If I read your soul

di Ibizase80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ticchettio dell'orologio ***
Capitolo 2: *** Il drappo cobalto ***
Capitolo 3: *** ...Che luce sia! ***



Capitolo 1
*** Il ticchettio dell'orologio ***


Note dell'autrice:
Bene, ecco il primo capitolo della mia prima fanfiction "seria"(?).
Spero vi piaccia! E vi invogli a continuare a leggere, ovvio! :)



 Tip tap. Tip tap. I passi risuonano per il corridoio.
Tip tap. Lo attraversano.
Tip tap. Le mani si scontrano con la gonna del vestito. Ruvida.
Osservo il pavimento, e i capelli cadono verso il basso.
- Ammaccato.-
Lo fisso per qualche attimo, per poi sollevare la testa e proseguire.
I servi. Sono stati loro, è praticamente ovvio. Per un occhio stolto. So benissimo chi è stato.
 
Cammino per due, tre stanze.
L’ammaccatura…non è di vassoio, né di un piatto. La cucina è dall’altra parte. No, impossibile.
Il mio sguardo attraversa la porta. Appoggio la mano sulla maniglia della porta, che cigola.
“Non si può fare neanche più un’entrata ad effetto”.
Socchiudo per qualche secondo gli occhi, analizzando mentalmente la stanza. Non è qui.
La mia mano sinistra scosta la porta. Dove può essere finito?
Guardo la poltrona. La coperta accanto ad essa non è ancora stata piegata dalla servitù. Tempi recenti, quindi.
Mi appoggio qualche attimo al caminetto, cercando di percepire un minimo di tepore per le mie mani pallide.
Esco dalla stanza. Il vestito struscia contro la porta. E io sbuffo.
 
Continuo il mio percorso con passo veloce, e mi blocco di colpo. Giro la testa.
Il nascondino è finito.
Giro il pomello ed entro, fissando un punto diretto. Scacco matto.
Eccolo lì, seduto sulla poltrona, accanto al caminetto, con le gambe incrociate e la testa china.
La biblioteca, ovvio.
Alza la testa appena per guardarmi.
- Buongiorno sorellina!-
 
No, Non ancora. Non chiamarmi così. NON SONO la tua sorellina, né voglio esserlo.
Drizza il collo e appoggia il libro sulle gambe. Mi guarda e sorride.
Odio quel sorriso.
Stai fingendo. Come sempre.
 
- Come mai da queste parti?-
 
Non aspetti neanche la mia risposta?
Gentile da parte tua. Inizi a conoscermi troppo bene. E la cosa mi dà alquanto fastidio.
Mi distolgo dai miei pensieri, e lo fisso qualche attimo.
Sì, un ebete.
 
- Il pavimento.-
- In che senso?-
- Il pavimento, nel corridoio della servitù. E’ ammaccato.-
 
Scoppi in una risatina e riprendi il tuo libro tra le mani.
Sapevo lo avresti fatto.
Mi avvicino, allungo la mano e prendo il libro.
Mi guardi come fossi uscita di senno. O almeno credo.
Giro il libro tra le mani, e il mio dito incappa in quello che cercavo. Un’ ammaccatura.
Ammaccato. Anche il libro. Lo sapevo.
 
- Sei stato tu.-
- A far cosa?-
- Ad ammaccare il pavimento, ovvio.-
- Come puoi esserne sicura?-
 
Ti guardo negli occhi. Quello sguardo. Lo conosco.
Lo usi quando brandisci la spada. O quando semplicemente vuoi stuzzicarmi. Lo odio.
Mi stai sfidando, per caso?
Faccio scorrere le dita tra le pagine giallastre.
Bene. E sia.
 
- L’ammaccatura non è pesante quale potrebbe essere quella di un vassoio. O di un piatto da portata.-
 
Faccio ondulare i capelli. Giro il libro dalla parte opposta.
Mi guardi interessato.
 
- Continua.-
- Nel pavimento, oltre all’ammaccatura erano presenti alcuni graffi sulle piastrelle. Vuol dire che “l’oggetto” è stato trascinato. E i graffi erano equidistanti. Come questo libro.-
- Mh… e come saresti arrivata a me?-
- La sala accanto al corridoio. Ha la stessa poltrona- indicai la poltrona dietro di lui-. Tra l’altro è la tua preferita.-
- Va bene, hai vinto tu!”
 
Si alza dalla poltrona, e mi appoggia la mano destra sulla testa. Sorridi di nuovo. Mi dà sui nervi.
 
- E’ impressionante come ti attivi per una cosa così inutile!-
 
Per me non è inutile. Per te è inutile. A te non interessa nulla.
 
- Vorrà dire che mi interesso di cose inutili.-
 
Stento un tonfo. Probabilmente il mio orgoglio. Stringo i denti, offesa.
 
- Ah, nostro padre credo volesse parlarti.- dici, riprendendoti il libro e rimettendolo al suo posto.
 
E’ TUO padre. Non il mio. Io sono un’intrusa. Non sono parte della tua famiglia – e credo mai lo sarò. Se lo sono considerata è un’altra questione. E non voglio essere considerata parte della tua, della vostra, assurda esistenza. Non sono come voi, e non voglio esserlo. Penso sia l’unica cosa che vorrei urlare. Ma probabilmente nessuno mi sentirebbe, o semplicemente ascolterebbe. Sono inutile. Se non per queste capacità. Per voi, per chiunque abiti qui.
Ma alla fine non mi interessa.
 
Mi stai fissando. Alzo lo sguardo, e dopo alcuni attimi formulo la domanda:
-Perché mai?
 
So che speravi te lo chiedessi. Ma tu mi ignori, come tuo solito – anche se non lo ammetterai mai.
Mi tocca. Chiamarti per nome.
 
- Rudolph.
- Sì?
 
Sei peggio dei bambini. E’ odioso.
 
- Perché il Duca desidera vedermi?
 
Ridi. Non ti vedo, ma ne sono sicura. Stai ridendo.
Sei odioso.
 
-Qualcosa riguardo un ballo…ma non ne sono sicuro, sarebbe meglio tu andassi a sentire.-
 
Cosa? No. Oh no. I balli no. Un ballo no. Non possono farmi questo. Lo sanno. Lo sanno che odio i balli. Che odio stare a contatto con le persone, persone mai viste prima. E’ una delle cose che più mi snerva.
 
- …Allora vado.-
- Bene, poi fammi sapere!
Perché mai dovrei? Il tuo caro padre non ti dice nulla?
 
- Va bene. E per la…-
- Glielo dirò io, non preoccuparti.-
Mi sorridi. Ancora.
Per oggi basta, è troppo.
 
Come sono arrivata qui? Un’ ammaccatura? Nel pavimento della servitù? Potevo non pensarci, effettivamente. Ma è più forte di me…ogni mistero deve avere la sua soluzione. Ogni persona la sua strada, e captarla.
Forse è per questo che…sono sola. Non che mi spiaccia. Preferisco essere sola, che circondata da persone simili.
 
Mi avvicino alla porta.
- Ciao Elizabeth!-
- A più tardi.-
Me ne vado senza aggiungere altro. Perché mai dovrei.
 
Odioso, ecco cosa penso.
Vorrei davvero poter dirglielo in faccia, un giorno.
 
Qualcuno potrebbe dire che Rudolph non faccia nulla di male. Ma l‘ho guardato tante volte in faccia. Sia da piccola che ora. Sia quando lui pensava non ci fossi.
Se sei capace di tanta falsità, non capisco perché non potrei esserne capace anche io.
 
Rimango qualche attimo fuori dalla porta. La curiosità mi assale. Sento qualcosa.
Una risata. Sommessa, ma una risata.
Immagino il tuo viso, in questo momento. Disegnato da una smorfia.
Ti piacerebbe fossi talmente stolta da non capirlo.
Ma, fratellone, sappi che la tua sorellina è più furba di te.
 
Mi allontano velocemente, e raggiungo lo studio del Duca Stein.
La mano trema prima di bussare. Tre colpi distinti.
 
Un tuono dall’oltretomba mi permette di entrare.
 
Appoggio la mano, ancora tremante, sulla maniglia.
 
“Elizabeth, non commettere alcun errore. Ricordatene.”
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Il drappo cobalto ***


Note dell'autrice:
Ho pensato di aggiungere un secondo capitolo. Già. 
Non potevo rimanere col punto interrogativo...sì, io 
...spero vi piaccia! :)



-Forza, entra.-
 
Avanzo lentamente verso il tavolo.
Pieno di scartoffie. Macchiato d’inchiostro all’ estrema destra. Me lo ricordo bene.
- Buongiorno- dico, con voce appena roca.
Quando il Duca mi chiama nel suo studio privato c’è sempre qualcosa di scomodo. Da eseguire. Per me, ovviamente.
-Grazie per essere venuta subito – fa, alzandosi dalla poltrona – avevo un urgente bisogno di parlarvi.
Come? Con me?
Drizzo le spalle. Un gesto involontario, ma credo necessario. Le mie mani si stringono in un pugno.
Emetto un sospiro.
Uh, bene. Suppongo.
Il Duca rimane in silenzio.
Allungo un occhio sulle carte sopra la scrivania: “ESEGUITO”.
Il timbro esibiva bene quello che indicava: l’andamento dell’ultima missione di cattura delle Chain.
Guardo meglio. Conosco quel foglio.
Alzo appena le punte dei piedi. Eccola.
La mia firma.
La missioni è andata secondo i piani, dunque.
Perfetto.
La perfezione è una delle mie caratteristiche. Amo essere precisa. Amo controllare ogni minimo particolare. Ogni minimo dettaglio. Deve essere al suo posto.
Questa volta è stato un lavoro abbastanza complesso. Ogni Chain ha la sua particolarità, e i suoi punti deboli. E sta a me decifrarli. Solo io, nel Ducato, sono in grado di compiere un lavoro simile. Solamente Elizabeth riesce a vedere la Chain. Nella sua pienezza. E l’unica che riesce a vedere il suo interno. Le sue reazioni, le sue paure, le sue forze…la cosiddetta anima.
Questo non solo con le Chain. Anche con gli esseri umani.
Ma, a differenza degli esseri mostruosi, per me decifrare l’anima di un umano può essere molto più difficile. E confusionario. Prova emozioni contrastanti nello stesso istante, pensa molte cose insieme senza concluderne nessuna…preferisco l’analisi visiva, quella che posso concludere studiando l’aspetto e il comportamento di una persona. Se ha il dito a scatto o no. La forma delle sopracciglia. Qualche tic che passerebbe inosservato a chiunque. Forse è questo l’unico motivo perché, nella mia solitudine, continuo a vivere con delle persone. Per studiarle.
A cosa mi servirebbero, altrimenti?
 
La domestica, molti anni fa, mi disse ero una ragazzina sola. Strana. E in parte crudele.
Fossi stata perspicace, in quella tenera età, credo le avrei riso in faccia.
L’essere crudele è quello che prova piacere nel dolore degli altri. Felicità, vittoria, gloria, ai danni altrui.
Non sono così.
Io non provo semplicemente alcun sentimento.
E’ alquanto semplice la cosa.
Ma la cosa che mi costò tutto questo è un’altra.
 
- Come credo avrete già capito, l’ultima cattura è andata a buon fine.-
Analisi esatta, dunque.
Perfetto.
- Vi ho fatto chiamare per ringraziarvi del vostro operato, ovviamente, e per proporvi un’altra cosa.-
Ringraziare me? Da quanto tempo non accade più una cosa simile?
Accenno un inchino. Non sarò troppo misericordiosa.
- Di cosa si tratta?-
Strano a dirsi, ma sta iniziando a incuriosirmi. Più che altro perché spero ardentemente Rudolph si sia confuso con qualche libro letto recentemente. Solitamente succede.
Che idiota.
- Si tratta di questo.-
Allunga il braccio; la mano callosa tiene una busta.
La prendo con delicatezza, per non dare cattiva impressione. Se prendessi la busta con il tocco deciso a me solito sembrerei poco interessata. Frenetica. E altre regole e studi comportamentali che non mi si addicono. E non posso sotto gli occhi del Duca.
Falsità? Non credo.
- Apritela - mi ordina.
Alzo appena lo sguardo e muovo la testa. I capelli rotolano sulle spalle.
Infilo l’indice destro sotto il lembo della busta, e lo alzo con decisione.
Sfilo dal suo interno il contenuto. Una lettera. Decorata agli angoli. Decori rosati. Assomiglia quasi…quasi…no. Non può essere vero.
Non può.
- Ho deciso di mandarvi, insieme a Rudolph, in rappresentanza.-
Ehm, scusatemi? Non ho capito bene.
Come se fosse ovvio io voglia. La mia volontà non è da trascurare, ne siete cosciente, caro Duca?
Avrei voglia di sospirare. Un sospiro carico di rabbia nascosta.
Ma tanto non servirebbe a nulla.
- Potete avvertire voi Rudolph?-
- Sì, senz’altro. -
- Grazie. Potete andare. –
Mi ha anche ringraziato.Una seconda volta. Cosa che non doveva assolutamente fare. Per la sua incolumità futura.
Faccio un inchino e mi ritrovo fuori dalla porta.
Posso urlare? Solo una parola? O anche altre, volendo.
Ma ne basta una.
“NO”.
 
Busso.
- Avanti. -
Spalanco la porta. Anche se in modo stranamente aggraziato. Per il momento che sto passando.
- Ah, sei tu! -
“E chi doveva essere” provo a pensare, mentre lo guardo appoggiare il libro sul bracciolo della sua adorata poltrona.
- Cos’è quella faccia? – prova a dirmi, ridacchiando.
Per favore, non sono in vena. Neanche di pensare in qualche modo alla risposta al tuo sguardo, che non avrei probabilmente formulato.
Allungo il braccio. La busta è acciaccata.
Forse sono così provata che le mie mani, i miei occhi, l’hanno aperta, letta centinaia di volte. Senza che me ne rendessi conto.
Rudolph la preleva dalle mie mani, e la studia esternamente.
Legge l’interno.
 
 
- Un ballo? Ma è fantastico!-
N-non pronunciare quella parola. Quella medesima parola. E’ scritta. L’ho letta. Riletta. Non voglio sentirla ancora. Le mie mani sudano.
F-fantastico? NO, NON LO E’. Non sopporto quella parola. Non voglio sentirla. Non voglio risentirla di nuovo.
Sono stranamente nervosa.
-  Dal tuo ballo non hai mai partecipato a nessun altro, vero?-
Ah, intendi quella cosa fatta uno, due anni fa.
Se lo ritieni divertente, per me non lo è stato. Tutte quelle persone. Quegli sconosciuti.
T-troppi. Erano troppi. Troppi per essere studiati con attenzione, per percepire i loro dettagli. Le loro particolarità. TROPPI.
Tutti a nominarmi. Chiamarmi. “Elizabeth, ormai sei adulta!”
Lo sono sempre stata. Sempre più della gente che mi ha circondato. Tutti questi anni. Non ho bisogno di un ballo per sapere di essere adulta. Non come le ragazze della mia età, che vanno sfoggiando abiti sfarzosi ed eleganti. Che hanno bisogno di essere al centro dell’attenzione per capirlo. Posso farlo benissimo da sola.
- Ci saranno tutti i ducati, stupendo! -
Basta. Questi aggettivi mi danno sui nervi. Non è bello. Non è fantastico. E’…è…
Ho bisogno di sedermi. Mi siedo sulla poltrona opposta a quella di Rudolph. Mentre lui guarda estasiato l’invito, io sono mentalmente nel disordine totale.
Io…non voglio. Non voglio. E’…contro la mia volontà, non possono farlo.
So che lo sto facendo per auto convincermi.
“Elizabeth, è inutile. Non ascolteranno mai la tua volontà.”
Mi sento osservata. Alzo la testa, giusto per intravedere Rudolph. Mi sta guardando.
- Qualcosa non va? -
Scuoto la testa. Devo cacciar via tutti questi pensieri inutili. Alzo lo sguardo.
 
Il sole mi da’ fastidio.
A dire il vero, non mi ero mai accorta oggi ci fosse il sole.
Strofino dolcemente le dita sugli occhi.
-No, non preoccuparti.-
Cosa ho detto? Non preoccuparti? Sul serio? Potevo ampliamente risparmiarmelo.
Abbasso il viso in avanti. Guardo la gonna del mio vestito.
E’ blu cobalto, quello?
- No, è che mi sembra non abbia preso troppo bene questa novità.-
Se ne è reso conto? Sul serio?
Appoggio i gomiti sulla gonna. Chiudo la mano destra in un pugno, e la sinistra a sovrapporla.
Finalmente sospiro.
Un sospiro eterno.
Sento il pavimento cigolare. Dei passi che si muovono verso di me.
Una mano sulla mia testa.
No. Non toccarmi.
Alzo la testa di scatto. Mi alzo improvvisamente.
Drizzo le spalle. Questa volta un movimento più che volontario, anche se inutile.
Giro la testa.
Rudolph mi guarda stupefatto.
Esco dalla stanza senza dire una parola.
Sento uno strappo. Nelle mie orecchie risuona un tuono, anche se fuori c’è il sole.
 
Il mio orgoglio. Chissà se si romperà mai abbastanza.

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Capitolo 3
*** ...Che luce sia! ***


Attraverso velocemente il corridoio.
 
Mi sento offesa. Anche se non dovrei esserlo.
 
Apro la porta della mia stanza. La chiudo a chiave. Non voglio vedere nessuno.
Mi blocco, appoggiandomi a peso morto sul muro. Scendo lentamente. Mi siedo a terra.
 
“Siete invitato all’ annuale ballo organizzato dai Ducati di Pandora.
 
Saremmo davvero onorati della vostra presenza.
 
La festa di terrà la sera del 3 Marzo nella sede di Pandora.
 
Cordiali saluti,
                                                       L’organizzazione di Pandora.”
 
Perché devo andare? Perché proprio io?
Non capisco.
Non sono mai stata considerata per cose simili… perché proprio ora?
 
Sono secoli che non partecipo più ad un ballo. O generalmente a una festa della società. Non saprei neanche come comportarmi. Esiste il galateo, va bene, ma devo far attenzione anche all’aspetto esteriore. Il comportamento. La postura. Non devo far sfigurare il Ducato Stein.
E’ il Ducato più misterioso e nascosto di Pandora. Nessuno sa come si sia formato. Chi vi è all’interno. Già è tanto si sappia il nome del suo membro principale. Ludwing Stein.
Poi tutto il resto è una domanda continua.
I suoi membri. Come agisce.
Ne sono cosciente, io che vivo ogni giorno questo clima chiuso e opprimente. Ma alla fine ho con me me stessa, e quello che accade intorno a me può anche non esistere.
 
Può sembrare una stupidaggine, ma credo mi sappia fare molta più compagnia quale potrebbe farmi una persona qualunque. Mi conosco. Questa è la cosa importante.
Una persona impiegherebbe secoli a captare i miei gusti, i miei ragionamenti, il mio modo di agire.
Io lo so già. So tutto.
Non sto a sprecare tempo con esseri che non mi capirebbero.
 
Chiudo gli occhi. Mi sento frastornata.
I miei pensieri corrono più veloci di me.
Come il solito.
 
Mi alzo in piedi. Sistemo l’abito sgualcito ai lati. Alzo le palpebre.
La finestra è ancora chiusa?
Effettivamente la stanza è buia, se non per qualche spiraglio di luce.
Muovo qualche passo. Prendo con entrambi le mani la tenda. La faccio scorrere piano.
La luce penetra lentamente.
Guardo attraverso il vetro appannato.
Il cielo si è annuvolato.
 
Sciolgo con la mano destra il fiocco dietro la nuca, e i capelli cadono sulle spalle. Ondulano leggermente. Tengo per qualche attimo il nastro tra le dita. Lucido.
Mi giro e avanzo verso la scrivania. Osservo le scartoffie. Sono in ordine.
Come sempre.
Mi siedo sul seggiolino. Analizzo la pila di libri sul tavolo.
Mh, dove sarà mai?
Passo con l’indice della mano sinistra tutti i titoli.
Questi libri… non c’erano, l’ultima volta.
Ce li ha messi Rudolph. Solo lui potrebbe amare scritti simili.
Cerco il mio libro. Sbuffo.
Scorro ancora le copertine. Deve esserci.
Mi blocco improvvisamente. Trovato.
Lo prendo, e lo giro tra le mani. Era da tanto tempo che non lo cercavo. Forse da una o due settimane.
Sfoglio le pagine ingiallite. So benissimo di cosa tratta. Ogni parola è ben fissa nella mia mente. Ogni passaggio. Ogni dubbio, ogni incertezza dei protagonisti. Del protagonista. Anche se di incertezze ne ha ben poche. Anche se ne ha…uno dei pochi libri, credo.
Mi chiedo perché lo abbia tirato fuori di nuovo, se so benissimo che la perfezione manca.
Forse perché…anche io non…NO.
Scaccio dalla mente questo pensiero falso e irrisorio.
 
Il mio fratellastro ha provato più volte a distogliermi da letture simili, poco realistiche.
Come se i romanzi rosa, romantici e melensi che leggono le ragazze della mia età siano realistici. Ma anche no.
Mi piace il mio modo di pensare, non lo cambierei mai. Soprattutto se Rudolph desidera il contrario. Motivo in più per ignorarlo completamente.
Ha provato anche a dire che il mio libro adorato sia poco interessante, e che il titolo non sia un di più, e che sia troppo simile alla realtà. Per tutta risposta quella volta alzai le spalle con noncuranza “Non mi interessa, quello che è davvero importante è il contenuto. Non si giudica un libro dalla copertina” dissi scettica. Ne sono tutt’ora più che convinta.
Lo rileggo per l’ennesima volta.
Ogni tanto penso con ironia se il Ducato Baskerville abbia mai avuto o mai avuto a che fare con un mastino.
Sarebbe divertente.
Ma, non sapendo praticamente quasi nulla degli altri ducati di Pandora, non mi è possibile constatare una cosa simile.
Appoggio il libro sulla scrivania.
Porto la mano sotto il mento.
 
“Ok, Elizabeth? Tranquillizzati.”
Un ballo non è la morte.
Almeno non così, su due piedi.
Ho ancora qualche giorno per prepararmi mentalmente. E per ragionare.
Come devo comportarmi, la scelta delle parole adatte, in quanto qualcuno potrebbe avere la strana e folle idea di parlarmi, ed altre cose alquanto inutili – per esempio il ballo, se mai qualcuno mi inviti a danzare. Spero non accada. Ma se accadesse una simile eventualità, dovrei certamente accettare.
Dovrei, penso furtivamente.
Ma per mia sfortuna, devo accettare. Non posso e devo far sfigurare il Ducato Stein.
Guardo il pendolo.
 
Va bene.
 
Accetto la sfida.
 


Angolo dell'autrice:
A quanto pare qualcuno si è deciso a prendere una bella decisione! Come la sottosritta, che finalmente aggiorna!
Anche se questo capitolo era pronto da secoli, ho deciso di pubblicarlo ora, uno per riprendere il via, e due, per farvi constatare che questo ballo non tarderà ad arrivare! 
Bene, Elisa saluta! E spero che, malgrado sia un capitolo non troppo significativo, vi sia piaciuto! :)

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