Le spine di una rosa bianca di Ladypotter97 (/viewuser.php?uid=443542)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sangue ***
Capitolo 2: *** Il peggio doveva ancora arrivare ***
Capitolo 3: *** Sto arrivando ***
Capitolo 4: *** Di male in peggio ***
Capitolo 5: *** Uniti con il sangue. ***
Capitolo 6: *** L'angelo meccanico ***
Capitolo 7: *** Un briciolo di speranza ***
Capitolo 8: *** Patto con il diavolo ***
Capitolo 9: *** Solo ***
Capitolo 10: *** Battito di un cuore ***
Capitolo 11: *** Fiore di loto ***
Capitolo 1 *** Sangue ***
Sangue.
Sangue ovunque, lo sentiva scorrere
sulle dita, sulle
braccia, sul viso. Le gocce che cadevano a terra scandivano i secondi
che
passavano.
Come fanno
tutti a
esserne disgustati?
Inspirò per assaporarne
l’aroma. Per lui aveva il profumo
della vita. Una vita che lui poteva controllare. Aveva il potere di
decidere da
quale parte pendesse la bilancia. Vita o morte.
Peccato che
per
quell’Angelo era andata male
Sorrise al ricordo delle sue urla, i
suoi patetici tentativi
di scappare dal suo destino. Lui era invincibile e presto tutti
l’avrebbero
capito. Aveva letto su un libro che uccidere un’ Angelo era
il peccato più
grande che un uomo potesse commettere.
Non hanno
ancora visto
niente
Sapeva che suo padre sarebbe stato
fiero di lui, lo faceva
per lui, per onorare il suo ricordo. Suo padre era morto e lui
l’avrebbe
vendicato. Avrebbe insegnato a quegli insulsi cacciatori cosa era il
dolore.
Trovava strano il perché lui era morto e sua madre no.
Non mi
interessa, per
me lei non esiste.
Lei mi odia. Lei per
me è morta
Ma non era solo, aveva un fratello
che sarebbe stato suo.
Aveva una sorella alla quale avrebbe insegnato ad amarlo.
Il ragazzo alzò la testa,
i capelli bianchi come l’avorio
erano impregnati dal sangue dell’Angelo, lasciò
che il sole gli accarezzasse il
viso, aprì gli occhi neri come la pece, così neri
che sembravano non avere
l’iride, ornati dalle lunghe ciglia.
-Io sono Jonathan
Christofer Morgenstern e
giuro- scoppiò a ridere,
si passò una mano tra i capelli
-Giuro
sull’Angelo che il mondo sarà
mio-
Nota
dell’autrice: mi dispiace aver scritto poco per
questo primo
capitolo, ma mi sembrava facesse più effetto finire con
questa frase. Scrivere
dal punto di vista di Sebastian è complicato, quindi ho
deciso di adottare una
scrittura spezzata spesso ripetitiva, il personaggio è
imprevedibile quanto crudele.
Grazie ancora e se
questa fan
fiction vi è piaciuta vi invito a leggere anche quella di
Alec e Magnus J
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Il peggio doveva ancora arrivare ***
Il peggio doveva ancora arrivare.
Il peggio doveva ancora arrivare.
Tara quel giorno aveva marinato la
scuola. Di nuovo. Non se la sentiva di vedere le solite facce, le solite
persone che l’avrebbero presa in giro. Sarebbe andata come al solito a leggere
al centro commerciale abbandonato.
Prese la bici lasciata davanti al cancello della scuola, quando montò
in sella sentì un malinconico cigolio, sapeva che ormai era arrivata al limite,
presto sarebbe caduta a pezzi, ma doveva accontentarsi, suo nonno non aveva i
soldi per darle l’opportunità di prendere i mezzi, e lei non voleva pesargli
più di troppo. Accarezzò con delicatezza il manubrio, sentiva la ruggine sotto
la pelle. Quella bicicletta era appartenuta a sua madre. Se Tara chiudeva gli
occhi poteva ancora vederla : occhi scuri, capelli chiari e morbidi che le
arrivavano alle spalle, labbra piene che le sorridevano sempre. Suo padre le
diceva che si era innamorato di lei quando l’aveva vista sorridere. Erano
felici.
Poi era arrivato l’incidente. Il
rumore causato dall’impatto con l’altra macchina era stato assordante, la
ragazza ricordava il dolore, il sangue, ma soprattutto i visi delle persone che
amava di più al mondo distorti, confusi, sofferenti e morti. Nessuno sapeva
spiegare come una ragazzina di sei anni potesse essersi salvata da un incidente
mortale. Molti parlavano di un miracolo, ma non era vero. Lei aveva perso tutto,
non c’era niente di miracoloso nel rimanere soli.
Guardò il cielo grigio che
torreggiava sulla sua testa, presto avrebbe piovuto. Dentro la sua borsa
riusciva a sentire la presenza della pistola, mentre pedalava, sfrecciando per
i vicoli che diventavano sempre più bui, toccò l’arma. Era l’unico oggetto,
oltre i libri, che poteva darle sicurezza. Troppo spesso si era imbattuta in
bande di teppisti che volevano derubarla, o peggio. Dopo la morte dei suoi
genitori se l’era dovuta cavare sempre da sola.
Si lasciò sfuggire un sorriso
quando vide il grande edificio. Quello era il suo nascondiglio, un posto dove
poteva evadere dalla realtà, lì nessuno poteva giudicarla o prenderla in giro a
causa dei suoi abiti di seconda mano.
Lasciò cadere la bici per terra,
tanto era così mal ridotta che nessuno avrebbe mai pensato di rubarla. Il
centro commerciale era sempre deserto, quindi la ragazza entrò tranquillamente.
Mai avrebbe pensato di sentire
qualcuno parlare.
Spaventata si avvicinò alla
parete e silenziosamente cercò di andare avanti per vedere meglio. Le si gelò
il sangue nelle vene quando sentì un’altra persona urlare, il lamento la
attraversò come una scossa lasciandola senza fiato.
Fece un altro passo avanti
sporgendo la testa oltre il muro che era ad angolo. Davanti a lei c’era un
ragazzo di spalle, in mano aveva una specie di spada che emanava dei bagliori
argentei. Davanti a lui c’era un’altra persona accovacciata a terra, Tara però
non riuscì a vederlo bene perché era immerso nell’ombra.
Una parte di lei le urlò di
scappare, infatti stava per girarsi e scappare via, ma intravide una cosa che
la sconvolse. Il ragazzo a terra aveva le ali. Certa di essersi sbagliata cercò
di avvicinarsi ancora di più. L’ombra che lo avvolgeva sembrava essere
scomparsa, ora lei poteva vedere le ali candide che gli partivano dalle spalle
e riempivano quasi tutto l’atrio, le piume sembravano cambiare colore ogni
volta che l’essere respirava, dalla sua pelle colava una sostanza dorata.
Estasiata dalla bellezza
dell’angelo, si era quasi dimenticata dell’altro ragazzo che con un gesto
veloce gli tagliò di netto le ali. Sangue dorato, ora Tara lo sapeva, schizzò
le pareti e inondò il ragazzo che rideva. L’angelo urlò mentre esalava l’ultimo
respiro, la ragazza dovette tapparsi la bocca per non strillare, gemendo, ormai
a terra, lui alzò lo sguardo e Tara ebbe la sensazione che l’angelo la stesse
guardando.
Poi nella sua testa una voce
cristallina le disse: “Vivi” Tara avrebbe voluto aiutarlo, ma era paralizzata
dalla paura, poi si ricordò della pistola. Con la mano tremante la prese, ma era
troppo tardi, l’angelo non si muoveva. Poteva comunque fermare quello
psicopatico.
-Io sono Jonathan Christofer Morgenstern e giuro- il ragazzo si era
messo a ridere, mentre si passava una mano tra i capelli che alla ragazza
sembrarono completamente bianchi -Giuro sull’Angelo che il mondo sarà mio-
SBAM
Senza pensare la ragazza aveva
premuto il grilletto, colpendolo alla gamba. Il ragazzo cadde a terra con un
grugnito di rabbia, poi Tara spaventata dalla sua reazione, aveva sparato di
nuovo colpendo anche l’altra gamba
-Chi è stato?- urlò, il sangue
iniziava a uscire dalle ferite sporcando il pavimento e unendosi con quello
dorato dell’angelo.
Tara si fece avanti, la pistola
avanti, non aveva ancora lasciato il grilletto, gocce di sudore le scendevano
dalla fronte. Poco prima di sparare aveva chiamato la polizia, presto quel
matto sarebbe andato in prigione.
- Uccido demoni da quando ho
imparato a camminare, e mi faccio battere da una mondana- la guardò divertito.
Tara era confusa, non voleva credere a quelle sciocchezze, ma aveva appena
visto un angelo. Tutto poteva essere possibile.
-Perché l’hai fatto?- quella
domanda le uscì dalla bocca involontariamente
-Io voglio solo essere amato, e
questo è l’unico modo con cui posso raggiungere il mio obbiettivo-
-Stronzate- Tara strinse più
stretta la pistola- Tu vuoi fare qualche cosa di orribile. Io ti fermerò-
-Solo una domanda- digrignò i
denti stingendosi la gamba colpita, le sue mani erano sporche di sangue –Come
pensi di farlo?-
-Ho chiamato la polizia stanno
arrivando- il ragazzo scoppiò a ridere. Sembrava che trovasse tutto un grande
divertimento
– Che c’è di tanto divertente?-
quel suo sorriso compiaciuto stampato sulla faccia la faceva innervosire
-Loro non possono vedermi, ti scambieranno
per pazza e magari ti chiuderanno in manicomio-
Sta cercando di distrarmi non devo farmi coinvolgere
-Quello pazzo sei tu, vai in giro
con una spada e uccidi le persone-
-E tu invece vai in giro con una
pistola e spari alle persone- le sorrise –Non c’è molta differenza-
- Io non sparo alle persone! L’ho
presa per sparare a te, perché sapevo fin troppo bene che non ti saresti fatto
prendere facilmente. Le pistole servono per fermare le persone come te!-
Lui la guardò intensamente, il
viso improvvisamente serio, gli occhi scuri sembravano un buco nero infinito –
Non ci sono altre persone come me. Solo io-
Tara rimase interdetta, poi sentì
passi di altre persone che entravano nell’edificio. In poco tempo accanto a lei
accorsero tre poliziotti con le pistole in pugno che guardavano per l’atrio. La
ragazza ebbe il buon senso di nascondere la sua sotto la felpa, avrebbe detto
che l’assassino aveva in mano una pistola e lei l’aveva usata contro di lui,
poi ,terrorizzata, l’aveva gettata nel fiume che passava accanto all’edificio.
-Ragazza qui non c’è nessuno- un
poliziotto la stava guardando torvo. Tara rimase di sasso, guardò l’uomo con la
bocca spalancata
-Ma non lo vedete è qui! Davanti
a voi! Sta parlando!- indicò il ragazzo che stava ridendo
-Senti se questo è uno scherzo
direi che la finiamo qui!- tuonò l’uomo, la ragazza si mise le mani tra i
capelli frustrata. Non poteva succedere, andava contro a tutte le regole del
mondo, le persone non potevano essere invisibili!
-Ma qui ci sta il cadavere! Il
sangue!- Tara si macchiò la mano con il sangue sparso sul pavimento e la fece
vedere, ma quelli sembravano non ascoltarla più, avevano già abbassato le armi
-Ti sei fumata qualche cosa? E
soprattutto non dovresti essere a scuola?- l’uomo la prese per il braccio facendole
male e la trascinò verso l’uscita.
Tara cercò di divincolarsi e
spiegare che era successo veramente, sbatteva i piedi per terra e cercava di
mordere la mano che la scrollava violentemente.
Girò la testa per vedere il ragazzo dai
capelli bianchi, quando il loro sguardo si incrociò lui le fece l’occhiolino, i
suoi occhi neri la guardavano divertiti
-Tranquilla dolcezza, ti
restituirò il favore. Stanne certa- le disse con un ghigno
Con la bocca ancora aperta per lo
stupore e gli occhi sbarrati, Tara fu portata fuori dall’edificio.
La cosa che più la spaventava era
sapere che non sarebbe finito lì.
Il peggio doveva ancora arrivare.
Nota dell’autrice: Salve a tutti! Chiedo scusa per non aver scritto
tanto, ma come per la fan fiction di Alec, tra compiti e vacanze è sempre
difficile trovarsi da sola e scrivere in santa pace! Allora Tara è un nuovo
personaggio, ho pensato che sarebbe stato divertente vedere come Sebastian si
sarebbe relazionato con una mondana. I due hanno molto in comune, entrambi si
sentono soli e tendono a chiudersi in loro stessi. Ed è per questo che il
cacciatore cercherà di avvicinarsi a un essere vivente che forse prova il suo
stesso stato d’animo. Ma Tara riuscirà a non farsi coinvolgere dal mostro che
sta bussando alla porta della sua anima?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Sto arrivando ***
sto arrivando
Sto arrivando.
Maledetta mondana!
Sebastian
digrignò i denti mentre si tracciava l’iratze
sulle ferite, se non si sbrigava
rischiava di morire dissanguato.
Come diamine ha fatto a
colpirmi
entrambe le gambe se ha mirato con gli occhi chiusi?
Pensò
frustrato il ragazzo mentre fissava i buchi rimarginarsi lentamente.
Per
fortuna portava sempre con sé uno stilo.
Si
passò la mano tra i capelli sudati ,che gli cadevano
disordinati sulla fronte,
schiacciandoli all’indietro.
Intorno
a lui c’era solo morte e sangue. Si alzò sbuffando
per il dolore, l’Angelo era
dove l’aveva lasciato, la carcassa afflosciata a terra e le
ali spiegazzate
staccate dal corpo, tutto era coperto da sangue dorato.
Il
suo lavoro lì era finito, presto sarebbe arrivato uno
stregone a finire
l’opera, l’aveva profumatamente pagato per spedire
le ali dell’Angelo
all’Istituto.
Il
ragazzo avrebbe voluto vedere la faccia terrorizzata degli stupidi
cacciatori mentre
osservavano quello che loro consideravano uno scempio, un gesto che
neanche
l’Inferno poteva punire.
Tutti
avrebbero capito che stava facendo sul serio, avrebbero preferito la
morte alla
sua ira.
-
Morgenstern?- una voce melliflua lo trascinò
via dai suoi pensieri carichi di rancore, chiuse gli occhi irritato.
Perché tutti
continuano a
identificarmi con il mio passato. Non sono mio padre!
-Sì?-
disse solo, cercando di mantenere la calma.
-Sono
venuto per fare quello per cui mi hai pagato- disse lo stregone mentre
si
avvicinava alla carcassa, Sebastian poté immaginare la sua
faccia disgustata mentre
contemplava la sua opera. Sorrise.
-Che
hai fatto alle gambe?- gli chiese lo stregone, il ragazzo lo
guardò torvo.
-Non
ti pago per fare domande- gli rispose irritato, nel frattempo gli occhi
senza
iride del Nascosto lo stavano studiando divertiti.
-Pistola
vero? Ci sono i buchi. Chi ti ha sparato doveva avere davvero una bella
mira-
scherzò lui.
Veloce
come il vento Sebastian gli fu vicino prendendolo per il bavero della
costosa
giacca, lo alzò di parecchi centimetri, gli occhi neri
fiammeggianti.
-Non
ti pago per fare domande!- sibilò Sebastian scandendo ogni
lettera in modo che
il messaggio fosse ben chiaro.
-Okay
okay! Scusa, niente più domande!Ricevuto-
piagnucolò lo stregone. Disgustato dalla
sua vigliaccheria, Sebastian lo lasciò cadere a terra.
L’avrebbe ucciso in un
altro momento.
Il
suo unico obbiettivo era vendicarsi della mondana che aveva osato
sfidarlo.
Avrebbe girato il mondo per trovarla, anche perché gli
ricordava sua sorella,
Clary, erano entrambe minute e tenaci.
Stava
facendo tutto quello per riavere indietro il suo amore,
perché Clary non
capiva?
Ma
ora tutto doveva aspettare, nei suoi pensieri c’era solo lei : occhi viola e capelli neri. Scosse
la testa per scacciare
quell’immagine che sbocciava come un fiore nei suoi ricordi.
Quel fiore
l’avrebbe estirpato a mani nude.
-Aspetta-
disse allo stregone che lo guardò preoccupato
–Allega questo con il mio pacco
regalo-
Prese
dalla tasca dei pantaloni una penna e un foglietto spiegazzato e
scrisse una
sola parola:
ερχομαι
Sto
arrivando.
Nota dell’autrice: Salve a tutti! Mi dispiace
aver fatto passare
così tanto tempo. Allora come promesso questo capitolo
è dedicato a Sebastian,
il prossimo a Tara. Man mano che vado avanti a scrivere trovo sempre
più
gradevole scrivere su Sebastian, è un personaggio che mi da
soddisfazione.
Vorrei inoltre ringraziare per le recensioni ricevute, grazie davvero!
Tenetevi
pronti per il prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Di male in peggio ***
di male in peggio
Di
male in peggio.
-Tranquilla
dolcezza, ti restituirò il favore. Stanne certa-
Poi
lentamente si avvicinò a lei, con una mano le
accarezzò la guancia
bagnata dalle lacrime, la sua pelle era gelida, i suoi occhi neri la
guardavano
famelici, alzò la lunga spada i
cui
bagliori illuminavano il volto del ragazzo, facendolo apparire ancora
più
bello.
Poi
le tagliò la gola.
Con un urlo Tara si
svegliò, le
mani stringevano convulsamente la coperta, non riusciva a calmare il
respiro,
le lacrime continuavano a rigarle le guancie, il cuore le batteva
all’impazzata. Guardò per la sua stanza spaventata
in attesa di vederlo
piombarle addosso come il più famelico dei predatori.
Con la mano ancora
tremante
accese la lampada sopra il suo comodino. La stanza era vuota.
Per tutta la notte
non era
riuscita a chiudere occhio, quello che aveva visto la perseguitava come
un
fantasma.
I poliziotti non si
spiegavano il
perché fosse così sconvolta, avevano controllato
più volte che non avesse
assunto qualche sostanza stupefacente, poi avevano chiamato suo nonno.
Tara odiava
deluderlo, e vedere
la sua faccia triste mentre gli veniva raccontato l’accaduto
le straziava il
cuore. Era la sua famiglia, tutto quello che le rimaneva.
Naturalmente non le
aveva rivolto
la parola per tutto il giorno, si era limitato a studiarla da sopra la
forchetta mentre mangiavano, la ragazza non aveva toccato cibo e si era
messa a
letto, sperando di dimenticare gli occhi malvagi del ragazzo che le
giuravano
vendetta.
Ma non aveva
funzionato.
Tara
sussultò quando sentì
qualcuno bussare alla sua porta, si affrettò ad asciugarsi
le lacrime sperando
di non avere gli occhi troppo arrossati, si stese sul letto.
-Avanti- disse, vide
la testa di
suo nonno fare capolino dalla porta, era visibilmente preoccupato
-Ti ho sentita
urlare- fece una
pausa passandosi la mano tra i capelli bianchi, si lasciò
cadere sul letto
–Tara che succede?- le chiese, la ragazza avrebbe voluto
rispondere, ma non
aveva idea di come raccontargli la verità senza sembrare
pazza.
-Sto bene- lo
rassicurò.
- Tara di cosa hai
paura?- la
ragazza ebbe un tuffo al cuore, nascose la testa sotto le coperte.
-Dei demoni- rispose
lei meccanicamente,
suo nonno sospirò. Sicuramente pensava che lei avesse perso
il senno, ma quel
ragazzo dagli occhi neri non poteva essere nient’altro se non
un mostro. La
ragazza poteva sentire la mano callosa del nonno sotto le coperte
mentre le
accarezzava la spalla goffamente.
-Lo immaginavo-
sussurrò.
-Cosa?- la voce della
ragazza si
era alzata di qualche ottava per lo stupore.
-Tara guardami- il
nonno le tolse
via la coperta, Tara incontrò i suoi occhi verdi, solo in
quel momento si
accorse che aveva in mano un pacchetto.
-
Cos’è quello- chiese curiosa
indicandolo.
-Nonostante tua madre
sia morta,
tu rimani una Starkweather- disse mentre apriva la scatola,
tirò fuori un panno
che racchiudeva un oggetto misterioso e lo diede alla nipote
–Non dimenticare
le tue origini Tara, con questo non dico che non devi onorare anche il
nome di
tuo padre, era comunque mio figlio, ma il sangue che ti scorre nelle
vene non
mente- sospirò, la ragazza poteva leggere nei suoi occhi
acquosi tutto il
dolore che aveva dovuto sopportare –Questo ti
proteggerà, non lasciarlo,
portalo sempre con te- sorrise nel intravedere che la nipote stava
aspettando
bramosa il suo consenso per vedere l’oggetto
–Avanti aprilo-
Tara alzò
il panno, al suo
interno c’era una collana, attaccato alla catenella
c’era quello che sembrava
un angelo. Le ali erano spiegate ed erano ricamate da tanti piccoli
ingranaggi,
impugnava una spada. Guardò il nonno perplessa.
-E’ un
angelo meccanico- le
spiegò lui – E’ appartenuto ad una tua
antenata, gli Starkweather se lo sono
passato di generazione in generazione. Tua madre voleva che ce
l’avessi tu-
-Perché
non funziona?- chiese
girandoselo tra le mani.
-Devi premere
sull’elsa della
spada-
-Grazie nonno- Tara
gli sorrise
stringendo la collana, che aveva iniziato a ticchettare sul suo petto.
Suo nonno le
scompigliò i capelli
e uscì dalla stanza.
Naturalmente nessuno
dei due
aveva visto il demone acquattato nell’ombra, quando Tara se
ne accorse le si
era già scagliato addosso. Inorridita scese dal letto
impugnando la torcia come
arma, il mostro la mancò per un soffio.
Quello che aveva
davanti superava
ogni incubo che la ragazza avrebbe potuto immaginare, sembrava una
specie di
verme gigante, la bocca aperta era piena di denti, la bava gli colava
dalle
fauci.
Tara dovette
reprimere l’impulso
di rigettare il poco che aveva mangiato. Il demone attaccò
ancora, la ragazza
si buttò a terra, l’impatto con il pavimento le
tolse il respiro, cercò di
trascinarsi velocemente fino alla porta, ma prima che potesse
raggiungere il
pomello si sentì la spalla in fiamme, urlò di
dolore, ma non si voltò,
nonostante le si fosse appannata la vista, riuscì ad
afferrare la maniglia e
chiuse la porta sbattendosela rumorosamente alle spalle.
L’unica
cosa che poteva fare era
allontanare quella cosa da suo nonno, così dopo aver
armeggiato con le chiavi
si precipitò per le scale incespicando nei suoi passi a
causa del terrore che
le divorava l’anima.
Sentiva che il mostro
le
strisciava dietro, accelerò il passo, il cuore le batteva
freneticamente.
Si lasciò
sfuggire un sospiro di
sollievo quando uscì fuori dall’edificio, mai
avrebbe immaginato di trovare
altri demoni ad aspettarla. Lanciò un urlo di terrore,
l’avevano circondata,
non aveva via di scampo.
Con un ultimo gesto
disperato
lanciò contro un mostro la lampada che ancora stringeva in
mano, quello arretrò
e Tara scattò in avanti, assestò un calcio ad un
altro demone, combatteva con
tutte le sue energie, ma sembrava inutile. Un demone le comparve
davanti
dandole un violento colpo con la coda, la ragazza volò per
parecchi metri e cadde
violentemente a terra, cercò freneticamente di alzarsi, ma i
suoi arti non
rispondevano più ai suoi comandi.
Allora
morirò così?
Chiuse gli occhi
aspettando la
fine.
-Oh no dolcezza
sarà io a porre
fine alla tua vita- Tara riconobbe quella voce, un brivido le percorse
la
schiena, avrebbe voluto scappare.
Accanto a lei
c’era Lui : spada
già insanguinata in mano,
occhi neri e capelli bianchi pettinati all’indietro.
L’unica
cosa che pensò Tara prima
di cadere nell’oblio fu:
Di male in peggio.
Nota
dell’autrice: Salve a tutti! Sì quello
è l’angelo meccanico di
Tessa, sì sono parenti. Sebastian pensa di essere incappato
in una semplice
mondana, in uno stupido incidente di percorso, ma se Tara fosse
qualcos’altro?
Una forza oscura si sta muovendo per prendere quello che molto tempo
prima non
era riuscito ad ottenere.
Dalla mia bocca non
uscirà
nient’altro <3
Al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Uniti con il sangue. ***
uniti con il sangue
Uniti con il sangue.
Sebastian aveva visto e fatto,
durante l’arco della sua vita, cose sconcertanti. Ma mai gli era capitato di vedere
una mondana combattere con così tanta energia, per giunta, brandendo una
lampada in mano come arma.
Naturalmente non si trovava lì
per lei, anche perché non poteva immaginare che abitasse in quel quartiere
malfamato di New York.
Lilith gli aveva ordinato di
recarsi lì per svolgere un preciso ordine: rapire una ragazza con una specie di
collana a forma di angelo.
Lei ,gli aveva detto, sarebbe
stato il tassello per completare il loro piano, la madre dei demoni aggiunse che
aveva già inviato degli Inseguitori alla sua ricerca. Lui avrebbe dovuto solo
portarle la carcassa della ragazza, ed evitare dunque che i mostri, dopo averla
uccisa, la mangiassero.
Naturalmente il ragazzo avrebbe
voluto saperne di più, provò a chiederle perché si interessasse ad una mondana
con uno strano monile, ma venne scacciato in malo modo.
Lilith difficilmente condivideva
i suoi piani.
Sebastian era rimasto
spiacevolmente colpito quando si era reso conto chi fosse la ragazza in questione. In un primo momento vedendola
uscire terrorizzata dall’edificio seguita dal demone, il cacciatore aveva
pensato che ci fosse stato un errore.
Poi lei aveva iniziato a
combattere, i capelli neri che le volavano intorno quando si girava per
colpire, in un’aureola di fine ciocche corvine, gli occhi viola che nonostante
fossero feroci, facevano intravedere la paura.
Sebastian, prima ancora di
rendersene conto, era balzato in piedi con la spada angelica in pugno.
Non poteva permetterle di morire
uccisa da degli schifosi demoni, come minimo spettava a lui quell’onore.
Arrivò appena in tempo per
vederla cadere a terra con un tonfo, non si muoveva, ma aveva gli occhi aperti
che saettavano disperati da un mostro all’altro. Questo significava solo una
cosa: il veleno era entrato in circolo, se non si sbrigava sarebbe morta nel
giro di pochi minuti.
-Nathanael- sussurrò e la lama gli illuminò il
volto, i demoni in tutto erano quattro. Se li avesse presi di sorpresa non
sarebbe stato un problema.
Si lanciò all’attacco e riuscì a trapassare
il mostro che gli stava più vicino, un’ondata di sangue rancido e nero gli
sporcò i vestiti. Sentì un altro demone strisciare verso di lui, fece roteare
la lama decapitandolo, la testa volò via spargendo zampilli di sangue.
Sebastian iniziava già ad assaporare
l’adrenalina che gli correva nelle vene durante un combattimento. Non c’era
niente che amasse di più al mondo.
Poco più distante da lui era stesa la ragazza
che guardava inerme un Inseguitore che le si avvicinava, pronto a squartarla. Il demone sembrò non
accorgersi di Sebastian, le fauci già stavano grondando saliva, mentre
contemplava il suo pasto. Forse, pensò con un ghigno il cacciatore, si sarebbe
accorto sicuramente della lama che lo stava per trapassare da parte a parte.
Dopo averlo ucciso Sebastian guardò divertito
la ragazza, sul petto che si alzava e abbassava freneticamente c’era la collana
con l’angelo. Era lei.
- Oh no dolcezza sarò io a
porre fine alla tua vita- le disse, lei lo guardò terrorizzata, poi dopo un
ultimo spasmo chiuse gli occhi.
Sebastian si voltò per uccidere
l’ultimo demone, ma era scomparso. Sapeva che sarebbe andato da Lilith a
riferirle che proprio lui aveva intralciato i suoi piani. Pensò di portare la
ragazza da lei, ma scartò l’idea. Dentro di lui qualcosa gli diceva che sarebbe
stato meglio lasciarla in vita, era sicuro che quell’angelo che portava al
collo era importante.
E Sebastian non voleva essere
semplicemente una pedina nelle mani di Lilith, lui voleva delle risposte.
Così imprecando sottovoce, perché
sapeva di stare per cacciarsi in qualche guaio, se l’era caricata in spalla per
portarla nell’hotel più vicino.
Anche dopo che aveva preso una
stanza, questi pensieri continuavano a frullargli nella testa, mentre la
osservava dormire: la mano appoggiata sulla guancia, le palpebre che si
muovevano quando sognava. Era stato complicato farle uscire dal corpo tutto il
veleno, non poteva usare le rune e quindi munito di coltello aveva dovuto
aprirle in profondità per poi succhiare il veleno e sputacchiarlo, macchiando
la tappezzeria. Le sarebbero rimaste delle belle cicatrici.
Non era neanche sicuro di averlo
tolto tutto, ma che non fosse morta dopo due ore era una cosa positiva.
Positiva?
Sebastian imprecò.
Non era diventato certo un
dannato medico! Se moriva avrebbe trovato un altro passatempo.
Sentendo la sua voce, la ragazza
mugolò nel il cuscino qualche cosa.
Incuriosito si lasciò cadere
silenziosamente sul letto, avvicinò il viso a quello di lei. Poteva vedere
tutti i suoi dettagli, le piccole lentiggini sul naso, le lunghe ciglia nere
che le sfioravano le guance, le labbra piene, i polsi sottili, e la vena che le
pulsava sul collo.
Come possono i mondani essere così fragili?
Poi come se avesse sentito la sua
presenza aprì lentamente gli occhi. Dovette sbatterli parecchie volte prima di
metterlo a fuoco, il ragazzo fece un ghigno sghembo.
Come se avesse davanti il suo
peggior incubo la ragazza saltò seduta, annaspò nel letto finché non finì a
terra in un groviglio di coperte e lenzuoli.
Sebastian scoppiò a ridere, ma
era una risata malvagia, aveva deciso che si sarebbe divertito un po’ con lei,
magari non era così innocente. Forse aveva le risposte che gli servivano, gli
bastava prendere la collana con l’angelo, poi l’avrebbe uccisa
Veloce come un gatto le fu
accanto sbattendola al muro. Prese tra le mani l’angelo meccanico
strattonandolo.
-Qual è il tuo segreto mondana?
Perché sei così importante?- le chiese, lei disgustata gli sputò.
Perdendo la pazienza Sebastian
sfilò dalla cintura il suo coltello e glie lo premette sulla gola, un rivolo di
sangue colò sul collo della ragazza.
Il ragazzo aveva intenzione di
torturarla a lungo, ma una luce, che si sprigionò dall’angelo, lo colpì in
pieno petto facendolo volare al di là della stanza.
Dalla collana stava prendendo
forma un figura dorata, Sebastian poté distinguere le braccia le gambe e il
viso.
Rimase senza fiato.
Era Uriel, l’angelo che aveva
ucciso con le sue mani.
L’Angelo lo fissava impassibile,
dalle spalle nel punto in cui sarebbero dovute esserci delle ali, c’erano ossa
che si stagliavano per tutta la stanza.
- Jonathan Christofer Morgenstern- tuonò con una voce che faceva
pensare a tutto tranne che alla luce del paradiso – Io ti maledico, sarai unito
con il sangue a Tara Theresa Starkweather. Ogni volta che lei verrà
ferita tu patirai il triplo, se morirà per mano tua neanche l’inferno ti
ospiterà. Vagherai per il mondo come ombra. Il tuo animo non sarà mai appagato
se non la servirai, non sarai mai soddisfatto, smetterai di vivere- detto
questo si avvicinò a lui con la mano protesa.
Per Sebastian fu inutile cercare
di muoversi, non poteva sfuggire alla furia di un angelo.
Uriel gli sfiorò il petto con la
mano e il ragazzo poté sentire il dolore di una runa che veniva incisa a sangue
sulla sua pelle, strinse i denti per non urlare, si piegò su sé stesso per
cercare di scacciare il dolore che sembrava bruciargli l’anima.
Poi tutto si fece confuso, le
ombre iniziarono a circondarlo, cercò di tenere gli occhi aperti ma aveva già
iniziato a cadere nel buio.
La voce di Uriel continuava ad
inseguirlo nell’oscurità:
Sarete uniti con il sangue.
Nota dell’autrice: Salve a tutti! Spero che le domande che qualcuno
nello scorso capitolo mi aveva posto siano state soddisfatte. Non ho molto da
dire, solo non uccidetemi per aver fatto questo a Seb, ma penso che sarà
divertente scrivere su come lui possa
essere costretto a stare vicino a lei.
Detto questo vi saluto!
Al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** L'angelo meccanico ***
l'angelo meccanico
L’angelo meccanico.
Ci
volle del tempo prima che Tara riuscisse a riprendersi da quello che aveva
visto. La maestosità dell’angelo senza ali l’aveva lasciata senza fiato. Non
sapeva bene come fosse potuto succedere, ma quando il ragazzo l’aveva ferita,
la collana aveva iniziato a bruciare, poi era comparso Uriel e le aveva salvato
la vita.
Era
tutto semplicemente assurdo.
Tara
si chiese sconsolata quante volte, in quella giornata, avrebbe dovuto ancora
rischiare di essere uccisa.
Cercò
di alzarsi, ma le mani continuavano a tremare e le gambe non riuscivano a
sostenerla.
Sbuffò
frustrata cercando di ignorare le fitte di dolore alla spalla.
La
cosa positiva era che al ragazzo dagli occhi neri, che l’angelo aveva chiamato
Jonathan, sembrava essere andata peggio; infatti era accasciato a terra
svenuto, la maglietta nera strappata nel punto in cui Uriel l’aveva toccato, la
pelle era pallida e il petto si alzava e abbassava lentamente, tanto che Tara,
per un momento, pensò che fosse morto.
La
ragazza però non aveva la minima intenzione di rimanere in quella stanza ad
ammirare il suo aguzzino.
Prese
lo zaino afflosciato per terra ai piedi del letto, e se lo mise in spalla. Non
aveva idea di che cosa contenesse, perché scappando dai mostri aveva lasciato
tutte le sue cose a casa sua.
Tara
cercò di ricordare cosa fosse successo esattamente, ma rievocò solo immagini
sbiadite di lei che scappava per tentare di allontanare i mostri dal nonno.
Tara sperò davvero di averlo salvato in quel modo.
Poi
c’era il problema della maledizione che Uriel aveva scagliato al ragazzo, Tara
sapeva che sarebbe stata per lei un’arma a doppio taglio: da una parte Jonathan
non le avrebbe più potuto far del male, ma dall’altra, e di questo era più che
sicura, avrebbe fatto di tutto per vendicarsi.
La
ragazza perse il filo dei suoi pensieri quando passò davanti allo specchio
attaccato alla porta.
Invece
del pigiama, che era certa di aver indossato prima di andare a letto, portava dei
pantaloni di pelle aderenti neri, una canottiera anch’essa nera e degli stivali
che le arrivavano al ginocchio.
Le
si contorse lo stomaco nel cercare di immaginare come Jonathan avesse potuto cambiarla mentre era svenuta. Un
brivido le percorse la schiena e sentì le guance colorarsi rapidamente di un
rosso acceso.
Senza
guardare indietro, aprì la porta, e solo dopo che la sentì chiudere dietro di
sé, si rese conto di quanto avesse avuto paura.
Rimase
stupita quando capì di essere in un albergo, e la segretaria non la degnò di un
minimo sguardo mentre usciva, Tara cercò di non arrossire ogni volta che
incontrava lo sguardo curioso di qualcuno.
Si
sentiva dannatamente a disagio con quei vestiti.
L’edificio
dava su Broadway,
e Tara si lasciò sfuggire un piccolo sospiro di sollievo. Anche se casa sua era
un po’ distante, almeno si trovava ancora a New York.
Era
mattina presto, e il vento frizzante che annunciava la primavera scompigliava i
capelli corvini della ragazza. Le strade erano deserte e le persone non avevano
ancora iniziato le loro frenetiche attività, e di questo Tara ne fu grata.
Infatti
decise di rilassarsi a Central Park, sperava che la pace del parco
avrebbe potuto darle un po’ di conforto e magari si sarebbe fatta una dormita
su una delle panchine di legno.
Central
Park era per i newyorkesi un’osai in un mare di grattacieli, al suo interno
l’aria sembrava più viva e Tara sperava che gli edifici che gli uomini
continuavano a costruire non avrebbero finito per distruggere anche quel poco
verde rimasto.
Si
lasciò cadere su una panchina, davanti a lei gli occhi di marmo di William
Shakespeare la guardavano contrariati, e Tara subito distolse lo sguardo dalla
statua.
Stringeva
ancora lo zaino rubato a Jonathan, così decise di rovistare dentro, sperando
vivamente di trovare un cellulare o dei soldi. Tara aveva una fame tremenda.
Invece
trovò un coltello dalla lama così affilata che faceva male solo guardarlo, una
specie di penna con dei simboli incisi spora, una pietra, che quando la ragazza
la toccò emise un lieve bagliore argentato e altre piccole armi tascabili di
distruzione di massa che Tara non si fidò a toccare.
Sbuffando
frustrata lasciò cadere lo zaino a terra e nascose il viso tra le mani.
Si
sentiva come intrappolata tra due realtà, non sapeva a cosa credere davvero.
Avrebbe voluto che fosse solo un sogno, ma il dolore alla spalla quando si
muoveva era troppo reale, tutti i mostri e gli angeli quindi dovevano essere reali. Non c’era altra spiegazione.
Una
voce maschile si fece strada nella nube dei suoi pensieri e Tara sussultò.
-Jace
si può sapere dove ci stai portando?- si stava lamentando qualcuno.
-Senti
Alec, ti dico che le mie fonti mi hanno assicurato che Sebastian e la mondana
con l’angelo meccanico si trovavano da queste parti- rispose un altro.
A
sentir nominare la collana che portava, Tara ebbe un tuffo al cuore.
Si
alzò di corsa, ma era troppo tardi.
Davanti
a lei c’erano quattro ragazzi, due maschi e due femmine e la stavano guardando.
Come
Jonathan, anche loro avevano il corpo ricoperto da spessi simboli neri, erano
armati fino ai denti e indossavano abiti neri di pelle simili ai suoi.
-E’
lei?- chiese una ragazza dai folti capelli rossi, gli occhi verdi cercarono una
conferma da quello che sembrava il leader del gruppo.
Lui
si limitò a squadrarla, Tara si sentì nuda davanti ai suoi occhi che sembravano
oro fuso.
Non
stette però a sentire la risposta, perché il più velocemente possibile prese lo
zaino e schizzò via.
Con
soddisfazione notò che i vestiti che indossava, per quanto imbarazzanti, le
permettevano di compiere con agilità qualsiasi movimento.
Non
dovette girarsi per capire che gli altri, naturalmente, la stavano inseguendo.
Tara
sapeva bene che era in inferiorità numerica, e che nessuno poteva vederli
grazie ai simboli che avevano tatuati sulla pelle, ma non si sarebbe fatta
catturare senza combattere.
Uscì
più veloce che poté da Central Park , rischiando di essere investita dalle
macchine che sfrecciavano per la strada, ed entrò nel primo bar che trovò.
Con
il cuore che le batteva all’impazzata, si nascose nei bagni, e dopo aver chiuso
con mani tremanti la serratura rimase ad aspettare.
Cercò
di contare i suoi respiri per capire quanto tempo stesse passando, ma si perse
al centoduesimo, quando sentì la porta aprirsi.
Nella
stanza aleggiava il silenzio più totale, Tara aprì lo zaino e impugnò il
coltello, non aveva idea di come potesse usarlo contro un aggressore, ma c’era
sempre una prima volta, si disse cercando di darsi coraggio.
Nel
frattempo ogni porta del bagno veniva aperta, la ragazza si trovava nell’ultimo
bagno e quando toccò a lei, si rannicchiò al muro pronta a saltare e strinse
così forte il coltello che le nocche sbiancarono.
La
porta si aprì e lei si scagliò fuori con urlo, senza guardare prese l’aggressore
per le spalle e entrambi finirono a terra.
Aveva
atterrato la ragazza con i capelli rossi che si dimenava cercando di sfuggire dalla
sua presa, Tara nonostante fosse bassa quanto lei con una mano riuscì a bloccarle
le mani e con l’altra che impugnava il coltello, le sfiorò la gola.
Sentendo
il contatto della lama, la ragazza smise di muoversi –Non ti faremo del male-
disse fissandola intensamente, aveva una voce dolce e Tara avrebbe voluto
crederle.
Sarebbe
stato tutto molto più facile.
Però
sapeva che non poteva fidarsi di nessuno, digrignando i denti avvicinò di più
la lama, finché un rivolo di sangue non scivolò sul collo della ragazza –Lasciatemi
in pace- disse.
-Non
possiamo, tu sei coinvolta in questa storia quanto noi- rispose l’altra senza
battere ciglio.
Tara
avrebbe voluto ribattere, ma qualcuno la spostò dalla rossa prendendola di peso
per le braccia.
Colta
di sorpresa urlò e cercò di usare il coltello, ma una ragazza dagli occhi neri
glie lo strappò di mano, mentre un altro le teneva ferme le gambe che
continuavano a scalciare.
Rendendosi
conto di essere impotente, morse più forte che poté la mano di quello che le
teneva le braccia ferme in una morsa d’acciaio.
-Mi
ha morso!- esclamò il ragazzo stupito e allentò la presa quel tanto che bastò a
Tara per spingerlo via e dare un calcio in pieno viso al ragazzo che le teneva
fermi i piedi.
Prese
il coltello per terra e lo lanciò verso la ragazza dagli occhi neri, il colpo
non andò a segno, ma le procurò comunque un taglio sul braccio.
Senza
aspettare oltre corse via, ma all’uscita del bar si scontrò con una ragazza che
poteva avere pochi anni più di lei.
Tara
si lasciò sfuggire un gridolino terrorizzato, ma la persona che aveva davanti
sembrava totalmente normale. I capelli mossi le ricadevano morbidi sulle
spalle, gli occhi grigi la scrutavano come se potessero leggerle dentro, c’era
qualche cosa di familiare nel suo viso, tanto che le sembrò di conoscerla da
sempre.
Tara
si scusò e fece per andarsene, ma quella prese tra le dita l’angelo meccanico e
lo guardò triste.
-Chi
sei?- chiese la ragazza con voce tremante, poggiando le piccole mani su quelle
dell’estranea.
-Io
sono Theresa Starkweather- fece una pausa e spostò lo sguardo dalla collana a
Tara –E sono la vecchia proprietaria dell’angelo
meccanico-
Nota dell’autrice: Salve a tutti! Mi scuso davvero per non aver
aggiornato prima questo capitolo. Comunque spero che apprezzerete il fatto che
sono stata ore a studiarmi la cartina di New York per vedere dove far muovere
Tara .
Non
ho altro da aggiungere, mi dispiace che in questo capitolo Seb sia stato poco
presente, ma tranquilli mi rifarò nel prossimo *^*
Detto
questo vi saluto!
Al
prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Un briciolo di speranza ***
Un briciolo di speranza
Un briciolo di speranza
L’aria era fresca, il sole illuminava il mondo e il cielo era privo di
nuvole.
Jonathan adorava giocare a correre per l’immensa campagna, in quei rari
momenti di pace non c’erano libri da studiare o armi, ma solo la natura che
entrava dentro di lui e lo faceva sentire davvero al sicuro. Nessuno lo avrebbe
giudicato e ,nonostante fosse circondato solo da alberi e piccoli animali, non
si sentiva mai solo.
Però era abituato a essere dimenticato. Non era certo una delle
priorità di suo padre. Lo vedeva così raramente da poter contare tutte le volte
sulle dita della mano.
Ogni volta che Valentine si faceva vivo era per somministrargli strani
intrugli o pozioni e ,quando disubbidiva, per frustrarlo.
Jonathan rabbrividì al solo pensiero. Provava così tanto dolore ogni
giorno che si chiedeva come potesse non essere già crollato. Era come se si
trovasse in un tunnel, circondato dall’oscurità, era sicuro che non avrebbe mai
trovato la luce che indicava la via d’uscita. Non avrebbe mai avuto la speranza
di una vita migliore.
Perché lui era sbagliato, e uno come lui non poteva meritare di essere
felice.
La voce di Valnetine si fece strada tra la nube vorticosa dei suoi
pensieri riportandolo di botto alla realtà.
- Jonathan – disse il padre squadrandolo dall’alto in basso –Mi hai
fatto venire a chiamare. Devi dirmi qualche cosa di importante spero- il tono
della voce fece capire al bambino che se avesse detto qualche cosa di sbagliato
o di troppo sarebbe stato punito.
Deglutì e cercò di assumere un aria indifferente – Mamma …
Valentine strinse i pugni e serrò le labbra. Jonathan fece qualche
passo indietro temendo in uno scatto d’ira, ma il padre si limitò a lasciarsi
cadere per terra.
Il bambino prese coraggio e continuò.
-Mamma tornerà mai?-
-No Jonathan – lo sguardo dell’adulto era inespressivo – Lei non
tornerà-
Il bambino trattene il respiro. Era da molto che voleva affrontare quel
discorso, ma non ne aveva mai avuto l’opportunità perché era troppo intimorito
e la maggior parte delle volte si tirava indietro.
-E’ morta? Morire significa non tornare indietro- chiese guardando di
sottecchi il padre per cogliere qualche segnale che gli permettesse di carpire
la verità.
- No. Lei non è morta-
Jonathan sgranò gli occhi stupito. Mai si sarebbe aspettato una simile
risposta. Preso dalla curiosità si accovacciò accanto al padre, senza però
guardarlo. Valentine odiava essere fissato.
- Allora perché se n’è andata?-
-Per colpa tua. Perché c’è qualche cosa di sbagliato in te-
Jonathan ebbe un tuffo al cuore. Il padre spesso glie l’aveva fatto sottintendere:
minacce, punizioni, isolamento, digiuno, ma mai era stato così diretto.
- Puoi … puoi curarmi …?- sussurrò continuando a fissare l’erba. Si
sentiva tremendamente stupido perché già sapeva la risposta.
- Niente potrà far sì che lei ti ami. Solo io ti amo. Solo io posso
amare un mostro. Hai capito?-
- S … Sì- mormorò il bambino raggomitolandosi su sé stesso come se
diventando piccolo, prima o poi sarebbe potuto scomparire.
Avrebbe voluto piangere, avrebbe voluto gridare, ma sapeva che era
tutto inutile. La realtà era immutabile. Niente avrebbe potuto guarirlo dal
mostro che lo stava divorando.
Jonathan sarebbe affogato in un mare di odio e rancore. Sarebbe
bruciato nel fuoco alimentato da suo padre. Sarebbe congelato a causa dell’assenza
di sua madre.
Era destinato ad essere niente.
Sebastian si riscosse dal ricordo.
Gli capitava pochissime volte di sognare e quando succedeva erano incubi che
era meglio dimenticare. Non pensava che il padre lo trattasse così duramente.
La sua vita era un collage di ricordi sbiaditi. Il cacciatore preferiva
lasciarsi sempre il passato alle spalle. In questo modo era più facile andare
avanti e affrontare il futuro.
Gli ci volle molto tempo per ricollegare
gli ultimi avvenimenti, ma il dolore al petto fu subito un buon indizio.
Si tastò la runa ,incisa da Uriel,
con le mani. Sembrava che la pelle gli
stesse andando a fuoco, ma non provava dolore, ma una sensazione che non seppe
riconoscere.
Strizzò gli occhi per mettere a
fuoco la stanza.
Naturalmente la mondana era
scappata. Come se lui non avesse già fin troppi problemi.
Imprecò ad alta voce e si alzò. Si
sentiva ogni singolo arto del corpo incartapecorito.
Lilith non sarebbe stata affatto
contenta. Il ragazzo sperò che non fosse venuta già a conoscenza del “piccolo”
cambiamento di programma nei suoi piani.
Non fece in tempo a pensare che le
avrebbe potuto raccontare una variante di quello che era successo –così da
evitare di finire ucciso -quando si rese conto che il suo zaino era sparito.
-No no no – urlò iniziando a
cercarlo come un pazzo per la stanza.
Lì dentro c’era un anello che gli
permetteva di evocarla senza rischiare di finire incenerito oltre al suo
pugnale, gli stili e la stregaluce. Frugò ovunque ribaltò mobili e letto, ma
dello zaino non c’era traccia.
La cosa che più lo innervosiva era
che si era fatto fregare da una stupida ragazzina per ben tre volte.
Era un cacciatore di demoni, era
stato addestrato a combattere le più potenti forze dell’oscurità.
E una piccola mondana era riuscita
a sfuggirgli?
Cercò di calmarsi pensando a tutti
i modi in cui l’avrebbe potuta uccidere, ma fu subito scosso da un fremito che
per poco non lo fece cadere a terra.
Disorientato si passò una mano
tremante sul viso e subito gli apparve la faccia scheletrica di Uriel che lo
malediva. Sentì lo stomaco contorcersi e i brividi corrergli per la schiena.
Uniti con il sangue
Sebastian urlò per la frustrazione
e diede un calcio al muro. L’unico modo per liberarsi della maledizione era
parlarne con Lilith, ma non poteva e in più avrebbe dovuto confessarle di aver
disubbidito ai suoi ordini.
Era bloccato in una situazione
tremenda.
-Aiuto! Qualcuno mi aiuti!-
Sebastian sobbalzò nel sentire la
voce della mondana. Si guardò intorno disorientato, ma la stanza era vuota,
eppure la voce sembrava venire da lì vicino. Girò su sé stesso più e più volte,
vide solo mobili e lenzuola sparpagliati sul pavimento. Si affacciò alla
finestra, ma le strade erano deserte.
Poi sentì un formicolio al petto,
la runa della maledizione stava brillando.
Come se stesse vedendo un film gli
comparvero davanti agli occhi tante immagini una dietro all’altra: la mondana
con il suo zaino, Jace, Clary e gli altri che la inseguivano, il viso terrorizzato
della ragazza mentre tratteneva il respiro in un bagno e un combattimento.
Tutto divenne chiaro: sapeva
esattamente dove si fosse andata a cacciare, ma soprattutto riusciva a sentire
dentro il cuore che era in pericolo. Era come se fosse stato investito da un
fiume di sentimenti che lasciarono il cacciatore senza fiato.
Non poteva lasciare che corresse
alcun pericolo, altrimenti a lui sarebbe spettata una sorte ben peggiore.
Sebastian si sentiva strano. Era
come se tutto il mondo intorno a lui girasse nel senso opposto e lui non
riusciva a reggerne più il passo. Stava rimanendo indietro oppure era andato
avanti?
Come poteva sentire la voce di lei
nella testa? Perché adesso si sentiva come da bambino?
Sempre solo, ma con un briciolo di speranza stretto in
mano.
Nota dell’autrice: non è un capitolo in cui succedono grandi colpi
di scena, ma ne vado davvero fiera perché mi ci sono super impegnata e poi ho
davvero adorato scrivere della sua infanzia. Vi dico che penso di sapere quasi
tutto quello che succederà nei prossimi capitoli. L’unica cosa è che devo
decidere se fare un finale felice o triste … vedremo vedremo. I capitoli che
arriveranno saranno incentrati su un Sebastian che si sente un po’ diverso. In
meglio o in peggio? Sta a voi decidere, tanto io continuo a scrivere <3
Detto questo vi invito a leggere
anche la fan fiction su Emma Carstairs:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2103597&i=1
E di un William Herondale nella
saga di The mortal instruments:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2075819&i=1
Detto
questo vi saluto!
Al
prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Patto con il diavolo ***
patto con il diavolo
Patto con il diavolo
-Ho
già detto che mi dispiace per il morso- ripeté Tara per la due milionesima
volta, cercando di sembrare il più dispiaciuta possibile, ma ottenne solo
un’occhiata truce dal biondino che la sovrastava.
-Gli
animali mordono! Sei per caso una qualche specie sottosviluppata di
scimmia?-
le sbraitò contro incrociando le braccia. La ragazza avrebbe
voluto
rispondergli con un pugno diritto in faccia, ma non le sembrava il caso
dal
momento che si trovava in un edifico gigantesco e isolato dalla
città che sembrava non essere notato da tutte le persone che ci
passavano accanto
Per
non parlare di tutti i ragazzi in nero che la circondavano silenziosi e
immobili come le statue che riempivano l’enorme sala dove era stata trascinata
senza alcuna spiegazione, poi il fatto che fossero armati fino ai denti, la
convinse a non compiere nessun gesto troppo spericolato.
Certo,
ormai Tara poteva dire di essersi abituata al fatto che la sua vita negli
ultimi giorni prendesse ogni ora una piega inaspettata che rischiava sempre di
ucciderla.
Dopo
che si era scontrata con la misteriosa ragazza dagli occhi grigi ,che
si era presentata come una sua anenata nonostante fosse poco più
grande di lei, tutto era
diventato confuso, ricordava solo di essere svenuta, probabilmente era
stata
addormentata, e ora si ritrovata a dover discutere con un dark tinto,
che
continuava a non darle nessuna risposta sul perché avessero
deciso di rapirla.
-Vi
prego potete dirmi perché mi trovo qui? Gli ultimi giorni della mia
dannatissima vita sono stati un vero inferno!- Tara fissò disperatamente
ciascun ragazzo e la voce le si incrinò –Non ho idea di quello che sta
succedendo!-
-Già
nemmeno io- rispose la ragazza dagli occhi neri e gelidi –Perché una mondana è
riuscita quasi a sfuggire a cacciatori addestrati da anni? Perché porti
l’angelo meccanico? Chi sei?-
-Non
rispondo alle vostre domande se prima voi non rispondete alle mie!- ribadì Tara
stringendo i pugni per darsi forza –Voi non immaginate minimamente come mi sia
sentita quando …- la voce le si spense in gola.
La
sua vita era stata ribaltata, l’intera realtà che credeva conoscere si era
rivelata solo una menzogna che nascondeva un mondo ancora più cruento e
tremendo di quello in cui viveva lei.
E
per quanto il solo pensare a Jonathan le facesse chiudere lo stomaco dal
terrore, non poteva parlarne a sconosciuti che magari le avrebbero potuto fare
ancora più male del demone dagli occhi neri.
Se
aveva imparato qualche cosa dagli ultimi avvenimenti era proprio non fidarsi di
chi dice di poterti aiutare.
-Quando?-
le chiese il ragazzo dagli occhi blu che fino a quel momento non aveva mostrato
alcun interesse per lei.
-Quando
… mi sono nascosta in bagno per scappare- cercò di mentire Tara, era
consapevole che non sarebbe mai stata credibile, infatti i cacciatori si
avvicinarono e la ragazza sentì mancarle il fiato.
-Cosa
potrai aver fatto? Avrai pianto come tutti i mondani, per poi scagliarti come
una pazza contro chi voleva aiutarti- la accusò il biondo –Se non ci fosse
stata Theresa probabilmente ora staresti già nella città di ossa-
-Riesci
a capire che non ho la minima idea di quello che stai farfugliando? Perché
continuate a farmi tutte queste domande?- urlò Tara che stava perdendo la
calma.
-
Perché anche noi come te siamo confusi e abbiamo bisogno di risposte! Stavamo
seguendo un’altra pista, dovevamo catturare un’altra persona e invece compari
tu! Il nostro lavoro è aiutarti, siamo cacciatori, ma stiamo per sfociare in
una guerra e non c’è più tempo- disse il ragazzo.
-
Chi dovevate catturare?- chiese Tara che in fondo al suo cuore, già sapeva quale
sarebbe stata la risposta.
-
Pensi che potrebbe cambiare qualche cosa dirtelo? Mentre perdiamo tempo a
capire come ti sei procurata quella dannata collana, lui è in giro a uccidere!-
-Jace-
lo ammonì la rossa poggiando delicatamente la mano sulla spalla del ragazzo.
-
Va bene Clary! Pensaci tu- disse esasperato Jace. Tara rimase stupida dal fatto
che il cacciatore invece di risponderle male, si era limitato a sbuffare per
poi iniziare a giocherellare con i passanti della sua cintura.
-I
Fratelli Silenti saranno presto qui e potranno darti tutte le risposte che
cerchi, a prima vista possono mettere un po’ in soggezione per i loro aspetto
un po’ … fuori dal comune, ma tranquilla ci siamo noi a sostenerti, inoltre
confidiamo nell’aiuto di quella che sembra essere la tua antenata, Theresa
Grey, anche lei sarà qui a momenti- le disse Clary con un sorriso incoraggiante
che Tara si ritrovò costretta a ricambiare.
-
I Fratelli Silenti entreranno nella tua testa e troveranno la verità. Noi non
possiamo farti parlare con le forze, anche perché non ci è permesso maltrattare
i mondani- disse Jace, probabilmente voleva farla sentire in soggezione, per
vedere come avrebbe reagito, anche perché era fin troppo evidente che i ragazzi
sospettavano che lei stesse mentendo.
Tara
cercò di sembrare indifferente anche se era consapevole di aver iniziato a
tremare.
-Ho
detto che io non so nulla, ho trovato lo zaino per caso e la collana è l’unico
ricordo che mi è rimasto di mia madre-
-Stai
mentendo- la accusò freddamente la ragazza dagli occhi scuri –Ma ci penseranno
i Fratelli Silenti a scoprirlo.-
-Oppure- disse
il moro dagli occhi blu - Hai un blocco mentale come quello che aveva
Clary e stai dicendo la verità. Rimane il fatto che nessuno deve
perdere la calma e vorrei invitarvi ,ragazzi, a essere più
controllai-
-Non mi lascerete andare vero?- chiese Tara con rassegnazione.
Nessuno le rispose.
Esasperata
si sedette sul costoso divano che si trovava il più lontano possibile dai
cacciatori e nascose la testa tra le mani.
Ogni
secondo che passava lei si sentiva sempre più in trappola, cercava
freneticamente di elaborare un piano di fuga, ma era troppo agitata per pensare
a qualsiasi cosa.
Nella
mente le scorrevano veloci tutte le informazioni che aveva assimilato e le
sembrava di vivere in un incubo, chiuse gli occhi sperando che si sarebbe
svegliata, ma intorno a lei c’era solo silenzio.
Si
sentì morire quando la porta si aprì cigolando, Tara si alzò di scatto pronta ad
affrontare i Fratelli Silenti o qualsiasi cosa si fosse presentata per farle
del male.
Rimase quasi senza fiato quando
si ritrovò a ricambiare quello sguardo assetato di sangue che conosceva fin
troppo bene, gli occhi nerissimi ,cerchiati dalle occhiaie, gli conferivano un
aspetto ultraterreno, la pelle pallida lo faceva sembrare una statua, i fini
capelli bianchi, invece di essere ordinatamente tirati all’indietro, gli
ricadevano disordinati sulla fronte.
La figura di Jonathan si
stagliava sull’ingresso facendolo apparire un angelo caduto, quell’Angelo
caduto, meraviglioso e letale che per la sua malvagità era stato bandito dalla sua
patria e dalla possibilità di una pace eterna.
Quell’Angelo dimenticato era
Jonathan, ma ora Tara riusciva a vedere oltre il nero dei suoi occhi, oltre
quel buco infinito di oscurità e tristezza, e con sua immensa sorpresa si
ritrovò a contemplare un debole bagliore di luce.
Senza che lei se ne
rendesse conto, le sue gambe si mossero da sole e si ritrovò a correre disperatamente
verso di lui.
Tara si dimenticò di tutto
quello che reputava giusto e sbagliato, anche perché buttarsi tra le braccia di
una persona che aveva cercato più volte di ucciderla, era la cosa più stupida
che avrebbe potuto fare, ma sapeva anche che con la maledizione dell’Angelo il
ragazzo non avrebbe potuto farle alcun male, così l’unica cosa che poté fare fu
scegliere il male che reputava minore.
Quando i loro corpi si
scontrarono brutalmente, Jonathan le strinse le braccia , Tara riusciva a
sentire il calore emesso dalle mani del ragazzo, che nonostante i vestiti,
sembrava passarle per tutto il corpo come una scarica elettrica.
-Chiudi gli occhi mondana-
le disse semplicemente senza degnarla di uno sguardo.
Tara guardò i ragazzi che
l’avevano rapita, i loro volti esprimevano stupore e incredulità e prima che
potessero fare qualsiasi cosa per fermare il demone dagli occhi neri, tutto era
già scomparso.
La stanza in cui si
trovavano si dissolse in un mare di nebbia grigiastra che le offuscò la vista,
l’aria si riempì di un odore di zolfo che le entrò nella gola costringendola a
tossire.
Spaventata Tara cercò di
aggrapparsi con tutte le forze a Jonathan, ben consapevole che dopo aver fatto
il patto con il diavolo, non si
poteva tornare indietro.
Nota dell’autrice:
Okay Okay sono una persona orribile, mi scuso
per non aver scritto, ma la scuola mi sta uccidendo e insomma essendo secchiona
*coff coff* ci tengo ad avere una media abbastanza alta che è difficile
mantenere *che tu sia maledetto greco*
Comunque spero vi sia
piaciuto, il prossimo capitolo sarà di Seb e non vedo l’ora <3 sono secoli
che non sto un po’ con lui.
Comunque penso di aver
scritto del “patto del diavolo” perché Tara inconsciamente sceglie da chi parte
stare ,anche perché vede nei nostri amati cacciatori ,che cercano di aiutarla,
dei nemici che l’hanno rapita.
Cosa comporterà questa
scelta per Tara?
Detto questo vi do un
bacio e vi saluto <3
Al prossimo capitolo!
P.S. spero che abbiate
notato che Tara morde i cacciatori come la sua antenata Tessa XD chi ha letto
l’angelo capirà a cosa mi riferisco <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Solo ***
solo
Solo
Sebastian
non era mai stata una persona a cui piaceva fuggire, era molto più forte di
tutti quegli insulsi cacciatori, ma non ce l’avrebbe fatta da solo a combattere
e nello stesso tempo a proteggere la mondana.
Da
quando era arrivata lei tutto i suoi piani erano andati in fumo, e invece di
ucciderla, ora gli toccava anche farle da balia.
Tutto
questo per Sebastian era inconcepibile.
Per
non parlare del modo in cui l’aveva guardato Clary, sua sorella lo odiava con
tutto il cuore, e questo per lui era
atroce. Perché odiarlo? Lui aveva cercato di proteggerla, per anni si era chiesto
come fosse il suo viso e quando finalmente l’aveva trovata, lei ,come tutti,
l’aveva visto come un mostro.
Tutti
lo odiavano tranne lei: la mondana che ingenuamente gli era corso incontro,
suggellando probabilmente la sua condanna a morte, ma lei, nonostante avesse
visto il nero del suo cuore dannato, non aveva paura di lui.
Quando gli fu accanto, Sebastian
istintivamente la strinse a sé per cercare di farla smettere di tremare come
una faglia.
Le
disse di chiudere gli occhi, ma lei stava guardando con aria di sfida gli altri
cacciatori.
-Il
compito di uccidere la mondana spetta a me, mettiti in fila fratellino- fece
l’occhiolino a Jace che si stava avvicinando con la spada angelica in pugno,
poi mosse l’anello che aveva al dito, pensò a un luogo sicuro e venne
risucchiato in un mare di nebbia grigia.
L’atterraggio
non fu certo dei migliori, ma poteva andare molto peggio: i ragazzi ruzzolarono
per qualche metro e Sebastian si fermò solo dopo aver sbattuto contro un pino.
Sentì
i suoi muscoli gemere e cercò di guardarsi attorno nonostante gli si fosse
appannata la vista. Erano in una foresta, il cacciatore non sapeva bene dove,
ma l’importante era essere riuscito a scappare dall’Istituto.
-Mondana!
– urlò Sebastian mentre cercava di alzarsi, in risposta ebbe solo un debole
mugolio, poi il silenzio.
-Ti
prego non dirmi che ti sei ferita- chiese il ragazzo terrorizzato, mentre gli
ritornavano in mente le parole della maledizione.
Se
lei era ferita, lui avrebbe patito il triplo – Mondana!-
Il
ragazzo girò più volte su se stesso, ma gli sembrava di
vedere solo i pini che
si stagliavano alti verso il cielo, inoltre era difficile per lui
tenersi in piedi e per ogni minuto che passava si sentiva sempre
più debole.
-Sto
qui … sto qui -
Sentendo
la sua voce Sebastian si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e sostenendosi
ai vari pini si avvicinò alla voce.
La
ragazza era accasciata a terra su un cumolo di aghi di pino, non molto distante
da dove era atterrato lui, sembrava non essere ferita, ma era pallida e sudata
e le mani le tremavano convulsamente.
-Sei
ferita?- le chiese dopo essersi lasciato cadere accanto a lei, era un miracolo
se il cacciatore riuscisse a trovare ancora la forza per respirare.
-
Ho sbattuto la testa- la mondana cercò di alzarsi – Forse era meglio se
chiudevo gli occhi-
Sebastian
si lasciò sfuggire uno sbuffo – Non penso che io me la caverò con un semplice
mal di testa invece-
-
La maledizione … - sussurrò lei –Ma io sto bene, ti prego non puoi! Alzati!-
Ma
il ragazzo sentiva che stava per morire, come l’aveva capito l’ultima volta,
tutto era identico: l’aria ovattata, la difficoltà a respirare, la sensazione
di freddo che si insinuava nelle ossa. Solo una cosa era cambiata: ora poteva
vedere il suo viso morente riflesso negli occhi viola della mondana.
Sebastian
avrebbe voluto semplicemente lasciarsi andare, ma non poteva sottrarsi a quel
colore così intenso, avrebbe voluto guardare i suoi occhi per sempre,
rifugiarsi nel mondo pacifico della mondana e iniziare a vivere.
Ma
ai mostri non spettava quel destino.
-
Se muoio ti tengo un posto riservato all’inferno mondana. Su questo puoi stare
tranquilla- disse Sebastian sorridendo, poi chiuse gli occhi e si lasciò
semplicemente abbracciare dall’oscurità.
L’unico
rammarico che aveva era che probabilmente nessuno avrebbe pianto la sua morte.
Solo
era arrivato e solo se ne doveva
andare.
Nota dell’autrice: Allooooooora avete visto che brava? Ho scritto un
altro capitolo <3 probabilmente ora scriverò con molta più frequenza anche
perché stiamo arrivando alla mia parte preferita, la parte che avrei voluto
scrivere fin dall’inizio.
Mi
scuso se il capitolo è stato così breve, ma devo creare patos v.v
Non
penso che vi aspetterete le cose che stanno per succedere, anche perché io non
avrei mai pensato che la storia avrebbe preso questa piega c:
Detto questo vi do un
bacio e vi saluto <3
Al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Battito di un cuore ***
battito di un cuore
Battito di un cuore
Tutto
era fermo, tutto era vuoto e Tara non sentiva nulla.
Lei
non era quel tipo di persona dal sangue freddo che non si lascia intimorire da
nulla, lei era fragile e solo ora se ne rendeva conto. Per cosa aveva
combattuto? Perché cercava di sopravvivere? La vita scorreva, anche senza di
lei.
Semplicemente
non era essenziale.
Non
sapeva quanto tempo era passato, da quanto tempo stava fissando quella pelle
bianca, se l’avesse toccata sarebbe stata fredda, morta.
Non
poteva affrontare un dolore simile, era stata perseguitata per tutta la vita da
quell’ombra che le aveva tolto tutte le persone che amava.
Non
riusciva a muovere un muscolo; i vivi si muovono, possono uscire di casa e
sperare che ogni giorno sia migliore, lei invece era solo sopravvissuta e non
poteva essere abbastanza.
Il
ragazzo che aveva davanti non aveva più nulla di mostruoso, gli occhi neri
erano coperti dalle palpebre chiuse, le labbra piene erano socchiuse, il volto
sembrava sereno e Tara poté notare le lentiggini che gli macchiavano le
guancie, le ciglia folte e bianche come i capelli, le dita lunghe e affusolate,
le braccia percorse dalle vene che sembravano radici.
Tara
le sfiorò, accarezzò lentamente il viso, fece passare i polpastrelli sulle
labbra screpolate fino ad arrivare ai capelli che gli ricadevano in ciocche
disordinate sulla fronte.
-Ti
odio …- sussurrò, gli strinse con forza le braccia e iniziò a scuoterlo –Ti
odio! Come hai potuto?- urlò mentre sentiva le lacrime scenderle dagli occhi –Come
hai potuto lasciarmi sola?- cercò di sollevarlo –Devi alzarti! Brutto schifoso-
la sua voce non aveva più nulla di umano.
Il
dolore era così lancinante da annebbiarle la vista, i singhiozzi lasciavano
spazio a insulti, le urla seguivano le preghiere.
Quella
scena era troppo familiare e Tara poteva rivedersi a neanche sei anni che
urlava ai genitori chiusi nelle bare di averla lasciata sola, li accusava di
non averla amata abbastanza altrimenti non se ne sarebbero andati senza di lei.
Perché tutti le dicevano che era stato un miracolo? Perché doveva ritenersi
fortunata?
Non
li avrebbe più rivisti, le rimanevano le foto, i ricordi e due fredde lapidi.
Erano
passati minuti, forse ore, Tara non sapeva dirlo. Aveva provato e riprovato in
tutti i modi, piangere non sarebbe servito, niente può riportare indietro i
morti.
Avrebbe
dovuto andarsene, scappare da quell’incubo, lasciarsi tutto alle spalle. Il suo
nemico era finalmente morto, lei era libera.
Allora
perché non riusciva ad abbandonare il corpo? Cosa la tratteneva?
Ogni
volta che si poneva queste domande non era in grado di darsi una risposta,
tutto quello che le era accaduto era collegato a lui, lei aveva scelto lui, il
male.
Cosa
era lei quindi senza il male?
La
ragazza si sentiva vuota, non aveva energie per fare nulla. Tremava
convulsamente, la vista era appannata dalle lacrime, respirava a fatica,
avrebbe voluto urlare, chiamare aiuto, ma erano in una foresta in chissà quale
parte del mondo.
Una
folata di vento fece ondeggiare i pini intorno a lei, il freddo le stava
corrodendo le ossa, ma per nessuna ragione al mondo avrebbe lasciato il corpo.
Non sarebbe morta scappando.
La
sua attenzione venne catturata da un gufo che la osservava intensamente da un
po’, ogni tanto piegava la testa e arruffava le penne per poi fare un verso che
le fece scappare uno stanco sorriso. Poi ad un tratto l’animale venne
spaventato da uno scricchiolare di foglie, anche la ragazza si girò di scatto.
Quando
Tara la vide pensava di aver avuto un’allucinazione perché era tutto ricoperto
di una calda luce che le accarezzava la pelle, rabbrividì e cercò di schermarsi
gli occhi, ma riusciva a scorgere solo una figura che si avvicinava.
-Aiuto-
sussurrò –Ci serve aiuto …
-Inglese?-
le chiese una voce delicata dall’accento francese.
-Americani-
si sforzò di dire la ragazza.
-Okay
ci penso io- la donna si avvicinò al ragazzo e lo guardò con curiosità.
-Lui
è … - la voce le morì in gola, come poteva spiegarlo?
-Shh-
la donna le accarezzò la guancia i suoi grandi occhi dorati la fissarono
intensamente tanto che la ragazza li sentì scrutargli l’anima, -No- disse
semplicemente, poi prese la mano di Tara e la posò sul cuore ghiacciato del
ragazzo –Tu puoi sentirlo-
Lei
la guardò smarrita, era uno scherzo, già stava per scacciarla via quando sentì.
Ad
una prima impressione sembrava un lieve tamburellare, Tara chiuse gli occhi per
concentrarsi meglio, il rumore andava e veniva, a volte più forte altre così
debole che sembrava scomparire.
Era
il suono del battito di un cuore.
Nota dell’autrice: Sì e sì la vostra Lady è viva e vegeta *più o
meno* . Non avete idea del dolore che ho provato negli ultimi tempi, avrei
voluto scrivere, ma la scuola, famiglia e amici non mi hanno lasciato un attimo
di pace. Sinceramente spero di poter scriver al più presto, non avete idea di
quanto tutto questo mi sia mancato.
Ho
tanti bei progetti nuovi e dolci da fare *^* vi giuro che cercherò di fare il
meglio.
Detto questo vi do un
bacio e vi saluto <3
Al prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Fiore di loto ***
fiore di loto
Jonathan
Christofer Morgenstern non era come tutti gli altri mortali: lui non
provava emozioni. In qualunque situazione si trovasse riusciva sempre a
rimanere freddo, a guardare il mondo che lo circondava con indifferenza e
sfrontatezza.
Questo
faceva di lui una macchina da combattimento perfetta: la pietà non bloccava la
sua lama, la paura non lo immobilizzava e né aveva timore di provare qualsiasi
tipo di dolore.
Ma
lì nella foresta, poco prima di chiudere gli occhi e abbandonarsi di nuovo alle
tenebre, aveva avvertito un qualche cosa molto simile alla paura.
Questo
perché il ragazzo era ben consapevole del vuoto che c’era dopo la morte, del
freddo che gli ghiacciava le ossa fino a spezzarle, delle urla, dell’odore di
cadavere. La cosa che più lo terrorizzava era una profonda voce che gli
ripeteva costantemente i suoi peccati, i nomi delle persone che aveva ucciso lo
seguivano tormentandolo, tutto il dolore che aveva provocato in vita lo
soffocava. Sebastian cercava di coprirsi le orecchie, ma in quell’oscurità lui
non aveva più corpo, rimaneva solo la sua anima deturpata che mostrava quello
che era veramente: un mostro.
Tutto
questo era sicuramente peggiore di qualsiasi pena dell’inferno: infatti non era
li che si trovava. Questo era un luogo riserbato a lui solo, radicato al centro
della terra e lì neanche i demoni avevano dimora, ma vi si annidava un male
ancora più profondo.
Non
ci sarebbe stata pietà per Sebastian, né tantomeno pace.
Il
ragazzo però poco prima di morire aveva guardato la mondana che aveva causato
la sua morte e si era sentito smarrito per la prima volta nella sua vita. Lui
non voleva morire in quel modo. Come poteva morire senza prima vendicarsi?
Poteva
sentire il cuoricino di lei battere velocemente nel suo petto, si stava cibando
della sua vita, la divorava senza pietà. Sebastian aveva perso.
Il
ragazzo sorrise a questi pensieri: in fondo loro due non erano tanto diversi.
Prese
l’ultimo respiro della sua vita e affrontò la morte a testa alta, mostrando la
stessa fierezza che aveva ereditato da suo padre. “I guerrieri non abbassano
mai la testa”, così gli diceva spesso, accompagnando la frase con una frustrata.
Sebastian
chiuse gli occhi e morì.
La
terra lo avvolse in un umido abbraccio facendolo sprofondare sempre più in
basso.
La
caduta era lenta e Sebastian poteva vedere la luce diventare sempre più fioca,
finché non venne completamente inghiottita dalle tenebre.
Ad
accoglierlo ci fu sempre la solita voce che iniziò subito a tormentarlo, ogni
suo parola era strascicata, lenta, fredda.
Naturalmente
Sebastian non poteva rispondere perché già sentiva che il suo corpo gli veniva
raschiato via, la pelle era strappata strato per strato scoprendo la carne
viva, sangue nero sgorgava dalle profonde ferite trasformandosi in rose i cui
rovi imprigionavano il ragazzo lasciandolo inerme alla malvagità della voce.
Il
tempo non esisteva più, tutto era immobile e vuoto. L’eternità non può essere
misurata né tantomeno arrestata.
Volti
delle persone che aveva ucciso iniziarono a passargli davanti, lo guardavano
con occhi spietati ai quali era impossibile nascondersi. Giunse anche quello
della mondana, ma era diverso rispetto a quello di tutti gli altri, i suoi
occhi viola non lo fissavano con odio, anzi sembravano divertiti nel vederlo in
quella condizione. La ragazza socchiuse le labbra e sussurrò : “No”.
Quindi
chiuse gli occhi e una nube dorata iniziò ad avvolgerla, Sebastian avrebbe
voluto sfiorarle le guance pallide, ma ogni volta che cercava di muoversi le
spine della prigione di rose gli laceravano l’anima provocandogli dolori
lancinanti.
La
ragazza scomparve inghiottita dalle tenebre e Sebastian si sentì affondare nel più
cieco dolore, ormai la voce non lo tormentava più, gli sguardi accusatori dei
volti non lo perseguitavano, ma sentiva tutto il suo essere straziato da una
furia cieca. Una mano gelida gli stritolò il cuore e lui si rese conto di
essere perso per sempre: non sarebbe stato salvato da nessuno.
Eppure
lui voleva vivere, non aveva mai desiderato così tanto rivedere la luce del
sole, poter sentire il sangue che come linfa gli scorreva nelle vene.
Con
quelle che credeva fossero le sue mani si tastò il petto per tentare di alleviare
il dolore, ma era tutto inutile: il gelo continuava a straziarlo senza pietà.
Preso
dalla follia cercò di strapparsi quel cuore di pietra che suo padre gli aveva
donato, forse, sbarazzandosi della causa
dei mali che aveva compiuto in vita, avrebbe potuto trovare un po’ di pace. Era pronto ad annientare completamente se
stesso pur di non provare più quel gelo.
Ma
al posto del suo cuore nero trovò un piccolo fiore di loto: i delicati petali
viola si muovevano debolmente come se respirassero, mentre al centro c’era
il minuscolo picciolo posizionato
al centro della lamina verde rotonda, increspata e rivestita di un malto ceroso.
Sebastian
provò l’istinto di proteggere il fiore dalle spine che ora con più forza
cercavano di graffiarlo.
Nelle
venature del fiore scorreva della linfa dorata che lentamente iniziò a
splendere sempre con più energia tanto da riuscire a schiacciare le tenebre.
La
mano gelida che gli stringeva il cuore venne sostituita da un tepore che
abbracciò le membra ferite del giovane restituendogli l’antico vigore, i rovi
di spine scomparvero in un fumo nero, mentre la voce gridava mostruosamente.
Sebastian
la sentiva combattere contro la luce per non essere sconfitta, nessuno poteva
sfuggire alla morte per la seconda volta. Ma l’energia sprigionata dal fiore
era troppo forte e niente poteva arrestarla.
Il
ragazzo si sentì spingere in alto, ma mani ossute cercarono di frenare la sua
risalita, gli bloccavano le gambe graffiandolo. Disgustato le calciò via, e
constatò con piacere che finalmente era libero e sapeva di poter governare la
situazione.
-Mi
dispiace signori miei- disse e si stupì nel sentire la sua voce echeggiare
nelle tenebre -Ma credo che per me
sia ora di andare. La prossima volta spero sia tutto più accogliente- si liberò
dell’ultimo mostro infernale che lo teneva per il braccio e poté continuare a
salire.
Stava
uscendo dall’oscurità ad una velocità impressionante, saliva sempre più in
alto.
Poi
improvvisamente tutto si bloccò e Sebastian con un rantolo si svegliò.
In
un primo momento intorno a lui poteva vedere solo figure sfocate che gli
danzavano davanti, cercò più volte di metterle a fuoco strizzando gli occhi, ma
era tutto troppo confuso.
Si
trovava nel letto di una piccola stanza dal soffitto basso, riuscì a scorgere
il profilo di una persona che lo osservava dal capezzale.
Cercò
di parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un rantolio sommesso, voleva alzarsi,
ma le forze sembravano averlo nuovamente abbandonato. Stropicciò di nuovo gli
occhi e questa volta tutto era diventato più nitido.
Incrociò
lo sguardo con due grandi occhi viola che lo fissavano sbigottiti, davanti a
lui c’era la causa della sua morte, incolume e sprizzante di vita. Sentì la
sete di vendetta impadronirsi del suo cuore, una scossa gli attraversò il corpo;
con un balzo scese dal letto, afferrò la ragazza per la gola e la scaraventò al
muro.
Lei
naturalmente presa alla sprovvista non
era riuscita a difendersi dall’attacco e ora lo fissava confusa.
-Mondana
…- sussurrò avvicinandosi di più al suo viso –Saresti dovuta scappare quanto ne
avevi la possibilità, ora devi morire- disse con un ghigno.
Sebastian
si sarebbe aspettato di vederla supplicare e strisciare come un verme. Invece
lei lo guardava con fierezza, senza far trapelare alcun sentimento di terrore,
non cercava neanche di scappare, aveva solo poggiato le mani fredde su quelle
del ragazzo.
-Potresti
farlo- rispose –La maledizione è stata spezzata non appena sei morto-
La
stretta sulla gola si fece più forte e la ragazza fece fatica a continuare a
parlare –Ora la scelta è solo tua: uccidermi o …-
-Io
non provo pietà per nessuno, io sono un mostro e niente potrà cambiare questo-
urlò Sebastian.
-Eppure
… eppure io ti ho salvato- disse la mondana dopo aver tentato di tossire -Cosa
farai dopo aver ucciso l’unica … persona che- chiuse gli occhi e abbandonò la
testa –ha creduto in te?-
Sebastian
lasciò la presa e la ragazza cadde a terra tossendo, si tastò il collo rosso
con le mani che tremavano convulsamente.
-Ti
tengo in vita solo perché ho intenzione di portarti da Lilith, lei saprà cosa
fare- si limitò a dire il cacciatore evitando di guardarla –Partiamo subito-
Nota dell’autrice: Salve salve! Sì, sono viva e nessun demone mi ha
mangiata negli ultimi mesi. E’ arrivata finalmente l’estate e ho ricominciato
subito a scrivere. Devo ammettere che è stato complicato rientrare nei “panni”
di Sebastian, infatti ho impiegato un po’ di giorni a scrivere questo capitolo.
Spero davvero che vi possa piacere, so bene che la parte dell’Inferno può
sembrare strana, ma i fiori hanno un ruolo importante nella storia. Per farmi
perdonare ho scritto un po’ di più, anche perché presto partirò e non penso di
poter dedicarmi alla scrittura.
Detto
questo vi saluto con la promessa di scrivere molto più, tanti baci e grazie
ancora.
Al
prossimo capitolo!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1970137
|