Weltschmerz. E vendetta sia di La sposa di Ade (/viewuser.php?uid=152568)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Segreto ***
Capitolo 2: *** Ossa ***
Capitolo 3: *** Bugiardo ***
Capitolo 4: *** Ultraviolenza ***
Capitolo 5: *** Follia ***
Capitolo 6: *** Scontri ***
Capitolo 7: *** Catene ***
Capitolo 8: *** Giuda ***
Capitolo 9: *** Morte ***
Capitolo 10: *** Ira ***
Capitolo 11: *** Errori ***
Capitolo 12: *** Pioggia e Sole ***
Capitolo 1 *** Segreto ***
Ammetto
si non sapere quale follia mi abbia spinto a pubblicare qualcosa su
questo fandom,
ma una settimana passata a riguardarmi la vecchia e la nuova serie di
HxH credo
possa avermi influenzato un pochino.
Ho
messo OOC tra gli avvertimenti, perché è da
moltissimo che non scrivo qualcosa
che non sia una originale, quindi non sono sicura di riuscire a
mantenere le
personalità dei personaggi, comunque, l’OOC non
è assolutamente voluto, l’ho
inserito per sicurezza. Sarà comunque una storia un
po’ (molto) particolare, ma
i dettagli ve li lascio in fondo al capitolo per evitare spoiler.
Prologo. “Segreto”
[LORDE - Everybody Wants To Rule The World]
Welcome
to your life
There's
no turning back
Even
while we sleep
We
will find you
Acting
on your best behaviour
Turn
your back on mother nature
Everybody
wants to rule the world
L’alba
aveva il
colore del sangue marcio. Strisciò fuori a oriente e
chiazzò di rosso il cielo
scuro, marchiando le nuvole di oro trafugato. Più in basso
la strada
serpeggiava lungo la montagna, verso la nuova base del Ragno. Un
ammasso di
torri aguzze e fatiscenti, scure come cenere contro i cieli piagati.
L’alba era
tinta di rosso, di nero e di oro.
I colori della loro
professione.
“Sei particolarmente
bella stamattina, Amaya.” Lei sospirò, quasi fosse
un caso, come se non avesse
perso un’ora davanti allo specchio.
“I fatti sono
fatti. Constatarli non è un dono: stai solo dimostrando di
non essere cieco.” E
sbadigliò, stirandosi sulla sella, facendolo aspettare per
un attimo. “Ma
ascolterò il resto.”
Lui si schiarì
rumorosamente la gola e sollevò una mano, come un pessimo
attore che si prepara
al sua gran discorso. “I tuoi capelli sono come…
un manto scintillante di una
volpe bianca!”
“Galletto pomposo.
E ieri cos’erano? La candida neve invernale. Mi piaceva di
più, aveva una
qualche poesia. Cattiva, ma comunque poesia.”
“Merda” Lanciò
un’occhiata di traverso alle nuvole, come in cerca del
consiglio vincente.
“Beh, i tuoi occhi, allora, brillano come accecanti zaffiri,
inestimabili!”
“Adesso avrei delle
pietre sulla faccia?”
“Labbra come petali
di rosa?” Lei gli sputò addosso, ma lui era pronto
e riuscì a schivare,
rischiando comunque di cadere dalla sella.
“Questo è per far
crescere le tue rose, idiota. Puoi fare di meglio.”
“Ogni giorno più
difficile.” Borbottò lui. “Quel gioiello
che ti ho comprato ti sta
meravigliosamente bene.” Lei sollevò la destra per
ammirarlo, era un rubino
grande come una mandorla, che catturava i primi bagliori della luce del
sole e
sfavillava come una ferita aperta. “Che hai rubato, vorrai
dire.”
“Si intona con la
fierezza del tuo temperamento.”
Lei sbuffò. “E con
la mia fottuta reputazione.”
“Fanculo la tua
reputazione! Non sono altro che chiacchiere di idioti! Tu sei un sogno,
una
visione! Tu ricordi…” Schioccò le dita.
“La Dea della Guerra in persona!”
“Dea, eh?”
“Della Guerra! Ti
piace?”
“Funzionerà. Se
riesci a baciare il culo del Capo ben la metà di come hai
fatto ora, potremmo
persino beccarci un premio.”
Frau sporse le
labbra verso di lei. “Niente potrebbe essere più
delizioso che passare la
mattinata con la faccia tra le chiappe del Capo. Sanno di…
potere.” Gli zoccoli
scricchiolavano sul sentiero polveroso, le selle cigolavano e i
finimenti sferragliavano.
La strada si volse su se stessa e il resto del mondo scomparve. Il
cielo
orientale dissanguò il suo rosso in un rosa da macelleria.
“Sto aspettando.”
Fece lui.
“Che cosa?”
“La mia parte di
complimenti, è ovvio.”
“Se quella zucca
del cazzo ti si gonfia ancora finirà per esplodere, e io non
voglio il tuo
cervello sulla mia camicia nuova.”
“Pugnalato” Frau si
premette la mano sul petto “Proprio qui! È
così che ripaghi i miei anni di
devozione, sorella senza cuore?”
“Come osi presumere
di essere devoto a me, zappatore che non sei altro? Sei come una zecca
devota a
una tigre!”
“Tigre? Ah! Quando
paragonano te a un animale, di solito è la serpe che
scelgono.”
“Sempre meglio di
un verme.”
“Stronza.”
“Codardo.”
“Assassina.” Questo
era difficile negarlo. Il silenzio calò nuovamente su di
loro. Il cavallo di Frau
si portò gradatamente a fianco di quello di lei, e
altrettanto gentilmente lui
le mormorò: “Sei particolarmente bella stamattina,
Amaya.”
Ciò le fece
accennare un sorriso all’angolo della bocca, quello che lui
non poteva vedere.
“Beh, i fatti sono fatti.”
Delle
dodici zampe,
in quel luogo, se ne trovavano sette, compresa la testa, Chrollo, i
quel
momento intento a leggere un grosso tomo. Neanche gli altri sembravano
stare
impiegando molta energia in una qualunque attività. Feitan,
se solo si fosse
trovato lì, di certo avrebbe definito quella giornata
incredibilmente noiosa,
non essendosi trovato nessuno sotto le mani da poter torturare.
“Ehi capo, si sta
avvicinando qualcuno.” Chrollo rimase in silenzio, chiuse
però il libro e si
mise in piedi avvicinandosi all’ampia finestra.
“Più o meno a settanta metri,
appena dietro la curva.” Continuò Nobunaga,
informando il capo di quello che
poteva essere un pericolo, o forse solo una scocciatura. “Non
hanno usato
neanche l’Hatsu.”
“Quanti sono?”
“Due.” Rispose con
sicurezza.
“Sono gli ospiti
che stavamo aspettando.”
“Nuovi membri della
brigata? Non ne sapevo nulla” Di nuovo, la smemoratezza di
Shizuku non sorprese
più di tanto il resto dei presenti, tuttavia la sua domanda
non ottenne
risposta, poiché il capo si stava già dirigendo
verso l’atrio al piano di
sotto, in attesa del loro arrivo. Aveva accennato al resto della
Brigata che
presto ci sarebbe stata una nuova aggiunta, un nuovo numero, per due
persone.
Fratello e sorella che combattevano insieme, due lati della stessa
medaglia,
che aveva conosciuto in una landa sperduta a ovest. Quando li aveva
visti gli
avevano ricordato il suo gruppo del Ryūseigai,
tanti stenti, tante difficoltà, ma
anche tanto il desiderio di
combattere e sopravvivere. E lui non aveva potuto fare a meno di
invitare quei
due a fare parte della Brigata.
Li
vide avanzare
lungo il sentiero in groppa a due cavalli, con la stessa andatura, con
lo
stesso sguardo, con lo stesso modo disinvolto di tenere le mani. Il
loro
incredibile legame era ciò che lo aveva colpito di
più, tanto da rendere quei
due elementi un numero unico.
“Frau. Amaya.
Benvenuti nel Ragno.”
It's
my own design
It's
my own remorse
Help
me to decide
Help
me make the most
Of
freedom and of pleasure
Nothing
ever lasts forever
Everybody
wants to rule the world
Quella
notte pioveva, ed Amaya guardava fuori dalla finestra la tempesta che
infuriava
e l’acqua che colava sui vetri, trovando tutto quello molto
rilassante, tanto
che quasi senza accorgersene i suoi occhi iniziarono a farsi pesanti,
il
respiro lento e il corpo che iniziava ad avvertire la stanchezza della
giornata. Si sarebbe concessa anche un sonnellino se una presenza non
avesse
ridestato gli allarmi nella sua testa. Di certo non era suo fratello,
quindi
ancora con la testa un po’ pesante voltò il corpo
fino a osservare la strana
figura dietro di lei. Un uomo alto dai capelli rossi e dallo strano
trucco la
stava osservando, con uno strano sorriso sulle labbra, lei non
proferì parola,
avvertendo però l’aura dell’individuo
espandersi leziosamente per tutta la
stanza, le formicolò la cute e un brivido le percorse la
spina dorsale. Amaya
solitamente trovava piacevoli le cose che alle persone normali facevano
ribrezzo, per quello le sue labbra si stirarono in un lievissimo
sorriso quando
un altro brivido le percorse il corpo e l’uomo
iniziò ad avvicinarsi lentamente
alla finestra. O forse era solo il freddo, si disse poco dopo.
“Amaya;
la pioggia notturna. Che poetica coincidenza.” Se fosse stato
suo fratello a
proferire una cosa del genere non avrebbe evitato ad insultarlo,
probabilmente.
“E
Hisoka che significa?” L’uomo
distolse
lo sguardo dalla pioggia e puntò le sue pupille dorate in
quelle blu di Amaya,
per poi portarsi un dito alle labbra e sussurrare:
“Segreto.”
La
ragazza inclinò la testa di lato, non capendo se quello
fosse l’effettivo
significato del suo nome o se volesse semplicemente tenerglielo
nascosto, come
se fosse un qualche assurdo e importantissimo segreto… ah,
quasi le venne da
ridere, che altro si sarebbe dovuta aspettare da un pagliaccio?
“Perché
sei vestito da pagliaccio?” Non riuscì a
trattenersi, in quelle condizioni il
suo cervello lavorava più lentamente della bocca, anche per
quello avrebbe
preferito mettersi a dormire, andare nell’altra stanza e
rannicchiarsi accanto
a suo fratello.
“Sono
un prestigiatore, Amaya, non un pagliaccio.” Solo in quel
momento la ragazza
notò che la sua mano stava giocherellando con una carta da
gioco.
“Allora
fammi vedere qualche trucco.”
“Cosa
mi darai in cambio?” Un sorriso spontaneo si dipinse sulle
labbra della
ragazza.
“Segreto.”
Il pagliaccio, o prestigiatore, per Amaya non faceva alcuna differenza,
le
allungò il mazzo di carte sotto il volto, con un sorriso
furbo appena accennato
sulle labbra.
“Allora
scegli una carta.”
“Che
dobbiamo
fare?” Frau era impaziente, una missione finalmente, il che
significava soldi,
per lui era quello che contava. Amaya si guardava distrattamente in
giro,
cercando di ricordare e memorizzare i nomi e vi volti della Brigata.
Una
missione da soli, da quanto aveva capito, non che le dispiacesse, ma
Amaya era
sospettosa per natura e temeva per suo fratello, costantemente, che
potesse
farsi del male, data la sua ingenuità. Eppure quando si
voltò verso di lei con
un sorriso immenso sul volto tutti i timori e i sospetti sparirono,
certo,
erano circondati da criminali, assassini e feccia, ma loro erano forse
migliori?
Si
coricò a letto, scostando lentamente le coperte, cercando di
non svegliare il
fratello. Le tenebre erano fitte, le tende tirate bloccavano
completamente la
luce, ma il suono della pioggia si sentiva forte e chiaro, come se
stesse
piovendo dentro la stanza. Si coprì, portandosi le ginocchia
al petto, e fissò
la schiena di suo fratello che si muoveva a un ritmo regolare e
rassicurante e
avvertì la tensione del corpo abbandonarla lentamente, il
dolore alle gambe per
la lunga cavalcata svanì in poco tempo, così come
tutti gli altri dolori
muscolari. Si lasciò cullare dal respiro profondo e
rassicurante di Frau e
dalla melodia della pioggia.
“Amaya.”
Lo sentì sussurrare, la voce arrochita dal sonno.
“Cosa
c’è?” Suo fratello si voltò e
si avvicinò a lei, cingendola con le braccia.
Amaya in altre situazioni non glielo avrebbe permesso, la faceva
sentire
piccola, le faceva percepire quel bisogno di protezione che pensava di
aver
superato, ma tutte le volte che finiva tra le braccia di suo fratello
tornava
tutto indietro; la paura di non superare il giorno e gli stenti che
avevano
combattuto all’ovest.
“Non
tradirmi, non lasciarmi mai, ti prego.”
“Non
lo farò.” Si strinse contro di lui, sentendo il
calore del suo corpo scaldarla,
mentre una strana sensazione di disagio le annodava lo stomaco; tra le
mani
teneva ancora quella carta da gioco.
There's
a room where the light won't find you
Holding
hands while the walls come tumbling down
When
they do I'll be right behind you
“Capo,
cosa vuoi fare?” Chiese Nobunaga; non si poteva dire che le
cose erano andate
peggiorando, la reputazione della Brigata attirava già molti
nemici, i quali
però non erano un grave pericolo per il gruppo, gli uomini
dell’ovest erano un
altro paio di maniche; lasciavano segnali, avvertimenti, cose a cui il
Ragno
non aveva mai assistito. Gli uomini dell’ovest non
conoscevano il perdono.
“Non
credevo sarebbero diventati un problema.” E non sarebbero
dovuti diventarlo;
quando aveva trovato Frau e Amaya li aveva visti come creature
indifese, certo,
con un grande potenziale, ma non poteva immaginare i nemici che si
erano fatti,
anzi, non credeva neanche che tali creature smarrite potessero avere
dei
nemici.
“Quindi?
Non dovremmo liberarcene comunque? Rischiano di metterci in
pericolo.” Pakunoda
cercava spesso la strada più breve, così come
riusciva a facilitarsi la vita
leggendo nella mente altri, quella di prendere decisioni su due piedi,
magari
non sempre ben pensate, era la via che preferiva. E aveva letto nella
mente dei
nuovi arrivati, aveva allungato la mano verso di loro, con la semplice
pretesa
di presentarsi, e quello che aveva trovato nella loro mente non era
molto di
più di quello che già sapevano e un legame
così forte tra i due da
sorprenderla.
“Da
quando in qua il pericolo ti ha spaventato eh, Pakunoda?” La
rimbeccò Nobunaga.
La donna rimase in silenzio.
“A
me non sembrano male.” Shizuku distolse lo sguardo dai due
che continuavano a
lanciarsi occhiatacce, per proferire con la sua voce da ragazzina.
“Non
sono loro il problema.” Il Capo fissò la pioggia
scrosciante fuori dalla
finestra, in cerca di una soluzione che non li avrebbe danneggiati
troppi, ma
nonostante tutti i giri che faceva nella sua mente, il risultato era
sempre lo
stesso.
“Cosa
allora?” Chiese ancora Shizuku.
“A quanto pare avevano parecchi nemici, rischiamo di
ritrovarceli qui, ne
avevamo già parlato, Shizuku.” Le fece notare
Shalnark, per quanto potesse
essere produttivo tentare di far ricordare qualcosa a Shizuku. Ma
Chrollo
sapeva il problema non era costituito semplicemente da quello.
“Come
se non avessimo già il mondo contro.” Ad Hisoka
non importava quanti nemici si
potesse ritrovare contro, ma purtroppo lui sembrava essere
l’unico ad avere la
smania di combattere forti avversari, e doveva ammettere che quelle due
figure
lo incuriosivano parecchio, forse gli sarebbe dispiaciuto.
“Che
facciamo, lanciamo una moneta?” Feitan si alzò,
tirando fuori dall’abito la
moneta del Ragno. “Capo?”
“Testa
se ne vanno, croce muoiono.” Era inutile starci a pensare, se
fossero rimasti
con loro si sarebbero ritrovai con troppe lame al collo, ma sarebbe
potuto
succedere anche se se ne fossero andati, di certo non sarebbero tornati
all’ovest, e con loro sarebbero rimasti anche i loro nemici,
i loro problemi. C’era
poco da decidere, da tirare a sorte, ma voleva comunque dare una
possibilità
all’errore che lui stesso aveva scommesso.
La
moneta può
cadere di taglio, se lo vuoi.
“Amaya, Amaya,
ascoltami per favore.” Si aggrappò alla sua
camicia, con un enorme sorriso sul
volto che era un ritratto della gioia fanciullesca.
“Che vuoi?”
Tutt’altro era la sorella, che già da un
po’ mal sopportava i vaneggiamenti del
fratello
“Ti immagini che
bello? Saremmo ricchi, con una casa tutta nostra.” Lo disse
come se quello
fosse uno dei più grandi raggiungimenti ottenibili in vita,
e non come se si
trattasse di una cosa che quasi chiunque aveva. Ma per loro era
così; per loro
andare a vivere in quel luogo fatiscente con un’altra dozzina
di persone era
qualcosa di inimmaginabile. Ma in poco tempo Frau aveva iniziato a
pensare a
cose che per Amaya era superflue.
“Si, e magari con
una grande fama.” Dire che non ci sperava era una
sciocchezza, ma guardava
quella specie di obbiettivo come un traguardo irraggiungibile. Quindi
perché
perdere tempo?
“Si! Perché no?
Pensa a quando sarai tu a decidere…”
“Smettila di
sognare Frau, è impossibile raggiungere una vetta cos alta,
per noi.”
“Lo so, però…”
L’entusiasmo di Frau si smorzò, e la sorella quasi
si sentì in colpa.
“Si, sarebbe
bello.” Sospirò pesantemente. “Ma a
pensarci, non credo neanche che una cosa
del genere potrebbe interessarmi più di tanto, mi trovo bene
con il Ragno, non
intendo andarmene per seguire sogni folli.” Erano folli,
sì, Frau lo sapeva
benissimo, ma lui avrebbe provato di tutto per realizzare
ciò che credeva
giusto, più per sua sorella che per se stesso.
Frau rimase in
silenzio, con un nuovo sorriso sulle labbra.
So
glad we've almost made it
So
sad they had to fade it
Everybody
wants to rule the world
La
moneta non era caduta di taglio, Hisoka un po’ ci aveva
sperato, ma non
spettava a lui decidere. Aveva osservato la parabola del cerchio dorato
lanciato in aria, aveva osservato ogni movimento a ancora prima che
questa
iniziasse a scendere sapeva già quale faccia si sarebbe
mostrata ai membri del
Ragno. Distolse lo sguardo ancora prima che questa finisse nelle mani
di
Feitan, sapendo già come sarebbe andata a finire, e si
alzò, deciso ad
allontanarsi da quel posto per un po’; era rimasto
più del solito solo per
quelle due nuove presenze, rimandando tutti gli impegni che avrebbe
potuto
avere, ma ora era il momento di allontanarsi, infondo non aveva trovato
nulla
di così interessante dall’ultima volta che si
erano riuniti.
Al
Covo si trovava solo metà del ragno, buona parte aveva da
svolgere altre
faccende altrove, una grande e importante missione, da quanto aveva
capito la
ragazza. La cosa che le pareva strana era l’assenza di Hisoka
che, non essendo
in missione con metà del Ragno, si sarebbe dovuto trovare
lì.
“Non
è possibile che quel bastardo dal sangue freddo sia bravo
con la spada come
dicono.”
“È
una katana, e hai ragione, è più
bravo
di quello che dicono.” Frau ancora stentava a credere a
quello che la sorella
gli aveva detto poco prima.
“Mi
prendi in giro Amaya?”
“No,
ci siamo allenati un po’ insieme.” Si
sistemò meglio sulla spalla il sacco
umido. “Sai, anche tu dovresti esercitarti un po’,
ti farebbe comodo.”
“Nah,
non ne ho bisogno.” Frau era molto bravo nelle arti marziali,
ma disdegnava
completamente le lame, nonostante ne portasse una al fianco, Amaya, al
contrario, era un’esperta nelle armi bianche.
Lungo
la strada per raggiungere il covo si videro giungere incontro Shalnark,
con la
sua solita aria da ragazzino innocente, ad Amaya non andava molto a
genio, Frau
invece sembrava provare una certa simpatia per il
biondino.“Ragazzi, il capo
vuole parlarvi.”
“Ma
siamo appena tornati…” Iniziò a
lamentarsi Frau.
“Sta
zitto Frau.” Suo fratello sbuffò, ma infondo era
meglio liberarsi il prima
possibile di certe faccende, così da andare a coricarsi e
riposare il prima
possibile.
“A
proposito, come è andata la missione?”
“Sangue
e divertimento, come al solito.”
“Avete
recuperato il…” Amaya aveva già tirato
fuori dalla tasca una pietra preziosa
molto particolare appesa a una catenella in purissimo argento, e gliela
sventolò sotto il naso. “E
avete…” E gli buttò ai piedi il sacco
che teneva in
spalla. Cautamente Shalnark si chinò e lo aprì;
sul suo volto apparve
un’espressione accigliata. “Non c’era
bisogno di portare la sua testa.”
“Da
noi all’ovest si fa così.”
L’atrio
era umido, e i pochi presenti stavano in silenzio, sprecando il proprio
tempo.
“Shalnark
mi ha detto che avete portato a termine la missione con
successo.”
“È
così, ed è stato piuttosto semplice.”
“E
vi siete anche occupati di Alexander, non ve lo avevo
chiesto.”
“Si
è buttato in mezzo, si è fatto ammazzare. Beh,
tanto meglio per voi, no? un
nemico in meno.”
“Amaya,
credo non sia quello il problema.” La sorella assunse
un’espressione
interrogativa.
“Non
dovevamo portare la sua testa?” Chiese, quando il fratello
imitò il gesto di
uno sgozzamento.
“Siete
un ottimo elemento nella Brigata, non vedevo combattere come lo fate da
voi da
anni, risoluti e rapidi. Tuttavia il vostro passato ci ha portato
più problemi
che benefici.” Prima ancora che potesse proferire parola
Amaya vide il lieve
baluginio di un movimento con la coda dell’occhio, abbastanza
per farle
sollevare la mano d’istinto. Il filo vi sibilò
teso attorno, premendogliela
sotto la guancia, schiacciandola contro la gola fino a soffocarla.
Frau
balzò in avanti. “Ama…” Il
metallo luccicò quando Nobunaga mirò un fendente
al
suo collo, mancò la gola segnando un taglio rosso appena
sotto l’orecchio.
Chrollo
indietreggiò cauto mentre il sangue schizzava sulle
piastrelle. Amaya cercò di
urlare, ma riuscì solo a farfugliare attraverso la trachea
semichiusa. Con la
mano libera cercò l’impugnatura di una delle sue
lame, ma qualcuno gli afferrò
il polso e glielo bloccò: Phinks, premuto stretto contro il
suo fianco
sinistro.
“Mi
dispiace.” Le mormorò all’orecchio,
estraendo la lama della ragazza e
lanciandola dall’altra parte della sala.
Frau
inciampò, gorgogliando bava rossastra, una mano premuta sul
lato del viso, con
il sangue nero che serpeggiava tra le dita bianche. L’altra
mano cercava a
tentoni la spada, mentre Shalnark lo guardava, raggelato. Frau
sfilò
maldestramente un dito d’acciaio prima che Nobunaga si
avvicinasse e lo
colpisse, tranquillo e preciso –una, due, tre volte. La lama
sottile scivolò
dentro e fuori il corpo di Frau, e l’unico suono fu il
respiro lieve della sua
bocca splancata. Il sangue schizzò sul pavimento a lunghi
fiotti, cominciando
ad allargarsi in cerchi scuri sulla camicia bianca. Barcollò
in avanti,
inciampando nei suoi stessi piedi fino a crollare a terra, la spada
estratta
che graffiava il marmo sotto di lui.
Amaya
si dimenò, ogni muscolo fremeva, ma era bloccata ed inerme
come una mosca nel
miele. Sentiva Phinks che le grugniva all’orecchio per lo
sforzo, l’esile corpo
caldo di Machi che le premeva sulla schiena. Sentì il filo
tagliarla lentamente
ai lati del collo, conficcarsi nella mano, premere stretto contro la
gola;
avvertiva il sangue colarle caldo lungo l’avambraccio, fin
dentro la manica
della camicia.
Una
delle mani di Frau strisciò sul pavimento, tendendosi verso
la sua; si sollevò
un paio di centimetri, le vene che spiccavamo sul collo. Nobunaga si
fece
avanti e, con calma, lo pugnalò al cuore di spalle. Ebbe uno
spasmo, poi
ricadde immobile, la guancia pallida chiazzata di rosso. Il sangue
prese a
scorrere sotto di lui, facendosi strada tra le fessure delle piastrelle.
“Bene.”
Nobunaga si chinò e pulì la spada sulla schiena
di Frau. “Ecco fatto.”
Feitan
guardava, accigliato: leggermente perplesso, leggermente irritato,
leggermente
annoiato. Quasi esaminasse alcune cifre di un bottino che non facevano
tornare
i conti.
Chrollo
indicò il corpo. “Sbarazzatene,
Shalnark.”
“Io?”
Le labbra del ragazzo si arricciarono.
“Si
tu, e tuo puoi aiutarlo Shizuku. Dovete capire cosa bisogna far per
tenere al
sicuro la nostra famiglia”
“No!”
Shalnark barcollò all’indietro. “Io non
avrò parte in tutto ciò!” Si
voltò e
corse fuori dalla stanza.
Il
Capo non sembrò dare troppo peso all’accaduto.
“Nobunaga, aiutala tu.” Gli
occhi strabuzzati di Amaya li seguirono mentre trascinavano il cadavere
di Frau
in terrazza. Sollevarono Frau al di sopra della balaustra e lo
gettarono giù.
E
così fu andato.
Chrollo
rivolse uno sguardo accigliato ad Amaya, una vaga figura scura
attraverso i suoi
occhi umidi, i capelli arruffati sul viso. “È
ancora viva? Che stai facendo Machi?”
“Questo
filo del cazzo le sta premuto sulla mano.” Sibilò
lei.
“Ci
penso io.” Phinks estrasse dalla cintura della ragazza un
altro pugnale, sempre
tenendole il polso con l’altra. “Mi dispiace
davvero.” La lama uscì dalla
guaina, acciaio scintillante e letale. Amaya pestò con tutta
la forza che le
era rimasta il piede di Machi e questa perse la presa sul filo,
così lei lo
scostò via dal collo, ringhiando e contorcendosi mentre
Phinks la pugnalava. La
lama mancò di parecchio il bersaglio, scivolando sotto la
costola inferiore:
freddo metallo, ma lei lo sentì bruciare caldo, una linea di
fuoco dallo
stomaco alla schiena. Le affondò nella carne trapassandola
da parte a parte, e
la punta punzecchiò il petto di Machi.
“Ah!”
Lei mollò il filo e Amaya balzò su, cominciando
ad urlare senza senso,
colpendola con il gomito e facendola barcollare. Phinks, colto alla
sprovvista,
traccheggiò col pugnale nell’estrarlo dalla carne
di lei e lo gettò lungo il
pavimento. Lei gli sferrò un calcio, mancando
l’inguine e beccandolo sull’anca,
e lui si piegò. Amaya afferrò un pugnale dalla
cintura, ma la mano tagliata era
goffa e lui le afferrò il polso prima che potesse infilzarlo
con la lama.
Lottarono per averlo, a denti scoperti, ansimando uno in faccia
dell’altra,
barcollando avanti e indietro, le mani appiccicose del sangue di lei.
“Ammazzala!”
Ci fu uno scricchiolio e la testa di Amaya si riempì di
luce, il pavimento si
schiantò contro il suo cranio, schiaffeggiandole la schiena.
“Maledetta…”
Il tacco dello stivale di Machi si abbatté di colpo sulla
sua mano destra; il
dolore le corse su per il braccio, strappandole un sussulto nauseato.
Lo
stivale calò di nuovo su tutte le nocche, poi le dita, e poi
il polso. Allo
stesso tempo il piede di Phinks le tempestava le costole,
più e più volte,
facendola tossire e rabbrividire. La sua mano distrutta si torse,
mentre
cercava di rialzarsi su un fianco. Il tacco di Machi si
abbatté e la schiacciò
sul marmo freddo frantumandole le ossa. Ricadde indietro, a malapena
capace di
respirare, la stanza che vorticava intorno a lei.
Il
pugno di Phinks calò giù e sollevò
Amaya per la gola. Lei cercò do afferrarlo
con la mano sinistra, ma tutta la forza che era colata via attraverso
il foro
nel fianco e i tagli sul collo. Le sue dita maldestre lasciarono solo
goffi
segni rossi sul volto dell’uomo. Il braccio fu respinto e
torto brutalmente
dietro la schiena.
“Giù
dalla terrazza e facciamola finita.” Lei si sentì
trascinare, la testa
ciondoloni. La luce del sole l’accoltellò. Venne
sollevata, mentre gli stivali
flosci raschiavano la pietra. Il cielo azzurro si ribaltò,
ora era issata lungo
la balaustra. L’aria le pizzicò il naso e le fece
tremare il petto. Si
contorse, scalciò: il suo corpo si dibatteva per rimanere in
vita.
Sfocata,
tra i capelli insanguinati sugli occhi scorse la figura di Chrollo.
“Spero tu
capisca, non posso mettere in pericolo il Ragno, e i demoni che tue tuo
fratello vi siete portati dietro sono troppo grossi anche per
noi.”
Amaya
voleva sputagli in faccia, ma le uscì solo un filo di sangue
lungo il mento.
“Fotti…”
Poi stava cadendo.
NdA
Amaya
significa ‘pioggia
notturna’ per questo la frase di Hisoka.
Hisoka,
da quanto ho
capito, significa ‘segreto’.
Naturalmente
le parti in corsivo sono eventi passati, spero di non aver creato
troppa
confusione.
La
canzone che appare in mezzo al testo è quella riportata
sotto il nome del
capitolo, mi piacerebbe associare una canzone ad ogni capitolo, vediamo
che si
riesce a fare.
Ho
qualcosa da dire sulla storia, come vi ho detto sopra; questa storia
sarà
abbastanza violenta, succederanno cose che fanno inorridire anche me, e
basata
sulla vendetta, come si può ben capire dal titolo. Ah, per
la cronaca
Weltschmerz
è
una
parola
tedesca praticamente intraducibile, che
significa
“dolore del mondo”.
So
che l’ultima scena non è molto plausibile; niente
Nen, lo so, ma altrimenti non
riuscivo a risolverla.
Uhm,
probabilmente vi starete chiedendo se sono solita uccidere
così brutalmente i
miei stessi personaggi… beh, sì, ma Amaya non
è ancora morta, no?
Spero
di riuscire ad aggiornare con un minimo di regolarità.
Grazie
per aver letto fino a qui :)
|
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Capitolo 2 *** Ossa ***
Capitolo
1. Ossa
[Linkin
park – Breaking the Habit]
Memories consume
like opening the wound
i'm picking me apart again
i don't want to be the one
the battles always choose
cause inside i realize
that i'm the one confused
La
camicetta strappata si gonfiava e sbatteva contro la pelle scossa dai
brividi. Prese
a volteggiare ancora e ancora, e il mondo girò attorno a
lei: il cielo azzurro
con brandelli di nuvole, le torri scure in cima alla montagna, la
facciata di
roccia nera che correva via, gli alberi giallastri e il fiume
scintillante,
ancora il cielo blu con brandelli di nuvole, e poi ancora e ancora,
sempre più
veloce.
Il
vento gelido le artigliava i capelli, ruggiva nelle orecchie, fischiava
tra i
denti insieme al suo respiro terrorizzato. Poteva vedere ogni albero,
adesso,
ogni ramo, ogni foglia. Le balzarono incontro. Aprì la bocca
per gridare…
I
ramoscelli la ghermirono, la strinsero, la frustarono. Un ramo spezzato
arrestò
il suo mulinare. Il legno cedeva e le si apriva intorno mentre lei
precipitava
giù, e ancora giù, per poi schiantarsi contro i
fianco della montagna. Le gambe
si spezzarono sotto il suo peso morto, la spalla si spezzò
contro la terra
dura. Ma invece che sfracellarsi le cervella contro le rocce, si
frantumò solo
la mascella contro il torace insanguinato di suo fratello, il sui corpo
maciullato giaceva conficcato ai piedi di un albero.
E
fu così che Frau salvò la vita di sua sorella.
Amaya
rimbalzò sul cadavere, per tre quarti incosciente, e poi
giù per la fiancata
del monte, sempre di più, cadendo come una bambola rotta.
Rocce, radici e dura
terra la bastonarono, quasi venisse fatta a pezzi di un centinaio di
martelli.
Si
aprì un varco tra un groviglio di cespugli, i rovi che la
flagellavano e
artigliavano. Rotolò e rotolò, giù per
il piano inclinato in una nuvola di
polvere e foglie. Cadde sulla radice di un albero attorta su una roccia
muschiosa. Scivolò piano fino ad arrestarsi, di schiena, e
restò così.
Gemette.
Delle
pietre che cadevano rumorosamente attorno, assieme a rametti e
terriccio. Il
polverone si posò pian piano. Sentiva il vento scricchiolare
tra i rami,
crepitare tra le foglie. O forse era il suo respiro, che le
scricchiolava e
crepitava nella gola spezzata. Il sole balenò attraverso gli
alberi scuri,
ferendole un occhio, l’altro era buio. Le mosche ronzavano,
zigzagavano e
nuotavano nell’umidità dell’aria
mattutina.
Un
farfuglio senza senso, ne era imbarazzata, quasi.
Ma
non riusciva a smettere. Orrore animalesco. Matta disperazione. Il
gemito che
fanno i morti all’inferno.
Il suo occhio correva
disperatamente intorno;
vide il relitto della mano destra, un informe guantone violaceo con una
ferita
sanguinosa su un lato. Un dito tremava debolmente, la punta che
grattava la
pelle lacera sul gomito; l’avambraccio si era rotto in due,
un ramoscello
spezzato di ossa grigiastre attaccato per un filamento sanguinoso. Non
sembrava
vero, assomigliava a un congegno teatrale a buon mercato.
Adesso
era la paura a tenerla stretta, aumentando a ogni respiro. Non poteva
muovere
la testa, non riusciva a muovere la lingua in bocca. Riusciva ad
avvertire il
dolore, che le rosicchiava ai confini della mente: una massa terribile
di
dolore, che le premeva addosso, schiacciandola da ogni parte, sempre
peggio, e
poi peggio, e poi peggio.
Frau
era morto. Una striscia bagnata corse giù dal suo occhio
tremolante, e la sentì
gocciolare lentamente contro la guancia.
Perché
non era morta? Come poteva non essere morta?
Presto,
ti prego.
Prima che faccia ancora più male. Ti prego, che sia presto.
Morte, ti prego.
“Accidenti
a te Phinks!”
“Che
c’è?”
“Mi
hai tagliato, maledizione.” L’irritazione di Machi
era pari al disgusto che
Phinks provava per le armi bianche, tuttavia, in una situazione come
quella non
sarebbe riuscito a fare molto semplicemente a mani nude.
Si
limitò a scrollare le spalle.
“Shizuku,
per favore, ripulisci questo disastro.” Tra le mani della
ragazza si
materializzò un aspirapolvere e, dopo che la ragazza le
diede qualche
indicazione, questa si mise ad aspirare il sangue rimasto. Sul marmo
non rimase
neanche una macchia di sangue.
“Che
facciamo ora, capo?” Nobunaga controllò che sulla
sua katana non fossero
rimaste macchie di sangue, una volta constatato che la lama era
immacolata,
come sempre, la rimise nel fodero.
“Quello
che stavamo facendo prima di incappare in questo
inconveniente.”
i
don't know what's worth fighting for
or why i have to scream
i don't know how i got this way
i know it's not alright
so i'm
breaking the habit
tonight
Quando
aprì gli occhi vide le ossa.
Ossa
lunghe e corte, spesse e sottili, bianche, gialle, scure. Ricoprivano
la parete
scrostata dal pavimento al soffitto. Erano a centinaia: inchiodate a
formare
dei disegni, nel mosaico di un pazzo.
Abbassò
gli occhi, dolenti e appiccicosi. Ad Amaya si accapponò la
pelle. Cercò di
mettersi a sedere. Il vago senso di rigidità intontita
avvampò in dolore così
all’improvviso che fu quasi sul punto di vomitare. La stanza
buia prese a
vibrare e a sfocarsi. Era tenuta ferma e sdraiata su qualcosa di duro.
La sua
mente era come piena di fango, e non riusciva a ricordare come fosse
arrivata
lì.
La
testa le rotolò di lato e vide un tavolo; su di esso stava
un vassoio di
metallo, e sul vassoio un
attento
assortimento di strumenti : tenaglie, pinze, aghi e forbici; una sega
piccola
ma molto professionale. Almeno una dozzina di coltelli, di tutte le
forme e
dimensioni. I suoi occhi si sbarravano via via che sfrecciavano lungo
le loro
lame lucide – ricurve, dritte, i bordi frastagliati, crudeli
e bramosi alla
luce del fuoco. Gli strumenti di un chirurgo?
O di un torturatore?
“Frau?”
La sua voce era uno squittio spettrale. La lingua, le gengive, la gola,
i
condotti del naso, tutto scorticati come carne scuoiata.
Tentò di muoversi
ancora, e riuscì appena a sollevare la testa. Persino quel
poco sforzo le
sferrò una pugnalata dolorosa lungo il collo e la spalla,
diffondendo un
pulsare sordo giù per le gambe, lungo il braccio destro e
attraverso le
costole. Il dolore portò con sé la paura, e la
paura altro dolore. Il respiro
le si affannò, tremate e sibilante dalle narici doloranti.
Clic,
clic.
Si
raggelò, con il silenzio a pizzicarle le orecchie. Poi ci fu
un raschiare,
quello di una chiave in una serratura. Allora Amaya prese a contorcersi
freneticamente,
col dolore che esplodeva in ogni articolazione, il sangue martellante
dietro
gli occhi.
Una
porta cigolò aprendosi e sbatté nel richiudersi.
Dei passi sulle assi nude,
quasi senza far rumore, eppure ciascuno le pugnalò una
stilettata di paura in gola.
Un’ombra si proiettò
sul pavimento
enorme, contorta, mostruosa. I suoi occhi si tesero ai margini, non
poteva fare
altro che aspettare il peggio.
Una
figura si avvicinò all’ ingresso, la
superò camminando dritta verso una
credenza. Un uomo di statura media, a dire il vero, dai corti capelli
candidi.
L’ombra deforme era stata causata da un sacco di tela sulla
spalla.
Canticchiava stonato tra sé mentre prendeva a svuotarlo,
disponendo ogni
articolo sul proprio scaffale.
Se
era un mostro, pareva uno dall’aria comune, con un occhio per
i dettagli.
Chiuse
gentilmente le finestrelle della credenza, ripiegò il sacco
vuoto due volte e
lo fece scivolare sotto l’armadio. Si tolse il giaccone
macchiato e lo appese a
un gancio, lo spazzolò con mano vivace, si voltò
e si arrestò di colpo: un
volto pallido, magro. Non vecchio, ma profondamente segnato, con zigomi
duri e
occhi famelici accesi nelle occhiaie profonde.
Si
guardarono per un momento, e parvero entrambi scioccati. Poi le labbra
di lui
si contorsero in un sorriso malsano.
“Sei
sveglia!”
“Chi
sei?” Un suono graffiante e terrorizzato le raspava in gola.
“Cypher,
per quanto possa servire. Basti dire che sono uno studente delle
Scienze
fisiche.”
“Un
dottore?”
“Un
guaritore, tra le altre cose. Come avrai capito, sono soprattutto un
appassionato di ossa. È per questo che sono così
contento che tu sia… caduta
nella mia vita.” Sorrise di nuovo, ma era come il ghigno dei
teschi, gli occhi
non vi prendevano parte.
“Come
sono…” Amaya doveva lottare con le parole, la
mascella rigida come cardini
arrugginiti. “Cose sono arrivata qui?”
“Ho
bisogno di corpi per il mio lavoro. E talvolta ce ne sono dove ti ho
trovato.
Ma prima d’ora non ne avevo mai trovato uno vivo. Ritengo ti
possa definire una
donna spettacolarmente fortunata.” Sembrò pensarci
un attimo. “Saresti stata
più fortunata ancora a non cadere affatto, in primo luogo,
ma… dal momento che
è successo…”
“Dov’è
mio fratello? Dov’è Frau?”
“Frau?”
La memoria si riaffollò in un istante accecante. Il sangue a
fiotti tra le dita
serrate di suo fratello, la lunga lama della katana conficcata in petto, mentre lei
guardava impotente. Il
suo viso smorto, imbrattato di rosso.
Gemette,
si dimenò e si contorse. Il dolore balenò in ogni
arto e la fece contrarre
ancora, rabbrividire e rantolare, ma era bloccata. Il suo ospite la
guardò
lottare, il viso cereo vuoto come paglia bianca.
Si
accasciò indietro, gemendo per il dolore che peggiorava.
“La
rabbia non serve a nulla.” Poteva solo ringhiare, tracannando
respiri mozzi
attraverso i denti stretti. “Immagino che adesso tu stia
soffrendo un po’.”
Aprì un cassetto della credenza e tirò fuori un
fazzoletto umido. “Cercherei di
abituarmici, se ci riesci.” Si avvicinò e si
chinò verso di lei. “Temo che il
dolore diventerà il tuo compagno costante.” Vide
il fazzoletto avvicinarsi al
suo volto, mentre iniziava a sentire un odore dolciastro. “Questo aiuterà.”
Hisoka
aveva trovato quello che poteva essere definito un buon passatempo, se
non
altro era qualcosa di nuovo. Tuttavia, prima di iniziare anche solo a
pensare
chiaramente a cosa fare, decise di tornare velocemente al Covo, giusto
per
avvisare dove se ne sarebbe andato, non sia mai che una buona occasione
di
battersi con il Capo potesse andare sprecata semplicemente
perché Machi non era
riuscita a trovarlo.
Guardò
giù dalla balaustra, un manto di foglie secche e marce
faceva da tappeto per gli
alberi contorti, e chissà a quanti altri cadaveri. Storse la
bocca, in fondo un
po’ gli dispiaceva, aveva trovato interessanti sia Frau che
Amaya, non a tal
punto da ritrovarsi con una nuova ossessione, certo, ma era sicuro che
quei due
fratelli avessero del potenziale. Era un peccato che andasse sprecato
così, era
anche un peccato che lui non potesse più far nulla, se non
scendere a dare un’occhiata.
Infondo non aveva salutato per bene né Frau né
Amaya. Almeno quello poteva
farlo.
Quando
giunse nel sottobosco si accorse di non poter fare neanche quello,
almeno, non
con Amaya. Se il corpo di Frau era conficcato alla base di un albero,
il corpo
della sorella non si trovava da nessuna parte.
clutching
my cure
i
tightly lock the door
i
try to catch my breath again
i
hurt much more
than
anytime before
i
had no options left again
“Tornata
tra noi?” Il volto dell’uomo balenò a
fuoco, oscillando molle e bianco come una
bandiera di resa. “Ero preoccupato, lo confesso. Non mi
aspettavo ti
svegliassi, ma ora che lo sei, sarebbe un peccato
se…”
“Frau?”
La sua testa galleggiava ancora. Grugnì, cercando di far
forza su una caviglia,
ma il dolore lancinante ricacciò avanti la
verità, schiacciandole il viso in
una smorfia disperata.
“Ancora
dolore? Forse conosco un modo per tirarti un po’ su di
morale.” Si sfergò le
mani. “I punti sono tutti tolti, adesso.”
“Quanto
tempo ho dormito?”
“Poche
ore.”
“E
prima?”
“Dodici
settimane o giù di lì.” Lei lo
fissò di rimando, intontita. “Tutto
l’autunno e
una parte dell’inverso, il nuovo anno è presto in
arrivo. Un buon momento per
un nuovo inizio. Che tu ti sia risvegliata è a dir poco
miracoloso. Le lesioni
erano… beh, penso che sarai soddisfatta del lavoro che ho
fatto. Io lo sono.”
L’uomo le fece scivolare sotto la testa un cuscino logoro,
con la stesa
delicatezza che userebbe un macellaio con la propria carne. E le
alzò il mento
in modo che potesse osservare verso se stessa. E così non ci
fu altra scelta
che farlo; il suo corpo era un profilo gibboso sotto la rozza coperta
grigia,
con tre cinture di cuoio su petto fianchi e caviglie.
“Le
cinghie sono per la tua sicurezza, per evitare che ruzzolassi dalla
panca
mentre dormivi” Si lasciò sfuggire una risatina
improvvisa. “Non vorremmo ti
rompessi qualcosa, no? Ah… ah! Non vorremmo ti rompessi
proprio nulla.” Slacciò
l’ultima cinghia e prese la coperta tra pollice e indice.
La
mise via come un teatrante che esponga la sua merce in vendita.
Amaya
riconobbe il proprio corpo a malapena. Completamente nudo, scarno e
appassito,
la pelle pallida tutta stiracchiata
sulle sgraziate sporgenze
delle
ossa, interamente macchiata di grossi lividi
come fiori neri. I suoi occhi saettarono sulla carne
devastata,
aprendosi sempre di più via via che si sforzava di assorbire
il tutto. Era
attraversata per intero da linee rossastre: scure e rabbiose, bordate
di carne
rosa in sporgenza, o punteggiate di macchioline dei punti tirati.
C’erano
quattro linee, una sopra l’altra, che seguivano le curve
delle sue costole da
un lato e interrompevano più volte il tatuaggio del Ragno.
Altre correvano giù
spigolose lungo i fianchi, gambe, il braccio destro.
Cominciò
a tremare. Quella carcassa macellata non poteva essere il suo corpo. Il
respiro
le sibilò tra i denti che sbattevano, e la gabbia toracica
si sollevò a tempo.
“Lo
so! Impressionante, eh?” L’uomo si sporse su di
lei, seguendo la scala di segni
rossi sul suo seno con dei movimenti rapidi della mano.
“Le
costole qui e lo sterno erano piuttosto fracassati. È stato
necessario
praticare delle incisione per ripararli, capisci, e poi lavorare sul
polmone.
Ho mantenuto il taglio al minimo, ma vedi bene come il
danno…”
Gemette
di nuovo.
“È
dell’anca sinistra che sono particolarmente
orgoglioso.” Indicò uno zig-zag che
correva dal suo stomaco alla parte interna della gamba, accompagnato su
entrambi i lati da tracce di puntini rossi. “Il femore, qui,
purtroppo si era
spezzato.” Fece schioccare la lingua. “Ho dovuto
accorciare un po’ la gamba, ma
per un colpo fortunato l’altra tibia era a pezzi, ho potuto
rimuovere una
piccola porzione di ossa e colmare la differenza. Un ginocchio
leggermente più
alto dell’altro.”
Amaya
gemette di nuovo, e sollevò la mano destra. O quella tremula
parodia si una
mano che ciondolava all’estremità del suo braccio.
Il palmo stava piegato,
rattrappito, con una gran brutta cicatrice dove il filo di Machi
l’aveva
tagliata a fondo di lato. Le dita erano piegate come radici di alberi,
schiacciate assieme , il mignolo spuntava con un angolatura strana. Il
respiro
le sibilò tra i denti stretti, mentre cercava di chiudere il
pugno. Le dita si
mossero appena, ma il dolore le esplose lungo il braccio.
“Il
meglio che potessi fare. Ossa piccola, vedi, gravemente danneggiate, e
i
tendini del mignolo erano messi parecchio male.” Il suo
ospite sembrava deluso.
“Un brutto colpo, è ovvio. I segni
svaniranno… un po’. Ma a dire il vero,
considerando la caduta… bene, direi.”
i'll
paint it on the walls
cause
i'm the one at fault
i'll
never fight again
and
this is how it ends
“Ecco.”
Lui le fece scivolare la mano dietro la testa, gentile ma fermo, gliela
sollevò
e le accostò alle labbra una bottiglia d’acqua.
Lei deglutì, ancora e ancora,
poi i suoi occhi corsero alle dita di lui. Poteva sentire dei bozzi
sconosciuti
lì, ai lati della testa. “Sono stato costretto a
rimuovere diversi pezzi del
tuo cranio. Li ho sostituiti con delle monete.”
“Monete?”
“Preferiresti
ti avessi lasciato le cervella esposte? L’oro non si
arrugginisce, non
marcisce. Certo, si tratta di un trattamento costoso, ma ritengo i miei
soldi
ben spesi. Il cuoio capelluto darà un po’
fastidio, ma i capelli ricresceranno.
E li hai così belli. Chiari come la neve.”
“Chiudilo.”
“Non
si chiude!” Sibilò lei, con le dita che si
piegavano appena e il mignolo che se
ne stava dritto. Ricordava quanto fosse veloce con le dita, rapida e
sicura, la
frustrazione e la rabbia mordevano persino più del dolore.
“Non si chiude!”
“Insisti.”
“Vuoi
provare tu, dannazione?”
“Molto
bene.” L’uomo serrò inesorabile la
propria mano su quella di lei,
costringendola a piegare le dita a pugno con uno scricchiolio. Il
dolore
divenne tanto forte da impedirle di urlare. “Dubito tu
capisca quanto ti sto
aiutando” Strinse più forte. “Non si
cresce senza dolore. Non si migliora senza
di esso. La sofferenza ci porta a ottenere grandi cose.
L’amore è un bel
cuscino su cui riposare, ma solo l’odio può fare
di te una persona migliore.
Ecco.” Mollò la presa e lei ricadde indietro,
piagnucolando, mentre fissava le
sue dita tremanti che si schiudevano gradualmente per metà,
con le cicatrici
che spiccavano violacee. Avrebbe voluto ucciderlo, urlargli contro ogni
maledizione a lei nota, ma aveva troppo bisogno di lui. Così
tenne a freno la
lingua.
“Adesso
chiudi la mano.” Lei fissò quel volto, vuoto come
una tomba scavata di fresco.
“Adesso, o dovrò farlo io per te.” Amaya
ringhiò per lo sforzo, il braccio
fremette fino alla spalla. A poco a poco a poco le dita si chiusero
appena, con
il mignolo ancora sporgente dritto.
“Ecco
qua, stronzo!” Gli agitò il proprio pugno
intorpidito, bitorzoluto e storto
sotto il naso. “Ecco qua!”
“E
vediamo se riesci a…” Lei strillò, le
ginocchia vacillanti, e sarebbe caduta se
lui non l’avesse presa.
“Ancora?”
Lui aggrottò la fronte. “Ma dovresti essere in
grado di camminare. Le ossa sono
rinsaldate. Doloroso, naturalmente, ma… forse
c’è ancora un frammento in una
delle articolazioni. Dov’è che ti fa
male?”
“Dappertutto!”
“Mi
fido che non si tratti solo della tua testardaggine. Mi dispiacerebbe
aprirti
di nuovo le ferite sulle gambe inutilmente.” Infatti, dopo
poco, Amaya riuscì a
stare dritta da sola. “Avanti ora.”
Lo
specchio era attraversato da un’incrinatura, ma lei
desiderò che fosse assai
più rotto.
“I
tuoi capelli
sono candidi come la neve!”
Rasati lungo il lato sinistro della testa, erano poi
ricresciuti come stoppa. Il resto pendeva liscio, aggrovigliato e unto
come
vecchie alghe.
“I
tuoi occhi
brillano come zaffiri accecanti, inestimabili!”
Iniettati di
sangue, le ciglia incollate e gonfie, bordati di rosso scuro lungo le
occhiaie
violacee per il dolore.
“Labbra
come petali
di rosa?”
Screpolate, riarse, una sorta di grigio spellato.
“Sei
particolarmente bella stamattina, Amaya.”
Su ogni lato del collo, rinsecchito
come un fascio di corde pallide, le cicatrici rosse lasciate dal filo
di Machi.
Sembrava una donna appena morta di peste. Con un aspetto appena
migliore dei
teschi accatastati sul caminetto.
Al
di là dello specchio, il suo ospite stava sorridendo.
“Che ti avevo detto? Stai
bene.”
“La
Dea della
Guerra in persona!”
Sogghignò lei, e il volto che incarnava la vendetta
ricambiò.
NdA
Capitolo
di transizione, ma comunque fondamentale, dal prossimo vedremo la
nostra cara
protagonista (che ehi, non è morta! Quasi) darsi da fare e
uscire da questo
buco pieno di ossa, farà una bella sorpresa a una certa
persona e inizierà a
mettere le basi per il suo piano di vendetta. Quindi spero che il
prossimo
capitolo risulti ben più interessante di questo che,
nonostante mi sia
divertita a scrivere, posso immaginare sia un po’ palloso.
Ringrazio
infinitamente chi ha recensito e chi ha inserito la storia nelle
seguite/preferite/ricordate.
Ps.
Un piccolo parere mi farebbe assai piacere, anche da voi, lettori
silenziosi
*-*
Pps.
Il banner cambierà spesso, se ve lo state chiedendo, prima
avevo inserito Frau
a sinistra, in questo invece c’è Cypher, il
‘caro amico’ che ha curato Amaya.
Ppps.
Sto davvero cercando di rendere i
capitoli più brevi, o li preferite così, dei
mezzi papiri?
Quindi
a presto, spero :)
|
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Capitolo 3 *** Bugiardo ***
Capitolo
2. Bugiardo
[Florence
and The Machine – Seven Devils]
Holy
water cannot help you now
Thousand armies couldn’t keep me out
I don’t want your money
I don’t want your crown
See I’ve come to burn your kingdom down
Scese
dalla panca e afferrò un paio di aghi e un coltello dal
vassoio. Barcollò lungo
il corridoio, con le assi che scricchiolavano sotto ai piedi nudi, poi
in
camera da letto, facendo una smorfia mentre tirava su i vecchi stivali
da sotto
il letto.
Poi
di nuovo nel corridoio, a sudare di fatica e dolore, e di paura. Si
inginocchiò
davanti alla porta, o quantomeno si abbassò per gradi
scricchiolanti fino a
quando le ginocchia in fiamme poggiarono sulle assi. Era parecchio
tempo che
non lavorava con una serratura: si mise a tirare e spingere con gli
aghi,
armeggiando con la mano storta.
Fortunatamente
la serratura non era di quelle buone. I cilindri abboccarono, e
girarono con un
ticchettio soddisfacente. Amaya afferrò la maniglia e
spalancò la porta.
Era
notte, e di quelle toste. Una pioggia sferzava un cortile invaso di
erbacce
rigogliose, sfogliate da un tenuissimo bagliore di luce lunare, i muri
fatiscenti lucidi
per l’umidità.
Nottataccia per un’invalida che se ne stesse
all’aperto. Ma con il vento gelido
che le sferzava il viso , l’aria limpida in bocca, si sentiva
quasi di nuovo
viva.
Lasciando
la porta aperta andò a recuperare gli abiti con cui era
caduta dalla montagna,
a parte un paio di macchie slavate erano ancora ben messi, dopo averli
indossati frugò nelle tasche, in cerca di qualcosa di utile,
qualcosa che di
certo si era dimenticata di avere. E lì, con i bordi
rovinati e la superficie
lucida, trovò una carta da gioco.
Storse
la bocca; nulla di davvero utile. forse. Si avviò nella
notte, con le gambe
ancora un po’ doloranti.
“Tu
hai un diavolo
dentro”
Pensò a qualunque cosa le servisse per poter continuare, con
i ricordi di suo
fratello a precedere di gran carriera i suoi stivali goffi.
Seven
devils all around me
Seven devils in my house
See they were there when I woke up this morning
I’ll be dead before the day is done
HIsoka
camminava tranquillo nel corridoio della Torre Celeste, giocherellando
con una
carta da gioco, avvertiva una lieve presenza poco più
avanti, una presenza
celata con l’In, una tecnica eseguita egregiamente, ma quel
giorno, dopo un
combattimento che non era stati così male, il prestigiatore
era particolarmente
sensibile. Quindi quando giunse davanti alla sua stanza aprì
la porta con un
sorriso appena accennato.
Le
luci erano spente, solo dalle tende filtrava una tenue luce che andava
ad
illuminare una figura seduta ad un tavolo. Aguzzò la vista e
vide la sua aura
muoversi placida attorno a lei; ora che era entrato nella stanza aveva
smesso
di utilizzare l’In, e la sua energia sembrava muoversi come
la superficie del
sole, ma del tutto priva della sua stessa luminosità,
sembrava infatti confondersi
con l’oscurità della stanza.
“Amaya,
quale piacevole sorpresa~”
Di certo lui non se la ricordava così.
“Non
sei sorpreso.” La vide muoversi, ancora ammantata
dall’oscurità, si mise in
piedi, dandogli un fianco.
Lui
sorrise.
“Perché
sei qui?”
“Volevo
restituirti questa. Il tuo due di spade.*”
Con un movimento rapido e preciso lanciò nella sua direzione
la vecchia carta
da gioco.
“Fare
tutta questa strada solo per una carta non è da
te.” Rispose dopo averla preso
al volo ed essersela rigirata tra le mani un paio di volte, per poi
farla
sparire. Lei rimase in silenzio “Non è che hai
bisogno di qualcos’altro?”
Ancora silenzio, Amaya gli lanciò solo
un’occhiataccia, che purtroppo nel buio
andò persa.
“Quello
che voglio non ti deve interessare.” Era andata lì
con tutta l’intenzione di
fare una capatina ed andarsene, o almeno era quello che pensava lei, la
verità
era che non sapeva come cominciare, e svegliarsi dopo settimane di
quella che
per lei era stata sola e semplice morte in un mondo che si era rivelato
il
peggiore incubo l’aveva completamente destabilizzata. Frau
era morto, e sarebbe
dovuto esserlo anche lei.
“Peccato,
ormai mi hai già incuriosito~”
Ci fu un momento di stasi, che venne interrotto dal
prestigiatore, che mosse diversi passi verso di lei. “Come
potrebbe non essere
curioso il fatto che tu sia viva, dopo essere stata buttata
giù da una
montagna?”
“Me
ne vado, non dovevo venire qui.”
“Ah,
ma io so cosa vuoi, e non è difficile da
immaginare.” Un’altra occhiataccia, e
lui ancora mosse dei passi verso di lei.
“Dovresti
farti gli affari tuoi.”
“I
miei affari sono incredibilmente noiosi, ultimamente.”
“Bugiardo.”
Lui sorrise ancora, senza negare.
“Ma
i tuoi sembrano incredibilmente interessanti.”
Continuò lui come se non
l’avesse neanche interrotto.
“Cosa
vuoi?” Lo aggredì alla fine lei.
“Cosa
vuoi tu, piuttosto? Non sei venuta qui per iniziare la tua vendetta?
Non sei
venuta qui per chiedere il mio aiuto?” Amaya
sobbalzò, forse era quello il
motivo per cui aveva fatto tutta quella strada, la sua mente era ancora
confusa, e doveva aver scelto istintivamente l’opzione
migliore. Lei arretrò,
andando quasi ad appoggiare le spalle contro la finestra “O
solo perché vuoi
passare una notte divertendoti un po’?”
“Sei
disgustoso.” Il cuore le martellava in petto; aveva deciso
davvero di andare da
lui per chiedergli aiuto, o
semplicemente perché lui sembrava essere l’unico
essere umano degno di fiducia?
O forse un semplice errore?
In
quel momento lo spinse via, accorgendosi però che
l’unica via di fuga era
bloccata dal prestigiatore, a meno che non volesse camminare sul letto
e andare
dritta verso la porta, ma considerate le condizioni delle sue gambe
camminare
su una superficie molla non le avrebbe garantito un passaggio sicuro,
tutt’altro.
“Allora?”
“Credo…
di essermi persa, più o meno.” La stanchezza che
avvertiva sul corpo, o forse
il dolore alla gambe la spinsero a sedersi sul bordo del letto. Si era
decisamente persa; sapeva a malapena ciò che voleva, tutto
ero offuscato dalla
rabbia e dal dolore: vendetta.
Si
prese la testa tra le mani, tentando di ragionare coerentemente, mentre
Hisoka
continuava ad osservarla, e a rimanere incantato dai movimenti
repentini e
morbidi della sua aura, ora sì
che
poteva considerarla veramente
interessante.
Le
diede il suo tempo e alla fine decise lei stessa di parlare.
“Mio
fratello è morto. Mi hanno tolto tutto quello che avevo,
l’hanno ucciso, perché
sono tutti dei codardi, e avrebbero fatto bene ad uccidere anche me,
perché non
me ne lascerò scappare neanche uno, ora. Mi hanno buttato
giù dalla loro
dannata montagna e un pazzo mi ha raccolto, riparandomi i buchi che
avevo nel
cranio con delle monete, per non fare uscire le cervella.”
Frau era morto, e
ogni cosa buona in lei se n’era andata con lui. Il modo in
cui l’uno faceva ridere
l’altra. Quella comprensione che nasce da una vita insieme,
andata. Era stato
casa, famiglia, amico e altro ancora. Tutti uccisi in una volta. Tutto
spento
con la noncuranza di
una candela a buon
mercato. La mano era rovinata. Quelli che stringeva al petto erano i
suoi
ridicoli resti doloranti. Il modo in cui sguainava una lama, impugnava
una
penna, tutto schiacciato sotto lo stivale di Machi. Il modo con cui
camminava,
correva, cavalcava, tutto sparsi in pezzi già dal fianco
della montagna sotto
il balcone di Chrollo. Il suo posto nel mondo, il lavoro di anni,
costruiti con
il proprio sudore e sangue, ciò per cui aveva lottato,
sudato, andati in fumo.
Tutto ciò per cui aveva lavorato, sperato, sognato.
Morto.
“E
ora sono a pezzi, letteralmente, non posso più impugnare un
arma con la mano
destra, non posso più correre come una volta, non posso
più recuperare nulla.”
Quelle
cose non se n’erano solo andate, le erano state rubate. Suo
fratello non era
solamente morto, era stato assassinato. Macellato come una bestia.
“Voglio
farli fuori, uno per uno, voglio vendicarmi.” A Hisoka
quell’idea di certo non
dispiaceva, non facendo realmente parte del Ragno, non provava nessun
obbligo
verso di loro, non aveva motivo per proteggerli.
“Chi
sono i tuoi obbiettivi?”
Si
costrinse a vedere i loro volti uno per uno.
“Machi” Che con forza si abbatteva
sulla sua mano, mentre le ossa si spezzavano.
“Feitan” Con gli occhi freddi che
fissavano il cadavere di suo fratello, infastidito.
“Phinks” Un uomo che aveva combattuto
spesso
al fianco di suo fratello, anno dopo anno. “Mi
dispiace davvero.” Poi la sua pugnalata al fianco.
“Nobunaga.” Che con
incredibile freddezza trapassava con la sua spada il corpo di suo
fratello.
“Shizuku” Che se ne stava ad osservare, aspettando
che finisse tutto, come se
stesse osservando un programma neanche troppo interessante.
“Shalnark” Anche
lui. “Non avrò parte in
tutto ciò!”
Ma questo non aveva cambiato niente.
“Chrollo.”
La testa del Ragno, che sarebbe caduta per mano sua e-
“No.”
Lei si voltò verso di lui, un’espressione stupita
dipinta sul volto. “Non
ucciderai Chrollo.” Lei era già pronta ad
arrabbiarsi ed inveire contro di lui;
non avrebbe rovinato il suo piano, la sua vendetta.
“Sarò io a ucciderlo.” Lei
rimase sorpresa. “Ti aiuterò nella tua vendetta, a
patto che tu lasci Chrollo a
me, voglio essere io a ucciderlo.”
“Si
può fare, ma voglio essere presente anche io, devo vederlo
morire.”
“Bene
allora, con chi intendi cominciare?”
“Con
il primo che mi capita sotto le mani.”
“Allora
in questo posso darti un consiglio, anzi, ti dirò un piccolo
segreto; qui alla
Torre Celeste, quando combatto certi incontri e rimango
ferito-”
“Tu, ferito?”
“Oh,
rende le cose più interessanti, la maggior parte delle
volte, e la gente qui
non fa poi così schifo. Comunque, di solito viene Machi a
medicarmi con la sua
incredibile abilità Nen.”
“È
ammirazione quella che sento nella tua voce?”
“Oh,
dovresti vederla mentre lavora, quanta maestria.”
Avvicinò il suo volto a
quello della ragazza, che si piegò indietro. In un attimo
nella sua mano
sinistra si materializzò una lama corta e pratica.
“Bene
allora.” Appoggiò una lama sul suo collo.
“Ma sappi che se penserai anche solo
a tradirmi, a colpirmi alle spalle finirai in pezzi prima ancora che tu
te ne
renda conto.”
“Non
dovresti preoccuparti di questo, piuttosto dovresti
ringraziarmi.” Si avvicinò
ulteriormente, nonostante la lama gli stesse tagliando il lato del
collo, i
volti vicini.
“Non
ho motivo per farlo.” La sua voce si riempì di
orgoglio, non avrebbe avuto
davvero bisogno di lui, o almeno era quello che credeva. Il sangue del
prestigiatore colò sulla lama e bagno la sua mano, ma lui
non sembrò curarsene.
“Io
invece credo di sì, ti sto dando un’occasione
incredibile per liberarti del tuo
primo bersaglio, e non dimenticare che ti sto ospitando qui.”
“Di
che diavolo stai parlando?”
“Evidentemente
non hai un posto dove stare, e questa è la tua unica
possibilità. Come
pagamento… credo mi basterà quella.”
Disse mostrandole la carta che poco prima
aveva fatto sparire.
“Bugiardo.”
Con un movimento fulmineo che lei riuscì appena a percepire
la mano di Hisoka
andò a stringere il suo polso, allontanando appena la lama
dal suo collo,
mentre il peso del suo corpo gravava all’improvviso su di
lei. Probabilmente
non se l’aspettava nessuno dei due, ma il braccio destro di
Amaya cedette e
finirono sdraiati, uno sopra l’altro. Amaya
avvertì il dolore propagarsi come
fuoco in tutto il suo corpo, imprecò e si dimenò,
finendo solo per aumentare
quella tortura che le stava sconquassando le ossa.
“Maledetto!
Levati!” Sentì una lieve risata, che
servì solo ad aumentare la sua rabbia.
“Non
ti lascio andare da nessuna parte.” La sua mano corse sul suo
fianco,
percorrendolo maliziosamente. A quel punto Amaya riuscì a
districare le gambe
dal groviglio che avevano creato con quelle del prestigiatore e ad
assestare
una bella ginocchiata in mezzo alle gambe di quest’ultimo. O
almeno era quello
ch aveva sperato visto la mano che le teneva il polso si
spostò sul suo
ginocchio, prima che potesse fare qualche danno. Ora che aveva la mano
sinistra
libera, non forte come lo era stata la destra, certo, ma comunque
forte, non
perse tempo a materializzare un’arma, ma mirò
semplicemente al volto dell’uomo,
con l’intento di sfregiarlo. Prima ancora che potesse sentire
la sua pelle
sulle nocche il peso sul suo corpo svanì
all’improvviso.
Con
un altro rapido movimento Hisoka si era messo in piedi, con le
ginocchia che
sfioravano appena quelle di Amaya, la quale si accorse in quel momento
che le
spalle del prestigiatore erano mosse da una risata mal trattenuta.
“Ah,
quando ti arrabbi sei adorabile.” Stava per insultarlo
pesantemente, quando
avvertì la sua aura, cupa e pressante, proprio come la
ricordava, avvolgere lei
e riempire la stanza. Brividi le corsero per la schiena, provocandole
un
piacevole solletico.
Ancora
con il fiato grosso, Amaya, materializzò una lama nella sua
mano sinistra, e
puntandola verso il prestigiatore, si girò e
gattonò al contrario sul letto,
senza mai perderlo d’occhio, fino a che i suoi piedi non
toccarono il pavimento.
In quel lasso di tempo il prestigiatore non aveva mai distolto lo
sguardo dalla
ragazza e dalla sua espressione di rabbia e dolore. Perché
le fitte alle ossa
erano ancora ben forti.
Amaya
fece un passo indietro, riducendo la distanza che la separava dalla
porta, ma
non riuscì ad andare oltre, perché si
sentì strattonare e, visto il suo
precario equilibrio sulle gambe doloranti, perse
l’equilibrio, finendo di nuovo
distesa sul letto. In quel momento se la prese con se stessa; non aveva
preso
in considerazione la Bungee-Gum di Hisoka.
“Ho
detto che non ti lascio andare da nessuna parte.”
“Che
cosa vuoi?” Non c’era più rabbia nella
sua voce, si era più o meno rassegnata,
e dalla sua voce ora traspariva solo che stanchezza.
“Te.” Amaya
rimase impassibile mentre
sollevava il torace dal materasso; sentiva le fitte percorrerle tutto
il corpo,
quel giorno aveva viaggiato molto, e ora il suo corpo ne risentiva.
“Sono
a pezzi Hisoka, come puoi credere che io-” Con sua sorpresa,
si sporse verso di
lei e posò un bacio sulla sua guancia pallida. Le sue labbra
indugiarono lì,
quasi giocando e beandosi della sua reazione. Lei chiuse gli occhi, il
cuore
che batteva con rabbia. Non si mosse, quasi non respirò,
mentre sentiva la
bocca di Hisoka scivolare verso la sua. Le baciò le labbra
in modo
appassionato, un morso di bramosia appena smorzato dalla pressione. Lei
aprì
gli occhi e lo scoprì a fissarla. Il suo sguardo aveva in
sé una ferocia
animalesca che le fece correre una sensazione di ansia su per la spina
dorsale.
“Questo
puoi farlo?” Il suo sguardo penetrante restò
inchiodato su di lei. Che non
annuì, ma non negò neanche. Si piegò
di nuovo per sfiorarle con le labbra prima
le guancie, poi il mento, quindi la gola. Lei sospirò e
Hisoka smorzò il suo
leggero ansito con un bacio ardente, infilandole la lingua tra le
labbra
socchiuse. Amaya lo accolse, vagamente conscia che la sua mano adesso
era
dietro di lei e scivolava sotto l’orlo della sua camicia.
Tuttavia non reagì,
neanche quando i suoi baci si fecero più possessivi e i loro
corpi non si
avvicinarono ulteriormente.
In
quel momento Hisoka si fermò, osservandola attentamente, con
uno sguardo
vagamente deluso.
“Non
capisci Amaya? Io ti voglio.” Amaya chiuse gli occhi,
sentendo chiaramente le
sue mani indugiare ancora sul suo corpo. Lei cosa voleva? La sua mente
era
piena di immagini cruente; lame insanguinate, dita macchiate di sangue,
occhi
strabuzzati, ossa rotte, dolore. Non riusciva a liberarsene.
“Amaya,
dimmi che anche tu lo vuoi.” La sua voce era un sussurro, la
promessa di un
segreto mantenuto nell’oscurità.
“Io…”
Tremò, quando la sua mano si strinse sul suo polso destro.
Abbassò lo sguardo e
incontrò il sua mano inguantata e tutto tornò
velocemente a galla. Come poteva
ignorare tale dolore? Un tale sfregio? “vorrei.” Si
tirò su, tremante di
risentimento, sedendosi sul bordo del letto.
“Tu, è questo che vuoi?”
Sfilò il guanto che le fasciava la mano distrutta
e la sventolò con rabbia in faccia al prestigiatore.
“Io non sono più nulla, se
non un cadavere a pezzi rimesso insieme.” Sollevò
un bordo della camicia,
mettendo in mostra lo sfregio che attraversava tre volte il suo
costato,
cancellando quasi del tutto il tatuaggio del Ragno. “Come
puoi desiderare uno
scempio del genere?” Con un movimento fluido il prestigiatore
si avvicinò
sorridendo, portando una mano dietro la sua testa e avvicinando
nuovamente i
loro volti. Non ebbe bisogno di parole per farle capire che tutto
quello non
contava, che non aveva alcuna importanza, poiché Hisoka
trovava che quelle
cicatrici si intonassero perfettamente con la sua persona, rendeva il
tutto
incredibilmente più affascinante, più
interessante. Mentre Amaya tremava, quasi
terrorizzata dall’essere accettata.
Le
loro labbra si unirono di nuovo, e questa volta Amaya non
riuscì ad opporsi,
forse era proprio di quello che aveva bisogno per cancellare
momentaneamente il
dolore e il sangue dalla sua mente.
They
can keep me out
‘Till I tear the walls
‘Till I save your heart
And to take your soul
For what has been done
Cannot be undone
In the evil’s heart
In the evil’s soul
Inaspettatamente
Hisoka si era staccato da
lei dopo pochi istanti, dirigendosi verso il bagno, dicendole che si
sarebbe
semplicemente fatto una doccia rassicurandola che sarebbe tornato in un
batter
d’occhio. Come se Amaya temesse di essere lasciata sola.
Piuttosto, ciò che accadde in un batter
d’occhio fu il crollo della ragazza, che per via della
stanchezza, del dolore,
e di chissà cos’altro, appoggiò la
testa sul cuscino e, ancora prima di sentire
l’acqua scrosciare nella doccia, finì nel mondo
dei sogni, senza riuscire a
ragionare per un solo istante su tutto quello che stava accadendo,
né per
mettere ordine nella sua testa.
Quando il prestigiatore uscì dal bagno, con
solo un asciugamano intorno alla vita, e si accorse della figura
immobile
collassata sul suo letto, quasi gli venne da ridere. Si sedette sul
bordo del
letto e osservò il suo volto, finalmente rilassato, le
spostò uno ciocca di
capelli dal volto pensando che era da tanto che non aveva qualcosa,
qualcuno,
con cui divertirsi un po’. Era certo che ormai Amaya fosse
cambiata
completamente, ciò che sperava ardentemente era che
movimentasse un po’ la sua
situazione noiosa alla Torre, visto che le persone che stava aspettando
non
erano ancora arrivate.
Quello che provava verso di lei era un
desiderio diverso da quello che provava verso Chrollo, la brama della
battaglia
che solo lui gli avrebbe fatto provare era indubbiamente qualcosa di
unico, ma
era certo che con Amaya il divertimento sarebbe potuto essere
semplicemente
quello di osservarla; così come si osserva un uragano
spazzare via un’intera
città.
And
now all your love will be exorcised
And we will find your sayings to be paradox
And it’s an even sum
It’s a melody
It’s a final cry
It’s a symphony
Si svegliò con l’alba che combatteva contro il
profilo dei grattacieli e delle montagne in lontananza, mentre un tenue
chiarore iniziava a invadere la stanza. La prima cosa che
sentì, ancora prima
di aprire gli occhi, fu la lievissima pressione di una mano che si
muoveva
sulla sua schiena, stuzzicandola e facendole correre brividi su per la
schiena.
“Frau?” Borbottò, ancora stordita da un
sogno
che non riusciva a ricordare, sulle labbra uno strano sapore. In
quell’istante
la mano si bloccò, per poi allontanarsi. Allora Amaya
aprì gli occhi, e non
vide colui che aveva sperato. Un volto affilato, occhi che brillavano
come
monete d’oro, trucco sbavato sulle guancia e capelli rossi
scompigliati davanti
agli occhi.
“Buongiorno.” Fece lui, ghignando. “Ti
sei
divertita questa notte?”
“Non cercare di fregarmi, ricordo benissimo
che non è successo niente.” Si
stropicciò gli occhi, e il prestigiatore si
lasciò sfuggire una lieve risata.
“Già, un peccato. Quando sono uscito dal
bagno tu dormivi come una bambina.” Continuò a
prenderla un po’ in giro,
sentendo una lieve euforia muoversi nel suo petto, a quel punto era lui
ad
assomigliare di più a un bambino.
Amaya si tirò su, sedendosi sul brodo del letto,
le giunture che dolevano e le ossa irrigidite che le facevano male,
dopo essere
state ferme immobili tutta la notte. Gemette, quando provò a
stiracchiare le
gambe.
A quel punto si perse a pensare lucidamente a
come avrebbe potuto creare un buon piano, come iniziare, come
procedere, come
terminare la sua vendetta. Mentre Hisoka continuava a stuzzicarla e a
prenderla
in giro. Il primo passo era indubbiamente Machi, ma cosa fare? Poteva
pedinarla
fuori dalla Torre o era meglio fare le cose lì dentro, dove
i segreti erano al
sicuro? Era meglio ucciderla subito o farla soffrire, distruggendole le
mani
come lei aveva fatto con Amaya, di certo voleva che sapesse per mano di
chi
fosse arrivata la morte, voleva che provasse paura, voleva che
soffrisse, come
era successo a lei.
In quel momento le venne il lampo di genio,un’idea
che, se messa in atto, avrebbe fatto tremare il Ragno, ma
ciò implicava anche
scoprirsi, e parecchio, il che significava pericolo, e morte imminente
a ogni
respiro. Ma infondo le importava poco della sua vita ormai.
“Non la ucciderò.” Sussurrò
tra sé.
“Come?” Quasi si era dimenticata di non
essere da sola. Sospirò e poi sbuffò, chiedendosi
nuovamente se andare alla
Torre Celeste fosse stata una buona idea.
“Un avvertimento; ciò che farò a Machi
sarà
un avvertimento, voglio che il Ragno sappia chi è che
taglierà loro le zampe.”
Sentì il rumore di coperte che scivolavano sulla pelle, poi
il calore di un
corpo che si appoggiava alla sua schiena, labbra che sussurravano
vicine al suo
orecchio.
“Mi sembra un’idea fantastica~”
Quelle stesse labbra che si piegarono in un sussurro, indugiando
sulla sua pelle.
Amaya rabbrividì, all’improvviso scocciata.
“Hisoka. Sei nudo.”
NdA
*IL DUE DI SPADE
Tradizionalmente
rappresenta il "sentirsi bloccati" o una separazione necessaria per
andare avanti. Tutti i due portano messaggi e notizie, e nel caso del
due di
spade sono brutte notizie.
Il due simboleggia gli
scambi, e quando è influenzato dalle spade, indica
conflitti, liti violente,
incomprensioni e pettegolezzo cattivo.
Il due di spade
rappresenta la colpa, la rabbia repressa, il risentimento e il "tenere
il
muso". Può indicare desiderio di vendetta.
Può indicare la perdita di
contatti con qualcuno o una separazione, che può voler dire
anche separarsi
dall'auto, dal proprio lavoro o da una grossa somma di denaro
(spendendolo) e
sentirsi poi in colpa. La separazione può essere temporanea
o permanente a
seconda delle circostanze e delle carte vicine.
Insomma, una carta
perfetta per questa storia.
Finalmente finito, fiù,
questo è stato decisamente uno dei capitoli più
faticosi che io abbia mai
scritto. È praticamente la prima volta che scrivo una scena
così ‘spinta’ e
ammetto che nella mia testa succedeva qualcosa di più, ma
preferisco che le
cose si evolvano con la giusta velocità. Ditemi voi come vi
pare, avrei bisogno
di consigli, perché è la prima volta che scrivo
cose un po’ più crude, in quel
senso (nude e crude, haha).
E spero che l’ultima
battuta vi abbia fatto sorridere, non ditemi che non ve
l’aspettavate ^^ Ah, il
caro Hisoka!
Grazie mille a tutti
quelli che seguono (siete più di quanti mi aspettasi, wow
*-*) e ai nuovi
arrivati.
Sotto consiglio i capitoli
rimarranno lunghi, yeh! Non sarei stata comunque in grado di accorciare
questo
qui u_u
Grazie mille a tutti e a
presto :D
P.S. Il prossimo capitolo sarà
abbastanza cruento, ma soprattutto si riunirà finalmente
alla storia effettiva
dell’anime/manga e continuerà seguendo più
o meno quest’ultima. E farò in modo di
spiegare, come si deve, come
funziona l’abilità di Amaya ^^
|
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Capitolo 4 *** Ultraviolenza ***
Capitolo 3.
Ultraviolenza
[Lana Del
Ray – Ultraviolence]
He used to call me DN
That stood for deadly nightshade
Cause I was filled with poison
But blessed with beauty and rage
He hit me and it felt like a kiss
Gli
aveva chiesto di rivestirsi, e lui, con
sua grande sorpresa, l’aveva accontentata, sapendo che
più di tanto lei non
avrebbe potuto rimandare. Tuttavia Amaya in quel momento stava
ragionando,
pensando attentamente a ogni dettaglio, con lo sguardo perso nel vuoto,
la mano
sinistra che quasi inconsapevolmente massaggiava il ginocchio
dolorante.
A un certo punto sospirò, e lo sguardo si
fece più presente e lucido.
“Il piano?” Nonostante Hisoka immaginasse che
per quella volta lui se ne sarebbe stato in disparte, non riusciva a
non essere
interessato, affascinato,da ciò che era Amaya e dal suo modo
di fare, di essere.
“La spada del Vuoto.” Prima ancora che il
prestigiatore potesse chiedersi, o chiederle, di cosa stesse parlando,
tra le
mani della ragazza si materializzò una grossa spada; la lama
nera con incisioni
lucenti sul piatto*.
La luce della stanza sembrò
venire assorbita dall’aura che impregnava quella lama e la
temperatura sembrò
calare all’improvviso. L’essenza stessa di
quell’arma incuteva un timore
istintivo e Hisoka, avvertendola come un pericolo
assottigliò gli occhi,
attento ad ogni movimento.
“Non è che rischi di ammazzarla, con
quella?”
La spada sibilò nell’aria e la realtà
sembrò frammentarsi. Amaya la impugnava
con la sinistra e la muoveva in ampi tondi, con una destrezza di poco
inferiore
a quella che avrebbe avuto utilizzando la mano destra. Uno sbuffo
d’aria gelida
raggiunse il volto del prestigiatore.
“Non è forte come sembra. Voglio dire,
è
forte, ma con questa non ci si può uccidere le
persone.” Hisoka diede segno di
non aver capito. “Non ferisce neanche, se anche ti
infilzassi, sul tuo corpo
non rimarrebbe neanche una ferita. Tutto quello che fa, questa spada,
è
essenzialmente forzare lo Zetsu dell’individuo che ne viene
colpito.” Con un
movimento rapido fece sparire la lama, e l’aria
sembrò alleggerirsi.
“Sono stupito, come funziona tutto questo?”
Amaya batté le palpebre, sospirò e storse la
bocca. “Non ti fidi?” Con ciò si
guadagnò un’occhiataccia, eppure il ghigno
divertito del prestigiatore non si
spense.
“Per materializzare un’arma devo averla
già
impugnata in passato e averci ucciso qualcuno, o almeno, ferito con
l’intento
di uccidere. Per questo io e mio fratello all’ovest non
facevamo altro che
rubare, armi e cibo più che altro.”
“E dimmi, quante armi puoi materializzare?”
“Duecento, più o meno.” A quel punto il
prestigiatore
sorrise, piacevolmente sorpreso. “Certo, alcune sono inutili,
ma altre sono
fenomenali.” Ricordava di aver ‘ottenuto’
una spada molto particolare; una
spada la cui lama come quella di una
katana era quasi invisibile, e per qualche strana e fantastica ragione
poteva
attraversare le cose inanimate, ferendo la carne. Ottima se si sta
combattendo
contro avversari con armature o scudi. Tuttavia dubitava che le sarebbe
potuta
tornare utile, visto le usanze così diverse rispetto
all’ovest.
“Non vuoi farmi vedere qualche trucchetto?”
Le labbra di Hisoka si piegarono in un ghigno.
“Io?” Si lasciò scappare una lieve
risata,
non era lei a far sparire carte tra le dita, e non intendeva mettersi a
giocare
con le sue armi. “Senti, ho bisogno di farmi un giro per la
città, vedere
qualche vicolo e trovare un posto appartato. Tornerò per
sera, penso.”
“Ma come? Oggi ho un incontro, non ti
interessa?” Amaya sospirò, un po’
scocciata.
“Me lo guarderò in videocassetta.”
Borbottò,
mentre si infilava guanto e cappotto.
He used to call me poison
Cause I was poison ivy
I could have died right there
He hurt me but it felt like true love
Loving him was never enough
Cinquecento
metri, poco più di dieci minuti.
Aveva trovato un vicolo perfetto, isolato e
buio, su cui non si affacciavano né porte né
finestre.
Alla fine aveva deciso; avrebbe agito
nell’ombra, si sarebbe allontanata da quel posto affollato,
sicuro, ma comunque
troppo affollato per i suoi gusti, e si sarebbe occupata di quella
faccenda in
quel posto isolato.
Amaya fremeva; nella sua testa già si
immaginava il sangue che schizzava, le ossa rotte che laceravano la
carne, la
soddisfazione, immensa soddisfazione nel vendicarsi. Tutto
ciò di cui aveva
bisogno era di un po’ di buona violenza.
Sulla strada del ritorno alla Torre a
malapena si accorse di stare iniziando a calpestare la sua stessa
umanità; la
sua mente era tinta di rosso, ed era calma, incredibilmente calma.
Aveva
momentaneamente messo da parte la rabbia e il risentimento, in quel
momento,
nella sua mente il suono dei suoi passi sull’asfalto era come
quello delle ossa
che si rompono, pezzi di anima che crollano a terra, un suono
incredibilmente
rassicurante.
Alla fine avrebbe camminato sui cadaveri, con
un sorriso sul volto.
Eppure quando tornò nella ‘sua’ stanza,
non
si accorse che quella sanguinaria parte di sé, che era lei
in tutto e per
tutto, sembrò acquetarsi, lasciando spazio a calma e
serenità.
Che stesse iniziando a fidarsi?
La suite era deserta, e lei decise di
approfittarsene per farsi un bagno in santa pace.
Fece scorrere l’acqua nella vasca e si
spogliò, indugiando davanti allo specchio. Era riuscita a
recuperare un po’ di
peso; aveva dovuto abituarsi di nuovo a mangiare dopo dodici settimane
di
digiuno comatoso, in cui aveva perso tutto il grasso corporeo,
apparendo più
simile a uno scheletro che a un essere umano. Ora le forme erano
tornate a
posto, le ossa del bacino erano ancora incredibilmente sporgenti,
vedeva le
costole muoversi al ritmo del suo respiro e le clavicole sembravano
voler tagliare
la pelle e spuntare fuori. Ma gli arti erano a posto, aveva recuperato
anche la
massa muscolare, nonostante il costante dolore alle ossa le impedisse
di
sfruttarla come avrebbe voluto.
Per le cicatrici che le correvano per tutto
il corpo non poteva fare nulla, lo sapeva benissimo, la mano destra
storta come
un artiglio con il mignolo testardamente dritto non sarebbe mai tornata
come un
tempo, ed era quello a farle più male del suo aspetto.
Ricordava di averla
osservata con grande orrore quando la caduta era finita; allora era un
guantone
violaceo e informe. Niente era più rimasto come prima.
Si infilò nella vasca, il vapore che le
lambiva la pelle, era da tanto che non riusciva a rilassarsi.
Sentì a tensione
dei muscoli svanire, il dolore alle ossa diminuire.
Appoggiò la testa al bordo della vasca, e
allora si presentò il vero problema. C’era
silenzio, era da sola, e i suoi
pensieri erano liberissimi di correre incontrollati.
Quando nella sua mente si presentò l’immagine
di suo fratello conficcato alla base di un albero quasi andò
in panico,
sentendo una morsa gelida serrarsi sul suo cuore, non voleva sentire
quello,
non in quel momento. Iniziò a stringere la mano destra,
tentando di serrare il
pugno, ed ecco il dolore tornare a farsi presente, a irradiarsi con
furia per
tutto il suo braccio. Riuscì a tenere la mente occupata in
quel modo fino a che
l’acqua nella vasca non si raffreddò. Allora
uscì, e avvolgendosi in un
asciugamano si diresse verso la camera da letto, accese la televisione
e,
scorrendo i vari incontri, trovò quello che sarebbe dovuto
essere di Hisoka. Lo
sfidante era già presente, un tizio abbastanza anonimo, con
una lunga sciabola
al fianco, Amaya inclinò la testa, vagamente interessata da
quell’arma.
In teoria mancavano un paio di minuti
all’incontro e nell’attesa la ragazza
iniziò a rivestirsi, quando ebbe finito,
sull’arena
non c’era ancora la minima traccia del prestigiatore.
Amaya sospirò, pensò che se lo sarebbe dovuta
aspettare, e che non si sarebbe più dovuta sorprendere di
niente con quel
folle. Si chiese dove sarebbe potuto essere finito, cosa
c’era di più
importante di uno scontro, in fondo?
La sua domanda ebbe risposta quando sentì la
maniglia della porta scattare e aprirsi. A quanto pare quel pomeriggio
sarebbe
stato più stressante di quanto avesse desiderato.
“Sei un idiota.” Borbottò, senza la vera
intenzione di farsi sentire.
“Rendo solo le cose più interessanti, e in
più” Il prestigiatore si affacciò oltre
lo stipite della porta della camera,
osservando prima Amaya, imbronciata, e poi la televisione, che mostrava
un
avversario indignato e insoddisfatto, quando invece sarebbe dovuto
essere grato
di non aver combattuto contro Hisoka. “non mi sarei divertito
affatto con quel
tizio.” Sogghignò, guardandola in modo allusivo;
in quel momento stava pensando
a un divertimento del tutto diverso da quello che avrebbe provato in
battaglia.
This is ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
I can hear sirens, sirens
He hit me and it felt like a kiss
I can hear violins, violins
Give me all of that ultraviolence
“Hai
troppi vestiti addosso.” Lo guardò per un attimo
sbigottita. Dire che non si
sarebbe aspettata qualcosa del genere sarebbe stata una bugia, ma di
certo non
si aspettava che se ne uscisse così a caso, di punto in
bianco. Sospirò,
levandosi la camicia e coricandosi di fianco sul letto, un
po’ scocciata per
essere stata presa di contropiede in quel modo. Sentì il
calore del suo corpo
premere sul suo fianco e sulla sua schiena, le sue labbra sfiorarle
l’orecchio,
provocandole brividi su tutta la schiena. Si lamentò un
poco, rabbrividendo
anche nel profondo, e il prestigiatore rispose con una risata, Amaya
sentì il
suo petto a contatto con la sua schiena muoversi mentre ridacchiava,
donandole
una strana sensazione, non del tutto spiacevole.
Il
prestigiatore fece il giro del letto, coricandosi davanti a lei e
avvicinando
il suo volto a quello di Amaya senza esitazione alcuna. Premette le sue
labbra
sulle sue in un bacio famelico. Lui la prese fra le braccia e la
baciò intensamente,
un’unione appassionata delle loro bocche che le fece girare
la testa, librare
il cuore e pulsare il sangue come fuoco nelle vene. Mentre la baciava
Hisoka
affondò le mani nella voluttuosa massa dei suoi capelli,
beandosi della sua
morbidezza e del suo calore. La voleva senza vestiti. La voleva nuda
sotto di
sé.
Il
sangue gli pulsava, caldo e furibondo, per tutto il corpo, i muscoli
tesi per
un desiderio tale da essere quasi doloroso.
La
bocca di Amaya era gonfia per il bacio, le labbra tinte di un roseo
profondo e
intenso. Il collo arrossato per il desiderio, un colore che propagava
fino alla
scollatura del reggiseno. In quel momento lui pensò di non
aver mai visto nulla
di più allettante.
Slacciò
la chiusura anteriore dell’esile pezzo di stoffa, denudandole
i seni davanti ai
suoi occhi improvvisamente febbrili. Le mani gli prudevano dalla voglia
di
toccarla, perciò lo fece, accarezzando quelle dolci curve.
Amaya tremò,
abbassando lo sguardo fissandolo
per un
istante la brutta cicatrice che le attraversava il petto segnandole lo
sterno, nella
penombra ad Hisoka sembrò vederla sbiancare.
Mi
mise seduta di scatto, ansimando e gemendo, come dopo una lunga corsa.
“Che
succede?”
“Io
non… non riesco, non posso accettare tutto
questo.” Gli occhi strabuzzati non
erano pieni di confusione o paura, naturalmente non si trattava della
prima
volta, ma quello che sembravano riflettere i suoi occhi era puro
disgusto. E
non lo provava verso Hisoka, con tutte le sue strane manie e
perversioni, in
quel momento così intimo non riusciva ad accettare il
proprio corpo, distrutto
e sfregiato. In quel momento era la bestia più spaventosa da
affrontare,
l’avversario superiore in tutti i campi. “Che
schifo.” Iniziò a battere con
forza le palpebre, la vista improvvisamente annebbiata da lacrime che
non si
era accorta di piangere. Con rabbia le sue mani corsero alle cicatrici
sul
fianco e iniziarono a grattare a sangue, come se fosse bastato quello a
cancellarle, a rimuovere quei segni e la storia che si portavano dietro.
Un
paio di mani forti afferrarono i suoi polsi, e con un movimento tanto
rapido
che quasi le fece girare la testa si trovò sdraiata sotto di
lui, i polsi
bloccati sopra la testa. E ancora prima che potesse protestare o
iniziare a
scalciare le labbra del prestigiatore incontrarono le sue. La sua
lingua si
fece strada tra le sue labbra, costringendola a ricambiare quel bacio
famelico,
che di dolce non aveva nulla, poi incastrò le gambe con le
sue, obbligandola
quasi a farsi cingere i fianchi.
Durò
poco, perché Hisoka si era ben accorto della tensione del
suo corpo. Quando si
staccò, lei aveva gli occhi serrati e la mascella contratta.
Allora le lasciò i
polsi, e vide i tendini ai lati del suo collo rilassarsi un
po’.
“Non
è mai stata mia intenzione prenderti contro la tua
volontà.” Le sussurrò
all’orecchio, accarezzandole la pelle morbida con le labbra
fameliche.
“Credo
di avere un problema.” Il suo era stato un sussurro e se
Hisoka non fosse stato
così vicino al suo volto molto probabilmente non
l’avrebbe sentito. E
nonostante la situazione si lasciò scappare una risata
divertita.
“I
problemi si risolvono,” In quel momento la ragazza
aprì gli occhi, lucidi e
tristi. “prima o poi.” Quello voleva dire che
avrebbe aspettato? O che avrebbe
fatto in modo di risolvere quel problema? Il prestigiatore si
sollevò dal suo
corpo, annunciando che si sarebbe andato a fare una doccia, in fondo
poteva
aspettare ancora un po’, e all’improvviso Amaya
sentì freddo, un brivido le
attraversò la schiena, e si sentì un
po’ in colpa.
“Ah,
domani sera avrò un incontro un po’ impegnativo,
ci sarà Machi, alla fine.”
This is ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
I can hear sirens, sirens
He hit me and it felt like a kiss
I can hear violins, violins
Give me all of that ultraviolence
Amaya
aveva seguito il combattimento in televisione; l’idea di
andare sugli spalti
non l’attirava per niente, così tanta gente,
così tanto rumore, era deleterio quando
lei aveva bisogno di restare il più tranquilla possibile.
Aveva
visto Hisoka muoversi rapidamente inseguito da Kastro per la prima
parte dello
scontro, esibendo un’agilità che lei poteva solo
rimpiangere, e venire comunque
colpito un paio di volte dalla strana abilità
dell’albino, per poi rimanere al
suo posto per la maggior parte del resto scontro, fermo, a esibirsi con
trucchetti
di pessimo gusto, sempre con un sorriso di scherno sul volto.
Aveva
fregato parecchie volte l’avversario, distraendolo e mirando
a colpirlo
mentalmente, come con l’asso di spade* che aveva
tirato fuori dal braccio, in chissà quale assurdo modo.
Alla
fine aveva vinto, ed Amaya era rimasta piacevolmente sorpresa dalla
perizia con
cui era riuscito a sfruttare e combinare le sue abilità Nen.
“Morirai,
in una
danza frenetica.”
E alla fine Kastro era morto, trafitto dalle carte di Hisoka, senza che
quest’ultimo muovesse un singolo muscolo, apparentemente.
Alla fine era stata
una vittoria schiacciante, nonostante sembrasse che il prestigiatore
avesse
perso, non una, ma entrambe le braccia.
Si
alzò e spense la televisione, uscì dalla suite e
si trovò un posto all’ombra in
corridoio, poi attese, celando la sua presenza con l’In.
Seguì
Machi fino in strada, interrompendo a intermittenza
l’utilizzo dell’In, facendo
voltare ogni volta la ragazza che stava pedinando, logorandole i nervi,
ogni
volta che palesava la sua presenza, ma restando comunque nascosta
nell’ombra.
Giunte
al punto da lei deciso il giorno prima smise completamente di
utilizzare l’In,
e materializzò immediatamente la Spada del Vuoto. La
reazione di Machi fu
immediata, proprio come aveva previsto, nel sentire l’aura
minacciosa che
emanava quell’arma. Amaya riuscì a essere rapida e
a prenderla di sorpresa, le
assestò un pugno sulla mascella che la fece ruotare su se
stessa di mezzo giro
per poi infilzarla da dietro con la spada, inchiodandola a terra e
bloccando
completamente il suo Nen.
“Stupido
bastardo! Sei morto! Morto! Non sai chi sono! Non sai per chi
lavoro!”
“Sì
che lo so, Machi.” Amaya fece del suo meglio per camminare in
modo fluido, come
prima, ma non ci riuscì del tutto. Zoppicò appena
nella sua direzione,
accucciandosi davanti a lei. La faccia di Machi si tese.
“No,
impossibile.” Allungò la mano e
artigliò un lato del cappuccio della felpa di
Amaya, tirandole un po’ di capelli. Spalancò gli
occhi. E poi ancora. E ancora.
Prima sconcerto, poi paura e infine orrore. “No!”
“Sì.”
E lei sorrise, liberandosi dalla sua presa e abbassandosi il cappuccio.
“Ascolta,
possiamo trovare un accordo,” A quel punto piccole gocce di
sudore imperlavano
la fronte di Machi. “una soluzione!”
“Già
trovata. Purtroppo però non ho una montagna a portata di
mano.” Materializzò un
vecchio martello nella mano destra, tozzo e con l’impugnatura
corta e un
pesante blocco di metallo come testa, e sentì le nocche
disarticolarsi,
nell’impugnarlo con la mano guantata. “Quindi ti
farò a pezzi con questo.”
Terminò quindi con un sorriso malsano. “Avreste
dovuto assicurarvi che fossi
morta.”
“Chrollo
lo scoprirà, lo scoprirà e verrà a
farti a pezzi!”
“Certo
che lo farà, non ho mai detto di volerti uccidere.”
“Ti
ucciderà!”
“Lo
ha già fatto, ricordi? Non è durata.”
Sul collo di Machi apparivano in rilievo
le vene a ogni sforzo che faceva. La Spada del Vuoto era eccezionale.
“Non
puoi batterlo.” Ora aveva gli occhi sgranati, fissi sul
martello che ondeggiava
davanti ai suoi occhi.
“Forse
no. Immagino che lo scopriremo.”
Sollevò
in alto il martello e la testa d’acciaio colpì le
nocche con uno scricchiolio
leggermente metallico – una, due, tre volte. Ogni martellata
le faceva male
alla mano, dandole un dolore che le percorreva tutto il braccio. Ma
molto
minore rispetto a quello che provava Machi. Lei ansimava, gemeva,
tremava.
Machi
provò nuovamente ad allontanarsi, ma la spada la teneva
schiacciata a terra e
Amaya si sentì sorridere mentre il martello fischiava
schiacciandogli di nuovo
la mano. Il colpo successivo le prese il polso, facendole infilzare i
suoi
stessi aghi nella carne.
“Ha
un aspetto peggiore del mio.” Sussurrò tra
sé. “Beh, quando si paga un debito,
educazione vuole che si aggiunga qualche interesse. E ora
l’altra mano.”
“No!
No, ti prego!” Il martello gli frantumò anche
l’altra mano. Lei prendeva la
mira con cura prima di ogni colpo, usando tutto il tempo che le
occorreva.
Polpastrelli. Dita. Nocche. Pollice. Palmo. Polso.
Aveva
fatto un lavoro meticoloso e Machi era ancora cosciente; se ne accorse
quando
si rimise in piedi, con l’intenzione di lasciarla
lì, svenuta. Ma aveva ancora
gli occhi aperti, certo, tremava per il dolore e la rabbia, ma era
tutt’altro
che incosciente. Allora Amaya si abbassò di nuovo, cercando
gli occhi azzurri
della ragazza.
“Ma
guarda un po’, siamo più resistenti di quanto
credessi. Sai, ti sarebbe
convenuto svenire, mi sta dando una scusa per divertirmi un
po’ di più.”
Sorrise di nuovo, sguazzando nella follia della vendetta.
Allora
materializzò un pugnale a doppio filo, con una lama liscia e
una seghettata. A
quel punto il lavoro che portò a termine era tutto
fuorché meticoloso. A parte
il fatto che era stata ben attenta a non ucciderla, semplicemente a
farla
soffrire, urlare e sanguinare il necessario, si curò
semplicemente di non
ferirle troppo le gambe, voleva che tornasse dal loro capo con i propri
piedi.
Le
era stata addosso, senza darle tregua, girandole attorno come uno
squalo
affamato, ferendola in modo quasi casuale. Aveva accarezzato le ferite
aperte,
giocando con il sangue che le colava sulla pelle, quasi ridendo,
beandosi dei
suoi gemiti di dolore e delle urla trattenute.
Tornò
alla torre soddisfatta e sporca di sangue, con ancora un sorriso beato
stampato
sul volto, le mani ancora viscide di sangue e una sensazione di
agitazione che
le stringeva lo stomaco; voleva di più, voleva
più sangue, più ferite e più
sofferenza. Voleva vedere il terrore negli occhi della vittima e
sentirsi potente
come un dio, poter fare quello che voleva, con una preda indifesa, alla
sua
mercé, provare ancora quel piacere inebriante di potere.
E
quando tornò nella suite non fu esattamente quello
che trovò.
E
il desiderio che provava era mutato.
This is ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Ultraviolence
Give me all of that ultraviolence
La
prima cosa che fece arrivata nella suite fu quella di togliersi la
felpa, umida
per la pioggia che era iniziata a scendere e sporca di sangue, la
mollò a
terra, senza prestare la minima attenzione a ciò che le
stava attorno, barcollò
verso il letto come ubriaca, continuando a bearsi del dolore di Machi e
del suo
sangue sulle mani.
Si
accorse a malapena che l’acqua che prima scrosciava nella
doccia ora si era
fermata, e dei passi umidi che le si avvicinavano da dietro.
“Come
è andata?” Si trovò una sua mano sul
fianco, l’altra che si insinuava sotto la
sua camicia, accarezzandole la pelle fino a farla rabbrividire,
sentì il suo
fiato sul collo e all’improvviso volle di più.
Ciò che aveva fatto nel vicolo
non bastava, c’era ancora una parte di lei che non era
soddisfatta.
Si
voltò, sentendo le unghie del prestigiatore graffiarle la
pelle a causa del suo
movimento repentino, gli buttò le braccia al collo e
aggredì la sua bocca,
lasciandogli segni rossi sulle spalle per il sangue che ancora non si
era
seccato.
Hisoka
rimase stupito per un attimo, poi sorrise contro le sue labbra,
afferrandola
sotto il sedere per sollevarla. Amaya gli si avvinghiò
addosso, stringendogli i
fianchi con le gambe, accorgendosi pigramente che aveva solo un
asciugamano in
vita. Affondò il volto nel suo collo leccando avidamente il
segno rosso del
taglio che gli aveva fatto la prima sera lì alla Torre,
sentendo il sapore
ferroso e inebriante del suo sangue sulla lingua. Sentiva il cuore
batterle con
forza nel petto, si sentiva viva, finalmente, euforica.
A
quel punto i vestiti erano in impaccio per entrambi e, senza tante
cerimonie,
Hisoka glieli strappò letteralmente di dosso, mentre la
portava nella camera da
letto, trasportandola come se non pesasse nulla. La sentì
mordergli il collo;
una dolce stilettata di dolore gli attraversò il corpo,
eccitandolo più di
quanto già non fosse.
La
posò sul letto, liberandola degli ultimi vestiti che le
erano rimasti addosso
mentre tornavano a baciarsi, le cicatrici le attraversavano il corpo
come un
complicato disegno traslucido.
Amaya
era famelica, e il prestigiatore si ritrovò diverse volte le
labbra in mezzo ai
suoi denti. Quando le loro bocche si separarono avevano entrambi il
fiato
grosso, gli occhi del prestigiatore sembravano brillare nella penombra
della
stanza. Fuggendo dalle labbra di Amaya le posò una mano sul
petto per tenerla
ferma, avendo quasi la totale certezza che altrimenti non sarebbe
riuscito a fermarla
- non in una tale situazione, e scese. Le afferrò la gamba
sinistra, iniziando
a passare la lingua sulla cicatrice che le attraversava
l’interno della coscia,
Amaya quasi urlò quando avvertì quel contatto
umido contro la pelle
ipersensibile della cicatrice.
“È
dell’anca
sinistra che sono particolarmente orgoglioso.”
Una linea a
zig-zag che correva dal suo stomaco alla parte interna della gamba,
accompagnato su entrambi i lati da tracce di puntini rossi. “Il femore, qui, purtroppo si era
spezzato.”
“Hisoka.”
Tremava, eppure non riusciva ad averne abbastanza, non voleva liberarsi
di
quella strana ed inebriante sensazione, che le irradiava ondate di
calore umide
per tutto il corpo. Il prestigiatore non si fermò,
continuando a giocare con la
sua pelle, sfiorando poi la sua parte più sensibile e
intima.
Con
il fiato grosso Amaya fece uno scatto, che le costò una
dolorosa stilettata di
dolore in tutto corpo, per spingere Hisoka a pancia in su, sotto di
lei, con la
testa che gli penzolava appena fuori dal bordo del letto e iniziare a
esplorare
il suo corpo muscoloso con labbra e denti mentre gli sfilava dai
fianchi
l’asciugamano, poco prima di unire i loro corpi.
Si
fermò a pochi millimetri dalla bocca del prestigiatore, in
un attimo di
lucidità ricordò la giornata precedente, in cui
aveva provato un tale disgusto
per il suo corpo da bloccarla completamente, abbassò
cautamente lo sguardo
scorrendo con gli occhi sulle proprie forme e sulle cicatrici senza
provare
nulla, era semplicemente un corpo, ed era così che doveva
essere.
Lui
le afferrò la nuca, spingendo di nuovo i loro volti vicini.
“Non
ti fermare, Amaya.” Continuarono a lungo, con i corpi che si
perdevano l’uno
nell’altro, esplorandosi e combattendosi, con le aure che si
sfioravano e
sfregavano fra di loro, riempiendo la stanza di un’atmosfera
inebriante.
In
quel momento Amaya poté giurare di aver appena risolto un
problema.
NdA
*Il
piatto della
lama
e la parte non tagliente, su cui di solito si trovano le scanalature o
possibili incisioni
*ASSO
DI SPADE
Tradizionalmente,
ha la fama di essere la carta della morte, e in effetti simboleggia le
trasformazioni e i cambiamenti associati ad una fine e un nuovo inizio.
L'asso
di spade si riferisce alla fine di qualcosa o all'inizio di problemi.
Può
essere inteso quindi anche come rinascita. Poiché le spade
rappresentano
"la mente", l'asso assume anche il significato di preoccupazioni,
paure, ansia e decisioni da prendere.
In
più è proprio la carta che Hisoka ha tirato fuori
dal braccio durante
l’incontro.
In
tutta l’ultima parte sarò stata tipo… D:
così, ecco.
Non
ho idea di come sia venuto fuori, davvero, è praticamente la
prima volta che
scrivo una cosa così spinta.. cioè, non
è molto da me. Ma si tratta di una
storia così, e così
dovrà essere,
prima o poi, credo di doverci
prendere un po’ la mano. Vi porterò qualcosa di
più, prometto (più da rating
rosso che arancione), cercherò di gestire meglio la
situazione, era mia
intenzione farlo da subito, ma non volevo rendere il capitolo un papiro
più di
quanto già non fosse, e preferisco procedere per gradi.
È
dall’inizio della storia che non vedevo l’ora di
usare questa canzone, si
adatta perfettamente alla storia *-*
Ah,
ehm, credo di aver mandati OOC Machi, ma non ho idea di come possa
comportarsi
una come lei in una situazione del genere, quindi boh, ho improvvisato..
Ah,
a proposito, era questo che intendevo con ‘stravolgere
completamente’; la
strada di Amaya con molte probabilità sarà
questa, disseminata di cadaveri. Non
ci sarà alcuna pietà per i membri del ragno che
l’hanno tradita, quindi non ci
andrà leggera.
Sono
curiosa di sapere come la prenderete…
PS.
Ma quanto è bello Hisoka nel banner? *Q*
|
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Capitolo 5 *** Follia ***
Capitolo
4. Follia
[HIM
–
Rip out the Wings of a Butterfly]
Heaven ablaze in our eyes
We're standing still in time
The blood on our hands is the wine
We offer as sacrifice
“Ouf!” Venne
svegliato di
colpo da un cuscino lanciato sulla sua faccia con una forza eccessiva,
e
avrebbe potuto giurare di aver sentito un’imprecazione.
“Che succede?” Chiese
con la voce ancora arrochita dal sonno e dalla piacevole stanchezza
causata
dalla nottata movimentata.
“Sei
un bastardo! Mi hai stracciato gli unici vestiti che avevo!”
La voce di Amaya
era completamente alterata e il prestigiatore poteva benissimo
avvertire la sua
aura addensarsi attorno a lei, dando a quest’ultimo una
sensazione che di
piacevole aveva ben poco.
Alzò
il busto spostando il cuscino che si era beccato in faccia e
osservò la
ragazza; era nuda, ma a quanto pare aveva provato a rivestirsi,
metà camicia le
pendeva molla da una spalla accarezzandole dolcemente le curve del
seno,
l’altra metà era tra le sue mani.
A
quanto pare tutto ciò che si era salvate era stato
l’intimo.
“Beh,
vorrà dire che resterai senza
vestiti.” Sorrise e si sporse verso di lei, beccandosi un
altro cuscino in
faccia, lanciato senza troppa convinzione.
“Quei
segni…” Fece lei con voce sommessa; aveva appena
notato le macchie di sangue
sulle spalle scoperte di Hisoka e una strana espressione aveva cambiato
il suo
volto. Senza smettere il suo sorriso inquietante il prestigiatore le
prese una
mano, mostrandole il sangue secco che non si era lavata via la sera
prima.
“Se
è questo che ti interessa, no, non mi fai ferito. Beh, a
parte un paio di morsi
un po’ troppo forti.” Vide il suo volto avvampare
quando lui indicò un segno
rosso sul suo collo, che era andato a riaprire quel vecchio taglio.
“Mi sei
sembrata abbastanza eccitata ieri sera.”
“Sta
zitto! Vado a farmi una doccia, e se credi che mi importi di averti
fatto del
male allora non mi hai affatto capito.” Si alzò
tutta imbronciata e si diresse
verso il bagno zoppicando, senza voltarsi indietro.
Hisoka
attese di sentire l’acqua iniziare a scorrere per poi
muoversi con fare furtivo
verso il bagno, e infilarsi con le nel box doccia.
“Credi
che sia cretina? Cosa cavolo ti metti a usare l’In qui
dentro?” Inveì contro di
lui per un po’, arrabbiata per i vestiti e chissà
che altro, per poi
rinunciare, accorgendosi che tutto ciò che ne stava
ricavando era un ghigno
divertito da parte del prestigiatore. Allora lo ignorò,
dandogli la schiena e
cercando di lavarsi via il sangue il meglio possibile.
Ma
il suo tentativo di farsi una doccia normale venne stroncato quasi
subito
quando sentì le sue mani iniziare a correre per il suo
corpo, accarezzandola e
stuzzicandola e una vampata di calore si diffuse per il suo corpo.
“Nella
doccia?” Borbottò lei, voltandosi, senza ottenere
la risposta che aveva
sperato.
“Che
intendi fare ora?” Chiese lui con un sorriso cospiratore,
Amaya immaginò che le
stesse nascondendo qualcosa, e che non si stesse impegnando neanche
troppo per
nasconderlo.
“Cercare
gli altri ragni, ovvio.” Lo guardò circospetta,
studiando quegli occhi dorati
pieni di desiderio e chissà che altro.
“E
sai dove trovarli?”
“No.”
Non aveva motivo di mentire, anche perché non sarebbe stato
affatto costruttivo.
“Già,
tu non fai più parte del Ragno, no?” Amaya
assottigliò lo sguardo, non le
piaceva giocare in quel modo. Artigliò con la mano buona la
pelle della sua
schiena e tirò, infondendo un po’ di Nen nella sua
stessa mano; come si era
aspettata la stoffa che Hisoka aveva usato come finta pelle venne via.
“Neanche
tu lo sei e se hai qualcosa da dirmi sarebbe meglio per te sputare il
rospo, o
giuro sulla mano che mi resta che faccio questa stesa identica cosa con
la tua
pelle vera.” Con un movimento repentino il prestigiatore
affondò la sua faccia
nell’incavo del suo collo, facendole correre brividi lungo la
schiena e
accarezzando la sua pelle con la lingua. Amaya arretrò, del
tutto colta alla
sprovvista. Servì a poco, perché lui le aveva
serrato le mani sui fianchi, e
tutto quelle che ne ricavò furono un paio di passi maldestri
con le gambe che
si incrociavano.
“Perché
non metti via il coltello?” La sua voce era divertita, eppure
sapeva benissimo
a che giocare con Amaya avrebbe potuto rimetterci qualcosa, sapeva che
non si
sarebbe fatta alcuno scrupolo a ferirlo, ma stuzzicarla lo divertiva
troppo.
Infatti aveva istintivamente materializzato un coltello, a quanto pare
non
poteva farne a meno di vederlo sanguinare.
“Perché
non la smetti di giocare?” Una vena di rabbia si era
insinuata nella sua voce,
e come si era aspettato sentì la lieve pressione della lama
sul suo ombelico.
Con
lei era come giocare con una bestia ferita, perché era
proprio quello che era.
Tuttavia
la sua bocca continuò a giocare con la pelle del suo collo,
ma fu obbligato a
fermarsi quando sentì la fredda lama scendere più
in basso.
“Se
hai qualcosa da dirmi, ti consiglio vivamente muoverti, altrimenti non
passerai
mai più una notte come quella di ieri.” Lo
sentì ridere contro il suo collo,
poi la sua fronte si appoggiò su quella di Amaya.
“A
settembre tutto il Ragno si riunirà a York Shin
City.” Fece lui con un tono di
voce soddisfatto. Le sfuggì il coltello di mano per la
sorpresa, e per fortuna
scomparve prima di infilzarsi nei piedi di uno dei due. Quasi senza
pensarci
Amaya si appoggiò al corpo muscoloso di Hisoka, con un
sorriso sulle labbra.
“Dobbiamo
festeggiare allora, no, dobbiamo partire!” Amaya non teneva
più il conto dei
giorni da quando si era svegliata in quella caverna di ossa e terra,
quindi
ignorava il fatto che mancasse ancora più di un mese
all’incontro.
“C’è
ancora un mucchio di tempo, e poi ho ancora delle cose da fare
qui.” Le
scompigliò i capelli come se fosse una ragazzina, con il
risultato di farla
alterare.
“Che
diavolo, allora voglio dei vestiti!” Borbottò lei
indignata, e un po’ delusa
dalla recente scoperta. Aspettare più di un mese; si chiese
se sarebbe riuscita
a resistere fino a settembre senza ammazzare nessuno.
“Sei
più divertente di Illumi, sai?” Fece lui di punto
in bianco.
“Chi?”
Chiese lei, mentre spegneva l’acqua della doccia; ormai erano
puliti e il
sangue lavato via aveva reso il fondo del piano doccia rossi di sangue
slavato,
un colore abbastanza disgustoso, per Amaya, che le ricordava tanto il
sangue
sui piani di marmo di una macelleria. Storse la bocca in una smorfia.
“Sei
gelosa?”
“Sono
curiosa, e poi io non sono divertente.”
Gli lanciò un’occhiataccia gelida, che
però, come al solito, non sortì alcun
effetto sul prestigiatore
“Oh,
per me sì. Mi piace la tua follia.” E senza
lasciarle il tempo di protestare o
insultarlo ulteriormente premette le sue labbra sulle sue,
accarezzandole le
labbra con la lingua, per poi insinuarsi nella sua bocca, in un bacio
famelico
e possessivo. Amaya si premette contro di lui, sentendo la sua
eccitazione
pungolarle la pancia; il fatto di fare lo doccia insieme poteva essere
solo che
positivo, in momenti come quelli. La mano del prestigiatore si strinse
sul suo
seno, e quel gesto audace la fece gemere contro le sue labbra, dandole
l’occasione di recuperare un po’ d’aria.
Continuarono a baciarsi mentre le mani
del prestigiatore giocavano con la sua carne più sensibile.
“Aspetta.”
Amaya si allontanò, fuggendo alle labbra del prestigiatore
inseguivano le sue.
“Aspetta.” Si prese tempo per recuperare il fiato,
mentre gli occhi dorati di
Hisoka la fissavano, pieni di un desiderio che a malapena riusciva a
controllare e le sue mani continuavano a muoversi su di lei. Amaya
rimase un attimo
bloccata da quello sguardo, un attimo di esitazione, che diede
l’occasione al
prestigiatore di prendere tra i denti un suo capezzolo, ora
incredibilmente
sensibile. “Piano dannazione, almeno andiamo in camera da
letto!” Amaya non
l’avrebbe mai ammesso, per orgoglio, naturalmente, ma le
gambe avevano iniziato
a dolerle, a causa dell’umidità.
Senza
rispondere né staccandosi da lei Hisoka la
afferrò con forza sotto il sedere,
assicurandosi di schiacciare per bene i loro corpi eccitati, prima di
portarla
in camera. La sdraiò sul letto, premendo il suo corpo sul
suo, il contatto
della loro pelle ancora umida li fece rabbrividire.
“Intendo
scoparti fino a farti perdere conoscenza.” Le
sussurrò lui all’orecchio,
accarezzando la sue pelle con le labbra, il primo e unico istinto che
scoppiò
nella testa di Amaya fu quello di assestargli un bel calcio in mezzo
alle
gambe, e ci provò, ma venne prontamente bloccata dalla sua
mano.
“Cosa
hai detto scusa?” Fece lei con un sorriso tiratissimo, gli
occhi stretti in due
fessure e uno sguardo che avrebbe potuto tagliare più di
qualsiasi arma.
“Questa
sera sono particolarmente eccitato, sai?” Affondò
il voto nel suo collo, mentre
con le mani iniziava ad accarezzare le sue curve. La risposta di Amaya
si perse
in un gemito quando lui infilò due dita dentro di lei, e
quello stesso gemito
venne soffocato dalle sue labbra, che iniziarono a reclamare un
contatto più
famelico.
Era
nelle intenzioni di Amaya provare a reagire, o semplicemente muovere le
mani,
ma all’improvviso di accorse di non poter fare nulla e
prestando un po’ più
attenzione di accorse che il prestigiatore aveva appena usato la
Bungee-Gum per
legarle i polsi alla testiera del letto.
Nonostante
non volesse che quel tiepido piacere terminasse non poté
fare a meno che
mordere le labbra di Hisoka con molta forza, forse troppa.
“Non
mi piace giocare, Hisoka.” La sua espressione era gelida, con
una scintilla di
furia in fondo alle pupille. “Slegami le mani.”
“Perché?”
L’espressione del prestigiatore cambiò; un ghigno
si allungò sul suo volto e i
suoi occhi si restrinsero luccicando come monete d’oro
nell’oscurità, sul suo
mento un rivolo di sangue causato dal morso della ragazza.
“Perché
non mi
piace giocare.” Naturalmente
il prestigiatore prendeva sul serio Amaya, tuttavia il brivido del
pericolo era
una cosa a cui difficilmente riusciva a rinunciare.
Per quella volta decise di
accontentarla, annullando la sua abilità. “A
quanto pare ci sono delle cose da
mettere in chiaro, neh?” Senza attendere la risposta di
Hisoka lei si allungo,
passando la lingua sul suo mento, seguendo la linea di sangue e
inseguendo la
goccia fino al suo collo, per poi passare alle sue labbra e iniziare a
succhiare con avidità dalla stessa ferita che gli aveva
appena fatto. Intanto le
dita del prestigiatore continuavano a muoversi dentro di lei, donandole
una
sensazione inebriante che le stringeva il cuore in una morsa di piacere.
“Non
riesci proprio a farne a meno, eh?” La ragazza lo
guardò con sguardo
interrogativo annebbiato dal piacere, non riuscendo a capire a cosa si
riferisse. “Il sangue.” Fece lui tornando ad
accarezzare la sua pelle più
sensibile del suo seno con la mano libera.
“Che
vuoi farci? Ognuno ha le proprie perversioni, no?” Lo
sentì ridere conto le sue
labbra, di certo lui non
avrebbe potuto negare.
Giocarono
ancora per un po’ ognuno con il corpo dell’altro
fino a che non fu Amaya a
chiedere di più.
Entrò
in lei con un movimento volutamente lento, gioendo nel vedere il suo
corpo
inarcarsi per assorbire tutto il piacere di quell’unione, poi
ci fu solo il
botta e risposta dei loro corpi in un amplesso per niente dolce ma
incredibilmente sublime, per entrambi.
This endless mercy mile
We're crawling side by side
With hell freezing over in our eyes
Gods kneel before our crime
“Non
ho ancora capito perché dobbiamo perdere del tempo
qui.” Il suo desiderio era
di muoversi in fretta e togliersi quel peso il prima possibile.
“Te
l’ho detto il perché.” Lui si
rigirò nel letto, cercando il contatto visivo con
Amaya, che tuttavia era sdraiata a pancia in su, con un braccio a
coprirle il
volto.
“No.
mi hai detto che hai delle cose da fare. Ormai potresti anche dirmi di
che si
tratta sai?”
“Uhm,
ho un incontro da disputare.”
“Con
chi?” Quello riuscì ad attirare la sua attenzione,
e mosse il braccio, girando
il volto verso di lui.
“Gon.”
Lei lo guardò, attendendo di sapere di più,
purtroppo lo sguardo del
prestigiatore sembrava perso nel vuoto, a contemplare chissà
cosa.
“Ehi,
ti ricordo che io non conosco praticamente nessuno dei tuoi
amici.” E sull'ultima parola mimò delle virgolette
con le dita.
“Ah,
Gon è un ragazzino che ho incontrato all’esame
Hunter di quest’anno.”
“Tutto
qui?”
“È
forte, un po’ ingenuo, ma quando maturerà potrebbe
diventare qualcosa di
davvero fantastico.” Amaya vide cambiare la sua espressione,
e ci fu qualcosa
che le ricordò la notte che avevano appena passato.
“Sei
disgustoso.”
“No~
tu non mi trovi
disgustoso, da quanto mi sembra di ricordare.” E sorridendo
sinistramente
indicò il labbro spaccato, ricavando solo
un’occhiataccia da parte della ragazza.
“Comunque,
questo non mi aiuta sai?”
Il
prestigiatore ridacchiò. “Vedrai.”
“Vedrò…
ma hai dimenticato che non ho più dei vestiti intatti da
mettere?”
“Puoi
usare i lenzuoli.” Fece lui candidamente, sorridendole anche.
“Stai
scherzando.” Le sua non era neanche una domanda, ne era quasi
certa.
“Oppure
puoi mettere i miei vestiti.” Dopo un attimo di sbigottito
stupore Amaya riuscì
a riacquistare la facoltà di parlare.
“Credo
che userò i lenzuoli.” Naturalmente
l’avrebbe fatto semplicemente per uscire e
cercarsi dell’altro da mettere, e un po’ nella
speranza di far dormire il
prestigiatore al freddo. “Ma questa me la paghi, me la
paghi!” Il prestigiatore
in tutta risposta, come si era aspettata lei, si mise a ridere.
“Sì,
sei decisamente più divertente tu di Illumi .”
“Chi?”
Lei trovava abbastanza noioso il fatto che lui continuasse a tirare
fuori nomi
come se lei li conoscesse tutti. E nel momento in cui pose quella
domanda il
volto di Hisoka si allungò in un sorriso abbastanza
spiacevole.
“Diciamo
che è un caro amico.”
“Caro amico mi sembra un
po’ ambiguo
detto da te.”
“Potrebbe
esserlo, hai ragione.”
“Non
stai negando.”
“Non
lo sto facendo, infatti.” Si gustò per qualche
attimo l’espressione stupita e
un po’ inorridita della ragazza, prima di parlare di nuovo,
cambiando discorso. “Prometto che ti
farò fare un giro della Torre e ti farò conoscere
qualche persona.”
“Già,
come se mi interessasse.”
“Potresti
trovare qualche avversario interessante sai? E poi ritengo che giusto
che tu
conosca, almeno di vista, gli amici di un certo Kurapika, che sembra
avere più
o meno il tuo stesso obbiettivo.”
“Il
Ragno?” Lui annuì mestamente iniziando a giocare
con delle carte tirate fuori
da chissà dove.
“Bene
allora.” Il suo tono si fece gelido, gli occhi fissi e
determinati. Si sollevò
dal materasso, appoggiando i piedi sul pavimento freddo.
“Potrebbe
essere un comodo alleato.”
“Tutt’altro.”
Sarebbe stata lei a uccidere i componenti del Ragno, non avrebbe
permesso a
nessun altro di uccidere o semplicemente ferire un suo obbiettivo.
“Potrei
ucciderlo se decidesse di rubarmi le prede, ma potrei essere
ragionevole se anche lui sarà disposto ad
esserlo.” Hisoka sentì la sua aura agitarsi, quasi
addensarsi intorno a lei, come pronta ad uno scontro. Si
sollevò sulle braccia,
fino a premere il suo corpo sulla schiena liscia e pallida di lei,
desiderando
percepire su di sé quella forza sinistra che stava
sprigionando.
“Ti
ho già detto che ti a-” E non si sarebbe fatto
problemi a dirglielo, come non
si era fatto problemi a dirlo a Machi, mentre sistemava le sue braccia,
ma lei
lo fermò prima che potesse terminare la frase.
“Non
dirlo.” Non era che non volesse sentirsi amata, ma certe
parole riportavano
indietro un dolore che era meglio non ricordare.
“L’ultimo che lo ha fatto è
finito infilzato alla base di un albero.”
“Avevi
ragione sai?” Amaya appoggiò il bicchiere sul
ripiano della scrivania,
osservando il ghiaccio che si scioglieva al suo interno, annacquando il
liquore
già scadente. “Quei due ragazzini sembrano
forti.” Alla fine era rimasta
piacevolmente sorpresa dai ragazzini che aveva adocchiato Hisoka,
ovviamente
fuori dal comune, per essere dei semplici dodicenni.
“Che
ti avevo detto?” Il prestigiatore con una rapida mossa
recuperò il bicchiere
che lei aveva appena appoggiato e, ignorando il suo sguardo truce,
mandò giù
tutto d’un sorso il liquido che conteneva. Amaya aveva
comunque deciso di
tenersi lontana, non tanto per loro, ma quanto per se stessa,
ché non aveva
nessuna intenzione di stringere amicizie ambigue,
mettendo inutilmente a rischio la fissazione
del prestigiatore, finendo per rischiare una catastrofe. Fino a che gli
eventi
lo permettevano sarebbe stata tranquilla e sola nella sua folle
vendetta.
“Tuttavia
trovo più, uhm” Cercò la parola giusta.
“promettente,
quello con i capelli
bianchi.” Ma questo non voleva dire che non li avesse
osservati un po’ da
lontani, semplicemente per il gusto di fare.
“Tu
dici?” La guardò perplesso, un poco deluso.
“Di
certo è più sveglio, sa quello che fa.”
Aveva osservato qualche incontro di
quei due ragazzini; si stavano dando un mucchio da fare.
“L’altro
non ti da la stessa impressione?” Non si poteva dire che Gon
fosse una cima in
intelligenza, tuttavia aveva un intuito nascosto che in pochi
possedevano, e
che in pochi notavano.
“Assolutamente
no.” Appunto.
“Capo!”
Una debole esclamazione attirò l’attenzione di
tutti i presenti, e subito espressioni
sbigottite si fissarono su si lei, che a malapena era riuscita a
raggiungere il
Covo con le sue stesse gambe. Le ferite ancora aperte a causa
dell’impossibilità
dell’utilizzo della sua abilità.
Altri
due passi e sentì le ginocchia cedere, e quasi
pensò di non rialzarsi se fosse
caduta a terra, ma due braccia forti la presero prima che potesse fare
una
caduta rovinosa.
“Che
cosa è successo?” Le voci che si confondevano, la
vista che andava e veniva. Si
sarebbe lasciata cadere nell’incoscienza se non avesse avuto
la forte volontà
di avvisare, e in qualche modo, mettere al sicuro il Ragno.
“A-Amaya.”
“Cosa?!”
“È
viva.” Il resto non c’era neanche bisogno di dirlo.
Era perfettamente intuibile
dalle sue ferite ciò che avrebbe comportato non essere
riusciti ad uccidere
Amaya.
NdA
Ammetto
che questo capitolo mi ha fatto penare
parecchio, ma sono soddisfatta, lo trovo meglio dell’altro,
questo è certo. Anche
il banner :3
Con questo capitolo un po’ di passaggio si chiude
la parte dell’ Arena Celeste, più o meno.
York Shin City porterà tanti casini…
già.
E per quanto riguarda Amaya, beh, lei è un po'
così, un po' 'Bittersweet' per dire, non
aspettatevi rose e fori ^^'
E quel pezzo di dialogo con Hisoka riguardo Illumi ho voluto
aggiungerlo perché, beh, perché
sì, perché nonostante io non sia
(assolutamente) una grande amante dello Yaoi non posso fare a meno di
vedere quei due psicopatici insieme, in qualche modo.
Boh, non ho nient’altro da dire.
Ah, sì! Ascoltatevi la canzone del capitolo
perché
è BELLA
*Q*
E Grazie della lettura.
A presto
^^’
|
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Capitolo 6 *** Scontri ***
Capitolo 5.
Scontri
[Disturbed
– Darkness]
Darkness
cover me
Deny everything
Slowly walk away
To breathe again
On my own
Amaya
aveva atteso, ostentando una pazienza che
non aveva assolutamente, cercando di occupare le giornate allenandosi e
cercando di rinforzare le ossa e i muscoli doloranti. Usare la mano
destra per
combattere, tuttavia, rimaneva comunque fuori discussione. Aveva dovuto
rassegnarsi e sforzarsi di migliore la sua abilità con la
sinistra. Tuttavia le
sembrava di vivere in una costante ansia, nel nervoso di non potersi
muovere
subito. Ormai davanti ai suoi occhi esisteva solo la vendetta, non
c'era quasi
nient'altro che sembrasse attrarre realmente la sua attenzione, e
ciò la stava
consumando.
Hisoka passava il suo tempo gironzolando per la
Torre, ogni tanto, e stuzzicare Amaya quando era in camera, sapendo
benissimo che
un giorno o l'altro di sarebbe potuto ritrovare senza una parte
fondamentale
del corpo. Ma tuttavia quella era una delle parti più
divertenti, gli piaceva
passare il suo tempo con Amaya, sapendo che lei l'avrebbe assecondato
sempre, o
quasi.
Così per Amaya i giorni scorrevano interminabili,
noiosi e stressanti. Hisoka invece sembrava esaltarsi ogni giorno di
più per
l'ultimo incontro che avrebbe disputato alla Torre. Quello contro Gon.
"Non ti alleni?" Fece Amaya, facendo
sparire il falcione con cui aveva più volte attentato
all'integrità della
stanza in cui si allenava, notando che da diversi giorni Hisoka se ne
stava in
panciolle, eccitato ma per niente preoccupato per l'imminente incontro.
"Non ne ho bisogno."
"Lo stai per caso sottovalutando?"
Chiese lei, mentre iniziava a sbottonarsi la camicia con l'intento di
farsi una
doccia. Non considerava ovviamente il ragazzino alla sua altezza, ma
aveva
imparato, lei, a non sottovalutare gli avversari, per questo le faceva
uno
strano effetto vedere lui completamente rilassato.
"Ah, niente affatto." Si voltò verso di
lei, con un sorriso furbo sulle labbra."Per come è Gon sono
certo di
riuscire a sconfiggerlo senza toccarlo." Sentì la fragorosa
risata, di
scherno, ovviamente, di Amaya, e rimase quasi incantato da quel suono
così
aspro, forte e suo. Unicamente suo. Raro e unico come lo era lei.
"Ho capito, non lo stai sottovalutando, tu
ti stai sopravvalutando."
"Non ho detto che lo sconfiggerò senza
combatterlo, solo che vincerò senza che i nostri corpi si
tocchino." Detta
così la situazione non sembrava molto diversa da prima, ma
la cosa che fece
rabbrividire Amaya fu la scelta che fece delle ultime parole.
Alla fine il giorno dell’incontro era arrivato e
quando Amaya aveva visto l’espressione sul volto del
ragazzino aveva pensato,
non solo che fosse poco sveglio, ma anche sconsiderato; non aveva mai
visto
quell’espressione in nessuno degli sfidanti che si era
scontrato contro Hisoka,
ma almeno durante l’incontro si era dimostrato più
sveglio di quanto Amaya
avesse mai creduto. Era un misto di determinazione ed eccitazione, la
limpidezza dei suoi occhi era sconcertante; nessuna rabbia, nessuna
profonda
paura, Amaya rimase colpita e un poco turbata
dall’incredibile purezza di quel
bambino.
E dovette ricredesi quando lo vide muoversi
sull’arena; di certo era anni luce lontano dal livello di
Hisoka, ma il suo
intuito gli aveva permesso di adattarsi al ritmo del prestigiatore, e
capire
più o meno il suo modo di combattere, apprenderlo e
riadattarlo per se stesso,
utilizzando finte e trucchi non del tutto onesti.
La ragazza se lo era aspettato, ma ad un certo
punto l’incontro sembrò accelerare e scaldarsi e
in quel momento vide il volto
di Hisoka cambiare, in preda ad un’eccitazione malsana, che
le fece contorcere
lo stomaco e stirare le labbra. Orami era abituata a vederlo
così, visto le
numerose volte che avevano passato la notte insieme senza dormire,
eppure tutte
le volte provava lo stesso miscuglio di sensazioni che le stringevano
il cuore;
lo stesso che si potrebbe provare di fronte a un baratro, con
l’idea in testa
di essere in grado di volare, senza esserne veramente capace. E solo a
quel
punto, negli occhi del ragazzino, si era accesa una scintilla di paura.
Non ci aveva creduto, ma alla fine era riuscito a
segnare il decimo punto senza toccarlo; attaccando la Bungee-Gum ad una
pietra
e scagliandogliela in faccia. L'espressione sul volto del ragazzino era
stata
impagabile alla fine, sembrava che non ci credesse neanche lui di aver
perso in
quel modo così stupido, ma infondo finire ingannati dalle
parole del prestigiatore
era fin troppo semplice.
Sospirò, avviandosi nel corridoio, affiancando il
prestigiatore. “Partiamo?” Ora che ufficialmente
non avevano più impegni
sarebbero potuti partire per York Shin City, nonostante mancassero
ancora un
paio di settimane, ma l’impazienza di Amaya era quello che
era e non
assecondarla avrebbe portato solo danni. Hisoka la guardò,
con uno strano
sorriso sulle labbra. “Cosa
c’è?”
“Sono felice.” Nel sentirlo lei inarcò
un
sopracciglio, un po’ stranita.
“Questo vuol dire che…” E non
riuscì a concludere
la frase, perché non aveva idea di cosa ciò
potesse comportare.
Lo sentì ridere mentre apriva la porta della
suite. “Ah, niente. È solo che non vedo
l’ora di scontrarmi con Chrollo.” Amaya
sentì il sangue defluire dalle sue guance, ricordava
benissimo di aver
accettato l’aiuto di Hisoka, a patto di lasciargli combattere
e sconfiggere il
capo della Brigata. A pensarci ora, a mente fresca, l’idea
non le piaceva per
niente, doveva sforzarsi di accettarlo, poiché avrebbe
voluto essere lei, e solo lei, il
motivo della loro, della
sua, morte. Si fermò nell’ingresso, guardando con
espressione truce la schiena
di Hisoka, mentre questo si spogliava per farsi una doccia, con una
fastidiosissima sensazione rabbiosa a stringerle lo stomaco e a farle
prudere
le mani. In quel momento pensò quasi lucidamente di
materializzare un’arma e a
fare qualche grosso danno, giusto per liberarsi dell’ostacolo
che la separava
dal Capo.
Quasi non se ne era accorta, ma ovviamente anche
la sua aura aveva reagito alle sue emozioni e naturalmente Hisoka si
era
perfettamente accorto dell’aura pressante, pericolosa e
diversa dal solito che
si stava addensando attorno alla ragazza come una coperta di spine.
In reazione anche la sua si manifestò,
allargandosi in tutta la stanza. L’atmosfera si fece pesante
e il prestigiatore
voltò la testa, osservando da sopra la spalla la ragazza con
gli occhi che
quasi brillavano sinistramente nella penombra, lei aveva ancora dipinta
sul
volto l’espressione di una persona che sta per uccidere
qualcuno, e che non
intende fermarsi davanti a nulla.
“Qualche problema, Amaya?” Lentamente, molto
lentamente e con molto sforzo l’aura della ragazza si
acquietò, tornando ad
apparire come un lievissimo rivestimento sulla sua pelle, solo in quel
momento,
quando fu certo che si fosse calmata, Hisoka fece lo stesso. Non
intendeva
affatto sottovalutarla, anzi.
“Niente affatto.” E come se niente fosse, con la
solita espressione di ghiaccio, si diresse in camera, con ancora le
mani che
tremavano.
“Non potrai venire al Covo con me, lo sai, no?”
“Mi prendi per scema? Troverò un posto in cui
stare.”
“Un albergo?”
“Non se ne parla; dovrei lasciare delle
informazioni.”
“Dove allora?” Amaya appoggiò la testa
sul
sedile, fissando fuori dall’oblò, cercando una
soluzione che invece aveva già
trovato. Non sarebbe stato il massimo, ma non le veniva in mente altro.
“Ci sono un mucchio di case abbandonate nella
zona periferica della città.”
“Mi sembra una buona idea.” Stava per ribattere
dicendo che era certamente una
buona
idea, si sarebbe trovata un buon posto per stare tranquilla e nascosta
fino al
momento giusto, quando sentì la sua mano sfiorarle il
ginocchio e risalirle
sulla coscia, lentamente. Si obbligò di fermare i brividi
che le corsero sul
corpo e del calore umido che le invase il corpo.
Con uno scatto gli afferrò la mano, fulminandolo
con lo sguardo per poi esibirsi in un sorriso tirato e fintissimo
all’hostess che
aveva chiesto loro se desideravano qualcosa, questa si
allontanò intimorita
ancora prima di ricevere una risposta verbale.
“Non mi sembra il posto né il momento giusto,
questo.” Il prestigiatore sorrise, avvicinando il volto al
suo.
La polvere veniva trasportata dalla brezza
leggera, posandosi sul nuovo covo del Ragno, un luogo decadente, mezzo
distrutto, che testimoniava l’inclemenza della natura verso
le cose
abbandonate.
Al suo interno la testa del Ragno stava leggendo
un grosso tomo, apparendo completamente assorto, alla luce di un paio
di
candele. Seduti sulle macerie di quella che doveva essere stata una
chiesa
Shalnark e Phinks attendevano.
L’arrivo di Pakunoda sollevò il morale di
Shalnark che le andò incontro, con un sorriso stampato sulle
labbra.
"Pakunoda, come stai?”
"Non
ci vediamo da parecchio Shalnark, ci sei anche tu Phinks." Fece lei,
come
se quella non fosse una riunione in cui tutto
il Ragno era stato convocato.
“Ci hai messo parecchio ad arrivare”
“Cosa? Credo di essere in perfetto orario.”
“Dovresti arrivare dieci minuti in anticipo. Lo
stesso vale per voi.” Continuò lui, rivolgendosi
ai due ultimi arrivati Bonolevv
e Kortopi. Nonostante il ritardo di questi Shalnark era entusiasta,
innaturalmente entusiasta, come sempre.
In poco tempo arrivò anche Ubo impaziente come
sempre di distruggere o semplicemente di fare casino. Infine Shizuku
che salutò
con un laconico: "Salve”
Nel frattempo il gruppo di Machi, Feitan,
Nobunaga e Franklin si trovava ancora sulla strada, diretti verso la
base,
sotto un sole inclemente.
“È passato tanto dall’ultima volta che
il capo ci
ha riuniti tutti.” Commentò Nobunaga.
“Ho saputo che ci sarà un’importante
asta
clandestina a York Shin City.” Fece Feitan, sottintendendo il
fatto di avere
l’opportunità di rubare e uccidere, di nuovo.
“Credete che verrà anche il numero 4?”
Chiese
Franklin, vagamente interessato.
“Hisoka?” Feitan fece un verso di disappunto.
“Mi
chiedo ancora cosa sia passato per la mente del Capo quando lo ha
reclutato.”
“Che stai dicendo Feitan? Io trovo che la sua
abilità con la Bungee-Gum sia eccezionale.”
“Nobunaga, sei molto bravo a parole, ma sai che
non valgono nulla.”
“Che vorresti dire, Franklin?” I due si fermarono
fissandosi truci per qualche istante, con occhi che esprimevano mille
parole.
“Ehi Machi, tu che ne pensi?” Chiese Feitan,
apparentemente annoiato dalla situazione che si stava creano dietro di
loro, i
due avevano ripreso a discutere, ed era certo che in poco e niente si
sarebbe
alzato un polverone.
“Niente, il mio compito è solo quello di
recapitare messaggi.” E con quello chiuse la conversazione.
Abbassò lo sguardo,
sulle proprie mani doloranti; c’era voluto molto tempo e
moltissime cure Nen
per farle tornare normali, purtroppo erano ancora doloranti, e sapeva
benissimo
che non sarebbero più potute tornare abili e rapide come
prima, ma almeno
poteva ancora usare le sue abilità. Strinse le mani in
pugno, avvertendo una
fitta correrle su tutto il
braccio, e
per un attimo si chiese se anche Amaya provava quel dolore tutte le
volte,
avrebbe sperato di sì. Il rancore le stringeva il cuore, la
voleva morta più
che mai.
“Tutto bene?” Le chiese il corvino quando la vide
fermarsi, neanche lei si era accorta di essersi bloccata.
“Proseguiamo.”
Dopo anni il Ragno era nuovamente riunito, quasi del
tutto, poiché non vi era ancora traccia di Hisoka.
"Non verrà." Fece qualcuno, commentando
sconsolato nell’oscurità. “Giuro che lo
faccio a pezzi.” La candela che il Capo
utilizzava per leggere si spense, fortunatamente nello stesso istante
in cui questo
chiuse il libro e una voce commentò
nell’oscurità.
"Oh,
povero me. Quella sembrava proprio una minaccia. Che paura.”
Con gli occhi che
brillavano nel buio, il prestigiatore sbucò da dietro una
colonna.
"Maledetto.”
“Sei in ritardo.” Il resto del Ragno si
limitò a
guardarlo male e a sospirare, chi di sollievo, più o meno,
chi sconsolati.
“Ero certa non saresti venuto.” Disse Machi, al
suono della sua voce lui si voltò, ricordandosi bene
ciò che aveva detto Amaya,
ciò che aveva detto che le avrebbe fatto.
“Sono venuto perchè me lo hai chiesto tu, se non
l'avessi fatto non avrei più potuto rivedere la tua Sutura
Nen.” Fece un
sorriso, che però si smorzò, quando vide il volto
della ragazza oscurarsi un
po’ e i suoi occhi abbassarsi alle proprie mani, il
prestigiatore fece lo
stesso, notando la posizione rigida e poco naturale che avevano. Occhio per occhio, mano per mano.
Pensò amaramente
fra sé.
Il capo si alzò, lasciando da parte il libro che
stava leggendo, e allora l’attenzione di Hisoka venne
totalmente assorbita da
lui, dal suo stesso desiderio di sconfiggerlo, e sorrise, forse
semplicemente
felice di vederlo in forma.
“Prenderemo i tesori dell’asta
clandestina.”
Annunciò lui, passando gli occhi su tutti i presenti.
“Quali?” Volle sapere Feitan.
“Libri antichi? al Capo piacciono i libri” Chiese
Machi.
“Gioielli?” Chiese Nobunaga.
“Tutto. Ruberemo tutto quello che c'è
all'asta.”
Rispose infine Chrollo, sorridendo appena.
“Ci sono parecchi criminali importanti che
parteciperanno, ci faremo un mucchio di nemici.”
“Hai paura Ubogin?”
“Non vedo l’ora! Ci dia l’ordine
Capo!”
“Allora questi sono i vostri ordini. Uccideteli.
Uccidete chiunque tenti di ostacolarvi.” L’aria si
fece pregna di eccitazione,
il Ragno era pronto a muoversi.
Dare to believe
Oh, for one last time
Then I'll let the
Darkness cover me
In una grossa villa, nella zona residenziale di
York Shin City, si stava svolgendo un colloquio con alcuni Hunter
selezionati. In
quel preciso istante una persona incaricata stava mostrando sullo
schermo di un
computer diversi oggetti; tra i quali la mummia di una principessa, un
fazzoletto utilizzato da un attore con tanto di test del DNA e infine
un paio
di occhi scarlatti.
Kurapika aveva fatto tanto per ottenere quel
lavoro, per spianarsi una strada che lo portasse al suo obbiettivo che,
per
quanto onorevole fosse recuperare gli occhi della sua tribù,
comprendeva anche
il vendicarsi degli elementi del Ragno che avevano ucciso la sua gente.
In quel momento, alla visione di quegli occhi di
quel colore così insolito e splendido, provò solo
che rabbia e rancore, mentre
la sua determinazione si faceva ancora più forte.
Sapeva
che il Ragno avrebbe ‘partecipato’
a quell’asta, in fondo sarebbe stato strano il contrario,
visto il grande
valore degli oggetti messi in vendita. Per questo Kurapika, determinato
e ora pronto,
si era preparato.
Nello stesso periodo, nella stessa città, un
gruppo di amici mal assortiti stava facendo di tutto per accumulare
soldi e
provare a partecipare all’asta, con in mente
l’obbiettivo di impossessarsi di
un oggetto specifico, un gioco riservato a chi già
padroneggiava il Nen, un
gioco in cui era possibile morire e in cui Gon sperava di incontrare
suo padre.
Una mongolfiera si sollevò lentamente sopra il
Covo del Ragno, avevano scelto un mezzo di trasporto discreto e
silenzioso, per
dirigersi in tutta calma in un luogo più vicino a dove si
sarebbe tenuta l’asta.
Stretti nel piccolo spazio a disposizione c’erano Ubo,
Nobunaga, Feitan, Shizuku,
Franklin, Shalnark e Machi. Tutti in fibrillazione per il grande evento
che
loro stessi avrebbero provveduto a rendere unico e indimenticabile.
All’interno del Covo erano rimaste le altre
cinque zampe, in più la testa e nessuno di essi sembrava
troppo occupato, solo
Pakunoda sembrava cercare di ammazzare il tempo lucidando la sua
pistola. Bonolenov,
Kortopi e Phinks si erano trovati un cantuccio comodo in cui riposarsi,
o
semplicemente annoiarsi.
Hisoka se ne stava seduto davanti alle alte finestre
rotte della chiesa, mescolando il mazzo di carte e lasciando vagare i
pensieri
verso un luogo poco distante, in cui si trovava Amaya, indubbiamente da
sola. Storse
la bocca, non si era mai legato tanto a una persona, tuttavia aver
‘vissuto’
con quella ragazza per tutto il periodo che aveva passato alla Torre
gli donava
una strana sensazione non averla attorno, con la sua costante aura di
pericolo
che sembrava alleggiare ormai perennemente attorno a lei.
Ripensò alla sera
dopo l’incontro con Gon, la sua aura minacciosa e pesante che
si era
manifestata al nominare la testa del Ragno, e poi ancora la rabbia con
cui l’avevano
fatto a letto; quella sera lei era stata particolarmente cattiva,
facendolo
sanguinare più del solito, senza neanche tentare mascherare
il suo intento,
quella volta aveva voluto ferirlo intenzionalmente.
Hisoka non era stupido, e non gli ci era voluto
molto per fare due più due.
Estrasse una carta a caso dal mazzo, e quando la
voltò vide il volto sorridente del Joker, l’unica
carta che non poteva essere
interpretata. Storse la bocca in una smorfia, spostando la sguardo sul
Capo
intento nuovamente nella lettura di un grosso e vecchio tomo, i suoi
occhi si riempirono
di desiderio e impazienza nello studiare la sua figura, quasi
completamente
immobile. Era passato tanto dall’ultima volta che si erano
visti, e a malapena
riusciva a trattenere il suo desiderio di vederlo cadere sotto i suoi
attacchi.
L’attesa era snervante, ma tuttavia non poteva fare altro,
con la presenza
delle altre zampe lì vicine, considerando anche che nessuno
si fidava veramente
di lui.
Mise via la carta nel mazzo, imponendosi di rilassare
i muscoli e piegare le labbra in un lieve sorriso. Appoggiò
la testa al muro, dicendosi che
quello non sarebbe stato né il luogo né il
momento.
NdA
Capitolo
strano, già. Ma le cose si stanno
‘sistemando’
i pezzi si stanno posizionando e beh, fra poco ne vedremo delle belle.
La parte più o meno centrale del capitolo corrisponde agli
episodi 42 e 43 della serie del 2011
Intanto stanno sorgendo altri problemi tra i
personaggi, mi sono ritrovata con un altro personaggio che
all’inizio della
storia non avevo nemmeno in progetto di considerare più di
tanto, ma in fondo
Kurapika ha più o meno lo stesso obbiettivo di Amaya, quindi
ne verrà qualcosa
fuori, probabilmente altri problemi.
Detesto rendere le cose facili ai miei
protagonisti ^^’
Ho un avviso da farvi, niente di troppo
preoccupante. Pubblico questo capitolo questa sera perché
nel giro di due
giorni partirò per delle vacanze, finalmente, e purtroppo
non avrò una connessione
né un computer abbastanza decente per continuare ad
aggiornare, ma continuerò
di certo a scrivere, e magari ogni tanto un saltino su EFP dovrei
riuscire a
farlo, nel caso sentitevi liberi di contattarmi, mi fa comunque piacere
:)
Detto questo ringrazio chi ha inserito tra le
seguite ecc e tutti i lettori e chi recensisce… vi manderei
un cuoricino, ma
purtroppo sono allergica ^^’ quindi vi auguro semplicemente buone vacanze!
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Capitolo 7 *** Catene ***
Capitolo
6. Catene
[HIM
–
Funeral of Heart]
Love’s the
funeral of hearts
And an ode for cruelty
When angels cry blood
On flowers of evil in bloom
“Innanzittutto
posizionatevi, e assicuratevi che nelle
vicinanze non ci siano presenze preoccupanti, in un raggio di una
decina di
kilometri, con qualsiasi mezzo possediate. Voglio un lavoro meticoloso,
se
anche solo credete di aver percepito qualcosa voglio che controlliate,
meglio
controllare ed essere ed essere sicuri piuttosto che trovarsi magari
con il
laser di un cecchino in mezzo alla fronte, sono stato chiaro?”
I compiti vennero assegnati, il piano iniziò a
delinearsi, l'asta era imminente.
Ognuno era al proprio posto, Kurapika con un
visore notturno affiancato da Senritsu, con il suo straordinario udito,
gli
altri, Hunter più o meno esperti, tenevano d'occhio
l'interno della sala
dell'asta.
Erano tutti in posizione.
Una mongolfiera si librava lentamente nell’aria
sopra la periferia, mentre il vento continuava a soffiare con forza, al
di
sotto inizò ad intravedersi la città, disseminata
di luci, come gioielli sparsi
su un telo di seta nera.
“Che hai Machi?”
“Sei preoccupata per qualcosa?”
“Ho solo un brutto presentimento.”
“Riguarda qualcosa in particolare?” Per un attimo
Feitan temette di aver toccato un tasto dolente, dopo quella faccenda
con
Amaya, Machi non era più la stessa.
Stette un attimo in silenzio, con lo stomaco che
continuava imperterrito a contorcersi, le mani strette a pugno, appena
un po'
doloranti
“Riguarda Amaya?” Ad affermare quel pensiero fu
uno sguardo paragonabile a un fendente della lama più
affilata al mondo.
“Di che vi preoccupate? Amaya non può sapere che
siamo a York city, Machi non gliel'ha detto e a meno che non ci sia un
traditore
qui dentro, cosa di cui dubito fortemente, non abbiamo niente di cui
preoccuparci.” Terminò Shalnark il suo discorso
con un sorriso soddisfatto.
“Forse hai ragione, mi sto preoccupando per
niente.”
“Sì, non preoccuparti Machi, appena avremmo
finito qui ci assicureremo di farla fuori, questa volta per
sempre.” La
solidarietà nel Ragno era una cosa assolutamente reale e
sincera, come in una
famiglia.
E ad interrompere quel momento fu Ubo. “Ehi, mi
spiegate bene questa situazione?”
“Ah, giusto, tu non ne sai praticamente nulla;
circa un anno fa il capo ha trovato questi due, Amaya e il fratello,
Frau in un
paese sperduto all'ovest, credo che fossero più o meno nella
situazione in cui
eravamo noi al ryuseigai, uccidevano e rubavano per sopravvivere, il
capo deve
aver visto delle potenzialità in loro così li ha
invitati ad unirsi a noi.
Tuttavia la loro situazione all'ovest era un po' problematica, e i
problemi li
hanno seguiti, rischiando di tormentare e mettere in pericolo anche il
Ragno,
così abbiamo dovuto prendere una decisione.” Il
vento sibilò con forza, trasportando
lontano le parole di Nobunaga.
E Feitan anticipò la domanda di Ubo. “Abbiamo
fatto la cosa giusta per il Ragno, non ha importanza se é
dispiaciuto a
qualcuno.”
“Già, la cosa giusta Machi.” Ci furono
altri sguardi
di solidarietà e supporto verso di lei, misti a un
po’ di rancore.
The funeral of hearts
And
a
plea for mercy
When
love is a gun
Separating
me from you
Amaya aveva trovato riparo in un palazzo
fatiscente con l'umidità che quasi colava dalle pareti, e dopo aver recuperato un
vecchio materasso si
era sistemata sotto delle scale, al riparo dal vento che correva da una
spaccatura all'altra del palazzo. Hisoka l'aveva accompagnata giusto
per essere
sicuro di sapere dove trovarla e per consigliarle un posto vicino al
Covo.
Si avvolse più stretta nella coperta, incrociando
le gambe sotto il corpo e sbuffando, sentendo l'umidità fin
dentro le ossa,
quello non avrebbe fatto bene alle sue giunture sensibili.
Fissò il cielo da
una finestra, aspettando il momento buono per attaccare un membro della
Brigata,
perché era così che doveva fare, attaccarli uno
alla volta, seguendo i loro
passi bell'ombra per poi colpirli al momento opportuno, in silenzio.
Tuttavia
sapeva benissimo che quel momento non sarebbe arrivato tanto presto.
Per questo
poteva permettersi di perdere tempo a riflettere e ricordare.
Appoggiò la testa
alla parete dietro di sé.
Kurapika si voltò verso la compagna. E, con un
tono di voce un po' preoccupato, quasi incerto, le chiede:
“Cosa c'è Senritsu?”
Stava con le mani appoggiate sulla ringhiera, lo sguardo lontano.
“Sento un suono particolare, é più o
meno al
confine con la periferia.”
“Un Ragno?”
“Il suo battito cardiaco é diverso da
ciò che
accomuna quelli della Brigata, é... Accidenti.”
Portò le mani alle orecchie e
chiuse gli occhi per concentrarsi meglio. Kurapika la vide tremare.
“Non ho mai
sentito una cosa del genere. É terribile, incredibilmente
cupo, quasi non
umano.” Strinse gli occhi. “Ed è una
donna.”
Kurapika attese mentre la donna abbassava le mani
e con sguardo triste guardando l'orizzonte. “C'è
una persona ora con lei, un
cuore che batte di follia, ora si sta allontanando, si stavano dicendo
qualcosa, ma non riesco a capire le parole da questa
distanza.” Il biondo la
osservò, vedendola con gli occhi lucidi e le sopracciglia
aggrottate; lei era
una persona compassionevole, sentiva il cuore altrui e lo capiva,
legandosi a
ogni suono in modo particolare.
“Dovrei andare a controllare, potrebbe comunque
essere un Ragno.” Il volto di kurapika si riempì
di determinazione.
“No, aspetta, non sento che pericolo.”
“Non ha importanza, che si tratti o meno di un Ragno
é meglio controllare, lo ha anche detto il capo.”
Preferisco
non rischiare di lasciarmi sfuggire uno di loro.
“Ma...”
“Andrà tutto bene.” Si voltò
verso di lei e
sorrise, mostrandogli i suoi limpidi e normali occhi celesti.
The heretic seal beyond divine
Prayer
to a God who’s deaf and blind
The
last rites for souls on fire
Three
little words and a question why
Si
era liberata dei vestiti per lavarsi e li
aveva lasciati ad asciugare appesi a uno dei rimanenti corrimano di
quel
palazzo fatiscente. Si era fasciata in un lenzuolo per proteggersi un
minimo
dal freddo, nell'attesa di poter indossare i suoi abiti.
Poi si concentrò estendendo la propria aura
intorno a lei, per poi applicare una tecnica che sperava di non aver
dimenticato; che consisteva nel utilizzare l'aura espansa come un ampio
tappeto, piuttosto che una cupola, in modo da allargare il raggio ma
permetterle comunque di percepire qualunque cosa avesse deciso di
avvicinarsi
e, sì, ce la stava
facendo, stava
iniziando a percepire ogni irregolarità del cemento su cui
riposava, ogni
movimento di ogni stelo d'erba che si piegava sotto il vento umido in
un raggio
che superava appena i settanta metri.
Riuscì quasi a rilassarsi, mentre con il corpo le
sembrava di tornare a tempi lontani, affondare in una memoria lontana. Perse la cognizione del
tempo, mentre
riusciva tuttavia a riflettere con chiara freddezza, nella sua testa
metterà in
fila i membri del ragno, recuperando dal passato informazioni su ognuno
di
loro, decidendo, e poi pianificando, un modo per colpirli, ferirli,
ucciderli.
Venne distratta dal suo ragionare da una presenza
ai margini della sua aura, tuttavia tenne gli occhi chiusi, sapendo
bene che
aprirgli non le sarebbe stato di aiuto. Si concentro piuttosto nel
tentativo di
comprendere se si trattasse di una presenza ostile o meno. I passi
avevano un ritmo
costante, privo di esitazione, deciso, tuttavia non malvagio,
semplicemente
guardingo e attento.
Ritirò lentamente l'aura, non senza aver prima
controllato che ci fossero altre presenze, e quindi attivò
l'In andandosi a
infossare maggiormente nel suo
cantuccio sotto le scale.
Tuttavia ci vollero solo pochi minuti prima che
questo si palesasse, rivelandosi essere un ragazzino biondo, con i
tratti
gentili e uno strano modo di vestire, Amaya lo vide prima che lui si
accorse
della sua presenza e in quello stesso istante materializzò
un'arma, per
sicurezza, per poi venire notata dal ragazzo, che reagì
fermandosi nel notare
la figura immobile della ragazza, era avvolta in un lenzuolo bianco e
con lo
sguardo fisso verso di lui, e se non fosse stato per il movimento
impercettibile delle spalle dovuto al respiro e al fremere delle
palpebre
sarebbe potuta sembrare molto facilmente un cadavere.
“Cosa vuoi?” E se non avesse parlato con voce
scocciata e arrabbiata. Amaya vide chiaramente il materializzarsi di
uno strano
guanto di catene sulla sua mano, ma decise di non darlo a vedere.
Tuttavia Kurapika non seppe esattamente come
rispondere a quella domanda; si trovava realmente davanti a un Ragno? O
solo
una persona particolare?
Quindi decise di essere diretto.
“Fai parte della Brigata dell’Illusione?”
Il
volto della ragazza non cambiò, il suo sguardo pesante
rimase ostinatamente
incollato al volto del ragazzo, e rispose solo quando il silenzio si
fece quasi
insopportabile.
“Se anche fosse? Cosa vuoi?” Il suo tono di voce
ora era chiaramente ostile, tuttavia il ragazzo non percepì
scatti improvvisi
nella sua aura e tantomeno nel suo corpo.
Ma considerò la sua risposta affermativa. 'Meglio essere sicuri'
“Ho una domanda da farti; eri con il ragno quando
avete sterminato un villaggio la cui gente aveva gli occhi
rossi?” Nello
sguardo della ragazza apparve una scintilla di tristezza, forse il
rammarico di
non aver vissuto imprese poi così importanti con coloro che
credeva essere la
sua nuova e fantastica famiglia.
“No.” Tutta via il suo volto sembrò
oscurarsi,
quasi piegarsi in se stesso, cercando di giungere a una conclusione, a
un'idea,
un'intuizione. Poiché qualcosa Amaya sapeva.
Sospettosi, entrambi, si guardarono in cagnesco.
“Dimmi il tuo nome. “
“Perché dovrei?”
“Ho risposto alla tua domanda.”
“Tuttavia tu fai parte della Brigata, e non mi
fido di voi.”
“Cosa intendi fare dunque? Estorcermi
informazioni torturandomi, magari?” Il ragazzo
sobbalzò appena, non
aspettandosi una reazione quasi pacata da lei, non sembrava volersi
scontrare. “Beh
sappi che non ne hai alcun bisogno, se davvero non ti fidi della mia
parola,
magari sentire la mia storia aiuterà.”
Inizialmente non ricevette risposta dal
ragazzo,-a dire il vero, anche lei sarebbe rimasta stranita ricevendo
una tale
risposta- interpretando quel silenzio come indecisione attese di
vederlo
rilassarsi appena, mantenendo comunque lo sguardo vigile e diffidente.
“Non ho tempo da perdere-”
“Tuttavia non sai se quello che ho detto riguardo
lo sterminio di quella gente sia o meno la
verità.” Concluse per lui,
sistemando le gambe sotto la coperta. Amaya credeva di aver capito,
tuttavia
decise di procedere con calma e guadagnare altro tempo, per ottenere
più
informazioni. Kurapika
aveva lasciato
dondolare una delle sue catene, nel tentativo di percepire le bugie dal
battito
del suo cuore, tuttavia, si da quando aveva attivato quel potere la
catena non
aveva mai smesso di muoversi, rendendogli impossibile capirla, ma
infondo
l'aveva detto anche Senritsu, che si trattava di qualcosa di insolito.
“Allora avanti, sentiamo. Ti ascolterò poi
deciderò che fare di te.” Nel sentirlo
improvvisamente così sicuro di sé e
deciso ad Amaya venne quasi da ridere, mascherò un sorriso,
prima di iniziare a
parlare.
“Prima di tutto devi sapere che entrare nel ragno
non é stata una mia scelta, ci ha reclutati
Chrollo.”
“Non é stata una vostra scelta? Avete accettato
di entrate nella brigata! Certo che é stata una vostra
scelta!”
“Gettavamo i copri dei nostri compagni nel fiume,
quelli che non resistevano al freddo o alla fame, ci morivano davanti
agli
occhi, li vedevamo appisolarsi ad un angolo della strada e non
svegliarsi più.
Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quell'inferno, e tu non puoi
biasimarmi
per aver accettato quello che avrebbe significato dei pasti caldi e un
tetto
sopra la testa, nonostante i furti e gli omicidi.”
Il volto del ragazzo si contrasse, e sembrò quasi
realmente dispiaciuto. Amaya sbuffò, dubitando che gli
dispiacesse realmente,
tuttavia lasciò correre.
“Credo comunque di doverti raccontare il resto
della storia neh?”
“Sono qui apposta, a quanto pare, devo sapere se
devo considerarti una nemica o meno.” Amaya
sospirò, raggruppando i pensieri.
“Ricordo a malapena la prima volta che ho ucciso,
ma é stata anche la prima volta che ho avvertito la forte
consapevolezza di
avere un fratello a fianco a me, di avere un legame estremamente forte,
più
forte di qualsiasi altra cosa. Nel momento in cui si é
voltato verso di me,
dopo aver spaccato con un'accetta il cranio di un mercenario, ho visto
nei suoi
occhi il mio riflesso, e in quell'istante ho capito che io sarei
sempre, sempre, stata
lì, nei suoi occhi, come
unica stella ad illuminarlo. E potevo solo immaginare che
ciò che in quel
momento stavo pensando io era che ciò che pensava anche lui.
Eravamo in pericolo di morte, noi e il nostro
gruppo di quattro o cinque persone, tutte nella stessa situazione,
avevamo
tentato di nuovo di rubare dai magazzini di un nobile, non potevamo
sapere che
questo aveva ingaggiato un gruppo di mercenari, tutti con il grande
intendo di
liberare l'Ovest da gente come noi.” Ricordava
la forza che aveva impresso nel suo ultimo colpo, con quell'arma che
sembrava
poco più che innocua, la lama non aveva quasi incontrato
resistenza e la faccia
del mercenario era caduta a terra, mentre il resto del corpo si era
accasciato
lentamente. *
“Nei gruppi come i nostri le parentele venivano
facilmente dimenticate, cancellati dal desiderio di sopravvivere che
prevaricava so ogni altra cosa. In quel periodo ero più o
meno cosciente di
avere un fratello, tuttavia una consapevolezza del genere era poco meno
che utile,
in situazioni come quelle.
Ci avevano assaltati nel momento stesso in cui
eravamo riusciti a mettere le mani sulle scorte di cibo. I
più deboli erano
caduti subito, uccisi più dalla paura che dai mercenari, e
io e mio fratello ci
siamo trovati all'angolo, in trappola.
E in quel momento di grande crisi, di morte quasi
certa, i nostri animi si sono accesi, reagendo l'uno all'altro come
olio
bollente ed acqua.
Chrollo ci trovò poco dopo, mentre mangiavano le
ultime mele rubate, eravamo ancora sporchi di sangue, ma eravamo uniti,
io e
mio fratello, da allora e per sempre.
O almeno, era quello che pensavo prima di vederlo
morto, trafitto dalla spada di Nobunaga e poi conficcato alla base di
una
albero.”
“Loro
hanno
ucciso tuo fratello?”
“E hanno provato a fare fuori anche me nello
stesso modo, mi hanno buttato giù dalla montagna
perché non sono riusciti ad
ammazzarmi su due piedi come hanno fatto con mio fratello.”
“E sei sopravvissuta alla caduta?” Amaya
sorvolò
sulla domanda stupida.
“Sono stata estremamente fortunata. Sarei anche
morta se uno strano tizio non mi avesse raccolto e curato. Sono rimasta
priva
di sensi per dodici settimane e ce ne sono volute altrettante per
riprendere a
usare gli arti in modo decente.” Amaya in quel momento ha una
certezza, le ci é
voluto un po' per capirlo, lui sta usando l'In per nascondere la sua
catena. Fa
un mezzo sorriso. Ringraziò mentalmente se stessa per aver
materializzato
quella certa arma, che le permetteva di apprendere informazioni sulla
persona
che si trovava vicino a lei, semplicemente aspettando.
“Non ti consiglio di usare quella catena su di
me.”
“Cosa?!” Amaya sorriSe e sollevò
lentamente la
mano sinistra, mostrandogli un pugnale particolare, una fattura
delicata, i
tratti quasi elfici.
“Con questo vengo a conoscenza, seppur
lentamente, di molte cose della persona che mi sta vicino.”
Sorrise
malignamente. “Ti è piaciuto il mio discorsetto?
Kurapika dei Kuruta? Quasi ti
stavo aspettando.”
Lui rimane in silenzio, colpito dall'abilità
della ragazza e dalla sua espressione da tigre.
“Ho anche scoperto che condizioni hai imposto a
te stesso per utilizzare la tua catena, ed é per questo che
ti sconsiglio di
usarla.” Un altro spiacevole sorriso. Kurapika
iniziò ad innervosirsi
parecchio, i suoi occhi acquisirono una tonalità rossa. Le
catene si rivelarono
e strinsero il corpo di Amaya, stringendole le braccia al torace ma
lasciandole
comunque un po' di libertà per le mani. Allora la sua
espressione si fece
fredda e seria.
“Ascolta ragazzino, tu serbi tanto rancore,
almeno quanto me, e per lo stesso motivo, quindi direi che morire qui
entrambi
è una cosa parecchio stupida, ed é stupido anche
quello che stai facendo.” Fece
una breve pausa, sentendo le catene allentarsi un po'. Era
un’assassina, certo,
ma per niente stupida, e non sembrava esserlo neanche lui.
“Ora, lascia che ti mostri una cosa”. Districandosi
dalle catene, sempre più molli, arrivò a
sollevarsi un lembo della camicia, per
mostrare il tatuaggio del Ragno,, al almeno, quello che ne rimaneva.
Lui
rabbrividì nel vedere l'inchiostro sbiadire nel tessuto
cicatriziale come se la
pelle stesse morendo. Quasi con un’impressione di necrosi.
“Non faccio più
parte del ragno, io voglio uccidere chi ha tradito me e mio fratello.
Quindi
non dovresti preoccuparti di me. Come nemica.”
Precisò.
“Stai dicendo che sei una mia alleata? Tu,
un membro della brigata
dell'illusione?!” Nonostante l’assurdità
della situazione, decise di ritirare
le catene, di certo se avesse deciso di usarla seriamente ci avrebbe
rimesso
anche lui.
“Non faccio più parte del Ragno! E, semplicemente,
non ti
starò tra i piedi a meno che tu
non stia tra i miei.”
“E dovrei lasciarmi rubare i miei obbiettivi?”
Lei fece spallucce.
“E io dovrei lasciarti i miei? Vedremo, ragazzino
dei Kuruta, vedremo chi riuscirà nella sua folle vendetta e
ci morirà
mettendola in atto.” Il prezzo era quello, stabilito
già da tempo.
Il ragazzo
si staccò dal muro cui era appoggiato, guardando la ragazza
con sguardo truce,
non era propriamente ostile, cercava solo di capire se una presenza del
genere
avrebbe facilitato o meno il suo lavoro.
“Comunque ti consiglio di andartene ora.” Sul
volto del biondo apparve un attimo di confusione, tuttavia non
ignorò
completamente quel suggerimento, ma attese comunque troppo,
poiché sentì dei
passi leggeri avvicinarsi, un rumore lento e inquietante che ricordava
abbastanza bene. Si voltò verso di lui non appena
sentì la sua voce, con quel
perenne tono di scherno.
“Oh, ma guarda chi abbiamo qui.” I capelli rossi
erano umidi, il trucco un poco sbavato, tuttavia il suo sorriso era del
tutto
intatto. “Ne é passato di tempo.”
“Hisoka”. Ora nella voce del ragazzo c'era solo
ostilità, e un briciolo di rancore. Amaya lo vide mettersi
in posizione
d'attacco e si sentì esasperata, perché non
poteva avere un attimo di pace?
“Lascia stare. Lasciate stare.”
Lo sguardo del prestigiatore si spostò sulla
ragazza, e sembrò accorgersi di lei solo in quel momento,
poiché il suo volto
si illuminò. “Non serve fare una gara di
testosterone qui dentro, basta solo
che il ragazzino, qui, se ne vada come ho appena chiesto.” E
ciò era più
rivolto al prestigiatore che ad altri, per evitare che accadesse un
disastro.
Il ragazzo si voltò, per un attimo dimentico che anche lei
aveva fatto parte
del Ragno e che quindi la presenza di quello strano individuo non le
avrebbe
dato problemi, non troppi almeno.
Allora tentò di rilassare i muscoli, dicendosi
che se lì dentro ci sarebbe dovuto essere qualche problema
era meglio che lui
ne stesse fuori. Allora con immensa cautela si spostò verso
l'uscita mentre un
inquietante sguardo famelico del prestigiatore
correva alternandosi tra lui e la ragazza.
Aggirò il prestigiatore
rimanendo in stato di tensione e pronto a reagire, tuttavia Hisoka
sembrava
voler seguire il consiglio della ragazza, tanto meglio così,
si disse, perché
uno scontro con lui non avrebbe portato niente di buono. Si
avviò sotto la
pioggia con passo celere, con una fastidiosa sensazione amara che gli
avvolgeva
lo stomaco, nella mente l'immagine dello sguardo spento della ragazza
in
contrasto con quello di Hisoka che si avvicinava tranquillamente a lei,
come un
serpente che si avvicina lento alla sua preda ormai immobilizzata dal
veleno; lento,
sicuro e affamato.
She was the wind, carrying in
All
the troubles and fears here for years tried to forget
He
was
the fire, restless and wild
And
you were like a moth to that flame
E
anche questa é sistemata,
disse
fra sé. Di nuovi nemici non ne aveva voglia, di alleati
scomodi neanche, c'era
già Hisoka che non le rendeva facile la vita, tuttavia era
riuscita a mettere
dei paletti, una specie di appunto d'attenzione nella mente del
ragazzo, in
modo che non diventasse una presenza troppo scomoda. O almeno, era
quello che
credeva.
“Hai seguito il mio consiglio?” Fece lui,
rimanendo in piedi davanti al giaciglio improvvisato di Amaya, le mani
sui
fianchi.
“Veramente no, mi ha trovato lui, come ci sia
riuscito non ne ho idea, ma forse avevi ragione.”
“Ti sei fatta un alleato?”
“No, praticamente gli ho detto di non
immischiarsi, e ho fatto in modo di non trovarmelo contro, davvero
pensavi che
sarebbe andata in modo diverso?” Nel mentre parlava il
prestigiatore si sedette
affianco a lei, avvicinando il suo volto più di quanto fosse
necessario.
“Uhm, un po' ci speravo, ci saremo potuti
divertire un mucchio in tre.”
Fece lui
con fare cospiratorio, Amaya si allontanò un poco resistendo
all'impulso si
lasciare un bel segno rosso di cinque dita sulla sua guancia.
Sospirò
pesantemente, esasperata, stanca e annoiata.
Ah,
la vendetta, finirà per uccidermi, davvero.
“Qualcosa
non va?”
“Ho freddo.”
“Allora lascia che ti scaldi un po'.” Il suo
sorriso si allargò, e a quel punto sembrò
potergli tagliare la faccia a metà
tanto era ampio. Si avvicinò nuovamente alla ragazza,
posandole una mano sulla
gamba e unendo le loro bocche, iniziando una danza che avrebbe
sì scaldato la
pelle fredda di Amaya, ma non il suo cuore.
“Ho bisogno di un favore Hisoka.” Si chiese per
un momento se approfittarsi di quei momenti di piacere soddisfatto
fosse saggio
per chiedere un favore, che non era poi roba da poco.
“Uhm?” Si sollevò sui gomiti osservando
la ragazza
che continuava ad fissare le macchie di umidità sul soffitto.
“Resta al covo, tu che puoi stare con il resto
del Ragno, tienili d'occhio e tienimi aggiornata, ho bisogno delle
occasioni
giuste, ho bisogno di prenderli uno alla volta, quando sono da
soli.”
Dalle labbra del prestigiatore uscì una risatina,
Amaya spostò lo sguardo su di lui, senza neanche
sorprendersi più di tanto
della sua reazione.
“Perché ridi?”
“Non avrei mai pensato di vederti così.”
“Che intendi dire?”
Ricordo la prima volta che tu e tuo fratelli
siete arrivati al Covo, sembravate dei ragazzini qualunque, e invece
ora sei
una creatura splendida.” Un insolito rossore
colorò le guance della ragazza.
“Sai, a volte penso che anche tu dovresti
rotolare giù da una montagna.” Questo commento
scatenò l'ilarità del
prestigiatore, il che fece infuriare la ragazza che si mise a sedere,
con la
coperta avvolta al corpo, la tirò un poco, con il perverso
intento di far
patire un po' di freddo alla pelle dell'altro. “Allora?
Mi vuoi fare o no questo favore?!” Il
prestigiatore smise di ridere.
“Certamente.” Tuttavia sul volto il suo sorriso
sembrò non voler svanire, neanche quando obbligò
con il suo stesso corpo a far
sdraiare nuovamente la ragazza.
Nell'ombra, sotto la pioggia che aveva iniziato a
scrosciare con forza, si acquattò un figura candida, le
gocce di pioggia che colavano
sul viso smorto, gli occhi blu che si stringevano osservando un
orizzonte non
troppo distante, in cerca di una presenza che conosceva più
che bene. Ormai era
vicino.
Si scostò i capelli chiari dalla fronte mentre
l'acqua gli entrava negli occhi, gli abiti che si facevano pesanti e i
brividi
che gli correvano per le braccia.
Si sedette, attese.
Come faceva da tempo, erano giorni di attesa
quelli, e non solo per lui, tutti si stavano preparando, sistemandosi
su una
scacchiera che si sarebbe colorata di rosso. Lui avrebbe aspettato
ancora, il
suo compito, la sua mossa da compiere era una, e sarebbe stata decisiva.
Però diavolo, quanto odiava l'aria aperta.
NdA
Salve!
Passato bene le vacanze? Io sì, sono riuscita ascriver e
più di
quanto avessi mai potuto immaginare, per questo il capitolo
è così lungo…
ammetto che mi sono accorta che questa cosa avrei dovuta farla accadere
molto
dopo (l’incontro con Amaya e Kurapika) tuttavia per fini di
logica e trama ho
preferito inserirla ora, creando una specie di bolla temporale nel
proseguo
effettivo che ha il manga o l’anime ^^” Ma
è anche una scusa per parlare un po' di più di
Amaya :)
Immagino vi sia ance sembrato strano il motivo per cui Amaya si sia
aperta tanto con Kurapika, ma vedete che era solo per acquisire delle
informazioni e per insinuarsi meschinamente nella sua testa xD
Eeeh, l’ultimo paragrafo? Non intendo darvi indizi, anche
perché altrimenti
sarebbe troppo facile capire di chi si tratta, ma vi assicuro che lo
conoscete ‘bene’
So che sarebbe dovuto
succedere qualcosa di Poù, però preferisco
preparare i fatti come si deve piuttosto ch propinarvi scene a
caso e senza preparazione per l'avverarsi di una certa situazione,
comunque prometto che dal prossimo capitolo tutto sarà
più movimentato :)
PS:
Ascoltatevi la canzone perché merita *-*
*Sì,
è possibile ‘defacciare’ una persona con
un’arma particolare, su YT
un canale che testa armi su riproduzioni di teste di zombi
l’ha fatto accadere
con un coltello particolare (lo Swabbie), qui il link -> UNREAL
FACE DECAPITATION!
Ora capite la mia fissa per le
armi? xD
|
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Capitolo 8 *** Giuda ***
AVVISO IMPORTANTE: Il
mio fedele
(non più tanto) computer fisso ha deciso di smettere di
funzinare, alternando un minuto di funzionalità con un
orribile
'blu screen of death', seguito da un riavvio, e così via, in
un
ciclo che non finisce a meno che io non forzi lo spegnimento. QUINDI,
non temete, ho un portatile, ed è attualmete quello che sto
utilizzando, tuttavia non ha lo stesso programma che usavo per scrivere
sul fisso, quindi potreste trovare qualche cambiamento nel format
generale dell'impaginazione perché fatico ancora a capire
come
funzioni (e l'HTML che ha mente propria, a qunto pare). Ho scricato
già Nvu, Gimp tornerà presto, per ora posso solo
'darvi'
un banner improvvisato con Pickmonkey, visto che quello che avevo
pronto è quasi irrecuprabile.
Grazie e scusate
immensamente,
appena possibile porterò il pc all'assistenza, sperando che
non
mi dicano che è irrecuperabile.
E menomale che mi ero
già trasferita le storie a cui stavo lavorando u_u
Vi lascio al capitolo,
ci vediamo in fondo :)
Capitolo
7. Giuda
[Archive
- Lights]
It hurts
to feel
It
hurts to hear
It
hurts to face it
It
hurts to hide
It
hurts to touch
It
hurts to wake up
It
hurts to remember
It
hurts to hold on
Hisoka si
alzò, recuerando i vestiti sparsi, sentendo chiaramente lo
sguardo della ragazza su di sè.
"Che intendi fare
ora?" Si
stiracchiò, sentendo le ossa scricchiolare, e quasi gemette
per
il dolore che le provocava tutta quell'umidità. Forse si
sarebbe
potuta trovare un posto migliore, almeno un più asciutto.
"Ho in mente un
piccolo piano, devo incontrare una persona."
"Chi?" Non rispose
subito,
limitandosi a osservare a sua volta la ragazza, ancora raggomitolata
sotto le coperte improvvisate, era il caso di dirglielo?
Perché
no? Perché non darle un po' più di disagio?
"Ricordi quando ho
detto che in tre ci si divertirebbe di più?" Sorrise,
guadagnandosi un'occhiataccia.
"Starai scherzando."
Ad Amaya
l'idea di immischiare altra gente nel suo, loro, piano folle, era una
pessima idea... anche solo il fatto che l'idea si trattasse di Hisoka
avrebbe potuto renderla pessima a prescindere, secondo la ragazza.
"Non questa volta." E
se ne
andò così, lasciando Amaya con un nervosismo
bruciante in
fondo al petto. Quella era una delle tante cose che erano cambiate; a
malapena tollerava avere qualcuno vicino, che condividesse, anche solo
in parte, le sue stesse idee.
L'ultimo era stato
Frau. Pensare a
lui dopo tanto le provocò una fitta al petto, le mancava
così tanto, e le mancava anche come era il mondo prima di
venire
tradita. O forse solo il modo in cui lei lo vedeva ad essere cambiato.
Il terrore della
morte, l'orribile
sensazione di essere intrappolata in un corpo maciullato, in una mente
che non ne voleva sapere di dare tregua a quell'agonia. A malapena
ricordava come lei stessa era stata precedentemente.
Ma poco importava
ormai, prchè andava avanti solo per una ragione.
"La merce non c'era?"
"Già, la
cassaforte era
vuota. Secondo il banditore, l'unica persona a sapere qualcosa, tutto
il contenuto era stato spostato qualche ora prima. Sembra proprio che
si aspetassero un attacco del genere. Non trovi che la tempistica sa
stata troppo perfetta? Dev'esserci un Giuda tra noi." Ubo
guardò
giù dalla mongolfiera, si stvano allontanando dal luogo
dell'asta in una drezione casuale, attendendo qualche nuovo ordine.
"Vuoi dire che quacuno
di noi
è un traditore?" Nobunaga lo guardò male, e a
quelle
parole un mucchio di sguardi truci viaggiarono in quello spazio
ristretto, il fatto di non aver trovato i tesori dell'asta dove
sarebbero dovuti essere aveva messo tutti di cattivo umore.
"Non ci sono
traditori. E neanche
Giuda lo era, raccontano che vendette Gesù per trenta pezzi
d'argento. Ma quanto potrebbe chiedere un traditore alla Mafia?" Il
Capo fece una pausa. "Considerate i vantaggi... Che cosa guadagerebbe
vendendoci alla Mafia? Denaro? Gloria? Prestigio? Credi davvero che a
qualcuno di noi queste cose possano interessare?"
Era del tutto
impobabile.
"Allora che facciamo?"
"Avete chiesto al
banditore dove è stata spostata la merce?"
"Si ma... Ha giurato
sulla sua vita
che non lo sapeva. Feitan l'ha torturato, quindi non stava mentendo."
Questo sbuffò, e pensò che quel banditore era
stato
parecchio sfortunato, non era pietà, constatava solo un dato
di
fatto.
"Hai ottenuto i nomi
di chi potrebbe saperlo?"
"Puoi scommetterci."
Un enorme sorriso si allargò sul suo volto
"Possiamo scatenarci?"
Avevano degli iseguitori alle calcagna, chi fossero non aveva poi molta
importanza, non per Ubo.
"Date spettacolo agli
inseguitori,
così usciranno allo scoperto." Fare le prede per attirare
quelle
vere, farsi vedere, farsi sottovalutare.
"Non vedo l'ora!" Poi
il massacro.
Un'estesa piana
rocciosa, e niente
più, ecco come poteva essere chiamato il Deserto di Gordou,
niente di eccezzionae da vedere lì, solo rocce e, quella
sera,
mafiosi armati fino ai denti. E come invitati ad un grande evento, si
erano fatti vivi anche gli Inju, le Bestie dell'Ombra, mandati dalla
Mafia; erano tutti lì.
Tanto meglio, si era
detto Ubo, più divertimento per lui.
La sua filosofia di vita
è sempre stata cecare di diventare il più forte
di tutti. E fisicamente lo era, eccome.
"Ne arrivano altri."
"Vengono qui a farsi
ammazzare come bestie al macello"
Anche Kurapika e il
resto del loro
gruppo aveva seguito la mongolfiera, ora guardavano da lontano una
bestia che faceva di una battaglia un vero massacro a senso
unico. Ma fu solo all'arrivo degli Inju che vide il tatuaggio
del
ragno sulla schiena di Ubo, ecco la conferma, finalmente.
Trovati.
Paradossalmente, nello
stesso
momento, al Covo si respirava umidità e noia, decisamente
non il
massimo per i presenti, ma a quanto pare al Capo non sembrava dare
fastidio, impegnato come era a leggere il suo tomo, Hisoka era di
tutt'altro avviso, e menomale che aveva da fare.
"Mi sono appena
ricordato che devo incontrare una persona oggi. Devo uscire"
"Certo, vai pure, ma
torna per le
sei di domani pomeriggio." Il prestigiatore si avviò fuori,
contento di potersi liberare di quella noia mortale. "Ne stai
combinando un'altra delle tue, Hisoka?"
"Ovviamente
sì." E sorrise.
Kurapika
sentì il cellulare vibrare e quando controllò
vide di aver ricevuto un messaggio, il numero sconosciuto.
"Incontriamoci nel
posto
stabilito." Diceva, con un cuoricino, numero sconosciuto o meno, non
era difficile intuire chi potesse essere.
Il luna park era
abbandonato,
lasciato completamente a se stesso, i giochi arrugginiti e
decadenti, le giostre che parlavano di desolazione. Mai avrebbe pensato
a un luogo più adatto, per lui.
Kurapika era entrato
in quel luogo
con un vago senso di disagio, tuttavia quando sentì il
rumore di
una carta che scontrava terra venne completamente distratto dal luogo
sinistro in cui si trovava, voltò lo sguardo e non fu per
niente
sorpreso di vederlo di nuovo; Hisoka se ne stava seduto su una vecchia
giostra a mescolare placidamente il suo mazzo di carte. Stranamete, la
sua presenza esageratamente colorata sembrava l'unica macchia di
colore, e impossibile dire che non stonasse in quell'ambiente cupo.
"Hai fatto in fretta."
Un'altra
carta per terra, il sei di picche andò a coprire il joker;
un
cambiamento drastico, possibile? Istintivamente Kurapika si mise
sull'attenti.
Non
sta usando l'In
"Non temere. Non ho
nessun interesse a combettere contro di te, per ora."
"Non ho tempo per le
chiacchiere, parlami della tua organizzazione."
"Peccato, io adoro le
chiacchiere.
E a quanto pare Amaya non ti ha detto quasi nulla sulla Brigata,
avresti potuto sfruttare quel'occasione. Comunque, ci sono tredici
membri nella Brigata Fantasma, identificabili con il ragno numerato che
portano tatuato, i membri possono cambiare senza preavviso." Per puro
caso, neanche l'avesse chiamata, il cellulare nella tasca di Hisoka
vibrò.
"Se un candidato
riesce a
sconfiggere un membro, ne prende il posto, se la Brigata perde un
membro, per qualche ragione, è il capo in persona a
scegliere il
sostituto adatto, la Brigata si occupa soprattutto di furti e
asassinii."
"Non dirmi cose che so
già."
Il prestigiatore non rispose subito, osservando per qualche istante il
messaggio che aveva ricevuto.
'Dammi buone notizie, sono stufa
di aspettare.' Il
che, tradotto, poteva solo significare che la sua sete di sangue e
vedetta non era stata soddisfatta per troppo tempo, la dose che era
riuscita a rifilare a Machi di certo non l'avrebbe tenuta a bada ancora
per molto. Inutile dire che Hisoka se ne era accorto già da
un
po', sin da quando si era scontrato con Gon e aveva percepito l'aura di
Amaya per la prima volta realmente minacciosa e ostile nei suoi
confronti, subito dopo aver menzionato il Capo, per non parlare del
tempo che passavano
insieme;
Amaya ormai sfogava la sua rabbia e la sua frostrazione sul corpo del
prestigiatore, lasciandogli ogni volta segno rossi sulla pelle, a volte
sanguinanti. Ma ormai per lui era quasi come un libro aperto, intrisa
come era di emozioni negative. Tuttavia non rispose al messaggio, per
quello c'era ancora tempo, e si divertiva a tormentarla; l'avrebbe
lasciata aspettare ancora un po'.
"Circa tre anni fa ho
preso il posto del numero 4."
"Perché?"
"Per combattere contro
il Capo" Il
prestigiatore si allungò indietro, andando ad appoggiare le
mani
su ci che rimaneva di un cavallo della giostra e osservò il
cielo attraverso un buco nel telone. Si sentiva impaziente; Amaya non
era l'unica a bramare uno scontro.
"Il Capo?
Perchè volevi combattere contro di lui?"
"Perchè
è molto forte."
"Volevi metterti alla
prova?"
"Forse. Ma
soprattutto... mi eccita
parecchio il pensiero di combattere contro di lui. Purtroppo non ne ho
mai avuto l'occasione. Non abbassa mai la guardia e ci sono sempre
almeno due persone di scorta con lui. Quando il lavoro è
completo sparisce nel nulla. Senza lasciare traccia. Perciò
ho
una proposta che penso gioverà ad entrambi. Raggiungere i
rispettivi obbiettivi agendo da soli sarà difficile, non
trovi?"
"Cosa vuoi dire?"
Kurapika
iniziò a intuire qualcosa, ma non aveva assolutamente idea
di
quale sarebbe stata la sua proposta, a malapena ci avrebbe creduto dopo
averla sentita.
"Posso spiegarti le
tecniche Nen
utilizzate dagli altri membri della Brigata, conosco già i
poteri di sette di loro. Ti interessa... lavorare insieme?"
Infondo Hisoka faceva perte della Brigata solo per un motivo.
E quanto sarebbe
potuto essere nocivo uno scambio di informazioni?
"Ci sono tre Hotel in
cui i membri
stanno soggiornando. Beh, dovrebbe essere una ricerca breve." Shalnark
gli passò il bigliettino, il nome di tre lussuosissimi Hotel
scritti in una grafia ordinata e precisa.
"Grazie, te ne sono
grato." E gli stampò un rumoroso bacio sulla guancia.
"Che accidenti
combini?!" In risposta, solo una rista sommessa da parte del gigante.
"Beh, allora vado.
Ciao!"
"Ubo!" Sul punto di
saltare dalla
finestra, si fermò, con un piede a penzoloni nel vuoto si
voltò verso il biondino. "Non essere imprudente."
"Certo." Imprudenza o
meno, quella notte il Ragno perse una zampa.
Turn my
head
Voltastomaco; la
sensazione provata
alla mano, il suono tetro di ogni pugno, l'odore del sangue, i sensi
annebbiati. La capacità di uccidere, la
possibilità, di
avere in mano la vita di qualcuno e di poterne fare qualsiasi cosa,
quale orrore e quale eccitazione.
Vendetta. Era quello
che si provava quindi?
Com'è
possibile che agiscano così, senza provare assolutente nulla?
Neanche la Catena del
Giudizio,
neanche la reale visione della morte era servita a fargli tradire i
suoi compagni, non una parola era uscita dalle sue labbra.
"Quando
uccidi un passante innocente, cosa provate, cosa vi passa per la mente?"
"Assolutamente
nulla."
Forse aveva fatto una domanda stupida, o forse solo quella sbagliata.
"Uccidimi." Non
avrebbe detto nulla, non li avrebbe mai traditi, lo sapevano entrambi.
La mente cedette, il
corpo crollò.
Al Covo erani tutti
presenti,
quasi. Hisoka si guardò inorno, avvertendo la tensione
palpabile
nell'aria, qualcosa era andato storto.
"Usa una catena.
È un
manipolatore o materializzazione. Ubogin è un potentissimo
combattente, ma in un faccia a faccia è molto vulnerabile a
quelle due categorie. Molti materializzatori conferiscono poteri
speciali alle armi che creano. Alcuni di questi potrebbero rendere Ubo
un bersaglio facile, e un manipolatore potrebbe anche manipolare Ubo
stesso."
"Maledizione, sarei
dovunto adare
con lui." Shalnark stringeva i pugni fino a farsi sbiancare le nocche,
una bruttissima sensazione ad attorcigliargli lo stomaco.
"Se non
tornerà entro l'alba... "
"Ubo è
stato davvero ucciso?"
"Probabile."
"Ubo non era solo uno
stupido tutto
muscoli." A Machi sembrava strano, aveva sempre visto Ubo come un
gigante imbattibile, pensarlo morto aveva del surreale.
"Lo so benissimo." A
Nobunaga bruciava, era quasi un male fisico pensare che fosse morto.
"Anche se si fosse
trovato davanti
un avversario difficile." Erano in mezzo alla gente, bevevano una
lattina di birra ciascuno, apparentemente rilassai e noncuranti. "Aveva
l'ingegno e l'esperienza necessari per prevalere" La coppia dietro di
loro si alzò velocemente, avevano fatto un affare; avevano
appena intascato una gran somma di denaro per una misera ripresa su
quei due. Il mittente erano due sempli ragazzini, apparentemente.
"Ma Ubo non
è tornato. Lui è mai arrivato tanto in ritardo
senza averci prima avvisato?"
"Ma ti ricordi cos'ha
detto? Che non sarebbe tornato finchè non avrebbe sistemato
i conti con quell'uomo delle catene."
"Ecco
perchè ho detto 'probabile'. Non ho mai detto che
è stato ucciso."
"È solo una
sensazione."
"Beh, di solito ci
azzecchi."
Killua e Gon
osservarono i due
individui dal piano superiore del bar, avevano preso un tavolo a fianco
della finestra, in modo da averli sempre sott'occhio. Tuttavia Killua
sapeva benissimo che nessuno di loro era al livello di uno della
Brigata, ricordava che a suo padre era stato commissionato un lavoro
che riguardava uno del Ragni. Quando era tornato a casa aveva detto
agli altri di stare lontano dalla Brigata, e che non valevano i soldi
che gli erano stati dati; quello era il miglior complimento che si
potesse fare a una preda.
Killua sapeva, ed era giusto supporre, che i due si fossero accorti
della coppia, che forse si erano accorti anche di loro, che erano
attenti a tutto, ma per niente preoccupati.
"C'è
qualcuno che ci osserva." Infatti.
"E non sono dei
principianti."
"Sarà
l'uomo con la catena?"
"Chi lo sa?"
"Credo che il Capo
voglia reclutarlo."
"Machi, ci ha solo
detto di
portarglielo, ti sei dimenricata della regola implicita?" Vivo o morto,
con ogni mezzo necessario. "Puoi interpretare gli ordini del capo come
vuoi, ma non puoi obbligarmi a essere d'accordo con te." Una punta di
risentiento, se davvero Ubo era morto, se davvero era stato ucciso...
"Non ho ancora detto
niente, sei tu che hai tirato fuori la questione."
"Chiariamo subito le
cose. Lo catturiamo vivo o morto?"
Nobunaga tirò fuori una moneta, la osservò un
attimo, pensando che l'ultima volta non era andata molto bene.
Si alzarono e,
fingendo di ignorare
la presenza dei ragazzini che li pedinavano si diressero verso una zona
più periferica, aperta e strategica. E attesero, tuttavia
coloro
che li pedinavano non sembravano volersi far vedere.
Un cellulare
squillò.
"Pronto?"
"Sono Phinks, volevo
sapere come andavano le cose."
"Ah, bene, ci stanno
pedinando, ma non riusciamo a farli uscire allo scoperto."
"Allora che ne dite se
vi do una dirtta?" Silenzio, tensione. L'attimo prima della tempesta,
la terribile stasi.
Poi lo sguardo di Nobunaga si spostò verso di loro.
Eccoli.
Lo scatto, del tutto
inutile, le
vie di fuga presto coperte da altri Ragni. Si erano fatti fregare da un
intelligente doppio pedinamento.
Amaya sentì
il rumore delle
auto, la polvere si alzò, il vento la portò
lontano, poi
più nulla, osservò il cellulare tra le mani che
tremano
d'impazienza, ancora niente di nuovo.
"Benvenuti nel nostro
quartier
generale." La tensione nell'aria era quasi insopportabile,
una
decina di occhi puntati su di loro.
Turn my
head
Off
Forever
Turn
it off
Forever
Off
forever
Turn
it off forever
Il cellulare
vibrò e Amaya controllò, quasi sorpresa.
"Presto." Diceva. Era
il momento di prepararsi.
"Era
del potenziamento. Ingenuo e semplice, adorava gli scontri in cui
poteva sfogarsi, ma non tollerava i ritardi. Se la prendeva sempre con
me e Franklin quando arrivavamo in ritardo. Me le suonava di santa
ragione in uno scontro a mani nude... Lo conoscevo fin da prima della
fondazione della Brigata. Lo conoscevo meglio di chiunque altro. Ubo
non avrebbe mai perso uno scontro. " Le lacrime agli occhi, sincere.
"La farò
pagare a chiunque l'abbia ucciso. Lo troverò, non importa
quante
persone dovrò uccidere. L'uomo delle catene, pensaci bene,
lavora da
solo e prova rancore verso la Brigata, se sai qualcosa devi dirmelo."
Nobunaga non sapeva, o forse dava per scontato, che stava dando voce a
tutto il Ragno, perché loro erano una famiglia, e come tale,
i
legami erano più forti di qualsiasi orgoglio.
"Non
ne so niente. Ma anche se sapessi qualcosa non te lo direi! Pensavo
foste un gruppo di mostri senza cuore. Ma piangete la morte dei vostri
compagni? Perché non tenete da parte un po' di quel dolore
per le
persone che avete ucciso?"
Alla fine
era stato deciso
dopo quella sfida a braccio di ferro, la personalità di Gon
aveva profondamene colpito Nobunaga, gli ricordava terribilmente i modi
di fare di Ubo, quindi avrebbe aspettato che il Capo approvasse o meno
di far entrare quei due nella Brigata, dando per scontato che questi
non si sarebbero mai uniti a loro di spontanea volontà, ma
non
curandosene comunque.
Nel frattempo, il
resto del Ragno iniziò a impiegarsi seriamente nella ricerca
dell'uomo con le catene.
"Muovetevi a coppie e
cercate le
persone su quella lista. Poi ci ritroveremo qui alle dieci di sera.
È tutto." Shalnark si voltò dirigendosi verso
l'uscita, i
due ragazzini che cotinuavano a lanciare sguardi attenti in giro.
"Aspetta, Nobunaga
resta qui, giusto? Io cosa faccio?"
"Puoi aggregarti a chi
rimane." Si voltò e sospirò quando vide che
l'unico rimasto era Hisoka.
il prestigiatore
sorrise. Già, 'mostri senza cuore.' Forse non sempre,
però a volte sapevano esserlo.
"Nobunaga è
da solo." E quello bastava.
Nello stanzino l'aria
stava
iniziando a farsi pesante, c'era tensione, c'era il disagio, il bisogo
di scappare. Né Killua né Gon avrebbero mai preso
in
considerazione l'idea di far parte della Brigata, tuttavia in quel
momento loro non sembravano avere il potere di prendere nessuna
decisione.
Se non quella
sbagliata. Killua era
vicino al crollo, voleva trovare un modo per andarsene, per negare le
parole di suo fratello che nella mente gli ripetevano di tirarsi
indietro.
"Ragazzini, stavene
bravi,
aspettate solo l'arrivo del Boss, se la sua risposta sarà
negativa sarete liberi di andarvene, ma non fate mosse sciocche sino ad
allora, non sono abbastanza abile né caprbio da controllare
la
mia forza." Eppure agli occhi di Killua quella era l'unica soluzione;
sacrificarsi per regalare un'opportunità a Gon.
"Killua, ora mi
ricordo!" L'inuizione, una salvezza per Killua.
Buchi
nelle pareti, la
roccia tutta uguale iniziò a scorrere davanti ai suoi occhi,
rigraziò mentalmente Gon, quella volta stava per fare
davvero
una sciocchezza. Il corpo pieno di adrenalina e determnazione che
superava le stanze, una parete sfondata dopo l'altra. Poi una macchia
bianca appoggiata al muro, una figura umana, ma scivolò via
velocemente anche quella e Killa la notò appena, doveva
continuare a correre, e non riuscì neanche a dargli il
giusto
peso, poco dopo, fuori, Killua pensò di esserselo immaginato.
Così
Nobunaga si era trovato da solo, ingannato da un banale trucchetto di
due ragazzini.
Solo. Un'ottima preda.
"Ah farsi fregare in
questo modo da
dei ragazzini non è da te, Nobunaga." Fremette, l'En intorno
a
lui tremolò, quasi si dissolse. Conosceva quella voce, ne
era
certo, doveva solo... Una lieve risata di scherno, un'intuizione, poi
una certezza.
"Amaya, è
un piacere rivederti."
"Ne dubito." In mano,
appoggiata
sulla spalla, quella che poteva essere scambiata per una katana, una
nodachi, già completamente estratta, il che,
ragionò
subito Nobunaga, le avrebbe dato la possibilità di essere
più reattiva al suo primo colpo, considerando che era un
maestro
di Iaido e che solitamente per lui gli scontri finvano con l'estrazione
della lama. La lunghezza maggiore della nodachi rispetto alla sua
semplice katana le avrebbe inoltre permesso di evitare con
più
facilità i suoi colpi, riuscendo possibilmente a metterne a
segno qualcuno in più.
"Non dovresti essere
morta, tu?"
"Hai trafitto il cuore
di mio fratello, non il mio."
Era tutto studiato per
avvantaggiare se stessa. Anche la sorpresa di Nobunaga, quando la vite
iniziare a maneggaire la spada con una mano sola.
La puntò
verso di lui,
avvicinandosi di qualche passo, per poi abbasarla in posizione di
guardia a una mano, l'altro braccio parzialmente coperto dal corpo.
"Avanti, avrai
immaginato che non
sono qui per scambiare due chiacchiere." Nobunaga posò la
mano
sull'elsa, sapeva benissimo che con il primo, massimo i primi due
fendenti, si sarebbe deciso tutto.
The
hurt's relentless
The
hurt of emptiness
The
hurt of wanting
The
hurt of going on
The
hurt of missing
The
hurt is killing me
Le lame si scontrarono, Nobunaga aveva estratto la spada dal fodero e
menato il primo fendente, mirando al collo della ragazza, la quale,
come si era ben aspettato, aveva fatto calare la sua nodachi sulla
katana, riuscendo a deviarne la traiettoria.
Fecero un passo
indetro entrambi, e
recuperarono la posizione di guardia, Amaya continuava a mantenere
quella posizione inusuale, Nobunaga cercava di non pensarci, ricordando
bene però le volte in cui si erano allenati insieme, in un
lontano passato, e le volte che lei l'aveva battuto era sempre stato
con trucchi non del tutto leali. Per quello non poteva permettersi di
abbassare la guardia.
Nobunaga
avanzò con un
fendente diagonale dal basso verso l'alto, ma di nuovo, Amaya era
riuscita a precedere il suo movimento con un fendente verticale
dall'alto. In quell'istante le due lame erano perfettamente
perpendicolari, in una scomoda posizione di stallo. Amaya
ragionò in fretta, portando più peso possibile
verso il
basso, cercando di abbassare ulteriormemte la lama di Nobunaga, e
quando la vide tremare rimosse completamente il Nen dalle gambe,
annullando quasi del tutto la sua stessa stabilità, sapendo
che
Nobunaga non sarebbe riuscito a reggere il peso del suo corpo con una
semplice katana.
Le lame si scontrarono, Nobunaga aveva estratto la spada dal fodero e
menato il primo fendente, mirando al collo della ragazza, la quale,
come si era ben aspettato, aveva fatto calare la sua nodachi sulla
katana, riuscendo a deviarne la traiettoria.
Fecero un passo indetro entrambi, e recuperarono la posizione di
guardia, Amaya continuava a mantenere quella posizione inusuale,
Nobunaga cercava di non pensarci, ricordando bene però le
volte in cui si erano allenati insieme, in un lontano passato, e le
volte che lei l'aveva battuto era sempre stato con trucchi non del
tutto leali, logoramento mentale, più che altro. Per quello
non poteva permettersi di abbassare la guardia.
Nobunaga avanzò con un fendente diagonale dal basso verso
l'alto, ma di nuovo, Amaya era riuscita a precedere il suo movimento
con un fendente verticale dall'alto. In quell'istante le due lame erano
perfettamente perpendicolari, in una scomoda posizione di stallo. Amaya
ragionò in fretta, portando più peso possibile
verso il basso, cercando di abbassare ulteriormemte la lama di
Nobunaga, e quando la vide tremare rimosse completamente il Nen dalle
gambe, annullando quasi del tutto la sua stessa stabilità,
sapendo che Nobunaga non sarebbe riuscito a reggere il peso del suo
corpo con una semplice katana.
le lame scivolarono l'una sull'altra, la punta della katana
lasciò un segno rosso sulla spalla della ragazza.
"Perché sei ancora viva?"
"Sono altre le domande che dovresti porti, non pensi?" E con lo sguardo
corse alla sua guamba, dove era apparso un taglio sanguinante, Nobunaga
non se ne era accorto, semplicemente perché da
ciò che aveva visto ricevere una ferita del genere sarebbe
stato impossibile, la sua lama non l'aveva mai sfiorato, ne era certo.
Tuttavia sapeva che perdere tempo a pensarci avrebbe solo peggiorato le
cose, quindi tornò a concentrarsi sullo scontro. O almeno ci
provò, perché tutto sembrava ripetersi; un
fendente, l'anticipo di Amaya, lo stallo e poi le ferite, quelle ch
riceveva la ragazza, sempre più superficiali, quelle che
subiva lui, completamente prive di logica.
"Ma che diavolo...?" Non conosceva Amaya abbastanza bene da conoscere
le armi che poteva utilizzare, tuttavia aveva provato a usare il Gyo,
sulla nodachi c'era appena un filo di Nen, lo stretto necessario. Forse
se non poteva vedere così, avrebbe solo dovuto prestare
più attenzione.
Il colpo successivo fu semplicemente una prova e nell'istante in cui le
lame scivolarono l'una sull'altra Nobunaga notò il movimento
dell'altra mano, impugnava chiaramente qualcosa, l'elsa era ben
visibile, ma non la lama.
Tuttavia aveva capito, aveva capito il perché di quello
stile di combattimento a una mano, il perchè di quelle
ferite, non comprendeva pienamente la natura i quell'altra arma, ma
poco importava. Si era fatto le domande giuste, e ora toccava a lui
sfruttarle a suo vantaggio.
Le mosse successive furono guidate da anni di esperienza,
capacità e consapevolezza.
Fece una finta, obbligando la ragazza a cambiare posizione, e in quello
stesso istante deviò la traiettoria della sua stessa katana,
puntando non alla nodachi, ma all'altra.
Ebbe appena il tempo di vedere la lama traslucida cadere a terra,
l'impugnaura macchiata di rosso, mentre il suo corpo sembrava muoversi
da solo, la lama che andava a trafiggere carne e muscoli.
Aveva puntato al cuore, ruotando la lama in modo da avere un accesso
più facile attraverso la gabbia toracica, tuttavia Amaya con
la sua era riuscita a deviare un minimo la lama, che era andata a
conficcarsi appena sotto lo sterno, la lama della nodachi incastrata
tra la katana e il suo stesso corpo.
"Riesci sempre a schivare la morte tu, eh?" Era già successo
qualcosa di simile; un pugnale che le aveva attraversato il fianco,
mancando di poco l'aorta addominale, e quindi morte certa.
"E tu?" Ma inaspettatamente sul volto della ragazza si aprì
un sorriso macchiato di sangue.
La nodachi ancora ferma, bloccata tra loro due, il sangue che
continuava a scorrere dalle ferite. Un movimento rapido e deciso e una
wakizashi trapasò il ventre di Nobunaga.
Quale disonore per un samurai; venire ucciso da una tale arma con le
mani di qualcun'altro.
Ce l'aveva fatta, il
primo passo
era fatto, il brimo bersaglio era stato abbattuto. Sorrise, ma quello
che si allargò sul suo volto sembrò
più una
smorfia; la ferita la petto continuava a fare male e non smetteva di
sanguinare, tuttavia Amaya cercava di continuare, mettendo un piede
davanti all'altro, talvolta reggendosi ai muri per avere un sostegno,
premeva la mano appena sotto lo sterno e tremava, sentendo il sangue
continuare a inzuppargliela e a rendergliela viscida e appiciccosa, lo
sentiva colare fino al bacino, percorrere la mano e gocciolare dal
gomito con un ritmo costante. Non stava andando bene, affatto.
Il suo sguardo si
annebbiò e
i pensieri si fecero lenti. Fino a un attimo prima aveva sentito le
gambe cedere in continuazione, ora non più, solo
perché
era già caduta in ginocchio.
Non
adesso.
"Merda." Fece forza
sulla mano che
non stava usando per tamponare la ferita per rimettersi in piedi, o
almeno per provarci. Inutile, le gambe non la reggevano più.
Sollevò lo
sguardo, gli
edifici in lontananza che si facevano confusi, doveva continuare, non
poteva fermarsi, non ora. Recuperò le poche forze che aveva
e
spinse sulle ginocchia.
Anche a costo di strisciare. Non
posso morire così. Non adesso.
Forzò il
suo corpo al
limite, riuscendo a rimettersi in piedi, nessuna decisione fu
altretanto infelice, perché un capogiro le fece perdere
completamente l'equilibrio.
Finì a
terra, la mano
schiacciata sotto il corpo dolorante. Il volto ora sporco di terra che
andava velocemente a mescolarsi al sangue.
Non
adesso.
Con la mano tremante e
quasi
insensibile andò a cercare il cellulare in tasca e
mandò
al diavolo l'orgoglio. Peccato che più di tanto non
riuscì a fare, perchè il suo campo visivo si
riempì di macchie nere.
Non
adesso ti prego.
"Non vorrai mica
morire, vero? Accidenti, non dopo tutta la fatica che ho fatto per
tenerti in vita."
"Amaya, Amaya, ehi!
Apri gli
occhi." E lo fece; aprì gli occhi, e quasi le parve di
essere
sempre stata lì, e di essersi solos appisolata per un
istante,
lì dove era tutto un bagliore bianco, quasi insopportabile,
e il
riflesso della luce sull'acqua che le scaldava appena il volto.
"Amaya." Una voce
felice,
soddisfatta, dolorosamente familiare. Si voltò, un sorriso
bambinesco e una zazzera di capelli castani spettinati, gli occhi
orribilmente familiari, pieni di felicità.
"Frau?"
NdA:
Un po' di info:
Iaido: Lo
iaidō è l'arte
dell'estrazione della spada, ma letteralmente significa «via
(道
dō) dell'unione (合 ai) dell'essere (居 i)». Scopo ultimo di
questa
disciplina, infatti, è la perfetta ed armonica unione con
sé stessi e con l'Universo.
Storicamente, lo iaidō
trovava
applicazione nei duelli tra samurai dove la morte di uno (o entrambi) i
contendenti solitamente avveniva dopo uno o al massimo due scambi.
Ovviamente in tali condizioni l'abilità tecnica richiesta
era
massima ed infatti era altresì possibile che un duello si
concludesse anche solo con l'estrazione della spada e il successivo
singolo fendente. Ecco quindi spiegata l'importanza fondamentale
dell'arte dell'estrazione della spada nella vita del samurai.
Nodachi: Una
nodachi tiene il medesimo disegno e aspetto generale di una katana, ma
è considerevolmente più lunga, in quanto
può
raggiungere una lunghezza che varia solitamente da 1,4 m a 1,8 m circa.
Molte nodachi presentano una tsuka, o impugnatura, molto più
lunga rispetto alla katana semplice, e per questo appaiono
esteticamente sproporzionate, tuttavia una nodachi ottimale dovrebbe
presentare un rapporto kissaki/tsuka di 4/1.
L' En (di
Nobunaga) è zona sferica di raggio pari al doppio della
lunghezza della sua katana.
Wakizashi
(脇差?) è un'arma bianca manesca del tipo spada del Giappone,
portata dai samurai sempre a contatto con il corpo, là dove
la katana era portata esclusivamente in battaglia. Veniva utilizzata
durante la cerimonia di suicidio del Seppuku.
La sua lama è lunga dai 30 ai 60 centimetri. Il wakizashi
era solitamente portato dai samurai insieme alla katana.
Mi sarebbe piaciuto introdurre più introspezione, un po'
come
nei primi capitoli, però poi mi sono accorta che per fare
finire
il capitlo come volevo avrei dovuto evitare di diluire
altrettanto le situazioni (è già tanto che sono
riuscita
a far stare più di cinque episodi in questo capitolo) e per
questo, mi rendo conto, l'ho resco incredibilmente scarno (chiedo
scusa), tranne forse per l'ultima parte. Però non ho
resistito a
inserire certi passaggi, come l'incontro di Kurapika con Hisoka, la
discussione di Gon e Nobunaga e la morte di Ubo, che non ho voluto
descrivere, se non a livello emotivo, perché vorrei che i
combattimenti restino un po' un'esclusiva di Amaya, infondo questa
è la sua storia.
Non so, forse qualcuno di voi si starà chiedendo che genere
di
musica mi piaccia, visto quella che vi ho rifilato questa volta, che
è assai strana (ah, lasciatemi dire che sono sorpresa del
fatto
che qualcuno se le vadi anche a sentire quelle che vi propongo io, sono
sorpresa e ovviamente felice). Beh, sappiate che quello che vi sto
proponendo non è il Mio
genere, assolutamente (io vado molto sull'Heavy Metal e compagnia
bella) ma se una canzone si adatta (come testo e mi da una mano a
scrivere il capitolo) allora va benissimo.
Se poi è particolarmente poetica ancora meglio, gli unici
generi
che disdegno sono il pop e il rap (e tutti quelli che gli assomigliano
._.), per questo mi stavo chiedendo anche se gradite che io inserisca
in qualche modo una traduzione ai testi che uso, fatemi sapere,
perchè credo di avere già trovato un buon metodo,
e poi
perchè la canzone del prossimo capitolo sarà
qualcosa di
hfilGWIEGFWEug.u <3
Fine, smetto di tediarvi, alla prossima.
P.S Siete tutti/e fantastici/che, sono felice che la storia vi stia
piacendo, m sento davvero al settimo cielo *-*
|
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Capitolo 9 *** Morte ***
EHI: Quando incontrate le
citazioni della canzone in mezzo al capitolo assicuratevi di
selezionarle con il mouse (si insomma, fatele diventare blu, come se
doveste fare copia e incolla) mi raccomando!
Capitolo
8. Morte
[Loreena
McKennitt - The Old Ways]
The thundering waves are calling
me home to you
Le
onde tonanti mi stanno chiamando a casa da te
The pounding sea is
calling me home to you
Il
mare martellante mi sta chiamando a casa da te
"Frau?" Lo
guardò, non sapendo se essere sorpresa o grata per quello
che poteva essere solo un regalo della sua mente. Il sorriso sul suo
volto svanì, e al suo posto apparve un'espressione
corrucciata.
"Cosa ci fai qui
Amaya?" Suo fratello spostò lo sguardo sull'immensa, forse
infinita, distesa d'acqua in cui, Amaya se ne accorgeva solo ora,
entrambi stavano pucciando i piedi, l'acqua che lambiva e polpacci
incredibilmente pallidi di entrambi, seduti su un morbidissimo prato
verde, sconfinato dietro di loro.
"Io..." Rimase
interdetta, non sapeva rispondere a quella domanda, non lo sapeva, non
aveva idea del perché stesse vedendo suo fratello in quel
momento, non sapeva neanche che diavolo di posto fosse quello. "Non lo
so." Frau rimase in silenzio, osservando il volto sempre più
turbato della sorella.
Ricordava i silenzi di
suo fratello, così simili ai suoi, così pieni di
quella solitudine con cui avevano imparato a convivere all'ovest.
"Non sarai mica morta
vero?" Amaya sobbalzò.
No. Avrebbe voluto
dire.
O forse sì.
Non lo sapeva.
"Non lo so."
Sospirò, iniziando a sentire l'angoscia stringerle il petto
e mozzarle il fiato. "Sono morta?" Chiese con timore sbigottito. Vide
suo fratello sorridere appena, tuttavia quello non la
rassicurò per niente; non vi era alcuna traccia di
felicità in quell'espressione.
"Non ancora, ma ci
stai andando parecchio vicina ultimamente. Sembra quasi che tu lo
faccia apposta." Amaya fu troppo sollevata da quel 'non ancora' per
preoccuparsi del resto della risposta.
"Bene allora..." Amaya
appoggiò le mani ai lati delle gambe, sporgendosi lievemente
in avanti, finendo per osservare nell'acqua il riflesso del suo volto e
di quello di Frau, che la stava osservando con un'espressione di tenero
affetto. A dire il vero Amaya era terrorizzata; a quanto pare aveva una
seconda possibilità, un'occasione per parlare con suo
fratello. E non sapeva come comportarsi, avvezza come era a non dare
troppo peso alle cose passate, fatte, irrecuperabili, o al semplice
fatto di non essere assolutamente pronta per parlare con suo fratello,
morto. Magari avrebbe dovuto scusarsi, la verità era che non
aveva niente da dire, la sua promessa di vendetta l'aveva fatta.
"Cosa stai combinando
Amaya?"
"Che?" Suo fratello
sospirò, abbozzando un sospiro e agitando un minimo la gambe
nell'acqua e con un guizzo ciò che vi era riflesso
cambiò; non era più l'espressione serena e calma
che Amaya non aveva mai conosciuto, bensì il riflesso degli
ultimi istanti di suo fratello. Il petto completamente insanguinato
appena coperto da una camicia lacera, metà del suo cranio
non c'era più, sostituito da un ammasso informe di filamenti
sanguinosi e frammenti di ossa. I suoi occhi vitrei riflettevano la
morte.
"Stai davvero cercando
di vendicarti o stai solo cercando di farti ammazzare?"
"Le mie predizoni sono
un po' strane, di solito hanno quattro o cinque versi. Ognuno
corrisponde a una settimana del mese, quindi il primo potrebbe
già essere accaduto." Aveva osservato il suo potere con
occhi famelici; doveva, voleva, sapere. Aveva bisogno di certezze, ora
più che mai, per il bene del Ragno. E il potere di Neon
faceva al caso suo.
-Il calnedario
perde componenti preziosi, i mesi rimanenti si raccolgono in
lutto, coloro che piangono intonano una melodia, mentre l'undicesima
luna sommessamente sorge.
Chrollo aveva pianto
silenziosamente, mentre sentiva frammenti della propria anima scivolare
via, trascinati lontano dal cordoglio, nel riconoscere in quella
profezia parte della sua famiglia, alla fine aveva avuto la conferma
che tutti cercavano ma che nessuno avrebbe mai voluto scoprire. Ubo era
morto.
Tuttavia il primo
verso non parlava al singolare, e quello lo preoccupò
maggiormente. A chi altri avrebbe dovuto rinunciare? Per chi altri
avrebbe dovuto piangere lacrime amare?
-Il crisantemo
appasisce e cade per giacere al suolo accanto agli insanguinati occhi
scarlatti. Ma tu rimarrai imbattuto, anche dopo aver perso
metà delle tue membra.
-Goditi l'intermezzo,
trova nuovi alleati, la minaccia dell'ovest è vicina, vai
verso est, troverai qualcosa attenderti
I pezzi che
improvvisamente combaciano; il passato, i fatti accaduto con Machi, la
minaccia dell'ovest. Chrollo iniziò a capire.
In un parco
delimitante la zona dell'asta, due individui si trovavano in mezzo a un
prato rosso di sangue e corpi straziati. I due si guardarono,
scambiandosi uno sgardo che valeva mille parole.
"Il Capo ci ha dato
una nuova regola."
"Quale?"
"Massacrate chiunque
vi si pari davanti."
Così il
riequiem ebbe inizio; una danza frenetica di corpi feriti, uccisi. Una
melodia di spari e ossa che si rompevano. Chrollo dirigeva dall'alto
della città, mentre esplosoni e urla infuriavano davanti a
lui, regalando il glorioso saluto a Ubo.
We left
the muscic behind and the dance carried on
Ci
lasciammo dietro la musica e la danza
As
we stole away to the seashore
Mentre
ci gettammo sul lido
We
smelt te brine, felt the wind in our hair
Facemmo
sciogliere la brina, sentimmo il vento tra i capelli
And
with sadness you paused
E
con trstezza tu ti fermasti
"Credevo avessi capito
che la vendetta non serve a nulla." Amaya rimase immobile, sentendo il
gelo pervaderle il corpo. Nella sua mente, come mai prima d'ora, c'era
una grandissima confusione. Non c'era più distinzione tra
cosa era giusto e cosa era sbagliato, tra cosa fosse reale e cosa no.
Cosa stava combinando?
Non lo sapeva neanche lei. Come se uccidere buona parte dei membri del
Ragno potesse riportare in vita suo fratello.
Come se la vendetta
servisse davvero a qualcosa.
Tuttavia, alcune cose
nella sua mente restavano come punti luminosi, di cui era sicura, cose
a cui non avrebbe potuto rinunciare.
"Non mi serve un buon
modo per morire, se é questo che intendi, io sono
già morta, sono morta quando i nostri fratelli ci morivano
davanti agli occhi all'ovest, quando ti ho visto morto, quando ci hanno
tradito..."
"Non é
questo il punto, e lo sai. Come sai bene che io non avrei mai voluto
una vendetta, sapevo benissimo che ciò che ci portavano
dietro era troppo da sopportare." Amaya sobbalzò, le parole
di suo fratello che si insinuavano con forza nella sua mente.
Sollevò lo sguardo, andando a cercare l'orizzonte di quel
luogo sconosciuto e notando poco disintamente una macchia nera in
lontananza.
"E se ti fossi trovato
tu al mio posto?!" Si voltò verso di lui, quasi
sorprendendosi di vederlo in quelle condizioni disastrose. Una fitta le
fece mancare un battito, facendole rimpiangere il legame che avevano.
"Mi sarei lasciato
morire, non avrei avuto motivo per continuare a vivere. Non ricordi la
nostra promessa Amaya?" Amaya non rispose, ma ricordava benissimo. Ci
fu un attimo di tesissimo silenzio. Avevano promesso che sarebbero
stati sempre uno a fianco dell'altro, che dove sarebbe andato uno
sarebbe andato anche l'altro. Ovunque. Sempre.
"Cosa posso fare per
farmi perdonare?" Suo fratello aveva ragione, Amaya non era riuscita a
mantenere la promessa fino alla fine, o forse non aveva voluto, non
faceva differenza.
"Midinváerne."
Sussultò, e qualcosa nella sua mente scattò, fu
come togliere una cortina di fumo.
Strinse i pungi, per
la prima volta dopo tanto non avvertì alcuna fitta dolorosa
correrle su per le braccia, tuttavia provò un altro tipo di
dolore.
Angoscia.
E tuttavia decise di
stare al gioco.
"Non puoi chiedermi
questo." Tornò a fissare l'acqua, la massa scura si era
fatta più vicina, e la ragazza poteva quasi indovinare di
cosa si trattasse. Tuttavia la sua voce rimase ferma.
"Perché no?
Con quella risolveresti molte cose."
"Mi stai chiedendo di
rinunciare ai miei ricordi?" Suo fratello rispose con un silenzio
pesante. "Non intendo usare Midinváerne per uccidere uno del
Ragno e perdere parte di me stessa." Forse avrebbe anche funzionato,
indubbiamente avrebbe funzionato. Poichè quella era un'arma
infallibile, che era in grado di uccidere chiunque e con indicibile
efficacia ma che tuttavia richiedeva un pegno in cambio, Amaya l'aveva
scoperto usandola per la prima e per quella che si era ripromessa
essere l'ultima volta. Ormai non lo sapeva più, ma aveva
dovuto rinunciare a un frammento del suo passato; un episodio
più o meno significativo, in cui un paio di gemelle si
univano a loro, ai lati della strada a chiedere elemosina, un ricordo
privo di grande significato ma pregno di emozioni, quelle che aveva
provato vedendo le due ragazzine dai capelli rossi sorreggersi come se
non potessero continuare una senza l'altra.
Alla fine era rimasta
una consapevolezza del potere di quella lama e un buco vuoto di un paio
di giorni nella sua mente, perchè ricordava bene che quelle
due si erano ammalate, ed erano morte nel giro di pochissimo tempo,
così come ricordava di averne trascinata una fino alla
sponda del fiume.
"Potrebbe risolvere
molte cose però, potresti dimenticare di quando ci hanno
tradito, e iniziare a vivere normalmente."
"Cosa dimenicare non
è una mia scelta. E a quanto pare mi ricordo benissimo il
tuo essere un codardo."
"Prendo la via
più semplice e meno pericolosa, Amaya, dovresti farlo anche
tu."
Amaya
sollevò lo sguardo, vedendo ora chiaramente la macchia
rossastra che stava iniziando a circondare le loro gambe, l'odore
ferroso che iniziava a farle contorcere lo stomaco, l'erba che stava
seccandosi velocemente sotto e intorno a loro.
Paura e fermento
dilagavano per il palazzo in cui si sarebbe dovuta tenere l'asta.
Mentre all'esterno
infuriava l'inferno, negli animi degli assassini rimasti in vita per
uccidere il Ragno che si era infiltrato alleggiava una febbrile
eccitazione. In fondo loro erano gli unici rimasti in grado di
fronteggiarlo.
"Questo lavoro non
vale i soldi che ci pagano."
La battaglia fu un
susseguirsi di grande rapidità e sincronia, ogni movimento
pulito, movimenti essenziali, prive dello sforzo eccessivo. Un
combattimento i cui avversari rasentavano la perfezione, come in un
combattimento tra colossi.
Un cellulare
squillò, e fu quasi assurdo sentire quel suono acuto
rimbombare in quell'atmosfera pregna di tensione e adrenalina.
"Dov'è il
mio cliente?" Una voce neutra domandò dall'altro capo.
Illumi aveva appena svolto un lavoro con incredibile
rapidità e precisione, come sempre.
"È qui."
"Eh? stavate
combattendo? È ancora vivo? Giusto in tempo, che sollievo.
Riferiscigli un messaggio. Ho ucciso i dieci Don, digli di trasferire
la cifra al mio conto, come pattuito." Silva chiuse il telefono,
giardando storto l'individuo che si stava scrollando di dosso polvere e
detriti.
"Accidenti. Sembra che
vivremo entrambi un altro giorno."
"Non dovreste
uccidermi?"
"Eravamo stati
ingaggiati dai dieci Don, ma visto che sono morti tu non sei
più un nostro obbiettivo."
"Davvero? Che
sorpresa. Sapevi che avevo ingaggiato illumi per combattere i dieci
Don?"
"Ovviamente, ma questo
è irrilevante. Svolgiamo semplicemente il lavoro per cui
siamo stati ingaggiati."
"Se avessimo
combattuto uno contro uno chi avrebbe vito?" Giusto per togliersi una
curiosità, e per prendere provvedimenti per un futuro, e non
tanto scontato, scontro.
"Naturalmente io, a
meno che tu non volessi davvero uccidermi."
Quindi se ne era
accorto.
I due assassini se ne
andarono, silenziosi come erano arrivati, sperando e temendo di doversi
scontrare di nuovo con il capo della Brigata.
"Che palle." Per
Chrollo in quel momento la scocciatura maggiore era non esser riuscito
a rubare i loro poteri.
"Kortopi, è
tutto pronto?"
Suddenl I knew that you have to
go
Improvvisamente
capii che dovevi andare via
My world was not yours,
your eyes told me so
Il
mio mondo non era il tuo, i tuoi occhi me lo dissero
Yet it was there I felt
the crossroads of time
Ancora
si era lì, ed io percepivo il percorso del tempo
And i wondered why.
E
me ne stupivo.
"Ma immagino tu abbia
già fatto la tua scelta." Sentì la sua mano
accarezzarle la schiena e rimasero in silenzio, Frau in attesa, Amaya a
rimuginare su tutto ciò che stava accadendo intorno a loro.
Aveva già capito da un pezzo ciò che realmente si
stava manifestando, per questo decise di farla di finita, non aveva
più voglia di perdere tempo. Ma decise comunque di
essere sincera, alla fine. Magari solo per torgliersi un peso,
confessare qualcosa che non avrebbe mai detto a nessun'altro.
"Fratello, io ricordo
bene. Ricordo di aver desiderato la morte con tutto il mio cuore quando
è finita la caduta. Ricordo che anche quando mi sono
sveglata non ero abbastanza forte per tornare indietro con la mente a
quei momenti. Quindi sono andata avanti. Non puoi incolparmi per
questo, quello che provavo e provo ancora per te è
ciò che mi spinge ad andare avanti, perché anche
sul punto di morire ho pensato a te." Si voltò verso di lui,
osservando per l'ultima volta il suo viso, pulito e sereno. La sua
espressione era felice, aveva un sorriso sulle labbra, ormai Amaya
aveva deciso, lui non poteva fare altro. "Ma solo l'odio può
fare di me una persona migliore, me lo hai detto tu stesso."
Avvertì il corpo del fratello irrigidirsi e a quel punto
capì di aver colto nel segno, aveva svelato il trucchetto.
"Ed è anche
per questo che non intendo più stare al tuo gioco, Cypher."
E ignorando il piacevole calore che quel contatto le trasmetteva si
buttò nel lago di sangue che era diventata quella distesa
d'acqua.
"Oh, salve. Tu non vai
all'asta?" Un attimo di confusione. Kurapika si voltò,
osservando i sue uomini sorridenti vestiti di nero che ancora tenevano
tra le mani le loro armi.
"Che vuoi dire?"
"Il leader della
Brigata Fantasma è stato ucciso." Un colpo al cuore, il
sangue che sembra defluire completamente dal viso. Kurapika non avrebbe
mai creduto di potersi sentire così.
"È
impossibile." Le possibilità erano scarse, una al massimo
due; gli assassini assoldati per uccidere il capo della Bigata avevano
fatto bene il loro il suo lavoro oppure qualcun'altro che Kurapika
conosceva appena era riuscito -riuscita- a combinare qualcosa. Ma
quante possibilià c'erano che anche una solo delle due fosse
reale?
Pochissime. O forse
era solo quello di cui lui stesso cercava di convinversi. "Non
può essere."
"Ora non resta altro
da fare se non pulire." I due se ne andarono ridacchiando,
completamente ignari dello stato d'animo del biondo.
Mi rifiuto di crederci
Sperava davvero di non doverci crederci, una cosa del genere non poteva
accadere. finchè non avrò visto il corpo
Era come un incubo; il
corpo era davanti a lui, gli occhi fissi e spenti, gli abiti strappati
e insanguinati. O forse era un sogno.
Morto, decisamente
morto, così come gli altri ritrovati nelle vicinanze.
Kurapika sentiva il cuore precipitare sotto il suolo, la sua
determinazione svanire via velocemente, ora che non aveva
più nessuno su cui vendicarsi cosa avrebbe potuto fare?
Fissava i corpi senza riuscire a credere a quello che vedeva, mentre in
testa, in una confusione caotica rimbombavano voci e propositi ormai
vani.
Vedremo, ragazzino dei
Kuruta, vedremo chi riuscirà nella sua folle vendetta e ci
morirà mettendola in atto.
Possibile che avesse
appena perso?
Il lavoro di Kortopi
era stato incredibilmente meticoloso.
Hisoka si
rigirò il cellulare tra le mani, facendolo passare tra un
dito e l'altro come se fosse una delle sue carte.
Osservò il
display, nero, silente. Si era aspettato qualcosa, sin da quando
avevano trovato il corpo di Nobunaga. Forse si era aspettato una
conferma, nella più assurda delle ipotesi un ringraziamento,
da parte di Amaya. Anche se a pensarci a mente lucida non avrebbe avuto
molto senso un messaggio o una chiamata da parte sua, visto che lei
sapeva che Hisoka aveva ben più accesso al Ragno di lei.
Quindi
digitò velocemente il numero e si portò il
cellulare all'orecchio.
Uno squillo.
Controllò
in giro di non avere persone troppo vicine, non sia mai che per un po'
di distrazione gli crollasse tutto addosso.
Due squilli.
Appoggiò e
spalle al muro, osservando fuori dalla finestra le nubi che iniziavano
a coprire le stelle notturne.
Tre squilli.
Inziò a
giocherellare con una carta, mentre teneva il cellulare incastrato tra
l'orecchio e la spalla.
Quattro, cinque
squilli.
Iniziò a
innervosirsi.Tuttavia all'improvviso capì che Amaya non
avrebbe risposto, poichè sotto la finestra cui era
appoggiato, due piani più sotto, intravide un piccolo
schermo illuminarsi, mezzo nascosto tra l'erba e delle macchie di
sangue.
Chiuse la chiamata,
mentre sentiva il sangue defluire dal volto.
Forse già
sapeva, o semplicemenete immaginava, che uscire illesi da uno scontro
contro Nobunaga era impossibile, nonostante Amaya vantasse di grandi
abiltà e conoscenze delle armi bianche, dubitava che la sua
vittoria fosse stata semplice.
Si diresse verso
l'esterno e raccolse il cellulare, lo schermo e i tasti erano sporchi
di sangue rappreso. L'improvvisa possibilità di aver perso
le tracce di Amaya lo disorientò; aveva bisogno di sapere.
Strinse il cellulare
nella mano, sentendo la plastica gemere, lo shermo incrinarsi. Non
c'era nulla che potesse fare per trovarla, restare con il Ragno forse
era la soluzione migliore, così si sarebbe fatta vedere di
certo. Sempre che non ci avesse lasciato la pelle.
"Che peccato."
As you turned to go I heard you
call my name,
Quando
ti girasti per andare via sentii che chiamavi il mio nome
You were like a bird in
a cage spreadings its wings to fly
Eri
come un uccello in gabbia che spiega le ali per volare
"The old ways are lost"
you sang as you flew
"Le
vecchie usanza sono perdute" Cantavi mentre volavi
And i wondered why.
E
me ne stupivo.
Quella volta non si
sarebbe svegliata borbottando il nome di suo fratello, cercando un
ricordo in una mano che le accarezzava la schienza, si
svegliò con la consapevolezza di essere viva e di essere in
un luogo sconosciuto, tuttavia familiare.
Si trovò
davanti agli occhi un soffitto di terra da cui spuntavano ogni tipo di
ossa, posizionate in modo da creare strano disegno; il mosaico di un
pazzo.
Questa volta non ci fu
nessun risvegio doloroso, nessun muscolo atrofizzato, ma ci fu la
presenza, pressante e familiare, di una persona accanto a lei.
Sospirò
pesantemente, rimanendo distesa sulla superficie dura su cui si
trovava, in attesa.
"Quando l'hai capito?"
Una voce conosciuta, spiacevole, le giunse alle orecchie.
"Mio fratello non
conosceva Midinváerne. Non gliene avevo mai parlato."
Avvertì una lieve risata, poi nel suo campo visivo apparve
un volto conosciuto. Pallido e magro, non vecchio ma profondamente
segnato, con zigomi duri e occhi famelici accesi nelle occhiaie
profonde. Si guardarono per un momento, poi sul volto di Cypher si
allargò un sorriso malsano, lei rimase impassibile.
Non disse nulla
neanche quando si mise a sedere, metabolizzando la situazione e
studiando tutto ciò che era attorno e dentro di lei, le
ferite dell'ultimo scontro già rimarginate. Non erano poche
le domande che aveva da fare a quel tizio.
"Dove ci troviamo?"
"Non molto lontani
dalla città, siamo in un posto sicuro, nessuno ci
verà mai a cercare qui." Quella era un'ottima notizia, forse.
"Perché
sono qui?" Amaya procedette cautamente, tenendo alcune domande per dopo.
Lo sentì
ridacchiare. "Mica ti avei lasciato morire, ti pare? Dopo tutta la
fatica che ho fatto ti ritengo un'opera molto ben riuscita, mi
dispiacerebbe asssai vederti morta." Amaya ebbe un moto di stizza;
'opera'? Davvero? Lo guardò male, accorgendosi di non aver
affatto avvertito la sua mancanza. "Sai, ci tengo davvero a vederti
sana, e poi volevo controllare le tue cicatrici, a proprosito, come va?
C'è ancora qualcosa che ti fa male?" Ad Amaya non piaceva,
non piaceva per niente, non voleva averlo vicino, era un presenza che
non apprezzava affatto.
"Come mi hai trovata?"
Cypher vide la sua espressione cupa, affamata di spiegazioni che solo
lui sapeva dare. L'uomo si portò una mano alla testa,
ammiccando verso di lei.
"Le monete.
È anche così che sono riuscito a entrare nella
tua mente. Ah, tranquilla, a meno che tu non sia in un profondo stato
di incoscienza non posso fare niente lì dentro." Sorrise,
esibendo un sorriso che doveva essere rassicurante, ma che
servì solo a far innervosire la ragazza.
"Mi sati dicendo che
quando sono incosciente la mia mente diventa il tuo personale parco
giochi?"
"Esattamente."
Indignata e beffata, Amaya si alzò dal ripiano su cui era
stata sdraiata e dopo essersi guardata velocemente intorno si diresse
verso la porta. O almeno è quello che avrebbe voluto fare,
se solo la sua gamba non si fose bloccata a metà di un
passo, rischiando di farla cadere.
"Sai, ho sempre
lavorato con cadaveri, tu sei stata una fantastica eccezione, guarda
che splendida creatura sei diventata. Ed è anche per questo
ho affinato le mie abilità." Amaya abbassò lo
sguardo e si impietrì quando vide un'asta di metallo
sporgere dalla sua coscia, attraversandola da parte a parte,
un'estremità era legata con una finissima catena al ripiano
su cui era stata fino a un attimo prima. Tuttavia non avvertiva alcun
dolore, e né muscoli né vene impotanti sembravano
danneggiati.
"Ma che diavolo..."
"Questa volta non
intendo lasciarti scappare." Lui si avvicinò e le prese il
volto tra le mani. "Non capisci ciò che cerco di dirti?
Voglio che tu resti in vita, e il modo migliore per farlo è
quello di rinunciare alla tua vendetta, e di rimanere qui, con me." Ad
Amaya si rivoltò lo stomaco, non poteva accettare una simile
situazione, non poteva essere vero.
Il cuore
iniziò a martellarle nel petto, le orecchie a fischiare.
Cosa poteva fare?
La prima cosa che le
venne in mente fu quella di materializzare un'arma e colpire quella
catena che la costringeva a restare lì. Fu inutile,
perché come lo fece, l'asta di metallo sembrò
reagire, inviandole un'acuta scarca di dolore per tutta la gamba,
facendola cadere in ginocchio, ansimante. La mani gelide dell'uomo
ancora ad accarezzare il volto in un contatto che Amaya stava iniziando
a disprezzare.
"Oh, accidenti. Non mi
sembra il caso di reagire in questo modo. Ah, forse avrei dovuto dirti
che tutto quello che creo e uso per i miei lavori reagisce al Nen in
modo differente, oltre al mio volere. Le monete così come
quest'asta. È inutile che tenti di scappare, il tuo unico
modo di fuggire sarebbe quello di usare la forza fisica, e non mi
sembri proprio nelle condizioni di liberarti, ora." Sorrise, ed Amaya
desiderò potergli sputare, peccato che lui si stava
allontanando.
Recuperò il
fiato, seguendo con lo sguardo la figura chiara di Cypher.
"Perché?"
L'uomo si voltò verso di lei, con il suo sorriso
più umano che lei avesse mai visto.
"Perché?
Non c'è forse un sentimento che accomuna ogni uomo che
desidera avere tutta per sé una donna? O almeno un intento,
un'idea, qualsiasi cosa dettata dal cuore e che si abbia la smania di
scoprire e di comprendere? Non lo capisci Amaya?" Lei rimase in
silenzio, disgustata dall'insieme formato dalla situazione e dalle sue
parole. Non rispose, limitandosi a fissare il pavimento, ancora in
ginocchio, cercando una soluzione per districarsi da quella orribile
situazione mentre l'uomo armeggiava con strumenti e boccette, strumenti
da chirurgo, o da torturatore. Si scoprì ad odiarlo, lui che
aveva frugato nella sua mente e disonorato i ricordi di suo fratello.
Il pensiero che tempo prima lui l'aveva curata, che aveva toccato la
sua pelle più e più volte, nei momenti in cui era
più fragile, indifesa, inerme. All'improvviso si
sentì sporca.
Poi un'idea, terribile
idea, lei lo sapeva benissimo, ma non poteva altro. Non aveva
nessun'altra via d'uscita.
"Facciamo un patto."
Lo vide fermarsi, la mano che reggeva un bisturi sospesa a mezz'aria,
il capo rivolto verso di lei e un'espressione sorpresa.
"Che patto?"
Posò lo strumento, avvicinandosi curioso alla sua figura.
Amaya strinse i pugni, forse quella era la cosa peggiore, forse non
sarebbe voluta uscirne viva se non avesse funzionato.
"Lasciami libera,
lasciami compiere la mia vendetta, lasciami odiare e venire odiata
ancora per un po'." Prese fiato, sperando che le sue parole lo
convincessero. In fondo era stato lui stesso a dirle che l'amore era un
morbido cuscino su cui riposare, ma che solo l'odio avrebbe potuto
renderla una persona migliore. "Poi... farò ciò
che vuoi." Il volto di Cypher divenne il ritratto della gioia
bambinesca.
"Ti concederai a me?"
Amaya tuttavia intuiva che ciò che provava lui non si
trattava di amore, dubitava che uno come lui potesse provare simili
sentimenti, piuttosto era probabile che il suo comportamento, le sue
decisioni, fossero dettate da uno strano desiderio di dominio,
l'ebbrezza di avere tra le mani una vita. L'emozione di un bambino che
si era limitato a giocare con i cadaveri degli insetti e che una sera
si trovi tra le mani una falena, mentre l'istinto di proteggerla come
creatura propria combatte contro quello di accendere una candela e
lasciare libera la falena, per poi osservare con divertimento velato
gli avvenimenti. Solo un bieco interesse, ecco che cosa era Amaya in
quel momento, una novità particolarmente interessante.
"Se è
quello che desideri." E sentì ciò che restava del
suo cuore disintegrarsi.
E per un attimo fu
anche sorpresa di poter provare qualcosa di simile.
NdA
Hahah, sto facendo un
casino, sto rendendo tutto incredibilmente complicato *sigh*
Speriamo bene. Anche
perchè (sto riguardando gli ep di HxH mentre proseguo con la
storia) si sta rivelando tutto più complicato di quanto
credessi per quanto riguarda le tempistiche. Vabbè, qualcosa
verrà fuori.
Midinváerne,
per chi se lo stesse chiedendo, dovrebbe stare per
metà-inverno, ho recuperato questa parola da un libro di
Sapkowski, nella sua storia si trattava di una festa, io l'ho fatta
diventare un'arma un po' particolare... mi piaceva la parola ._.
Ah, cara Holland, temo
che avrò bisogno del tuo aiuto per il prossimo banner y_y
PS. Ovviamente lo
sapete bene anche voi no? Amaya non è una che si arrende,
non vorrà mai stare con Cypher e farà di tutto
per fregarlo, non preoccupatevi. Anche se, lo ammetto, sono tentata di
inserire (nel prossimo capitolo) una scena un po' più rossa
con Cypher (un po' non-con... giusto un po'). La volete? Voi come la
prendereste una cosa del genere?
|
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Capitolo 10 *** Ira ***
Grazie a Holland per il favoloso banner *-*
Capitolo
10. Ira
[Vermillion
- Slipknot]
Machi
tremava, e non era per il freddo vento della tempesta che stava per
avvicinarsi. A financo a lei, più o meno nelle sue stesse
condizioni c'era il resto del Ragno, giusto un paio stavano in
disparte, lanciando sguardi truci e pieni di dolore alle pareti vuote,
non volendo portare lo sguardo al corpo di Nobunaga.
Il
Capo si era avvicinato, e aveva fatto notare una cosa a cui nessuno
sembrava aver fatto caso; non c'era la spada, la katana di Nobunaga non
c'era.
"Dannazione."
Rabbia e rancore si agitavano dentro di lei, l'avrebbe pagata, eccome
se l'avrebbe pagata. Assassina e ladra; così come lo era il
resto del Ragno, ma quell'azione era imperdonabile.
In
quel momento Machi si ripromise che sarebbe stata a lei a concludere il
lavoro che non erano riusciti a finire l'anno prima. Sarebbe morta,
Amaya sarebbe morta, questa volta davvero.
I get
neverous, perversed when I see her to worse
But
the stress is astounding
It's
now or never she's coming home
Forever
"Bene, ora lasciami
andare." Si mise in piedi, il corpo che tremava, pieno di odio e un
ammasso di sensazioni che Amaya in quel momento non riuscì a
capire. Però sapeva bene che ciò che desiderva in
quel momento era uscire da lì, e non tornarci mai
più.
"Non credere che sia
così facile." Un sorriso malsano si aprì sul suo
volto, mentre si avvicinava a lei.
"Che cosa?!" Che altro
voleva ancora? Amaya credeva di non poter reggere ulteriormente.
"Mi hai offerto un
patto, ma io non ho ancora accettato, infatti mi sento di dover dettare
una condizione." Amaya sbiancò, non voleva immaginare cosa
quello sguardo significasse.
"Ti prego..."
"Io sto accettando
quello che mi hai offerto, tu dovrai accettare quello che ti sto
chiedendo io. Mi sembra equo, no?" Sapeva benissimo cosa desiderava
Cypher, e sapeva benissimo che non avrebbe avuto modo di trattare. Ma
perchè avrebbe dovuto poi? Perché sforzarsi di
mantenere una purezza che non aveva mai avuto? Perché non
dare il proprio corpo, quando lei stessa lo usava come puro mezzo per
giungere alla sua vendetta?
"Certo." Alla fine si
arrese, o così o niente. Non aveva senso proteggere i resti
di un'anima a pezzi e un corpo che a malapena poteva essere chiamato
tale.
"Bene allora..."
Quando lo vide avvicinarsi con sguardo famelico decise però
di non dargli nessuna soddisfazione; lui aveva voluto il suo corpo, e
avrebbe avuto solo quello, e mai avrebbe avuto le sue emozioni.
Sentì le
sue braccia avvolgerla, un contatto freddo. Non le trasmise nulla, se
non un velato disgusto che, si disse, sarebbe svanito presto.
Sentì le
sue labbra accarezzarle la pelle sensibile del collo, e si
obbligò a rilassare i muscoli, ma fu quasi inutile quando
sentì la sua lingua percorrere la linea della sua mascella
e, prima che potesse protestare in qualsiasi modo, la sua bocca
incontrò la sua.
Labbra fredde su un
animo morto, ecco cosa stava accadendo; solo il desideio di un folle
che bacia la sua scultura preferita, la migliore. Le sue mani,
invadenti, corsero presto a slacciare bottoni e a strappare abiti, lei
era ancora bloccata, con quella fastidiosissima catena che la obbligava
a quel posto. Cypher accarezzò la spogernza dell'asta di
ferro che lui stesso aveva creato, sorridendo appena, illudendola di
volerla lasciare libera almeno per quei momenti. Beffarda, la sua mano
andò a incastrarsi sotto il ginocchio di lei, in modo da
poterle posizionare la gamba sul proprio fianco.
Amaya
rabbrividì a quel contatto; la sua pelle era gelida, fredda
e liscia come quella degli scheletri. Un braccio si strinse sulla sua
schiena, obbligandola a un contatto maggiore.
Amaya teneve la mani,
molle, sulle spalle di lui, semplicemente per mantenersi in equilirio
sull'unica gamba che teneva a terra, tuttavia divenne inutile quando
lui con decisione la afferrò appena sotto le natiche,
obbligandola ad avvolgere le gambe sui suoi fianchi. Lo
sentì fare qualche passo, poi vide la stanza capovolgersi.
Anche ora, sdraiata di
nuovo su quel ripiano freddo, sentiva le sue mani percorrere i segni
evidenti delle sue cicatrici, solo quello le strappò un
gemito; non era propriamente una bella sensazione visto l'eccessiva
sensibilità del tessuto cicatriziale, ma a quanto pare lui
la pensò diversamente visto che si posizionò
sopra di lei, una mano appoggiata sul suo collo, l'altra ad
accarezzarle quel segno di pelle chiara tra i seni, la sua mano corse
poi a quella che le segnava l'interno coscia. E pensò di
aver fatto un lavoro fantastico con lei.
E riprese a baciarla
con voracità, mentre continuava ad accarezzarla, ma fu
costretto a fermarsi quando Amaya morse con forza le sue labbra,
aprendo un piccolo taglio dolorante in quello inferiore.
"Se proprio devi, vedi
di fare in fretta, non ho tempo da perdere." Lo vide sorridere, e per
un momento pensò che avrebbe fatto meglio a stare zitta,
perché come entrò dentro di lei fu costretta a
mordersi le labbra per non emettere alcun suono.
Lo sentiva premere sul
suo corpo teso, sentiva la sua pelle che, comunque, non sembrava
scaldarsi a contatto con la sua.
Amaya chiuse gli
occhi, tentando di isolarsi, di scivolare via da quella stanza, da quel
corpo che serviva a poco, in un luogo in cui nulla esisteva, in un nero
leggero e tiepido mentre le sue spinte continuavano, ritmiche, ormai
quasi inesistenti per lei.
Alla fine,
pensò, forse ne sarebbe uscita intatta.
"Cosa vuoi dire? Ce ne
andiamo?"
"Voglio dire
esattamente ciò che ho detto. Partiremo stanotte"
Spostò lo sguardo su tutti, osservandoli uno a uno. "So che
sei preoccupata Machi." Gli tornò alla mente la figura di
Amaya, l'ultimo ricordo che aveva di lei non era esattamente piacevole,
e si chiese se in fondo partie quella notte fosse realmente un'idea
saggia.
"Dovremmo esserlo
tutti, dannazione. Non sapete di cosa è in grado."
Borbottò lei, quasi tra sé, ricordando amaramente
ciò che era accaduto nei dintorni della Torre Celeste.
"Di chi stiamo
parlando? Dell'uomo delle catene o di Amaya?" Shalnark scese dalla
cassa su cui era seduto, avvicinandosi alla ragazza.
"Ma che domande..."
"Certo che lo sappiamo
Machi, abbiamo visto tutti Nobunaga, o ciò che ne resta."
Nello spazio umido calò un silnezio pesante, pieno di
rancore e timore.
"Non possiamo
permetterci altre morti." Chrollo sospirò, tirando fuori il
taccuino su cui aveva fatto scrivere la sua profezia da Neon.
"Secondo la profezia,
la prossima settimana moriranno cinque di noi."
She is
everytihng and more
The
solemn hypnotic
My
doll you're bathed in posession
She
is home to me
Dov'era Amaya? E cosa
aveva in mente ora che aveva ucciso Nobunaga?
Hisoka
riflettè; aveva trovato il suo cellulare e qualche macchia
di sangue, ma non il suo corpo, lui riordava bene, e ricordava che una
cosa del genere era già successa. Aveva trovato il corpo di
suo fratello ai piedi della monagna, di lei non c'era traccia, eppure,
dopo una caduta che sarebbe dovuta essere mortale per chiunque lei era
sopravvissuta. Con tutta probabilità era viva, magari molto
ammaccata, ma viva. Anche perchè i cadaveri non se ne vanno
a passeggio da soli.
La predizione di
Hisoka era cambiata, lui, con la sua abilità, stava tentando
di manipolare la situazione, tuttavia Feitan aveva intuito il suo
presunto tradimento; era stato lui a vendere Ubo?
"L'hai tradito?" In
risposa, Hisoka si mise a mescolare placidamente il suo mazzo di carte.
"Lo prendo come un si, maledetto!" Si mosse in avanti, con tutto
l'intento di fare qualche danno.
A bloccarlo furono
Salnark e Franklin.
"Aspetta, sentiamo la
sua spiegazione."
"Spiegazione?! Cosa
c'è da spiegare?"
"Il capo ha detto che
le profezie possono cambiare a seconda delle nostre azioni."
"Hisoka, spiegaci cosa
è successo questa settimana."
"Non posso."
"Perché non
puoi?"
"Se vi spiegassi il
motivo sarebbe proprio come dirvi ciò che non posso dirvi.
Ecco perchè non posso. Non è che non voglio. Non
posso. Questo è tutto ciò che posso dirvi. Ma se
non vi sta bene la mia risposta... allora per difendermi non posso far
altro che combattere." Sul suo volto si dipinse un'espressione
contrariata; quella sarebbe stata una cosa sconveniente, oltre che
inutile, secondo lui, che provava interesse solo per il Capo.
"Lasciamo perdere,
è impossibile avere a che fare con te."
"Hisoka, ho un paio di
domande da farti. Se non puoi rispondere dillo." Chrollo si
alzò. "Nella predizione cosa sono i segreti del calendario?"
"I poteri dei membri
della Brigata."
"Qual'è il
potere del nostro avversario?"
"Non posso dirlo."
"In che rapporti sei
con lui?"
"Non posso dirlo."
"Capisco."
"Quindi si tratta di
Amaya?"
"Non per quanto
riguarda questo verso, questo dovrebbe essere l'uomo delle catene, e
dubito ci serva sapere qualcosa su di lei, visto che è
facilmente intuibile ciò che desidera e che intende fare."
"E Hisoka?"
"L'uomo con la catena
deve avere due poteri; uno con cui ha ucciso Ubo e uno che impedisce a
Hisoka di parlare, è menzionata una 'spada della giustizia'
nella profezia che potrebbe essere ciò che obbliga a seguire
determinate regole: non mentirni o non dire niente sul mio conto.
Qualcosa del genere."
Oh, è
fantastico...
"La spada che
impedisce a Hisoka di parlare è sicuramente potentissima,
immagino che potrebbe anche attaccarlo se infrangesse le regole."
Sei magnifico... Devo
assolutamente essere io a ucciderti.
Un nodo, all'altezza
dello stomaco, un momento di disagio che attenuò la sua
eccitazione; mancava qualcosa, o meglio, qualcuno.
"Che facciamo capo?"
La predizione di Hisoka, accuratamente modificata da lui stesso, aveva
creato un po' di scompiglio, niente che non fosse impossibile gestire,
tuttavia il dubbio si era insinuato nelle menti di tutti; andarsene e
perdere metà dei membri era davvero la scelta giusta? O era
meglio restare e andare incontro all'ignoto? "Restiamo o ce ne
andiamo?" Ovviamente il desiderio del prestigiatore era quello di
rimanere; se si fossero separati avrebbe di certo perso le tracce di
Chrollo, e addio al suo inento di sconfiggerlo, per di più
gli conveniva restare a Yorkshin City se davvero sperava di ritrovare
Amaya.
Kurapika
sentì il cellulare vibrare, e quasi se ne sorprese; non
aspettava la chiamata né il messaggio di nessuno. A
sorprenderlo ancora di più fu il mittente, e il contenuto
del messaggio lo stordì.
"I cadaveri erano
finti -_- " Con tanto di stellina e goccia ai
lati della faccina.
"Restiamo."
Era scesa la sera,
un'oscuità pressante avvolgeva la città e la zona
periferica, amplificata dalla forte pioggia che aveva iniziato a
scendere.
La pioggia notturna.
Hisoka sospirò pesantemente, parzialmente annoiato e
perzialmente scocciato, le cose non stavano andando per il verso
giusto, c'erano troppe incognite, troppe cose che non conosceva o non
poteva sapere. Si rigirò nervosamente il cellulare tra le
mani.
E fu con suo grande
sollievo e soprattutto sorpresa che il suo cellulare prese a squillare,
sullo schermo era apparso un numero sconosciuto. Tentennò un
attimo, restando interdetto mentre valutava le varie
probabilità. Ovviamente non ne ricavò nulla,
tuttavia rispondere a una chiamata non aveva mai messo in pericolo
nessuno, forse.
Portò il
cellulare all'orecchio, restando un attimo in ascolto; inizialmente
sentì il rumore scrosciante della pioggia, poi un lieve,
lievissimo respiro.
"Hisoka?" Anche con
ill suono lievemente disturbato la sua voce era perfettamente
riconoscibile.
"Finalmente. Credevo
fossi morta." Dall'altra parte ci fu un silenzio pesante, c'era
qualcosa che non andava in quell'attesa.
"Già, lo
credevo anche io. Immagino tu ora non possa parlare molto, vero? Sei al
Covo?" Amaya sviò, non voleva impedimenti in quel momento,
parlare per di più sarebe stato inutile e una perdita di
tempo, doveva avere solo alcune informazioni, niente più.
"Sì."
"Bene."
"Che hai in mente?"
La pioggia scendeva
con forza, rendendo ovattato il mondo, con un temporale del genere era
come vivere sotto una cupola di umidità e silenzio. L'acqua
scendeva con tanta forza da dare l'impressione di poter isolare
qulsiasi cosa, e le cose in lontananza apparivano come miraggi
nebbiosi. Si sentiva relatiamete al sicuro, durante momenti come
quelli, riusciva quasi a rilassarsi.
Amaya chiuse il
cellulare, le mani che tuttavia le tremavano ancora.
I'm a
slave, and I am a master
No
restraints and, unchecked collectors
I
exist throught my name, to self ablige
There
is something in me, the darkness finds
Li stava seguendo
attentamente dall'alto, guardandosi bene dall'avvicinarsi troppo e
farsi scoprire e dal pererli di vista, cose che le sarebbe stata
comunque parecchio difficile visto che lei sembrava non essere l'unica
a pedinare quel gruppetto.
Aveva osservato bene
come si erano disposti -Chrollo ovviamente in testa, poi Machi, Shizuku
e Pakunoda affiancata da Kortopi- e la sua mente aveva subito
cominciato a cercare strategie e possibilità di vittoria,
tuttavia attaccarli in mezzo alla strada non si sarebbe rivelata una
scelta saggia, contando anche che i suoi obbiettivi, Machi e Shizuku,si
trovano al centro, tentare quindi un attacco sarebbe stato come un
suicidio.
Tutto stava andando
bene, fino a che i due inseguitori non si fecero beccare. Amaya aveva
mantenuto l'In mentre il ragazzino che aveva osservato alla Torre
Celeste discuteva con Chrollo, sbuffando ogni tanto, sperava davvero
che quei due non rovinassero tutto.
"Ora devi celare la
tua presenza." Senritsu si voltò verso di lui, socchiudendo
gli occhi per via della pioggia incessante che le colava sul viso.
"Lo so! Dannazione."
"Devi essere paziente."
"Ho capito!"
"Invece non capisci!
Il tuo inseguimento sconsiderato li ha messi in pericolo senza motivo.
Almeno sai perché si sono lasciati catturare? Se tu vieni
catturato non ci sarà più nessuno in grado di
fermare il Ragno." Detto quello Kurapika sembrò calmarsi,
sospirò, abbasando lo sguardo, vergognandosi per un attimo
di aver fatto un gesto così sconsiderato.
"Mi dispia-"
"Non è del
tutto corretto." Sentirono una voce femminile provenire da dietro di
loro; Senritsu aveva riconosciuto il suo -terribile- battito cardiaco
senza bisogno di voltarsi. "E non so chi tu sia ma ti consiglio di
stare alla larga."
"Tu?!" Kurapika la
osservò, quasi stupendosi della sua espressione interdetta,
prima di ricordarsi di essersi travestito. SI tolse gli occhiali,
evitando noiose spegazioni.
"Oh." Il suo vero fu
più che altro di sorpresa, il suo sguardo quasi ostile.
"Beh, allora vedi di non rovinare tutto e di non starmi tra i piedi."
"Tu piuttosto,
dovresti farti da parte." Amaya lo fissò, studiando la sua
espressione; sembrava diverso dalla prima volta che l'aveva incontrato.
"Facciamo un patto, ti
va?"
Amaya sapeva del
blackout grazie al patto che poco prima aveva stretto con il ragazzino
biondo. A ripensarci, però, quel patto aveva più
che altro avvantaggiato lei; si era fatta dire cosa voleva esattamente
fare Kurapika e in cambio di quelle informazioni gli aveva detto, non
esattamente promesso, che lei non avrebbe mirato al suo obbiettivo,
lasciandogli quindi la possibilità di catturare Chrollo,
così che lei fosse sicura di poter prendere qualcun'altro.
Così non si
sarebbero intralciati a vicenda.
E quel qualcun'altro
si era rivelata essere Shizuku, per il semplice motivo che lei non
aveva tra le mani due recalcitanti ostaggi, al contrario di Machi, che
tuttavia appariva a lei come un bersaglio succulento. Ma in quel modo
Shizuku era scoperta e Amaya aveva avuto tutto il tempo sferrare il suo
attacco.
Si era mossa nello
stesso istante in cui le luci erano saltate, con un movimento fluido
aveva scagliato il suo attacco; la spada, fedelissima spada, era
scattata in avanti, segmentandosi e amuentando la propria lunghezza*.
L'aveva vista scattare in avanti con incredibile precisione e
velocità verso Shizuku.
Aveva mirato
all'addome, con l'itento di recidere l'aorta addominale,
così da ucciderla quasi sul colpo, tuttavia la ragazzina
faceva parte del ragno per un motivo, e le sue percezioni l'avevano
aiutata ad accorgersi dell'attacco, ma non abbastanza da schivarlo.
Si era a malapena
accorta della lama che la lacerava da parte a parte e del sapore
ferroso del sangue, prima di venire strattonata indietro da una spada
che sembrava avere la mobilità di una frusta.
Scivolò e
venne trascinata a terra, ancora mezza intontita dalla sorpresa si
accorse a malapena che la gelida lama era appena svanita. Fece per
alzarsi, pronta a fronteggiare un avversario che tuttavia non riusciva
a vedere, ma che ben conosceva, prima di avvertire un dolore lancinante
al ginocchio e subito dopo l'impatto con il pavimento lucido.
Riuscì a
materializare la sua aspirapolvere e a colpire, prima di portarla
davanti a sé come scudo, principalmente per coprire organi
nobili e testa, mentre la sua mente vagava disperata tentando di
trovare il giusto ordine da dare alla sua arma, o della giusta cosa da
fare quando, con la vista che si era un po' abituata
all'oscurità, vide una lama traslucida riflettere la luce
improvvisa di un lampo, attraversando senza difficoltà
alcuna la sua arma, prima di calare su di lei come un funesto vento
oscuro*.
Nel frattempo Kurapika
era riuscito a catturare Chrollo, sfruttando in modo intelligente
l'improvviso blackout, tuttavia la situazione che si era creata subito
dopo non sembrava volgere a suo favore. Chrollo sapeva bene, e sperava
che anche gli altri del Ragno la pensassero allo stesso modo, che lui,
come ostaggio, era privo di valore.
Areoporto di Lingon alle otto,
vieni da sola. quello era il luogo dello scambio e,
nonostante gli altri membri le avessero detto di non accettare, di non
scambiare i loro ostaggi per il Capo che, come lui stesso aveva detto,
sarebbe stato facilmente sostituibile, non era riuscita a rifiutare,
non poteva accettare che a guidare il Ragno non fosse Chrollo; amava
troppo la Brigata e i suoi membri per vederli stravolti.
Conoscere la debolezza
di Kurapika non era ervito a nulla, sapere che lui teneva
più ai propri amici che alla sua vendetta si era rivelato
inutile, ormai Pakunoda aveva deciso di accettare le sue condizioni pur
di mantenere intatto il Ragno, di permettergli di muoversi ancora, a
testa alta.
Sul dirigibile in
quell'istante si trovavano Kurapika e Leorio; osservavano la donna
avvicinarsi insieme ai due ragazzini.
Si accorsero troppo
tardi che Pakunoda e i due ostaggi erano stati seguiti; una figura
longilinea dai capelli rossi affiancata una fugura appena
più bassa, dai lunghi capelli bianchi.
"Ma quello
è..." Il cellulare di Kurapika squillò.
"Ciao..." Pakunoda si
voltò, notando prima Hisoka e poi Amaya, il suo sguardo era
una mescolanza di rabbia e sorpresa.
"Perché sei
qui?!"
"Cos'hai intenzione di
fare?"
"Lasciami salire con
loro sul dirigibile. Se ti rifiuti ucciderò Gon e Killua."
"Bastardo."
Sto solo scherzando,
sarebbe un tale spreco
"Il mio obbiettivo
è il Capo, una volta rilasciato scenderò dal
dirigibile, voglio combattere con lui. È tutto
ciò che voglio." Pakunoda notò appena lo sguardo
di Amaya farsi più cupo, mentre quello del prestigiatore
sembrava accendersi.
"C'è
qualcosa che non va."
"Cosa?"La
ragazza si voltò verso di lui, guardandolo sospettosa.
"Dimmelo
tu, è a te che mi sto riferendo."
"Va
tutto bene." Tuttavia il prestgiatore notò una certa
tensione nella sua mascella
"Non
mentirmi."
"Non
ti sto mentendo! Sono riuscita a uccidere Shizuku, cos'è che
non dovrebbe andare?"Già, cos'è che non dovrebbe
adare?
"Ti
vedo diversa, è successo qualcosa?"
"Smettila."
Amaya tremava ancora, il dolore al fianco che via via si faceva sempre
più intenso.
Un dirigibile si stava
allontanando, a terra era rimasta Paku, seduta dentro al dirigibile,
stanca, mentre tentava di riflettere e di ignorare il fatto che fuori
c'erano Chrollo e Hisoka.
"Ho aspettato
così tanto per questo momento. Tipico sguardo famelico di
Hisoka "Adesso, facciamolo." Si era liberato della finta pelle con il
tatuaggio, l'aveva lasciato cadere a terra. "Non è
più una disputa interna, non trattenerti."
Chrollo rise, forse
per la prima volta, con vero gusto.
"Non posso combattere
con te. O meglio; non vale la pena di combattermi, ha usato la sua
catena sul mio cuore, impedendom di usare il Nen."
"Che importanza ha?"
Fece Amaya inizialmente con la voce sommessa, piena di dolore e rabbia.
"Non me ne frega niente se non puoi combattere, io tu uccido, non mi
importa." Fece per fare dei passi avanti quando sentì un
presa ferrea sul suo braccio, si voltò, l'espressione gelida
di Hisoka la bloccò per un momento.
"Non lo farai."
"Ti ci metti anche tu?
Lasciami stare, lo uccido!" Tentò di scrollarsi dalla sua
presa, inutilmente, perchè lui stava usando la Bungee-Gum,
in quel momento, presa dalla furia e dalla smania di uccidere, quasi
senza accorgersene materializò un'arma, una katara* nella
mano sinistra, e con un movimento per niente premeditato
puntò al volto del prestigiatore, sapeva che il suo colpo
non sarebbe andato a segno, infatti si ritrovò con il polso
bloccato e il dolore delle ossa rinsaldate la obbligò a
lasciare la presa sull'arma, che svanì prima ancora di
toccare terra.
"Non te lo
lascerò fare." Aveva ancora qualche possibilità
di scontrarsi contro di lui, tutto stava nel trovare un esorcista che
sapesse rimuovere il nen. Non avrebbe rinunciato così
facilmente.
"Se credi che mi
lascerò fermare..."Stringendo i denti per il dolore Amaya
materializzò un'altra arma, dalla lama più lunga,
in quel momento Hisoka fu costretto a balzare indietro per non
ritrovarsi una lama piantata nell'occhio.
Ormai il patto non
contava più, quello che lei aveva accettato alla Torre
Celeste in fondo non era un vero e proprio patto, non avevano stretto
nessuna promessa, era questo che passava nella mente della ragazza,
infondo lei non aveva mai tenuto in considerazione che qualcuno potesse
uccidere i suoi obbiettivi al posto suo, non l'avrebbe permesso.
"Amaya." Si
voltò verso Chrollo, ignorando la sensazione spiacevole che
avvertiva alla schiena, sentiva l'aura di Hisoka, pesante, addensata
nella sua tecnina, che ora le stava appiccita alla maglia, pronta a
tirarla indietro.
Chrollo vide nei suoi
occhi un folle rancore, una rabbia inestinguibile e nonostante sapesse
che non c'era quasi nulla che potesse fare prese la sua decisione.
"Ricordi quando ti ho trovato?" Lei strabuzzò gli occhi, non
aspettandosi quello. "Tu e tuo fratello eravate due poveri disgraziati,
vivevate a malapena ed eravate invisibili agli occhi di tutti. Ma io vi
ho notato, vi ho porto la mia mano, dovresti essermi riconoscente per
quello che ho fatto per voi." Quello, se possiblie, alimentò
la rabbia di Amaya come liquore su una fiamma.
"Quello che hai fatto
per noi?! Ci hai ucciso, razza di bastardo! Non ci hai teso la tua
mano, ci hai buttato giù dalla tua fottuta montagna!" L'aura
si addensò attorno a lei, per poi concentrarsi tra le sue
dita; materializzare più di un'arma era sempre stato
particolarmente faticoso, ma vista la situazione, quella era l'unica
scelta; fra le sue dita apparvero dei corti coltelli dal lancio.
Avrebbe mirato al
cuore, le rondini* avrebbero fatto il loro lavoro, trapassandolo da
parte a parte, se solo Hisoka non avrebbe distolo la sua attenzione,
manifestando la sua aura prima ancora che potesse lanciarle.
Quello di voltarsi era
stato un riflesso istintivo, quello di contrarre i muscoli dell'addome
si rivelò inutile.
Il pugno alla bocca
dello stomaco le tolse il fiato, lasciandola per qualche istante a
boccheggiare, aggrappata agli abiti del prestigiatore per via delle
gambe che all'improvviso sembravano non reggerla più, la
mente che saettava tra la rabbia e la sorpresa, appena un po'
annebbiata da dolore, prima che tutto si colorasse di nero.
NdA:
Un
po' di Info:
*La
spada/frusta: Questa
è un'arma che esiste e non esiste, nel senso che
è spesso utilizzata in videogiochi e anime/manga, ma nella
realtà non ne è mai stata realizzata una
funzionale, non che io sappia. (La si può trovare nel
videogioco Soul Calibur, nell'anime Deadman Wonderland in versione
mastodontica e in chissà quanto altro) (ES:
http://img1.wikia.nocookie.net/__cb20080805170106/soulcalibur/images/c/c0/Valentine.jpg
)
*vento
oscuro: sarebbe
in teoria il nome (tradotto) dell'arma che ha usato contro Nobunaga,
quella più o meo invisibile e che attraversa le cose
inaimate, che ho anche citato in uno dei capitoli iniziali ambientati
alla Torre Celeste. Letteralmente il suo vero nome sarebbe Darkdrift
(vento oscuro), e la si può trovare in un videogioco (Dark
Souls) e se non sbaglio funziona esattamente come ho spiegato io, o
almeno, l'aspetto è lo stesso.
*Katara: Lama in acciaio, massiccia e
triangolare, affilata su ambo i lati. In alcuni esemplari è
più lunga, diritta e con profonde scanalature parallele ai
bordi, o fiammeggiante ("lama flambard"). In altri la lama è
ricurva, simile ad una variante più massiccia del khanjar.
Impugnatura perpendicolare all'asse dell'arma, stretta ai lati dalle
due stanghe di metallo che dipartono dal forte della lama ed assicurano
la katara all'avambraccio dell'utente. (ES:
http://p1.la-img.com/368/25561/9433198_2_l.jpg )
*rondini: Queste me le sono invetate
io ._. sarebbero coltelli da lancio privi i impugnatura, molto
affusolati e aereodinamici, per avere una forza perforante maggiore
rispetto ai normali coltelli da lancio.
Ed eccoli! I "primi"
veri problemi per Hisoka, mi pare che tutti voi stavate aspettando una
cosa del genere... o sbaglio?
Ammetto che la prima
scena mi da dato del filo da torcere, non sapevo neanche se
mettercela... spero comunque che vi sia almeno 'piaciuta'
Comunque, dal prossimo
capitolo in poi (salvo per, credo, il primo paragrafo) la storia non
seguirà più l'andatura del manga. La cosa mi
rende incredibilmente felice, perché così
riuscirò a concentrarmi meglio sulla storia (e ammetto che
trasrivere le cose dagli episodi non mi è mai piciuto, ne mi
sembrava che venisse fuori qualcosa di bello), i capitoli avranno una
lunghezza più ragionevole, mi rendo conto che questi ultimi
saranno stati lungherrimi, ma volevo togliermi questa parte.
Non vedo l'ora di
recuperare il mio ritmo di scrittura e di liberarmi da quello che mi
imponevano gli episodi :) i prossimi capitoli saranno migliori, lo
prometto.
Anche
perché siamo mooolto vicini alla fine, qualcuno lo sa
già ;)
A presto ^^
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Capitolo 11 *** Errori ***
Capitolo 11. Errori
[Opeth
- Burden]
I once upon a time
Carried a burden inside
Some will ask goodbye
A broken line but underlined
There's an ocean of sorrow in you
Nello stretto spazio del dirigibile si respirava tensione; Pakunoda
stava seduta con le spalle al muro e osservava il prestigiatore posare
su una branda il corpo della ragazza, e fu sorpresa di vedere
lelenzuola iniziare a macchiarsi di rosso.
Quando glielo chiese, le rispose che era già ferita, lui
probabilmente, senza neanche farlo apposta, con quel pugno aveva
riaperto una ferita di cui non si era reso conto; abiti pesanti e
pioggia avevano nascosto bene quella ferita.
Le condizioni non erano pessime, ma decisamente non erano neanche delle
migliori, la ferita al fianco era estesa, ma non troppo profonda,
tuttavia continuava a sanguinare e il sangue faticava a coagularsi.
"Si può sapere cosa stai combinando?" Chiese lei dopo un
attimo di teso silenzio, senza riuscire a togliere gli occhi da quella
che un tempo era stata una sua compagna; se la ricordava bene, la prima
volta che aveva dato un'occhiata nella sua testa, aveva percepito un
legame forte, luminoso, che la legava a suo fratello, erano state due
facce della stessa medaglia, non a caso portavano lo stesso numero.
E si accorse che quei giorni un po' le mancavano, un po' le mancava
sentire quei litigi mai troppo convinti né seri tra lei e il
fratello, un po' le mancava vederla persa, letteralmente, nei loro
rifugi, perché lei aveva imparato a capirlo, che Amaya aveva
un pessimo senso dell'orientamento.
E un po' le mancava, ora che aveva visto ciò che era
diventata, ciò che Loro l'avevano fatta diventare, le
mancava la sua presenza perennemente grata per il semplice fatto di
avere un tetto sulla testa.
Forse quel legame così luminoso, di disse, era stata la sua
vera rovina, ora che il fratello non c'era più.
Perché in fondo le luci più forti creano le ombre
più profonde.
"Perché me lo stai chiedendo?"
Che razza di domanda, come si può rispondere a una domanda
del genere? "Perché sì" Il prestigiatore storse
la bocca, osservando il petto di Amaya, che si sollevava a intervalli
irregolari, chiedendosi distrattamente se era il caso di portarla
all'ospedale, perché da solo non poteva fare nulla per
sistemare le sue ferite. "Cos'è che ti attira tanto in lei?
Guardala, quanto credi che possa durare così? Quanto credi
che possa andare avanti? Non riuscirà mai a portare a
compimento la sua vendetta, lo sai anche tu." Sì, lo sapeva
benissimo, eppure sapeva anche che fermarla sarebbe stato impossibile.
"Allora? ti decidi a rispondermi?" Non che a Pakunoda importasse
più di tanto, ormai.
"Veramente non lo so. All'inizio mi divertiva vederla così
piena di rabbia." Fece un mezzo sorriso, che però non
riuscì a contagiare gli occhi dorati, che rimasero fissi e
cupi. "Si sta distruggendo, lo so." Ma che posso farci io? Mi importa,
almeno, salvare il mio giocattolo, anche ora che è a pezzi?
Probabilmente se si fosse trattato di qualcun'altro avrebbe trovato
divertente, forse interessante, quella sorta di autoditruzione che
stava avvenendo. Ma non in quel caso.
Rimasero ancora in silenzio, fino a che la città non
iniziò a intravdersi tra le nubi e l'ocurità
notturna, e i doveri e i compiti non ricominciarono a far sentire il
proprio peso.
"Tu che farai?" Per la prima volta Hisoka spostòlo sguardo
da Amaya, il sangue aveva iniziato a gocciolare a terra, e lo
spostò su Pakunoda, la cui espressione si faceva sempre
più cupa.
"Il mio tempo sta finendo." La donna si alzò, avvicinandosi
alla ragazza, per poi posare delicatamete la mano sulla sua fronte
calda, forse troppo, per provare a comprenderla. Il dolore e il rancore
le corsero per tutto il corpo in un insieme di immagini sfocate e sogni
inquieti. Non c'era più la minima traccia dell'Amaya
sorridente e un poco scorbutica di un tempo.
Mille e mille volte era stata un essere umano. Ma nessuno, tantomeno
lei, sembrava crederci ancora. Era stata chiamata Sorella, era stata
chiamata Ladra, Assassina, Criminale. Ma mai, come in quel momento, la
definizione che più gli si addiceva era Mostro fatto di
follia e rancore.
Sollevò la mano, un po' come scottata da quella cascata di
informazioni. "Dovresi portarla all'ospedale, temo abbia la febbre."
Quasi si chiese perché le importasse tanto, di lei, che
stava tentando di decimare il Ragno, quella che era la sua, la loro,
famiglia. Poi pensò che stava andando a morire, quindi
perché no? Perché non cercare di dare una mano a
una persona che un tempo era stata sua compagna, sua amica?
Sorrow in
me
La pioggia continuava a cadere con debole insistenza, Pakunoda
avvertiva l'umidità inferire sul suo braccio rotto, me non
se ne curava, tanto anche quel dolore presto sarebbe svanito.
Si avvicinò al rifugio, dentro, il Ragno, era più
decimato che mai. Non voleva che la sua famiglia dovesse soffrire
ancora, soffriva lei stessa la pensiero che tuttavia, quello di
Shizuku, non sarebbe stato l'ultimo decesso.
Aveva caricato la sua pistola per l'ultima volta, mettendoci dentro
cuore e anima, sperando ardentemente che quel suo sacrificio avrebbe
aiutato la sua famiglia a proteggersi, a soravvivere.
Vi prego, lasciate che
tuto questo finisca con me.
Saw movement in their eyes
Said I no longer knew the way
Given un the gost
A passing mind and its fear
In the wait of redemption
ahead
Avvertiva il peso dei fatti sulle proprie spalle; la stanchezza si era
impadronita di lui, il suo corpo aveva bisgno di una tregua, o forse la
sua mente, i fatti stravolgenti lo avevano colpito profondamente, e ora
ardeva di febbre.
Tutto quello di cui era certo è che affontare la
Brigata era stata una delle idee pù folli che aveva mai
avuto, che esserne usciti vivi, vittoriosi per di più, era
ancora più folle.
Che avere ancora al proprio fianco compagni, amici, pronti a
sostenerlo, sempre e comunque, era la cosa migliore. Nonostante fossero
semplici ragazzini, nonostante si curassero più di lui che
di se stesso e che erano pronti, in ogni occasione, a mettersi in gioco
e rischiare la vita, tutto per quel legame che si faceva sempre
più forte.
Tuttavia sapeva bene, Kurapika, che la sua battaglia era solo
all'inizio e che, nonostante sapesse bene di potersi trovare contro
avversari temibili, con alleati improbabili e in situazioni pericolose,
non si sarebbe fermato.
Tutto quello di cui aveva bisgno in quel momento era un po' di meritato
riposo.
"Spero non guarisca per un po', Kurapika non deve più
combattere cotro la Brigata."
Waiting to fade
Poteva uscirne, lo sapeva benissimo, sapeva perfettamente che tutto
quello era un'illusione, che le sarebbe bastato prestare un poco di
attenzione in più per fuggire da quella sorta di sogno. Lo
sapeva benissimo, ma forse non voleva.
La pioggia batteva con insistenza, e tuttavia non aveva freddo, stretta
tra le braccia di suo fratello si sentiva al sicuro, protetta ma
soprattutto calda, come quella piacevole sensazione di essere avvolti
in calde coperte mentre fuori imperversa la tempesta. Tuttavia sapeva
perfettamente che tutto quello non era reale, che era poco
più di un ricordo.
"Non di nuovo, non di nuovo." Ripeteva, rendendosi però
conto le sue parole non avevano consistenza alcuna, né per
suo fratello, né per se stessa. "Ho delle cose da fare..."
"Lascia perdere." La stretta sul suo corpo si strinse ancora di
più.
"Non posso, smettila." Di nuovo silenzio. Amaya si
accartocciò su se stessa, sentendosi disgustata da quel
colpevole piacere. Stare tra le braccia di suo fratello era come
tornare a casa.
"Forse non puoi, ma vuoi."
"Io non voglio lasciare perdere."
"Sì invece." Si agitò. liberandosi da quelle
braccia che si erano fatte soffocanti, sentendo l'isteria invaderle il
corpo. E cadde, cadde con la faccia sul lastricato umido, il gelo che
all'improvviso le invadeva il corpo e la pioggia che era come una
cascata di spilli sulla pelle. Si voltò indietro, cercando
il fratello di cui aveva rifiutato il contatto, finendo per vederci
solo un cadavere marcescente.
Distolse lo sguardo, disgustata dai ricordi che pigri ma decisi avevano
iniziato a insinuarsi nella sua mente. Fece per mettersi in piedi
quando si ritrovò un mano tesa sotto il viso.
Quella era una delle cose che ricordava meglio, una delle cose che non
avrebbe mai dimenticato in tutta la sua vita, per quanto sarebbe ancora
potuta durare. Era stato come un faro in una notte senza luna, una
scialuppa di salvataggio in mezzo a una tempesta mortale. Era stato una
salvezza. Una promessa di vita.
"No." Tuttavia quella volta scelse di non afferrare quella mano, poco
importava se si trattasse di un sogno, di non cedere all'offerta di
Chrollo e lasciare la sua, la loro, vita nelle sue mani.
Perché era stato tutto un'illusione; nessuna salvezza,
nessuna luce.
Contrariamente a ciò che aveva appena pensato vide la sua
stessa mano, come mossa da fili invisibili, sollevarsi e andarsi ad
appoggiare su quella del capo della Brigata. Le vide stringersi, salde,
l'una nell'altra.
La smania di ucciderlo, adesso, subito, la fece fremere, tuttavia le
leggi di quel bizzarro sogno le impedivano di compiere qualsiasi
azione; quella volta non le aveva lasciato molte possibilità.
Chi è il tuo obbiettivo, adesso, Amaya?
Ma la cosa che la turbò di più fu che quando
sollevò lo sguardo, adirato e ferito, verso il volto di
Chrollo riconobbe un viso che non apparteneva al capo della Brigata.
Cypher.
Sei in una situazione
pessima, lo sai? Non puoi fare nulla.
Solo in quel momento riuscì a liberarsi della stretta della
sua mano.
Fading again
Si svegliò di soprassalto, con ancora la sensazione della
sua mano, gelida e dolorosa, stretta nella sua. Un prepotente dolore al
fianco spazzò via gli ultimi frammenti di quel sogno,
donandole qualche briciolo di lucidità in più.
La prima cosa che videro i suoi occhi fu il profilo spigoloso della
città lottare contro il bagliore del sole calante -o forse
crescente?- e illuminare a stento la stanza chiara in cui si trovava.
Per un momento le sembrò di essere tornata alla Torre
Celeste, lì dove aveva ammirato diverse volte la pioggia
notturna scappare e dissolversi con il sorgere del sole. Tuttavia la
fastidiosa sensazione di avere almeno cinque cuscini accatastati dietro
la schiena e di minuscole, e forse necessarie, ferite da cui uscivano
tubi chiari le fece capire di trovarsi in tutt'altro posto.
Abbassò lo sguardo sul proprio braccio, quella che doveva
essere una flebo sbucava dalla pelle morbida, provocandole un moto di
disgusto; non era sangue quello che gocciolava all'interno della sacca
sopra la sua testa, ma un liquido chiaro e, Amaya ne era convinta, del
tutto inutile, se non per tenerla buona, perché come
provò ad allungare l'altro per strapparsi di dosso quella
diavoleria avvertì un dolore come di tanti e minuscoli
spilli irradiarsi per tutto l'arto.
Strinse i denti a afferrò il tubo, ignorando completamente
il sordo dolore che si propagava in lei, con tutto l'intento di non
fermarsi se non dopo essersi liberata di quella schifezza.
E ci sarebbe riuscita, se una mano non le avesse bloccato il polso.
Con la vista che tremava e il cuore che fremeva riconobbe a stento la
figura del prestigiatore china su di lei. "Lasciami." Sentì
la rabbia invaderle il petto, forse per nessuna ragione, forse
perché non stava riuscendo a stare dietro agli
eventi, o più probabilmente perché lui, e anche
se stessa, le aveva fatto perdere un'occasione d'oro per attuare la sua
vendetta. Strinse i pugni e strattonò leggermente la mano
bloccata. La sensazione dell'ago infilzato nella pelle si faceva sempre
più fastidiosa.
Lentamente, sentì la stretta delle sue dita allentarsi
lievemente. "Sei ferita, dovresti stare calma." Infine
lasciò il suo polso, permettendole di raggiungere l'ago.
Hisoka la guardò interdetto, chiedendosi per un momento se
sapeva ciò che stava facendo; indubbiamente rinunciare alla
morfina non sarebbe stata una grande idea, dubitava che lo stesse
facendo consciamente. "Non lo farei se fossi in te." La ragazza lo
ignorò completamente, buttando a terra la flebo.
"Dov'è Chrollo?" Si passò la mano sul braccio,
lasciando una lieve linea rossa, mentre il punto da cui aveva appena
strappato l'ago andava illividendosi.
"Non lo so." Si voltò a guardarlo, forse per la prima volta
con attenzione.
Chi è il tuo obbiettivo, adesso, Amaya?
"Sei un bugiardo."
"Lo sono, ma non sto mentendo ora."
"Va' al diavolo Hisoka." Si passò una mano fra i capelli;
pensando che se ne sarebbe dovuta andare da lì il
più velocemente possibile. Se quello che Cypher le aveva
detto era vero, allora non avrebbe dovuto attendere molto per
ritrovarselo davanti, e quella era una cosa a cui proprio non teneva,
visto che era rimasta incosciente per...
"Quanto tempo sono rimasta in queste condizioni?"
"Qualche ora. Cosa intendi fare, Amaya?" Lo guardò; per la
prima volta nei suoi occhi non colse quelle distintive tracce di
leggerezza e pervesioni tipiche dei suoi occhi dorati. A dire il vero,
pareva abbastanza abbattuto.
"Devo andarmene da qui."
"E cosa intendi fare?" Osservò il profilo spigoloso della
città oltre il vetro, iniziando a liberarsi di
quell'intorpidimento che le aveva anebbiato la mente, impedendole di
riflettere. "Non troverai Chrollo." E di certo lui non
l'avrebbe aiutata a trovarlo, visto come stavano andando a finire le
cose l'ultima volta. Per di più Chrollo sapeva bene come
sparire. A pensarci bene, in quel momento, non poteva fare
assolutamente nulla.
Solo in quel momento si accorse che la città che vedeva
oltre il vetro non era York Shin City, e che le nuvole colorate dal
sole avevano un'assurda tonalità metallica. E che se fosse
stato in lei, Hisoka non sarebbe stato lì.
"Potrebbe esserci un'altra persona nel mio mirino, adesso." Si
voltò verso il prestigiatore, implorando che funzionasse,
che almeno quella volta le lasciasse un minimo di libertà,
in fondo, quello era il suo sogno, no? "Devo liberarmi la strada, ci
sono alcuni ostacoli fastidiosi di cui devo sbarazzarmi." Lo vide
inclinare la testa, forse non aveva capito quanto fosse sveglia la
ragazza.
"E se credi che questi giochetti funzionino..." Materializzò
un'arma pratica nella mano sinistra, per poi sporgersi dal bordo del
letto con un movimento fluido puntando a colpire la sua figura. Nel
momento stesso in cui credette che la lama fosse affondata nella sua
carne tutto intorno a lei si dissolse in una macchia di fumo e
inchiostro.
Si sentì cadere, e l'impatto con il cemento umido fu una
sferzata di vero dolore.
"Non imparerai mai, vero?" Una voce terribilmente familiare le giunse
alle orecchie.
Lo sentì sbuffare. "Dimmi, questa volta come l'hai capito?
Ero certo di aver fatto un ottimo lavoro." Il tono della sua vaoce
cambiò, rivelando tutta la sua frustrazione. Quando Amaya
sollevò lo sguardo, un poco annebbiato dal sordo dolore al
fianco, e vide i suoi occhi gelidi chini su di lei tutta la rabbia
tornò a galla, facendole ribollire il sangue come fuoco
nelle vene. La ferita di ciò che le aveva fatto e le stava
facendo tutt'ora, semplicemente mostrando la sua faccia compiaciuta e
un po' scocciata, le bruciava ancora dentro. Le faceva contorcere lo
stomaco e prudere le mani per il desiderio di stringere un'arma e di
sentire il sangue scivolare tra le dita.
"Hisoka non ha più nessun motivo per starmi accanto, e non
l'ha mai avuto veramente, sono certa che per lui fosse solo un gioco e,
beh, io devo aver infranto le regole."
Alla fine stava tutto nel pensare con la propria mente, era bastato
mettere a posto i pensieri confusi, lasciando da parte i sentimenti
troppo forti, e guardare i fatti come stavano veramente. E come
sarebbero stati a seguito di certe azioni.
Solo in quegli istanti, con la pioggia che le inzuppava gli abiti e il
dolore al finaco che le faceva fremere il corpo, capì che il
suo male principale non sarebbe più stato Chrollo. Lui la
sua parte l'aveva fatta; aveva rovinato a sufficenza la vita di Amaya,
e lei, se ora desiderava veramente almeno provare a vivere, doveva solo
che liberarsi di Cypher, impedirgli di infastidirla ancora e
confonderle la mente, fare in modo che smettesse di profanare il
ricordo di suo fratello e non permettergli più di metterle
le mani addosso.
Il resto perdeva importanza.
Si avvicinò a lei, la lunga asta di metallo tesa davanti a
sé; con quella aveva neutralizzato ogni arma che Amaya aveva
materializzato, riuscendo a farle svanire prima di subire qualsiasi
tipo di danno. Lei aveva provato di tutto, ogni arma e ogni stile di
combattimento; dalla Katana alla Shotel, niente era servito a qualcosa.
Amaya era caduta in ginocchio dopo poco, priva di forze, con
un'orribile idea nella mente.
"Cosa credi di fare?" Le sollevò il mento con
l'estremità dell'asta. Amaya sentiva la pelle a contatto con
essa farsi fredda, la debolezza avvolgerle gli arti.
"Liberarmi di te." Le rispose ansante, e lui rise, balzando indietro
nella pioggia e nel fango quando lei, con semplice forza di
volntà materializzò un'ultima arma tra le mani.
Era stato puramente istintivo; nel momento in cui si era sentita
completamente priva di forze quell'arma, quella parola
-Midinvaérne- le era balzata alla mente, poi tra le mani con
una semplicità quasi innaturale.
"E per quale ragione? Forse per vendetta?!" Portò avanti la
mano, materializzando un'altra di quelle sue strane aste sensibili al
nen. "Non sei riuscita a vendicarti delle persone che ti hanno resa
così e che hanno ucciso il tuo amato fratello e quindi stai
tentando di sfogarti su di me? Sull'unica persona che ti ha curato e di
ha dato rifugio?!" Il suo volto si distorse in un misto di rabbia e
rammarico.
"Taci! Lo faccio per me, non voglio più avere niente a che
fare con te!" Strinse l'elsa tra le mani, i serpenti in acciaio che
decoravano la guarda della spada sembrarono fremere, quasi sibilare,
mentre quello che era avvinghiato su se stesso al posto del pomolo
iniziò effettivamente a muoversi.
"E credi che farmi fuori sia la soluzione? Ciò che abbiamo
passato insieme è segnato in modo indelebile su di te e su
di me, non puoi fare nulla per cancellare ciò che
è successo." Amaya sentì i brividi correrle sulla
pelle, il disgusto stringerle la gola. Imperterrita avanzò,
menando un fendete con la sua spada. Cypher arretrò,
apparentemente senza contrattaccare. "Per favore Amaya, non voglio
farti del male." Alla ragazza venne da ridere; come se non gliene
avesse già fatto in precedenza.
"Allora morirai." Sentìil metallo avvolgerle il polso e la
mente; era arrivata al punto di non ritorno.
Ogni colpo era una sofferenza; sentiva il metallo dell'impugnatura
scottare il palmo della sua mano, le spire metalliche che, lentamente e
inesorabilmente, le si allungavano sul braccio e fino alla spalla si
serravano con forza, trafiggendole la pelle come filo spinato. Ogni
fendente apriva le difese di Cypher, annullando ogni sua mossa. Le sue
strane armi cadevano a terra, tagliate a metà, distrutte e
inutilizzabili. Midinvaérne era infallibile. Letale per
entrambi.
Ogni colpo era un ricordo, tagliato a metà, distrutto e
svanito. Ogni colpo era una sofferenza, ma Amaya sapeva che dopo tutto
sarebbe svanito, semplicemente, per sempre.
Via la sua vita miseraile all'ovest, via i momenti allegri passati al
Covo, via Cypher, via la Torre Celeste e via tutti i legami.
__________________________________________
Uff, accidenti. Credo di dovervi delle scuse. La storia sta andando
totalmente fuori dai bianari, sono certa che nessuno, tanto meno io, si
aspettava che potesse andare a finire così. Cioè,
voglio dire, la storia non è ancora finita, anche se manca
poco, però, insomma, la trama sta facendo i salti mortali.
Insomma, quello che vi chiedo è di resistere fino al
prossimo capitolo, sto davvero cercando di restuire un po' di
dignità a questa povera storia almeno con il finale, poi
potrete ricoprirmi di insulti ^^
Il prossimo e ultimo capitolo arriverà a breve, è
già in parte scritto, perché non volevo che
passasse un'eternità come è successo tra questo e
quello precedente :)
Pace e amore a tutti (?)
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Capitolo 12 *** Pioggia e Sole ***
Che tu
sia spirito di salvezza o dannazione, che tu porti aliti di paradiso o
miasmi d'inferno, che le tue intenzioni siano malvage o pietose, tu
vieni con un aspetto così pronto alle risposte che io ti
parlerò.
Ciò che le rimase nel momento in cui lasciò
cadere la spada erano ricordi dolci e amari; aveva ancora i ricordi di
suo fratello, aveva ancora il dolore della caduta e vaghi flash passati
di persone e luoghi.
Nel momento in cui la lama raschiò a terra accanto al corpo
morto di Cypher Amaya fu soddisfatta di ciò che aveva appena
fatto.
Poi tutto nella sua mente svanì in una nebbia confusa e
indolore.
Il tempo all'ovest era ostile esattamente come ricordava, seppur
vagamente; la pioggia scrosciava con impetuosa violenza, senza dare mai
tregua alla città. Ai lati della strada si ammassavano
bancarelle colme di frutti e prodotti. Nei vicoli, in quelli
più stretti, tavano ammassati gruppi di bambini,
rannicchiati l'uno contro l'altro per combattere il gelo e la fame.
Amaya strinse il sacco di iuta che aveva preso a gocciolare, intriso
d'acqua, prima di dirigersi verso una di quelle stradine laterali,
strette e cupe.
Rannicchiata contro il muro stava una figura fasciata con un telo che
una volta doveva essere stato bianco. La testa nascosta tra le braccia,
incrociate sulle ginocchia, nel tentativo di mantere più
calore possibile, nonostante si vedesse chiaramente il tremito del
fagotto.
Allongò la mano e lasciò cadere ai piedi della
figura il sacco di iuta. Quando questo cadde a terra si aprì
e un paio di mele rosse e succulente rotolarono fuori. La figura
sollevò lo sguardo, mostrando un paio di occhi del colore
della pece e ciocche di capelli bianchi e neri.
"Qual'è il tuo nome?"
"Rebi." Rispose la ragazzina, tremante e vagamente impaurita dopo un
istante di muta sorpresa.
"Rebi... e basta?"
"Komorebi." Lo disse in un sussurro vergognoso, perché le
era sempre apparso come un nome del tutto inadatto lì, dove
pioveva quasi ogni giorno.
"Hai un nome bellissimo." Era un nome che sapeva di sole tiepido sulla
pelle, di passeggiate in mezzo agli alberi. Il suo nome parlava di
terre lontane e luoghi sconosciuti.
Komorebi sarebbe potuta essere ciò che Amaya non era mai
stata. Ma non sarebbero mai state neanche simili, se non per quelle
esperienze che accomunavano loro due e altre mille creature abbandonte
a se stesse, perché erano l'una l'opposto dell'altra.
Le porse la mano, come qualcuno aveva fatto una vita passata con lei,
offrendole ciò che più desiderava e di cui aveva
più bisogno.
Epilogo.
Pioggia e Sole
Resta a
sospirare di pena in questo nostro crudo mondo, per raccontare la
storia, vera, di me.
Si era preparata una strada, un lungo lastricato di sangue e morte,
vendetta e rancore.
Sono certa che l'abbia percorsa, quella strada, ma solo fino a un certo
punto. Nessuno può reggere un tale peso, nemmeno lei, o
semplicemente qualcosa è andato storto, non lo so di
preciso, ma posso immaginare che ormai quella strada sia
irrimediabilmente interrotta.
Non so se esserne felice, per lei o per me, non lo so, davvero. Mi
trovo in una di quelle situazioni di cui non ti capaciti, in cui ci
sono troppe cose che bisognerebbe conoscere per realmente capirci
qualcosa. E ormai neanche lei può spiegarmi come sono andate
realmente le cose, per filo e per segno.
Ha fatto qualcosa, qualcosa che forse non avrebbe mai voluto fare, o
che forse desiderava fare da troppo, e la sua mente ne è
uscita così.
Sono certa che prima non fosse così, sono certa che un animo
del genere viene a formarsi solo dopo gravi traumi, forse un po' come
quelli che avremmo potuto vivere noi, ai lati della strada, o a causa
di grandi poteri. Quelli a cui lei ogni tanto fa riferimento quando
cerca di spiegarmi come sono andate le cose, quelli troppo grandi da
anche solo sperare di controllare.
La verità è che non lo ricorda più
neanche lei, frammenti di vita sono andati completamente persi, la vedo
ogni tanto, mentre mi parla, corrugare la fronte e interrompersi,
cercando di ricollegare fatti slegati fra di loro, perché
qualche pezzo manca sempre, nei suoi racconti. C'è sempre
qualcosa che non riesce a dirmi, ferite e cicatrici che non riesce a
ricordare, nonostante passi intere notti insonni a fissare con sguardo
truce le sue armi, in cerca di qualcosa che non potrà mai
riavere indietro.
C'era una parola che le danzava spesso sulle labbra, la pronunciava con
orrore e rispetto. È una parola che non conosco, che non
avevo mai sentito, ma che sa d'inverno e di brividi gelidi sulla
schiena.
E poco importa se conoscessi o meno quel nome, perché la
volta in cui lei provò a materializzarla di nuovo, quella
spada, perché era quello che era, magari per avere delle
risposte, e vidi l'aspeto di quell'arma, decisi di non volerci avere
niente a che fare.
Poco dopo mi disse che era stata quella l'arma che l'aveva ridotta
così, perché ricordava fin troppo bene come
funzionava, aveva intuito di averla usata in modo stupido e disperato,
ma non ricordava contro chi, né per quale motivo.
Io tremai, quando mi disse quelle cose, che era da cose come quelle,
poteri come quelli a cui dovevo prestare più attenzione, in
modo da non finire come lei. Pensai che un'arma come quella era
mostruosa, che non sarebbe dovuto esistere uno strumento in grado di
cancellare frammenti di vita, in grado di rendere chi la utilizzava
come un sacchetto vuoto.
Tuttavia doveva esserci un motivo se aveva deciso di rinunciare ai suoi
ricordi, forse c'era qualcosa che non desiderva più, nella
sua mente, qualcosa di troppo grave da sopportare per continuare a
vivere normalmente. E quello quasi lo capivo.
Ricordavo, ogni tanto, quei miserabili giorni passati sotto la pioggia,
ad attendere che il mondo andasse avanti e che, magari, in qualche
modo, le cose cambiassero. Ricordavo che pensavo alla morte come una
possibilità, neanche tanto remota, e che non avevo paura.
C'erano giorni che quasi l'aspettavo con ansia.
Le cose sono cambiate moltissimo da quando ho incontrato Amaya.
Qualche giorno fa si è fatto vedere un ragazzino biondo
vestito di strani abiti, è stato strano rendersi conto che
cercasse proprio Amaya. Pensare che qualcuno la stesse cercando,
qualcuno della sua vita Prima
che le cose cambiassero così tanto, volesse forse
parlarle... quasi non ci credevo, l'avevo sempre vista come una
creatura indipendente e profondamente sola.
Tuttavia la nostra delusione, mia e del ragazzo, qundo ci siamo accorti
che lei non sarebbe stata di alcun aiuto non ci fece demordere. Il
ragazzo aveva insistito, menzionando una certa Brigata; a quanto pare
lui stava cercando qualcuno, qualcuno che Amaya aveva dovuto conoscere
bene, un tempo. Ignorando il fatto che lei lo osservava come se fosse
uno sconosciuto nonostante sapessero l'uno il nome dell'altro. Inutile
dire che quando lui se ne fu andato e le chiesi di chi si trattasse lei
riuscì a darmi solo delle vaghe risposte, niente di
realmente signficativo.
È passato molto tempo dopo quell'episodio, lei mi ha
addestrato, mi ha insegnato a difendermi, mi ha trasmesso conoscenze
che niente avrebbe potuto cancellare, perché intrinseche
nell'animo e non nella mente. Ora so maneggiare una katana nel modo
giusto, riesco a impugnare quell'arma e a donarle l'onore per cui
è stata forgiata, o almeno è quello che mi piace
pensare. E così con tante altre, ho anche trovato l'arma con
cui mi trovo meglio.
Mi ha insegnato che il rancore è la cosa peggiore in cui io
possa imbattermi, che la vendetta rovina la vita e l'anima, che
è giusto prendere le cose come arrivano. Perché
la vita è così; cupa e giusta, in quache modo.
Toglie e da, in uguale misura.
Peccato che tutto quello ebbe poca importanza per i fatti che avvennero
poco dopo.
Arrivarono da est, muovendosi nella città come avvolti da
una bolla da cui tutti si tenevano ben lontani. L'uomo alto, quello con
i capelli rossi e lo sguardo affilato, aveva accompagnato al donna fino
a noi; li riconobbi entrambi, nel senso che conoscevo i loro nomi e
poco più, stando a ciò che mi aveva raccontato
Amaya, se non che avevo visto diverse volte quello vestito in modo
biazzarro aggirarsi per la città, non avrei mai immaginato
che fosse lì per Amaya.
Il tizio con gli occhi che sembravano monete d'oro doveva aver
raccontato la situazione alla donna, a quanto pare era davvero rimasto
in città per studiare la situazione. La ragazza con i
capelli rosa aveva discusso a lungo con Amaya, dubitando lei stessa che
potesse aver dimenticato così tante cose e tentando quasi di
farle tornare in mente qualcosa.
Aveva detto che la vendetta era una cosa inutile e avevo visto
chiaramente la sorpresa sbigottita dei due individui. La ragazza
l'aveva afferrata per il colletto e sollevata di peso, mentre lo
sguardo dell'altro si faceva più cupo, gli occhi dorati che
correvano da una donna all'altra, non sembrava molto contento della
situazione.
Amaya era rimasta impassibile, come ormai accadeva per ogni cosa, anche
quando la donna le riversò addosso tutto il suo odio con
insulti e minacce, ricordandole che aveva fatto -che si era fatta- una
promessa. Quella di essere lei a uccidere l'assassina di Nobunaga e
degli altri suoi compagni. Amaya aveva inclinato appena la testa,
mostrando di non sapere assolutamente di cosa loro stessero parlando.
A quel punto la donna l'aveva lasciata andare, con negli occhi
un'espressione che non so descrivere, forse un misto tra rabbia e
pietà.
Anche allora avevo provato a chiederle chi fossero quegli individui.
Tuttavia non ricevetti risposte molte diverse da quelle vaghe che mi
aveva dato la volta precedente. Mi aveva detto di ricordare meglio
l'uomo, piuttosto che la donna a cui sapeva di aver rotto le mani con
incredibile determinazione, mi aveva detto che tra loro due doveva
esserci stato un legame particolare, e niente più. Dopo
quella volta quasi mi rassegnai, nonostante un mucchio di domande
continuassero a tormentarmi. Da quando mi ha raccolto ai lati della
strada mi sono sempre chiesta perché l'avesse fatto,
perché caricarsi di un tale fardello? Quella fu comunque una
cosa che non ebbi mai la forza di chiederle.
Capii molto dopo che quella per lei doveva essere un'espiazione. Un
tentativo di fare almeno una cosa buona nella sua vita
irrimediabilmente rovinata.
Amaya non parlava molto, questo lo ricordo, a dire il vero non sembrava
neanche più un essere umano, solo uno spettro del passato,
tormentato da fatti e fantasmi.
Forse fu prorpio perché non ero stata l'unica a pensarlo che
quell'uomo si era presentato di nuovo, con un intento che solo ora
riesco a comprendere, nonostante il dolore sordo al cuore non accenna
ad andarsene neanche ora, che sono passati anni.
In fondo Amaya è stata tutto quello che ho avuto e l'unica
su cui potevo fare affidamento.
Poco prima di andarsene Amaya mi aveva detto un'ultima volta che la
vendetta era inutile. Quella era una cosa che non si stancava mai di
ripetermi. Forse si aspettava che sarebbe andata a finire
così, per quello forse mi aveva fatto promettere di andare
avanti con la mia vita e di non cercarla più.
Non viva.
Perché la sua non era stata vita, perché sembrava
non aspettare altro che potersi riunire al fratello di cui parlava con
tanto amore e che le donava quel briciolo di umanità in
più ogni volta che faceva il suo nome.
Forse in fondo era giusto così, le tempeste, per quanto
forti, prima o poi sono destinate a terminare, e le pioggie notturne a
lasciare il posto ai raggi del sole.
Ed è strano, perché ricordo di avere sempre
odiato la pioggia notturna, era sempre stata così gelida,
crudele, nel suo insinuarsi nei miei abiti leggeri, quando ancora non
avevo un tetto sopra la testa.
Lei mi ha scaldato; mi ha donato quel poco calore che le era rimasto,
tutta l'umanità che non aveva perso.
E mi ha insegnato tanto; ha fatto di me una vera persona, non
più uno straccio abbandonato ai lati della strada.
Adesso osservo la pioggia notturna con occhi nuovi.
Fine
_______________________________________________________________________
Note: Komorebi
è una parola intraducibile in italiano (come Weltschmerz) ed
è usata per indicare i raggi del sole che filtrano
attraverso le fronde degli alberi. E ricordatevi che il significato del
nome Amaya
è pioggia notturna :)
Le citazioni a inizio e fine capitolo sono prese dall'Amleto di
Shakespeare.
Non ho voluto inserire quela prima parte nel capitolo precedente
perché Komorebi per me è sempre apparsa come una
comparsa (molto a sorpresa) da capitolo finale :)
Sono negata a scrivere in prima persona, tuttavia continuo a provarci,
ogni tanto ^^'
L'ho uccisa? Beh, sì. Alla fine sì. Amaya
è stato uno di quei personaggi estremamente poveri (non a
livello caratteriale), che si trova a vivere nella miseria e a portare
avanti un intento, un progetto che lo è altrettanto.
Destinato a portare solo rovina. Per questo le citazioni all'Amleto di
Shakespeare ci stanno tanto bene, secondo me. C'è un finale
tragico, anche se venato di una vaga speranza, ma comunque giusto,
perché ristabilisce l'ordine delle cose.
Shikacloud ci ha azzeccato in pieno nella recensione che mi ha lasciato
la volta scorsa: Amaya è come un incendio, distrugge e
divora tutto sul suo passaggio, tuttavia è una cosa che
accade di rado, e che comunque è destinata ad estinguersi
dopo aver dato spettacolo della sua forza.
Quindi siamo giunti alla fine. Ammetto che inizialmente mi è
piaciuto moltissimo scrivere questa storia, e allo stesso modo sono
stata contenta di ricevere l'approvazione e i consigli preziosi dei
lettori. Nonostante nella parte finale (l'asta e il finale, escluso
l'epilogo, che bene o male era sempre stato così nella mia
testa) ci sia stato un... calo(?) da parte mia. Ciò che mi
ha fregato sono stati gli episodi a cui dovevo andare dietro e che non
riuscivo a rendere abbastanza (per questo tornerò a scrivere
originali ^^'). Ma sono comunque contenta di essere arrivata alla fine
e che, in qualche modo, questa storia vi sia piaciuta :) E spero che,
ora che è finita, mi facciate sapere consa ne pensate.
Arrivederci!
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