Storia di un'Ombra

di Shaneesja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - L'incontro con il Padre ***
Capitolo 2: *** Le Verità Svelate ***



Capitolo 1
*** Prologo - L'incontro con il Padre ***


Quando mi svegliai, dopo chissà quanti giorni di incoscienza, non vidi altro che oscurità intorno a me, ma potei udire chiaramente il suono attutito di passi provenire da una camera attigua a quella che occupavo.
Dopo un attimo di smarrimento, dovuto al buio che mi avvolgeva, cercai di mettermi seduta al centro del letto, ma quando i miei muscoli si contrassero sentii una fitta lancinante al braccio sinistro, un dolore che mi fece urlare a gemere.
Così ricordai quella bestia e i suoi artigli affilati che strappavanola mia carne, il suo fiato caldo e putrescente penetrarmi le narici, gli occhi iniettati di sangue che mi fissavano. Poi un violento strattone che mi fece rotolare in terra, tra i fili d’erba umidi e odorosi. E poi ancora una figura alta, imponente, che si stagliava contro la bestia affamata e ringhiante, il vociare di decine di persone intorno a me, dei colpi di arma da fuoco ed un lungo, straziante ululato…poi più nulla.
Rimasi priva di sensi per qualche ora, credo, e quando rinvenni vidi il viso di quella figura misteriosa e imponente osservarmi a lungo, mentre qualcuno, presumibilmente un medico, suturava la mia ferita. Caddi nuovamente in uno stato di incoscienza tale da indurmi un sonno senza sogni. Così dormii, tranquilla, in un morbido giaciglio con fresche lenzuola di lino leggero. Urlai di dolore e rabbia, e le mie grida allarmarono qualcuno che si precipitò nella mia camera. Il rumore di passi non era più calmo e cadenzato, chi si avvicinava era piuttosto frettoloso.
La porta si aprì inondando la stanza di un chiarore caldo e piacevole, paragonabile alla luce di mille candele. Potei notare, quando la luce divenne più forte, la pregiata fattura della mobilia presente nella camera e le pesanti cortine di velluto rosso damascato che coprivano completamente la finestra e il letto a baldacchino sul quale giacevo ancora confusa.
Un uomo alto e robusto mi si avvicinò, disse di chiamarsi Juan e che sarebbe stato al mio servizio. Lessi nei suoi occhi una malcelata preoccupazione nei miei confronti, e nello stesso istante si informò sul mio stato di salute, guardando il braccio fasciato e ponendomi una mano sulla fronte.
Risposi che stavo bene, ma che il dolore al braccio mi impediva di muovermi. Sorridendomi disse che avrebbe portato una medicina per lenire il dolore, e aggiunse che avrei dovuto mangiare prima qualcosa, poiché come medicamento era molto forte e che sicuramente mi avrebbe ulteriormente debilitata se non mi fossi nutrita.
Acconsentii immediatamente. In effetti non mangiavo da chissà quanto ed ero molto affamata.
Juan continuò dicendo che il suo padrone sarebbe stato contento di vedermi quasi guarita e sveglia, e che mi avrebbe fatto visita entro breve tempo. Detto ciò si avvicinò alla finestra, scostò le tende ed aprì le imposte, lasciando che la frescura del tardo pomeriggio mi ristorasse.
Mi lasciò dicendo che sarebbe tornato con la cena, quindi chiuse la porta ed io restai sola con i miei pensieri, immaginando il viso del mio salvatore.
Con grande sforzo riuscii a sedermi sul letto, questa volta soffocando il dolore e le urla da esso provocate. Ero ancora debole, ma la vista del sole che moriva lentamente, colorando di un bel rosso arancio le poche nubi che si muovevano in una leggera danza nel cielo azzurro, mi fece sorridere e mi tranquillizzò. Ormai la sera stava calando.
Juan, come promesso, tornò dopo circa mezz’ora con un vassoio. Vedendomi seduta si rallegrò complimentandosi per la mia prontezza di spirito, poggiò il vassoio sulle mie gambe e tolse le campane che proteggevano i piatti con le pietanze.
Una bella bistecca appena scottata faceva bella mostra di sé su un piatto di porcellana fine, sul quale era dipinto in foglia d’oro una corona, ed accompagnati ad essa vi erano dei fagiolini verdi al vapore, vari tipi di formaggio, pane bianco dal profumo fragrante e due caraffe di cristallo con vino ed acqua.
Nello stesso istante in cui, meravigliata, osservavo la quantità di cibo offertami e la regalità di posate e bicchieri, entrò lui. Non so per quanto tempo lo fissai, ipnotizzata dal suo sguardo profondo e oscuro.
Al suo ingresso Juan chinò il capo rispettosamente e si affrettò a prendere una sedia per lui, sistemandola accanto al mio letto. Quindi, ad un suo gesto, il domestico si allontanò lasciandoci soli.
Mi osservò senza parlare mentre con fare elegante mi porse il tovagliolo. Lo presi temendo di rovinarlo e lui, quasi intuendo il mio pensiero, sorrise e parlò.
-“ Non temere non lo rovinerai…ed anche se dovesse accadere cosa importa? Ciò che conta adesso è che tu stia bene, ho grandi progetti in serbo per te.”
Così dicendo prese le posate dal vassoio e tagliò la bistecca in pezzi regolari, imboccandomi come fa un padre con una figlia ammalata.
Rimasi a guardarlo, lasciando che si prendesse cura di me. La sua figura era regale, il viso fiero dai lineamenti marcati ma al tempo stesso affascinanti era di un pallore ipnotizzante, la sua pelle candida e perfetta, senza la minima traccia di barba, emanava una strana luce opalescente.
Gli occhi, di un castano caldo e rassicurante, erano striati da venature ambrate, perfettamente simmetriche, quasi come se un pittore le avesse dipinte magistralmente….e i capelli…neri, lucenti come la più pregiata delle sete, ricadevano morbidamente ben oltre la linea delle spalle squadrate ed ampie. Le mani, grandi e forti, rivelavano unghie ben curate e lunghe, quasi femminili…era nell’insieme un uomo estremamente affascinante, dal portamento sicuro come quello di un principe, eppure la sua bellezza aveva qualcosa di inquietante…incuteva timore.
Per tutta la durata della cena non parlammo, e lui seguitò ad imboccarmi premurosamente. Mi nutrii a sazietà, lasciando ben poco della cena che Juan aveva preparato per me. Notando la mia soddisfazione la sua bocca si allargo in un sorriso compiaciuto, che rivelò una fila di denti senza difetto, di un bianco brillante.
Sorrisi anch’io per un istante, poi sollevai il braccio destro al fine di prendere la boccetta contenente la medicina. Fermò dolcemente la mia mano, con un solo gesto della sua, e di nuovo mi parlò.
-“ Non affaticarti…preparerò io la medicina, tu pensa solo a riposare e guarire in fretta.”
Annuii lievemente, mentre lui già prendeva la piccola ampolla versando qualche goccia di liquido trasparente in un calice di cristallo. Subito dopo verso’ dalla caraffa un po’ d’acqua e fece roteare la soluzione all’interno del calice in modo da mescolarla bene, quindi mi porse gentilmente il bicchiere. Indugiai qualche secondo, poi bevvi facendo una smorfia di disgusto.
-“ E’ amaro come il veleno” dissi disgustata dal sapore acre della medicina.
-“ Lo so” rispose con una lieve rassegnazione negli occhi “ma ti farà stare bene entro quindici minuti….Presto assaggerai qualcosa di sublime, di cui non potrai più fare a meno….ma sei ancora troppo debole per farlo.”
Pensai che stesse parlando di una bevanda forse troppo alcolica, quindi non feci domande e mi limitai a sorridergli. Mi guardò ancora sorridendomi, poi si alzò prendendo il vassoio dalle mie gambe e poggiandolo su uno scrittoio.
-“Adesso riposa…io andrò a curare i miei interessi e non sarò a palazzo quasi per tutta la notte. Juan sarà sempre qui, pronto a soddisfare tutte le tue richieste, non esitare a chiamarlo, anche nel cuore della notte.”
-“Certamente signore…lo farò….” Dissi leggermente imbarazzata.
Si voltò per andare via, rivolgendomi uno sguardo amorevole.
-“Signore…voi siete un nobile vero? I vostri modi sono…” Mi interruppe prima che potessi finire la frase.
-“Per te ora io sono Domingo….il resto lo saprai quando verrà il tempo di sapere… ora riposa.”
Annuii e mi sistemai nel letto, mentre lui usciva dalla mia camera senza fare rumore. Mi addormentai quasi subito, il medicamento che Juan aveva preso per me mi fece stare davvero meglio, donandomi un piacevole senso di tranquillità, accompagnato da una sonnolenza piacevole e dolce.
Quella notte sognai una grande massa scura, un’ombra, che si avvicinava a me inglobandomi in essa. Ricordo che il panico e il senso di impotenza erano così forti, e le sensazioni che il sogno mi dava erano così vive che mi svegliai madida di sudore, alle prime luci dell’alba. Non riuscendo a prendere sonno decisi di provare ad alzarmi, e con mia sorpresa riuscii a camminare praticamente da subito, nonostante la mia debolezza.
Facendo attenzione a non fare rumore, uscii dalla camera e perlustrai il palazzo, sebbene la poca luce del mattino non mi permettesse di vedere bene. Notai fin da subito che il resto della villa era riccamente arredato, come del resto era la mia camera. Entrai senza esitazioni in un grande salone, guardandomi intorno e cercando di captare quanti più particolari potevo.
La camera era molto vasta, arredata con gusto anche se l’arredamento faceva pensare ad una casa di nobili d’altri tempi. Pensai che doveva essere appartenuta agli avi del mio salvatore, quindi non mi posi alcuna domanda. Candelabri d’argento e soprammobili pregiatissimi facevano bella mostra su mobili riccamente intarsiati, un lungo tavolo posto al centro mi fece credere che fosse una sala da pranzo, come in effetti era. E poi c’era un camino che portava, sulla cornice, lo stesso stemma che avevo notato sui piatti in porcellana la sera precedente.
Mi convinsi che doveva essere senz’altro un principe o comunque qualcuno che contava, ma ricordando le sue parole non mi proposi di chiedergli altro sulla sua casata. Visitai altre stanze del palazzo, e in tutte vidi la magnificenza e la ricchezza che avevano contraddistinto le camere viste in precedenza, ma un particolare non indifferente sollevò la mia curiosità: in nessuna delle stanze che vidi erano presenti specchi. Domingo non doveva essere particolarmente vanitoso, anzi non lo era affatto vista la totale assenza di superfici riflettenti, eppure il suo aspetto curato e perfetto mal si accostava a quella mancanza.
Riflettei a lungo sulla cosa, ma non dandomi nessuna risposta plausibile lasciai perdere e continuai la mia perlustrazione, sempre muovendomi in silenzio. Arrivata ad una porta posta in fondo ad un corridoio mi fermai, come se una forza sovrannaturale mi imponesse di non procedere oltre. La ignorai, come avevo ignorato molte cose in passato, e la aprii, notando una scala che scendeva nei sotterranei. Il barlume di una lampada illuminava la fine della scala, quindi pensai che laggiù doveva esserci qualcuno convincendomi del fatto che poteva essere Juan o qualcuno della servitù.
Incoraggiata da questo presi a scendere i primi gradini, ma una mano mi fermò tenendomi saldamente per una spalla. Voltandomi vidi Juan che mi guardava quasi terrorizzato, il suo volto era una maschera di stupore e disapprovazione, e non riuscivo a capirne il perché. Stavo per chiedergli spiegazioni, quando prese a parlare, controllando malamente le sue emozioni.
-“ Mia signora, a nessuno è permesso scendere nei sotterranei, a nessuno, fatta eccezione per me…non è consigliabile farlo……” Si interruppe e mi fece cenno di seguirlo.
-“ Perché?” chiesi tranquillamente “perché non posso andare a vedere cosa c’è la sotto?” Juan mi guardò sgranando gli occhi.
-“ Non è permesso, e non posso darvi nessuna spiegazione in merito. Vi prego di non pormi domande mia signora.”
-“ Non chiamarmi mia signora, io sono solo Max.” Detto questo lo seguii, promettendomi di tornare nei sotterranei non appena Juan fosse stato lontano dalla mia portata.
Feci un’abbondante colazione nelle cucine del palazzo, e conobbi gli altri domestici: la cuoca Erminia e il suo aiuto, un ragazzetto di sedici anni dagli occhi vispi di nome Fernando, Miguel l’autista e le due cameriere, Linda e Consuelo.
Tutti mi guardavano con sospetto, benché fossero educati nei miei confronti, e quando Juan disse a Consuelo di prepararmi il necessario per il bagno questa lo guardò spaventata. Juan la guardò duramente, quindi lei si limitò ad annuire ed a farmi cenno di seguirla al piano superiore. Arrivate nella camera da bagno mi guardai intorno come avevo fatto nelle altre camere, ed anche qui notai l’assenza di specchi. Facendomi coraggio chiesi a Consuelo il perché.
-“ Consuelo, dimmi…in tutto il palazzo non ho visto specchi…perché?” La ragazza mi guardò tremante, poi si fece il segno della croce sbiancando in volto.
-“ Gli specchi…non ce ne sono mai stati in questa casa, mia signora. Presto servizio da quasi otto anni e non ne ho mai visto uno.” La guardai corrugando la fronte.
-“ E come farò a sistemarmi i capelli? Me ne serve uno…tu ne hai?” La ragazza annuì dicendo che lo avrebbe preso subito, dalla sua camera, quindi sparì lasciandomi sola. Dopo qualche minuto tornò con lo specchio e me lo porse, e si apprestò a prepararmi l’acqua per il bagno.
Guardai la mia immagine riflessa, ero piuttosto pallida in viso, gli occhi cerchiati di nero per la debolezza rendevano il mio sguardo inquietante. Forse per questo Consuelo mi guardava in quel modo strano mentre mi specchiavo. Che fosse preoccupata per me? Quando ebbe finito di preparare il bagno la lasciai libera di andare, dicendole che le avrei restituito lo specchio al più presto. La giovane chinò il capo e si avviò alla porta, sempre con la stessa espressione tesa in volto.
Nonostante fossero tutti piuttosto diffidenti, i loro modi di fare con me non furono mai scortesi, anzi mi trattavano con riguardo, evidentemente istruiti da Juan sotto consiglio di Domingo. Il mio soggiorno nella tenuta Gutierrez - questo il cognome di Domingo - era tutto sommato piacevole, avevo a mia disposizione tutto ciò che volevo, tranne quella stanza che dava nei sotterranei, e la cosa non mi piaceva affatto. L’avere limitazioni era uno dei motivi per cui mi ero allontanata dalla mia famiglia, e rivivere la cosa mi dava un senso di disagio che comunque non feci mai notare.
Ovviamente mi guardai dal riferire al mio futuro Sire l’accaduto, cercando di non fargli capire che la mia intenzione era quella di voler scendere a tutti i costi là sotto…

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Capitolo 2
*** Le Verità Svelate ***


Le mie condizioni migliorarono di giorno in giorno, la ferita si era cicatrizzata in fretta lasciando dei segni che non sarebbero comunque andati via con il tempo. I punti di sutura che mi diedero erano molti, ma il sapere che avrei avuto per sempre in quei segni il ricordo di quella notte non mi preoccupava.
In cuor mio comunque avevo già in mente di vendicarmi, il desiderio di vedere quella creatura morire sotto i miei colpi era diventato bruciante più del fuoco dell ‘inferno, ma quando manifestai a Domingo la mia intenzione di uccidere quel mostro, mi disse che non avrei avuto un’altra volta la fortuna dalla mia parte, e che quindi avrei fatto meglio ad accantonare propositi suicidi.
La cosa mi turbò, non lo nego, ma i miei piani non cambiarono affatto, li tenni nascosti dentro me attendendo che i tempi fossero maturi.
Intanto il tempo trascorreva lento, ed anche se non chiedevo alla servitù il motivo dell’assenza diurna di Domingo, una sorta di sospetto scavava, insinuandosi nella mia mente. La voglia di conoscere è sempre stata forte dentro me, ed in quel caso era addirittura insostenibile.
Ricordo che seppi il suo segreto dopo circa un mese e mezzo il mio arrivo nella sua villa.
I domestici erano indaffarati nelle loro mansioni, Juan era andato in città non so per quale motivo, la cuoca stava preparando la cena ed io ero completamente sola e libera di aggirarmi per le sale del palazzo quasi indisturbata.
Lavorando d’astuzia finsi di uscire facendomi notare dalla cameriera mentre varcavo la soglia della grande porta principale, lei se ne accorse e mi sorrise garbatamente, chiusi la porta e mi diressi verso il retro della villa. Ovviamente prima di uscire avevo provveduto a lasciare una delle finestre socchiusa, quindi rientrare furtivamente non fu per me un problema.
Per non fare rumore lasciai la finestra accostata e tolsi le scarpe lasciandole nascoste. Mi diressi immediatamente verso la porta che dava sui sotterranei, la aprii quanto bastava per farmi passare evitando di farla scricchiolare e la richiusi alle mie spalle, compiacendomi per essere riuscita a non farmi scoprire.
Adesso dovevo solo scendere le ripide scale e sapevo che stavolta nessuno mi avrebbe fermata. Gli scalini in marmo consumati dal tempo erano gelati sotto i miei piedi, ma li per li non ci feci caso, volevo raggiungere al più presto il motivo di tanta segretezza. Scesi con facilità la rampa di scale che mi si parò davanti aiutata dal chiarore di alcune lampade ad olio che bruciavano li da chissà quanto tempo.
In alcune nicchie vidi qualche ratto guardarmi con occhi vermigli e luccicanti, ed in altre un paio di teschi che mi fecero pensare a delle catacombe. Mi chiesi il perché della presenza di esse ed ebbi, forse per la prima volta nella mia vita mortale, un moto di paura. Spinta comunque dalla curiosità non mi fermai, continuando la discesa con maggiore determinazione.
Giunsi ad una porta in legno di noce riccamente intarsiata sulla cui sommità spiccava una corona, la stessa che vidi più volte in quella casa. Facendomi coraggio presi il pomello e aprii, stringendo gli occhi per un istante. Grande fu la sorpresa nello scoprire il contenuto di quella sala. Era ovviamente arredata con gusto indiscutibile, lungo le pareti ardevano delle torce che illuminavano la grande sala ma che comunque la lasciavano in una piacevole penombra. Ma ciò che più mi sorprese fu la bara al centro della stanza.
La guardai corrugando appena la fronte, come si fa con qualcosa di incomprensibile, e nonostante la cosa fosse strana e per certi versi potesse mettere paura a qualunque essere umano, mi accorsi che stavo camminando lentamente verso essa, quasi ipnotizzata. La bara era sollevata da terra da un basamento in marmo bianco, era più grande di una normale cassa mortuaria e molto più ricca nei dettagli. Nessun simbolo sul coperchio che potesse fare capire a chi appartenesse, nessun nome tranne le iniziali.
D.G.
Non feci in tempo a realizzare che quelle erano le SUE iniziali…il coperchio della bara si mosse sollevandosi di scatto, ed a stento trattenni un urlo di stupore quando vidi Domingo alzarsi in posizione seduta sulla bara. Sentivo le tempie che battevano convulsamente, guardavo nei suoi occhi senza rendermi ancora conto di cosa fosse. Lui mi fissò guardandomi con la stessa espressione tranquilla di sempre, e lentamente uscì dalla bara, venendomi incontro.
Non so cosa mi tratteneva ancora in quel posto, so solo che dopo qualche secondo lo vidi di fronte a me, distante solo di qualche passo. Strinse gli occhi e ad un suo gesto la fiamma delle torce diminuì di intensità rendendo il luogo sensibilmente più tetro. Restò in silenzio per un tempo che a me parve interminabile, poi prese a parlare, avvicinandosi a me mentre lo faceva.
-“Ora che hai scoperto chi sono dovrei ucciderti, credo che tu questo lo sappia.” Annuii impercettibilmente.
-“Tuttavia potrei darti una possibilità allettante…” Mentre parlava una sua mano si mosse in direzione del mio viso, e con fare quasi paterno mi carezzò una guancia lentamente. Le sue dita erano gelide come quelle di…si, come quelle di un morto.
-“Come sei riuscita ad entrare? Dimmelo. So che hai tentato in passato, Juan ti ha fermata prima che tu potessi raggiungermi….Come hai fatto?” Deglutii e per un secondo abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo fissandolo su di lui.
-“Juan non ha colpe, è in città. La cameriera pensa che io sia fuori a passeggiare in giardino. Sono uscita dalla porta principale ma avevo lasciato una finestra aperta, mi è stato facile rientrare senza il minimo rumore e senza farmi notare…”
Domingo mi guardò stupito, poi rise di gusto mostrando la filiera di denti bianchissimi, tra i quali stavolta spiccarono due lunghi canini che le fiamme delle torce fecero scintillare nella semioscurità.
-“Ingegnoso, mi stupisci piacevolmente, piccola Maxine…ma dimmi, tu non hai paura di me?” Lo guardai sgranando prima gli occhi alla vista dei canini lunghi e puntuti ed indientreggiai di un passo, ma sentendomi chiamare piccola Maxine mi innervosii lievemente, ritrovando la mia sicurezza.
-“So che se aveste voluto uccidermi lo avreste fatto subito. Questo un po’ mi rasserena ma non totalmente. Ora sarebbe il tempo di parlare della possibilità da voi offertami.” Parlavo con assoluta tranquillità, nonostante avessi qualche timore.
-“Una proposta, mia giovane e temeraria ragazza. Ti offro la conoscenza di qualcosa che un essere umano non potrà mai comprendere, lo studio di un’arte che solo a noi Signori delle Ombre è concesso conoscere. Ti offro l’immortalità e il potere sugli uomini, il completo dominio delle loro menti. Ti offro un’altra vita…in cambio di un bacio.”
Mentre parlava i suoi occhi brillavano di una luce ancestrale, la sua voce era tonante e calda più che mai.
-“Tutto questo per un bacio? E’ alquanto assurdo concedetemelo. Quale profonda conoscenza di arti incomprensibili alla mente umana mi può essere svelata per mezzo di un semplice bacio?” Egli sorrise ancora, il capo si volse all'indietro, mostrando il collo bianco e possente e la linea squadrata della mascella.
-“Non un semplice bacio, mia cara. Il bacio di cui ti ho parlato è qualcosa che va aldilà dell’atto fraterno o amoroso che tale parola può celare in se. Ma dimmi, accetti?” Lo guardai perplessa ma affascinata dalle sue parole e completamente soggiogata dalla sua proposta. Accettai ovviamente, e senza pensarci troppo.
-“Benissimo, era ciò che mi aspettavo da te, Max. preparati, stanotte per te si apre un nuovo mondo, dovrai essere conscia di ciò che stai per accettare. Adesso andiamo, attenderemo gli altri vampiri che non tarderanno ad arrivare. Da questa notte io sarò per te un padre, e tu mia figlia.”
Vampiri. Uso' quella parola senza paura di turbare la mia mente mortale, cosi' come si usa la parola ospiti. Per lui ero gia' sua figlia. Mi prese sottobraccio e ci avviammo insieme verso la ripida scala. Quando uscimmo dal sotterraneo sentii la voce di Juan, era evidentemente preoccupato.
-“Ma dove sarà mai? Il padrone sarà furibondo quando si sveglierà!! Non oso pensare a ciò che mi…” Non fece in tempo a finire la frase, entrammo nel salone insieme e vedendomi con Domingo Juan fece una smorfia di stupore mista a preoccupazione.
-“Ma siete qui! Dove vi eravate nascosta? Vi ho cercata per tutta la villa, non eravate in nessuna delle stanze….padrone non è colpa mia, io ero in città per conto vostro…”
-“Taci Juan. Mia figlia è venuta a trovarmi nella mia stanza. Era almeno un secolo che qualcuno non mi stupiva in questo modo…” Juan trasalì, i suoi occhi divennero vitrei ed inespressivi, farfugliò qualcosa di incomprensibile per poi forzarsi al fine di ottenere un minimo di contegno.
-“Mio signore, io l’avevo avvisata! Non punitemi vi prego…” Iniziò a tremare e singhiozzare come un bambino, la vista di quello spettacolo mi disgustava.
-“Ora basta, Juan. Ti punirò se continuerai con questa tragedia greca che è il tuo pianto. Da stanotte dovrai trattare con riguardo Maxine, non sarà più una semplice ospite lei diverrà mia figlia, questa sarà la sua casa.” Quelle parole riecheggiarono nella mia mente come tamburi lontani, e nel sentirle Juan sgranò gli occhi smettendo di piangere.
-“Mio signore, volete fare di lei una Lasombra?”
-“Esattamente Juan. Ha dimostrato di avere doti essenziali, un ingegno fuori dal comune e una forza fisica non indifferente. Maxine sarà per me fonte di orgoglio, ai miei occhi e a quelli degli altri.” Juan annuì, congedandosi da noi.
Quando restammo soli gli chiesi il significato della parola Lasombra e lui mi rispose con una tale fierezza nella voce da lasciarmi sbalordita.
-“Vedi Maxine, Lasombra è il nostro nobile clan e tu questa notte entrerai a farne parte. Solo i migliori sopravvivono, o meglio sconfiggono la morte corporale per mezzo del sangue e della propria naturale predisposizione. Molti soccombono, restando nelle viscere della terra, presto capirai come…ma tu no, tu riuscirai, ne sono certo.
-“Sottoterra? Verrò seppellita viva?” Rise per un attimo e poi mi guardò con espressione seria.
-“Credi in ciò che sarai, anche se ancora non ti è chiaro. Credi e avrai una nuova vita nell’oscurità.”
Ora lo confesso, quella notte avrei voluto ritrattare e magari fuggire via lontano da lui, però non riuscivo, avevo una possibilità, scoprire cosa si celava aldilà della notte, e non volevo sprecarla.
-“Io credevo che i vampiri fossero solo una stupida leggenda inventata per spaventare i bambini…ed io sono stata addirittura salvata da uno di essi. Perché? E soprattutto, cosa era quella bestia che ha tentato di uccidermi quella notte?” Domingo mi guardò incupendosi, i suoi grandi occhi castani fiammeggiarono fissandosi in quelli miei.
-“Max, quel mostro altro non era che un Garou, presto saprai molto riguardo queste creature, imparerai a temerli forse, anche se il tuo temperamento mi fa pensare il contrario. Sono capitato lì per caso, quella notte, insieme agli altri che hai solo sentito. Ad ogni modo da tempo desideravo una figlia, ma ogni giovane che avevo occasione di osservare non soddisfaceva le mie aspettative, troppo deboli, poco determinati, poveri in canna. Tu hai due qualità che ho potuto notare in queste notti, sei determinata e forte. E hai coraggio da vendere. Non resterai sotto la terra, ne sono certo."
Lo guardavo ascoltandolo attentamente, le braccia incrociate al petto e le labbra lievemente dischiuse. Mille domande mi passavano per la testa in quel momento, lui comprese e tacque lasciandomi il tempo di raccogliere le idee. La sua figura era regale, lo sguardo attento sembrava riuscire a leggere in profondità.

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