Lo strano caso della sinfonia n.9

di Red Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno ***
Capitolo 2: *** Omicidio in musica ***
Capitolo 3: *** Indagine ***
Capitolo 4: *** Verità ***
Capitolo 5: *** Confessione ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ritorno ***




Domenica 25 Settembre 1881, ore 13 circa

Treno Salisburgo-Vienna, presso Mondsee

Il mio viaggio si sta concludendo e non potrei essere più soddisfatto e amareggiato insieme. L'ultimo mese passato a fianco dei minatori di Altaussee, sottoterra, tra sale e fatica, è stato un'esperienza che mi ha segnato per sempre e forse ora sono pronto, finalmente, ad iniziare il mio libro. Non posso, però, non essere affranto per il destino dei poveri lavoratori che ho conosciuto: quali fatiche sopportano ogni giorno e per che misera paga e per che padroni sfruttatori! Da una parte mi dispiace di averli abbandonati, dopo averli conosciuti, ma di quale aiuto poteva mai essere per loro uno scrittore se non scrivendo? Che altro potrei fare se non denunciare al mondo le misere condizioni in cui sono costretti a lavorare per sfamare le loro famiglie? Con queste scuse metto a tacere la mia coscienza, per il momento, poiché mai dovrò lasciarmi infervorare mentre scrivo, se voglio che la gente mi creda e se voglio dire il vero. E non ebbi mai aspirazioni più grandi di queste.
Domani mi metterò subito all'opera prima che i ricordi sbiadiscano, ma ora, oltre ad aspettare con impazienza il mio arrivo a Vienna, non posso che godermi questi paesaggi che scorrono veloci dal finestrino. Ormai la tecnologia fa miracoli, eppure ogni volta mi stupisco del fatto che, mentre ora il treno si specchia nelle acque colorate dalle foglie secche del lago Mondsee, entro stasera sarà nella capitale.

 

 

Ore 16

 

In questo mese mi ero quasi dimenticato della mia vita privata tanto ero preso dalle vicende dei minatori, ma ora, come mi avvicino a casa, mi sovvengono i problemi che lì mi attendono. Mio padre è ancora convinto che presto mi metterò a praticare come avvocato e io non so proprio come dirgli che il mio destino è la scrittura. Non ha mai considerato l'arte anche come un lavoro, ma solo come una perdita di tempo, quindi non la prenderà per niente bene. Lo deluderò, ma non ho altra scelta. La mia vita e lo scrivere sono legati indissolubilmente e mai potrei rinunciarvi, a meno di condannarmi ad un'esistenza infelice. Forse sono solo un egoista che persegue i propri interessi, ma sono anche convinto che nessuno potrà biasimarmi per aver seguito la mia aspirazione. Anche se finora non mi sono mai opposto alla sue decisioni, neanche quando decise che avrei dovuto frequentare legge all'università, per poi diventare avvocato, questa volta sono determinato a prendere in mano la mia vita. Ormai ho ventisei anni e sta a me decidere il mio futuro. Finora ho relegato la scrittura ai margini della mia vita, dedicandovi solo il tempo avanzato allo studio, ma il lavoro che ho in mente necessita di tutta la mia attenzione e del mio impegno, in sostanza è totalmente incompatibile con un lavoro impegnativo come l'avvocato. Questa sera intendo parlare francamente a mio padre, nella speranza che capisca le motivazioni che mi spingono alla scelta che senz'altro lui non approverà, ma accetterò un forzato consenso tanto quanto un risoluto diniego.
Mi sento in pace con me stesso per questa decisione e sento di non aver mai fatto scelta migliore.


Ah, quale errore credere di poter ignorare il giudizio di mio padre sulla mia scelta! Ho usato i miei pochi risparmi per questo ultimo viaggio e per i precedenti studi. Ho bisogno di tempo per portare a termine il mio progetto e nel frattempo non avrò entrate. Che situazione incresciosa! Non solo dovrò deludere mio padre, ma lo dovrò anche pregare affinché mi dia un sostentamento economico per svolgere l’attività che lui non approva. Conoscendolo, però, potrebbe anche rifiutarsi categoricamente di aiutarmi, se la prendesse molto male, arriverebbe a togliermi il saluto.
Forse la cosa migliore sarebbe chiedere alla mia amata sorella e a suo marito. Non dovrebbe essere un problema per loro farmi un prestito e sarò in grado di restituirglielo, sia se avrò successo sia se sarò costretto a chiudere la mia carriera di scrittore per dedicarmi all’ambito legale. Non avrei mai voluto essere ridotto a questo, ma fare dell’arte un lavoro è una delle cose più difficili in cui mi sia mai imbattuto. Diethild sarà contenta di aiutarmi, ho solo qualche dubbio su suo marito. Mio genero non mi ha mai visto di buon occhio, forse a causa dei discorsi di mio padre su quanto io sia irresponsabile e avventato. Confido che Diethild sappia convincerlo.
Comincio ad essere nervoso per il colloquio che avrò a breve con mio padre, ma non posso far altro che aspettare che questa bestia di ferro giunga a Vienna.

 

 

Il panorama di Vienna in lontananza, incorniciata da un finestrino mi ha riportato alla mente il giorno in cui conobbi Sabine. Ricordo che quella sera scrissi su questo diario dell’incontro.

 

 

7 Settembre 1880, ore 21

Vienna


Tornando in treno dalla tediosa visita di cortesia agli zii di Schwechat, ho avuto un incontro imprevisto. Stavo tranquillamente scrivendo appoggiato al tavolino di fronte al mio sedile, quando una ragazza, attraversando il vagone, si è fermata e ha indicato il posto libero di fronte a me.
“Scusate, vi dispiace se mi siedo qui?” ha chiesto.
“Affatto” le ho risposto, incuriosito, non saprei dire perché, da quella giovane.
Aveva i capelli biondi e mossi raccolti, la carnagione perlacea e due grandi occhi verde erba che mi scrutavano curiosi, proprio come io stavo facendo con lei. Indossava un abito azzurro di un’eleganza semplice e lineare.
“Mi dispiace di avervi distratto dal vostro lavoro, signore” si è scusata, vedendo che non riprendevo a scrivere.
“Si figuri! Dankmar, Dankmar Schuster” ho risposto porgendole la mano.
“Sabine” ha rivelato stringendola timidamente.
Io ho continuato a guardarla, alla ricerca del particolare che mi sfuggiva, ma dopo un po’ ho dovuto cessare di essere così indiscreto, perché la poverina arrossiva e sbarrava i suoi occhi verdi. Lei, tranquillizzandosi, ha preso dalla borsetta un libro che conosco bene, “Cime tempestose” di Emily Brontë, così non ho resistito a domandarle a che punto fosse arrivata.
“Heathcliff è tornato da Catherine dopo essere partito misteriosamente, ma ancora non so il motivo né del suo allontanamento né della sua riapparizione improvvisa”
“Oh, siete all’inizio quindi. Sono certo che vi piacerà, poiché per quanta sofferenza vi troverete, alla fine vi lascerà un’impressione di compiutezza e pace”
“Non posso chiedere di meglio, allora” mi ha risposto, sorridendo e riprendendo a leggere.
Anche io, a quel punto, sono tornato al mio lavoro e per il resto del viaggio ho taciuto. Quando il treno si è fermato a Vienna, mi sono alzato e, salutandola, l’ho distolta dalla sua lettura. Sabine, come risvegliandosi da un sogno, si è guardata intorno e, scorgendo Vienna estendersi fuori dal finestrino ha esclamato, arrossendo:”Oh, ma questa è anche la mia fermata! Che sbadata! Se non fosse stato per voi chissà dove sarei finita!” e infilando velocemente il libro nella borsetta mi ha seguito fuori dalla carrozza.
Dalla stazione mi sono avviato verso casa, curioso di sapere per quanto tempo ancora la mia strada e quella di Sabine avrebbero coinciso. Quando sono arrivato davanti alla mia porta, mi sono fermato.
“Siete arrivato, dunque. Addio!” ha salutato, voltandosi.
“Arrivederci!” ho risposto io a voce alta, per assicurarmi che mi sentisse.
Sabine si è voltata e mi ha sorriso.
“Arrivederci, signor Schuster“


Ancora mi stupisco, nonostante sia passato un anno e Sabine sia per me più che una confidente, di quanto fu stravagante quell’incontro.
Qualche giorno dopo trovai quel biglietto sotto la mia porta:

Avevate ragione riguardo al libro

Sabine

 





Il cantuccio dell'autrice
Salve a tutti! ^^
Infine è stato possibile mettere questa storia come long
Cercare di rendere verosimile l'ambientazione storica è stata un'impresa, ma spero di aver fatto un buon lavoro.
Mi scuso in anticipo per eventuali errori e aspetto critiche e suggerimenti! ^^
Con amore
Red Wind

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Capitolo 2
*** Omicidio in musica ***


Lunedì 26 Settembre 1881, ore 1:40
Vienna



Non ci posso ancora credere, mi pare semplicemente assurdo. Solo adesso ho un po' di pace per riposare o riflettere, ma la prima attività mi risulta così impraticabile, attualmente, che non mi resta che tentare di calmarmi scrivendo su questo diario.
Cercherò di andare con ordine.

Questa sera, arrivato a Vienna, tornai a casa consapevole del colloquio con mio padre che mi attendeva.
Attraversata la città a passo svelto per raggiungere casa mia dalla stazione, salii le scale perennemente in penombra, mentre udivo provenire dalla sala da pranzo la 9° Sinfonia di Beethoven. Il gracchiante suono del nuovo gingillo di mio padre che imitava un'intera orchestra mi ricordava ancora una volta di quali progressi fosse capace la tecnologia al giorno d'oggi.
Allo stesso tempo pensai a quanto potesse essere adatta una simile colonna sonora alla situazione che stava per presentarmisi: quella musica già mi preannunciava quale sarebbe stata la reazione di Alexander Shuster alla mia decisione.
Entrai nel soggiorno, salutando formalmente l'uomo seduto comodamente in poltrona, poi chiesi il permesso di ritirarmi un attimo nei miei appartamenti per ristorarmi dal viaggio. Mio padre acconsentì freddamente, intimandomi di non fare troppo tardi per la cena in quanto, come potevo dedurre dai piatti sul tavolo, lui aveva già desinato.
Tornai in sala da pranzo pochi minuti dopo, fremendo sempre di più, desideroso di liberarmi della greve incombenza che parlare con mio padre era per me. Trovai Alexander seduto al tavolo, intento a giocherellare con la forchetta e a fissare la fiamma della candela danzare. Presi posto al capo opposto della tavola, dove il mio piatto attendeva di essere riempito da Leonie. Mio padre alzò lo sguardo diffidente su di me, mentre la domestica entrava a servirmi il primo. La Sinfonia cominciò a rallentare, diventando terribilmente inquietante, segno che il grammofono doveva essere ricaricato. Mio padre si alzò flemmatico a girare la manovella per poi sedersi nuovamente.
“Com'è andato il viaggio, Dankmar?” chiese dopo avermi scrutato a lungo, mentre io mangiavo, nonostante non avessi per niente fame.
“Splendidamente, direi”
“Me ne compiaccio. Vorrà dire che per un po' non saranno necessari viaggi di piacere”
In quel momento capii perché quella sera fosse più freddo del solito: non sopportava l'idea che io avessi dedicato un intero mese al mio “passatempo”.
Stavo per ribattere quando mi precedette dicendo:”Ora sarà meglio che tu ti voti a qualcosa di più concreto, come la ricerca di un buono studio ove lavorare”
Leonie sospese la conversazione portandomi la seconda portata e mettendo al centro del tavolo il dessert.
“Il dolce portato dal Signorino” disse la domestica congedandosi, alludendo al mio acquisto nella pasticceria sulla via di casa.
Avevo ingenuamente pensato di addolcire quel pezzo di ghiaccio di mio padre con un po' di zucchero. Alexander allungò placidamente un braccio, scegliendo con calma quale pasta gustare, mentre io deglutivo a fatica un boccone di carne, per poi decidermi ad abbandonare l'ingrata impresa di finire quella pietanza.
“Sarà il caso che tu metta la testa a posto, Dankmar” disse ingoiando il pasticcino in un sol boccone “Dovresti prendere esempio da Diethild qualche volta...- si interruppe a causa di un violento colpo di tosse.
Si alzò in piedi, paonazzo, portandosi le mani alla gola, sotto i miei occhi increduli, ed infine stramazzo al suolo. Solo in quel momento staccai lo sguardo da quella scena, alzandomi di scatto dalla sedia e chiamando a gran voce Leonie. Nel frattempo mi avvicinai ad Alexander per cercare di capire cosa fosse successo, ma egli non diede alcun segno di vita.
“Santi numi!” esclamò la domestica, bloccandosi sulla porta e sorreggendosi allo stipite.
“Vai a chiamare un medico!” ordinai, mentre tentavo invano di sentire il battito cardiaco di mio padre.
Era morto. Inequivocabilmente morto davanti ai miei occhi. Mi allontanai, senza staccare gli occhi dal corpo dell'uomo che mi aveva dato la vita, ma anche innumerevoli problemi e, a quanto pare, me ne avrebbe dati altrettanti da morto.
Non so cosa provai, proprio come non so cosa provo ora. A parte il trauma, che sento ancora rimbombarmi nel capo, mi sentii improvvisamente più libero, ma insieme ebbi l'impressione di essere stato sconfitto: non sono riuscito, mai nella mia vita, a ribellarmi alla sua autorità e probabilmente, a dispetto dei miei buoni propositi, non ci sarei riuscito, comunque fossero andate le cose. Da qualche parte, nella parte più infantile del mio cuore, qualcosa mi causò come un prurito, ricordandomi che ad essere morto era mio padre, un mio genitore. Nel complesso non riesco a fare una somma di tutto ciò, non riesco a trovare una conclusione, combattuto tra tutto ciò e schiacciato dal mio nuovo problema, che ancora devo raccontare.
Accadde che, in breve, giunse il Dottor Pichler. Questi non poté che constatarne la morte, ma la cosa che diede inizio a tutti i miei problemi fu la causa del suddetto decesso: avvelenamento da cianuro.
Il medico ordinò subitamente alla sconvolta Leonie di chiamare il commissario, cosa che avrei fatto senz'altro io se non fossi stato troppo impegnato a riflettere su chi diavolo potesse aver avvelenato Alexander, mentre nella mia mente si ripeteva all'infinito l'immagine di mio padre che mangiava il dolce che avevo portato, proprio prima di morire.
Il Dottor Pichler ontinuò ad analizzare il corpo e nel giro di qualche minuto arrivò la polizia: il commissario Baumgartner e il suo vice. Il commissario conosceva da tempi immemori mio padre e rimase sconvolto almeno quanto me nel vederlo riverso a terra, privo di vita. Il medico si occupò immediatamente di riferire la causa della morte, lasciando ancora più stupefatto il commissario, che mi chiese come erano andate le cose. Raccontai tutto, per filo e per segno, quando i poliziotti, il medico, Leonie ed io ci fummo spostati nel salottino. Dissi loro le stesse cose che ho scritto in questo diario, cioè tutto quello che ricordavo. Quando ebbi finito il commissario, pensieroso, chiese a Leonie cosa avesse fatto quel pomeriggio il padrone.
“Mi dispiace signore, ma non so molto a riguardo. Dopo pranzo il Signor Shuster si è chiuso come al solito nel suo studio. Più tardi io sono uscita per delle commissioni e sono tornata poco prima del signorino. In quel momento stava fumando in sala da pranzo, mentre ascoltava la musica con quell'aggeggio diabolico. Subito dopo gli ho servito la cena, aveva appena finito quando è arrivato il Signor Dankmar” rispose la governante, per poi scoppiare in lacrime alla fine del racconto.
Il Dottor Pichler l'accompagnò a casa e si occupò della sistemazione della salma. Anche il commissario si congedò, ma non prima di avermi palesato i suoi sospetti.
“Il cianuro ha un effetto immediato: causa la morte pochi secondi dopo l'assunzione dello stesso. L'unica cosa con cui può averlo ingerito è il dolce che ha portato lei. Faremo degli accertamenti. Lei ne ha mangiato?”
Scossi la testa.
“Non ne ho avuto il tempo, ma l'avrei senz'altro fatto io non avevo idea... Non può venire da lì in veleno...”
Baumgartner mi interruppe:“Faremo le verifiche del caso. Nel frattempo lei si tenga a disposizione” intimò, prima di lasciarmi solo.
Io non seppi cosa ribattere poiché il commissario aveva perfettamente ragione: se non avessi saputo di non aver avvelenato quel dolce, avrei sospettato di me stesso anche io.

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Capitolo 3
*** Indagine ***





28 Settembre 1881, ore 8:00, Vienna



L'indomani mattina l'ispettore mi chiamò affinché andassi a deporre la mia testimonianza alla centrale di polizia. Ripetei tutto ciò che avevo già detto, ma era necessario che venisse verbalizzato. Furono tentati di trattenermi, come capii dalla discussione svoltasi tra gli agenti che udii casualmente, ma l'ispettore, forse solo in ricordo dell'amicizia che nutriva per mio padre, decise di aspettare gli sviluppi delle indagini prima di arrestarmi.
In quei momenti non avevo certo la freddezza che mi è concessa ora, tranquillo nella mia stanza a scrivere, bensì ero molto preoccupato di vedere le mie ambizioni, i miei sogni, le mie prospettive, la mia vita intera infrangersi in un'infondata accusa di omicidio. Anche se forse, più che “infondata”, dovrei accontentarmi di dire “falsa”, poiché di prove a mio carico ce n'è più che a sufficienza.
Malgrado ciò, non sapendo assolutamente che cosa fare per potermi dimostrare innocente, decisi di andare ad annunciare la triste notizia a Diethild. Ci tenevo a farlo di persona e speravo, allo stesso tempo, di trovare qualcuno pronto a credere nella mia innocenza.
Giunto a casa di mia sorella fui accolto come al solito da lei e da suo marito, che stranamente era in casa.

Alexander è stato avvelenato” annunciai una volta accomodatomi sul divano.
Che cosa?” starnazzo Diethild, la voce subitamente acuta.
Dopo un attimo di stupore fu Florian a prendere la parola.

Come è successo?” mi chiese.
Credevo che i loro occhi fossero già incredibilmente strabuzzati, ma, durante il mio breve racconto, le loro facce espressero ancora più sbigottimento.
Quando smisi di parlare, calò il silenzio.

Vedrai che scopriranno il vero assassino e te la caverai, in fondo sei un avvocato” decretò Florian tentando di essere rassicurante.
Avrei voluto dirgli, neanche tanto cordialmente, che io non ero un avvocato, bensì uno scrittore e che, in ogni caso, me ne sarei fatto ben poco di quella professione se le prove a mio carico non fossero state smentite.
Dielthild restò in silenzio, turbata. Il marito, accorgendosene, propose di mettere un po' di musica con il grammofono per rendere l'atmosfera meno pesante, ma la donna, scandalizzata, rifiutò, decretando che sarebbe stato quantomeno irrispettoso.
Infine i coniugi mi esortarono a fermarmi a cena e io accettai, per niente voglioso di tornare così presto nella casa, ora vuota, in cui abitavo. Il desinare fu contrassegnato da silenzio, imbarazzo e fastidiosi discorsi superficiali. Mi congedai in fretta, alla fine, più sconsolato di prima, e mi incamminai verso casa, cercando di godere del vento pungente dell'autunno e delle spirali colorate di foglie. Giunto davanti all'abitazione scorsi una figura nera, appena visibile nella notte a causa dei capelli dorati che brillavano alla luce dei lampioni ad olio. La riconobbi all'istante anche dalla postura e dal modo in cui camminava avanti e indietro davanti alla mia porta, facendo svolazzare appena l'abito nero a vita stretta: Sabine. Accelerai il passo, trovandomi alle sue spalle quando si voltò. Sembrava sconvolta mentre appoggiava le mani al mio petto.

Dan! Sei qui, finalmente! Ho saputo di tuo padre, mi dispiace” sussurrò.
Posai una mano sulla sua guancia. Era più pallida del solito e affannata.

Calmati, è tutto a posto”
Cosa gli è successo?”
Sospirai.

Pare sia stato avvelenato, ma non sanno ancora chi sia stato. Per ora sono l'unico sospettato”
Sabine si portò una mano alla bocca, allontanandosi di un passo e sgranando gli occhi.

Ti arresteranno?” chiese con un filo di voce, ma prima che potessi rispondere la vidi cercare aria affannosamente, impallidendo sempre più.
Sabine!”
Mi affrettai a sorreggerla, mentre cadeva morbidamente all'indietro, e la presi in braccio. Non avevo idea di che diamine stesse succedendo. Mi guardai intorno spaesato alla ricerca di una soluzione e non trovai altra via che portarla in casa, nella speranza che distesa si riprendesse. Salii velocemente le scale, per poi adagiarla sul letto fatto. Pensando che potrebbe essere colpa del vestito troppo stretto, come altre volte avevo visto accadere, le sciolsi i lacci del corpetto, affinché non la opprimesse. La vidi immediatamente respirare un po' più a fondo. Incoraggiato, proseguii, allentando il vestito, che ricadde morbido intorno al suo busto. Seduto sul bordo del letto attesi che si riprendesse, notando con immenso sollievo le sue guance tornare rosee e il suo petto riprendere ad alzarsi ed abbassarsi regolarmente. Dopo qualche minuto si destò, tirandosi immediatamente a sedere. Senza che se ne accorgesse il corpetto scivolò un po' più giù, lasciando intravedere il seno chiaro e sinuoso. Si guardò intorno, confusa. Le presi una mano.

Sabine, che ti è successo?”
La ragazza esitò ancora un attimo.

Credo...è colpa di questo vestito” disse, notando il corpetto allentato e sistemandosi un poco “volevo indossare il lutto, ma l'unico abito nero che possiedo è questo, risalente alla morte di mia madre”
Ma avevi quindici anni!” la interruppi.
Già. Non credevo fosse così stretto...”
Se non ci fossi stato io che ne sarebbe stato di te?”
Se non ci fossi stato tu non mi sarei agitata così tanto” rispose con un timido sorriso.
Sabine, lo sai che non me ne importa un accidenti del lutto! Giurami che non farai mai più sciocchezze simili!”
La ragazza annuì, l'espressione di una bambina sgridata dai genitori.

Dimmi come procedono le indagini”
Non mi hanno ancora arrestato, ma se non trovano altre prove lo faranno”
Non possono accusare te! Non avresti mai fatto una cosa del genere! Come possono anche solo pensare...” disse, la voce ancora più acuta del solito, venata d'isterismo.
Sabine, è il loro lavoro” la interruppi.
Sospirò, come se insieme all'aria espellesse tutte le preoccupazioni.

Dimostreremo che sei innocente, prima che possano farti qualsiasi cosa” sussurrò, prendendo i bordi della mia giacca, delicatamente.
Accennai un sorriso, improvvisamente certo che quella fosse la più ovvia delle verità. Mi avvicinai al suo viso, baciandola a fior di labbra. L'apprensione sfumò all'istante, lasciando spazio nella mia mente soltanto al pensiero di lei. Non ci volle molto, però, perché entrambi pretendessimo di più. Strinsi la sua vita tra le mani, mentre lei mi attirava sempre più a sé per i bordi della giacca. Si lasciò cadere all'indietro, stesa sul letto, mentre io continuavo a baciarla, sorreggendomi con le braccia. Rovesciò la testa all'indietro quando scesi al suo collo e, non appena mi fui tolto la giacca troppo ingombrante, mi sbottonò la camicia. Mai avevo provato quella sicurezza di essere ricambiato, mai avevo percepito il suo amore con tanta chiarezza. Baciai ogni angolo della sua pelle perlacea e vellutata, scaldandola e donandole colore, e quando ebbi finito mi liberai di quel dannato vestito, non senza difficoltà. Non ricordo quante sottogonne e lingerie varie buttai lontano, desideroso di avere ancora un po' di quella pelle, di quel sapore. Il mio letto, docile al nostro volere, ci ospitò tra le sue lenzuola candide, quando, nudi, ci trovammo abbracciati. Era il momento. Fremente, mi fermai un attimo. Senza mollare la presa sui suoi morbidi fianchi la guardai negli occhi.

Sei sicura di quello che stiamo per fare?”
Come risposta Sabine sorrise timidamente, rossa in volto, per poi tornare alle mie labbra. Poco dopo ero sopra di lei, tremante come se fosse la prima volta anche per me. Non volevo farle male, non volevo che soffrisse, per niente al mondo. Entrai piano, mentre con un braccio mi reggevo, con l'altro cingevo la sua schiena inarcata. Reclinò la testa all'indietro, lasciandosi sfuggire uno strozzato lamento. Quel suono mi colpì. Mi imposi di fermarmi, dando fondo a tutta la mia forza di volontà, anche a quella che neanche credevo di avere. Rimasi un attimo immobile, poi, ansimante, mi abbassai, accostando la bocca al suo orecchio.

Stai bene?” sussurrai.

Mai stata meglio” rispose, iniziando a baciarmi il collo.
Smanioso, ripresi da dove avevo interrotto, il desiderio amplificato dall'attesa. Sabine gemette, per poi stringere spasmodicamente le mie spalle quando venne il momento. Raggiungemmo l'apice insieme, mano nella mano. Le scivolai accanto, per godere di quel corpo perfetto ora ansimante e caldo.
Questa notte è stata la casa del nostro amore: ci ha avvolto con il suo silenzio, protetto con la sua tenebra, illuminando solo le nostre ombre con calda e traballante luce di candela.

 

 

 

27 Settembre, poco dopo l'alba


Sono tornata a casa solo ora, dopo aver passato la notte con Dan. Non credo che le pagine di questo diario renderanno mai giustizia al nostro amore.
Ieri, dopo aver saputo della morte di suo padre, sono corsa immediatamente da lui. Non volevo che fosse solo. Mi sono messa il vestito nero, quello del funerale di mamma. Era un po' stretto, ma non credevo così tanto. Ci tenevo ad indossarlo. Quando sono arrivata Dan non era a casa, nonostante l'ora. Ho iniziato a preoccuparmi, ma per fortuna dopo un po' me lo sono trovato davanti. Mi ha detto che suo padre è stato avvelenato e che la polizia ha accusato lui. Non ci potevo credere. Dan in prigione! Non riuscivo più a respirare, per colpa di quel vestito, era come se tutta l'aria fosse sparita all'improvviso. Devo essere svenuta, perché non mi ricordo più niente fino a che non mi sono svegliata sul letto di Dan. Era preoccupato. Mi ha raccontato come sta procedendo la polizia e gli ho detto che avremmo dimostrato la sua innocenza, non so con quale sicurezza. In quel momento capii quanto lo amavo. Quanto la mia vita avesse come fondamenta la sua, quanto fosse presente in essa. Mi baciò e cominciai a desiderare di più. Gli sbottonai la camicia e lui mi sfilò il vestito. Andammo avanti. Non desideravo altro. Ogni fibra del mio corpo vibrava, impaziente. La mia mente girava intorno al suo pensiero, pervasa da un senso di pace mai provato prima. Come poteva essere sbagliato? Il perfetto vertice del nostro amore. Questo avrei voluto rispondergli quando mi chiese se ero sicura, ma annuii soltanto. Mi fece sua come se fossi fatta di cristallo: aveva paura che potessi rompermi in mille pezzi da un momento all'altro. Avrei voluto rassicurarlo e dirgli che lo amavo. Immagino che lo abbia capito lo stesso durante la notte che ci ha visti descrivere il nostro amore in quella danza così nuova per me.



 

Il cantuccio dell'autrice
Okay, è la prima volta che scrivo una cosa di questo genere, ditemi voi com'è venuta ^^"
L'immagine rappresenta il vestito di Sabine (immaginatelo nero u.u) disegnato dalla mia amica nelle ore di fisica. Amatela anche voi <3
Qualcuno mi ha consigliato di togliere il corsivo, però pensandoci mi piace, dà più l'idea di cosa scritta a mano... Da così tanto fastidio nella lettura? Oppure è una questione di stile? :/
Spero che abbiate voglia di lasciarmi un commento :)
Ringrazio tutti coloro che hanno letto finora, ancor più quelli che hanno recensito e la giudiciA (con la quale mi scuso ancora per l'incomprensione) (sto ancora scrivendo come Dankmar D:)
Adieu!
Red Wind

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Capitolo 4
*** Verità ***


27 Settembre, poco dopo l'alba

Quando ci svegliammo le preoccupazioni di Dankmar erano tornate: fissava il soffitto della sua stanza pensieroso. Già sapevo a cosa stesse pensando, ma glielo chiesi lo stesso.
Se non riesco a dimostrare la mia innocenza, massimo entro domani sarò arrestato” disse laconico, gli occhi ancora fissi nel vuoto.
Mi strinsi a lui, sussurrando direttamente al suo orecchio.

Scoprirai la verità in tempo, anzi lo faremo insieme. E poi la polizia? Sta ancora indagando, magari troverà il vero assassino”
La polizia ha già il suo assassino” ribatté freddo.
Ma noi siamo avvantaggiati: sappiamo che non è lui, non ci resta che cercare meglio.”
Parli come se fosse facile. Non abbiamo né i mezzi né le capacità per indagare su un omicidio.” disse alzandosi e rivestendosi.
Dobbiamo almeno tentare!” ribattei cercando il suo sguardo.
Mi fissò, corrugando le sopracciglia, poi sospirò.
Fu come un colpo al cuore: in quel momento mi accorsi che quello che provava non era solo preoccupazione, ma sofferenza e dolore. Mi avvicinai e gli presi il viso tra le mani, obbligandolo a guardarmi negli occhi.

Dan, era tuo padre”
Già” rispose con un sorriso amaro, poi scosse la testa come a scacciare un pensiero stupido.
È normale. Ti ha cresciuto e, per quanto non fosse il migliore dei padri, era l'unico che avevi”
Hai ragione” capitolò, con un sorriso triste sul volto, per poi abbracciarmi.
Sospetto che l'abbia fatto solo perché non potessi vedere il suo viso, ma, appoggiata al suo petto, sentii chiaramente il suo respiro accelerato: la morte del padre l'aveva turbato più di quanto egli stesso credesse inizialmente. Fui contenta che neanche lui potesse vedere il mio viso quando sorrisi di lui e di quella sua incapacità di esternare i sentimenti, dando importanza solo alla sua razionalità.
Restammo così per un po', finché lui non si sciolse dall'abbraccio per tornare a vestirsi. Io lo imitai. Dopo qualche minuto stavo ammirando attraverso la finestra quella nebbiosa mattinata autunnale.

Ci vorrebbe un po' di musica, in una giornata del genere”
Dankmar si girò di scatto verso di me, fissando però un punto indefinito alle mie spalle.

Devo andare, fai come fossi a casa tua” disse in fretta, uscendo con la giacca in mano.



28 Settembre 1881, ore 8:00, Vienna

Quando ci svegliammo parlammo un poco: discorsi che non amo e con i quali non mi sento a mio agio, in particolare quando, come accadde quella mattina, la mia mente viene attraversata da fastidiosi pensieri irrazionali. Senonché la parte significativa della conversazione fu un'altra: Sabine affermò che ci sarebbe voluta un po' di musica. Le sue parole mi ricordarono quelle quasi identiche pronunciate da Florian il giorno prima. Diethild aveva nettamente rifiutato la proposta, considerandola oltraggiosa verso la memoria dello scomparso. In quel momento mi tornò alla memoria anche che la sinfonia n. 9, quella che era stata la colonna sonora dell'omicidio, era il brano preferito di Florian e che anch'egli possedeva quel disco.
Mio cognato non mi era mai piaciuto molto, ma non credevo che potesse arrivare ad uccidere e soprattutto non ne capivo il motivo. Piuttosto confuso, mi recai di nuovo da mia sorella. Giustificai la mia visita dicendo soltanto che volevo passare meno tempo possibile in quella casa ora vuota, almeno per il momento. Florian non era in casa e Diethild mi offrì un caffè, che accettai. Approfittando della sua assenza, diedi un'occhiata in giro, dirigendomi prima di tutto verso il grammofono. Controllando tra i vinili constatai con sgomento che mancava proprio la sinfonia di Beethoven. Visto che Diethild non era ancora tornata, ispezionai ancora la stanza, notando dei documenti sul grande tavolo di legno. Li sfogliai velocemente alla ricerca di qualcosa di inconsueto ed effettivamente vi trovai le prove di una serie di prestiti che i coniugi Winkler avevano ottenuto dalle banche della città. Rimasi tanto esterrefatto che per poco non mi feci scoprire da Diethild a frugare tra le sue cose: sentii appena in tempo i passi e mi allontanai dal tavolo, fingendo di passeggiare per la stanza. Non potevo ancora credere che Florian, medico di fama, fosse indebitato: avevo persino pensato di chiedere loro un prestito nel caso avessi avuto problemi economici.
Nel frattempo presi il caffè con mia sorella, deciso a scoprire ancora qualcosa. Dopo una serie di discorsi futili, finalmente l'argomento della conversazione si spostò su qualcosa di fruttuoso.

Florian è stato urgentemente chiamato da uno dei suoi pazienti, stamani, mi rincresce che tu non l'abbia trovato”
Non preoccuparti, non vi è nulla di urgente che debba dirgli”risposi con un sorriso falso “Piuttosto, come procede il suo lavoro?”
Oh, splendidamente! È sempre così occupato a correre da un paziente all'altro!” esclamò con enfasi.
Deve essere un lavoro piuttosto impegnativo!” esclamai, poi feci una pausa “Ieri era a casa, avrà avuto un po' di meritato riposo”
Già, ma perfino la scorsa domenica, il dì di festa per eccellenza, è dovuto correre a lavoro per un'emergenza!”
Santo cielo, cosa poteva esserci di così greve da dover andare a lavoro di domenica?”
La signora Brunner ha partorito”
Certo, non si poteva certo rimandare!” conclusi annuendo.
Pensando di avere abbastanza informazioni e non potendo più sopportare quei futili discorsi che tanto amava mia sorella e che servivano solo a nascondere dietro belle apparenze la scomoda verità di un omicidio avvenuto nella nostra famiglia, mi congedai dicendo di avere commissioni da sbrigare.
Se davvero Florian aveva assistito al parto della signora Brunner domenica sera, aveva un alibi per l'omicidio. Dovevo assolutamente andare dalla neo mamma per controllare.
In quel momento ancora non riuscivo a capire come avesse fatto l'assassino ad avvelenare Alexander, visto che ad averlo ucciso sembravano state le paste che avevo portato io.
Riflettei su questo finché non giunsi a casa Brunner. Per fortuna conoscevo il marito fin dall'infanzia e di conseguenza anche la signora non mi era nuova, per cui potei entrare con la scusa di una visita di cortesia. Fui accompagnato dalla donna, che stava cullando il figlio, e a sorpresa trovai anche Florian nella stanza. Non mi feci prendere dal panico e proseguii nel mio intento. Dopo i soliti convenevoli, espressi le mie congratulazioni e chiesi quando fosse nato il bel bambino.

Domenica sera, proprio con l'aiuto di suo cognato qui presente” fu l'allegra risposta della donna.
La mia teoria era crollata per via di un alibi inattaccabile.

Mi congedai il prima possibile, restando il minimo necessario a non sembrare maleducato. Proprio mentre stavo uscendo notai con la coda dell'occhio Florian che si lavava le mani nella bacinella prima di visitare il neonato.
Fu in quel momento che capii: il veleno non doveva essere per forza nel cibo che Alexander aveva mangiato: sarebbe bastato che si trovasse su un oggetto che aveva toccato! Nella mia mente ripercorsi l'accaduto, ricordandomi che proprio prima di mangiare le paste mio padre aveva ricaricato il grammofono. Sapendo del disco di vinile, realizzai la verità: l'unica che poteva averlo ucciso era Diethild.



 
Il cantuccio dell'autrice
Buon anno a tutti! Spero che il capitolo via sia piaciuto e che vi abbia almeno un po' stupito la scoperta dell'assassino. Avevate già sospettato di Diethild? Fatemi sapere!
Al prossimo mese (spero)!
Red Wind

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Capitolo 5
*** Confessione ***


 
Scesi velocemente in strada, respirando a pieni polmoni l'aria autunnale. Finalmente avevo compreso: non avevo più dubbi che l'assassina fosse proprio Diethild, per quanto questa consapevolezza fosse amara. Camminai a passo celere, furioso, tra le foglie caduchi, pensando a come mia sorella potesse avermi mentito così tranquillamente, ma in fondo era sempre stata una donna sicura di sé e determinata.
In breve giunsi dinanzi a casa di Sabine, bussai con forza e poco dopo giunse ad aprire una cameriera, la quale mi squadrò sconcertata. Solo allora mi accorsi di dover apparire piuttosto impresentabile, la faccia sconvolta e i vestiti mal messi per la camminata frettolosa. Cercai subito di assumere un minimo di contegno e chiesi con il tono di voce più pacato che trovai di parlare con la signorina Wallner. La cameriera andò a chiamarla non prima di avermi lanciato un’altra occhiata di disapprovazione.
Poco dopo Sabine uscì osservandomi preoccupata.
“Ho scoperto chi è l’assassino” esordii prima che potesse dire qualsiasi cosa.
“Chi è?” domandò trattenendo il fiato.
“Mia sorella”
“Che cosa?!” fece un passo indietro, a dir poco sgomenta.
“Ho capito… Ho capito come lo ha avvelenato. È stata indubbiamente lei!” dissi risoluto, nascondendo quello che la rivelazione comportava per me dietro al semplice dato di fatto.
Sabine sembrò imitarmi, assumendo a sua volta un atteggiamento forzatamente calmo.
“Raccontami tutto dal principio”
“Quando, stamane, hai parlato della musica, mi sono ricordato con quanto ardore mia sorella rifiutò di usare il grammofono, ieri. Mi venne anche in mente che la sinfonia n.9 è il brano prediletto di Florian e che aveva una copia di quel disco. Tutto ciò mi ha insospettito e così sono andato nuovamente a casa di Diethild. Dando un’occhiata in giro ho scoperto non solo che il disco era scomparso, ma anche che i due hanno problemi economici”
“Ma come? Florian è un medico di successo!”
“Difatti non me lo sarei mai aspettato. Ho immediatamente pensato che l’assassino fosse Florian.”
“Non l’hai mai visto di buon occhio”
“In quel momento mi sembrava la cosa più sensata, ma in breve ho scoperto che Florian ha un alibi: la sera dell’omicidio è stato occupato con una paziente dal pomeriggio fino a sera. Non ho intenzione di tediarti con i particolari, ma vedendo mio genero lavarsi le mani prima di visitare un paziente ho avuto un’intuizione: non è necessario che il veleno sia nel cibo, basta che la vittima lo tocchi prima di mangiare! A quel punto, sapendo del disco e con tale consapevolezza, mi sono ricordato che proprio prima di mangiare il dolce che gli avevo portato, mio padre aveva ricaricato il grammofono. Diethild deve avergli donato il disco e, mentre metteva in funzione il grammofono per fargli sentire il brano, deve aver cosparso la manovella per ricaricare con il veleno. Presumibilmente si è allontanata prima che la cuoca tornasse, ben sapendo che prima o poi Alexander avrebbe dovuto ricaricare il grammofono e che presto avrebbe desinato. Non è certo un piano infallibile, ma ben congegnato, proprio quello che ci si aspetterebbe da Diethild.”
“In effetti torna tutto…” ragionò Sabine, assimilando tutte quelle informazioni.
“Se solo non avessi portato quel dannato dolce…” mi rammaricai.
Sabine prese le mie mani nelle sue, provando a confortarmi senza parole, che in quel momento sarebbero state vane. Dopo qualche momento alzò lo sguardo, fissando i suoi occhi nei miei.
“Che cosa hai intenzione di fare ora?”
“Non ne ho idea… Non ci sono prove concrete di quanto ho scoperto. Per me non si sono più dubbi che l’assassina sia mia sorella, perché nessun altro avrebbe avuto la possibilità di fare tutto ciò, ma la mia sicurezza deriva dal fatto che so di non essere stato io. Per l’ispettore e per chiunque altro io sono ancora tra i sospettati.”
“Sei certo che non ci sia nessuna traccia? Un testimone magari?”
Scossi la testa sconsolato.
“Diethild è troppo furba per aver fatto errori. Finirò in prigione al suo posto.”
Scese il silenzio, come una condanna. Avevo scoperto l’identità dell’assassino, ma non era servito affatto. Sabine interruppe i miei pensieri, che stavano diventando sempre più cupi.
“Qualcuno ha toccato il grammofono?” chiese all’improvviso, gli occhi luccicanti.
“No…” risposi, senza capire dove volesse arrivare.
“Mi è venuta un’idea… Vieni!”
S’incamminò a passo svelto, quasi correndo, trascinandomi per un braccio. Dopo un attimo di attonimento mi bloccai. Sabine si voltò, quasi sorpresa.
“Gradirei sapere dove stiamo andando”
“Dannazione, Dankmar, fidati di me e fai silenzio per una volta! Non c’è tempo da perdere!”
Lo disse con quello sguardo crucciato e deciso che compariva sul suo volto raramente, ma sempre al momento giusto. Riprese a camminare ancora più spedita e io mi portai al suo fianco, seguendola senza più fare domande. In breve ci trovammo davanti alla caserma.
“Hai intenzione di consegnarmi all’ispettore Baumgartner prima del tempo?” chiesi ironico.
Sabine mi azzittì sorridendo.
“Tra poco saprai tutto.”
Appena ottenemmo di parlare con l’ispettore Sabine ci illustrò il suo piano, lasciandoci tutti stupefatti.
Qualche minuto dopo l’ispettore mandò un inserviente a chiamare Diethild, dicendole che c’erano novità sul caso e che era invitata a presentarsi tra mezz’ora nella casa della vittima. Mia sorella acconsentì e quando sopraggiunse ad aspettarla trovò Baumgartner, Sabine, seduta in un angolo con la sua espressione più angelica, quasi non fosse stata lei ad orchestrare tutto ciò, ed io. L’ispettore prese la parola con autorità.
“Purtroppo, nonostante le approfondite indagini, non abbiamo scoperto niente di nuovo sulla morte del signor Shuster. L’unico sospettato rimane il figlio della vittima e per quanto me ne rammarichi è mio dovere arrestarlo. Prima, però, voglio fare un ultimo tentativo che spero possa aiutarmi a chiarire la dinamica del delitto. Quello che voglio chiedervi è di ripetere esattamente quello che accaduto la sera dell’omicidio, in modo che io possa vedere con i miei occhi. Vi darò indicazioni basandomi sulla dichiarazione rilasciata da Dankmar, il quale interpreterà se stesso, ripetendo le stesse azioni di quelle sera. Avrò bisogno di tutti voi…”
Sabine lo interruppe.
“Mi dispiace di non potervi essere molto d’aiuto, ma sono davvero una pessima attrice.”
Non era assolutamente vero: in quello stesso momento stava recitando alla perfezione.
“Non si preoccupi signorina Wallner, in questo caso lei interpreterà la parte della cameriera, una comparsa diciamo.”
La ragazza annuì.
“A questo punto non resta che la vittima…” concluse l’ispettore guardando mia sorella.
“Devo interpretarla io?” chiese scocciata e forse nervosa.
“Non vedo nessun altro che possa farlo” rispose con ovvietà Baumgartner.
Diethild annuì debolmente.
“Per iniziare la vittima deve sedersi al tavolo, mentre voi due potete aspettare fuori” quando tutti si furono posizionati l’ispettore continuò “Dankmar, entra pure.”
Obbedii, imitando i gesti di quella sera, mentre Sabine si limitò ad affacciarsi dalla porta. Misi dei dolci in tavola e mi sedetti; simulammo una conversazione finché l’ispettore non ci interruppe.
“Secondo la testimonianza a questo punto Alexander dovrebbe alzarsi per ricaricare il grammofono”
Diethild esitò, prima di obbedire; fece tutto molto lentamente, mentre noi restavamo col fiato sospeso, poi tornò a sedersi.
“Adesso dovrebbe mangiare il dolce. Stia tranquilla, ho controllato personalmente che non fossero avvelenati”
Tutti, però, sapevamo che il veleno si trovava sulla manovella del grammofono e che se Diethild lo avesse mangiato avrebbe rischiato di avvelenarsi a sua volta. Prese il dolce, la mano tremante, e lo avvicinò alla bocca. Quel momento mi sembrò eterno: se avesse tentato di mangiarlo la mia teoria sarebbe crollata. Alla fine abbandonò la mano sul tavolo, in segno di resa.
“Che cosa sta facendo?” chiese l’ispettore continuando ancora un po’ quella messinscena.
“So benissimo dove volete arrivare. Mi avete scoperta e avete deciso di distruggere la mia vita” asserì Diethild con disprezzo.
“Lei ha ucciso suo padre! Ha distrutto la sua vita e anche la propria”
“Certo, l’ho fatto, ma sono stata costretta! Mio marito mi aveva promesso una vita agiata, invece ha sperperato quasi tutti i nostri soldi nelle corse dei cavalli. Stava già parlando di vendere la casa e andare ad abitare in una più modesta. Modesta, capite? Avrei dovuto avere una vita modesta. Io. Non ho avuto scelta” concluse.
Tutti noi eravamo attoniti da quelle giustificazioni.
“E io?” chiesi “Avresti lasciato che finissi in prigione al tuo posto?”
“Credevo che trovandolo avvelenato avrebbero incolpato la cuoca. Non volevo arrivare a questo” disse scrollando le spalle.
Cadde un silenzio pesante. La donna estrasse dalla scollatura una boccetta contenente il veleno “Sembra così innocua questa polvere bianca…” disse malinconicamente.
“Adesso la sua vita sarà molto meno che modesta” intervenne Baumgartner, pronto ad arrestarla.
Diethild sorrise. Non il suo normale sorriso, ma uno disperato e nostalgico che mi gelò il sangue nelle vene.
“Mai.” rispose “Non mi abbasserò mai a tanto. Non vincerete.”
Un attimo dopo aveva aperto la boccetta e ingerito il contenuto senza esitazioni. Fissò ancora per poco i nostri visi pietrificati con sguardo di sfida, poi iniziò ad annaspare e in breve cadde a terra, sotto ai nostri sguardi allibiti, concludendo quella simulazione in modo troppo realistico.
Sabine, che era restata tutto il tempo sulla porta, entrò di corsa per soccorrere Diethild.
“Non doveva andare così!” disse piangendo “Non avrei mai suggerito questo piano se avessi saputo che l’epilogo sarebbe stato questo, volevo solo farla confessare!”
Sollevò il capo della donna e provò a sentire il battito, poi si arrese e le chiuse gli occhi, rimasti spalancati nel momento di massimo dolore. In quel momento anche io e l’ispettore ci sciogliemmo da quello stato di glaciazione.
“Vado a chiamare le autorità competenti. Voi andate pure a casa, ci occuperemo domani delle deposizioni. Avete fatto fin troppo, vi meritate un poco di pace.” concluse Baumgartner uscendo.
Io andai da Sabine, ancora china sul corpo di mia sorella, la feci alzare e l’abbracciai, sentendo i suoi singhiozzi risuonare sul mio petto. La portai via da lì, in camera mia.
“Non doveva andare così” ripeté ancora, tra le mie braccia.
“Era troppo orgogliosa, ha preferito così. Non potevamo farci niente, Sabine”
“Non avremmo dovuto permetterglielo!”
“Non potevamo saperlo e in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscita” dissi, convincendo un po’ anche me stesso.
“Mi dispiace così tanto, Dan. La tua famiglia…”
Sì, nel giro di qualche giorno tutto quello che restava della mia famiglia era andato distrutto.
“Purtroppo non è dipeso da noi” dissi stringendola più forte.
Affondai il volto nell’incavo della sua spalla e restammo così, per un tempo indeterminbile.
“Costruiremo una famiglia nostra, andremo avanti. Ce la faremo, insieme” mi sussurrò alla fine.

E per quella volta ci credetti davvero.


 
Il Cantuccio dell'Autrice
Non ci speravate più, eh? Invece eccomi qua, con il penultimo capitolo. Come al solito spero vi piaccia e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate. Al più presto aggiornerò con l'ultimo capitolo, ambientato un anno dopo.
A presto!

Red Wind

P.S. il banner è un po' così, ma ormai l'ho fatto e ve lo cuccate u.u

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


28 Settembre 1882, Vienna

 

L'aria era incredibilmente fredda e umida e un vento pungente si insinuava attraverso i nostri vestiti ancora troppo estivi. Stavamo immobili, a fissare quelle due lapidi, come se il tempo si fosse cristallizzato in quel momento. Come improvvisamente desta, Sabine mi diede in braccio la bambina e mi prese di mano i crisantemi bianchi. Si abbassò sulle lapidi, lasciando che la sua ampia gonna poggiasse sulla terra umida.; quando si rialzò la pietra era lucida, quasi come il primo giorno, e i fiori riflettevano la luce diffusa proveniente dal cielo biancastro. Era bello da vedere, nonostante tutto; annuii soddisfatto.
Un anno esatto era passato da quel giorno e noi avevamo fatto tantissima strada. Ero soddisfatto anche di quello: avevamo proseguito lungo la nostra via, senza dimenticare il passato; avevamo sofferto il giusto, senza annullarci. Quasi mi sembrò di sentire Sabine lamentarsi per la mia tendenza a razionalizzare tutto. Sorrisi d'istinto e le passai un braccio intorno alla vita, invitandola ad abbandonare il cimitero e a tornare verso casa. In quel momento Nadine si svegliò, probabilmente per il freddo, e iniziò a piangere. La cullai invano tra le mie braccia, con il risultato di peggiorare la situazione: mia figlia strillava sempre di più, rossa in viso.
“Dalla a me” sussurrò Sabine.
Quasi non aveva ancora toccato le braccia della madre, che già si era calmata.
“Cominciò ad essere geloso di queste preferenze” dissi sorridendo e stampando un bacio veloce sulle labbra di mia moglie.
Sabine si guardò intorno per assicurarsi che nessuno ci avesse visti.
“Non sono cose da fare in pubblico” disse arrossendo, ma senza trattenere un sorriso.
Riprendemmo la strada verso casa, mentre nella mia mente riflettevo su quanti cambiamenti fossero avvenuti in quell'anno. All'inizio era stato veramente difficile trovare un minimo di serenità. Sabine era rimasta incinta prima che anche solo avessimo parlato di matrimonio, non perché non avessi intenzione di sposarla, ma perché in quel momento, dopo quei lutti, la cosa non mi era neanche passata per la testa. Avrei ovviamente preferito fare le cose con più calma, ma l'idea di avere un figlio da lei e di sposarla mi riempiva di gioia. Non credo di averlo dimostrato a sufficienza, però, perché in breve mi resi conto che Sabine pensava avessi accettato di sposarla più per obbligo nei suoi confronti che per amore. Impegnato com'ero a finire il mio romanzo e a cercare di pubblicarlo, non mi ero accorto della preoccupazione della mia futura moglie finché non era stata lei a palesarmela, la vigilia del matrimonio. Era stata una serata terribile: mi ero accorto improvvisamente di quanto fossi stato cieco a non capire prima i suoi sentimenti e mi ero trovato sul punto di perdere tutto. Sabine, infatti, dichiarò di voler tornare da suo padre per crescere il bambino da sola, senza costringermi a sposarla, nonostante questo avrebbe attirato lo scandalo su di lei e la sua famiglia. Fu una sfida che durò gran parte della notte convincerla che l'amavo e che ero quanto più possibile lieto di quel matrimonio. È strano come a volte le verità più ovvie siano le più difficili da spiegare. Alla fine, il giorno seguente andammo all'altare con le occhiaie per la notte quasi insonne, ma felici, credo, come la maggior parte degli sposi e da quel momento iniziò una sorta di discesa. La gravidanza fu serena e la nuova vita che stava crescendo in lei attenuava il dolore per le morti dello scorso autunno. Sabine lesse il mio manoscritto, mentre cercavo di pubblicarlo, dandomi utili consigli e accedendo anche a quell'ultimo angolo della mia anima che ancora non conosceva – quello che solo i nostri scritti rivelano. Il parto andò bene, a quanto ne so, e, mentre mia figlia veniva al mondo, la mia creatura letteraria veniva stampata in centinaia di copie, realizzando il mio sogno.
Per Florian, forse, era stato ancora più difficile, ma ero fiducioso nel fatto che ormai, a New York, avesse voltato pagina, trovando, a quanto dicevano le sue lettere, un ambiente stimolante sia dal punto di vista professionale che da quello sociale.
I miei pensieri vennero interrotti da un signore che incrociammo sul marciapiede, una lontana conoscenza. Mi tolsi il cappello, subito imitato da lui.
“Signor Shuster” disse gentilmente “Ho da poco letto il suo romanzo e non posso che farle i miei complimenti!”
Lo ringrazia, soddisfatto. Speravo, come sempre, che quel libro non servisse solo a farmi guadagnare da vivere, ma anche a informare più persone possibile sulla misera condizione dei minatori e quindi, con il tempo e un po' di fortuna, a cambiare le cose. Pensieroso, stavo camminando lentamente, quindi Sabine mi chiese di accelerare il passo perché tra pochi minuti avrebbe avuto lezione. Avevo sempre appoggiato la sua decisione di dare lezioni di pianoforte ai fanciulli del quartiere: insegnare la musica (sempre che si possa parlare di “insegnare” una cosa del genere) la rendeva felice e io non volevo che si annullasse come persona, limitandosi ad essere madre e moglie.

Arrivati a casa mi ritirai nel mio studio a scrivere, portando con me Nadine e mettendola nella sua culla, mentre dall'altra stanza potevo udire la melodia, semplice ma piacevole, suonata dall'allievo di Sabine e la dolce voce di lei, che gentilmente dava indicazioni e teneva il tempo.
Sorrisi, rendendomi conto di non poter desiderare nient'altro.


 

Il cantuccio dell'Autrice: scuse, saluti e svariati ringraziamenti.

Tanto per cominciare, grazie se siete giunti fino a qui, vi lovvo tutti.
Mi scuso per la lunga attesa, il fatto è che sto ancora aspettando i risultati del contest a turni sullo scorso capitolo, e anche per la lunghezza del capitolo, che lascia parecchio a desiderare, ma prendetelo come un epilogo, giusto per farvi sapere che ne è stato dei protagonisti.
Mi sono affezionata tantissimo a questa storia ed è veramente strano pensare che si conclude con questo capitolo, ma allo stesso tempo sono contenta di come è andata: è la storia che mi ha dato più feedback (tant'è che è stata tra le più popolari della sezione e per me è un grande traguardo *^*) e per questo vi voglio ringraziare tutti, per quello che conta.
Per primo, chi si è feramto a dirmi due parole, anche solo una volta: rainagain, Lunaby, visbs88 (mia collega in questo contest), Sherlok_Emmes, la cara Donnie, the Matrix restored (in bocca al lupo, a proposito ^^), la Bea <3, DarkViolet92 (che mi segue in tutte le storie e non ringrazierò mai abbastanza), Alex, Little RedBird, Shiki Ryougi, Halley Silver Comet, 21Century e Aila (prima o poi ricambio, promesso), Hanna McHonnor e Clary93 (fantastica nuova lettrice). Siete stati incredibilmete importanti per la stesura di questa storia.
Ringrazio anche estate83, The _Last_Smile, Stella cadente, Dike9 e Sofja Ivanovna per aver preferito/seguito/ricordato questa storia, facendomi così sentire il loro supporto.
Ringrazio poi la giudiciA del contest "Giallo a scelta multipla" per avermi dato l'ispirazione.
E niente, sarò grata a chiunque recensirà anche quest'ultimo capitolo <3
May we meet again!
Red Wind

P.S. Non c'entra molto, in realtà. Ho trovato un vecchio scritto sul passato di Sabine, era per un contest, ma mi sono ritirata ed è ancora incompiuto. Per alcuni aspetti mi piace, ma in fondo racconta soltanto la sua vita precedente gli avvenimenti dello strano caso e non ha uno scopo ben preciso (?). Non so se pubblicarla o meno, ditemi se vi interessa (???).

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