Ice Sight

di gloriabarilaro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo.
Tell me who created you
I'd thank her.

[J. Bieber, One Life]

 
 
Faceva freddo: non il freddo da neve, ma nemmeno quello che ti permette di uscire con addosso solo una felpa.
La sigaretta mi teneva caldi l’indice e il medio della mano destra, mentre l’altra stava affondata nella tasca del giubbotto.
Erano le tre di mattina, dopo tre ore avrei dovuto alzarmi dal letto per andare a scuola, ma chi aveva voglia di andare là dentro, in quel carcere pieno di professori svitati e compagni insopportabili? Non potevo, comunque, saltare scuola anche quel giorno. Magari, una volta lì, avrei ciondolato per i corridoi o disturbato la lezione facendo ridacchiare i miei compagni. Chiusi gli occhi e posai la testa al muro, sentendo un vento freddo graffiami il mento e il collo. Amavo quella sensazione. Amavo le mattine come quelle, la lucidità del sonno perso e l’alcool che ancora fa un po’ girare la testa. Amavo le sigarette gustate in quella pace rubata anche alla notte più selvaggia, la musica dei locali che si abbassa e le sirene delle ambulanze e della polizia in lontananza. La sensazione di essere in pace con il mondo e con sé stessi, anche dopo aver fatto risalire l’inferno dalle viscere della terra ed aver fatto cadere dal paradiso tutti i santi. L’invulnerabilità che conquista anche le persona più fragile, quell’essere padroni di un mondo silenzioso che ti sei conquistato con i calci e con i denti dopo esserti divertito come un pazzo.
Quella felicità malinconica, da assaporare da soli con mille pensieri.
 
« Ehi. »
Mi voltai. Una ragazza stava lì, in cima ai gradini che portavano giù al locale, stretta nel cappotto troppo largo. Aveva dei lunghi capelli biondo platino spettinati, il trucco un po’ colato e un lobo dell’orecchio privo della copia dell'orecchino gigante che ancora stava appeso all’altro orecchio. Doveva averlo perso.
« Ehi » le sorrisi, facendole cenno di raggiungermi. Nonostante amassi quei momenti di solitudine, due chiacchere con una ragazza così bella non avrebbero guastato.
Lei, obbediente, si avvicinò. Traballava un poco sui tacchi alti, e solo una mano usciva allo scoperto dalla spessa stoffa del cappotto, a tenere il lembo ben stretto per non far entrare il freddo: aveva delle dita bianche e affusolate, eleganti, le unghie ben curate e coperte da uno spesso strato di smalto nero.
« Hai una sigaretta anche per me? » mi chiese, con un filo di voce. Tirai fuori i pacchetto, lo aprii e glielo porsi; lei sfilò una sigaretta con attenzione, e con un gesto calmo fece uscire allo scoperto anche l’altra mano, che stringeva un accendino bianco. La osservai mentre accendeva e tirava, ad occhi chiusi, una lunga boccata di fumo.
Fu quando riaprì gli occhi che ne notai il colore: un azzurro freddo, chiarissimo. Sentii un brivido salirmi lungo la schiena quando quegli stessi occhi che stavo contemplando si posarono su di me. Lei mi sorrise: un sorriso incerto, un sorriso accennato, con il fumo che usciva tra i suoi denti bianchi. Non doveva fumare spesso, pensai, e ne fui centro quando, dopo un altro tiro, traballò un altro poco e si appoggiò al muretto.
« Come ti chiami, bellissima? »
A quel nomignolo parve rabbrividire. « Lily – sussurrò, portandosi la cicca alle labbra per un altro tiro – E tu? »
« Jack. Piacere di conoscerti, Lily. »
Lily. Che nome stupendo. Lo pronunciai piano, dolcemente, e la scorsi arrossire un poco. Era ancora più bella di quanto avessi pensato quand’era apparsa lì, a tre metri di distanza.
E non so se fossero quegli occhi, o quel sorriso, o quelle mani, o quella pelle, o quel suo profumo di fumo, alcool e un leggero aroma più dolce che il vento portava verso di me a renderla tale, l’unica cosa di cui ero certo era che mi aveva disarmato, lasciandomi lì a fare nulla nonostante tutto l’alcool che mi scorreva nelle vene.
Non sembrava essere una di quelle ragazze da conoscere la sera e sbattersi ancor prima che finisca la festa, non solo. C’era qualcosa in lei, un qualcosa di inspiegabile, che mi spingeva a stare lì a guardarla e basta, anche se l’alcool mi spingeva a fare pensieri poco casti su di lei.
« Sei nuova di qua? Non ti ho mai visto. »
Lei ridacchiò. « Questa tecnica di abbordaggio fa schifo, scusami. Ti pensavo più scaltro. »
Io mi morsi il labbro. Stava lì, con la schiena che aderiva a quel muretto, e mi veniva voglia di andare lì, prenderle la testa fra le mani e baciarla con tutto il fiato, spingerla contro quel cazzo di muretto e strofinarmi su di lei.
Eppure non feci nulla di tutto questo. Cos’era, quello che si stava insinuando dentro di me? Un brutto presentimento, forse? Possibile?
Eppure più la guardavo, più mi sembrava un angelo. La sua bellezza era letale, i suoi baci forse anche di più; mi ritrovai col fiato corto e addosso la voglia irrefrenabile di scoprirlo da me.
« Che ore sono? »
« Le tre e venti. »
Lily spalancò leggermente gli occhi, poi si staccò dal muretto. « E’ tardi, è meglio tornare a casa. »
A quella frase mi risvegliai. « Ma che dici? La notte è ancora giovane » protestai, senza ancora il coraggio di allungare la mano per toccarla. Forse mi sembrava così bella da non parer vera, forse una piccola parte di me pensava che fosse solo un miraggio, un’allucinazione.
Lei rise. « Sarà per un’altra volta, Jacky. Ci si vede. »
E così dicendo, sparì giù per le scale, a passi veloci ed eleganti, mentre il cielo, da blu intenso, diventava pian piano viola cremisi. 

 

Mi è sempre piaciuta la coppia Cook/Naomi in Skins, ma nel telefilm non sono andati mai oltre la seplice amicizia. Per non scatenare la furia dele Naomly shippers (e rovinare la loro bellissima storia d'amore, rovinando anche il tragico finale), ho preso questi due bellissimi attori e ho buttato giù quello che è il prologo di una fan fiction che mi è venuta in mente mentre leggevo la traduzione di TKO di Justin Timberlake. Non posso dire molto, solo che sarà qualcosa di molto contorto. Se vi è piaciuto il prologo (scritto in tutta fretta, devo ammetterlo, quindi perdonatemi per gli errori) mettete questa fan fiction nelle preferite/ricordate/seguite per rimanere aggiornati sui caricamenti dei seguenti capitoli.
Sono graditissime recensioni (sopratutto perché è la prima mia fan fiction su attori) e commenti sia positivi che negativi. Vi rispondo quando effettuo l'aggiornamento, quindi richiedo un po' di pazienza per i ringraziamenti a eventuali complimenti e suggerimenti.
Sulla mia pagina potete trovare tutti i link per contattarmi e, se avete bisogno, non esitate a scrivermi.
Vi lascio con le gif dei personaggi principali (come li ho immaginati io). Forse ne compariranno altri, ma non vi assicuro del fatto che troverò reali attori da cui farli impersonare, quindi abbiate pazienza anche per questo, ahahaha.
Baci,
Glo.

 
Jack O' Connell:
Lily Loveless:

                                                                                                         

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***



Capitolo uno.
I've been thinking 'bout you
Do you think about me still? Do ya, do ya?

[F. Ocean, Thinking Bout You]
 

Era passata più di una settimana, e Lily passeggiava ancora nella mia testa con il suo passo leggero e traballante sui suoi tacchi. Mi ritrovavo a pensare a lei a quasiasi momento della giornata, qualunque cosa facessi.
Non capivo cosa mi succedesse: non ero il tipo da rimanere così impressionato e così facilmente. C’era qualcosa, però, in lei, che mi faceva rimanere così, fermo sul mio posto, incapace di andare avanti e dimenticarla. Nel profondo, sentivo il desiderio di rivederla, e magari fare tutte quelle cose che ho rimpianto, non fatte per... Per cosa? Il mancato coraggio? Eppure io, di coraggio, ne avevo da vendere.
Forse avevo appena trovato il mio punto debole. Lei, era il mio punto debole.
« Ehi, Jack. Si può sapere che cazzo ti passa per la testa? »
Guardai Logan, seduto lì vicino a me con un bicchiere pieno fino all’orlo di birra alla spina. Non gli avevo detto di Lily, non sapevo da dove iniziare. Cosa dire, poi? Ho incontrato questa ragazza, dopo la festa. Il tempo di scroccarmi una sigaretta ed era già sparita. Era bella, davvero bella, ma…
« Jack? Sul serio amico, che hai? »
Mi passai le mani sul viso, cercando di svegliarmi. « Nulla. Sto bene. Stavi dicendo? »
« Voglio sbattermi Kathryn stanotte. »
Sputai il ciupito che mi ero appena messo in bocca e mi voltai bruscamente verso di lui. « Cosa? »
Logan parve un po’ stizzito mentre abbassava lo sguardo e ripeteva. « Voglio scopare Kathryn. Che c’è di strano? »
« A parte il tuo desiderio di scoparti una figa di legno? Nulla, Logan, davvero nulla » replicai, facendo un cenno con la mano al barman per prendermi un altro drink. Il mio amico prese un lungo sorso di birra prima di riprendere a parlare. « Continuo a non capire quale sia il problema. »
« Io non capisco quale sia il problema. Perché non Megan? »  chiesi, incrociando le dita delle mani e appoggiandomi con i gomidi sul bancone.
Logan fece una piccola smofia. « Perché Megan non è Kathryn. »
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando rumorosamente. « Amico, spigami, qual è la differenza tra due gemelle? Sono uguali. Una vale l’altra, e Megan già ti va dietro, quindi è un lavoro più semplice. »
Logan sembrò interderdetto, ma non mi interruppe, né aggiunse nulla. Finimmo i nostri drink in silenzio, poi lui riaprì bocca. « Non so perché sono così fissato con lei. Forse... Forse mi sono innamorato, Jack. »
In tutta risposta, mi misi a ridere. Risi forte, così forte che tutti, nel pub, si voltarono verso di noi. Scossi la testa, battendo una mano sul bancone. « No, non è vero, Logan. Noi non ci innamoriamo » replicai.
« Andiamo, Jack, non dirmi che non ti sei mai sentito così preso da una ragazza da non riuscire a pensare a nient’altro.»
« No » mentii spudoratamente. Molte volte in quegli ultimi giorni non ero riuscito a concentrami in niente che non fosse lei, ma  avevo giustificato la mia ossessione per Lily solo per la mancata scopata da favola. Una voce, nella mia testa, mi ripeteva assiduamente che non era per quello; un’altra vocina, invece, mi diceva che dovevo piantarla di pensare a lei.
Fosse stato così semplice.
Battei un’altra volta la mano sul bancone. « Il conto, Luke! » gridai, e il ragazzo tatuato lì dietro mi rispose con un cenno del capo. Mi voltai verso Logan e lui mi guardò aggrottando le sopracciglia, in attesa. Sapeva che avrei detto qualcosa, se lo sentiva. O forse, semplicemente, me lo leggeva negli occhi. Mi conosceva troppo bene.
« Andiamo a festeggiare, Fratello. »
« Come? Dove? Quando? »
« Stasera » gli risposi, con un sorriso. Lui sembrò più spaesato di prima mentre chiedeva, ancora: « E cosa cazzo festeggiamo? »
Misi il braccio sinistro attorno al suo collo e gli grattai la testa con forza. « La nostra invulnerabilità, Logan. A noi l’amore non ci può fare un cazzo. »
 
La discoteca era piena, la musica frenetica. Corpi che si strofinavano l’uno all’altro, i respiri affannati e i capelli attaccati ai colli sudati. Cinsi il collo di Logan con un braccio e alzai un pugno al cielo, urlando di entusiasmo mentre la mia voce si perdeva nello spazio buio, veniva assorbito dalle casse e coperto dalla musica.
« Jack, tu sei pazzo. »
« Siamo giovani, Logan. Se non facciamo qualche pazzia ora, quando la faremo mai? » e, urlando ancora, mi buttai tra la mischia. Vidi tra le ombre scure dei corpi e delle braccia alzate Logan sorridere, scuotere la testa e buttarsi a sua volta.
Ma io non avevo intenzione di stare lì. Smisi di ballare, mi feci strada tra la folla a gomitate e salii le scale, schivando coppiette intente a pomiciarsi tra loro e ragazzi troppo sballati per muoversi. Mi fermai davanti alla imponente porta d’acciaio, prendendo un respiro prima di premere la barra rossa dell’apertura a spinta.
Fuori, il terrazzo era in penombra, l’unica fonte di luce era il landscape della città, che si apriva lì davanti a me, così bello, illuminato e colorato da sembrare surreale.
Ma dei capelli biondo platino e di quel paio di occhi azzurro ghiaccio che mi aspettavo di rivedere nemmeno l’ombra.
Sospirando, mi passai una mano sul viso. Non avevo voglia di tornare indietro, lì nella mischia, anche se avevo davvero bisogno di distrarmi. Mi accesi una sigaretta, appoggiandomi coi gomiti al muro di cinta che mi divideva dal salto di più metri che si apriva sotto di me, dal tetto del palazzo. Sperai che arrivasse allora, a chiedermi un’altra sigaretta, ma fu inutile.
Stavo per rinunciare, quando sentii dietro alla musica un’altra melodia. Una voce limpida, bassa e un po’ tremante, che veniva da una ragazza che camminava nei vicoli vicino al locale, traballando e inciampando qua è là. In mano teneva una bottiglia e dalla voce sembrava sbronza. Ma non furono quei particolari a colpirmi tanto quanto i suoi capelli biondissimi e quella sua pelle bianca.
Da là sopra, riuscivo a vedere il suo sguardo di ghiaccio brillare nel buio.
Trattenendo il respiro, esitai prima di fiondarmi giù dale scale. Non sapevo nemmeno perché stessi correndo così, precipitandomi da lei con tanta ansia che mi cresceva nel petto.
Sgomitando tra la folla, mi resi conto di quanto fossi incoerente. Stavo davvero correndo dietro a un ragazza che avevo visto solo una volta dopo aver detto a Logan di ignorare sentimenti come l’amore.
Allora perché ancora correvo a perdifiato, con addosso il desiderio di rivederla che si faceva sempre più forte, passo dopo passo?
 

A quanto pare Lily non se ne vuole andare dalla testa di Jack, ma quest'ultimo non sembra neanche intenzionato a lasciarla andare facilmente: lo lasciamo così, che corre da una ragazza che gli sembra lei, ma che l'oscurità e l'ansia di rivederla non gli giochino brutti scherzi?
Intanto ha fatto il suo ingresso Logan, l'amico di Jack - nella mia mente impersonato da Logan Lerman, da cui prende anche il nome. Sono nominate due gemelle (Kathryn e Megan) che probabilmente voi conoscete, ma che ancora non sono comparse - non posterò, quindi, loro gif finché non compariranno sul serio nella storia.
E questo era il primo capitolo. Cosa succederà, ora? Si scoprirà tutto nel prossimo capitolo.
Per ora, ringrazio le due stupende ragazze che mi hanno scritto i loro pareri e che hanno apprezzato l'inizio della storia. 
Scusatemi per tutto il tempo che ci ho messo ad aggiornare, ma non sono sicura di voler continuare a scrivere qeusta storia. Spero che presto ci saranno più persone a seguirla e ad apprezarla.

Baci,
Glo.


Logan Lerman:

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***



Capitolo due.
Take me somewhere new,
I don't know who you are,
But I, I'm with you
I'm with you

[A. Lavigne, I'm with you]


Uscii dalla discoteca che ormai ero piegato in due dalla stanchezza. I miei polmoni sfiancati dalle sigarette gridavano pietà, mentre mi guardavo attorno alla ricerca di quell’angelo. Per un attimo credetti che fosse stata solo la mia immaginazione, a farmela vedere, ma in quell’istante una figura slanciata spuntò da dietro un cassonetto zeppo di sacchi neri.
Indossava una gonna aderente a vita alta e una maglia stampata larga e corta. Una striscia di pelle bianca rimaneva scoperta, di tanto in tanto, quando alzava le braccia: brillava, alla luce dei lampioni, e mi faceva rimanere abbagliato.
«Yo-hey! » esclamò, in modo poco femminile, alzando le braccia al cielo. Un singhiozzo la scosse, ma lei parve non accorgersene nemmeno. Rimase lì, a fissarmi, con un’espressione poco lucida e divertita.
« Mi sono scordato di chiederti di uscire, Lily. » dissi con non-chalance, infilando le mani nei jeans e sfoderando un sorriso ammiccante. Lei mi guardò immobile un istante, tenendo mollemente la bottiglia di vetro che aveva in mano e trovando, apparentemente, un po’ di equilibrio su quei tacchi vertiginosi. Mi resi conto solo in quel momento di quanto fosse davvero messa male, quanto, ormai, la bottiglia fosse a fine e i suoi occhi lucidi. Incominciai ad agitarmi, togliendo le mani dalle tasche e facendo un passo verso di lei, ma un piccolo spasmo dell’angolo della sua bocca, simile a un sorrisetto, mi fermò. Forse stava bene.
Mi tranquillizzai, fermandomi davanti a lei e rilassando le spalle. Non ebbi nemmeno i tempo di immaginarmi una sua possibile risposta che lei si piegò in avanti, e vomitò sulle mie scarpe.
 
« Mi dispiace davvero, Jacky Jack. » biascicò Lily mentre la tenevo tra le braccia. I suo lungo indice pallido e affusolato tamburellava sul mio naso mentre la portavo letteralmente di peso in macchina: non sapevo perfettamente le mie vere intenzioni, avevo solo un indistinto piano in testa, cui primo passo era quello di portarla a casa, a fare una bella doccia fredda e a servirle una bella tazza di caffè caldo.
« Tranquilla, Lily. Dovresti, anzi, esserne onorata: sei la prima persona che rimette l’anima sulle mie scarpe a non ricevere un pugno in pieno viso. »
Lily rise convulsamente, rigirandosi e posando la fronte sul mio petto. Ormai eravamo arrivati alla macchina.
« Sta girando tuuuuuutto. »
« E’ solo la sbronza, ora passa » la rassicurai, posandola a terra per cercare le chiavi del SUV bianco che avevo fregato a mio padre.
« Ma guardalo, come si sente superiore solo perché è schifosamente lucido » mi rimbeccò lei, mentre scalciava via i tacchi e faceva dietro-front. Non fece nemmneno due passi barcollanti prima di sbattere il muso contro il lampione.
Mi ci volle molta forza di volontà per non scoppiare a ridere, mentre lei faceva alcuni passi indietro e guardava confusa il palo contro il quale aveva sbattuto. « Ahia! » esclamò, poi, dandosi una pacca forse un po’ troppo forte sulla fronte. Scuotendo la testa, recuperai le sue scarpe e la raggiunsi.
« Vieni, piccola sbadata – Le sussurrai, cingendole la vita con un braccio e riconducendola verso l’auto – Ti porto a casa. »
Lei, inizialmente, non parve realizzare appieno ciò che le dicevo, perché si accovacciò contro di me, affondando in viso nel mio petto e lasciandosi trascinare. Quando, poi, sentì il rumore della portiera che si apriva, s’irrigidì e puntò i piedi scalzi sul cemento.
« No! » urlò, e cercò di divincolarsi dalle mie braccia che la tenevano troppo saldamente per essere allontanate dai suoi deboli sforzi.
« No, con te non ci vengo! – Gridò ancora, scalciando quando la sollevai da terra per riuscire a caricarla in macchina – Mi porterai dove mi portano tutti gli altri, mi costringerai a fare cose che non voglio, come tutti gli altri! » riuscì a tirarmi un calcio al ginocchio e costringermi a liberarla. La lasciai, piegandomi per il dolore. Lei corse via, svelta come una lepre, ma ben presto fu costretta a fermarsi per dei cocci di vetro a terra che aveva calpestato. Urlò per il dolore e cadde a terra, mentre io, zoppicando, la raggiungevo allarmato; quando le fui sopra, mi accorsi dei singhiozzi che le scuotevano le spalle e delle lacrime che le rigavano il viso. Mi fermai, interdetto, fissandola senza sapere che fare.
« Mi farai male! » esclamò infine, senza fiato, mentre mi guardava con gli occhi rossi e pieni di lacrime salate.
« Come tutti gli altri? » le domandai piano, e lei annuì, mordendosi forte il labbro. Si teneva il piede ferito con le mani, dondolava su sé stessa senza nemmeno accorgersene. Sospirai, e mi chinai su di lei.
« Ehi, Lily. Guardami. » la incitai, col tono di voce più dolce che riuscii a fare. Lei obbedì, tremante. E io accennai a un sorriso, ma un sorriso fidato, stavolta, uno di quelli che ispira tranquillità e sicurezza. Tremava ancora, ma aveva smesso di piangere.
« Io non sono “tutti gli altri”. Io sono Jack, il ragazzo che ti ha offerto la sigaretta su quella terrazza, una settimana fa. »
Lei deglutì forte, e distolse lo sguardo. Continuava a dondolare su sé stessa, fissando il vuoto e tenendosi il piede ferito; le sue dita pallide erano piene di sangue, ora.
« Di me ti puoi fidare – Le sussurrai, azzardando una carezza alla quale lei si irrigidì – Non ti farò del male. »
Lei inspirò molta aria, mi scoccò un’altra occhiata, in apnea.
« Me lo prometti? » mormorò infine, liberando l’aria che aveva trattenuto.
Chiusi gli occhi un breve istante, prima di riaprirli e annuire, rispondendole con un filo di voce: « Te lo prometto. »
Lei annuì a sua volta, guardandosi attorno. Poi rivolse lo sguardo al piede che stringeva tra le mani, come se si accorgesse solo in quel momento della ferita che si era fatta. Stupefatta, alzò lo sguardo verso di me.
« Mi fa tanto male il piede, e ho freddo. E ho anche fame, e non dormo da trentadue ore. »
« Wow, quante cose. » le risposi, sorridendole dolcemente. Mi sembrava una bambina che si era persa, e i suoi occhi rossi brillavano come non mai, e aveva ancora delle tracce di lacrime sulle guance e le labbra screpolate dal freddo.
Inspirò ancora, ma il suo respiro fu spezzato dai singhiozzi.
« Mi posso fidare di te, Jacky? »
« Sì. Sì, ti puoi fidare di me. » la rassicurai. Lei chiuse gli occhi, ma non li riaprì più. I suoi bellissimi occhi azzurri, quei diamanti dal valore immenso.
Sospirai ancora, e la presi in braccio. Il suo piede era gonfio e grondava di sangue, ma lei sembrava tranquilla. Si strinse a me, abbandonandosi contro il mio collo. Io inspirai il suo profumo e la portai dentro la macchina, posandola con delicatezza sui sedili e scostandole i capelli dal viso prima di chiudere la portiera.

 

Ci ho messo un po' per aggiornare.
Perdonatemi.
Ultimamente non ho la testa né per scrivere, né per pubblicare, quindi vi chiedo di avere solo un po' di pazienza.

Ecco il secondo incontro di Lily e Jake. Una piega un po' insolita, non credete? Cosa spinge, secondo voi, Jake ad essere così gentile? O Lily ad essere così diffidente?
Scopriremo tutto pian piano, tranquilli.
Intanto ricordo che le vostre recensioni sono SEMPRE beneaccette, e io vi voglio bene.

Baci,
Glo.

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***



Capitolo tre

Don’t you see me, I
I think I’m falling
I’m falling for you
 
[The 1975, Fallingforyou]



 
Guidai con cautela, senza superare il limite di velocità e rispettando tutti i cartelli e i semafori, cosa insolita da parte mia. Ero preoccupato per Lily, ma lei sonnecchiava tranquilla, distesa sui sedili posteriori dell’auto, e mugugnava cose incomprensibili.
Quando arrivai a casa mi tranquillizzai, constatando che stava bene e il suo piede era stato ferito più che altro da unico grosso coccio, quindi le schegge da togliere non erano molte e me la sarei cavata, da solo; la feci sdraiare sul divano e andai veloce a prendere ciò che mi occorreva, mentre lei mi seguiva con lo sguardo e stava zitta, chiedendosi, forse, cosa avessi in mente.
Fu quando vide la pinzetta che avevo in mano che scattò in piedi in un baleno, strabuzzando gli occhi. « Oh, no. No no no no. No. »
« Tranquilla, l’ho già fatto altre volte. Ci vorrà pochis... »
« Non ci pensare nemmeno! Non voglio. Metti via quelle cose, io me ne torno a casa! » ma, quando si guardò attorno, la confusione più totale fu chiara sul suo volto: se non sapeva nemmeno come uscire di lì, come poteva tornare a casa?
« Lily, non preoccuparti. Ci vorranno pochi minuti. Se ti faccio male hai diritto a tirarmi un ceffone, okay? »
Lei mi guardò. Pure da brilla, capiva che quella mia proposta era piuttosto insolita. Neppure io, in realtà, sapevo dove l’avessi tirata fuori, fatto stava che ormai l’avevo detta, quindi non potevo rimangiarmela. Incominciai a sentirmi in soggezione con quegli occhi azzurri ghiaccio, quindi abbassai lo sguardo per evitare il suo. Lo rialzai poco dopo, però, perché lei era scoppiata in una fragorosa risata, lasciandosi cadere di peso sul divano.
« Va bene » disse infine, tra una risata e l’altra. « Prima, però, gradirei un caffè. »
 
L’effetto dell’alcool le era quasi passato, prova di questo fatto era il mal di testa di cui si lamentava. La sentivo mugugnare e rigirarsi nel mio letto anche lì nel salotto, sdraiato sul divano com’era lei fino a poco prima, a fissare il soffitto.
Non riuscivo a dormire. Pensare di averla lì, a pochi metri, non mi aiutava a rilassarmi e ad assopirmi. Nonostante sapessi che non fosse nelle condizioni per fare qualsiasi cosa (anche se, in realtà, le mie intenzioni non erano cattive, anzi) continuavo a costringermi a rimanere dov’ero, fermo. La verità era che avevo una gran voglia di parlarle: non sapevo bene di cosa, volevo solo sedermi con lei e ascoltarla. Aveva quella voce straordinaria, del tipo che ascolteresti per ore e ore. Io, perlomeno, l’avrei ascoltata tutta la notte.
Il suono del cellulare mi scosse dai miei pensieri: guardai l’orologio, e mi accorsi che erano ormai le tre meno venti di mattina. Sbuffando, mi alzai e andai a recuperare lo smartphone nella tasca della giacca: sul display, a caratteri chiari, c’era il nome del mio amico che avevo abbandonato in discoteca per correre dietro la stessa ragazza che mi stava facendo dannare da giorni, e che ora era nel mio letto. Come facevo a dirglielo, dopo che avevo affermato che l’amore non faceva effetto, su di noi?
Magari era solo una cotta. Scossi la testa, rimproverandomi mentalmente per il fatto che io non avevo più l’età per semplici cotte adolescenziali; e Lily mi aveva preso davvero, non sapevo nemmeno come, né il perché: come potevo spiegarmi quella voglia di proteggerla, nonostante tutto e tutti? Quella voglia di stringerla a me, quella voglia di sapere cosa ci fosse dietro quello sguardo di ghiaccio; Quella voglia di sapere chi altri aveva sfiorato quella pelle bianca, baciato quelle labbra.
Intanto la chiamata si chiuse, e a distanza di pochi secondi ne arrivò un’altra: a quest’ultima, però, risposi subito.
« Jack? Jack, dove cazzo sei? » Logan gridava per sovrastare il casino del locale. Per non disturbare Lily, uscii e risposi al mio amico: « A casa. »
« A casa? Scherzi? Dovevamo festeggiare! » mi rimproverò lui, mentre in sottofondo si sentivano Megan e Kathryn che ridevano e parlavano: « Che stronzo, ci ha lasciati da soli! »
« Sono arrivati anche Tyler e Dennis, manchi solo tu. Davvero, perché cazzo non torni qui? »
Mi voltai verso la porta e risposi con un filo di voce: « Ho da fare. »
« Che cosa? Cosa c’è di meglio che stare con i tuoi amici? »
Mi venne da ridere. Era la stessa domanda che gli facevo io quando diventava depresso e non aveva voglia di uscire. « Inoltre, Ty ha portato della roba che sembra la fine del mondo, stiamo aspettando solo te per provarla. »
« Ho una bomba super sexy nel mio letto. Devo dire qualcos’altro? »
Logan si mise a ridere. « Questo spiega tutto. In questo caso, ci vediamo domani. »
« Lasciatemene un po’ » gli dissi, prima che riattaccasse.
« Scordatelo » mi rispose ridendo, e chiuse la chiamata.
 
Un battito di ciglia e mi ritrovai sulla soglia della mia camera. Lei era sdraiata su un fianco, mi dava le spalle: i suoi capelli si stiracchiavano morbidi sul cuscino bianco, le coperte le fasciavano il petto nudo fin sopra al seno, e la linea della sua vita, dei suoi fianchi e delle sue gambe si stagliava in controluce, mentre i raggi argentei della luna le illuminavano la pelle delle braccia, del collo, delle guance.
Mi avvicinai piano a lei, con il respiro ingiustificabilmente veloce, e mi sedetti sulla sedia della scrivania. Per calmarmi, mi accesi una sigaretta.
Forse fu la puzza di fumo, forse il mio respiro troppo affannato, o forse si era accorta della mia presenza, fatto sta che lei si ridestò dal sonno e mi guardò, aggrottando la fronte. Mi aspettavo che si mettesse ad urlare di andarmene, che si coprisse il seno con le braccia e mi guardasse male, ma non fece nulla di tutto questo. Sì, si coprì il seno con le braccia quando si mise seduta, ma mi guardò tranquilla, sorridendomi, e sussurrò: « Hai una sigaretta anche per me? »
 
« Scusami, non volevo svegliarti. »
Lei fece un gesto non curante con la mano, poi si portò quest’ultima sulla fronte. Io aspettai che la smorfia che si era dipinta sul suo viso svanisse, ma si alleviò solo un poco, quando si voltò verso di me e mi chiese: « Hai un’aspirina? »
« Il rum inizia a scatenarsi con i suoi effetti collaterali? »
Lei fece una smorfia infastidita, buttò gli occhi al cielo. « Spiritoso » mormorò sarastica, poi perse lo sguardo nel vuoto e rise. Tenni la sigaretta incastrata tra i denti mentre aprivo e chiudevo i cassetti del comodino per cercarle qualcosa. Mi voltai e andai a cercare in bagno. Non ci misi molto, ma quando tornai lei si era già rimessa l’intimo, cercava i suoi vestiti con lo sguardo tenendo le braccia incrociate sul petto.
Mi fermai a guardarla, appoggiato sullo stipite della porta. « Ho messo a lavare tutto – le dissi, attirando la sua attenzione – In macchina ti sei vomitata un po’ addosso. »
Lei mi sorrise di nuovo, venne verso di me e prese la scatola bianca che le porgevo, incurante della sua semi-nudità. Sembrava quasi a suo agio. Aveva ancora la sigaretta tra le dita, la aspirava avidamente come se fosse il suo respiro. Chiudeva gli occhi, ogni volta che teneva il fumo dentro i polmoni qualche secondo in più; scoprii che non mi dispiaceva guardarla proprio in quei momenti: mi immaginavo quell’espressione sul suo viso mentre le baciavo il collo, quella pelle morbida e bianca sulle clavicole...
Ingoiò l’aspirina senza acqua, tra un tiro e l’altro. Spalancò il mio armadio, smosse le maglie e le felpe ordinate, sfiorò con le dita le camice e i jeans appesi. « Sei il ragazzo più ordinato che abbia mai incontrato, sai? » rise, afferrando una maglia e buttandosela addosso. Mi grattai la nuca, le sorrisi indeciso se prendere quell’affermazione come un complimento o altro.
 



Scusatemi scusatemi e scusatemi ancora per l'enorme ritardo. Mentre voi aspettavate impazientemente (oppure no?) il nuovo capitolo, io ho creato un profilo su wattpad, in cui ho caricato questa storia. Ho aspettato, quindi, di arrivare al terzo capitolo per poter aggiornare anche qui, visto che ho ripreso a scrivere questa storia e sono intenzionata a finirla!
Intanto, se avete wattpad 
(dove accedo più frequentemente in quanto seguo altre storie e pubblico messaggi in caso di problemi con gli aggiornamenti), potete trovare il mio profilo qui per potermi seguire, o aggiungere questa storia alla vostra biblioteca. Voti e commenti sono sempre graditi! 
Un bacio a tutti!
Glo.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro ***


 

Capitolo quattro

“E possibilità d’amore e gloria
mi s’affacciano al cuore e me lo gonfiano.
[...]
Io sono ancora giovane e inesperto
col cuore pronto a far follie.”
 
[Camillo Sbarbaro, Io che come un sonnambulo cammino]



 
Non avevo chiuso occhio tutta notte.
Lily mi aveva buttato fuori dalla mia stanza senza maglia, lasciandomi gelare sul divano con una vecchia coperta dal forte odore di muffa buttata addosso.
Continuavo a fissare il soffitto e a pensare a quello sguardo di ghiaccio. Poco prima che mi chiudesse la porta in faccia le avevo proposto di dormire assieme, stringerci nel mio letto da una pizza e mezzo. Lei mi aveva guardato a lungo, con quelle gemme trasparenti, e poi aveva riso nervosamente; avevo avuto a malapena il tempo di ammirare il triangolo di pelle bianca nello scollo della mia polo sbottonata prima che la porta si chiudesse veloce. Lo scatto della chiave era un chiaro messaggio: non voleva essere disturbata.
Avevo rispettato questa sua volontà come se fosse sacra. In effetti mi stupivo persino io di me stesso per non aver insistito, per non essere rimasto lì, dietro la porta, in attessa che la riaprisse, supplicandola di farmi entrare.
La mattina sarebbe arrivata presto, io mi sarei addormentato e, quando avrei aperto gli occhi, lei avrebbe potutto essersene già andata, e l’avrei persa di nuovo.
Allora perché ero così tranquillo?
Ritornai a pensare al suo sguardo freddo. Sentivo che, in un modo o nell’altro, le risposte di cui avevo bisogno fossero tutte lì, in quello sguardo; era colpa di quest’ultimo, dopotutto, se ero così preso da lei, ma era anche merito di quest’ultimo se lei era così lontana nonostante ci separassero pochi metri e una porta di legno tutta ammaccata.
Cosa si nascondeva dietro di esso, però, non lo capii. Non capii cosa fosse ciò che mi faceva sentire così attratto da lei e al contempo così distante, ciò che mi aveva stregato sin dal primo istante in cui miei occhi avevano incontarto i suoi, su quella terrazza in compagnia di sigarette che sfrigolavano come piccoli fuochi in quel gelo mattutino che avevo sentito invadermi dentro fino alle ossa.
Mi addormentai così, con il collo storto e l’immagine di quella mattina stampata sotto le palpebre.
 
La mattina dopo fui svegliato da un gran fracasso. Aprii gli occhi e buttai all’aria la coperta, saltando in piedi in un nanosecondo. Macinai volecemente il paio di metri che mi dividevano dalla cucina e lì, sulla soglia, vidi Lily: era in piedi dietro un mucchietto di piatti rotti, con le mani fra i capelli e gli occhi chiusi, sigillati. Leggermente piegata in avanti, sembrava tremare. Spaventato, schivai i cocci e la raggiunsi.
« Lily, tutto bene? »
Lei non mi rispose. Rimase con le mani fra i capelli, in piedi, leggermente sporta in avanti.
« Lily? »
Alzò lo sguardo su di me lentamente, mi guardò persa: i suoi occhi erano rossi e lucidi, il suo labbro inferiore tremava. Feci per allargare le braccia e abbracciarla, quando lei aprì la bocca e cacciò un urlo agghiacciante.
Quell’urlo mi perforò i timpani, mi entrò fin dentro le ossa. Durò una manciata di secondi, ma sembrarono secoli. E io la guardai, incredulo, senza capire cosa stesse facendo. Quando richiuse la bocca prese un coccio e me lo puntò contro, intimandomi a gran voce: « Stammi lontano! Non ti avvicinare, altrimenti questo te lo ficco in gola. »
Io la guardai ancora più scombussolato. Cosa stava dicendo? Aveva gli occhi da pazza, quella mattina, mi guardavano fissi mentre annaspava e stringeva il coccio così forte da tagliarsi i palmi, vedevo il sangue colare dalle sue mani.
« Ehi, calma, sono io. »
Lei continuò a puntarmi contro il frammento di porcellana, mantenendo il suo sguardo ostile.
« Sono Jack – continuai, scoccando veloci occhiate all’ambiente circostante, cercando un’arma di difesa nonostante non avessi alcuna intenzione di farle del male – Jacky Jack. Ti ho portata qui ieri sera, eri troppo sbronza per ricordarti dove abitassi. Ti puoi fidare di me, ricordi? Te l’ho promesso, che non ti avrei fatto niente. »
Dissi tutto con calma, misurando il mio tono di voce, i miei movimenti. Il suo muro d’ostilità parve crollare un poco quando sentì il nomignolo che lei stessa mi aveva affibiato la sera prima; Le sue mani, però, continuavano a stringere il frammento di piatto, puntandolo contro di me.
« Cosa mi garantisce che hai mantenuto quella promessa? »
Mi venne quasi da ridere, quando me lo chiese. Fu quello che feci, in fondo: risi. Scoppiai a ridere di gusto, e lei mi guardò disorientata, abbassando pian piano l’arma e fissandomi perplessa.  Risi forte senza nemmeno sapere il perché, reggendomi lo stomaco, buttando la testa all’indietro; Lily mi seguì poco dopo. Esitante, ma mi seguì. Finimmo per ridere assieme, come stupidi. Riempimmo quella stanza di risate, così, senza un vero e proprio motivo per farlo.
 
« Scusa se ho dubitato di te. »
Scrollai le spalle, continuando a fissare il televisore che trasmetteva il telegiornale. « Tranquilla, è tutto okay. »
Lei tacque per un attimo e io, con la coda dell’occhio, la guardai: aveva abbassato lo sguardo sulla tazza di caffé, si stava mordicchiando un labbro.
« E scusami anche per le scarpe, per il calcio e per i piatti. »
Stavolta mi voltai verso di lei del tutto. Mi misi composto sulla sedia e la guardai: eravamo seduti uno di fronte all’altra, lei aveva i capelli umidi per la doccia e i vestiti della sera prima, più una mia felpa buttata addosso che la faceva sembrare ancora più piccola e fragile.  Il suo viso era pallido e i suoi occhi spiccavano ancora di più su di esso, senza tutto quel trucco. Era molto più bella così, pensai in quel momento, ma poi scacciai quel pensiero scuotendo la testa.
« Non c’è alcun problema, te l’ho detto. »
Lei annuì e si voltò verso la finestra: fuori il cielo era nuvoloso, grigio e bianco, si rifletteva nei suoi occhi. Io continuai a guardare il televisore, facendo finta di essere interessato alle notizie.
Finimmo i nostri caffè, finimmo il silenzio che c’era fra noi: la bocca mi si era riempita di parole che avevo bisogno di dire, domande che mi premeva farle; eppure nessuna sopravvisse quando i nostri sguardi si incrociarono, così, per caso. Rimasi imbambolato a guardarla, mentre lei sorrideva timidamente a quella coincidenza.
« Sei stato fin troppo paziente, con me. Mi stupisce che tu non mi abbia ancora buttato fuori a calci. – Si morse il labbro forte, stavolta, stringendosi nelle spalle – Devo averti terrorizzato, prima. »
« Oh no, per niente. Cioè, più che altro mi ero preoccupato per te, ma non mi hai spaventato. »
« Perché? » domandò lei, guardandomi senza capire.
Io ridacchiai. « Ho visto molto di peggio... » feci per dire, ma lei mi bloccò, scuotendo la testa. « No, non quello. Hai detto... Hai detto che ti sei preoccupato per me. Perché? »
La guardai per qualche secondo, in silenzio, soppesando le sue parole e il tono esitante con cui mi aveva porto quella domanda. Lei mi guardava con un filo d’ansia nello sguardo, tamburellando le dita bianche sulla tazza che aveva tra le mani.
« Eri messa davvero male... »
« Ma mi conosci a malapena! »
Le sorrisi. « Questo è vero, ma... »
« Ma? »
Presi tempo, prima di risponderle. La guardai a lungo. « Niente, lascia stare. Più che altro, tu, perché ti reggevi la testa con le mani, e perché hai urlato quando mi hai visto? »
Lily abbassò lo sguardo e deglutì. Aveva le labbra sottili e rosse, in netto contrasto con la pelle bianca e i capelli chiarissimi dai riflessi dorati. Sembrava sovrappensiero, come se quella domanda l’avesse turbata; mi rispose solo dopo qualche secondo, sospirando e rilassando le spalle prima di sorridermi e dire: « Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti. »

 

Gloria c'è e non c'è in questo periodo.
C'è perché oggi pomeriggio al posto di studiare storia dell'arte è al computer che aggiorna questa fan fiction mentre guarda How I Met You Mother,  e ieri al posto di studiare filosofia ha continuato a scrivere questa fan fiction, e si è accorta che avrà un massimo di quindici capitoli e sta venendo fuori una storia piuttosto banale, a suo parere, ma preverisce che siate voi a deciderlo.
Così ho aggiornato, e spero tantissimo che questo capitolo (che credo sia uno dei più belli che io abbia mai scritto) vi sia piaciuto. 
Per ogni altra cosa, come sempre, io sono qui dietro questo schermo. 
E, come sempre, le recensioni sono più che apprezzate!
Baci! 

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque ***


          Capitolo Cinque
 
 

But she can't be what you need
if she's seventeen,
they're just girls,
just girls.

[The 1975, Girls]
 

Lily dormiva quando uscii di casa: ero rimasto a guardarla finché i suoi occhi si erano fatti così stanchi da chiudersi, e la sua mano che stringeva la mia aveva mollato la presa. Era stata lei stessa a dirmi: « So che è un po' strano chiedertelo, ma non lasciarmi sola » e il tono un po' impaurito che aveva usato mi aveva chiuso la bocca, impedendomi di farle domande.
In quel momento ero fuori, con le chiavi in mano: prima di uscire mi ero assicurato che tutte le finestre fossero chiuse, le serrande della camera abbassate, la lampada sul comò accesa e, sotto di essa, abbastanza sigarette da compensare la mia assenza nel caso si fosse svegliata prima del mio ritorno. Avevo un brutto presentimento addosso, ma non ci feci caso quando salii sulla macchina e partii veloce, alla volta della casa di Logan. Dopo tutto quello che era successo non potevo più mentirgli, e qualcosa di inspiegabile dentro di me continuava a ripetermi che avevo bisogno d'aiuto, che da solo non ce l'avrei fatta.
« Jack? » Megan stava sulla porta, i capelli rossi scompigliati e il trucco sbavato. Aveva perso uno dei suoi orecchini a cerchio, ma non glielo feci notare per non mandarla in panico già di prima mattina. Le accennai un sorriso, non riuscendo però a nascondere del tutto l'ansia che avevo in corpo, e sbirciando oltre lei le chiesi dove fosse il mio amico.
Lei si scostò, mi fece passare. Quando chiuse la porta alle mie spalle mi indicò Dennis buttato mollemente sul divano, con due ragazze accovacciate su di lui, tutti immersi in uno scomodo e sfinito sonno. Mi intimò di fare silenzio e mi fece strada verso le scale, che portavano alla camera di Logan dove lui stava dormendo sul letto, un braccio disteso e l'altro abbandonato oltre il materasso, con una sigaretta spenta incastrata tra le dita. Tra le lenzuola bianche che gli coprivano le gambe intravidi sporgere un orecchino uguale a quello che Megan aveva addosso, e tra me e me sorrisi, pensando che il mio fratellino aveva seguito il mio consiglio.
La ragazza che mi aveva guidato fino a lì si strinse imbarazzata nella felpa, fece un piccolo colpo di tosse e mormorò un: « Vi lascio soli » prima di dileguarsi velocemente. Chiusi la porta, presi la bottiglia di birra semivuota che trovai per terra e rovesciai il contenuto rimanente in faccia al mio amico, che si svegliò annaspando e muovendo le braccia convulsamente.
« Affogo! » urlò, e io scoppiai a ridere. Quando si accorse che ero stato io prese il cuscino fradicio e me lo tirò in faccia, prima di alzarsi, afferrare i boxer appesi chissà come alla mensola vicino al letto e infilarseli velocemente.
« Questo era per non avermi lasciato nemmeno un personal » lo informai, alzandomi e posando la bottiglia ormai vuota sul comodino. Logan si scompigliò i capelli e buttò gli occhi al cielo: « Sei venuto solo per questa fottuta e spiacevole vendetta, vero? »
Ridacchiai, presi l'orecchino tra le lenzuola e lo alzai davanti ai suoi occhi: « In realtà no, era anche per constatare che hai seguito i miei consigli, da bravo bimbo. »
« Oh, andiamo – protestò lui, strappandomi il gioiello dalle mani – ero fatto e ubriaco, volevi anche che distinguessi chi era chi? Pensavo di aver azzeccato quella giusta. »
« Disse quello che anche con gli occhi bendati riesce a precisare chi è Megan e chi Kathryn. »
« Solo perché Megan dice il mio nome in modo strano. »
« Allora mi dispiace che tu ti sia accorto dell'errore solo troppo tardi... – sghignazzai, tornando però serio subito dopo – Sempre che tu sia riuscito a farla urlare. »
Logan alzò le braccia, un sorrisetto apparve anche sul suo viso. « Di questo non ti devi preoccupare, amico. L'ho fatta urlare così tanto che ora è senza voce. »
Ripensai alla Megan che mi aveva aperto la porta, le poche parole che mi aveva riservato e sghignazzai ancora, dando una pacca sulla spalla del mio amico e tornando tutt'ad un colpo serio. Logan afferrò una maglietta dal pavimento, annusandola per constatare se aveva un odore accettabile per mettersela addosso, ma la scartò con una smorfia, buttandosela alle spalle. Non mi aveva ancora guardato in faccia, non aveva potuto leggere il mio puro turbamento. Forse fu per questo che, con noncuranza, passandosi fra le mani altre magliette, mi chiese: « E tu? Come sei andato stanotte? Le hai fatto vedere le stelle? »
« La situazione è seria, Logan. »
Lui si voltò finalmente verso di me, gli occhi ridotti a una fessura e le sopracciglia increspate. Si prese qualche secondo per esaminare il mio sguardo, rigirandosi tra le mani l'ennesima maglietta senza accorgersi che era la stessa che aveva testato per prima.
« Cosa è successo? »
« Da dove preferisci che inizi? » dissi stancamente, buttandomi tra le lenzuola ancora bagnate di birra. Poi ricordai chi c'era in quel letto fino a qualche ora prima e soprattutto quello che avevano fatto lì, e mi rialzai di scatto. Logan ridacchiò e alzò gli occhi al cielo, mormorando un: « Sei il solito schizzinoso ». Buttò in un angolo le magliette che aveva lì vicino e ne prese una nuova dall'armadio. « Senti, non so la storia strappalacrime che hai da raccontarmi, quindi non posso dirti se iniziare da Carmencita o da Soledad – non mi vide ridere, quindi sospirò forte, rendendosi conto della gravità della situazione – Ma io ho un post-sbronza che fa paura e una chimica che mi sta mangiando le viscere, e non so se vomitare o mangiarmi le mani. Facciamo che andiamo a prendere un po' d'aria e tu, con calma, parti dall'inizio? »
Lo guardai in silenzio, le labbra sigillate in una riga dritta; certo, la maggior parte delle volte ero io a fargli discorsi del genere, ma non poteva negare il fatto che Logan sapeva prendere le redini dalle mie mani quando mi vedeva sbandare. Ero sì ancora indeciso se dirgli tutto o scappare a casa da Lily che, di certo, si era sicuramente già svegliata, ma sentivo un peso sullo stomaco che non mi dava pace, e mille pensieri affollarmi la mente.
Sentivo che c'era qualcosa che stavo trascurando. Qualcosa di importante, e lo stavo lasciando scivolare via dalle mie dita senza averlo ancora esaminato, riconosciuto; guardavo gli occhi chiari di Logan come se in essi potessi trovare la risposta a tutto, affogando disperato in essi.
« Jack, ci sei? »
Feci scorrere le immagini delle tre Lily che avevo conosciuto: la fumatrice pacata e dagli occhi dolci, l'ubriaca mezza matta e bambina, la paranoica in preda a crisi isteriche; erano tre persone diverse, e avrei giurato di aver visto il suo sguardo di ghiaccio prendere sfumature diverse tutte le volte.
Eppure non ero spaventato. Non lo ero affatto, come se fosse normale aver conosciuto tre lati diversi di una stessa persona.
Forse non lo ero perché, in tutti i casi, il mio cuore non aveva cambiato frequenza: aveva battutto all'impazzata tutte le volte che avevo incontrato i suoi occhi, che avevo esaminato la curva del suo collo, delle sue labbra.
E ancora non l'avevo baciata.
« Amico, secondo me tu non stai bene. »
« No, non sto bene. Usciamo da questo fottuto pisciatoio, devo cominciare dall'inizio. »
Raccontai tutto, da quando l'avevo incontrata su quel tetto fino alla crisi di quella mattina, non escludendo tutto il periodo in cui avevo sperato di rivederla, avevo continuato a cercarla tra la gente, cercando di negare a me stesso che non me ne importasse niente.
Logan mangiò in silenzio, lentamente, guardandomi a lungo e, di tanto in tanto, perdendosi nei suoi pensieri.
Quando finii aspettò qualche minuto prima di aprir bocca. Io guardai il suo vassoio pieno di tovaglioli e cartoni di hamburger vuoti, poi il mio con quel cheeseburgher mangiucchiato a metà.
« Sei una testa di cazzo. »
« Cosa? »
Logan mi guardò di nuovo e mi sorrise. Si portò le mani alla nuca e si stiracchiò sulla sedia, ridendo da solo. Stavo per dirgli che ero stanco di crisi di pazzia, di fare il serio per una volta, ma lui mi precedette e mi tolse le parole di bocca.
« Sei una testa di cazzo, perché potevi dirmelo subito. Però adesso finisci quel panino in fretta, e andiamo a trovare questa ragazza, capire chi è e cos'ha. »

 
 


 

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