Land Of Confusion

di Breathless92
(/viewuser.php?uid=115520)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non stuzzicare il can che dorme... [Jotaro/Kakyoin] ***
Capitolo 2: *** Buon natale un cavolo! [Josuke/Okuyasu] ***
Capitolo 3: *** La rivincita [Josuke/Rohan] ***
Capitolo 4: *** Buona notte Jojo [Joseph/Caesar] ***
Capitolo 5: *** Soffocare [Dio/Kakyoin] ***
Capitolo 6: *** L’ultimo bacio [Jotaro/Kakyoin] ***
Capitolo 7: *** Di nuovo assieme [Gyro/Johnny] ***
Capitolo 8: *** Occhio per occhio... [Bucciarati/Giorno] ***
Capitolo 9: *** Un esperimento insolito [Dio/Giorno] ***
Capitolo 10: *** Odio e amore [Joseph/Caesar] ***
Capitolo 11: *** Jealous [Josuke/Rohan] ***
Capitolo 12: *** I’m here waiting for you… [Bucciarati/Giorno] ***
Capitolo 13: *** Ricordi [Jonathan/Dio] ***



Capitolo 1
*** Non stuzzicare il can che dorme... [Jotaro/Kakyoin] ***


Non stuzzicare il can che dorme


Jotaro dormiva da qualche ora, era parecchio stanco e ormai persino il suo corpo non riusciva più a reggerlo con facilità. Così semplicemente si era addormentato appoggiando la propria schiena al tronco di un albero, rinfrescato dal venticello fresco e dall’ombra proiettata dalla pianta stessa. Aveva affrontato dure battaglie, e sfide che andavano oltre la normale concezione umana. Un viaggio proprio bizzarro in effetti…

La piccola città brulicava di vita, ed il caos riempiva l’atmosfera dei dintorni.
Fu in quel momento che due persone si avvicinarono minacciose al giapponese. I loro passi si fecero sempre più vicini, e quando furono ad un passo da lui si scambiarono uno sguardo complice.
“Jotaro è proprio crollato!” Commentò il primo trattenendo una risata.
“Così pare… Non è saggio dormire in un luogo così scoperto… Qualcuno potrebbe approfittarne…” Rispose sussurrando il secondo, mentre con una mano si scostava il lungo ciuffo scarlatto dal viso con un gesto quasi meccanico.
“Già. Qualcuno potrebbe.”  Detto questo il primo ragazzo frugò nelle sue tasche alla ricerca di qualcosa, dopo qualche attimo tirò fuori una penna indelebile nera con la punta larga… La porse all'amico.
“Mon ami…” Lo invitò dandogli l’onore di essere il primo a cominciare.
“Sei proprio crudele Polnareff!” Lo schernì Noriaki, mentre prese subito la palla al balzo e tolse il tappo alla penna. Svelto e leggero disegnò sul viso dell’ignaro Jotaro che stava proprio dormendo profondamente, tanto da non essersi minimamente accorto del tocco dell’indelebile. Ridacchiando come idioti si passarono tra loro la penna diverse volte, aggiungendo sempre nuovi dettagli. Dopo un bel paio di baffi alla messicana, dei cuoricini sulla guancia destra, il mono ciglio, scritte diffamatorie e delle bellissime ciglie sensuali, il francese non resistì più e scoppiò in una risata tanto fragorosa quanto contagiosa che persino lo stesso Kakyoin, nonostante gli facesse gesto di stare zitto, scoppiò infine a ridere. A quel punto nonostante il sonno e la stanchezza fisica il moro riaprì gli occhi, innervosito dagli starnazzi fastidiosi dei due.
“Cosa avete tanto da ridere?” Li interruppe brusco.  I due subito sobbalzarono e tentarono di mantenere un comportamento serio e distaccato. Ma non appena scorsero i disegni che ridicolizzavano il severo volto del compagno scoppiarono nuovamente a ridere senza contegno alcuno.
Ancora più infastidito Jotaro iniziò a sospettare qualcosa. Non sapeva cosa quei due avessero tramato alle sue spalle, ma era certo che avrebbe trovato risposta osservando il proprio aspetto. In fondo loro avevano iniziato a ridere nuovamente solo quando avevano rialzato lo sguardo su di lui… Si alzò da terra e si avvicinò ad una macchina che era posteggiata qualche metro più avanti, poco fuori dalle porte della cittadina. Si abbassò per intravedere il proprio riflesso nello specchietto retrovisore.
Non appena si il suo volto apparve alle sue spalle un minacciosissimo Star Platinum che tutto aveva tranne che un aria amichevole. Si volse verso i due con uno sguardo glaciale e si pulì il viso con la manica della divisa.
“Siete morti.” Li indicò funesto. Non aggiunse altro, ma tanto bastò per invogliare i due amici alla fuga.
Entrati nelle vie affollate della città i due, che  correvano a perdi fiato, rincorsi da un possibile maniaco omicida, si osservarono esausti.
“Dividiamoci, almeno sarà costretto ad inseguire solo uno di noi!” propose il rosso, il ragazzo dai bizzarri capelli argentati, sparati all’insù, annuì e voltò alla sua sinistra mentre Noriaki proseguì per la via principale della città.



Dopo diversi minuti di corsa si decise finalmente a volgere il suo sguardo dietro di sé, speranzoso che fosse stato il chiacchierone francese ad avere la peggio scoprì a sua spese di essere lui il malcapitato, inseguito da un irrefrenabile e nervosissimo Jotaro. Cercò di seminarlo inserendosi in diverse vie secondarie della cittadina, sino a perdersi in vicoli abbandonati e labirintici. Si volse nuovamente e vide, in effetti, di essere solo. Si fermò quindi a riposare, deciso a riprendere fiato. Cercò di osservare meglio dietro di sé per notare anche la minima presenza di vita, e quando fu certo che fosse deserta la strada s’incamminò nella direzione opposta, ma senza rendersene conto si scontrò contro qualcosa… O qualcuno. Volse lentamente il capo pronto a scusarsi quando sollevando lo sguardo comprese di avere di fronte proprio il suo stesso inseguitore. Cercò di arretrare ma fu bloccato in una morsa salda.
“Dove credi di andare?”
“Ahahah -fece una risata nervosa- Suvvia Jotaro, non te la prendere, era uno scherzo innocente…” L’amico non rispose, lo fissava stoico, impassibile, e senza alcuno sforzo lo spostò dalla sua posizione attuale contro una delle pareti, bloccando ogni suo possibile movimento, serrando i suoi polsi spinti con forza contro il muro, e bloccando il torace del rosso con la pressione del suo corpo. I loro visi erano vicini. Molto vicini, tanto che il respiro tiepido del moro scaldava le labbra di Noriaki.
“Ho promesso a me stesso che me l’avresti pagata. E adesso pagherai.” Il suo tono era freddo, ed i suoi occhi non trasparivano alcuna emozione, in quel momento Kakyoin sperò che finisse tutto velocemente, che dopo aver preso un paio di pugni il moro si sentisse sazio e lo lasciasse libero.
Jotaro unì i due polsi dell’amico bloccandoli con una sola mano, mentre l’altra l’avvicinò minacciosa al viso della sua vittima. Istintivamente il più minuto chiuse gli occhi come a proteggersi dal colpo che gli sarebbe presto arrivato, ma quando sentì la mano catturargli la mandibola costringendolo ad avvicinare il proprio viso a quello dell'altro rimase sbalordito da quanto accadde. Poco dopo avvertì le calde labbra del suo “carnefice” appoggiarsi alle sue e cercando un contatto tanto passionale quanto ferale.
Quando si staccarono mancava il fiato ad entrambi, a quel punto Noriaki sorrise ansante.
“Bene, ora che sei soddisfatto possiamo tornare dagli altri… Ci staranno aspettando!”
“Soddisfatto? Ho appena iniziato.”





[Angolino dell'autrice]
Ed ecco che mi butto anche su una modalità di fic che non avevo mai provato. Spero che questa prima storiella vi abbia divertiti, e se volete consigliare delle coppie posso provare a scrivere qualcosina. Questa era più comica, magari più avanti ne scriverò anche di più serie e anche di drammatiche, chissà, mi piace spaziare sui generi.
Grazie per la lettura e se volete recensire, anche per delle critiche, lo apprezzerei molto :D

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Buon natale un cavolo! [Josuke/Okuyasu] ***


Buon natale un cavolo!
 
 
Era già scesa l’oscurità, nonostante fossero solo le diciotto, quando iniziò a nevicare. L’atmosfera natalizia riempiva la piccola città di Morio-Cho di caotici rumori e un’insana felicità di massa. Ma non per lui, no… Okuyasu camminava lontano dalle persone, non aveva mai sopportato quella festività… Era particolarmente nervoso e per quanto potesse cercava di mantenere un comportamento rilassato risultava comunque scontroso… Quando i bambini correvano accanto a lui, quasi colpendolo, per dire ai propri genitori quale regalo volesse, a stento riusciva a trattenere degli insulti. In fondo il giapponese era così… Sapeva bene di non essere molto intelligente, e anche di essere troppo impulsivo, ma questa era la sua natura, e non poteva certo cambiarla. Aveva solo bisogno di qualcuno che l’accettasse così, per quello che era.
 
Decise che le strade della cittadina erano troppo trafficate e gioiose per i suoi gusti, così si diresse silenzioso verso il quartiere in cui viveva con il padre… Già, suo padre. Anche oggi avrebbe dovuto badare a lui. Avrebbe preferito non tornare a casa, ma non sapeva dove altro andare, e poi aveva persino iniziato a nevicare e non aveva un ombrello. Non aveva certo intenzione di ammalarsi!
Stava camminando su un piccolo ponte quando si fermò ad osservare il fiume che scorreva sotto di esso. Aveva freddo, e probabilmente non vi era una sola parte del suo corpo che non fosse fradicia, ma decise di ritardare ulteriormente il suo rientro a casa. Come se aspettasse qualcosa.
Per lui questo era un anno così triste, certo aveva conosciuto nuovi amici, e vissuto avventure bizzarre, ed ancora alcune dovevano trovare fine… Ma… bhè aveva pur sempre perso suo fratello. Non lo aveva mai trattato particolarmente bene, ma era il suo punto d’appoggio, era colui che lo aveva pur sempre cresciuto. Non aveva mai festeggiato il natale, o il suo compleanno, e aveva sempre provato una certa invidia per chi invece aveva una casa calda, in cui un albero decorato riempiva l’ambiente di ilari risate. Una mamma affettuosa, un padre severo ma gentile…
Abbassò il capo e cercò di non pensare oltre, in fondo se l’era sempre detto: "pensare fa male."
 
La neve gli arrivava ormai alle caviglie quando avvertì il soffice rumore di passi che si avvicinavano, quando si volse erano ormai accanto a lui. Notò subito che la neve aveva smesso di scendere, o così credeva, alzando il capo scorse un ombrello nero che lo stava coprendo. Abbassò gli occhi e vide Josuke che lo fissava con uno sguardo misto tra lo stupore e la confusione.
“Cosa ci fai qui fuori? Conciato come sei poi…”
“Nulla. Stavo… Tornando a casa” Rispose rapido cercando di celargli i propri sentimenti riguardo il Natale.
“Tornando a casa stando fermo da non so quanto tempo a fissare l’acqua che scorre? Guardati sembri un albero di natale innevato.” Commentò l’amico non riuscendo a trattenere una risatina divertita.
“Bha. Stai zitto Josuke, non sono in vena.”
“Cosa c’è Okuyasu? Mi fai preoccupare…” Tornò subito serio il moro dai capelli curiosi.
Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in viso, e sentendosi terribilmente in colpa per come aveva risposto a colui che era il suo migliore amico, abbassò gli occhi come a non volerlo affrontare.
“ E’ che io… Non sopporto molto il natale, non sono di buon umore… Non ho mai avuto una famiglia con cui festeggiarlo, e quest’anno se n’è andato persino mio fratello… Ed io non voglio tornare a casa e dover accudire mio padre anche oggi. La gente sotto natale è sempre così felice, tutti aspettano dei regali, stanno con la propria famiglia. Per me è solo un giorno come gli altri. Anzi sai che ti dico? Buon natale un cavolo.”
Josuke non aveva mai sentito il suo amico parlare di cose tanto profonde quanto tristi, rimase perplesso ma non riuscì a trattenere un sorriso colpevole.
“Bhe… Allora buon natale un cavolo Okuyasu” Disse in risposta a quelle affermazioni dure mentre tirava fuori da una tasca un piccolo pacco regalo rosso con un nastro dorato che lo chiudeva. Lo porse all'amico, che subito vedendo il gesto non riuscì a capacitarsi di quanto stava avvenendo.
Semplicemente prese il pacchetto tra le mani e sorrise arrossendo.
“Sei un infame Josuke.” Rispose scherzoso cercando di nascondere il proprio imbarazzo di fronte a tale gesto.
“Bella storia… Sei il solito idiota.” Rispose in tono. Poi senza aspettare una risposta si avvicinò ulteriormente e lo strinse fortemente a lui, come a volerlo scaldare. In quel momento Okuyasu si lasciò andare scoppiando in un pianto che da tanti anni aveva represso dentro di sé, che ora usciva come un fiume in piena, ma cercando di mantenere un contegno i singhiozzi uscivano strozzati, ed un sorriso stupido era stampato sul suo viso. Piangeva per sfogarsi da tanto dolore, ma nel contempo piangeva di gioia, e uno strano calore dentro di sé lo aveva isolato da quella fredda giornata invernale che aveva congelato anche il suo cuore per tutti quegli anni.





[Angolino dell'autrice]
Essendo in priodo natalizio ho pensato di scrivere questa storiella dedicata a Josuke ed Okuyasu, proprio grazie ad una fanart che vidi e mi scaldò il cuore. Ho voluto proporre loro in temi molto soft proprio per dare al lettore la scelta di vederci una coppia oppure solo due grandi amici che si vogliono molto bene. Personalmente sono bellissimi in entrambi i casi, ma con loro non riesco ad essere esplicita, sono molto più dolci così. 
Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto e commentiate, comunque questo è il mio regalino per le feste di natale a voi lettori ùwù
Un abbraccio a tutti :*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La rivincita [Josuke/Rohan] ***


La rivincita
 
 
Era una di quelle giornate particolarmente grigie e noiose, in cui il vento freddo innervosiva le persone che cercavano di riscaldarsi con sciarpe colorate e giacche più pesanti. Il sole era coperto dalle nuvole e tutta l’atmosfera sembrava senza tono, tanto che l’umidità stessa offuscava il panorama.
 
Josuke stava tornando da scuola, intristito dal fatto che i suoi amici non erano venuti e quindi doveva tornarsene tutto solo. Aveva allungato la propria strada seguendo una via che portava alla periferia, in effetti non aveva fretta di rincasare, era pensieroso e distratto, e fu proprio a causa di questo che non si rese conto di essere arrivato dinanzi alla casa di Rohan Kishibe… Un suo “amico”? Non sapeva se ritenerlo tale, Rohan non sembrava provare una particolare simpatia nei suoi confronti, ma forse era a causa del loro primo incontro, quando Josuke lo aveva mandato all’ospedale a furia di picchiarlo con Crazy D. Bhe se l’era cercata, aveva osato offendere i suoi capelli. NESSUNO, e ripeto, nessuno sarebbe mai stato risparmiato dalla sua furia dopo aver offeso la sua acconciatura.
 
Si fermò un attimo titubante, poi semplicemente si decise a suonare il campanello del magaka, che non lo fece aspettare molto prima di aprire la porta.
“Josuke… Che vuoi?” Il suo tono era decisamente scontroso. Il suo nome era stato pronunciato con tanta acidità da schiarire subito qualunque dubbio riguardo l’affetto che Rohan potesse provare per lui.
“Bhe, passavo di qui ed ho pensato di fare un passo a salutarti.” Rispose non curante il più giovane, con un sorrisetto di scherno che tutto aveva tranne che l’aria innocente.
“E quindi? Vieni al punto.” Lo interruppe brusco.
“Non c’è un punto.”
L’aria si stava facendo pesante, e il volto di Kishibe era evidentemente distorto da un sottile rancore che non sembrava riuscire a scordare.
“Quindi saresti venuto qui, da solo, facendo una strada molto più lunga solo per bussare, salutarmi e non avere nient’altro da dirmi?” il suo tono diventava ogni sillaba più nervoso e impaziente.
“Già” alzò le spalle rispondendo con tutta l’innocenza di un ragazzino. A quel punto il mangaka si appoggiò una mano in viso in modo quasi melodrammatico. Evidentemente stava cercando di calmarsi. Poi un’idea lo folgorò, facendo nascere sul suo viso un sorriso malvagio.
“Capisco. Bhe siccome sei qui potremmo giocare a dadi. Di nuovo. -rimarcò quest’ultima frase con grande fastidio- Desidero una rivincita.”
A quelle parole lo studente più giovane arrossì dall’imbarazzo ricordandosi cosa era accaduto l’ultima volta che aveva tentato di truffare l’amico. Cercando di rimanere impassibile per non tradirsi riguardo l’aver barato la volta precedente sorrise nervoso.
“Ahaha, bhe, immagino sia stata solo fortuna quella volta. Non vedo perché prendersela tanto. E poi ormai non ho più molti soldi da parte, ho bisogno di quei pochi yen che mi sono rimasti, non vorrei perderli…” Cercò di rifiutare, ma intravedendo negli occhi di Rohan tutta la sua determinazione capì che non sarebbe stato tanto facile declinare l’offerta.
“So che hai barato. Non so in che modo, ma sono certo che tu l’abbia fatto, per cui se vuoi riscattarti pretendo che tu giochi un’altra volta con me. E poi i soldi non sono l’unica posta su cui possiamo puntare.”
A quelle parole Josuke iniziò a chiedersi a cosa si riferisse, e se avesse mai realmente potuto evitare di farlo. Ma alla fine si convinse che probabilmente il mangaka necessitava solo di una vittoria per mettersi il cuore in pace ed accettare la precedente sconfitta, piuttosto che di beni materiali da sottrargli, così acconsentì ed entrò nella villa dell’altro non appena egli li fece cenno di entrare.
 
Essendo una giornata uggiosa optarono per rimanere nel soggiorno, ove un tavolino basso era circondato da un lungo divano in pelle e da una poltrona, al lato opposto, dello stesso materiale. Il più grande andò subito a frugare nei cassetti di una scrivania alla ricerca dei suoi dadi, e quando li trovò li mostrò con un sorriso divertito allo sfidante. Erano ancora sigillati. Era una chiara dichiarazione che questa volta non avrebbe avuto vita facile il giovane baro. Ma in fondo aveva davvero bisogno di quei soldi… Sua madre le aveva bloccato il conto e sottratto tutti i soldi duramente guadagnati… Cercò di non pensare ulteriormente e si finse rilassato.
 
Una volta aperta la scatola dei dadi li infilò dentro un bicchiere di vetro trasparente e li posò sul tavolo per poi prendere posto sulla poltrona invitando l’altro a sedersi dinanzi a lui sul divano. Si osservarono un po’ in silenzio poi Rohan prese parola.
“Le regole sono semplicissime. Chi fa il tiro più alto vince. Il perdente deve quindi svestirsi di qualcosa che ha indosso. Il gioco procede finché uno dei due non rimane nudo”
Il viso di Josuke mostrava un espressione tanto stupita quando imbarazzata, colorita di un rosso talmente acceso da fare invidia ai tramonti più luminosi. Aveva davvero detto quello che credeva di aver sentito?
“Cos…?  No. Aspetta… “ farfugliò impacciato cercando di comporre una frase sensata.
“Nessuna obiezione. Tu mi hai umiliato la volta scorsa, questa volta non sarò soddisfatto sino a costringerti a tornare a casa nudo.” La determinazione di Kishibe fu tale da zittire persino il giovane moro, che deglutendo non poté che pregare dentro di sé di avere fortuna, una volta nella vita, e di non perdere quello stupido gioco.
“Bene cominciamo.”
Non ci volle molto tempo prima che la povera vittima delle angherie del maestro si ritrovò quasi completamente spogliato, mentre l’aguzzino era ancora interamente vestito. Era chiaro che stesse barando, semplicemente Josuke non riusciva a capire come. Evidentemente studiava questa vendetta da giorni, se non mesi, preparandola in ogni minimo dettaglio. A quel punto si rese conto di non poter in alcun modo evitare la furia dell’altro, che beffardo lo osservava divertito. Quanto mai si era fermato dinanzi a quella villa ed aveva suonato quel campanello. Ma per quale motivo poi? Non aveva un particolare interesse verso di lui. Era forse a causa della giornata passata in solitudine a causa dell’assenza di Okuyasu e Koichi? Non seppe rispondersi. Cercò quindi di rimanere concentrato sul gioco. Era ormai rimasto vestito unicamente dei pantaloni e delle mutande sottostanti quando perse nuovamente il tiro. Sotto lo sguardo vigile di Rohan si sfilò i pantaloni e glieli porse.
“Pregusto già la mia vittoria.” Commentò sadico mentre mescolava i dadi nel bicchiere.
“Ma sta zitto.” Commentò brusco l’altro che era decisamente innervosito dalla situazione, oltre che imbarazzato, ma quello ormai lo era dall’inizio stesso della loro conversazione. Le risate crudeli del mangaka si fecero più rumorose mentre nuovamente aveva ottenuto il massimo punteggio dai dadi. A quel punto gli porse gentilmente il bicchiere sollevando un sopraciglio.
Stava per afferrare il bicchiere quando inciampando nelle scarpe appoggiate vicino al tavolo cadde goffamente in avanti colpendo fortemente il tavolo con le ginocchia ferendosi leggermente mentre con la faccia si schiantò direttamente sul basso ventre dell’altro. Subito cercò di levarsi da quella vergognosa posizione quando le mani di Rohan gli bloccarono il collo costringendolo a mantenere la posizione.
“E’ un segno del destino Josuke. Non solo hai perso -disse indicando i dadi che erano caduti a terra durante lo scontro- ma dovrai anche pagare in un modo molto più soddisfacente.”
“Lasciami. Cos’hai intenzione di fare?” Cercò nuovamente di spostarsi invano. Mentre ormai il rossore sul suo viso era tale da sembrare caldo. In effetti Josuke avvertiva uno strano calore avvolgerlo, non capì se fosse a causa dell'imbarazzo, o del contatto così bizzarro con il suo antagonista... Oppure uno strano... Piacere? La voce sibilante dell'altro lo riportò alla realtà con prepotenza.
“Umiliarti. Non è forse ovvio? -sorrise maligno osservandolo e posando un dito sulle labbra dell’altro facendolo scorrere da un’estremità all’altra- Ed ora troviamo un occupazione più interessante per quella bocca. Sono stufo di sentire la tua voce.”






[Angolino dell'autrice]
Ooook questa era decisamente meno sentimentale e più... Perversa, ma in fondo da loro due non vi potevate aspettare certo di meglio eh. Non me lo vedo Rohan tutto romantico e carino... Comunque questo capitolo lo dedico a kymyit che non solo ha commentato le mie storie, ma mi ha anche consigliato la coppia e mi ha fatto venire l'idea da cui partire a scrivere questa stupidaggine. xD
Spero che vi sia piaciuta. Grazie della lettura e di possibili recensioni! :*

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Buona notte Jojo [Joseph/Caesar] ***


Buona notte Jojo 
 
 
Erano arrivati a St. Moritz da poco, e dopo tutto il trambusto del giorno precedente erano proprio stanchi. Avevano recuperato la pietra rossa dalle mani di Kars, ma questo non li aveva affatto tranquillizzati. Ognuno sembrava completamente interessato ai propri pensieri più pessimistici, tanto da non prestarsi nemmeno uno sguardo tra loro. Infine fu la bellissima donna dai lunghi capelli scuri a parlare. Non disse molto, semplicemente decise che sarebbe stato meglio andare a riposare, così Lisa Lisa lasciò l’atrio per dirigersi nella propria camera, seguita da Messina che senza proferir parola si era limitato ad annuire. In quel momento Joseph si volse verso Caesar infastidito. Era l’unico a vedere positivamente la loro situazione? Insomma, avevano recuperato la pietra, umiliato Kars. Erano in vantaggio. Per lui era evidente!
“Ci hanno lasciato qui come due idioti. Ah vabbè. Andiamo anche noi, prendo le chiavi.” Disse facendo crollare quel muro di silenzio che gli altri avevano così faticosamente costruito. Ma in fondo lui era così, preferiva pensare positivamente. I silenzi troppo lunghi ed il dramma non erano affatto per lui. Si diresse verso il gestore dell’hotel e ritirò la chiave della stanza.
L’italiano sembrava assorto in chissà quali pensieri cupi, e proprio a causa di questo non prestò attenzione alle solite lamentele di Jojo. Fu allora che una mano gli si posò senza alcun tatto alla spalla scuotendolo.
“Caesar, ci sei? Ho detto andiamo.” Alzò la voce il moro quasi innervosito dell’assenza dell’amico, e poi senza aspettare risposta si diresse anche lui al piano superiore. Il biondo cercò di liberare la propria mente da quei pesanti ricordi, dalle sue ansie, dalla paura che aveva del domani. Sospirò e cercò di assumere la sua solita personalità mentre seguiva l’amico osservandone le ampie spalle. Involontariamente il suo sguardo scese lentamente sempre più in basso sino a soffermarsi sui fianchi di Joseph. Non appena si rese conto di quanto aveva fatto scostò stupito lo sguardo. Cosa gli stava succedendo? Cercò di convincersi che era a causa dell’abitudine a farlo con molte ragazze, e che soprattutto era a causa della lunga astinenza che aveva dovuto patire in quei giorni. Certo sapeva bene di avere compiti ben più importanti, e non lo sentiva come un peso, eppure era uno abituato ad avere molte ragazze attorno, ed ora si sentiva quasi… Solo?

Senza nemmeno accorgersene erano ormai arrivati dinanzi alla camera, che venne aperta dal primo. La stanza era molto semplice, due letti erano accostati alle pareti, ove al centro di essi un grande finestra mostrava un bellissimo paesaggio invernale. La porta del bagno era subito alla loro destra ed una piccola scrivania era posta sulla sinistra vicina ad uno dei due letti. Joseph non ci pensò due volte, con poca grazia si lasciò cadere sul letto a lui più vicino facendolo scricchiolare.
“Hai la grazia di un elefante” Commentò mantenendo una facciata seria il biondo, mentre in realtà tratteneva una certa ilarità.
“Sentitelo. E’ grazie ad essa che oggi siamo riusciti a recuperare la pietra.” Rispose a tono l’altro.
“Ed è grazie a me se non sei volato da quel dirupo con Kars.”
“Oh mio eroe!” Lo schernì il moro facendo un gesto melodrammatico con la mano posandola dolcemente sul suo petto e sorridendo. Caesar sembrava essersi rasserenato un poco, questo basto a far tornare a Jojo la voglia di fare l’idiota. L’italiano rispose a tale gesto con uno sguardo beffardo e si sedette sullo stesso letto dell’inglese. A quel punto si lasciò cadere con la testa sullo stomaco del moro, che invece appoggiava la propria schiena al muro della camera ed aveva le gambe allungate. Questo non sembrò infastidire l'inglese, al massimo parve stupirlo un poco, ma non sembrava dispiacergli per nulla.
Erano diversi giorni che osservava Jojo in modo diverso e che questo gli procurava strane reazioni e pensieri. Non comprendeva realmente cosa questo significasse, ed ogni volta cercava delle scuse valide per convincersi che era tutto dovuto ad altre motivazioni all'infuori della pura attrazione. Poi tornò cupo. Domani, con o senza gli altri, sarebbe andato a sfidare i propri nemici per vendicare la sua famiglia, e sinceramente non voleva pensare a cosa sarebbe potuto accadere. Era certo di poter vincere, ma la paura che quella fosse la sua ultima notte gli mozzò per un attimo il fiato. Fu allora che Joseph avvicinò il viso al suo, fissandolo perplesso. Evidentemente aveva intuito che qualcosa non andava.
“Cosa c’è?” La voce, stranamente, gentile del moro lo riportò alla realtà.
“Nulla stavo solo pensando. E’ una cosa che sono solito fare, so che per te è un concetto del tutto estraneo Jojo.”
“Io so fare meglio tante altre cose.” Rispose orgoglioso l’altro mostrando un sorriso malizioso.
“Quanta modestia.” Rispose in tono mentre le sue mani si allungavano verso l’altro andando a cingere il collo dell’amico.
“Parli proprio tu.” La sua voce si fece più flebile. Senza comprenderne il motivo il loro gioco stava diventando sempre più ambiguo. Le loro voci erano sempre più profonde e calde. L’atmosfera si era fatta strana, ed entrambi si guardavano con sguardi complici che sembravano quelli di una coppia d’innamorati piuttosto che di due grandi amici. Certo dall'inglese, che era decisamente più impulsivo, ce se lo poteva aspettare, ma da una persona più riflessiva quale era il biondo no. Per tutta la sua vita aveva sempre avuto la compagnia di molte donne, ma nessuna di queste lo aveva mai soddisfatto come questo unico momento di intimità, neppure concluso, stava facendo. Le sue mani andarono gentilmente ad accarezzare i morbidi capelli del moro che in tutta risposta avvicinò le sue mani al volto di Caesar sfiorandone i dolci lineamenti. Sentì le mani dell’italiano spingergli con gentilezza la testa sempre più vicina alla sua.
“Se non la smetti di spingermi ti bacerò sulla bocca. Con queste  labbra così sexy.“ Sussurrò Jojo quando fu ormai ad un soffio da lui. Poi senza aspettare alcuna risposta mantenne la parola. Semplicemente si lasciò guidare dall'istinto e senza pensarci le sue mani andarono a scoprire quel corpo che tante volte aveva guardato ma che non si era mai permesso di toccare.



Era notte fonda quando Caesar si svegliò, era stretto tra le braccia di Joseph… L’unica persona che dopo tanti anni era riuscito a scaldargli il cuore. Si sentì nuovamente parte di una famiglia. Una famiglia tutta sua, che nessuno, questa volta, gli avrebbe portato via. L’avrebbe difesa da qualunque cosa. Nonostante ciò non era pronto per abbandonare la sua sete di vendetta. Aveva bisogno di sconfiggere Kars per dare finalmente pace ai suoi famigliari defunti. Nel suo cuore sperava davvero che Jojo lo avrebbe seguito, che avrebbero combattuto assieme. Eppure un piccolo dubbio non lo lasciava sereno, costringendolo a pensieri molto più tristi. Quella sarebbe potuta essere la prima e l’ultima notte che avevano potuto amarsi. Volse lo sguardo ad osservare il volto sereno del moro, che rilassato dormiva la suo fianco. Gli accarezzò il viso e poi lo baciò dolcemente sulle labbra.
“Buona notte Jojo” sussurrò tristemente. Un augurio così triste da apparire più come un “addio” che come un “arrivederci”.






[Angolino dell'autrice]
Ed ecco il 4o capitolo. Questo è decisamente più romantico e triste. Ma volevo anche ricordarli così, come due persone solari, facili agli scherzi, ma anche profondi e seri, capaci di amarsi intensamente senza proferire molte parole. E poi Joseph è fatto così ùwù
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo.
Grazie ancora per la lettura e per possibili recensioni ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Soffocare [Dio/Kakyoin] ***


Soffocare
 
 
Camminava silente nella notte, quel giovane ragazzo che solo percorreva buie strade nella città del Cairo.
Si era allontanato da tutti gli altri, cercando un luogo sicuro in cui stare in pace, nella sua solitudine. In fondo la sua vita era sempre stata vuota. Si era sempre sentito un emarginato, uno diverso.
Tu sei diverso…
Aveva sempre avuto paura di aprire il proprio cuore.
Nessuno ti accetterà mai…
Era sempre rimasto in un angolo buio, stringendo le proprie gambe al petto…
Sei solo…
Piangendo, mentre osservava triste il suo unico amico… Hierophant Green.
 
Sollevò gli occhi al cielo, come a cercare qualcosa, ma le intense luci della città non lasciava intravedere nemmeno la più piccola stella.
Camminava senza una meta, assorto da ogni suo più cupo pensiero.
Soffocando nel suo dolore
Soffocando nelle sue paure.
Soffocando e basta.
 
Da quanti anni non riusciva a sorridere sinceramente? Da quanto tempo aveva smesso di respirare? Quante persone può incontrare una persona in tutta la sua intera vita? Così tante da non poterle contare, eppure… Eppure a lui non era dato conoscerle. Si isolava, il suo Hierophant è invisibile alla gente comune, e lui non poteva vivere con loro. Nessuno lo avrebbe mai realmente capito. Gli mancava il fiato…  Era così tremendamente difficile vivere senza amore, senza sentimenti, rinchiuso nel buio spaventoso del suo cuore. A cosa serve vivere così? A cosa serve vivere unicamente per morire da solo? Per quale motivo arrancava ancora aggrappandosi a questo mondo il quale non gli aveva mai dato nulla? Era tutto così tremendamente difficile...
 
Improvvisamente tutto sembrò più freddo, il tiepido vento ora sembrava glaciale, ed il confortevole tepore degli indumenti si tramutò in una fastidiosa sensazione di ansia. Avvertì dei soffici passi alle sue spalle, passi così leggeri da non sembrare neppure umani. Si volse lentamente, avvertendo il proprio sangue gelarsi nelle vene.
La creatura che lo osservava era un essere spaventoso, il suo corpo era robusto, eppure il suo viso androgino non tradiva alcuna espressione. I lineamenti rilassati erano facilmente confondibili con quelli di una donna, ed i fluenti capelli biondi ricadevano sul suo corpo con tanta leggerezza da apparire quasi vivi. Le sue pelli erano talmente candide da sembrare innaturali. Tutto di lui appariva inumano. Lo spaventava, ma nello stesso tempo lo affascinava.
“Tu hai qualcosa che tutti gli altri non hanno, non è vero?” La sua voce era flebile, un sussurro tanto silenzioso quanto potente, forte sufficientemente per arrivare alle orecchie di Noriaki ed impossessarsi del suo cuore. Senza riuscire a trattenersi iniziò a tremare. Non riuscì a capire perché sentiva il terrore stringerlo così forte, per quale motivo non riusciva a reagire...
“Vuoi diventare mio amico?” Continuò l’uomo avvicinandosi a lui lentamente. Il sua espressione si deformò in un sorriso crudele, ed i suoi occhi rossi percorrevano maligni il corpo del giovane giapponese che muto tremava dinanzi a lui.
 
Kakyoin avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto fuggire, ma il suo corpo era immobile, la sua voce moriva prima ancora di raggiungere le sue labbra, e tutte le sue paure, i suoi timori, la sua tristezza si fecero sempre più intensi. Il suo cuore batteva con tale frenesia che il rosso era certo sarebbe esploso da lì a poco.
Ogni passo dell’affascinante e misterioso uomo verso di lui sembrava farlo sprofondare un poco di più in quell’orgia di sentimenti sofferenti che ne soffocavano l’anima, cercava di aggrapparsi alla fioca luce sopra di lui, ma ogni secondo sprofondava, e più sprofondava, più tutto diventava nero. I suoi polmoni cercavano disperatamente ossigeno, bruciando come fuochi ardenti nel suo petto.
Avvertì il freddo tocco delle mani leggere del biondo, che accarezzarono il suo viso, le sue labbra rosse che si avvicinavano suadenti...
Non riusciva a respirare.
La sua anima lasciò l’instabile presa ed annegò in quell’oscurità.
Avvertì il gelido bacio di quell’uomo, simile a quello della morte.
Poi tutto scomparve. Nero...
Si sentì soffocare.
Poi... Più niente...





[Angolino dell'autrice]
Bhe questa è decisamente più angst.
Spero possa piacervi comunque, e meno descrittiva e molto più corta delle altre.
Ma ammetto di aver cercato in queste poche righe di inserire tutti i sentimenti del povero Kakyoin.
Spero davvero che possa esservi piaciuta, io mi sono divertita molto a scriverla, soprattutto perchè
quando scrivo m'immedesimo nei personaggi di cui narro, per cui ero prevalentemente in uno stato di ansia
anche io mentre mi lasciavo trasportare dalla fantasia xD Quindi forse per me è uscita bene ma per altri
non trasmette nulla. Grazie comunque della lettura. Al prossimo capitolo =D

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** L’ultimo bacio [Jotaro/Kakyoin] ***


L’ultimo bacio
 
 
“Hey Jotaro… Jotaro svegliati, per favore apri gli occhi. Mi spaventa il tuo volto. Stai avendo un incubo? Cosa stai sognando? Cos’è che ti fa tanto soffrire?  
Jotaro…  Apri gli occhi.”



Fu un momento, un fugace istante, poi Jotaro si destò dal suo sonno. Erano giorni che non dormiva, forse addirittura settimane, aveva smesso anche di mangiare regolarmente, ormai era uno straccio e si trascinava lentamente arrancando e sopravvivendo a malapena. I suoi occhi verdi erano così crudelmente contornati da scure occhiaie. I capelli scendevano scompigliati sul suo viso, ed il corpo emaciato stava lentamente dimagrendo…  Era solo in quella spoglia camera. Da quanto tempo non usciva di lì? Quante volte sua madre e suo nonno avevano provato a rassicurarlo, a svegliarlo da quel suo stato di apatia? Non se lo ricordava più… Si era svegliato certo di sentire una voce, una voce che conosceva sin troppo bene, chiamarlo. Ma quando aveva aperto gli occhi la cruda realtà lo aveva colpito con forza, sbattendolo nuovamente a terra. Lui era forte, era coraggioso, ma… Ma… Era così difficile rialzarsi ora. Il suo corpo pesava così tanto…
Kakyoin era morto, e lui non aveva potuto fare nulla per salvarlo. Altri compagni avevano perso la vita, li ricordava con grande dolore ma anche con gioia. Ma Noriaki… Lui… Era diverso. Lo aveva amato così tanto. Lo aveva stretto a sé e baciato così tante volte. Eppure ora non ricordava come fosse stato l’ultimo bacio che si erano scambiati. Era stato ricolmo di passione? Era un bacio rubato prima di un nuovo viaggio? Era un casto bacio della buona notte? No, per quanto ci pensasse lui non riusciva a ricordarlo.
Si sollevò con la schiena incrociando le gambe, una mano percorse il suo viso e strofinò con forza gli stanchi occhi del moro, quegli occhi così verdi che avevano sempre brillato… Che lui amava tanto. Ora erano così vuoti. Cercò qualcosa sul comodino e quando lo trovò ne estrasse una sigaretta, e portandosela alle labbra l’accese e ne inalò in profondo respiro. Sorrise malinconico. Quante volte ti aveva rimproverato Kakyoin che i tuoi baci avevano il sapore della nicotina?
Il fumo si fece denso e riempì la sua visuale, era così assorto in quel gioco di forme che stava disegnando. Poi esso si deformò quasi a creare una figura umana, che pian piano si definiva sempre di più sino a diventare terribilmente nitida. Lui, l’amore della sua vita, era lì, seduto dinanzi a lui con un ampio sorriso sul viso. I suoi capelli rossi esaltavano i dolci lineamenti e gli occhi verdi splendevano sulla sua carnagione candida.
“Ciao Jotaro…” fu un sussurro talmente silenzioso che il moro fu certo di aver solo immaginato.
Prese un'altra boccata di sigaretta, cercando di rimanere calmo. Evidentemente si era talmente trascurato da avere le allucinazioni. Doveva proprio essersi maltrattato…
La figura dinanzi a sé si avvicinò e gli posò gentilmente una mano sul viso. Per quanto sembrasse tutto così irreale quel tocco era fisico, lo sentiva, lo percepiva realmente sulla sua pelle. Istintivamente il suo cuore iniziò a palpitare freneticamente, tanto da soffocargli i respiri nel petto.
“Kakyoin… “ Sussurrò con voce spezzata da una gioia ed una felicità che andavano oltre qualsiasi altro sentimento avesse mai provato prima. Il rosso sorrise e appoggiò la propria fronte a quella di Jotaro osservandolo direttamente negli occhi. In quegli occhi verdi come smeraldi, occhi innocenti e puri, il moro si sentì annegare.
“Non ho molto tempo Jotaro… Sono venuto a salutarti, prima di andarmene, non sarei mai riuscito a riposare in pace senza prima poterti rivedere di nuovo. E’ stato difficile ma alla fine ce l’ho fatta.” Non riuscì bene a comprendere il senso di quelle parole, ma sapeva cosa queste indicassero… Lo aveva capito sin troppo bene, ma nonostante l’amarezza della consapevolezza in lui c’era anche una grandissima gioia, la felicità di chi poteva dirgli addio, poteva scrutare il suo volto in quella penombra ed accarezzarne i morbidi capelli scarlatti.
“So che è così difficile andare avanti, so che il dolore ti mangia l’anima. Ma devi vivere, tu devi vivere per entrambi, così che un giorno, prima o poi, ci riuniremo. Vivi la tua esistenza, ama e cresci. Ti prego. Fallo per me. Accetta la mia morte. E vai avanti…” Le parole del gracile giapponese erano soavi, arricchite da una dolcezza che scaldava il cuore. Erano parole forti, che colpivano nel profondo, ma nel contempo erano così tremendamente piacevoli.
“Mi manchi così fottutamente tanto…” per la prima volta in vita sua Jotaro non si fece problemi ad aprire il suo cuore, a dire apertamente cosa provava, quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe viasto Noriaki e non voleva lasciarlo andare senza avergli detto tutto quello che altrimenti si sarebbe pentito di non aver sfogato… Il rosso sorrise dolcemente a quelle parole.
“Io sarò sempre con te. Una parte di me vivrà sempre con te, così come una parte di te sarà sempre con me, ovunque andrò…” Parve insicuro sul luogo che avrebbe dovuto raggiungere, come se non lo conoscesse realmente. Come se per tutto questo tempo fosse rimasto bloccato in qualche mondo in questo modo senza poter trovare pace.
“Ti amo.” Disse rapidamente Jotaro, prendendo prima un lungo respiro. Era evidente che quelle parole erano state difficili da trovare e ancora più difficili da pronunciare.
“Ti amo anche io…” Rispose arrossendo Kakyoin, poi le mani del moro lo cinsero in un abbraccio dolcissimo prima che le sue labbra lo cercarono e lo sfiorassero con una gentilezza che non era solita di quello stupido teppista menefreghista il quale era Jotaro…
Si lasciò trasportare, semplicemente aveva bisogno di quel contatto, di ritrovare la sua vita, la sua luce in quel buio. Ora il mondo gli appariva meno spaventoso, avrebbe vissuto, si come Noriaki gli aveva chiesto, per entrambi, portando per sempre con sé il ricordo del loro ultimo bacio, un bacio così dolce da avere il sapore delle ciliegie…
Quando le loro labbra si separarono entrambi videro il viso l’uno dell’altro, entrambi avevano gli occhi lucidi, prossimi ad un silente pianto, che era più lo sfogo di una gioia così tanto ricercata dopo troppo tempo, piuttosto che di un dolore dovuto ad un addio.
“Addio amore mio…” Disse il moro stringendolo forte a sé, mentre sentiva il corpo del rosso scemare sempre di più, diventando ogni secondo meno tangibile…



Si svegliò quella mattina con gli occhi ancora umidi, non riusciva a comprendere se quello che aveva vissuto fosse stato un sogno o meno. Era impossibile credere che fosse stato reale… Eppure, quelle sue labbra era rimasto il dolce sapore delle ciliegie.
Sorrise sfiorandosi le labbra con le dita.
Ora era pronto a vivere…
Per entrambi.





[Angolino dell'autrice]
Questa è una fic un po' triste, ma nel contempo felice? Non so come dire trovavo bella l'idea che potessero salutarsi
dopo essersi lasciati così bruscamente. Volevo dare a loro un ultimo momento, da vivere assieme, una gioia triste, ma anche
dolcissima. Spero vi sia piaciuta comunque nonostante il tema triste.
Grazie della lettura e dei possibili commenti :)
Al prossimo capitolo (che arriverà dopo il 27 causa partenza ^^)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Di nuovo assieme [Gyro/Johnny] ***


Di nuovo assieme
 
 
Nero, era tutto così incredibilmente nero.
Per quanto sbattesse le palpebre ed arrancasse al suolo alla ricerca di appigli il paesaggio rimaneva tanto oscuro da non essere minimamente distinguibile. Cercò allora di riflettere, di ricordarsi cosa fosse accaduto. Ma non ci riusciva, tutto era così confuso e la sua testa era così terribilmente pesante. Non capiva, non riusciva a mettere a fuoco nulla, neppure il suo corpo, che sembrava tanto evanescente quanto inesistente. Iniziò ad agitarsi con foga, cercando disperatamente di trovare una via di fuga, una luce… Qualcuno.
Urlò, con quanto fiato aveva in corpo, ma fu come se non avesse assolutamente emesso suono. La sua gola bruciava, ed ogni sillaba gli procurava uno strano dolore.
Cercò nuovamente di riflettere, mentre s’imponeva la quiete.
Pian piano nella sua mente si crearono delle immagini. Un bambino biondo che si avvicinava a lui abbracciandolo. Stranamente gli era famigliare, ma al contempo non gli ricordava nessuno.  Il suo sorriso era gentile mentre lo chiamava con foga.
Non sentiva nulla. Cercò di focalizzare tutta la sua attenzione sulla voce del bambino. Gradualmente i suoni si fecero chiari e sempre più forti.
“Papà. PAPA’!”
Papà? Non riusciva ancora a comprendere, riaprì gli occhi, separandosi da quello strano ricordo, sperando che l’oscurità fosse calata, e si sorprese nel notare che tutto era diventato innaturalmente bianco, talmente candido da non poter distinguere il suolo dal cielo. Bhe era certamente meglio di prima: ora riusciva a distinguere chiaramente il suo corpo.  Era inginocchiato a… Terra? Così quantomeno voleva credere.
La testa gli faceva così male, come se una tremenda botta lo aveva colpito in precedenza lasciandogli il capo dolente. Improvvisamente sentì una mano accarezzargli i capelli, ed il dolore che percepiva parve scomparire.
“Credevo di dover aspettare molto più tempo prima di rivederti Johnny…”
Si volse di scatto. Conosceva sin troppo bene quella voce. Eppure non riusciva a collegarla a nessun volto. Non servì, appena volse il capo notò dietro di lui un alto ragazzo snello dai lunghi capelli castano chiaro, lisci e fluenti ricadevano sul suo fisico gracile ma al contempo muscoloso. Indossava abiti bizzarri, una lunga veste chiara con al centro un simbolo lungo che ricordava una croce, in testa portava un velo che gli avrebbe coperto il volto, se solo non lo avesse alzato. Da qualche parte aveva già veduto quel simbolo, ma non riusciva proprio a ricordarlo. Due chiari occhi verdi lo osservavano. Quando si fermò ad osservarli improvvisamente nella sua mente si fece tutto chiaro, i ricordi lo assalirono con tale forza da farlo urlare, mentre con le mani andava a coprirsi il capo come a voler evitare il dolore. Ricordò la Steel Ball Run, Gyro… La reliquia, il presidente Valentine… Diego, Lucy, e quel bambino, suo figlio. Infine ricordò di sua moglie e della sua malattia. Era morto, morto per salvarla, e solo ora se ne rendeva conto. Sentì uno strano senso di pace, come se finalmente tutte le sue frustrazioni avevano finalmente cessato di esistere. Certo, era morto, ma aveva salvato coloro che amava, si era sacrificato, ed il bene della sua famiglia era più importante della sua stessa vita. Sorrise malinconico mentre sentiva mille domande riempirgli nuovamente la testa. Dove si trovava, cosa ci faceva lì Gyro, perché lo stava aspettando?
Alzò nuovamente lo sguardo e si perse negli occhi del suo più grande amico cercando conforto.
“Gyro…”
La sua voce era flebile, tanto fragile da non essere quasi udibile.
“Sono felice di rivederti Johnny… Sono passati così tanti anni…”
L’italiano gli sorrise gentile. Ora ricordava quel simbolo, il simbolo della casata Zeppeli, del regno di Napoli, la casacca dei boia di corte. Lui aveva partecipato alla Steel Ball Run per salvare un bambino accusato ingiustamente di tradimento… Era stato ucciso dal presidente Valentine nel loro ultimo scontro… L’americano si era fatto carico del cadavere dell’amico e lo aveva riportato alla sua famiglia in Italia… Dentro di sé ambigui sentimenti iniziarono a bruciargli il petto. Lui era stata la prima persona a dargli coraggio, a dargli una speranza. Se aveva ricominciato a camminare era grazie a lui. Non solo perché storpio, ma proprio mentalmente. Lui si era lasciato andare, e l’unica mano che gli era stata porsa era la sua. Era stato il suo maestro di vita, il suo compagno, il suo unico amico, e persino la sua famiglia. Era stato così importante per lui da non riuscire a comprendere se quello che provava per lui fosse solo una grande ammirazione o amore. Dopo la sua morte aveva cercato conforto nella giovane giapponese con la quale aveva avuto un figlio, e ancora ora non dubitava di averla amata immensamente, eppure con Gyro era diverso… Anche dopo la sua morte lui era stato un suo pensiero fisso, ogni giorno pregava per lui e parlava al vento sperando che fosse udito… I suoi azzurri occhi iniziarono a velarsi di lacrime.
“Non sei cambiato di una virgola… Se il solito piagnone…”
Commentò l’amico ilare, mentre si piegava per avvicinare il proprio viso a quello del biondo sorridendo con il suo solito sguardo strafottente.
“Io… Io… Avrei tanto voluto credergli…”
I suoi singhiozzi spezzavano la voce chiara dell’americano, mentre ancora non trovava pace per la morte del castano. Ancora rinvangava la proposta di Valentine, dell’inganno che gli aveva propinato per poter uccidere anche lui. In fondo anche se il presidente fosse stato sincero avrebbe riportato sul suo universo un altro Gyro, non lui. Lui era morto poco prima, non poteva tornare.
L’italiano accarezzò dolcemente il viso a Johnny cercando di calmarlo.
“Non importa Johnny. Ora siamo qui, entrambi. Abbiamo tante cose da dirci, e così tanto tempo per farlo…”
Fu dopo quelle parole che il maggiore venne improvvisamente stretto dalle braccia esili dell’amico, che, seppur piangendo, rideva di gusto cingendo il suo collo.
“Sono così felice di rivederti Gyro…”
“anche io…”
Sorrise divertito il boia, per poi ricambiare l’abbraccio dell’amico stringendolo a sé come aveva desiderato di fare molto tempo prima. Lo aveva aspettato a lungo, non aveva voluto lasciare questo luogo tra il mondo e l’altro mondo, aveva qualcuno da aspettare, non avrebbe avuto pace sino ad allora. E adesso che l’americano era tra le sue braccia si sentiva finalmente in pace, con sé stesso, con la sua morte, con la sua precedente vita. Con l’universo stesso.
“Anche questa volta la palla ha rimbalzato sulla rete.”
Johnny non aveva mai compreso bene cosa significasse quell’affermazione, ma la trovò stranamente confortante, così famigliare, come se fosse qualcosa che gli era sempre appartenuto.
Stretti l’uno all’altro ora non importava più né la vita né la morte.
Erano nuovamente insieme.






[Angolino dell'autrice]
E rieccomi a scrivere dopo un pò di tempo, scusate la lunga attesa ma ho avuto delle settimane impegnate, tra cene, pranzi, gente da vedere, esami da preparare, lavori da finire. Insomma sono stata presa, ma almeno ho avuto tempo per pensare a nuove piccole fic per questa raccolta.
Spero che possa piacervi questa nuova appena scritta. Ammetto che io li ho sempre visti più come amanti che come amici. Di tutti i personaggi di JoJo sono i due che più mi viene da dire che si sarebbero potuti facilmente amare, lo rende così naturale persino sul manga stesso che anche molti miei amici maschi (certo il che non significa che non gli possa piacere lo yaoi, ma a questi miei amici proprio non piace) hanno detto che gli pareva tale il loro rapporto.
Vabbè trip mentali miei a parte ahahaha Sono tornata e spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima e grazie sempre a chi commenta le mie fic facendomi incredibilmente felice, ma anche a chi legge silenziosamente :)

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Occhio per occhio... [Bucciarati/Giorno] ***


Occhio per occhio…
 
 
Erano ormai diverse ore da quando erano saliti sul treno per  Venezia, e di conseguenza entrati in Coco Jumbo, la tartaruga in grado di ospitare altre forme di vita all’interno del suo guscio.
Inizialmente Giorno aveva trovato strana l’idea di viaggiare all’interno di una tartaruga per non essere trovati dalla squadra esecuzioni, ma poi più il tempo passava e più gli era sembrato normale, in fondo la grande stanza era confortevole, dotata di divani e persino di un frigobar.
Dopo diversi litigi inutili Fugo e Narancia si erano addormentati l’uno appoggiato all’altro, come se le violente percosse di qualche ora prima non fossero mai state un problema. Forse solo quando dormivano riuscivano ad andare d’accordo. Non era importante, Giorno Giovanna aveva un sogno, in ideale da seguire, ed i suoi compagni erano solo il primo passo per raggiungere vette più alte. Anche se doveva ammettere che stava iniziando a divertirsi con loro. Trish era separata dal gruppo, seduta su una sedia a gamba accavallate mentre tentava di tenere gli occhi aperti, come se non si fidasse degli altri, ma era evidente che non avrebbe retto ancora molto. Forse era lo sguardo curioso di Mista che la infastidiva tanto da non lasciarla dormire in santa pace. Ma in fondo anche lui era evidentemente stanco. Abbacchio non c i aveva pensato molto prima di appropriarsi di un grande pezzo del divano centrale e, dopo essersi messo comodo, appisolarsi.
Solo Bucciarati era seduto su di una sedia, leggermente separato dagli altri, e vigile osservava il grande oblò rosso dal quale era possibile vedere l’esterno della stanza. I suoi movimenti ed i suoi gesti erano così colmi di una calma tanto smoderata da riuscire a rilassare persino Giorno, che accostato ad una delle pareti lo osservava da dietro le sue spalle.
 
Il biondo provava un grande rispetto per il capo del loro gruppo, e se era ancora vivo lo doveva comunque al suo buon cuore. Eppure sentiva qualcosa infastidirlo, come un conto in sospeso con lui. Più ci pensava e più comprendeva che per quanto avesse sconfitto il moro questo non gli sarebbe mai sembrato sufficiente. In fondo era stato per una gentilezza di Bruno che aveva potuto sconfiggerlo, ma tutta l’ansia e l’umiliazione che gli aveva fatto provare poco prima non si erano sopite. Ricordava ancora il loro primo incontro, quando il moro lo aveva messo alle strette sfruttando i suoi poteri stand. Non provava risentimento verso di lui, assolutamente, ma semplicemente Giorno era un ragazzo che era vissuto per strada, andando avanti con le sue sole forze, e qualunque umiliazione lui l’aveva restituita con gli interessi a chi aveva osato ostacolarlo. Era una questione di principio ormai. Comunque proprio perché Bruno era diventato un suo caro amico non voleva fargli del male, così stava ragionando su come vendicarsi in modo “amichevole” dell’affronto subito.
Un sorrisetto malefico si dipinse sul suo giovane viso, forse gli era venuta un’idea!
 
Silenzioso si era avvicinato al ventenne che ora stava leggendo un giornale con noncuranza, evidentemente si stava annoiando anche lui. Quando fu alle sue spalle si abbassò per avvicinarsi con il viso per poi leccare la sua guancia proprio come Bucciarati aveva fatto con lui al loro primo incontro.
“Ora siamo pari.” Disse indifferente il biondo, più a sé stesso che al compagno. Ma fu proprio allora, quando fu certo di aver risanato i conti, che avvertì la mano leggera del moro appoggiarsi alla sua nuca, fermandone la fuga, con la coda dell’occhio lo stava osservando, poi volse leggermente il capo e gli mostrò un sorriso divertito, quasi sadico. Poi senza troppe premure lo avvicinò a sé e lo baciò sulle labbra tanto appassionato quanto gentile, mentre il biondo cercava di dimenarsi. Poi quando si sentì sazio lo lasciò andare, il volto del giovane era completamente rosso, e sul suo visino era dipinta un’espressione contrariata, imbarazzata e allo stesso tempo sorpresa e quasi… Felice? Sarebbe stato difficile per chiunque riuscire a capire cosa stesse provando in quel momento Giorno.
“Devono ancora passarne di anni prima che una ragazzino possa fregarmi!” Commentò infine mantenendo un sorriso gentile in viso il moro, che si era nuovamente voltato e leggere il giornale, quasi come non fosse accaduto nulla.
 
Il biondino era tornato nuovamente accanto alla parete della stanza alla quale era appoggiato inizialmente, sul suo viso il rossore non era ancora scomparso, il suo cuore batteva all’impazzata. Ora avrebbe dovuto escogitare un nuovo piano per vendicarsi.





[Angolino dell'autrice]
Scusate la lunga assenza, non mi sono scordata di questa raccolta, anzi spesso penso a nuove storielle che vorrei scrivere. Purtroppo sono stata molto impegnata con l'università, tra mostre e esami, ora finalmente posso respirare un poco fino al 26 di febbraio (dove anvrò nuovamente degli esami). Ma dopo quella data dovrei tornare attiva! Spero che questo piccolo capitolo vi possa piacere. Bucciarati è una dei miei personaggi preferiti di tutta l'opera Arakiana, per cui ci tenevo davvero a scrivere qualcosa anche su di lui.
Grazie ancora a chi mi legge, e chi mi segue nonostante tutto, a chi mi commenta queste stupidate xD
Un abbraccio a tutti, e scusate ancora :**
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Un esperimento insolito [Dio/Giorno] ***


Un esperimento insolito
 
 
 
Era buio, la stanza era come velata da un fitto banco di nebbia, forse incenso, forse semplicemente l’umidità, non gli interessava molto in fondo. Era seduto su di una sedia dall’aspetto antico, rovinata ma ancora solida, ed osservava gelido la donna che aveva di fronte. Tremava, come colta dal terrore più puro, i suoi lineamenti erano distorti, pareva cercar di implorare… Ancora… Gli esseri umani sapeva essere davvero noiosi. La giovane era inginocchiata a terra, con ancora ben evidenti sul collo le ferite che Dio Brando le aveva causato quando si era cibato di lei, ma non l’aveva uccisa, no… Non ancora, aveva giocato con lei, esattamente come faceva un gatto con la propria preda, si era divertito. Come molte altre vittime le aveva condotte nella sua abitazione per poi cibarsene, ogni tanto capitava che ne tenesse una come giocattolo, anche sessuale se mai gli fosse servito per umiliarla ulteriormente. Bhe, questo giocattolino non solo lo aveva usato come spuntino occasionale, ma l’aveva persino ingravidata,con il preciso scopo di vederla mettere al mondo suo figlio per poi renderla come lui, un essere demoniaco, che si sarebbe cibata della sua stessa prole, infine l’avrebbe uccisa. Non avrebbe più commesso lo stupido errore di affidarsi a stupidi ghoul privi di intelletto, capaci solo a crear confusione. Poi ora aveva acquisito un nuovo potere. The World. La forza sprigionata dal suo stand era tale da renderlo molto meno preoccupato a riguardo della stirpe dei Joestar.
Si asciugò con il palmo della mano il piccolo rivolo di sangue che scendeva dalle sue labbra, nel farlo ripensò a Jonathan. Il corpo che ora Dio possedeva apparteneva a lui, e questo lo divertiva, parecchio. Il solo pensiero di star uccidendo, umiliando e seviziando altre persone sfruttando lo stesso corpo di chi invece le avrebbe protette, amate ed aiutate a costo della sua vita lo rendeva euforico.
Fece un gesto con la mano e la donna ancora stremata venne portata via, verso le sue “camere”.
Il biondo vampiro si avvicinò alla sua enorme libreria, estrasse un libro e si mise a leggerlo, nella stanza era calato il silenzio più totale, e la stessa malvagità dell’oscuro signore sembrava palpabile, chiunque sarebbe sprofondato nella disperazione trovandosi di fronte a lui in quella oscurità simile alla morte.



 
Era passato diverso tempo, e finalmente il suo esperimento, condotto forse per noia, forse per passatempo aveva avuto frutto, in effetti ella aveva dato alla luce un bambino sano, dagli scuri capelli neri, lo osservò con freddezza, quasi come se il fatto di esserne il padre non lo interessasse minimamente. Nel suo aspetto intravide lo squallido ricordo di Jonathan Joestar, questo lo rese furibondo, prese il pargolo dalle mani della donna senza curarsi troppo delle sue urla spaventate. Il bambino iniziò a piangere con tutto il fiato che aveva in corpo. Che rumore fastidioso… Spostandolo notò che anche lui possedeva la voglia a forma di stella. Per un attimo il fugace pensiero che quello fosse in realtà il figlio del suo antico rivale lo pervase. In fondo il suo corpo apparteneva a quel damerino… Era forse possibile che questo rendesse quel neonato qualcosa nato da un corpo da lui ora posseduto ma appartenente a tutt’altra persona? Era suo figlio ma anche figlio di Jonathan? Come se… No, non volle pensarci. Ma persino lui avrebbe un giorno posseduto uno stand. Questo sarebbe potuto risultargli utile. Lanciò il bambino verso la madre, quasi come fosse un oggetto privo di valore.
“Donna, tu crescerai questo mio erede, e quando sarà sufficientemente adulto lo riporterai da me…”
Non disse altro, si volse e lasciò che la donna fuggisse stringendo a sé il bambino. Nessuno la fermò, era libera.
Per molto tempo Dio si tormentò cercando di capire le motivazioni che lo avevano spinto a tale gesto. Perché aveva lasciato in vita quel bambino? A cosa gli sarebbe mai servita della prole? Lui non sarebbe mai stato ucciso, avrebbe regnato immortale su questo mondo, piegando ogni misero essere umano… Eppure… Quando aveva visto quel bambino, aveva ricordato momenti lontani… Quando Jonathan era morto stringendo la sua testa al suo torace, permettendogli così di sopravvivere… Certo questo il moro non lo aveva immaginato e di certo non lo avrebbe mai intuito… Eppure era in un qualche modo grato al suo rivale per avergli permesso di vivere. Non comprendeva i sentimenti che lo avevano animato, e siceramente li definiva una fonte di debolezza, ma quel bambino, in fondo anche suo, gli parve il giusto modo di ringraziarlo.
Avrebbe rivisto quel bambino e gli sarebbe tornato utile in futuro, concluse infine.
Lo aveva fatto solo per questo. Chissà, forse avrebbe generato più figli… Dio Brando non sarebbe mai morto, ma nella remota possibilità che questo potesse accadere avrebbe lasciato al mondo una traccia di sé, come un parassita minuscolo invisibili agli occhi, che pian piano si ciba della sua vittima espandendosi dentro di lui sino ad ucciderla tra tremende sofferenze. Lui non sarebbe mai realmente scomparso e quel bambino ne era la prova.
Una risata distorta dalla crudeltà riempì il silenzio dell’immensa stanza buia.
Qualunque cosa fosse accaduto d’ora in avanti Dio Brando aveva vinto.




[Angolino dell'autrice]
Scusate per il tempo trascorso senza pubblicare nulla, ho avuto un periodaccio ed ho avuto un sacco di problemi. In verità sono ancora presa, ma pensavo spesso a cosa scrivere quando avevo un attimo di respiro. Spero che questa storia vi piaccia, non ne sono certa, è stato un esperimento siccome LemonKing mi ha chiesto di scrive qualcosa su Dio/Giorno. Non vi avevo mai pensato e sincramente è stata una sfida. Ho voluto però provare a scrivere un "Momento mancante" piuttosto che una scena di Giorno da bambino e Dio. Alla peggio mi farò perdonare con i prossimi capitoli... xD Cercherò di aggiornare quando posso, senza lasciarvi per troppo tempo. Grazie a tutti coloro che mi seguono ancora e alla prossima :)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Odio e amore [Joseph/Caesar] ***


Odio e amore
 
 
 
Si conoscevano ormai da diversi giorni, anche se questi sembravano essere ormai anni, forse era la situazione pesante a farli sembrare tali, forse era semplicemente che il tempo passava così lentamente… Che ragazzo strano era questo Caesar Zeppeli… Cercò di non pensarci, di distrarsi… Osservò l’orizzonte, il mare era piatto, e da quella distanza si riusciva a scorgere le coste della città veneta: Venezia, doveva essere un posto bellissimo, peccato che lui non avesse avuto modo alcuni di esplorarla e conoscerla, era costretto su quella piccola isoletta, obbligato a seguire rigide regole ed allenamenti molto severi. Fortunatamente dopo l’esercizio della colonna tutto gli era sembrato comunque meno spaventoso. Ma Joseph quel giorno era semplicemente stanco, forse dalle monotone giornate passate a combattere ed addestrarsi, forse semplicemente perché quei due anelli che gli erano stati imposti bruciavano nel suo corpo come se stessero per ucciderlo proprio ora, o semplicemente era a causa di quella stupida museruola che gli costringeva la respirazione a ritmi innaturali…. Certo questo avrebbe sicuramente accresciuto le sue onde concentriche… Ma… Che poteva dire del suo bel visino? Così crudelmente nascosto da quell’affare! Ah, se per colpa di quella maschera non avesse più trovato con chi spassarsela l’avrebbe sicuramente fatta pagare a Lisa Lisa… E anche a Caesar, così, tanto per infilarci anche lui nella sua vendetta. In fondo il biondino se lo meritava e basta. Borioso Italiano privo di tatto. Ah, quanto gli mancava l’inghilterra… E persino l’America! Adesso si che avrebbe gustato con immenso piacere un sorso di Coca Cola fredda; peccato che quella stupida maschera glielo impedisse.
Il sole stava ormai tramontando ed il moro si decise ad incamminarsi verso la sua stanza, alcuni metri davanti a lui il biondo sembrava molto più tranquillo, bhe ovvio, lui mica aveva dentro di sé qualcosa che lo avrebbe ucciso in pochi giorni…
“Jojo sei lento, pigro, noioso, vedi di muoverti, qui abbiamo finito, e riposati, altrimenti anche domani sarai a pezzi, e sarà inutile l’addestramento!” Si era voltato, quel piccolo bastardo pallido, con quel suo sguardo superiore, con quei suoi occhi così verdi da brillare di una luce propria. Sul suo viso era dipinto un sorrisetto acido. Quanto avrebbe voluto strapparglielo dalla faccia a suon di pugni, sino a sentirlo implorare di smetterla.
“Non rompere le palle Caesar, non mi sembra di averti intralciato! Come mi alleno e come mi sento sono unicamente affari miei!” La sua voce risuonava leggermente distorta dalla museruola, ma nonostante questo solo un’idiota non avrebbe capito che quella risposta era tanto acida quanto minacciosa. Era l’evidente ringhio di avvertimento di un cane rabbioso, solo che l’italiano sapeva sin troppo bene che un cane con la museruola non poteva morderlo.
“Vedi di rivolgerti a me con più rispetto idiota, ti ricordo che questo non è un gioco!” Si… Era proprio vero, Caesar riusciva a tirar fuori il peggio di Joseph…
“Oh perdonami principessina, non mancherò più d’inchinarmi di fronte a lei.” Questo doveva proprio aver fatto arrabbiare il discendente della casata Zeppeli perché furente gli si avvicinò mostrandogli un viso scuro e rancoroso, con un pugno ben stretto che aiutava la sua espressione a sembrare ancor più violenta.
“Chiedimi subito scusa Jojo!”
“Fot-ti-ti” Aveva ben scandito quelle parole, ci teneva a renderle ben comprensibili all’italiano, così che se le stampasse a lettere cubitali in quella testa vuota. Fu allora che l’altro gli sferrò un pugno tanto forte quanto mirato da spaccargli la maschera che portava in volto. Essa cadde a terra emettendo un rumore metallico, ma comunque leggero. Dalle labbra del moro un rivolo di sangue aveva iniziato a scorrergli sul mento. Per un attimo rimasero entrambi immobili, osservandosi con occhi colmi d’ira, poi un calcio colpì improvvisamente il biondo allo stomaco, costringendolo a piegarsi su sé stesso. E poi un calcio in viso, che lo costrinse a terra con la schiena. Joseph si piegò su di lui sedendosi sul suo stomaco e fermando i suoi movimenti con le gambe, ben serrate attorno alla vita. Gli diede un pungo in volto, ed un altro, ed un altro ancora, ma poi con un forte scatto di addominali si trovò esattamente nella posizione opposta, costretto sotto l’italiano che livido gli restituiva tutta la sua gentilezza. Continuarono per diverso tempo, finchè venne a mancare loro il fiato, finchè anche l’ultimo pugno sferrato non era altro che una carezza. Si osservarono silenti, in un muto momento di scusa, come se non servissero le parole. Allora Caesar si abbassò su di lui e gentilmente posò le sue labbra su quelle del moro, cercando un contatto tanto violento da ricordare la precedente battaglia, eppure era diverso, era tutto più dolce, più emozionante, ed ovviamente più eccitante.
“Sei uno stronzo Caesar!” Commentò ansante Joseph non appena ebbe un momento per respirare, il ferale sapore del sangue gli aveva riempito la bocca.
“Ti preferisco quando stai zitto.” Concluse infine, senza lasciarli modo alcuno di rispondere, semplicemente lo baciò, costringendo quelle labbra a ben altri scopi, piuttosto che alla parlata strafottente dell’inglese.
La luce scarlatta del tramonto tingeva il paesaggio con i suoi colori, ed ora persino Caesar, agli occhi di Joseph, sembrava un po’ più simpatico.
Ma solo un poco. 




[Angolino dell'autrice]
Bene rieccomi qui a scrivere! Devo dire che questo capitolo lo avevo programmato da tempo, ma volendo soddisfare prima le richieste di chi mi segue l'ho lasciata indietro, ed ora l'ho finalmente postata. Ah, adoro questi due, hanno un rapporto contorto, ma alla fine si vogliono bene, anche se litigano sempre, se s'insultano e si dicono mille cattiverie. Sono felice di poter scrivere nuovamente abbastanza liberamente. Mi diverto molto a creare storielle su Jojo, nonostante sia un fandom molto povero di gente al momento. Spero che con lo sviluppo dell'anime e del videogioco appena uscito anche qui questo possa cambiare.
Vi auguro una buona giornata e alla prossima =3
Grazie ancora ai fedeli lettori <3
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Jealous [Josuke/Rohan] ***


Jealous
 
 
 
Aveva da poco finito di inchiostrare l’ultima pagina dell’ultimo capitolo di Pink Dark Boy, era un tipo meticoloso e preciso Rohan Kishibe, non lasciava nulla al caso, sotto ogni vignetta del suo lavoro si nascondevano ore di documentazione attentamente studiata, di passione quasi ossessiva verso la conoscenza diretta di quello che avrebbe disegnato… Eppure oggi, era stanco, distratto… Per la prima volta in tutta la sua vita si sentiva come chi aveva un enorme vuoto dentro di sé e non riuscisse a colmarlo, ripensava continuamente a Josuke, quel ragazzino stupido ed immaturo che riusciva sempre a mandarlo su tutte le furie. Era l’unica persona di sua conoscenza che riusciva a fargli perdere la calma tanto facilmente, e sinceramente non riusciva ancora a capirne la reale motivazione. Si sollevò lentamente dalla sedia, sentendo il suo corpo estremamente pesante, distese ogni muscolo della schiena cercando conforto, poi, leggermente accasciato si avvicinò ala finestra per osservare l’esterno; era una giornata soleggiata, essendo inoltre inverno, questo la rendeva ancora più piacevole. Non doveva essere particolarmente caldo eppure il sole sembrava poter dar sollievo ad ogni creatura che si fosse soffermata sotto i suoi raggi. Si volse silente, osservò l’enorme abitazione, era così grande… Eppure così vuota. I suoi occhi si soffermarono poi sull’appendi abiti, il suo cappotto bianco sembrava chiamarlo, così senza pensarci due volte se lo infilò per poi indossare inoltre una spessa sciarpa azzurra che gli copriva in parte il volto. Uscì senza pensarci troppo, e s’incamminò per le vie deserte di Morio.



 
Camminava senza avere una meta precisa , in realtà si muoveva e basta, mentre la sua mente vagava verso pensieri confusi, dubbi e amarezze. Si sentiva così strano, così sbagliato. Lui che era sempre stato sicuro di sé, arrogante e in qualche modo persino autosufficiente anche a livello emotivo, ora si sentiva pesante… Ormai erano passati mesi da quando lui e gli altri avevano sconfitto Yoshikage Kira. Le loro vite erano tornate normali, e… Non vi era più motivo per frequentarsi. Jotaro era tornato a casa e con lui anche il signor Joestar, Koichi ogni tanto passava per un saluto, ma più passava il tempo e più rare diventavano le sue visite. Okuyasu, bhe, lui non gli era mai stato particolarmente simpatico e semplicemente era quasi felice di non averlo tra i piedi… Josuke invece, bhe, odiava anche lui, ovviamente, eppure vi erano giorni in cui gli era capitato di sperare accorato che fosse lui alla porta quando il campanello della sua enorme villa risuonava invadente. Giorni in cui camminando per strada sperava di poter sbattere contro di lui svoltando un angolo, così da poterlo insultare mentre lo biasimava di dover stare più attendo.
Si sollevò la sciarpa sul viso, così da coprirne la maggior parte, nonostante il sole fosse alto in cielo il vento era incredibilmente gelido. La voce impertinente di quel ragazzino gli riempiva la testa, quasi sino a fargli male… Iniziò ad innervosirsi, era incredibile come anche il solo pensiero di quel cretino potesse mandarlo fuori di testa. Ma poi perché stava pensando tanto a lui? Che senso aveva tutto questo? Nessuno! Non si erano mai sopportarti, molte loro liti avevano portato ad esiti disastrosi, e questo valeva persino per le loro collaborazioni… Eppure…



 
Stava ormai calando il sole quando gli schiamazzi di molti ragazzi lo distolsero dai suoi pensieri. Avevano all’incirca l’età di Koichi e Josuke. Vi era chi saltava entusiasta, chi faceva il filo a ragazze, altri ridevano in gruppo prendendo la strada di casa. Rohan sollevò il viso, osservò il cielo plumbeo: ormai dovevano essere terminate le lezioni ed i ragazzi potevano finalmente tornare a casa. Sembravano passati decenni da quando anche lui usciva tanto entusiasta dalla scuola. Ripensandoci bene questa doveva essere proprio la scuola che frequentavano i suoi precedenti compagni di battaglia… Si sentiva come se fosse stato l’unico membro di quella formazione ad essere stato lasciato indietro. Si affrettò a svoltare l’angolo per allontanarsi il più possibile da quel luogo così esageratamente popolato, considerando che sino ad allora in tutta la sua passeggiata aveva la massimo incontrato uno o due gatti randagi. Non appena superata la piccola folla e raggiunto il vicolo si volse a dare un ultimo sguardo a quella ressa di persone che vivevano spensierate la loro vita, senza sentirsi sulle spalle il peso di mille responsabilità. Il sole era ormai prossimo alla sua scomparsa e tutto per qualche minuto si tinse di rosso, un rosso così luminoso e allo stesso tempo cupo da rendere quel tramonto particolarmente ambiguo. La voce di un gruppo abbastanza folto di ragazzine lo convinse ad incamminarsi nuovamente, magari verso casa… Tornò ad osservare la strada dinanzi a lui quando notò la fonte di tanti starnazzi da parte di quelle galline isteriche che molestavano il suo udito: erano tutte radunate attorno ad un unico ragazzo che imbarazzato e gentile non sembrava saper cosa fare per liberarsene. Osservandolo più accuratamente Rohan si rese conto che quel ragazzo era proprio la fonte di ogni suo stress: Josuke Higashikata. S’immobilizzò fissando freddamente la scena. Dentro di sé sentiva nascere un orgia di emozioni tanto contorte da farlo quasi stare male. Non comprese subito di cosa si trattasse, era semplicemente una sensazione fastidiosa, un antipatia generale per tutte quelle ragazzine ed una voglia incredibile di prendere a pugni quel coglione che con la faccia da scemo stava immobile con un sorriso di convenienza stampato in viso. Eppure era anche felice di vederlo, avrebbe voluto usare il suo sarcasmo pungente per richiamare la sua attenzione. Eppure rimase in silenzio. L'altro ancora non lo aveva notato, era troppo preso da tutte quelle attenzioni. Il fatto che tutte quelle ragazzine gli stessero accanto sfiorandolo e abbracciandolo fecero velocemente scemare tutta la voglia che Rohan aveva di parlarci. Anzi, ora come ora avrebbe voluto vederlo investito da una macchina. Bha. Diede un ultimo sguardo crudele alla piccola folla e stringendo i pugni si costrinse a proseguire per superarlo. Più si avvicinava a Josuke e più il suo cuore sobbalzava; un misto di odio, amore, tristezza, mancanza, ira lo avvolse, lasciandolo totalmente inerme, mentre si impose di guardare dinanzi a sé, senza mai incontrare lo sguardo di nessuno. Quando ebbe superato tutto il gruppetto aumentò il passo per svoltare il prima possibile ed iniziare poi a correre verso casa… Ma prima di riuscirci la voce ingenua di Josuke lo bloccò.
“Rohan!”
In quel momento il suo cuore sussultò, come un bambino colto a rubare qualcosa, eppure lui non aveva fatto nulla di male, perché dunque si sentiva così in colpa? Si fermò senza voltarsi, incapace di dire qualunque cosa, era troppo stanco, troppo arrabbiato, troppo… Pieno di emozioni così contrastanti da renderlo innocuo. Ascoltò immobile il rumore dei passi dell’altro, che pian piano si avvicinavano, ed ogni secondo sembrava durare minuti. Dopo tanto tempo lo aveva finalmente incontrato… Ed ora, cosa avrebbe dovuto dire? Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa significava Josuke Higashikata nella sua vita? Era così confuso.
“Hey Rohan da quanto tempo!” Una mano gli si posò su una spalla, in quel momento scattò come un animale feroce pronto a mordere, cercando di scostarsi da quel contatto che lo feriva dentro. Lo osservò con freddezza.
“Josuke… Cos vuoi?” La sua voce era flebile, quasi roca, ma comunque autoritaria come suo solito.
“Bhe io… Ti ho visto da queste parti e… E’ da tanto che non ci vediamo, volevo solo sapere come stavi…” Farfugliò l’altro con un sorriso tirato di chi era decisamente imbarazzato e a disagio.
“Sto benissimo come puoi notare. Inutile chiederlo a te, vedo che hai parecchio materiale col quale divertirti…” Disse con tono seccato mentre con il viso fece cenno verso il gruppo di ragazze che era rimasto qualche metro più indietro aspettando il ritorno del loro amato studente. Il più giovane arrossì e con una mano iniziò nervoso a sistemarsi i capelli, come era sua ossessione fare. Una risatina nervosa uscì dalle sue labbra, ma nessuna risposta.
“Bhe, me ne vado. Torno a casa mia.” Si sentiva incredibilmente arrabbiato con Josuke, tanto che avrebbe voluto colpirlo, se solo non fosse stato certo di essere fisicamente inferiore al ragazzino, che seppur più giovane era molto più alto e prestante di lui.
“Aspetta. Io… Volevo passare a trovarti prima o poi ma…” Il tono della sua voce era colmo di sensi di colpa.
“Ma cosa Josuke? Io e te non siamo mai stati amici. Perché mai saresti dovuto venire da me? Per bruciarmi di nuovo la casa? Per cercare di fregarmi? E perché mai io avrei dovuto aspettarmi che tu venissi?” Lasciò uscire tutto il suo rancore come un fiume in piena, senza più trattenere nulla. Dopo aver sputato fuori ogni sentenza si sentì incredibilmente leggero, e tutto sembrò farsi chiaro nella sua testa. Un pensiero tanto pericoloso quanto spaventoso iniziò a molestarlo… Amore? Lui si era davvero innamorato di questo idiota che ora aveva davanti? No era impossibile, non lui, non il grande Rohan. Eppure in questi ultimi mesi era così cambiato… La sua vita ruotava intorno a futili pensieri e speranze…
Sentendosi di troppo e forse grazie ad un gesto di Josuke la piccola folla di oche iniziò ad andarsene, mentre il moro si avvicinava sempre più al fumettista.
“Io sarei voluto venire molto prima, ma sapevo che tu non mi avresti aperto la porta. Avevo paura di essere scacciato, di essere insultato. Mi hai sempre trattato come se fossi una persona orribile, non mi hai mai lasciato spiegare. Non mi hai dato mai la possibilità di conoscerti, di poterti comprendere. Perché è tutto così fottutamente difficile con te? Non riesco a capire cosa ti gira per quella testa. Ma se vuoi che io sparisca allora dillo chiaramente Rohan. Perché se non me lo dici chiaramente io non posso capire quello che desideri…”
“Vattene.” Rispose acido evidentemente scosso da quel discorso sin troppo diretto per il suo attuale stato d'animo. Il giovane non se lo fece ripetere, con in volto un espressione sofferente si volse per andarsene, ma nell’osservarlo andare via il mangaka sentì uno strano senso apprensione e di ansia assalirlo. 
“Aspetta…” Josuke si fermò improvvisamente cercando lo sguardo del maggiore.
Il cuore di Kishibe batteva all’impazzata, si avvicinò con prepotenza all’altro, e scagliò sul suo volto tanto innocente un pugno violento. Subito dopo afferrò i lembi della sua uniforme e avvicinandolo a sé lo costrinse ad un bacio quasi violento, ricolmo di bisogno, di una morbosa necessità di sentirlo suo. In tutto questo Josuke non disse nulla, semplicemente accettò sia il pugno che il bacio, come se fossero entrambi qualcosa che si meritava, per i quali non c’era reazione che potesse evitarli. Nonostante la prepotenza del mangaka lo studente si lasciò andare e lo strinse tra le sue braccia, sentendo il suo corpo esile e magro appoggiarsi a lui. Le loro labbra si allontanarono.
“Ti voglio Josuke!” una frase schietta, diretta, tremendamente prepotente, ma che per Josuke suonò semplicemente come un “Ho bisogno di te”. E se era questo che desiderava allora lui ci sarebbe stato, finchè non lo avrebbe scacciato.
Lui ci sarebbe stato.




[Angolino dell'autrice]
Oggi posto questo capitolo un po' più lungo, ma ci tenevo a scrivere una storiella dal punto di vista di Rohan, che non è poi così facile da comprendere, anzi ùwù
Non so se sia verosimile, in fondo l'ho voluto mostrare in uno stato d'animo decisamente particolare per un tipo come lui. Comunque adoro questi due, trovo che siano
perfetti assieme. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima ;)



 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** I’m here waiting for you… [Bucciarati/Giorno] ***


I’m here waiting for you…
 
 
Si era alzato all’alba quel giorno, e nonostante per tutti fosse una giornata qualunque per lui era la più importante dell’anno. Si vestì velocemente, una corsa in bagno a farsi una doccia e poi rapido uscì dalla porta, prendendo con sé unicamente qualche soldo e le chiavi dell’appartamento. Lasciò volontariamente il cellulare a casa: nulla doveva disturbarlo quel giorno. I suoi capelli biondi risplendevano di una luce rosata, ora che il sole stava lentamente nascendo. La sua pelle chiara ebbe un fremito nel percepire l’aria fredda del vento. Non importava, nulla aveva importanza, per Giorno Giovanna contava solo arrivare là, come ogni anno, ed il prima possibile. La sua vita era notevolmente cambiata da quando aveva sconfitto Diavolo, Mista era sempre al suo fianco, l’organizzazione era cresciuta ancora di più e ormai copriva tutto il territorio italiano, nonostante questo riusciva, per quanto contraddittoriamente, a mantenere una certa etica morale.
Ormai quanti anni erano passati? Giorno ci pensò velocemente. Sei… Sei anni dovevano essere passati da quando avevano vinto… Seppur a caro prezzo. Ancora oggi era solito fare visita alle tombe dei suoi compagni morti per concretizzare il loro sogno. Nei momenti bui, quando tutto sembrava crollargli addosso il biondo andava là, si fermava sulla tomba di Bucciarati e semplicemente parlava… Non riceveva risposta, eppure ogni volta si sentiva come se Bruno lo stesse davvero ascoltando. Poi accadde quel fatto, quello stesso giorno, però di sei anni fa.
Corse più veloce, senza curarsi della stanchezza, finchè raggiunse i cancelli aperti del cimitero. Si fermò di colpo, sistemandosi gli ambiti ed i capelli. Riprese fiato e poi con calma varcò la soglia. Chiunque lo avesse visto avrebbe pensato che stesse per incontrare qualcuno di speciale. Ed in effetti così era. Non appena s’addentrò nel cimitero lo scorse, con il suo volto tranquillo, seduto sulla lapide che ancora oggi portava il suo nome “Bruno Bucciarati”. Anche quest’anno Giorno non riuscì a trattenere le lacrime, e nonostante volesse mostrarsi forte e solido come una roccia, corse verso di lui e lo strinse con tutte le sue forze, lasciando che quel contatto così reale eliminasse qualunque suo dolore.
“Ben arrivato, Giorno, ti stavo aspettando” sussurrò gentilmente il moro, mentre con gentilezza accarezzava la schiena del ragazzo.
Giorno non sapeva spiegarsi come fosse possibile, non lo aveva mai compreso, eppure venendo spesso a far visita alla tomba di colui che aveva tanto amato un giorno aveva scoperto che in una singola giornata dell’anno egli riusciva a tornare qui, nella loro realtà. Acquistava una fisicità tangibile, e sino alla mezzanotte egli poteva nuovamente vivere. Ma in fondo non si stupì più di tanto… Ricordava ancora quando Bruno era riuscito a vivere nonostante fosse stato ucciso da King Crimson… Semplicemente non voleva sapere perché questo accadeva, semplicemente lo accettava, e per tutto l’anno riusciva a superare ogni dolore pensando a quell’unico incontro. Come le altre volte si era svegliato prestissimo, e se ne sarebbe tornato a casa unicamente dopo la scomparsa del compagno.
“Mi sei mancato così tanto…” disse con un filo di voce il biondo, che ora aveva alzato il proprio viso verso quello dell’altro e lo guardava direttamente negli occhi.
“Anche tu.” Rispose sorridendo il moro, prima di accarezzargli il volto e baciarlo dolcemente sulle labbra.
“Dove vogliamo andare questa volta?” Chiese staccando di pochi millimetri le labbra da quelle di Giorno.
“Ovunque tu voglia.”
Le loro mani si cercarono, sino ad intrecciarsi creando un calore che entrambi avevano ormai scordato nei 364 giorni che li avevano separati. Così lentamente, senza alcuna fretta, anche quest’anno, andarono dove li portava il cuore. Anche questa volta si sarebbero amati, si sarebbero respirati, sino a trarre da quelle poche ore il massimo del beneficio. Sino a poter vivere intensamente quell’unica giornata, così da poter sopravvivere per tutto il resto dell’anno nonostante tutto.
Bruno Bucciarati lo avrebbe aspettato per sempre…




[Angolino dell'autrice]
Alla fine sono riuscita nuovamente a mancare per molto tempo, vi chiedo scusa, ma purtroppo pare che il tempo
non sia affatto mio amico. Mi ritrovo sempre piena di impegni, e in men che non si dica è cominciata una nuova sessione
di esami... Vi chiedo scusa per l'assenza, e cercherò di aggiornare ogni volta che sia possibile >.<
Spero che questa storiella vi sia piaciuta... In questi giorni sono un pò malinconica e semplicemente
Mi è venuta in mente questa trama... Magari sarà sdolcinata e banale xD Ma spero vi piaccia comunque...
Grazie ancora ai lettori e a chi mi segue! Alla prossima :)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Ricordi [Jonathan/Dio] ***


Ricordi
 
 
Nascosto nell’oscurità si sentiva salvo, nulla avrebbe potuto sconfiggerlo, e finalmente i lontani ricordi sembravano solo immagini sbiadite di un film la quale pellicola si è ormai consumata.
Attorno a sé il silenzio regnava padrone, l’unico rumore che scandiva il tempo era quello di una pagina che veniva mossa, il ruvido rumore delle dita che sfiorano la pergamena antica con la quale era costituito il libro che stava leggendo. Sollevò lo sguardo annoiato e chiudendo con cura il libro lo pose sul letto sul quale era sdraiato. La sua mano corse sul suo corpo, e inconsciamente, in un gesto quasi meccanico, si soffermò sul collo, ove la profonda cicatrice divideva così orribilmente il suo corpo da quello di Jonathan, vi lasciò scivolare le dita, percependone ogni lieve rilievo. Era ormai passato così tanto tempo da quando era accaduto tutto, da quando aveva definitivamente vinto. Certo che ne aveva passate di cotte e di crude. Molte volte era sul punto di credersi sconfitto, ma infine era sempre riuscito a sopravvivere, e forse proprio questo suo gigantesco bisogno di esistere lo aveva portato fino in Egitto. Aveva sopportato la prigionia di 100 anni sotto gli abissi. Aveva dovuto abituarsi ad un mondo che ormai era avanzato, ad un mondo che era cresciuto senza di lui. Ma soprattutto aveva dovuto accettare il fatto che Jonathan fosse definitivamente morto. Certo, aveva cercato mille volte di distruggerlo, ma… Infine aveva mai realmente desiderato vederlo perire?
“Lasciami Jojo, lasciami andare! Anche tu sarai immortale! Potrai vivere con Erina in eterno! Jojo!” Quella volta aveva davvero urlato quelle parole con il solo scopo di ingannare Jonathan per evitare la morte? Oppure…
Sollevò lo sguardo verso il tavolino posto vicino alla finestra, che sbarrata non lasciava penetrare neppure la più piccola traccia di sole. Si alzò e prese tra le dita un calice in cristallo che vi era sopra posato. Osservò il contenuto, rosso, intenso, dall’odore fragrante. Aveva sempre amato il vino, forse perché quel colore cupo gli ricordava tanto il sangue, forse semplicemente perché aveva gusti sofisticati, non si era mai mischiato all’inferiore plebaglia. No, Dio Brando avrebbe dominato il mondo. Aveva superato la condizione umana ed era divenuto una creatura superiore, questo lo rendeva di diritto il legittimo sovrano del mondo!
Bevve un sorso di vino, e si perse nuovamente nei propri ricordi, mentre osservava il liquido vorticare nel bicchiere.
Non aveva più un corpo, era ridotto all’essere unicamente una testa, che bramava un corpo per poter risorgere. Forse fu a causa di quello che non reagì. No. Se davvero avesse voluto avrebbe potuto ucciderlo proprio in quel momento… Jonathan lo aveva stretto a sé, al suo petto così enorme, muscoloso… Eppure così fragile. Le fiamme si erano sollevate, Jojo aveva appena salutato Erina augurandole di stare bene… Sapeva benissimo che sarebbe morto. Fu in quel momento, quando le fiamme raggiunsero quasi il soffitto e tagliarono fuori da quella stanza chiunque tranne loro due che Jojo diede un’ultima occhiata a Dio. Sussurrò il suo nome e poi senza chiedere alcun permesso semplicemente posò le sue labbra su quelle del vampiro, che incapace di reagire subito si scostò troppo tardi, invitando l’altro a lasciarlo andare, promettendogli vita eterna. Ma ormai Jonathan era già morto… Se fosse morto nel momento stesso che le loro labbra si erano sfiorate o dopo non seppe dirlo, semplicemente non lo ricordava… Poi era tutto esploso, e la solitudine di quei 100 anni non gli portò alcuna risposta riguardo a quel folle gesto…
Bevve un altro sorso di vino.
Ora aveva il suo corpo, ma non aveva mai avuto Jonathan davvero. Lo aveva sempre umiliato, in una costante ossessiva necessità di vederlo suo schiavo, di vederlo distrutto, per poterlo poi trascinare via con sé. La realtà è che Dio nonostante tutto, aveva davvero amato Jonathan Joestar…
Nonostante fosse un amore malato.
Ma in fondo non ci si poteva realmente aspettare qualcosa di diverso da un essere come lui.
Dio avrebbe conquistato il mondo, perché era il mondo stesso a richiederglielo.
Avrebbe ucciso e torturato chiunque, perché lui era il padrone indiscusso di quella sciocca razza.
Sarebbe stato in grado di uccidere sua madre se solo questo gli avesse dato qualche profitto…
Come poteva realmente essere in grado di amare una creatura simile?
Finì il bicchiere di vino, e sentendosi molestato da pensieri simili s’impose di concentrarsi sulla sua missione, riprese il pesante libro tra le mani e ricominciò a leggere.




[Angolino dell'autrice]
ed ecco il nuovo capitolo. Sta volta non vi ho fatto aspettare molto suvvia ahaha!
Ammetto che conepisco questi due come una sorta di coppia che non ha saputo amarsi. Soprattutto Dio che non ha mai compreso cosa provasse,
e comunque non lo avrebbe mai ammesso. I sentimenti sono stupidi. In fondo si odiavano, si picchiavano, infine si sono anche uccisi, ma... Sono
pur sepre cresciuti insieme, e voglio credere che in una piccolissima parte di Dio, Jonathan contasse davvero. Che Jojo volese bene a Dio nonostante
tutto era chiaro, lui è una persona diversa; era il suo senso di giustizia ad impedirgli di amarlo appieno. E nulla, ho voluto provare a scriverci qualcosa
spero possa esservi piaciuto :) Alla prossima e grazie a chi legge e commenta!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2334767