke per sempre. Un assassinio, un
suicidio o entrambe le cose si sarebbero appoggiate sulla mia
esistenza, indelebili. Non me lo potevo permettere. Sasuke stava
sorridendo. Rimasi sulle prime incredulo, ma poi pensai all'effetto
dell'alcool, chissà dove aveva trovato da bere. Sorrideva appena,
scuotendo lentamente la testa. No, non si trattava solo dell'alcool:
era un sorriso convinto, acerbo, rassegnato. Era
un sorriso di rassegnazione da far schifo. Saltai
in piedi all'istante. « Cosa stai facendo? » domandai brusco. «
Eh? » Alzò la testa di scatto, mi guardò stupito. Sparito era
il sorriso, menomalemenomale-
pensai e sentii la tensione che mi aveva contorto le budella pochi
secondi prima scemare, tutta d'un botto. Che
mi combini Sas'ke? «
Non farci caso, va bene? » sussurrai, muovendomi per tornare a
sedermi ma Sasuke mi bloccò per un polso. Una stretta forte, uno
sguardo duro. « Che cazzo sarebbe tutto ciò? » sputò
sprezzante, stringendo ancor più, le unghie arpionate nella mia
carne. Era diventato improvvisamente il Sasuke violento. « Mi
ha pungolato una vespa! » esclamai evasivo ma con un sorrisetto di
quelli miei ironici, pensando vanamente di rabbonirlo. « Guarda
che è tutto chiuso qui. Per di più sono le undici di sera, pure le
vespe sono a dormire. » e mi sferrò un pugno in piena faccia,
facendomi sputare sangue. « Non mi prendere per il culo, non
provare a fare lo stronzo con me. » Mi rifilò un calcio alla bocca
dello stomaco lasciandomi il braccio, caddi a terra tossendo. Sputò
sul pavimento, a pochi centimetri dai miei occhi; mi guardò con
odio. Odiava quando cercavo di trattarlo con sufficienza eppure
non aveva capito che ero solo preoccupato per lui tanto da non
poterglielo dire. Maledetto me quando pensai che sarebbe stata una
serata tranquilla, maledetto me! Lo avevo risvegliato da bravo
idiota, non ero capace di fare altro. Si inginocchiò e mi
catturò i capelli, li usò per sbattermi a terra la faccia. Vedevo
sul tappeto il sangue misto a muco, capì subito da dove venisse. La
sbattè ancora due volte, allargando la macchia. Nonostante il dolore
e il duro stupore mi chiedevo come avrei potuto fare a spiegarla al
nonno, quale motivazione usare per non farlo arrivare subito alla
cruda verità. Sasuke mi mollò per terra e camminò spedito fino
al televisore spegnendolo con un pugno. Una fottuta scena di un
fottuto noir. Io stetti immobile, terrorizzato. Lui raccolse
l'attizzatoio in ferro battuto dal caminetto che non usavamo mai
neanche nelle notti più fredde e se lo girò in mano. Lo levò in
alto e mi colpì sul retro della caviglia destra spingendomi
l'attrezzo con tutta la forza che il suo peso gli permetteva. Urlai
fino a non avere più aria nei polmoni e lui lasciò la presa, il
rumore mettallico dell'attrezzo sul pavimento, e si piazzò le mani a
poco dagli occhi, come a cercare di comprendere perchè avessero
agito così. Sul suo volto non era comparso neanche un lontanissimo
rimorso, vi aleggiava solo confusione; eppure la sua rabbia non era
finita. « Stronzo. » Capii, vedendo le lacrime che salivano
agli occhi brucianti e permalose, che quello era un sabato notte in
cui avrei dormito da solo. E vidi Sasuke uscire, la porta che fece
tremare i dipinti appesi.
N/A. Itachi
è entrato in scena, avete avuto un'idea di che razza di persona
è/rappresenta per Sasuke, la causa originale, una delle cause, alla
distruzione psico-fisica di Sasuke. Un personaggio contorto, vero?
Inquietante, lo so. Sono curioso di sapere che ne pensate... capitolo
violento sul finale, non sarà una fanfic facile, lo avete intuito.
XD Grazie di aver letto fin qui, ci sentiamo nelle recensioni, vi
aspetto lì con speranza. Un mega abbraccio! Bidirezione
|
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Capitolo 4 *** Sabati notte in cui mi sentivo uno sciamano. ***
Salve
tenerezze :) buon SasuNaru day! Eccomi tornata con un
aggiornamento... ho notato che il terzo capitolo ha dato da pensare
ne sono molto soddisfatta! Però... quanto sono sadica verso Sasuke?
Ormai qualcuno avrà forse notato come mi diverto a “costruire”
una storia, un mondo attorno all'Uchiha...mi ci trovo a utilizzarlo a
mio piacimento, lo ammetto, si presta bene. Eeeeh ragazzi, ho scelto
un alter ego proprio easy way...SE. XD Questo capitolo è ancora
una volta una one shot, non sono riuscita a concentrare i pensieri di
Naruto tutti in una flashfic, ma forse prossimamente torneremo alle
flash... chissà (?) Grazie di dare ascolto al flusso strambo di
coscienza di Naruto e a questa storia un po' fuori e molto molto
pesante, le vostre riflessioni sono preziose per me! Voi che seguite
siete il mio conforto, davvero. Spero perciò che questo capitolo vi
possa piacere, sarà molto particolare e molto più calmo dello
scorso (?), pure un po' dolce, vedrete. Buon NaruSasu, buona
lettura! Ci sentiamo nelle recensioni... :3
Sabati
notte in cui mi comportavo come uno sciamano. Ero andato
apposta a comprare il gelato affinché lo trovasse al suo arrivo, una
pallina di nocciola e una di nutella in una coppetta, gli unici gusti
al mondo che gli avessi sempre visto scegliere. Questo moto di
gentilezza mi faceva provare un fortissimo senso di colpa: era
aspettarsi che Sasuke si facesse del male ancora un'altro sabato, e
io scommettevo esattamente su questo: mi sentivo come se manovrassi
il destino, mi visualizzavo come un povero diavolo palese e poco
smaliziato e mi facevo paura in questa veste perversa di attesa del
dolore per averlo da me. In un raptus delle dieci di sera stavo
quasi per aprire il congelatore e buttare via quella coppetta tronfia
che vi avevo appoggiato ore prima ma mi trattenni per pigrizia.
Avessi potuto lo avrei mangiato io quel gelato che odiavo ma
detestavo il gusto nutella ed ero allergico alla nocciola. Ecco una
delle cose in cui io e Sasuke eravamo opposti: il gusto del gelato;
una delle innumerevoli differenze che ci allontanavano nello zodiaco
e ci attraevano come un magnete ed un ago. Chi era il magnete? Di
certo lui era l'ago. Mi entrava nella carne in tutti i sensi,
sottilmente, cuciva le mie mancanze con le sue, ci legava a doppio
nodo col filo del nostro destino. Eppure io mi mettevo bellamente
a manovrare superstizioso i fatti e i fati, forte del fatto che le
abitudini non venivano meno, che erano passate due settimane dacchè
Sasuke non piombava da me, che la tregua tra lui, l'alcool e suo
fratello non sarebbe durata più di così. Chissà per quanto
ancora avrei resistito coi sensi di colpa. Arrivò poco dopo l'ora
abituale; lo aspettavo direttamente in giardino fumando una sigaretta
quando verso l'una di notte sentii dei cani abbaiare e delle
imprecazioni roche. Apparve ciondolante dietro al cancelletto
socchiuso, appoggiandovisi sopra con tutto il suo peso così quello
si aprì cigolando e per poco non lo catapultò a terra col muso ai
miei piedi. Infilai la sigaretta tra le labbra e corsi subito a
sorreggerlo. Puzzava di alcool da far spavento, quella notte di
luglio. A giudicare da come non mi guardò, rimanendo
inebetito a fissare il vuoto o chissà cosa pensai che doveva aver
bevuto più di sempre. Gracchiò un «
cani di merda » girandosi scoordinato verso il vialetto alle nostre
spalle e per poco non mi sfuggì dalla presa con cui gli avevo cinto
il braccio sinistro. Spesso mi ero chiesto come cazzo facesse a
raggiungere casa mia in quelle condizioni, ma ormai non me lo
chiedevo neanche più: aveva il tragitto dal bar in cui si ficcava
sempre o da casa sua a dove abitavo io incorporato, un navigatore
automatico che non aveva bisogno di lucidità per attivarsi; e poi
entrava in gioco l'istinto di sopravvivenza che ancora gli rimaneva,
quello che gli diceva raggiungilo,
va' da lui. Mentre
lo guidavo lungo il giardino e poi sui gradini che conducevano
all'entrata ricordai la coppetta di gelato nel congelatore: viste le
condizioni di Sasuke sarebbe giaciuta lì fino a marcire, a meno che
io non me ne fossi ricordato prima e gliel'avessi proposta l'indomani
mattina, nel caso si fosse sentito meglio. Era stata proprio una
cazzata comprargli il gelato, la cosa più deplorevole che potessi
fare per dimostrare la mia speranza nel dolore – pensai – e non
osai girarmi ad osservare Sasuke; avevo paura di quel che avrei
visto, mi sentivo sporco. Lo avrei osservato una volta al lume della
televisione, ma ancora non volevo aprire gli occhi sul sabato notte
che si stava prospettando davanti. Ricordo vividamente che il
braccio di Sasuke era gelido, magrissimo, che il peso che mi portai
dietro fino in salotto era così forte che nonostante la mia mole
feci fatica, perchè lui non mi dava alcun aiuto, anzi strattonava
per rimanere fuori, continuava a ripetere che voleva dare una
sistemata ai cani. Feci più fatica di sempre a portarlo in
salvo; diedi la colpa anche all'afa di quegli ultimi giorni, allo
sforzo di tenere la sigaretta tra le labbra che si stava riducendo a
un mozzicone fumoso e bruciante sugli occhi, infatti lo buttai a
terra, al rumore assordante dei cani, delle sirene della polizia
chissà dove; diedi la colpa alla nausea che mi assaliva per aver
mangiato il pollo arrosto a cena, alla luce che avevo dimenticato di
accendere nel corridoio, al peso morto di Sasuke. Insomma diedi la
colpa a qualsiasi cosa che mi venisse in mente per giustificare la
mia fatica di quella sera tarda, per non arrivare alla consapevolezza
che quella fatica era un
segnale. Io
non volevo fare fatica. L'altra parte di me che manovrava il
destino andava in controtendenza. L'angelo
perduto e furbo che albergava in me, forse, quella notte appena
iniziata, mi stava facendo percepire la fatica affinchè non lo
aiutassi, STOP, lascia fare a lui, aspetta provi a salire le scale,
okay barcolla ma vedi ce la fa, ancora un attimo e si siede sul
divano e va bene ha i conati vedi riesce a correre in bagno da solo,
vomitare da solo. E via così. Parlava l'angelo perduto e furbo,
ma né io né il povero diavolo sfigato lo ascoltavamo: continuai a
faticare e alla fine lo portai in salvo, prima seduto sul divano nel
silenzio della sua bocca puzzolente di fogna e nell'alone folk triste
di un videoclip alla televisione che accesi senza che lui se ne
accorgesse; poi poco dopo vedendolo tenersi la pancia e tentare di
alzarsi tra imprecazioni e mugugni ma senza riuscire a fare altro che
girarsi. Lo presi per un braccio di nuovo e lo condussi in
bagno. Lo feci inginocchiare vicino al water, gli raccolsi i
capelli sudati e glieli tirai all'indietro tenendoli in una crocchia
con una mano, con l'altra spinsi piano il volto di Sasuke verso la
tazza; dall'alto vedevo le sue esili braccia tese nello sforzo delle
mani di aggrapparsi alla tazza, vedevo alcuni sottilissimi capelli
neri, bagnati, acidi, sfuggirmi e andare a ricadere sulla faccia
bagnata, sopra un'occhio o a precipizio sul water; vedevo una nuca
delicata appena sopra ad un lungo collo diafano invitante baci; più
vedevo più mi assaliva la voglia di piangere. Mi piaceva quel che
vedevo perchè appartenente Sasuke, non mi piaceva come
lo stavo vedendo,
attraverso che luce e filtro io lo stessi osservando. Un ragazzo
dalla bellezza delicata di passerotto chinato su un water nell'attimo
prima di vomitare. Ma
chi l'avrebbe mai detto tre anni prima che un giorno avrei dovuto
vedere tutto questo? Me
lo domandai molto a posteriori ciò, in quei momenti avevo solo
grovigli nello stomaco e il solito groppo alla gola per non so cosa e
per l'ansia. L'ansia, altra cosa che fin da subito aveva
accomunato me e Sasuke: ce l'avevamo abbastanza nascosta, soprattutto
Sasuke. Era il male originale di ogni effetto psico-fisico, era come
Itachi per noi adesso: la causa di ogni male. Pure l'ansia, a
pensarci, era portata da Itachi. Pacchi e pacchi stracolmi di
ansia che noi portavamo invisibili sulle nostre spalle; solo che ora
ne percepivo il peso solo io sulle spalle, mentre Sasuke,
inginocchiato a vomitare più e più volte sotto di me, non la
sentiva più. Per quella sera se l'era anestetizzata, anche se
l'effetto aveva superato il beneficio. Quando ebbe finito di
vomitare Sasuke si alzò tutto d'un botto, si trasse dalla mia presa,
strappò bruscamente della carta igienica e si pulì bocca e mento,
gettando poi la carta nel water prima di tirare l'acqua. Movimenti
nervosi, disarticolati eppure più decisi rispetto a mezz'ora
prima. Fece per superarmi ma lo bloccai in tempo prendendolo per
un braccio, era la terza volta in un lasso così breve di
tempo. Quelli erano sabato notti scanditi dalla ripetitività dei
gesti. Lo obbligai a sedersi sulla tavoletta del water che gli
abbassai e forse per la confusione acconsentì, sedendosi a capo
chino e mani coi palmi in giù sulle ginocchia, in una posizione che
gli avevo visto assumere così tante volte. Ma quella notte non
avrebbe parlato da buon oratore quale era, no, avrebbe partecipato ad
un rito, un rito di purificazione
da me inventato sul momento e chiamato e analizzato così solamente
tempo dopo nel corso di riflessioni su riflessioni. Io ero colui
che eseguiva il rito che alla fine vedeva partecipare entrambi in
connubio tra malato e officiante. Con tutto ciò volevo purificare me
e lui: me dal senso di colpa, lui dalle tossine, dall'alcool, e anche
- e questa è una sparata davvero grossa - dal male di esistere,
almeno per una notte: proviamoci,
mi dissi, rimboccandomi le maniche della camicia che non avevo,
strofinandole appena e portando dappertutto lo sguardo alla ricerca
di cosa mi necessitava. « Si può sapere dove sono finito? »
Sasuke ci mise una lentezza assurda a pronunciare quella frase,
biascicando ogni singola parola e allungando ogni vocale. Lo guardai
di colpo pensando volesse alzarsi ma nada, continuava a rimanere
seduto nella stessa posizione. Ora si guardava attorno divertito. Per
quella notte intanto erano sparite la confusione e lo sguardo ebete
sul volto pallidissimo di Sasuke, emaciato, rosso solamente nella
punta delle orecchie – un piccolo segreto che conoscevo solo io,
questo che a Sasuke se si imbarazzava o beveva alcolici gli si
arrossava immediatamente la punta dell'orecchio – ora visibili
grazie ai capelli che gli avevo legato. Un tocco femmineo, i
capelli raccolti. Sembrava più androgino di sempre. Ricordo che
mentre cominciai a spogliarlo me lo immaginai che poi l0 avrei
rivestito come una geisha, dio se sarebbe stato bene, ne ero
convinto. Mi sarei fatto fare di tutto da una geisha-lui, era o no
feticismo ciò? Mah, fatto sta che si spogliò pure da solo ma per
poco non cadde sul lavandino per alzarsi a togliersi i pantaloni; nel
mentre non sfracellò al suolo tutti i bagnoschiuma, piazzati agli
angoli estremi del davanzale nel raccogliere i vestiti senza darmi il
tempo di raccoglierli. Mi ero deciso che volevo fare le cose bene,
come i professionisti, altrimenti il rito andava a puttane. Raccolsi
i vestiti e li buttai dall'ingresso del bagno al lettone di camera
mia con un tiro perfetto. Quando tornai a girarmi lo vidi in piedi
centro del bagno, nudo eppure non riuscii a focalizzarmi sul suo
membro molle, i capelli sciolti fino alle spalle, le braccia lungo i
fianchi, le spalle leggermente curve, due buchi neri puntati su di me
che avanzavo piano verso di lui e quando me li ritrovai davanti,
assorbirono
il groppo alla gola che mi aveva fatto compagnia fino quel momento.
Erano i buchi neri che conoscevo da sempre, con la foschia che
conoscevo da poco. « Doccia insieme ? » proposi sinceramente
entusiasta e subito controllai che l'accappatoio di Jiraya fosse al
suo posto vicino al mio, sulla porta; sapevo ci fosse dato che lo
avevo lavato da poco per farglielo trovare pronto. Le cose
stavano filando come volevo io, quel continuo di nottata. Entrammo
in doccia all'unisono, richiudendo dietro di noi l'unica ampia anta
in vetro ruvido. Quella doccia aveva la fortuna di avere un posto su
cui sedersi: era stato un regalo che aveva fatto il nonno sia per sé
che per me non molto tempo fa, un regalo che ci eravamo fatti
insomma. Era molto più rilassante poter avere un angolo in cui stare
seduto sotto il getto della doccia. « Nuovo.....nuoooooovo! »
esclamò Sasuke prendendo in mano uno dei tre nuovi bagnoschiuma al
cocco; a vederlo sembrava tornato con l'espressione stupita e felice
di un bambino ma si chiuse nella durezza e « li hai presi per me
tutti questi? » grugnì indicando il gruppo sopra la mini anta
attaccata alla parete. Scossi la testa e alzai pure le spalle. «
Cosa
vuoi che sappia?? Al supermercato erano tutti in sotto-costo! »
Gli spiegai e poi, constatando che Sasuke era andato a sedersi, mi
riempii le mani di sapone per insaponarlo. Un altro pezzo del rito
stava seguendo il suo corso, ero uno sciamano ora e sì, esserlo
finalemente non mi dispiaceva. Ecco, i sensi di colpa li potevo
eliminare, quella notte, per tutte e due, ero un fottuto sciamano! Ne
fui talmente convinto che Sasuke si fece fare tutto in un silenzio e
in una calma straordinari, gli occhi ad un certo punto
chiusi. L'effetto dell'alcool che arrivava allo stadio sonno:
probabilmente stava avvenendo ciò nel corpo di Sasuke ma a me
importava relativamente poco perchè in quel momento ero uno sciamano
bravissimo, prescelto. « Ma
ci tan bui a pigidi...
» mentre insaponavo le spalle di Sasuke mi misi a canticchiare un
vecchio motivo di una ninna nanna nativo americana che avevo imparato
da piccolo ascoltando e riascoltando un cd che mi aveva regalato il
nonno, improvvisando come quando avevo otto anni il testo della
canzone. Mi accorsi mentre passavo le mie mani su quelle spalle
ossute che Sasuke stava tremando, prima piano poi come una foglia,
tremava fortissimo; a guardare bene aveva la pelle d'oca. Perciò
presi di corsa il getto della doccia, accesi l'acqua e virai la
manopola sul caldo e quando sentii sulle mie mani che la temperatura
dell'acqua poteva andare cominciai ad irrorare Sasuke, partendo
proprio dalle spalle. « Cazzo fai? » grugnì e parve riprendere
facoltà della propria forza, infatti fece per mandarmi via, ma poco
dopo sbuffò e si lasciò di nuovo andare con la schiena contro alla
parete, seduto su quel piccolo sgabello incorporato nella doccia
extra lusso che io e nonno ci eravamo concessi. « Dai, vieni
qua... » mi sentii invadere da uno strano moto
di affetto
che mi bruciò in petto e, dopo avergli detto di chiudere gli occhi,
gli gettai il getto d'acqua sui capelli che subito si lisciarono e
ricaddero dritti sul suo volto e sulle spalle. Quando erano cresciuti
così tanto? Ne rimasi stupito mentre gli prendevo il mento tra
l'indice ed il pollice e piano gli reclinavo la testa all'indietro,
per rischiarargli quel bel volto dai capelli. Glieli insaponai a
lungo, riponendo il getto sui miei piedi. Massaggiai il cuoio
capelluto con una lentezza che credevo non appartenermi, ipnotizzato
dalle mie stesse azioni. Sasuke non tremava più, non aveva più
aperto gli occhi. « Ma ci tan bui a pigidi... » canticchiavo e
insaponavo, canticchiavo e sciacquavo facendo filtrare l'acqua nei
capelli tramite le mie dita, posizionando il getto sull'attaccatura
dei capelli, e sciacquando via tutto il sapone, tutto il sudore,
tutto lo sporco.
Avevo la costante idea di star depurando di tutto il mio migliore
amico, ad ogni passaggio dell'acqua su quel corpo provavo
soddisfazione, o meglio, liberazione.
Fu
una sensazione stranissima, che non provai più, unita a quel moto di
affetto che continuava a bruciarmi dentro. Probabilmente avrei
pianto, non fossi stato troppo concentrato nel mio ruolo. Ricordo
vivamente che non provai alcun eccitazione fisica, davvero. Non venne
mai duro né a me né a lui; fu più che altro un'eccitazione
mentale. In un'altra condizione probabilmente gli sarei saltato
addosso appena entrati nella doccia, o meglio, mi sarebbe saltato
addosso, facendomi cozzare contro alla parete, girandomi di modo da
avere il mio culo bello in mostra. Invece non successe nulla di tutto
ciò, nemmeno dopo, quando finimmo sul letto. Uscii prima io di
corsa dalla doccia, mi coprii con l'accappatoio verde che possedevo
da quando avevo quindici anni e presi di corsa quello del nonno per
portarlo a Sasuke; lui solo in quel momento aprì gli occhi e si
accorse, forse, di non essere più sotto al getto dell'acqua. Si
guardò intorno confuso per qualche istante, assottigliando gli occhi
e privandomi quindi della visione di quei buchi neri che altrimenti
mi avrebbero risucchiato anche quel nuovo fortissimo moto di affetto.
Uscì dalla doccia lentamente, barcollando appena, chiedendomi
spiegazioni con lo sguardo. « La doccia come quando eravamo più
piccoli, ricordi? » dissi la prima cosa che mi venne in testa,
mentre lo aiutavo a mettersi l'accappatoio. Mi sentivo il nonno una
decina di anni prima, quando facevamo il bagno assieme quelle rari
notti d'inverno per scaldarci se i ricordi si facevano troppo pesanti
da sopportare. Sasuke scosse la testa, « Sei nauseante » disse a
voce roca, ma poi si strinse nell'accappatoio e aggiunse: « ho
freddo e ho sonno » tremando e guardandosi i piedi bagnati sul marmo
umido. Non mi guardò più quella notte. Lo condussi in camera
e gli feci indossare il mio vecchio pigiama, quello che ormai era
diventato il
suo;
mugugnò qualcosa come « tu sei fuori » mentre si tuffava sul
letto– ma tuffava proprio letteralmente, prendendo lo slancio e
piombando sul letto -; lo vidi muovere le lenzuola per trovare da che
parte entrare e poi distendersi su un fianco, raggomitolandosi tutto,
corrucciato e ad occhi chiusi. Di nuovo mi venne quel bruciore in
petto, di nuovo per poco non piansi. Non ebbe altri exploit di
forza
e consapevolezza quel sabato notte; lo vidi scivolare nel mondo dei
sogni neanche cinque secondi dopo che si era disteso, sentii il suo
respiro pesante farsi leggerissimo; così decisi di stendermi anche
io vicino a lui, come spesso aveva fatto nonno Jiraya in certe mie
passate notti di incubi, dopo essersi assicurato che io mi fossi
addormentato. Doveva essere stanco morto; l'alcool fortunatamente
lo aveva riempito di sonno e la doccia aveva aiutato a rilassarlo
incredibilmente; chissà dove era finita la sua testa quella sera,
cosa lo aveva costretto a rifugiarsi nel solito bar gestito da uno
che odiavo con tutto me stesso ma che ancora non avevo osato
combattere
per
sottrargli Sasuke, cosa era avvenuto ai suoi neuroni, quali si erano
irrimediabilmente rotti, che cosa avrebbe sognato. Chissà se si
sarebbe alzato a metà notte pieno di sete, come spesso succedeva, ma
non mi diedi alcuna risposta, non ebbi voglia e soprattutto non ne
ebbi il tempo: mi addormentai come un bambino poco dopo
Sasuke. Ricordo l'attimo prima di chiudere gli occhi, stavo
fissando la nuca di Sasuke con gli occhi pieni di lacrime
stupide. Dormimmo come sassi per quel che rimaneva di quel sabato
notte. Lo trovai sulla porta d'ingresso della camera al mattino, che
mi stava chiamando per nome per salutarmi prima di andare via. «
Oggi si va in gita al cimitero » disse senza spiegare e uscì
sparendo veloce dalla mia vista, la coppetta lasciata sul tavolo. Non
feci in tempo a rincorrerlo. Non lo sentii per per una settimana a
venire. Come
sempre.
N/A La
canzone è “Mahk Jchi”! Robbie Robertson, in “music for the
Native Americans”. Non ho fatto pronunciare le parole giuste a
Naruto! A dir la verità io l'ho sempre cantata come lui :') se
volete darle un ascolto è molto molto piacevole (ma vabbè io sono
di parte, dovete sapere che ho un gran interesse per i Nativi
Americani e la loro sofferta storia. Okay, scusate la divagazione.
XD) Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come avrete visto
Sasuke era totalmente out con la testa ma in un sabato notte più
calmo, Naruto fa tenerezza vero? Spero di essere riuscita a rendere
ancora qualche sfumatura in più su quello che è il suo personaggio,
lo conoscerete sempre più man mano, così come Sasuke. Bè ora
finisco di sproloquiare noiosamente – chiedo venia – e ci
sentiamo nelle recensioni! Abbraccione Bidirezione
|
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Capitolo 5 *** Sabati notte in cui Sasuke voleva solo piangere. ***
Salve
gente :) Eccoci qua con il quinto capitolo di questa massacrante
storia! XD E' un capitolo molto triste, vi avviso. (ma va' direte
voi.) Vedremo un'altra sfumatura di Sasuke, più umana, un altro suo
sfogo, altre piccole cose. Naruto lascia andare i ricordi a quel tale
sabato in cui Sasuke voleva solo piangere. Grazie
a quanti stanno seguendo/preferendo/ricordando: sono colpita! E a
quelle poche povere anime che recensiscono: siete la mia forza, lo
sapete! :3 Buona lettura, cari, a presto
Cinque
-Sabati notte in cui Sasuke voleva solo piangere.
Sarà
stata più o meno l'una di notte quando me lo vidi arrivare in
salotto. Avevo lasciato pure il portone di casa aperto, c'era un
caldo pazzesco e quella sera almeno avevo goduto di un po' di giro
d'aria in casa per sfuggirvi. Era vestito di tutto punto, ricordo
ancora come gli fasciavano bene le lunghe gambe i jeans
attillatissimi e quanto fosse provocante la canottiera nera strappata
in diversi punti arrapanti come sotto lo sterno, che gli metteva in
bella mostra le spalle, con i loro muscoli ben delineati seppur
fossero magrissime. Davanti a me si era presentato un Sasuke “in
tiro” con i capelli ancora perfetti, legati in un codino basso che
non poteva altro che stargli benissimo. Capii subito dove fosse stato
fino a quel momento; sorrisi. « Tunz tunz tunz » dissi subito
andandogli incontro a grandi falcate; lo salutai con una pacca sulla
spalla come un vecchio amico rompi-balle. Non avevo notato – non
ancora – che gli occhi contornati da un velo di matita nera erano
persi a fissare il vuoto, che quindi non mi stavano mettendo a
fuoco. Per un attimo avevo dimenticato che era sabato, che era già
tardi, che Sasuke beveva. « Sfotti sfotti, tanto me ne sono
venuto via da quella merda. » la sua voce era roca, il suo alito
pesante. Capire ed afferrare che Sasuke aveva trangugiato alcolici
anche quella sera, ancora una volta, non fu facile quel sabato notte
appena iniziato, non riuscii ad attivare subito il mio occhio
clinico, vederlo arrivare così fottutamente sexy mi aveva azzerato
il cervello, o meglio la capacità di analisi, la profondità. Come
se essere in tiro significasse stare okay. Sasuke camminò con
passo incerto nei suoi mocassini blu vecchi fino al divano, vi si
sedette barcollando sulle esili gambe, piombandovi di peso con un
rumore secco, incassandosi nella pelle logorata dagli anni. «
Ti eri stufato di ballare? » gli rivolsi una domanda random con tono
da sfottio. Odiavo le discoteche, non le avevo mai capite, odiavo
la musica house, odiavo chi la ascoltava, odiavo quei balli da
cerebrolesi che avevo visto fare di persona a uomini e donne senza un
minimo di controllo, a gente che voleva smarrirsi un po'. Odiavo
anche questo fatto, questa idea di perdersi un po' a quel modo scemo.
Eppure alla fine Sasuke andava in discoteca almeno una volta ogni
tre mesi, ballava in pista come uno scatenato – solo dopo il terzo
giro di aperol liscio -, dichiarava di andarci per perdersi un po',
anzi, per staccare proprio la testa, sfogarsi, dimenticare. E io
non potevo farci niente, Sasuke non lo odiavo. Non riuscivo ad
odiarlo nemmeno per questo. Una volta mi ci aveva pure portato, anni
prima, ma avevo rischiato di essere espulso dalla Sicurezza per aver
raccolto baruffa con uno che continuava a palpare il culo a
Sasuke. Ascoltavo pure la sua musica, tunz tunz per minuti
e minuti, a volte, quando Sasuke si raggomitolava vicino a me e mi
passava una cuffietta con quel suo sorrisetto ammaliante,
furbo. Sasuke e la discoteca: che binomio assurdo. Devo ammettere
che non sono mai riuscito a capacitarmi di questa unione; in parte la
capivo insomma, davvero ci si sfogava e si dimenticava, dall'altra la
trovavo una via di evasione profondamente triste. Ero uno di
vecchio stampo io, a me bastava incontrare qualcuno al bar
dell'angolo per svagarmi, mi bastava giocare alla play col mio
migliore amico, parlare con i colleghi e andare a cena con loro a
volte. Pranzare con Sakura quando avevamo il turno assieme dalle due,
dirci cavolate e pure confidarci cose intime. Certo, a pensarci
ora era triste pure questa mia via. Oltremodo vecchia, nauseante. Mi
conduceva sempre a pensare che dopotutto io non avevo amici al di
fuori di Sasuke ed era così da molti anni; tuttavia alla fine non è
che chi andava in discoteca avesse davvero degli amici: c'erano solo
dei passaggi in auto di comodo, dei letti da condividere da qualche
parte nelle ore che rimanevano all'alba. Insomma, il mio ragionamento
era assurdo e pretenzioso, faceva acqua da tutte le parti, eppure ne
andavo fiero, una fierezza sciocca che però mi rendeva appagato come
poche cose ormai. In realtà le cose stavano così per me: Sasuke
e la discoteca aggiungevano tristezza alla mia tristezza formando un
mare tempestoso blu scuro che si muoveva con le sue onde fuori e
dentro me, vedevo un mare triste ovunque, avrei voluto uscirne ma
alla fine a volte il mare si calmava e la tristezza diventava quieta
e dolce, mi cullava come in certi sabato notte lenti, come quando mi
divertivo a fare lo sciamano da bravo coglione; a volte poi quel mare
trasbordava oltre me e lui, riversando fiumi di lacrime salate su di
me o su di lui ma senza svuotarci mai, come fossimo stati sotto una
maledizione. Magari avessi potuto dare la colpa di tutto ad un
cazzo di maleficio. Dio, se avessi avuto abbastanza coraggio e follia
da affidarmi al repertorio magico che mi ero creato, e non mi fossi
accontentato delle mie stupide superstizioni. « Vedo che mi stai
ascoltando per bene. » Sasuke mi guardava scuro in volto, le
gambe stese sullo sgabello davanti al divano, le mani incrociate
sulla pancia che non aveva. Sembrava in posizione di rilassamento ma
nell'aria c'era elettricità, il suo corpo emanava solo
tensione. Possibile che dovessi perdermi così tanto in me stesso
ogni volta? - pensai cercando di mascherare il moto di sconforto
verso me stesso che mi aveva assalito; lo nascosi dicendogli un “ti
prego, ripetimi” quasi implorante; sperai con tutto me stesso che
Sasuke non si arrabbiasse, volevo che non mi guardasse con quello
sguardo pieno di delusione Non ero nemmeno un bravo ascoltatore,
eppure era tutto quello che – in quel momento – sapevo fare. Dio,
quanto mi facevano male queste constatazioni. Mi creavo delle
paranoie che non erano altro che mostri nel mare, degli
ostacoli mentali, mentre queste constatazioni non facevano altro che
affossare ogni mia minima autostima a causa di tutta quella
situazione, verso quell'altra faccia della mia medaglia. « Ci
vado perchè stacco, azzero il cervello, lo sai bene, Naruto. »
cominciò così o meglio quelle furono le prime parole che il mio
cervello riuscì a captare. Sasuke aveva iniziato a discorrere
guardando la televisione spenta, rivolgendomi il suo profilo
delicato. Una mezza luna delicatissima e piena di presagi, ecco che
cosa sembrava. A pensarci adesso, questa immagine gli calzava a
pennello. Guardavo una mezza luna che non emanava luce; non avrei
voluto guardare null'altro al mondo. Gli facevo luce io, di riflesso.
O almeno avrebbe dovuto essere così. « Ma sì, lo so, lo so
bene. » commentai col tono quanto più convincente che potessi ma
risultai evasivo, troppo evasivo, perchè avevo una paura boia, ero
terrorizzato che Sasuke esplodesse in un moto di rabbia per la mia
fatica a concentrarmi su di lui. Era davvero troppo teso. « Non
mi sono divertito un cazzo, se vuoi saperlo. » sospirò, scrocchiò
le nocche delle mani. « Li odiavo tutti ad un certo punto. Quella
massa di idioti sudati, li odiavo tutti, la tipa che mi si è
strusciata addosso fino all'attaccare del primo pezzo, il tipo che mi
ha palpato il culo non una ma tre volte nonostante avessi minacciato
di picchiarlo, il dj scadente, tutto odiavo tutto, il fatto che non
trovavamo un buco di parcheggio, il tizio brufoloso che distribuiva i
biglietti d'entrata, facevano tutti schifo ad un certo punto.
Presente quando ti viene da odiare tutti, no? » parlò tutto d'un
fiato, la voce sempre più alta; di lì a poco si sarebbe messo ad
urlare. Annuii, non potevo fare altro. Cambiai posizione sul
divano, incrociando l'altra gamba, un minimo movimento che mi
distraesse dal miscuglio di parole che Sasuke mi aveva vomitato
addosso, dalla rabbia che sentivo addosso per osmosi. Sasuke e la
discoteca: un binomio esplosivo. Perchè non le cose andavano lisce
tra loro. Si amavano per interesse, mica per purezza. « Ma alla
fine cazzo non sono pensieri miei, io non odio nessuno capito?
» Annuii più volte. Mi guardò allargando gli occhi, diventando
per degli istanti una luna piena. Notavo la luce di consapevolezza
che mi piaceva vedergli. Stava dicendo cose che mi piacevano,
continuò a dilettarmi sempre di più infatti. Perchè? Perchè
quel sabato notte mi parlò di Itachi e del suo inganno. Mi fece
capire che aveva capito che era tutto un incantesimo, che si trovava
nella tela di ragno intessuta egregiamente da quelle mani da
chirurgo. In cosa consisteva l'inganno, mi chiederete? Instaurare
nella mente di Sasuke pensieri non suoi; un po' come avevo fatto io
col seme dell'idea che i comportamenti di Itachi non erano giusti
solo che, rispetto a cosa instillava Itachi, questo pensiero, sotto
sotto, apparteneva anche a lui: latitava nel suo inconscio, l'avevo
solo tirato fuori. « Mi stavo preparando e compare sulla porta di
camera a smerdarmi. Tu non sai stare con la gente, alla fine non
sopporti nulla. Vai lì e ti distruggi i neuroni, stai in mezzo alla
gente ma alla fine sei da solo, li odi tutti. In quel posto per far
finta di essere come gli idioti mentre non ti abbassi al loro livello
senza mai stringere rapporti piú stretti perchè ti credi migliore
di tutti lor. Mi ha detto così guardandomi come uno stronzo, con
quel suo sorrisetto saccente, voglio proprio vedere il prossimo che
lo scambia per affabilità gli parlo ben io, gli dico ben io come
stanno le cose, di come Itachi abbindola le persone con una ipocrisia
vomitevole. Ti pare sia un posto per te? Sei un'ipocrita. Ha detto
proprio così. » « E' geloso da far schifo » lo dissi di botto
senza neanche pensare a cosa stessi rispondendogli. La mia teoria
d'altronde era proprio quella, che Itachi sparasse tutte quelle
stronzate perchè in fondo in fondo (ma neanche tanto in fondo) era
geloso. Schifosamente geloso del fratello. Oltre che insicuro al
cento per cento sulla sua relazione con qualsiasi essere umano,
figuriamoci col suo fratellino di sangue. Pur tuttavia che
quest'ultima cosa fosse un discorso a parte. Sì, Itachi era una
persona complessa. Quasi più di quanto lo eravamo noi, di quanto
ancora lo sono io, che pure mi è rimasto così poco di tutto quel
periodo se non un pugno di ricordi e riflessioni senza senso, che ora
vegeto nella mia poltrona con un bicchiere di birra in mano. «
Sono misantropo, capisci. Devo imparare a non fare le cose come le
faccio, prendo per il culo tutti in discoteca io. Alla fine la
discoteca è solamente un mezzuccio per dirmi che nelle situazioni
sociali io ci sto male, non le so affrontare e anche se le affronto
trovo scorciatoie, metto una barriera tra me e il mondo. E poi...
pure la musica assordante è una barriera, è il non permettersi di
parlare con l'altro. » Gli si ruppe la voce quando pronunciò le
ultime parole, strozzata da un singhiozzo che gli partì dal più
profondo di sé. Straziante è l'aggettivo giusto, risuona ancora
nella mia mente il suono dei singhiozzi che ogni tanto prendevano
possesso del corpo di Sasuke. Lo scuotevano nel vero senso della
parola, preludio ad una cosa che lui non tollerava fare. Preludio
al pianto. « Oh non fare così... » sussurrai ancora di botto,
slanciandomi per abbracciarlo, ma non volle essere toccato,
inutilmente gli andai vicino cercando di contornargli le spalle con
un braccio, di pigiare le nostre guance l'una sull'altra. Mi spinse
via, mi strattonò, quando insistetti ancora mi mollò una gomitata
nello sterno. Rimasi seduto vicino a lui, ma tenni le mani strette
come se stessi pregando, non potendo far altro che assistere da
spettatore ad un maremoto sulle mezze lune. « Io davvero non
sopporto nessuno; è così Naruto no? » Non so come resistetti
dal non mollargli un ceffone in piena faccia quel sabato notte.
Possibile che appena provassi un minimo di conforto questo veniva
lavato via dal più totale senso di vuoto? Mi ero appena detto che
Sasuke aveva capito l'inganno. Se ne usciva con quella
domanda? Divenne di nuovo una luna piena girandosi ad osservami, a
pormi la domanda pure con gli occhi, quei pozzi neri colmi di acqua
che volevano estorcermela, che mi risucchiarono il principio di
rabbia. « Sono discorsi da rincretinito totale vero? Tutte
cazzate no, tutte pare mentali da bambino dell'asilo vero Naruto?
Dimmelo avanti sono un fottuto bambino di otto anni che non sa
accettare alcun tipo di giudizio da una persona a lui vicina, è così
o no? Se non me lo dici giuro che ti faccio del male. » Sasuke mi
afferrò un polso e me lo strinse con forza, affondando le unghie
lunghe nella carne. Più passavano i secondi di silenzio e più
stringeva, alla fine se avesse continuato a stringere avrei perso la
sensibilità della mano. Non ricordo molto di quello che successe
dopo, ero troppo perso nell'ipnosi di quegli occhi, nel panico di
trovarmi con le spalle al muro, inchiodato, ottenebrato da troppe
sensazioni. Eppure la risposta ce l'avevo pronta, la ricordo ancora,
ma non riuscii a dirla subito. Non parlai immediatamente, esitai.
Avevo troppo dolore al polso e mi aveva colto troppo di
sorpresa. Ricordo solo che Sasuke scoppiò in un pianto senza
alcuna possibilità di conforto, tenendosi la testa e coprendosi gli
occhi, stropicciandoli in continuazione per non farsi vedere
piangere, incurvandosi e chiudendosi nelle spalle, dandomi di nuovo
il profilo e poi le spalle; vidi a lungo le sue spalle scosse dai
tremiti dei singhiozzi, forse, stetti a lungo in silenzio dopo aver
quasi urlato la mia risposta perentoria, forse. Forse diede dei calci
al tavolino davanti al divano, facendolo cadere; forse si graffiò le
braccia, forse mi picchiò perchè non riuscivo a porre fine al suo
pianto e perchè in fondo non gli ero mai di alcuna compagnia. Sono
tutte ipotesi, queste; purtroppo non ricordo più alcun dettaglio di
quel sabato avendolo cancellato per il dolore di doverlo vedere così
ma la forza delle abitudini e la catalogazione delle decine e decine
di dati di altri sabati simili a quello mi fanno pensare a quelle
ipotesi come certezze. Probabilmente Sasuke non accettò neanche un
bicchiere d'acqua, non varcò mai la soglia di camera per rimanere in
salotto, rannicchiato sul divano. Sì, probabilmente si mise giù per
chiudere gli occhi nella quiete che il pianto gli donava al suo
fermarsi e si addormentò all'istante, ancora una lacrima che colava
assieme alla matita nera, formando macchie scure sotto a quei buchi
neri tappati. Non era il primo sabato che faceva così, lo avrete
capito. Pensate un po' come mi dovessi sentire in quei momenti che
neanche il mio abbraccio era accettato. Una volta ho letto in un
articolo di giornale che chi non sa accettare gli abbracci è una
persona malata, ci avevano azzeccato; solo che quell'articolo
aggiungeva anche cose come è una persona fredda, arida, un mucchio
di cazzate che mi avevano dato fastidio. Sasuke non era né
arido né freddo, non avrei mai più conosciuto turbinii di emozioni
come lui che ne aveva troppi, andava in cortocircuito ad un certo
punto, complice anche l'alcool, la bestia. E piangeva. Non ve
lo dico per fare la vittima, è l'ultima cosa che voglio fare, ma mi
sentivo davvero una merda all'indomani di quei sabati dediti al
pianto. Mi alzavo, tiravo su la persiana e i raggi solari
illuminavano il volto emaciato e gonfio di Sasuke, i buchi neri quasi
nascosti dalle spesse occhiaie, le labbra rosse e tagliuzzate dallo
sforzo del piangere. Era seduto sul letto e mi osservava senza voler
davvero guardarmi, forse d'abitudine o forse per darmi un piccolo
segno di riconoscimento, di gratitudine. Grazie Naruto, ti guardo,
sono qui. Dietro a quello sguardo vacuo c'era la profonda
vergogna di un uomo che non vuole fare ricordare di aver pianto
davanti ad un altro uomo, c'era la consapevolezza di aver detto
chissà cosa un paio di ore prima. C'erano pensieri di odio verso la
propria persona; ancora tanta verogna. Tutte cose che io avrei voluto
non esistessero. Glielo avevo anche detto, più volte, che era tutto
normale. Piangere, sfogarsi, dopo tutto quello che gli capitava, era
normale. Trovavo anche della normalità in tutta l'assurdità
delle nostre vite in quei momenti dove non riuscivamo a superare il
peso delle azioni sincere che avevamo compito e finivamo solo per
stare lontani nonostante ci fossimo aperti in modo impervio il cuore,
delle costanti a cui aggrapparmi, dei modi di essere tipici di ogni
uomo al mondo che mi riportavano sulla soglia dell'ottimismo; giusto
quel po' da riuscire a portare a casa Sasuke con un sorriso sulle
labbra senza fargli capire nulla di come io mi sentivo. Giusto
quel poco da riuscire a dirgli “se non va tornatene subito da
me” con quanto più coraggio possibile prima che Sasuke
smontasse dalla macchina e tornasse dentro la prigione dorata. Ora
che penso a tutto ciò mi viene in mente un piccolo pensiero
realista, una cosa che mi dilania l'anima assopita risvegliandola un
poco, che mi fa rivere un po' dell'adrenalina di allora: io sbagliavo
sempre. Sbagliavo a non dirgli come si sentiva realmente Naruto
Uzumaki. Chissà, se gli avessi raccontato cosa succedeva in me
durante quei sabati notte forse le cose sarebbero andate in altro
modo. Avremmo sofferto entrambi molto di meno. Mio nonno diceva
sempre che non si vive col senno di poi. L'ho capito andando avanti
quanto avesse ragione. Quanto mi stanno sulle scatole i giorni in
cui conosci troppo per poter sia dimenticare sia cambiare
qualcosa. Quanto odio una coscienza passiva.
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Capitolo 6 *** Una domenica positive. ***
Salve
belli :) Sesto capitolo pronto e...posso dirvi che non sarà la
solita tragedia! Muahahahaha sì, ogni tanto questa storia
prende una piega meno angst ma...non aspettatevi balli di gruppo e
risate sguaiate, ecco. *ride. A parte gli scherzi... (amo prendere in
giro questa mia divertentiiiiissima storia), questo capitolo
si colloca temporalmente dopo il terzo, e ho detto tutto, credo.
u.u Spero vi piaccia, ci metto sempre tutto il mio massimo! Grazie
a coloro che stanno seguendo, di cuore. Spero anche di
sentirvi nelle recensioni, ne ho bisogno: altrimenti cado a picco
come Naruto in questa fanfic se non si sbriga... più o meno. Bè
buona lettura ragassuoli.
Sei
- Una domenica mattina positive. Non avevo
conosciuto che amori strani, diversi. Almeno fino a poco tempo fa io,
che non avevo capito che in fondo di amore c’è sempre e solo
quello, che c’è Amore e basta, pensavo così. Mio nonno mi
amava coi suoi abbracci e le sue arrabbiature improvvise, la sua
educazione sessuale impartita fin dalla prima infanzia, le sue risate
sguaiate e i regali che mi portava dal mondo; mi avevano amato i miei
dandomi alla luce, mi aveva amato - quei nove mesi e tre giorni che
convivemmo - mia madre, mi aveva amato dal momento del nascere mio
padre che, con la sua voce dolce, aveva potuto proseguire ad amarmi
fino all’arrivo dei miei tre anni, la malattia. Mi
aveva amato il maestro delle elementari, Iruka, mettendomi in
punizione durante le ricreazioni affinchè non venissi bullato dai
miei compagni o combinassi bufere di lotte contro di loro; mi aveva
amato il mio professore del liceo, Hatake, addirittura nel momento in
cui aveva deciso di dividere me e Sasuke! Mi aveva amato la ultima
compagna del nonno, Tsunade la vecchia – con l’appellativo che le
davo io visto che, nonostante si tenesse in forma egregiamente,
qualcuno le doveva pur ricordare che aveva superato i settanta! -
quando nella mia adolescenza si era appropriata della sola parte
della mia famiglia coi suoi modi bruschi, con le sue voglie alterne,
le sue passioni ambivalenti e scostanti, il suo continuo appoggiarmi
duro ma sincero in ogni mia difficoltà arrivando dal nulla o dal
Sahara. Mi aveva amato Sasuke. Sì, Sasuke mi aveva amato.
Avete sentito bene. Con la sua rabbia, con il suo egoismo, con lo
sfottermi, con le botte e con le lacrime, mi aveva amato; dandomi il
buongiorno in certe domeniche mattine positive, sorridendomi varcando
la soglia di casa mia...pure in quel periodo buio come i suoi occhi
mi aveva amato. Forse mi amò in quei mesi più che non prima, prima
quando non eravamo che due amici, certo, un po’ particolari ai più,
ma amici. E non degli scopa-amici, amanti, amici, punch ball, spugne,
mezze lune e galassie che si allontanano dal sole. Le sentivo
sulla pelle come sale rimasto dopo un bagno nel mare e asciugato dal
sole le tracce del suo amore. Le immaginavo esattamente così:
piccoli e invisibili granelli di sale che mi coprivano interamente a
cui ogni tanto dare una leccatina per sentirne il sapore, sapere che
c’è. Io e le mie metafore marine: quanto ero fissato con il
mare? Tantissimo; lo sono ancora oggi. Sarà che
sono nato in una cittadina di mare e che non ci ho mai abitato tanto
lontano, sarà che ce l’ho nei geni (mio nonno prima di aprire
l’agenzia viaggi era stato marinaio per molti anni), sarà che è
proprio una fissazione ma il mare non riesco a fare a meno di tirarlo
fuori, in tutte le salse, in ogni concetto che devo esprimere. Sasuke
odiava queste mie similitudini... Come tutti diciamo. Gli riempivo la
testa di conchiglie, granchi, sabbia e sale... come biasimarlo?
Dovete sapere che lui aveva un rapporto strano col mare, l’ha
sempre avuto: gli porta malinconia e lo ama, gli porta via i pensieri
e lo odia. Paradosso no? Di solito era il mare d’inverno ad
abbattermelo di più, anche se c’era stata una sera d’estate in
cui, seduto sul pontile, le gambe penzolanti nell’aria, davanti
alle ultime tracce rosso scure e rosa chiare del tramonto, lontano
all’orizzonte, lo avevo visto diventare di colpo serio e capii che
quella serietà altro non era che malinconia e tristezza e poi...
lacrime e il circolo vizioso dei pensieri auto- distruttivi era
entrato in circolo. Dovetti portarlo a forza a mangiare una
granita perchè sapevo che almeno un po’ di glucosio riusciva a
tirargli un po’ di vita, a riprendersi. Quella domenica si
presentò sotto casa mia con gli occhiali da sole già piazzati
davanti ai buchi neri, il solito zaino eastpack delle scampagnate
sulle spalle, le infradito nere ai piedi. Non lo vedevo da una
manciata di ore, da quando aveva preso la porta quel sabato notte,
andandosene inferocito. Chissà dove aveva dormito, visto come era
conciato probabilmente era passato per casa sua. Aveva incontrato suo
fratello? Che si erano detti? Non gli avrei chiesto alcunchè, mi era
bastata la lezione di rabbia di poche ore prima. Mi diressi verso
l’auto dopo averlo salutato con una pacca sulla spalla, senza dire
niente; tirai dritto verso la macchina e ci entrai sicuro di me,
volevo dimostrargli che andava tutto bene, che sapevo contenermi
nella mia curiosità e pena. Entrò poco dopo, puzzava di fumo ma
anche di docciaschiuma alla vaniglia. E’ stato a casa sua, quindi -
pensai – ha fatto la doccia lì. « Sì, profumo. Vuoi per caso
saltarmi addosso? » mi domandò piegandosi in avanti per accendere
la radio. Cambiò circa una decina di stazioni, rintronandomi da
morire. Ad un certo punto, mentre continuava ad andare avanti col bel
dito lungo pigiato sul tasto con la freccia verso destra, pensai che
lo stesse facendo apposta: per distrarmi. O per farmi innervosire
fino al punto da dirgli qualcosa; ma sospirai e girai la chiave
facendo partire la mia simpatica utilitaria arancione: mi sarei
trattenuto. « Solo pubblicità in questo schifo di radio. »
Annuii. « Giusto per rompere i coglioni alle sette e mezza di
mattina, no? » Annuì lui. Ricordo che lo guardai con la coda
dell’occhio e trovai un sorriso a increspare le sue labbra sottili
come carta velina. Ricordo che guidai liscio come l’olio,
tranquillo, scivolando su strade ancora deserte, una sensazione di
quietezza che non avevo da molto in corpo. Assurdo come andasse il
destino, persino la caviglia su cui Sasuke aveva
inflitto la sua beffa di rabbia non faceva male. Assurdo il cervello,
la sua dinamica, la pazzia intrinseca all’essere umano che ti
anestetizza e ti fa godere anche di un piccolissimo viaggio in
macchina ai primi raggi del sole in una fresca mattinata di
luglio. Restammo senza parlarci per quasi tutta la durata del
viaggio, forse Sasuke si addormentò. Non lo so, mi persi nelle note
della radio, trasmisero solamente canzoni di mio gusto, tutte cose
pop-malinconiche che abbeveravano la mia anima malinconica e
calma. Di come siano andate le cose poi, nella giornata, non ho
molti ricordi. Mi pare che il nonno ci accolse ridendo sguaiato di
quanto fossimo pallidi e di quanto avessimo entrambi bisogno di
divertirci un po’, di come lui due così smorti mica li voleva
vicino; ci fece strada tutto sornione verso la spiaggia, girandosi
ogni tanto a farmi l’occhiolino, dicendo che Tsunade - la vecchia –
ci aspettava al bar della spiaggia con due belle brioche calde e
profumate. Ricordo che fui assalito dalla voglia di abbracciarlo
ma mi trattenni, che Sasuke sorrise nel vedere la camminata stramba
del nonno, a gambe larghe, che facemmo tanti bagni, che Sasuke
sorrise ancora e ancora. A pensarci bene, ricordo bene i sorrisi
di quel giorno, sorridevamo tutti ai momenti lieti che solamente del
tempo trascorso sotto al sole e nella sabbia e nel sale potevano dare
all’uomo, appagandolo. Almeno per me fu così. Non ho idea di
cosa facemmo di preciso, di che parlammo, non ricordo neanche un
particolare della vecchia, nulla di nulla di dove mangiammo, di
quando ritornammo. Immagazzinai solo delle labbra che si
piegavano, ad ogni sorriso il rischio di strapparsi. « Grazie
Naruto. » E quelle parole dette a fine giornata, forse in
macchina, forse in un orecchio quando il nonno non ci ascoltava,
forse mentre mi stuzzicava stringendomi a sé nell’acqua. Sì,
ricordo pure questo. Lo so, sono un furbo. Eppure certe cose a volte
mi imbarazzo a dirle anche se lo so, ve ne ho raccontate di ben
peggiori. Il fatto è che ho una mente strana, perversa quanto volete
ma per certe cose come quella mi imbarazzo ancor oggi: un rimasuglio
di pudore adolescenziale? Chissà. Ammetto che mi eccitai da morire a
sentire il corpo di Sasuke attaccato al mio, a constatare quanto
fosse duro il suo cazzo sotto il costume. Che giornata, ragazzi.
Non potei fare a meno di pensare che me l’avevano regalata da lassù
quella domenica lì. Mamma e papà, quei due furbi che si facevano
sentire quando volevano. Li pensai a lungo i giorni seguenti: alla
fine il mare muoveva pure il mio inconscio, non solo quello di
Sasuke. Chissà cosa gli smosse quel giorno; chissà cosa si
ritrovò a pensare i tempi seguenti. Io, il sabato dopo, non lo vidi.
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Capitolo 7 *** Sabati notte in cui ci volevamo bene. ***
Salve
tenerezze (?) :3 perdonate il ritardo, ma a mia giustificazione dico
che a parte l'ispirazione bagorda (?) e un po' di sconforto, ho un
periodo incasinatissimo! Ma ecco pronto per voi un altro momento
della relazione tra Naruto e Sasuke, sempre sull'onda della
“dolcezza” (se
davvero così la si può chiamare) tra i due, dopo esserci lasciati
alle spalle l'intrusione in una loro domenica positive...
Spero che questo capitolo possa piacervi quanto a me è piaciuto
scriverlo, ovvero tanto u.u. Grazie di cuore a chi sta seguendo
questa raccolta, e ancor più a chi la sta commentando, rubando parte
del suo preziosissimo tempo per dirmi il proprio parere. Un bacione a
voi quindi,e buona lettura!
7
- Sabati notte in cui ci volevamo bene.
Partii
da me quel momento dolcissimo di cui riesco ancora a rimembrare la
sensazione. Era come se, tutto a un tratto, il tempo si fosse fermato
per tutti tranne che per noi che ci stringevamo in un abbraccio; come se
per qualche istante ci fossimo rifugiati in una bolla atemporale che
teneva lontano qualunque cosa potesse attaccarci, ostacolarci,
impensierirci... una bolla in cui noi esplodemmo. Fu una
esplosione pitturata di colori pastello, sulle gradazioni del rosa e
del rosso acceso. Erano i colori che io davo al pianto; per me certe
lacrime non erano né trasparenti né azzurre come nei disegni dei
bambini ma rosa, rosse, anche arancioni. Erano lacrime nate da
esplosioni interne al ritmo delle onde gamma lanciate dal nostro
cervello impazzito: eravamo di buon umore e stavamo piangendo. Tutti
e due. Avevo la mano sinistra sulla sua nuca, la spingevo verso
l’incavo della mia spalla con delicatezza mentre l’altra mano
toccava la sua schiena, le dita che la accarezzavano senza una
direzione precisa. Il mio mento sfiorava i suoi capelli liscissimi,
lo bagnavo di lacrime come lui bagnava la mia maglietta arancione per
casa - la mia copertina di Linus -. Eravamo scoppiati a piangere
quasi all’unisono: prima io mi ero subito lasciato prendere da
portentosi singhiozzi poi lui mi aveva dato un pugno sulla spalla,
“scusa” aveva sussurrato prima di scoppiare a piangere oltre le
gocce che coprivano i miei occhi. Si era nascosto il volto più
volte, ci aveva provato, dandomi le spalle affinchè non lo vedessi
ma alla fine avevo vinto io e lo avevo tirato verso di me,
circondandolo con le mie possenti braccia ed imprigionandolo. Ora
l’avevo tutto per me, era in mio possesso il mio Sasuke. Mio,
mio, mio – continuavo a ripetermi mentalmente, un mantra
bellissimo. Pure lo dissi e Sasuke sbuffò, tirò su col naso. Quando
piangeva tornava bambino. I grandi occhi neri si colmavano fino a far
straripare le lacrime, copiose, la fronte si corrucciava, la bocca si
allungava verso l’esterno del viso con prepotenza, gli estremi
delle labbra gonfie a momenti verso il basso, tremanti. Copriva
malamente con le nervose mani quel volto segnato dal pianto intenso,
rendeva tutto quasi buffo. Continuava a coprirsi e pulirsi con le
mani, i palmi bagnati da lacrime che poi trascinava in giro per la
faccia, sul collo, sui miei e suoi vestiti. Buffo, goffo, timido.
Era il Sasuke che piangeva. Un po’ rabbioso ma di una rabbia
positiva, un nervoso passeggero dettato dall’orgoglio smisurato.Lo
sentivo solamente continuare a cercare di bloccare i singhiozzi che
tuttavia uscivano pieni di forza, infermabili, come piccoli scoppi di
piccoli petardi che lo muovevano tutto tra le mie braccia. «
Ehi... » gli sussurrai in un orecchio e prendendolo per le spalle lo
staccai da me per poterlo vedere in volto, cercavo il bambino che
aveva fatto capolino da Sasuke. « Ti si fanno gli occhi belli, lo
sai? » dissi ma in realtà fu un tentativo mal riuscito di
sdrammatizzare. Lo trovai il Sasuke bambino. Ed è per non sorridere
a quella visione che dissi una cosa a caso, per sorridere con la
scusa che fosse per quella battuta. Non volevo Sasuke si
offendesse. « Infatti ho constatato già che è un’altra
cazzata delle tue » rispose, scuotendo la testa e poi dandomi il
profilo, rinunciando a staccarsi dalla mia morsa sulle spalle.
Traduzione: non era davvero offeso, era straordinariamente a posto.
Godevamo ancora in pieno dell’effetto dell’esplosione di colori;
ora Sasuke emanava un’aura di pace. Sì, certo c’era stanchezza e
compagnia bella, eppure nonostante ciò sembrava in uno dei suoi mo-
menti estatici. Quelli che io a guardarlo ero tutto un “wao”. Era
in mio possesso, sotto al mio controllo fisico, ma era come un’entità
extracorporea o meglio, che la sua anima stesse volando via o fosse
già volata via a guardare il cielo fuori pieno di stelle, restando
vicina a noi ma lasciando Sasuke in pace, cosciente di non poter poi
che ricavare altro che del bene dal ritorno della sua anima. Oppure
era perso in quel nirvana tutto suo, come certe domeniche
mattine. Era lì di fronte a me, vedevo quel suo finissimo profilo
e le lacrime che cadevano giù nel vuoto dal mento. Sasuke era chissà
dove. Certo è che per entrambi si era formata la bolla
atemporale, ci avvolgeva senza farci temere nulla, eravamo al caldo,
al sicuro. Ci eravamo abbracciati finalmente. Sapete, erano
passati dodici mesi da quando lo abbracciai così stretto
stretto a me. L’anno precedente lo trovai sulla soglia di casa,
attendeva che tornassi dalla mia prima giornata di lavoro, “ti
aspettavo” mi aveva detto col tono titubante di chi aspetta le
notizie di un proprio caro e non ero riuscito a trattenermi: ero
corso sotto alla pioggia senza ombrello ed ero andato ad
abbracciarlo, si era lasciato stringere, sornione e in fondo appagato
anche lui dall’aggressione del mio corpo. Avevo realizzato di
amarlo. « Ti amo, lo sai? » Lo realizzai pure quel sabato sera,
con Sasuke nella sua sbronza strana che mi dava solo il profilo,
quello spicchio di luna a cui stavo dando luce più che mai. « Io
no, ovvio. » mormorò; vidi l’estremità delle labbra piegarsi
all’insù: sorrise. « Basto io per tutti e due, sono un
dispensatore di amore a capienza illimitata! » dissi una cazzata, mi
interessava solo il moto di affetto che stavo provando. Le lacrime
che salivano agli occhi, il groppo alla gola che stava per
sciogliersi. Sorrisi, mi tremarono le labbra. « E pure un
dispensatore di cazzate, sì. » Si voltò ad osservarmi, gli
occhi gonfi di lacrime e si vedeva lontano miglia che si stava
trattenendo dal rifare quello che invece colse di nuovo me. Sorrise
anche lui a labbra tremanti, scosse la testa con fare rassegnato
teatrale. Mi indicò con una delle sue dita lunghe e magre. « E
un piagnone, giusto Sas’ke? » Annuì. Puntò il dito sulla mia
fronte, spinse. « Mi hai contagiato anche in questo, cazzo. » Si
chinò su di me sorridente e grave allo stesso tempo, l’esatto
binomio di ciò che era per me bellezza. Aveva sempre avuto
carisma a pacchi, Uchiha Sasuke. Fin dai primi istanti in cui lo
avevo avuto vicino, mi aveva trasmesso una enorme libido e
intrappolato in un labirinto magnetico di difficile uscita. Ecco
che amavo anche il suo carisma, una delle molte, troppe cose che
amavo di lui. Non fossi rimasto a bocca asciutta per lo stupore di
ciò che avvenne di lì a poco probabilmente gli avrei pure elencato
tutto ciò che amavo volevo desideravo adoravo di lui,
innervosendolo, beccandomi sicuramente schiaffi, rompendo quella
bolla temporale che si dissolse comunque. Quell’abbraccio che ci
eravamo appena dati. Ecco, amavo e amo pure quello. Come
preannunciato rimasi zitto. Sasuke leccò una lacrima che stava
sgattaiolando via dal mio occhio sinistro, la prima di una lunga
serie di lacrime. Scoppiai a piangere e mi tuffai su di lui,
catapultandolo sul divano e premendo forte il mio corpo su di lui,
strusciando le mani sotto alla sua schiena e sopra il divano,
abbracciandolo come potevo, in quella posizione supina, come
volevo. « Non te lo ripeterò più, sappilo. Ti amo. » Forse
le ha inventate la mia memoria quelle parole, e a furia di
ripetermele mentalmente le ha distorte tantissimo facendole divenire
tutt’altro rispetto le originali, poco importa, riuscì a farmi
tacere ancora. Due volte nel giro di qualche secondo, zittito dal
miracolo. Ma che miracolo...in fondo io lo avevo sempre saputo e
sempre lo seppi. Sasuke mi morse una spalla e io premetti forte il
ginocchio sinistro sulla sua coscia destra in risposta. Sempre
seppi che Sasuke Uchiha mi amava. Non ebbi la forza per fare un
altro movimento, era così caldo il corpo di Sasuke...così calmo
ora... ricordo che mi venne sonno. Ricordo che Sasuke rimase
immobile, che il suo respiro si fece sempre più lieve.
Probabilmente
quell’alba timida che arrivò ci trovò a dormire l’uno sopra
all’altro, ancora abbracciati. Ricordo che quella domenica
mattina, che arrivò con un sole prepotente, andai con Sasuke a far
colazione alla gelateria vicino casa mia. Per me amarena e yogurt,
per lui nutella e nocciola – ordinai alla cameriera mora che
conoscevo bene perchè era stata mia compagna di classe alle
elementari e alle medie -. Ricordo che lo accompagnai a casa a
piedi, quando arrivammo sotto casa Sasuke mi prese la coppetta vuota
che avevo tra le mani e la mise sopra alla sua, decidendo di buttarle
via in appartamento. Decisione rischiosa se Itachi era presente
eppure una cosa così normale se Itachi non lo era. Sasuke aveva
voglia di far così, punto, perciò non feci storie. Lo salutai con
un sorriso allegro, ero sincero, avevo davvero voglia di
trasmettergli quel sorriso colmo di una ritrovata allegria. Ricordo
che mi disse che sembravo tornato il Naruto stupido; me ne tornai a
casa felice. Gli scrissi un messaggio che doveva esser stato una
cosa come “certo che tu nutella nel cuore eh?”, una roba molto
stupida, un battibecco dal sapore di passato; lui forse rispose un
“meglio che al gusto di ZUPPA inglese” di modo che il botta e
risposta continuasse. Insomma messaggiammo molto quella mattina,
non gli chiesi di Itachi né se il rientro fosse andato tutto
okay. Ricordo sensazioni molto positive, fu una domenica positive.
Talmente tanto che il lunedì arrivai al lavoro con il caffè per
tutti - preparato in un mega thermos poco prima di partire da casa -
e tazzine in plastica. Sakura mi sorrise sorniona, fu una delle prime
volte in cui mi domandai se quella mia collega carina sapesse
qualcosa di me oltre a quanto mostravo e raccontavo. Di
Sakura vi parlerò più avanti, non rimase un personaggio in sordina
nella mia vita da film, o meglio, non fu uno di quelli che passano e
hanno una particina piccola ed un bell’aspetto piacciono al regista
e al pubblico e se ne vanno. Decisamente no. Certo, non esattamente
il personaggio chiave ma...qualcosa di simile, anche se ebbe poche
vere scene. Qualche ciak, diciamo, ma qualche ciak importante per la
Naruto’s sad love story. Che titolo banale per un film
drammatico. La mia vita di quei momenti meritava un titolo
migliore, un “I will try to fix you” avrebbe fatto al caso
mio. Mah, di certo all’epoca mi sentivo dappertutto tranne che
in un film. Semmai in più generi di film miscelati al punto da non
trovare il filo logico di ognuno; quella era la vita vera e me ne
accorsi quando il dipanarsi delle sottotrame e dei silenzi si fece
chiaro, ormai troppo tardi. Dura, bella, pura. Fatto sta che quel
titolo c’entra il punto. Quelli erano i tempi in cui provai a
sistemare un po’ Sasuke, per dirla in modo semplice. Riassestarlo.
Ripararlo. Ricostruirlo mantenendone i pezzi.
Sapete,
gente, dopo notti su notti e domeniche su domeniche, il qui presente
Naruto Uzumaki non sa ancora dirvi se ci sia riuscito, a fix you.
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Capitolo 8 *** Sabati normali. ***
Salve
:) Capitolo ottavo a Voi, parla di un sabato normale, per
continuare la tendenza più o meno positiva dei weekend di Naruto e
Sasuke. Buona lettura di questa piccola cosa, grazie a quanti di voi
seguono la fanfic, sia silenziosamente che “attivamente”. Mi
farebbe piacere un commento,anche minuscolo, per farmi sapere se
merita di stare su questo fandom o se in preda all'impulsività devo
farla sparire dalla faccia della tera (?) si sono di umore nero,
stasera. XD Un abbraccio, a presto!
Sabati
nomali. Sei a uno. Ricordo ancora il risultato di una partita
dei mondiali che stavo vedendo stravaccato sul divano. Credo fosse
una per gli ottavi di finale, il colosso di casa le stava prendendo
dal piccolino: un vero e proprio spettacolo. Era la prima volta che
non mi annoiavo a vedere una partita di calcio, anche perchè non
avevo mai visto piangere i giocatori in campo assieme alla gente
ammassata sugli spalti. Ero talmente preso dentro al gioco che
non mi accorsi dell'arrivo di Sasuke, il che è tutto dire. «
Ti sei rincoglionito una volta per tutte? » Sobbalzai a sentire
una voce diversa da quella del cronista e girai bruscamente la testa
verso chi aveva parlato, non riuscendo sulle prime a riconoscere in
quella voce Sasuke. Realizzai fosse lui quando mi si sedette
vicino crollando pesantemente sul divano e sentii le sue spalle magre
sfiorare le mie, quando le mie narici si riempirono delle molecole
forti del profumo del mio migliore amico, quando lui ripetè la
domanda. « Uno spettacolo! » esclamai e indicai lo schermo della
televisione; lo guardai bene e vidi che c'era della pubblicità
spazzatura: capii che la partita doveva essere finita proprio quando
mi ero accorto dell'arrivo di chi teoricamente
aspettavo. « Immagino,
quasi quanto il mio fratellino con il cappello da rapper. » disse
Sasuke nel tono più acceso
ed ironico che possedesse, uscendosene subito dopo in una minuscola
risatina che somigliava ad un ringhio basso. « Quei cappellini
orrendi con la frontiera intendi? » Sasuke doveva essere di buon
umore – pensai all'istante,
mentre portavo avanti quella conversazione iniziata. Era un' ottima
partenza sia per me che per lui. Significava che prima di tutto
Sasuke era lucido quel tanto da non avere la testa piena di nebbia
densa - nella quale era difficile riuscire a trovarci qualcosa di
utile al fine di farlo stare meglio (perchè io cercavo sempre e solo
quello, quel qualcosa)
- né di rabbia pura e dura. Ovviamente il suo buon umore non era
quello che pensate voi tutti, soprattutto durante i sabati notte;
solo che se usava quel tono e quell'ironia lì io sentivo
automaticamente che non era nero, che quel sabato ci sarebbe stata
come minimo comunicazione.
Certo è che mica si metteva a ballare la macarena solo perchè si
era svegliato col piede giusto e voleva esternare al mondo quanto
stesse bene con se stesso! No, semmai quello ero io. Decisamente. «
Ha deciso che deve fare il gggiovane. » « E per questo va in
giro con un cappellino da sfigati? » Udii la risata di Sasuke
accanto a me, sorrisi ma non volli girarmi a guardarlo. Potevo anche
non permettermelo, tanto sapevo che i suoi occhi erano luminosi, quel
sabato notte e che sulla sua faccia non albergava alcuna smorfia.
Insomma, stava bene. Non dovevo
constatare alcunchè. « Il
suo calciatore preferito ha lanciato la moda, quindi lui se ne è
comprato uno ed è andato a fare
la partitella mensile coi suoi colleghi così... » Scoppiai a
ridere. Se c'era una persona che non mi immaginavo con quel
cappellino che consideravo da fottuti in testa, quella era Itachi
Uchiha col suo aplomb. Aplomb...per modo di dire: almeno
esternamente, ecco. « God, quanto pagherei per vedere le facce
dei suoi colleghi quando si presenta al circolo così. » « No
ma aspetta, non ho mica finito qua. » Mi girai verso di Sasuke,
questa giro non ne potei fare a meno. Aveva un'espressione
schifata mentre si accingeva a parlare ancora. Era bello pure con
la faccia contorta da una smorfia. Mi piaceva tantissimo. Notai
che i suoi occhi erano privi di matita nera: capi che non era andato
in discoteca; notai anche che il suo volto sembrava più
pieno,
come fosse andato su di peso in quegli ultimi sette giorni. Sasuke
oscillava sempre di peso, pur nella sua magrezza, e se prendeva anche
mezzo chilo glielo si vedeva tutto, perchè gli venivano le guance
più tonde,
gli si distendeva il volto come dopo ore ed ore di dormita. Era
proprio bello – mi ritrovai a pensare intensamente – non ci
facevo caso da un po', a quanto quel suo volto mi piacesse. E non
vederlo gonfio o emaciato o truccato rappresentava per me una fonte
di soddisfazione. Sei
bello, cazzo.
Fui lì lì per dirglielo e andare a baciare quelle labbra
rossissime, sottili eppure carnose al punto giusto. « Voleva lo
indossassi pure io, ti giuro. L'ha comprato anche per me. Ha aperto
lo scatolone sul tavolo della cucina e ha tirato fuori quei due cosi
blu,
con su scritto “Winner”. Winner. Ti rendi conto? » Mi dissi
che era da un sacco che non lo vedevo così vivo,
e rimasi imbambolato ad osservare il sorrisino che aveva incurvato
quelle labbra che immaginavo morbide ed umide che volevo da
matti. Quel principio di sabato notte mi stavo eccitando, eppure
Sasuke non stava facendo
assolutamente niente per farmi venire voglia,
anche se forse si era accorto che gli stavo osservando la bocca con
un po' troppa insistenza. Si passò guarda a caso la lingua sul
labbro inferiore che poi morse appena. Probabilmente non sarei
resistito molto – mi dissi – e avevo assolutamente ragione. «
Se ti becco andartene tranquillamente in giro con il cappellino col
frontino ti ammazzo, posso? » Sasuke annuì due volte, si puntò
il dito indice della mano destra alla tempia. Addirittura
quell'azione melodrammatica mi fece eccitare: c'era qualcosa di
decisamente eccitante
nel suo guardarmi serio negli occhi mentre si puntava una pistola
alla tempia ma, certo, neanche adesso so dirmi che
cosa.
La partita di calcio mi aveva fottuto quel poco di materia grigia
che possedevo. Avrei fatto meglio a guardare un film visto e rivisto
con i sottotitoli per i non vedenti, magari a questo
punto
della serata non sarei stato in preda ai bollori.
Anzi no, alla fine credo che fossi proprio io di mio quel giorno in
tale condizione assetata del corpo di Sasuke, così come questi
sembrava essere venuto da me con quella di essere – inconsciamente?
- la mela tentatrice. Le
cose stavano così: uscivo da sei ore e mezza all'agenzia, due ore di
allenamento con la squadra con annessa cena in pizzeria e novanta
minuti davanti alla televisione: ero stanchissimo eppure parecchio
rilassato. Di solito era proprio quando mi trovavo in questo status
psicofisico che mi veniva voglia di fare sesso. E se per caso era
pure sabato, ci scappava una scopata sicuro. Non mi sarei fatto
scopare da nessuno al mondo oltre a Sasuke, sia chiaro. La mia voglia
era esclusivamente per lui; ma ormai si sarà capito. « Gli ho
risposto male e si è offeso, il signorino. » Ecco che cosa
davvero premeva dire a Sasuke. « ...minchia. » « Non accetto
regali, non condivido mai nulla con lui, e compagnia bella. » il suo
tono era cambiato, si era fatto piccato; il suo esprimersi
graffiante. Continuava a guardarmi dritto negli occhi con durezza,
senza mai abbassare lo sguardo. Ricambiai anche io, senza perdermi a
fissargli le labbra. La tensione era salita. « Comunque nulla
di che, doveva andare a giocare così si è dileguato dalla mia
vista. Chiamasi culo no? » Sasuke mi fece l'occhiolino. Non
strizzava l'occhio quasi mai, non era cosa da lui perchè non ne era
capace. Il suo tentativo di strizzarmi l'occhio di solito mi faceva
scompisciare dalle risate, era negato da matti. Eppure quella sera
risultò credibile, aumentando la sua carica sessuale. La
tensione scese, quella di poco fa. Salì di nuovo la tensione
erotica, la mia. « Quindi sei venuto qui direttamente da là? »
chiesi, non so perchè. Non mi davo neanche il tempo di pensare a
quello che dicevo. Sasuke rimase qualche secondo come interdetto,
spiazzato. Per un attimo temetti fosse lì lì per arrabbiarsi. «
Ho studiato dalle otto ad adesso. » disse calmo, come se stesse
rispondendo ad una domanda di un qualche interrogatorio e non avesse
colpe. A me fece questo effetto e mi sentii strano per questo. Fino a
che punto si spingeva il mio ruolo paternale? E quello da stalker?
Volevo
sapere se avesse fatto tappa nel bar di Orochimaru, ma non avrei mai
avuto il coraggio di chiederglielo direttamente. Però quella sera
tale domanda avrei dovuto risparmiarmela, Sasuke sembrava non aver
bevuto addirittura. Jesus
grazie – pensai
sentendomi bruciare in petto il moto di affetto che spesso e
volentieri si accendeva con lui - E'
sobrio.
Un sabato notte in cui Sasuke era sobrio. Lo avevo tanto
desiderato e alla fine era arrivato quando mi ero dimenticato di
desiderarlo. Un classico per l'essere umano. « E io mi sono
rincoglionito con una partita di calcio, lo ammetto. » dissi
mettendo su una faccia di compassione verso me stesso, pura
recitazione, ma ero troppo contento per darmi toni da attore quella
sera in cui – realizzai – non ci sarebbero stati ruoli.
Non
ci sarebbe stato bisogno nemmeno di fare il rincoglionito inscenando
una rappresentazione
mistica in cui ero uno sciamano. Meglio di così. Sarei stato me
stesso, o almeno, saremmo stati noi stessi; quelli di una volta,
forse, quelli di quando dal nulla ci avvinghiavamo l'uno all'altro e
facevamo l'amore
tutta la notte o tutto il pomeriggio, di quando, a casa di Sasuke, da
adolescenti maturi soffocavamo i mugugni per non farci sentire dal
fratello che rientrava prima a casa. Insomma, saremmo stati due
che hanno voglia di godere un po' l'uno dell'altro e basta. No remore
né paranoie mentali. « Sei bello. » alla fine lo dissi. Mi
ritrovai ad abbassare di colpo la testa in preda ad un'ondata di
imbarazzo a cui come sapete bene non ero più abituato, grattandomi
la nuca con una mano nervosamente. Perchè Sasuke aveva sgranato gli
occhi, era rimasto in silenzio guardandomi sorpreso per diversi
secondi ed io non ero più riuscito a sostenerne lo sguardo. Mi
dimenticai, quella volta, che fosse un sabato notte. Fu come tornare
indietro di alcuni anni. Ricordo che era una giornata di fine giugno
poiché le prime partite di quel mondiale cadevano in tali giorni e
perchè l'agenzia si era riempita di clienti che volevano partire
all'ultimo minuto, per farsi i primi giorni di luglio via dalla città
impestata o da una vita che doveva concedere anche qualche pausa.
Quando l'agenzia si riempiva così non poteva che essere fine giugno
o fine agosto o fine ottobre. Ormai conoscevo bene le abitudini
vacanziere della gente e per questo non andavo mai in vacanza a
inizio luglio inizio agosto o inizio novembre. « Ah sì? » non
disse altro, Sasuke. Mi saltò addosso. Bentornato,
Sas'ke-kun.
Vi
sembrerà tutto retorico o banale, ma alla fine a ripensarci ora mi
fanno tristezza quei sabati di assoluta normalità: non solo
presagivano sempre presagivano sempre un'onda anomala, ma anche erano
il segno tangibile che la mia vita e la nostra sono stati in quel
tempo un totale sfinimento: mi ritrovo a contare sulle dita i sabati
notte normali. Li ricordo con la stessa sensazione di straniamento di
allora, quasi di sospetto. Avevo sempre il timore che succedesse
qualcosa da un momento all'altro, c'era in me sottopelle una costante
sensazione di inquietudine. Quei sabati notte comunque mi
divertivo un mondo: abbracciavo il mio Sasuke con tutta l'intensità
di cui ero capace, fino addirittura a scrocchiargli le ossa – era
l'unico momento in cui sopportassi certi scricchiolii -; mi facevo
prendere con forza piegato a novanta con le mani ben ancorate su una
mensola della libreria del nonno in salotto. Non c'era violenza
alcuna mentre mi lasciavo scopare il culo fino a provare dolore. Un
dolore così poco difficile; mi divertivo a dirgli di andare più
forte solo per sentirlo darmi della puttana, perchè così ridevo
della mia impudicizia e sapevo che lui stava al gioco. Quando
sfiniti raggiungevamo il letto di camera mia gli appoggiavo la testa
sulla spalla perchè tanto sapevo che lui non mi avrebbe detto
niente. In altre occasioni si sarebbe quasi scandalizzato per
quell'atto di dolcezza e mi avrebbe
spinto via, ma nei sabati notte normali mi lasciava fare e alcune
volte pure mi raggomitolavo vicino a lui, aggrappandomi ad un suo
braccio e addormentandomi attaccato a lui come un bambino alla sua
mamma.
«
Stanotte sognerò di indossare un cappellino sfigato, lo sento. »
dissi
mentre mi beavo della sensazione della calda spalla di Sasuke,
sgranchendo le gambe sul letto a una piazza e mezza che mi ero
regalato col mio primo stipendio. «
Ma lo indosserai pure tu, quindi non sarà poi quell'incubo! » Sasuke
mi diede una manata in cima alla testa. «
Ma quante cazzate spari tu in un giorno? » mi chiese mentre si
sistemava meglio sotto alle lenzuola, lasciandomi ben aggrappato al
suo braccio sinistro. Si sarebbe addormentato a pancia in su, pur
di non spostarmi da dove ero. «
Troppo lavoro fa male. » dissi ma ero già a metà strada tra il
mondo reale e i sogni, già il corpo sfinito era leggero, finalmente,
leggerissimo e la mente vagava in altri mondi pieni di cappellini
sfigati. Sorrisi. « Troppo calcio, vuoi dire. » Annuii
sfregando la testa sulla sua spalla nuda. « E troppo sesso. » dissi
qualcosa del genere poi probabilmente mi addormentai, visto che il
mio ricordo finisce qui. Anzi, finisce in un sogno in cui rincorrevo
un coniglio con un cappello col frontino su di una strada sterrata,
lo rincorrevo perchè credevo essere Itachi ma alla fine appena
arrivavo a poco da lui diventava Sasuke e poi poco prima di
svegliarmi era diventato me. Avrei voluto raccontare tutto ciò a
Sasuke la mattina che seguì, ma al mio risveglio più tardi del
solito non lo trovai né accanto a me né in bagno. Però – cosa
rarissima – mi lasciò un biglietto - che conservo ancora - sul
tavolo della cucina: “Grazie mille.”
Piansi
come un infante fino all'arrivo in agenzia.
|
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Capitolo 9 *** Quel sabato notte in cui Sasuke mi portò nel luogo della perdizione. ***
Buonasera!
Nono capitolo pronto...da un po', ma non mi decidevo mai a postare
(sì, picchiatemi pure). E' un capitolo tutto sommato diverso, i toni
cambiano, vedrete perchè :') Insomma, mi sono divertita parecchio
stavolta a scrivere, prendendo a modello un mio amico e certe sue
serate (senza che lui lo sappia: muahahaha). Bè, ci ho messo del
mio. Buona lettura e grazie mille a quelle pie anime che
commenteranno. :3 Un abbraccio, spero di sentirvi, mi farebbe
piacere.
Nove
– Quel sabato notte in cui mi portò nel luogo della perdizione.
Nonno,
appena rientrato da un viaggio in Arizona con un giorno di anticipo,
ci trovò a dormire abbracciati sul mio letto ad una piazza e mezza.
Probabilmente sorrise scuotendo la testa e «
stupidi gay» disse tra sé e sé neanche tanto a voce bassa
uscendosene dalla stanza senza smettere di sorridere. Avrei scommesso
parecchi soldi che era andata così, ma non ebbi mai il coraggio di
affrontare l'argomento e lui stesso dal canto suo non accennò mai al
fatto di avermi visto dormire con Sasuke di domenica mattina. Nonno
conosceva tutto,
ne ero sempre stato sicuro, ma non avevamo mai parlato della mia
presunta omosessualità né di che rapporto in realtà io avessi con
Sasuke, il mio migliore
amico. Nonno era una gran
persona, sicuramente non gli andava tanto giù la cosa che avessi
rapporti sessuali con uno del mio stesso sesso, lui così ancorato al
genere femminile che venerava, e sicuramente non vedeva di buon
occhio che io e Sasuke avessimo definito la nostra relazione anche in
campo sessuale, ma non mi aveva mai detto niente. Mi aveva sempre
lasciato fare. Si fidava di me, per questo gli sono sempre stato
grato. Certo, si preoccupava per me e si preoccupò tantissimo
quando in quel periodo mi immischiai in quelle che probabilmente
giudicava come “faccende più grandi di noi umani senza ratio”
(indicando con noi il nostro ceppo familiare), ovvero nel periodo in
cui dimagrii dieci chili e non volli più seguirlo nei viaggi per
l'agenzia; ma mi lasciò fare, vivere.
Buttando un occhio su di me quando poteva, chiamandoci al mare ad
esempio e chiamandomi da chissà dove e chiedendomi cose come “Sasuke
sa cucinare il ramen vero?” e altre mille cose senza senso che
sottintendevano sempre un suo preoccuparsi quasi materno per la mia
condizione. Mi manca oggi avere vicino il nonno, almeno saprei che
quello che vi sto raccontando va bene lo stesso, anche se è tutto
passato sotto il filtro della mia coscienza, eppure dovrebbe essere
ricordo puro! E non riesco a darvi un quadro chiaro di come fossimo
davvero io e il mio Sasuke in quel periodo. Perchè non mi farei
nessuna paranoia mentale come mi sto facendo, penserei a sfogarmi e
basta. Soprattutto però mi manca sapere il nonno da qualche parte
di questa terra perchè non posso essere più spiazzato da un suo
ritorno senza preavviso, da una sua chiamata da Timbuctù, da una sua
mail con contenuti erotici direttamente da Las Vegas, dal suo saperlo
qui e pure lì, in un'ubiquità degna di Dio. Il nonno era inoltre
tutto quello che, in quel periodo che andò dai ventuno ai ventitrè
anni della mia vita, possedevo
oltre a Sasuke. La mia famiglia, insomma. Non fu facile
separami da lui, ma fortunatamente
successe nel momento in cui riuscii a convincere Sasuke di una cosa
per il nostro futuro. E riuscii così a rendere la separazione meno
dolorosa per entrambi. Mi dedicò un sorriso e alzò una mano per
scompigliarmi i capelli nonostante fosse pieno di cavi e non avesse
che la forza di un uomo al termine della sua gloriosa e stancante
vita, l'ultimo giorno in cui lo vidi senza sapere che fosse l'ultimo.
La
discoteca era affollatissima, esattamente come me la immaginavo con
la mia fantasia più negativa ed autodistruttiva. Ero compresso da
culi, braccia, piedi, petti...mi sentivo soffocare. Quello era
l'impatto: dovevo ancora abituarmi. « Testa di cazzo avanza
ancora un po', che siamo quasi al tuo luogo salvagente » Era
la prima volta che sentivo il tono di Sasuke così chiaro e limpido
nel mio orecchio, così forte. Mi ci era voluta la discoteca! Sorrisi
ma mi sentii spinto da dietro e allora sbuffando cominciai a farmi
largo tra la gente, spostando dal mio cammino addirittura di peso una
ragazzina rossa di capelli che mi guardò spalancando gli occhi
mentre la posizionavo dietro di me, insieme a tre ragazzi che si
stavano spartendo una sola ragazza. Chissà -pensai- magari
avevo smosso le cose tra di loro....le avevo equilibrate? Continuai
ad avanzare imperterrito nella fiumana di gente e finalmente i miei
occhi incontrarono gli appartati tavoli scuri di cui Sasuke mi aveva
tanto parlato, esattamente in fondo al locale, pure lontani dalla
calca. « Ancora sedie libere cazzo, fiondiamoci! » ritrovai il
mio entusiasmo e mi catapultai verso i tavoli dell'angolo quasi
lounge bar della discoteca, non curandomi se Sasuke mi stesse
seguendo e cercando il posto più lontano da tutti per sedermi.
Cercai di evitare di rompere le scatole a due ragazzi che stavano
limonando della grossa su due sedie che per poco non notai
cadendoci sopra. « Ti decidi? » Sasuke mi venne vicino,
sentii il suo respiro caldo sul collo. Rabbrividii e mi eccitai pure
un poco, a quel contatto così fragile. Adoravo quando Sasuke mi
respirava e parlava col fiato sul collo, anche a livello mentale,
oltre che corporeo: era una cosa che mi faceva bene all'anima. Una
cosa da conoscenze intime, di amore. Ero proprio un romantico del
cazzo! Mi sedetti all'ultimo tavolo dello spazio lounge bar e
tirai subito un gran sospiro di sollievo, scuotendo la testa davanti
a Sasuke che mi guardava accigliato. « Non ti siedi? » gli
domandai, accennando al posto alla mia destra sul quale poi subito si
sedette, facendomi da scudo alla visione di molte cose, soprattutto
di quei due che ancora un po' si mettevano a fare del vero
sesso. Risi, cosa me ne importava! Osservai Sasuke con odio,
realizzando una cosa. « E così grazie a qualcuno sono
in una fottuta discoteca. » Sasuke fece una cosa che non
dimenticherò mai, niente di nuovo, certo, ma sempre qualcosa che
gli era poco abituale: sorrise
di un sorriso furbo, divertito, le labbra increspate così come la
sua pelle sottile e diafana; gli si illuminarono pure gli occhi
cerchiati da un velo di matita nera. Voleva per caso comprarmi
ancora? Ci stava riuscendo. Sospirai di nuovo, diedi una scorsa al
menu sul tavolo e decisi che poteva andare un aperol liscio. Chiamai
la cameriera – una splendida ragazza bionda con la coda alta – e
ordinai due aperol lisci per me ed il mio amico. Quando indicai
Sasuke la ragazza annuì e fece una specie di cenno di saluto con la
testa, promulgandosi in un sorriso brillantissimo. Si conoscevano?
Guardai il mio amante con sguardo dubbioso, quando la cameriera fu
sparita dietro al banco, per chiedere conferma. Sasuke annuì, disse
che ogni tanto la trovava lì. « Ti viene dietro » mormorai non
riuscendo a trattenermi. Sasuke fece spallucce, mi stava dando il
profilo. Chissà cosa si era perso ad osservare nella pista alle sue
spalle che si stava gremendo sempre di più. « Ecco a voi! »
trillò la voce della ragazza di pochi istanti prima, e con le sue
lunghe dita raccolse i due calici dal vassoio e li appoggiò al
tavolo. Da vicino la ragazza sembrava ancora più alta, i jeans corti
stretti e a vita alta che indossava le donavano come avrebbero potuto
donare ad una modella, così come la canottiera rosa larga, il poco e
sensualissimo petto, il collo lungo e quella coda altissima che
dondolava sulla sua sinuosa schiena. Osservandola mi domandai se
una così avrebbe potuto togliere ogni pensiero omosessuale dalla
testa di una persona in dubbio. E da uno come Sasuke? «
Ma sai che sei proprio carino tu, nuovo? » Strabuzzai gli occhi
e piegai la testa all'indietro per guardare in faccia colei che aveva
pronunciato quelle parole. Mi sentii picchettare la punta del
naso. La cameriera sorrideva tutta convinta, o almeno così parve
a me. Un sorriso rubacuori. E anche qualcos'altro. «
Are you serious? » Mi rimisi dritto con la testa solamente per
fissare accigliato Sasuke. Lui che di solito non interveniva mai nei
discorsi, soprattutto tra me ed estranei (se non era strettamente
necessario) era intervenuto e per esclamare tale cattiveria! Misi un
broncio epico e scossi la testa alla volta della ragazza dicendo «
come vedi mi vuole bene » nel tono più drammatico che potessi
usare. Ma le feci l'occhiolino e lei ridacchiò in risposta, prima di
tornarsene via. La seguii con lo sguardo andare a togliere i
bicchieri vuoti dal tavolino dove stavano seduti i due che
limonavano. Davvero
una gran bella femmina –
mi ritrovai a pensare, ma come pura osservazione mentale: alla fine a
me lei non faceva alcun effetto, ci siamo capiti vero? Quando
tornai a dare attenzione a Sasuke lo trovai che mi scrutava ad occhi
socchiusi, il nasino perfetto più all'insù di sempre. Capii subito
che era nerissimo.
Diedi automaticamente un'occhiata al suo calice: aveva quasi bevuto
tutto l'aperol liscio, e teneva il bicchiere con entrambe le mani. «
Ehi non fare la checca! Sono io che dovrei essere arrabbiato »
sparai la prima cosa che mi venne in testa. Quanto mi maledissi
mentalmente! Io e la mia impulsività, difetto che mi caratterizza
tutt'ora, ahimè, anche se ora ho imparato a contare almeno fino a
due, in certe occasioni. Fortunatamente. Ricordo che Sasuke
trangugiò l'ultimo sorso di alcool senza mai smettere di guardarmi
negli occhi. Non era difficile intuire cosa stesse pensando: mi stava
semplicemente odiando. Mi ritrovai a bere anche io diversi sorsi
di aperol, mentre mi guardavo intorno per cercare di stemperare la
situazione. Ricordo che provai a concentrarmi sui suoni bassi
della musica che, nonostante fosse alta, non mi sembrava assordante
come me l'ero immaginata, forse a causa della nostra lontananza dalle
casse. La pista si era già riempita assai, mi focalizzai sulle
figure tutte uguali che ballavano davanti a me: mi fecero sorridere.
Sotto sotto le odiavo tutte. Mi sembravano degli automi. Mi persi
a fissare la gente senza ricevere da essa, a livello di sensazioni,
alcunchè; solamente un grande senso di vuoto. Ero pieno di
pregiudizi, ma alla fine davvero pensavo che la mia vita senza lo
sfogarmi in discoteca fosse meglio. Eppure faceva schifo, in realtà.
E forse se fossi stato un po' meno vecchio dentro chissà che bella
vita avrei vissuto in quegli anni. Insomma, mi persi in quei
pensieri, più o meno. Anche se li sto condendo adesso di riflessioni
a posteriori. A volte non so proprio discernere quale pensiero
davvero appartenga al me passato o
quale sia frutto del me di questi giorni: poco importa, specie
riguardo a momenti come quella metà serata in discoteca. Conta solo
che Sasuke mi odiò a livelli altissimi. L'avevo fatta grossa, anche
se non avevo ancora capito quale fosse la motivazione di un simile
cambio di umore. « Senti, io vado a ballare. » disse perentorio
e prima di alzarsi guardò qualcosa oltre le mie spalle. Quando mi
girai – subito –
per appurare chi fosse riconobbi la figura slanciata della cameriera
di pochi istanti prima. La stava osservando? Davvero
l'aveva cercata con lo sguardo? Vi
giuro che all'epoca passarono tute queste domande e molte altre nella
mia mente bacata. Quindi potete ben capire perchè mi alzai di scatto
imitando Sasuke e lo affiancai nel dirigersi nella mischia. Sembravo
la sua guardia del corpo. Giuro. Mi sentivo enorme persino in un
posto dove faticavo ad andare avanti. Come quando eravamo arrivati,
riuscivo a fare in modo di isolare un po' del mio Sasuke dal
risucchio della massa, dalla forza di corpi in calore. Recuperai
parte del mio proverbiale entusiasmo, stupendo di ciò persino me
stesso. E quando Sasuke si voltò appena per constatare la mia
presenza riuscii addirittura a sorridergli in modo furbo. « Pensi
che non voglia provare il pacchetto intero,
ora che mi hai portato qui? » dissi avvicinandomi con la bocca al
suo orecchio, per farmi sentire. Usavo metafore provenienti
direttamente dall'agenzia viaggi, con una nonchalance che mi
divertiva assai. La cosa del “pacchetto” l'avevo coniata appena
Sasuke, la settimana prima, mi aveva invitato (obbligato) a seguirlo
in discoteca; e aveva detto: “ma non fai la pigna, né ti
metti a fare scena. Non puoi uscire senza di me né appartarti.
Chiaro?” Al che io
avevo risposto, non riuscendo assolutamente a risultar scocciato «
Devo pigliarmi l'intero pacchetto, insomma. » e Sasuke aveva annuito
e nonostante fosse a testa bassa avevo riconosciuto nascere sulle sue
labbra un piccolo brevissimo sorriso. Fino a quel momento avevo
rispettato l'ordine di cenare in pizzeria una cosa, entrare in disco
a mezzanotte passata e aspettare il boom
ai tavolini. Ero arrivato a metà pacchetto? Che cose ridicole – ma
questo l'ho pensato solo tempo dopo e lo penso ora. Alla fine, almeno
per quanto riguarda quella metà serata, non mi ero trovato così a
disagio. E pensare che era la prima vera uscita –
dopo anni – che facevo con lui. I
miei nervi non erano mai stati così tesi, forse, ma questo lo avrei
capito il giorno dopo nel nostro letto caldo, l'attimo prima di
riaddormentarmi abbracciato a lui fino all'una di
pomeriggio. « Di sicuro
almeno una certa bionda apprezzerà i tuoi movimenti spastici. »
disse vicino al mio orecchio che morse con violenza. « Mi hai
fatto male! » biascicai pizzicandogli un braccio e guardandolo in
cagnesco. « Meglio. » rispose alzando la voce più che poteva,
continuando a tirare dritto verso il centro esatto della pista. La
gente che lo vedeva arrivare si spostava automaticamente, un po'
grazie alla mia prestanza fisica (possanza), come vi ho detto, un po'
per un atteggiamento di timore e venerazione per il Dio che stava
passando vicino a loro. Che roba strana pure questa, non ho mai più
incontrato qualcuno capace di esercitare una sorta di autorità con
qualsiasi persona vivente, per giunta sconosciuta. Arrivammo in un
buco non occupato della calca, ci fermammo proprio nel momento in cui
il dj esclamava con un'odiosa voce che ora
cominciava la vera serata
e metteva su un pezzo che tutti
quanti dovevamo conoscere. Ovviamente remixato. All'inizio
mi piacque anche la canzone, era una hit di quella estate che aveva
fatto da sottofondo pure ai recenti mondiali di calcio; mi ricordava
delle cene con i miei compagni di squadra, chissà perchè,
provocandomi uno stupido moto di nostalgia. Nostalgia in
discoteca! Durò poco, comunque. Sasuke cominciò a muoversi come
un ossesso non appena partì il suono
omologato (come
chiamavo io quei tunz
tunz tutti
fottutamente uguali). Lo fissai incuriosito per un bel pezzo, vederlo
ballare era pressocchè una novità. Di tutte le reazioni che
potevo avere forse ebbi la peggiore. « Stronzo. » Non udii
la sua voce, ma gli lessi il labiale. Ero scoppiato a ridere. Non
ero proprio riuscito a resistere. Non ce lo vedevo proprio a
dimenare le mani al soffitto e a continuare ad annuire con la testa
ad ogni quarto di tempo. Ecco: fu la prima volta che Sasuke
Uchiha mi risultò buffo
in qualcosa. Anzi no, la prima volta fu quando pianse davanti ai miei
occhi. « Mpfh, vedrai ora che ballo io... » dissi ma non mi udì
quasi sicuramente, perso con gli occhi chiusi a seguire con tutto se
stesso il ritmo. Venne a ballarmi attaccato, strusciandosi a
intermittenza su di me. Mi ritrovai a muovermi anche io, chissà come
,e ben presto afferrai con le mani i fianchi di Sasuke che, agli
occhi di tutti, forse, divenne la mia donna. Muoveva
il bacino a non finire, quello sciocco. Si staccò dalla mia presa e
si girò per strusciarmi addosso, il suo sedere sulla cintura dei
miei pantaloni. Che
cosa stava facendo? Mi
guardai intorno cercando di capire che cosa stesse succedendo, dove
fossi. Cominciavo a perdere la testa. Ero sfiorato da chiunque,
qualcuno mi aveva appena dato una botta (o una carezza?) su una
spalla. Ma non riuscii a focalizzarmi su nessuno, avevo troppo
l'impulso di afferrare di nuovo i fianchi di Sasuke che ora mi dava
le spalle, sentire tra le mie mani quel bacino che pareva muoversi
solo per me. Mi venne duro. E impazzii. Non so bene cosa
feci dopo che lo presi per i fianchi e lo indirizzai su di me,
volendo fargli sentire quanto fossi eccitato. Credo che ballai un po'
beandomi della sensazione del mio cazzo a toccare le sue natiche,
nonostante gli strati dei vestiti; poi ballai e basta, sempre tenendo
attaccato a me Sasuke, per niente contrario alla cosa, anche se due
tipi adiacenti a noi continuavano a intromettersi e ballare con noi.
Uno persino palpò il culo al mio amante, proprio come quella volta,
anni prima, che Sasuke mi aveva portato in un locale simile ad una
discoteca. Ma non feci casini stavolta, mi limitai a cingere il collo
di Sasuke con le braccia e costringerlo ad una danza stretti stretti,
come se stessimo ballando su di una ballata, cosa che non c'entrava
un cazzo con la musica che stavamo ascoltando.
Probabilmente
prendemmo altre due volte da bere chiedendo direttamente alla
cameriera bionda senza sederci ai tavoli, per ritornare subito in
pista, ebbri e impazienti di risentirci. Ricordo
che Sasuke continuò a trattarmi con sufficienza, alternava momenti
in cui si staccava da me per ballare da solo o attaccato a qualche
ragazza vicino a noi, a momenti in cui si faceva prendere da me e
rispondeva con violenza, soffiandomi sul collo e dicendomi
nell'orecchio che ero un incoerente, facendomi capire che ero la
persona più inserita nel contesto dell'intero universo. Ci demmo
anche un bacio, o almeno a me pare così, a stampo, e dietro di me
sentii delle esclamazioni e delle risatine, ma fortunatamente ero
troppo brillo per tirar su baruffe o mettermi a fare il buffone. Non
ricordo a che ora uscimmo dal locale, come guidai fino a casa mia. So
che appena dentro casa Sasuke mi tirò per un lembo della maglia fino
al divano, cominciò a togliermi i vestiti e a mordermi. Succhiava e
mordeva la pelle, fu una cosa sublime. So che andarono così le cose
per via dei piccoli ematomi che mi trovai sulla pelle l'indomani,
lividi che la mia collega carina lunedì non mancò di notare
guardandomi in modo furbo. So che non riuscimmo a raggiungere
camera, ma mi scopò in salotto, sul divano, io sotto lui sopra. Mi
prese con durezza, a secco. Mi arrivò dentro tutta la sua rabbia, il
nervoso provocato da quei momenti con la cameriera bionda. Capii dopo
che la sua era gelosia. Un'emozione comunque negativa, ma almeno per
una sera non c'entrò Itachi, non venne neanche nominato. Venni
più e più volte, continuammo a fare sesso tutta la notte. Non so
quando ci addormentammo, né come, ma so che il nonno ci trovò
abbracciati. Svegliò il mio sonno leggero il passo del nonno sul
corridoio che portava alle camere. Aprii un occhio senza farmi
vedere e lo riconobbi, abbronzato come sempre. Sorrideva e scuoteva
la testa. Feci finta di dormire mentre scopriva cosa
eravamo diventati io e Sasuke nei tempi della sua assenza, o meglio:
mentre aveva delle conferme. Nonno lasciò due brioche sul tavolo
per entrambi. Quelle due brioche alla marmellata rappresentano un
ricordo vivido che ho, accompagnate da un biglietto con su scritto
“sono uscito un
attimo”.
Il nonno era appena rientrato da un viaggio in Arizona e mi
avvertiva che usciva sotto casa per neanche mezz'ora: io e Sasuke
commentammo che era una persona proprio strana. Sasuke mi regalò
il primo sorriso del giorno, probabilmente l'ultimo. Ma ciò che
conta è che me lo regalò.
Comunque siano andate le
cose, non volli più tornare in discoteca.
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Capitolo 10 *** Una sera - triste - della settimana. ***
Salve
gentili lettori :) Sono stata contenta di sapere che lo scorso
capitolo, così diverso dal resto della storia, vi sia piaciuto
comunque. Grazie infinitamente alle persone che lo hanno commentato,
siete la mia forza per andare avanti. Spero che questa storia
continui a piacere! Ringrazio anche le persone che seguono
silenziosamente. Questo capitolo, preparatevi, è molto molto
diverso dal precedente. Siete pronti? Ehm, date la colpa al mio
umore! =p Buona lettura!
Una
sera – triste - della settimana.
«
Sono un isolato. » « Ti
sbagli. » «
Penso brutte cose. » « No. » « E' meglio se non esistessi.
» « Cazzo stai dicendo. » « E' peggio che se non esistessi
in carne ed ossa. » « Smettila con le cazzate, adesso, Sasuke.
» « Buonanotte, a
domani.
»
Scaraventai
il cellulare sul letto, lo osservai rimbalzare sul copriletto per
piombare sul cuscino, sicuro di non farsi del male per il suo essere
un modello sfigato. Magari
fosse stata la volta buona per liberarmi contemporaneamente di certe
conversazioni che non avevo il coraggio di eliminare e di quel
cellulare che si bloccava in continuazione. Dannazione! - Lanciai un
pugno sulla scrivania. « Cazzo! Cazzo! Cazzo! » Mi presi la
testa tra le mani, mentre sentivo le prime lacrime bruciarmi negli
occhi e in gola. Ehi,
Naruto che cosa stai facendo? Ero
frustato. Ancora una volta non ero riuscito a dire niente di sensato
né di utile a Sasuke che chiedeva silenzioso aiuto tramite quei
messaggi ossessivi delle undici di sera. Non c'entrava un cazzo il
cellulare in sé, con la mia rabbia triste. Era un semplice veicolo
al mio nervoso, un pretesto per scaricare quella rabbia. Presi il
pupazzo a forma di leone che ci eravamo regalati io e lui in una
delle nostre ultime uscite i sabati pomeriggi, quattro anni prima,
durante il liceo, vincendolo ad una lotteria stupida. Andò a
sbattere contro l'armadio a muro dove tenevo quel caos che erano i
miei vestiti assieme e rimbalzò fino ai miei piedi. Mi
sorrideva. Diedi un calcio a quel dolce muso sorridente,
scaraventandolo a pancia all'aria lontano da me. Pupazzo
del cazzo. Sasuke del cazzo. Sasuke del cazzo. Sasuke del
cazzo. Mi
voltai bruscamente e mi diressi dal cellulare, ancora super acceso
sulla conversazione e tranquillo sulla coperta. Lo afferrai e digitai
alla velocità della luce la risposta che mi era appena salita alle
labbra, per paura di dimenticarla. Di solito non rispondevo più,
o almeno: la tentazione era forte. Tanto dopo un po' il mio sforzo di
non partire a fargli ramanzine/monologhi su quante cavolate stesse
dicendo, sull'esistenza sua, mia e degli altri, andava puntualmente a
farsi fottere e cominciavo con le ramanzine e i monologhi
esistenzialisti. «
Checca. » Premetti
il tasto invio e scoppiai in una risata solitaria che risuonò per
tutta la mia camera e sicuro il nonno, nella sua, sentì; tanto che
per un po' mi aspettai entrasse a chiedermi se ero impazzito. Ma il
nonno non entrò e non potè constatare le lacrime che cadevano giù
dagli occhi dopo lo scroscio iniziale della risata. Piansi a lungo
prima di andare a dormire, verso l'una, decidendo di spegnere
portatile e pc e di costringermi ad andare sotto alle coperte
fresche. Quelle
per me erano sere passate a messaggiare con Sasuke mentre
cazzeggiavo su internet e mi intristivo. Non erano serate che mi
facevano bene, usciva il Naruto riflessivo, quello sbiadito.
Triste. Il Naruto checca, che dalle nove all'una di notte si
estraniava dal mondo fino ad arrivare alla conclusione di non
esistere. Alle stesse conclusioni di Sasuke. Non esistevo più
nella realtà esterna alla mia, nessuno mi conosceva fuori. Sakura,
il nonno, Hinata, i compagni di squadra...mi conoscevano? No, non mi
conoscevano. Non esistevo per loro. Esistevo per Sasuke? Sì,
per lui sì. Eppure in quelle sere mi sentivo chissà perchè un
pesce fuor d'acqua, ma fuor d'acqua perchè è arrivato a galla
morente. Non so spiegarvi cosa scattasse in me, non ho letto
abbastanza manualetti di psicologia e i terapisti da cui sono stato
non mi hanno mica proposto teorie o similia. Mi hanno semplicemente
aiutato a guarire da una dipendenza, scavando nel mio passato e
recuperando l'autostima perduta. Cose che non c'entrano con
l'argomento. Erano venerdì sera tristi, e per lunghi mesi si
ripetevano tutti uguali, se mi ritrovavo da solo chiuso in camera mia
alla scrivania. Forse Kiba, il mio migliore giocatore, non mi
avrebbe riconosciuto in quegli istanti in cui stavo piangendo
accasciato sul letto, il cellulare tra le mani. «
Quanto hai bevuto, idiota? » « Nulla, Kiba, nulla! » Pensai
a Kiba, chissà perchè, poco prima di addormentarmi per il crollo
della stanchezza. Era un po' il me semplice e solare, un po' più
burbero. Buono ma facilmente infiammabile, non avrebbe mai apprezzato
le paranoie di Sasuke, e le mie se solo le avesse sapute almeno in
parte. E se avessi fatto conoscere Kiba a Sasuke? Quella
domanda mi passò nella testa per poco, prima di finire nel mondo
sognato dei sogni. No, quei due non si sarebbero di certo
sopportati. E non sarebbe servito a un cazzo far conoscere
qualcuno come lui ad una persona che si sentiva così sola da non
percepirsi esistente. Non servivo io così vicino a Sasuke che
arrivavo a simili pensieri, figuriamoci qualcun altro.
Sconosciuto. Qualcuno
che Sasuke potrebbe conoscere... L'indomani
mattina mi svegliai col messaggio di Sasuke nel cellulare che avevo
portato a dormire con me, vuota ingiusta deprimente sostituzione al
corpo tiepido di Sasuke sotto alle coperte. « Parla la checca,
buongiorno. » E col nome di Sakura tra le labbra.
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Capitolo 11 *** Sabati notte in cui facevo il coglione. ***
...salve,
gente! Ehm, sono un peletto (okay tanto) in ritardo, ma...ma...eh,
sigh, non posso dare giustificazioni valide mi sa, e se vi
dico che il capitolo era già pronto ma mi sono venute manie ipercorrettive e tre milioni di dubbi mi uccidereste. Con
questo aggiornamento torniamo alle tinte scure che caratterizzano
questa strana raccolta, Vi avviso già, torniamo ai mattoni
insomma! Ringraziate l'umore della sera in cui scrissi questa cosa
qui, e all'idea di un mio amico. Spero che Vi possa piacere e possa
farmi così perdonare per il ritardo. ♥
ci sentiamo nelle recensioni, ci conto! Oh, prima di lasciarvi alla
lettura, ci tengo a ringraziare tutti coloro che seguono – anche
silenziosamente – la storia, siete inaspettatamente non pochi.
Abbraccio. ♥
11 - Sabati
notte in cui facevo il coglione.
La
risata roca di Sakura, la mia collega carina, mi risuonava ancora
nelle orecchie e il mio sorriso doveva ancora essere ben stampato
sulle mie labbra quando scesi dalla macchina che avevo parcheggiato
davanti al cancelletto di casa. Avevamo cenato assieme dopo il
lavoro e ci eravamo divertiti parecchio, complici anche dei bicchieri
di troppo per entrambi e l'alchimia che avevamo a pelle, quella che
tre quarti delle volte ci faceva litigare e per il restante quarto ci
faceva stare assieme come due amici d'infanzia. Finalmente avevo
saputo del suo amore impossibile per qualcuno di cui non aveva voluto
dirmi le credenziali, della sua storia di infatuazione infantile fin
dai teneri tempi dell'infanzia per
uno che non l'aveva mai degnata di attenzione, del suo non riuscire a
vivere che amori ideali. Insomma: Sakura non concretizzava quasi mai
con un uomo, se lo faceva la relazione poi durava pochissimo; non
concretizzava mai con chi amava – almeno platonicamente
-. Non ci somigliavamo se non per il fatto che io concretizzavo
solo con chi amavo come lei. Però lei viveva al condizionale e
attraverso questo sognava e si disilludeva, io vivevo al presente e
avevo il passato e potevo - seppur con sofferenza visto
tutto - propormi un futuro
sempre di concretezza. Avevamo
parlato di sesso, lo avrete capito. Senza alcun imbarazzo, come due
amici maschi o due amiche femmine, dipende
dal punto di vista con cui un individuo ci può guardare.
Per quanto mi riguarda,
pensandoci ora mi sentivo così a mio agio perchè forse era come
starsene a chiacchierare con un lei e un lui in una stessa persona.
Qualcosa che non avevo mai provato. Sasuke era un uomo: al cento
per cento. Okay alcune sfumature più femminili ce le aveva, ma come
tutti. Non una propensione verso un genere più che un altro. Non
c'entrava un cazzo con il fatto che gli piacessero gli uomini. Era
forse uno dei pochi ad essere davvero facilmente catalogabile in una
qualche categoria, almeno di genere. Apparentemente. In
realtà tutta la sua matassa di pensieri mentali non era solo propria
del maschio, anzi. Interiormente Sasuke era una ragazza a volte
isterica, umorale, capricciosa, viziata, che riusciva a pensare
tremila cose in contemporanea, sensuale, fatale.
«
Porca puttana se non la smettono quei cani li ammazzo. Dio li ammazzo
giuro. » Sasuke. Mi immobilizzai con una mano sul cancelletto
mezzo aperto. Sasuke era seduto al centro del minuscolo giardino,
accanto al vialetto in ghiaia che ci aveva assestato la vecchia che
come manualità dava cento a zero ad ogni pseudo maschio, le
ginocchia rannicchiate fino al mento. ...Sasuke. Mi
sentii gelare il sangue nelle vene perchè quel sabato notte non me
lo aspettavo lì. Quel giorno avevo lavorato tutto il pomeriggio a
causa degli straordinari per prendere qualcosa in più a fine mese ed
ero partito in quarta quando Sakura mi aveva invitato a cena fuori.
Sakura non dava mai preavvisi, non era una da cerimonie, per nulla.
Non mi ero fatto alcun problema a dire di sì, sebbene l'immagine di
Sasuke mi fosse arrivata a galla insieme a mille pensieri, ma non mi
ci ero focalizzato. L'avevo visto la notte della discoteca e poi
era sparito per tre settimane, neanche un messaggio, niente di niente
mi era stato mandato, detto. Non ci avevo dormito le notti alla
ricerca del perchè tardasse tanto, sapevo essere andato nel suo
paese di nascita col fratello per il quindicesimo anniversario della
morte dei suoi genitori e per “il tour delle tombe”, ma non avrei
mai detto potesse occupare tutti quei giorni. Di certo c'era
qualcos'altro sotto e con chissà quale scusa Itachi l'aveva tenuto o
mollato lì nei soffocanti posti di origine, ma, anche se ero giunto
a ipotizzare ciò, mi ero detto che era inutile continuare a
ragionare inutilmente e dopo alcuni disperanti giorni ero tornato a
vivere respirando
per bene l'aria a pieni polmoni, curandomi di più del mio aspetto
fisico, ritardando di più il rientro a casa per stare in compagnia
della mia squadra. Ed ecco che quel sabato sera avevo accettato in
bomba l'invito della mia collega carina. Ci misi quella che mi
parve un'eternità ad entrare dal cancelletto; mi tremarono le gambe
mentre avanzavo verso Sasuke. Quando gli andai di fronte non alzò la
testa. « Cane di merda. » disse. Me la meritavo tutta tale
frase, mi meritavo anche peggio. Ricordo che pensai ad una macchina
del tempo e immaginai ossessivamente quanto sarebbe stato bello poter
tornare indietro solamente di qualche ora, per declinare l'invito di
Sakura – sono troppo stanco
oggi – e avere salva la
pelle. Anzi, la coscienza. Mi sentii tremendamente in colpa.
Rimasi senza parole se non uno “scusa” detto tra i denti,
vergognandomi proprio come un cane. Era la prima volta in un anno
e mezzo che non
volevo un sabato notte,
che mi rendevo conto di essere letteralmente scappato da Sasuke. Poi
invece pensai al fatto che era terribilmente ingiusto che io non
potessi prendermi le mie libertà, mai una serata fuori, che io non
potessi non volere, ma mi
sentii subito uno sciocco ed uno stronzo: Sasuke si sentiva così
sempre a causa di Itachi. Probabilmente, ma questo lo dico oggi
con l'occhio della lontananza,
stavo ereditando qualche suo modo di fare e vedere, qualche
comportamento distorto e pensiero malato; ma mi fermai subito. Presi
un profondo respiro e cercai di fare piazza pulita nella mia mente,
di visualizzare un foglio bianco, come anni prima mi aveva insegnato
la mia amica Hinata, la ragazza che gestiva il bar a pochi metri da
dove abitavo. Coraggio,
Naruto. «
Andiamo.» Afferrai
Sasuke per un braccio, non incontrai alcuna resistenza. Ma neanche
alcun segno di vita. Ormai avevo fatto la cazzata. Mi domandai per
quanto a lungo mi avrebbe considerato pari al nulla. Quando si
offendeva davvero con me di solito Sasuke mi guardava senza alcun
broncio ma con fare di sufficienza, si vedeva lontano un miglio che
non voleva darmi soddisfazioni. Era la mossa giusta con me, perchè
io ci morivo e rodevo dentro da paura. Fino a implorarlo tacitamente
di smetterla. Aveva bevuto, lo notai dal fatto che le sue gambe
non lo ressero dritto in piedi che qualche secondo, per poi
ondeggiare pericolosamente. Sarebbe caduto a terra non lo avessi
tirato a me forte forte. Fui lì lì per approfittare del momento
ed abbracciarlo, ma desistetti considerando quanto poco avrebbe
sentito
il mio abbraccio. Lo condussi in casa passetto dopo passetto come una
badante con la sua vecchia, portandolo direttamente in camera,
esaudendo in questo una sua richiesta non espressa. Si raggomitolò
subito sul letto, senza neanche degnarmi di un'occhiata. Non entrò
sotto alle lenzuola, rimase a lungo immobile su di un fianco ad occhi
spalancati. Probabilmente gli girava la testa, sicuramente non stava
focalizzando alcunchè della mia camera infantile, con la
gigantografia di alcune delle foto più belle di me e il nonno appese
alle pareti. Una foto in cui sorridevo all'obiettivo con tutta
l'allegria di cui ero capace, sotto ad un'ascella del nonno, era
proprio davanti a Sasuke. Sembrava che il me appena adolescente gli
stesso sorridendo dolce. Ora che ci penso: almeno lui, visto che io
non riuscivo neanche a sorridere un poco quella sera. « Scusami.
» ripetei prima di coricarmi sull'altra parte del letto, distante
quanto possibile da lui. Sapevo che non voleva che nemmeno lo
sfiorassi. Non seppi mai cosa aveva fatto e che era successo
durante le ore precedenti al suo arrivo da me, ma dedussi che doveva
aver litigato di brutto con suo fratello per tutto il giorno.
Talmente tanto che dopo aver fatto tappa in quel bar infernale e non
avermi trovato a casa, si era sedut0 sul prato umido e mi aveva
aspettato. In trance, forse. Forse con la sete matta di bere ancora,
con la voglia matta di farmi del male. Pianse nel sonno quel
sabato notte. Non fu la prima volta che lo vidi piangere mentre
dormiva, ma comunque fu un ascolto doloroso. Non riuscii a
svegliarlo. L'indomani mattina tardi lo accompagnai a casa nel più
rigido silenzio. Come volevasi dimostrare non se ne era andato prima
che mi svegliassi (alla fine ero rimasto sveglio tutto il resto della
notte ma feci finta di dormire), voleva vedermi,
beccarmi, farmi capire che che
non aveva problemi. Però fu un pezzo di ghiaccio, mi mise uno
sconforto addosso enorme. Così si comportava Itachi. Quella
domenica mattina mi resi conto che forse era troppo tardi. Il seme
malato si era naturalmente instaurato anche in Sasuke. Se solo
avesse voluto andare da uno psicologo senza fare storie per i soldi,
quante volte gli avevo detto che lo pagavo io intanto! Ma alla
fine mi rendo conto bene ora che lo psicologo non c'entrava un cazzo
in quei momenti. Era un appigliarsi a qualcuno di esterno che
risolvesse la sua, la nostra situazione, quando né io né lui
avremmo mosso un dito. Sasuke non avrebbe mosso un dito,
quantunque ci avrebbe provato con tutto se stesso ad uscire da quella
vita di merda. Avrebbe anche seguito tutti i consigli del mondo,
da lucido. Fa' quello, di'
questo e vedrai, piano piano andrà meglio. Ma
la merda sarebbe rimasta: di questo ero sicuro all'epoca; ma ero a un
passo da realizzare
dell'altro: la merda sarebbe rimasta continuando a rimanere
lì. Sasuke, in quell'appartamento col fratello, in quella città
col fratello, avrebbe potuto andare dal migliore psicologo di tutto
il mondo, seguire i migliori consigli, ma sarebbe durata poco la
vita normale. Dopotutto
viveva lì. Nella merda. Mi ci sarebbe voluta proprio l'aiuto
della mia collega carina per fare questa importantissima
constatazione, così apparentemente banale,
a pensarci adesso. Ci parlammo in un'altra delle nostre uscite,
questa volta a casa mia. E arrivammo dritti al punto di svolta, dopo
che io le avevo parlato senza remore e a lungo di
un mio amico. “Deve andare via.” Vi
avevo detto, no, che Sakura sarebbe stata la chiave di svolta? Mi
ci vollero parecchi giorni per definire il mio pensiero, ma ben
presto mi convinsi fortemente di quel fatto. “E
come, Sakura? Come?” Sakura
aveva sorriso mentre si voltava piano a fissare gli occhi nei miei:
“Lo puoi portare via tu.”
aveva detto col tono più
calmo del mondo. Più definitivo, eppure. Avrei dovuto portarlo
via da lì.
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Capitolo 12 *** Sabati notte felici. ***
Buona
sera ragassuoli, come state? ♪
Qui non mi diverto molto ma...fortuna che riesco a trovare un po' di
tempo notturno per scrivere un po'... il mondo è grigio grigio
intorno a me ultimamente, anche li? Mah, ho solo bisogno di coccole.
>_<. Bè, detto ciò...mi scuso se non ho risposto alle
recensioni, prima ero arci convinta di averlo fatto e appena stavo
per pubblicare mi rendo conto che no, non l'ho fatto, quindi questa
testa quadra - se riesce a sopravvivere alla pesantezza dell'essere
di uno studio inutile – risponderà prossimamente ai commenti di
questo capitolo. Sperando ce ne e siano e magari anche qualcuno in
più? Ma siete tutti timidi/pigri/amorevolmente anonimi come la
sottoscritta? XD Avanti! No, dai, non obbligo nessuno. Anzi abbraccio
quelle anime pie che seguono/preferiscono/ricordano la fanfic, è
molto per me. In ritardo sul compleanno di Naruto, gli dedico
questo aggiornamento che dopotutto, come vedrete, gli dona un bel po'
di felicità. Naruto se la merita tutta tutta tutta. E io lo amo. (L)
Auguri in ritardo, bakaaa. Buona lettura, perdonatemi eventuali
sviste. A presto, abbraccio.
12
– Sabati notte felici. Non avrei mai pensato che Sasuke
potesse raffigurare l'emblema della tenerezza. Mai. Nè
avrei mai pensato che in tutta la mia vita avrei visto Sasuke in
versione vomitevolmente fluff. Sembrava uscito da quelle
storie che mi leggevo su un sito internet ogni tanto per passare il
tempo, vecchio retaggio di una mia passione adolescenziale; intendo
certe storie di genere fluff/sentimentale che ogni tanto mi sparavo
per calmare la mia mente vorticosa, magari quando avevo litigato
proprio con lui. Inoltre non avrei mai pensato che dopo tutto ciò
che era successo tra noi e tra di noi a furia di sabati notte
infernali mi sarebbe stata concessa la gioia di un sorriso ameno.
Ameno ma sincero come quello che stavo osservando. Mostruosamente
appariscente. Un altro inaspettato sorriso per un'altro momento
positivo concessomi da qualcuno lassù. Mi sembrava anche di
sapere da chi proveniva tale regalo divino! Perchè per me tutto
ciò che aveva a che fare con “Sasuke che stava bene” era, ormai,
un dono dato da forze più grandi di me, visto che ormai i tentativi
di positivizzare la maggior parte delle nostre giornate erano
fallaci. « Miciiiiiini! » Avete presente quando la duchessa
ne “Gli Aristogatti” chiama i suoi gattini che sono stati rapiti
dal maggiordomo? Credo che quando urlai quella parola allungando le
“I” quanto possibile a toni altissimi fossi risultato
praticamente identico a lei. Mi trovi incredibilmente simpatico, e
ancora adesso a ripensarci mi diverte la cosa. Così come mi diverte
rivedermigli Aristogatti una tantum, come una volta facevo con lui.
Era il nostro film preferito. Mentre aspettavo che Sasuke si
voltasse verso di me per urlarmi contro qualcosa mi balenò per la
mente l'idea pressante che avremmo potuto davvero, una sera di
quelle, vedere gli Aristogatti. Dopotutto erano due lunghissimi anni
che non lo facevamo. Probabilmente avrei dovuto aspettare prima di
disturbare Sasuke e il gattino. Teneva il micio sulle ginocchia e
lo accarezzava ripetutamente dietro le orecchie, o gli lisciava il
pelo, e il micio in cambio gli donava fusa e pane. Appena avevo
varcato la soglia del salotto, correndo per paura che nel lasso di
tempo che avevo lasciato solo Sasuke col micio potesse succedere
qualche putiferio tra i due (del tipo che Sasuke graffiasse il gatto
o lo lanciasse fuori dalla finestra, o viceversa), mi ero trovato
davanti quella scena dolcissima e mi ero immobilizzato vicino alla
porta come uno spettatore nascosto. Sasuke non aveva fatto altro
che accarezzare il gatto il quale non aveva fatto altro che fargli
fusa, miagolargli e pigiargli le piccole zampe sulla pancia. Avrei
pagato oro per vedere la faccia di Sasuke in quel momento, ma
purtroppo ero alle sue spalle. « Coglione, si stava assopendo. »
Non si voltò, prese il micino che sembrava l'essere più
contento del mondo e se lo accomodò meglio sulla pancia piatta. Il
micio in risposta gli diede una leccatina sotto a un'ascella. Sasuke
trattenne a stento una risatina, ma io ero sicuro che fosse stato lì
per farla, riconoscevo i colpi falsi di tosse dei miei polli. Mi
presentai tutto tronfio davanti a loro, le braccia
incrociate. « Siete tutto a posto? » Sasuke alzò la testa,
finalmente, ad osservarmi. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, ma
stonavano assai con le guance insolitamente velate di un tocco color
porpora. « Quindi di chi è questo essere puzzolente? » Fece
una smorfia e scosse la testa, appoggiandosi meglio con la schiena
allo schienale, per tenere la testa più elevata possibile dal gatto
che, a quel movimento, mugugnò qualcosa infastidito. « Purtroppo
i vicini dicono che non è loro né hanno mai visto girare un gatto
del genere per la zona... » dissi e cercai di ricordare le parole
che mi erano appena state dette da chi abitava vicino a noi. Una
donna di mezza età della casa adiacente alla nostra mi aveva detto
che il gattino probabilmente doveva essersi perso da non molto
lontano, visto che sembrava in ottime condizioni, ma proprio non
aveva idea di chi fossero i proprietari. Probabilmente qualcuno del
condominio alla fine della via, qualche nuova coppia, chissà! Naruto
aveva ascoltato tutto attentamente, ma non sapeva che pensare, o
meglio, che giudizio formulare. Quando tornato dal lavoro l'avevo
trovato a piangere come un pazzo in mezzo al giardino di casa, non ci
avevo pensato su un attimo e mi ero fiondato ad accarezzarlo e
prenderlo in braccio. E quando nel braccio il gattino rosso aveva
cominciato a farmi le fusa, non ci avevo visto più dalla gioia e me
l'ero portato dentro tutto felice. Lo avevo sfamato, dissetato e
gli avevo pure pulito un po' il pelo dalla terra e da certi rametti
microscopici che ivi si erano impigliati. Dopo aver lasciato il gatto
a dormire su di una cesta che gli avevo preparato immediatamente
fuori dalla porta di casa, mi ero seduto sul divano stanco morto, e
avevo acceso la televisione su di un canale di sport, come sempre
dopo una giornata di lavoro, per rilassarmi un attimo; ma quando
avevo chiuso gli occhi per addormentarmi, ecco delle urla provenire
da fuori, prima deboli poi insistenti e degli strani rumori alla
porta. Presi un colpo prima di realizzare che non erano i ladri ma
qualcos'altro. Inutilmente avevo quindi sperato che,
attendendo mezz'ora, il gatto si quietasse. Più miagolava disperato
più tristezza in corpo mi metteva, tanta tristezza che persino il
telegiornale sullo sport e sul calcio mi metteva una voglia di
piangere assurda. Così mi ero alzato ciabattando e mi ero diretto
verso la porta, pronto già a spartire il divano con un micio
affamato di coccole e calore... « Che. Cazzo. Sta. Succedendo.
Spiegami. Che è sta roba urlante che stavo per pestare davanti casa
tua. Naruto, esigo una spiegazione. Subito! » ...e mi ero
ritrovato in faccia il volto ed il sopracciglio alzato di Sasuke.
Più o meno, era andata così. Ed eccomi ora ad avere a che
fare con un gatto ed un Sasuke nuovamente accigliato. « Cos'è
'sto tono fatalista? » grugnì Sasuke cercando di alzarsi dal
divano, scivolando alla sua destra di modo che il gatto si ribaltasse
sul cuscino alla sua sinistra, cosa che non avvenne perchè a quanto
pare quella piccola palla di pelo era troppo rincoglionita per avere
i riflessi di non cadere dal divano, spanciato. « Ma che gatto
stupido è poi? » fu il repentino commento di Sasuke che si
inginocchiò e lo recuperò, portandoselo al petto. Osservai
rapito quella scena e mi sentii invadere dalla stessa sensazione di
dolcezza che mi aveva impregnato pochi minuti prima allorchè avevo
varcato la soglia del salotto. Sospirai di contentezza e « Per
oggi resta qui. » dichiarai avvicinandomi a loro. Sasuke
mi fulminò con lo sguardo e stese le braccia per passarmi il gatto.
« Tieni, il tuo nuovo Amore. » Presi il gatto in braccio che
subito si aggrappò spaventato ad una mia spalla, roba che mi
graffiasse a sangue. Lo restiuii un po' offeso al « nuovo papi » e
Sasuke, benchè innervosito e contrariato, riprese il micio con sé e
se lo portò appresso in giro per la casa fino alla cucina. E come
stava buono quel furbo peloso! « Quindi stanotte la passa con
noi? » Raggiunsi Sasuke in cucina e strabuzzai gli occhi a
vederlo che mi puntava addosso una forchetta. Cercai il gattino con
lo sguardo e lo trovai ai suoi piedi, si stava strusciando sulle sue
gambe. « Quindi ceni e dormi da me?! » chiesi subito in un moto
di pura contentezza, sentendomi già sorridere a trentadue
denti. Quella era una sorpresa, per me, una gran sorpresa! Quel
sabato pomeriggio non lo aspettavo, sapevo che doveva rimanere a casa
essendo Itachi in viaggio di lavoro, invece era giunto da me. Fu
come essere invaso da tanti raggi luminosi che mi trapassavano da
parte a parte riempiendomi di sensazioni calde. Era da tanto che
non tornavo a casa dal lavoro e mi ritrovavo così felice. Ricordo
che era il 15 ottobre, lo ricordo perchè fu un gran bel ritornare
a casa.
Ronfavano
uno meglio dell'altro, la luce della tv illuminava i loro musi
rilassati e i loro corpi sfatti che io stavo osservando con
particolare attenzione attraverso lo schemo del cellulare. Stavo
cercando di scattare loro una foto ma quel dannato apparecchio
decrepito che mi rirovavo come telefonino non ne voleva sapere di
scattarla, continuando ad impallarsi ad ogni mio tentativo. Era
davvero uno spasso poter assistere ad una scena del genere e non
volevo assolutamente perdermela! Mi sembrava che la mia fortuna di
quel pomeriggio fosse del tutto in ascesa e volevo catturare almeno
una prova tangibile del fatto che anche Naruto Uzumaki, ventidueenne
con una marea di problemi fuori e dentro di sé, poteva avere delle
ore completamente serene. Di quel 15 ottobre che giungeva
al termine ricordo la placidità con cui scorrevano i minuti, come
non volessero arrivare alla conclusione di un ciclo di ventiquattro
ore per ricominciarne un altro ma volessero restarsene immutati a
fare da sfondo ad un'eterna bellezza. Bellezze eterne
erano Sasuke e il gatto abbracciati l'uno all'altro sul divano. Li
sentivo miei entrambi, mentre li osservavo, provavo la sensazione
appagante di sapere di essere in possesso di cose rare e bellissime.
Probabilmente stavo pensando che erano solo miei, quei due –
mettevo già dentro nel pensiero il micio, come avrete notato avevo
il cuore duro come un cioccolatino al latte e già l'intenzione di
non lasciarlo andare via – miei e di nessun'altro. Il suono
proveniente dal televisore alle mie spalle coronava in modo perfetto
quei momenti in cui me ne stavo in pura contemplazione, momenti che
avevano il gusto di una famiglia che una volta ogni tanto si riunisce
sul divano a vedere un programma in tv tutta assieme, nel calore
reciproco. Riconobbi dai suoni quale pezzo del film lo schermo
stesse mistrando alle mie spalle, stava per partire il finale degli
“Aristogatti”, il mio pezzo preferito del quale ogni volta
cantavo la canzone a squarcia gola e ridendo come fossi ancora un
bambino di sette anni che vede quella meraviglia di film per la prima
volta. Ebbi la tentazione di alzare il volume ma poi mi ricordai che
stavo armeggiando con il cellulare e desistetti dall'idea. Finalmente
il vecchio si decise a fare la fottuta foto che rimase per
qualche secondi fissa nello schermo a mostrarsi in tutta la sua vena
fluff ai miei occhi umidi di contentezza. Mi accertai che la foto
fosse salvata e poi misi in tasca il cellulare. Stavo per
risedermi sul divano, con molta delicatezza, quando mi sentii tirare
per un braccio e sul divano ci finii catapultato. Mi feci pure male
andando a cozzare contro qualcosa di duro. Scoprii che la cosa
dura era una spalla di Sasuke che mi aveva tirato per un polso. «
Si può sapere cosa hai combinato? » Aveva la voce impastata di
sonno e pur sentendo addosso tutta l'aura temibile che Sasuke tentava
di mandarmi, non potei fare a meno di sorridere al sentire tale voce
assonnata. Nella mia mente le scene fluff continuavano a riempirsi di
particolari e credo che stavo per arrivare a un punto in cui mi
sarebbe andato in tilt il cervello per i troppi zuccheri mentali, se
solo Sasuke non avesse deciso, di lì a pochi secondi, di movimentare
un po' la serata su decisamente altre corde. « Oh ben svegliato!
» esclamai e facendo un po' di forza cercai di girarmi per guardarlo
in faccia ma Sasuke mi cinse la pancia con un braccio,
intrappolandomi addosso a sé. Il suo corpo era caldissimo. Mi
ritrovai ad appoggiare il gomito su qualcosa di ancora, se possibile,
più caldo e guardando con la coda dell'occhio alla mia destra
scoprii che si trattava del gatto. Gli avevo appoggiato un gomito
sulla pancia, essendo questi ben piazzato da circa dure ore sulle
gambe di Sasuke. « Credi non lo sappia già di mio? » « Di
cosa stai parlando? » « Hai fatto talmente tanto casino che era
impossibile non me ne accorgessi, a cominciare da quando ti sei
alzato dal divano come fossi una balena anziché un uomo. » Il
respiro di Sasuke mi stuzzicava l'orecchio facendomi venire dei
brividi intensissimi, più parlava e più mi faceva il solletico col
suo respiro tiepido sul collo e sull'orecchio. Era un solletico
piacevole, che conoscevo. Era una di quelle volte in cui ero
particolarmente sensibile ai tocchi di Sasuke. C'erano delle
volte, infatti, in cui mi bastava un semplice bacio a stampo sul
collo da parte di Sasuke per partire a dimenarmi per i brividi, preso
da un'eccitazione subito fortissima. Succedeva quando ero troppo
stanco o quando non ero toccato da lui da un bel po' di tempo. Erano
volte molto pericolose, poiché – se era lucido – Sasuke capiva
subito la mia debolezza e cominciava a stuzzicarmi a più non posso.
Erano sempre serate positive, di norma, quelle in cui mi
ritrovavo ad essere come una ragazza alle sue prime esperienze intime
con l'altro partner. Le
ricordo come tanti colori pastello accostati l'uno all'altro, tempere
su un foglio a carta ruvida, macchiati qua e là da qualche
pennellata rossa, simbolo – che solo io e lui sapevamo interpretare
- di una passione che sarebbe nata presto dalla mia apparente
ingenuità e purezza. « Mpf e sentiamo cosa vorresti farmi adesso
che l'hai scoperto? » gli domandai appoggiando una mano sul braccio
che mi cingeva la vita. « Hai intenzione di cancellare la foto? A
tuo rischio è pericolo...ci vorranno come minimo un altro paio di
orette per compiere suddetta operazione... » dissi tutto d'un fiato
cercando di darmi un contengo e ridacchiai. Presi istintivamente
ad accarezzare il braccio di Sasuke, disegnando tante piccole forme
passando il dito sul tessuto nero della sua maglietta a maniche
lunghe nere. Era un tipo di maglia che gli donava parecchio,
stendendosi morbida sul suo busto scolpito, dando l'idea di comodità
e freschezza assieme. Adoravo quando la indossava, mi rendeva fiero
della sua bellezza. A pensarci adesso, capisco che ero talmente
tanto innamorato
da avere dei capi di abbigliamento suoi
preferiti, da conoscere a memoria ogni suo abbinamento e vestito, da
ricordare a memoria ogni singola sensazione data alle mie mani da
ogni singolo tessuto da lui portato addosso. E' una cosa che a
dire il vero ho ancora adesso, questa di fare molto caso agli
indumenti di chi amo. L'ho sempre avuta, è come un tratto della mia
personalità. Ai giorni d'oggi ad esempio conosco a memoria ogni
tutina di mio nipote,
e so di preciso – già al tatto – se sta indossando quella che
gli ho regalato io. Ma... Ma tale osservazione c'entra poco con quel
15 ottobre che sto ricordando, quanto so divagare! Perciò ritorno
diligentemente con la mente a ciò che accadde nei momenti
immediatamente successivi alla mia risposta a tono forzatamente
contenuto, altrimenti rischierei di dirvi cose che forse farebbero
perdere il filo del racconto non solo a me, ma anche a voi; ammesso
che un filo esista. (Mi è stato però detto che non importa se non
seguo un filo logico, basta racconti, tutto, devi
raccontare tutto – mi è
stato continuamente ripetuto da chi mi ha seguito
la testa per un paio di anni e
io non me la sono mai sentita di non seguire ciecamente quel
consiglio. Stavo troppo
male.) « Ti voglio fare
del male, ovvio. » soffiò Sasuke nel mio orecchio, morse la
cartilagine e io scoppiai in un urlo di dolore che fece sobbalzare e
scendere il gatto dalle gambe di Sasuke. « Cattivo l'hai fatto
scendere! » esclmai guardando gli occhi luminosi nel semibuio del
gatto che ora se ne stava davanti a noi sul tavolino che di solito
funzionava da appoggiapiedi di fronte al divano. « Era ora,
..così ho libertà
di movimento. » Sasuke mi immobilizzò entrambe le mani
stringendole sotto ad una delle sue contro alla mia pancia, con
l'unica sua mano libera cominciò a scendere verso la cintura dei
pantaloni. Sapevo benissimo dove voleva andare a parare, provai a
dimenarmi ma davvero non avevo voglia di resistere. Neanche giocare a
resistergli mi allettava quella sera in cui avevo unicamente voglia
di entrare definitivamente in possesso della mia rinnovata luce, ergo
il mio migliore amico, il mio amante, tutto. Entravo definitivamente
in possesso di lui tramite la sua possessione di me. Suona molto
come un concetto filosofico e contorto, ma a conti fatti fu molto
semplice. Volevo che lui entrasse in me quella notte e volevo che il
mio corpo lo facesse godere come non mai, così mi sarei sentito
appagato assieme a lui, avrei sentito che quell'atto di sottomissione
non sarebbe stato che bellissimo, puro nella sua palese volgarità ai
più, una possessione non macchiata dalle scure tinte della non
lucidità. Sasuke non aveva toccato alcool. A cena avevamo bevuto
mezza cocacola in due. Ammetto di essere stato attento a non tirare
fuori dal frigo il vino secco che mi aveva lasciato Jiraya da un suo
viaggio in Italia pochi giorni addietro, prima di ripartire per la
Francia. (Vero vino Italiano! - aveva detto – dall'estremo oriente
dell'Italia!) Non lo avrei mai fatto provare a Sasuke, avevo
paura. « Cazzo fai? » dissi ma chiusi gli occhi quando la mano
di Sasuke si insinuò sotto alle mie mutande, resistendo alla
pressione che l'elastico dei pantaloni faceva su di essa. Aveva le
dita fredde. Quelle dita trovarono il mio cazzo giù duro come il
marmo del pavimento su cui poggiavamo i piedi. Sasuke mugunò nel
mio orecchio, prima di darmi un bacio sul collo, vicino alla
mascella. Non capii cosa disse, ma suonò come una risata soffusa
mischiata a qualche quadrisillabo del tipo “sapevo”. Sorrisi,
anche se lui non poteva vedermi. « Coccolo un certo micio, no?
» Mamma, papà, ma me li
fate apposta questi scherzi? Farmi piombare in una situazione tipica
del me adolescente... io una scena così l'ho già vissuta sette anni
fa!! Vedere un film sul divano con Sasuke, il sabato sera; Sasuke che
si addormenta, io che lo fisso, lui che mi blocca a sé, io che mi
dimeno, inutilmente. Lui che mi vuole, ribollendo di eccitamento
almeno quanto me. Un televisore che non ha più niente da dire, il
placido buio attorno a noi, un buio che da sicurezza perchè siamo
uno attaccato all'altro, caldi e infuocati. Mamma, papà, ma non vi
vergognate un po' ogni tanto? Chi è stato a voler ciò, tu mamma?
Non è che poi spifferate tutto al nonno? Quella volta, sette anni
fa, c'è mancato poco che lo scoprisse! Papà, ma non ti vergogni di
cosa mi sta facendo Sasuke? Ma poi, mi chiedo cosa mai vi stia
dicendo, non mi vergogno? Mamma, papà, mi sentite? Sono felice, mi
sentite? Mamma, papà? Cominciò
con movimenti lenti, il mio cazzo nel suo palmo. Su e giù, sotto
alle mutande, la sua mano avvolgente il mio cazzo. Ero perso in me
quando sentii che Sasuke velocizzò la velocità, lo capii dai miei
muscoli tesi e dal suo respirare affannato, dal fatto che stavo
stringendo le unghie contro alla pancia, inficcandole quasi nella
pelle, sotto alla sua mano che le teneva bloccate. Mi risvegliai
dal torpore in cui ero piombato, avevo un “mamma” tra le labbra,
forse pure vi uscì, e Sasuke lo sentì. Non so, non lo saprò
mai. Fu un'esperienza strana, definirei mistica anche se...di
esperienze così, all'epoca, ne avevo tante. Ne avevo sempre avute,
tanto che anni prima mi ero convinto di possedere il famoso sesto
senso, di essere particolarmente sensibile,
di poter davvero reputarmi poteri soprannaturali. Ora ero cresciuto
ma...quei momenti mistici rimanevano, un po' come certe domeniche
mattine mistiche con Sasuke che forse, accanto a me sul letto, aveva
raggiunto il nirvana. Quando aprii gli occhi mi ritrovai lo
schermo del televisore illuminato senza la minima immagine in
sovraimpressione, ero sommerso in una luce elettrica eppure buio. Il
cuore batteva forte in petto, sembrava volesse uscire e farsi due
corse in giro per il salotto e invece rimaneva lì a martellarmi
nelle orecchie. « Non ce la fai più vero? » Ero al culmine,
annuii. Non mi lasciò venire, smise di masturbarmi di colpo e
lasciò andare la presa che mi attanagliava la pancia. «
Bastardo... » mormorai a voce roca, e mi alzai di scatto dal divano.
Presi per un polso Sasuke e lo costrinsi a fare altrettanto. «
Avanti, continua a divertirti un po'. » aggiunsi e mi piegai in
avanti appoggiando le mani allo schienale del divano, lasciando
andare il peso del corpo su di esso. Sasuke aderì col proprio
corpo al mio, da dietro. Sentii il suo cazzo da sotto i suoi
pantaloni premere tra le mie natiche. Il tessuto non era mai stato
tanto fastidioso, ironia della sorte. Andava tolto di mezzo, volevo
sentire il suo membro caldo tra le natiche, strusciarsi e poi
entrare, anche di colpo. Non mi importava del male. A ripensarci
ora, credo di esser stato davvero un pervertito in quei miei
pensieri. Ma forse mi fa pensare ciò il senno di poi. Incredibile
come in quel presente io fossi completamente avulso da ogni pensiero
in merito all'atto che compivo. Non ci facevo caso se mi piegavo a
novanta per farmi penetrare a secco dal mio uomo, se lo lasciavo
chinarsi su di me e prendermi il cazzo nella stessa mano che l'aveva
fatto godere pochi istanti prima, se continuava a strusciare quel suo
grosso membro tra le mie natiche, facendo tentativi poco convinti di
provare ad addentrarsi nella mia carne. Facevo caso solamente alle
sensazioni che mi arrivavano e che davano. Nella bieca luce di una
televione che non ha più alcunchè da dire io fremevo di eccitamento
nell'attesa che si compisse la nostra unione. Non parlammo più,
ma era nostra abitudine, specie nel passato. Ci scambiammo solamente
due battute, quella notte prima di dormire, ma successe dopo,
successe quando, ormai io ero venuto da un bel pezzo macchiando il
divano e la mano di Sasuke. E Sasuke era venuto in me, macchiandomi
fino alle gambe. Finalmente Sasuke entrò in me. Non nascondo che
fece male, un dolore lancinante come tante fitte che ti pervadono
ovunque ma concentrate lì, nel mio ano, ma subito il piacere
provocato da quell'intrusione potente superò ogni dolore, come era
prevedibile. E mi ritrovai a chiedere subito di più. Sasuke
rispetto a quanfo facevamo sesso quando non era sobrio– quelle
poche volte – era molto più convinto seppur meno violento, però
sentivo che anche lui non stava riuscendo molto a resistere. Ma poi:
a che cosa stavamo resistendo? C'era come un tacito accordo che
dovessimo andar piano,assaporare ogni attimo di noi uniti, perchè
era bello così e così andava bene, dopotutto eravamo insieme come
una volta. Esattamente come
una volta... Eppure il
tacito accordo – fortunatamente – cadde in breve, Sasuke cominciò
ad entrare ed uscire da me con forza, a far scorrere il suo cazzo in
me con velocità sostenuta e alimentata dallo stesso scontrarsi dei
nostri bacini nudi. A vedere ora la scena mentalmente, rivedo i
nostri pantaloni che arrivavano fino a metà ginocchia, e mi sorge
spontaneo il parallelo con i pantaloni dei Sasuke e Naruto
adolescenti, che non avevano quasi mai né il tempo né la
possibilità di spogliarsi del tutto e perciò ci si tirava giù gli
indumenti di ostacolo in fretta e rimanevano lì, a metà gambe. Quei
pantaloni ora mi fanno tenerezza, abbassati a metà gamba, buffi e
goffi ci facevano sembrare. Eppure ci credevamo i più supereroi
dell'universo, e anche quella sera di metà ottobre fu così. Ci
ervamo pure completamente dimenticati del gatto, che pure era stato
un elemento essenziale a quella ritrovata armonia tra di noi. Ora so
che se ne stette a dormire da qualche parte su una sedia sotto al
tavolo del salotto per tutta la notte fino all'arrivo dell'alba
quando ci venne a svegliare, ma quella notte me ne dimenticai
completamente. Fu l'unico testimone del nostro atto sessuale,
l'unico – oltre a Sasuke – che sentì il mio urlo di piacere
allorchè Sasuke mi impalò sul divano, costringendo le mie mani a
stringere talmente forte lo schienale in pelle per farmici appoggiare
che mi si ferirono scivolando sulla pelle lucida. Fu l'orgasmo più
intenso che ebbi dopo molto tempo, quello che ebbi nella mano di
Sasuke poco dopo che questi era venuto in me. Non dissi alcunchè,
sorrisi anche se lui non poteva vedermi. Sentivo i suoi capelli
umidi sulla mia nuca, il suo respiro caldo sul collo e nell'orecchio.
Si era appoggiato a me stremato ed ansimante, ora che tutta la
tensione muscolare era scemata. Mi sentii invaso per l'ennesima
volta da un'onda di terenezza che mi fece girare leggermente la testa
alla sinistra di modo che potesse cozzare contro quella di Sasuke,
volevo dargli un piccolo buffetto. Era caldo e sudato il corpo di
Sasuke su di me, era dolce, dolcissimo. Una
dolcezza che non ho più sentito, forse perchè proveniva da tutta
una serie di piccoli avvenimenti di una giornata fortunata che non
avevamo da tanto perchè tanti altri grandi avvenimenti non l'avevano
permessa. Mi convinsi solamente del fatto che qualcuno lassù
doveva averci visti e ci stava vedendo e arrossii. Ora sì,
finalmente di nuovo conscio. « Naruto... » la voce di Sasuke era
sommessa, roca come piaceva a me. « Che c'è? » « Non
lasciarmi mai... » Si spense in un fievole tono, poi il
silenzio. Continuai ad arrossire per diversi minuti mentre
assaporavo che timbrica avesse la mia felicità.
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Capitolo 13 *** Una giornata perfettamente normale. ***
Salve gente, non
dico niente sul ritardo...che è meglio. Piuttosto mi scuso,
inchinandomi a Voi che avete dovuto attendere così a lungo. Spero
con questo capitolo di ripagare almeno un poco le vostre attese...
Che dire, è un capitolo diverso, non si tratta di un sabato! Non
svelo altro ;) Buona lettura, grazie a quanti stanno seguendo questa
storia *__* Bidirezione
Una giornata perfettamente
normale.
Avevo sempre
ascoltato le canzoni di un autore che ai più non era mai piaciuto, e
con i più intendo quelli della mia generazione. “Che schifo”,
“Ma che è sta roba melensa?” “Vogliamo parlare dei testi?”
tutte domande che mi ero sentito fare ogni volta che avevo proposto
qualche canzone di questo autore ai miei amici, conoscenze o
chicchessia. Fino a che avevo deciso di tenermelo per me, il mio
cantante preferito, perchè tanto nessuno ci capiva un accidente.
Quello che vedevo io sentivo io nelle sue canzoni nessun altro lo
vedeva, se non quelli forse come me perchè legati a qualche ricordo
che, in una maniera o nell'altra, aveva avuto quella determinata
canzone di sottofondo. Così avevo preso ad ascoltarlo con le cuffie
nelle orecchie o a pieno volume nella “sala della musica” del
nonno al piano di sopra. Gelosamente ascoltavo canzoni che arrivavano
a toccare corde di me che nessun altra cosa al mondo – nemmeno
Sasuke - riusciva a toccare. Si trattava di vera e propria
musicoterapia. “Non è che vuoi entrare in qualche specie di
trance mistica tu?” mi domandò un giorno il nonno trovandomi steso
sul divano, chiuso dentro nella saletta con la canzone preferita del
mio album preferito del mio autore preferito a pieno volume. Avevo le
lacrime agli occhi quando risposi che “Musicoterapia, nonno. Non la
trovi una cosa figa?” Nonno non mi rispose e scosse la testa
mentre usciva dalla stanza, dimenticandosi di chiudere la porta.
Avrei voluto chiedergli se a lui quell'autore piaceva, stavo quasi
per rincorrerlo perchè dopotutto era la mia ultima possibilità di
trovare qualcuno per cui quell'autore valesse come valeva a me,
ancora più di tutto l'oro del mondo; ma le noti trascinanti e
malinboniche della canzone mi fecero rimanere incollato al divano e
quella domanda non gliela feci mai più, anche se avevo un sentore
che a lui quell'autore in un modo o nell'altro lo conoscesse, gli
fosse familiare. Avevo la sicurezza, mentre mi lasciavo cullare
da certe canzoni, di ritrovare una casa, una famiglia, un'atmosfera
che avevo avuto in passato. E mi si scioglieva quel groppo alla gola
che spesso mi mozzava il respiro e incominciavo a piangere come un
bambino. Avevo quindici anni quando scoprii che certe canzoni ti
riportano indietro negli anni, nei ricordi, tolgono da te ciò che
c'è di oscuro, oltre che di positivo, mescolandoli a volte, creando
mix letali eppure benefici. Scendevo giù in cucina dal nonno più
leggero e più riposato, seppur stordito a livelli incredibili, visto
quanto se la rideva il nonno mentre lo aiutavo ad apparecchiare la
tavola. “Ti va di mangiare uova?” “Uh si, ideona!” Ma
poi cominciavo a parlare delle solite cose col nonno e anche la più
remota, ultima, possibilità di porre quella domanda al mondo veniva
meno. Io e quell'autore eravamo definitivamente destinati a
rimanere legati senza che il mondo potesse intromettersi. Cominciò
così la mia dipendenza dall'autore della mia vita. A ripensarci
ora, a 14 anni ero un ragazzino proprio strano. Musica malinconica
e soave, testi semplici metaforici ed infantili, grandi cori gospel o
sussurrati, simpatie di giochi linguistici: ecco tutto ciò che
adoravo in un brano musicale. Eppure quel mix mi piaceva: toccava
cose dentro me, l'ho già detto, cose che avrei scoperto meglio più
avanti. La vera musicoterapia sarebbe arrivata molto, molto più
avanti. All'epoca ero esclusivamente un bambino strano, che andava
in cerca di emozioni nella sua stessa casa, in compagnia di se
stesso.
Tutto
qua.
«
Che ci faccio qui? » Guardai Sasuke c0n l'espressione più
sconfortata di cui ero capace, roteando poi gli occhi in giro per il
corridoio gremito di persone. « Me lo sto chiedendo anche io, in
effetti. » Riflettei intensamente sul fatto che mi trovavo in
una sede universitaria, o meglio: nell'università che frequentava
Sasuke. Stavo aspettando facesse l'esame. Aspettavamo da quaranta
minuti e del professore neanche l'ombra. La gente attorno a noi
sembrava dovesse andare al patibolo o a combattere tra gladiatori,
l'atmosfera era così tesa che avevo tutto un brivido lungo il corpo.
Fortunatamente c'erano quei due - tre individui con un'aurea più
tranquilla che guarda a caso erano in piedi vicino a me e Sasuke. Con
un ragazzo col codino ci avevo pure parlato un po', ascoltando come
se ne sapessi qualcosa il suo affermare che la materia che aveva
studiato per quell'esame era stata la cosa più noiosa che avesse mai
incontrato dopo la sua fidanzata. Mi faceva strano trovarmi in
quell'ambiente, e all'inizio mi ero sentito davvero a disagio: tutti
studenti prossimi alla laurea e io in università non ci avevo mai
messo piede prima! E soprattutto l'ultima volta che avevo studiato
davvero qualcosa era stato per l'esame di maturità, due anni e mezzo
prima. « Ma sono andati a farsi l'aperitivo? » domandai cercando
lo sguardo non solo di Sasuke ma pure del ragazzo col codino, che mi
pareva si chiamasse Shikamaru. Questi ridacchiò appena annuendo, poi
alzò le spalle e « un classico.» disse con aria stanca. Tornai
ad osservare Sasuke che sul volto dall'espressione composta tradiva
un velo di ansia, glielo notavo dal modo in cui socchiudeva le labbra
o risucchiava le guance, dagli occhi un po' troppo spalancati. Non
sapevo come confortarlo in una situazione del genere, perciò dissi
la prima cosa che mi passò in mente. « Andrà bene, vedrai
» Ovviamente non feci altro che irritarlo di più. «
Ovviamente non serve che me lo dici tu. » sussurrò senza farsi
sentire da Shikamaru che comunque aveva preso a fissare fuori dalla
finestra, perso in chissà quali pensieri. Mi faceva strano pure
vedere Sasuke nell'ambiente che lo aveva rubato un po' a me in quegli
ultimi due anni. Il suo seguire i corsi era stato un po' uno choc i
primi tempi, abituato come ero a vederlo ogni giorno. Ma poi avevo
preso a lavorare a tempo pieno dal nonno in agenzia e lo choc era
stato sostituito da un senso d'abitudine e dalla certezza che ci
saremmo visti ogni weekend. Credo che pure per Sasuke i primi
tempi di allontanamento da me furono non facilissimi; a volte metteva
dei bronci incredibili senza apparente motivo, quando ci rivedevamo
il sabato pomeriggio o sera, e poi venivo a scoprire che era perchè
non avevo risposto a un suo messaggio e inutilmente gli dicevo che
era perchè all'agenzia non avevo un minuto. Sia chiaro, non me lo
dava a vedere che gli mancavo, non sarebbe stato da lui, ma quei
bronci e certi suoi sabati possessivi mi avevano sempre fatto capire
che all'effetto della lontananza non era estraneo nemmeno lui.
C'erano dei sabati notte in cui il suo corpo parlava da solo, si
trattava di quelle volte in cui mi sentivo desiderato in una maniera
così appagante da farmi dimenticare di colpo tutta la stanchezza e
la frustrazione di un'intera settimana passata lontano da lui e
vicino ai problemi fastidiosi della quotidianità lavorativa. A
ripensarci ora, realizzo che mi sentivo come un papà che per un
motivo o per l'altro si ritrova nella scuola dove il figlio studia. «
Ecco mi pare stiano arrivando. » Arrivarono i professori in
smoking, o meglio, come avevo appreso, il professore e i suoi due
elegantissimi assistenti. Entrarono nell'aula di fronte a dove ci
trovavamo noi per uscirne subito dopo a fare l'appello. Sapevo
che Sasuke era il primo della lista, poiché il giorno in cui si era
iscritto on-line all'esame era uno di quei sabati in cui eravamo
tranquilli a casa, lui sobrio io mezzo annientato dal sonno. Ma per
qualche strano (ma da quelle parti classico
caso del destino) si ritrovò sesto. Mi colpì il modo in cui
Sasuke non protestò in alcun modo alla lista improvvisata che il
docente fece la lista scegliendo la gente a caso nel gruppetto che si
era formato di fronte a lui. Fui lì lì per protestare io quando una
tipa dai capelli rossi e dall'aria antipatica passò avanti a Sasuke
che stava per dire il proprio nome quando il professore lo aveva
guardato per dirgli di presentarsi. Mi venne da sorridere.
« Che è quel sorrisetto?
» Sasuke mi guardò con odio, appena la gente intorno a noi fu
scemata a causa dell'inizio dell'appello. In pratica quel giorno il
professore avrebbe esaminato dieci persone, quindi a parte i
curiosoni nel corridoio eravamo rimasti io, il ragazzo col codino, un
amico di questi, e delle ragazze troppo chiassose (tra cui la tipa
rossa di poco prima). Quel giorno appresi un sacco di cose su
come funzionano le cose in università. Mi sentivo così
sciocco! « Nulla, nulla, però ti passano davanti noto... » La
tipa rossa udì le mie parole e subito si mise a confabulare sotto
voce con una ragazza castana al suo fianco, lanciandomi occhiatacce
di sottecchi. Le mostrai la lingua e così lei mi diede le
spalle «... questa è l'università, Naruto. Mica l'asilo. » Di
certo Sasuke era nervoso, ma di un nervosismo diverso da quello che
gli conoscevo. Un nervosismo più normale, che accomunava un po'
tutti gli esseri umani davanti ad una prestazione di quel genere,
perciò non mi preoccupò quel nervoso. Anzi, sapevo che non avrebbe
fatto altro che aiutarlo a prendere un voto altissimo. Dopotutto
Sasuke aveva la media altissima, checchè ne dicesse quella merda di
suo fratello. Ad ogni modo alta era l'ansia perchè aveva il
chiodo fisso del risultato da mostrare
a suo fratello: questa era una cosa che non potevo tollerare ma a
parte qualche volta non gli avevo detto nulla. Spiegargli che il voto
lo doveva prendere solo per sé era inutile. Non era stato facile
giungere in università quel pomeriggio, a causa di questo gran
nervoso di Sasuke. Avevo rischiato di incendiarlo già da metà
mattina quando mi ero presentato a casa sua con uno sbadiglio che mi
bloccava la mascella. Mi aveva odiato: gli mettevo sonno! E non
poteva permetterselo. Inoltre avevo dimenticato di far benzina alla
macchina e la fermata al primo distributore disponibile era stata per
Sasuke un colpo al cuore. Quanto me ne aveva dette! Stavo per
bloccare la macchina e farlo andare all'università da solo ma poi mi
ero reso conto che era fuori dalla mia portata fare un'azione simile
e quindi avevo impostato la prima marcia e sgommai fuori dal
distributore. « Pensa che è il tuo quasi ultimo esame! » «
Me ne manca ancora uno dopo questo, coglione. » Inutile, erano
cinque ore ormai che qualsiasi cosa dicessi non andava bene.
Cominciavo seriamente a innervosirmi anche io, quindi tirai fuori il
cellulare e mi misi a giocare con un gioco di memoria stupido.
Sasuke prese a fissarmi senza interruzione. Quel giochino di
memory era un mio vizio, dovete sapere. Diciamo che era un po' il mio
scaccia-pensieri, il mio antistress. Nonostante non arrivassi che al
terzo livello quasi sempre, perdermi a giocarci rappresentava
recuperare un po' di solidità mentale. A volte mi aiutava anche ad
estraniarmi da un ambiente che mi metteva a disagio. Di certo però
sembravo un idiota poiché era un giochino con i tasselli
raffiguranti del cibo, una cosa molto da bambini. Del tipo che dovevo
accoppiare delle brioche con delle brioche e dei gamberoni con dei
gamberoni, ecco. Potete immaginare come Sasuke odiasse quel gioco. «
Dopo dobbiamo passare a prendere tuo nonno? » Sasuke che mi
faceva una domanda era cosa più unica che rara, specie in quella
situazione, ma visto che stavo giocando a quella “merda” come la
chiamava lui e che l'ansia gli giocava brutti scherzi la vidi come
una cosa normale e col mio più grande sorriso chiusi il gioco al
terzo livello e risposi che sì, dovevamo passare a prendere Jiraya
visto che eravamo da quelle parti...nonno era andato a trovare un suo
vecchio amico non molto lontano da dove ci trovavamo noi, ci era
andato in corriera al mattino presto, avendo io la macchina. «
Sperando non finiate a mezzanotte. » aggiunsi cercando uno sguardo
complice dai presenti, che ricevetti dal ragazzo col codino. « A
quanto pare però è il mio turno. » disse questi e mentre lo diceva
sembrò davvero stanco e tristemente sorpreso. Lo vidi afferrare la
sua borsa da terra e entrare a testa bassa e ciondolante in aula,
mentre vi usciva il suo amico un po in carne che aveva appena
sostenuto l'esame. Venni colpito per la seconda volta da una cosa:
dal modo in cui Sasuke si avvicinò al ragazzone e cominciò a fargli
quesiti su cosa gli avesse chiesto il professore. Quei
lati di Sasuke mi impressionarono. Asociale, timido, chiuso,
arrivista? A me sembrava
tutt'altro da quello che lui stesso diceva di sé grazie al lavaggio
di cervello di quella strega di Itachi. Era un Sasuke inedito
quello che mi si presentava, al di là delle arrabbiature con il
sottoscritto (la normalità). Una persona perfettamente integrata col
suo ambiente, ecco. Ne fui felice. Talmente tanto felice che
cominciai anche io a intromettermi nella conversazione tra i due,
fino a salutare con una pacca sulla spalla quel ragazzone che scoprii
chiamarsi Chouji quando ci disse che doveva andare a prendere il
treno. « La tua fisicità non ha limiti. » mormorò Sasuke
quando rimanemmo soli vicino alle finestre. Mi guardò con un
sorrisetto di compatimento, ma non sembrava poi così sconfortato da
quella mia manifestazione di solarità e fisicità con gente
sconosciuta. « Mi ispirava quel tipo, sai come è. » Sasuke
ridacchiò. «...in che senso?
» mi chiese avvicinandosi a parlarmi con la bocca
all'orecchio. Sembrava si fosse dimenticato di dove si trovasse
per qualche istante. Mi sentii particolarmente ispirato dalla
situazione e mi chinai a mordicchiargli un orecchio, per poi
addossarmi alla parete già con le braccia a mo' di difesa per il
sicuro attacco che il buon tempestivo Sasuke mi avrebbe sferrato. «
Cazzo fai? » ringhiò ma non mi diede alcuna botta, anzi si distaccò
da me di un passo andò a controllare se per caso si vedesse qualcosa
dalla porta semi aperta dell'aula dove si stava svolgendo l'esame.
Sembrava tutto composto nella sua tenuta elegante da esame, il
suo passo sicuro e la schiena bella dritta, ma sapevo che in quel
preciso istante stava sudando come fosse estate nella sua camicia
bianca stirata fin troppo bene dal fratello e che le spalle
nascondevano una tensione non poco piccola. Lo avevo colto
decisamente di sorpresa con quel morso che, tra l'altro, mi aveva
eccitato non poco. Ma fortunatamente nessuno notò niente, poichè mi
ero subito girato verso la finestra e avevo preso a guardare fuori,
per distrarmi, anche se il pensiero di un Sasuke che non si era
accorto di star usando un po' troppa complicità
con me davanti a tutti mi stuzzicava al punto da farmi sorridere come
un ebete alla vetrata. « E' il mio turno, idiota. » Poco dopo
sentii un respiro caldo sulla nuca, mi rivoltai di scatto e lo trovai
pallidissimo e con gli occhi sgranati. Era incredibilmente
terrorizzato, lo sapevo e per questo mi venne da sorridere: Sasuke
Uchiha che si faceva prendere dal panico prima di entrare nell'aula
di un esame! Probabilmente questa fu l'unica cosa giusta che feci
in quelle ore d'attesa all'esame, visto che Sasuke acquisì colore
nelle guance e gli occhi si assottigliarono di colpo. Mi diede un
calcio su una caviglia e poi sgusciò via oltre la porta che richiuse
con troppo rumore alle sue spalle. Lo avevo distratto e fatto
tornare in sé dopo la chiamata del professore, facendolo arrabbiare
certo, perchè avevo riso di lui, ma avevo fatto la cosa giusta,
tirando fuori uno dei miei sorrisi più ingenui, quelli che mostro
solamente quando qualcosa davvero coglie la mia attenzione. A
pensarci ora: quanto era normale
tale giornata? Era da un sacco di tempo che non vivevamo del tempo
assieme con gli altri,
in un ambiente ricco di persone e stimoli sociali, che non
vivevamo all'infuori di noi.
E' una constatazione che mi fa fremere di tristezza, perchè so che
non ce ne furono altre per lungo tempo, poi, di giornate così
normali, di giornate come quelle della maggioranza delle persone,
forse. Rimasto solo guardai a lungo la porta socchiusa davanti a
me e tirai le orecchie più che potevo ma non riuscii ad ascoltare
alcunchè di ciò che il professore stava chiedendo al mio Sasuke,
perciò venni preso da uno strano moto di ansia e mi rimisi a giocare
a memory sul telefonino, stringendomi nelle spalle ed appoggiandomi
alla parete fredda. Aspettare un amico che fa un esame... tutto
così fottutamente
normale.
Eppure prima e dopo quell'esame era e sarà
l'inferno. Mi si prospettava un pomeriggio buono, molto buono, nel
quale Sasuke sarebbe stato al settimo cielo per via del voto ricevuto
e sapevo che dovevo far tesoro dei sorrisi della felicità che Sasuke
mi avrebbe mostrato, eppure sapevo che non ci sarei riuscito poiché
il pensiero di quanto fosse assurdo che lui dipendesse da un voto –
da suo fratello – mi avrebbe
continuamente continuato a balenare per la testa, infastidendomi,
distraendomi dalla felicità – seppur finta – di chi
amavo. Perciò sì abbracciai con trasporto Sasuke, appena
arrivammo dietro l'angolo dove nessuno ci potesse vedere, quando uscì
dalla stanza d'esame; perciò sì gli dissi che era un grande e mi
feci offrire da bere, ma le mie frasi, il mio sorriso continuò a
suonare troppo teatrale, stanco, sbiadito. Avevo paura della
felicità di Sasuke, di qualsiasi forma di felicità potesse
trattarsi. C'era sempre il buio dietro le porte. Sempre. «
Stasera dormo da te, deciso. » Mi voltai a guardarlo stupito, una
volta salito in macchina. Avevo
sentito bene? Era mercoledì! «
Ma c'è il nonno... » biascicai riuscendo solo a pensare al fatto
che effettivamente il nonno in quei giorni si trovava a casa per fare
un po' il punto della situazione all'agenzia. Mi si era inaridita
la gola, e non solo a causa del troppo parlare lungo il tragitto
verso il parcheggio dall'università o nel bar. Ero stato colto
talmente tanto di sorpresa che ero rimasto a bocca aperta, e poi
avevo respirato di bocca per non soffocare. Nessuno mi ha più
stupito come Sasuke. « E non ti pare le cose siano più
interessanti, così? » Annuii immediatamente girandomi per non
dargli a vedere le guance rosse. Erano momenti di felice stupore,
mi accontentavo e ci accontentavamo di poco, dopotutto. Avremmo
fatto l'amore tappandoci la bocca l'un l'altro per non farci sentire
dal vecchio, sepolti sotto ad un mucchio di lenzuola, proprio come
una volta, come quando avevamo sedici anni. Mi salì un brivido
lungo la schiena a pensare che davvero avremmo fatto l'amore
avvinghiati come due adolescenti che non vogliono farsi scoprire, a
reprimere le urla di piacere l'un con l'altro. Sarebbe stata una
nottata memorabile, se solo avessi potuto godermi in pieno almeno
quella! Dannato pensiero! Dannato Sasuke che dipendeva da un voto! Da
un cazzo di giudizio! Dannato Sasuke che aveva risposto alla chiamata
di Itachi e gli aveva detto il voto, dannato Itachi che non era
capace di essere falso e aveva messo su un tono falso che l'avevo
sentito persino io vicino a Sasuke mentre gli faceva i complimenti e
gli diceva “Va' a divertirti”. Dannato me che non ero capace
di sbattermene e di godermela e basta quella situazione idillica che
mi si prospettava con un tuffo nel passato più bello. Dannato
pensiero. Quando ripartimmo ero già che cantavo sulle note della
mia canzone preferita, “Senza di te”, di quel famoso mio autore
del cuore di cui vi ho parlato poco fa e Sasuke era già a
minacciarmi di morte se non tiravo fuori quel “cd indecente” e
mettevo su una “buona radio”. Ero già tornato il Naruto
solito, quello scanzonato che tutti conoscono, persino Sasuke conosce
ancora. Eppure dentro avevo l'inferno. Si specchiava nei miei
occhi all'incontrario, dentro me. Mi diceva, l'inferno, che stava per
arrivare. Ero in preda ad un'illusione ormai, vivevo
così. Disillusioni e illusioni. Che fine avrei fatto? Intanto
avrei fatto l'amore, almeno questa certezza un po' sciocca in
testa. Sì, avrei fatto l'amore.
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