Weltschmerz. E vendetta sia

di La sposa di Ade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Segreto ***
Capitolo 2: *** Ossa ***
Capitolo 3: *** Bugiardo ***
Capitolo 4: *** Ultraviolenza ***
Capitolo 5: *** Follia ***
Capitolo 6: *** Scontri ***
Capitolo 7: *** Catene ***
Capitolo 8: *** Giuda ***
Capitolo 9: *** Morte ***
Capitolo 10: *** Ira ***
Capitolo 11: *** Errori ***
Capitolo 12: *** Pioggia e Sole ***



Capitolo 1
*** Segreto ***


Ammetto si non sapere quale follia mi abbia spinto a pubblicare qualcosa su questo fandom, ma una settimana passata a riguardarmi la vecchia e la nuova serie di HxH credo possa avermi influenzato un pochino.
Ho messo OOC tra gli avvertimenti, perché è da moltissimo che non scrivo qualcosa che non sia una originale, quindi non sono sicura di riuscire a mantenere le personalità dei personaggi, comunque, l’OOC non è assolutamente voluto, l’ho inserito per sicurezza. Sarà comunque una storia un po’ (molto) particolare, ma i dettagli ve li lascio in fondo al capitolo per evitare spoiler.

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Prologo. “Segreto”

[LORDE - Everybody Wants To Rule The World]

 
Welcome to your life
There's no turning back
Even while we sleep
We will find you
Acting on your best behaviour
Turn your back on mother nature
Everybody wants to rule the world

 

 
L’alba aveva il colore del sangue marcio. Strisciò fuori a oriente e chiazzò di rosso il cielo scuro, marchiando le nuvole di oro trafugato. Più in basso la strada serpeggiava lungo la montagna, verso la nuova base del Ragno. Un ammasso di torri aguzze e fatiscenti, scure come cenere contro i cieli piagati. L’alba era tinta di rosso, di nero e di oro.
I colori della loro professione.
“Sei particolarmente bella stamattina, Amaya.” Lei sospirò, quasi fosse un caso, come se non avesse perso un’ora davanti allo specchio.
“I fatti sono fatti. Constatarli non è un dono: stai solo dimostrando di non essere cieco.” E sbadigliò, stirandosi sulla sella, facendolo aspettare per un attimo. “Ma ascolterò il resto.”
Lui si schiarì rumorosamente la gola e sollevò una mano, come un pessimo attore che si prepara al sua gran discorso. “I tuoi capelli sono come… un manto scintillante di una volpe bianca!”
“Galletto pomposo. E ieri cos’erano? La candida neve invernale. Mi piaceva di più, aveva una qualche poesia. Cattiva, ma comunque poesia.”
“Merda” Lanciò un’occhiata di traverso alle nuvole, come in cerca del consiglio vincente. “Beh, i tuoi occhi, allora, brillano come accecanti zaffiri, inestimabili!”
“Adesso avrei delle pietre sulla faccia?”
“Labbra come petali di rosa?” Lei gli sputò addosso, ma lui era pronto e riuscì a schivare, rischiando comunque di cadere dalla sella.
“Questo è per far crescere le tue rose, idiota. Puoi fare di meglio.”
“Ogni giorno più difficile.” Borbottò lui. “Quel gioiello che ti ho comprato ti sta meravigliosamente bene.” Lei sollevò la destra per ammirarlo, era un rubino grande come una mandorla, che catturava i primi bagliori della luce del sole e sfavillava come una ferita aperta. “Che hai rubato, vorrai dire.”
“Si intona con la fierezza del tuo temperamento.”
Lei sbuffò. “E con la mia fottuta reputazione.”
“Fanculo la tua reputazione! Non sono altro che chiacchiere di idioti! Tu sei un sogno, una visione! Tu ricordi…” Schioccò le dita. “La Dea della Guerra in persona!”
“Dea, eh?”
“Della Guerra! Ti piace?”
“Funzionerà. Se riesci a baciare il culo del Capo ben la metà di come hai fatto ora, potremmo persino beccarci un premio.”
Frau sporse le labbra verso di lei. “Niente potrebbe essere più delizioso che passare la mattinata con la faccia tra le chiappe del Capo. Sanno di… potere.” Gli zoccoli scricchiolavano sul sentiero polveroso, le selle cigolavano e i finimenti sferragliavano. La strada si volse su se stessa e il resto del mondo scomparve. Il cielo orientale dissanguò il suo rosso in un rosa da macelleria.
“Sto aspettando.” Fece lui.
“Che cosa?”
“La mia parte di complimenti, è ovvio.”
“Se quella zucca del cazzo ti si gonfia ancora finirà per esplodere, e io non voglio il tuo cervello sulla mia camicia nuova.”
“Pugnalato” Frau si premette la mano sul petto “Proprio qui! È così che ripaghi i miei anni di devozione, sorella senza cuore?”
“Come osi presumere di essere devoto a me, zappatore che non sei altro? Sei come una zecca devota a una tigre!”
“Tigre? Ah! Quando paragonano te a un animale, di solito è la serpe che scelgono.”
“Sempre meglio di un verme.”
“Stronza.”
“Codardo.”
“Assassina.” Questo era difficile negarlo. Il silenzio calò nuovamente su di loro. Il cavallo di Frau si portò gradatamente a fianco di quello di lei, e altrettanto gentilmente lui le mormorò: “Sei particolarmente bella stamattina, Amaya.”
Ciò le fece accennare un sorriso all’angolo della bocca, quello che lui non poteva vedere. “Beh, i fatti sono fatti.”

 
Delle dodici zampe, in quel luogo, se ne trovavano sette, compresa la testa, Chrollo, i quel momento intento a leggere un grosso tomo. Neanche gli altri sembravano stare impiegando molta energia in una qualunque attività. Feitan, se solo si fosse trovato lì, di certo avrebbe definito quella giornata incredibilmente noiosa, non essendosi trovato nessuno sotto le mani da poter torturare.
“Ehi capo, si sta avvicinando qualcuno.” Chrollo rimase in silenzio, chiuse però il libro e si mise in piedi avvicinandosi all’ampia finestra. “Più o meno a settanta metri, appena dietro la curva.” Continuò Nobunaga, informando il capo di quello che poteva essere un pericolo, o forse solo una scocciatura. “Non hanno usato neanche l’Hatsu.”
“Quanti sono?”
“Due.” Rispose con sicurezza.
“Sono gli ospiti che stavamo aspettando.”
“Nuovi membri della brigata? Non ne sapevo nulla” Di nuovo, la smemoratezza di Shizuku non sorprese più di tanto il resto dei presenti, tuttavia la sua domanda non ottenne risposta, poiché il capo si stava già dirigendo verso l’atrio al piano di sotto, in attesa del loro arrivo. Aveva accennato al resto della Brigata che presto ci sarebbe stata una nuova aggiunta, un nuovo numero, per due persone. Fratello e sorella che combattevano insieme, due lati della stessa medaglia, che aveva conosciuto in una landa sperduta a ovest. Quando li aveva visti gli avevano ricordato il suo gruppo del
Ryūseigai, tanti stenti, tante difficoltà, ma anche tanto il desiderio di combattere e sopravvivere. E lui non aveva potuto fare a meno di invitare quei due a fare parte della Brigata.
Li vide avanzare lungo il sentiero in groppa a due cavalli, con la stessa andatura, con lo stesso sguardo, con lo stesso modo disinvolto di tenere le mani. Il loro incredibile legame era ciò che lo aveva colpito di più, tanto da rendere quei due elementi un numero unico.
“Frau. Amaya. Benvenuti nel Ragno.”

 
It's my own design
It's my own remorse
Help me to decide
Help me make the most
Of freedom and of pleasure
Nothing ever lasts forever
Everybody wants to rule the world

 
Quella notte pioveva, ed Amaya guardava fuori dalla finestra la tempesta che infuriava e l’acqua che colava sui vetri, trovando tutto quello molto rilassante, tanto che quasi senza accorgersene i suoi occhi iniziarono a farsi pesanti, il respiro lento e il corpo che iniziava ad avvertire la stanchezza della giornata. Si sarebbe concessa anche un sonnellino se una presenza non avesse ridestato gli allarmi nella sua testa. Di certo non era suo fratello, quindi ancora con la testa un po’ pesante voltò il corpo fino a osservare la strana figura dietro di lei. Un uomo alto dai capelli rossi e dallo strano trucco la stava osservando, con uno strano sorriso sulle labbra, lei non proferì parola, avvertendo però l’aura dell’individuo espandersi leziosamente per tutta la stanza, le formicolò la cute e un brivido le percorse la spina dorsale. Amaya solitamente trovava piacevoli le cose che alle persone normali facevano ribrezzo, per quello le sue labbra si stirarono in un lievissimo sorriso quando un altro brivido le percorse il corpo e l’uomo iniziò ad avvicinarsi lentamente alla finestra. O forse era solo il freddo, si disse poco dopo.
“Amaya; la pioggia notturna. Che poetica coincidenza.” Se fosse stato suo fratello a proferire una cosa del genere non avrebbe evitato ad insultarlo, probabilmente.
“E Hisoka che significa?”  L’uomo distolse lo sguardo dalla pioggia e puntò le sue pupille dorate in quelle blu di Amaya, per poi portarsi un dito alle labbra e sussurrare: “Segreto.”
La ragazza inclinò la testa di lato, non capendo se quello fosse l’effettivo significato del suo nome o se volesse semplicemente tenerglielo nascosto, come se fosse un qualche assurdo e importantissimo segreto… ah, quasi le venne da ridere, che altro si sarebbe dovuta aspettare da un pagliaccio?
“Perché sei vestito da pagliaccio?” Non riuscì a trattenersi, in quelle condizioni il suo cervello lavorava più lentamente della bocca, anche per quello avrebbe preferito mettersi a dormire, andare nell’altra stanza e rannicchiarsi accanto a suo fratello.
“Sono un prestigiatore, Amaya, non un pagliaccio.” Solo in quel momento la ragazza notò che la sua mano stava giocherellando con una carta da gioco.
“Allora fammi vedere qualche trucco.”
“Cosa mi darai in cambio?” Un sorriso spontaneo si dipinse sulle labbra della ragazza.
“Segreto.” Il pagliaccio, o prestigiatore, per Amaya non faceva alcuna differenza, le allungò il mazzo di carte sotto il volto, con un sorriso furbo appena accennato sulle labbra.
“Allora scegli una carta.”
 

“Che dobbiamo fare?” Frau era impaziente, una missione finalmente, il che significava soldi, per lui era quello che contava. Amaya si guardava distrattamente in giro, cercando di ricordare e memorizzare i nomi e vi volti della Brigata. Una missione da soli, da quanto aveva capito, non che le dispiacesse, ma Amaya era sospettosa per natura e temeva per suo fratello, costantemente, che potesse farsi del male, data la sua ingenuità. Eppure quando si voltò verso di lei con un sorriso immenso sul volto tutti i timori e i sospetti sparirono, certo, erano circondati da criminali, assassini e feccia, ma loro erano forse migliori?
 

Si coricò a letto, scostando lentamente le coperte, cercando di non svegliare il fratello. Le tenebre erano fitte, le tende tirate bloccavano completamente la luce, ma il suono della pioggia si sentiva forte e chiaro, come se stesse piovendo dentro la stanza. Si coprì, portandosi le ginocchia al petto, e fissò la schiena di suo fratello che si muoveva a un ritmo regolare e rassicurante e avvertì la tensione del corpo abbandonarla lentamente, il dolore alle gambe per la lunga cavalcata svanì in poco tempo, così come tutti gli altri dolori muscolari. Si lasciò cullare dal respiro profondo e rassicurante di Frau e dalla melodia della pioggia.
“Amaya.” Lo sentì sussurrare, la voce arrochita dal sonno.
“Cosa c’è?” Suo fratello si voltò e si avvicinò a lei, cingendola con le braccia. Amaya in altre situazioni non glielo avrebbe permesso, la faceva sentire piccola, le faceva percepire quel bisogno di protezione che pensava di aver superato, ma tutte le volte che finiva tra le braccia di suo fratello tornava tutto indietro; la paura di non superare il giorno e gli stenti che avevano combattuto all’ovest.
“Non tradirmi, non lasciarmi mai, ti prego.”
“Non lo farò.” Si strinse contro di lui, sentendo il calore del suo corpo scaldarla, mentre una strana sensazione di disagio le annodava lo stomaco; tra le mani teneva ancora quella carta da gioco.

 
There's a room where the light won't find you
Holding hands while the walls come tumbling down
When they do I'll be right behind you

 
“Capo, cosa vuoi fare?” Chiese Nobunaga; non si poteva dire che le cose erano andate peggiorando, la reputazione della Brigata attirava già molti nemici, i quali però non erano un grave pericolo per il gruppo, gli uomini dell’ovest erano un altro paio di maniche; lasciavano segnali, avvertimenti, cose a cui il Ragno non aveva mai assistito. Gli uomini dell’ovest non conoscevano il perdono.
“Non credevo sarebbero diventati un problema.” E non sarebbero dovuti diventarlo; quando aveva trovato Frau e Amaya li aveva visti come creature indifese, certo, con un grande potenziale, ma non poteva immaginare i nemici che si erano fatti, anzi, non credeva neanche che tali creature smarrite potessero avere dei nemici.
“Quindi? Non dovremmo liberarcene comunque? Rischiano di metterci in pericolo.” Pakunoda cercava spesso la strada più breve, così come riusciva a facilitarsi la vita leggendo nella mente altri, quella di prendere decisioni su due piedi, magari non sempre ben pensate, era la via che preferiva. E aveva letto nella mente dei nuovi arrivati, aveva allungato la mano verso di loro, con la semplice pretesa di presentarsi, e quello che aveva trovato nella loro mente non era molto di più di quello che già sapevano e un legame così forte tra i due da sorprenderla. 
“Da quando in qua il pericolo ti ha spaventato eh, Pakunoda?” La rimbeccò Nobunaga. La donna rimase in silenzio.
“A me non sembrano male.” Shizuku distolse lo sguardo dai due che continuavano a lanciarsi occhiatacce, per proferire con la sua voce da ragazzina.
“Non sono loro il problema.” Il Capo fissò la pioggia scrosciante fuori dalla finestra, in cerca di una soluzione che non li avrebbe danneggiati troppi, ma nonostante tutti i giri che faceva nella sua mente, il risultato era sempre lo stesso.
“Cosa allora?” Chiese ancora Shizuku.
“A quanto pare avevano parecchi nemici, rischiamo di ritrovarceli qui, ne avevamo già parlato, Shizuku.” Le fece notare Shalnark, per quanto potesse essere produttivo tentare di far ricordare qualcosa a Shizuku. Ma Chrollo sapeva il problema non era costituito semplicemente da quello.
“Come se non avessimo già il mondo contro.” Ad Hisoka non importava quanti nemici si potesse ritrovare contro, ma purtroppo lui sembrava essere l’unico ad avere la smania di combattere forti avversari, e doveva ammettere che quelle due figure lo incuriosivano parecchio, forse gli sarebbe dispiaciuto.
“Che facciamo, lanciamo una moneta?” Feitan si alzò, tirando fuori dall’abito la moneta del Ragno. “Capo?”
“Testa se ne vanno, croce muoiono.” Era inutile starci a pensare, se fossero rimasti con loro si sarebbero ritrovai con troppe lame al collo, ma sarebbe potuto succedere anche se se ne fossero andati, di certo non sarebbero tornati all’ovest, e con loro sarebbero rimasti anche i loro nemici, i loro problemi. C’era poco da decidere, da tirare a sorte, ma voleva comunque dare una possibilità all’errore che lui stesso aveva scommesso.

La moneta può cadere di taglio, se lo vuoi.
 

“Amaya, Amaya, ascoltami per favore.” Si aggrappò alla sua camicia, con un enorme sorriso sul volto che era un ritratto della gioia fanciullesca.
“Che vuoi?” Tutt’altro era la sorella, che già da un po’ mal sopportava i vaneggiamenti del fratello
“Ti immagini che bello? Saremmo ricchi, con una casa tutta nostra.” Lo disse come se quello fosse uno dei più grandi raggiungimenti ottenibili in vita, e non come se si trattasse di una cosa che quasi chiunque aveva. Ma per loro era così; per loro andare a vivere in quel luogo fatiscente con un’altra dozzina di persone era qualcosa di inimmaginabile. Ma in poco tempo Frau aveva iniziato a pensare a cose che per Amaya era superflue.
“Si, e magari con una grande fama.” Dire che non ci sperava era una sciocchezza, ma guardava quella specie di obbiettivo come un traguardo irraggiungibile. Quindi perché perdere tempo?
“Si! Perché no? Pensa a quando sarai tu a decidere…”
“Smettila di sognare Frau, è impossibile raggiungere una vetta cos alta, per noi.”
“Lo so, però…” L’entusiasmo di Frau si smorzò, e la sorella quasi si sentì in colpa.
“Si, sarebbe bello.” Sospirò pesantemente. “Ma a pensarci, non credo neanche che una cosa del genere potrebbe interessarmi più di tanto, mi trovo bene con il Ragno, non intendo andarmene per seguire sogni folli.” Erano folli, sì, Frau lo sapeva benissimo, ma lui avrebbe provato di tutto per realizzare ciò che credeva giusto, più per sua sorella che per se stesso.
Frau rimase in silenzio, con un nuovo sorriso sulle labbra.

 
So glad we've almost made it
So sad they had to fade it
Everybody wants to rule the world

 
La moneta non era caduta di taglio, Hisoka un po’ ci aveva sperato, ma non spettava a lui decidere. Aveva osservato la parabola del cerchio dorato lanciato in aria, aveva osservato ogni movimento a ancora prima che questa iniziasse a scendere sapeva già quale faccia si sarebbe mostrata ai membri del Ragno. Distolse lo sguardo ancora prima che questa finisse nelle mani di Feitan, sapendo già come sarebbe andata a finire, e si alzò, deciso ad allontanarsi da quel posto per un po’; era rimasto più del solito solo per quelle due nuove presenze, rimandando tutti gli impegni che avrebbe potuto avere, ma ora era il momento di allontanarsi, infondo non aveva trovato nulla di così interessante dall’ultima volta che si erano riuniti.
 

Al Covo si trovava solo metà del ragno, buona parte aveva da svolgere altre faccende altrove, una grande e importante missione, da quanto aveva capito la ragazza. La cosa che le pareva strana era l’assenza di Hisoka che, non essendo in missione con metà del Ragno, si sarebbe dovuto trovare lì.
“Non è possibile che quel bastardo dal sangue freddo sia bravo con la spada come dicono.”
“È una katana, e hai ragione, è più bravo di quello che dicono.” Frau ancora stentava a credere a quello che la sorella gli aveva detto poco prima.
“Mi prendi in giro Amaya?”
“No, ci siamo allenati un po’ insieme.” Si sistemò meglio sulla spalla il sacco umido. “Sai, anche tu dovresti esercitarti un po’, ti farebbe comodo.”
“Nah, non ne ho bisogno.” Frau era molto bravo nelle arti marziali, ma disdegnava completamente le lame, nonostante ne portasse una al fianco, Amaya, al contrario, era un’esperta nelle armi bianche.
Lungo la strada per raggiungere il covo si videro giungere incontro Shalnark, con la sua solita aria da ragazzino innocente, ad Amaya non andava molto a genio, Frau invece sembrava provare una certa simpatia per il biondino.“Ragazzi, il capo vuole parlarvi.”
“Ma siamo appena tornati…” Iniziò a lamentarsi Frau.
“Sta zitto Frau.” Suo fratello sbuffò, ma infondo era meglio liberarsi il prima possibile di certe faccende, così da andare a coricarsi e riposare il prima possibile.
“A proposito, come è andata la missione?”
“Sangue e divertimento, come al solito.”
“Avete recuperato il…” Amaya aveva già tirato fuori dalla tasca una pietra preziosa molto particolare appesa a una catenella in purissimo argento, e gliela sventolò sotto il naso. “E avete…” E gli buttò ai piedi il sacco che teneva in spalla. Cautamente Shalnark si chinò e lo aprì; sul suo volto apparve un’espressione accigliata. “Non c’era bisogno di portare la sua testa.”
“Da noi all’ovest si fa così.”
 

L’atrio era umido, e i pochi presenti stavano in silenzio, sprecando il proprio tempo.
“Shalnark mi ha detto che avete portato a termine la missione con successo.”
“È così, ed è stato piuttosto semplice.”
“E vi siete anche occupati di Alexander, non ve lo avevo chiesto.”
“Si è buttato in mezzo, si è fatto ammazzare. Beh, tanto meglio per voi, no? un nemico in meno.”
“Amaya, credo non sia quello il problema.” La sorella assunse un’espressione interrogativa.
“Non dovevamo portare la sua testa?” Chiese, quando il fratello imitò il gesto di uno sgozzamento.
“Siete un ottimo elemento nella Brigata, non vedevo combattere come lo fate da voi da anni, risoluti e rapidi. Tuttavia il vostro passato ci ha portato più problemi che benefici.” Prima ancora che potesse proferire parola Amaya vide il lieve baluginio di un movimento con la coda dell’occhio, abbastanza per farle sollevare la mano d’istinto. Il filo vi sibilò teso attorno, premendogliela sotto la guancia, schiacciandola contro la gola fino a soffocarla.
Frau balzò in avanti. “Ama…” Il metallo luccicò quando Nobunaga mirò un fendente al suo collo, mancò la gola segnando un taglio rosso appena sotto l’orecchio.
Chrollo indietreggiò cauto mentre il sangue schizzava sulle piastrelle. Amaya cercò di urlare, ma riuscì solo a farfugliare attraverso la trachea semichiusa. Con la mano libera cercò l’impugnatura di una delle sue lame, ma qualcuno gli afferrò il polso e glielo bloccò: Phinks, premuto stretto contro il suo fianco sinistro.
“Mi dispiace.” Le mormorò all’orecchio, estraendo la lama della ragazza e lanciandola dall’altra parte della sala.
Frau inciampò, gorgogliando bava rossastra, una mano premuta sul lato del viso, con il sangue nero che serpeggiava tra le dita bianche. L’altra mano cercava a tentoni la spada, mentre Shalnark lo guardava, raggelato. Frau sfilò maldestramente un dito d’acciaio prima che Nobunaga si avvicinasse e lo colpisse, tranquillo e preciso –una, due, tre volte. La lama sottile scivolò dentro e fuori il corpo di Frau, e l’unico suono fu il respiro lieve della sua bocca splancata. Il sangue schizzò sul pavimento a lunghi fiotti, cominciando ad allargarsi in cerchi scuri sulla camicia bianca. Barcollò in avanti, inciampando nei suoi stessi piedi fino a crollare a terra, la spada estratta che graffiava il marmo sotto di lui.
Amaya si dimenò, ogni muscolo fremeva, ma era bloccata ed inerme come una mosca nel miele. Sentiva Phinks che le grugniva all’orecchio per lo sforzo, l’esile corpo caldo di Machi che le premeva sulla schiena. Sentì il filo tagliarla lentamente ai lati del collo, conficcarsi nella mano, premere stretto contro la gola; avvertiva il sangue colarle caldo lungo l’avambraccio, fin dentro la manica della camicia.
Una delle mani di Frau strisciò sul pavimento, tendendosi verso la sua; si sollevò un paio di centimetri, le vene che spiccavamo sul collo. Nobunaga si fece avanti e, con calma, lo pugnalò al cuore di spalle. Ebbe uno spasmo, poi ricadde immobile, la guancia pallida chiazzata di rosso. Il sangue prese a scorrere sotto di lui, facendosi strada tra le fessure delle piastrelle.
“Bene.” Nobunaga si chinò e pulì la spada sulla schiena di Frau. “Ecco fatto.”
Feitan guardava, accigliato: leggermente perplesso, leggermente irritato, leggermente annoiato. Quasi esaminasse alcune cifre di un bottino che non facevano tornare i conti.
Chrollo indicò il corpo. “Sbarazzatene, Shalnark.”
“Io?” Le labbra del ragazzo si arricciarono.
“Si tu, e tuo puoi aiutarlo Shizuku. Dovete capire cosa bisogna far per tenere al sicuro la nostra famiglia”
“No!” Shalnark barcollò all’indietro. “Io non avrò parte in tutto ciò!” Si voltò e corse fuori dalla stanza.
Il Capo non sembrò dare troppo peso all’accaduto. “Nobunaga, aiutala tu.” Gli occhi strabuzzati di Amaya li seguirono mentre trascinavano il cadavere di Frau in terrazza. Sollevarono Frau al di sopra della balaustra e lo gettarono giù.
E così fu andato.
Chrollo rivolse uno sguardo accigliato ad Amaya, una vaga figura scura attraverso i suoi occhi umidi, i capelli arruffati sul viso. “È ancora viva? Che stai facendo Machi?”
“Questo filo del cazzo le sta premuto sulla mano.” Sibilò lei.
“Ci penso io.” Phinks estrasse dalla cintura della ragazza un altro pugnale, sempre tenendole il polso con l’altra. “Mi dispiace davvero.” La lama uscì dalla guaina, acciaio scintillante e letale. Amaya pestò con tutta la forza che le era rimasta il piede di Machi e questa perse la presa sul filo, così lei lo scostò via dal collo, ringhiando e contorcendosi mentre Phinks la pugnalava. La lama mancò di parecchio il bersaglio, scivolando sotto la costola inferiore: freddo metallo, ma lei lo sentì bruciare caldo, una linea di fuoco dallo stomaco alla schiena. Le affondò nella carne trapassandola da parte a parte, e la punta punzecchiò il petto di Machi.
“Ah!” Lei mollò il filo e Amaya balzò su, cominciando ad urlare senza senso, colpendola con il gomito e facendola barcollare. Phinks, colto alla sprovvista, traccheggiò col pugnale nell’estrarlo dalla carne di lei e lo gettò lungo il pavimento. Lei gli sferrò un calcio, mancando l’inguine e beccandolo sull’anca, e lui si piegò. Amaya afferrò un pugnale dalla cintura, ma la mano tagliata era goffa e lui le afferrò il polso prima che potesse infilzarlo con la lama. Lottarono per averlo, a denti scoperti, ansimando uno in faccia dell’altra, barcollando avanti e indietro, le mani appiccicose del sangue di lei.
“Ammazzala!” Ci fu uno scricchiolio e la testa di Amaya si riempì di luce, il pavimento si schiantò contro il suo cranio, schiaffeggiandole la schiena.
“Maledetta…” Il tacco dello stivale di Machi si abbatté di colpo sulla sua mano destra; il dolore le corse su per il braccio, strappandole un sussulto nauseato. Lo stivale calò di nuovo su tutte le nocche, poi le dita, e poi il polso. Allo stesso tempo il piede di Phinks le tempestava le costole, più e più volte, facendola tossire e rabbrividire. La sua mano distrutta si torse, mentre cercava di rialzarsi su un fianco. Il tacco di Machi si abbatté e la schiacciò sul marmo freddo frantumandole le ossa. Ricadde indietro, a malapena capace di respirare, la stanza che vorticava intorno a lei.
Il pugno di Phinks calò giù e sollevò Amaya per la gola. Lei cercò do afferrarlo con la mano sinistra, ma tutta la forza che era colata via attraverso il foro nel fianco e i tagli sul collo. Le sue dita maldestre lasciarono solo goffi segni rossi sul volto dell’uomo. Il braccio fu respinto e torto brutalmente dietro la schiena.
“Giù dalla terrazza e facciamola finita.” Lei si sentì trascinare, la testa ciondoloni. La luce del sole l’accoltellò. Venne sollevata, mentre gli stivali flosci raschiavano la pietra. Il cielo azzurro si ribaltò, ora era issata lungo la balaustra. L’aria le pizzicò il naso e le fece tremare il petto. Si contorse, scalciò: il suo corpo si dibatteva per rimanere in vita.
Sfocata, tra i capelli insanguinati sugli occhi scorse la figura di Chrollo. “Spero tu capisca, non posso mettere in pericolo il Ragno, e i demoni che tue tuo fratello vi siete portati dietro sono troppo grossi anche per noi.”
Amaya voleva sputagli in faccia, ma le uscì solo un filo di sangue lungo il mento. “Fotti…”
Poi stava cadendo.

 

 

 

NdA
 
Amaya significa ‘pioggia notturna’ per questo la frase di Hisoka.
Hisoka, da quanto ho capito, significa ‘segreto’.
 

Naturalmente le parti in corsivo sono eventi passati, spero di non aver creato troppa confusione.
La canzone che appare in mezzo al testo è quella riportata sotto il nome del capitolo, mi piacerebbe associare una canzone ad ogni capitolo, vediamo che si riesce a fare.
Ho qualcosa da dire sulla storia, come vi ho detto sopra; questa storia sarà abbastanza violenta, succederanno cose che fanno inorridire anche me, e basata sulla vendetta, come si può ben capire dal titolo. Ah, per la cronaca Weltschmerz è una parola tedesca praticamente intraducibile, che significa “dolore del mondo”.
 

So che l’ultima scena non è molto plausibile; niente Nen, lo so, ma altrimenti non riuscivo a risolverla.
Uhm, probabilmente vi starete chiedendo se sono solita uccidere così brutalmente i miei stessi personaggi… beh, sì, ma Amaya non è ancora morta, no?
Spero di riuscire ad aggiornare con un minimo di regolarità.

Grazie per aver letto fino a qui :)

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Capitolo 2
*** Ossa ***


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Capitolo 1. Ossa

[Linkin park – Breaking the Habit]

 
Memories consume
like opening the wound
i'm picking me apart again
i don't want to be the one
the battles always choose
cause inside i realize
that i'm the one confused

 
La camicetta strappata si gonfiava e sbatteva contro la pelle scossa dai brividi. Prese a volteggiare ancora e ancora, e il mondo girò attorno a lei: il cielo azzurro con brandelli di nuvole, le torri scure in cima alla montagna, la facciata di roccia nera che correva via, gli alberi giallastri e il fiume scintillante, ancora il cielo blu con brandelli di nuvole, e poi ancora e ancora, sempre più veloce.
Il vento gelido le artigliava i capelli, ruggiva nelle orecchie, fischiava tra i denti insieme al suo respiro terrorizzato. Poteva vedere ogni albero, adesso, ogni ramo, ogni foglia. Le balzarono incontro. Aprì la bocca per gridare…
I ramoscelli la ghermirono, la strinsero, la frustarono. Un ramo spezzato arrestò il suo mulinare. Il legno cedeva e le si apriva intorno mentre lei precipitava giù, e ancora giù, per poi schiantarsi contro i fianco della montagna. Le gambe si spezzarono sotto il suo peso morto, la spalla si spezzò contro la terra dura. Ma invece che sfracellarsi le cervella contro le rocce, si frantumò solo la mascella contro il torace insanguinato di suo fratello, il sui corpo maciullato giaceva conficcato ai piedi di un albero.
E fu così che Frau salvò la vita di sua sorella.
Amaya rimbalzò sul cadavere, per tre quarti incosciente, e poi giù per la fiancata del monte, sempre di più, cadendo come una bambola rotta. Rocce, radici e dura terra la bastonarono, quasi venisse fatta a pezzi di un centinaio di martelli.
Si aprì un varco tra un groviglio di cespugli, i rovi che la flagellavano e artigliavano. Rotolò e rotolò, giù per il piano inclinato in una nuvola di polvere e foglie. Cadde sulla radice di un albero attorta su una roccia muschiosa. Scivolò piano fino ad arrestarsi, di schiena, e restò così.
Gemette.
Delle pietre che cadevano rumorosamente attorno, assieme a rametti e terriccio. Il polverone si posò pian piano. Sentiva il vento scricchiolare tra i rami, crepitare tra le foglie. O forse era il suo respiro, che le scricchiolava e crepitava nella gola spezzata. Il sole balenò attraverso gli alberi scuri, ferendole un occhio, l’altro era buio. Le mosche ronzavano, zigzagavano e nuotavano nell’umidità dell’aria mattutina.
Un farfuglio senza senso, ne era imbarazzata, quasi.
Ma non riusciva a smettere. Orrore animalesco. Matta disperazione. Il gemito che fanno i morti all’inferno.
Il suo occhio correva disperatamente intorno; vide il relitto della mano destra, un informe guantone violaceo con una ferita sanguinosa su un lato. Un dito tremava debolmente, la punta che grattava la pelle lacera sul gomito; l’avambraccio si era rotto in due, un ramoscello spezzato di ossa grigiastre attaccato per un filamento sanguinoso. Non sembrava vero, assomigliava a un congegno teatrale a buon mercato.
Adesso era la paura a tenerla stretta, aumentando a ogni respiro. Non poteva muovere la testa, non riusciva a muovere la lingua in bocca. Riusciva ad avvertire il dolore, che le rosicchiava ai confini della mente: una massa terribile di dolore, che le premeva addosso, schiacciandola da ogni parte, sempre peggio, e poi peggio, e poi peggio.
Frau era morto. Una striscia bagnata corse giù dal suo occhio tremolante, e la sentì gocciolare lentamente contro la guancia.
Perché non era morta? Come poteva non essere morta?

Presto, ti prego. Prima che faccia ancora più male. Ti prego, che sia presto.
Morte, ti prego.

 
“Accidenti a te Phinks!”
“Che c’è?”
“Mi hai tagliato, maledizione.” L’irritazione di Machi era pari al disgusto che Phinks provava per le armi bianche, tuttavia, in una situazione come quella non sarebbe riuscito a fare molto semplicemente a mani nude.
Si limitò a scrollare le spalle.
“Shizuku, per favore, ripulisci questo disastro.” Tra le mani della ragazza si materializzò un aspirapolvere e, dopo che la ragazza le diede qualche indicazione, questa si mise ad aspirare il sangue rimasto. Sul marmo non rimase neanche una macchia di sangue.
“Che facciamo ora, capo?” Nobunaga controllò che sulla sua katana non fossero rimaste macchie di sangue, una volta constatato che la lama era immacolata, come sempre, la rimise nel fodero.
“Quello che stavamo facendo prima di incappare in questo inconveniente.”

 
i don't know what's worth fighting for
or why i have to scream
i don't know how i got this way
i know it's not alright
so i'm
breaking the habit
tonight

Quando aprì gli occhi vide le ossa.
Ossa lunghe e corte, spesse e sottili, bianche, gialle, scure. Ricoprivano la parete scrostata dal pavimento al soffitto. Erano a centinaia: inchiodate a formare dei disegni, nel mosaico di un pazzo.
Abbassò gli occhi, dolenti e appiccicosi. Ad Amaya si accapponò la pelle. Cercò di mettersi a sedere. Il vago senso di rigidità intontita avvampò in dolore così all’improvviso che fu quasi sul punto di vomitare. La stanza buia prese a vibrare e a sfocarsi. Era tenuta ferma e sdraiata su qualcosa di duro. La sua mente era come piena di fango, e non riusciva a ricordare come fosse arrivata lì.
La testa le rotolò di lato e vide un tavolo; su di esso stava un vassoio di metallo, e sul vassoio  un attento assortimento di strumenti : tenaglie, pinze, aghi e forbici; una sega piccola ma molto professionale. Almeno una dozzina di coltelli, di tutte le forme e dimensioni. I suoi occhi si sbarravano via via che sfrecciavano lungo le loro lame lucide – ricurve, dritte, i bordi frastagliati, crudeli e bramosi alla luce del fuoco. Gli strumenti di un chirurgo?
 O di un torturatore?
“Frau?” La sua voce era uno squittio spettrale. La lingua, le gengive, la gola, i condotti del naso, tutto scorticati come carne scuoiata. Tentò di muoversi ancora, e riuscì appena a sollevare la testa. Persino quel poco sforzo le sferrò una pugnalata dolorosa lungo il collo e la spalla, diffondendo un pulsare sordo giù per le gambe, lungo il braccio destro e attraverso le costole. Il dolore portò con sé la paura, e la paura altro dolore. Il respiro le si affannò, tremate e sibilante dalle narici doloranti.

Clic, clic.
Si raggelò, con il silenzio a pizzicarle le orecchie. Poi ci fu un raschiare, quello di una chiave in una serratura. Allora Amaya prese a contorcersi freneticamente, col dolore che esplodeva in ogni articolazione, il sangue martellante dietro gli occhi.
Una porta cigolò aprendosi e sbatté nel richiudersi. Dei passi sulle assi nude, quasi senza far rumore, eppure ciascuno le pugnalò una stilettata di paura in gola. Un’ombra si proiettò  sul pavimento enorme, contorta, mostruosa. I suoi occhi si tesero ai margini, non poteva fare altro che aspettare il peggio.
Una figura si avvicinò all’ ingresso, la superò camminando dritta verso una credenza. Un uomo di statura media, a dire il vero, dai corti capelli candidi. L’ombra deforme era stata causata da un sacco di tela sulla spalla. Canticchiava stonato tra sé mentre prendeva a svuotarlo, disponendo ogni articolo sul proprio scaffale.
Se era un mostro, pareva uno dall’aria comune, con un occhio per i dettagli.
Chiuse gentilmente le finestrelle della credenza, ripiegò il sacco vuoto due volte e lo fece scivolare sotto l’armadio. Si tolse il giaccone macchiato e lo appese a un gancio, lo spazzolò con mano vivace, si voltò e si arrestò di colpo: un volto pallido, magro. Non vecchio, ma profondamente segnato, con zigomi duri e occhi famelici accesi nelle occhiaie profonde.
Si guardarono per un momento, e parvero entrambi scioccati. Poi le labbra di lui si contorsero in un sorriso malsano.
“Sei sveglia!”
“Chi sei?” Un suono graffiante e terrorizzato le raspava in gola.
“Cypher, per quanto possa servire. Basti dire che sono uno studente delle Scienze fisiche.”
“Un dottore?”
“Un guaritore, tra le altre cose. Come avrai capito, sono soprattutto un appassionato di ossa. È per questo che sono così contento che tu sia… caduta nella mia vita.” Sorrise di nuovo, ma era come il ghigno dei teschi, gli occhi non vi prendevano parte.
“Come sono…” Amaya doveva lottare con le parole, la mascella rigida come cardini arrugginiti. “Cose sono arrivata qui?”
“Ho bisogno di corpi per il mio lavoro. E talvolta ce ne sono dove ti ho trovato. Ma prima d’ora non ne avevo mai trovato uno vivo. Ritengo ti possa definire una donna spettacolarmente fortunata.” Sembrò pensarci un attimo. “Saresti stata più fortunata ancora a non cadere affatto, in primo luogo, ma… dal momento che è successo…”
“Dov’è mio fratello? Dov’è Frau?”
“Frau?” La memoria si riaffollò in un istante accecante. Il sangue a fiotti tra le dita serrate di suo fratello, la lunga lama della katana conficcata  in petto, mentre lei guardava impotente. Il suo viso smorto, imbrattato di rosso.
Gemette, si dimenò e si contorse. Il dolore balenò in ogni arto e la fece contrarre ancora, rabbrividire e rantolare, ma era bloccata. Il suo ospite la guardò lottare, il viso cereo vuoto come paglia bianca.
Si accasciò indietro, gemendo per il dolore che peggiorava.
“La rabbia non serve a nulla.” Poteva solo ringhiare, tracannando respiri mozzi attraverso i denti stretti. “Immagino che adesso tu stia soffrendo un po’.” Aprì un cassetto della credenza e tirò fuori un fazzoletto umido. “Cercherei di abituarmici, se ci riesci.” Si avvicinò e si chinò verso di lei. “Temo che il dolore diventerà il tuo compagno costante.” Vide il fazzoletto avvicinarsi al suo volto, mentre iniziava a sentire un odore dolciastro.
“Questo aiuterà.”


 

Hisoka aveva trovato quello che poteva essere definito un buon passatempo, se non altro era qualcosa di nuovo. Tuttavia, prima di iniziare anche solo a pensare chiaramente a cosa fare, decise di tornare velocemente al Covo, giusto per avvisare dove se ne sarebbe andato, non sia mai che una buona occasione di battersi con il Capo potesse andare sprecata semplicemente perché Machi non era riuscita a trovarlo.
 

Guardò giù dalla balaustra, un manto di foglie secche e marce faceva da tappeto per gli alberi contorti, e chissà a quanti altri cadaveri. Storse la bocca, in fondo un po’ gli dispiaceva, aveva trovato interessanti sia Frau che Amaya, non a tal punto da ritrovarsi con una nuova ossessione, certo, ma era sicuro che quei due fratelli avessero del potenziale. Era un peccato che andasse sprecato così, era anche un peccato che lui non potesse più far nulla, se non scendere a dare un’occhiata. Infondo non aveva salutato per bene né Frau né Amaya. Almeno quello poteva farlo.
 

Quando giunse nel sottobosco si accorse di non poter fare neanche quello, almeno, non con Amaya. Se il corpo di Frau era conficcato alla base di un albero, il corpo della sorella non si trovava da nessuna parte.

 
clutching my cure
i tightly lock the door
i try to catch my breath again
i hurt much more
than anytime before
i had no options left again

 
“Tornata tra noi?” Il volto dell’uomo balenò a fuoco, oscillando molle e bianco come una bandiera di resa. “Ero preoccupato, lo confesso. Non mi aspettavo ti svegliassi, ma ora che lo sei, sarebbe un peccato se…”
“Frau?” La sua testa galleggiava ancora. Grugnì, cercando di far forza su una caviglia, ma il dolore lancinante ricacciò avanti la verità, schiacciandole il viso in una smorfia disperata.
“Ancora dolore? Forse conosco un modo per tirarti un po’ su di morale.” Si sfergò le mani. “I punti sono tutti tolti, adesso.”
“Quanto tempo ho dormito?”
“Poche ore.”
“E prima?”
“Dodici settimane o giù di lì.” Lei lo fissò di rimando, intontita. “Tutto l’autunno e una parte dell’inverso, il nuovo anno è presto in arrivo. Un buon momento per un nuovo inizio. Che tu ti sia risvegliata è a dir poco miracoloso. Le lesioni erano… beh, penso che sarai soddisfatta del lavoro che ho fatto. Io lo sono.” L’uomo le fece scivolare sotto la testa un cuscino logoro, con la stesa delicatezza che userebbe un macellaio con la propria carne. E le alzò il mento in modo che potesse osservare verso se stessa. E così non ci fu altra scelta che farlo; il suo corpo era un profilo gibboso sotto la rozza coperta grigia, con tre cinture di cuoio su petto fianchi e caviglie.
“Le cinghie sono per la tua sicurezza, per evitare che ruzzolassi dalla panca mentre dormivi” Si lasciò sfuggire una risatina improvvisa. “Non vorremmo ti rompessi qualcosa, no? Ah… ah! Non vorremmo ti rompessi proprio nulla.” Slacciò l’ultima cinghia e prese la coperta tra pollice e indice.
La mise via come un teatrante che esponga la sua merce in vendita.
Amaya riconobbe il proprio corpo a malapena. Completamente nudo, scarno e appassito, la pelle pallida tutta stiracchiata  sulle sgraziate  sporgenze delle ossa, interamente macchiata di grossi lividi  come fiori neri. I suoi occhi saettarono sulla carne devastata, aprendosi sempre di più via via che si sforzava di assorbire il tutto. Era attraversata per intero da linee rossastre: scure e rabbiose, bordate di carne rosa in sporgenza, o punteggiate di macchioline dei punti tirati. C’erano quattro linee, una sopra l’altra, che seguivano le curve delle sue costole da un lato e interrompevano più volte il tatuaggio del Ragno. Altre correvano giù spigolose lungo i fianchi, gambe, il braccio destro.
Cominciò a tremare. Quella carcassa macellata non poteva essere il suo corpo. Il respiro le sibilò tra i denti che sbattevano, e la gabbia toracica si sollevò a tempo.
“Lo so! Impressionante, eh?” L’uomo si sporse su di lei, seguendo la scala di segni rossi sul suo seno con dei movimenti rapidi della mano.
“Le costole qui e lo sterno erano piuttosto fracassati. È stato necessario praticare delle incisione per ripararli, capisci, e poi lavorare sul polmone. Ho mantenuto il taglio al minimo, ma vedi bene come il danno…”
Gemette di nuovo.
“È dell’anca sinistra che sono particolarmente orgoglioso.” Indicò uno zig-zag che correva dal suo stomaco alla parte interna della gamba, accompagnato su entrambi i lati da tracce di puntini rossi. “Il femore, qui, purtroppo si era spezzato.” Fece schioccare la lingua. “Ho dovuto accorciare un po’ la gamba, ma per un colpo fortunato l’altra tibia era a pezzi, ho potuto rimuovere una piccola porzione di ossa e colmare la differenza. Un ginocchio leggermente più alto dell’altro.”
Amaya gemette di nuovo, e sollevò la mano destra. O quella tremula parodia si una mano che ciondolava all’estremità del suo braccio. Il palmo stava piegato, rattrappito, con una gran brutta cicatrice dove il filo di Machi l’aveva tagliata a fondo di lato. Le dita erano piegate come radici di alberi, schiacciate assieme , il mignolo spuntava con un angolatura strana. Il respiro le sibilò tra i denti stretti, mentre cercava di chiudere il pugno. Le dita si mossero appena, ma il dolore le esplose lungo il braccio.
“Il meglio che potessi fare. Ossa piccola, vedi, gravemente danneggiate, e i tendini del mignolo erano messi parecchio male.” Il suo ospite sembrava deluso. “Un brutto colpo, è ovvio. I segni svaniranno… un po’. Ma a dire il vero, considerando la caduta… bene, direi.”

 
i'll paint it on the walls
cause i'm the one at fault
i'll never fight again
and this is how it ends

 
“Ecco.” Lui le fece scivolare la mano dietro la testa, gentile ma fermo, gliela sollevò e le accostò alle labbra una bottiglia d’acqua. Lei deglutì, ancora e ancora, poi i suoi occhi corsero alle dita di lui. Poteva sentire dei bozzi sconosciuti lì, ai lati della testa. “Sono stato costretto a rimuovere diversi pezzi del tuo cranio. Li ho sostituiti con delle monete.”
“Monete?”
“Preferiresti ti avessi lasciato le cervella esposte? L’oro non si arrugginisce, non marcisce. Certo, si tratta di un trattamento costoso, ma ritengo i miei soldi ben spesi. Il cuoio capelluto darà un po’ fastidio, ma i capelli ricresceranno. E li hai così belli. Chiari come la neve.”
 

“Chiudilo.”
“Non si chiude!” Sibilò lei, con le dita che si piegavano appena e il mignolo che se ne stava dritto. Ricordava quanto fosse veloce con le dita, rapida e sicura, la frustrazione e la rabbia mordevano persino più del dolore. “Non si chiude!”
“Insisti.”
“Vuoi provare tu, dannazione?”
“Molto bene.” L’uomo serrò inesorabile la propria mano su quella di lei, costringendola a piegare le dita a pugno con uno scricchiolio. Il dolore divenne tanto forte da impedirle di urlare. “Dubito tu capisca quanto ti sto aiutando” Strinse più forte. “Non si cresce senza dolore. Non si migliora senza di esso. La sofferenza ci porta a ottenere grandi cose. L’amore è un bel cuscino su cui riposare, ma solo l’odio può fare di te una persona migliore. Ecco.” Mollò la presa e lei ricadde indietro, piagnucolando, mentre fissava le sue dita tremanti che si schiudevano gradualmente per metà, con le cicatrici che spiccavano violacee. Avrebbe voluto ucciderlo, urlargli contro ogni maledizione a lei nota, ma aveva troppo bisogno di lui. Così tenne a freno la lingua.
“Adesso chiudi la mano.” Lei fissò quel volto, vuoto come una tomba scavata di fresco. “Adesso, o dovrò farlo io per te.” Amaya ringhiò per lo sforzo, il braccio fremette fino alla spalla. A poco a poco a poco le dita si chiusero appena, con il mignolo ancora sporgente dritto.
“Ecco qua, stronzo!” Gli agitò il proprio pugno intorpidito, bitorzoluto e storto sotto il naso. “Ecco qua!”
 

“E vediamo se riesci a…” Lei strillò, le ginocchia vacillanti, e sarebbe caduta se lui non l’avesse presa.
“Ancora?” Lui aggrottò la fronte. “Ma dovresti essere in grado di camminare. Le ossa sono rinsaldate. Doloroso, naturalmente, ma… forse c’è ancora un frammento in una delle articolazioni. Dov’è che ti fa male?”
“Dappertutto!”
“Mi fido che non si tratti solo della tua testardaggine. Mi dispiacerebbe aprirti di nuovo le ferite sulle gambe inutilmente.” Infatti, dopo poco, Amaya riuscì a stare dritta da sola. “Avanti ora.”
Lo specchio era attraversato da un’incrinatura, ma lei desiderò che fosse assai più rotto.

“I tuoi capelli sono candidi come la neve!” Rasati lungo il lato sinistro della testa, erano poi ricresciuti come stoppa. Il resto pendeva liscio, aggrovigliato e unto come vecchie alghe.
“I tuoi occhi brillano come zaffiri accecanti, inestimabili!” Iniettati di sangue, le ciglia incollate e gonfie, bordati di rosso scuro lungo le occhiaie violacee per il dolore.
“Labbra come petali di rosa?” Screpolate, riarse, una sorta di grigio spellato.
“Sei particolarmente bella stamattina, Amaya.” Su ogni lato del collo, rinsecchito come un fascio di corde pallide, le cicatrici rosse lasciate dal filo di Machi. Sembrava una donna appena morta di peste. Con un aspetto appena migliore dei teschi accatastati sul caminetto.
Al di là dello specchio, il suo ospite stava sorridendo. “Che ti avevo detto? Stai bene.”

“La Dea della Guerra in persona!” Sogghignò lei, e il volto che incarnava la vendetta ricambiò.

 
 

NdA
 
Capitolo di transizione, ma comunque fondamentale, dal prossimo vedremo la nostra cara protagonista (che ehi, non è morta! Quasi) darsi da fare e uscire da questo buco pieno di ossa, farà una bella sorpresa a una certa persona e inizierà a mettere le basi per il suo piano di vendetta. Quindi spero che il prossimo capitolo risulti ben più interessante di questo che, nonostante mi sia divertita a scrivere, posso immaginare sia un po’ palloso.
Ringrazio infinitamente chi ha recensito e chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.
 

Ps. Un piccolo parere mi farebbe assai piacere, anche da voi, lettori silenziosi *-*
Pps. Il banner cambierà spesso, se ve lo state chiedendo, prima avevo inserito Frau a sinistra, in questo invece c’è Cypher, il ‘caro amico’ che ha curato Amaya.
Ppps. Sto davvero cercando di rendere i capitoli più brevi, o li preferite così, dei mezzi papiri?
 

Quindi a presto, spero :)

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Capitolo 3
*** Bugiardo ***


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Capitolo 2. Bugiardo

[Florence and The Machine – Seven Devils]

 

Holy water cannot help you now
Thousand armies couldn’t keep me out
I don’t want your money
I don’t want your crown
See I’ve come to burn your kingdom down

Scese dalla panca e afferrò un paio di aghi e un coltello dal vassoio. Barcollò lungo il corridoio, con le assi che scricchiolavano sotto ai piedi nudi, poi in camera da letto, facendo una smorfia mentre tirava su i vecchi stivali da sotto il letto.
Poi di nuovo nel corridoio, a sudare di fatica e dolore, e di paura. Si inginocchiò davanti alla porta, o quantomeno si abbassò per gradi scricchiolanti fino a quando le ginocchia in fiamme poggiarono sulle assi. Era parecchio tempo che non lavorava con una serratura: si mise a tirare e spingere con gli aghi, armeggiando con la mano storta.
Fortunatamente la serratura non era di quelle buone. I cilindri abboccarono, e girarono con un ticchettio soddisfacente. Amaya afferrò la maniglia e spalancò la porta.
Era notte, e di quelle toste. Una pioggia sferzava un cortile invaso di erbacce rigogliose, sfogliate da un tenuissimo bagliore di luce lunare, i muri fatiscenti  lucidi per l’umidità. Nottataccia per un’invalida che se ne stesse all’aperto. Ma con il vento gelido che le sferzava il viso , l’aria limpida in bocca, si sentiva quasi di nuovo viva.
Lasciando la porta aperta andò a recuperare gli abiti con cui era caduta dalla montagna, a parte un paio di macchie slavate erano ancora ben messi, dopo averli indossati frugò nelle tasche, in cerca di qualcosa di utile, qualcosa che di certo si era dimenticata di avere. E lì, con i bordi rovinati e la superficie lucida, trovò una carta da gioco.
Storse la bocca; nulla di davvero utile. forse. Si avviò nella notte, con le gambe ancora un po’ doloranti.

“Tu hai un diavolo dentro” Pensò a qualunque cosa le servisse per poter continuare, con i ricordi di suo fratello a precedere di gran carriera i suoi stivali goffi.

 

Seven devils all around me
Seven devils in my house
See they were there when I woke up this morning
I’ll be dead before the day is done

 HIsoka camminava tranquillo nel corridoio della Torre Celeste, giocherellando con una carta da gioco, avvertiva una lieve presenza poco più avanti, una presenza celata con l’In, una tecnica eseguita egregiamente, ma quel giorno, dopo un combattimento che non era stati così male, il prestigiatore era particolarmente sensibile. Quindi quando giunse davanti alla sua stanza aprì la porta con un sorriso appena accennato.
Le luci erano spente, solo dalle tende filtrava una tenue luce che andava ad illuminare una figura seduta ad un tavolo. Aguzzò la vista e vide la sua aura muoversi placida attorno a lei; ora che era entrato nella stanza aveva smesso di utilizzare l’In, e la sua energia sembrava muoversi come la superficie del sole, ma del tutto priva della sua stessa luminosità, sembrava infatti confondersi con l’oscurità della stanza.
“Amaya, quale piacevole sorpresa
~” Di certo lui non se la ricordava così.
“Non sei sorpreso.” La vide muoversi, ancora ammantata dall’oscurità, si mise in piedi, dandogli un fianco.
Lui sorrise.
“Perché sei qui?”
“Volevo restituirti questa. Il tuo due di spade.*” Con un movimento rapido e preciso lanciò nella sua direzione la vecchia carta da gioco.
“Fare tutta questa strada solo per una carta non è da te.” Rispose dopo averla preso al volo ed essersela rigirata tra le mani un paio di volte, per poi farla sparire. Lei rimase in silenzio “Non è che hai bisogno di qualcos’altro?” Ancora silenzio, Amaya gli lanciò solo un’occhiataccia, che purtroppo nel buio andò persa.
“Quello che voglio non ti deve interessare.” Era andata lì con tutta l’intenzione di fare una capatina ed andarsene, o almeno era quello che pensava lei, la verità era che non sapeva come cominciare, e svegliarsi dopo settimane di quella che per lei era stata sola e semplice morte in un mondo che si era rivelato il peggiore incubo l’aveva completamente destabilizzata. Frau era morto, e sarebbe dovuto esserlo anche lei.
“Peccato, ormai mi hai già incuriosito
~” Ci fu un momento di stasi, che venne interrotto dal prestigiatore, che mosse diversi passi verso di lei. “Come potrebbe non essere curioso il fatto che tu sia viva, dopo essere stata buttata giù da una montagna?”
“Me ne vado, non dovevo venire qui.”
“Ah, ma io so cosa vuoi, e non è difficile da immaginare.” Un’altra occhiataccia, e lui ancora mosse dei passi verso di lei.
“Dovresti farti gli affari tuoi.”
“I miei affari sono incredibilmente noiosi, ultimamente.”
“Bugiardo.” Lui sorrise ancora, senza negare.
“Ma i tuoi sembrano incredibilmente interessanti.” Continuò lui come se non l’avesse neanche interrotto.
“Cosa vuoi?” Lo aggredì alla fine lei.
“Cosa vuoi tu, piuttosto? Non sei venuta qui per iniziare la tua vendetta? Non sei venuta qui per chiedere il mio aiuto?” Amaya sobbalzò, forse era quello il motivo per cui aveva fatto tutta quella strada, la sua mente era ancora confusa, e doveva aver scelto istintivamente l’opzione migliore. Lei arretrò, andando quasi ad appoggiare le spalle contro la finestra “O solo perché vuoi passare una notte divertendoti un po’?”
“Sei disgustoso.” Il cuore le martellava in petto; aveva deciso davvero di andare da lui per chiedergli aiuto, o semplicemente perché lui sembrava essere l’unico essere umano degno di fiducia? O forse un semplice errore?
In quel momento lo spinse via, accorgendosi però che l’unica via di fuga era bloccata dal prestigiatore, a meno che non volesse camminare sul letto e andare dritta verso la porta, ma considerate le condizioni delle sue gambe camminare su una superficie molla non le avrebbe garantito un passaggio sicuro, tutt’altro.
“Allora?”
“Credo… di essermi persa, più o meno.” La stanchezza che avvertiva sul corpo, o forse il dolore alla gambe la spinsero a sedersi sul bordo del letto. Si era decisamente persa; sapeva a malapena ciò che voleva, tutto ero offuscato dalla rabbia e dal dolore: vendetta.
Si prese la testa tra le mani, tentando di ragionare coerentemente, mentre Hisoka continuava ad osservarla, e a rimanere incantato dai movimenti repentini e morbidi della sua aura, ora sì che poteva considerarla veramente interessante.
Le diede il suo tempo e alla fine decise lei stessa di parlare.
“Mio fratello è morto. Mi hanno tolto tutto quello che avevo, l’hanno ucciso, perché sono tutti dei codardi, e avrebbero fatto bene ad uccidere anche me, perché non me ne lascerò scappare neanche uno, ora. Mi hanno buttato giù dalla loro dannata montagna e un pazzo mi ha raccolto, riparandomi i buchi che avevo nel cranio con delle monete, per non fare uscire le cervella.” Frau era morto, e ogni cosa buona in lei se n’era andata con lui. Il modo in cui l’uno faceva ridere l’altra. Quella comprensione che nasce da una vita insieme, andata. Era stato casa, famiglia, amico e altro ancora. Tutti uccisi in una volta. Tutto spento con la noncuranza  di una candela a buon mercato. La mano era rovinata. Quelli che stringeva al petto erano i suoi ridicoli resti doloranti. Il modo in cui sguainava una lama, impugnava una penna, tutto schiacciato sotto lo stivale di Machi. Il modo con cui camminava, correva, cavalcava, tutto sparsi in pezzi già dal fianco della montagna sotto il balcone di Chrollo. Il suo posto nel mondo, il lavoro di anni, costruiti con il proprio sudore e sangue, ciò per cui aveva lottato, sudato, andati in fumo. Tutto ciò per cui aveva lavorato, sperato, sognato.
Morto.
“E ora sono a pezzi, letteralmente, non posso più impugnare un arma con la mano destra, non posso più correre come una volta, non posso più recuperare nulla.”
Quelle cose non se n’erano solo andate, le erano state rubate. Suo fratello non era solamente morto, era stato assassinato. Macellato come una bestia.
“Voglio farli fuori, uno per uno, voglio vendicarmi.” A Hisoka quell’idea di certo non dispiaceva, non facendo realmente parte del Ragno, non provava nessun obbligo verso di loro, non aveva motivo per proteggerli.
“Chi sono i tuoi obbiettivi?”
Si costrinse a vedere i loro volti uno per uno. “Machi” Che con forza si abbatteva sulla sua mano, mentre le ossa si spezzavano. “Feitan” Con gli occhi freddi che fissavano il cadavere di suo fratello, infastidito.  “Phinks” Un uomo che aveva combattuto spesso al fianco di suo fratello, anno dopo anno. “Mi dispiace davvero.” Poi la sua pugnalata al fianco. “Nobunaga.” Che con incredibile freddezza trapassava con la sua spada il corpo di suo fratello. “Shizuku” Che se ne stava ad osservare, aspettando che finisse tutto, come se stesse osservando un programma neanche troppo interessante. “Shalnark” Anche lui. “Non avrò parte in tutto ciò!” Ma questo non aveva cambiato niente.
“Chrollo.” La testa del Ragno, che sarebbe caduta per mano sua e-
“No.” Lei si voltò verso di lui, un’espressione stupita dipinta sul volto. “Non ucciderai Chrollo.” Lei era già pronta ad arrabbiarsi ed inveire contro di lui; non avrebbe rovinato il suo piano, la sua vendetta. “Sarò io a ucciderlo.” Lei rimase sorpresa. “Ti aiuterò nella tua vendetta, a patto che tu lasci Chrollo a me, voglio essere io a ucciderlo.”
“Si può fare, ma voglio essere presente anche io, devo vederlo morire.”
“Bene allora, con chi intendi cominciare?”
“Con il primo che mi capita sotto le mani.”
“Allora in questo posso darti un consiglio, anzi, ti dirò un piccolo segreto; qui alla Torre Celeste, quando combatto certi incontri e rimango ferito-”
Tu, ferito?”
“Oh, rende le cose più interessanti, la maggior parte delle volte, e la gente qui non fa poi così schifo. Comunque, di solito viene Machi a medicarmi con la sua incredibile abilità Nen.”
“È ammirazione quella che sento nella tua voce?”
“Oh, dovresti vederla mentre lavora, quanta maestria.” Avvicinò il suo volto a quello della ragazza, che si piegò indietro. In un attimo nella sua mano sinistra si materializzò una lama corta e pratica.
“Bene allora.” Appoggiò una lama sul suo collo. “Ma sappi che se penserai anche solo a tradirmi, a colpirmi alle spalle finirai in pezzi prima ancora che tu te ne renda conto.”
“Non dovresti preoccuparti di questo, piuttosto dovresti ringraziarmi.” Si avvicinò ulteriormente, nonostante la lama gli stesse tagliando il lato del collo, i volti vicini.
“Non ho motivo per farlo.” La sua voce si riempì di orgoglio, non avrebbe avuto davvero bisogno di lui, o almeno era quello che credeva. Il sangue del prestigiatore colò sulla lama e bagno la sua mano, ma lui non sembrò curarsene.
“Io invece credo di sì, ti sto dando un’occasione incredibile per liberarti del tuo primo bersaglio, e non dimenticare che ti sto ospitando qui.”
“Di che diavolo stai parlando?”
“Evidentemente non hai un posto dove stare, e questa è la tua unica possibilità. Come pagamento… credo mi basterà quella.” Disse mostrandole la carta che poco prima aveva fatto sparire.
“Bugiardo.” Con un movimento fulmineo che lei riuscì appena a percepire la mano di Hisoka andò a stringere il suo polso, allontanando appena la lama dal suo collo, mentre il peso del suo corpo gravava all’improvviso su di lei. Probabilmente non se l’aspettava nessuno dei due, ma il braccio destro di Amaya cedette e finirono sdraiati, uno sopra l’altro. Amaya avvertì il dolore propagarsi come fuoco in tutto il suo corpo, imprecò e si dimenò, finendo solo per aumentare quella tortura che le stava sconquassando le ossa.
“Maledetto! Levati!” Sentì una lieve risata, che servì solo ad aumentare la sua rabbia.
“Non ti lascio andare da nessuna parte.” La sua mano corse sul suo fianco, percorrendolo maliziosamente. A quel punto Amaya riuscì a districare le gambe dal groviglio che avevano creato con quelle del prestigiatore e ad assestare una bella ginocchiata in mezzo alle gambe di quest’ultimo. O almeno era quello ch aveva sperato visto la mano che le teneva il polso si spostò sul suo ginocchio, prima che potesse fare qualche danno. Ora che aveva la mano sinistra libera, non forte come lo era stata la destra, certo, ma comunque forte, non perse tempo a materializzare un’arma, ma mirò semplicemente al volto dell’uomo, con l’intento di sfregiarlo. Prima ancora che potesse sentire la sua pelle sulle nocche il peso sul suo corpo svanì all’improvviso.
Con un altro rapido movimento Hisoka si era messo in piedi, con le ginocchia che sfioravano appena quelle di Amaya, la quale si accorse in quel momento che le spalle del prestigiatore erano mosse da una risata mal trattenuta.
“Ah, quando ti arrabbi sei adorabile.” Stava per insultarlo pesantemente, quando avvertì la sua aura, cupa e pressante, proprio come la ricordava, avvolgere lei e riempire la stanza. Brividi le corsero per la schiena, provocandole un piacevole solletico.
Ancora con il fiato grosso, Amaya, materializzò una lama nella sua mano sinistra, e puntandola verso il prestigiatore, si girò e gattonò al contrario sul letto, senza mai perderlo d’occhio, fino a che i suoi piedi non toccarono il pavimento. In quel lasso di tempo il prestigiatore non aveva mai distolto lo sguardo dalla ragazza e dalla sua espressione di rabbia e dolore. Perché le fitte alle ossa erano ancora ben forti.
Amaya fece un passo indietro, riducendo la distanza che la separava dalla porta, ma non riuscì ad andare oltre, perché si sentì strattonare e, visto il suo precario equilibrio sulle gambe doloranti, perse l’equilibrio, finendo di nuovo distesa sul letto. In quel momento se la prese con se stessa; non aveva preso in considerazione la Bungee-Gum di Hisoka.
“Ho detto che non ti lascio andare da nessuna parte.”
“Che cosa vuoi?” Non c’era più rabbia nella sua voce, si era più o meno rassegnata, e dalla sua voce ora traspariva solo che stanchezza.
Te.” Amaya rimase impassibile mentre sollevava il torace dal materasso; sentiva le fitte percorrerle tutto il corpo, quel giorno aveva viaggiato molto, e ora il suo corpo ne risentiva.
“Sono a pezzi Hisoka, come puoi credere che io-” Con sua sorpresa, si sporse verso di lei e posò un bacio sulla sua guancia pallida. Le sue labbra indugiarono lì, quasi giocando e beandosi della sua reazione. Lei chiuse gli occhi, il cuore che batteva con rabbia. Non si mosse, quasi non respirò, mentre sentiva la bocca di Hisoka scivolare verso la sua. Le baciò le labbra in modo appassionato, un morso di bramosia appena smorzato dalla pressione. Lei aprì gli occhi e lo scoprì a fissarla. Il suo sguardo aveva in sé una ferocia animalesca che le fece correre una sensazione di ansia su per la spina dorsale.
“Questo puoi farlo?” Il suo sguardo penetrante restò inchiodato su di lei. Che non annuì, ma non negò neanche. Si piegò di nuovo per sfiorarle con le labbra prima le guancie, poi il mento, quindi la gola. Lei sospirò e Hisoka smorzò il suo leggero ansito con un bacio ardente, infilandole la lingua tra le labbra socchiuse. Amaya lo accolse, vagamente conscia che la sua mano adesso era dietro di lei e scivolava sotto l’orlo della sua camicia. Tuttavia non reagì, neanche quando i suoi baci si fecero più possessivi e i loro corpi non si avvicinarono ulteriormente.
In quel momento Hisoka si fermò, osservandola attentamente, con uno sguardo vagamente deluso.
“Non capisci Amaya? Io ti voglio.” Amaya chiuse gli occhi, sentendo chiaramente le sue mani indugiare ancora sul suo corpo. Lei cosa voleva? La sua mente era piena di immagini cruente; lame insanguinate, dita macchiate di sangue, occhi strabuzzati, ossa rotte, dolore. Non riusciva a liberarsene.
“Amaya, dimmi che anche tu lo vuoi.” La sua voce era un sussurro, la promessa di un segreto mantenuto nell’oscurità.
“Io…” Tremò, quando la sua mano si strinse sul suo polso destro. Abbassò lo sguardo e incontrò il sua mano inguantata e tutto tornò velocemente a galla. Come poteva ignorare tale dolore? Un tale sfregio? “vorrei.” Si tirò su, tremante di risentimento, sedendosi sul bordo del letto.
Tu, è questo che vuoi?” Sfilò il guanto che le fasciava la mano distrutta e la sventolò con rabbia in faccia al prestigiatore. “Io non sono più nulla, se non un cadavere a pezzi rimesso insieme.” Sollevò un bordo della camicia, mettendo in mostra lo sfregio che attraversava tre volte il suo costato, cancellando quasi del tutto il tatuaggio del Ragno. “Come puoi desiderare uno scempio del genere?” Con un movimento fluido il prestigiatore si avvicinò sorridendo, portando una mano dietro la sua testa e avvicinando nuovamente i loro volti. Non ebbe bisogno di parole per farle capire che tutto quello non contava, che non aveva alcuna importanza, poiché Hisoka trovava che quelle cicatrici si intonassero perfettamente con la sua persona, rendeva il tutto incredibilmente più affascinante, più interessante. Mentre Amaya tremava, quasi terrorizzata dall’essere accettata.
Le loro labbra si unirono di nuovo, e questa volta Amaya non riuscì ad opporsi, forse era proprio di quello che aveva bisogno per cancellare momentaneamente il dolore e il sangue dalla sua mente.

 

They can keep me out
‘Till I tear the walls
‘Till I save your heart
And to take your soul
For what has been done
Cannot be undone
In the evil’s heart
In the evil’s soul

 
Inaspettatamente Hisoka si era staccato da lei dopo pochi istanti, dirigendosi verso il bagno, dicendole che si sarebbe semplicemente fatto una doccia rassicurandola che sarebbe tornato in un batter d’occhio. Come se Amaya temesse di essere lasciata sola.
Piuttosto, ciò che accadde in un batter d’occhio fu il crollo della ragazza, che per via della stanchezza, del dolore, e di chissà cos’altro, appoggiò la testa sul cuscino e, ancora prima di sentire l’acqua scrosciare nella doccia, finì nel mondo dei sogni, senza riuscire a ragionare per un solo istante su tutto quello che stava accadendo, né per mettere ordine nella sua testa.
Quando il prestigiatore uscì dal bagno, con solo un asciugamano intorno alla vita, e si accorse della figura immobile collassata sul suo letto, quasi gli venne da ridere. Si sedette sul bordo del letto e osservò il suo volto, finalmente rilassato, le spostò uno ciocca di capelli dal volto pensando che era da tanto che non aveva qualcosa, qualcuno, con cui divertirsi un po’. Era certo che ormai Amaya fosse cambiata completamente, ciò che sperava ardentemente era che movimentasse un po’ la sua situazione noiosa alla Torre, visto che le persone che stava aspettando non erano ancora arrivate.
Quello che provava verso di lei era un desiderio diverso da quello che provava verso Chrollo, la brama della battaglia che solo lui gli avrebbe fatto provare era indubbiamente qualcosa di unico, ma era certo che con Amaya il divertimento sarebbe potuto essere semplicemente quello di osservarla; così come si osserva un uragano spazzare via un’intera città.

 

And now all your love will be exorcised
And we will find your sayings to be paradox
And it’s an even sum
It’s a melody
It’s a final cry
It’s a symphony

 
Si svegliò con l’alba che combatteva contro il profilo dei grattacieli e delle montagne in lontananza, mentre un tenue chiarore iniziava a invadere la stanza. La prima cosa che sentì, ancora prima di aprire gli occhi, fu la lievissima pressione di una mano che si muoveva sulla sua schiena, stuzzicandola e facendole correre brividi su per la schiena.
“Frau?” Borbottò, ancora stordita da un sogno che non riusciva a ricordare, sulle labbra uno strano sapore. In quell’istante la mano si bloccò, per poi allontanarsi. Allora Amaya aprì gli occhi, e non vide colui che aveva sperato. Un volto affilato, occhi che brillavano come monete d’oro, trucco sbavato sulle guancia e capelli rossi scompigliati davanti agli occhi.
“Buongiorno.” Fece lui, ghignando. “Ti sei divertita questa notte?”
“Non cercare di fregarmi, ricordo benissimo che non è successo niente.” Si stropicciò gli occhi, e il prestigiatore si lasciò sfuggire una lieve risata.
“Già, un peccato. Quando sono uscito dal bagno tu dormivi come una bambina.” Continuò a prenderla un po’ in giro, sentendo una lieve euforia muoversi nel suo petto, a quel punto era lui ad assomigliare di più a un bambino.
Amaya si tirò su, sedendosi sul brodo del letto, le giunture che dolevano e le ossa irrigidite che le facevano male, dopo essere state ferme immobili tutta la notte. Gemette, quando provò a stiracchiare le gambe.
A quel punto si perse a pensare lucidamente a come avrebbe potuto creare un buon piano, come iniziare, come procedere, come terminare la sua vendetta. Mentre Hisoka continuava a stuzzicarla e a prenderla in giro. Il primo passo era indubbiamente Machi, ma cosa fare? Poteva pedinarla fuori dalla Torre o era meglio fare le cose lì dentro, dove i segreti erano al sicuro? Era meglio ucciderla subito o farla soffrire, distruggendole le mani come lei aveva fatto con Amaya, di certo voleva che sapesse per mano di chi fosse arrivata la morte, voleva che provasse paura, voleva che soffrisse, come era successo a lei.
In quel momento le venne il lampo di genio,un’idea che, se messa in atto, avrebbe fatto tremare il Ragno, ma ciò implicava anche scoprirsi, e parecchio, il che significava pericolo, e morte imminente a ogni respiro. Ma infondo le importava poco della sua vita ormai.
“Non la ucciderò.” Sussurrò tra sé.
“Come?” Quasi si era dimenticata di non essere da sola. Sospirò e poi sbuffò, chiedendosi nuovamente se andare alla Torre Celeste fosse stata una buona idea.
“Un avvertimento; ciò che farò a Machi sarà un avvertimento, voglio che il Ragno sappia chi è che taglierà loro le zampe.” Sentì il rumore di coperte che scivolavano sulla pelle, poi il calore di un corpo che si appoggiava alla sua schiena, labbra che sussurravano vicine al suo orecchio.
“Mi sembra un’idea fantastica
~” Quelle stesse labbra che si piegarono in un sussurro, indugiando sulla sua pelle.
Amaya rabbrividì, all’improvviso scocciata.
“Hisoka. Sei nudo.”

 

NdA

*IL DUE DI SPADE
Tradizionalmente rappresenta il "sentirsi bloccati" o una separazione necessaria per andare avanti. Tutti i due portano messaggi e notizie, e nel caso del due di spade sono brutte notizie.
Il due simboleggia gli scambi, e quando è influenzato dalle spade, indica conflitti, liti violente, incomprensioni e pettegolezzo cattivo.
Il due di spade rappresenta la colpa, la rabbia repressa, il risentimento e il "tenere il muso". Può indicare desiderio di vendetta.
Può indicare la perdita di contatti con qualcuno o una separazione, che può voler dire anche separarsi dall'auto, dal proprio lavoro o da una grossa somma di denaro (spendendolo) e sentirsi poi in colpa. La separazione può essere temporanea o permanente a seconda delle circostanze e delle carte vicine.
Insomma, una carta perfetta per questa storia.
 

Finalmente finito, fiù, questo è stato decisamente uno dei capitoli più faticosi che io abbia mai scritto. È praticamente la prima volta che scrivo una scena così ‘spinta’ e ammetto che nella mia testa succedeva qualcosa di più, ma preferisco che le cose si evolvano con la giusta velocità. Ditemi voi come vi pare, avrei bisogno di consigli, perché è la prima volta che scrivo cose un po’ più crude, in quel senso (nude e crude, haha).
E spero che l’ultima battuta vi abbia fatto sorridere, non ditemi che non ve l’aspettavate ^^ Ah, il caro Hisoka!
Grazie mille a tutti quelli che seguono (siete più di quanti mi aspettasi, wow *-*) e ai nuovi arrivati.
Sotto consiglio i capitoli rimarranno lunghi, yeh! Non sarei stata comunque in grado di accorciare questo qui u_u
Grazie mille a tutti e a presto :D
P.S. Il prossimo capitolo sarà abbastanza cruento, ma soprattutto si riunirà finalmente alla storia effettiva dell’anime/manga e continuerà seguendo più o meno quest’ultima. E farò in modo di spiegare, come si deve, come funziona l’abilità di Amaya ^^

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Capitolo 4
*** Ultraviolenza ***


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Capitolo 3. Ultraviolenza

[Lana Del Ray – Ultraviolence]

 

He used to call me DN
That stood for deadly nightshade
Cause I was filled with poison
But blessed with beauty and rage
He hit me and it felt like a kiss

Gli aveva chiesto di rivestirsi, e lui, con sua grande sorpresa, l’aveva accontentata, sapendo che più di tanto lei non avrebbe potuto rimandare. Tuttavia Amaya in quel momento stava ragionando, pensando attentamente a ogni dettaglio, con lo sguardo perso nel vuoto, la mano sinistra che quasi inconsapevolmente massaggiava il ginocchio dolorante.
A un certo punto sospirò, e lo sguardo si fece più presente e lucido.
“Il piano?” Nonostante Hisoka immaginasse che per quella volta lui se ne sarebbe stato in disparte, non riusciva a non essere interessato, affascinato,da ciò che era Amaya e dal suo modo di fare, di essere.
“La spada del Vuoto.” Prima ancora che il prestigiatore potesse chiedersi, o chiederle, di cosa stesse parlando, tra le mani della ragazza si materializzò una grossa spada; la lama nera con incisioni lucenti sul piatto*. La luce della stanza sembrò venire assorbita dall’aura che impregnava quella lama e la temperatura sembrò calare all’improvviso. L’essenza stessa di quell’arma incuteva un timore istintivo e Hisoka, avvertendola come un pericolo assottigliò gli occhi, attento ad ogni movimento.
“Non è che rischi di ammazzarla, con quella?” La spada sibilò nell’aria e la realtà sembrò frammentarsi. Amaya la impugnava con la sinistra e la muoveva in ampi tondi, con una destrezza di poco inferiore a quella che avrebbe avuto utilizzando la mano destra. Uno sbuffo d’aria gelida raggiunse il volto del prestigiatore.
“Non è forte come sembra. Voglio dire, è forte, ma con questa non ci si può uccidere le persone.” Hisoka diede segno di non aver capito. “Non ferisce neanche, se anche ti infilzassi, sul tuo corpo non rimarrebbe neanche una ferita. Tutto quello che fa, questa spada, è essenzialmente forzare lo Zetsu dell’individuo che ne viene colpito.” Con un movimento rapido fece sparire la lama, e l’aria sembrò alleggerirsi.
“Sono stupito, come funziona tutto questo?” Amaya batté le palpebre, sospirò e storse la bocca. “Non ti fidi?” Con ciò si guadagnò un’occhiataccia, eppure il ghigno divertito del prestigiatore non si spense.
“Per materializzare un’arma devo averla già impugnata in passato e averci ucciso qualcuno, o almeno, ferito con l’intento di uccidere. Per questo io e mio fratello all’ovest non facevamo altro che rubare, armi e cibo più che altro.”
“E dimmi, quante armi puoi materializzare?”
“Duecento, più o meno.” A quel punto il prestigiatore sorrise, piacevolmente sorpreso. “Certo, alcune sono inutili, ma altre sono fenomenali.” Ricordava di aver ‘ottenuto’ una spada molto particolare;  una spada la cui lama come quella di una katana era quasi invisibile, e per qualche strana e fantastica ragione poteva attraversare le cose inanimate, ferendo la carne. Ottima se si sta combattendo contro avversari con armature o scudi. Tuttavia dubitava che le sarebbe potuta tornare utile, visto le usanze così diverse rispetto all’ovest.
“Non vuoi farmi vedere qualche trucchetto?” Le labbra di Hisoka si piegarono in un ghigno.
“Io?” Si lasciò scappare una lieve risata, non era lei a far sparire carte tra le dita, e non intendeva mettersi a giocare con le sue armi. “Senti, ho bisogno di farmi un giro per la città, vedere qualche vicolo e trovare un posto appartato. Tornerò per sera, penso.”
“Ma come? Oggi ho un incontro, non ti interessa?” Amaya sospirò, un po’ scocciata.
“Me lo guarderò in videocassetta.” Borbottò, mentre si infilava guanto e cappotto.

 

He used to call me poison
Cause I was poison ivy
I could have died right there
He hurt me but it felt like true love
Loving him was never enough

Cinquecento metri, poco più di dieci minuti.
Aveva trovato un vicolo perfetto, isolato e buio, su cui non si affacciavano né porte né finestre.
Alla fine aveva deciso; avrebbe agito nell’ombra, si sarebbe allontanata da quel posto affollato, sicuro, ma comunque troppo affollato per i suoi gusti, e si sarebbe occupata di quella faccenda in quel posto isolato.
Amaya fremeva; nella sua testa già si immaginava il sangue che schizzava, le ossa rotte che laceravano la carne, la soddisfazione, immensa soddisfazione nel vendicarsi. Tutto ciò di cui aveva bisogno era di un po’ di buona violenza.
Sulla strada del ritorno alla Torre a malapena si accorse di stare iniziando a calpestare la sua stessa umanità; la sua mente era tinta di rosso, ed era calma, incredibilmente calma. Aveva momentaneamente messo da parte la rabbia e il risentimento, in quel momento, nella sua mente il suono dei suoi passi sull’asfalto era come quello delle ossa che si rompono, pezzi di anima che crollano a terra, un suono incredibilmente rassicurante.
Alla fine avrebbe camminato sui cadaveri, con un sorriso sul volto.
Eppure quando tornò nella ‘sua’ stanza, non si accorse che quella sanguinaria parte di sé, che era lei in tutto e per tutto, sembrò acquetarsi, lasciando spazio a calma e serenità.
Che stesse iniziando a fidarsi?
La suite era deserta, e lei decise di approfittarsene per farsi un bagno in santa pace.
Fece scorrere l’acqua nella vasca e si spogliò, indugiando davanti allo specchio. Era riuscita a recuperare un po’ di peso; aveva dovuto abituarsi di nuovo a mangiare dopo dodici settimane di digiuno comatoso, in cui aveva perso tutto il grasso corporeo, apparendo più simile a uno scheletro che a un essere umano. Ora le forme erano tornate a posto, le ossa del bacino erano ancora incredibilmente sporgenti, vedeva le costole muoversi al ritmo del suo respiro e le clavicole sembravano voler tagliare la pelle e spuntare fuori. Ma gli arti erano a posto, aveva recuperato anche la massa muscolare, nonostante il costante dolore alle ossa le impedisse di sfruttarla come avrebbe voluto.
Per le cicatrici che le correvano per tutto il corpo non poteva fare nulla, lo sapeva benissimo, la mano destra storta come un artiglio con il mignolo testardamente dritto non sarebbe mai tornata come un tempo, ed era quello a farle più male del suo aspetto. Ricordava di averla osservata con grande orrore quando la caduta era finita; allora era un guantone violaceo e informe. Niente era più rimasto come prima.
Si infilò nella vasca, il vapore che le lambiva la pelle, era da tanto che non riusciva a rilassarsi. Sentì a tensione dei muscoli svanire, il dolore alle ossa diminuire.
Appoggiò la testa al bordo della vasca, e allora si presentò il vero problema. C’era silenzio, era da sola, e i suoi pensieri erano liberissimi di correre incontrollati.
Quando nella sua mente si presentò l’immagine di suo fratello conficcato alla base di un albero quasi andò in panico, sentendo una morsa gelida serrarsi sul suo cuore, non voleva sentire quello, non in quel momento. Iniziò a stringere la mano destra, tentando di serrare il pugno, ed ecco il dolore tornare a farsi presente, a irradiarsi con furia per tutto il suo braccio. Riuscì a tenere la mente occupata in quel modo fino a che l’acqua nella vasca non si raffreddò. Allora uscì, e avvolgendosi in un asciugamano si diresse verso la camera da letto, accese la televisione e, scorrendo i vari incontri, trovò quello che sarebbe dovuto essere di Hisoka. Lo sfidante era già presente, un tizio abbastanza anonimo, con una lunga sciabola al fianco, Amaya inclinò la testa, vagamente interessata da quell’arma.
In teoria mancavano un paio di minuti all’incontro e nell’attesa la ragazza iniziò a rivestirsi, quando ebbe finito, sull’arena non c’era ancora la minima traccia del prestigiatore.
Amaya sospirò, pensò che se lo sarebbe dovuta aspettare, e che non si sarebbe più dovuta sorprendere di niente con quel folle. Si chiese dove sarebbe potuto essere finito, cosa c’era di più importante di uno scontro, in fondo?
La sua domanda ebbe risposta quando sentì la maniglia della porta scattare e aprirsi. A quanto pare quel pomeriggio sarebbe stato più stressante di quanto avesse desiderato.
“Sei un idiota.” Borbottò, senza la vera intenzione di farsi sentire.
“Rendo solo le cose più interessanti, e in più” Il prestigiatore si affacciò oltre lo stipite della porta della camera, osservando prima Amaya, imbronciata, e poi la televisione, che mostrava un avversario indignato e insoddisfatto, quando invece sarebbe dovuto essere grato di non aver combattuto contro Hisoka. “non mi sarei divertito affatto con quel tizio.” Sogghignò, guardandola in modo allusivo; in quel momento stava pensando a un divertimento del tutto diverso da quello che avrebbe provato in battaglia.

 

This is ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
I can hear sirens, sirens
He hit me and it felt like a kiss
I can hear violins, violins
Give me all of that ultraviolence

“Hai troppi vestiti addosso.” Lo guardò per un attimo sbigottita. Dire che non si sarebbe aspettata qualcosa del genere sarebbe stata una bugia, ma di certo non si aspettava che se ne uscisse così a caso, di punto in bianco. Sospirò, levandosi la camicia e coricandosi di fianco sul letto, un po’ scocciata per essere stata presa di contropiede in quel modo. Sentì il calore del suo corpo premere sul suo fianco e sulla sua schiena, le sue labbra sfiorarle l’orecchio, provocandole brividi su tutta la schiena. Si lamentò un poco, rabbrividendo anche nel profondo, e il prestigiatore rispose con una risata, Amaya sentì il suo petto a contatto con la sua schiena muoversi mentre ridacchiava, donandole una strana sensazione, non del tutto spiacevole.
Il prestigiatore fece il giro del letto, coricandosi davanti a lei e avvicinando il suo volto a quello di Amaya senza esitazione alcuna. Premette le sue labbra sulle sue in un bacio famelico. Lui la prese fra le braccia e la baciò intensamente, un’unione appassionata delle loro bocche che le fece girare la testa, librare il cuore e pulsare il sangue come fuoco nelle vene. Mentre la baciava Hisoka affondò le mani nella voluttuosa massa dei suoi capelli, beandosi della sua morbidezza e del suo calore. La voleva senza vestiti. La voleva nuda sotto di sé.
Il sangue gli pulsava, caldo e furibondo, per tutto il corpo, i muscoli tesi per un desiderio tale da essere quasi doloroso.
La bocca di Amaya era gonfia per il bacio, le labbra tinte di un roseo profondo e intenso. Il collo arrossato per il desiderio, un colore che propagava fino alla scollatura del reggiseno. In quel momento lui pensò di non aver mai visto nulla di più allettante.
Slacciò la chiusura anteriore dell’esile pezzo di stoffa, denudandole i seni davanti ai suoi occhi improvvisamente febbrili. Le mani gli prudevano dalla voglia di toccarla, perciò lo fece, accarezzando quelle dolci curve. Amaya tremò, abbassando lo sguardo  fissandolo per un istante la brutta cicatrice che le attraversava il petto segnandole lo sterno, nella penombra ad Hisoka sembrò vederla sbiancare.
Mi mise seduta di scatto, ansimando e gemendo, come dopo una lunga corsa.
“Che succede?”
“Io non… non riesco, non posso accettare tutto questo.” Gli occhi strabuzzati non erano pieni di confusione o paura, naturalmente non si trattava della prima volta, ma quello che sembravano riflettere i suoi occhi era puro disgusto. E non lo provava verso Hisoka, con tutte le sue strane manie e perversioni, in quel momento così intimo non riusciva ad accettare il proprio corpo, distrutto e sfregiato. In quel momento era la bestia più spaventosa da affrontare, l’avversario superiore in tutti i campi. “Che schifo.” Iniziò a battere con forza le palpebre, la vista improvvisamente annebbiata da lacrime che non si era accorta di piangere. Con rabbia le sue mani corsero alle cicatrici sul fianco e iniziarono a grattare a sangue, come se fosse bastato quello a cancellarle, a rimuovere quei segni e la storia che si portavano dietro.
Un paio di mani forti afferrarono i suoi polsi, e con un movimento tanto rapido che quasi le fece girare la testa si trovò sdraiata sotto di lui, i polsi bloccati sopra la testa. E ancora prima che potesse protestare o iniziare a scalciare le labbra del prestigiatore incontrarono le sue. La sua lingua si fece strada tra le sue labbra, costringendola a ricambiare quel bacio famelico, che di dolce non aveva nulla, poi incastrò le gambe con le sue, obbligandola quasi a farsi cingere i fianchi.
Durò poco, perché Hisoka si era ben accorto della tensione del suo corpo. Quando si staccò, lei aveva gli occhi serrati e la mascella contratta. Allora le lasciò i polsi, e vide i tendini ai lati del suo collo rilassarsi un po’.
“Non è mai stata mia intenzione prenderti contro la tua volontà.” Le sussurrò all’orecchio, accarezzandole la pelle morbida con le labbra fameliche.
“Credo di avere un problema.” Il suo era stato un sussurro e se Hisoka non fosse stato così vicino al suo volto molto probabilmente non l’avrebbe sentito. E nonostante la situazione si lasciò scappare una risata divertita.
“I problemi si risolvono,” In quel momento la ragazza aprì gli occhi, lucidi e tristi. “prima o poi.” Quello voleva dire che avrebbe aspettato? O che avrebbe fatto in modo di risolvere quel problema? Il prestigiatore si sollevò dal suo corpo, annunciando che si sarebbe andato a fare una doccia, in fondo poteva aspettare ancora un po’, e all’improvviso Amaya sentì freddo, un brivido le attraversò la schiena, e si sentì un po’ in colpa.
“Ah, domani sera avrò un incontro un po’ impegnativo, ci sarà Machi, alla fine.”

 

This is ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
I can hear sirens, sirens
He hit me and it felt like a kiss
I can hear violins, violins
Give me all of that ultraviolence

Amaya aveva seguito il combattimento in televisione; l’idea di andare sugli spalti non l’attirava per niente, così tanta gente, così tanto rumore, era deleterio quando lei aveva bisogno di restare il più tranquilla possibile.
Aveva visto Hisoka muoversi rapidamente inseguito da Kastro per la prima parte dello scontro, esibendo un’agilità che lei poteva solo rimpiangere, e venire comunque colpito un paio di volte dalla strana abilità dell’albino, per poi rimanere al suo posto per la maggior parte del resto scontro, fermo, a esibirsi con trucchetti di pessimo gusto, sempre con un sorriso di scherno sul volto.
Aveva fregato parecchie volte l’avversario, distraendolo e mirando a colpirlo mentalmente, come con l’asso di spade* che aveva tirato fuori dal braccio, in chissà quale assurdo modo.
Alla fine aveva vinto, ed Amaya era rimasta piacevolmente sorpresa dalla perizia con cui era riuscito a sfruttare e combinare le sue abilità Nen.

“Morirai, in una danza frenetica.” E alla fine Kastro era morto, trafitto dalle carte di Hisoka, senza che quest’ultimo muovesse un singolo muscolo, apparentemente. Alla fine era stata una vittoria schiacciante, nonostante sembrasse che il prestigiatore avesse perso, non una, ma entrambe le braccia.
Si alzò e spense la televisione, uscì dalla suite e si trovò un posto all’ombra in corridoio, poi attese, celando la sua presenza con l’In.
 

Seguì Machi fino in strada, interrompendo a intermittenza l’utilizzo dell’In, facendo voltare ogni volta la ragazza che stava pedinando, logorandole i nervi, ogni volta che palesava la sua presenza, ma restando comunque nascosta nell’ombra.
Giunte al punto da lei deciso il giorno prima smise completamente di utilizzare l’In, e materializzò immediatamente la Spada del Vuoto. La reazione di Machi fu immediata, proprio come aveva previsto, nel sentire l’aura minacciosa che emanava quell’arma. Amaya riuscì a essere rapida e a prenderla di sorpresa, le assestò un pugno sulla mascella che la fece ruotare su se stessa di mezzo giro per poi infilzarla da dietro con la spada, inchiodandola a terra e bloccando completamente il suo Nen.
“Stupido bastardo! Sei morto! Morto! Non sai chi sono! Non sai per chi lavoro!”
“Sì che lo so, Machi.” Amaya fece del suo meglio per camminare in modo fluido, come prima, ma non ci riuscì del tutto. Zoppicò appena nella sua direzione, accucciandosi davanti a lei. La faccia di Machi si tese.
“No, impossibile.” Allungò la mano e artigliò un lato del cappuccio della felpa di Amaya, tirandole un po’ di capelli. Spalancò gli occhi. E poi ancora. E ancora. Prima sconcerto, poi paura e infine orrore. “No!”
“Sì.” E lei sorrise, liberandosi dalla sua presa e abbassandosi il cappuccio.
“Ascolta, possiamo trovare un accordo,” A quel punto piccole gocce di sudore imperlavano la fronte di Machi. “una soluzione!”
“Già trovata. Purtroppo però non ho una montagna a portata di mano.” Materializzò un vecchio martello nella mano destra, tozzo e con l’impugnatura corta e un pesante blocco di metallo come testa, e sentì le nocche disarticolarsi, nell’impugnarlo con la mano guantata. “Quindi ti farò a pezzi con questo.” Terminò quindi con un sorriso malsano. “Avreste dovuto assicurarvi che fossi morta.”
“Chrollo lo scoprirà, lo scoprirà e verrà a farti a pezzi!”
“Certo che lo farà, non ho mai detto di volerti uccidere.”
“Ti ucciderà!”
“Lo ha già fatto, ricordi? Non è durata.” Sul collo di Machi apparivano in rilievo le vene a ogni sforzo che faceva. La Spada del Vuoto era eccezionale.
“Non puoi batterlo.” Ora aveva gli occhi sgranati, fissi sul martello che ondeggiava davanti ai suoi occhi.
“Forse no. Immagino che lo scopriremo.”  Sollevò in alto il martello e la testa d’acciaio colpì le nocche con uno scricchiolio leggermente metallico – una, due, tre volte. Ogni martellata le faceva male alla mano, dandole un dolore che le percorreva tutto il braccio. Ma molto minore rispetto a quello che provava Machi. Lei ansimava, gemeva, tremava.
Machi provò nuovamente ad allontanarsi, ma la spada la teneva schiacciata a terra e Amaya si sentì sorridere mentre il martello fischiava schiacciandogli di nuovo la mano. Il colpo successivo le prese il polso, facendole infilzare i suoi stessi aghi nella carne.
“Ha un aspetto peggiore del mio.” Sussurrò tra sé. “Beh, quando si paga un debito, educazione vuole che si aggiunga qualche interesse. E ora l’altra mano.”
“No! No, ti prego!” Il martello gli frantumò anche l’altra mano. Lei prendeva la mira con cura prima di ogni colpo, usando tutto il tempo che le occorreva. Polpastrelli. Dita. Nocche. Pollice. Palmo. Polso.
Aveva fatto un lavoro meticoloso e Machi era ancora cosciente; se ne accorse quando si rimise in piedi, con l’intenzione di lasciarla lì, svenuta. Ma aveva ancora gli occhi aperti, certo, tremava per il dolore e la rabbia, ma era tutt’altro che incosciente. Allora Amaya si abbassò di nuovo, cercando gli occhi azzurri della ragazza.
“Ma guarda un po’, siamo più resistenti di quanto credessi. Sai, ti sarebbe convenuto svenire, mi sta dando una scusa per divertirmi un po’ di più.” Sorrise di nuovo, sguazzando nella follia della vendetta.
Allora materializzò un pugnale a doppio filo, con una lama liscia e una seghettata. A quel punto il lavoro che portò a termine era tutto fuorché meticoloso. A parte il fatto che era stata ben attenta a non ucciderla, semplicemente a farla soffrire, urlare e sanguinare il necessario, si curò semplicemente di non ferirle troppo le gambe, voleva che tornasse dal loro capo con i propri piedi.
 

Le era stata addosso, senza darle tregua, girandole attorno come uno squalo affamato, ferendola in modo quasi casuale. Aveva accarezzato le ferite aperte, giocando con il sangue che le colava sulla pelle, quasi ridendo, beandosi dei suoi gemiti di dolore e delle urla trattenute.
Tornò alla torre soddisfatta e sporca di sangue, con ancora un sorriso beato stampato sul volto, le mani ancora viscide di sangue e una sensazione di agitazione che le stringeva lo stomaco; voleva di più, voleva più sangue, più ferite e più sofferenza. Voleva vedere il terrore negli occhi della vittima e sentirsi potente come un dio, poter fare quello che voleva, con una preda indifesa, alla sua mercé, provare ancora quel piacere inebriante di potere.
E quando tornò nella suite non fu esattamente quello che trovò.
E il desiderio che provava era mutato.

 

This is ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Give me all of that ultraviolence

La prima cosa che fece arrivata nella suite fu quella di togliersi la felpa, umida per la pioggia che era iniziata a scendere e sporca di sangue, la mollò a terra, senza prestare la minima attenzione a ciò che le stava attorno, barcollò verso il letto come ubriaca, continuando a bearsi del dolore di Machi e del suo sangue sulle mani.
Si accorse a malapena che l’acqua che prima scrosciava nella doccia ora si era fermata, e dei passi umidi che le si avvicinavano da dietro.
“Come è andata?” Si trovò una sua mano sul fianco, l’altra che si insinuava sotto la sua camicia, accarezzandole la pelle fino a farla rabbrividire, sentì il suo fiato sul collo e all’improvviso volle di più. Ciò che aveva fatto nel vicolo non bastava, c’era ancora una parte di lei che non era soddisfatta.
Si voltò, sentendo le unghie del prestigiatore graffiarle la pelle a causa del suo movimento repentino, gli buttò le braccia al collo e aggredì la sua bocca, lasciandogli segni rossi sulle spalle per il sangue che ancora non si era seccato.
Hisoka rimase stupito per un attimo, poi sorrise contro le sue labbra, afferrandola sotto il sedere per sollevarla. Amaya gli si avvinghiò addosso, stringendogli i fianchi con le gambe, accorgendosi pigramente che aveva solo un asciugamano in vita. Affondò il volto nel suo collo leccando avidamente il segno rosso del taglio che gli aveva fatto la prima sera lì alla Torre, sentendo il sapore ferroso e inebriante del suo sangue sulla lingua. Sentiva il cuore batterle con forza nel petto, si sentiva viva, finalmente, euforica.
A quel punto i vestiti erano in impaccio per entrambi e, senza tante cerimonie, Hisoka glieli strappò letteralmente di dosso, mentre la portava nella camera da letto, trasportandola come se non pesasse nulla. La sentì mordergli il collo; una dolce stilettata di dolore gli attraversò il corpo, eccitandolo più di quanto già non fosse.
La posò sul letto, liberandola degli ultimi vestiti che le erano rimasti addosso mentre tornavano a baciarsi, le cicatrici le attraversavano il corpo come un complicato disegno traslucido.
Amaya era famelica, e il prestigiatore si ritrovò diverse volte le labbra in mezzo ai suoi denti. Quando le loro bocche si separarono avevano entrambi il fiato grosso, gli occhi del prestigiatore sembravano brillare nella penombra della stanza. Fuggendo dalle labbra di Amaya le posò una mano sul petto per tenerla ferma, avendo quasi la totale certezza che altrimenti non sarebbe riuscito a fermarla - non in una tale situazione, e scese. Le afferrò la gamba sinistra, iniziando a passare la lingua sulla cicatrice che le attraversava l’interno della coscia, Amaya quasi urlò quando avvertì quel contatto umido contro la pelle ipersensibile della cicatrice.

“È dell’anca sinistra che sono particolarmente orgoglioso.” Una linea a zig-zag che correva dal suo stomaco alla parte interna della gamba, accompagnato su entrambi i lati da tracce di puntini rossi. “Il femore, qui, purtroppo si era spezzato.”
“Hisoka.” Tremava, eppure non riusciva ad averne abbastanza, non voleva liberarsi di quella strana ed inebriante sensazione, che le irradiava ondate di calore umide per tutto il corpo. Il prestigiatore non si fermò, continuando a giocare con la sua pelle, sfiorando poi la sua parte più sensibile e intima.
Con il fiato grosso Amaya fece uno scatto, che le costò una dolorosa stilettata di dolore in tutto corpo, per spingere Hisoka a pancia in su, sotto di lei, con la testa che gli penzolava appena fuori dal bordo del letto e iniziare a esplorare il suo corpo muscoloso con labbra e denti mentre gli sfilava dai fianchi l’asciugamano, poco prima di unire i loro corpi.
 

Si fermò a pochi millimetri dalla bocca del prestigiatore, in un attimo di lucidità ricordò la giornata precedente, in cui aveva provato un tale disgusto per il suo corpo da bloccarla completamente, abbassò cautamente lo sguardo scorrendo con gli occhi sulle proprie forme e sulle cicatrici senza provare nulla, era semplicemente un corpo, ed era così che doveva essere.
Lui le afferrò la nuca, spingendo di nuovo i loro volti vicini.
“Non ti fermare, Amaya.” Continuarono a lungo, con i corpi che si perdevano l’uno nell’altro, esplorandosi e combattendosi, con le aure che si sfioravano e sfregavano fra di loro, riempiendo la stanza di un’atmosfera inebriante.
In quel momento Amaya poté giurare di aver appena risolto un problema.

 

 

 

NdA

*Il piatto della lama e la parte non tagliente, su cui di solito si trovano le scanalature o possibili incisioni

*ASSO DI SPADE
Tradizionalmente, ha la fama di essere la carta della morte, e in effetti simboleggia le trasformazioni e i cambiamenti associati ad una fine e un nuovo inizio.
L'asso di spade si riferisce alla fine di qualcosa o all'inizio di problemi. Può essere inteso quindi anche come rinascita. Poiché le spade rappresentano "la mente", l'asso assume anche il significato di preoccupazioni, paure, ansia e decisioni da prendere.
In più è proprio la carta che Hisoka ha tirato fuori dal braccio durante l’incontro.
 

In tutta l’ultima parte sarò stata tipo… D: così, ecco.
Non ho idea di come sia venuto fuori, davvero, è praticamente la prima volta che scrivo una cosa così spinta.. cioè, non è molto da me. Ma si tratta di una storia così, e così dovrà essere, prima o poi, credo di doverci prendere un po’ la mano. Vi porterò qualcosa di più, prometto (più da rating rosso che arancione), cercherò di gestire meglio la situazione, era mia intenzione farlo da subito, ma non volevo rendere il capitolo un papiro più di quanto già non fosse, e preferisco procedere per gradi.
È dall’inizio della storia che non vedevo l’ora di usare questa canzone, si adatta perfettamente alla storia *-*
Ah, ehm, credo di aver mandati OOC Machi, ma non ho idea di come possa comportarsi una come lei in una situazione del genere, quindi boh, ho improvvisato..
Ah, a proposito, era questo che intendevo con ‘stravolgere completamente’; la strada di Amaya con molte probabilità sarà questa, disseminata di cadaveri. Non ci sarà alcuna pietà per i membri del ragno che l’hanno tradita, quindi non ci andrà leggera.
Sono curiosa di sapere come la prenderete…
 

PS. Ma quanto è bello Hisoka nel banner? *Q*

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Capitolo 5
*** Follia ***


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Capitolo 4.  Follia

[HIM – Rip out the Wings of a Butterfly]

Heaven ablaze in our eyes
We're standing still in time
The blood on our hands is the wine
We offer as sacrifice

 

“Ouf!” Venne svegliato di colpo da un cuscino lanciato sulla sua faccia con una forza eccessiva, e avrebbe potuto giurare di aver sentito un’imprecazione. “Che succede?” Chiese con la voce ancora arrochita dal sonno e dalla piacevole stanchezza causata dalla nottata movimentata.
“Sei un bastardo! Mi hai stracciato gli unici vestiti che avevo!” La voce di Amaya era completamente alterata e il prestigiatore poteva benissimo avvertire la sua aura addensarsi attorno a lei, dando a quest’ultimo una sensazione che di piacevole aveva ben poco.
Alzò il busto spostando il cuscino che si era beccato in faccia e osservò la ragazza; era nuda, ma a quanto pare aveva provato a rivestirsi, metà camicia le pendeva molla da una spalla accarezzandole dolcemente le curve del seno, l’altra metà era tra le sue mani.
A quanto pare tutto ciò che si era salvate era stato l’intimo.
“Beh, vorrà dire che resterai senza vestiti.” Sorrise e si sporse verso di lei, beccandosi un altro cuscino in faccia, lanciato senza troppa convinzione.
“Quei segni…” Fece lei con voce sommessa; aveva appena notato le macchie di sangue sulle spalle scoperte di Hisoka e una strana espressione aveva cambiato il suo volto. Senza smettere il suo sorriso inquietante il prestigiatore le prese una mano, mostrandole il sangue secco che non si era lavata via la sera prima.
“Se è questo che ti interessa, no, non mi fai ferito. Beh, a parte un paio di morsi un po’ troppo forti.” Vide il suo volto avvampare quando lui indicò un segno rosso sul suo collo, che era andato a riaprire quel vecchio taglio. “Mi sei sembrata abbastanza eccitata ieri sera.”
“Sta zitto! Vado a farmi una doccia, e se credi che mi importi di averti fatto del male allora non mi hai affatto capito.” Si alzò tutta imbronciata e si diresse verso il bagno zoppicando, senza voltarsi indietro.
Hisoka attese di sentire l’acqua iniziare a scorrere per poi muoversi con fare furtivo verso il bagno, e infilarsi con le nel box doccia.
“Credi che sia cretina? Cosa cavolo ti metti a usare l’In qui dentro?” Inveì contro di lui per un po’, arrabbiata per i vestiti e chissà che altro, per poi rinunciare, accorgendosi che tutto ciò che ne stava ricavando era un ghigno divertito da parte del prestigiatore. Allora lo ignorò, dandogli la schiena e cercando di lavarsi via il sangue il meglio possibile.
Ma il suo tentativo di farsi una doccia normale venne stroncato quasi subito quando sentì le sue mani iniziare a correre per il suo corpo, accarezzandola e stuzzicandola e una vampata di calore si diffuse per il suo corpo.
“Nella doccia?” Borbottò lei, voltandosi, senza ottenere la risposta che aveva sperato.
“Che intendi fare ora?” Chiese lui con un sorriso cospiratore, Amaya immaginò che le stesse nascondendo qualcosa, e che non si stesse impegnando neanche troppo per nasconderlo.
“Cercare gli altri ragni, ovvio.” Lo guardò circospetta, studiando quegli occhi dorati pieni di desiderio e chissà che altro.
“E sai dove trovarli?”
“No.” Non aveva motivo di mentire, anche perché non sarebbe stato affatto costruttivo.
“Già, tu non fai più parte del Ragno, no?” Amaya assottigliò lo sguardo, non le piaceva giocare in quel modo. Artigliò con la mano buona la pelle della sua schiena e tirò, infondendo un po’ di Nen nella sua stessa mano; come si era aspettata la stoffa che Hisoka aveva usato come finta pelle venne via.
“Neanche tu lo sei e se hai qualcosa da dirmi sarebbe meglio per te sputare il rospo, o giuro sulla mano che mi resta che faccio questa stesa identica cosa con la tua pelle vera.” Con un movimento repentino il prestigiatore affondò la sua faccia nell’incavo del suo collo, facendole correre brividi lungo la schiena e accarezzando la sua pelle con la lingua. Amaya arretrò, del tutto colta alla sprovvista. Servì a poco, perché lui le aveva serrato le mani sui fianchi, e tutto quelle che ne ricavò furono un paio di passi maldestri con le gambe che si incrociavano.
“Perché non metti via il coltello?” La sua voce era divertita, eppure sapeva benissimo a che giocare con Amaya avrebbe potuto rimetterci qualcosa, sapeva che non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a ferirlo, ma stuzzicarla lo divertiva troppo. Infatti aveva istintivamente materializzato un coltello, a quanto pare non poteva farne a meno di vederlo sanguinare.
“Perché non la smetti di giocare?” Una vena di rabbia si era insinuata nella sua voce, e come si era aspettato sentì la lieve pressione della lama sul suo ombelico.
Con lei era come giocare con una bestia ferita, perché era proprio quello che era.
Tuttavia la sua bocca continuò a giocare con la pelle del suo collo, ma fu obbligato a fermarsi quando sentì la fredda lama scendere più in basso.
“Se hai qualcosa da dirmi, ti consiglio vivamente muoverti, altrimenti non passerai mai più una notte come quella di ieri.” Lo sentì ridere contro il suo collo, poi la sua fronte si appoggiò su quella di Amaya.
“A settembre tutto il Ragno si riunirà a York Shin City.” Fece lui con un tono di voce soddisfatto. Le sfuggì il coltello di mano per la sorpresa, e per fortuna scomparve prima di infilzarsi nei piedi di uno dei due. Quasi senza pensarci Amaya si appoggiò al corpo muscoloso di Hisoka, con un sorriso sulle labbra.
“Dobbiamo festeggiare allora, no, dobbiamo partire!” Amaya non teneva più il conto dei giorni da quando si era svegliata in quella caverna di ossa e terra, quindi ignorava il fatto che mancasse ancora più di un mese all’incontro.
“C’è ancora un mucchio di tempo, e poi ho ancora delle cose da fare qui.” Le scompigliò i capelli come se fosse una ragazzina, con il risultato di farla alterare.
“Che diavolo, allora voglio dei vestiti!” Borbottò lei indignata, e un po’ delusa dalla recente scoperta. Aspettare più di un mese; si chiese se sarebbe riuscita a resistere fino a settembre senza ammazzare nessuno. 
“Sei più divertente di Illumi, sai?” Fece lui di punto in bianco.
“Chi?” Chiese lei, mentre spegneva l’acqua della doccia; ormai erano puliti e il sangue lavato via aveva reso il fondo del piano doccia rossi di sangue slavato, un colore abbastanza disgustoso, per Amaya, che le ricordava tanto il sangue sui piani di marmo di una macelleria. Storse la bocca in una smorfia.
“Sei gelosa?”
“Sono curiosa, e poi io non sono divertente.” Gli lanciò un’occhiataccia gelida, che però, come al solito, non sortì alcun effetto sul prestigiatore
“Oh, per me sì. Mi piace la tua follia.” E senza lasciarle il tempo di protestare o insultarlo ulteriormente premette le sue labbra sulle sue, accarezzandole le labbra con la lingua, per poi insinuarsi nella sua bocca, in un bacio famelico e possessivo. Amaya si premette contro di lui, sentendo la sua eccitazione pungolarle la pancia; il fatto di fare lo doccia insieme poteva essere solo che positivo, in momenti come quelli. La mano del prestigiatore si strinse sul suo seno, e quel gesto audace la fece gemere contro le sue labbra, dandole l’occasione di recuperare un po’ d’aria. Continuarono a baciarsi mentre le mani del prestigiatore giocavano con la sua carne più sensibile.
“Aspetta.” Amaya si allontanò, fuggendo alle labbra del prestigiatore inseguivano le sue. “Aspetta.” Si prese tempo per recuperare il fiato, mentre gli occhi dorati di Hisoka la fissavano, pieni di un desiderio che a malapena riusciva a controllare e le sue mani continuavano a muoversi su di lei. Amaya rimase un attimo bloccata da quello sguardo, un attimo di esitazione, che diede l’occasione al prestigiatore di prendere tra i denti un suo capezzolo, ora incredibilmente sensibile. “Piano dannazione, almeno andiamo in camera da letto!” Amaya non l’avrebbe mai ammesso, per orgoglio, naturalmente, ma le gambe avevano iniziato a dolerle, a causa dell’umidità.
Senza rispondere né staccandosi da lei Hisoka la afferrò con forza sotto il sedere, assicurandosi di schiacciare per bene i loro corpi eccitati, prima di portarla in camera. La sdraiò sul letto, premendo il suo corpo sul suo, il contatto della loro pelle ancora umida li fece rabbrividire.
“Intendo scoparti fino a farti perdere conoscenza.” Le sussurrò lui all’orecchio, accarezzando la sue pelle con le labbra, il primo e unico istinto che scoppiò nella testa di Amaya fu quello di assestargli un bel calcio in mezzo alle gambe, e ci provò, ma venne prontamente bloccata dalla sua mano.
“Cosa hai detto scusa?” Fece lei con un sorriso tiratissimo, gli occhi stretti in due fessure e uno sguardo che avrebbe potuto tagliare più di qualsiasi arma.
“Questa sera sono particolarmente eccitato, sai?” Affondò il voto nel suo collo, mentre con le mani iniziava ad accarezzare le sue curve. La risposta di Amaya si perse in un gemito quando lui infilò due dita dentro di lei, e quello stesso gemito venne soffocato dalle sue labbra, che iniziarono a reclamare un contatto più famelico.
Era nelle intenzioni di Amaya provare a reagire, o semplicemente muovere le mani, ma all’improvviso di accorse di non poter fare nulla e prestando un po’ più attenzione di accorse che il prestigiatore aveva appena usato la Bungee-Gum per legarle i polsi alla testiera del letto.
Nonostante non volesse che quel tiepido piacere terminasse non poté fare a meno che mordere le labbra di Hisoka con molta forza, forse troppa.
“Non mi piace giocare, Hisoka.” La sua espressione era gelida, con una scintilla di furia in fondo alle pupille. “Slegami le mani.”
“Perché?” L’espressione del prestigiatore cambiò; un ghigno si allungò sul suo volto e i suoi occhi si restrinsero luccicando come monete d’oro nell’oscurità, sul suo mento un rivolo di sangue causato dal morso della ragazza.

“Perché non mi piace giocare.” Naturalmente il prestigiatore prendeva sul serio Amaya, tuttavia il brivido del pericolo era una cosa a cui difficilmente riusciva a rinunciare. 
Per quella volta decise di accontentarla, annullando la sua abilità. “A quanto pare ci sono delle cose da mettere in chiaro, neh?” Senza attendere la risposta di Hisoka lei si allungo, passando la lingua sul suo mento, seguendo la linea di sangue e inseguendo la goccia fino al suo collo, per poi passare alle sue labbra e iniziare a succhiare con avidità dalla stessa ferita che gli aveva appena fatto. Intanto le dita del prestigiatore continuavano a muoversi dentro di lei, donandole una sensazione inebriante che le stringeva il cuore in una morsa di piacere.
“Non riesci proprio a farne a meno, eh?” La ragazza lo guardò con sguardo interrogativo annebbiato dal piacere, non riuscendo a capire a cosa si riferisse. “Il sangue.” Fece lui tornando ad accarezzare la sua pelle più sensibile del suo seno con la mano libera.
“Che vuoi farci? Ognuno ha le proprie perversioni, no?” Lo sentì ridere conto le sue labbra, di certo lui non avrebbe potuto negare.
Giocarono ancora per un po’ ognuno con il corpo dell’altro fino a che non fu Amaya a chiedere di più.
Entrò in lei con un movimento volutamente lento, gioendo nel vedere il suo corpo inarcarsi per assorbire tutto il piacere di quell’unione, poi ci fu solo il botta e risposta dei loro corpi in un amplesso per niente dolce ma incredibilmente sublime, per entrambi.

 

This endless mercy mile
We're crawling side by side
With hell freezing over in our eyes
Gods kneel before our crime

 
“Non ho ancora capito perché dobbiamo perdere del tempo qui.” Il suo desiderio era di muoversi in fretta e togliersi quel peso il prima possibile.
“Te l’ho detto il perché.” Lui si rigirò nel letto, cercando il contatto visivo con Amaya, che tuttavia era sdraiata a pancia in su, con un braccio a coprirle il volto.
“No. mi hai detto che hai delle cose da fare. Ormai potresti anche dirmi di che si tratta sai?”
“Uhm, ho un incontro da disputare.”
“Con chi?” Quello riuscì ad attirare la sua attenzione, e mosse il braccio, girando il volto verso di lui.
“Gon.” Lei lo guardò, attendendo di sapere di più, purtroppo lo sguardo del prestigiatore sembrava perso nel vuoto, a contemplare chissà cosa.
“Ehi, ti ricordo che io non conosco praticamente nessuno dei tuoi amici.” E sull'ultima parola mimò delle virgolette con le dita.
“Ah, Gon è un ragazzino che ho incontrato all’esame Hunter di quest’anno.”
“Tutto qui?”
“È forte, un po’ ingenuo, ma quando maturerà potrebbe diventare qualcosa di davvero fantastico.” Amaya vide cambiare la sua espressione, e ci fu qualcosa che le ricordò la notte che avevano appena passato.
“Sei disgustoso.”
“No
~ tu non mi trovi disgustoso, da quanto mi sembra di ricordare.” E sorridendo sinistramente indicò il labbro spaccato, ricavando solo un’occhiataccia da parte della ragazza.
“Comunque, questo non mi aiuta sai?”
Il prestigiatore ridacchiò. “Vedrai.”
“Vedrò… ma hai dimenticato che non ho più dei vestiti intatti da mettere?”
“Puoi usare i lenzuoli.” Fece lui candidamente, sorridendole anche.
“Stai scherzando.” Le sua non era neanche una domanda, ne era quasi certa.
“Oppure puoi mettere i miei vestiti.” Dopo un attimo di sbigottito stupore Amaya riuscì a riacquistare la facoltà di parlare.
“Credo che userò i lenzuoli.” Naturalmente l’avrebbe fatto semplicemente per uscire e cercarsi dell’altro da mettere, e un po’ nella speranza di far dormire il prestigiatore al freddo. “Ma questa me la paghi, me la paghi!” Il prestigiatore in tutta risposta, come si era aspettata lei, si mise a ridere.
“Sì, sei decisamente più divertente tu di Illumi .”
“Chi?” Lei trovava abbastanza noioso il fatto che lui continuasse a tirare fuori nomi come se lei li conoscesse tutti. E nel momento in cui pose quella domanda il volto di Hisoka si allungò in un sorriso abbastanza spiacevole.
“Diciamo che è un caro amico.”
Caro amico mi sembra un po’ ambiguo detto da te.”
“Potrebbe esserlo, hai ragione.”
“Non stai negando.”
“Non lo sto facendo, infatti.” Si gustò per qualche attimo l’espressione stupita e un po’ inorridita della ragazza, prima di parlare di nuovo, cambiando discorso. “Prometto che ti farò fare un giro della Torre e ti farò conoscere qualche persona.”
“Già, come se mi interessasse.”
“Potresti trovare qualche avversario interessante sai? E poi ritengo che giusto che tu conosca, almeno di vista, gli amici di un certo Kurapika, che sembra avere più o meno il tuo stesso obbiettivo.”
“Il Ragno?” Lui annuì mestamente iniziando a giocare con delle carte tirate fuori da chissà dove.
“Bene allora.” Il suo tono si fece gelido, gli occhi fissi e determinati. Si sollevò dal materasso, appoggiando i piedi sul pavimento freddo.
“Potrebbe essere un comodo alleato.”
“Tutt’altro.” Sarebbe stata lei a uccidere i componenti del Ragno, non avrebbe permesso a nessun altro di uccidere o semplicemente ferire un suo obbiettivo. “Potrei ucciderlo se decidesse di rubarmi le prede, ma potrei essere ragionevole se anche lui sarà disposto ad esserlo.” Hisoka sentì la sua aura agitarsi, quasi addensarsi intorno a lei, come pronta ad uno scontro. Si sollevò sulle braccia, fino a premere il suo corpo sulla schiena liscia e pallida di lei, desiderando percepire su di sé quella forza sinistra che stava sprigionando.
“Ti ho già detto che ti a-” E non si sarebbe fatto problemi a dirglielo, come non si era fatto problemi a dirlo a Machi, mentre sistemava le sue braccia, ma lei lo fermò prima che potesse terminare la frase.
“Non dirlo.” Non era che non volesse sentirsi amata, ma certe parole riportavano indietro un dolore che era meglio non ricordare. “L’ultimo che lo ha fatto è finito infilzato alla base di un albero.”

“Avevi ragione sai?” Amaya appoggiò il bicchiere sul ripiano della scrivania, osservando il ghiaccio che si scioglieva al suo interno, annacquando il liquore già scadente. “Quei due ragazzini sembrano forti.” Alla fine era rimasta piacevolmente sorpresa dai ragazzini che aveva adocchiato Hisoka, ovviamente fuori dal comune, per essere dei semplici dodicenni.
“Che ti avevo detto?” Il prestigiatore con una rapida mossa recuperò il bicchiere che lei aveva appena appoggiato e, ignorando il suo sguardo truce, mandò giù tutto d’un sorso il liquido che conteneva. Amaya aveva comunque deciso di tenersi lontana, non tanto per loro, ma quanto per se stessa, ché non aveva nessuna intenzione di stringere amicizie ambigue,  mettendo inutilmente a rischio la fissazione del prestigiatore, finendo per rischiare una catastrofe. Fino a che gli eventi lo permettevano sarebbe stata tranquilla e sola nella sua folle vendetta.
“Tuttavia trovo più, uhm” Cercò la parola giusta. “promettente, quello con i capelli bianchi.” Ma questo non voleva dire che non li avesse osservati un po’ da lontani, semplicemente per il gusto di fare.
“Tu dici?” La guardò perplesso, un poco deluso.
“Di certo è più sveglio, sa quello che fa.” Aveva osservato qualche incontro di quei due ragazzini; si stavano dando un mucchio da fare.
“L’altro non ti da la stessa impressione?” Non si poteva dire che Gon fosse una cima in intelligenza, tuttavia aveva un intuito nascosto che in pochi possedevano, e che in pochi notavano.
“Assolutamente no.” Appunto.
 


“Capo!” Una debole esclamazione attirò l’attenzione di tutti i presenti, e subito espressioni sbigottite si fissarono su si lei, che a malapena era riuscita a raggiungere il Covo con le sue stesse gambe. Le ferite ancora aperte a causa dell’impossibilità dell’utilizzo della sua abilità.
Altri due passi e sentì le ginocchia cedere, e quasi pensò di non rialzarsi se fosse caduta a terra, ma due braccia forti la presero prima che potesse fare una caduta rovinosa.
“Che cosa è successo?” Le voci che si confondevano, la vista che andava e veniva. Si sarebbe lasciata cadere nell’incoscienza se non avesse avuto la forte volontà di avvisare, e in qualche modo, mettere al sicuro il Ragno.
“A-Amaya.”
Cosa?!
“È viva.” Il resto non c’era neanche bisogno di dirlo. Era perfettamente intuibile dalle sue ferite ciò che avrebbe comportato non essere riusciti ad uccidere Amaya.

 

 

 

 

NdA
Ammetto che questo capitolo mi ha fatto penare parecchio, ma sono soddisfatta, lo trovo meglio dell’altro, questo è certo. Anche il banner :3
Con questo capitolo un po’ di passaggio si chiude la parte dell’ Arena Celeste, più o meno.
York Shin City porterà tanti casini… già.
E per quanto riguarda Amaya, beh, lei è un po' così, un po' 'Bittersweet' per dire, non aspettatevi rose e fori ^^'
E quel pezzo di dialogo con Hisoka riguardo Illumi ho voluto aggiungerlo perché, beh, perché  sì, perché nonostante io non sia (assolutamente) una grande amante dello Yaoi non posso fare a meno di vedere quei due psicopatici insieme, in qualche modo.
Boh, non ho nient’altro da dire.
Ah, sì! Ascoltatevi la canzone del capitolo perché è BELLA *Q*
E Grazie della lettura.
 A presto ^^’

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Capitolo 6
*** Scontri ***


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Capitolo 5. Scontri

[Disturbed – Darkness]

Darkness cover me
Deny everything
Slowly walk away
To breathe again
On my own

 
Amaya aveva atteso, ostentando una pazienza che non aveva assolutamente, cercando di occupare le giornate allenandosi e cercando di rinforzare le ossa e i muscoli doloranti. Usare la mano destra per combattere, tuttavia, rimaneva comunque fuori discussione. Aveva dovuto rassegnarsi e sforzarsi di migliore la sua abilità con la sinistra. Tuttavia le sembrava di vivere in una costante ansia, nel nervoso di non potersi muovere subito. Ormai davanti ai suoi occhi esisteva solo la vendetta, non c'era quasi nient'altro che sembrasse attrarre realmente la sua attenzione, e ciò la stava consumando.
Hisoka passava il suo tempo gironzolando per la Torre, ogni tanto, e stuzzicare Amaya quando era in camera, sapendo benissimo che un giorno o l'altro di sarebbe potuto ritrovare senza una parte fondamentale del corpo. Ma tuttavia quella era una delle parti più divertenti, gli piaceva passare il suo tempo con Amaya, sapendo che lei l'avrebbe assecondato sempre, o quasi.
Così per Amaya i giorni scorrevano interminabili, noiosi e stressanti. Hisoka invece sembrava esaltarsi ogni giorno di più per l'ultimo incontro che avrebbe disputato alla Torre. Quello contro Gon.
"Non ti alleni?" Fece Amaya, facendo sparire il falcione con cui aveva più volte attentato all'integrità della stanza in cui si allenava, notando che da diversi giorni Hisoka se ne stava in panciolle, eccitato ma per niente preoccupato per l'imminente incontro.
"Non ne ho bisogno."
"Lo stai per caso sottovalutando?" Chiese lei, mentre iniziava a sbottonarsi la camicia con l'intento di farsi una doccia. Non considerava ovviamente il ragazzino alla sua altezza, ma aveva imparato, lei, a non sottovalutare gli avversari, per questo le faceva uno strano effetto vedere lui completamente rilassato.
"Ah, niente affatto." Si voltò verso di lei, con un sorriso furbo sulle labbra."Per come è Gon sono certo di riuscire a sconfiggerlo senza toccarlo." Sentì la fragorosa risata, di scherno, ovviamente, di Amaya, e rimase quasi incantato da quel suono così aspro, forte e suo. Unicamente suo. Raro e unico come lo era lei.
"Ho capito, non lo stai sottovalutando, tu ti stai sopravvalutando."
"Non ho detto che lo sconfiggerò senza combatterlo, solo che vincerò senza che i nostri corpi si tocchino." Detta così la situazione non sembrava molto diversa da prima, ma la cosa che fece rabbrividire Amaya fu la scelta che fece delle ultime parole.
 

Alla fine il giorno dell’incontro era arrivato e quando Amaya aveva visto l’espressione sul volto del ragazzino aveva pensato, non solo che fosse poco sveglio, ma anche sconsiderato; non aveva mai visto quell’espressione in nessuno degli sfidanti che si era scontrato contro Hisoka, ma almeno durante l’incontro si era dimostrato più sveglio di quanto Amaya avesse mai creduto. Era un misto di determinazione ed eccitazione, la limpidezza dei suoi occhi era sconcertante; nessuna rabbia, nessuna profonda paura, Amaya rimase colpita e un poco turbata dall’incredibile purezza di quel bambino.
E dovette ricredesi quando lo vide muoversi sull’arena; di certo era anni luce lontano dal livello di Hisoka, ma il suo intuito gli aveva permesso di adattarsi al ritmo del prestigiatore, e capire più o meno il suo modo di combattere, apprenderlo e riadattarlo per se stesso, utilizzando finte e trucchi non del tutto onesti.
La ragazza se lo era aspettato, ma ad un certo punto l’incontro sembrò accelerare e scaldarsi e in quel momento vide il volto di Hisoka cambiare, in preda ad un’eccitazione malsana, che le fece contorcere lo stomaco e stirare le labbra. Orami era abituata a vederlo così, visto le numerose volte che avevano passato la notte insieme senza dormire, eppure tutte le volte provava lo stesso miscuglio di sensazioni che le stringevano il cuore; lo stesso che si potrebbe provare di fronte a un baratro, con l’idea in testa di essere in grado di volare, senza esserne veramente capace. E solo a quel punto, negli occhi del ragazzino, si era accesa una scintilla di paura.
Non ci aveva creduto, ma alla fine era riuscito a segnare il decimo punto senza toccarlo; attaccando la Bungee-Gum ad una pietra e scagliandogliela in faccia. L'espressione sul volto del ragazzino era stata impagabile alla fine, sembrava che non ci credesse neanche lui di aver perso in quel modo così stupido, ma infondo finire ingannati dalle parole del prestigiatore era fin troppo semplice.
 

Sospirò, avviandosi nel corridoio, affiancando il prestigiatore. “Partiamo?” Ora che ufficialmente non avevano più impegni sarebbero potuti partire per York Shin City, nonostante mancassero ancora un paio di settimane, ma l’impazienza di Amaya era quello che era e non assecondarla avrebbe portato solo danni. Hisoka la guardò, con uno strano sorriso sulle labbra. “Cosa c’è?”
“Sono felice.” Nel sentirlo lei inarcò un sopracciglio, un po’ stranita.
“Questo vuol dire che…” E non riuscì a concludere la frase, perché non aveva idea di cosa ciò potesse comportare.
Lo sentì ridere mentre apriva la porta della suite. “Ah, niente. È solo che non vedo l’ora di scontrarmi con Chrollo.” Amaya sentì il sangue defluire dalle sue guance, ricordava benissimo di aver accettato l’aiuto di Hisoka, a patto di lasciargli combattere e sconfiggere il capo della Brigata. A pensarci ora, a mente fresca, l’idea non le piaceva per niente, doveva sforzarsi di accettarlo, poiché avrebbe voluto essere lei, e solo lei, il motivo della loro, della sua, morte. Si fermò nell’ingresso, guardando con espressione truce la schiena di Hisoka, mentre questo si spogliava per farsi una doccia, con una fastidiosissima sensazione rabbiosa a stringerle lo stomaco e a farle prudere le mani. In quel momento pensò quasi lucidamente di materializzare un’arma e a fare qualche grosso danno, giusto per liberarsi dell’ostacolo che la separava dal Capo.
Quasi non se ne era accorta, ma ovviamente anche la sua aura aveva reagito alle sue emozioni e naturalmente Hisoka si era perfettamente accorto dell’aura pressante, pericolosa e diversa dal solito che si stava addensando attorno alla ragazza come una coperta di spine.
In reazione anche la sua si manifestò, allargandosi in tutta la stanza. L’atmosfera si fece pesante e il prestigiatore voltò la testa, osservando da sopra la spalla la ragazza con gli occhi che quasi brillavano sinistramente nella penombra, lei aveva ancora dipinta sul volto l’espressione di una persona che sta per uccidere qualcuno, e che non intende fermarsi davanti a nulla.
“Qualche problema, Amaya?” Lentamente, molto lentamente e con molto sforzo l’aura della ragazza si acquietò, tornando ad apparire come un lievissimo rivestimento sulla sua pelle, solo in quel momento, quando fu certo che si fosse calmata, Hisoka fece lo stesso. Non intendeva affatto sottovalutarla, anzi.
“Niente affatto.” E come se niente fosse, con la solita espressione di ghiaccio, si diresse in camera, con ancora le mani che tremavano.
 

“Non potrai venire al Covo con me, lo sai, no?”
“Mi prendi per scema? Troverò un posto in cui stare.”
“Un albergo?”
“Non se ne parla; dovrei lasciare delle informazioni.”
“Dove allora?” Amaya appoggiò la testa sul sedile, fissando fuori dall’oblò, cercando una soluzione che invece aveva già trovato. Non sarebbe stato il massimo, ma non le veniva in mente altro.
“Ci sono un mucchio di case abbandonate nella zona periferica della città.”
“Mi sembra una buona idea.” Stava per ribattere dicendo che era certamente una buona idea, si sarebbe trovata un buon posto per stare tranquilla e nascosta fino al momento giusto, quando sentì la sua mano sfiorarle il ginocchio e risalirle sulla coscia, lentamente. Si obbligò di fermare i brividi che le corsero sul corpo e del calore umido che le invase il corpo.
Con uno scatto gli afferrò la mano, fulminandolo con lo sguardo per poi esibirsi in un sorriso tirato e fintissimo all’hostess che aveva chiesto loro se desideravano qualcosa, questa si allontanò intimorita ancora prima di ricevere una risposta verbale.
“Non mi sembra il posto né il momento giusto, questo.” Il prestigiatore sorrise, avvicinando il volto al suo.
 

La polvere veniva trasportata dalla brezza leggera, posandosi sul nuovo covo del Ragno, un luogo decadente, mezzo distrutto, che testimoniava l’inclemenza della natura verso le cose abbandonate.
Al suo interno la testa del Ragno stava leggendo un grosso tomo, apparendo completamente assorto, alla luce di un paio di candele. Seduti sulle macerie di quella che doveva essere stata una chiesa Shalnark e Phinks attendevano.
L’arrivo di Pakunoda sollevò il morale di Shalnark che le andò incontro, con un sorriso stampato sulle labbra.
"Pakunoda, come stai?”
 "Non ci vediamo da parecchio Shalnark, ci sei anche tu Phinks." Fece lei, come se quella non fosse una riunione in cui tutto il Ragno era stato convocato.
“Ci hai messo parecchio ad arrivare”
“Cosa? Credo di essere in perfetto orario.”
“Dovresti arrivare dieci minuti in anticipo. Lo stesso vale per voi.” Continuò lui, rivolgendosi ai due ultimi arrivati Bonolevv e Kortopi. Nonostante il ritardo di questi Shalnark era entusiasta, innaturalmente entusiasta, come sempre.
In poco tempo arrivò anche Ubo impaziente come sempre di distruggere o semplicemente di fare casino. Infine Shizuku che salutò con un laconico: "Salve”
 

Nel frattempo il gruppo di Machi, Feitan, Nobunaga e Franklin si trovava ancora sulla strada, diretti verso la base, sotto un sole inclemente.
“È passato tanto dall’ultima volta che il capo ci ha riuniti tutti.” Commentò Nobunaga.
“Ho saputo che ci sarà un’importante asta clandestina a York Shin City.” Fece Feitan, sottintendendo il fatto di avere l’opportunità di rubare e uccidere, di nuovo.
“Credete che verrà anche il numero 4?” Chiese Franklin, vagamente interessato.
“Hisoka?” Feitan fece un verso di disappunto. “Mi chiedo ancora cosa sia passato per la mente del Capo quando lo ha reclutato.”
“Che stai dicendo Feitan? Io trovo che la sua abilità con la Bungee-Gum sia eccezionale.”
“Nobunaga, sei molto bravo a parole, ma sai che non valgono nulla.”
“Che vorresti dire, Franklin?” I due si fermarono fissandosi truci per qualche istante, con occhi che esprimevano mille parole.
“Ehi Machi, tu che ne pensi?” Chiese Feitan, apparentemente annoiato dalla situazione che si stava creano dietro di loro, i due avevano ripreso a discutere, ed era certo che in poco e niente si sarebbe alzato un polverone.
“Niente, il mio compito è solo quello di recapitare messaggi.” E con quello chiuse la conversazione. Abbassò lo sguardo, sulle proprie mani doloranti; c’era voluto molto tempo e moltissime cure Nen per farle tornare normali, purtroppo erano ancora doloranti, e sapeva benissimo che non sarebbero più potute tornare abili e rapide come prima, ma almeno poteva ancora usare le sue abilità. Strinse le mani in pugno, avvertendo una fitta correrle su tutto  il braccio, e per un attimo si chiese se anche Amaya provava quel dolore tutte le volte, avrebbe sperato di sì. Il rancore le stringeva il cuore, la voleva morta più che mai.
“Tutto bene?” Le chiese il corvino quando la vide fermarsi, neanche lei si era accorta di essersi bloccata.
“Proseguiamo.”
 

Dopo anni il Ragno era nuovamente riunito, quasi del tutto, poiché non vi era ancora traccia di Hisoka.
"Non verrà." Fece qualcuno, commentando sconsolato nell’oscurità. “Giuro che lo faccio a pezzi.” La candela che il Capo utilizzava per leggere si spense, fortunatamente nello stesso istante in cui questo chiuse il libro e una voce commentò nell’oscurità.
 "Oh, povero me. Quella sembrava proprio una minaccia. Che paura.” Con gli occhi che brillavano nel buio, il prestigiatore sbucò da dietro una colonna.
 "Maledetto.”
“Sei in ritardo.” Il resto del Ragno si limitò a guardarlo male e a sospirare, chi di sollievo, più o meno, chi sconsolati.
“Ero certa non saresti venuto.” Disse Machi, al suono della sua voce lui si voltò, ricordandosi bene ciò che aveva detto Amaya, ciò che aveva detto che le avrebbe fatto.
“Sono venuto perchè me lo hai chiesto tu, se non l'avessi fatto non avrei più potuto rivedere la tua Sutura Nen.” Fece un sorriso, che però si smorzò, quando vide il volto della ragazza oscurarsi un po’ e i suoi occhi abbassarsi alle proprie mani, il prestigiatore fece lo stesso, notando la posizione rigida e poco naturale che avevano. Occhio per occhio, mano per mano. Pensò amaramente fra sé.
Il capo si alzò, lasciando da parte il libro che stava leggendo, e allora l’attenzione di Hisoka venne totalmente assorbita da lui, dal suo stesso desiderio di sconfiggerlo, e sorrise, forse semplicemente felice di vederlo in forma.
“Prenderemo i tesori dell’asta clandestina.” Annunciò lui, passando gli occhi su tutti i presenti.
“Quali?” Volle sapere Feitan.
“Libri antichi? al Capo piacciono i libri” Chiese Machi.
“Gioielli?” Chiese Nobunaga.
“Tutto. Ruberemo tutto quello che c'è all'asta.” Rispose infine Chrollo, sorridendo appena.
“Ci sono parecchi criminali importanti che parteciperanno, ci faremo un mucchio di nemici.”
“Hai paura Ubogin?”
“Non vedo l’ora! Ci dia l’ordine Capo!”
“Allora questi sono i vostri ordini. Uccideteli. Uccidete chiunque tenti di ostacolarvi.” L’aria si fece pregna di eccitazione, il Ragno era pronto a muoversi.

 
Dare to believe
Oh, for one last time
Then I'll let the
Darkness cover me

 
In una grossa villa, nella zona residenziale di York Shin City, si stava svolgendo un colloquio con alcuni Hunter selezionati. In quel preciso istante una persona incaricata stava mostrando sullo schermo di un computer diversi oggetti; tra i quali la mummia di una principessa, un fazzoletto utilizzato da un attore con tanto di test del DNA e infine un paio di occhi scarlatti.
Kurapika aveva fatto tanto per ottenere quel lavoro, per spianarsi una strada che lo portasse al suo obbiettivo che, per quanto onorevole fosse recuperare gli occhi della sua tribù, comprendeva anche il vendicarsi degli elementi del Ragno che avevano ucciso la sua gente.
In quel momento, alla visione di quegli occhi di quel colore così insolito e splendido, provò solo che rabbia e rancore, mentre la sua determinazione si faceva ancora più forte.

Sapeva che il Ragno avrebbe ‘partecipato’ a quell’asta, in fondo sarebbe stato strano il contrario, visto il grande valore degli oggetti messi in vendita. Per questo Kurapika, determinato e ora pronto, si era preparato.
Nello stesso periodo, nella stessa città, un gruppo di amici mal assortiti stava facendo di tutto per accumulare soldi e provare a partecipare all’asta, con in mente l’obbiettivo di impossessarsi di un oggetto specifico, un gioco riservato a chi già padroneggiava il Nen, un gioco in cui era possibile morire e in cui Gon sperava di incontrare suo padre.
 

Una mongolfiera si sollevò lentamente sopra il Covo del Ragno, avevano scelto un mezzo di trasporto discreto e silenzioso, per dirigersi in tutta calma in un luogo più vicino a dove si sarebbe tenuta l’asta. Stretti nel piccolo spazio a disposizione c’erano Ubo, Nobunaga, Feitan, Shizuku, Franklin, Shalnark e Machi. Tutti in fibrillazione per il grande evento che loro stessi avrebbero provveduto a rendere unico e indimenticabile.
All’interno del Covo erano rimaste le altre cinque zampe, in più la testa e nessuno di essi sembrava troppo occupato, solo Pakunoda sembrava cercare di ammazzare il tempo lucidando la sua pistola. Bonolenov, Kortopi e Phinks si erano trovati un cantuccio comodo in cui riposarsi, o semplicemente annoiarsi.
Hisoka se ne stava seduto davanti alle alte finestre rotte della chiesa, mescolando il mazzo di carte e lasciando vagare i pensieri verso un luogo poco distante, in cui si trovava Amaya, indubbiamente da sola. Storse la bocca, non si era mai legato tanto a una persona, tuttavia aver ‘vissuto’ con quella ragazza per tutto il periodo che aveva passato alla Torre gli donava una strana sensazione non averla attorno, con la sua costante aura di pericolo che sembrava alleggiare ormai perennemente attorno a lei. Ripensò alla sera dopo l’incontro con Gon, la sua aura minacciosa e pesante che si era manifestata al nominare la testa del Ragno, e poi ancora la rabbia con cui l’avevano fatto a letto; quella sera lei era stata particolarmente cattiva, facendolo sanguinare più del solito, senza neanche tentare mascherare il suo intento, quella volta aveva voluto ferirlo intenzionalmente.
Hisoka non era stupido, e non gli ci era voluto molto per fare due più due.
Estrasse una carta a caso dal mazzo, e quando la voltò vide il volto sorridente del Joker, l’unica carta che non poteva essere interpretata. Storse la bocca in una smorfia, spostando la sguardo sul Capo intento nuovamente nella lettura di un grosso e vecchio tomo, i suoi occhi si riempirono di desiderio e impazienza nello studiare la sua figura, quasi completamente immobile. Era passato tanto dall’ultima volta che si erano visti, e a malapena riusciva a trattenere il suo desiderio di vederlo cadere sotto i suoi attacchi. L’attesa era snervante, ma tuttavia non poteva fare altro, con la presenza delle altre zampe lì vicine, considerando anche che nessuno si fidava veramente di lui.
Mise via la carta nel mazzo, imponendosi di rilassare i muscoli e piegare le labbra in un lieve sorriso.  Appoggiò la testa al muro, dicendosi che quello non sarebbe stato né il luogo né il momento.

 

 

 

NdA
Capitolo strano, già. Ma le cose si stanno ‘sistemando’ i pezzi si stanno posizionando e beh, fra poco ne vedremo delle belle. La parte più o meno centrale del capitolo corrisponde agli episodi 42 e 43 della serie del 2011
Intanto stanno sorgendo altri problemi tra i personaggi, mi sono ritrovata con un altro personaggio che all’inizio della storia non avevo nemmeno in progetto di considerare più di tanto, ma in fondo Kurapika ha più o meno lo stesso obbiettivo di Amaya, quindi ne verrà qualcosa fuori, probabilmente altri problemi.
Detesto rendere le cose facili ai miei protagonisti ^^’
Ho un avviso da farvi, niente di troppo preoccupante. Pubblico questo capitolo questa sera perché nel giro di due giorni partirò per delle vacanze, finalmente, e purtroppo non avrò una connessione né un computer abbastanza decente per continuare ad aggiornare, ma continuerò di certo a scrivere, e magari ogni tanto un saltino su EFP dovrei riuscire a farlo, nel caso sentitevi liberi di contattarmi, mi fa comunque piacere :)
Detto questo ringrazio chi ha inserito tra le seguite ecc e tutti i lettori e chi recensisce… vi manderei un cuoricino, ma purtroppo sono allergica ^^’ quindi vi auguro semplicemente buone vacanze!

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Capitolo 7
*** Catene ***


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Capitolo 6. Catene
[HIM – Funeral of Heart]

 

Love’s the funeral of hearts
And an ode for cruelty
When angels cry blood
On flowers of evil in bloom

 
Innanzittutto posizionatevi, e assicuratevi che nelle vicinanze non ci siano presenze preoccupanti, in un raggio di una decina di kilometri, con qualsiasi mezzo possediate. Voglio un lavoro meticoloso, se anche solo credete di aver percepito qualcosa voglio che controlliate, meglio controllare ed essere ed essere sicuri piuttosto che trovarsi magari con il laser di un cecchino in mezzo alla fronte, sono stato chiaro?”
 
I compiti vennero assegnati, il piano iniziò a delinearsi, l'asta era imminente.
Ognuno era al proprio posto, Kurapika con un visore notturno affiancato da Senritsu, con il suo straordinario udito, gli altri, Hunter più o meno esperti, tenevano d'occhio l'interno della sala dell'asta.
 

Erano tutti in posizione.
 

Una mongolfiera si librava lentamente nell’aria sopra la periferia, mentre il vento continuava a soffiare con forza, al di sotto inizò ad intravedersi la città, disseminata di luci, come gioielli sparsi su un telo di seta nera.
“Che hai Machi?”
“Sei preoccupata per qualcosa?”
“Ho solo un brutto presentimento.”
“Riguarda qualcosa in particolare?” Per un attimo Feitan temette di aver toccato un tasto dolente, dopo quella faccenda con Amaya, Machi non era più la stessa.
Stette un attimo in silenzio, con lo stomaco che continuava imperterrito a contorcersi, le mani strette a pugno, appena un po' doloranti
“Riguarda Amaya?” Ad affermare quel pensiero fu uno sguardo paragonabile a un fendente della lama più affilata al mondo.
“Di che vi preoccupate? Amaya non può sapere che siamo a York city, Machi non gliel'ha detto e a meno che non ci sia un traditore qui dentro, cosa di cui dubito fortemente, non abbiamo niente di cui preoccuparci.” Terminò Shalnark il suo discorso con un sorriso soddisfatto.
“Forse hai ragione, mi sto preoccupando per niente.”
“Sì, non preoccuparti Machi, appena avremmo finito qui ci assicureremo di farla fuori, questa volta per sempre.” La solidarietà nel Ragno era una cosa assolutamente reale e sincera, come in una famiglia.
E ad interrompere quel momento fu Ubo. “Ehi, mi spiegate bene questa situazione?”
“Ah, giusto, tu non ne sai praticamente nulla; circa un anno fa il capo ha trovato questi due, Amaya e il fratello, Frau in un paese sperduto all'ovest, credo che fossero più o meno nella situazione in cui eravamo noi al ryuseigai, uccidevano e rubavano per sopravvivere, il capo deve aver visto delle potenzialità in loro così li ha invitati ad unirsi a noi. Tuttavia la loro situazione all'ovest era un po' problematica, e i problemi li hanno seguiti, rischiando di tormentare e mettere in pericolo anche il Ragno, così abbiamo dovuto prendere una decisione.” Il vento sibilò con forza, trasportando lontano le parole di Nobunaga.
E Feitan anticipò la domanda di Ubo. “Abbiamo fatto la cosa giusta per il Ragno, non ha importanza se é dispiaciuto a qualcuno.”
“Già, la cosa giusta Machi.” Ci furono altri sguardi di solidarietà e supporto verso di lei, misti a un po’ di rancore.

 

The funeral of hearts
And a plea for mercy
When love is a gun
Separating me from you

 
Amaya aveva trovato riparo in un palazzo fatiscente con l'umidità che quasi colava dalle pareti, e  dopo aver recuperato un vecchio materasso si era sistemata sotto delle scale, al riparo dal vento che correva da una spaccatura all'altra del palazzo. Hisoka l'aveva accompagnata giusto per essere sicuro di sapere dove trovarla e per consigliarle un posto vicino al Covo.
Si avvolse più stretta nella coperta, incrociando le gambe sotto il corpo e sbuffando, sentendo l'umidità fin dentro le ossa, quello non avrebbe fatto bene alle sue giunture sensibili. Fissò il cielo da una finestra, aspettando il momento buono per attaccare un membro della Brigata, perché era così che doveva fare, attaccarli uno alla volta, seguendo i loro passi bell'ombra per poi colpirli al momento opportuno, in silenzio. Tuttavia sapeva benissimo che quel momento non sarebbe arrivato tanto presto. Per questo poteva permettersi di perdere tempo a riflettere e ricordare. Appoggiò la testa alla parete dietro di sé.
 

Kurapika si voltò verso la compagna. E, con un tono di voce un po' preoccupato, quasi incerto, le chiede: “Cosa c'è Senritsu?” Stava con le mani appoggiate sulla ringhiera, lo sguardo lontano.
“Sento un suono particolare, é più o meno al confine con la periferia.”
“Un Ragno?”
“Il suo battito cardiaco é diverso da ciò che accomuna quelli della Brigata, é... Accidenti.” Portò le mani alle orecchie e chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Kurapika la vide tremare. “Non ho mai sentito una cosa del genere. É terribile, incredibilmente cupo, quasi non umano.” Strinse gli occhi. “Ed è una donna.”
Kurapika attese mentre la donna abbassava le mani e con sguardo triste guardando l'orizzonte. “C'è una persona ora con lei, un cuore che batte di follia, ora si sta allontanando, si stavano dicendo qualcosa, ma non riesco a capire le parole da questa distanza.” Il biondo la osservò, vedendola con gli occhi lucidi e le sopracciglia aggrottate; lei era una persona compassionevole, sentiva il cuore altrui e lo capiva, legandosi a ogni suono in modo particolare.
“Dovrei andare a controllare, potrebbe comunque essere un Ragno.” Il volto di kurapika si riempì di determinazione.
“No, aspetta, non sento che pericolo.”
“Non ha importanza, che si tratti o meno di un Ragno é meglio controllare, lo ha anche detto il capo.”

Preferisco non rischiare di lasciarmi sfuggire uno di loro.
“Ma...”
“Andrà tutto bene.” Si voltò verso di lei e sorrise, mostrandogli i suoi limpidi e normali occhi celesti.

 

The heretic seal beyond divine
Prayer to a God who’s deaf and blind
The last rites for souls on fire
Three little words and a question why

 Si era liberata dei vestiti per lavarsi e li aveva lasciati ad asciugare appesi a uno dei rimanenti corrimano di quel palazzo fatiscente. Si era fasciata in un lenzuolo per proteggersi un minimo dal freddo, nell'attesa di poter indossare i suoi abiti.
Poi si concentrò estendendo la propria aura intorno a lei, per poi applicare una tecnica che sperava di non aver dimenticato; che consisteva nel utilizzare l'aura espansa come un ampio tappeto, piuttosto che una cupola, in modo da allargare il raggio ma permetterle comunque di percepire qualunque cosa avesse deciso di avvicinarsi e, , ce la stava facendo, stava iniziando a percepire ogni irregolarità del cemento su cui riposava, ogni movimento di ogni stelo d'erba che si piegava sotto il vento umido in un raggio che superava appena i settanta metri.
Riuscì quasi a rilassarsi, mentre con il corpo le sembrava di tornare a tempi lontani, affondare in una memoria lontana.  Perse la cognizione del tempo, mentre riusciva tuttavia a riflettere con chiara freddezza, nella sua testa metterà in fila i membri del ragno, recuperando dal passato informazioni su ognuno di loro, decidendo, e poi pianificando, un modo per colpirli, ferirli, ucciderli.
Venne distratta dal suo ragionare da una presenza ai margini della sua aura, tuttavia tenne gli occhi chiusi, sapendo bene che aprirgli non le sarebbe stato di aiuto. Si concentro piuttosto nel tentativo di comprendere se si trattasse di una presenza ostile o meno. I passi avevano un ritmo costante, privo di esitazione, deciso, tuttavia non malvagio, semplicemente guardingo e attento.
Ritirò lentamente l'aura, non senza aver prima controllato che ci fossero altre presenze, e quindi attivò l'In  andandosi a infossare maggiormente nel suo cantuccio sotto le scale.
Tuttavia ci vollero solo pochi minuti prima che questo si palesasse, rivelandosi essere un ragazzino biondo, con i tratti gentili e uno strano modo di vestire, Amaya lo vide prima che lui si accorse della sua presenza e in quello stesso istante materializzò un'arma, per sicurezza, per poi venire notata dal ragazzo, che reagì fermandosi nel notare la figura immobile della ragazza, era avvolta in un lenzuolo bianco e con lo sguardo fisso verso di lui, e se non fosse stato per il movimento impercettibile delle spalle dovuto al respiro e al fremere delle palpebre sarebbe potuta sembrare molto facilmente un cadavere.
“Cosa vuoi?” E se non avesse parlato con voce scocciata e arrabbiata. Amaya vide chiaramente il materializzarsi di uno strano guanto di catene sulla sua mano, ma decise di non darlo a vedere.
Tuttavia Kurapika non seppe esattamente come rispondere a quella domanda; si trovava realmente davanti a un Ragno? O solo una persona particolare?
Quindi decise di essere diretto.
“Fai parte della Brigata dell’Illusione?” Il volto della ragazza non cambiò, il suo sguardo pesante rimase ostinatamente incollato al volto del ragazzo, e rispose solo quando il silenzio si fece quasi insopportabile.
“Se anche fosse? Cosa vuoi?” Il suo tono di voce ora era chiaramente ostile, tuttavia il ragazzo non percepì scatti improvvisi nella sua aura e tantomeno nel suo corpo.  Ma considerò la sua risposta affermativa. 'Meglio essere sicuri'
“Ho una domanda da farti; eri con il ragno quando avete sterminato un villaggio la cui gente aveva gli occhi rossi?” Nello sguardo della ragazza apparve una scintilla di tristezza, forse il rammarico di non aver vissuto imprese poi così importanti con coloro che credeva essere la sua nuova e fantastica famiglia.
“No.” Tutta via il suo volto sembrò oscurarsi, quasi piegarsi in se stesso, cercando di giungere a una conclusione, a un'idea, un'intuizione. Poiché qualcosa Amaya sapeva.
Sospettosi, entrambi, si guardarono in cagnesco.
“Dimmi il tuo nome. “
“Perché dovrei?”
“Ho risposto alla tua domanda.”
“Tuttavia tu fai parte della Brigata, e non mi fido di voi.”
“Cosa intendi fare dunque? Estorcermi informazioni torturandomi, magari?” Il ragazzo sobbalzò appena, non aspettandosi una reazione quasi pacata da lei, non sembrava volersi scontrare. “Beh sappi che non ne hai alcun bisogno, se davvero non ti fidi della mia parola, magari sentire la mia storia aiuterà.” Inizialmente non ricevette risposta dal ragazzo,-a dire il vero, anche lei sarebbe rimasta stranita ricevendo una tale risposta- interpretando quel silenzio come indecisione attese di vederlo rilassarsi appena, mantenendo comunque lo sguardo vigile e diffidente.
“Non ho tempo da perdere-”
“Tuttavia non sai se quello che ho detto riguardo lo sterminio di quella gente sia o meno la verità.” Concluse per lui, sistemando le gambe sotto la coperta. Amaya credeva di aver capito, tuttavia decise di procedere con calma e guadagnare altro tempo, per ottenere più informazioni.  Kurapika aveva lasciato dondolare una delle sue catene, nel tentativo di percepire le bugie dal battito del suo cuore, tuttavia, si da quando aveva attivato quel potere la catena non aveva mai smesso di muoversi, rendendogli impossibile capirla, ma infondo l'aveva detto anche Senritsu, che si trattava di qualcosa di insolito.
“Allora avanti, sentiamo. Ti ascolterò poi deciderò che fare di te.” Nel sentirlo improvvisamente così sicuro di sé e deciso ad Amaya venne quasi da ridere, mascherò un sorriso, prima di iniziare a parlare.
“Prima di tutto devi sapere che entrare nel ragno non é stata una mia scelta, ci ha reclutati Chrollo.”
“Non é stata una vostra scelta? Avete accettato di entrate nella brigata! Certo che é stata una vostra scelta!”
“Gettavamo i copri dei nostri compagni nel fiume, quelli che non resistevano al freddo o alla fame, ci morivano davanti agli occhi, li vedevamo appisolarsi ad un angolo della strada e non svegliarsi più. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quell'inferno, e tu non puoi biasimarmi per aver accettato quello che avrebbe significato dei pasti caldi e un tetto sopra la testa, nonostante i furti e gli omicidi.”
Il volto del ragazzo si contrasse, e sembrò quasi realmente dispiaciuto. Amaya sbuffò, dubitando che gli dispiacesse realmente, tuttavia lasciò correre.
“Credo comunque di doverti raccontare il resto della storia neh?”
“Sono qui apposta, a quanto pare, devo sapere se devo considerarti una nemica o meno.” Amaya sospirò, raggruppando i pensieri.
“Ricordo a malapena la prima volta che ho ucciso, ma é stata anche la prima volta che ho avvertito la forte consapevolezza di avere un fratello a fianco a me, di avere un legame estremamente forte, più forte di qualsiasi altra cosa. Nel momento in cui si é voltato verso di me, dopo aver spaccato con un'accetta il cranio di un mercenario, ho visto nei suoi occhi il mio riflesso, e in quell'istante ho capito che io sarei sempre, sempre, stata lì, nei suoi occhi, come unica stella ad illuminarlo. E potevo solo immaginare che ciò che in quel momento stavo pensando io era che ciò che pensava anche lui.
Eravamo in pericolo di morte, noi e il nostro gruppo di quattro o cinque persone, tutte nella stessa situazione, avevamo tentato di nuovo di rubare dai magazzini di un nobile, non potevamo sapere che questo aveva ingaggiato un gruppo di mercenari, tutti con il grande intendo di liberare l'Ovest da gente come noi.”  Ricordava la forza che aveva impresso nel suo ultimo colpo, con quell'arma che sembrava poco più che innocua, la lama non aveva quasi incontrato resistenza e la faccia del mercenario era caduta a terra, mentre il resto del corpo si era accasciato lentamente. *
“Nei gruppi come i nostri le parentele venivano facilmente dimenticate, cancellati dal desiderio di sopravvivere che prevaricava so ogni altra cosa. In quel periodo ero più o meno cosciente di avere un fratello, tuttavia una consapevolezza del genere era poco meno che utile, in situazioni come quelle.
Ci avevano assaltati nel momento stesso in cui eravamo riusciti a mettere le mani sulle scorte di cibo. I più deboli erano caduti subito, uccisi più dalla paura che dai mercenari, e io e mio fratello ci siamo trovati all'angolo, in trappola.
E in quel momento di grande crisi, di morte quasi certa, i nostri animi si sono accesi, reagendo l'uno all'altro come olio bollente ed acqua. 
Chrollo ci trovò poco dopo, mentre mangiavano le ultime mele rubate, eravamo ancora sporchi di sangue, ma eravamo uniti, io e mio fratello, da allora e per sempre.
O almeno, era quello che pensavo prima di vederlo morto, trafitto dalla spada di Nobunaga e poi conficcato alla base di una albero.”

“Loro hanno ucciso tuo fratello?”
“E hanno provato a fare fuori anche me nello stesso modo, mi hanno buttato giù dalla montagna perché non sono riusciti ad ammazzarmi su due piedi come hanno fatto con mio fratello.”
“E sei sopravvissuta alla caduta?” Amaya sorvolò sulla domanda stupida.
“Sono stata estremamente fortunata. Sarei anche morta se uno strano tizio non mi avesse raccolto e curato. Sono rimasta priva di sensi per dodici settimane e ce ne sono volute altrettante per riprendere a usare gli arti in modo decente.” Amaya in quel momento ha una certezza, le ci é voluto un po' per capirlo, lui sta usando l'In per nascondere la sua catena. Fa un mezzo sorriso. Ringraziò mentalmente se stessa per aver materializzato quella certa arma, che le permetteva di apprendere informazioni sulla persona che si trovava vicino a lei, semplicemente aspettando.
“Non ti consiglio di usare quella catena su di me.”
“Cosa?!” Amaya sorriSe e sollevò lentamente la mano sinistra, mostrandogli un pugnale particolare, una fattura delicata, i tratti quasi elfici.
“Con questo vengo a conoscenza, seppur lentamente, di molte cose della persona che mi sta vicino.” Sorrise malignamente. “Ti è piaciuto il mio discorsetto? Kurapika dei Kuruta? Quasi ti stavo aspettando.”
Lui rimane in silenzio, colpito dall'abilità della ragazza e dalla sua espressione da tigre.
“Ho anche scoperto che condizioni hai imposto a te stesso per utilizzare la tua catena, ed é per questo che ti sconsiglio di usarla.” Un altro spiacevole sorriso. Kurapika iniziò ad innervosirsi parecchio, i suoi occhi acquisirono una tonalità rossa. Le catene si rivelarono e strinsero il corpo di Amaya, stringendole le braccia al torace ma lasciandole comunque un po' di libertà per le mani. Allora la sua espressione si fece fredda e seria.
“Ascolta ragazzino, tu serbi tanto rancore, almeno quanto me, e per lo stesso motivo, quindi direi che morire qui entrambi è una cosa parecchio stupida, ed é stupido anche quello che stai facendo.” Fece una breve pausa, sentendo le catene allentarsi un po'. Era un’assassina, certo, ma per niente stupida, e non sembrava esserlo neanche lui.
“Ora, lascia che ti mostri una cosa”. Districandosi dalle catene, sempre più molli, arrivò a sollevarsi un lembo della camicia, per mostrare il tatuaggio del Ragno,, al almeno, quello che ne rimaneva. Lui rabbrividì nel vedere l'inchiostro sbiadire nel tessuto cicatriziale come se la pelle stesse morendo. Quasi con un’impressione di necrosi. “Non faccio più parte del ragno, io voglio uccidere chi ha tradito me e mio fratello. Quindi non dovresti preoccuparti di me. Come nemica.” Precisò.
“Stai dicendo che sei una mia alleata? Tu, un membro della brigata dell'illusione?!” Nonostante l’assurdità della situazione, decise di ritirare le catene, di certo se avesse deciso di usarla seriamente ci avrebbe rimesso anche lui.
“Non faccio più parte del Ragno! E, semplicemente,  non ti starò tra i piedi a meno che tu non stia tra i miei.”
“E dovrei lasciarmi rubare i miei obbiettivi?” Lei fece spallucce.
“E io dovrei lasciarti i miei? Vedremo, ragazzino dei Kuruta, vedremo chi riuscirà nella sua folle vendetta e ci morirà mettendola in atto.” Il prezzo era quello, stabilito già da tempo.
 Il ragazzo si staccò dal muro cui era appoggiato, guardando la ragazza con sguardo truce, non era propriamente ostile, cercava solo di capire se una presenza del genere avrebbe facilitato o meno il suo lavoro.
“Comunque ti consiglio di andartene ora.” Sul volto del biondo apparve un attimo di confusione, tuttavia non ignorò completamente quel suggerimento, ma attese comunque troppo, poiché sentì dei passi leggeri avvicinarsi, un rumore lento e inquietante che ricordava abbastanza bene. Si voltò verso di lui non appena sentì la sua voce, con quel perenne tono di scherno.
“Oh, ma guarda chi abbiamo qui.” I capelli rossi erano umidi, il trucco un poco sbavato, tuttavia il suo sorriso era del tutto intatto. “Ne é passato di tempo.”
“Hisoka”. Ora nella voce del ragazzo c'era solo ostilità, e un briciolo di rancore. Amaya lo vide mettersi in posizione d'attacco e si sentì esasperata, perché non poteva avere un attimo di pace?
“Lascia stare. Lasciate stare.” Lo sguardo del prestigiatore si spostò sulla ragazza, e sembrò accorgersi di lei solo in quel momento, poiché il suo volto si illuminò. “Non serve fare una gara di testosterone qui dentro, basta solo che il ragazzino, qui, se ne vada come ho appena chiesto.” E ciò era più rivolto al prestigiatore che ad altri, per evitare che accadesse un disastro. Il ragazzo si voltò, per un attimo dimentico che anche lei aveva fatto parte del Ragno e che quindi la presenza di quello strano individuo non le avrebbe dato problemi, non troppi almeno.
Allora tentò di rilassare i muscoli, dicendosi che se lì dentro ci sarebbe dovuto essere qualche problema era meglio che lui ne stesse fuori. Allora con immensa cautela si spostò verso l'uscita mentre un inquietante sguardo famelico del prestigiatore  correva alternandosi tra lui e la ragazza. Aggirò il prestigiatore rimanendo in stato di tensione e pronto a reagire, tuttavia Hisoka sembrava voler seguire il consiglio della ragazza, tanto meglio così, si disse, perché uno scontro con lui non avrebbe portato niente di buono. Si avviò sotto la pioggia con passo celere, con una fastidiosa sensazione amara che gli avvolgeva lo stomaco, nella mente l'immagine dello sguardo spento della ragazza in contrasto con quello di Hisoka che si avvicinava tranquillamente a lei, come un serpente che si avvicina lento alla sua preda ormai immobilizzata dal veleno; lento, sicuro e affamato.

 

She was the wind, carrying in
All the troubles and fears here for years tried to forget
He was the fire, restless and wild
And you were like a moth to that flame

 
E anche questa é sistemata, disse fra sé. Di nuovi nemici non ne aveva voglia, di alleati scomodi neanche, c'era già Hisoka che non le rendeva facile la vita, tuttavia era riuscita a mettere dei paletti, una specie di appunto d'attenzione nella mente del ragazzo, in modo che non diventasse una presenza troppo scomoda. O almeno, era quello che credeva.
“Hai seguito il mio consiglio?” Fece lui, rimanendo in piedi davanti al giaciglio improvvisato di Amaya, le mani sui fianchi.
“Veramente no, mi ha trovato lui, come ci sia riuscito non ne ho idea, ma forse avevi ragione.”
“Ti sei fatta un alleato?”
“No, praticamente gli ho detto di non immischiarsi, e ho fatto in modo di non trovarmelo contro, davvero pensavi che sarebbe andata in modo diverso?” Nel mentre parlava il prestigiatore si sedette affianco a lei, avvicinando il suo volto più di quanto fosse necessario.
“Uhm, un po' ci speravo, ci saremo potuti divertire un mucchio in tre.”  Fece lui con fare cospiratorio, Amaya si allontanò un poco resistendo all'impulso si lasciare un bel segno rosso di cinque dita sulla sua guancia. Sospirò pesantemente, esasperata, stanca e annoiata.

Ah, la vendetta, finirà per uccidermi, davvero.
“Qualcosa non va?”
“Ho freddo.”
“Allora lascia che ti scaldi un po'.” Il suo sorriso si allargò, e a quel punto sembrò potergli tagliare la faccia a metà tanto era ampio. Si avvicinò nuovamente alla ragazza, posandole una mano sulla gamba e unendo le loro bocche, iniziando una danza che avrebbe sì scaldato la pelle fredda di Amaya, ma non il suo cuore.
 
“Ho bisogno di un favore Hisoka.” Si chiese per un momento se approfittarsi di quei momenti di piacere soddisfatto fosse saggio per chiedere un favore, che non era poi roba da poco.
“Uhm?” Si sollevò sui gomiti osservando la ragazza che continuava ad fissare le macchie di umidità sul soffitto. 
“Resta al covo, tu che puoi stare con il resto del Ragno, tienili d'occhio e tienimi aggiornata, ho bisogno delle occasioni giuste, ho bisogno di prenderli uno alla volta, quando sono da soli.”
Dalle labbra del prestigiatore uscì una risatina, Amaya spostò lo sguardo su di lui, senza neanche sorprendersi più di tanto della sua reazione.
“Perché ridi?”
“Non avrei mai pensato di vederti così.”
“Che intendi dire?”
Ricordo la prima volta che tu e tuo fratelli siete arrivati al Covo, sembravate dei ragazzini qualunque, e invece ora sei una creatura splendida.” Un insolito rossore colorò le guance della ragazza.
“Sai, a volte penso che anche tu dovresti rotolare giù da una montagna.” Questo commento scatenò l'ilarità del prestigiatore, il che fece infuriare la ragazza che si mise a sedere, con la coperta avvolta al corpo, la tirò un poco, con il perverso intento di far patire un po' di freddo alla pelle dell'altro.  “Allora? Mi vuoi fare o no questo favore?!” Il prestigiatore smise di ridere.
“Certamente.” Tuttavia sul volto il suo sorriso sembrò non voler svanire, neanche quando obbligò con il suo stesso corpo a far sdraiare nuovamente la ragazza.

 
 

Nell'ombra, sotto la pioggia che aveva iniziato a scrosciare con forza, si acquattò un figura candida, le gocce di pioggia che colavano sul viso smorto, gli occhi blu che si stringevano osservando un orizzonte non troppo distante, in cerca di una presenza che conosceva più che bene. Ormai era vicino.
Si scostò i capelli chiari dalla fronte mentre l'acqua gli entrava negli occhi, gli abiti che si facevano pesanti e i brividi che gli correvano per le braccia.
Si sedette, attese.
Come faceva da tempo, erano giorni di attesa quelli, e non solo per lui, tutti si stavano preparando, sistemandosi su una scacchiera che si sarebbe colorata di rosso. Lui avrebbe aspettato ancora, il suo compito, la sua mossa da compiere era una, e sarebbe stata decisiva.
Però diavolo, quanto odiava l'aria aperta.

 

 

 

 

NdA

Salve! Passato bene le vacanze? Io sì, sono riuscita ascriver e più di quanto avessi mai potuto immaginare, per questo il capitolo è così lungo… ammetto che mi sono accorta che questa cosa avrei dovuta farla accadere molto dopo (l’incontro con Amaya e Kurapika) tuttavia per fini di logica e trama ho preferito inserirla ora, creando una specie di bolla temporale nel proseguo effettivo che ha il manga o l’anime ^^” Ma è anche una scusa per parlare un po' di più di Amaya :)
Immagino vi sia ance sembrato strano il motivo per cui Amaya si sia aperta tanto con Kurapika, ma vedete che era solo per acquisire delle informazioni e per insinuarsi meschinamente nella sua testa xD
Eeeh, l’ultimo paragrafo? Non intendo darvi indizi, anche perché altrimenti sarebbe troppo facile capire di chi si tratta, ma vi assicuro che lo conoscete ‘bene’ 

So che sarebbe dovuto succedere qualcosa di Poù, però preferisco preparare i fatti come si deve piuttosto ch propinarvi scene a caso e senza preparazione per l'avverarsi di una certa situazione, comunque prometto che dal prossimo capitolo tutto sarà più movimentato :)

 

PS: Ascoltatevi la canzone perché merita *-*
 

*Sì, è possibile ‘defacciare’ una persona con un’arma particolare, su YT un canale che testa armi su riproduzioni di teste di zombi l’ha fatto accadere con un coltello particolare (lo Swabbie), qui il link -> UNREAL FACE DECAPITATION! 
Ora capite la mia fissa per le armi? xD

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Capitolo 8
*** Giuda ***



AVVISO IMPORTANTE: Il mio fedele (non più tanto) computer fisso ha deciso di smettere di funzinare, alternando un minuto di funzionalità con un orribile 'blu screen of death', seguito da un riavvio, e così via, in un ciclo che non finisce a meno che io non forzi lo spegnimento. QUINDI, non temete, ho un portatile, ed è attualmete quello che sto utilizzando, tuttavia non ha lo stesso programma che usavo per scrivere sul fisso, quindi potreste trovare qualche cambiamento nel format generale dell'impaginazione perché fatico ancora a capire come funzioni (e l'HTML che ha mente propria, a qunto pare). Ho scricato già Nvu, Gimp tornerà presto, per ora posso solo 'darvi' un banner improvvisato con Pickmonkey, visto che quello che avevo pronto è quasi irrecuprabile.
Grazie e scusate immensamente, appena possibile porterò il pc all'assistenza, sperando che non mi dicano che è irrecuperabile.
E menomale che mi ero già trasferita le storie a cui stavo lavorando u_u
Vi lascio al capitolo, ci vediamo in fondo :)

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Capitolo 7. Giuda
[Archive - Lights]


It hurts to feel
It hurts to hear
It hurts to face it
It hurts to hide
It hurts to touch
It hurts to wake up
It hurts to remember
It hurts to hold on

Hisoka si alzò, recuerando i vestiti sparsi, sentendo chiaramente lo sguardo della ragazza su di sè.
"Che intendi fare ora?" Si stiracchiò, sentendo le ossa scricchiolare, e quasi gemette per il dolore che le provocava tutta quell'umidità. Forse si sarebbe potuta trovare un posto migliore, almeno un più asciutto.
"Ho in mente un piccolo piano, devo incontrare una persona."
"Chi?" Non rispose subito, limitandosi a osservare a sua volta la ragazza, ancora raggomitolata sotto le coperte improvvisate, era il caso di dirglielo? Perché no? Perché non darle un po' più di disagio?
"Ricordi quando ho detto che in tre ci si divertirebbe di più?" Sorrise, guadagnandosi un'occhiataccia.
"Starai scherzando." Ad Amaya l'idea di immischiare altra gente nel suo, loro, piano folle, era una pessima idea... anche solo il fatto che l'idea si trattasse di Hisoka avrebbe potuto renderla pessima a prescindere, secondo la ragazza.
"Non questa volta." E se ne andò così, lasciando Amaya con un nervosismo bruciante in fondo al petto. Quella era una delle tante cose che erano cambiate; a malapena tollerava avere qualcuno vicino, che condividesse, anche solo in parte, le sue stesse idee.
L'ultimo era stato Frau. Pensare a lui dopo tanto le provocò una fitta al petto, le mancava così tanto, e le mancava anche come era il mondo prima di venire tradita. O forse solo il modo in cui lei lo vedeva ad essere cambiato.
Il terrore della morte, l'orribile sensazione di essere intrappolata in un corpo maciullato, in una mente che non ne voleva sapere di dare tregua a quell'agonia. A malapena ricordava come lei stessa era stata precedentemente.
Ma poco importava ormai, prchè andava avanti solo per una ragione.

"La merce non c'era?"
"Già, la cassaforte era vuota. Secondo il banditore, l'unica persona a sapere qualcosa, tutto il contenuto era stato spostato qualche ora prima. Sembra proprio che si aspetassero un attacco del genere. Non trovi che la tempistica sa stata troppo perfetta? Dev'esserci un Giuda tra noi." Ubo guardò giù dalla mongolfiera, si stvano allontanando dal luogo dell'asta in una drezione casuale, attendendo qualche nuovo ordine.
"Vuoi dire che quacuno di noi è un traditore?" Nobunaga lo guardò male, e a quelle parole un mucchio di sguardi truci viaggiarono in quello spazio ristretto, il fatto di non aver trovato i tesori dell'asta dove sarebbero dovuti essere aveva messo tutti di cattivo umore.
"Non ci sono traditori. E neanche Giuda lo era, raccontano che vendette Gesù per trenta pezzi d'argento. Ma quanto potrebbe chiedere un traditore alla Mafia?" Il Capo fece una pausa. "Considerate i vantaggi... Che cosa guadagerebbe vendendoci alla Mafia? Denaro? Gloria? Prestigio? Credi davvero che a qualcuno di noi queste cose possano interessare?"
Era del tutto impobabile.
"Allora che facciamo?"
"Avete chiesto al banditore dove è stata spostata la merce?"
"Si ma... Ha giurato sulla sua vita che non lo sapeva. Feitan l'ha torturato, quindi non stava mentendo." Questo sbuffò, e pensò che quel banditore era stato parecchio sfortunato, non era pietà, constatava solo un dato di fatto.
"Hai ottenuto i nomi di chi potrebbe saperlo?"
"Puoi scommetterci." Un enorme sorriso si allargò sul suo volto

"Possiamo scatenarci?" Avevano degli iseguitori alle calcagna, chi fossero non aveva poi molta importanza, non per Ubo.
"Date spettacolo agli inseguitori, così usciranno allo scoperto." Fare le prede per attirare quelle vere, farsi vedere, farsi sottovalutare.
"Non vedo l'ora!" Poi il massacro.

Un'estesa piana rocciosa, e niente più, ecco come poteva essere chiamato il Deserto di Gordou, niente di eccezzionae da vedere lì, solo rocce e, quella sera, mafiosi armati fino ai denti. E come invitati ad un grande evento, si erano fatti vivi anche gli Inju, le Bestie dell'Ombra, mandati dalla Mafia; erano tutti lì.
Tanto meglio, si era detto Ubo, più divertimento per lui.
La sua filosofia di vita è sempre stata cecare di diventare il più forte di tutti. E fisicamente lo era, eccome.
"Ne arrivano altri."
"Vengono qui a farsi ammazzare come bestie al macello"

Anche Kurapika e il resto del loro gruppo aveva seguito la mongolfiera, ora guardavano da lontano una bestia che faceva di una battaglia un vero massacro a senso unico.  Ma fu solo all'arrivo degli Inju che vide il tatuaggio del ragno sulla schiena di Ubo, ecco la conferma, finalmente.
Trovati.

Paradossalmente, nello stesso momento, al Covo si respirava umidità e noia, decisamente non il massimo per i presenti, ma a quanto pare al Capo non sembrava dare fastidio, impegnato come era a leggere il suo tomo, Hisoka era di tutt'altro avviso, e menomale che aveva da fare.
"Mi sono appena ricordato che devo incontrare una persona oggi. Devo uscire"
"Certo, vai pure, ma torna per le sei di domani pomeriggio." Il prestigiatore si avviò fuori, contento di potersi liberare di quella noia mortale. "Ne stai combinando un'altra delle tue, Hisoka?"
"Ovviamente sì." E sorrise.

Kurapika sentì il cellulare vibrare e quando controllò vide di aver ricevuto un messaggio, il numero sconosciuto.
"Incontriamoci nel posto stabilito." Diceva, con un cuoricino, numero sconosciuto o meno, non era difficile intuire chi potesse essere.

Il luna park era abbandonato, lasciato completamente a se stesso, i  giochi arrugginiti e decadenti, le giostre che parlavano di desolazione. Mai avrebbe pensato a un luogo più adatto, per lui.
Kurapika era entrato in quel luogo con un vago senso di disagio, tuttavia quando sentì il rumore di una carta che scontrava terra venne completamente distratto dal luogo sinistro in cui si trovava, voltò lo sguardo e non fu per niente sorpreso di vederlo di nuovo; Hisoka se ne stava seduto su una vecchia giostra a mescolare placidamente il suo mazzo di carte. Stranamete, la sua presenza esageratamente colorata sembrava l'unica macchia di colore, e impossibile dire che non stonasse in quell'ambiente cupo.
"Hai fatto in fretta." Un'altra carta per terra, il sei di picche andò a coprire il joker; un cambiamento drastico, possibile? Istintivamente Kurapika si mise sull'attenti.
Non sta usando l'In
"Non temere. Non ho nessun interesse a combettere contro di te, per ora."
"Non ho tempo per le chiacchiere, parlami della tua organizzazione."
"Peccato, io adoro le chiacchiere. E a quanto pare Amaya non ti ha detto quasi nulla sulla Brigata, avresti potuto sfruttare quel'occasione. Comunque, ci sono tredici membri nella Brigata Fantasma, identificabili con il ragno numerato che portano tatuato, i membri possono cambiare senza preavviso." Per puro caso, neanche l'avesse chiamata, il cellulare nella tasca di Hisoka vibrò.
"Se un candidato riesce a sconfiggere un membro, ne prende il posto, se la Brigata perde un membro, per qualche ragione, è il capo in persona a scegliere il sostituto adatto, la Brigata si occupa soprattutto di furti e asassinii."
"Non dirmi cose che so già." Il prestigiatore non rispose subito, osservando per qualche istante il messaggio che aveva ricevuto.
'Dammi buone notizie, sono stufa di aspettare.' Il che, tradotto, poteva solo significare che la sua sete di sangue e vedetta non era stata soddisfatta per troppo tempo, la dose che era riuscita a rifilare a Machi di certo non l'avrebbe tenuta a bada ancora per molto. Inutile dire che Hisoka se ne era accorto già da un po', sin da quando si era scontrato con Gon e aveva percepito l'aura di Amaya per la prima volta realmente minacciosa e ostile nei suoi confronti, subito dopo aver menzionato il Capo, per non parlare del tempo che passavano insieme; Amaya ormai sfogava la sua rabbia e la sua frostrazione sul corpo del prestigiatore, lasciandogli ogni volta segno rossi sulla pelle, a volte sanguinanti. Ma ormai per lui era quasi come un libro aperto, intrisa come era di emozioni negative. Tuttavia non rispose al messaggio, per quello c'era ancora tempo, e si divertiva a tormentarla; l'avrebbe lasciata aspettare ancora un po'.
"Circa tre anni fa ho preso il posto del numero 4."
"Perché?"
"Per combattere contro il Capo" Il prestigiatore si allungò indietro, andando ad appoggiare le mani su ci che rimaneva di un cavallo della giostra e osservò il cielo attraverso un buco nel telone. Si sentiva impaziente; Amaya non era l'unica a bramare uno scontro.
"Il Capo? Perchè volevi combattere contro di lui?"
"Perchè è molto forte."
"Volevi metterti alla prova?"
"Forse. Ma soprattutto... mi eccita parecchio il pensiero di combattere contro di lui. Purtroppo non ne ho mai avuto l'occasione. Non abbassa mai la guardia e ci sono sempre almeno due persone di scorta con lui. Quando il lavoro è completo sparisce nel nulla. Senza lasciare traccia. Perciò ho una proposta che penso gioverà ad entrambi. Raggiungere i rispettivi obbiettivi agendo da soli sarà difficile, non trovi?"
"Cosa vuoi dire?" Kurapika iniziò a intuire qualcosa, ma non aveva assolutamente idea di quale sarebbe stata la sua proposta, a malapena ci avrebbe creduto dopo averla sentita.
"Posso spiegarti le tecniche Nen utilizzate dagli altri membri della Brigata, conosco già i poteri di sette di loro. Ti interessa... lavorare insieme?" Infondo Hisoka faceva perte della Brigata solo per un motivo.
E quanto sarebbe potuto essere nocivo uno scambio di informazioni?

"Ci sono tre Hotel in cui i membri stanno soggiornando. Beh, dovrebbe essere una ricerca breve." Shalnark gli passò il bigliettino, il nome di tre lussuosissimi Hotel scritti in una grafia ordinata e precisa.
"Grazie, te ne sono grato." E gli stampò un rumoroso bacio sulla guancia.
"Che accidenti combini?!" In risposta, solo una rista sommessa da parte del gigante.
"Beh, allora vado. Ciao!"
"Ubo!" Sul punto di saltare dalla finestra, si fermò, con un piede a penzoloni nel vuoto si voltò verso il biondino. "Non essere imprudente."
"Certo." Imprudenza o meno, quella notte il Ragno perse una zampa.

Turn my head

Voltastomaco; la sensazione provata alla mano, il suono tetro di ogni pugno, l'odore del sangue, i sensi annebbiati. La capacità di uccidere, la possibilità, di avere in mano la vita di qualcuno e di poterne fare qualsiasi cosa, quale orrore e quale eccitazione.
Vendetta. Era quello che si provava quindi?
Com'è possibile che agiscano così, senza provare assolutente nulla?
Neanche la Catena del Giudizio, neanche la reale visione della morte era servita a fargli tradire i suoi compagni, non una parola era uscita dalle sue labbra.
"Quando uccidi un passante innocente, cosa provate, cosa vi passa per la mente?"
"Assolutamente nulla." Forse aveva fatto una domanda stupida, o forse solo quella sbagliata.
"Uccidimi." Non avrebbe detto nulla, non li avrebbe mai traditi, lo sapevano entrambi.
La mente cedette, il corpo crollò.

Al Covo erani tutti presenti, quasi. Hisoka si guardò inorno, avvertendo la tensione palpabile nell'aria, qualcosa era andato storto.
"Usa una catena. È un manipolatore o materializzazione. Ubogin è un potentissimo combattente, ma in un faccia a faccia è molto vulnerabile a quelle due categorie. Molti materializzatori conferiscono poteri speciali alle armi che creano. Alcuni di questi potrebbero rendere Ubo un bersaglio facile, e un manipolatore potrebbe anche manipolare Ubo stesso."
"Maledizione, sarei dovunto adare con lui." Shalnark stringeva i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, una bruttissima sensazione ad attorcigliargli lo stomaco.
"Se non tornerà entro l'alba... "


"Ubo è stato davvero ucciso?"
"Probabile."
"Ubo non era solo uno stupido tutto muscoli." A Machi sembrava strano, aveva sempre visto Ubo come un gigante imbattibile, pensarlo morto aveva del surreale.
"Lo so benissimo." A Nobunaga bruciava, era quasi un male fisico pensare che fosse morto.
"Anche se si fosse trovato davanti un avversario difficile." Erano in mezzo alla gente, bevevano una lattina di birra ciascuno, apparentemente rilassai e noncuranti. "Aveva l'ingegno e l'esperienza necessari per prevalere" La coppia dietro di loro si alzò velocemente, avevano fatto un affare; avevano appena intascato una gran somma di denaro per una misera ripresa su quei due. Il mittente erano due sempli ragazzini, apparentemente.
"Ma Ubo non è tornato. Lui è mai arrivato tanto in ritardo senza averci prima avvisato?"
"Ma ti ricordi cos'ha detto? Che non sarebbe tornato finchè non avrebbe sistemato i conti con quell'uomo delle catene."
"Ecco perchè ho detto 'probabile'. Non ho mai detto che è stato ucciso."
"È solo una sensazione."
"Beh, di solito ci azzecchi."
Killua e Gon osservarono i due individui dal piano superiore del bar, avevano preso un tavolo a fianco della finestra, in modo da averli sempre sott'occhio. Tuttavia Killua sapeva benissimo che nessuno di loro era al livello di uno della Brigata, ricordava che a suo padre era stato commissionato un lavoro che riguardava uno del Ragni. Quando era tornato a casa aveva detto agli altri di stare lontano dalla Brigata, e che non valevano i soldi che gli erano stati dati; quello era il miglior complimento che si potesse fare a una preda.
Killua sapeva, ed era giusto supporre, che i due si fossero accorti della coppia, che forse si erano accorti anche di loro, che erano attenti a tutto, ma per niente preoccupati.
"C'è qualcuno che ci osserva." Infatti.
"E non sono dei principianti."
"Sarà l'uomo con la catena?"
"Chi lo sa?"
"Credo che il Capo voglia reclutarlo."
"Machi, ci ha solo detto di portarglielo, ti sei dimenricata della regola implicita?" Vivo o morto, con ogni mezzo necessario. "Puoi interpretare gli ordini del capo come vuoi, ma non puoi obbligarmi a essere d'accordo con te." Una punta di risentiento, se davvero Ubo era morto, se davvero era stato ucciso...
"Non ho ancora detto niente, sei tu che hai tirato fuori la questione."
"Chiariamo subito le cose. Lo catturiamo vivo o morto?"
Nobunaga tirò fuori una moneta, la osservò un attimo, pensando che l'ultima volta non era andata molto bene.


Si alzarono e, fingendo di ignorare la presenza dei ragazzini che li pedinavano si diressero verso una zona più periferica, aperta e strategica. E attesero, tuttavia coloro che li pedinavano non sembravano volersi far vedere.
Un cellulare squillò.
"Pronto?"
"Sono Phinks, volevo sapere come andavano le cose."
"Ah, bene, ci stanno pedinando, ma non riusciamo a farli uscire allo scoperto."
"Allora che ne dite se vi do una dirtta?" Silenzio, tensione. L'attimo prima della tempesta, la terribile stasi.
Poi lo sguardo di Nobunaga si spostò verso di loro.

Eccoli.
Lo scatto, del tutto inutile, le vie di fuga presto coperte da altri Ragni. Si erano fatti fregare da un intelligente doppio pedinamento.

Amaya sentì il rumore delle auto, la polvere si alzò, il vento la portò lontano, poi più nulla, osservò il cellulare tra le mani che tremano d'impazienza, ancora niente di nuovo.

"Benvenuti nel nostro quartier generale." La tensione nell'aria  era quasi insopportabile, una decina di occhi puntati su di loro.

Turn my head
Off
Forever
Turn it off
Forever
Off forever
Turn it off forever

Il cellulare vibrò e Amaya controllò, quasi sorpresa.
"Presto." Diceva. Era il momento di prepararsi.

"Era del potenziamento. Ingenuo e semplice, adorava gli scontri in cui poteva sfogarsi, ma non tollerava i ritardi. Se la prendeva sempre con me e Franklin quando arrivavamo in ritardo. Me le suonava di santa ragione in uno scontro a mani nude... Lo conoscevo fin da prima della fondazione della Brigata. Lo conoscevo meglio di chiunque altro. Ubo non avrebbe mai perso uno scontro. " Le lacrime agli occhi, sincere. "La farò pagare a chiunque l'abbia ucciso. Lo troverò, non importa quante persone dovrò uccidere. L'uomo delle catene, pensaci bene, lavora da solo e prova rancore verso la Brigata, se sai qualcosa devi dirmelo." Nobunaga non sapeva, o forse dava per scontato, che stava dando voce a tutto il Ragno, perché loro erano una famiglia, e come tale, i legami erano più forti di qualsiasi orgoglio.
"Non ne so niente. Ma anche se sapessi qualcosa non te lo direi! Pensavo foste un gruppo di mostri senza cuore. Ma piangete la morte dei vostri compagni? Perché non tenete da parte un po' di quel dolore per le persone che avete ucciso?"

Alla fine era stato deciso dopo quella sfida a braccio di ferro, la personalità di Gon aveva profondamene colpito Nobunaga, gli ricordava terribilmente i modi di fare di Ubo, quindi avrebbe aspettato che il Capo approvasse o meno di far entrare quei due nella Brigata, dando per scontato che questi non si sarebbero mai uniti a loro di spontanea volontà, ma non curandosene comunque.
Nel frattempo, il resto del Ragno iniziò a impiegarsi seriamente nella ricerca dell'uomo con le catene.
"Muovetevi a coppie e cercate le persone su quella lista. Poi ci ritroveremo qui alle dieci di sera. È tutto." Shalnark si voltò dirigendosi verso l'uscita, i due ragazzini che cotinuavano a lanciare sguardi attenti in giro.
"Aspetta, Nobunaga resta qui, giusto? Io cosa faccio?"
"Puoi aggregarti a chi rimane." Si voltò e sospirò quando vide che l'unico rimasto era Hisoka.
il prestigiatore sorrise. Già, 'mostri senza cuore.' Forse non sempre, però a volte sapevano esserlo.
"Nobunaga è da solo." E quello bastava.

Nello stanzino l'aria stava iniziando a farsi pesante, c'era tensione, c'era il disagio, il bisogo di scappare. Né Killua né Gon avrebbero mai preso in considerazione l'idea di far parte della Brigata, tuttavia in quel momento loro non sembravano avere il potere di prendere nessuna decisione.
Se non quella sbagliata. Killua era vicino al crollo, voleva trovare un modo per andarsene, per negare le parole di suo fratello che nella mente gli ripetevano di tirarsi indietro.
"Ragazzini, stavene bravi, aspettate solo l'arrivo del Boss, se la sua risposta sarà negativa sarete liberi di andarvene, ma non fate mosse sciocche sino ad allora, non sono abbastanza abile né caprbio da controllare la mia forza." Eppure agli occhi di Killua quella era l'unica soluzione; sacrificarsi per regalare un'opportunità a Gon.
"Killua, ora mi ricordo!" L'inuizione, una salvezza per Killua.

Buchi nelle pareti, la roccia tutta uguale iniziò a scorrere davanti ai suoi occhi, rigraziò mentalmente Gon, quella volta stava per fare davvero una sciocchezza. Il corpo pieno di adrenalina e determnazione che superava le stanze, una parete sfondata dopo l'altra. Poi una macchia bianca appoggiata al muro, una figura umana, ma scivolò via velocemente anche quella e Killa la notò appena, doveva continuare a correre, e non riuscì neanche a dargli il giusto peso, poco dopo, fuori, Killua pensò di esserselo immaginato.

Così Nobunaga si era trovato da solo, ingannato da un banale trucchetto di due ragazzini.
Solo. Un'ottima preda.

"Ah farsi fregare in questo modo da dei ragazzini non è da te, Nobunaga." Fremette, l'En intorno a lui tremolò, quasi si dissolse. Conosceva quella voce, ne era certo, doveva solo... Una lieve risata di scherno, un'intuizione, poi una certezza.
"Amaya, è un piacere rivederti."
"Ne dubito." In mano, appoggiata sulla spalla, quella che poteva essere scambiata per una katana, una nodachi, già completamente estratta, il che, ragionò subito Nobunaga, le avrebbe dato la possibilità di essere più reattiva al suo primo colpo, considerando che era un maestro di Iaido e che solitamente per lui gli scontri finvano con l'estrazione della lama. La lunghezza maggiore della nodachi rispetto alla sua semplice katana le avrebbe inoltre permesso di evitare con più facilità i suoi colpi, riuscendo possibilmente a metterne a segno qualcuno in più.
"Non dovresti essere morta, tu?"
"Hai trafitto il cuore di mio fratello, non il mio."
Era tutto studiato per avvantaggiare se stessa. Anche la sorpresa di Nobunaga, quando la vite iniziare a maneggaire la spada con una mano sola.
La puntò verso di lui, avvicinandosi di qualche passo, per poi abbasarla in posizione di guardia a una mano, l'altro braccio parzialmente coperto dal corpo.
"Avanti, avrai immaginato che non sono qui per scambiare due chiacchiere." Nobunaga posò la mano sull'elsa, sapeva benissimo che con il primo, massimo i primi due fendenti, si sarebbe deciso tutto.

The hurt's relentless
The hurt of emptiness
The hurt of wanting
The hurt of going on
The hurt of missing
The hurt is killing me

Le lame si scontrarono, Nobunaga aveva estratto la spada dal fodero e menato il primo fendente, mirando al collo della ragazza, la quale, come si era ben aspettato, aveva fatto calare la sua nodachi sulla katana, riuscendo a deviarne la traiettoria.

Fecero un passo indetro entrambi, e recuperarono la posizione di guardia, Amaya continuava a mantenere quella posizione inusuale, Nobunaga cercava di non pensarci, ricordando bene però le volte in cui si erano allenati insieme, in un lontano passato, e le volte che lei l'aveva battuto era sempre stato con trucchi non del tutto leali. Per quello non poteva permettersi di abbassare la guardia.
Nobunaga avanzò con un fendente diagonale dal basso verso l'alto, ma di nuovo, Amaya era riuscita a precedere il suo movimento con un fendente verticale dall'alto. In quell'istante le due lame erano perfettamente perpendicolari, in una scomoda posizione di stallo. Amaya ragionò in fretta, portando più peso possibile verso il basso, cercando di abbassare ulteriormemte la lama di Nobunaga, e quando la vide tremare rimosse completamente il Nen dalle gambe, annullando quasi del tutto la sua stessa stabilità, sapendo che Nobunaga non sarebbe riuscito a reggere il peso del suo corpo con una semplice katana.
Le lame si scontrarono, Nobunaga aveva estratto la spada dal fodero e menato il primo fendente, mirando al collo della ragazza, la quale, come si era ben aspettato, aveva fatto calare la sua nodachi sulla katana, riuscendo a deviarne la traiettoria.
Fecero un passo indetro entrambi, e recuperarono la posizione di guardia, Amaya continuava a mantenere quella posizione inusuale, Nobunaga cercava di non pensarci, ricordando bene però le volte in cui si erano allenati insieme, in un lontano passato, e le volte che lei l'aveva battuto era sempre stato con trucchi non del tutto leali, logoramento mentale, più che altro. Per quello non poteva permettersi di abbassare la guardia.
Nobunaga avanzò con un fendente diagonale dal basso verso l'alto, ma di nuovo, Amaya era riuscita a precedere il suo movimento con un fendente verticale dall'alto. In quell'istante le due lame erano perfettamente perpendicolari, in una scomoda posizione di stallo. Amaya ragionò in fretta, portando più peso possibile verso il basso, cercando di abbassare ulteriormemte la lama di Nobunaga, e quando la vide tremare rimosse completamente il Nen dalle gambe, annullando quasi del tutto la sua stessa stabilità, sapendo che Nobunaga non sarebbe riuscito a reggere il peso del suo corpo con una semplice katana.
le lame scivolarono l'una sull'altra, la punta della katana lasciò un segno rosso sulla spalla della ragazza.
"Perché sei ancora viva?"
"Sono altre le domande che dovresti porti, non pensi?" E con lo sguardo corse alla sua guamba, dove era apparso un taglio sanguinante, Nobunaga non se ne era accorto, semplicemente perché da ciò che aveva visto ricevere una ferita del genere sarebbe stato impossibile, la sua lama non l'aveva mai sfiorato, ne era certo. Tuttavia sapeva che perdere tempo a pensarci avrebbe solo peggiorato le cose, quindi tornò a concentrarsi sullo scontro. O almeno ci provò, perché tutto sembrava ripetersi; un fendente, l'anticipo di Amaya, lo stallo e poi le ferite, quelle ch riceveva la ragazza, sempre più superficiali, quelle che subiva lui, completamente prive di logica.
"Ma che diavolo...?" Non conosceva Amaya abbastanza bene da conoscere le armi che poteva utilizzare, tuttavia aveva provato a usare il Gyo, sulla nodachi c'era appena un filo di Nen, lo stretto necessario. Forse se non poteva vedere così, avrebbe solo dovuto prestare più attenzione.
Il colpo successivo fu semplicemente una prova e nell'istante in cui le lame scivolarono l'una sull'altra Nobunaga notò il movimento dell'altra mano, impugnava chiaramente qualcosa, l'elsa era ben visibile, ma non la lama.
Tuttavia aveva capito, aveva capito il perché di quello stile di combattimento a una mano, il perchè di quelle ferite, non comprendeva pienamente la natura i quell'altra arma, ma poco importava. Si era fatto le domande giuste, e ora toccava a lui sfruttarle a suo vantaggio.
Le mosse successive furono guidate da anni di esperienza, capacità e consapevolezza.
Fece una finta, obbligando la ragazza a cambiare posizione, e in quello stesso istante deviò la traiettoria della sua stessa katana, puntando non alla nodachi, ma all'altra. Ebbe appena il tempo di vedere la lama traslucida cadere a terra, l'impugnaura macchiata di rosso, mentre il suo corpo sembrava muoversi da solo, la lama che andava a trafiggere carne e muscoli.
Aveva puntato al cuore, ruotando la lama in modo da avere un accesso più facile attraverso la gabbia toracica, tuttavia Amaya con la sua era riuscita a deviare un minimo la lama, che era andata a conficcarsi appena sotto lo sterno, la lama della nodachi incastrata tra la katana e il suo stesso corpo.
"Riesci sempre a schivare la morte tu, eh?" Era già successo qualcosa di simile; un pugnale che le aveva attraversato il fianco, mancando di poco l'aorta addominale, e quindi morte certa.
"E tu?" Ma inaspettatamente sul volto della ragazza si aprì un sorriso macchiato di sangue.
La nodachi ancora ferma, bloccata tra loro due, il sangue che continuava a scorrere dalle ferite. Un movimento rapido e deciso e una wakizashi trapasò il ventre di Nobunaga.
Quale disonore per un samurai; venire ucciso da una tale arma con le mani di qualcun'altro.


Ce l'aveva fatta, il primo passo era fatto, il brimo bersaglio era stato abbattuto. Sorrise, ma quello che si allargò sul suo volto sembrò più una smorfia; la ferita la petto continuava a fare male e non smetteva di sanguinare, tuttavia Amaya cercava di continuare, mettendo un piede davanti all'altro, talvolta reggendosi ai muri per avere un sostegno, premeva la mano appena sotto lo sterno e tremava, sentendo il sangue continuare a inzuppargliela e a rendergliela viscida e appiciccosa, lo sentiva colare fino al bacino, percorrere la mano e gocciolare dal gomito con un ritmo costante. Non stava andando bene, affatto.
Il suo sguardo si annebbiò e i pensieri si fecero lenti. Fino a un attimo prima aveva sentito le gambe cedere in continuazione, ora non più, solo perché era già caduta in ginocchio.
Non adesso.
"Merda." Fece forza sulla mano che non stava usando per tamponare la ferita per rimettersi in piedi, o almeno per provarci. Inutile, le gambe non la reggevano più.
Sollevò lo sguardo, gli edifici in lontananza che si facevano confusi, doveva continuare, non poteva fermarsi, non ora. Recuperò le poche forze che aveva e spinse sulle ginocchia.
Anche a costo di strisciare. Non posso morire così. Non adesso.
Forzò il suo corpo al limite, riuscendo a rimettersi in piedi, nessuna decisione fu altretanto infelice, perché un capogiro le fece perdere completamente l'equilibrio.
Finì a terra, la mano schiacciata sotto il corpo dolorante. Il volto ora sporco di terra che andava velocemente a mescolarsi al sangue.
Non adesso.
Con la mano tremante e quasi insensibile andò a cercare il cellulare in tasca e mandò al diavolo l'orgoglio. Peccato che più di tanto non riuscì a fare, perchè il suo campo visivo si riempì di macchie nere.
Non adesso ti prego.
"Non vorrai mica morire, vero? Accidenti, non dopo tutta la fatica che ho fatto per tenerti in vita."

"Amaya, Amaya, ehi! Apri gli occhi." E lo fece; aprì gli occhi, e quasi le parve di essere sempre stata lì, e di essersi solos appisolata per un istante, lì dove era tutto un bagliore bianco, quasi insopportabile, e il riflesso della luce sull'acqua che le scaldava appena il volto.
"Amaya." Una voce felice, soddisfatta, dolorosamente familiare. Si voltò, un sorriso bambinesco e una zazzera di capelli castani spettinati, gli occhi orribilmente familiari, pieni di felicità.
"Frau?"






NdA:
Un po' di info:
Iaido: Lo iaidō è l'arte dell'estrazione della spada, ma letteralmente significa «via (道 dō) dell'unione (合 ai) dell'essere (居 i)». Scopo ultimo di questa disciplina, infatti, è la perfetta ed armonica unione con sé stessi e con l'Universo.

Storicamente, lo iaidō trovava applicazione nei duelli tra samurai dove la morte di uno (o entrambi) i contendenti solitamente avveniva dopo uno o al massimo due scambi. Ovviamente in tali condizioni l'abilità tecnica richiesta era massima ed infatti era altresì possibile che un duello si concludesse anche solo con l'estrazione della spada e il successivo singolo fendente. Ecco quindi spiegata l'importanza fondamentale dell'arte dell'estrazione della spada nella vita del samurai.

Nodachi: Una nodachi tiene il medesimo disegno e aspetto generale di una katana, ma è considerevolmente più lunga, in quanto può raggiungere una lunghezza che varia solitamente da 1,4 m a 1,8 m circa. Molte nodachi presentano una tsuka, o impugnatura, molto più lunga rispetto alla katana semplice, e per questo appaiono esteticamente sproporzionate, tuttavia una nodachi ottimale dovrebbe presentare un rapporto kissaki/tsuka di 4/1.

L' En (di Nobunaga) è zona sferica di raggio pari al doppio della lunghezza della sua katana.

Wakizashi (脇差?) è un'arma bianca manesca del tipo spada del Giappone, portata dai samurai sempre a contatto con il corpo, là dove la katana era portata esclusivamente in battaglia. Veniva utilizzata durante la cerimonia di suicidio del Seppuku.
La sua lama è lunga dai 30 ai 60 centimetri. Il wakizashi era solitamente portato dai samurai insieme alla katana.

Mi sarebbe piaciuto introdurre più introspezione, un po' come nei primi capitoli, però poi mi sono accorta che per fare finire il capitlo come volevo  avrei dovuto evitare di diluire altrettanto le situazioni (è già tanto che sono riuscita a far stare più di cinque episodi in questo capitolo) e per questo, mi rendo conto, l'ho resco incredibilmente scarno (chiedo scusa), tranne forse per l'ultima parte. Però non ho resistito a inserire certi passaggi, come l'incontro di Kurapika con Hisoka, la discussione di Gon e Nobunaga e la morte di Ubo, che non ho voluto descrivere, se non a livello emotivo, perché vorrei che i combattimenti restino un po' un'esclusiva di Amaya, infondo questa è la sua storia.

Non so, forse qualcuno di voi si starà chiedendo che genere di musica mi piaccia, visto quella che vi ho rifilato questa volta, che è assai strana (ah, lasciatemi dire che sono sorpresa del fatto che qualcuno se le vadi anche a sentire quelle che vi propongo io, sono sorpresa e ovviamente felice). Beh, sappiate che quello che vi sto proponendo non è il Mio genere, assolutamente (io vado molto sull'Heavy Metal e compagnia bella) ma se una canzone si adatta (come testo e mi da una mano a scrivere il capitolo) allora va benissimo.
Se poi è particolarmente poetica ancora meglio, gli unici generi che disdegno sono il pop e il rap (e tutti quelli che gli assomigliano ._.), per questo mi stavo chiedendo anche se gradite che io inserisca in qualche modo una traduzione ai testi che uso, fatemi sapere, perchè credo di avere già trovato un buon metodo, e poi perchè la canzone del prossimo capitolo sarà qualcosa di hfilGWIEGFWEug.u <3

Fine, smetto di tediarvi, alla prossima.
P.S Siete tutti/e fantastici/che, sono felice che la storia vi stia piacendo, m sento davvero al settimo cielo *-*

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Capitolo 9
*** Morte ***


EHI: Quando incontrate le citazioni della canzone in mezzo al capitolo assicuratevi di selezionarle con il mouse (si insomma, fatele diventare blu, come se doveste fare copia e incolla) mi raccomando!

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Capitolo 8. Morte
[Loreena McKennitt - The Old Ways]

The thundering waves are calling me home to you
Le onde tonanti mi stanno chiamando a casa da te
The pounding sea is calling me home to you
Il mare martellante mi sta chiamando a casa da te

"Frau?" Lo guardò, non sapendo se essere sorpresa o grata per quello che poteva essere solo un regalo della sua mente. Il sorriso sul suo volto svanì, e al suo posto apparve un'espressione corrucciata.
"Cosa ci fai qui Amaya?" Suo fratello spostò lo sguardo sull'immensa, forse infinita, distesa d'acqua in cui, Amaya se ne accorgeva solo ora, entrambi stavano pucciando i piedi, l'acqua che lambiva e polpacci incredibilmente pallidi di entrambi, seduti su un morbidissimo prato verde, sconfinato dietro di loro.
"Io..." Rimase interdetta, non sapeva rispondere a quella domanda, non lo sapeva, non aveva idea del perché stesse vedendo suo fratello in quel momento, non sapeva neanche che diavolo di posto fosse quello. "Non lo so." Frau rimase in silenzio, osservando il volto sempre più turbato della sorella.
Ricordava i silenzi di suo fratello, così simili ai suoi, così pieni di quella solitudine con cui avevano imparato a convivere all'ovest.
"Non sarai mica morta vero?" Amaya sobbalzò.
No. Avrebbe voluto dire.
O forse sì. Non lo sapeva.
"Non lo so." Sospirò, iniziando a sentire l'angoscia stringerle il petto e mozzarle il fiato. "Sono morta?" Chiese con timore sbigottito. Vide suo fratello sorridere appena, tuttavia quello non la rassicurò per niente; non vi era alcuna traccia di felicità in quell'espressione.
"Non ancora, ma ci stai andando parecchio vicina ultimamente. Sembra quasi che tu lo faccia apposta." Amaya fu troppo sollevata da quel 'non ancora' per preoccuparsi del resto della risposta.
"Bene allora..." Amaya appoggiò le mani ai lati delle gambe, sporgendosi lievemente in avanti, finendo per osservare nell'acqua il riflesso del suo volto e di quello di Frau, che la stava osservando con un'espressione di tenero affetto. A dire il vero Amaya era terrorizzata; a quanto pare aveva una seconda possibilità, un'occasione per parlare con suo fratello. E non sapeva come comportarsi, avvezza come era a non dare troppo peso alle cose passate, fatte, irrecuperabili, o al semplice fatto di non essere assolutamente pronta per parlare con suo fratello, morto. Magari avrebbe dovuto scusarsi, la verità era che non aveva niente da dire, la sua promessa di vendetta l'aveva fatta.
"Cosa stai combinando Amaya?"
"Che?" Suo fratello sospirò, abbozzando un sospiro e agitando un minimo la gambe nell'acqua e con un guizzo ciò che vi era riflesso cambiò; non era più l'espressione serena e calma che Amaya non aveva mai conosciuto, bensì il riflesso degli ultimi istanti di suo fratello. Il petto completamente insanguinato appena coperto da una camicia lacera, metà del suo cranio non c'era più, sostituito da un ammasso informe di filamenti sanguinosi e frammenti di ossa. I suoi occhi vitrei riflettevano la morte.
"Stai davvero cercando di vendicarti o stai solo cercando di farti ammazzare?"


"Le mie predizoni sono un po' strane, di solito hanno quattro o cinque versi. Ognuno corrisponde a una settimana del mese, quindi il primo potrebbe già essere accaduto." Aveva osservato il suo potere con occhi famelici; doveva, voleva, sapere. Aveva bisogno di certezze, ora più che mai, per il bene del Ragno. E il potere di Neon faceva al caso suo.
-Il calnedario perde  componenti preziosi, i mesi rimanenti si raccolgono in lutto, coloro che piangono intonano una melodia, mentre l'undicesima luna sommessamente sorge.
Chrollo aveva pianto silenziosamente, mentre sentiva frammenti della propria anima scivolare via, trascinati lontano dal cordoglio, nel riconoscere in quella profezia parte della sua famiglia, alla fine aveva avuto la conferma che tutti cercavano ma che nessuno avrebbe mai voluto scoprire. Ubo era morto.
Tuttavia il primo verso non parlava al singolare, e quello lo preoccupò maggiormente. A chi altri avrebbe dovuto rinunciare? Per chi altri avrebbe dovuto piangere lacrime amare?
-Il crisantemo appasisce e cade per giacere al suolo accanto agli insanguinati occhi scarlatti. Ma tu rimarrai imbattuto, anche dopo aver perso metà delle tue membra.
-Goditi l'intermezzo, trova nuovi alleati, la minaccia dell'ovest è vicina, vai verso est, troverai qualcosa attenderti
I pezzi che improvvisamente combaciano; il passato, i fatti accaduto con Machi, la minaccia dell'ovest. Chrollo iniziò a capire.

In un parco delimitante la zona dell'asta, due individui si trovavano in mezzo a un prato rosso di sangue e corpi straziati. I due si guardarono, scambiandosi uno sgardo che valeva mille parole.
"Il Capo ci ha dato una nuova regola."
"Quale?"
"Massacrate chiunque vi si pari davanti."
Così il riequiem ebbe inizio; una danza frenetica di corpi feriti, uccisi. Una melodia di spari e ossa che si rompevano. Chrollo dirigeva dall'alto della città, mentre esplosoni e urla infuriavano davanti a lui, regalando il glorioso saluto a Ubo.

We left the muscic behind and the dance carried on
Ci lasciammo dietro la musica e la danza
As we stole away to the seashore
Mentre ci gettammo sul lido
We smelt te brine, felt the wind in our hair
Facemmo sciogliere la brina, sentimmo il vento tra i capelli
And with sadness you paused
E con trstezza tu ti fermasti

"Credevo avessi capito che la vendetta non serve a nulla." Amaya rimase immobile, sentendo il gelo pervaderle il corpo. Nella sua mente, come mai prima d'ora, c'era una grandissima confusione. Non c'era più distinzione tra cosa era giusto e cosa era sbagliato, tra cosa fosse reale e cosa no.
Cosa stava combinando? Non lo sapeva neanche lei. Come se uccidere buona parte dei membri del Ragno potesse riportare in vita suo fratello.
Come se la vendetta servisse davvero a qualcosa.
Tuttavia, alcune cose nella sua mente restavano come punti luminosi, di cui era sicura, cose a cui non avrebbe potuto rinunciare.
"Non mi serve un buon modo per morire, se é questo che intendi, io sono già morta, sono morta quando i nostri fratelli ci morivano davanti agli occhi all'ovest, quando ti ho visto morto, quando ci hanno tradito..."
"Non é questo il punto, e lo sai. Come sai bene che io non avrei mai voluto una vendetta, sapevo benissimo che ciò che ci portavano dietro era troppo da sopportare." Amaya sobbalzò, le parole di suo fratello che si insinuavano con forza nella sua mente. Sollevò lo sguardo, andando a cercare l'orizzonte di quel luogo sconosciuto e notando poco disintamente una macchia nera in lontananza.
"E se ti fossi trovato tu al mio posto?!" Si voltò verso di lui, quasi sorprendendosi di vederlo in quelle condizioni disastrose. Una fitta le fece mancare un battito, facendole rimpiangere il legame che avevano.
"Mi sarei lasciato morire, non avrei avuto motivo per continuare a vivere. Non ricordi la nostra promessa Amaya?" Amaya non rispose, ma ricordava benissimo. Ci fu un attimo di tesissimo silenzio. Avevano promesso che sarebbero stati sempre uno a fianco dell'altro, che dove sarebbe andato uno sarebbe andato anche l'altro. Ovunque. Sempre.
"Cosa posso fare per farmi perdonare?" Suo fratello aveva ragione, Amaya non era riuscita a mantenere la promessa fino alla fine, o forse non aveva voluto, non faceva differenza.
"Midinváerne." Sussultò, e qualcosa nella sua mente scattò, fu come togliere una cortina di fumo.
Strinse i pungi, per la prima volta dopo tanto non avvertì alcuna fitta dolorosa correrle su per le braccia, tuttavia provò un altro tipo di dolore.
Angoscia.
E tuttavia decise di stare al gioco.
"Non puoi chiedermi questo." Tornò a fissare l'acqua, la massa scura si era fatta più vicina, e la ragazza poteva quasi indovinare di cosa si trattasse. Tuttavia la sua voce rimase ferma.
"Perché no? Con quella risolveresti molte cose."
"Mi stai chiedendo di rinunciare ai miei ricordi?" Suo fratello rispose con un silenzio pesante. "Non intendo usare Midinváerne per uccidere uno del Ragno e perdere parte di me stessa." Forse avrebbe anche funzionato, indubbiamente avrebbe funzionato. Poichè quella era un'arma infallibile, che era in grado di uccidere chiunque e con indicibile efficacia ma che tuttavia richiedeva un pegno in cambio, Amaya l'aveva scoperto usandola per la prima e per quella che si era ripromessa essere l'ultima volta. Ormai non lo sapeva più, ma aveva dovuto rinunciare a un frammento del suo passato; un episodio più o meno significativo, in cui un paio di gemelle si univano a loro, ai lati della strada a chiedere elemosina, un ricordo privo di grande significato ma pregno di emozioni, quelle che aveva provato vedendo le due ragazzine dai capelli rossi sorreggersi come se non potessero continuare una senza l'altra.
Alla fine era rimasta una consapevolezza del potere di quella lama e un buco vuoto di un paio di giorni nella sua mente, perchè ricordava bene che quelle due si erano ammalate, ed erano morte nel giro di pochissimo tempo, così come ricordava di averne trascinata una fino alla sponda del fiume.
"Potrebbe risolvere molte cose però, potresti dimenticare di quando ci hanno tradito, e iniziare a vivere normalmente."
"Cosa dimenicare non è una mia scelta. E a quanto pare mi ricordo benissimo il tuo essere un codardo."
"Prendo la via più semplice e meno pericolosa, Amaya, dovresti farlo anche tu."
Amaya sollevò lo sguardo, vedendo ora chiaramente la macchia rossastra che stava iniziando a circondare le loro gambe, l'odore ferroso che iniziava a farle contorcere lo stomaco, l'erba che stava seccandosi velocemente sotto e intorno a loro.


Paura e fermento dilagavano per il palazzo in cui si sarebbe dovuta tenere l'asta.
Mentre all'esterno infuriava l'inferno, negli animi degli assassini rimasti in vita per uccidere il Ragno che si era infiltrato alleggiava una febbrile eccitazione. In fondo loro erano gli unici rimasti in grado di fronteggiarlo.
"Questo lavoro non vale i soldi che ci pagano."

La battaglia fu un susseguirsi di grande rapidità e sincronia, ogni movimento pulito, movimenti essenziali, prive dello sforzo eccessivo. Un combattimento i cui avversari rasentavano la perfezione, come in un combattimento tra colossi.

Un cellulare squillò, e fu quasi assurdo sentire quel suono acuto rimbombare in quell'atmosfera pregna di tensione e adrenalina.
"Dov'è il mio cliente?" Una voce neutra domandò dall'altro capo. Illumi aveva appena svolto un lavoro con incredibile rapidità e precisione, come sempre.
"È qui."
"Eh? stavate combattendo? È ancora vivo? Giusto in tempo, che sollievo. Riferiscigli un messaggio. Ho ucciso i dieci Don, digli di trasferire la cifra al mio conto, come pattuito." Silva chiuse il telefono, giardando storto l'individuo che si stava scrollando di dosso polvere e detriti.
"Accidenti. Sembra che vivremo entrambi un altro giorno."
"Non dovreste uccidermi?"
"Eravamo stati ingaggiati dai dieci Don, ma visto che sono morti tu non sei più un nostro obbiettivo."
"Davvero? Che sorpresa. Sapevi che avevo ingaggiato illumi per combattere i dieci Don?"
"Ovviamente, ma questo è irrilevante. Svolgiamo semplicemente il lavoro per cui siamo stati ingaggiati."
"Se avessimo combattuto uno contro uno chi avrebbe vito?" Giusto per togliersi una curiosità, e per prendere provvedimenti per un futuro, e non tanto scontato, scontro.
"Naturalmente io, a meno che tu non volessi davvero uccidermi."
Quindi se ne era accorto.
I due assassini se ne andarono, silenziosi come erano arrivati, sperando e temendo di doversi scontrare di nuovo con il capo della Brigata.
"Che palle." Per Chrollo in quel momento la scocciatura maggiore era non esser riuscito a rubare i loro poteri.

"Kortopi, è tutto pronto?"
Suddenl I knew that you have to go
Improvvisamente capii che dovevi andare via
My world was not yours, your eyes told me so
Il mio mondo non era il tuo, i tuoi occhi me lo dissero
Yet it was there I felt the crossroads of time
Ancora si era lì, ed io percepivo il percorso del tempo
And i wondered why.
E me ne stupivo.

"Ma immagino tu abbia già fatto la tua scelta." Sentì la sua mano accarezzarle la schiena e rimasero in silenzio, Frau in attesa, Amaya a rimuginare su tutto ciò che stava accadendo intorno a loro. Aveva già capito da un pezzo ciò che realmente si stava manifestando, per questo decise di farla di finita, non aveva più voglia di perdere tempo.  Ma decise comunque di essere sincera, alla fine. Magari solo per torgliersi un peso, confessare qualcosa che non avrebbe mai detto a nessun'altro.
"Fratello, io ricordo bene. Ricordo di aver desiderato la morte con tutto il mio cuore quando è finita la caduta. Ricordo che anche quando mi sono sveglata non ero abbastanza forte per tornare indietro con la mente a quei momenti. Quindi sono andata avanti. Non puoi incolparmi per questo, quello che provavo e provo ancora per te è ciò che mi spinge ad andare avanti, perché anche sul punto di morire ho pensato a te." Si voltò verso di lui, osservando per l'ultima volta il suo viso, pulito e sereno. La sua espressione era felice, aveva un sorriso sulle labbra, ormai Amaya aveva deciso, lui non poteva fare altro. "Ma solo l'odio può fare di me una persona migliore, me lo hai detto tu stesso."  Avvertì il corpo del fratello irrigidirsi e a quel punto capì di aver colto nel segno, aveva svelato il trucchetto.
"Ed è anche per questo che non intendo più stare al tuo gioco, Cypher." E ignorando il piacevole calore che quel contatto le trasmetteva si buttò nel lago di sangue che era diventata quella distesa d'acqua.


"Oh, salve. Tu non vai all'asta?" Un attimo di confusione. Kurapika si voltò, osservando i sue uomini sorridenti vestiti di nero che ancora tenevano tra le mani le loro armi.
"Che vuoi dire?"
"Il leader della Brigata Fantasma è stato ucciso." Un colpo al cuore, il sangue che sembra defluire completamente dal viso. Kurapika non avrebbe mai creduto di potersi sentire così.
"È impossibile." Le possibilità erano scarse, una al massimo due; gli assassini assoldati per uccidere il capo della Bigata avevano fatto bene il loro il suo lavoro oppure qualcun'altro che Kurapika conosceva appena era riuscito -riuscita- a combinare qualcosa. Ma quante possibilià c'erano che anche una solo delle due fosse reale?
Pochissime. O forse era solo quello di cui lui stesso cercava di convinversi. "Non può essere."
"Ora non resta altro da fare se non pulire." I due se ne andarono ridacchiando, completamente ignari dello stato d'animo del biondo.
Mi rifiuto di crederci Sperava davvero di non doverci crederci, una cosa del genere non poteva accadere. finchè non avrò visto il corpo
Era come un incubo; il corpo era davanti a lui, gli occhi fissi e spenti, gli abiti strappati e insanguinati. O forse era un sogno.
Morto, decisamente morto, così come gli altri ritrovati nelle vicinanze. Kurapika sentiva il cuore precipitare sotto il suolo, la sua determinazione svanire via velocemente, ora che non aveva più nessuno su cui vendicarsi cosa avrebbe potuto fare? Fissava i corpi senza riuscire a credere a quello che vedeva, mentre in testa, in una confusione caotica rimbombavano voci e propositi ormai vani.
Vedremo, ragazzino dei Kuruta, vedremo chi riuscirà nella sua folle vendetta e ci morirà mettendola in atto.
Possibile che avesse appena perso?

Il lavoro di Kortopi era stato incredibilmente meticoloso.


Hisoka si rigirò il cellulare tra le mani, facendolo passare tra un dito e l'altro come se fosse una delle sue carte.
Osservò il display, nero, silente. Si era aspettato qualcosa, sin da quando avevano trovato il corpo di Nobunaga. Forse si era aspettato una conferma, nella più assurda delle ipotesi un ringraziamento, da parte di Amaya. Anche se a pensarci a mente lucida non avrebbe avuto molto senso un messaggio o una chiamata da parte sua, visto che lei sapeva che Hisoka aveva ben più accesso al Ragno di lei.
Quindi digitò velocemente il numero e si portò il cellulare all'orecchio.
Uno squillo.
Controllò in giro di non avere persone troppo vicine, non sia mai che per un po' di distrazione gli crollasse tutto addosso.
Due squilli.
Appoggiò e spalle al muro, osservando fuori dalla finestra le nubi che iniziavano a coprire le stelle notturne.
Tre squilli.
Inziò a giocherellare con una carta, mentre teneva il cellulare incastrato tra l'orecchio e la spalla.
Quattro, cinque squilli.
Iniziò a innervosirsi.Tuttavia all'improvviso capì che Amaya non avrebbe risposto, poichè sotto la finestra cui era appoggiato, due piani più sotto, intravide un piccolo schermo illuminarsi, mezzo nascosto tra l'erba e delle macchie di sangue.
Chiuse la chiamata, mentre sentiva il sangue defluire dal volto.
Forse già sapeva, o semplicemenete immaginava, che uscire illesi da uno scontro contro Nobunaga era impossibile, nonostante Amaya vantasse di grandi abiltà e conoscenze delle armi bianche, dubitava che la sua vittoria fosse stata semplice.
Si diresse verso l'esterno e raccolse il cellulare, lo schermo e i tasti erano sporchi di sangue rappreso. L'improvvisa possibilità di aver perso le tracce di Amaya lo disorientò; aveva bisogno di sapere.
Strinse il cellulare nella mano, sentendo la plastica gemere, lo shermo incrinarsi. Non c'era nulla che potesse fare per trovarla, restare con il Ragno forse era la soluzione migliore, così si sarebbe fatta vedere di certo. Sempre che non ci avesse lasciato la pelle.
"Che peccato."

As you turned to go I heard you call my name,
Quando ti girasti per andare via sentii che chiamavi il mio nome
You were like a bird in a cage spreadings its wings to fly
Eri come un uccello in gabbia che spiega le ali per volare
"The old ways are lost" you sang as you flew
"Le vecchie usanza sono perdute" Cantavi mentre volavi
And i wondered why.
E me ne stupivo.

Quella volta non si sarebbe svegliata borbottando il nome di suo fratello, cercando un ricordo in una mano che le accarezzava la schienza, si svegliò con la consapevolezza di essere viva e di essere in un luogo sconosciuto, tuttavia familiare.
Si trovò davanti agli occhi un soffitto di terra da cui spuntavano ogni tipo di ossa, posizionate in modo da creare strano disegno; il mosaico di un pazzo.
Questa volta non ci fu nessun risvegio doloroso, nessun muscolo atrofizzato, ma ci fu la presenza, pressante e familiare, di una persona accanto a lei.
Sospirò pesantemente, rimanendo distesa sulla superficie dura su cui si trovava, in attesa.
"Quando l'hai capito?" Una voce conosciuta, spiacevole, le giunse alle orecchie.
"Mio fratello non conosceva Midinváerne. Non gliene avevo mai parlato." Avvertì una lieve risata, poi nel suo campo visivo apparve un volto conosciuto. Pallido e magro, non vecchio ma profondamente segnato, con zigomi duri e occhi famelici accesi nelle occhiaie profonde. Si guardarono per un momento, poi sul volto di Cypher si allargò un sorriso malsano, lei rimase impassibile.
Non disse nulla neanche quando si mise a sedere, metabolizzando la situazione e studiando tutto ciò che era attorno e dentro di lei, le ferite dell'ultimo scontro già rimarginate. Non erano poche le domande che aveva da fare a quel tizio.
"Dove ci troviamo?"
"Non molto lontani dalla città, siamo in un posto sicuro, nessuno ci verà mai a cercare qui." Quella era un'ottima notizia, forse.
"Perché sono qui?" Amaya procedette cautamente, tenendo alcune domande per dopo.
Lo sentì ridacchiare. "Mica ti avei lasciato morire, ti pare? Dopo tutta la fatica che ho fatto ti ritengo un'opera molto ben riuscita, mi dispiacerebbe asssai vederti morta." Amaya ebbe un moto di stizza; 'opera'? Davvero? Lo guardò male, accorgendosi di non aver affatto avvertito la sua mancanza. "Sai, ci tengo davvero a vederti sana, e poi volevo controllare le tue cicatrici, a proprosito, come va? C'è ancora qualcosa che ti fa male?" Ad Amaya non piaceva, non piaceva per niente, non voleva averlo vicino, era un presenza che non apprezzava affatto.
"Come mi hai trovata?" Cypher vide la sua espressione cupa, affamata di spiegazioni che solo lui sapeva dare. L'uomo si portò una mano alla testa, ammiccando verso di lei.
"Le monete. È anche così che sono riuscito a entrare nella tua mente. Ah, tranquilla, a meno che tu non sia in un profondo stato di incoscienza non posso fare niente lì dentro." Sorrise, esibendo un sorriso che doveva essere rassicurante, ma che servì solo a far innervosire la ragazza.
"Mi sati dicendo che quando sono incosciente la mia mente diventa il tuo personale parco giochi?"
"Esattamente." Indignata e beffata, Amaya si alzò dal ripiano su cui era stata sdraiata e dopo essersi guardata velocemente intorno si diresse verso la porta. O almeno è quello che avrebbe voluto fare, se solo la sua gamba non si fose bloccata a metà di un passo, rischiando di farla cadere.
"Sai, ho sempre lavorato con cadaveri, tu sei stata una fantastica eccezione, guarda che splendida creatura sei diventata. Ed è anche per questo ho affinato le mie abilità." Amaya abbassò lo sguardo e si impietrì quando vide un'asta di metallo sporgere dalla sua coscia, attraversandola da parte a parte, un'estremità era legata con una finissima catena al ripiano su cui era stata fino a un attimo prima. Tuttavia non avvertiva alcun dolore, e né muscoli né vene impotanti sembravano danneggiati.
"Ma che diavolo..."
"Questa volta non intendo lasciarti scappare." Lui si avvicinò e le prese il volto tra le mani. "Non capisci ciò che cerco di dirti? Voglio che tu resti in vita, e il modo migliore per farlo è quello di rinunciare alla tua vendetta, e di rimanere qui, con me." Ad Amaya si rivoltò lo stomaco, non poteva accettare una simile situazione, non poteva essere vero.
Il cuore iniziò a martellarle nel petto, le orecchie a fischiare. Cosa poteva fare?
La prima cosa che le venne in mente fu quella di materializzare un'arma e colpire quella catena che la costringeva a restare lì. Fu inutile, perché come lo fece, l'asta di metallo sembrò reagire, inviandole un'acuta scarca di dolore per tutta la gamba, facendola cadere in ginocchio, ansimante. La mani gelide dell'uomo ancora ad accarezzare il volto in un contatto che Amaya stava iniziando a disprezzare.
"Oh, accidenti. Non mi sembra il caso di reagire in questo modo. Ah, forse avrei dovuto dirti che tutto quello che creo e uso per i miei lavori reagisce al Nen in modo differente, oltre al mio volere. Le monete così come quest'asta. È inutile che tenti di scappare, il tuo unico modo di fuggire sarebbe quello di usare la forza fisica, e non mi sembri proprio nelle condizioni di liberarti, ora." Sorrise, ed Amaya desiderò potergli sputare, peccato che lui si stava allontanando.
Recuperò il fiato, seguendo con lo sguardo la figura chiara di Cypher.
"Perché?" L'uomo si voltò verso di lei, con il suo sorriso più umano che lei avesse mai visto.
"Perché? Non c'è forse un sentimento che accomuna ogni uomo che desidera avere tutta per sé una donna? O almeno un intento, un'idea, qualsiasi cosa dettata dal cuore e che si abbia la smania di scoprire e di comprendere? Non lo capisci Amaya?" Lei rimase in silenzio, disgustata dall'insieme formato dalla situazione e dalle sue parole. Non rispose, limitandosi a fissare il pavimento, ancora in ginocchio, cercando una soluzione per districarsi da quella orribile situazione mentre l'uomo armeggiava con strumenti e boccette, strumenti da chirurgo, o da torturatore. Si scoprì ad odiarlo, lui che aveva frugato nella sua mente e disonorato i ricordi di suo fratello. Il pensiero che tempo prima lui l'aveva curata, che aveva toccato la sua pelle più e più volte, nei momenti in cui era più fragile, indifesa, inerme. All'improvviso si sentì sporca.
Poi un'idea, terribile idea, lei lo sapeva benissimo, ma non poteva altro. Non aveva nessun'altra via d'uscita.
"Facciamo un patto." Lo vide fermarsi, la mano che reggeva un bisturi sospesa a mezz'aria, il capo rivolto verso di lei e un'espressione sorpresa.
"Che patto?" Posò lo strumento, avvicinandosi curioso alla sua figura. Amaya strinse i pugni, forse quella era la cosa peggiore, forse non sarebbe voluta uscirne viva se non avesse funzionato.
"Lasciami libera, lasciami compiere la mia vendetta, lasciami odiare e venire odiata ancora per un po'." Prese fiato, sperando che le sue parole lo convincessero. In fondo era stato lui stesso a dirle che l'amore era un morbido cuscino su cui riposare, ma che solo l'odio avrebbe potuto renderla una persona migliore. "Poi... farò ciò che vuoi." Il volto di Cypher divenne il ritratto della gioia bambinesca.  
"Ti concederai a me?" Amaya tuttavia intuiva che ciò che provava lui non si trattava di amore, dubitava che uno come lui potesse provare simili sentimenti, piuttosto era probabile che il suo comportamento, le sue decisioni, fossero dettate da uno strano desiderio di dominio, l'ebbrezza di avere tra le mani una vita. L'emozione di un bambino che si era limitato a giocare con i cadaveri degli insetti e che una sera si trovi tra le mani una falena, mentre l'istinto di proteggerla come creatura propria combatte contro quello di accendere una candela e lasciare libera la falena, per poi osservare con divertimento velato gli avvenimenti. Solo un bieco interesse, ecco che cosa era Amaya in quel momento, una novità particolarmente interessante.
"Se è quello che desideri." E sentì ciò che restava del suo cuore disintegrarsi.
E per un attimo fu anche sorpresa di poter provare qualcosa di simile.









NdA
Hahah, sto facendo un casino, sto rendendo tutto incredibilmente complicato *sigh*
Speriamo bene. Anche perchè (sto riguardando gli ep di HxH mentre proseguo con la storia) si sta rivelando tutto più complicato di quanto credessi per quanto riguarda le tempistiche. Vabbè, qualcosa verrà fuori.
Midinváerne, per chi se lo stesse chiedendo, dovrebbe stare per metà-inverno, ho recuperato questa parola da un libro di Sapkowski, nella sua storia si trattava di una festa, io l'ho fatta diventare un'arma un po' particolare... mi piaceva la parola ._.
Ah, cara Holland, temo che avrò bisogno del tuo aiuto per il prossimo banner y_y

PS. Ovviamente lo sapete bene anche voi no? Amaya non è una che si arrende, non vorrà mai stare con Cypher e farà di tutto per fregarlo, non preoccupatevi. Anche se, lo ammetto, sono tentata di inserire (nel prossimo capitolo) una scena un po' più rossa con Cypher (un po' non-con... giusto un po'). La volete? Voi come la prendereste una cosa del genere? 

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Capitolo 10
*** Ira ***


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                                                                 Grazie a Holland per il favoloso banner *-*

Capitolo 10. Ira
[Vermillion - Slipknot]


Machi tremava, e non era per il freddo vento della tempesta che stava per avvicinarsi. A financo a lei, più o meno nelle sue stesse condizioni c'era il resto del Ragno, giusto un paio stavano in disparte, lanciando sguardi truci e pieni di dolore alle pareti vuote, non volendo portare lo sguardo al corpo di Nobunaga.
Il Capo si era avvicinato, e aveva fatto notare una cosa a cui nessuno sembrava aver fatto caso; non c'era la spada, la katana di Nobunaga non c'era.
"Dannazione." Rabbia e rancore si agitavano dentro di lei, l'avrebbe pagata, eccome se l'avrebbe pagata. Assassina e ladra; così come lo era il resto del Ragno, ma quell'azione era imperdonabile.
In quel momento Machi si ripromise che sarebbe stata a lei a concludere il lavoro che non erano riusciti a finire l'anno prima. Sarebbe morta, Amaya sarebbe morta, questa volta davvero.

I get neverous, perversed when I see her to worse
But the stress is astounding
It's now or never she's coming home
Forever

"Bene, ora lasciami andare." Si mise in piedi, il corpo che tremava, pieno di odio e un ammasso di sensazioni che Amaya in quel momento non riuscì a capire. Però sapeva bene che ciò che desiderva in quel momento era uscire da lì, e non tornarci mai più.
"Non credere che sia così facile." Un sorriso malsano si aprì sul suo volto, mentre si avvicinava a lei.
"Che cosa?!" Che altro voleva ancora? Amaya credeva di non poter reggere ulteriormente.
"Mi hai offerto un patto, ma io non ho ancora accettato, infatti mi sento di dover dettare una condizione." Amaya sbiancò, non voleva immaginare cosa quello sguardo significasse.
"Ti prego..."
"Io sto accettando quello che mi hai offerto, tu dovrai accettare quello che ti sto chiedendo io. Mi sembra equo, no?" Sapeva benissimo cosa desiderava Cypher, e sapeva benissimo che non avrebbe avuto modo di trattare. Ma perchè avrebbe dovuto poi? Perché sforzarsi di mantenere una purezza che non aveva mai avuto? Perché non dare il proprio corpo, quando lei stessa lo usava come puro mezzo per giungere alla sua vendetta?
"Certo." Alla fine si arrese, o così o niente. Non aveva senso proteggere i resti di un'anima a pezzi e un corpo che a malapena poteva essere chiamato tale.
"Bene allora..." Quando lo vide avvicinarsi con sguardo famelico decise però di non dargli nessuna soddisfazione; lui aveva voluto il suo corpo, e avrebbe avuto solo quello, e mai avrebbe avuto le sue emozioni.
Sentì le sue braccia avvolgerla, un contatto freddo. Non le trasmise nulla, se non un velato disgusto che, si disse, sarebbe svanito presto.
Sentì le sue labbra accarezzarle la pelle sensibile del collo, e si obbligò a rilassare i muscoli, ma fu quasi inutile quando sentì la sua lingua percorrere la linea della sua mascella e, prima che potesse protestare in qualsiasi modo, la sua bocca incontrò la sua.
Labbra fredde su un animo morto, ecco cosa stava accadendo; solo il desideio di un folle che bacia la sua scultura preferita, la migliore. Le sue mani, invadenti, corsero presto a slacciare bottoni e a strappare abiti, lei era ancora bloccata, con quella fastidiosissima catena che la obbligava a quel posto. Cypher accarezzò la spogernza dell'asta di ferro che lui stesso aveva creato, sorridendo appena, illudendola di volerla lasciare libera almeno per quei momenti. Beffarda, la sua mano andò a incastrarsi sotto il ginocchio di lei, in modo da poterle posizionare la gamba sul proprio fianco.
Amaya rabbrividì a quel contatto; la sua pelle era gelida, fredda e liscia come quella degli scheletri. Un braccio si strinse sulla sua schiena, obbligandola a un contatto maggiore.
Amaya teneve la mani, molle, sulle spalle di lui, semplicemente per mantenersi in equilirio sull'unica gamba che teneva a terra, tuttavia divenne inutile quando lui con decisione la afferrò appena sotto le natiche, obbligandola ad avvolgere le gambe sui suoi fianchi. Lo sentì fare qualche passo, poi vide la stanza capovolgersi.
Anche ora, sdraiata di nuovo su quel ripiano freddo, sentiva le sue mani percorrere i segni evidenti delle sue cicatrici, solo quello le strappò un gemito; non era propriamente una bella sensazione visto l'eccessiva sensibilità del tessuto cicatriziale, ma a quanto pare lui la pensò diversamente visto che si posizionò sopra di lei, una mano appoggiata sul suo collo, l'altra ad accarezzarle quel segno di pelle chiara tra i seni, la sua mano corse poi a quella che le segnava l'interno coscia. E pensò di aver fatto un lavoro fantastico con lei.
E riprese a baciarla con voracità, mentre continuava ad accarezzarla, ma fu costretto a fermarsi quando Amaya morse con forza le sue labbra, aprendo un piccolo taglio dolorante in quello inferiore.
"Se proprio devi, vedi di fare in fretta, non ho tempo da perdere." Lo vide sorridere, e per un momento pensò che avrebbe fatto meglio a stare zitta, perché come entrò dentro di lei fu costretta a mordersi le labbra per non emettere alcun suono.
Lo sentiva premere sul suo corpo teso, sentiva la sua pelle che, comunque, non sembrava scaldarsi a contatto con la sua.
Amaya chiuse gli occhi, tentando di isolarsi, di scivolare via da quella stanza, da quel corpo che serviva a poco, in un luogo in cui nulla esisteva, in un nero leggero e tiepido mentre le sue spinte continuavano, ritmiche, ormai quasi inesistenti per lei.
Alla fine, pensò, forse ne sarebbe uscita intatta.

"Cosa vuoi dire? Ce ne andiamo?"
"Voglio dire esattamente ciò che ho detto. Partiremo stanotte" Spostò lo sguardo su tutti, osservandoli uno a uno. "So che sei preoccupata Machi." Gli tornò alla mente la figura di Amaya, l'ultimo ricordo che aveva di lei non era esattamente piacevole, e si chiese se in fondo partie quella notte fosse realmente un'idea saggia.
"Dovremmo esserlo tutti, dannazione. Non sapete di cosa è in grado." Borbottò lei, quasi tra sé, ricordando amaramente ciò che era accaduto nei dintorni della Torre Celeste.
"Di chi stiamo parlando? Dell'uomo delle catene o di Amaya?" Shalnark scese dalla cassa su cui era seduto, avvicinandosi alla ragazza.
"Ma che domande..."
"Certo che lo sappiamo Machi, abbiamo visto tutti Nobunaga, o ciò che ne resta." Nello spazio umido calò un silnezio pesante, pieno di rancore e timore.
"Non possiamo permetterci altre morti." Chrollo sospirò, tirando fuori il taccuino su cui aveva fatto scrivere la sua profezia da Neon.
"Secondo la profezia, la prossima settimana moriranno cinque di noi."

She is everytihng and more
The solemn hypnotic
My doll you're bathed in posession
She is home to me

Dov'era Amaya? E cosa aveva in mente ora che aveva ucciso Nobunaga?
Hisoka riflettè; aveva trovato il suo cellulare e qualche macchia di sangue, ma non il suo corpo, lui riordava bene, e ricordava che una cosa del genere era già successa. Aveva trovato il corpo di suo fratello ai piedi della monagna, di lei non c'era traccia, eppure, dopo una caduta che sarebbe dovuta essere mortale per chiunque lei era sopravvissuta. Con tutta probabilità era viva, magari molto ammaccata, ma viva. Anche perchè i cadaveri non se ne vanno a passeggio da soli.

La predizione di Hisoka era cambiata, lui, con la sua abilità, stava tentando di manipolare la situazione, tuttavia Feitan aveva intuito il suo presunto tradimento; era stato lui a vendere Ubo?
"L'hai tradito?" In risposa, Hisoka si mise a mescolare placidamente il suo mazzo di carte. "Lo prendo come un si, maledetto!" Si mosse in avanti, con tutto l'intento di fare qualche danno.
A bloccarlo furono Salnark e Franklin.
"Aspetta, sentiamo la sua spiegazione."
"Spiegazione?! Cosa c'è da spiegare?"
"Il capo ha detto che le profezie possono cambiare a seconda delle nostre azioni."
"Hisoka, spiegaci cosa è successo questa settimana."
"Non posso."
"Perché non puoi?"
"Se vi spiegassi il motivo sarebbe proprio come dirvi ciò che non posso dirvi. Ecco perchè non posso. Non è che non voglio. Non posso. Questo è tutto ciò che posso dirvi. Ma se non vi sta bene la mia risposta... allora per difendermi non posso far altro che combattere." Sul suo volto si dipinse un'espressione contrariata; quella sarebbe stata una cosa sconveniente, oltre che inutile, secondo lui, che provava interesse solo per il Capo.
"Lasciamo perdere, è impossibile avere a che fare con te."
"Hisoka, ho un paio di domande da farti. Se non puoi rispondere dillo." Chrollo si alzò. "Nella predizione cosa sono i segreti del calendario?"
"I poteri dei membri della Brigata."
"Qual'è il potere del nostro avversario?"
"Non posso dirlo."
"In che rapporti sei con lui?"
"Non posso dirlo."
"Capisco."

"Quindi si tratta di Amaya?"
"Non per quanto riguarda questo verso, questo dovrebbe essere l'uomo delle catene, e dubito ci serva sapere qualcosa su di lei, visto che è facilmente intuibile ciò che desidera e che intende fare."
"E Hisoka?"
"L'uomo con la catena deve avere due poteri; uno con cui ha ucciso Ubo e uno che impedisce a Hisoka di parlare, è menzionata una 'spada della giustizia' nella profezia che potrebbe essere ciò che obbliga a seguire determinate regole: non mentirni o non dire niente sul mio conto. Qualcosa del genere."
Oh, è fantastico...
"La spada che impedisce a Hisoka di parlare è sicuramente potentissima, immagino che potrebbe anche attaccarlo se infrangesse le regole."
Sei magnifico... Devo assolutamente essere io a ucciderti.
Un nodo, all'altezza dello stomaco, un momento di disagio che attenuò la sua eccitazione; mancava qualcosa, o meglio, qualcuno.

"Che facciamo capo?" La predizione di Hisoka, accuratamente modificata da lui stesso, aveva creato un po' di scompiglio, niente che non fosse impossibile gestire, tuttavia il dubbio si era insinuato nelle menti di tutti; andarsene e perdere metà dei membri era davvero la scelta giusta? O era meglio restare e andare incontro all'ignoto? "Restiamo o ce ne andiamo?" Ovviamente il desiderio del prestigiatore era quello di rimanere; se si fossero separati avrebbe di certo perso le tracce di Chrollo, e addio al suo inento di sconfiggerlo, per di più gli conveniva restare a Yorkshin City se davvero sperava di ritrovare Amaya.


Kurapika sentì il cellulare vibrare, e quasi se ne sorprese; non aspettava la chiamata né il messaggio di nessuno. A sorprenderlo ancora di più fu il mittente, e il contenuto del messaggio lo stordì.
"I cadaveri erano finti  -_- " Con tanto di stellina e goccia ai lati della faccina.

"Restiamo."
Era scesa la sera, un'oscuità pressante avvolgeva la città e la zona periferica, amplificata dalla forte pioggia che aveva iniziato a scendere.
La pioggia notturna. Hisoka sospirò pesantemente, parzialmente annoiato e perzialmente scocciato, le cose non stavano andando per il verso giusto, c'erano troppe incognite, troppe cose che non conosceva o non poteva sapere. Si rigirò nervosamente il cellulare tra le mani.
E fu con suo grande sollievo e soprattutto sorpresa che il suo cellulare prese a squillare, sullo schermo era apparso un numero sconosciuto. Tentennò un attimo, restando interdetto mentre valutava le varie probabilità. Ovviamente non ne ricavò nulla, tuttavia rispondere a una chiamata non aveva mai messo in pericolo nessuno, forse.
Portò il cellulare all'orecchio, restando un attimo in ascolto; inizialmente sentì il rumore scrosciante della pioggia, poi un lieve, lievissimo respiro.
"Hisoka?" Anche con ill suono lievemente disturbato la sua voce era perfettamente riconoscibile.
"Finalmente. Credevo fossi morta." Dall'altra parte ci fu un silenzio pesante, c'era qualcosa che non andava in quell'attesa.
"Già, lo credevo anche io. Immagino tu ora non possa parlare molto, vero? Sei al Covo?" Amaya sviò, non voleva impedimenti in quel momento, parlare per di più sarebe stato inutile e una perdita di tempo, doveva avere solo alcune informazioni, niente più.
"Sì."
"Bene."
"Che hai in mente?"

La pioggia scendeva con forza, rendendo ovattato il mondo, con un temporale del genere era come vivere sotto una cupola di umidità e silenzio. L'acqua scendeva con tanta forza da dare l'impressione di poter isolare qulsiasi cosa, e le cose in lontananza apparivano come miraggi nebbiosi. Si sentiva relatiamete al sicuro, durante momenti come quelli, riusciva quasi a rilassarsi.
Amaya chiuse il cellulare, le mani che tuttavia le tremavano ancora.

I'm a slave, and I am a master
No restraints and, unchecked collectors
I exist throught my name, to self ablige
There is something in me, the darkness finds

Li stava seguendo attentamente dall'alto, guardandosi bene dall'avvicinarsi troppo e farsi scoprire e dal pererli di vista, cose che le sarebbe stata comunque parecchio difficile visto che lei sembrava non essere l'unica a pedinare quel gruppetto.
Aveva osservato bene come si erano disposti -Chrollo ovviamente in testa, poi Machi, Shizuku e Pakunoda affiancata da Kortopi- e la sua mente aveva subito cominciato a cercare strategie e possibilità di vittoria, tuttavia attaccarli in mezzo alla strada non si sarebbe rivelata una scelta saggia, contando anche che i suoi obbiettivi, Machi e Shizuku,si trovano al centro, tentare quindi un attacco sarebbe stato come un suicidio.
Tutto stava andando bene, fino a che i due inseguitori non si fecero beccare. Amaya aveva mantenuto l'In mentre il ragazzino che aveva osservato alla Torre Celeste discuteva con Chrollo, sbuffando ogni tanto, sperava davvero che quei due non rovinassero tutto.

"Ora devi celare la tua presenza." Senritsu si voltò verso di lui, socchiudendo gli occhi per via della pioggia incessante che le colava sul viso.
"Lo so! Dannazione."
"Devi essere paziente."
"Ho capito!"
"Invece non capisci! Il tuo inseguimento sconsiderato li ha messi in pericolo senza motivo. Almeno sai perché si sono lasciati catturare? Se tu vieni catturato non ci sarà più nessuno in grado di fermare il Ragno." Detto quello Kurapika sembrò calmarsi, sospirò, abbasando lo sguardo, vergognandosi per un attimo di aver fatto un gesto così sconsiderato.
"Mi dispia-"
"Non è del tutto corretto." Sentirono una voce femminile provenire da dietro di loro; Senritsu aveva riconosciuto il suo -terribile- battito cardiaco senza bisogno di voltarsi. "E non so chi tu sia ma ti consiglio di stare alla larga."
"Tu?!" Kurapika la osservò, quasi stupendosi della sua espressione interdetta, prima di ricordarsi di essersi travestito. SI tolse gli occhiali, evitando noiose spegazioni.
"Oh." Il suo vero fu più che altro di sorpresa, il suo sguardo quasi ostile. "Beh, allora vedi di non rovinare tutto e di non starmi tra i piedi."
"Tu piuttosto, dovresti farti da parte." Amaya lo fissò, studiando la sua espressione; sembrava diverso dalla prima volta che l'aveva incontrato.
"Facciamo un patto, ti va?"

Amaya sapeva del blackout grazie al patto che poco prima aveva stretto con il ragazzino biondo. A ripensarci, però, quel patto aveva più che altro avvantaggiato lei; si era fatta dire cosa voleva esattamente fare Kurapika e in cambio di quelle informazioni gli aveva detto, non esattamente promesso, che lei non avrebbe mirato al suo obbiettivo, lasciandogli quindi la possibilità di catturare Chrollo, così che lei fosse sicura di poter prendere qualcun'altro.
Così non si sarebbero intralciati a vicenda.
E quel qualcun'altro si era rivelata essere Shizuku, per il semplice motivo che lei non aveva tra le mani due recalcitanti ostaggi, al contrario di Machi, che tuttavia appariva a lei come un bersaglio succulento. Ma in quel modo Shizuku era scoperta e Amaya aveva avuto tutto il tempo sferrare il suo attacco.
Si era mossa nello stesso istante in cui le luci erano saltate, con un movimento fluido aveva scagliato il suo attacco; la spada, fedelissima spada, era scattata in avanti, segmentandosi e amuentando la propria lunghezza*. L'aveva vista scattare in avanti con incredibile precisione e velocità verso Shizuku.
Aveva mirato all'addome, con l'itento di recidere l'aorta addominale, così da ucciderla quasi sul colpo, tuttavia la ragazzina faceva parte del ragno per un motivo, e le sue percezioni l'avevano aiutata ad accorgersi dell'attacco, ma non abbastanza da schivarlo.
Si era a malapena accorta della lama che la lacerava da parte a parte e del sapore ferroso del sangue, prima di venire strattonata indietro da una spada che sembrava avere la mobilità di una frusta.
Scivolò e venne trascinata a terra, ancora mezza intontita dalla sorpresa si accorse a malapena che la gelida lama era appena svanita. Fece per alzarsi, pronta a fronteggiare un avversario che tuttavia non riusciva a vedere, ma che ben conosceva, prima di avvertire un dolore lancinante al ginocchio e subito dopo l'impatto con il pavimento lucido.
Riuscì a materializare la sua aspirapolvere e a colpire, prima di portarla davanti a sé come scudo, principalmente per coprire organi nobili e testa, mentre la sua mente vagava disperata tentando di trovare il giusto ordine da dare alla sua arma, o della giusta cosa da fare quando, con la vista che si era un po' abituata all'oscurità, vide una lama traslucida riflettere la luce improvvisa di un lampo, attraversando senza difficoltà alcuna la sua arma, prima di calare su di lei come un funesto vento oscuro*.

Nel frattempo Kurapika era riuscito a catturare Chrollo, sfruttando in modo intelligente l'improvviso blackout, tuttavia la situazione che si era creata subito dopo non sembrava volgere a suo favore. Chrollo sapeva bene, e sperava che anche gli altri del Ragno la pensassero allo stesso modo, che lui, come ostaggio, era privo di valore.

Areoporto di Lingon alle otto, vieni da sola. quello era il luogo dello scambio e, nonostante gli altri membri le avessero detto di non accettare, di non scambiare i loro ostaggi per il Capo che, come lui stesso aveva detto, sarebbe stato facilmente sostituibile, non era riuscita a rifiutare, non poteva accettare che a guidare il Ragno non fosse Chrollo; amava troppo la Brigata e i suoi membri per vederli stravolti.
Conoscere la debolezza di Kurapika non era ervito a nulla, sapere che lui teneva più ai propri amici che alla sua vendetta si era rivelato inutile, ormai Pakunoda aveva deciso di accettare le sue condizioni pur di mantenere intatto il Ragno, di permettergli di muoversi ancora, a testa alta.
Sul dirigibile in quell'istante si trovavano Kurapika e Leorio; osservavano la donna avvicinarsi insieme ai due ragazzini.
Si accorsero troppo tardi che Pakunoda e i due ostaggi erano stati seguiti; una figura longilinea dai capelli rossi affiancata una fugura appena più bassa, dai lunghi capelli bianchi.
"Ma quello è..." Il cellulare di Kurapika squillò.
"Ciao..." Pakunoda si voltò, notando prima Hisoka e poi Amaya, il suo sguardo era una mescolanza di rabbia e sorpresa.
"Perché sei qui?!"
"Cos'hai intenzione di fare?"
"Lasciami salire con loro sul dirigibile. Se ti rifiuti ucciderò Gon e Killua."
"Bastardo."
Sto solo scherzando, sarebbe un tale spreco
"Il mio obbiettivo è il Capo, una volta rilasciato scenderò dal dirigibile, voglio combattere con lui. È tutto ciò che voglio." Pakunoda notò appena lo sguardo di Amaya farsi più cupo, mentre quello del prestigiatore sembrava accendersi.


"C'è qualcosa che non va."
"Cosa?"La ragazza si voltò verso di lui, guardandolo sospettosa.
"Dimmelo tu, è a te che mi sto riferendo."
"Va tutto bene." Tuttavia il prestgiatore notò una certa tensione nella sua mascella
"Non mentirmi."
"Non ti sto mentendo! Sono riuscita a uccidere Shizuku, cos'è che non dovrebbe andare?"Già, cos'è che non dovrebbe adare?
"Ti vedo diversa, è successo qualcosa?"
"Smettila." Amaya tremava ancora, il dolore al fianco che via via si faceva sempre più intenso.

Un dirigibile si stava allontanando, a terra era rimasta Paku, seduta dentro al dirigibile, stanca, mentre tentava di riflettere e di ignorare il fatto che fuori c'erano Chrollo e Hisoka.
"Ho aspettato così tanto per questo momento. Tipico sguardo famelico di Hisoka "Adesso, facciamolo." Si era liberato della finta pelle con il tatuaggio, l'aveva lasciato cadere a terra. "Non è più una disputa interna, non trattenerti."
Chrollo rise, forse per la prima volta, con vero gusto.
"Non posso combattere con te. O meglio; non vale la pena di combattermi, ha usato la sua catena sul mio cuore, impedendom di usare il Nen."
"Che importanza ha?" Fece Amaya inizialmente con la voce sommessa, piena di dolore e rabbia. "Non me ne frega niente se non puoi combattere, io tu uccido, non mi importa." Fece per fare dei passi avanti quando sentì un presa ferrea sul suo braccio, si voltò, l'espressione gelida di Hisoka la bloccò per un momento.
"Non lo farai."
"Ti ci metti anche tu? Lasciami stare, lo uccido!" Tentò di scrollarsi dalla sua presa, inutilmente, perchè lui stava usando la Bungee-Gum, in quel momento, presa dalla furia e dalla smania di uccidere, quasi senza accorgersene materializò un'arma, una katara* nella mano sinistra, e con un movimento per niente premeditato puntò al volto del prestigiatore, sapeva che il suo colpo non sarebbe andato a segno, infatti si ritrovò con il polso bloccato e il dolore delle ossa rinsaldate la obbligò a lasciare la presa sull'arma, che svanì prima ancora di toccare terra.
"Non te lo lascerò fare." Aveva ancora qualche possibilità di scontrarsi contro di lui, tutto stava nel trovare un esorcista che sapesse rimuovere il nen. Non avrebbe rinunciato così facilmente.
"Se credi che mi lascerò fermare..."Stringendo i denti per il dolore Amaya materializzò un'altra arma, dalla lama più lunga, in quel momento Hisoka fu costretto a balzare indietro per non ritrovarsi una lama piantata nell'occhio.
Ormai il patto non contava più, quello che lei aveva accettato alla Torre Celeste in fondo non era un vero e proprio patto, non avevano stretto nessuna promessa, era questo che passava nella mente della ragazza, infondo lei non aveva mai tenuto in considerazione che qualcuno potesse uccidere i suoi obbiettivi al posto suo, non l'avrebbe permesso.
"Amaya." Si voltò verso Chrollo, ignorando la sensazione spiacevole che avvertiva alla schiena, sentiva l'aura di Hisoka, pesante, addensata nella sua tecnina, che ora le stava appiccita alla maglia, pronta a tirarla indietro.
Chrollo vide nei suoi occhi un folle rancore, una rabbia inestinguibile e nonostante sapesse che non c'era quasi nulla che potesse fare prese la sua decisione. "Ricordi quando ti ho trovato?" Lei strabuzzò gli occhi, non aspettandosi quello. "Tu e tuo fratello eravate due poveri disgraziati, vivevate a malapena ed eravate invisibili agli occhi di tutti. Ma io vi ho notato, vi ho porto la mia mano, dovresti essermi riconoscente per quello che ho fatto per voi." Quello, se possiblie, alimentò la rabbia di Amaya come liquore su una fiamma.
"Quello che hai fatto per noi?! Ci hai ucciso, razza di bastardo! Non ci hai teso la tua mano, ci hai buttato giù dalla tua fottuta montagna!" L'aura si addensò attorno a lei, per poi concentrarsi tra le sue dita; materializzare più di un'arma era sempre stato particolarmente faticoso, ma vista la situazione, quella era l'unica scelta; fra le sue dita apparvero dei corti coltelli dal lancio.
Avrebbe mirato al cuore, le rondini* avrebbero fatto il loro lavoro, trapassandolo da parte a parte, se solo Hisoka non avrebbe distolo la sua attenzione, manifestando la sua aura prima ancora che potesse lanciarle.
Quello di voltarsi era stato un riflesso istintivo, quello di contrarre i muscoli dell'addome si rivelò inutile.
Il pugno alla bocca dello stomaco le tolse il fiato, lasciandola per qualche istante a boccheggiare, aggrappata agli abiti del prestigiatore per via delle gambe che all'improvviso sembravano non reggerla più, la mente che saettava tra la rabbia  e la sorpresa, appena un po' annebbiata da dolore, prima che tutto si colorasse di nero.








NdA:

Un po' di Info:
*La spada/frusta: Questa è un'arma che esiste e non esiste, nel senso che è spesso utilizzata in videogiochi e anime/manga, ma nella realtà non ne è mai stata realizzata una funzionale, non che io sappia. (La si può trovare nel videogioco Soul Calibur, nell'anime Deadman Wonderland in versione mastodontica e in chissà quanto altro) (ES: http://img1.wikia.nocookie.net/__cb20080805170106/soulcalibur/images/c/c0/Valentine.jpg )
*vento oscuro: sarebbe in teoria il nome (tradotto) dell'arma che ha usato contro Nobunaga, quella più o meo invisibile e che attraversa le cose inaimate, che ho anche citato in uno dei capitoli iniziali ambientati alla Torre Celeste. Letteralmente il suo vero nome sarebbe Darkdrift (vento oscuro), e la si può trovare in un videogioco (Dark Souls) e se non sbaglio funziona esattamente come ho spiegato io, o almeno, l'aspetto è lo stesso.
*Katara: Lama in acciaio, massiccia e triangolare, affilata su ambo i lati. In alcuni esemplari è più lunga, diritta e con profonde scanalature parallele ai bordi, o fiammeggiante ("lama flambard"). In altri la lama è ricurva, simile ad una variante più massiccia del khanjar. Impugnatura perpendicolare all'asse dell'arma, stretta ai lati dalle due stanghe di metallo che dipartono dal forte della lama ed assicurano la katara all'avambraccio dell'utente. (ES: http://p1.la-img.com/368/25561/9433198_2_l.jpg )
*rondini: Queste me le sono invetate io ._. sarebbero coltelli da lancio privi i impugnatura, molto affusolati e aereodinamici, per avere una forza perforante maggiore rispetto ai normali coltelli da lancio.

Ed eccoli! I "primi" veri problemi per Hisoka, mi pare che tutti voi stavate aspettando una cosa del genere... o sbaglio?
Ammetto che la prima scena mi da dato del filo da torcere, non sapevo neanche se mettercela... spero comunque che vi sia almeno 'piaciuta'
Comunque, dal prossimo capitolo in poi (salvo per, credo, il primo paragrafo) la storia non seguirà più l'andatura del manga. La cosa mi rende incredibilmente felice, perché così riuscirò a concentrarmi meglio sulla storia (e ammetto che trasrivere le cose dagli episodi non mi è mai piciuto, ne mi sembrava che venisse fuori qualcosa di bello), i capitoli avranno una lunghezza più ragionevole, mi rendo conto che questi ultimi saranno stati lungherrimi, ma volevo togliermi questa parte.
Non vedo l'ora di recuperare il mio ritmo di scrittura e di liberarmi da quello che mi imponevano gli episodi :) i prossimi capitoli saranno migliori, lo prometto.
Anche perché siamo mooolto vicini alla fine, qualcuno lo sa già ;)
A presto ^^


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Capitolo 11
*** Errori ***


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Capitolo 11. Errori

[Opeth -  Burden]
I once upon a time
Carried a burden inside
Some will ask goodbye
A broken line but underlined
There's an ocean of sorrow in you

Nello stretto spazio del dirigibile si respirava tensione; Pakunoda stava seduta con le spalle al muro e osservava il prestigiatore posare su una branda il corpo della ragazza, e fu sorpresa di vedere lelenzuola iniziare a macchiarsi di rosso.
Quando glielo chiese, le rispose che era già ferita, lui probabilmente, senza neanche farlo apposta, con quel pugno aveva riaperto una ferita di cui non si era reso conto; abiti pesanti e pioggia avevano nascosto bene quella ferita.
Le condizioni non erano pessime, ma decisamente non erano neanche delle migliori, la ferita al fianco era estesa, ma non troppo profonda, tuttavia continuava a sanguinare e il sangue faticava a coagularsi.
"Si può sapere cosa stai combinando?" Chiese lei dopo un attimo di teso silenzio, senza riuscire a togliere gli occhi da quella che un tempo era stata una sua compagna; se la ricordava bene, la prima volta che aveva dato un'occhiata nella sua testa, aveva percepito un legame forte, luminoso, che la legava a suo fratello, erano state due facce della stessa medaglia, non a caso portavano lo stesso numero.
E si accorse che quei giorni un po' le mancavano, un po' le mancava sentire quei litigi mai troppo convinti né seri tra lei e il fratello, un po' le mancava vederla persa, letteralmente, nei loro rifugi, perché lei aveva imparato a capirlo, che Amaya aveva un pessimo senso dell'orientamento.
E un po' le mancava, ora che aveva visto ciò che era diventata, ciò che Loro l'avevano fatta diventare, le mancava la sua presenza perennemente grata per il semplice fatto di avere un tetto sulla testa.
Forse quel legame così luminoso, di disse, era stata la sua vera rovina, ora che il fratello non c'era più. Perché in fondo le luci più forti creano le ombre più profonde.
"Perché me lo stai chiedendo?"
Che razza di domanda, come si può rispondere a una domanda del genere? "Perché sì" Il prestigiatore storse la bocca, osservando il petto di Amaya, che si sollevava a intervalli irregolari, chiedendosi distrattamente se era il caso di portarla all'ospedale, perché da solo non poteva fare nulla per sistemare le sue ferite. "Cos'è che ti attira tanto in lei? Guardala, quanto credi che possa durare così? Quanto credi che possa andare avanti? Non riuscirà mai a portare a compimento la sua vendetta, lo sai anche tu." Sì, lo sapeva benissimo, eppure sapeva anche che fermarla sarebbe stato impossibile. "Allora? ti decidi a rispondermi?" Non che a Pakunoda importasse più di tanto, ormai.
"Veramente non lo so. All'inizio mi divertiva vederla così piena di rabbia." Fece un mezzo sorriso, che però non riuscì a contagiare gli occhi dorati, che rimasero fissi e cupi. "Si sta distruggendo, lo so." Ma che posso farci io? Mi importa, almeno, salvare il mio giocattolo, anche ora che è a pezzi? Probabilmente se si fosse trattato di qualcun'altro avrebbe trovato divertente, forse interessante, quella sorta di autoditruzione che stava avvenendo. Ma non in quel caso.
Rimasero ancora in silenzio, fino a che la città non iniziò a intravdersi tra le nubi e l'ocurità notturna, e i doveri e i compiti non ricominciarono a far sentire il proprio peso.
"Tu che farai?" Per la prima volta Hisoka spostòlo sguardo da Amaya, il sangue aveva iniziato a gocciolare a terra, e lo spostò su Pakunoda, la cui espressione si faceva sempre più cupa.
"Il mio tempo sta finendo." La donna si alzò, avvicinandosi alla ragazza, per poi posare delicatamete la mano sulla sua fronte calda, forse troppo, per provare a comprenderla. Il dolore e il rancore le corsero per tutto il corpo in un insieme di immagini sfocate e sogni inquieti. Non c'era più la minima traccia dell'Amaya sorridente e un poco scorbutica di un tempo.
Mille e mille volte era stata un essere umano. Ma nessuno, tantomeno lei, sembrava crederci ancora. Era stata chiamata Sorella, era stata chiamata Ladra, Assassina, Criminale. Ma mai, come in quel momento, la definizione che più gli si addiceva era Mostro fatto di follia e rancore.
Sollevò la mano, un po' come scottata da quella cascata di informazioni. "Dovresi portarla all'ospedale, temo abbia la febbre." Quasi si chiese perché le importasse tanto, di lei, che stava tentando di decimare il Ragno, quella che era la sua, la loro, famiglia. Poi pensò che stava andando a morire, quindi perché no? Perché non cercare di dare una mano a una persona che un tempo era stata sua compagna, sua amica?

Sorrow in me

La pioggia continuava a cadere con debole insistenza, Pakunoda avvertiva l'umidità inferire sul suo braccio rotto, me non se ne curava, tanto anche quel dolore presto sarebbe svanito.
Si avvicinò al rifugio, dentro, il Ragno, era più decimato che mai. Non voleva che la sua famiglia dovesse soffrire ancora, soffriva lei stessa la pensiero che tuttavia, quello di Shizuku, non sarebbe stato l'ultimo decesso.
Aveva caricato la sua pistola per l'ultima volta, mettendoci dentro cuore e anima, sperando ardentemente che quel suo sacrificio avrebbe aiutato la sua famiglia a proteggersi, a soravvivere.
Vi prego, lasciate che tuto questo finisca con me.

Saw movement in their eyes
Said I no longer knew the way
Given un the gost
A passing mind and its fear
In the wait of redemption ahead

Avvertiva il peso dei fatti sulle proprie spalle; la stanchezza si era impadronita di lui, il suo corpo aveva bisgno di una tregua, o forse la sua mente, i fatti stravolgenti lo avevano colpito profondamente, e ora ardeva di febbre.
 Tutto quello di cui era certo è che affontare la Brigata era stata una delle idee pù folli che aveva mai avuto, che esserne usciti vivi, vittoriosi per di più, era ancora più folle.
Che avere ancora al proprio fianco compagni, amici, pronti a sostenerlo, sempre e comunque, era la cosa migliore. Nonostante fossero semplici ragazzini, nonostante si curassero più di lui che di se stesso e che erano pronti, in ogni occasione, a mettersi in gioco e rischiare la vita, tutto per quel legame che si faceva sempre più forte.
Tuttavia sapeva bene, Kurapika, che la sua battaglia era solo all'inizio e che, nonostante sapesse bene di potersi trovare contro avversari temibili, con alleati improbabili e in situazioni pericolose, non si sarebbe fermato.
Tutto quello di cui aveva bisgno in quel momento era un po' di meritato riposo.
"Spero non guarisca per un po', Kurapika non deve più combattere cotro la Brigata."

Waiting to fade

Poteva uscirne, lo sapeva benissimo, sapeva perfettamente che tutto quello era un'illusione, che le sarebbe bastato prestare un poco di attenzione in più per fuggire da quella sorta di sogno. Lo sapeva benissimo, ma forse non voleva.
La pioggia batteva con insistenza, e tuttavia non aveva freddo, stretta tra le braccia di suo fratello si sentiva al sicuro, protetta ma soprattutto calda, come quella piacevole sensazione di essere avvolti in calde coperte mentre fuori imperversa la tempesta. Tuttavia sapeva perfettamente che tutto quello non era reale, che era poco più di un ricordo.
"Non di nuovo, non di nuovo." Ripeteva, rendendosi però conto le sue parole non avevano consistenza alcuna, né per suo fratello, né per se stessa. "Ho delle cose da fare..."
"Lascia perdere." La stretta sul suo corpo si strinse ancora di più.
"Non posso, smettila." Di nuovo silenzio. Amaya si accartocciò su se stessa, sentendosi disgustata da quel colpevole piacere. Stare tra le braccia di suo fratello era come tornare a casa.
"Forse non puoi, ma vuoi."
"Io non voglio lasciare perdere."
"Sì invece." Si agitò. liberandosi da quelle braccia che si erano fatte soffocanti, sentendo l'isteria invaderle il corpo. E cadde, cadde con la faccia sul lastricato umido, il gelo che all'improvviso le invadeva il corpo e la pioggia che era come una cascata di spilli sulla pelle. Si voltò indietro, cercando il fratello di cui aveva rifiutato il contatto, finendo per vederci solo un cadavere marcescente.
Distolse lo sguardo, disgustata dai ricordi che pigri ma decisi avevano iniziato a insinuarsi nella sua mente. Fece per mettersi in piedi quando si ritrovò un mano tesa sotto il viso.
Quella era una delle cose che ricordava meglio, una delle cose che non avrebbe mai dimenticato in tutta la sua vita, per quanto sarebbe ancora potuta durare. Era stato come un faro in una notte senza luna, una scialuppa di salvataggio in mezzo a una tempesta mortale. Era stato una salvezza. Una promessa di vita.
"No." Tuttavia quella volta scelse di non afferrare quella mano, poco importava se si trattasse di un sogno, di non cedere all'offerta di Chrollo e lasciare la sua, la loro, vita nelle sue mani. Perché era stato tutto un'illusione; nessuna salvezza, nessuna luce.
Contrariamente a ciò che aveva appena pensato vide la sua stessa mano, come mossa da fili invisibili, sollevarsi e andarsi ad appoggiare su quella del capo della Brigata. Le vide stringersi, salde, l'una nell'altra.
La smania di ucciderlo, adesso, subito, la fece fremere, tuttavia le leggi di quel bizzarro sogno le impedivano di compiere qualsiasi azione; quella volta non le aveva lasciato molte possibilità.
Chi è il tuo obbiettivo, adesso, Amaya?
Ma la cosa che la turbò di più fu che quando sollevò lo sguardo, adirato e ferito, verso il volto di Chrollo riconobbe un viso che non apparteneva al capo della Brigata.
Cypher.
Sei in una situazione pessima, lo sai? Non puoi fare nulla.
Solo in quel momento riuscì a liberarsi della stretta della sua mano.

Fading again

Si svegliò di soprassalto, con ancora la sensazione della sua mano, gelida e dolorosa, stretta nella sua. Un prepotente dolore al fianco spazzò via gli ultimi frammenti di quel sogno, donandole qualche briciolo di lucidità in più.
La prima cosa che videro i suoi occhi fu il profilo spigoloso della città lottare contro il bagliore del sole calante -o forse crescente?- e illuminare a stento la stanza chiara in cui si trovava. Per un momento le sembrò di essere tornata alla Torre Celeste, lì dove aveva ammirato diverse volte la pioggia notturna scappare e dissolversi con il sorgere del sole. Tuttavia la fastidiosa sensazione di avere almeno cinque cuscini accatastati dietro la schiena e di minuscole, e forse necessarie, ferite da cui uscivano tubi chiari le fece capire di trovarsi in tutt'altro posto.
Abbassò lo sguardo sul proprio braccio, quella che doveva essere una flebo sbucava dalla pelle morbida, provocandole un moto di disgusto; non era sangue quello che gocciolava all'interno della sacca sopra la sua testa, ma un liquido chiaro e, Amaya ne era convinta, del tutto inutile, se non per tenerla buona, perché come provò ad allungare l'altro per strapparsi di dosso quella diavoleria avvertì un dolore come di tanti e minuscoli spilli irradiarsi per tutto l'arto.
Strinse i denti a afferrò il tubo, ignorando completamente il sordo dolore che si propagava in lei, con tutto l'intento di non fermarsi se non dopo essersi liberata di quella schifezza.
E ci sarebbe riuscita, se una mano non le avesse bloccato il polso.
Con la vista che tremava e il cuore che fremeva riconobbe a stento la figura del prestigiatore china su di lei. "Lasciami." Sentì la rabbia invaderle il petto, forse per nessuna ragione, forse perché non  stava riuscendo a stare dietro agli eventi, o più probabilmente perché lui, e anche se stessa, le aveva fatto perdere un'occasione d'oro per attuare la sua vendetta. Strinse i pugni e strattonò leggermente la mano bloccata. La sensazione dell'ago infilzato nella pelle si faceva sempre più fastidiosa.
Lentamente, sentì la stretta delle sue dita allentarsi lievemente. "Sei ferita, dovresti stare calma." Infine lasciò il suo polso, permettendole di raggiungere l'ago.
Hisoka la guardò interdetto, chiedendosi per un momento se sapeva ciò che stava facendo; indubbiamente rinunciare alla morfina non sarebbe stata una grande idea, dubitava che lo stesse facendo consciamente. "Non lo farei se fossi in te." La ragazza lo ignorò completamente, buttando a terra la flebo.
"Dov'è Chrollo?" Si passò la mano sul braccio, lasciando una lieve linea rossa, mentre il punto da cui aveva appena strappato l'ago andava illividendosi.
"Non lo so." Si voltò a guardarlo, forse per la prima volta con attenzione.
Chi è il tuo obbiettivo, adesso, Amaya?
"Sei un bugiardo."
"Lo sono, ma non sto mentendo ora."
"Va' al diavolo Hisoka." Si passò una mano fra i capelli; pensando che se ne sarebbe dovuta andare da lì il più velocemente possibile. Se quello che Cypher le aveva detto era vero, allora non avrebbe dovuto attendere molto per ritrovarselo davanti, e quella era una cosa a cui proprio non teneva, visto che era rimasta incosciente per...
"Quanto tempo sono rimasta in queste condizioni?"
"Qualche ora. Cosa intendi fare, Amaya?" Lo guardò; per la prima volta nei suoi occhi non colse quelle distintive tracce di leggerezza e pervesioni tipiche dei suoi occhi dorati. A dire il vero, pareva abbastanza abbattuto.
"Devo andarmene da qui."
"E cosa intendi fare?" Osservò il profilo spigoloso della città oltre il vetro, iniziando a liberarsi di quell'intorpidimento che le aveva anebbiato la mente, impedendole di riflettere.  "Non troverai Chrollo." E di certo lui non l'avrebbe aiutata a trovarlo, visto come stavano andando a finire le cose l'ultima volta. Per di più Chrollo sapeva bene come sparire. A pensarci bene, in quel momento, non poteva fare assolutamente nulla.
Solo in quel momento si accorse che la città che vedeva oltre il vetro non era York Shin City, e che le nuvole colorate dal sole avevano un'assurda tonalità metallica. E che se fosse stato in lei, Hisoka non sarebbe stato lì.
"Potrebbe esserci un'altra persona nel mio mirino, adesso." Si voltò verso il prestigiatore, implorando che funzionasse, che almeno quella volta le lasciasse un minimo di libertà, in fondo, quello era il suo sogno, no? "Devo liberarmi la strada, ci sono alcuni ostacoli fastidiosi di cui devo sbarazzarmi." Lo vide inclinare la testa, forse non aveva capito quanto fosse sveglia la ragazza.
"E se credi che questi giochetti funzionino..." Materializzò un'arma pratica nella mano sinistra, per poi sporgersi dal bordo del letto con un movimento fluido puntando a colpire la sua figura. Nel momento stesso in cui credette che la lama fosse affondata nella sua carne tutto intorno a lei si dissolse in una macchia di fumo e inchiostro.

Si sentì cadere, e l'impatto con il cemento umido fu una sferzata di vero dolore.
"Non imparerai mai, vero?" Una voce terribilmente familiare le giunse alle orecchie.
Lo sentì sbuffare. "Dimmi, questa volta come l'hai capito? Ero certo di aver fatto un ottimo lavoro." Il tono della sua vaoce cambiò, rivelando tutta la sua frustrazione. Quando Amaya sollevò lo sguardo, un poco annebbiato dal sordo dolore al fianco, e vide i suoi occhi gelidi chini su di lei tutta la rabbia tornò a galla, facendole ribollire il sangue come fuoco nelle vene. La ferita di ciò che le aveva fatto e le stava facendo tutt'ora, semplicemente mostrando la sua faccia compiaciuta e un po' scocciata, le bruciava ancora dentro. Le faceva contorcere lo stomaco e prudere le mani per il desiderio di stringere un'arma e di sentire il sangue scivolare tra le dita.
"Hisoka non ha più nessun motivo per starmi accanto, e non l'ha mai avuto veramente, sono certa che per lui fosse solo un gioco e, beh, io devo aver infranto le regole."
Alla fine stava tutto nel pensare con la propria mente, era bastato mettere a posto i pensieri confusi, lasciando da parte i sentimenti troppo forti, e guardare i fatti come stavano veramente. E come sarebbero stati a seguito di certe azioni.
Solo in quegli istanti, con la pioggia che le inzuppava gli abiti e il dolore al finaco che le faceva fremere il corpo, capì che il suo male principale non sarebbe più stato Chrollo. Lui la sua parte l'aveva fatta; aveva rovinato a sufficenza la vita di Amaya, e lei, se ora desiderava veramente almeno provare a vivere, doveva solo che liberarsi di Cypher, impedirgli di infastidirla ancora e confonderle la mente, fare in modo che smettesse di profanare il ricordo di suo fratello e non permettergli più di metterle le mani addosso.
Il resto perdeva importanza.

Si avvicinò a lei, la lunga asta di metallo tesa davanti a sé; con quella aveva neutralizzato ogni arma che Amaya aveva materializzato, riuscendo a farle svanire prima di subire qualsiasi tipo di danno. Lei aveva provato di tutto, ogni arma e ogni stile di combattimento; dalla Katana alla Shotel, niente era servito a qualcosa.
Amaya era caduta in ginocchio dopo poco, priva di forze, con un'orribile idea nella mente.
"Cosa credi di fare?" Le sollevò il mento con l'estremità dell'asta. Amaya sentiva la pelle a contatto con essa farsi fredda, la debolezza avvolgerle gli arti.
"Liberarmi di te." Le rispose ansante, e lui rise, balzando indietro nella pioggia e nel fango quando lei, con semplice forza di volntà materializzò un'ultima arma tra le mani. Era stato puramente istintivo; nel momento in cui si era sentita completamente priva di forze quell'arma, quella parola -Midinvaérne- le era balzata alla mente, poi tra le mani con una semplicità quasi innaturale.
"E per quale ragione? Forse per vendetta?!" Portò avanti la mano, materializzando un'altra di quelle sue strane aste sensibili al nen. "Non sei riuscita a vendicarti delle persone che ti hanno resa così e che hanno ucciso il tuo amato fratello e quindi stai tentando di sfogarti su di me? Sull'unica persona che ti ha curato e di ha dato rifugio?!" Il suo volto si distorse in un misto di rabbia e rammarico.
"Taci! Lo faccio per me, non voglio più avere niente a che fare con te!" Strinse l'elsa tra le mani, i serpenti in acciaio che decoravano la guarda della spada sembrarono fremere, quasi sibilare, mentre quello che era avvinghiato su se stesso al posto del pomolo iniziò effettivamente a muoversi.
"E credi che farmi fuori sia la soluzione? Ciò che abbiamo passato insieme è segnato in modo indelebile su di te e su di me, non puoi fare nulla per cancellare ciò che è successo." Amaya sentì i brividi correrle sulla pelle, il disgusto stringerle la gola. Imperterrita avanzò, menando un fendete con la sua spada. Cypher arretrò, apparentemente senza contrattaccare. "Per favore Amaya, non voglio farti del male." Alla ragazza venne da ridere; come se non gliene avesse già fatto in precedenza.
"Allora morirai." Sentìil metallo avvolgerle il polso e la mente; era arrivata al punto di non ritorno.
Ogni colpo era una sofferenza; sentiva il metallo dell'impugnatura scottare il palmo della sua mano, le spire metalliche che, lentamente e inesorabilmente, le si allungavano sul braccio e fino alla spalla si serravano con forza, trafiggendole la pelle come filo spinato. Ogni fendente apriva le difese di Cypher, annullando ogni sua mossa. Le sue strane armi cadevano a terra, tagliate a metà, distrutte e inutilizzabili. Midinvaérne era infallibile. Letale per entrambi.
Ogni colpo era un ricordo, tagliato a metà, distrutto e svanito. Ogni colpo era una sofferenza, ma Amaya sapeva che dopo tutto sarebbe svanito, semplicemente, per sempre.
Via la sua vita miseraile all'ovest, via i momenti allegri passati al Covo, via Cypher, via la Torre Celeste e via tutti i legami.



__________________________________________
Uff, accidenti. Credo di dovervi delle scuse. La storia sta andando totalmente fuori dai bianari, sono certa che nessuno, tanto meno io, si aspettava che potesse andare a finire così. Cioè, voglio dire, la storia non è ancora finita, anche se manca poco, però, insomma, la trama sta facendo i salti mortali.
Insomma, quello che vi chiedo è di resistere fino al prossimo capitolo, sto davvero cercando di restuire un po' di dignità a questa povera storia almeno con il finale, poi potrete ricoprirmi di insulti ^^
Il prossimo e ultimo capitolo arriverà a breve, è già in parte scritto, perché non volevo che passasse un'eternità come è successo tra questo e quello precedente :)
Pace e amore a tutti (?)


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Capitolo 12
*** Pioggia e Sole ***



Che tu sia spirito di salvezza o dannazione, che tu porti aliti di paradiso o miasmi d'inferno, che le tue intenzioni siano malvage o pietose, tu vieni con un aspetto così pronto alle risposte che io ti parlerò.



Ciò che le rimase nel momento in cui lasciò cadere la spada erano ricordi dolci e amari; aveva ancora i ricordi di suo fratello, aveva ancora il dolore della caduta e vaghi flash passati di persone e luoghi.
Nel momento in cui la lama raschiò a terra accanto al corpo morto di Cypher Amaya fu soddisfatta di ciò che aveva appena fatto.
Poi tutto nella sua mente svanì in una nebbia confusa e indolore.



Il tempo all'ovest era ostile esattamente come ricordava, seppur vagamente; la pioggia scrosciava con impetuosa violenza, senza dare mai tregua alla città. Ai lati della strada si ammassavano bancarelle colme di frutti e prodotti. Nei vicoli, in quelli più stretti, tavano ammassati gruppi di bambini, rannicchiati l'uno contro l'altro per combattere il gelo e la fame.
Amaya strinse il sacco di iuta che aveva preso a gocciolare, intriso d'acqua, prima di dirigersi verso una di quelle stradine laterali, strette e cupe.
Rannicchiata contro il muro stava una figura fasciata con un telo che una volta doveva essere stato bianco. La testa nascosta tra le braccia, incrociate sulle ginocchia, nel tentativo di mantere più calore possibile, nonostante si vedesse chiaramente il tremito del fagotto.
Allongò la mano e lasciò cadere ai piedi della figura il sacco di iuta. Quando questo cadde a terra si aprì e un paio di mele rosse e succulente rotolarono fuori. La figura sollevò lo sguardo, mostrando un paio di occhi del colore della pece e ciocche di capelli bianchi e neri.
"Qual'è il tuo nome?"
"Rebi." Rispose la ragazzina, tremante e vagamente impaurita dopo un istante di muta sorpresa.
"Rebi... e basta?"
"Komorebi." Lo disse in un sussurro vergognoso, perché le era sempre apparso come un nome del tutto inadatto lì, dove pioveva quasi ogni giorno.
"Hai un nome bellissimo." Era un nome che sapeva di sole tiepido sulla pelle, di passeggiate in mezzo agli alberi. Il suo nome parlava di terre lontane e luoghi sconosciuti.
Komorebi sarebbe potuta essere ciò che Amaya non era mai stata. Ma non sarebbero mai state neanche simili, se non per quelle esperienze che accomunavano loro due e altre mille creature abbandonte a se stesse, perché erano l'una l'opposto dell'altra.
Le porse la mano, come qualcuno aveva fatto una vita passata con lei, offrendole ciò che più desiderava e di cui aveva più bisogno.






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Epilogo. Pioggia e Sole

Resta a sospirare di pena in questo nostro crudo mondo, per raccontare la storia, vera, di me.

Si era preparata una strada, un lungo lastricato di sangue e morte, vendetta e rancore.
Sono certa che l'abbia percorsa, quella strada, ma solo fino a un certo punto. Nessuno può reggere un tale peso, nemmeno lei, o semplicemente qualcosa è andato storto, non lo so di preciso, ma posso immaginare che ormai quella strada sia irrimediabilmente interrotta.
Non so se esserne felice, per lei o per me, non lo so, davvero. Mi trovo in una di quelle situazioni di cui non ti capaciti, in cui ci sono troppe cose che bisognerebbe conoscere per realmente capirci qualcosa. E ormai neanche lei può spiegarmi come sono andate realmente le cose, per filo e per segno.
Ha fatto qualcosa, qualcosa che forse non avrebbe mai voluto fare, o che forse desiderava fare da troppo, e la sua mente ne è uscita così.
Sono certa che prima non fosse così, sono certa che un animo del genere viene a formarsi solo dopo gravi traumi, forse un po' come quelli che avremmo potuto vivere noi, ai lati della strada, o a causa di grandi poteri. Quelli a cui lei ogni tanto fa riferimento quando cerca di spiegarmi come sono andate le cose, quelli troppo grandi da anche solo sperare di controllare.
La verità è che non lo ricorda più neanche lei, frammenti di vita sono andati completamente persi, la vedo ogni tanto, mentre mi parla, corrugare la fronte e interrompersi, cercando di ricollegare fatti slegati fra di loro, perché qualche pezzo manca sempre, nei suoi racconti. C'è sempre qualcosa che non riesce a dirmi, ferite e cicatrici che non riesce a ricordare, nonostante passi intere notti insonni a fissare con sguardo truce le sue armi, in cerca di qualcosa che non potrà mai riavere indietro.
C'era una parola che le danzava spesso sulle labbra, la pronunciava con orrore e rispetto. È una parola che non conosco, che non avevo mai sentito, ma che sa d'inverno e di brividi gelidi sulla schiena.
E poco importa se conoscessi o meno quel nome, perché la volta in cui lei provò a materializzarla di nuovo, quella spada, perché era quello che era, magari per avere delle risposte, e vidi l'aspeto di quell'arma, decisi di non volerci avere niente a che fare.
Poco dopo mi disse che era stata quella l'arma che l'aveva ridotta così, perché ricordava fin troppo bene come funzionava, aveva intuito di averla usata in modo stupido e disperato, ma non ricordava contro chi, né per quale motivo.
Io tremai, quando mi disse quelle cose, che era da cose come quelle, poteri come quelli a cui dovevo prestare più attenzione, in modo da non finire come lei. Pensai che un'arma come quella era mostruosa, che non sarebbe dovuto esistere uno strumento in grado di cancellare frammenti di vita, in grado di rendere chi la utilizzava come un sacchetto vuoto.
Tuttavia doveva esserci un motivo se aveva deciso di rinunciare ai suoi ricordi, forse c'era qualcosa che non desiderva più, nella sua mente, qualcosa di troppo grave da sopportare per continuare a vivere normalmente. E quello quasi lo capivo.
Ricordavo, ogni tanto, quei miserabili giorni passati sotto la pioggia, ad attendere che il mondo andasse avanti e che, magari, in qualche modo, le cose cambiassero. Ricordavo che pensavo alla morte come una possibilità, neanche tanto remota, e che non avevo paura. C'erano giorni che quasi l'aspettavo con ansia.
Le cose sono cambiate moltissimo da quando ho incontrato Amaya.

Qualche giorno fa si è fatto vedere un ragazzino biondo vestito di strani abiti, è stato strano rendersi conto che cercasse proprio Amaya. Pensare che qualcuno la stesse cercando, qualcuno della sua vita Prima che le cose cambiassero così tanto, volesse forse parlarle... quasi non ci credevo, l'avevo sempre vista come una creatura indipendente e profondamente sola.
Tuttavia la nostra delusione, mia e del ragazzo, qundo ci siamo accorti che lei non sarebbe stata di alcun aiuto non ci fece demordere. Il ragazzo aveva insistito, menzionando una certa Brigata; a quanto pare lui stava cercando qualcuno, qualcuno che Amaya aveva dovuto conoscere bene, un tempo. Ignorando il fatto che lei lo osservava come se fosse uno sconosciuto nonostante sapessero l'uno il nome dell'altro. Inutile dire che quando lui se ne fu andato e le chiesi di chi si trattasse lei riuscì a darmi solo delle vaghe risposte, niente di realmente signficativo.
È passato molto tempo dopo quell'episodio, lei mi ha addestrato, mi ha insegnato a difendermi, mi ha trasmesso conoscenze che niente avrebbe potuto cancellare, perché intrinseche nell'animo e non nella mente. Ora so maneggiare una katana nel modo giusto, riesco a impugnare quell'arma e a donarle l'onore per cui è stata forgiata, o almeno è quello che mi piace pensare. E così con tante altre, ho anche trovato l'arma con cui mi trovo meglio.
Mi ha insegnato che il rancore è la cosa peggiore in cui io possa imbattermi, che la vendetta rovina la vita e l'anima, che è giusto prendere le cose come arrivano. Perché la vita è così; cupa e giusta, in quache modo. Toglie e da, in uguale misura.
Peccato che tutto quello ebbe poca importanza per i fatti che avvennero poco dopo.
Arrivarono da est, muovendosi nella città come avvolti da una bolla da cui tutti si tenevano ben lontani. L'uomo alto, quello con i capelli rossi e lo sguardo affilato, aveva accompagnato al donna fino a noi; li riconobbi entrambi, nel senso che conoscevo i loro nomi e poco più, stando a ciò che mi aveva raccontato Amaya, se non che avevo visto diverse volte quello vestito in modo biazzarro aggirarsi per la città, non avrei mai immaginato che fosse lì per Amaya.
Il tizio con gli occhi che sembravano monete d'oro doveva aver raccontato la situazione alla donna, a quanto pare era davvero rimasto in città per studiare la situazione. La ragazza con i capelli rosa aveva discusso a lungo con Amaya, dubitando lei stessa che potesse aver dimenticato così tante cose e tentando quasi di farle tornare in mente qualcosa.
Aveva detto che la vendetta era una cosa inutile e avevo visto chiaramente la sorpresa sbigottita dei due individui. La ragazza l'aveva afferrata per il colletto e sollevata di peso, mentre lo sguardo dell'altro si faceva più cupo, gli occhi dorati che correvano da una donna all'altra, non sembrava molto contento della situazione.
Amaya era rimasta impassibile, come ormai accadeva per ogni cosa, anche quando la donna le riversò addosso tutto il suo odio con insulti e minacce, ricordandole che aveva fatto -che si era fatta- una promessa. Quella di essere lei a uccidere l'assassina di Nobunaga e degli altri suoi compagni. Amaya aveva inclinato appena la testa, mostrando di non sapere assolutamente di cosa loro stessero parlando.
A quel punto la donna l'aveva lasciata andare, con negli occhi un'espressione che non so descrivere, forse un misto tra rabbia e pietà.
Anche allora avevo provato a chiederle chi fossero quegli individui. Tuttavia non ricevetti risposte molte diverse da quelle vaghe che mi aveva dato la volta precedente. Mi aveva detto di ricordare meglio l'uomo, piuttosto che la donna a cui sapeva di aver rotto le mani con incredibile determinazione, mi aveva detto che tra loro due doveva esserci stato un legame particolare, e niente più. Dopo quella volta quasi mi rassegnai, nonostante un mucchio di domande continuassero a tormentarmi. Da quando mi ha raccolto ai lati della strada mi sono sempre chiesta perché l'avesse fatto, perché caricarsi di un tale fardello? Quella fu comunque una cosa che non ebbi mai la forza di chiederle.
Capii molto dopo che quella per lei doveva essere un'espiazione. Un tentativo di fare almeno una cosa buona nella sua vita irrimediabilmente rovinata.

Amaya non parlava molto, questo lo ricordo, a dire il vero non sembrava neanche più un essere umano, solo uno spettro del passato, tormentato da fatti e fantasmi.
Forse fu prorpio perché non ero stata l'unica a pensarlo che quell'uomo si era presentato di nuovo, con un intento che solo ora riesco a comprendere, nonostante il dolore sordo al cuore non accenna ad andarsene neanche ora, che sono passati anni.
In fondo Amaya è stata tutto quello che ho avuto e l'unica su cui potevo fare affidamento.
Poco prima di andarsene Amaya mi aveva detto un'ultima volta che la vendetta era inutile. Quella era una cosa che non si stancava mai di ripetermi. Forse si aspettava che sarebbe andata a finire così, per quello forse mi aveva fatto promettere di andare avanti con la mia vita e di non cercarla più.
Non viva.
Perché la sua non era stata vita, perché sembrava non aspettare altro che potersi riunire al fratello di cui parlava con tanto amore e che le donava quel briciolo di umanità in più ogni volta che faceva il suo nome.
Forse in fondo era giusto così, le tempeste, per quanto forti, prima o poi sono destinate a terminare, e le pioggie notturne a lasciare il posto ai raggi del sole.
Ed è strano, perché ricordo di avere sempre odiato la pioggia notturna, era sempre stata così gelida, crudele, nel suo insinuarsi nei miei abiti leggeri, quando ancora non avevo un tetto sopra la testa.
Lei mi ha scaldato; mi ha donato quel poco calore che le era rimasto, tutta l'umanità che non aveva perso.
E mi ha insegnato tanto; ha fatto di me una vera persona, non più uno straccio abbandonato ai lati della strada.
Adesso osservo la pioggia notturna con occhi nuovi.



Fine

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Note: Komorebi è una parola intraducibile in italiano (come Weltschmerz) ed è usata per indicare i raggi del sole che filtrano attraverso le fronde degli alberi. E ricordatevi che il significato del nome Amaya è pioggia notturna :)
Le citazioni a inizio e fine capitolo sono prese dall'Amleto di Shakespeare.

Non ho voluto inserire quela prima parte nel capitolo precedente perché Komorebi per me è sempre apparsa come una comparsa (molto a sorpresa) da capitolo finale :)
Sono negata a scrivere in prima persona, tuttavia continuo a provarci, ogni tanto ^^'
L'ho uccisa? Beh, sì. Alla fine sì. Amaya è stato uno di quei personaggi estremamente poveri (non a livello caratteriale), che si trova a vivere nella miseria e a portare avanti un intento, un progetto che lo è altrettanto. Destinato a portare solo rovina. Per questo le citazioni all'Amleto di Shakespeare ci stanno tanto bene, secondo me. C'è un finale tragico, anche se venato di una vaga speranza, ma comunque giusto, perché ristabilisce l'ordine delle cose.
Shikacloud ci ha azzeccato in pieno nella recensione che mi ha lasciato la volta scorsa: Amaya è come un incendio, distrugge e divora tutto sul suo passaggio, tuttavia è una cosa che accade di rado, e che comunque è destinata ad estinguersi dopo aver dato spettacolo della sua forza.
Quindi siamo giunti alla fine. Ammetto che inizialmente mi è piaciuto moltissimo scrivere questa storia, e allo stesso modo sono stata contenta di ricevere l'approvazione e i consigli preziosi dei lettori. Nonostante nella parte finale (l'asta e il finale, escluso l'epilogo, che bene o male era sempre stato così nella mia testa) ci sia stato un... calo(?) da parte mia. Ciò che mi ha fregato sono stati gli episodi a cui dovevo andare dietro e che non riuscivo a rendere abbastanza (per questo tornerò a scrivere originali ^^'). Ma sono comunque contenta di essere arrivata alla fine e che, in qualche modo, questa storia vi sia piaciuta :) E spero che, ora che è finita, mi facciate sapere consa ne pensate.
Arrivederci! 

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