EXPLOSION

di WillowG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** spaghetti esplosivi ***
Capitolo 2: *** Inferno letterario ***
Capitolo 3: *** Ritorni dal passato ***
Capitolo 4: *** Appartamento N°8 ***
Capitolo 5: *** La scatola. ***
Capitolo 6: *** Cassidy ***
Capitolo 7: *** Esplosione evitata ***
Capitolo 8: *** Un brutto presentimento ***
Capitolo 9: *** Uscita di scena ***
Capitolo 10: *** La fine non arriva mai ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** spaghetti esplosivi ***


explosion1 Fic che ho scritto un pò di tempo fa, ambientata durante la seconda stagione, quindi con Kate viva e vegeta. In effetti è stata la mia prima fic su NCIS. Spero che sia venuta bene ...

-EXPLOSION-
Capitolo 1
-spaghetti esplosivi-

Ore 9.00. È una bella giornata di sole, e il guardiamarina Jones McKayne è diretto al supermercato a pochi isolati dalla sede della marina dove lavora. Tutto è assolutamente normale. Donne coi figli più piccoli intente a fare la spesa per il pranzo della domenica, giovani marine che sfogliano di nascosto riviste porno, uomini come lui, non necessariamente della marina, alla ricerca di qualcosa per pranzo. Gli bastano pochi istanti al reparto, per trovare quello di cui necessita. Spaghetti precotti. Passa a prendere un paio di birre al banco frigo, e si dirige alla cassa. E’ fortunato. Non c’è coda. Ma mentre la giovane cassiera passa la confezione di cibo precotto sul lettore di codici a barre e la fortuna finisce. Jones non ha neppure il tempo di prendere i soldi dal portafoglio. Un’esplosione, e tutto diventa buio. Un istante di silenzio, ogni rumore è stato inghiottito dalla potenza dell’ordigno. Ma solo per un istante. Le grida dei feriti e subito dopo le sirene delle ambulanze e delle auto pattuglia della polizia riempiono l’aria.

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-Ma no! Dai, mi stai prendendo in giro, come al solito.-
-Ti dico di no!- Tony e Kate avevano appena fatto il loro ingresso alla base dell’NCIS, dopo aver fatto una tappa al bar, dove avevano comprato qualcosa per il pranzo. E come sempre Kate faceva fatica a credere fino in fondo al collega.
-Ma insomma, quello che dici non ha senso!-
-Ma come non ha senso?! Vuoi dire che hai dei pregiudizi sugli uomini che cucinano?- Ribatté Tony ferito.
-No, ho dei pregiudizi sul fatto che TU cucini. Anzi, diciamo che ho dei seri dubbi.- Continuò Kate appoggiando il suo pacco col pranzo alla scrivania.
-Il fatto che sono come sono, non significa che non riesca a cucinare un piatto di spaghetti!- Continuò l’agente sistemandosi a sua volta alla propria postazione.
-Ma per favore! Se non conosci neppure la differenza tra una padella e una pentola a pressione!- Continuò Kate, sarcastica.
-Parli tu, che sostieni che gli spaghetti sono stati inventati dai cinesi!- Ribatté Tony, tirando fuori dal suo pacco un panino contenente i più disparati condimenti. Kate si trattene dal proferire parola. L’alimentazione del collega era un tasto pericoloso per la sua digestione.
-Guarda che tecnicamente Kate ha ragione …- Si intromise timidamente McGee, distogliendosi per un istante dal suo lavoro al computer. Una pallina di carta proveniente dalla scrivania di Tony lo colpì in pieno.
-Fatti gli affari tuoi, pivello!-
-Tony, se vedo volare un altro pezzo di carta, giuro che passerai la vita con la scopa in mano.- Proprio allora, col suo immancabile caffé in mano, fece la sua comparsa Gibbs. Dalla faccia scura del capo, di sicuro doveva esserci un nuovo caso in arrivo. Infatti, senza neppure curarsi dei buongiorno simultanei di Kate e Tony, e di quello leggermente ritardatario di McGee, cominciò ad impartire ordini.
-Dinozzo, Todd, fine pausa pranzo, McGee spegni quel computer. Abbiamo del lavoro da fare.-
-Preparo il furgone capo?- Chiese Tony mentre gettava a malincuore ciò che restava del panino.
-Se non vuoi andare a piedi …- Commentò sarcastico l’uomo mentre chiamava l’ascensore. Con un suono metallico l’ascensore si aprì.
-Cosa abbiamo oggi, capo?- Domandò Kate salendo con Tony e McGee, mentre i capelli scuri le svolazzavano sulle spalle.
-Un’esplosione ad un supermarket. È morto un marines e tre civili.- Poi, come se avesse improvvisamente ricordato qualcosa, si rivolse al suo agente più anziano presente. -Ah, DiNozzo?-
-Sì, capo?- Tony non aveva ancora perso il suo solito sorriso.
-Gli spaghetti SONO nati in Cina. Li ha portati in Italia Marco Polo.- Kate ghignò soddisfatta all’indirizzo del collega, sul cui volto ogni traccia di sorriso era scomparsa, per lasciare spazio all’irritazione rivolta alla mora. Malcelando un sorrisetto, Gibbs si calò di più sulla testa il berretto. Come anche McGee cercava di nascondere, le battaglie tra Tony e Kate erano uno spettacolo degno da cabarert.

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-Ah, Jethro! Ho quasi finito … tra poco la scena sarà tutta tua!- Ducky, con l’immancabile papillon, stava esaminando il corpo di una bambina. Osservandola, Gibbs non gli diede più di dieci anni.
-Lei è …-
-Catherine Walker- Rispose il patologo. -A scuola mancava una maestra, così lei era stata rispedita a casa, e la madre se le era portate dietro lei e la sorellina, che non va ancora a scuola per fare la spesa.-
-E loro che fine hanno fatto?- Gibbs distolse lo sguardo dal corpo per controllare i suoi agenti. McGee stava facendo gli schizzi, mentre Tony si dava da fare con la macchina fotografica. Poco più in là, Kate si stava facendo dare ogni informazione utile da alcuni testimoni. Ducky si tolse un momento gli occhiali, prima di rispondere.
-La madre è morta mentre l’ambulanza la portava in ospedale. La sorella, Pamela, invece, è ancora viva. È in prognosi riservata, ma forse se la caverà.-
-E il nostro marines?-
-Pezzo qui, pezzo là, mischiato a ciò che rimane della cassiera, Miranda Williams.- Gibbs non volle sapere altro. I resti erano già stati portati via. Ducky e il suo assistente avrebbero ricomposto ciò che restava dei corpi il sala autopsie.
-E l’ordigno?-
-Si trovava in una confezione di spaghetti precotti giapponesi. È esplosa quando è stata fatta passare sul rilevatore del codice a barre.-
-Il genere di cibo che mangerebbe Tony.- Kate era tornata con le dichiarazioni dei clienti del supermarket presenti, e rivolse un sorrisetto maligno a Tony, che per tutta risposta le rivolse un ghigno che prometteva vendetta. Soddisfatta della sua piccola vittoria, Kate rivolse la sua attenzione alla vittima. Per un attimo si era irrigidita, mentre la sacca mortuaria si chiudeva attorno al corpicino della bambina. Col suo lavoro aveva dovuto imparare a dominarsi, anche se quel genere di spettacoli la faceva davvero star male. Per quanto ci si possa preparare, certe cose non possono non toccarti. E quando questo succede, significa che non sei migliore di quelli che le hanno provocate. Tony la raggiunse, e le mise una mano sulla spalla.
-Non mi abituerò mai.- Mormorò la donna, rivolta più a sé stessa che al collega. Questi gli diede una stretta più forte sulla spalla, incoraggiandola. Il commento arrivò alle orecchie del medico legale, che ne approfittò per uno dei suoi racconti.
-Eh, hai ragione, Kate. Sono cose davvero raccapriccianti. Mi ricordo quel caso, di quindici anni fa, in cui mi trovai davanti i corpi di quattro ragazzine. Tutte sorelle, tra i quattro e dodici anni. Il padre era impazzito, e dopo aver ucciso la moglie, aveva fatto fuori anche le piccole. Quando riuscimmo a trovare i corpi, erano già passati almeno sei giorni dalla morte, e lo stato di decomposizione …-
-Taglia corto, Ducky, e dicci come è morta.- Tony e Kate furono infinitamente grati al loro capo e alla sua impazienza. Non erano proprio dell’umore adatto per sentire le macabre esperienze del medico legale. L’unico un po’ deluso dall’interruzione sembrava Palmer, l’assistente di Ducky. Il medico sospirò contrariato, e pronunciò le sue ipotesi.
-Lo spostamento d’aria dell’esplosione non le ha lasciato scampo. E’ stato come se un camion l’avesse investita. I suoi organi vitali sono stati come schiacciati. Se fosse stata lontana solo qualche metro, forse sarebbe sopravissuta. Il classico posto sbagliato al memento sbagliato. Ma vi farò sapere di più quando avrò completato l’autopsia.-
-Bel lavoro, Ducky. McGee, quanto tempo ti ci vuole per fare quegli schizzi?- Tony e Kate rimasero un momento da soli, mentre Gibbs sfogava la sua ira repressa sul povero McGee. Tony osservò per l’ennesima volta il posto: ovunque erano visibili i segni dell’esplosione. La cassa era praticamente scomparsa, alcuni scaffali erano caduti. Pezzi di vetro sembravano formare un puzzle scomposto. Un buon numero di persone erano rimaste ferite proprio dai vetri in frantumi. Le gocce di sangue sul pavimento non si contavano.
-Hey, Tony, tutto ok?-
-Mmh? Ah, sì, Kate, non preoccuparti. Tutto a posto.- La donna lo fissò per qualche istante poco convinta. Tony non aveva ancora fatto nessun commento, neppure stupido. Non era da lui. Di solito, da primo della classe quale si riteneva, avrebbe almeno fatto una decina di ipotesi, anche stupide, solo per mettersi in mostra, ed infastidirla come nessuna creatura al mondo fosse mai riuscita a fare. Lo osservò scattare ancora qualche foto, poi si soffermò su quello che restava della bomba. Un ordigno artigianale, ma di grande potenza. Con una smorfia di disgusto, Kate si infilò i guanti e raccolse la confezione accartocciata in cui era nascosta la bomba e la mise in un sacchetto di plastica. Stessa cosa fece con ciò che assomigliavano ai componenti dell’ordigno. Sigillò ogni contenitore.
-Hey, Kate, vieni un po’ qui!- L’agente si alzò e si avvicinò a Tony, che fissava qualcosa con lo sguardo rivolto verso il soffitto.
-Che c’è, Dinozzo?- L’uomo fece un vago cenno della mano verso uno dei pilastri dell’edificio.
-Pensi che abbia registrato qualcosa?- Annerita dal fumo, tanto da confondersi con il muro circostante, una piccola telecamera di sicurezza non accennava a spegnere la spia rossa. Gibbs arrivò alle spalle dei due agenti. Aveva avuto la stessa idea di Tony.
-Preparate il pop corn, ragazzi. Stasera si sta attaccati alla TV.-

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-Odio gli ospedali …- Borbottò Tony. Lui e Kate erano andati alla clinica dove era stata ricoverata la bambina sopravissuta all’esplosione. Infastidito, si passò una mano sulla nuca. Lo scappellotto che Gibbs gli aveva dato quasi un’ora prima bruciava ancora. Kate osservò il collega cercando di nascondere l’ennesima risata. Era da quando Gibbs e McGee se n’erano andati che Tony non faceva altro che andare avanti e indietro, offeso come un bambino per lo scapaccione di Gibbs. Le cose erano andate all’incirca così: subito dopo essere rientrati, Gibbs aveva ricevuto una telefonata dall’ospedale. La bambina si era svegliata, ed era in condizioni di parlare, anche se ancora sotto shock.
-Dinozzo. Todd. Voi andate dalla piccola Walker.- L’ordine perentorio di Gibbs non lasciava repliche, ma Tony aveva tentato una debole opposizione.
-Ma capo … Perché proprio io? Lo sa che con i bambini sono un disastro!- Si era lagnato Tony, subito fulminato da un sorriso gelido del suo superiore.
-Ma stavolta si tratta di una femmina … E di solito, con le donne ci sai fare, vere o presunte che siano.- Sibilò Gibbs. Kate e McGee si girarono dall’altra parte per non ridere in faccia a Tony: anche Gibbs risollevava la storia del transessuale … Un’occhiata inceneritrice dell’agente li fece smettere. Poi si rivolse nuovamente al suo superiore con uno dei suoi sorrisi da presa per i fondelli.
-Ma si tratta di una troppo giovane per me … Magari tra qualche anno, se è carina, potrei anche provarci, ma per ora è troppo presto …- Il suono dello scappellotto partito dalla mano di Gibbs rimbombò per tutta l’NCIS. -AHIA! E questa per cosa era?-
-Fai un po’ tu …- Ringhiò l’uomo allontanandosi a grandi passi. E così, nel giro di una mezz’oretta, Kate e Tony erano arrivati all’ospedale, dove stavano aspettando che il medico della piccola li contattasse. Quando questi finalmente si mostrò, Tony fece le presentazioni.
-Dottore? Agenti speciali Dinozzo e Todd, dell‘NCIS. Cerchiamo la bambina coinvolta nell’esplosione di questa mattina.- Dopo aver dato un’occhiata ai tesserini, il dottor Brian Carter, si mise leggermente sulla difensiva.
-E cosa vuole la marina da quella povera creatura?-
-Nell’esplosione è morto un marines, così il caso è passato a noi. Forse l’ordigno era destinato al guardiamarina, forse no … La testimonianza della signorina Walker può esserci utile a capire la dinamica dei fatti.- Il medico  sembrò rifletterci un momento su, indeciso. Alla fine acconsentì, anche se la cosa gli costava molto. Kate comprese i pensieri del dottore. Probabilmente era una di quelle persone che amavano molto i loro pazienti. E quindi, pur sapendo quanto fosse importante il compito dei due agenti, si sentiva male al pensiero di far rivivere alla sua piccola paziente gli eventi di quella mattina. In un colpo solo aveva perso madre e sorella. Ad accogliere il terzetto davanti alla stanza di Pamela, c’era il padre. Un uomo alto, sulla quarantina, con gli occhi rossi per le lacrime versate. Inizialmente fece resistenza, ma alla fine accettò che Tony e Kate andassero dalla bambina. Mentre entravano nella fredda stanza immacolata, Kate sentì il dottor Carter cercare di consolare il signor Walker. Un’infermiera che stava amorevolmente rimboccando le coperte alla piccola, che non dimostrava più di sei anni, si allontanò subito, lasciando con discrezione e un sorriso la sua giovane paziente. Pamela si mise a sedere sul letto, accogliendo i due nuovi arrivati. Prima ancora che questi avessero mostrato i tesserini, domandò:
-Siete voi i poliziotti?- Tony sorrise, intenerito.
-Esatto piccola. Quindi saprai già perché siamo venuti qui.- la piccola abbassò lo sguardo. I capelli castano chiaro le ricadevano sulle spalle, in parte imprigionati dalla benda che le fasciava l’occhio sinistro. Abrasioni e qualche livido le coprivano il viso. Un’altra benda spuntava dalla manica della vestaglia.
-Volete sapere come sono morte la mamma e Rin?-
-Rin?> Domandò Kate. Pamela annuì, mentre l’occhione scoperto si riempiva di lacrime.
-Mia sorella. La chiamavo così … Lei mi chiamava Pam …-
-Un nome bellissimo!- Commentò Tony, facendo sorridere la bimba. -Quanti anni hai, Pam?-
-Tanti così!- Rispose mostrando una manina con tutte le ditine aperte. -Ma dopo di domani sono così.- e aggiunse il pollice dell’altra mano.
-Oh, ma allora sei già una signorina!- La piccola sorrise di nuovo, poi il suo sguardo tornò triste.
-Voglio la mia mamma …- Kate frenò l’impulso materno di abbracciarla, ma decise di prendere in mano le redini dell’interrogatorio. Tony aveva già fatto molto, anche più di quanto potesse aspettarsi, e non voleva provare ulteriormente Pamela.
-Cosa è successo, Pam?- La bimba si sfregò l’occhio con una manica, poi iniziò il racconto.
-Rin non aveva scuola. Così mamma ci ha portato a fare la spesa. Abbiamo comprato tanti biscotti. E il pollo per papà. Così gli facevamo una sorpresa. Poi siamo andati alla cassa, per pagare le cose. C’era un signore vestito strano davanti a noi, con i capelli rasati, un cappello da muratore e delle medagliette sulle spalle. Sembrava uno di quelli che ci sono sempre in TV … Quelli con il fucile.- Soffocando un sorriso di tenerezza, gli agenti capirono che probabilmente si trattava di un militare. E da quel che risultava dalle testimonianze, l’unico nel negozio a quell’ora era il guardiamarina McKayne.
-E poi? Continua Pam. Sei molto brava.- La incoraggiò Tony. Kate rimase stupita dal suo tono di voce. Calmo e rassicurante. Non era la prima volta che glielo sentiva usare. Solitamente lo sfoderava quando aveva a che fare con il gentil sesso, specie se questo ricambiava le sue attenzioni. Ma in quel momento aveva una valenza quasi paterna. Mai aveva anche solo immaginato Tony in quella versione, ma quella sfaccettatura del suo carattere le fece pensare che forse, nascosto da qualche parte dentro al suo collega, stava un Tony adulto. Certo, per tirarlo fuori forse ci sarebbero voluti ancora degli anni, o forse non sarebbe mai uscito, ma ogni tanto, come in quell’occasione, quel “futuro Tony” si lasciava intravedere. La piccola intanto continuava il suo racconto.
-Dalla porta c’erano i palloncini. Ne volevo uno. Così ho lasciato la mano della mamma. Lo so che non dovevo, che la mamma mi avrebbe sgridato. Ma c’era un palloncino a forma di coniglio … Rin mi ha seguito … Poi c’è stato il boom. La mamma mi ha chiamato … poi qualcosa ha fatto ancora boom!- Adesso la bambina aveva iniziato a piangere a dirotto. Era ora di finire. Kate lanciò un’occhiata a Tony, che comprese al volo.
-Sei stata bravissima, Pam.- Mormorò Tony, mentre accarezzava la testa della piccola, che non riusciva a smettere di piangere. -Sei molto coraggiosa.-

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-Povera piccola!- Esclamò Kate una volta fuori dall’ospedale. L’atmosfera grave e silenziosa dell’edificio le aveva impedito di parlare prima col collega.
-E’ una bambina forte.- Ribatté Tony, inforcando gli occhiali da sole e dirigendosi verso l’auto.
-E suo padre?- Gli domandò Kate mentre apriva la portiera dell’auto accanto al posto di guida.
-Ringrazia il cielo che almeno lei sia viva. In un colpo solo ha perso la moglie e una figlia. Pamela gli darà la forza di andare avanti.- Kate sperò che il collega avesse ragione. Poi le balenò in mente una cosa.
-Sai la cosa buffa?-
-Cosa?- Domandò Tony entrando in auto.
-Che se è salva è solo perché è stata disubbidiente. Se fosse rimasta accanto alla madre, sarebbe morta anche lei.- Concluse Kate sedendogli accanto. Con un rombo, la macchina si diresse al quartier generale dell’NCIS, dove Abby aveva completato le analisi sull‘ordigno.

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-Allora, Abby, che novità hai?- Gibbs era entrato nel laboratorio con un bicchiere di caffé, che la ragazza accolse con un sorriso.
-Con un’offerta del genere, non possono che essere positive!- Abby bevve un generoso sorso della bevanda, facendo spazientire l’agente, che, con un gesto di stizza, le prese il bicchiere di mano. -Mmm. Ho capito. Prima le novità.-
-Ecco, brava.- Con un gesto di stizza, la Dark indicò i resti della bomba appena esaminati.
-Abbiamo a che fare con qualcuno che conosce bene gli esplosivi, una sorta di genio delle bombe ad orologeria.-
-Pensi ad un attacco terroristico?- Gibbs si portò allo stesso livello dei frammenti, quasi che questi potessero prendere vita e dirgli tutto. Ma questi rimasero pezzi di plastica e fili bruciacchiati, del tutto muti e praticamente insignificanti per lui. Ma non per Abby, che cominciò la sua spiegazione.
-No, tematiche, luogo, e genere sono troppo diversi. Eppoi sarebbero siglati. Mentre il nostro uomo ha fatto di tutto per rimanere anonimo.-
-Che altro mi puoi dire?-
-Dammi un attimo, ci sto arrivando! Dunque, tanto per cominciare, il tipo di esplosivo: attaccati ai pezzi che mi ha fornito Kate, c’erano resti di vetro. Ricomponendo il puzzle, quindi, ho notato che nella bomba c’era spazio per almeno due bottigliette molto piccole. Sai, come quelle dei campioncini di liquore, per intenderci. E due orologi E mi sono chiesta: a cosa mai potranno servire delle bottigliette mignon in una bomba?-
-Dimmelo tu, Abby.-
-A contenere dei liquidi!- Gibbs la fissò lievemente perplesso, prima di iniziare ad arrabbiarsi.
-Mi stai prendendo in giro?-
-Aspetta, devo arrivare al meglio. Esistono due tipi di prodotti, che, separati, non sono dannosi, ma se mescolati … Bhe, meglio essere a qualche chilometro di distanza, perché anche in quantità minime, come in questo caso, possono scatenare un vero inferno.-
-Ma se i componenti sono per una sola bomba, come mai mettere due orologi?- Domandò Gibbs, ma stavolta la risposta non venne da Abby.
-Perché le bombe sono due all’interno di una.- Tony era appena entrato, seguito a ruota da Kate.
-La bambina dice che ci sono state due esplosioni.- Un sorriso trionfale si disegnò sul volto di Abby.
-Esatto! Le mie congratulazioni ai nuovi vincitori dell’Abby show!-
-E qual è il premio?- Domandò Tony, evitando un’occhiata fulminante da parte del suo capo.
-Che la vostra unica, irripetibile e straordinaria Abby vi svelerà il trucco usato dal nostro dinamitardo!- Con un movimento fluido si mise accanto ai suoi ascoltatori, indicando i vari pezzi dell’ordigno. -Allora, come ho già detto, in questo pacchetto di spaghetti precotti, ci sono in pratica due bombe.-
-Uao! Due al prezzo di una!- Esclamò Tony, subito raggiunto dall’insensibile scappellotto di Gibbs. -AHIA!- Prima di poter ribattere, il marine lo fulminò.
-Prova a chiedere per cosa era e te ne ritrovi altri sei. Abby, continua.-
-Grazie, Gibbs. Allora, come ho già detto, ci sono due bombe. Una è più potente, ovvero quella liquida, l’altra, invece, è solo una sorta di ciliegina sulla torta, ed erano separate l‘una dall‘altra da una scatola o una piccola lega di metallo, in modo che la prima esplosione non danneggiasse il secondo timer.. Hai trovato i resti ad una certa distanza uno dall’altro, vero, Kate?- L’agente annuì, e Abby riprese il suo racconto. -Ordunque, ho controllato i resti degli orologi. Sono quasi sicura che qualcosa li ha fatti scattare dall’esterno, e da lì in poi il tempo la detonazione era perfettamente calcolato perché esplodesse prima la bomba liquida, e poi quella normale. Comunque, per meglio capire com’è andata la cosa, basterà aspettare McGee con il nastro di sorveglianza.-
-Mi rimane un dubbio. Perché nascondere una bomba in un pacchetto di spaghetti precotti?- Domandò Gibbs. Tutta la squadra fece lavorare le meningi.
-Non saprei, capo. Probabilmente è un pazzo che si sente un dio a far esplodere la gente …- Ipotizzò Tony, subito smentito da Kate.
-Non ci credo. Secondo me abbiamo a che fare con qualcuno che ha un piano ben preciso. Non sono molte le persone in grado di costruire un apparecchio simile, e forse il nostro uomo voleva colpire una certa categoria di persone.-
-Cioè?- Gibbs era molto interessato al ragionamento di Todd.
-Chi compra di solito gli spaghetti precotti?-
-Qualcuno che non ha tempo per cucinare?- Buttò lì Abby, facendo scattare la lampadina di Tony.
-Le persone single!-
-Indovinato!- Esclamò Kate dando una patta amichevole sul braccio del collega. Proprio allora fece la sua apparsa McGee, trafelato e con una videocassetta in mano.
-Capo! Ho finito di vedere la registrazione del nastro, e non ci crederai, ma l’esplosione …-
-In realtà erano due, lo so.- Completò Gibbs per McGee, che rimase a bocca aperta, mentre il suo superiore restituiva il meritato caffé a Abby.
-Ma come diavolo …-
-Eh, lo sapeva …- Ridacchiò Tony, imitato da Kate, che rincarò la dose.
-E’ Gibbs …-
-Forza, andiamo.- Lasciando McGee impalato davanti ad Abby, Gibbs e gli altri uscirono dal laboratorio.
-Ma come fa?- Domandò attonito il ragazzo. Per tutta risposta Abby fece spallucce.
-E’ Gibbs …-

-Fine capitolo 1-

Allora, non sono un'esperta di bombe, quindi quello che ho scritto sarallo di sicuro delle stupidaggini. L'idea dei fluidi che si mescolano e creano un'esplosione, l'ho presa da un qualche film poliziesco di cui non ricordo neppure il nome. Spero comunque che vi piaccia questa fic. Ho cercato di restare con le battute il più possibile fedele ai personaggi di NCIS,spero di esserci riuscita ... Commentate!

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Capitolo 2
*** Inferno letterario ***


explosion2 EXPLOSION
Capitolo 2
-Inferno letterario.

Qualcosa era andato storto. Se lo sentiva. E così era stato. Un’inezia, certo, ma anche un’inezia non va mai sottovalutata. Ma d’altronde i principianti commettono sempre degli errori. E lui era un principiante. La prossima volta sarebbe andata meglio. Continuava ripeterselo, come una cantilena. Quella era stata solo la prima dello spettacolo. Importante, ma non fondamentale. Doveva ancora farsi le ossa … Ogni volta sarebbe andata sempre meglio, finché finalmente, sarebbe arrivato alla perfezione. E allora sarebbe stato il momento del gran finale. L’uomo osserva per un momento il pacchetto che regge in mano. Poi si alza dalla panchina su cui era seduto, e senza che nessuno in quel parco cittadino faccia il minimo caso a lui, si allontana. Quando sei un tipo qualunque, nessuno ti presta mai attenzione. E adesso, con addosso una comunissima tuta da ginnastica, un normale berretto da football e degli anonimi occhiali da sole di marca scadente, è ancora più invisibile della maggior parte della gente presente. Comincia a correre, lentamente, tenendo un passo regolare, per non destare il minimo sospetto. Ecco, un comunissimo patito della forma fisica intento a fare jogging mattutino. Come decine di altre persone in quel momento. Ferma la sua corsa controllata solo davanti all’edificio di mattoni rossi in fondo al parco. Facendo finta di nulla, col suo pacco sotto braccio, entra nella vasta biblioteca pubblica.

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Rachel Clark, giovane promessa della marina, osserva con entusiasmo le file di libri di tutti i tipi stipati nell’enorme libreria polverosa. Aveva dovuto faticare non poco per convincere la compagna di corso, Sunny Benchley, ad accompagnarla alla vecchia biblioteca pubblica. Sunny, in quei giorni di vacanza, infatti, avrebbe preferito restare al campus a spassarsela. Ma Rachel voleva a tutti i costi tornare lì. Poco importa che la biblioteca scolastica del campus universitario sia altrettanto fornita. Da bambina aveva passato intere giornate a frugare in quegli scaffali. E adesso voleva rifornirsi di letteratura esclusivamente lì, dove il bibliotecario, Mr. Burnet, ormai la conosce benissimo.
-Allora, Rachel … Lo prendi quel libro sì o no?!- Sunny è sul punto di piantare in asso l’amica. Ma il libro che Rachel sta cercando, proprio non riesce a trovarlo negli scaffali.
-Aspetta, vado a chiedere a Mr. Burnet. Forse ce l’ha lui …- Veloce, la diciottenne si dirige al bancone dove l’uomo di mezz’età sta sistemando alcuni libri appena restituiti, di cui uno avvolto in carta da pacco. -Buongiorno, Mr.!- Al saluto di Rachel, il bibliotecario si volta sorridendo.
-Oh, buongiorno a te, cara! Dimmi, in cosa posso servirti, stavolta?-
-Avrei bisogno della traduzione della Divina Commedia. Sa, quel libro sull’ inferno di quell’italiano, come si chiamava … Dante … Dante … Mi sfugge il nome …-
-Alighieri.- Completa Burnet per lei.
-Esatto! E’ per storia della letteratura …- Spiega la ragazza, lievemente imbarazzata per la figuraccia da ignorante appena fatta.
-Un’opera molto interessante. Sei fortunata, al momento tutte le copie che possiedo sono fuori, ma un signore me ne ha appena riconsegnata una … Se hai la pazienza di aspettare che lo registri, te lo consegno subito.- L’uomo prende in mano il libro impachettato che ha sul tavolo, e inizia a scartarlo delicatamente. Rachel intanto si sofferma a curiosare, a qualche passo di distanza, una pila di nuovi arrivi ancora da collocare sugli scaffali. Burnet ha quasi finito, quando il libro esplode con un fragore assordante. Il bibliotecario viene investito in pieno, mentre Rachel è coperta da detriti e resti carbonizzati. Gli allarmi antincendio scattano, unendosi alle grida delle persone presenti nell’edificio. Gli idranti spargono acqua ovunque, e per alcuni lunghi minuti sembra che il testo dantesco abbia preso vita.

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-Allora, riassumendo, cosa abbiamo?- Gibbs era in piedi davanti alla lavagna, intento ad assemblare i pezzi del mosaico con McGee e Kate.
-Due bombe di diversa fattura in una confezione di spaghetti precotti che esplodono in tempi diversi, tre vittime e un nastro di sorveglianza praticamente inutile.- Elencò Kate sulla punta delle dita.
-Poi? Cos’altro?- Continuò Gibbs scrivendo ogni punto. Sentendosi chiamato in causa, McGee si affrettò a rispondere.
-Ho controllato la registrazione, ma ogni ventiquattrore viene cancellata, e per oggi mostra che nessuno, oltre al guardiamarina McKayne, si è mai avvicinato agli spaghetti precotti.-
-Quindi devono aver messo la bomba almeno la sera prima.- Concluse l’ex marine fissando la lavagnetta, in cerca di nuovi particolari. -Altre novità da Abby? Ha identificato i prodotti usati per la prima bomba liquida?-
-Sì, ma si tratta di componenti chimici molto diffusi nelle fabbriche, e talvolta anche tra chi pratica il fai-da-te. Reperibili da qualunque ferramenta ben fornito. Praticamente irrintracciabili.- Rispose Kate leggendo la documentazione fornitegli dalla collega. Gibbs segnò con stizza anche quelle informazioni. In realtà non si aspettava molto. Ma tentare era sempre il primo passo. Si allontanò di qualche passo dal tabellone e fece il punto della situazione, più per sé stesso che per gli altri.
-In pratica abbiamo: un potenziale dinamitardo, probabilmente senza legami con cellule terroristiche. Anche perché altrimenti i nostri “cari” colleghi dell’FBI sarebbero già venuti a farci visita, che usa prodotti comuni per il fai-da-te, e le sue bombe contengono due ordigni ben distinti. Deve aver sistemato la sua confezione di spaghetti precotti prima della mezzanotte. Non ha obbiettivi specifici, se non i consumatori di cibi precotti, quindi persone single. E a proposito di persone single … Dove diavolo si è cacciato Dinozzo?!- Kate e McGee si lanciarono un’occhiata interrogativa: poco dopo la visita in laboratorio da Abby, Tony se ne era andato, senza dire una sola parola. Kate si sorprese ad essere lievemente preoccupata. Non era da lui. Per quanto infantile, il suo collega non aveva mai disertato così il lavoro. Salvo durante quell’appostamento in cui si era messo a correre dietro alla sospettata … Che poi si era rivelata un lui … Ma aveva imparato la lezione. O almeno, Kate lo sperava. A Gibbs bastò passare un’occhiata sui volti dei suoi agenti per capire che non lo sapevano. -Fate sapere all’agente Dinozzo, che se entro dieci minuti non si farà vivo, l’unico modo in cui entrerà nell’NCIS sarà come addetto alla pulitura dei bagni!-
-Non c’è n’è bisogno capo. Sono qua!- Proprio in quel momento, dall’ascensore uscì fuori Tony, trafelato e con alcune cartelline in mano.
-Spero che avrai una buona scusa per questo.- Ringhiò il militare fissando gelido l’agente che aveva davanti.
-La brillante spiegazione di Abby sull’ordigno, mi ha fatto tornare in mente un caso su cui mi era capitato di lavorare quando lavoravo nella polizia.- L’espressione di Gibbs si fece meno dura.
-Quindi?-
-Quindi … Ho dovuto lavorarmi qualche segretaria per avere i vecchi fascicoli. Mi toccherà fare gli straordinari, questa settimana … Ho dovuto anche annullare la serata con Lizzy … E on credo che la cosa le andrà a genio ...- Un ringhio sordo provenne dalle parti di Kate. Prudentemente, McGee si allontanò di qualche passo dalla collega, che fissava Tony con gli occhi ridotti ad una fessura. Non lo sopportava. Davvero, non riusciva a capacitarsene. Tony cambiava donna come i fazzoletti di carta, da perfetto donnaiolo quale si vantava di essere. Perché le facesse così rabbia, poi, Kate non lo avrebbe neppure saputo dire con esattezza. Forse perché, lavorandoci assieme, si era accorta che quello era solo un lato del suo carattere. In certi casi, come quella mattina in ospedale, o quando svolgeva il suo lavoro su una scena del crimine, Tony sembrava cambiare, diventando adulto. Ma tac, appaiono alla vista un paio di belle gambe, e … Puff! Tony si trasforma in un ragazzino un po’ bullo dei tempi del liceo. E a lei questo non andava giù. Diavolo, se poteva essere serio davanti ad un omicidio, poteva esserlo anche davanti ad una donna, no?! Irritato quanto la sua agente, Gibbs interruppe il ragionamento di Dinozzo.
-Come li hai avuti e con chi passi le tue serate non mi interessa. Voglio sapere cosa c’è scritto sopra.- Era al limite della sua già provata pazienza. Tony sospirò, leggermente deluso. Ma riprese la sua spiegazione.
-Come vuoi, capo. Allora, è un caso di quasi cinque anni fa. Quando ero solo un innocente poliziotto. Un giorno, ci venne segnalata alla centrale che …-
-Taglia corto, Dinozzo.-
-Va bene. Allora, cinque anni fa, un certo Johan Smilton, ha piazzato e fatto esplodere, in luoghi diversi, almeno quattro bombe, per un totale di otto vittime e non so quanti feriti. Tutti obbiettivi comunque piuttosto ridotti, come stamattina. La quinta sarebbe stata la più spettacolare, e avrebbe potuto causare qualcosa come … bhe, un centinaio di vittime. Ma siamo riusciti a fermarlo prima.-
-E cosa ti fa pensare che questo Smilton c’entri qualcosa?- Domandò Kate.
-La scatola di spaghetti precotti. Anche l’altra volta era iniziata così. E anche Smilton usava ordigni con due bombe a tempo. Ma esplodevano ad una distanza di quasi un‘ora l’una dall‘altra.-
-Benissimo. Anche se è una pista un po’ stagionata, è meglio di niente. Ottimo lavoro, Dinozzo.-
-Grazie, capo.- Tony tirò un sospiro di sollievo. Dal tono di voce soddisfatto, Gibbs sembrava aver recuperato un minimo buon umore. O se non altro, la pista da seguire postagli davanti gli aveva fatto almeno momentaneamente scordare la rabbia nei suoi confronti.
-Kate. Dai un’occhiata ai fascicoli di Tony. McGee, controlla se questo Johan Smilton è uscito di prigione o ha qualche parente.- Gibbs cominciò a dare ordini a destra e a monca, ma Tony lo interruppe.
-E’ inutile cercare, capo …- Gli sguardi dei presenti si fissarono in una domanda muta addosso all’agente. Tenendo il capo chino, questi rispose solo: -E’ morto. Cinque anni fa, quando lo abbiamo preso. Ero presente.- Un silenzio di tomba circondò l’ufficio. La delusione era palpabile. Avevano appena trovato una pista, seppur debole. E dovevano già cestinarla. Consapevole del ritorno della rabbia appena scordata di Jethro, Tony si preparò al peggio. Ma proprio in quel momento il telefono di Gibbs squillò, salvando Tony da quella pericolosa situazione. Seccato, l’agente si affrettò a rispondere.
-Gibbs.- Qualche istante di attesa, mentre la voce all’altro capo dell’apparecchio spiegava la situazione. -D’accordo. Arriviamo subito.- Rispose l’uomo, per poi sbattere la cornetta al suo posto con un impeto di rabbia. Una bestemmia venne a malapena trattenuta, mentre si dirigeva all’ascensore a passo spedito. Nessuno dei tre agenti presenti ebbe il coraggio di chiedere nulla, intuendo cos‘era accaduto. Appena prima di entrare, Gibbs si rivolse verso di loro, e con voce profonda di collera disse ciò che loro già immaginavano. -Il bastardo ha colpito ancora.- Poi, come ripensandoci, si rivolse nuovamente a Tony. -Ah. Dinozzo?-
-Sì, capo?- Uno scappellotto si abbatté con uno schiocco sulla nuca del trentaduenne.
-Più tardi dobbiamo fare un discorsetto, noi due.- Le porte dell’ascensore si chiusero, mentre Kate non riusciva a trattenere un sorriso malignetto rivolto al collega, che, rassegnato, si massaggiava la nuca.

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La ragazza continuava a tremare, senza smettere di sfregarsi una guancia con la mano destra, come a voler togliere una macchia. Macchia che le era già stata lavata via alcuni minuti dopo il fatto. Quando la bomba era esplosa, proprio davanti al volto del signor Burnet, ed alcuni schizzi di sangue le erano arrivati sul volto. Orripilata, poco dopo l’arrivo dei soccorsi, si era lavata via il sangue dalla guancia, ma l’orrenda sensazione del liquido caldo sulla pelle non accennava ad andarsene. Sunny le teneva la mano sinistra, facendole sentire la sua presenza. Gibbs le studiò un momento da lontano, mentre il poliziotto di turno,un tipo magno e stempiato, gli riferiva le loro generalità.
-Si chiamano Rachel Clark e Sunny Benchley. Sono entrambe reclute della marina. Studiano al college, a pochi isolati da qui. Vivono al campus con altre due amiche, che però sono fuori per il weekend. Erano in biblioteca, quando la bomba è esplosa in mano al bibliotecario, il signor Burnet. La signorina Clark doveva prendere un libro.-
-I college sono sempre forniti di biblioteca, Non è un po’ scomodo venire fin qua?- Esclamò Gibbs, sospettoso. Subito l’agente rispose.
-La giovane Miss Clark veniva sempre qui a rifornirsi. Frequentava la biblioteca da quando era una bambina, e conosceva di vecchia data la vittima.-
-Capisco …- Commentò l’ex.marine, senza staccare gli occhi dalle ragazze, intente a farsi coraggio a vicenda. -Può andare. Da qui in poi ce la caviamo da soli.- Palesemente felice di sbolognare il caso ai membri dell‘NCIS, il poliziotto si dileguò, salutando educatamente e augurando buona fortuna. Gibbs si diede un’occhiata intorno. Una folla di curiosi si era radunata sul prato davanti alla biblioteca. L’edificio era stato sgomberato per lasciare campo libero alle indagini. Non appena vide Ducky, seguito a ruota dal suo assistente, Gibbs si rivolse ai suoi uomini. -Kate e McGee con me a lavorare sulla scena. Dinozzo, tu interroga le due ragazze. E vedi di essere gentile.- Un lieve ghigno tra il sarcastico e lo scocciato si disegnò sul volto del ragazzo, che prima di dirigersi al suo lavora, scambiò qualche parola a bassa voce con Kate.
-Ma com’è che oggi mi toccano tutti gli interrogatori?- La mora cercò a stento di non ridere.
-Si vede che ha saputo quanto sei stato bravo stamattina con Pam …- Tony le scoccò un’occhiata minatoria. Solo allora Kate si rese conto di aver usato un tono troppo da presa per i fondelli. -O forse vuole solo fartela pagare per prima!- Cercò di correggersi, senza però cambiare tono. Tony stava per ribattere qualcosa, ma gli sbraiti di Gibbs che gli ordinava di andare al lavoro lo bloccò. Quindi lasciò Kate con un sorriso che minacciava vendetta, a cui la donna rispose con un altro sorrisetto sarcastico. Mentre raggiungeva Gibbs dentro la biblioteca, Kate notò che la comunicazione tra lei e Tony spesso si sviluppava a sorrisi. Irritati, sarcastici, d’intesa, maliziosi o spietati. Ma sempre attraverso sorrisi. Cavolo! Erano come una coppia sposata! Adesso capiva perché Ducky aveva preso il loro arbitrato come una consulenza matrimoniale! Mezza disgustata dal suo stesso ragionamento, si costrinse a liberare la mente per concentrarsi sulla scena.
-Allora. Todd …- Gibbs aveva già iniziato ad impartire ordini, ma Kate lo sorprese completando la frase.
-Faccio le foto.- Jethro annuì, leggermente sorpreso.
-McGee, tu …-
-Io mi occupo degli schizzi.- L’uomo fissò un momento il “pivello”, ed annuì seccato. Poi si diresse dal medico legale, che stava già asportando da ciò che restava della testa della vittima alcuni frammenti da identificare.
-Allora Ducky. Che mi …-
-Solo quello che vedi anche tu. Il nostro signor Burnet è morto a causa dell’esplosione. Praticamente gli è stata portata via mezza testa. L’unica consolazione è che probabilmente non ha avuto neppure modo di accorgersene.-
-Ma oggi avete deciso tutti quanti di rubarmi le parole di bocca?!- Ringhiò Gibbs, scatenando una risata condiscendente nell’anziano professore.
-Non te la prendere, Jethro. E’ solo che hai addestrato troppo bene i tuoi ragazzi!-
-Allora? Hai per caso qualcos’altro per me?- L’agente deviò il discorso, tornando sulle priorità. Con la coda dell’occhio guardò ciò che restava del volto del bibliotecario. Fu felice di non aver pranzato.
-Purtroppo non molto. Gli idranti hanno funzionato alla perfezione.-
-E quindi hanno cancellato tutto.- Un’altra cosa che non ci voleva. L’acqua aveva di sicuro lavato via ogni genere di prova analizzabile. Se anche il loro uomo avesse commesso un errore, sarebbe svanito, era il caso di dirlo, in una bolla di sapone.
-Gibbs! L’ho trovata! La bomba!- Kate indicò ciò che assomigliava ad una scatola, in parte accartocciata. Alcuni brandelli di carta da pacchi annerita testimoniava che era stata fasciata.

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-Mr. Burnet si era messo ad aprire il pacco. Doveva esserci dentro il libro che mi serviva per letteratura. Gli era appena stato riportato, e doveva segnarlo. Io mi sono allontanata per dare un’occhiata a dei libri nuovi, mentre lui faceva la registrazione. Poi .. Poi … C’è stata l’esplosione!- Rachel scoppiò di nuovo in lacrime. Tony decise che era meglio non forzarla ulteriormente. Sunny si era precipitata ad abbracciare l’amica, cercando di rassicurarla. Probabilmente anche lei avrebbe voluto piangere, ma sentiva che in quel momento era Rachel ad aver bisogno di aiuto, e avrebbe recitato la parte solo per farle forza.
-Ti ringrazio. Adesso puoi andare.- Tony chiuse il suo taccuino, e osservò le ragazze avviarsi verso un’autoambulanza poco distante. Poi ad un tratto gli venne una folgorazione. -Aspetta! Ancora una cosa …- Rachel si voltò, sostenuta dall’amica, che fissava torva l’agente. -Sei sicura che l’esplosione fosse una sola?-
-Certo! Che domande!- Gli occhi della ragazza adesso erano scintillanti di esasperazione rabbiosa. Tony annuì e diede loro il permesso di andare. I suoi dubbi avevano preso corpo. Schizzò via verso la biblioteca, con il cuore in gola. L’ansia minacciava di togliergli l’ossigeno necessario per correre. Kate, McGee, Gibbs e Ducky erano lì dentro. Non serviva un genio per capire cosa stava per succedere. Doveva solo sperare che il secondo ordigno non esplodesse prima del suo arrivo.

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Gibbs osservò disgustato la scatola mezza bagnata. Ducky gli si avvicinò per dare il suo parere.
-Ha ritagliato le pagine del libro all‘interno, in modo tale da farlo diventare una scatola. Ingegnoso.- Gibbs annuì, e richiamò McGee, mentre Kate finiva di scattare le foto.
-McGee, imbusta quella cosa. Abby sarà ansiosa di analizzarla.- L’agente eseguì l’ordine, ed aveva ancora la scatola a mezz’aria, quando Tony entrò come una furia all’interno della stanza.
-FERMI! DEVE ANCORA ESPLODERE!-
-Ma che stai dicend …- Mcgee non riuscì a completare la frase, perché Tony gli aveva già sfilato di mano la bomba, e l’aveva scagliata fuori dalla finestra. In un turbinio di vetri in frantumi, il finto libro cadde sul prato.
-TUTTI GIU’!- Come un sol uomo tutti i presenti si gettarono a terra, in attesa dell’esplosione. Che non venne. A mano a mano che la paura per la bomba sfumava, varie paia di occhi inferociti si andarono a posare sull’agente speciale Dinozzo. Gibbs per primo gli si avvicinò e fissandolo ostile sibilò:
-Allora, cosa stavi blaterando, Dinozzo?- Tony deglutì, confuso. Possibile che si fosse sbagliato?
-Allora, Tony, ti sei divertito? O hai ancora voglia di farci qualche scherzo?- Kate aveva superato Gibbs e si era posizionata davanti al collega inginocchiato, viso contro viso, fissandolo con occhi che parevano carboni ardenti. Tony stava per ribattere, quando dall’esterno arrivò il rumore assordante dell’ordigno, finalmente esploso. Lo spostamento d’aria investì i membri dell’NCIS, distruggendo anche le finestre del piano terra rimaste integre. Una pioggia di detriti e vetri ricoprì gli agenti. Tossendo a causa della polvere sollevata, Gibbs si alzò in piedi, alla ricerca dei suoi uomini. L’aria era irrespirabile, e una nebbia di polveri impediva di vedere chiaramente, facendo lacrimare gli occhi. Sentì un tramestio a pochi passi da sé, e non appena riuscì a vederci meglio, vide McGee che si rialzava, scrollandosi frammenti di intonaco dalla giacca. Un gemito alle sue spalle gli fece capire dove si trovava Ducky. Rapido, l’agente si precipitò ad aiutare l’amico a rialzarsi. Bianco di polvere, con gli occhiali storti sul naso e un‘espressione decisamente seccata, Ducky aveva proprio un aspetto buffo. Ma in quel momento Gibbs non aveva molta voglia di ridere. Dietro al medico legale fece la sua comparsa anche Palmer, il suo assistente. All’appello mancavano ancora Kate e Tony. Gibbs stava per gridare i loro nomi, quando dei lamenti glieli fece individuare. Man mano che la polvere si abbassava, si trovò davanti ad una scenetta deliziosa. Lo spostamento d’aria aveva fatto cadere Kate addosso a Tony, che per proteggerla da vetri e detriti l’aveva abbracciata. E non sembrava che la cosa dispiacesse molto, tanto è vero che nessuno dei due sembrava intenzionato a muoversi. Se non fosse stato per la situazione in cui si trovavano, Gibbs non ci avrebbe pensato due volte a prendere a calci Tony e a dire di tutto a Kate. Ma per il momento si limitò ad una battuta sarcastica.
-Todd! Dinozzo! Le effusioni a dopo. Prima usciamo di qui!- Con una scatto degno di un atleta, i due agenti saltarono subito in piedi. Gibbs decise di soprassedere sul fatto che, nonostante la polvere sul volto, la colorazione rosso-violacea di Kate era visibilissima.

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Kate maledì la polvere. Non riusciva a smettere di tossire, e già più di una volta gli addetti dell’autoambulanza venuti per soccorrere Rachel, gli avevano chiesto se non volesse fare un controllo. Stava per lasciarsi convincere, quando Tony le tese una lattina di the freddo.
-Tieni. E’ la cosa più dietetica che ho trovato al distributore automatico … ma ti farà un po’ passare la tosse.-
-Grazie, Tony …- Kate accettò con gratitudine, e bevve avidamente un lungo sorso del liquido ambrato. Non voleva neppure immaginare quante schifezze vi fossero dentro. L’importante era che era fresco, e soprattutto liquido. Poteva sentire la gola ripulirsi da quel finissimo e fastidioso strato mellifluo, mentre la bevanda le scendeva giù fino allo stomaco. Con un sospiro soddisfatto, la donna si guardò un po’ intorno. Ducky e Palmer si davano da fare per portare via la salma del bibliotecario. Gibbs si era rimesso a cercare qualche frammento superstite dell’ordigno. Tony era a pochi passi da lei che scambiava battute con McGee, lanciandogli una lattina che questi prese al volo. Era stato Tony ad andare a prendere da bere per tutti, sotto ordine di Gibbs. Involontariamente la mente di Kate ritornò a non più di un quarto d’ora prima, al momento dell’esplosione. L’urto della bomba l’aveva fatta cadere in avanti, facendola finire proprio tra le braccia di Tony. Istintivamente, questi le aveva messo le braccia attorno al corpo per proteggerla. E lei si era rannicchiata contro di lui. Erano così vicini che lei poteva sentire il cuore di lui battere all’impazzata, terrorizzato quanto lei. Anche se dopo aveva fatto finta di nulla, il cuore non può mentire. Il ricordo del profumo di Tony, e del suo calore, la fecero avvampare di nuovo. Non capiva bene cosa le era preso subito dopo l’esplosione. Avvolta nell’abbraccio del collega, si sentiva davvero bene, protetta, al sicuro. Le era parso così naturale, che solo il lamento di Tony per la botta a terra e la voce di Gibbs l’avevano ridestata. Altrimenti ci sarebbe rimasta volentieri così … Hey! Fermi tutti! Si trattava di Tony! Non di chissà quale uomo … Bhe fisicamente, se ne trattava eccome …. Oh, al diavolo, Kate! E’ Tony, solo Tony! Il bambinone dell’NCIS! Smettila con questi discorsi assurdi! E soprattutto smettila di parlarti in testa! Con un gesto carico di stizza accartocciò la lattina, e si affrettò a raggiungere Gibbs per dargli una mano nella ricerca delle prove. Almeno si sarebbe distratta da certi pensieri … Tony e McGee, che avevano seguito lo strano evolversi delle espressioni facciali della collega, si scambiarono un’occhiata perplessa.
-Sei sicuro che Kate stia bene?- Domandò Tim bevendo la sua bibita.
-Mha … sarà un effetto del the … A forza di bere roba dietetica, magari la roba comune gli fa questo effetto …- Rispose Tony facendo spallucce.
-Non avrà le sue cose?-
-No. Secondo i miei calcoli, dovrebbero mancare ancora due settimane, giornata sì, giornata no.- McGee fissò il collega con gli occhi spalancati.
-E tu come diavolo fai a saperlo? Sei il suo ginecologo?- Tony rise, bevendo tranquillamente dalla sua lattina.
-Non proprio. Ma quando ce le ha, la prima cosa che fa quando arriva in ufficio è ricoprirmi di insulti prima che io possa fare qualcosa per meritarmeli, e così mi toglie tutto il divertimento. E poi comincia a lamentarsi sull‘ingiustizia che gli uomini non debbano sopportare i dolori che affliggono le donne e giù di lì …-
-Ah …- Commentò McGee perplesso. Nel frattempo, Kate aveva raggiunto Gibbs. L’agente era inginocchiato accanto a quelli che sembravano brandelli del libro truccato.
-Trovato qualcosa. Gibbs?- L’uomo annuì, e le mostrò alcuni fogli ancora rilegati assieme.
-Il nostro amico non ha tagliato tutte le pagine del libro. Guarda.- Kate esaminò le pagine che Gibbs le porgeva. Un po’ per le bruciature dovute all’esplosione, e un po’ a causa dell’acqua, ogni scritta era diventata praticamente illeggibile. Solo alcune parole, miracolosamente, erano rimaste abbastanza visibili. Un brivido passò lungo la schiena dell’agente mentre le leggeva. Come un macabro presagio, le parole del poeta toscano si stagliavano sulla carta:
“Lasciate ogni speranza, voi che entrate.”

-Fine capitolo 2-

La Divina Commedia è stata tirata in ballo per il semplice fatto che in quel periodo stavo leggendo "Il Circolo Dante", mentre la battuta di Tony sulle mestruazioni è stata tratta dalla mia vita reale: nella mia classe del liceo, c'erano solo sei maschi su un totale di circa trenta studenti, e dopo cinque anni sempre insieme, alla fine erano più o meno in grado di capire quando alcune delle ragazze erano nel ciclo. Ovvero quando li insultavano di brutto appena entrate in classe. Dovrei evitare di raccontare quanto eravamo cretini. Ex 5°Asp del liceo Nicolò Barabino,VI ADOROOOO!!!^^

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Capitolo 3
*** Ritorni dal passato ***


explosion3 EXPLOSION
Capitolo 3
-Ritorni dal passato.

Meraviglioso. Questa volta era andato tutto bene … Dalla sua postazione, il tipo qualunque in tuta da ginnastica e berretto da football, aveva visto la seconda esplosione. Stavolta tutto aveva funzionato alla perfezione. Come da copione, la bomba più potente era scoppiata dopo la prima. Quella serviva solo per richiamare i poliziotti. Li aveva visti entrare. Oh, che peccato dover vedere solo il retro della biblioteca. Ma era il posto più sicuro. Forse non avrebbe attirato sospetti anche se fosse rimasto nelle vicinanze dell’ingresso. Ma non poteva rischiare. Quello era solo il secondo atto. Ne aveva altri tre da portare avanti. Se per qualche motivo lo spettacolo non fosse continuato, Lei non glielo avrebbe perdonato. E neanche Lui. L’uomo qualunque si gira dall’altra parte e inforca gli occhiali scuri. Con un sorriso sadico si allontana, camminando, né troppo veloce, né troppo lentamente. Come qualcuno alla fine della sua razione di jogging. Spera ardentemente che qualcuno degli agenti sia morto nell’esplosione.

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Una cascata di musica dai toni gutturali investirono Ducky come un uragano. Intontito, cercò di raggiungere Abby, che a tempo di musica stava aspettando il responso delle analisi. La chiamò più volte, ma il volume assordante gli impediva di essere sentito dalla ragazza, che continuava tranquillamente a mimare un assolo di chitarra elettrica.
-ABBY! ABBY! MI SENTI? SONO DUCKY! TI HO PORTATO DEI NUOVI CAMPIONI DA ANALIZZARE … ABBY!- In qualche modo, la dark si volse, e riconosciuto il medico legale, spense subito lo stereo.
-Ehilà, Ducky! Cosa ti porta ad abbandonare il tuo antro per venire nel mio regno, attraversando innumerevoli piani pieni di gente irritata per non potersi godere il weekend?- Il pover’uomo non rispose subito. Aveva la sensazione di essere diventato completamente sordo. E alla sua età non erano cose su cui scherzare. Ma era venuto nel laboratorio di Abby ben sapendo quali pericoli correva.
-Credo di aver qualcosa per te.- Disse passando una busta alla ragazza, che se lo rigirò tra le mani, curiosa.
-Sai già di cosa può trattarsi?-
-Ne ho trovato sulla faccia … Bhe, quel che ne resta, del signor Burnet. E qui ho quelli che ho trovato sulle altre due vittime.- Detto questo, Ducky porse altre due buste contrassegnate col nome della salma su cui erano stati trovati i contenuti. -Conterei sul fatto che sia lo stesso materiale.- Abby guardò le buste trasparenti contro luce. Piccolissime schegge scure mostravano i loro contorni seghettati.
-Finché non le avrò analizzate, non potrò dirti che cosa sono, ma i miei poteri extrasensoriali mi dicono che potrebbero essere qualcosa d’interessante!-
-Spero che i tuoi poteri non facciano cilecca proprio oggi, Abby.- Gibbs fece il suo ingresso nel laboratorio, seccato come non mai.
-Buongiorno anche a te, grande capo!- Lo salutò Abby con un sorriso. -E prima che tu mi possa chiedere col tuo tono feroce “hai qualcosa di nuovo per me?”, -appi che ho passato tutta la notte ad esaminare il libro e gli ordigni.-
-E …?-
-E … Come avevo già detto, si tratta di un professionista. Ma alle prime armi. Il nostro amico ha realizzato una bomba come la prima, ma stavolta ha fatto alcune modifiche.-
-Quali?- L’impazienza era tangibile nella voce di Gibbs.
-Un momento, ci sto arrivando! Allora, nel supermercato, come ricorderai, le bombe erano esplose in sequenza. Avevo pensato fosse per causare più danni, ma adesso capisco che aveva fatto un errore.-
-Vuoi dire che voleva che le bombe esplodessero in momenti diversi?- Gibbs strinse gli occhi, preoccupato da ciò che poteva significare quella rivelazione.
-Esatto. Ma la prima volta aveva sbagliato nella struttura dell’ordigno. Non aveva … “protetto” bene la seconda bomba dalla potenza della prima. Ma ha imparato dai propri errori. Come puoi vedere.- La ragazza indicò alcuni reperti sul tavolo, in particolare una scatoletta metallica deformata. -Era il contenitore del secondo ordigno della biblioteca. Rispetto ai resti del primo che abbiamo ritrovato, è di almeno tre millimetri più spesso. E questo è bastato perché il timer rimanesse protetto abbastanza da scattare al momento voluto.-
-Ovvero quando eravamo sulla scena.- Aggiunse Gibbs, mentre Abby annuiva, seria. Un velo silenzioso si abbassò sul trio, mentre nelle loro menti si faceva largo un’ipotesi orribile.
-Tu che ne pensi, Ducky?- Domandò all’improvviso Gibbs, spezzando la tensione creatasi. Il medico legale sospirò, afflitto.
-Quello che pensi anche tu. Il nostro uomo ce l’ha con la polizia.- Jhetro annuì, tornando a fissare ciò che restava del libro usato per nascondere la bomba. L’unica frase leggibile sembrava sbeffeggiarlo e allo stesso tempo avvertirlo. “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
-E del libro che mi dici, Abby?- La ragazza scosse la testa, demoralizzata.
-Non molto. Non ne è rimasto abbastanza per dirti se era della biblioteca o no. Il nostro mister esplosione si è ben guardato dal lasciare le pagine coi timbri. E l’acqua, come puoi immaginare, ha cancellato il resto.- Gibbs sospirò, evidentemente deluso.
-Avrei proprio bisogno di qualche traccia in più.- Ducky osservò l’amico leggermente preoccupato. Erano parecchie ore che Gibbs non si prendeva una pausa, ed il suo volto ne portava addosso tutti i segni.
-Mi dispiace, capo, ma finché lo spettrografo non mi dà i risultati, non posso esserti utile. Anche io ho i miei limiti, anche se sono … Limitati!- Gibbs si portò una mano sul volto per calmarsi. Solitamente la battuta di Abby l’avrebbe fatto sorridere, ma in quel momento l’aveva fatto innervosire ancora di più di quanto già non lo fosse.
-Abby …-
-Ho capito. Cercherò di superarli.- Si affrettò a confermare la ragazza, svanendo dietro allo schermo di un computer. Gibbs la fissò per qualche istante torvo, poi si lasciò andare ad un sospiro.
-Mi sembri un po’ stanco, Jhetro.- Commentò Ducky, meritandosi un’occhiata feroce da parte del collega. -Ma forse mi sbaglio.- Si sbrigò a rettificare, mentre Gibbs si sfregava gli occhi, recuperando il controllo su di sé.
-No, Ducky, hai ragione tu. Saranno ventiquattrore che non dormo …- Uno sbadiglio finalmente si liberò dalla bocca dell’agente, mentre si stiracchiava  indolenzito. -E’ che adesso questo caso mi ha preso troppo. Abbiamo rischiato di restare coinvolti in un’esplosione, e non vorrei che ricapitasse … Potremmo non avere di nuovo così tanta fortuna.-
-A proposito dell’esplosione … E’ vero quello che mi ha detto Tim? Su Tony e Kate?- Domandò con voce squillante e maliziosa Abby, facendo capolino da dietro il computer. Un’occhiataccia gelida di Gibbs la fece tornare subito dietro al suo nascondiglio. -Ok. Ho capito. Torno al lavoro.-
-Ecco. Brava.-Ringhiò Gibbs, scatenando una risata a malapena trattenuta dal medico legale. Ecco uno dei motivi per cui forse non sarebbe mai voluto andare in pensione. In tutti i suoi lunghi anni di carriera, non gli era mai capitato di lavorare con uno staff così divertente. Proprio allora il citofono del laboratorio squillò. Con un gesto stanco, Gibbs schiacciò il pulsante di risposta. Sperò ardentemente che fosse uno dei suoi ragazzi. Infatti la voce di McGee, resa metallica dall’apparecchio, uscì insicura dal viva voce.
-Capo, sei lì?-
-Ovvio, McGee. Dove altro vuoi che sia?- Un momento di pausa. Poi l’agente McGee continuò.
-Ho finito di controllare i registri della biblioteca.-
-E allora?- Domandò Gibbs, mentre osservava Abby che strisciava fuori dal suo rifugio per ascoltare. Come Ducky, ebbe la netta impressione che, più che il contenuto della conversazione, alla ragazza interessasse la voce all’atro capo dell’apparecchio.
-Bhe, ho l’elenco di tutti quelli che hanno preso in prestito le copie della Divina Commedia …-
-E allora cosa ci fai ancora lì?! Fila subito a controllare chi non ce l’ha in casa!- Ringhiò alterato l’ex marine.
-Ma capo … Sono quindici persone sparse per la città …-
-E allora fatti dare una mano da Kate e Dinozzo! Muoviti!-
-Sì capo! Subito, capo!- Il giovane agente stava per riattaccare, ma Gibbs lo fermò un istante.
-Controlla se tra queste persone ci sono alcuni con precedenti o che hanno a che fare con ordigni. Gli altri li potete scartare. Ah, un‘altra cosa. Prima di sguinzagliare quei due, aspetta un momento. Ho qualche novità da parte di Abby.- Un momento di silenzio. Gibbs iniziò ad innervosirsi. -Tutto chiaro, McGee? Devo farti un disegno?- La voce agitata di Tim arrivò tempestiva.
-Sì-sì, capo capito tutto perfettamente … No … Cioè volevo dire …-
-Allora mettiti al lavoro!- Ringhiò Gibbs chiudendo la telefonata.

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-Ha riattaccato …- Mormorò McGee demoralizzato, voltandosi verso i suoi colleghi. Ma questi a malapena lo avevano ascoltato. Kate rivolse a Tony un sorriso vittorioso, e gli tese il palmo della mano aperta.
-Maledetta sanguisuga …- Sibilò questi tra i denti, porgendo una banconota da cinque dollari alla mora, che lo canzonò allegra, con un tono da presa per i fondelli.
-Dovevi pensarci prima di proporre quella scommessa …-
-Quale scommessa?!- Domandò McGee, già preoccupato per la risposta.
-Che non avresti resistito al telefono con Gibbs per più di due minuti …- Spiegò tranquillo Tony, prendendo la pistola dal cassetto della sua scrivania.
-Ma hai resistito ben tre minuti e sedici secondi.- Informò Kate, non ancora sazia di gloria per aver battuto il collega.
-Volete dirmi che continuate ad usarmi per le vostre scommesse?- Il tono di voce indispettito di McGee fece solo allargare il sorriso da presa per i fondelli dei due agenti Todd e Dinozzo.
-Avanti, non te la prendere, pivello. Fa parte del lavoro …- Cercò, senza impegnarsi troppo, di consolarlo Tony avvicinandosi per spiare il computer del collega. Ma nel chinarsi emise un gemito.
-Che c‘è? Stai male?- Troppo tardi Kate si accorse che il suo tono di voce era esageratamente apprensivo. Doveva correre ai ripari. Possibilmente con una battuta crudele. -Non sarai fuori forma? Dopotutto, con tutto il movimento che fai con le segretarie per avere i rapporti … Non sei più un ragazzino … Macchina del sesso!- La mora ringraziò le sue “doti” persuasive nei confronti del migliore amico di Tony. Questi la fissò feroce.
-Quando tu mi sei caduta addosso con il tuo “dolce peso”, miss Todd, un libro mi si è conficcato nella schiena. E dato che ci hai messo un sacco di tempo a rialzarti, la copertina mi si è disegnata in rilievo tra le scapole!- Kate strinse i denti, colpita in pieno, mentre Tony le lanciava un sorriso vendicativo. Erano pari. Soddisfatto, Tony si rivolse nuovamente a McGee, che aveva appuntato mentalmente ogni parola. Non vedeva l’ora di riferire tutto ad Abby. -Hai già gli indirizzi da controllare, pivello?-
-Solo un momento. Li stampo.- Rispose Tim risentito. Non gli importava se quello era il trattamento riservato agli ultimi arrivati. Quel soprannome proprio non gli andava giù.
-Avanti, McGee. Appena torniamo ti offro un caffé con i soldi che ho vinto a Tony.- Propose Kate, riuscendo a far ricomparire il sorriso sulle labbra del ragazzo.
-Com’è che a me non offri mai il caffé?- Fece Tony fingendosi imbronciato.
-Perché non te lo meriti.- Sibilò la donna prendendo il foglio appena stampato con gli indirizzi da controllare. Gibbs fece la sua comparsa giusto in tempo per bloccare una battuta di risposta di Tony.
-Se qualcuno offre un caffé a ME, invece, giuro che gli do una settimana di ferie pagate.- I tre agenti erano consapevoli del fatto che si trattasse solo di una battuta, ma per un attimo avevano avuto l’istinto di correre alla caffetteria più vicina.
-Che nuove ci porti, capo?- Domandò Tony, scoccando un’occhiataccia a Kate, per nulla impressionata. Gibbs si sedette stancamente sulla sua poltrona e informò i suoi uomini di quanto era stato scoperto. Kate e McGee furono percorsi da un brivido quando il loro capo svelò del ritardo apposito del secondo ordigno. Tony serrò solo di più gli occhi, mentre alcuni ricordi gli riaffioravano alla mente. I suoi dubbi stavano prendendo pericolosamente forma.
-Quindi il nostro uomo fa esplodere una bomba, solo per poterne far scoppiare un’altra quando la polizia arriva sul campo?- Kate sentì l’orrenda sensazione di pericolo avvolgerla. Gibbs annuì.
-Bhe … Almeno una cosa la sappiamo …- Commentò Tony. McGee lo guardò incuriosito.
-E sarebbe?-
-Non ce l’ha solo con le persone single. Ce l’ha anche con i poliziotti.- Kate avrebbe preferito che Tony non lo dicesse con quel tono scherzoso. Non era una cosa su cui ridere. Ma Gibbs gli diede ragione.
-Esatto, Dinozzo. E la cosa mi preoccupa. Purtroppo, alla fine questo è l‘unico indizio in più che abbiamo. Abby ha ancora dei limiti …-
-Anche se sono limitati …- Aggiunse Tony beccandosi un’occhiataccia da Gibbs, ed il silenzio seccato dei colleghi. -Bhe? Che ho detto?- Gibbs emise un grugnito, trattenendosi dal colpire il suo agente con uno dei suoi soliti scapaccioni, e continuò a parlare.
-… Per questo conto sul rapporto del tuo vecchio caso.- Fece una pausa. -E' l’unica pista solida che abbiamo.- Un lugubre silenzio si abbassò sull’ufficio. Ognuno perso a riordinare nella mente i tasselli di quel puzzle intriso di sangue. Fu Gibbs ad interromperlo con fare seccato. -Bhe? Siete ancora qui? Dinozzo e Kate, andate subito a controllare gli indirizzi che vi ha dato McGee. Se qualcuno di loro non possiede la copia della biblioteca di quel maledetto libro, portatelo subito qui. McGee, tu vai a dare una mano ad Abby, poi ritorna qui. Io intanto studierò il rapporto sull’altro caso.- Kate e Tony schizzarono verso l’ascensore, ben felici di stare lontano da un Gibbs di umore ancora più nero del solito.
-A dopo, McGee!-
-A dopo ragazzi!- Salutò Tim, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano davanti ai due colleghi.

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-Allora, dove dobbiamo andare?- Tony si era già sistemato al posto di guida, in attesa delle istruzioni di Kate. La donna scorse la pagina datale da McGee con il dito.
-In pratica tra i possibili sospetti sono rimaste solo quattro persone. Due sono stati condannati per furto e rapina a mano armata, ma hanno scontato la loro pena e non credo sappiano tenere in mano una pistola, figuriamoci costruire una bomba … Uno è un minatore in pensione, ma ha oltre settant’anni, e le bombe che costruiva sono di gran lunga meno tecnologiche di quelle del nostro uomo. L’ultimo sospettato che non mi sembra scartabile è una donna. Ha lavorato negli artificieri, e si chiama Monica Rudolph.- L’espressione di Tony si fece improvvisamente seria.
-Monica Rudolph, hai detto?-
-Sì, perché, la conosci?- Tony abbassò lo sguardo. Alcuni ricordi di cinque anni prima rifiorirono.

“ Era finita. Il dinamitardo era accasciato a terra, senza più vita. Sarebbe stato meglio prenderlo vivo. Non perché gli facesse pena. A causa sua, otto famiglie piangevano la morte dei loro cari. L’agente Anthony Dinozzo si accasciò contro la parete. Prima di morire il bastardo gli aveva sparato ad una spalla. Non era una ferita grave, ma unita allo sforzo fatto e alla tensione sostenuta, si faceva sentire almeno due volte di più che in condizioni normali. Il suo collega aveva già chiamato i rinforzi. Non gli restava che aspettare. Rimase a fissare la salma immobile, quando un rumore poco distante lo riscosse. Teso, si alzò in piedi e si diresse verso la fonte di quel lieve tramestio. Proveniva dal corridoio dietro il corpo di Johan Smilton. Circospetto, Tony si diresse in quella direzione. Ad un tratto trovò la porta di quello che doveva essere uno sgabuzzino. Tenendo la pistola davanti a sé, l’aprì con uno scatto, e vi trovò una donna. Era magra, gli occhi grigi gonfi di lacrime apparivano ancora più grandi, nel viso smunto e pallido. Terrorizzata, si ritrasse alla vista del poliziotto. Le sue frasi erano incoerenti, le uniche parole comprensibili -Il mio Jo … Ridatemi il mio Jo … Dov‘è il mio Jo?-“

-Tony … Tony svegliati!-
-Eh? Ah, già. Sì, Kate?- La ragazza fissò contrita il collega. Si era incantato per quasi un minuto al volante, e nonostante lo avesse chiamato più volte, lui si era degnato solo in quel momento di ascoltarla.
-Me lo dici che diavolo hai?- Tony la guardò sorpreso.
-Ho … Che cosa?- Kate stava per gettargli le mani al collo. Lo avrebbe ucciso, prima o poi!
-Come “che cosa?”!!! Uno rimane con lo sguardo fisso come un cadavere anche se lo chiami decine di volte, e ti chiede ancora che cosa?- L’agente la fissò per qualche istante.
-Ti sono venute in anticipo, questo mese?- Kate gli tirò un pugno allo stomaco. -Ahia! Ma dico, cos’hai da essere così violenta, oggi?- Colma di rabbia, Kate fece per colpirlo di nuovo, ma Tony le bloccò il braccio, e per essere sicuro di non essere colpito ulteriormente, le fermò anche l’altro. La mora si dimenò lanciando insulti, e tentando di liberarsi dalla stretta del collega. Ma alla fine si arrese, sconfitta. Tony era fisicamente troppo forte per lei.
-Accidenti a te, Tony, se tu non fossi un uomo io …- Le parole le morirono in gola quando si accorse di quanto durante la piccola lotta fosse finita vicina al volto di lui. Erano lì lì per sfiorarsi. Il cuore di Kate smise di battere per qualche istante, mentre sentiva il sangue affluire al viso. Le labbra di Tony tremarono per un momento, e le parvero avvicinarsi, per poi bloccarsi. Il battito del cuore di Kate aumentò, furioso come un cavallo imbizzarrito. Poi Tony le lasciò i polsi, e ognuno tornò al suo posto. Il ragazzo esalò un sospiro di sollievo.
-Era ora che ti fermassi … Sembravi una furia scatenata.- Troppo presa dalla propria reazione, Kate non si avvide che la voce del collega era leggermente roca. Un silenzio teso si abbassò sull’auto come un sudario. Entrambi erano consci di aver quasi oltrepassato una barriera. Un muro costruito giorno per giorno, fatto di prese per i fondelli e dispetti, pur di restare ben divisi, pur di calcare quel confine che avevano giurato a loro stessi di non sorpassare. Ma se le loro menti li dividevano, i loro corpi stavano aprendo una breccia, attraverso sensazioni e reazioni pericolose. Alla fine Tony ruppe il silenzio. Kate sobbalzò, ma prese di tasca il foglio e lesse l’indirizzo.
-E’ qua vicino. Se non c’è traffico, dovremmo fare in fretta.- Tony fece un cenno d’assenso, ma il suo sguardo si rabbuiò. Kate lo fissò inquieta, ma preferì soprassedere. Dopo quello che era appena accaduto, un’altra discussione col collega sarebbe potuta sfociare ben fuori da ogni controllo. Con un rombo, la vettura si immise nella strada, lasciando dietro di sé, oltre ad una scia di smog, anche un po’ della sicurezza che aveva sempre accompagnato i due agenti.

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-MALEDIZIONE!- Il fascicolo si abbatté con un tonfo sordo sulla scrivania. McGee alzò la testa dal computer, preoccupato per l’improvvisa reazione di Gibbs.
-Qualcosa non va, capo?- La domanda del giovane agente rimase inascoltata, mentre l’agente speciale Jhetro Gibbs rimetteva ordine nei suoi pensieri rabbiosi. Ora molti aspetti del comportamento fuori dal normale di Tony e il fatto che non avesse ancora dato spiegazioni gli erano chiari … Probabilmente aveva anche lui le sue ipotesi, ma come al sottoscritto, non lo portavano comunque a nulla. Il modus operandi e i luoghi delle esplosioni erano gli stessi di cinque anni prima, ma capivano entrambi bene che era impossibile che fosse la stessa persona ad averle costruite. E non occorreva neppure controllare la salma di Johan Smilton, perché era sicuramente morto. Senza ombra di dubbio. Ma il suo clone era in giro da qualche parte, pronto a colpire di nuovo, finché non avesse completato il progetto fallito da Smilton. A meno che non lo avessero fermato prima. Con un gesto rabbioso, Gibbs si alzò dal suo posto, e si diresse all’ascensore.
-McGee, con me.- Tim abbandonò il suo lavoro, per seguire il suo capo, nonostante la confusione che il suo comportamento gli stava formando in testa.
-Ma … Ma dove stiamo andando, capo?!- Gibbs si volse verso di lui, gli occhi fiammeggianti.
-Ad impedire a quel bastardo di fare altre vittime. Andiamo a trovare Monica Rudolph.-

-Fine capitolo 3-
 

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Capitolo 4
*** Appartamento N°8 ***


explosion4 Ecco un'altro capitolo ... In effetti forse il mio preferito, con il quinto ^^
Sto aggiornando velocemente perchè questa fic in realtà è in versione "riveduta e corretta", ma l'ho già pubblicata su manga.it (se volete cercarmi lì, mi trovate col nome di willow87),quindi non dovrei metterci molto a postare tutti i capitoli ^^
buona lettura...

EXPLOSION
Capitolo 4
-Appartamento N°8.-

L’uomo qualunque guarda fuori dalla finestra. E’ preoccupato. Una macchina si è fermata proprio davanti al suo palazzo. Non gli serve molto per capire che non sono abitanti della zona. Nessuno può permettersi un gioiello simile, da quelle parti. E anche se lo avesse, non oserebbe mai metterlo così in mostra. Non con le bande per strada. Seduti sulle scale di un malconcio portone, mezza dozzina di ragazzi dall’aria rissosa, hanno smesso di parlare tra di loro. Gli sguardi puntati sulla vettura e sui conducenti. Una bella donna in tailleur dai lunghi capelli scuri, e un uomo piuttosto alto coi capelli corti. Gli occhiali da sole impediscono di vederne bene i lineamenti del volto. L’uomo qualunque ha un brivido lungo la schiena. Ha intuito chi sono. Ma come diavolo avevano fatto a capire così in fretta? Sta per dirlo all‘altra persona presente nell‘appartamento, ma Lei è già alla finestra. I suoi occhi guardano inespressivi i due scendere dall’auto e scambiarsi qualche parola. L’uomo qualunque rimane a fissare la donna, in attesa. Lei gli dirà cosa fare. Come sempre. Lei non lo ha mai deluso. E lui non vuole deludere Lei. Mai. Passano pochi istanti che paiono secoli, poi la donna si volta verso di lui. Gli occhi grigi grandissimi sono illuminati da una scintilla che l’uomo non vedeva da tempo. Un lieve sorriso veste le sue labbra sottili. Basta questo all’uomo qualunque per capire. Ricambiando il sorriso, si appresta a inscatolare l’ordigno. L’ora del terzo atto è arrivata.

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Kate si guardò attorno, circospetta. Gli sembrava di essere finita in uno di quei film di cui tanto amava parlare Tony. Il quartiere era un vero disastro, quanto di più vicino alla definizione “covo di malviventi” ci poteva essere. Le strade erano poco curate, con cartacce e rifiuti di ogni forma e genere esistente ad ogni angolo. Alcuni dei palazzi erano completamente fatiscenti. Altri, forse più recenti, dovevano aver conosciuto tempi migliori. L’intonaco cadeva a pezzi, ed era inframmezzato da quelli che Kate ipotizzò, con poche possibilità di errore, come fori di proiettile. Un gruppetto di ragazzi dall’aria poco raccomandabile aveva iniziato a fissarli ostili. Sì, il set ideale per qualche film su bande e delinquenza giovanile.
-Dì un po’, Tony, quanti dei tuoi adorati film ti fa venire in mente questo posto?- L’agente si voltò un momento verso di lei, e un sorriso tirato comparve sul suo volto.
-Su due piedi una ventina di grandi del genere avventuroso-poliziesco, senza contare anche tutte le scamorze di pellicola.- Kate si ritrovò a ridacchiare. Raramente si divertiva alle battute di Tony,  ma questa ci stava. Perlomeno aveva allentato un pochino la tensione. -Qual è il palazzo della Rudolph?- Domandò Tony osservando i ragazzi.
-Quello davanti ai nostri occhi.- Rispose la donna controllando il foglio di McGee. -Quarto piano, appartamento numero otto.-
-Bene. Allora vai e chiedi gentilmente se la signorina ha quel libro così allegro …-
-Ma come?! Non vieni con me?- Kate non capiva. Per quale motivo Tony non voleva andare da Monica Rudolph? Non era professionalmente corretto. Si andava sempre in coppia a fare un sopraluogo. Eppoi non si era mai visto Tony che disertava l’opportunità di entrare a casa di una donna. E giovane, per di più! No, c’era qualcosa che non quadrava. E lei voleva sapere cosa. -Vuoi almeno dirmi perché vuoi lasciare a me tutto il lavoro?- Tony si tolse gli occhiali e indicò i ragazzi seduti sulla scalinata. Non avevano ancora smesso di guardarli di sbieco.
-Guarda bene. Non noti nulla?- Kate osservò nella direzione indicatagli dal collega e capì. Fece un cenno d’assenso a Tony. Questi continuò. -Uno se ne è andato subito dopo il nostro arrivo. Non mi sorprenderebbe che sia corso a chiamare il resto della banda. E non so se lo hai notato … Ma almeno due di loro hanno una pistola in tasca.- Un rigonfiamento esagerato sul fianco di un ragazzo con una felpa blu e di un suo amico lo dimostravano.
-E gli altri avranno almeno un coltello bello affilato.- Aggiunse Kate. Una forte sensazione di nervosismo si era impadronita di lei. Era come sentirsi sotto tiro. Vide Tony sfiorare istintivamente la pistola, ben al sicuro nel fodero sotto la giacca. -Ma perché mai Amanda Rudolph vivrebbe da queste parti?-
-Non lo so, ma capisco perché leggerebbe quel libro.- Rispose  Tony, non meno nervoso della collega, nonostante il sarcasmo. -L’inferno di Dante gli deve sembrare quasi un posticino tranquillo e sereno.- Kate fece per entrare nel palazzo, ma prima si volse ancora una volta verso l’agente Dinozzo.
-Allora non vieni proprio?- Tony scosse la testa, testardo. -Lo sai cosa potrebbe farti Gibbs?- Tentò allora di minacciarlo Kate. Non aveva alcuna intenzione di entrare in quell’edificio semi fatiscente da sola.
-Gibbs non è qui, e tu sei abbastanza grande per andare da sola.- Ribatté Tony. Poi aggiunse. -Eppoi hai una pistola e un coltello.-
-Due.- Precisò Kate.
-Ok, due coltelli. Non mi sembri proprio disarmata.- Si corresse Tony. Dopo un istante di riflessione domandò. -Ma perché ti porti due coltelli? Non te ne basta uno?- Kate sorrise maligna.
-Non si sa mai … Con un collega come te …-
-Così mi ferisci …- Tony alzò le mani in segno di resa, e le rivolse uno sguardo da cucciolo bastonato. Kate non potè fare a meno di sorridere. Quel piccolo scambio di battute aveva avuto il potere di darle un po’ di coraggio. Soddisfatto di aver fatto tornare il sorriso alla collega, l’agente si rimise gli occhiali da sole.
-E sia.- Sbuffò la mora, leggermente delusa.
-Tanto, se venissi io dubito che la Rudolph sarebbe molto collaborativa …- Un sorriso amaro si disegnò sulle labbra di Tony, mentre la sua voce assumeva una sfumatura triste, che raramente poteva considerarsi sua. Kate avrebbe voluto approfondire il discorso del collega, ma decise di avviarsi. Quel quartiere non gli piaceva, e meno tempo ci passava, meglio era.

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L’auto bruciava letteralmente l’asfalto sotto la guida di Gibbs. McGee, seduto accanto al posto di guida, si aggrappava con tutte le sue forze alla maniglia. La colazione fatta non più di mezz’ora prima minacciava di uscire da un momento all’altro. Con uno sforzo, l’agente cercò di sovrastare il ruggito del motore per chiedere spiegazioni al suo capo. Da quando erano partiti, Gibbs si era chiuso in un silenzio di ferro, concentrandosi esclusivamente sulla guida.
-Capo … Posso sapere dove stiamo andando?- Jethro lo fulminò con lo sguardo. -Ok … Lo saprò quando ci arriveremo.-
 Si affrettò a correggersi il ragazzo. Gibbs sospirò. Era stato troppo brusco. Il suo agente aveva tutto il diritto di sapere.
-Amanda Rudolph è una vecchia conoscenza. E’ rimasta coinvolta nel caso di cinque anni fa.-
-Quello a cui ha lavorato l’agente Dinozzo, giusto?- McGee stava assumendo colorazioni verdastre diverse ad ogni curva. Gibbs annuì e continuò.
-Proprio quello. Ora, come sai la nostra Rudolph ha lavorato negli artificieri. E indovina chi altri era nella sua squadra?- La macchina prese in pieno una buca. McGee ricacciò indietro un conato.
-Non so, capo …-
-Johan Smilton.- Un istante di silenzio, interrotto solamente dal rombo dell’automobile che sfrecciava per la strada a velocità folle. McGee era incredulo. Non aveva neanche lontanamente immaginato una cosa del genere. Coincidenza? No. Le coincidenze non esistono, come amava ripetere il suo capo. Difficili circostanze, forse, ma mai coincidenze. Gibbs riprese a parlare. -Johan Smilton era un membro della squadra artificieri. E Amanda la sua patner. Dopo qualche anno di lavoro assieme, si sono innamorati, e come in una bella storia d’amore, i due si sono sposati. Ma passa qualche anno, e Smilton lascia il lavoro. Qualche mese dopo, dà di matto e comincia a posizionare ordigni, causando sette morti. Il suo obbiettivo ultimo era lo stadio comunale.-
-Dove la squadra di Tony lo ha fermato, giusto?- La voce di McGee era poco più di un sussurro. Ogni parola un attentato al suo stomaco, deciso a ribellarsi. -Ma non erano otto, le vittime?-
-Ci sto arrivando, McGee! Come stavo dicendo, Smilton si era trasformato in una bomba umana. Addosso aveva abbastanza esplosivo da far saltare in aria mezzo stadio.-
-Addirittura?- Il giovane agente si  pentì subito di aver parlato. Una curva decisamente brusca gli aveva tolto il respiro.
-Forse anche peggio. L’edificio era strapieno di gente per non so quale partita. Mescolandosi agli spettatori poteva causare decine di morti.- Gibbs fece una pausa. -Tony e altri due della sua squadra erano riusciti ad individuarlo grazie ad un identikit, ma Smilton tentò di scappare. Si era nascosto nei magazzini sotterranei, e Tony e un altro agente lo avevano seguito. L’altro stava chiamando i rinforzi. Smilton aveva una pistola con sé, e tese loro un agguato.-
-E Tony?- Nonostante la mente annebbiata per la nausea, il cervello di McGee cominciava a capire.
-Tony vide Smilton sparare a bruciapelo al suo compagno, uccidendolo.- Gibbs fece un’altra pausa, mentre McGee assorbiva il colpo.
-E … Poi?-
-Smilton sparò anche a Tony, che venne ferito in maniera piuttosto lieve alla spalla. Poi cercò di farsi saltare in aria, ma Tony riuscì a fermarlo.-
-E come?- Tim sapeva di aver fatto una domanda stupida. Non occorreva un genio per capire. L’occhiataccia di Gibbs ne fu la prova lampante.
-Con un proiettile in mezzo alla fronte. Giusto in tempo per impedirgli di premere il pulsante di detonazione.- il silenzio cadde di nuovo sull’auto. Adesso Tim capiva la certezza di Tony sulla morte del dinamitardo. Lo aveva ucciso lui.
-E … Amanda?- McGee si accorse che il nome della donna non era comparso da un po’ nei discorsi di Gibbs.
-Dopo la sparatoria, Tony sentì un rumore da uno sgabuzzino. Aprì e dentro ci trovò la Rudolph in stato confusionale.-
-Quindi il marito l’aveva segregata.- Gibbs scosse la testa, poco convinto dall’affermazione del suo agente.
-Non lo so. Il rapporto dice che continuava a chiamare il marito. Quando poi si è calmata, ha affermato di non ricordare nulla di ciò che era accaduto nelle ultime due settimane, tranne che il marito era un po’ strano. Da qualche tempo le cose tra loro non andavano bene. E si è arrivati alla tua stessa conclusione. Che la Rudolph era stata imprigionata dal marito, e lo shock le aveva cancellato ogni ricordo.-
-Non hanno pensato che mentisse?- Gibbs superò con una brusca sterzata un’automobile, che altro crimine non aveva commesso se non quello di rispettare i limiti di velocità con l’agente speciale Gibbs a pedale libero. McGee finì pressato sul sedile.
-Certo che l’hanno pensato. Ma le condizioni fisiche di quella ragazza gli fecero scartare l’idea. Era denutrita, e con segni di percosse e violenza  su tutto il corpo.- Ancora una cosa non tornava al giovane agente.
-Ma allora perché stiamo andando da lei?-
-Perché la terza esplosione avvenne in un palazzo quasi fatiscente di un quartiere malfamato. Ed era di proprietà di Amanda Rudolph.- McGee finalmente comprese il motivo della folle corsa in auto del suo capo.
-Vuole dire che …-
-Esatto, McGee …- Gibbs spinse ancora di più il piede sull’acceleratore. -E’ lo stesso posto in cui sono andati Kate e Tony.-

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Kate controllò più volte l’indirizzo. Non poteva credere che quello fosse davvero l’appartamento di Amanda Rudolph. Eppure sulla targhetta consunta era segnato proprio il nome della donna che stava cercando. E difficilmente McGee gli avrebbe fornito un indirizzo sbagliato. Eppure almeno da fuori, gli suonava troppo strano che qualcuno abitasse lì. La porta era piuttosto nuova rispetto all’edificio, ma la ruggine aveva cominciato ad intaccarne i cardini. Probabilmente nessuno, dopo l’installazione, aveva più pensato di fare un pochino di manutenzione. O a dare una mano di bianco sulla parete. Uno strato di nero circondava il muro attorno alla porta, a testimonianza che ai tempi in cui era stata installata vi era appena stato un incendio. Stessa cosa per quel che riguardava la cassettina della posta, che solo a tratti conservava ancora un po’ dell’originaria lucidatura dorata. Un discreto strato di polvere e di volantini pubblicitari a conferma che da parecchio la Rudolph non ritirava la posta. Eppure qualcuno doveva essere stato lì. Il pomello della porta, infatti, era perfettamente pulito. E sul pavimento numerose impronte dimostravano che qualcuno era entrato e uscito più volte dall’appartamento. Kate suonò più volte al campanello, ma non ottenne risposta. Con un brivido, mise mano alla pistola. Quella situazione non gli piaceva per niente. Si voltò per dare il segnale a Tony di fare irruzione. Ma con disappunto si trovò davanti solo la parete bianca. Merda. Era così abituata ad averlo intorno da dimenticarsi che non c’era. Con un borbottio nervoso fece un bel respiro. Non poteva contare su Tony. Doveva cavarsela da sola. “Accidenti a te, Dinozzo!”. Ma perché, perché quando gli serviva, lui non c’era mai? Puntando la pistola alla serratura, Kate prese una decisione: mai più, neppure a costo di prenderlo e trascinarlo per le orecchie per tutta l’NCIS, avrebbe permesso a Tony di non dargli spiegazioni in merito alla sua assenza di quel momento. Premette il grilletto. La sua decisione si fece più ferma. Mai più.

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-Ma sì, te l’ho detto! Ma guarda, ti giuro che è andata così!- Rise Tony rivolto ad un non ben identificato interlocutore dall’altro capo del telefono. -Non mi credi?- Con un guizzo veloce degli occhi guardò nella direzione dei ragazzi. Come aveva previsto, al gruppetto iniziale si erano aggiunti altri quattro o cinque giovani, dalle facce, se possibile, ancora più brutte delle prime. Per non dare troppo nell’occhio, l’agente aveva portato il cellulare all’orecchio, intavolando una conversazione telefonica con una persona inesistente. Sperò che la sua finta funzionasse bene. Restare fermo immobile ad aspettare il ritorno di Kate sarebbe stato come aver scritto in fronte “sbirro”. Così almeno i tipi avrebbero potuto anche pensare che si trattasse di un qualche mafioso. Tony aggrottò un sopracciglio a quell’eventualità. Anche se con le donne si era sempre vantato del suo cognome italiano, spesso e volentieri questo lo etichettava come mafioso. Era davvero insopportabile. Grazie a vecchi film e ad un pezzo di storia, per la gente comune lui doveva essere per forza qualcosa che non era. Anche se spesso nascosto, quel pregiudizio gli dava sempre dei problemi. Una brutta occhiata, un improvviso allontanamento della gente che lo circondava e il sospetto di alcuni colleghi. Almeno di quelli che non lo conoscevano. Una vera seccatura, insomma. A volte era dell’idea che quando si presentava alla gente, più che del suo distintivo avessero paura del suo nome. E pensare che neppure c’era mai stato, in Italia! Però, ripensandoci, non sarebbe stato male farci un viaggetto … Perso in quei pensieri distratti, continuava a sorridere al cellulare, finché un colpo di pistola non lo fece voltare di scatto: ma che diavolo stava combinando Kate? Ignorando del tutto la sua copertura, corse come una furia dentro al palazzo. I ragazzi di strada, mandando al diavolo ogni atteggiamento da duri, se la svignarono. Mentre saliva a rotta di collo su per le scale, l’agente si trovò a pregare che non fosse successo nulla alla sua collega. Non c’era attimo in cui lui e Kate non litigassero, ma mai, mai avrebbe tollerato che le accadesse qualcosa. Specie se lui non era nei dintorni. E solo per un capriccio. Come un flash, rivide il volto di Kate, così vicino che poteva sentirne il calore sul proprio. Non sapeva cosa gli era preso, mentre erano in macchina. Non poteva comportarsi così. Stava quasi per baciarla. Si era bloccato per puro caso. Accidenti, si trattava di Kate! Kate, la sua collega, la sua amica, e … E basta! Non doveva esserci nient’altro. Per due buoni motivi. Primo, perché Gibbs lo avrebbe ucciso, e il suo capo conosceva molto bene vari modi di uccidere e far soffrire la gente. E secondo, avrebbe perso la sua fama di playboy. Arrivò al quarto piano con il fiatone, ma non vi fece caso. L’ansia in quel momento era ben più forte della fatica fisica. Trovò la porta spalancata. Senza un attimo di esitazione, l’agente Dinozzo estrasse al pistola ed entrò nell’appartamento. Tutto appariva silenzioso. Tenendo l’arma tesa davanti a sé, Tony cominciò ad ispezionare la stanza più vicina. Nulla di sospetto. Solo uno spesso strato di polvere sui mobili, semplici ma spogli. Assente ogni traccia di affetti personali. Persino le cornici appoggiate qua e là, erano prive di foto. Per un attimo Tony ebbe l’impressione di essere in uno di quei film horror orientali. Tutto appariva così calmo, all’apparenza, da essere inquietante. Ma Kate dov’era finita? Un lieve fruscio. E i sensi dell’agente, già all’erta, divennero ipersensibili. I muscoli pronti a scattare, le mani incollate all’impugnatura della pistola. Lo stanno osservando. Lo sente. Quel formicolio sulla nuca. Quel brivido prodotto dall’adrenalina, non può sbagliarsi. E’ dietro di lui. Con uno scatto fulmineo si voltò, pronto a premere il grilletto. Per trovarsi davanti alla canna di un’altra pistola.

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Con una sterzata degna da rally, l’automobile guidata da Gibbs si fermò davanti all’abitazione di Amanda Rudolph. Appena sceso dall’auto, le gambe di McGee tremano paurosamente, ma la gioia di essere ancora vivo dopo una corsa del genere glielo fa quasi scordare. Vorrebbe fermarsi a baciare la terra come un naufrago, ma Gibbs lo porta subito su un piano più serio.
-A che piano, McGee?!- l’agente stava già togliendo la sicura della pistola, incurante delle occhiate dei ragazzi ancora per strada.
-Quarto piano, numero otto.- Biascicò Tim, prendendo a sua volta la pistola. Il suo stomaco non era ancora realmente sceso dall’auto. E il suo volto aveva ancora un malsano colorito verdognolo, che stava sfumando in un giallino- rosato. Incurante dello stato di salute del suo agente, Gibbs si avviò di corsa dentro all’edificio. In mente un unico pensiero. Arrivare in tempo per salvare i suoi uomini.

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-Kate! Mi hai fatto prendere un colpo!- Tony rinfoderò la pistola con un sospiro di sollievo.
-Avevi detto che saresti rimasto giù. Come potevo pensare che mi apparissi così, all’improvviso?- La voce della donna era leggermente alterata, mentre cercava di far tornare il battito cardiaco a ritmi regolari. La pistola ancora stretta in pugno, anche se puntata sul pavimento.
-Bhe, forse potevi, dato che hai sparato. Non potevi dare semplicemente un calcio alla porta, o una spallata, per entrare?-
-Non ci tengo a fare le tue solite figure facendomi male ad un piede o alla spalla, grazie.- Ribatté Kate, piccata. Forse era stata un po’ troppo avventata. Ma al diavolo, era così nervosa che non avrebbe proprio saputo cos’altro fare. Si passò una mano tra i capelli setosi, lanciando un’altra occhiata in giro. Dopo l’arrivo di Tony quel posto le sembrava meno tetro. Certo, le era venuto un mezzo infarto, quando, in mezzo al silenzio di tomba di pochi istanti prima, aveva sentito quel lieve rumore di passi. Col cuore in gola, si era diretta alla fonte del rumore, pronta a sparare. Strisciando contro le pareti, si era assicurata di arrivare alle spalle dello sconosciuto. E poi era schizzata fuori, con la pistola tesa davanti a sé. Nello stesso istante di Tony. Un sollievo generale li aveva sciolti, non appena si erano resi conto di chi avevano davanti.
-Bel posticino, eh?- Tony parve leggere nei pensieri della collega, che per una volta non ne fu seccata.
-Già. Come una tomba.- Annuì, disgustata, mentre si toglieva una ragnatela da davanti al volto. Sembrava che in quel posto gli unici felici fossero i ragni e la polvere.
-Sembra il set di un film …- Continuò l’agente, mentre il suo eterno sorrisetto riprendeva possesso delle sue labbra.
-Tony, prova a parlare di nuovo dei tuoi stramaledetti film e mi pentirò per tutta la vita di non averti sparato, prima!- Ringhiò minacciosa Kate, scatenando la risata da presa in giro del collega, intento ad esplorare quella che doveva essere la cucina.
-Eddai, Kate, non essere così nervosa … Poi ti sale la pressione!-
-Io non ho problemi di pressione!- Ribatté la donna, mentre lo seguiva nella stanza.
-A sì? E allora perché quando abbiamo litigato in macchina, sei arrossita così?-
-Io … Cosa?!- Kate sentì il desiderio di sprofondare. Aveva sperato che Tony non lo avesse notato … Al diavolo! E adesso come se la cavava? Per quanto avrebbe dovuto sopportare le battutine insinuanti del collega? Con orrore si accorse di star nuovamente arrossendo. -Ti sbagli. Ti sbagli proprio di grosso!- Tony si voltò stupito a fissarla.
-Hey! Stavo solo scherzando! Perché urli?- Aveva urlato? Non se ne era neppure accorta. Oh, cavoli! Se non si accorgeva neppure di quando urlava o parlava normalmente la cosa era davvero preoccupante! Con un gesto di stizza, Kate si allontanò dal collega, fingendo di interessarsi ad alcuni soprammobili polverosi. Tony la seguì con lo sguardo, poi scosse la testa: nulla glielo poteva togliere dalla testa. Dovevano esserle arrivate le sue cose. Mettendo da parte le sue congetture, cominciò ad esaminare la stanza. Come il resto dell’appartamento, era privo di ogni particolare o soprammobile riconducile a chicchessia. Kate, a pochi passi da lui, sbuffò delusa. Non un tocco di personalità o ricordi. Le cucine in mostra nei negozi di mobili erano meno impersonali.
-Lo sai, Tony? Mi ricorda casa tua …- Esclamò Kate, velenosa, mentre passava un dito su un piano completamente ricoperto di uno strato uniforme di polvere.
-Davvero divertente, Kate.- Ringhiò colpito nel vivo l’agente, mentre si accingeva a passare accanto al tavolo. Allora Kate lo vide. Uno scintillio, quasi insignificante, ma che fece scattare il sesto senso della donna.
-FERMO!!!- Senza neppure sapere il perché del grido della collega, Tony si bloccò di colpo. Aveva percepito nella sua voce il terrore, e sapeva che non era mai ingiustificato, in Kate. -Ti prego, non ti muovere, Dinozzo.- L’uomo annuì, e quasi smise di respirare. Lentamente, evitando movimenti bruschi, la mora si avvicinò al collega. Tony cercò di chiedere cosa stava succedendo.
-Kate? Si può sapere cosa …-
-Stai fermo!- Lo interruppe brusca Kate, ormai vicinissima a Tony.
-Ho capito! Ma dimmi perché!- La ragazza si abbassò, e per tutta risposta gli indicò una piega ad altezza caviglie sui suoi pantaloni. Troppo nitida, troppo orizzontale per essere naturale. Un luccichio argenteo fece comprendere tutto a Tony. L’uomo deglutì, e seguì con lo sguardo il filo trasparente che stava tenendo teso con la gamba. Kate fece lo stesso, e vide che andava a finire sotto al tavolo. Con il sangue che pulsava in testa, si accucciò per vedere dove era legato. Forse era stata avventata. Forse non era quello che sembrava … Forse era solo uno spago abbandonato lì che era finito legato alla gamba di un tavolo … O forse …
-Merda!- L’esclamazione della donna fece rabbrividire Tony. Non prevedeva nulla di buono … E infatti, quando Kate si rialzò, vide che il suo volto era teso e pallido. Un’ipotesi aveva cominciato a farsi  largo nella testa di Tony, e non gli piaceva per niente. Potevano esserci solo due motivi per cui Kate potesse avere quella faccia. La prima era che vi fosse un cadavere sotto il tavolo. Ma allora lei non gli avrebbe ordinato di restare fermo. Eppoi il tavolo era piuttosto piccolo, e si sarebbero accorti subito di un possibile cadavere. E la seconda … bhe, non voleva neppure immaginarla … Ma l’espressione di Kate gli faceva pensare al peggio …

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Gibbs e McGee trovarono subito la porta spalancata. Facendo entrare prima la canna della pistola, gli agenti entrarono. Era palese che non vi fosse nessuno.
-DINOZZO! TODD! SIETE LI’?- Il richiamo di Gibbs echeggiò per l’appartamento. Quasi subito la voce di Kate arrivò in risposta.
-SIAMO IN CUCINA!- Jethro scambiò un’occhiata d’intesa con McGee. Un cenno d’assenso, e le pistole tornarono docili nelle fondine. Ma la preoccupazione era ben lungi dall’essere svanita: la voce di Kate ne esprimeva troppa. Pochi istanti dopo, i due agenti erano nella stanza in cui si trovavano Tony e Kate. Questa era pallida e sembrava sull’orlo di una crisi: solo l’addestramento sull’autocontrollo che il lavoro le aveva imposto la stava trattenendo. E Tony … Bhe, Tony sembrava una sorta di mimo. Immobile nell’atto di fare un passo, il corpo irrigidito per la posizione obbligata dei muscoli.
-Tony … Ma che stai facendo?- Domandò McGee fissando il collega, che lo fissò a sua volta, feroce.
-La bella statuina, Pivello!- Ringhiò Tony facendo guizzare gli occhi, unica parte del corpo che osava muovere, da McGee al suo capo, che si era avvicinato a Kate.
-Cosa è successo?- la donna indicò il tavolo. Gibbs comprese subito. Si abbassò per vederci sotto. Seguendo il filo teso dalla gamba di Tony, stava, attaccato con dello scotch al mobile, quello che sembrava un potenziale ordigno. E accanto a questo ve ne stava un altro, con un timer. E se non sbagliava a leggere, non avevano molto tempo prima che esplodesse. Dieci minuti al massimo. Le cifre dei secondi scorrevano implacabili. L’ex marine bestemmiò. Dovevano uscire di lì, e al più presto. Ma se Tony si fosse spostato, probabilmente la bomba legata al filo trasparente sarebbe esplosa. E lui avrebbe potuto dire addio al suo agente.
-Tony, tu resta fermo lì.-
-E chi si muove?- Ribatté ironico Tony, mentre un velo di sudore cominciava ad imperlargli la fronte. Gibbs intanto era spuntato da sotto al tavolo, e aveva tirato il suo cellulare a McGee, che lo prese al volo.
-Chiama Abby, e dille che mi serve un corso accelerato sul disinnesco delle bombe.-
-Bombe?! Ma non sono cose che si possono imparare così, su due piedi …- Il giovane agente cercò di ribattere, ma il suo capo lo interruppe adirato.
-Non mi interessa! Chiama Abby, o tra dieci minuti saltiamo in aria tutti quanti!- McGee impallidì, e si affrettò a comporre il numero. Un paio di squilli, e la voce frizzante della dark era in linea.
-Ehilà, Jethro! Come mai mi chiami? Guarda che tutto quello che avevo trovato te l’ho già dato …-
-Abby, sono io, McGee …- Un momento di pausa. Poi Abby domandò:
-McGee? Ma che ci fai col telefono di Gibbs?- Spazientito, l’ex marine riprese possesso del suo cellulare.
-Abby …- Subito Gibbs venne interrotto dalla ragazza, mentre un terrificante frastuono di musica metal faceva da sottofondo. Il genere che faceva venire mal di testa all’agente.
-Oh! Ciao, grande capo! Cosa mi dici di carino?-
-Abby, non c’è tempo. Devi dirmi come disinnescare due bombe, oppure qui esplodiamo tutti!- McGee lanciò un’occhiata disperata a Kate. Non aveva ancora capito cosa stava succedendo, e sentirlo dire così dal suo capo era stato una vera mazzata. Gibbs spiegò la situazione a Abby brevemente, descrivendo però gli ordigni in ogni particolare.
-Allora. Gibbs stammi a sentire.- La voce di Abby era seria e decisamente preoccupata. La musica era stata spenta, e nonostante il momento poco adatto, Gibbs la ringraziò mentalmente.
-Ogni sillaba.- Confermò l’ex marine. Un sospiro metallico arrivò dall’altra parte del telefono. Abby si stava preparando.
-Togli il coperchio. A tutte e due le bombe.- Gibbs fece per prendere il suo coltello, ma Kate gliene aveva già passato uno. L’agente la guardò un momento. Era ancora pallida, ma ogni traccia di crisi era passata. Una nuova determinazione le illuminava il volto. Ma gli occhi tradivano la preoccupazione, mentre passavano rapidamente dal suo capo a Tony. Con un cenno di ringraziamento, Gibbs si affrettò a togliere il coperchio agli ordigni, lasciando scoperti una serie di fili colorati collegati, apparentemente, alla rinfusa tra loro. Si portò all’orecchio il cellulare.
-Ci sono, Abby.-
-Benissimo. Allora dimmi. Che cosa vedi?- Adesso era il turno di Gibbs di sospirare. Sul timer i numeri continuavano a scorrere. Avevano meno di otto minuti. Dallo schermetto luminoso si irradiavano, come i tentacoli di una piovra, almeno sei fili gialli, rossi, blu e verdi. Alcuni collegati all’ordigno attaccato a Tony. Riferì tutto alla dark. -E’ un problema.-
-Abby, tutta questa faccenda è un problema! Dimmi come faccio ad uscirne!- Ribatté Gibbs irato. Avevano solo sei minuti.
-Lo so benissimo Jethro!- L’isterismo aveva cominciato a prendere piede nella voce di Abby. Con un’orrenda sensazione, Gibbs notò che lei lo aveva chiamato per nome. Quando erano in situazioni come quella, gli agenti, come in un tacito accordo, non si chiamavano mai col nome di battesimo. Solo per cognome o soprannomi, abbreviativi al massimo. Era una sorta di scaramanzia, comune soprattutto tra la polizia scientifica. E se Abby l’aveva violata, la situazione doveva essere davvero grave. -Il problema è che i due ordigni devono essere collegati! Se disinneschi uno, l’altro esplode! Indipendentemente da quello che metti fuori uso per primo.- Gibbs rimase in silenzio. Adesso capiva.
-E come faccio a disinnescarle tutte e due?- Urlò l’agente, mentre i numeri rossi del timer sembravano sbeffeggiarlo. Erano appena scattati i cinque minuti.
-Non puoi.- La voce di Abby era lontana, vuota. Probabilmente i suoi occhi erano colmi di lacrime. Gibbs avrebbe voluto prendere a testate il tavolo. Si sentiva del tutto impotente. E lui detestava sentirsi così.
-Capo …- Tony interruppe la conversazione telefonica, ma stranamente l’agente Gibbs non si arrabbiò. Non era il momento adatto.
-Cosa vuoi, Dinozzo?-
-Faccia andare via Kate e McGee.-
-MA CHE STAI DICENDO!?- l’obiezione della donna non venne neppure ascoltata.
-E’ stupido esplodere tutti quanti!- Gli occhi di ghiaccio di Gibbs si misurarono per qualche istante con quelli verdi di Tony. Aveva ragione. Terribilmente ragione. L’ex marine lo sapeva benissimo. Ma che diavolo stava facendo? La vita dei suoi uomini era sotto la sua responsabilità, e doveva fare di tutto per impedire che accadesse loro qualcosa. Dopotutto la stessa cosa valeva anche per loro. Come si diceva … Uno per tutti, tutti per uno, per essere filosofici. Un lieve sorriso si disegnò sulle labbra dell’uomo.
-Non esploderà nessuno, Dinozzo.- Con uno scatto si rialzò in piedi. -Non gli darò questa soddisfazione.- Febbrilmente, cominciò a guardarsi intorno, finché non trovò quello che cercava. Un tagliere di legno appeso in bella mostra. Lo staccò dal muro e vi piantò il coltello. Lentamente, per non rischiare di dare scossoni allo spago, avvicinò il tagliere alla gamba di Tony. -Quando te lo dico io, spostati.-Tony fece un cenno d’assenso col capo. -Pronto?- un sospiro. -ADESSO!- Con uno scatto, Gibbs sostituì il tagliere alla gamba dell’agente. Il coltello fece restare tesa la corda. Un sospiro di sollievo allargò i polmoni di Tony.
-Capo, non sai quanto ti adoro!-
-Aspetta ad adorarmi.- Ringhiò l’agente. -Ci restano meno di quattro minuti!- Con scatti da far invidia ai migliori centometristi, i quattro agenti si gettarono giù dalle scale. Il timer ormai aveva scandito l’ultimo minuto quando uscirono dal portone. Fecero appena in tempo a raggiungere le auto, quando le finestre del quarto piano, appartamento numero otto, vomitarono fuoco.

-Fine capitolo 4-

L’idea della scaramanzia per cui i poliziotti non si fanno chiamare per nome dai colleghi, l’ho presa dai libri di Jeffrey Daver. Più precisamente dall'avventura di Lincoln Rhyme “La dodicesima carta”, della serie de "il collezionista di ossa, per intenderci. Raga, io ADORO Jeffrey Daver.

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Capitolo 5
*** La scatola. ***


explosion5 EXPLOSION
-Capitolo 5-
La scatola.

L’uomo qualunque guarda al suo fianco. Lei non ha ancora detto nulla. Dal furgone scassato e anonimo a poco distanza dal palazzo, hanno visto la colonna di fuoco e fumo uscire dalle finestre del quarto piano. Ma hanno anche visto i poliziotti uscire a tutta velocità prima dell’esplosione. La delusione di Lei è palpabile. L’uomo qualunque non sa cosa fare. Lui non vuole deluderla. Mai. Ma questa volta lo ha fatto. Eppure era andato tutto come previsto. La bomba era perfetta. L’aveva controllata anche lei. E allora come avevano fatto i poliziotti a scappare?
-Andiamo via.- Le parole fredde della donna sorprendono l’uomo. Ma questi obbedisce, senza pensarci due volte. Lei non l’aveva mai deluso. Lui invece sì. Il motore del furgoncino tossisce spasmodicamente, prima di mettersi in moto. Lentamente, coperto dalla confusione creatasi per l’esplosione, si allontana. La donna indica una strada poco frequentata. L’uomo la imbocca, senza neppure chiedersi dove possa condurre. Il furgoncino avanza, silenzioso. L’uomo alla fine si arrischia a guardare nella direzione della donna. Con sorpresa, sul suo volto è apparso un sorriso. L’uomo è sollevato. Poi la donna parla di nuovo. La sua voce è sempre fredda, ma è come percorsa da un filo d’impazienza. -Ho ancora bisogno del tuo aiuto …- l’uomo qualunque sorride. Il quarto atto sta per cominciare.

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Una colonna di fumo si irradiava minacciosa dalla finestra del quarto piano. Furioso, Gibbs tirò un calcio ad una lattina. Altre prove, era il caso di dirlo, andate in fumo. A pochi passi da lui, Kate, Tony e McGee lo fissavano, delusi quanto lui. McGee fece per fare una domanda a Tony, ma con sorpresa lo trovò ancora seduto con Kate contro la fiancata della macchina. Nella foga dell‘esplosione, Tony aveva stretto con un braccio la donna alla vita, tirandola contro di sé per proteggerla. E Kate si era rannicchiata contro di lui, spaventata. Un comportamento più che lecito, visto il momento di pericolo. Solo che il pericolo era passato già da qualche minuto buono, e i due non si erano mossi di un millimetro, se non per fissare Gibbs. Tony continuava a tenere il braccio attorno alla vita di Kate, e Kate continuava a restarsene rannicchiata contro il petto di Tony. Con un sorriso maligno, McGee prese la palla al balzo. Quando mai gli sarebbe ricapitata un’occasione del genere? Tirò fuori di tasca il cellulare, e attivò l’opzione videocamera. Il sorriso gli si allargò ulteriormente mentre pensava alla reazione di Abby, non appena gli avesse mostrato quel piccolo capolavoro. Aveva già fatto qualcosa come quindici secondi di filmato, quando i due agenti si resero conto di essere sotto l’obbiettivo. Rapidi scattarono in piedi, praticamente a tempo. Kate con un’abbronzatura fuori programma su tutto il volto, specie sulle guance. Tony a dir poco inferocito. Gli occhi verdi scintillanti e un espressione pericolosamente simile a Gibbs.
-MCGEE!!!POSA QUEL CELLULARE O SEI UN UOMO MORTO!!!- Ignorando volutamente la sorte dell’agente speciale McGee, Gibbs prese il cellulare, ancora in linea con il laboratorio, e aggiornò una preoccupatissima Abby delle sorti del team.
-Non ti preoccupare, sono tutti sani e salvi.-
-Ma cosa sono quelle urla di sottofondo?- Gibbs diede un’occhiata distratta a Tony e Kate, che si era unita al collega. Avevano chiuso McGee contro una macchina, togliendogli ogni via di fuga.
-Nulla. Ma avverti Ducky che forse dovrà fare l’autopsia a McGee …-
-Perché?- la voce della dark arrivò perplessa alle orecchie dell’ex marine.
-Combinazione Kate/Tony.-
-Come? Arrabbiati?- L’ex marine lanciò un’occhiata al terzetto. I bagliori incendiari che lanciavano gli occhi di Kate e Tony non lasciavano adito a dubbi.
-Arrabbiati.- Confermò rassegnato.
-Ah … Capisco … Povero Tim!- Concluse Abby. Gibbs si godette lo spettacolo ancora per qualche minuto, prima di bloccare i due agenti inferociti.

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-Ahia!-
-Oh, insomma, McGee! Se non stai buono, giuro che sarà l’ultima volta che curo le tue ferite di guerra!-
-Abby, mettermi del ghiaccio dove Tony e Kate mi hanno preso selvaggiamente a scappellotti, non è curare ferite di guerra!- Borbottò l’agente contrito. Con un sorriso, la dark gli appoggiò il sacchetto del ghiaccio sulla nuca. Il sospiro di piacere di Tim si espanse per tutto il laboratorio. Dopo essere stato salvato da Gibbs, ed aver fatto ritorno in centrale, Tim si era diretto al laboratorio di Abby. Kate e Tony, nel frattempo, cercavano di raccattare qualche informazione utile sul conto di Amanda Rudolph e il vecchio caso. Gibbs invece era stato chiamato dal capo dell’NCIS.
-Almeno il tuo sacrificio è servito a qualcosa?- Domandò dopo un po’ Abby, mentre il collo del ragazzo perdeva un po’ del colore rosso-violaceo con cui si era presentato al laboratorio. Con un sorriso vittorioso, McGee tirò fuori il cellulare e lo porse alla ragazza.
-Dimmelo tu …- Abby afferrò l’apparecchio con impazienza, e dopo pochi istanti aveva fatto partire il video. Un sorriso enorme le si disegnò sulle labbra nere.
-Questo è materiale da prima pagina! McGee, sei decisamente sprecato all’NCIS. Dovevi fare il fotoreporter …- Con un brontolio, l’agente declinò l’offerta.
-Troppo pericoloso. Meglio il mio tranquillo lavoro fatto di sparatorie e ordigni ad altissimo potenziale esplosivo, grazie.- Con una risata, Abby gli gettò le braccia al collo, stampandogli un bacio sulla guancia. Proprio allora il telefono cominciò a squillare. Con un tocco leggermente seccato della mano, Abby premette il pulsante del viva voce. Subito la voce di Gibbs sembrò invadere la stanza.
-Abby. Dì a McGee di venire su. Ora.- Il giovane agente lanciò un’occhiata interrogativa alla dark.
-Come fa a sapere che sono qui?- La voce rabbiosa di Gibbs uscì dall’apparecchio.
-Lo so e basta, McGee. E adesso MUOVITI!-

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Quando McGee entrò nell’ufficio, per un momento non si domandò se per caso aveva sbagliato piano. L’atmosfera sembrava davvero lugubre. Troppo per quel posto, solitamente pieno delle battute e dei battibecchi tra Kate e Tony, e dei richiami spazientiti di Gibbs. Ma adesso se ne stavano tutti alla loro scrivania. Gibbs parlava al telefono, e Tony era in piedi, a braccia incrociate davanti al suo posto. Questi due in particolare, avevano la faccia scura. Un senso di tensione era palpabile nell’aria. Kate faceva scorrere lo sguardo preoccupato dall’uno all’altro, indecisa sul da farsi. Confuso da quella strana atmosfera, McGee si sedette al suo posto, lanciando un’occhiata interrogativa a Kate. La donna scosse il capo. Anche lei non capiva cosa stava accadendo. L’unica cosa di cui era certa era che mai aveva assistito ad una cosa simile tra Tony e Gibbs. Tim guardò nella loro direzione, inquieto. La tensione era quasi al culmine. Quando con uno schiocco Gibbs posò la cornetta del telefono, un brivido d’apprensione scese lungo la schiena di Kate e McGee. Lo avevano capito. Loro erano fuori. Quella faccenda era solo di Gibbs e Tony.  Sembrò che invece di pochi secondi, passassero ore, prima che Jhetro si decidesse a parlare.
-Allora, Dinozzo. Cos’hai da dirmi?- Un lieve tremolio nella sua voce tradiva la rabbia a stento repressa. Tony rispose con tono provocatorio.
-Su cosa?-
-NON FARE L’IDIOTA!!!- Scattò Gibbs, facendo cadere la sedia nell‘atto di alzarsi. -Perché non hai detto nulla su Amanda Rudolph?-
-Non mi sembrava importante.- La voce di Tony era come priva di emozioni.
-Come sarebbe a dire “non mi sembrava importante”? Ma ti rendi conto di cosa hai rischiato? Di cosa hai fatto rischiare a tutti noi?- Gibbs si era avvicinato all’agente, piazzandocisi di fronte, faccia a faccia, le parole come un sibilo velenoso. Tony rimase in silenzio, mentre Jhetro continuava. -Hai messo in pericolo la vita di Kate.- Il volto di Tony cambiò, diventato una maschera dura. I lineamenti del volto come incisi sulla pietra. Rimase immobile ancora per qualche istante. Gli occhi verdi a reggere lo sguardo di ghiaccio del suo superiore. Kate lanciò un’occhiata preoccupata a McGee. Non era riuscita a sentire le ultime parole di Gibbs. Ma Tim scosse la testa. Neppure lui aveva capito. Gibbs aveva parlato a voce troppo bassa. Per alcuni interminabili istanti, l’agente speciale Dinozzo e il suo superiore, l’agente speciale Gibbs, rimasero a squadrarsi. Poi fece la sua comparsa Ducky.
-Buongiorno a tutti …- All’anziano medico bastò un’occhiata per capire quanto fosse inopportuno il suo saluto. -Oh oh … Sembra proprio che sia capitato male …- Gibbs e Tony sembrarono non udirlo. Cercando di restare invisibile agli occhi dei due contendenti, Ducky si avvicinò a Kate. Questa lo fissò supplicante, come se lui avesse avuto il potere di far smettere quella sorta di battaglia tra i due agenti. Il medico si limitò a fare un lieve pressione con la mano sulla spalla della ragazza. Non potevano fare altro che attendere. Nel frattempo Tony rispose a Gibbs, a voce bassa quanto quella usata da quest’ultimo.
-Cosa vorresti dire?-
-Sei tu l’agente più anziano. La vita di ogni altro membro dell’NCIS che si trova con te fuori dal dipartimento, è sotto la tua responsabilità. Specialmente se io non ci sono!- La voce di Gibbs era tornata a livelli normali. E tutti i presenti avevano capito. Con uno scatto della testa, Tony interruppe il contatto visivo con il suo capo. Senza voltarsi indietro neppure una volta, si diresse all’uscita dell’ufficio. Gibbs rimase fermo dov’era. Un’ondata di sconcerto avvolse il terzetto in attesa. Non appena l’agente Dinozzo varcò la soglia dell’ufficio, Gibbs impartì l’ordine.
-Kate, vai con lui.- Senza neppure chiederne il motivo, la donna si sbrigò a seguire il collega.

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Kate trovò Tony appoggiato all’entrata dell’NCIS, le mani in tasca e lo sguardo vagante sul parcheggio. Sul suo volto era ancora presente, seppur in minima parte, la rabbia a stento trattenuta pochi minuti prima. Timidamente, la donna si avvicinò. Ma poi scosse la testa: era Tony! Al diavolo ogni remora!
-Che ci fai qui?- Il tono di voce che voleva essere velenoso e pungente aveva un che di dolce. Senza muoversi di un centimetro dalla sua posizione, Tony rispose tranquillo.
-Fumo una sigaretta …-
-Tony, tu non fumi …- Lo rimbeccò Kate, appoggiandosi alla parete, al fianco del collega.
-Dovrei iniziare …- Un lieve sorriso apparve sul volto della donna, contagiando anche Tony. Rimasero qualche lungo istante in silenzio, a godere della lieve brezza e dei tiepidi raggi di sole del pomeriggio. Fu Kate la prima a parlare.
-Perché te ne sei andato così?- Stiracchiandosi pigramente, l’uomo si pose le mani dietro la testa. Prima di rispondere, fece vagare lo sguardo sul circondario, quasi a potervi trovare le parole da dire.
-Non lo so. Forse perché non ce la facevo.- Inutile chiedere a cosa si riferisse. Kate lo immaginava troppo bene. Per quanto Tony fosse un irrispettoso, infantile e orgoglioso, non avrebbe mai mancato di rispetto a Gibbs. Ma era anche vero che non avrebbe permesso a nessun altro di trattarlo come aveva fatto il suo capo, solo pochi minuti prima. E per evitare che il suo orgoglio gli facesse dire cose che non avrebbe mai né voluto né potuto dire, se l’era svignata. Rimasero fermi lì ancora per qualche minuto, vicini. La presenza dell’uno e dell’altro era confortante. Quasi senza accorgersene, i due diminuirono la distanza che li separava, finché le braccia non si sfiorarono. I loro corpi vennero come travolti da una scarica elettrica. Rapidi, si affrettarono a rimettere distanza tra loro, sperando entrambi che l’altro non si fosse reso conto dell’accaduto. Il silenzio da calmo divenne teso. Con sorpresa di Kate, fu Tony a romperlo per primo, incamminandosi verso il parcheggio.
-Andiamo.-
-Ma  … Dove?!- Esclamò la donna seguendolo.
-A fare un salto all’appartamento di Amanda Rudolph. Voglio vedere se è rimasto qualcosa.- Kate sospirò. Era praticamente impossibile che fosse rimasto anche una sola briciola, ma d’altronde era l’unica cosa sensata da fare. Con un rombo, il motore dell’auto partì.

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McGee rimase al suo posto, facendo scorrere gli occhi da Jhetro a Ducky. Il medico legale, infatti, aveva puntato lo sguardo sull’ex marine, che non sembrava intenzionato a spostarsi dalla sua postazione. Da quando Tony e Kate se ne erano andati, non si era ancora mosso. Alla fine, con un sospiro carico di stanchezza, Gibbs si risedette al suo posto, lo sguardo perso sullo schermo del computer. Facendo finta di nulla, Ducky fece un cenno a McGee.
-Ah, stavo per dimenticarmi … Tim, Abby stava cercando di entrare nel database dei vecchi casi, e ha qualche problema nel sistema della polizia, e vorrebbe che tu gli dessi un’occhiata …-
-Ma Abby sa cavarsela benissim …- Un’occhiata eloquente del medico legale lo fece svegliare. -Ehm, volevo dire … Sì, certo, vado subito!- Il giovane agente, finalmente, prese la palla al balzo. Non aveva capito nulla di quanto era appena successo, ma non intendeva restare troppo a lungo nella stessa stanza con Gibbs. Almeno finché questi non si fosse calmato. Ducky attese che le porte dell’ascensore si chiudessero davanti al volto di McGee. Poi si rivolse a Gibbs, sempre intento a fissare lo schermo al plasma.
-Allora … Non ti sembra di aver esagerato?- Finalmente l’ex marine si degnò di voltarsi verso il medico legale.
-No.-
-Ma che ti è preso? Non ricordo di averti mai visto trattare così il nostro Tony. Non dico che non avesse bisogno di una bella tirata d‘orecchi, ma …- Sospirò Ducky prendendo posto vicino all’amico.
-Ha messo in pericolo la vita di Kate.- Lo interruppe Jhetro. -Ed ha rischiato di saltare in aria anche lui.- Un momento di silenzio.
-Il capo ti ha messo di nuovo sotto pressione, vero?- Colpito. Ducky aveva centrato il problema. Incredibile il modo in cui riusciva a leggergli quello che gli passava per la testa … Con un sospiro rassegnato, Gibbs si stiracchiò sulla poltrona.
-Già.- Gli occhi azzurri dell’agente vagarono per l’ufficio. Un’insolita, laboriosa calma regnava sul piano. Ad un tratto si rese conto di quanto la presenza casinista della sua squadra rendesse più vivo quel luogo. All’improvviso, gli sembrava di essere in un ufficio di una qualsiasi agenzia, invece che al quartiere operativo dell’NCIS.
-E’sempre per quella questione?- Gibbs annuì, greve.
-Esatto. Il capo vuole che io nomini un agente che possa sostituirmi in caso di una mia assenza o impossibilità di gestire la squadra.-
-Piuttosto iettatoria, la cosa.-
-Non dirlo a me …- Un lieve sorriso fece finalmente capolino sulle labbra dell’ex marine. -Il fatto è che il grande capo non è per nulla contento della mia scelta.-
-Devo forse intuire che hai deciso per qualcuno di infantile, poco professionale, che non può resistere alla vista di una bella donna e geneticamente predisposto a cacciarsi nei guai?- Il sorriso di Gibbs si allargò del tutto, esplodendo in una risata.
-Se vuoi metterla così …-

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L’uomo qualunque si guarda attorno, incuriosito. Sono anni che non mette più piede in una scuola elementare. I bambini, a piccoli gruppi o da soli, sciamano fuori dall’edificio. Il coro sconnesso di voci e risate riempiono l’aria. Decine di genitori attendono impazienti l’arrivo dei loro figli, sbracciandosi in affettuosi gesti di saluti non appena li riconoscono. L’uomo si fonde tra la folla, come sempre. Con un cappello in testa e il capotto marrone, non sembra diverso da un qualsiasi impiegato. Forse la sua espressione è un po’ più triste, ma nessuno sembra farvi caso. Pazientemente, l’uomo qualunque attende che tutti se ne siano andati. Poi entra nell’edificio, ormai praticamente vuoto. Sale una rampa di scale, poi una seconda. I suoi passi rimbombano sul marmo consunto. Imbocca un corridoio, lungo e poco illuminato, su cui si aprono varie aule. Senza indugi, le sorpassa tutte, finché non arriva all’ultima. Rimane fermo sulla soglia per qualche minuto. Poi prende il coraggio a due mani ed entra. L’aula grigia è vuota. I banchi sono disposti quasi alla rinfusa, spostati dai bambini nella fretta di uscire. Solo una bambina stava ancora al suo posto, quasi come se il mondo si fosse scordato di lei. Davanti agli occhi scuri teneva un libro. Non poteva avere più di otto anni. I riccioli neri raccolti da un nastro azzurro. L’uomo qualunque rimane a contemplarla per alcuni lunghi istanti. La piccola si accorge della sua presenza solo quando ripone il suo libro nello zaino. Il volto bruno, dapprima spaventato, si distende in un sorriso enorme.
-Papà!-
-Ciao, Cassidy.-

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Come immaginava. Non era rimasto praticamente nulla. Ogni minimo indizio che non era stato cancellato dall’esplosione, era stato lavato via dalla schiuma dei pompieri. Disgustata dall’odore di plastica bruciata, Kate raggiunse Tony, intento ad osservare quelli che sembravano i resti di una sedia.
-E’ inutile. Non è rimasto nulla.- L’agente Dinozzo sospirò amareggiato.
-Hai ragione. I pompieri hanno fatto un lavoro stupendo. Purtroppo.-
-Bhe, non potevano mica lasciare che il palazzo andasse a fuoco, no?- Cercò di consolarlo la giovane donna, spostandosi in un’altra stanza. Tony rimase ad osservare la sua figura finché non varcò la soglia dell’ambiente. Poi la raggiunse.
-Visto il quartiere, avrebbero dovuto appiccare il fuoco anche alle altre case! Quel ragazzino al piano di sotto ha cercato di sfilarmi il portafoglio!- Kate rise.
-Poverino! Doveva essere proprio disperato per venire a rubare a te …-
-Ah ah ah … Davvero divertente.- Ribatté sarcastico l’uomo, che però si bloccò di colpo, non appena si rese conto di essere entrato in quella che solo poche ore prima era la cucina. Del mobilio non erano rimasti che schegge e rottami anneriti. Un brivido ghiacciato scese lungo la schiena dell’agente. A quell’ora poteva essere ridotto a frammenti non troppo diversi da quelli del tavolo. Kate indovinò i pensieri del collega. Anche lei aveva avuto una orrenda sensazione. In quella stanza avevano rischiato di esplodere come petardi non solo Tony, ma anche lei, Gibbs e McGee. Lo sguardo di Tony era diventato duro come la pietra. Poi avanzò, fino ad arrivare allo stesso punto dove Kate lo aveva fermato. Si guardò attorno, irritato. Kate lo osservò per qualche istante, confusa. Poi scosse la testa.
-Andiamo, Tony. Ormai qua non c’è più niente …-
-No, non è vero.- Tony scosse la testa, testardo. -Qua c’è ancora qualcosa …- Kate scosse il capo, esasperata.
-Ma che cosa vuoi trovare, qua! Guardati intorno! E’ tutto a soqquadro, bruciato e schiumato! E anche prima, non c’era altro che polvere e ragnatele!- Ma Tony era irremovibile.
-No. Sono sicuro di aver sentito o visto qualcosa, prima che tu mi fermassi.-
-E a motivo, mi pare!- Ringhiò Todd, irritata dal comportamento del collega. -Anzi, ora che mi ci fai pensare, non mi ricordo di aver sentito un “grazie per avermi salvato la vita, Kate”!-
-Sì, sì, grazie mille, non so cosa avrei fatto senza di te-> Rispose sbrigativamente Tony, avanzando tra le macerie.
-Dinozzo, non mi stai ascoltando!- Sibilò Kate indispettita.
-Ma sì che ti sto ascoltando.- Inutile dire che il tono di Tony era privo del minimo interesse o partecipazione per la conversazione. Kate cominciò a lanciare maledizioni a denti stretti, mentre il suo patner continuava la sua ricerca. Dopo aver esaminato con perizia degna di Abby pareti e soffitto, Tony passò al pavimento. C’era un particolare, quasi insignificante, ma che continuava a premergli in testa. Era sicuro di aver visto, o sentito, qualcosa, anche se non sapeva cosa, che gli aveva catturato la mente. Aveva già individuato il punto esatto dell’esplosione. Degli ordigni non restavano altro che qualche filo bruciacchiato e una scatoletta metallica deformata quasi irriconoscibile. Il tutto contornato da schegge nere mischiate ai resti del tavolo.
-Kate, passami una busta.- La donna lo fissò con occhi di fuoco. -Per favore!?- Con un gesto rabbioso, Kate gli lanciò la busta di plastica. -Grazie, Kate.- Con l’ausilio di  un guanto di gomma, raccolse i frammenti. Poi il suo sguardo si posò su un pezzo di metallo ritorto. Con un sorriso lo mostrò a Kate. -Non ti ricorda qualcosa?-
-Il mio coltello!- L’espressione contrita della donna fece sbellicare l’agente.
-Dai, non fare quella faccia! Te ne comprerò un altro.-
-Tony, ti ricordo che ne ho già un altro …- Ringhiò minacciosa avanzando verso di lui, ma questi la bloccò, zittendola.
-Shhhh!-
-Oh, adesso che diavolo c’è, Tony?!- L’agente rimase fermo, in ascolto.
-Non hai sentito niente?- Kate lo fissò confusa.
-Che cosa?-
-Fai un passo indietro …- La donna obbedì sbuffando. Non appena la sua scarpa si appoggiò sul pavimento, si udì uno schiocco. Esultante, Tony fece spostare la collega, e trovò il particolare che lo aveva insospettito. Un rumore, particolare, fastidioso di una piastrella mal fissata al pavimento. Con un sorrisetto raggiante, tirò fuori il suo coltello e, una volta individuata la piastrella colpevole, la tirò su senza sforzo. Sotto, una scatola di metallo ricoperta dalla fuliggine dell’incendio, era praticamente intatta. Sorridendo vittorioso, si voltò verso Kate, che fissava la scatola a occhi sgranati.
-Allora?-
-Allora … Cosa?- Cercò di far finta di nulla la donna, mentre si chinava vicino al collega.
-Allora … Non mi dici “bravo Tony, avevi ragione a voler tornare qui”?- Indispettita, Kate si limitò ad alzare le spalle.
-Sì, sei un bravo bambino, Tony. Ma che ne dici di aprirla?- Senza smettere di sorridere, l’uomo si accinse a far saltare il debole lucchetto con l’ausilio del suo coltello. Con un tintinnio metallico, il lucchetto cadde sul pavimento. Prima di alzare il coperchio, i due agenti si lanciarono un’occhiata d’intesa. Con un sospiro, Tony aprì la scatola. Un lieve strato di polvere si sollevò, infastidendoli. All’interno non vi era altro che qualche decina di foto, un paio di bamboline di pezza e dei vecchi ritagli di giornale.
-Ed ecco i tesori di Amanda Rudolph …- Commentò Tony, iniziando ad esaminare gli articoli di giornale. Il cellulare di Kate suonò. Con un sospiro, la donna si alzò, spazzolandosi con le mani i pantaloni.
-Agente Todd, chi parla?- La voce seccata di Gibbs le fece fare un balzo.
-Uno a caso, Kate.- Ringhiò infastidito questi. Poi continuò. -Tu e Tony dovreste fare un sopralluogo a casa della Rudolph …-
-Ci siamo già, Gibbs.- Un istante di silenzio sorpreso. Dall’altro capo del telefono, l’ex marine probabilmente non se l’aspettava.
-Benissimo. Avete trovato nulla?-
-Dei frammenti di ordigno ed una specie di scatola dei ricordi … Tony la sta esaminando …- Gibbs interruppe la spiegazione dell’agente.
-Va bene, portate tutto ad Abby. Ci penserà lei. Cercate di tornare al più presto.-
-Ci sono novit …- Prima che Kate riuscisse a completare la frase, Gibbs aveva già chiuso la chiamata. Contrita, la donna abbassò il cellulare. Impossibile dire cosa diavolo stesse passando per la mente del suo capo. E soprattutto perché avesse telefonato a lei e non a Tony. C‘era qualcosa che non andava. Tony era il primo agente di Gibbs, e anche senza dirlo ufficialmente, si capiva da alcune piccole cose. Come appunto quella. Quando erano fuori sede, che fossero lei e Tony, o Tony e McGee, era sempre Tony quello che veniva contattato da Gibbs. Sospirò preoccupata, mentre Tony le indicava uno degli articoli di giornale, apparentemente senza accorgersi del suo stato d’animo. Era piuttosto vecchio, la carta, una volta candida e liscia, adesso era giallognola e segnata da aloni grigiastri. Ma l’inchiostro era rimasto leggibile e Kate non potè non vedere il titolo a lettere cubitali dell’articolo.
“TERZA ESPLOSIONE IN UNA SETTIMANA. APPARTAMENTO ESPLODE IN UN QUARTIERE MALFAMATO.”
Nella foto in bianco e nero era riconoscibilissima la stessa palazzina in cui si trovavano in quel momento.

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L’auto sfrecciava veloce sull’asfalto, mentre i due agenti si dirigevano al quartier generale. Un silenzio opprimente aleggiava tra i due, mentre la radio gridava qualche successo del momento. Era da quando erano usciti dall’appartamento numero otto al quarto piano, che Tony non aveva più detto una parola. E Kate non riusciva a trovare il coraggio per iniziare un discorso. Erano ormai a metà del percorso, quando prese la sua decisione.
-Fermati.-
-Cosa?- Tony pensò d’aver capito male.
-Ferma l’auto.- Ribadì Kate. La sua voce non ammetteva repliche.
-E perchè?-
-Tu fermati e basta.- Con un sospiro contrariato, l’agente fermò la macchina a bordo strada. Passò qualche istante di silenzio.
-Cosa c’è?-
-Cosa c’è me lo devi dire tu!- Ribatté la donna, inferocita. -Ultimamente sei troppo strano … Sei diverso dal solito … E voglio che tu mi dica cosa ti sta succedendo.- Tony la fissò un momento, indeciso. Poi scosse il capo e si apprestò a far ripartire l’auto, ma prima che potesse metterla in moto, Kate gli tolse le chiavi. Non aveva alcuna intenzione di farla passare liscia al suo collega.
-Kate, Ridammi le chiavi.-
-Non se prima non mi spieghi per bene che cosa ti è successo cinque anni fa.- Tony la guardò innervosito.
-Ti ho fatto avere il rapporto.-
-Non l‘ho ancora letto.-
-E allora leggilo!- Ringhiò l’agente, esasperato.
-Preferisco sentirlo raccontare da te.- Tony sospirò, sconfitto. Non sarebbe mai riuscito a far cambiare idea alla collega. E lui lo sapeva anche troppo bene. Ma come diceva il detto … “tentar non nuoce“.
-E va bene. Ma la storia è lunga. E se arriviamo in ritardo? Non credo che Gibbs la prenderà molto bene …- Tentativo inutile. Kate era irremovibile.
-Gibbs adesso non c’è. E se facciamo tardi … Puoi sempre dire che … Hai dovuto aiutare una vecchietta ad attraversare la strada …-
-Aiutare una vecchietta ad attraversare la strada?- Tony la fissò perplesso.
-Bhe, sì, sai … Portava il nipotino a spasso con la carrozzina e …- Tony continuò a fissarla malissimo. Finalmente Kate si rese conto delle stupidaggini appena dette. -Hai ragione. Non funzionerà. Ma non ti preoccupare, mi inventerò qualcos’altro …-
-Sarà meglio …- Borbottò Tony scuotendo la testa, esasperato. Passarono alcuni istanti, prima che l’agente riuscisse a trovare la forza per iniziare il suo racconto. Poi prese fiato e cominciò. -Il caso “Smilton”, risale a cinque anni fa, quando lavoravo ancora a Baltimora come poliziotto. Ma questo lo sai già.- Kate annuì. -Bene. Io non partecipai alle indagini delle prime esplosioni, compresa quella nell’appartamento della Rudolph.-
-Perché?- Domandò Kate, impaziente.
-Un momento, ci stavo arrivando! Semplicemente perché non era sotto la nostra giurisdizione!-
-Capisco …-
-Poi fu la volta di una scuola elementare.- Un brivido scese lungo la schiena della donna, ma Tony continuò a parlare. -Erano morti tre bambini. Il più grande aveva sì e no sette anni.- Gli occhi dell’agente erano diventati freddi. Le immagini dei corpicini di quelle vittime innocenti gli ballavano davanti, come una macabra danza infernale. Una vista orribile, che ancora gli faceva venire brividi di rabbia. -Il custode, invece, aveva riportato ferite gravi, ed era morto dopo due giorni di coma.-
-E … Come avete fatto a capire quale sarebbe stato l’obbiettivo successivo?- La voce di Kate tremava.
-Una maestra aveva visto un tipo sospetto uscire da una classe, e gli aveva intimato di andarsene. L’uomo se ne andò senza fare storie, ma ormai aveva già messo la bomba. Mandammo un avviso con l’identikit del sospetto, e il giorno dopo ci arrivarono un numero impressionante di segnalazioni dallo stadio. Io e due miei colleghi, Sellitto e Dallray, ci precipitammo. Non fu difficile individuare Smilton, in mezzo alla folla. Era l’unico con l’impermeabile in piena estate.- Kate, suo malgrado, sorrise. Tony fece lo stesso. -Non appena ci vide corse verso i magazzini. Dallray andò a chiamare i rinforzi, ed io e Sellitto partimmo all’inseguimento. Scendemmo fino ai magazzini sotterranei. Era buio. Smilton si era nascosto dietro alcune casse. Prima che me ne accorgessi, aveva iniziato a sparare. Colpì subito Sellitto al petto, almeno due volte.- Fece una pausa. Il dolore trasudava dalle sue parole. -Ho visto il suo corpo afflosciarsi come un sacco vuoto. Poi ho sentito un dolore alla spalla.- Dicendo questo, Tony fece passare distrattamente una mano sul braccio sinistro. -Il bastardo mi aveva colpito. Mi chinai giusto in tempo per evitare gli altri colpi. Poi Smilton finì i proiettili. E tirò fuori il detonatore. Un telecomando con un solo pulsante, collegato ai chili di esplosivo che aveva addosso.-
-E cosa hai fatto?- Domandò flebile Kate, intuendo la risposta.
-Gli ho sparato.- La voce di Tony era inespressiva, distaccata. -In mezzo alla fronte.  Ancora adesso non riesco a capire se gli ho sparato per fermarlo o solo per odio. Era la prima volta che vedevo morire un collega …-
-E la Rudolph?- Kate cercò di reprimere il senso di disagio. Era arrivata fino lì, non poteva tirarsi indietro. Se non avesse fatto tutte le domande allora, non avrebbe mai più avuto il coraggio di interrogare nuovamente il collega. Un altro sospiro. E Tony rispose.
-Era la moglie di Smilton. La trovai in stato confusionale in uno sgabuzzino lì vicino. Forse il marito l’aveva segregata o qualcosa del genere. Lo shock le aveva fatto perdere la memoria delle ultime settimane.- Il silenzio riprese possesso dell’auto, mentre Kate cercava di digerire quello che Tony gli aveva raccontato. Non si stupiva che non ne volesse parlare. Cominciò a maledirsi mentalmente per averlo forzato a raccontargli quella storia. Non aveva mai visto gli occhi di Tony così tristi. Stava ancora rodendosi coi sensi di colpa, quando l’agente speciale Dinozzo domandò, come se nulla fosse, col suo normale tono da presa per i fondelli: -Allora, adesso me le dai le chiavi? O devo fare l’autostop?- Con un ringhio di disappunto, Kate gliele tirò. Tony le prese al volo, sorridendo. -Grazie, Kate …-
-Prego …- Sibilò questa, mentre Tony metteva in moto. -Ah, Tony?-
-Che c’è?.
-Ancora una cosa …- Un sorrisetto malefico era nato sulle labbra della donna.
-Cosa?- Borbottò esasperato l’agente.
-Come ti è andata, poi, con Lizzy?- Senza neppure rispondere, Tony fece ripartire l’auto.

-Fine capitolo 5-

Ringraziamenti a thia, che ha commentato, oltre a questa fic, anche "Morto due volte". Grazie davvero ...
Jeffrey Daver è un mito!!! (Ma quando capirò che bere coca cola la sera mi fa male? Quando? U_U'''') possiedo quasi tutti i suoi libri, e tra quelli che non hanno come protagonista Lincoln Rhyme, il mio preferito è "La lacrima del diavolo". Curioso cmq che moltissimi fan di NCIS che conosco siano anche appassionati di questo scrittore ...

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Capitolo 6
*** Cassidy ***


explosion6 Per la gioia di thia, che mi ha anche lasciato una recensione in "L'angelo custode".^^ Grazie mille!!!

EXPLOSION
-Capitolo 6-
Cassidy

L’uomo qualunque sta guidando. Cassidy si è addormentata nel sedile accanto al suo. Con un gesto affettuoso, le aggiusta al cintura di sicurezza. Può immaginare che la zia si preoccuperà. Anzi, forse è già andata a chiamare la polizia. Ma non gli importa. La piccola è anche sua figlia. Non gli importa che un giudice del cavolo abbia detto che lui non aveva la salute mentale per vederla.
Chi è lui per dire una cosa simile? La sua piccola era la sua unica cura. E quel maledetto giudice gliela aveva tolta. Nell’ospedale tutto era diventato ancora più difficile. Suo fratello era morto. Sua moglie lo aveva lasciato. Il giudice gli aveva tolto Cassidy. Tutto era diventato buio. Finché c’era cassidy, il mondo era ancora colorato, ancora vivo. Ma poi aveva perso anche lei. La sua bimba, la sua medicina per il suo spirito ferito. Se c’era lei col suo sorriso, la vita era meno buia. Meno nera. Ma quel giudice gliel'aveva tolta, e anche quel medico. Quel medico che lo aveva ritenuto malato mentale, inadatto per vedere Cassidy.
Aveva gridato, nel tribunale. Spergiurato che avrebbe preso le sue medicine, che avrebbe seguito la terapie che tanto odiava, ma non voleva che gli togliessero la sua piccola.
Un tremolio alla mano. Rapido, l’uomo qualunque accostò. L’effetto della medicina stava svanendo. Prese dalla tasca una scatola di pillole. Ne ingoiò due. Rimase fermo, in attesa dell’effetto. Se non le avesse prese, sarebbe diventato troppo agitato. E quando era troppo agitato, non era bene. C’era Cassidy. Non poteva diventare agitato. Poi osservò il cellulare. Sullo schermo luminoso, lampeggiava un messaggio. L’uomo sorrise. Non aveva davvero bisogno di leggerlo. Poteva immaginare benissimo di cosa si trattasse. Lei aveva deciso. Era ora di portare Cassidy alla sua nuova casa.

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Kate si sentì un po’ come il terzo incomodo. McGee e Abby stavano parlando davanti allo schermo del computer. Inutile dire che non si trattava della classica conversazione tra colleghi. O almeno, ogni tanto, qualche termine incomprensibile di informatica ci scappava, ma Kate non avrebbe giurato che fosse riferito al PC. La tentazione di girare i tacchi era forte. Istintivamente si voltò alla ricerca del sorriso malizioso di Tony, ma si trovò davanti solo la porta scorrevole. Con rammarico si ricordò che Tony era stato chiamato da Gibbs non appena erano rientrati. Accidenti. Era in quelle situazioni che il collega le era utile. Quando si ritrovava in una situazione imbarazzante. La sfida continua tra lei e Tony l’aiutava a tirare fuori molta più grinta di quel che si sentiva addosso. E adesso? Tornare indietro non poteva, perché Gibbs l’avrebbe rispedita all’FBI. Quindi, dopo aver fatto un bel respiro, fece notare la sua presenza ai colleghi.
-Heilà! Come va, ragazzi?-
-Kate! Che ci fai qui?- Abby non sembrava per nulla infastidita o imbarazzata per l’arrivo della collega. Anche McGee appariva tranquillo. A parte quella sfumatura rossa sul viso.
-Ho un regalino per la nostra “ragazza dei miracoli”.- Rispose allegra l’agente, porgendo alla dark la scatola trovata nell’appartamento della Rudolph e i resti dell’ordigno.
-Mi sfugge qualcosa: è Natale?- Ridacchiò questa prendendo le prove. Kate sorrise, poi si rivolse a McGee, che si teneva ancora a distanza di sicurezza dalla collega. La nuca pizzicava ancora …
-Tim, Gibbs ti vuole di sopra … Gli serve il tuo genio coi computer …-
-Non dirmi che ha di nuovo mandato in folle il PC!- L’esasperazione era lampante nella voce del ragazzo.
-Temo di sì …- Fece Kate alzando le spalle. McGee sospirò, depresso.
-Suvvia, Tim.- Cercò d’incoraggiarlo Abby, dandogli una lieve pacca sulla spalla.
-Ma questa settimana è la terza volta!!!- Esplose questi, demoralizzato. Kate ed Abby rimasero per qualche istante in silenzio, allibite. La dark diede un'altra pacca incoraggiante a Tim.
-Sono sicura che il tuo genio riuscirà a far fronte ad ogni misfatto commesso dal grande capo!- Pur non sembrandone del tutto convinto, l’agente speciale McGee si diresse agli uffici, salutando mesto le due donne. Rimaste finalmente sole, le due poterono finalmente dedicarsi a ciò che più premeva loro. O meglio, ciò che più premeva ad Abby.
-Allora … Cosa mi racconti?- A Kate non sfuggì il tono insinuante dell’amica, ma preferì ignorarlo.
-Su cosa?- La dark però non si fece incantare dalla ingenua perplessità della mora.
-Su questo, no?- Con un gesto teatrale, Abby sfoderò il cellulare, e mostrò il video che McGee le aveva così “generosamente” passato. La faccia di Kate assunse una decina di tonalità violacee e rosse, prima di accorgersi del sorriso trionfale dell’amica. -Adesso mi dici tutto.- Il tono di Abby non ammetteva repliche. Stavolta Kate era in trappola. Aveva già evitato varie volte l’argomento “Dinozzo“, ma stavolta non sarebbe bastato il suo talento di pro-filers, per tirarla fuori da quel guaio…
-Non ho nulla da dire!- Si affrettò a rispondere Kate, mentre un’impietosa Abby le faceva danzare davanti alla faccia il filmato. -Ero spaventata! Avevo appena rischiato di saltare in arie e …- E più vivido che mai, tornò a galla il ricordo. Il ricordo di quel calore rassicurante, della vicinanza dei loro visi, il battito furioso del cuore di Tony unito al suo … Oh accidenti! Accidenti ad Abby, ai cellulari e soprattutto ad Anthony Dinozzo! Il rossore era esploso sulle guance della donna come fuoco, che aveva cominciato a camminare avanti e indietro per il laboratorio lanciando maledizioni a sé stessa e all’oggetto della sua crisi nervosa, e arruffandosi i capelli. A bloccarla furono le risate di Abby che si stava piegando in due sul tavolo metallico.
-Scusa! Sei troppo forte quando ti imbarazzi … Credimi, neppure i cartoni animati possono reggere il tuo confronto!- Biascicò la dark, per poi tornare a ridere. una versione femminile coi codini di Anacleto de "La spada nella roccia". Una furiosa Kate intanto, stava cominciando a chiedersi, se non fosse stato il caso di chiedere in prestito a Gibbs gli strumenti per realizzare la barca.
-Io non sono imbarazzata!- Tentò ancora invano di difendersi la mora, riacquistando un lieve autocontrollo.
-Sì, sì, certo. Come no …- Ridacchiò Abby, asciugandosi una lacrima. Si era quasi messa a piangere dal ridere.
-E va bene. Un pochino. Forse.- Si arrese alla fine Kate, prendendo posto sul tavolo, accanto ad Abby, che le fece spazio. La dark continuava a sorridere, ma stavolta il suo era un sorriso confidenziale. Kate era pur sempre la sua migliore amica, e cos’altro servono le amiche, se non a confidarsi? -E’ che … Come dire … quando io e Tony siamo così vicini … Non so …-
-Gli salteresti addosso?- Suggerì provocatoria Abby, senza nascondere la malizia.
-Abby! Non sono quel genere! E … E poi è Tony!- balbettò la mora semi scandalizzata.
-E allora? Che vuol dire “è Tony”? E’ un uomo, no? E tu, se non ti sei dimenticata di dirmi qualcosa, sei una donna.- Kate la guardò un po’ di traverso. -Bene. Non ti sei dimenticata.-
-Ma si tratta di Tony! Non è … Professionale!- Abby la ignorò e continuò il suo discorso.
-E che vuol dire! E’ Tony, appunto, è un tuo collega, ok, ma non mi sembra che si tratti di un mostro! Anzi … Se vuoi il mio parere, ha proprio un bel culetto …-
-Abby!- Il tono esasperato e imbarazzatissimo di Kate la bloccarono solo per qualche istante.
-Già, di quello dovresti essertene gia accorta da un po’ …-
-ABBY!- L’esasperazione si stava trasformando in rabbia. E questo diede ad Abby l’input per arrivare al succo del discorso.
-Bhe, ecco, allora, arrivando al dunque … Non c’è nulla di sbagliato nell’essere attratta da lui, Kate. Lui è un uomo, e tu sei una donna. E’ naturale. Eppoi passate una marea di tempo insieme, rischiate la vita, litigate continuamente …-
-E cosa c’entra il fatto che litighiamo?-
-Uhm … Non sono sicura … Ma ho sentito che è un modo di flirtare anche quello … E il detto dice … Come diceva … Argh! Dove non bevi … No, accidenti, c‘entrava qualcosa il bere e l‘affogare, ma non mi ricordo più …-
-“Dove non ci vuoi bere ci anneghi.”- L’aiutò Ducky, entrato proprio in quel momento nel laboratorio.
-Esatto! Proprio quello, Ducky!- Annuì la dark sorridendo.
-E a cosa era riferito, di grazia?- Domandò il medico, porgendo cavallerescamente la mano, prima a Kate e poi a Abby, per scendere dal tavolo.
-Sei sempre un perfetto gentiluomo, Ducky!- Gli sorride la dark. -Mi riferivo a Kate e …- L’agente Todd le lanciò un’occhiata di fuoco: ancora una parola, e probabilmente le scienziata, per un po’, non avrebbe avuto bisogno di trucco nero per gli occhi. Ma prima che Abby si bloccasse, Ducky la precedette.
-E Tony, vero?- La dark annuì sorridente, mentre Kate aveva spalancato gli occhi in modo quasi innaturale per la sorpresa.
-Ma … Ma come …- Balbettò la mora, senza parole. Il medico legale ridacchiò tranquillo sotto gli occhiali.
-Sono o non sono il vostro consulente? Allora, di quale crimine atroce si è macchiato, oggi, il nostro ragazzo?- Kate esalò un sospiro di sollievo. Ducky non aveva capito … O almeno aveva fatto finta … Cosa di cui gli era assolutamente grata.
-No, lui in effetti nulla … E’ Gibbs che mi ha un po’ preoccupato, oggi.-
-Perché? Cos’ha fatto?- Domandò Abby, leggermente preoccupata. Kate lanciò un’occhiata sorpresa prima all’amica e subito dopo a Ducky. Questi fece spallucce. Anche se era davvero strano, probabilmente McGee non aveva informato la dark della discussione tra Tony e Gibbs. Forse, considerò l’agente, Tim non aveva voluto preoccupare Abby per qualcosa che forse non era poi così importante. Pensandoci bene, neppure lei avrebbe dovuto. Non era certo una novità il caratteraccio di Gibbs. E stessa cosa per l’inclinazione di Tony a disobbedire alle regole. E allora perché la cosa l’aveva tanto scossa? Forse perché Tony e Gibbs erano come padre e figlio, e tra loro c’era una sorta di rispetto che in molte famiglie era assente. Scacciando con un sospiro i suoi pensieri, decise di informare Abby. Tanto oramai le aveva messo la pulce nell’orecchio, quindi, tanto valeva dirglielo.
-Ecco … Oggi Gibbs e Tony hanno litigato.- Fu come un’esplosione. Stavolta fu il turno di Abby di avere gli occhi quasi fuori dalle orbite.
-COSA!? E NON MI DITE UNA COSA COSI’ IMPORTANTE???- Kate indietreggiò di qualche passo, di fronte all'improvvisa irruenza dell'amica. -Ma come hanno litigato? Hanno litigato nel senso litigato litigato, oppure litigato così per dire?-
-Credo la prima ...- Rispose Kate, non del tutto certa di aver capito la classificazione che Abby dava ai litigi. Ci mancò poco che la dark non la prendesse per il colletto e la sbattesse come un tappeto per l'agitazione.
-No! no e no! Quei due non possono litigare! Sono pappa e ciccia, padre e figlio, insomma …- Continuò la ragazza coi codini, percorrendo a grandi passi la stanza.
-Non preoccuparti, Abigale. Non credo che ci sia da preoccuparsi … Anzi, credo che in questo momento si stiano chiarendo.- Il sorrisetto di chi la sa lunga di Ducky fece preoccupare Kate più della lite tra Tony e Gibbs, mentre Abby sembrò esserne rassicurata. Passò qualche istante di silenzio. Poi la dark si rivolse al medico legale.
-Senti, Ducky, non è che posso farti una domanda su Gibbs?-
-Tutto quello che vuoi, mia cara, a patto che non si tratti delle sue mogli.- Kate sorrise.
-Non ti preoccupare, dottor Mallard!- Rise Abby scuotendo la testa. I suoi caratteristici codini dondolarono mandando riflessi corvini. -E’ una curiosità mia che volevo chiederti da un po’ …- Con fare confidenziale, si avvicinò di più al medico, imitata da Kate, curiosa di sentire la domanda dell’amica.
-Spara, Abby!- La incoraggiò gentilmente l’uomo, senza perdere il sorriso.
-Ma com’era Gibbs da giovane? Tosto come adesso? Oppure era un cuore tenero che si è indurito con gli anni?-
-Avanti, Abby! Era un marine! Un militare! Sono sicura che era inflessibile e di poche parole … E con una disciplina ferrea!- Esclamò Kate, fissando Ducky in cerca di conferma. Questi scosse il capo, ridacchiando.
-Mi spiace ragazze, ma nessuna di voi due ci ha azzeccato …-
-Ma come?!- Piagnucolò Abby, mentre Kate piegava la testa da una parte, poco convinta.
-E come era, allora?-
-Mmmmh … Dunque … Come posso spiegarvi …- Il dottore si grattò il mento pensoso, facendo vagare lo sguardo nel laboratorio, in cerca di un esempio appropriato. -Ah! Ecco! Sì, era proprio così …- Una risata scappò a Ducky, mentre la curiosità delle ragazze aumentava.
-Insomma, Duk! Diccelo! Diccelo!- Esclamò Abby, che aveva cominciato a saltellare, impaziente.
-Avete presente Tony? Bhe, Gibbs non era molto diverso da lui … Se non per il taglio di capelli, almeno … Eh, sì: il nostro Tony è proprio la fotocopia di Gibbs da giovane … O almeno di quando è entrato nell’NCIS. E credo che anche il nostra ragazzo italiano sia sulla buona strada per diventare come il nostro attuale Gibbs …- Le ragazze erano rimaste a fissarlo allibite. Abby con gli occhi e bocca spalancati. Persino i suoi codini sembravano più dritti del solito. Kate aveva un’espressione tra l’orripilata e l’incredula. Ducky si aggiustò il colletto, imbarazzato dallo sguardo fisso su di sé delle due donne. Proprio allora entrò Tony, allegro come non mai. Un sorriso enorme marchiato sul viso e il passo leggero di chi si era tolto un peso dallo stomaco.
-Buongiorno! Che mi dicono il medico legale più amato dai suoi pazienti, e le ragazze più affascinanti dell’NCIS?- Lo accolse uno sguardo di puro gelo da parte delle due donne, spiazzandolo. -Bhe? Che cosa c’è? Ho fatto qualcosa di male? Giuro che stavolta sono stato puro anche col pensiero ...- Abby fece spallucce, scuotendo la testa. I suoi codini danzarono con essa.
-Niente, non ti preoccupare … Come mai da queste parti?- Cercò di cambiare discorso la dark, che solo allora si accorse dell’enorme bicchierone di caffé in mano all’agente. Notando lo sguardo goloso della scienziata, con un gesto teatrale, Tony glielo porse.
-Da parte di Gibbs.- Con un sorriso, Abby abbracciò il bicchiere.
-E a cosa devo tanta generosità?-
-Gibbs vuole sapere a che punto sei con l’analisi dei frammenti dell’ordigno …- Spiegò l’agente, sorridendo a sua volta. Abby prese un’enorme sorsata di caffé, dopodichè si diresse ad uno dei numerosi macchinari del laboratorio, che aveva appena emesso uno strano squillo. La dark schiacciò un pulsante, e una stampante cominciò a darsi da fare. Poco dopo, una serie di fogli era pronta per la lettura. Senza perdere tempo, la ragazza li passò a Tony. Questi li sfogliò immediatamente, mentre Abby forniva la sua spiegazione.
-I frammenti della prima bomba corrispondono con quelli della seconda. Gli ordigni sono stati messi in scatole di un metallo particolare, che si fonde con una certa difficoltà. Quindi, quando la bomba esplode, invece di sciogliersi, nonostante la temperatura, si rompe in minuscoli frammenti.- Con delicatezza, la dark prese un foglio di mano a Tony. -E questo è il motivo per cui il nostro Ducky ha trovato delle schegge sul volto del bibliotecario.- Abby lanciò un’occhiata di ringraziamento al medico legale, che rispose con un sorriso. Poi continuò -L’ordigno che doveva esplodere per secondo, era rivestito di un materiale molto simile, ma più spesso. Per questo non è rimasto troppo danneggiato, al contrario di quello della prima.-
-Molto bene, Abby … Dovrebbero farti un monumento!- Esclamò Tony.
-Lo so, Tony. Il problema è che non ho mai tempo per farmi ritrarre …- Il telefono del laboratorio suonò, interrompendo lo scambio di battute tra i due. Con un movimento fluido, Abby accese il viva voce. Subito la voce di Gibbs ne uscì gracchiante, senza neppure salutare.
-Todd! Dinozzo! In ufficio! Subito!- E riattaccò. Un silenzio perfetto cadde sul quartetto. Con un sospiro, Tony lo infranse.
-Il dovere chiama! Andiamo, Kate …- L’agente stava già prendendo la via della porta, quando si accorse che la collega non si era mossa di un millimetro. Era rimasta nella stessa posizione in cui l’aveva trovata pochi minuti prima. A braccia incrociate, lo sguardo fisso su di lui, un sopracciglio inarcato, e un’espressione decisamente contrariata. Leggermente perplesso, Tony le sventolò una mano davanti agli occhi, per vederne la reazione. -Hey, Kate! Tutto a posto?- la donna batté le palpebre, e alzò lo sguardo corrucciato sul collega. Per qualche lungo istante, Tony si sentì sotto analisi. Kate lo stava letteralmente scannerizzando. Dopodichè, questa scosse la testa, sbuffando.
-Impossibile.- E senza neppure salutare gli altri, precedette Tony all’uscita del laboratorio, lasciandolo di sasso. Abby e Ducky rimasero a guardarli andarsene allibiti per qualche istante. L’eco degli -E’ assurdo!- di Kate risuonò nei corridoi finché i due agenti non presero l’ascensore. Poi, il medico legale si tolse gli occhiali e scosse la testa.
-Allora, Abigale, per cosa mi hai fatto abbandonare i miei pazienti in balia del signor Palmer?-
-Paura che te li uccida? Comunque, è per questo!- Rise la dark, mostrando sorridente il suo cellulare.

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Kate e Tony trovarono Gibbs in compagnia di una giovane donna di colore. Non occorse molto ai due agenti per capire che si trattava di un membro della marina. La divisa bianca e il berretto ne erano una prova più che evidente. Solo non riuscivano ad indovinare il motivo per cui si trovasse lì. Quale che fosse, doveva essere molto importante. Il bel volto della donna era tirato e solcato da occhiaie, gli occhi gonfi e rossi. Non appena Gibbs notò i suoi agenti, fece le presentazioni.
-Dinozzo e Todd. Questa è il guardiamarina Michela Sacks. Lavora al JAG.- Una rispettosa stretta di mano, e Gibbs passò subito ai fatti. -E adesso, miss Sacks, è così gentile da dirci per quale motivo è venuta qui?- La nota d’irritazione era facilmente udibile nella voce dell’ex marine. La donna prese bene respiro, prima di spiegare.
-Come ha già detto lei, lavoro al JAG. Da quasi quattro anni. Ovvero da quando mia sorella è morta, e ho dovuto prendermi cura della figlia di quattro anni. Un lavoro d’ufficio è stata la scelta migliore, per poterla seguire.- Fece una pausa. L‘irritazione di Gibbs era palpabile. E non solo per i suoi collaboratori. La donna quindi si affrettò a giungere alla conclusione. -Oggi sono andata a prenderla a scuola, ma lei non c’era …- Con uno sforzo, cercò di trattenere le lacrime. La preoccupazione la stava attanagliando. Kate si sentì stringere il cuore. Quella donna probabilmente amava la nipote come se fosse stata figlia sua, e doveva essere difficile per lei, mantenere il controllo. Anche Gibbs doveva averlo intuito. Fu infatti con una sfumatura molto più dolce che si rivolse al guardiamarina.
-Capisco la sua preoccupazione. Ma sono passate meno ore di quelle previste per denunciare la scomparsa …-
-Forse la bambina è andata a casa di qualche amichetta, dimenticandosi di avvertirla …- Ipotizzò Tony, beccandosi un’occhiataccia di Kate. Michela Sacks scosse la testata di riccioli scuri.
-No, ho già chiamato tutte le sue compagne di classe, ma non è da nessuna di loro. Eppoi Cassidy non mi avrebbe mai fatto preoccupare così. Oggi venivo a prenderla qualche minuto dopo la fine delle lezioni, come tutti i sabati. Ma quando sono andata nella sua classe per andarla a prendere … Lei non c’era!- Una lacrima scappò al controllo della donna, che si affrettò ad asciugarla. -Scusate …- I tre agenti si lanciarono un’occhiata. Fu Kate a rivolgersi alla donna.
-Mi scusi … Ma per quale motivo si è rivolta all’NCIS? Non poteva chiamare la polizia?- Gli occhi color ebano della guardiamarina la fissarono, incendiari.
-Non è solo sparita! Mia nipote è stata rapita!-
-Perché non ce l’ha detto subito!?- Ringhiò Gibbs, gli occhi fiammeggianti quanto quelli della donna. Ma questa non abbassò lo sguardo di un millimetro.
-Non me ne aveva ancora dato il tempo! Comunque, dopo che ho telefonato a tutte la amiche di mia nipote, la maestra mi ha chiamato, e mi ha detto di averla vista uscire con uomo.-
-Ma … Perché non l’ha avvertita subito?- Domandò Kate a bocca aperta.
-Perché la piccola lo chiamava “papà”, ed è stata una delle madri che avevo chiamato ad informarla che la cercavo.- Con un sospiro di stanchezza, Michela si passò una mano tra i capelli.
-La maestra sarebbe in grado di darci un identikit di quest’uomo?- Domandò Tony, lanciando un’occhiata a Kate. Rapida, questa fece per prendere il suo blocco da disegno, ma Sacks la fermò.
-Non è necessario … So già di chi si può trattare.-
-Ovvero?- Gibbs le si avvicinò, il suo sguardo non ammetteva tentennamenti.
-C’è solo una persona che Cassidy può chiamare papà. Ed è suo padre.  Richard O‘Connel.- Un silenzio imbarazzato cadde sull’ufficio.
-Insomma, se è qui solo perché vuole impedire al padre della bambina di vederla, si rivolga ad un tribunale …- Sbottò Gibbs, subito interrotto dalla donna, indignata.
-Non si tratta di una questione famigliare, agente Gibbs! È stato lo stesso padre di Cassidy a uccidere mia sorella, lasciando la mia piccola senza madre!- Un gelo spiazzato si formò attorno alla figura del guardiamarina. Forzando il suo orgoglio, Jhetro fece le sue scuse.
-Mi spiace. Non sapevo.-
-Adesso capisce la mia preoccupazione?!- Le parole di Michela Sacks erano puro veleno. -Cassidy non sa che è stato suo padre a uccidere la sua mamma. Non me la sono sentita di darle questo dolore … Per questo si è fidata. Nessuno mi ha avvertita che era in libertà … Altrimenti …- Michela crollò in un singhiozzo. Cercando di nascondere quanto in realtà si sentisse mortificato, Gibbs fece cenno alla donna di raccontare con precisione ogni particolare sulla scomparsa e sul padre di Cassidy.

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L’uomo qualunque era arrivato. Con lentezza, ferma l’auto davanti ad un vecchio palazzo, dall‘aspetto poco abitato. Lo scossone potrebbe svegliare Cassidy. Nonostante le sue premure, la piccola si sveglia. Con uno sbadiglio, si stropiccia gli occhi, ancora assonnati.
-Dove siamo, papà?- l’uomo esce dalla macchina, fa scendere la figlia, prima di rispondere. Da una finestra del palazzo, una donna dagli occhi grigi è uscita, sorridendo ai due nuovi arrivati.
-A casa, Cassidy. A casa, finalmente.-

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-Richard O’Connel. Faceva il chimico per una ditta specializzata nel fai da te. Circa quattro anni fa, in preda ad un raptus omicida, ha ucciso la moglie, Amelia Sacks, con sette coltellate. E’ stato arrestato praticamente subito, ed ha confessato l’omicidio dopo poche ore. Soffriva da tempo di disturbi psichici. Ma nulla lasciava ad intendere che potesse fare una cosa del genere. La figlia, Cassidy O’Connel, non era a casa quando è successo il fatto. Richard, a causa della malattia mentale, è stato internato in una casa di cure, la St. James Ospital, invece che in prigione. Ma sembra esserne scappato due settimane fa.- Concluse McGee, riassumendo quanto trovato nell’archivio informatico della polizia. Aveva svolto in un quarto d’ora, sotto ordine di Gibbs, la stessa mole di lavoro che avrebbe dovuto fare in due ore. Ma adesso ogni dato riguardante Richard O’Connel era entrato in possesso del team. Tony, da dietro alla poltrona di McGee, rilesse le ultime frasi del rapporto sullo schermo. Il suo volto si fece pensieroso. Kate lo stava esaminando dal suo computer con Gibbs. Quello dell’ex marine, infatti, non era ancora agibile.
-Qualcosa non va, Tony?- Domandò McGee, irritato dall’invadente presenza dell’agente Dinozzo alle sue spalle. Ignorando il tono sarcastico del collega, questi indicò lo schermo.
-Il nome dell’ospedale … Non mi è nuovo … Forse c’è stata messa altra gente che ha avuto a che fare con la giustizia … Potresti fare un controllo, Pivello?- Tim fece per ribattere, ma Gibbs lo bloccò.
-Fai come dice, McGee. Il nome non è nuovo anche a me. Guarda direttamente nel data base del St. James. Forse riusciamo a capire chi può averlo aiutato a fuggire.-
-D’accordo, capo.- Pochi istanti dopo, McGee era intento a battere alla tastiera a ritmi forsennati. Kate lo stette a guardare per qualche istante, poi si rivolse agli atri due agenti. Una certa tensione era ancora palpabile tra di loro, ma era decisamente lontana da quella di poche ore prima. Oramai era solo un po’ d’offesa che se ne sarebbe andata con un po’ di tempo e pazienza.
-Secondo voi c’entra con la Rudolph?-
-Non è da escludere, ma non abbiamo alcune lemento per provarlo.- Ribatté Gibbs, avviandosi alla sua scrivania. -Abby ha trovato qualcosa di nuovo?- Con un sospiro carico di stanchezza, Tony annuì.
-Le confezioni di tutte le bombe sono dello stesso materiale. Metallo difficile a fondere, ma molto resistente.-
-Compreso quello dell’appartamento?-
-Compreso quello dell’appartamento.- Confermò l’agente Dinozzo. Gibbs rimase pensieroso per qualche istante. Poi Kate si fece avanti.
-Andiamo ad interrogare Amanda?-
-Negativo.- Rispose Jhetro sospirando. -Non abbiamo la più pallida idea di dove si trovi.-
-Ma come?!- Domandò Kate, sorpresa. Gli occhi scuri spalancati.
-Dato che non è stata accusata di nulla, la polizia non ha notizie su di lei dalla sentenza del tribunale.- Spiegò Tony, passandosi una mano tra i capelli.
-Quindi non c’è nulla su di lei?- Kate era meravigliata. Di solito una persona coinvolta in qualsiasi caso, veniva automaticamente registrato nei database delle forze dell’ordine.
-Neanche una multa.- Confermò Gibbs, stropicciandosi gli occhi. -E dato che non ha parenti in vita, non abbiamo nessuno a cui chiedere. Neanche un amico o un vicino.-
-E i colleghi artificieri? Nessuno ha più avuto notizie?- Tony cosse il capo, deluso quanto Kate.
-Niente. Hanno perso i contatti quando ha lasciato la squadra col marito.- Il silenzio aleggiò per qualche minuto sull’ufficio. La maggior parte degli altri collaboratori dell’NCIS se ne era andato via, intenzionato a salvare l’ultimo giorno del weekend. Solo il ritmico battito sulla tastiera di McGee rimbombava sul piano. Gli agenti speciali Todd, Gibbs e Dinozzo erano persi nei loro pensieri. Non bastava il caso scottante del dinamitardo pazzo: doveva anche apparire all’improvviso un assassino deciso a riprendersi la figlioletta. Ad un tratto Tim si bloccò, urlando un’esclamazione di stupore. Allarmati, i tre agenti più anziani si voltarono verso di lui.
-Cosa hai scoperto?- Gibbs era gia schizzato alle spalle del giovane agente.
-Sono riuscito ad accedere al sistema del St. James, e …-
-“E” cosa, McGee!- Lo incalzò furioso il superiore.
-E … Dall’ospedale non è scappato solo Richard O’Connol, signore!- Le parole di McGee uscivano stentate per lo stupore
-Allora?- Ringhiò impaziente Gibbs. Tim deglutì, prima di rispondere. Kate e Tony lo fissavano dall’altro capo della scrivania, tesi.
-Richard O’Connel è fuggito assieme ad Amanda Rudolph!-

-Fine capitolo 6-

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Capitolo 7
*** Esplosione evitata ***


explosion7 Un capitolo un pò privo d'azione, lo so, più un approfondimento sui criminali che altro ... Un pò inutile, ma mi sembrava utile per comprednere megliola trama. Buona lettura, e se mi lasciate qualche recensione, v ne sarei molto grata ... buona lettura.

EXPLOSION
-Capitolo 7-
Esplosione evitata.
 
Richard, l’uomo qualunque, non lo sapeva proprio. No, non sapeva davvero che alla sua Cassidy piacessero così tanto i telefilm. In particolare i polizieschi. Eppure, subito dopo cena, aveva chiesto di poter guardare il suo programma preferito in TV. Ora che ci pensava, anche quando era piccola, tutte le sere, dopo cena, lui e lei andavano davanti alla TV, mentre sua madre finiva di sparecchiare. Poteva ancora sentire lo sguardo affettuoso di Amelia su di loro, mentre facevano a gara a chi arrivasse primo al divano. E chissà perché, a vincere era sempre Cassidy.
Con un sorriso, Richard si avvicina alla figlia. Un rumore di stoviglie. L’uomo si volta, e vede Lei che sta sparecchiando. La donna compie quei gesti con naturalezza, gli occhi grigi, per qualche istante, perdono la loro solita freddezza. Non sono diversi da quella di una qualunque donna di casa, intenta a togliere i piatti della cena passata coi famigliari. Richard torna ad occuparsi di Cassidy, che si è messa a spiegare ogni particolare del programma televisivo.
La donna alza lo sguardo, e assapora quella tiepida scena casalinga. Una vena di tristezza e rimorso, fanno capolino nel suo sguardo, subito sovrastate da un altro sentimento. Non felicità, non ancora. Ma è qualcosa che gli va molto vicino. Soddisfazione. Sì, è soddisfatta. Soddisfatta di quell’atmosfera, che cinque anni prima le era stato sottratta. In un colpo solo, in un unico sparo. Per un momento, gli occhi grigi si riducono ad una fessura. Tutto quello che ha davanti sarebbe stato loro, finalmente. Ma prima avevano un compito da portare a termine …

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-Allora, alla fine. Cosa sappiamo di Richard O’Connel?- Era la quarta volta che Gibbs faceva quella domanda. E per la quarta volta, i suoi collaboratori risposero a turno. Iniziò McGee.
-Richard O’Connel, nato a Chicago, trasferitosi per lavoro quindici anni fa. Lavorava come chimico per una ditta specializzata in prodotti per il fai da te. Dieci anni fa si è sposato con Amelia Sacks, e due anni dopo è nata la bambina. Sono passati quasi sei anni, da quando gli è stata diagnosticato un disturbo mentale.-
-Ovvero?- Domandò l’ex marine, passandosi una mano sugli occhi. La stanchezza cominciava a pesargli davvero.
-Scatti improvvisi di rabbia.- Rispose Tony, prendendo il posto di McGee, che gliene fu grato. -A volte violenti, ma che riusciva a controllare assumendo farmaci specifici. I medici volevano che seguisse delle terapie di gruppo, ma si rifiutò.-
-Almeno fino a quando non uccise la moglie.- Si inserì Kate, completando quella sorta di staffetta. -Non prendeva i suoi medicinali, e la moglie voleva lasciarlo, per paura che facesse del male alla bambina.-
-Lei voleva lasciarlo, e lui si è arrabbiato. Non riuscendo a controllare la sua collera, si è scagliato contro di lei accoltellandola.- Completò Gibbs, guardando i dati in suo possesso.
-Esatto.- Annuì Kate. -I vicini sentirono le grida della donna, e chiamarono la polizia. Che però arrivò troppo tardi.-
-La bambina si è salvata perché era all’asilo.- Aggiunse McGee.
-Quando la polizia arrivò, trovò O’Connel sporco di sangue che guardava fisso il corpo della moglie. Era in stato di shock, e non oppose resistenza. Anzi, da quel che dice il rapporto, quando si riprese, chiese subito della moglie e della figlia. Non ricordava nulla della lite e dell’omicidio. E soffrì sinceramente della morte di lei. Venne fatto visitare dai medici, e confermata l’instabilità mentale. Così venne internato al St. James Ospital.- Concluse Tony. Il silenzio calò sugli agenti, ognuno perso nei propri ragionamenti.
-Dobbiamo saperne di più riguardo a quello che è successo all’ospedale. Come, dove, perché e quando si sono, se si sono conosciuti Amanda Rodolph e Richard O’Connel.- Esclamò l’ex marine greve, mentre il telefono dell’agente Todd iniziò a squillare. Rapida, la donna tirò su la cornetta e rispose. I tre uomini si misero a semi cerchio davanti a lei, ognuno, a modo loro, interessato. McGee speranzoso di avere novità. Tony solo vagamente interessato a notizie del caso. Gli premeva di più, semmai, scoprire se era una conversazione privata, e se era tale, trarne qualcosa su cui punzecchiare la collega. Gibbs, invece, non ammetteva che non fosse qualcosa inerente al caso. Se dall’apparecchio non fosse giunta qualcosa d’inerente alle parole O’Connel o Rudolph, Kate avrebbe passato un brutto quarto d’ora. E se la conversazione era privata, bhe, l’FBI aveva giusto bisogno di un altro agente. Quando riattaccò la cornetta, Kate fece un salto sulla poltrona. Durante la conversazione non si era accorta del assedio sotto cui l’aveva stretta i suoi colleghi.
-Allora?- Ringhiò Gibbs, impassibile dinanzi alla sorpresa dell’agente. Kate lanciò ancora un’occhiata perplessa a Tony e McGee, che non si erano spostati di un millimetro, in attesa d’informazioni. poi parlò.
-Era il primario del St James …-
-E quindi?- Gibbs era più impaziente del solito.
-E … Amanda Rudolph si trovava lì perché si era fatta ricoverare volontariamente, quasi quattro anni fa. Soffriva di depressione e disturbi psichici.-
-Di che genere?- Domandò Tony, senza riuscire a mascherare completamente la delusione per non aver origliato una telefonata privata. Kate avrebbe preferito prenderlo a pugni, ma si limitò ad incenerirlo con lo sguardo, prima di rispondergli.
-A causa della morte del marito, subì un forte stress, che, unito alle sue condizioni fisiche precarie, le fece avere un aborto. Questo la distrusse ancora di più della morte di Smilton. E a quanto dicevano i medici, non avrebbe più potuto restare incinta. E dato che sognava da sempre di avere dei figli, per lei fu uno shock. Fece dei tentativi di adozione, ma nessuno andò a buon fine. E questo la fece cadere in depressione, minando la sua già fragile sanità mentale.- Lo sguardo di Tony divenne offuscato. Solo allora Kate capì di aver avuto la delicatezza di un rinoceronte. Nella mente dell‘agente Dinozzo, il ricordo degli occhi grigi di quella donna pelle e ossa, prese l‘orribile forma di un‘accusa. La Rudolph era incinta. Non l‘avrebbe mai detto. Un senso di colpa che sapeva ingiustificato gli salì fino in gola. Era consapevole di non avere colpe in proposito, e probabilmente il figlio della Rudolph non sarebbe sopravvissuto comunque, che lui avesse ucciso Smilton o no. Lei era denutrita, e Smilton non l’aveva trattata esattamente bene, visti i segni che aveva sul corpo. E se quel pazzo fosse riuscito a premere il pulsante, sarebbe morta comunque. Tentò di cacciare indietro quel senso di colpa deglutendo. Ma era un boccone decisamente troppo amaro.
-Quando si è fatta ricoverare?- Riuscì a chiedere l‘agente, mentre la sua bocca si era fatta inspiegabilmente secca. Kate non perse tempo nel rispondere, contenta di poter mettere le cause del ricovero della sospettata in secondo piano.
-Tre anni fa. Quasi un anno dopo il ricovero di O’Connel. Frequentavano lo stesso programma di terapia di gruppo, e hanno cominciato a frequentarsi. Ma i medici non sanno dire se avessero una relazione o no. Però la Rudolph sembrava avere un enorme ascendente su di lui.-
-Spero che ci sia dell’altro.- Ringhiò Gibbs, senza velare la minaccia nelle sue parole. Kate scosse la testa,.
-Sì, bhe, i medici lo chiamavano “L’uomo qualunque”, perché passava sempre inosservato, anche senza fare nulla per confondersi tra la gente. A volte le infermiere lo scambiavano per un visitatore, invece che per un paziente. È usando questa abilità che è riuscito a scappare. Le nuove infermiere erano appena arrivate, e non lo conoscevano ancora. Mentre la Rudolph … Bhe, lei era entrata di sua volontà in clinica, quindi poteva andarsene quando voleva.- Il silenzio tornò sovrano nell’ufficio. Avevano nuove informazioni su Richard O’Connel. Ma allo stesso tempo non avevano nulla. Gibbs si lasciò andare ad una bestemmia a denti stretti, e si allontanò dalla scrivania di Kate, per sedersi alla propria, per continuare a fissare, testardo, il rapporto della polizia su caso O‘Connel. Gli altri tre agenti lo seguirono con lo sguardo. La delusione era comune a tutti e quattro. Un rumore di stampante. Tony, Kate e McGee si fissarono per qualche istante. Poi Tim si girò verso la propria scrivania. Il fax, come impazzito, vomitava fogli scritti su fogli. Una ventina di pagine, a occhio e croce. Dopo qualche istante di perplessità, McGee si fondò a raccoglierli, con un sorriso vittorioso sul volto. Sotto lo sguardo incuriosito di Tony e Kate, quindi, portò i fogli a Gibbs. Questi li fissò accigliato.
-Cosa sono?-
-La cartella clinica di Richard O’Connel, capo.- Rispose McGee, ignorando il tono glaciale dell’ex marine. Jhetro squadrò i fogli qualche istante, poi si accinse a leggere. Ma dopo aver fatto scorrere gli occhi sulle prime righe, allontanò il plico, socchiudendo gli occhi.
-Capo, forse è meglio se ti metti gli occhiali …- Suggerì Tony, subito riportato al silenzio dall’occhiata omicida di Gibbs. Ma quando diavolo avrebbe imparato a tapparsi la bocca? Pur continuando a lanciare lampi di collera contro il suo agente, Jhetro tirò fuori dal cassetto la confezione degli occhiali. Con un sospiro rassegnato, li tirò fuori e li inforcò. Non lo sopportava. O meglio, il suo orgoglio, non lo sopportava. Non voleva accettare gli anni che passavano. Ma doveva ammettere che, con quei pezzi di vetro davanti agli occhi, leggere era tutt’altra storia. Con una lieve smorfia di soddisfazione quindi si accinse alla lettura. Finalmente i contorni delle lettere erano chiare e nitide. Così come i sorrisetti malcelati dei suoi sottoposti, intenti a lanciarsi occhiatine divertite.
-Il primo che fiata lo mando a cercarsi un nuovo lavoro!- Ringhiò l’ex marine, riportando miracolosamente alla serietà i suoi uomini. Bastarono pochi minuti, perchè la cartella clinica di Richard O’Connel, “L’uomo qualunque”,  non avesse più segreti per Gibbs e i suoi agenti.
-Certo che questo tipo deve essere il sogno di ogni farmacista: prende più roba di un drogato!- Commentò Tony guardando la lunghissima lista di calmanti e pillole di varia natura che costituivano la terapia di O’Connel.
-Solo che questa roba doveva farlo stare bene, invece di farlo “sballare”.- Ribatté Kate, seria. Il telefono di Gibbs cominciò a squillare, e l’agente si affrettò a rispondere. La voce di Abby uscì allegra.
-Augh, grande capo! Indovina che cosa ti ho portato?-
-Spero qualcosa di nuovo, e soprattutto, di utile.- Rispose Jhetro, vitale come uno zombie.
-Bhe, forse le tue preghiere saranno esaudite. La Abby’s production è lieta di presentarvi …-
-Abby, taglia corto.- Il commento freddo dell’agente fece demoralizzare la dark, che continuò con tono mogio mogio.
-Tu sì che sai come uccidere il mio entusiasmo, Gibbs. Comunque, come stavo dicendo … La Abby’s production è lieta di presentarti … I risultati delle analisi fatte sugli oggetti ritrovati da Kate e Tony.-
-E cosa aspetti a dirmeli?-
-A volte mi ferisci, grande capo!- Piagnucolò la ragazza, che però decise che era molto meglio non tirare ulteriormente la corda. -Allora, ho controllato le impronte digitali sulle foto e sui ritagli di giornale. E sai di che cosa ne è venuto fuori? Che non ci sono solo le impronte della signora Rudolph! Ho fatto un controllo in archivio … E indovina indovinello? Qualcun altro ha lasciato le sue tracce sui fogli … Un certo …-
-Richard O’Connel.- Concluse l’ex marine, lasciando in un silenzio impietrito la dark.
-Certe volte ti odio, Gibbs …- L’agente sorrise. Poteva immaginare senza sforzo il volto imbronciato di Abby.
-Tutto qui, quello che hai da dirmi, ragazza dei miracoli?-
-No, in effetti no.- Ribatté la scienziata, decisa a non arrendersi ancora di fronte a quelli che sembravano i poteri paranormali di Jhetro Gibbs. -Per una volta, non mi sono limitata ad analizzare quello che c’era “sopra”, la carta. Ma anche quello che “c’era stampato”, sulla carta.-
-Ovvero?-
-Ovvero … Bhe, le foto sono quasi tutte quelle del matrimonio tra la Rudolph e il vecchio dinamitardo, Smilton. E i ritagli di giornale trattano dei casi di cinque anni fa. Ma non solo. Anche del caso di O’Connel.-
-Hai detto che quasi tutte le foto sono del matrimonio della Rudolph. Devo intuire che ce ne sono anche altre?-
-Esatto! Alcune ritraggono quella che sembra una famigliola felice. Tante raffigurano solo la bambina. In alcune foto gioca con le bamboline che erano nella scatola.-
-Puoi descrivermi questa famiglia?- Il cervello di Gibbs aveva ormai capito, ma voleva conferme.
-Madre e figlia di colore, e padre bianco. Sembra un tipo come ce ne sono tanti, in giro. Lei è una bella donna, e la piccola … E’ davvero tenerissima! Non avrà più di tre anni … Ha dei boccoli bellissimi … E degli occhioni color cioccolato …-
-Va bene, Abby, riprenditi dal tuo istinto materno, e vatti a prendere un caffé. Anzi, due. Uno bevitelo alla mia salute … e mettili sul mio conto.-
-Grazie, Gibbs. E’ sempre un piacere fare affari con te.- Abby attaccò. Gibbs sorrise tra se è sé. Poi informò degli esiti delle analisi gli altri agenti. Questi ascoltarono assorti. Poi Kate espresse una sua perplessità.
-Ma perché, se è scappato dall’ospedale un mese fa, O’Connel è andato solo oggi a prendersi la figlia? Non avrebbe dovuto andarci subito? Dopotutto sono  ben quattro anni che non la vede … E’ assurdo che abbia aspettato così tanto tempo …-
-Ricordati che era ricercato dalla polizia. Forse voleva far calmare un po’ le acque, prima …- Suggerì Tony, che però non ne sembrava molto convinto.
-O forse glielo ha ordinato Amanda Rudolph. Secondo i medici aveva un controllo quasi totale su di lui.- Ipotizzò ancora la mora, passandosi una mano tra i capelli. Quanto avrebbe voluto farsi una doccia … Nel giro di un paio di giorni era stata soggetta a più polvere di un vecchio soprammobile … E non vedeva l’ora di togliersi dalla pelle quello strato farinoso che si sentiva addosso.
-Entrambi avevano perso qualcuno d’importante.- Esclamò ad un tratto Gibbs, riflettendo ad alta voce. -La Rudolph il marito, e O’Connel la moglie e la figlia, che era stata affidata alla zia.- Un istante di silenzio. -Entrambi avevano qualcosa da dimenticare e qualcosa per ricominciare a vivere …-
-Che cosa, capo?- Domandò McGee, curioso.
-Una famiglia, McGee.- Concluse Gibbs, gli occhi chiari puntati sulla cartella medica. -La Rudolph desiderava con tutte le sue forze avere dei figli, e una famiglia. O’Connel ricostruire la sua. Ditemi, che cosa vi fa capire, questo?-
-Che volevano già da prima prendere la bambina. E che …- McGee si interruppe, lasciando parlare Tony.
-Che stanno per finire il loro lavoro.- Concluse Tony. Lo sguardo ardente di determinazione.
-O mio Dio …- Mormorò Kate -Vogliono far esplodere la scuola dove andava  Cassidy …-

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-Dunque, O’Connel sarebbe andato a riprendersi la figlia per evitare che restasse coinvolta nell’esplosione della scuola?-
-Esatto, McGee.- Rispose Tony in vece di Gibbs, alla guida forsennata dell’auto. Non avevano perso tempo. Il tempo di far identificare a Michela Sacks la nipote e la sorella sulle foto, giusto per scrupolo, e avevano chiamato gli artificieri. E adesso si stavano dirigendo a tutta velocità alla scuola di Cassidy.
-Ma come facciamo ad essere sicuri …- Una curva presa più stretta pressò Tim contro il sedile, costringendolo ad interrompersi. Accanto a lui, Tony stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di diventare religioso.
-Perchè, pivello, visto che stanno facendo la copia esatta delle esplosioni di Smilton, il prossimo obbiettivo è una scuola elementare!- Kate, seduta vicino a Gibbs, si sorprese ad invidiare il posto di McGee. Non le sarebbe dispiaciuto finire, a causa di una delle tante curve prese in perfetto stile formula 1 dal suo capo, di nuovo vicino a Tony. Passando a fasi alterne dal rosso al bianco cadavere, a causa dell’imbarazzo che le provocavano i suoi stessi pensieri, e alle spericolate imprese sulla strada di Gibbs, Kate potè quindi catalogare quel viaggio come uno dei peggiori della sua vita. Secondo solo al decollo dalla portaerei. I tre agenti ringraziarono il cielo, quando finalmente Gibbs si fermò davanti alla scuola. Oramai era notte fonda, e l’edificio doveva essere deserto. In teoria. Ma alcune finestre illuminate al secondo piano dimostravano il contrario.
-Ma che ci fa della gente a quest’ora ancora al lavoro? In una scuola poi … Non sono mica dell’NCIS …- Esclamò Tony schizzando fuori dall’auto, felice di essere sopravvissuto per l’ennesima volta alla guida del suo capo. Oh, non perché temesse un incidente. Bhe, anche quello. Ma sopratutto perché, prima o poi, ne era certo, gli sarebbe venuto un infarto. Dello stesso parere, ma decisamente meno propensi a fare dello spirito, anche Kate e McGee, che scesero dall’auto, più o meno incolumi. L’unico che non appariva per nulla scosso era Gibbs, che, seccato come al suo solito, cominciò a impartire ordini.
-Dinozzo! Todd! Con me nell’edificio! McGee, tu controlla che nessuno si avvicini. Non voglio curiosi nei dintorni.- Poi si diede un’occhiata alle spalle, leggermente sorpreso. -E la squadra degli artificieri? Dove diavolo è finita? Doveva venirci dietro!-
-Capo … L’hai seminata tre isolati fa …- Gli ricordò esasperato McGee. Con un gesto di stizza, l’ex marine lasciò cadere l’argomento ed entrò nell’edificio, dove lo seguirono rassegnati gli agenti Todd e Dinozzo.

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L’evacuazione del personale stante nella scuola fu rapido e privo di intoppi. Si trattava solo una mezza dozzina di insegnati e quattro genitori, alle prese con l’allestimento di un piccolo palcoscenico.
-Sa, domani c’è uno spettacolo, e dovevamo finire i preparativi.- Spiegava la vice preside, mentre Gibbs accettava un caffé gentilmente offertogli dalla donna.
-Ecco perché eravate ancora al lavoro.-
-Già.- Annuì la donna, osservando gli artificieri, che, dopo aver mandato un centinaio di maledizioni all’agente speciale Gibbs, erano riusciti, in qualche modo, ad arrivare alla scuola, dove stavano svolgendo il proprio lavoro. Il caposquadra stava chiedendo informazioni all’agente speciale Dinozzo, che consigliò di iniziare dalla classe di Cassidy. Kate e McGee, nel frattempo, si davano da fare a tenere alla larga i curiosi, che, per nulla impressionati dall’ora tarda, si stavano affollando attorno all’edificio scolastico. I quattro agenti rimasero dalle parti della scuola finché il capo degli artificieri, un uomo alto e barbuto, non portò l’ordigno, perfettamente disinnescato.
-Eccola qua. È tutta vostra.- Bofonchiò affidando una sacca di tela a Gibbs. L’uomo appariva stanco. Gli occhi cerchiati di rosso, e la fronte imperlata di sudore. Senza chiede spiegazioni, Jhetro l’aprì. Anche se non era deformato come i resti delle altre, Gibbs non fece fatica a riconoscere la stessa tipologia di bomba che aveva già rischiato di farli saltare in aria.
-La ringrazio, signor …-
-Brokks. Roland Brokks.- Si presentò l’artificiere, asciugandosi il sudore con una manica.
-Bene, Mr. Brokks. Può darmi una suo opinione professionale?-
-Una roba da veri geni. Abbiamo fatto molta fatica a disinnescarla.-
“Non stento a crederci”. Pensò l’ex marine esaminando il volto dell’uomo.
-Chiunque l’ha fatta.- Continuò Roland, indicando la bomba. -Conosce alla perfezione la chimica e il mio mestiere. Se non fosse stato per le vostre informazioni, avrei perso i miei uomini.-
-Cosa intende?-
-La bomba principale, regolata per esplodere tra alcune ore, era collegata ad un’altra, che sarebbe dovuta esplodere non appena disinnescata la prima.- Gibbs rabbrividì. Uno stratagemma uguale a quello dell’ultima volta.
-Per che ora doveva esplodere?- Domandò l’agente, mentre la vice direttrice portava un caffé anche all’artificiere.
-Verso le undici di stamattina.- Rispose questi, dopo aver dato un’occhiata all’orologio. Mezzanotte era passata da un pezzo.
-Lo spettacolo dei bambini iniziava alle dieci …- Mormorò la donna, stropicciandosi nervosamente le mani.
-Allora siamo stati fortunati.- Ribatté Brooks, bevendo un sorso di caffé. -Questa cosa era abbastanza potente da far crollare mezzo palazzo.-
-La ringrazio del suo aiuto, Mr. Brokks.- Concluse Gibbs, porgendo la mano all’artificiere, che la strinse energicamente.
-Mi chiami Roland. Ed è stato un piacere. Anche mia nipote frequenta questa scuola.- L’uomo fece per allontanarsi, poi, come colto da una folgorazione, si rivolse nuovamente all’agente dell’NCIS. -Ah, una cosa. Ve l’ho già detto, ma si tratta di un tipo veramente in gamba. State attenti, e trovatelo al più presto. È anche più bravo di metà dei miei uomini.- Gibbs fece un cenno affermativo col capo. Rimase qualche istante a guardare l’uomo allontanarsi. Poi si rivolse a MCGee, a pochi passi da lui, col suo consueto tono burbero.
-McGee!-
-Sì, capo?-
-Scoprimi subito come O’Connel possa aver saputo dello spettacolo domenicale.- L’ex marine fece per prendere un’altra sorsata di caffé, ma il giovane agente gli aveva già messo davanti un foglio colorato.
-E’ un volantino della scuola per pubblicizzare l’evento. Il quartiere ne è pieno …- Spiegò Tim, a cui Gibbs strappò di mano il pezzo di carta, seccato. Scritto a caratteri cubitali, l’orario della recita scolastica era leggibilissimo anche senza il bisogno degli occhiali.
-Può averlo capito in qualunque modo.- Borbottò Jhetro. Si passò una mano sugli occhi, rossi quanto quelli di Brokks. Nonostante le pinte di caffé, la stanchezza si faceva sentire di brutto. E dal volto tirato di McGee, presumeva che anche i suoi uomini non dovevano stare meglio. -Chiama Kate e Tony. Torniamo alla base. Dormiremo qualche ora, poi riprenderemo il lavoro.-
-Ma capo … E se O’Connel e la Rudolph colpissero ancora?- Domandò perplesso Tim.
-Dormiranno anche loro. Adesso hanno una bambina con cui stare … Non faranno più del necessario. Senza contare che, tra una bomba e l’altra, passa almeno mezza giornata. Tenete comunque i cellulari accesi. Potrebbe spuntare qualcosa.- E detto ciò, l’agente speciale Leroy Jhetro Gibbs si diresse verso l’auto.

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-Non ti sembra fuori luogo, dormire qui?- Domandò Kate, mentre si preparava come poteva un giaciglio dietro la scrivania.
-Perché? Ormai è una cosa quasi quotidiana!- Ridacchiò Tony appallottolando la giacca per ricavarne un cuscino.
-Lo sarà per te! Io non mi sono ancora abituata …- Borbottò la donna, rimpiangendo di non aver portato qualche maglia in più. La temperatura era piuttosto bassa. Dato che, in teoria, alle due del mattino non ci sarebbe più dovuto essere nessuno, gli impianti di riscaldamento dell’edificio erano stati chiusi.
-Bene, ragazzi. Io vado …- Esclamò McGee, con in mano tutti gli abiti che era riuscito a raccattare.
-E tu dove vai?- Chiesero in contemporanea Kate e Tony.
-Ehm … Da Abby … Passo la notte al laboratorio …- I sorrisetti maliziosi che gli vennero rivolti dai due colleghi lo fecero arrossire. -Bhe … Allora … A dopo. Ciao.- Riuscì solo a borbottare, sparendo nell’ascensore.
-Dubito che dormiranno molto, quei due!- Rise Kate, accompagnata da Tony.
-Puoi scommetterci! La nostra Abby è una creatura della notte … Per lei la sera è appena iniziata!- Rimasero a ridacchiare ancora per qualche minuto, prima che un dubbio salisse alla mente di Kate.
-E Gibbs, dove è andato a dormire?-
-Da Ducky. Se non sbaglio ci tiene tutto il necessario per passarci le nottate.- Il cervello di Kate si impietrì. Dunque lei adesso avrebbe passato la notte, o meglio, quel che ne restava, da sola con Tony? Con un movimento robotico, spostò la testa verso il collega. Questi si stava tranquillamente stiracchiando. Dava ad Abby della creatura della notte, ma lui, era poi tanto diverso?
-Kate, cosa c’è?- Domandò l’agente, sentendosi osservato.
-Niente! Pensavo!- Si affrettò a rispondere la mora, distogliendo velocemente lo sguardo. Troppo velocemente. Tony lo aveva notato. E non aveva intenzione di lasciarsi scappare l’occasione di farsi due risate alle spalle della collega.
-E a cosa pensavi, Kate?- Domandò l’agente avvicinandosi, il suo sorriso da presa per i fondelli più malizioso del solito.
-Nulla che t’interessi, Dinozzo.- Ribatté Kate, cercando di mantenere una facciata seria.
-Ma davvero?- Tony si avvicinò ancora di più. Kate si ritrovò ad indietreggiare sotto il suo sguardo.
-Sì. Davvero.- Oramai era andata a finire contro la scrivania.
-Perché non mi dici che cosa hai pensato, così potrò dirti se è interessante o meno?- Ora i due erano davvero vicini.  Kate era appoggiata sulla scrivania, e Tony era a pochissima distanza da lei. Poteva sentire il calore emanato dal suo corpo, in quell’aria fredda. Ormai da parecchi secondi gli occhi verdi dell’uomo erano cambiati. Non erano più quelli maliziosi e furbetti di quando la stava prendendo in giro. Assolutamente. Non ricordava che lui l’avesse mai guardata così. Quello sguardo, così intenso, che lo aveva visto spesso puntare sulle altre donne, su di lei non l’aveva mai posato. E lei era lì, immobile, completamente catturata da quegli occhi verdi, magnetici. Quasi senza che se ne rendesse conto, il volto di Tony era arrivato a pochi millimetri dal suo. Il cuore perse dei colpi, poi cominciò a batterle all’impazzata. Esattamente come quando erano nell’auto. La sua capacità di pensiero era come lontana miglia e miglia, la mente occupata a registrare ogni sensazione. Le loro labbra stavano per sfiorarsi, quando, come se avesse preso la scossa, Tony si allontanò di scatto, lasciando Kate tra l’allibito, il sollevato e il deluso, in un’inspiegabile mix di emozioni contrastanti. Evitando accuratamente di guardarla, Tony si diresse al suo giaciglio provvisorio.
-È tardi … Buonanotte!- Prima di permettere a Kate di ritrovare la voce per dire qualcosa, l’uomo era già scomparso dietro la scrivania. Passarono cinque minuti buoni, prima che la mora trovasse la forza di far di nuovo connettere il cervello, e di conseguenza infuriarsi. Ma, nonostante l’istinto omicida le suggerisse di spaccare immediatamente la testa al collega, decise di andare a dormire. Anche se era furiosa, non intendeva perdere altre ore di sonno. Specie per colpa di Anthony Dinozzo. Fu quindi maledicendo ogni persona che conosceva, da Abby, a Gibbs, a Tony, in particolare quest’ultimo, che si accinse ad entrare nel mondo dei sogni, sicura che la rabbia e le emozioni appena provate, non gli avrebbero concesso tregua. Invece, Morfeo arrivò senza problemi, facendola scivolare in un sonno privo di sogni, regalo della stanchezza. Dalla sua postazione, Tony cercava con tutte le sue forze di far tacere quel ronzio che gli corrodeva la testa. Era stato un idiota. Un perfetto, autentico, enorme idiota! Me che diavolo gli era saltato in mente?! Stava per baciarla. Di nuovo! Cavolo, era la seconda volta nel giro di qualcosa come ventiquattrore! E stavolta la domanda che gli rimbalzava nel cranio non era “cosa diavolo mi è preso?”, ma “perché diavolo mi sono fermato?”. E soprattutto … Quante gliene avrebbe detto Kate appena svegli? Non gliel’avrebbe fatta passar liscia. Non stavolta. Non faceva alcuna fatica ad immaginarsela, mentre gli urlava a squarciagola coma aveva osato eclissarsi in quel modo, senza una spiegazione, con la patetica scusa dell’andare a dormire. Stava letteralmente prendendo a testate la giacca appallottolata che doveva fungere da cuscino, quando alcuni lievi lamenti attirarono la sua attenzione.
-Kate?- Senza fare rumore, l’agente si alzò in piedi, e si diresse alla scrivania della collega. Il lamento veniva da lì. Cercò di chiamarla di nuovo. Nessuna risposta. In punta di piedi, diede una sbirciatina oltre le scrivania. Un sorriso carico di tenerezza si disegnò sul volto dell’uomo. Kate stava parlando nel sonno. Il sorriso divenne maligno: altro materiale per le sue battute … Kate si girò su un fianco, borbottando qualcosa. Curioso di sapere cosa sognasse la collega, Tony tese l’orecchio, concentrandosi per capire cosa stesse dicendo. Dopo alcuni borbottii incomprensibili, finalmente riuscì a comprendere qualcosa.
-Tony …- L’agente rimase perplesso: Kate lo stava chiamando in sogno? Bhe, doveva essere per forza un bel sogno, se c’era lui … Pensò, con una punta d’orgoglio.
-Caro Dinozzo, hai fatto colpo …- Ridacchiò tra sé, attento a non svegliare la donna.
-… Sei un idiota.- Continuò Kate, sgonfiando l’autostima di Tony.
-Ma quale novità  mi racconti, Kate!- Sibilò irritato in risposta. Poi si accorse che Kate stava tremando. L’agente Dinozzo dovette ammettere che la temperatura non era delle più miti. Con un sospiro rassegnato, Tony prese la sua giacca-cuscino, e con delicatezza la mise a mo di coperta sulle spalle della mora. Pochi istanti dopo, un lieve ed involontario sorriso si disegnò sulle labbra di Kate. I borbottii smisero, e Tony rimase a contemplarla ancora per qualche minuto, incantato. Quando le palpebre però minacciarono di chiudersi da sole, l’agente fu costretto a tornare al suo giaciglio, se così si poteva chiamare una striscia di pavimento dietro ad una scrivania. Mentre scivolava nel sonno, accompagnato da respiro regolare dell’agente Todd, Tony non riuscì a non pensare che, in fondo, non era poi tanto male, passare la notte in ufficio.
-Buona notte, Kate …-

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Senza fare rumore, la donna si avvicina al divano. Richard e Cassidy si sono addormentati davanti alla TV. Un sorriso carico di tenerezza si disegna persino sui suoi occhi, mentre, con naturalezza, adagia una coperta sui due. Premurosamente, rimbocca i lati del tessuto, per evitare che i due possano avere freddo. La piccola ha un sorriso dolcissimo sul volto. Corruga solo leggermente la fronte, quando, istintivamente, la donna le fa un carezza su una guancia. Questa sorride, intenerita. Poi passa il suo sguardo sull’uomo. Anche il suo volto è sereno. Poche volte lo aveva visto dormire così, se non quando era sotto farmaci. Accarezza anche lui, come per dargli la buona notte. Poi la donna si dirige verso la camera da letto. Ma prima si volta ancora una volta, per godersi quel quadretto che tanto aveva sognato poter costruire, e che adesso era lì, davanti ai suoi occhi grigi, di solito così freddi. Una tiepida fiamma, ora, li riscalda con vigore, mentre sente che ciò a cui anela di più sta per avverarsi.

-Fine capitolo 7-

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Capitolo 8
*** Un brutto presentimento ***


explosion8 Azione, finalmente!!! non moltissima, ma spero che possa piacere ...

EXPLOSION
-Capitolo 8-
Un brutto presentimento.

Alcuni tiepidi raggi di sole entrarono nell’ufficio dell’NCIS, illuminando il locale ancora vuoto. Un calmo silenzio regnava tra le scrivanie, se si escludeva il lieve russare dell’agente Dinozzo e il respiro regolare dell’agente Todd. A distruggere quella piccola oasi di pace domenicale, ci pensò la vivace allegria di Abby, che se ne uscì dall’ascensore tenendo in mano un vassoio con mezza dozzina di bicchieroni fumanti e altrettante brioche calde.
-Ehilà! Com’è andata la serata?- Trillò la dark appoggiando il suo carico sulla scrivania di Kate, che si tirò su con un brontolio. Come un vampiro che usciva dalla bara, la mora spuntò da dietro la propria scrivania, i capelli arruffati e gli occhi ancora addormentati. Le due donne si fissarono per qualche istante. Poi Abby scoppiò a ridere in faccia all’amica.
-Cosa c’è da ridere?- Mormorò Kate, la voce impastata dal sonno e il cervello ancora troppo rattrappito per arrabbiarsi.
-Dovresti avere uno specchio! E pensare che pensavo di essere io, quella coi capelli assurdi …- Con un’espressione interrogativa, la mora prese lo specchietto che Abby gli stava porgendo. Un gridolino di spavento per la condizione della propria pettinatura, e tra le risate della dark, si affrettò a lisciarsi i capelli scuri. Una volta resi i capelli presentabili, Kate prese uno dei bicchieri che Abby le porgeva, ancora scossa da qualche risata fuori controllo. Il caffé, profumato e bollente, scese lungo la gola dell’agente, scaldandole ogni fibra del corpo e cacciando ogni residuo di sonnolenza.
-Allora? Dormito bene?- Domandò Abby, assistendo alla rinascita dell’amica.
-Abbastanza … Per quanto si possa dormire bene sul pavimento!- Borbottò seccata Kate.
-Sul pavimento … Da sola?- La malizia trasudava da ogni sillaba della dark. Kate la fissò interrogativamente.
-Certo, da sola! Con chi vuoi che abbia dormito? Non vedi che ci sono solo io?-
-Adesso sì … Ma prima?- Sorrise perfida Abby. Il trucco nero e la smorfia di pura, maliziosa presa per i fondelli la fecero sembrare agli occhi di Kate un autentico demonio, e non la cara amica che conosceva. Mentre l’agente Todd continuava a far finta di nulla, la dark passò dietro la scrivania dell’amica e tirò su, con espressione trionfale un cappotto. -E di questo, che mi dici?- Kate osservò per qualche istanti il capo, prima di riconoscerlo.
-Ma … È il giubbotto di Tony!-
-Visto? Lo sapevo! Lo sapevo!- Cominciò a cantilenare la scienziata saltellando di qua e di là, e inchinandosi di fronte ad un pubblico invisibile. Kate invece continuava a fissare la giacca senza capire. Ricordava di aver avuto freddo, la sera prima, e ad un certo punto non  ne aveva più avuto … Ma non si ricordava di aver ricevuto la giacca da Tony … Che gliel’avesse data mentre lei stava dormendo? In tal caso, non poteva fare altro che commuoversi. Non avrebbe mai immaginato che Tony fosse capace di un gesto così dolce … Ora non voleva neppure immaginare quanto gliel’avrebbe menata, in proposito … Solo allora Kate notò l’assenza del collega. Dove diavolo si era cacciato il suo incubo quotidiano? Fece per chiederlo ad Abby, ma un lieve russare proveniente dalla scrivania di Tony glielo fece individuare. Sempre tenendo in mano il suo caffè, la mora diede un’occhiata dietro la scrivania. E con stupore trovò il collega ancora tranquillamente addormentato al suo posto.
-Non ci credo! Ma come fa a dormire ancora?-
-Vuoi che ti faccia vedere come lo sveglio?- Domandò Abby, mostrando sorridente a Kate un biecchierone di caffè fumante.
-Non vorrai rovesciarglielo addosso?! È roba da ustione!- Abby sorrise ancora di più di fronte alla preoccupazione dell’amica.
-Non farei mai una cosa del genere al nostro Tony! Guarda e impara …- Con un gesto rapido, la dark tolse il coperchio al bicchiere. Un lieve vapore, ed un intenso profumo di caffé ne uscì fuori. Delicatamente, stando ben attenta a non versare neanche una goccia del liquido bollente, Abby fece passare quasi sotto il naso di Tony il vapore profumato. Come per incanto, l’agente Dinozzo cominciò a dare segni di vita. Allora Abby allontanò il bicchiere. Come un topolino che segue il formaggio, ancora addormentato, Tony seguì l’effluvio, finché non aprì gli occhi.
-Ditemi che è davvero caffé!- Esclamò per prima cosa, facendo passare lo sguardo da Abby al bicchiere.
-Buongiorno anche a te, Tony!- Lo rimbeccò subito Kate, mentre l’agente si alzava in piedi, stiracchiandosi.
-Visto? Non è necessario essere violenti …- Rise la dark rivolta alla mora, mentre Tony, da bravo bambino, veniva premiato col suo caffé. Kate alzò le braccia in segno di resa. Tony intanto aveva posato gli occhi sulle brioche calde che accompagnavano i caffé. Con un sorriso, Abby gliene porse una.
-Abby, sei il mio angelo nero preferito …- Esclamò l’uomo, riferendosi allo strano teschio corredato da ali nere sulla maglia della scienziata.
-Angelo nero … Mi piace questa definizione … Potrebbe essere il tema del mio nuovo tatuaggio …- Cominciò a rimuginare la dark.
-Vuoi fartene un altro?- Domandò Kate. Tony alzò gli occhi al cielo, e con la bocca piena, si allontanò di qualche passo dalle due donne, che avevano iniziato a far salotto. A quell’ora del mattino non avrebbe potuto davvero resistere ad una conversazione puramente femminile. E tanto meno a tatuaggi e simili. Proprio allora, Gibbs fece il suo ingresso dall’ascensore, già munito del suo bicchiere di caffeina pura.
-Buongiorno, capo …- Lo salutò Tony, che venne quasi ignorato.
-Non siete ancora pronti?- Il tono di Gibbs non permetteva repliche. -Vedete di muovervi! Abby, voglio che mi rivolti come un calzino quella bomba e lo zaino che la conteneva, Dinozzo e Todd, sbrigatevi. Dobbiamo appostarci davanti alla scuola.-
-D’accordo, capo!- Esclamarono in coro i tre presenti, che già stavano scattando al proprio lavoro, quando l’ex marine sembrò notare un particolare.
-Che fine ha fatto McGee?- Tony e Kate si voltarono contemporaneamente verso Abby. Il “pivello” aveva passato la notte nel suo regno, quindi era lei che doveva sapere che fine avesse fatto.
-Ehm … Stavo per portargli il caffé …- Cercò di sdrammatizzare la dark. Gibbs la fissò per qualche istante prima di riprendere a parlare. Il tono di voce era più esasperato che arrabbiato.
-Non voglio neppure immaginato cosa avete combinato stanotte, Abby, ma voglio subito l’agente McGee al lavoro.- Abby si mise sulla difensiva.
-Ti assicuro che non abbiamo fatto nulla di sconcio …- Gibbs la interruppe subito.
-Ho detto che non lo voglio sapere, Abby!-
-D’accordo, capo …- Sospirò la dark, girando i tacchi. Non prima di essersi presa una brioche, ovviamente. Kate e Tony si lanciarono un’occhiata, per poi scuotere contemporaneamente la testa. Non sarebbe cambiata mai.
-Cosa ci fate voi due ancora lì? Muovetevi!- Ringhiò Gibbs, scatenando una sorta di fuggi fuggi tra i due agenti, che si precipitarono a indossare giacche e cappotti. Tony si fermò spaesato davanti alla sua scrivania.
-Dove diavolo ho messo la giacca?- Subito l’indumento gli cadde in testa. Seccato, si volse, e si trovò davanti Kate. Allora gli tornò in mente della sera prima. E si chiese come mai Kate non lo avesse ancora subissato di urla di ogni genere. Rassegnato, Tony attese le urla. Ma la collega gli passò tranquillamente accanto.
-Grazie.- Sussurrò la mora, mentre prendeva la strada dell’ascensore, lasciandolo basito.

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L’uomo qualunque non avrebbe voluto farlo. No, proprio no. Non era bello lasciare Cassidy da sola. Dopo tutto il tempo che aveva aspettato per rivederla, poi … Ma aveva un compito. E doveva portarlo a termine. Glielo doveva. Lo doveva alla donna dai grandi occhi grigi. Lo doveva alla sua Amanda. Avrebbero avuto altre domeniche mattina per andare al parco insieme. Sì, sarebbero andati al parco, tutti e tre insieme, come una vera famiglia. Sì, Amanda e Cassidy sarebbero state la sua nuova famiglia. Lui avrebbe preso sempre le sue medicine, e non sarebbe mai più stato nervoso. Gli occhi grigi di Amanda sarebbero diventati di nuovo felici, e Cassidy, la sua piccola, dolcissima Cassidy, avrebbe avuto di nuovo una madre. Sì, sarebbero stati felici, tutti e tre. Insieme. Stando ben attento a non farsi notare in mezzo agli altri genitori, Richard si guarda in giro. L’entrata della scuola è intasata dalle decine di genitori presenti per assistere allo spettacolo dei propri figli. Anche Cassidy avrebbe voluto venirci. Ma lui le aveva detto di no. E la bimba non aveva fiatato. Le recite si fanno tutti gli anni, mentre le domeniche con il papà erano quasi una novità, per lei. Erano passati troppi anni, perché potesse ricordare esattamente com’erano. Inforcando gli occhiali da sole di marca infima, l’uomo qualunque si mescola alla calca di gente intenta ad entrare.

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Con uno sbadiglio annoiato, Tony si stiracchiò. L’abitacolo dell’auto era davvero minuscolo. Ma gli ordini erano stati chiari. Non potevano usare un’auto di servizio. Troppo identificabile. E i pazzoidi con cui avevano a che fare, troppo furbi. E lui e Kate erano stati costretti ad appostarsi all’interno di una minuscola e vecchissima auto, frutto di qualche sequestro della polizia, spolverato per l’occasione. Unica cosa positiva del catorcio su quattro ruote, era la presenza di una scassatissima autoradio. L’unico canale che sembrava prendere decentemente era una stazione radio locale, ma era meglio di nulla. Almeno riempiva il silenzio formatosi tra i due agenti. Da quando si erano trovati da soli, nessuno dei due aveva proferito parola. E che cosa avrebbero dovuto dirsi, comunque? Era davvero difficile trovare le parole giuste, specie dopo quanto era quasi accaduto la notte prima. Tony lanciò un’occhiata indagatrice all’indirizzo di Kate, per spiarne l’espressione del volto. La trovò concentrata nel proprio lavoro, gli occhi puntati sulla folla di genitori e parenti diretti allo spettacolo dei bambini. Con un sospiro, l’agente speciale Dinozzo distolse lo sguardo, per posarlo su un’auto dall’altra parte della strada. All’interno, McGee e Gibbs stavano svolgendo la loro parte, controllando i passanti dall’altro lato.
-Dimmi un po’, Tony.- L’uomo si voltò stupito verso Kate. Non riusciva a credere che avesse iniziato un discorso. Specialmente senza aggredirlo.
-Spara.-
-Tu hai mai partecipato a recite scolastiche?- Un sorriso cattivello si fece spazio sulle labbra di Tony-
-Solo una volta … Ed è stata anche l’ultima.-
-Davvero? E perché? Recitavi troppo male?- Domandò la mora, continuando a far passare lo sguardo sulla gente.
-No, affatto. Solo che non mi sono presentato allo spettacolo … Ho preferito andare a giocare a calcio.-
-Panico da palcoscenico?-
-No, ideologie contrarie al contenuto dello spettacolo. Mettevamo in scena cappucetto rosso, e dovevo fare il cacciatore.-
-Contrario alla caccia?-
-Più o meno. Tenevo con il lupo. La bambina che faceva cappuccetto rosso mi stava troppo antipatica …- il sorriso contagiò anche Kate. -Se penso agli scapaccioni che mi ha tirato mio padre dopo lo spettacolo … Mi brucia la pelle ancora adesso!- La risata della mora riempì il piccolo spazio dell’auto. Una volta però passato il momento d’ilarità, l’aria tornò di nuovo greve. Con un sospiro, Tony decise di passare al dunque. Se non avessero chiarito, non solo il loro rapporto, ma il loro stesso lavoro ne avrebbe risentito.
-Kate … Per ieri io …-
-Lascia stare.-
-Eh?- L’agente pensò di aver capito male.
-Lascia stare. Non è necessario dire niente- Rispose Kate, continuando a guardare ostinatamente fuori dal finestrino. Il silenzio tornò di nuovo a pesare sui due agenti, ma stavolta Tony vi si ribellò.
-No, non è vero. C’è molto da dire. Se non ci fosse nulla da dire, staremmo a sparare cretinate come al solito. Invece siamo qui che non riusciamo neanche a guardarci in faccia!- Per la prima volta da quella mattina, Kate si voltò verso di lui. I loro occhi si incontrarono. Per un momento Kate sentì il proprio sguardo cedere di fronte a quello penetrante di Tony, ma in qualche modo riuscì a non abbassare gli occhi.
-Bene. Adesso ci stiamo guardando in faccia. E ora?- Sibilò la donna con più grinta di quanta se ne sentisse davvero addosso. Uno squillo di un cellulare. In un altro momento Kate si sarebbe messa a ridere. Ma in quel momento non era davvero dello stato d’animo adatto. Senza distogliere lo sguardo, Tony rispose alla chiamata. Non aveva bisogno di guardare il nome sul display, per sapere chi lo stava chiamando.
-Sì, capo?- la voce di Gibbs uscì gracchiante dall’apparecchio.
-Guarda alla tua destra chi abbiamo, Dinozzo.- Abbandonando il confronto con Kate, Tony guardò nell’indicazione dettagli da Gibbs. Un uomo con addosso un lungo soprabito e un paio di occhiali da sole si guarda intorno, cercando di mescolarsi tra la folla. -Noti nulla, Dinozzo?-
-Non ha bambini con sé. E non parla con nessuno.-
-Esatto.-
-Entriamo in azione, capo?- Una nota d’impazienza era appena percettibile nella voce dell’agente.
-Non ancora.- Rispose Gibbs. -C’è troppa gente in giro. Sarebbe rischioso. Aspetta che gli agenti in borghese siano in posizione.- Tony li individuò senza difficoltà. Appostati agli angoli della strada, in gruppetti o coppie da due o tre elementi, si confondevano tra la folla, simili a parenti in attesa di assistere allo spettacolo dei bambini. Tony li conosceva uno per uno. Non bene come McGee o Kate, ma ne conosceva nome e cognome. Li aveva istruiti lui stesso, quella mattina, prima di uscire dal quartier generale, mentre Gibbs faceva una bella lavata di testa a McGee per il ritardo. Anche Kate li aveva visti. E quando Tony tolse la sicura alla pistola, capì che il momento di entrare in azione era vicino.

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L’uomo qualunque si guarda intorno, incerto. Ha una brutta sensazione. Attorno a lui, le persone continuano a camminare, tranquilli, chi chiocceranno a piccoli gruppi, chi a coppie. L’uomo dà un’occhiata all’orologio. Le dieci. La maggior parte dei genitori e parenti si è già andata a sistemare all’interno della scuola. Lo spettacolo sarebbe iniziato da lì a pochi minuti. E allora perché c’era ancora tanta gente in giro? Agitato, Richard fa passare lo sguardo da un passante all’altro. Ad un tratto, intuisce ogni cosa. Tutte le persone che stanno lì attorno, hanno l’inconfondibile gonfiore di una pistola sul fianco. L’ansia fa breccia nell’uomo qualunque, mentre riconosce in ogni passante un poliziotto. Il respiro è diventato rapido, ansante. Comincia a fare qualche passo indietro, quando dalle uniche due macchine parcheggiate davanti alla scuola, escono due coppie di agenti. Quello che sembra il capo, un uomo dai capelli grigi, grida tenendo in mano una pistola.
-Fermo!!! NCIS!!!- Ignorando l’ordine, Richard O’Connell comincia a correre. Ma viene quasi subito bloccato da quelli che fino a poco prima credeva semplici passanti. Ognuno sfodera la sua arma, e ripete l’ordine. L’uomo qualunque è stupito, confuso. No, questo non era nei piani. No davvero. Lei non l’aveva previsto. Cosa deve fare? Cosa deve fare?
-Richard O’Connell.- È di nuovo quello che sembra il capo. -Si arrenda. È circondato.- Questo, l’uomo qualunque lo può vedere anche da solo, sbirro. Lo sguardo perso sulle pistole puntate su di lui. Ed è un momento. La decisione di un secondo, della disperazione profonda. No, non lo avrebbero preso. Non lo avrebbero rinchiuso di nuovo in quella prigione di pastiglie e calmanti. Non adesso che è a così poco da raggiungere il suo obbiettivo. Non adesso che la sua piccola Cassidy è tornata nella sua vita. Con un gesto rapido, estrae dalla giacca una pistola, e spara sugli agenti davanti a sé. Qualcuno cade a terra. Gli altri, sorpresi, si scansano, lasciandogli la via libera. Ignorando i proiettili che fischiano a poca distanza dalla sua testa, l’uomo qualunque si dà alla fuga.

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-Bastardo!- Ringhiò Gibbs, furioso. Lo aveva mancato. Come diavolo aveva fatto? Quando mai un tiratore come lui mancava l’obbiettivo? Si sarebbe preso a scappellotti da solo, ma non c’era tempo. Doveva prima prendere quel tipo. Si fermò giusto quel tanto che bastava per accertarsi che gli agenti colpiti da O’Connell stessero bene, poi partì all’inseguimento. Non dovette neppure chiamare i suoi uomini. Kate, Tony e McGee erano già dietro di lui, gli sguardi decisi, e la pistola in pugno. Con un lieve sorriso dettato dall’orgoglio, l’ex marine corse dietro al ricercato. Questi, non appena vide gli agenti inseguirlo, si voltò e sparò alcuni colpi. Rapidi, i quattro si gettarono di lato per schivare e rispondere al fuoco. Questione di pochi secondi, che però diedero all’uomo la possibilità di infilarsi in un vicolo. Quando anche gli agenti lo imboccarono, però, si trovarono davanti una brutta sorpresa. Il vicolo sfociava in un cortile, da cui si diramavano altri due viottoli bui. Impossibile indovinare quale dei due avesse imboccato l’uomo qualunque.
-Cosa facciamo, capo?- Domandò McGee con un filo di voce. Gibbs lanciò un’occhiata alle due vie. Un’imprecazione riuscì a sfuggire dalle labbra sigillate.
-Tu e Dinozzo andate a destra. Io e Todd a sinistra.- Con un cenno, Tony e Tim si addentrarono nel vicolo. Pochi secondi dopo, Gibbs e Kate fecero la stessa cosa, dirigendosi nell’altro.

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L’uomo qualunque ansima, spaventato. Non poteva davvero immaginare di finire in una situazione del genere. No, proprio no. Il vicolo era sembrato sicuro, all’inizio. Ma lo sa, gli sbirri non si arrenderanno tanto facilmente. Non dopo che ha sparato ad alcuni dei loro. Un forte tremolio lo attanaglia, rendendogli difficile anche tenere in mano la pistola. L’effetto della medicina sta per finire. Ma lui non ha tempo per prenderla, adesso. Si guarda intorno, spaesato. Il vicolo finisce proprio davanti ad una cancellata arrugginita. Non sarebbe difficile scavalcarla, ma le sue mani tremano troppo. Non riuscirebbe a tenersi aggrappato. Alcuni bidoni dell’immondizia circondati da sacchi e scatole, gli danno una speranza di rifugio. Dentro di sé sa che ritarderà solo l’inevitabile, ma non è disposto a cedere. Non ancora. Ha due ottime ragioni per farlo. Ignorando il fetore della spazzatura, Richard si nasconde in mezzo ai sacchi neri, giusto in tempo per sentire il suono di passi in avvicinamento. Stringe più forte la pistola, cercando di controllare i tremiti. Gli è rimasto un solo colpo. Non sa in quanti siano venuti a prenderlo, ma almeno uno sbirro morirà.

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-Ahia!- Il gridolino di dolore di Abby fece sobbalzare Ducky, a pochi passi da lei.
-Cosa succede?-
-Mi sono tagliata!- Piagnucolò la dark, tenendo in alto l’indice sinistro. Un sottile striscia rossa ne percorreva la larghezza.
-E come hai fatto, mia cara ragazza?- Domandò esasperato il medico, mentre, ligio alla sua professione, tirava fuori una scatoletta del pronto soccorso.
-Con questo maledetto fogliaccio! Cattivo, cattivo fogliaccio!- Sbottò Abby, indicando un foglio pieno di numeri e termini scientifici, presumibilmente collegati alle analisi dell’ultimo ordigno.
-Avanti, Abby! È solo un pezzo di carta! Non credo che abbia la facoltà di decidere o meno di tagliarti …- La ragazzo lo fissò imbronciata. -Bhe, comunque, meglio disinfettare subito, forza. In questo laboratorio ci sono più sostanze che in un laboratorio per armi chimiche.- Concluse Ducky prendendo un cerotto e del disinfettante. Dopo la partenza di Gibbs e gli altri, lui aveva deciso di dare una mano alla dark in laboratorio, in quanto la sala autopsie, era il caso di dirlo, era un vero mortorio.
-Grazie, Ducs!- Sorrise Abby, mentre un cerottino nero andava a fasciare il dito offeso.
-Immagino che ti occupi tu stessa di tenere fornita la scatoletta del pronto soccorso, vero?- Domandò il medico legale notando l’insolito colore dei cerotti. La scienziata annuì con vigore, facendo danzare i codini, mentre un sorriso esagerato si disegnava sulle sue labbra.
-Indovinato! Se ci si fa male, almeno ci si cura con stile!-
-Sei preoccupata per qualcosa, vero?- La maschera di allegria forzata che fino a quel momento aveva accompagnato la dark si sciolse. Il sorriso sparì dalle sue labbra nere, mentre non riusciva più a reggere lo sguardo del medico legale.
-Si vede così tanto?- Ducky non potè fare a meno di sorridere. Nonostante il trucco piuttosto pesante, i tatuaggi, e i teschi, Abby era persona molto sensibile. Forse molto più di altre. E mentre lo fissava di sottecchi giocherellando con il cerotto, e i codini scuri le dondolavano ad ogni movimento della testa, l’anziano non potè fare a meno di vederla un po’ come una bambina. Un po’ cresciuta, forse, e con qualche tatuaggio e borchia di troppo, ma pur sempre una bambina.
-Sei come un libro aperto per me, ragazza mia. Allora, cosa ti affligge?-
-È da stamattina che sono così, Ducky.- Rispose Abby, dopo qualche attimo d’incertezza. Il suo tono di voce era basso, strettamente confidenziale. E il dottore dovette avvicinarsi di più, per sentire bene. -Da quando McGee e gli altri sono partiti mi sento nervosa. Non lo so, è come un presentimento … Ho paura che succederà qualcosa di brutto!- la ragazza fece una pausa. -Secondo te sono pazza, Ducky?-
-Cara Abigale. Stai parlando con un povero vecchio che di tanto in tanto si mette a parlare con dei cadaveri. Direi che non sono esattamente la persona adatta a cui fare questa domanda.- Sorrise l’uomo, dopo qualche istante di riflessione. Poi, vedendo lo sguardo preoccupato della dark, si affrettò ad aggiungere. -È inutile pensarci. Gibbs, Tony e Kate sono tipi in gamba. E anche McGee lo è, seppur giovane. Non credo che ci sia molto da preoccuparsi per loro. Per quel che riguarda quel dinamitardo, invece … Credo che avrò un nuovo paziente!- Un sorriso fece finalmente capolino sulle labbra della dark, che comunque non si sentiva affatto tranquilla. Il senso d’inquietudine che l’aveva accompagnata per tutta la mattina, permaneva.

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Con un cenno del capo, Tony fece capire a McGee di stare fermo. Anni di esperienza gli avevano insegnato a stare ben attento ai vicoli, specie a quelli apparentemente deserti. Un’imboscata era sempre possibile. E forse il loro uomo aveva un complice. Meglio essere prudenti. Tenendo la pistola puntata davanti a sé, fece qualche passo. Nessun suono né movimento sospetto. Si volse di nuovo verso McGee, in attesa. Un semplice movimento della testa. Via libera. Avanzarono rapidi per qualche metro, attenti a non restare troppo a lungo allo scoperto. Tony sempre qualche passo avanti. Le parole di Gibbs ancora ben incise nella testa.
“Sei tu l’agente più anziano. La vita di ogni altro membro dell’NCIS che si trova con te fuori dal dipartimento, è sotto la tua responsabilità. Specialmente se io non ci sono!”
E lui lo sapeva, accidenti! Lo sapeva benissimo! Per questo non avrebbe permesso al “pivello” di passargli avanti, anche a costo di fare il solito gradasso menefreghista. Perché, a giudicare dall’espressione seccata di McGee, era proprio quello che doveva apparire in quel momento. Doveva essere frustrante, stare sempre in secondo piano, specie in operazioni come quella. E Tony lo capiva perfettamente. Ma capiva anche che McGee era un agente da relativamente poco tempo, e non possedeva abbastanza esperienza. Molto presto sarebbe stato in grado di gestire da solo quelle situazioni, ma per il momento, era meglio che stesse nelle retrovie. Avanzarono ancora per alcuni minuti che parvero anni, i sensi pronti a captare ogni singolo movimento o suono sospetto. Finché non giunsero alla fine del vicolo. Un agglomerato putrescente di bidoni della spazzatura, ricolmi di sacchi neri, tanto che questi, in alcuni punti, ne erano sommersi. Una vecchia cancellata arrugginita, non più alta di due metri, facilmente scavalcabile, chiudeva il passaggio.
-Merda! Ci è scappato!- Esclamò McGee, rimettendo la pistola nella fondina.
-Non pensavo che tu fossi in grado di usare certi termini, pivello!- Ridacchiò Tony, ben felice di poter stemperare la tensione. -Ma non mettere ancora via la pistola, non …- In quell’istante, l’agente vide un movimento tra i sacchi scuri dell’immondizia. Non fece in tempo ad avvertire il collega più giovane. Il lampo dello sparo, e McGee cadde a terra.

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-Ma che diavolo …- Kate lasciò l’esclamazione a metà, mentre nell’aria, al rumore del primo sparo, si aggiungeva quello di altri due, in rapida successione. Gibbs non perse tempo a rispondere. La sua mente stava già galoppando tra le ipotesi più pessimistiche che la sua fantasia potesse partorire. Con uno scatto, si diresse di corsa nella direzione presa da Tony e McGee. Kate gli fu subito dietro, il cuore che minacciava di sciogliersi per l’angoscia. Non sapevano chi avesse sparato quei colpi. Ma una cosa era sicura. Qualcuno era stato colpito. Restava da vedere chi.

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Ansimante, mise via la pistola. Poteva sentire il sangue pulsargli alla base della testa. La scarica di rabbia e adrenalina che gli aveva lasciato la sparatoria, si era come dissolta, come un fiumiciattolo primaverile, che si asciuga all’arrivo dell’estate, lasciandolo come un canale vuoto. Le emozioni della lotta, lo avevano spossato. Rimase a guardare il proprio lavoro per qualche secondo, finché un lamento alle sue spalle non attirò la sua attenzione. Allora Tony si voltò verso McGee, che si teneva la spalla. Sul tessuto dell’impermeabile, era visibile un foro, da cui usciva copioso un rivoletto di sangue. Bastò un’occhiata più ravvicinata, per capire che il proiettile non aveva fatto danni. Con sorriso sollevato, l’agente speciale Dinozzo si chinò verso il collega, che si era messo seduto, con la schiena appoggiata al muro.
-Stai calmo, pivello. Il proiettile è passato dall’altra parte. È poco più di un buco. Nulla di cui preoccuparsi. Un paio di settimane e sarai come nuovo.-
-Dici sul serio?- lo sguardo preoccupato e al contempo dolorante di McGee fece sorridere ulteriormente l’agente.
-Prima volta che ti sparano, vero pivello?- Timidamente, Tim annuì, senza parlare. -Anche a me la prima volta, beccarono alla spalla.- Il tono confidenziale di Tony stupì McGee, che alzò di scatto la testa. Movimento di cui si pentì subito. Una nuova raffica di dolore era partita dalla spalla sinistrata.
-Sul serio?- Riuscì a domandare, una volta ripreso fiato. L’agente più anziano annuì. -E … Come ti sentivi?-
-La verità? Soffrivo come un cane.- Rispose in tutta schiettezza Tony, continuando a sorridere. Un mezzo sorriso contagiò anche McGee. Per la prima volta in vita sua, era davvero grato a Tony del suo senso dell’umorismo. Proprio in quel momento, arrivarono Gibbs e Kate. Sul volto di quest’ultima, era evidente la preoccupazione, e il sollievo nel vederli vivi. Gibbs, invece, appariva una roccia. Non un solo mescolo del viso inteso a dar segno di preoccupazione. Ma non appena vide i suoi due agenti quasi incolumi, un sorriso fuggevole gli comparve sulle labbra.
-E O’Connel?- Domandò a Tony, che indicò il cumulo di rifiuti in cui l’uomo qualunque si era nascosto. Mentre Kate si dava da fare a chiamare un’ambulanza, Jhetro si avvicinò al cumulo di rifiuti. Raggomitolato attorno ad un sacco nero, Richard O’Connell lo fissava, il braccio e la gamba destri trapassati da un proiettile. Impossibilitato a muoversi e a difendersi, si era rannicchiato tra la spazzatura, scosso da tremiti. La pistola, ormai scarica, a pochi passi da lui. L’uomo qualunque aveva finito al sua fuga.

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Non appena McGee fece il suo ingresso al laboratorio, un tornado nero coi codini lo investì, rischiando di stritolarlo. Solo l’urlo disumano del povero agente, convinse Abby a lasciarlo subito, ma solo per qualche istante.
-Scusa McGee!!!-
-Il braccio …- Mormorò il ragazzo. La spalla era stata debitamente steccata e bendata sul posto della sparatoria, e Gibbs lo aveva spedito dritto dritto alla centrale.
-Scusami!- Mormorò nuovamente la dark, abbracciando il più delicatamente possibile Tim.
-Di nulla …- Rispose questi, ben felice della situazione. Non erano molte le occasioni di farsi abbracciare da Abby durante l’orario di lavoro …
-Hai bisogno di qualcosa? Da bere, da mangiare, un massaggino …- Cominciò a domandare a raffica la ragazza, dopo aver sciolto delicatamente l‘abbraccio. McGee in cuor suo non avrebbe rifiutato il massaggio, ma prima di poter rispondere, fece la sua comparsa nel laboratorio Gibbs, seguito da Tony e Kate.
-Abby, ci giochi dopo all’infermiera. E soprattutto non in mia presenza.- A malincuore, la dark abbandonò il suo paziente, per rivolgere la sua attenzione all’ex marine.
-Va bene, grande capo dal cuore di pietra. Cosa ti occorre?-
-Tutto quello che hai scoperto dalla bomba inesplosa.- Sorrise Gibbs togliendosi il berretto blu dell’NCIS. Schioccando le dita, la ragazza si diresse al tavolo metallico, su cui stavano i reperti.
-Sarà fatto, capo.- Non appena fu sicura che tutti i membri della squadra le stessero prestando attenzione, Abby iniziò ad esporre le sue scoperte. -Sostanzialmente, abbiamo lo stesso identico modello di bomba che ha fatto quasi saltare in aria il nostro Tony.- Con un sorriso indicò l’agente, che fece spallucce. Un coro di tre paia d’occhi lo stavano fissando con odio. -Solo che questa bomba era già stata programmata per esplodere attorno alle undici di questa mattina. Mentre l’altra ha cominciato il conto alla rovescia dopo che Tony ha tirato la cordicella.- Di nuovo gli occhi fiammeggianti degli altri agenti si riversarono su Dinozzo. -I componenti sono sempre gli stessi, dai pezzi dei detonatori, alla scatola che li conteneva, al tipo di materiale esplosivo.-
-Tutto qui, quello che hai da dirci?- Borbottò Gibbs, sicuro della reazione della scienziata.
-Non ho ancora la capacità di proiettarti nella mente quello che so, Gibbs!- Sibilò di rimando Abby, il proprio orgoglio da scienziata ferito.
-Allora stupiscimi.-
-Le sostanze usate per l’esplosivo sono le stesse prodotte dall’impresa per il fai da te per cui lavorava O’Connell. E …-
-E …?- La chiara nota d’impazienza nella voce dell’ex marine fece sorridere malignamente la dark.
-E … Sullo zaino in cui stava la bomba ho trovato tracce di sabbia, mattoni e altri materiali per l’edilizia. Probabilmente il nostro uomo ha appoggiato la sacca vicino ad un cantiere, o in un posto in cui stanno costruendo qualche edificio.- Gibbs scosse la testa.
-Abby, hai la minima idea di quanti cantieri ci siano in zona?-
-Qualche centinaio, senza contare i piccoli lavoretti di privati …- Mormorò la ragazza, mogia mogia. Un sospiro di delusione partì da tutti i presenti. Erano di nuovo al punto di partenza. I tipi di materiali elencati da Abby erano di tipo industriale, più comuni dell’aspirina o della coca cola. Non potevano far altro che aspettare la chiamata dell’ospedale. Non appena O’Connell fosse stato in grado di reggere ad un interrogatorio, sarebbero stati avvertiti. Ma non nutrivano grandi speranze su quella pista. “L’uomo qualunque” si era dimostrato tutt’altro che comune, e anche Gibbs aveva seri dubbi sul fatto di riuscire a strappargli la benché minima informazione. Glielo aveva letto negli occhi. Freddi, inespressivi, senza segno alcuno di pentimento o paura, mentre i paramedici lo issavano sull’ambulanza. Il silenzio in cui era caduta la squadra venne placato dal suono del telefono di Gibbs. Questi rispose con tono stanco.
-Gibbs.- nei pochi attimi in cui la persona all’altro capo dell’apparecchio parlava, il volto dell’ex marine cambiò di colpo. Gli occhi azzurri scintillarono, inondati da una luce che i suoi agenti ben conoscevano. Quella che caratterizzava Jhetro Gibbs quando aveva una pista da seguire. Senza neppure salutare il suo interlocutore, l’agente chiuse la telefonata, e si diresse a lunghi passi verso l’uscita del laboratorio. -Todd! Dinozzo! Con me! McGee, tu resta con Abby.- Un sorriso sadico aleggiò sulle labbra della dark. Sorriso che Gibbs notò, aggiungendo: -Ah, Abby … Ricordati che McGee non è un giocattolo.- La ragazza sbuffò contrariata, mentre Tim tirava un sospiro di sollievo, e Tony e Kate se la ridevano, mentre seguivano il loro superiore fuori dal laboratorio.
-Cosa succede, Capo?- Domandò Tony una volta all’ascensore.
-Abbiamo una segnalazione.- Spiegò l’agente Gibbs calandosi il berretto sulla testa. -Cassidy O’Connell è stata avvistata a due isolati dalla scuola.-

-Fine capitolo 8-

Ancora tre capitoli, e la fic è finita ... sono quasi triste ... mi mandate qualche commentino, giusto per rallegrarmi un pò? graaaaaazie ....

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Capitolo 9
*** Uscita di scena ***


explosion9 EXPLOSION
-Capitolo 9-
Uscita di scena.

Erano appena arrivati all’auto, quando il cellulare di Gibbs suonò nuovamente.
-Gibbs.- Rispose senza entusiasmo l’agente. Aveva addosso l’impazienza della caccia, e quella chiamata lo aveva colpito come una doccia fredda. Kate e Tony rimasero in disparte per qualche istante, in attesa. Forse quella chiamata poteva voler dire una nuova segnalazione. Quando Gibbs agganciò, il suo sguardo era scuro. Senza neppure guardare in faccia i suoi agenti, salì in auto e fece partire il motore.
-Novità, capo?- Domandò Tony mentre prendeva posto accanto al superiore.
-L’ospedale. O’Connell è in condizioni di parlare.-
-Ci vai tu?-
-Sì. Tu e Kate poi andrete all’indirizzo dove hanno segnalato la bambina. Cercate un posto dove fanno dei lavori, e la troverete.- Vi fu un momento di pausa. -Bhe? Che ci fai ancora qui?!- Scattò irato Gibbs, rivolgendosi a Kate. -Non vieni?!- Nel giro di tre secondi l’agente era seduta ordinatamente sul sedile posteriore dell’auto, con la cintura ben allacciata. E una preghiera rivolta al cielo.

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Amanda adesso è davvero preoccupata. Richard non è ancora arrivato. Eppure doveva essere lì già da qualche ora. E la cosa che più la preoccupa, è la mancanza di notizie in TV. Né i telegiornali, né le emittenti radio, danno alcuna notizia dell’esplosione. Perché lei è sicura che ci sia stata. Perché Richard non è tipo da tirarsi indietro. No, non lui. Era per questo che lo aveva scelto. Perché era in grado di passare da momenti di dolcezza assoluta, a momenti di crudeltà totale. Come il suo Johan. Un brivido le scuote il corpo magro. Forse anche per quello lo aveva scelto. Perché le aveva ricordato il suo uomo. Una lacrima rischia di scendere, ma la rigetta subito indietro. Poi si volta verso Cassidy. La bambina sta giocando con un gattino appena trovato per strada. Il sorriso torna a rischiarare le labbra sottili della donna. Nonostante sapesse quanto potesse essere pericoloso, alla fine aveva ceduto. E aveva portato la piccola a fare un giro per il quartiere. Per caso avevano trovato un gattino randagio, e Cassidy se era subito innamorata. E Amanda non aveva avuto la forza di allontanarlo. Un bambino dovrebbe sempre avere un animaletto.
-Amanda! Ho trovato il nome!- La piccola corre dalla donna, reggendo la bestiola tra le braccia.
-E quale!?- La domanda esce dolce e misuratamente curiosa.
-Francis.- Il gattino miagola, come a voler confermare le parole di Cassidy.
-Francis. È davvero un bel nome.- Sorride Amanda, grattando la testa del micio, che fa le fusa, soddisfatto.

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-È qui?- Il tono di voce di Gibbs non parve più freddo dell’atmosfera ospedaliera. Non erano passati che pochi minuti, da quando lui e i suoi agenti erano arrivati, e il medico di turno li stava scortando alla camera dov’era rinchiuso Richard O’Connell. Per evitare allarmismi tra gli altri pazienti, non erano state poste guardie, se non all’ingresso del reparto. Con la ferita alla gamba, e imbottito di calmanti, l’uomo qualunque aveva ben poche possibilità di fuggire. Il giovane medico annuì, e si apprestò ad aprire la porta, chiusa a chiave. Ma prima di riuscire a far scattare la serratura, Gibbs lo fermò.
-Un momento.- Ignorando lo sguardo interrogativo del medico, l’ex marine si voltò. -E lei cosa ci fa qui?!- A rotta di collo, stava arrivando Michela Sacks, la divisa immacolata e due profonde occhiaie scure mimetizzate da uno strato di trucco.
-Ho saputo che Richard è qui.- Rispose brevemente la donna, fermandosi di fronte all’agente. -Lui sa dov’è Cassidy.-
-Forse.- Ribatté Gibbs, l’irritazione ormai arrivata a sfiorare la rabbia. -Dobbiamo ancora interrogarlo.-
-Voglio assistere all’interrogatorio.- Disse la donna, decisa.
-Assolutamente no.- Ringhiò Gibbs. Per alcuni istanti i due si fissarono, entrambi decisi a non cedere. Ma alla fine Gibbs l’ebbe vinta, e Michela dovette accettare di aspettare fuori dalla stanza di Richard O’Connell. A Kate e Tony il compito di controllare la situazione, e al contempo stare con il guardiamarina Sacks. Passarono parecchi minuti, alla fine dei quali, dopo aver tentato in ogni modo di trovare una posizione decente sul divanetto ospedaliero, Tony decise di alzarsi. Vedendolo allontanarsi, Kate lo riprese, irritata.
-Dove stai andando, Dinozzo?!- Questi si grattò la testa e indicò un distributore in fondo al corridoio.
-A prendere un caffé. Ne vuoi anche tu?- Poi, educatamente, si rivolse a Michela. -Guardiamarina?- Come se si fosse resa conto solo allora della presenza dell’agente, la donna si voltò di scatto verso di lui, lo sguardo interrogativo.
-Come?-
-Le ho chiesto se voleva un caffé …- Con un lieve sorriso, Michela annuì, passandosi una mano tra i capelli ricci.
-Sì, grazie. È molto gentile …-
-Si figuri …- Le sorrise di rimando Tony, prendendo la via della macchinetta. Kate rimase per qualche istante soprapensiero, poi bloccò il collega.
-Tony, per me …-
-Senza zucchero. Lo so.- L’anticipò questi, facendo un cenno vago, senza neppure voltarsi. Con un moto di stizza, la mora si risedette accanto al guardiamarina Sacks. La tensione tra lei e Tony persisteva. Da quando avevano preso O’Connell, non avevano più avuto un solo istante per stare da soli e chiarirsi. In parte ne era quasi felice. Ma sapeva che prima o poi avrebbero dovuto parlarsi, e prima era, meglio sarebbe stato per entrambi.
-Avete dei problemi?- Kate sobbalzò, sorpresa dall’improvvisa domanda di Michela.
-No … Non proprio …- Ignorando il lieve imbarazzo dell’agente, la donna si richiuse nel suo silenzio. Passarono alcuni istanti, prima che Kate decidesse di aprire una conversazione.
-Guardiamarina?- Michela alzò lo sguardo sull‘agente, facendo segno di continuare. -Non sono affari miei … Ma perché non ha detto a Cassidy di suo padre?-
-Cassidy aveva già perso sua madre, e in un modo orribile. Ha idea di quanto sia sgradevole e difficile spiegare ad una bambina così piccola che sua madre è morta? E soprattutto uccisa in quel modo … Come potevo anche dirgli che era stato il suo adorato papà a fare una cosa del genere? No, non avrei mai potuto. Forse … Non volevo crederci neppure io.- Sospirò la donna, prima di riprendere a parlare. Oramai era un fiume un piena, le emozioni che la attanagliavano da quasi ventiquattrore trovavano finalmente sfogo in quella conversazione. -La verità è che volevo dimenticarmi dell’esistenza di quell‘uomo. E Cassidy doveva averlo capito, perché non mi ha mai chiesto che fine avesse fatto Richard. Non volevo che coltivasse odio verso di lui, ne provavo già abbastanza io per tutte e due.- Lacrime da tempo trattenute cominciarono a scendere senza controllo. -Mi scusi …-
-Non si preoccupi. Ha avuto una giornata dura.- Si affrettò a rassicurarla Kate, porgendole un fazzolettino.
-Grazie. È molto gentile. Come il suo collega …-
-Ah, lui lo è solo quando c’è la luna piena …- Sibilò Kate, rivolgendo uno sguardo a Tony, che stava armeggiando col distributore. Michela si lasciò andare ad una risatina.
-Siete molto legati, vero?-
-Chi? Io e quel bambino troppo cresciuto?- Fece la mora, scatenando ancora una volta l’ilarità del guardiamarina. Quando questa smise di ridere, Kate continuò. -Si nota?>
-Abbastanza.- Rispose Michela. -Credo che sia logico, con un lavoro come il vostro, dove rischiate la vita spesso … Anche con gli altri colleghi avete questo rapporto?-
-No, decisamente no!- Rispose d’impulso l’agente, accorgendosi troppo tardi dello sguardo che le rivolgeva la sua interlocutrice. Troppo simile a quello che negli ultimi tempi le rivolgeva Abby. -Insomma … Ecco …- Fantastico! Un’altra figuraccia da mettere nell’album …
-Tranquilla, agente Todd. Ho capito perfettamente.- Kate avrebbe voluto ribattere che in realtà il guardiamarina non aveva capito nulla, ma preferì non rigirare il dito nella piaga. Lei stessa non era esattamente sicura di aver capito. Che alla fine, l’unica a non capire nulla fosse proprio lei? Il silenzio si era nuovamente imposto tra le due donne.
-È … È stata dura, prendersi cura di Cassidy? Voglio dire … Così, all’improvviso, lei si è ritrovata con una bambina piccola da accudire … Non sarà stato facile.- Dentro di sé, Kate gioì. La tecnica “cambio di discorso alla Dinozzo”, funzionava egregiamente.
-No, non lo è stato.- Rispose con un sorriso Michela. -Ma è stato più semplice di quanto avrei creduto possibile. Quando guardi solo dal lato ipotetico delle cose, le difficoltà ti sembrano insormontabili. Ma quando te le trovi davanti, non puoi fare altro che darti da fare, senza perdere tempo a pensarci. E alla fine, ti rendi conto che quello che ritenevi impossibile, lo hai già superato da tempo.-
-Nessun rimpianto, quindi?- Domandò Kate mentre le parole appena dette dal guardiamarina le entravano nella mente.
-Solo uno.- Fece dopo qualche istante di riflessione Michela. -Quello di non aver mai permesso a Cassidy di chiamarmi mamma. E lei ci ha provato più volte … Non mi sembrava giusto nei confronti di mia sorella …- Le lacrime minacciarono nuovamente di scendere, ma vennero cacciate con un gesto di stizza. Era stufa di piangere.
-Il caffé, guardiamarina.- Arrivò Tony, porgendo il bicchiere fumante.
-Grazie …- Sorrise la donna prendendone un sorso.
-E per me?>-Sibilò Kate. Tony le porse all’istante il suo bibitone.
-Tieni e strozzatici, arpia! Tu a me un caffé non lo offriresti neanche se lo pagassi io!- Per tutta risposta, la mora fece una linguaccia, e si bevette un lungo sorso di caffé. Subito il viso si deformò in una maschera schifata.
-Ma … È amaro …- Tossicchiò La donna, fulminando con lo sguardo il collega.
-Perché? Non ti piace? Eppure mi sembrava che tu lo volessi senza zucchero …- Ghignò allegro l’agente Dinozzo, imperturbabile di fronte allo sguardo di puro odio di Kate.
-Senza zucchero, sì … Ma almeno col dolcificante!!! Non sono Gibbs!!!- Ignorando le risatine a malapena trattenute di Michela, che, divertita dalla scenetta, si nascondeva dietro al suo caffé, Tony si rivolse nuovamente al guardiamarina.
-Per quanto riguarda il rimpianto …- Riprese Tony, con un tono di voce più serio. -Noi le troviamo Cassidy, e lei, in cambio, ci promette che lascerà che la piccola la chiami come vuole, d’accordo?-
-È una promessa, agente Dinozzo? Troverete la mia bambina?-
-È una certezza, Guardiamarina Sacks!- Sorrise l’uomo, contagiando anche Michela e Kate. Quest’ultima pregò di poter mantenere la promessa. Da come erano messe in quel momento le indagini, non le riusciva di non avere più di un dubbio. Improvvisamente la porta della stanza dell’uomo qualunque, si aprì sbattendo, facendo uscire un imbestialito Gibbs. I due a genti e il guardiamarina fecero per domandare com’era andato l’interrogatorio, ma si trattennero. Dall’espressione assassina leggibile negli occhi dell’ex marine, non doveva essere andato troppo bene. Senza dire una parola, Gibbs fece cenno ai suoi agenti di seguirlo, e si diresse verso l’uscita dell’ospedale. Salutando educatamente la signorina Sacks, Tony e Kate seguirono il loro superiore.

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-Allora, capo, che si fa?- Domandò Tony con fare rassegnato, già prevedendo la sfuriata di Gibbs. Che infatti arrivò. Puntuale come l’influenza.
-Potresti cercarti un altro lavoro, se mi fai ancora una domanda del genere, Dinozzo.- Ringhiò l’agente speciale Leroy Jhetro Gibbs, indossando il berretto dell’NCIS e dirigendosi all’auto con cui erano arrivati.
-Reimposto la domanda, capo. Andiamo subito a cercare Cassidy o prima andiamo a vedere se alla base è arrivato qualcosa di nuovo?- Cercò inutilmente di riparare Tony, mentre Kate sorrideva perfida alle sue spalle. Senza rispondere, Gibbs salì sull’auto e accese il motore. Dinozzo fece per ripetere la domanda, ma l’ex marine lo anticipò.
-Tu e Kate andate a cercare la bambina, io vado a vedere se Abby e McGee hanno qualcosa di nuovo. Se è così, vi telefono. Altre domande idiote, Dinozzo?- Con un’alzata di spalle, l’agente si abbassò al finestrino dell’auto, per parlare meglio col suo capo.
-Sì … Se tu vai al quartier generale con questa macchina, io e Kate con cosa ci andiamo, a cercare Cassidy?- Gibbs indicò un’auto parcheggiata lì vicino, dall’aspetto vecchio e scassato. Tony e Kate la riconobbero immediatamente.
-Ma è quella che abbiamo usato stamattina per l’appostamento!- Piagnucolò la mora. Supplichevole, Tony si rivolse ancora a Gibbs.
-Dì un po’, capo, non è che ti andrebbe di far cambio? Dovrebbe essere dei tuoi tempi …- Battuta pessima. Gibbs chiuse il finestrino con uno sguardo omicida, che fece letteralmente fuggire dall’auto Tony, che schizzò accanto a Kate. Con un rombo e nessuna parola, l’auto blu partì, lasciando gli agenti Todd e Dinozzo a piedi. Questi si scambiarono un’occhiata.
-Guido io!- Esclamarono in perfetta sincronia.
-Dammi solo un motivo, Dinozzo!- Ringhiò Kate, puntando uno sguardo in cagnesco sul collega.
-Le chiavi ce le ho io!- Ghignò questi, sventolandogliele davanti. Subito iniziò un giocoso, ma non troppo, inseguimento tra i due, mentre si dirigevano al parcheggio delle auto di servizio.

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Cassidy piagnucolava da tempo, da quando Amanda l’aveva trascinata fuori di casa quasi con la forza. Voleva aspettare suo padre. Ma Richard non sarebbe arrivato, Amanda lo sapeva. La polizia lo aveva preso. Lo aveva visto poco prima in TV. Appena realizzato che aveva perso il suo complice, si era diretta in strada, trascinandosi dietro la bambina, che adesso stava piangendo, mentre la donna la tirava per la mano, facendole percorrere quasi di corsa le vie poco trafficate del quartiere. Era furiosa. Richard non avrebbe dovuto essere preso così facilmente. Lui era furbo, e senza scrupoli. Forse aveva sottovalutato gli agenti. Forse erano stati ancora più furbi di lui. Mentre nella sua mente si aggrovigliano senza logica i vari pensieri, Amanda quasi non si accorge di essere quasi arrivata. Ha lasciato il quartiere, per arrivare ad una periferia priva di abitazioni, occupata da alcune decine di grandi cantieri, in parte abbandonati. Continuando a trascinarsi dietro la bambina in lacrime, la donna si dirige verso un vecchio stabile, in parte coperto da teloni e impalcature. Amanda le ammira, sorridendo. La sagoma dello stadio è inconfondibile. Ricordi e dolori riaffiorano, dandole più forza per trascinare Cassidy all’interno del vecchio edificio.

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-Siamo arrivati.- Fece Kate, controllando l’indirizzo.
-Meno male! Ancora qualche metro e questa carretta fondeva!- Borbottò Tony, mentre l’auto rallentava con uno sbuffo. Kate sorrise tra sé e sé.
-Magari se guidavo io faceva meno storie. Sai, tendi a comportarti con le tue macchine come con le tue donne.- Tony non raccolse la provocazione. Con un sospiro rassegnato, l’uomo uscì dall’auto, chiudendo con uno scatto secco la portiera. Kate si attardò per qualche secondo, prima di imitarlo. Non erano ancora riusciti a parlarsi. Solo qualche orecchiatine. E la situazione cominciava a diventare insostenibile. Almeno per lei. Ma adesso era molto più urgente trovare qualche notizia su Cassidy. Entrambi gli agenti cominciarono a guardarsi attorno, attenti ad ogni particolare.
-Da dove partiamo?- Domandò Tony, inforcando gli occhiali da sole.
-Io direi dal chiedere ai negozianti. Magari hanno visto qualcosa.- Suggerì Kate, felice di aver qualcosa su cui concentrarsi.
-La segnalazione veniva proprio da quel minimarket lì davanti.- Disse Tony leggendo l’indirizzo. -È un punto di partenza.-
-Giusto.- Annuì la mora. Poi prese tutto il coraggio che aveva e si decise. -Ah, riguardo a quello che hai detto stamattina … Hai ragione. C’è molto da dire. E appena questo caso sarà concluso, faremo una lunga chiacchierata.- Sospirò, orgogliosa di sé stessa. Non era sicura di riuscir a dire quelle parole. Ma adesso ce l’aveva fatta. Si ricacciò all’indietro una ciocca di capelli scuri e fece per seguire il collega, ma questi si era bloccato quasi subito, fermandosi a fissarla a bocca aperta, imbambolato. -Bhe? Che c’è?- Domandò Kate, lievemente imbarazzata da quello sguardo fisso su di sé. Al rallentatore, Tony si tolse gli occhiali, rivelando gli occhi sgranati per la sorpresa.
-Mi … Mi hai dato ragione!-
-Eh? Davvero?- Fece la mora, piegando la testa da una parte, non afferrando bene il concetto.
-Tu non mi dai mai ragione!- Continuò l’agente, sempre sorpreso. Kate rimase a fissarlo imbambolata a sua volta  per qualche istante, poi scosse la testa e lo superò. Ma un lieve sorriso le era nato sulle labbra. Era come prima. Era una cosa temporanea, forse, ma almeno per il momento, tra loro sarebbe stato di nuovo come prima.
-Sei incorreggibile.- Disse solo, mentre Tony si rimetteva gli occhiali, con un sorriso enorme sulle labbra.
-Questa me la devo segnare sul calendario! Davvero!- Continuando a battibeccare tra loro, i due agenti entrarono nel negozio. Era piuttosto piccolo, ma ben fornito e piuttosto pulito. Alla cassa, una donna sulla cinquantina teneva d’occhio un terzetto di ragazzini, un po’ troppo interessati al reparto alcolici.
-La signora Hopkins?- Domandò Tony. Questa si volse verso di loro. L’agente mostrò il distintivo. -Agente speciale Dinozzo e Todd. È lei che ha segnalato Cassidy O’Connell, giusto?-
-Proprio io.- Rispose sorridendo la donna, che poi si rivolse ai ragazzi. -E in quanto a voi, scordatevi ogni tipo di alcolico. Conosco ognuna delle vostre madri! E non credo che la prenderebbero bene, se gli dicessi cosa volevate scolarvi!- Con qualche borbottio rassegnato, il gruppetto rivolse a malincuore la sua attenzione agli scaffali di coca cola e aranciata. Poi, con naturalezza disarmante, la signora Hopkins riprese la conversazione coi due agenti, che ridacchiavano di nascosto. -Avete trovato quella piccina?-
-No, purtroppo non ancora.- Fece Kate, porgendole la foto di Cassidy, per scrupolo. -Per questo siamo venuti da lei. Forse può darci ancora qualche informazione … Sa, qualche particolare che ci possa mettere sulla pista giusta, e che magari prima le è sfuggito.- La donna scosse la testa.
-Mi dispiace. Ma non posso dirvi nulla di nuovo. Ho visto la piccola questa mattina, quando è venuta a fare la spesa con quella donna. Subito ho pensato che fosse sua parente, perché la bambina non era spaventata.- Proprio allora entrò nel negozio una signora piuttosto anziana, che salutò cordialmente la commessa.
-Buongiorno, Marie.- Poi, notando i due agenti, aggiunse. -È successo qualcosa?-
-No, non preoccuparti, Hanne. I due agenti Todd e Dinozzo mi stavano solo chiedendo qualcosa sulla bambina rapita. Ma io non so proprio come aiutarli …- Spiegò la Hopkins, sospirando. Kate e Tony salutarono l’anziana, che, dopo aver passato lo sguardo su di loro e aver risposto al saluto, soffermò gli occhi sulla foto di Cassidy.
-Ma io questa bambina l’ho vista!>
-Davvero? E dove?> Domandò Kate, con un tono di voce più agitato di quanto intendesse. -Mi scusi … Volevo dire … Sa dirmi dove e quando ha visto questa bambina?- Si corresse la mora, calmandosi. La donna ci pensò su qualche secondo, con la fronte corrugata.
-Non più di un’ora fa. Era con una donna. La tirava per un braccio, e la piccola piangeva. Non so dove fossero dirette, ma la bambina non voleva andare. Lì per lì non ci ho fatto molto caso. Ha idea di quanti bambini facciano i capricci per strada, con le madri?- Un sorriso carico di tenerezza si disegnò sulle labbra dell’agente Todd, dettato all’istinto materno.
-Sa per caso dirci da che parte erano dirette?- Fece Tony, tra l’infastidito e l’imbarazzato per l’aspetto materno che stava prendendo la conversazione.
-Bhe, finché le ho viste io, si dirigevano in periferia … Verso i vecchi cantieri.- I due agenti si scambiarono un’occhiata. Sorridendo, Tony salutò le due donne, mentre Kate lo precedeva all’uscita del negozio. Appena fuori, la mora si lasciò andare ad un sorrisetto soddisfatto.
-Abby ha trovato tracce di materiali edilizi, giusto?- Tony annuì, entusiasta.
-E quale posto migliore di un cantiere, specie se abbandonato, per nascondersi?- Con un rombo malaticcio, l’auto partì verso la periferia.

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Il posto è proprio uguale a come lo ricordava. Più spoglio, polveroso e buio, ma esattamente come quello di allora. Gli stadi, alla fine, si assomigliano tutti. Cassidy ha smesso di gridare. Ora piange sommessamente, tirando su col naso di tanto in tanto. Rimane lì, ferma nell’angolo dove Amanda l’ha lasciata, troppo spaventata per muoversi. La donna osserva il posto, estasiata. Il luogo è quasi uguale a quello in cui il suo Johan è morto. Un magazzino sotterraneo di un altro stadio, in un altro luogo. Per molti giorni lei e Richard si sono rifugiati proprio lì, preparando ogni atto dello spettacolo. Ed ora era giunto il momento di concluderlo.
-Li senti, Cassidy? La squadra di casa sta vincendo.- Mormorò la donna, tendendo l’orecchio per cogliere rumori e voci che solo lei può udire. La bambina si rannicchia ancora di più nel suo angolo.
-Voglio andare a casa …-
-Casa non c’è più, piccola, lo sai. Ora questa è casa.- Risponde Amanda, avvicinandosi a due pile ordinate di taniche.
-Voglio la zia Michela … Voglio la mia mamma …- La bambina continua a piagnucolare, ignorando le parole della donna.
-NON C’È PIU‘ NESSUNA ZIA! SONO IO LA MAMMA, ORA, IO!- Urla Amanda, in presa ad una crisi. Cassidy si rannicchia più che può contro il muro, terrorizzata. Perché quella donna faceva così? Perché voleva che la chiamasse mamma? E perché la zia non si faceva sentire? Ora aveva davvero paura …

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È stufo. Davvero stufo. Richard, l’uomo qualunque, è stufo di stare lì. Stufo degli ospedali, e dei finti sorrisi di medici ed infermiere. Stufo di quel bianco ossessivo, stufo di quei medicinali, stufo di quel torpore in cui cade la sua mente ad ogni pastiglia ingoiata. L’agente dagli occhi di ghiaccio è venuto. Gli ha fatto delle domande. Ma lui non ha risposto. È a causa sua, lo sa, che la bomba non è esplosa. Ed è colpa sua, se ha deluso Lei. Ed è sempre colpa sua se adesso non può essere al parco con la sua piccola Cassidy. È furioso, l’uomo qualunque. Davvero. Odia il poliziotto dagli occhi chiari, lo odia davvero. Tanto da non sentire neppure il dolore al braccio e alla gamba. Con uno scatto rabbioso, Richard si strappa la flebo. E con un movimento fluido, si alza in piedi. Nessun dolore, nessuno. Lentamente, assaporando il fatto di non provare dolore alle ferite, in preda agli antidolorifici, si dirige alla porta. Lentamente, provocando solo un quasi inaudibile cigolio, la apre. Ignaro, l’agente di guardia gli sta dando le spalle. Febbrilmente, l’uomo passa lo sguardo dalla schiena dell’agente alla pistola che tiene sul fianco. La decisione viene presa nel giro di un istante. Lo stesso in cui con uno scatto ruba la pistola. L’agente non fa in tempo a voltarsi, perché Richard lo colpisce alla nuca, stordendolo. L’agente cade a terra, svenuto, mentre l’uomo qualunque si dirige all’uscita.

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-E così O’Connell non ha parlato, eh?- Sorrise amareggiato Ducky, mentre Gibbs ingoiava un altro sorso di caffè.
-Neanche una parola.- L’umore dell’agente non era migliorato da quando aveva lasciato Kate e Tony all’ospedale. Anzi, se era possibile, era anche peggiorato. Non riusciva a capacitarsi di non aver strappato a Richard alcuna informazione. altro che uomo qualunque! Quello era un vero professionista ne tenere la bocca cucita!
-Non dovresti prendertela  così. Se ti conosco bene, e credimi, ti conosco, riuscirai a far cantare quel tipo come un fringuello entro stasera.- Cercò di tirarlo su il medico legale, mentre il telefono sulla scrivania dell’ex marine cominciò a squillare.
-Gibbs.- Rispose, per l’ennesima volta in quella giornata, l’agente. Mentre Gibbs ascoltava la telefonata, Ducky fece per dirigersi alla sala autopsie per controllare Palmer, ma le urla dell‘ex marine lo bloccarono. -CHE COSA!? COME SAREBBE A DIRE?!- Gibbs rimase ancora per qualche istante attaccato alla cornetta, prima di gettarla con un’imprecazione.
-Oserei dire che è successo qualcosa …- Borbottò Ducky, senza curarsi troppo di nascondere una certa ironia.
-Puoi dirlo.- Sibilò Gibbs, preparandosi per andare. -O’Connell è scappato.-

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È ora di uscire. L’uomo qualunque lo sa, lo sa benissimo. E anche se vorrebbe restare ancora un po’ al riparo, sa che deve approfittare del momento favorevole per scappare. Il cortiletto dell’ospedale ora è vuoto. Nessun inserviente, nessun medico in attesa di ambulanza, nessun ragazzino a fare due tiri al solitario canestro. Di nuovo si è nascosto tra i rifiuti, e di nuovo ha la pistola in mano. Ma questa volta la sua mano non trema, è ferma e immobile come una statua. La sua mente però è in fibrillazione, eccitata dalla libertà appena recuperata, e annebbiata dai farmaci. Senza pensarci ulteriormente, Richard esce dal suo nascondiglio, e si getta in strada. Addosso ha solo il camice ospedaliero, ma non gli importa. I fumi degli psicofarmaci glielo fanno ignorare. A passi incerti si dirige in strada, quasi non udendo le grida della gente alla vista della pistola. In pochi istanti le sirene della polizia riempiono l’aria, e quasi senza che l’uomo qualunque se ne renda conto, le auto l’hanno già circondato. Eppure a lui non importa. La sua mente si sta ancora crogiolando in un senso di invulnerabilità insensato, accentuato dalla consapevolezza di essere ferito e non sentire alcun dolore. Da un’auto blu esce fuori un uomo dai capelli grigi, che gli intima di fermarsi, puntandogli addosso la pistola. L’uomo qualunque lo riconosce. Oh, sì che lo riconosce. L’agente dagli occhi di ghiaccio. L’uomo della marina. Quello che lo ha interrogato. Un brivido scendo lungo la schiena di Richard. Vuole uccidere quell’uomo. Non sa esattamente neppure lui perché, la mente troppo annebbiata, ma sa che vuole farlo.
-O’Connell. Sei circondato. Arrenditi!- All’ordine secco dell’agente, l’uomo ricorda. Quell’uomo vuole portargli via la sua Cassidy. Per la seconda volta.
-No! No, è tardi … Tanto tardi …- Sbraita Richard, muovendo a scatti la pistola sugli agenti che lo hanno circondato. Sembrano moltiplicarsi ad ogni istante.
-Tardi per cosa, Richard?- L’uomo dagli occhi di ghiaccio lo fissa, sempre tenendo la pistola sempre puntata su di lui.
-Tardi … Cassidy … Mi aspetta … Allo stadio … Partita … Fuochi d’artificio …- Le parole escono sconnesse, senza una logica apparente. Ad un tratto l’uomo qualunque non si sente più invincibile. Le ferite iniziano a formicolare. Ed i poliziotti sono tanti, tanti. Troppi. Da dove sono usciti? Perché ce ne sono così tanti?
-Di cosa stai parlando, O’Connell?- L’agente della marina continua a tenerlo sotto tiro, mentre Richard comincia a perdere totalmente il controllo.
-È tardi … I fuochi d’artificio … A Cassidy piacciono … I fuochi … Allo stadio … Devo andare … È l’ultimo atto.- L’uomo fa un passo avanti. L’agente grida. Il dito pronto a premere il grilletto.
-Fermo dove sei!- Ma oramai l’uomo qualunque non lo ascolta più. L’effetto positivo degli psicofarmaci è arrivato al capolinea. Il senso di onnipotenza è stato ormai rimpiazzato dall’angoscia più profonda e dal terrore puro. Con un grido inumano, Richard punta la pistola verso l’uomo dagli occhi di ghiaccio. L’esplosione di uno sparo. Per un momento l’aria si congela, e il tempo sembra fermarsi. Poi il tonfo. E Richard O’Connell, l’uomo qualunque, cade a terra. Un fiore scarlatto sboccia sul suo petto, mentre l’agente dagli occhi di ghiaccio tira un sospiro di sollievo.

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Gibbs seguì con lo sguardo gli uomini che caricavano il corpo di Richard O’Connell sull’ambulanza. Destinazione. L’obitorio di Ducky. Alla fine il medico legale l’aveva indovinata. L’uomo qualunque sarebbe stato un suo paziente. L’inconfondibile cappello del dottor Mallard troneggiava tra gli agenti, nonostante la sua modesta statura. Lui e Jhetro avevano avuto un breve quanto significativo scambio di parole. Ducky aveva notato un particolare, di quelli che forse volevano dire tutto, e forse nulla. Le dita di Richard avevano un malsano colorito giallognolo. Appena fosse arrivato all’obitorio, Abby avrebbe avuto il suo campione da analizzare. Con un sospiro, l’ex marine si prese una lunga sorsata di caffè, e rivolse lo sguardo alla donna al suo fianco. Michela Sacks non si era allontanata dall’ospedale, e aveva udito la sparatoria. E appena realizzato quanto successo, senza una sola parola, aveva portato un bicchiere di caffè fumante all’agente. Sapeva tanto di ringraziamento per aver fatto fuori l’assassino della sorella, ma a Gibbs poco importava. O meglio. Non erano affari suoi. O’Connell aveva un buon numero di cadaveri sulla coscienza. Uno dei quali non aveva più di dieci anni. E se non fosse stato per il fatto che non era riuscito a farsi dire dov’era Cassidy, non avrebbe sentito alcun tipo di rimorso. Ma Richard era riuscito a portarsi il segreto nella tomba. E le frasi sconnesse pronunciata prima di morire, erano un rebus. Con un sospiro, l’agente fece per andarsene, ma Michela lo bloccò.
-La ritroverete?- Mentre pronunciava quelle parole, il guardiamarina continuava a fissare l’ambulanza. Gibbs si passò una mano tra i capelli. Sapeva benissimo a chi si stava riferendo.
-I miei agenti cosa le hanno detto?- La donna si volse verso di lui, gli occhi scuri lucidi e stanchi.
-Lo hanno promesso.-
-E allora lo faremo.- Sorrise l’ex marine. E detto ciò, si allontanò, lasciando Michela Sacks persa nei suoi pensieri, forse un po’ più ottimistici.

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-Sono troppi!- Esclamò Kate per la quarta volta, mentre lei e Tony percorrevano la strada che costeggiava i vari cantieri di periferia. L’entusiasmo che li aveva pervasi per la nuova pista, si era già volatilizzata.
-Lo vedo benissimo anche da solo!- Sibilò Tony, mentre dava un colpetto d’incoraggiamento al cruscotto dell’auto. Da qualche centinaio di metri, infatti, il motore aveva iniziato ad emettere una serie di rumori poco rassicuranti. E l’ultima cosa che Tony voleva era restare bloccato in quel posto. Almeno prima di trovare quello che cercavano. -Evitiamo il pessimismo, ok?- Kate sbuffò, contrariata. Erano quasi un paio d’ore che si muovevano da un cantiere all’altro, in cerca di qualche traccia. Ma quasi tutti erano pieni di operai indaffarati, di cui solo un paio avevano visto passare una donna bianca con una bimba di colore. E tutte le indicazioni erano piuttosto vaghe.
-Evitare il pessimismo non diminuisce i cantieri da perlustrare.- I due rimasero in silenzio per qualche istante, finché Tony non frenò bruscamente. -Hey! Hai preso lezioni da Gibbs?!- Ringhiò Kate, rischiando l’infarto.
-Ci sto pensando.- Sorrise sarcastico l’agente, mentre indicava un edificio dalla parte della collega. -Ti fa venire in mente nulla?- Nonostante le impalcature, la struttura dello stadio era inconfondibile.
-L’ultima esplosione di Smilton doveva avvenire in uno stadio …- Ricordò Kate, memore del racconto di Tony. Questi annuì.
-E se è vero che la Rudolph vuole seguire lo stesso piano del marito …- Prese il cellulare, e si apprestò a chiamare Gibbs.
-… Non avremo bisogno di controllare ogni cantiere della zona.- Concluse Kate per lui, mentre l’edificio in costruzione cominciava a prendere un aspetto inquietante ai suoi occhi.

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Una agitatissima Abby fece irruzione negli uffici, ignorando gli sguardi curiosi dei colleghi, sorpresi per la sua presenza ai piani alti dell’NCIS.
-Gibbs! Gibbs! Ho una notizia una notizia terribile. O almeno credo …-
-“Credi?“ Da quando “credi” che una notizia sia terribile?- Sibilò, sorridendo tra sé divertito, semi nascosto da un nuovo bicchiere di caffé.
-Non c’è da scherzare, Gibbs! La cosa è seria.- Sbuffò indispettita la dark, facendo sparire il lieve sorriso sulle labbra dell’agente. -Ducky mi ha costretto a fare delle analisi sulla pelle delle mani di O’Connell. E ha fatto bene. Lo sai che cosa ha provocato quell’orrido e malsano colorito giallognolo?-
-Dimmelo tu …- Sospirò, esasperato Gibbs.
-Le sostanze chimiche usate per i vari ordigni. Probabilmente il nostro amico non ha usato molte protezioni per le mani. Ma la parte, peggiore o migliore che si voglia dire, viene qui.- L’occhiata fulminante dell’agente fece continuare la scienziata senza ulteriori pause. -Per arrivare ad un tale stato di intossicazione, il nostro uomo deve aver maneggiato una quantità molto maggiore di quelle sostanze, rispetto a quelle usate negli ordigni passati. Quindi …-
-Quindi?- Gibbs non aveva bisogno di fare la domanda. Aveva già capito. Ma la forza dell’abitudine è dura a morire.
-Quindi in giro c’è un  ordigno composto da qualcosa come il doppio dell’esplosivo usato per tutte le altre bombe messe insieme.- Un brutto colpo. Davvero. Mentre era perso nei suoi pensieri, il cellulare di Gibbs suonò. Reprimendo la voglia di gettare l’apparecchio nel bicchiere di caffé, l’agente rispose.
-Gibbs.- La voce di Tony arrivò, troppo allegra per la situazione.
-Abbiamo delle novità, capo …-
-Spero che siano migliori di quelle che abbiamo qui.- Sospirò l’ex marine, rinunciando alla solita lavata di capo ai danni del suo agente. Non era davvero il momento. Non dopo la notizia datagli da Abby.
-Cos’è successo?- Domandò curioso Tony.
-O’Connell è morto. Mentre cercava di scappare.- Rispose Gibbs. Dall’altro capo del cellulare vi fu un momento di silenzio. Decisamente Tony non si aspettava una notizia simile. -Mi senti, Dinozzo?- Ringhiò Gibbs, scocciato.
-Sì, capo, certo!- Si affrettò a rispondere l’agente.
-Allora, vuoi dirmi le novità che avete tu e l’agente Todd?-
-Bhe, sì capo. Una donna ha visto Cassidy e la Rudolph andare verso la periferia. Pensiamo che si siano nascoste in qualcuno dei cantieri abbandonati.-
-Come cercare un ago in un pagliaio, Dinozzo.- Sibilò Gibbs, impaziente.
-Sì, capo, lo sappiamo. Ma io e Kate pensiamo …-
-“Pensate”, Dinozzo?- Il ringhio seccato dell’agente fece rabbrividire Tony, che cercò di redimersi.
-… Siamo sicuri che siano in uno stadio, capo. La Rudolph sta seguendo lo schema di cinque anni fa, e Smilton tentò la sua ultima prodezza proprio durante una partita.-
-In quale, Dinozzo!? Ci sono almeno una decina di stadi, per gli sport più diversi, e solo in questa zona!-
-la Rudolph era a piedi, e con una bambina piccola a traino non può essere andata molto lontano. E …-
-“E …” Cosa, Dinozzo? Non abbiamo tutta la giornata!- L’impazienza fece quasi gridare Jhetro, al colmo dell’irritazione. Una volta o l’altra avrebbe dato una bella scrollata al suo agente …
-E io e Kate abbiamo trovato uno stadio ancora in costruzione. Sembra che i lavori siano abbandonati … Chiedo il permesso di entrare in azione.- Si affrettò a rispondere Tony, conscio di aver tirato troppo la corda.
-Assolutamente no! Aspettate la squadra speciale.- Ordinò l’ex marine. Poi aggiunse. -Intervenite solo se la situazione precipita.- E chiuse la chiamata.

-Fine capitolo 9-

Ebbene sì, vi lascio un  pò con il fiato sospeso. Al più presto invierò gli ultimi due capitoli, ma se nel frattempo qualcuno mi mandasse una recensioncina, anche solo per consigliarmi di darmi al punto croce, mi farebbe sapere. Ciao!

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Capitolo 10
*** La fine non arriva mai ***


explosion10 Il titolo di questo capito è motivato anche dal fatto che doveva, originariamente, essere l'ultimo di questa fic. Ma mi veniva troppo lungo, così ne ho fatto un altro. Buona lettura, e, per favore, mandatemi qualche commento! oppure non vi metto il finale ...(ebbene sì, so essere così cattiva.)

EXPLOSION
-Capitolo 10-
La fine non arriva mai.

-Ma quanto ci mettono ad arrivare quegli idioti della squadra speciale? Saranno tre ore che li aspettiamo!-
-Sono passati solo venticinque minuti, Tony.- Borbottò Kate, esasperata dall’impazienza del collega. Ma non se la sentiva di contraddirlo del tutto. Anche lei cominciava ad essere stufa di aspettare. Il pensiero che la piccola Cassidy fosse da sola con la Rudolph non le piaceva per niente. Quella donna era malata, e non si faceva scrupoli. Se davvero era lei la mente di quella scia di bombe, aveva già provocato la morte di cinque persone. Senza contare le vite distrutte dei familiari. Per prima Pam e suo padre. Tony sbuffò dal suo posto, inquieto. Lo sguardo che passava nervosamente dalle proprie dita tamburellanti sul volante dell’auto, al massiccio edificio in costruzione.
-Io entro.- Disse all’improvviso, facendo scattare come una molla Kate.
-Scordatelo! Gibbs ha detto …-
-Di non intervenire. Lo so. C‘ero io al telefono.- La interruppe l’agente, continuando a guardare fuori dal finestrino.
-Benissimo. Allora sai che non puoi farlo.- Concluse Kate, palesemente soddisfatta di aver ragione. Tony grugnì in risposta, seccato e amareggiato per quella situazione di stallo.
-A meno che la situazione non precipiti, però.- La mora non ribattè. Sperava che la situazione non dovesse affatto precipitare. Anzi, perché, giusto per cambiare un po’, le cose non si risolvevano tranquillamente, magari con la resa del cattivone di turno, senza sparatorie e varie? Un sogno ben lungi dall‘avverarsi. Alcune grida, seppur lievi, ma non abbastanza da non essere udite, arrivarono alle orecchie dei due agenti. Questi scattarono subito fuori dall’auto.
-È la bambina!- Esclamò Kate, riconoscendo un pianto infantile. Tony tirò fuori la pistola e tolse la sicura.
-Direi che la situazione adesso è precipitata!-
-Avverto Gibbs!- Annuì la donna, portandosi il cellulare all’orecchio.

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-Abby, sto bene. Davvero!- Esclamò McGee, esasperato. Anche se gli facevano indubbiamente piacere, le attenzioni della dark cominciavano ad essere soffocanti. E sì che con le analisi al laboratorio, il tempo a sua disposizione non era molto!
-Lo dici davvero? O lo dici solo per non farmi preoccupare? Lo sai che lo capisco, quando una persona non vuole farmi preoccupare …-
-Abby, cos’è questo suono?- A causa della sua stessa parlantina, la scienziata non si era accorta dello squillare impaziente di un cellulare. Rapida, individuò l’apparecchio in mezzo alle varie apparecchiature del laboratorio, e ne riconobbe subito il proprietario.
-È di Gibbs! Deve averlo dimenticato …-
-E chi lo chiama?- Domandò, non senza una punta di curiosità Tim, che si avvicinò ad Abby per sbirciare il display.
-Kate. Che dici, rispondo?- McGee annuì, e la dark si portò il cellulare all’orecchio. -Pronto?-
-Pronto? Gibbs?- La voce dall’altro capo dell’apparecchio era interrogativa. Certo che Gibbs aveva una voce davvero strana, al telefono. Quasi femminile …
-Spiacente, l’agente Gibbs non c’è. Dovrai accontentarti della sua segretaria.-
-Abby? Che … No. Aspetta, lasciami indovinare. Gibbs ha dimenticato il cellulare, vero?-
-Indovinato.- Annuì la scienziata, divertita dalla voce esasperata dell’amica.
-Accidenti! Proprio adesso … Oh, al diavolo! Abby, avverti la squadra speciale che noi entriamo nell’edificio!-
-Come … Cosa … Ah, maledizione!- Kate aveva chiuso la chiamata all’improvviso, senza date modo a Abby di domandare spiegazioni.
-Allora?- Domandò McGee, che aveva capito poco, se non nulla della conversazione telefonica tra le due donne. Abby scosse la testa, preoccupata.
-Non ho capito tanto bene … Ma credo che Tony e Kate si stiano ficcando in un bel guaio.-

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Maledizione! Ma come diavolo aveva potuto? Come aveva fatto a lasciare il cellulare da Abby? E sì che era una delle sue innumerevoli regole! Le famose regole di Jhetro Gibbs. “Essere sempre rintracciabili”. Accidenti! E pensare che non era neppure l’anniversario … Uno dei tanti, comunque. Per una volta non era lui a guidare, ma uno dei ragazzi della squadra speciale. Indossato un giubbotto antiproiettile, si era imbarcato sul furgone con gli altri agenti, e adesso rimpiangeva di non essere alla guida. Dal suo punto di  vista, infatti, l’autista era decisamente troppo, troppo lento. E mancavano ancora quattro isolati,  prima di arrivare dove si trovavano Kate e Tony. Un brivido gli corse lungo la schiena, mentre il furgone prendeva una buca un po’ troppo profonda. Un brutto presentimento si fece strada, torcendogli leggermente lo stomaco. Sensazione che da un po’ l’agente non provava. Preoccupazione. Sì, assurda, immotivata preoccupazione. Perché i suoi agenti non avrebbero mai disobbedito ad un suo ordine. Tony forse sì, ma con Kate alle calcagna non avrebbe mai osato. E quindi non avrebbero combinato nulla di rischioso. O no?

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Amanda è spazientita. Cassidy ha cominciato a piagnucolare, presa dalla confusione e dalla paura che tutti gli ultimi avvenimenti le hanno provocato. Ma adesso lei non lo può più sopportare. Non più. No davvero. Perché è arrivata alla fine del percorso, nonostante tutto. L’ultimo atto. Quello che non era mai andato in scena. E il piagnucolio della bambina le sta trapanando la mente, agitandola. Lei, sempre così fredda, calcolatrice, astuta. E crudele. Lei, che la vita l’ha privato di ogni sorta di sentimenti, non riesce a resistere al pianto di una bambina.
-Smettila. Smettila. SMETTILA!!!- Grida. E Cassidy si ferma. Ma le lacrime continuano a scenderle dagli occhi, mentre soffoca i singhiozzi. La donna si passa una mano sul volto. È assurdo, davvero tutto assurdo … Un momento di lucidità. Uno solo. Per rendersi conto dell’assurdità del suo gesto. Di tutte le sue azioni. Ma il volto di Johan, il suo Johan,  le danza davanti agli occhi, reale e tangibile, come il muro a cui si appoggia. E lei lo sente. Lei deve farlo. Deve. Non c’è un perché. Non c’è mai stato. È solo il suo dovere. Come lo era di Johan. Ora non c’è più adito a dubbio. I rumori della partita, forse di football, ritornano nella sua mente, inaudibili per Cassidy. Manca poco, ormai.

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Kate lanciò un’occhiata a Tony. Questi rispose con un cenno. E Kate sapeva già cosa fare. Pistola in pugno, sensi all’erta, i due agenti entrarono nell’edificio. Rapidi, si divisero. Quello che doveva essere l’ingresso principale dello stadio, era un susseguirsi di pilastri, in mezzo ad un grande salone semicircolare, da cui si diramavano i vari corridoi per le tribune. Tutto era assolutamente spoglio, tranne le casse di mattoni e materiali da costruzione abbandonati. Tony richiamò un momento su di sé l’attenzione di Kate, che gli si avvicinò, pur continuando a scrutare la stanza. Era più forte di lei. Non riusciva a togliersi dalla mente che Amanda Rudolph potesse sbucare all’improvvisa da dietro un pilastro. Magari con una bella pistola in mano.
-Allora che c’è?- Domandò Kate seccata, con un filo di voce.
-Ci sono solo due corridoi che portano al piano sotterraneo dell’edificio.- Spiegò Tony, indicando due dei corridoi minori. Kate guardò nella direzione che gli stava indicando il collega.
-Ma come fai a saperlo?-
-Basta guardare in alto.- Sorrise l’agente, indicando la mappa della stadio, che capeggiava su una parete spoglia. Uno dei pochi oggetti superstiti ai vandali. Kate cercò di reprimere l’istinto di usare la pistola sul suo compagno. La stava prendendo in giro! Erano appena entrati in un edificio abbandonato, dove una pericolosa criminale malata di mente, che poteva trovarsi ovunque, teneva in ostaggio una ragazzina spaventata, e per giunta erano anche entrati senza un mandato. E lui la prendeva in giro!
-E come fai a sapere che saranno nei sotterranei?- Sibilò la donna, piccata.
-Perché a suo tempo Smilton si era nascosto nei sotterranei.- Kate inghiottì il rospo. Aveva scordato che Tony aveva avuto a che fare con Smilton.
-Allora andiamo.- Tony annuì. Poi indicò a Kate l’entrata destra. Non c’era bisogno di altri scambi di parole. Si sarebbero divisi. Per poi ricongiungersi alla fine dei corridoi, che portavano ad un unico salone, da cui si accedeva ai magazzini sotterranei. Un lampo d’incertezza passò sul volto dell’agente. Il ricordo dell’appartamento numero otto ancora fisso nella mente. Kate se accorse. Con un sorriso cercò di rassicurarlo, per poi sparire nel corridoio. Tony si attardò a guardarla, poi si avviò per la sua strada. “E che Dio ce la mandi buona …” Pensò, stringendo più forte la pistola.

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La voglia di uccidere lo stava assalendo. Sì, Leroy Jhetro Gibbs stava davvero per uccidere qualcuno. E non solo per modo di dire. Fece uno sforzo per non mettere mano alla pistola, mentre il coro di clacson attorno lo assordavano. Il furgone della squadra speciale era rimasto imbottigliato nel traffico.
-Allora vogliamo muoverci?- Ringhiò seccato l’agente, rivolgendosi al caposquadra, alla guida del mezzo.
-Siamo bloccati.-
-Questo lo vedo anch’io!-
-Allora non mi scocci!- Ribatté l’uomo, innervosito.
-Se aveste lasciato guidare me …- Sibilò Gibbs, con tono insinuate. Il guidatore gli lanciò un’occhiataccia, che nemmeno scalfì di striscio l’ex marine.
-Ce lo ha già detto! Ma il regolamento è questo. Lei in questa operazione è solo un ospite.- Ma Gibbs aveva già smesso di ascoltarlo, e fissava ansioso il mare di auto che circondavano il furgone. Era stramaledettamente preoccupato, ed ogni minuto perso poteva costare caro a Cassidy. Senza contare che, se conosceva bene i suoi uomini, non avrebbero avuto ancora molta pazienza, e sarebbero entrati in azione. Già, perché oramai ne era certo. Né Kate né tantomeno Tony avrebbero potuto aspettare tanto l’arrivo della squadra speciale. Non con una bambina in pericolo. Dopotutto, anche lui si sarebbe gettato. Con un sospiro, si lasciò cadere sul suo posto. Forse avrebbe dovuto aggiungere una nuova regola. “Mai fare ciò che farebbe Jhetro Gibbs, a meno che tu non sia Jhetro Gibbs“.

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Kate avanzava piano tra i pilastri, la pistola pronta a sparare al primo segno di pericolo. Era tesa, molto tesa. Il cuore le batteva furioso nel petto, mentre sentiva il sangue pompargli alla testa. Le orecchie tese al massimo. Un grido imprigionato in gola, tanto era forte la sua paura. Si sentiva spiata. E questo la spaventava. Si era divisa da Tony da pochi minuti, e già ne sentiva la mancanza. In due, ci si può guardare le spalle a vicenda. Ma da soli si è due volte più vulnerabili. Aveva avuto più volte la tentazione di lasciar perdere l’esplorazione del corridoio e schizzare al salone dove si sarebbe riunita al collega. Ma sarebbe stato inutile. Doveva esplorare il corridoio, per stanare la Rudolph. Per un momento le venne da sorridere. Se Tony avesse anche solo lontanamente immaginato il suo stato d’ansia, probabilmente l’avrebbe presa in giro da lì all’eternità. Stranamente, quel pensiero la rincuorò. Già, perché qualunque pazzo psicopatico in agguato in un corridoio buio e pieno di nascondigli, era di sicuro meglio della costante presa in giro da parte del collega. Ma proprio quando il suo cuore sembrò riprendere a battere normalmente, un rumore attirò la sua attenzione. Passi. Rapidi, durati una frazione di secondo. Ma quel tanto che basta per mettere la donna in allerta. Kate riprese a puntare la pistola nei punti più bui del corridoio, l’adrenalina in circolo, il respiro accelerato. Tese l’orecchio, attenta ad ogni altro segno di vita. Cosa non avrebbe dato perché apparisse Tony, e tutto fosse stato uno scherzo idiota! Certo, poi avrebbe ucciso Tony, ma almeno tutto si sarebbe risolto … Un altro fruscio silenzioso. Kate si girò. Ma davanti ebbe solo il buio. E un liso pezzo di carta caduto dal muro. Non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che qualcosa di duro la colpì in testa. Cadde a terra, accecata dal dolore. Poteva sentire il sangue che colava dal punto in cui era stata colpita. C’era cascata come una pivella alle prime armi. Neppure McGee avrebbe potuto fare peggio. Prima di perdere i sensi, sentì due braccia esili trascinarla via. Poi più nulla.

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Con un sospiro di pura felicità, Tony arrivò alla fine del suo corridoio. Un ampio spazio semicircolare piuttosto illuminato, in quanto mancava il tetto. Con una punta di disappunto, però, non trovò Kate. Secondo i suoi calcoli, infatti, la collega avrebbe dovuto metterci più o meno la sua stessa quantità di tempo. Si impose di scacciare quel lieve senso di preoccupazione che aveva cominciato ad infastidirlo. Era solo stata più accurata di lui. In breve sarebbe uscita anche lei. L’agente si appoggiò ad una parete, in attesa. I sensi tesi, pronti a captare i passi della collega. Ma dopo alcuni minuti, la preoccupazione fece nuovamente capolino, alimentata da un ritardo ed un silenzio ingiustificabili. Imponendosi una calma che non si sentiva affatto addosso, Tony si inoltrò nel corridoio da dove sarebbe dovuta uscire Kate. Mentre scivolava tra le ombre, continuava a sperare in un colpo di pistola, un grido, un qualunque segno di vita da parte della patner. Serrò la mascella, mentre ancora una volta la voce di Gibbs lo sgridava:
“Sei tu l’agente più anziano. La vita di ogni altro membro dell’NCIS che si trova con te fuori dal dipartimento, è sotto la tua responsabilità. Specialmente se io non ci sono!”
Una bella responsabilità, capo … Pensò tra sé e sé l’agente, mentre il ricordo della conversazione sostenuta di ritorno dall’appartamento della Rudolph lo faceva ancora tremare. Erano ancora tesi per la discussione avvenuta meno di due ore prima, quando Gibbs aveva deciso di farglielo sapere. Aveva scelto l’agente che avrebbe preso il suo posto in caso di una sua assenza. Tony dava già per scontato che il predestinato fosse Kate. Era vero che lui era l’agente più anziano, ma era convinto che il suo carattere e le sue maniere poco ortodosse lo avessero automaticamente eliminato. E invece no. Gibbs, andando contro ogni giudizio del suo capo, aveva scelto proprio lui. Tanta fiducia era un vero onore, ma anche un’enorme responsabilità. E adesso ne sentiva tutto il peso sulle spalle. Nel giro di ventiquattrore aveva già rischiato di fare esplodere sé stesso e Kate, McGee era stato ferito, ed ora Kate non si trovava. Gran bel capo che era, davvero … Era già un po’ che percorreva a ritroso il corridoio, ma ancora non aveva trovato traccia della collega. Finché, ad un tratto, non notò una figura distesa sul pavimento. Il cuore perse più di un battito, mentre la riconosceva.
-KATE!!!- Mandando al diavolo ogni precauzione, corse verso la mora, pregando che non fosse ciò che sembrava. Le prese il volto tra le mani, mentre, trepidante, cercava di sentire se respirava. Era pallida, ed un rivoletto di sangue le scendeva dalla tempia. Con mano malferma, l’agente cominciò a tastare il cuoio capelluto della collega, alla ricerca della ferita. Nell’incoscienza, Kate emise un gemito quando la mano di Tony le sfiorò il punto in cui era stata colpita. L’uomo si lasciò andare ad un sospiro di gioia. Quella piccola manifestazione di fastidio gli parve il più bel suono del mondo. Kate era viva! Ammaccata, incosciente, ma viva! La gioia della scoperta durò poco. Il tempo di accorgersi che la pistola di Kate era scomparsa. Tony si irrigidì quando sentì il freddo contatto della canna di una pistola sulla nuca. Ma il vero terrore venne quando la gelida voce di donna gli sussurrò all’orecchio.
-Non ti muovere, “agente” …-

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-Allora, Abby, novità? Sei riuscita a contattare Jhetro?-
-No, Ducky, non ancora.- Sospirò la dark sconsolata. Erano già parecchi minuti che lei e McGee tentavano, senza successo, di mettersi in contatto con il furgone della squadra speciale.
-Non è che forse sono già sul posto?- Ipotizzò Palmer, che era salito al laboratorio con il medico legale.
-Se così fosse, avrebbero le ricetrasmittenti accese per collegarsi al quartier generale!- Ringhiò McGee, nervoso. Il braccio gli faceva un male cane, e battere sulla tastiera alla sua solita velocità con un braccio solo gli era impossibile. E il silenzio di Gibbs non lo aiutava di certo. Sommato al fatto che forse Kate e Tony erano nei guai, bhe il cocktail era quantomeno esplosivo. Se non fossero riusciti a contattare la squadra speciale prima dell’irruzione, i due agenti avrebbero potuto rimanere coinvolti. Con un sospiro, Tim si massaggiò la spalla. Stava cercando i numeri di cellulare dei partecipanti alla missione, per riuscire a contattare Gibbs. E per farlo stava violando non sapeva quante leggi sulla privaci e sulla sicurezza, ma quella era una situazione d’emergenza. Una mano calda gli si appoggiò sul braccio, facendolo sobbalzare. Abby sorrise, intenerita. McGee era così nervoso che era bastato il suo tocco per farlo scattare.
-Ti do una mano.- L’agente annuì, ben felice della proposta.
-Bene. Ho proprio bisogno della tua mano, Abby.- La dark si posizionò alle spalle dell’agente, e in perfetta sincronia, cominciarono a lavorare alla tastiera.

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Buio. Tutto era buio. Doveva essere notte. Ma dov’era? Non a casa sua, se lo sentiva … Una fitta alla testa la fece rinvenire del tutto. Mentre le ondate di dolore si attenuavano, i ricordi vennero piano piano a galla. Il caso, le domanda alla donna del minimarket, lo stadio in costruzione abbandonato, il corridoio buio … Con un borbottio incomprensibile tirò tu il capo, e cercò di aprire gli occhi. Ma subito li richiuse. Troppa luce.
-Ben svegliata Kate … Cominciavo a credere che fossi andata in letargo …- Una voce conosciuta veniva dalle sue spalle.
-Ma che … Tony?-
-No, suo fratello …- Sogghignò l’agente.
-Tu non hai fratelli, Tony …- Borbottò la donna. Era ancora talmente intontita da non riuscire a cogliere l’ironia del collega. Cominciò a concentrarsi su sé stessa. Con stupore si accorse di essere seduta su qualcosa. Una scatola, forse. Ed era appoggiata a qualcosa di caldo … Cercò istintivamente di portarsi una mano agli occhi, ma non ci riuscì. Con orrore si rese conto che era legata con le mani dietro la schiena. Finalmente riuscì ad aprire gli occhi. E ciò che scoprì non le piacque per niente. Era legata schiena contro schiena a Tony, seduta su alcune casse. Come c’era finta in quella posizione? Non che le dispiacesse, ma … Non era esattamente il momento opportuno. Con uno sforzo cercò di voltarsi verso il collega, ma un giramento la fece rinunciare. -Che è successo, Tony?-
-Che ci siamo fatti entrambi fregare come dei pivelli.- Rispose questi con tono sarcastico, ma privo di allegria.
-Ah …- Adesso Kate ricordava. Il lieve rumore di passi, il buio, il colpo alla testa. -Chi ci ha legati?-
-Prova ad indovinare …- La risposta all’interrogativo della mora arrivò subito. Silenziosa come un fantasma, fece il suo ingresso Amanda Rudolph, i grandi occhi grigi incastonati in un volto magrissimo, come il corpo. I sottili capelli castani raccolti in una coda. Una volta doveva essere stata una donna davvero bellissima, ma adesso sembrava che il suo corpo manifestasse il dolore provato dalla sua anima in quegli anni. Kate notò che in mano teneva la sua pistola e quella del suo patner. Ignorando la donna, Amanda si inginocchiò davanti a Tony, in modo da essere sullo stesso piano visivo.
-Io ti conosco.- Solo tre parole. Che sapevano di condanna. Tony resse lo sguardo freddo della donna. -Tu mi hai fatto uscire dallo sgabuzzino …- Per tutta risposta l’uomo annuì. Allora Amanda alzò una mano sottile per accarezzargli il volto. Tony rabbrividì a quel contatto. La mano della donna era fredda quanto il suo sguardo. Sentì la schiena di Kate irrigidirsi contro la sua. Non poteva sapere del feroce attacco di gelosia tutta femminile che stava facendo esplodere la collega … Probabilmente, se avesse visto il suo volto ne sarebbe rimasto terrorizzato. In confronto, Gibbs quando gli versavano il caffé era quasi sereno. La Rudolph riprese a parlare. Un sibilo rabbioso. -… Ma hai anche ucciso il mio Jo!- Con uno scatto, la donna puntò una delle due pistole alla fronte dell’agente.

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-Un’ora. UN’ORA ESATTA DI RITARDO! Ma che razza di squadra è la sua ?! I miei uomini saranno intervenuti già da chissà quanto!- Le urla di Gibbs erano bene udibili anche dalle persone al di fuori del mezzo, oramai a meno di un isolato dallo stadio abbandonato. L’autista tentò timidamente di scusarsi.
-Mi dispiace agente Gibbs …-
-Le dispiacerà molto di più se è successo qualcosa ad uno dei miei agenti!- Ringhiò furioso Jhetro, con un tono che sapeva di minaccia. Il capo della squadra speciale decise di lasciar perdere. Una volta arrivati in vista dell’edificio, fece scendere la sua squadra. Il piano era il solito: accerchiare lo stadio ed entrare con le armi in pugno. Il tempo degli ultimi accorgimenti ai ragazzi, e di avvertire il quartier generale. Non appena accese la ricetrasmittente però, si trovò a ricevere una chiamata, del tutto inaspettata. Stupito, l’uomo rispose. Una concitata voce femminile quasi gli forò i timpani.
-SIIIII’!!!MCGEE CI SIAMO RIUSCITI!!!-
-P … Pronto … Ma chi parla?!-
-Abby, non urlare … Ehm, chiedo scusa … Agente speciale McGee, signore …-
-E che accidenti vuole?! Siamo nel bel mezzo di un’operazione, agente … E lei non dovrebbe essere in contatto con me! Sta infrangendo il regolamento!- Passato il primo momento di sorpresa, l’uomo aveva reagito, furioso.
-Ehm … Sì … Lo so … Ma vede, dovrei parlare con il mio capo, sa, l’agente speciale Gibbs … È lì, vero?- Il caposquadra emise un gemito esasperato.
-Certo che è qui. E mi sta terrorizzando la squadra …-
-Allora è proprio Gibbs …- Intervenne di nuovo la voce femminile, subito zittita dall’agente McGee.
-Ecco, vede, noi dovremmo parlare con lui …-
-Non sono un centralinista, “agente”, quindi adesso butti subito giù questa conversazione, altrimenti …-
-Altrimenti, cosa, agente?- Ringhiò Gibbs, che aveva riconosciuto, nonostante il gracchiare della ricetrasmittente la voce dei suoi uomini. Davanti all’ex marine, l’uomo borbottò qualcosa di indefinibile, e lanciò l’apparecchio all’agente, che se la portò all’orecchio. -Gibbs.- Subito la voce di Abby lo raggiunse, eccitata come una bambina.
-GIBBS! Ah, meno male! Oramai disperavamo a contattarti!-
-Perché? È successo qualcosa?-
-Hai dimenticato il cellulare in laboratorio, capo … E Kate ti ha chiamato.- Rispose McGee. Un orrido presentimento si fece strada nella mente di Jhetro.
-E cosa ti ha detto?-
-Ehm … Ecco … Che lei e Tony entravano.- Gibbs rimase in silenzio per qualche istante.
-CHE COSA!?!?!?- Tutti gli uomini della squadra speciale si voltarono verso l’agente. Gibbs rimase ancora per qualche istante alla ricetrasmittente, dopodichè chiuse la conversazione e si rivolse al caposquadra, che lo fissava con aria rassegnata. -I miei uomini sono dentro.- L’uomo roteò gli occhi. Decisamente avrebbe fatto meglio a non uscire di casa, quel giorno.
-Avanti, ragazzi, si cambia strategia.-

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Non osava muoversi. La canna della pistola ben premuta sulla fronte. Kate, dietro di lui, tremava. Eppure tutta la sua attenzione era assorbita dal dito di Amanda sul grilletto. Lentamente, lo stava premendo. Tony deglutì. Solo un miracolo avrebbe potuto salvarlo … E avvenne. Un tonfo improvviso attirò l’attenzione della Rudolph, facendole togliere la pistola dalla testa di Tony. Dalla sua posizione, Kate riuscì a vedere di cosa si trattava. Seminascosta in un angolo buio, Cassidy aveva fatto cadere alcune piccole casse. Nel vedere la pistola abbassata, l’uomo tirò un rumoroso sospiro di sollievo. Non aveva mai provato una paura simile. In un impeto di rabbia, Amanda colpì l’agente con il calcio della pistola. Tony non riuscì a trattenere un gemito di dolore. La donna parve compiaciuta, e si apprestò a rivolgere la sua attenzione a Cassidy. Con un ringhio, si avvicinò alla bambina, ed ignorandone i singhiozzi terrorizzati, la trascinò lontano dai due agenti.
-Ti ho già detto un sacco di volte che non devi muoverti!- Tuonò la donna, inferocita. La bambina si fece piccola piccola, gli occhi pieni di lacrime e paura. Sparirono dalla visuale dei due agenti, ma il rumore di una porta che si apriva e poi si chiudeva, fece capire che erano uscite. Kate sentì la rabbia bollirgli dentro. Come poteva quella donna trattare così una bambina? Serrò più che potè la mascella, nel tentativo di recuperare lucidità. Un mugolio alle sue spalle la distasse.
-Tutto bene, Tony?- Cercò di mantenere la voce bassa.
-… Mi ha spaccato la faccia …- Grugnì l’agente, provocando il sorriso della mora.
-Strano, dovresti esserci abituato ad essere preso a botte dalle donne …-
-Non è divertente …- Borbottò Tony, cominciando a muoversi per mettersi di fianco alla collega. Quando Kate riuscì a vederlo in viso per poco non si spaventò: la Rudolph lo aveva colpito appena sotto all’occhio, ferendogli lo zigomo, dal quale stava uscendo del sangue.
-Dio, Tony! Sembri uscito da uno dei film horror di Abby!-
-… Ha parlato quella a cui sembrava avessero spaccato la testa … Ah, già, dimenticavo. Hai la testa troppo dura perché qualcuno ci riesca …-
-Spiritoso!- Sibilò Kate, facendo una smorfia. Poi continuò. -Dai, dobbiamo trovare il modo per liberarci …-
-Ci vorrebbe un coltello …- Borbottò l’uomo, tentando inutilmente di forzare le corde.
-Un coltello! Come ho fatto a non pensarci prima?! Tony aiutami.- Senza dare il tempo di chiedere spiegazioni al collega, la mora cominciò a tirarsi su la gonna. Teneva sempre un coltello legato a metà coscia, per i casi d’emergenza. Certo tirare su quei pochi centimetri di stoffa non era semplice, senza mani, e con uno sguardo assatanato “alla Tony” addosso, ma, movimento di qua, strusciatina di là, riuscì nell’impresa. -Fatto! Adesso, Tony, prendi il coltello …-
-Lo farei, ma …-
-“Ma”, cosa, Tony? Non sarai diventato tutto ad un tratto così pudico da non volermi toccare una gamba, vero? Vedi di prendere quel coltello, e se provi a far andare la mano più su di quel che dovresti, sappi che taglierò prima te delle corde!- Sbuffando offeso, l’agente passò un dito sulla gamba di Kate, percorrendone la lunghezza della coscia. La donna saltò dalla scatola. -MA CHE CAVOLO FAI?!-
-Ma non dirmi che non te ne sei accorta! Allora hai preso proprio un brutto colpo …- Kate riportò lo sguardo sulla sua gamba.
-Ma che … Il coltello non c’è più! Perché non me l’hai detto prima?!- Tony le indirizzò un sorriso bastardo dentro.
-Primo: perché non me ne hai lasciato il tempo … Secondo: perché quando mi ricapita di vederti tirare su la gonna a quel modo?- Kate avrebbe voluto spaccare quella faccia irradiante malizia da ogni poro. Peccato che ci avesse già pensato la Rudolph … Un brivido le percorse la schiena, al pensiero di quanto quella donna fosse stata vicina a sparare a Tony. Se non fosse stato per la bambina, l’agente Dinozzo sarebbe andato a far compagnia a santi e cherubini.
-Benissimo. E adesso, cosa proponi di fare, genio?-
-Allora … Non so ancora infilarmi in una lampada, ma se tu riuscissi a slacciarmi la cintura …-
-DINOZZO!!!- Esplose kate, paonazza. -TI SEMBRA IL MOMENTO?!- Tony continuò tranquillamente, ignorando l’indignazione della patner.
-… Potrei prendere la lama che c’ho nascosto nella fodera. Ma che hai pensato, Kate?-
-… Lasciamo perdere …- Mormorò con un fil di voce la donna, esasperata. Il viso coloro porpora, fece sorridere maliziosamente Tony.

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Con un  forte cigolio la porta si apre, facendo uscire dalla stanza Amanda e Cassidy. La donna è furiosa. C’era andata vicina, così vicina … Era quasi riuscita uccidere l’agente. L’uomo che le aveva portato via il suo Jo … Ma il trambusto provocato dalla bambina l’aveva distratta, togliendole l’ebbrezza dell’omicidio. Ora non sarebbe più riuscita ad uccidere l’agente. Non più così, a sangue freddo, con calma, come merita la pena sofferta in quegli anni per la sua perdita. Cassidy continua a piangere, in silenzio. Gli occhi scuri gonfi per le numerose lacrime versate. Ma Amanda non sembra farvi caso. Si avvicinano ad una cassa. La donna dà un’occhiata al contenuto. Un ordigno, costituito da due bottiglie e un detonatore, da cui parte un filo, che percorre l’intero corridoio. La Rudolph continua a camminare seguendo il filo, finché non arriva ad una stanza. È praticamente spoglia. Un tavolo sgangherato ed alcune apparecchiature di vetro sono il solo arredamento, oltre ad una pila di casse, che troneggia in mezzo all‘ambiente. Da ognuna parte un filo conduttore, che va a collegarsi ad un apparecchio elettronico. Un piccolo display con la cifra 10.00 attende solo di essere attivato.

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-Liberi!!!- Esultò Kate, strofinandosi i polsi. In qualche modo il piano di Tony aveva avuto buon esito, ed erano riusciti a liberarsi.
-Non cantare vittoria …- La ammonì l’uomo, mentre si asciugava dalla guancia il sangue uscito dall’escoriazione allo zigomo. -Abbiamo ancora una pazza psicopatica da arrestare … Da soli.- Fantastico. Davvero fantastico. Nel preciso istante in cui stava cominciando a sentirsi più ottimista, ecco che Tony riusciva a farla precipitare nella più schifosa delle prospettive. Kate stava per dirlo al collega, ma un rumore di passi la zittì. Si scambiò un’ occhiata con Tony. Quando la posta si aprì, Amanda trovò i due agenti esattamente come li aveva lasciati. Immobilizzati sulle casse, in attesa della sua decisione. Non era sola. La bambina era con lei. Kate trattenne un sospiro di sollievo. La piccolina stava bene. Per quanto si possa star bene alla mercè di un’assassina. Aveva ancora gli occhi gonfi, ma aveva smesso di piangere.
-Come sta Cassidy?- Domandò comunque. La donna la guardò appena, mentre rispondeva per la piccola.
-Lei sta bene. La mia bambina sta bene.- Ad un cenno della donna, Cassidy andò a risistemarsi nel suo angolo, senza osar fiatare. Amanda si riavvicinò a Tony, senza degnare di uno sguardo l’altro agente. Kate ebbe un brivido di rabbia. Non tollerava che quella donna la considerasse così poco. E soprattutto che prestasse tutte quelle attenzioni al suo collega. Accidenti! Stava diventando gelosa di un’assassina! Forse la pazza era lei … La Rudolph si avvicinò di nuovo a Tony. Gli occhi grigi inespressivi incrinati da una vena di rabbia gelida. L’agente non potè fare a mano di rabbrividire nuovamente. Quello sguardo non aveva nulla di umano. Non ricordava di averne mai visti di così freddi. Ma stavolta non si sarebbe fatto prendere a mazzate. Non appena si chinò per guardarlo negli occhi, Tony si alzò di scatto, bloccandole i polsi. Rapida, Kate si avventò sulla pistola che la donna teneva in mano. Presa alla sprovvista, Amanda capitolò. Non oppose resistenza, mentre Tony usava le corde che avevano legato lui e Kate su di lei. Cassidy uscì dal suo angolo. Una luce speranzosa le illuminava gli occhi. Senza dire nulla, si avvicinò all’agente donna, che la accolse con un sorriso.
-Ciao Cassidy. È tutto finito, ora.-
-Vi ha mandato la zia?- Domandò, timidamente. Kate si sciolse in un sorriso.
-Sì. Era molto preoccupata per te, sai?- La bimba abbracciò la mora.
-Voglio andare a casa …-
-Ti ci riporteremo subito.- Sorrise Tony, che teneva saldamente per un braccio la Rudolph. Poi uno squillo lungo e prolungato attirò l’attenzione dei due agenti, che si guardarono un momento in viso. Poi un enorme sorriso si allargò sulle labbra di entrambi. Senza usare molta delicatezza, Kate prese di tasca alla Rudolph il proprio cellulare. Doveva averglielo preso mentre era svenuta.
-Pronto?- Il gridolino di gioia di Abby fece sorridere ulteriormente la mora.
-KATE! Stai bene! Meno male! E Tony? state tutti okay?-
-Sì, Abby tutto a posto. Abbiamo preso la Rudolph. Gibbs?-
-È in contatto con noi attraverso i canali della squadra speciale … Ha sentito tutto!- Kate si lasciò andare ad un sospiro liberatore. Era sfinita, ma felice. Era finita. Ora per tutto il resto ci sarebbe stato tempo. Persino il pensiero del rapporto che avrebbe dovuto scrivere a Gibbs non era poi tanto male. Stava assaporando il momento liberatorio, quando Amanda cominciò a ridere. Una risata isterica, senza gioia. Confusa, Kate le guardò in volto. E ciò che vede la fece star male. Gli occhi della donna, sempre freddi, ora erano infuocati dalla libidine della vendetta. No. Non era ancora finita. Il cuore della mora venne come trafitto. Quanto odiava essere illusa.
-Che vuol dire? Che cosa sai!?- Sibilò Tony. Il sorriso freddo di Amanda non era ancora sparito. I suoi occhi grigi, ebbri di trionfo, passavano da un agente all’altro. Kate non capiva. Per quale motivo si comportava così? Ormai era finita … Poi le venne in mente.
-La bomba! Dov’è la bomba?!- Per tutta risposta la donna la fissò gelida.
-Al sicuro.- Tony perse la pazienza.
-Dov’è!?- Prese Amanda per le spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi. Kate si ritrovò, suo malgrado, ad ammirarla. Lo sguardo di Tony era paragonabile ad un incendio, ma la Rudolph non ne sembrava minimente impressionata. L’ennesimo indizio della pazzia della donna.
-Trovala …- Disse solo. -… Come hai trovato me … Prima che sia tardi.- Scoppiò di nuovo a ridere, lasciando Tony confuso e furioso. Ora ne aveva la certezza. La bomba era stata attivata. L’agente Todd non potè fare a meno di rabbrividire, mentre Cassidy le si stringeva più forte. Quella storia era ben lungi dall’essere arrivata alla fine …

-Fine capitolo 10-

dimenticavo....ringrazio lillium purpurea per aver commentato "morto due volte" ^^ grazie carissima!

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


explosion11 Ebbene sì, sono tropo buona. Eccovi il finale di Explosion.

EXPLOSION
-Capitolo 11-
Epilogo.

-Kate? Kate, mi senti? Sei ancora in linea?- L’agente sobbalzò. Si era scordata di avere ancora il telefono acceso.
-Sì, Abby, ti sento.-
-Gibbs e la squadra speciale stanno entrando. Saranno lì tra pochi istanti.- Kate sbiancò.
-Abby, la Rudolph ha attivato la bomba! Anzi, le bombe! Esploderanno, ma non sappiamo ancora dove siano! Potrebbero essere da qualunque parte!- Un momento di silenzio.
-Merda.-
-Sono d‘accordo con te.- Esclamò l‘agente Todd.
-Kate, questa volta non è come le altre, questa è la bomba regina, è cinquanta volte più potente dell’ultima … Potrebbe distruggere l‘intero edificio!- La voce della dark era disperata.
-Merda! Abby, avverti la squadra speciale, non devono … Oh, al diavolo!- Il display lampeggiò, per poi spegnersi. Batteria scarica.
-Kate!- L’agente si girò verso il collega, che la fissava con uno sguardo a metà tra la presa in giro ed il rimprovero.
-Cosa c’è adesso, Tony?!- Con un sorrisetto l’uomo le indicò Cassidy.
-Ti ricordo che qua c’è una bambina …- La prese in giro. -… Non vorrai darle il cattivo esempio proprio tu …- Kate si battè una mano sulla fronte. Ma gli pareva questo il momento? Avrebbe voluto tirargli il cellulare in faccia, tanto era inutilizzabile. Ma non aveva tutti i torti. Così lasciò cadere l’argomento e si maledisse in tutte le lingue che conosceva, ma mentalmente. Da quando era iniziato il caso non aveva più pensato di mettere il telefono a caricare. Ed ovviamente la batteria si era scaricata. Curioso come ci siano solo due momenti in cui un cellulare si scarica. Quando si è in ritardo agli appuntamenti, e quando si rischia di morire. Cercò lo sguardo del collega. Ora erano davvero nei casini. Tony lasciò andare Amanda. Avrebbe voluto prenderla a pugni, infischiandosene della galanteria. Ma adesso non c’era davvero tempo. La squadra speciale era già entrata nell‘edificio, mentre da qualche parte c’era una bomba pronta ad esplodere, e loro erano impossibilitati ad avvertirli. Se la bomba fosse esplosa, nessuno avrebbe avuto scampo. Alla fine Amanda voleva davvero colpire degli agenti. Forse aveva previsto l‘arrivo della squadra speciale.
Kate prese in braccio Cassidy, e fece per uscire dalla stanza. Tony la seguì subito, prendendo Amanda per un braccio, oramai ritenuta inoffensiva. Non fecero che pochi passi, quando un’esplosione investì il corridoio. Tony fece appena in tempo a tirare all’interno Kate e la piccola. Con orrore vide l’onda d’urto fuori dalla porta, seguita da una lingua di fuoco. Cassidy gridò, terrorizzata. Pezzi di macerie svolazzavano nell’ambiente, completamente saturo di fumo e polveri. L’agente strinse più forte a sé la collega e la bambina, nel tentativo di proteggerle. Tra colpi di tosse ed i singhiozzi spaventati di Cassidy, i due agenti cercarono di rimettersi in piedi. La prima bomba era esplosa. Tony fece per voltarsi a vedere in che condizioni fosse la Rudolph, ma questa era sparita.
-Maledizione! porc ...*****!!!- Imprecò l’uomo, vedendo la corda tranciata. Si era scordato che Amanda aveva con sé il coltello di Kate.
-Tony!- Lo riprese questa, con occhi furenti, ma velati da un sottile velo di vendetta.
-Cosa, Kate!- La mora le indicò con gli occhi la bambina che teneva in braccio. Il suo sguardo era eloquente: “modera il linguaggio davanti a lei“. Accidenti alla sua linguaccia. -Ah … Sì … Piccola non stare mai a ripetere quello che dicono i poliziotti!- La bimba lo fissò confusa tra le lacrime. Kate sorrise soddisfatta. Aveva avuto la sua piccola ripicca. Poi si arrischiò a guardare i danni dell’esplosione. Abby aveva ragione. Era molto più potente delle altre con cui avevano avuto a che fare. E pensare che si trattava solo della prima bomba. Non voleva sapere come sarebbe stata la prossima. E chissà quando sarebbe esplosa. Forse il meccanismo era già scattato. Forse il detonatore stava già contando i secondi. Dovevano uscire. Ma anche trovare la squadra speciale in tempo. E forse non ce l’avrebbero fatta. Kate fissò Tony, preoccupata. Gli occhi verdi dell’uomo scintillavano di determinazione. Avrebbe trovato la bomba, e l‘avrebbe disattivata. A qualunque costo. La mora aveva visto troppe volte quello sguardo, per non riconoscerlo.
-Kate. Porta via la bambina. Io vado a cercare la bomba.-
-Cosa? Ma è una pazzia!- Cercò di ribattere l’agente, ma lo sguardo del collega gli fece morire le proteste in gola. Non ammetteva repliche. Quello che aveva dato era un ordine. Kate abbassò lo sguardo. Si sentiva intimorita. Maledizione! Intimorita da Tony! Si faceva venir da ridere da sola! Ma in quel momento non era Tony a fissarla così. Era l’agente speciale Dinozzo. Fino ad allora solo Gibbs era riuscito a farle quell’effetto. Così alla fine cedette, ripromettendosi di dire due paroline al suo capo. Aveva insegnato troppo bene al suo agente. E lei non aveva intenzione di lavorare con due Gibbs nello stesso ufficio. Uno bastava e avanzava.
-D’accordo. Ma stai attento.- Il solito sorriso alla Tony echeggiò sulle labbra dell’uomo.
-Non lo sono sempre?-
-Preferisco non risponderti …- Sibilò Kate. Poi Tony fece l’ultima cosa che ci si sarebbe aspettato facesse. Le si avvicinò e le prese delicatamente il viso tra le mani. Kate avvampò. Il cuore le batteva furioso nel petto, mentre non riusciva a scollare gli occhi da quelli smeraldini di Tony. Ma era davvero Tony? Tony-l’idiota, Tony-il-suo-collega-che-faceva-il-cretino-in-ogni-occasione? No, non in quel momento. Adesso era solo l’uomo che vi si nascondeva dietro. Quello che solo in alcune rare occasioni lasciava intravedere.
Come la sera precedente, il viso di Tony si avvicinò al suo. A mano a mano che la distanza diminuiva, il cuore di Kate galoppava sempre più veloce. La mente era solo un confuso insieme di domande ed emozioni da troppo tempo inascoltate. Poteva sentire il calore del suo volto sul suo. Le labbra a pochi millimetri dalle sue. Ma stavolta non vi fu alcuna interruzione. Tony la baciò. Un bacio ricco di una dolcezza che Kate pensava fosse impossibile che si annidasse dentro a quell’uomo che era il suo collega, il suo amico, il suo incubo peggiore, il suo sogno segreto, ed adesso sentiva essere tutto ciò e qualcosa di più. Solo qualcosa? Da come stava rispondevano al bacio senza ascoltare minimante la testa … Al diavolo, era molto di più! Quando Tony interruppe il bacio, Kate sentì come se avesse perso il sostegno che la teneva in piedi. Traballò leggermente, mentre riprendeva fiato. Si ritrovò a boccheggiare. In tutto era durato solo una manciata di secondi. Ma le era parso che durasse una vita. Forse perché era esattamente il tempo che lo aveva atteso. La mente ricominciò a funzionare.
-Adesso vai.- La voce di Tony era roca, ma rassicurante. La mora annuì, stringendo più forte Cassidy, che li guardava curiosa. La paura al momento lasciata in disparte. Un sorriso birichino le illuminò il visino. I due agenti si guardarono negli occhi ancora una volta. Poi Kate si voltò e si immerse nel corridoio semidistrutto. Tony la guardò andare via, poi si mise a correre nella direzione opposta, dove aveva avuto luogo la prima esplosione.

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-Stiamo entrando.- Le parole che davano il via alle operazioni. Stavolta non ci sarebbero stati ulteriori ritardi. La squadra speciale sarebbe entrata, ed avrebbe fatto il suo lavoro. Come d’accordo, l’agente speciale Gibbs era in prima fila. Pistola in mano, sguardo glaciale. Non aveva notizie dei suoi agenti da troppo tempo, per i suoi gusti. Ma se erano nei guai, li avrebbe tirati fuori. Un cenno del caposquadra. Avevano già ispezionato il grande salone d’entrata, quando avvenne la prima esplosione. Atterriti, gli uomini si aggrapparono alle colonne. Dall’area più periferica del grande cantiere, più precisamente dai sotterranei, si irradiava una coltre di fumo e polveri. Che diavolo stava succedendo? Gibbs lo aveva già capito. Erano arrivati tardi, maledizione! Di lì a poco ce ne sarebbe stata un’altra, di esplosione, ma ben più forte. Sperava ardentemente che Tony e Kate stessero bene, e con loro la bambina. Una mano sulla spalla lo richiamò. Era il capo della squadra speciale.
-È pericoloso! Dobbiamo uscire!-
-No, non senza i miei agenti!- Ribatté Jethro, testardo.
-La prossima bomba esploderà di qui a poco!- Celiò, paziente l’uomo. -Non posso mettere in pericolo i miei uomini!-
-Ed io devo salvare i miei!- I due si fissarono a lungo negli occhi.
-D’accordo. Verrò io con lei.- Cedette alla fine il caposquadra. -Mark!- Un giovane con il casco si voltò.
-Comandi!-
-Porta fuori i ragazzi! Io e l’agente Gibbs continuiamo. Se non torniamo, non cercateci.-
-Ma capo …- Un’occhiataccia del superiore zittì ogni protesta. -D’accordo, capo.- Mentre il giovane Mark si allontanava coi suoi compagni, Gibbs e l’agente si inoltrarono del corridoio, invaso dall’odore acre del fumo.

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Tony percorreva il corridoio semi buio a grandi falcate, guidato dalla scia di fumo che la bomba esplosa emanava ancora. Non gli volle molto per trovare il luogo dove era avvenuta la detonazione. Una stanza poco distante da quella in cui erano stati imprigionati lui e Kate. Avanzando tra le macerie, cercò i fili che, presumibilmente, sarebbero dovuti essere collegati al secondo ordigno. Dovette spostare tre assi cadute a causa dello spostamento d’aria, prima di trovarli. Muovendosi a fatica in quel campo di battaglia, raggiunse una porta, parzialmente nascosta da un serie di detriti. Smuovendo una nuvola di polvere, Tony riuscì a farsi largo, e ad entrare. Mezzo accecato dalla polvere che gli faceva lacrimare gli occhi, non si rese subito conto del mostro che aveva davanti. Ma quando lo vide, la sua esclamazione riassunse perfettamente la situazione.
-Oh, cazzo!- I fili della prima bomba si andavano a collegare ad una scatola nera sottile, ma molto ampia, su cui troneggiava un display a numeri rossi. Decine e decine di cavetti si diramavano dalla scatola nera, per collegarsi ai numerosi barili che riempivano l’ampia stanza. Ognuno era pieno di materiale esplosivo, che non aspettava altro che di essere mescolato con la sua controparte, per esplodere. -Questo sì che è un bel casino …-

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Kate si perse un paio di volte, prima di imboccare il corridoio giusto, quello in cui era stata sorpresa dalla Rudolph. Era nel panico più totale, e non solo per sé e la piccola che aveva tra le braccia. Tony non era con lei, e non le piaceva per niente. Le pareva di essere entrata nel corridoio colonnato da un sacco di tempo, eppure continuava a non vederne la fine. Accidenti! Non le era sembrato così lungo, all’andata! Rischiò più volte d’inciampare su casse ed oggetti abbandonati in mezzo ai piedi, e solo la presenza di Cassidy le impedì d’imprecare a voce alta, limitandosi a farlo mentalmente. Le gambe cominciavano a dolerle per il peso che portava, quando la luce di una torcia la colpì in pieno volto.
-Todd! Dinozzo!- Il cuore di Kate ebbe un tuffo di felicità. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Seccata nonostante la preoccupazione.
-Gibbs!- In pochi attimi il volto di Gibbs le danzò davanti al volto, accanto a quello di un uomo della squadra speciale. Dopo un’occhiata indagatrice, Gibbs prese in braccio la bimba, che, istintivamente, cinse il collo dell’agente con le sue braccine. Kate sospirò, felice di essersi sgravata dal peso di Cassidy.
-Dov’è Dinozzo?!- La domanda fatidica. Kate non sapeva come rispondere. Ma sapeva che era inutile fere tanti giri di parole con Gibbs.
-È andato a prendere la Rudolph … E a cercare la bomba.- Uno scintillio di preoccupazione attraversò gli occhi chiari dell’uomo, ma non profuse parola. La mora si stava già pentendo di ciò che aveva detto, quando la voce calda dell’ex marine la acquietò.
-Adesso usciamo. Tony sa quello che fa.- Ripresero a correre. Pochi minuti dopo, li salutò il sole dell’uscita. Prima di sentire nuovamente il calore dei raggi, Kate si guardò ancora una volta indietro. Sapeva che era inutile, che era una speranza vana. Tony non poteva essere già di ritorno. Ma non aveva potuto farne a meno. La mano sulla spalla di Gibbs la riscosse. Con un groppo allo stomaco, uscì dallo stadio. L’aria fresca e il sole le tolsero il fiato per il piacere.

“Ed uscimmo a riveder le stelle …”

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-Ok. Allora, non sarà così difficile … Disinnescare una bomba … Nei film ci riescono sempre dei tipi che non se ne capiscono nulla …- Continuava a ripetersi tra sé l’agente Dinozzo, in un disperato tentativo di farsi coraggio. Aveva spostato il coperchio della scatola, stando ben attento a non muovere troppo i fili sopra di essa. Ma all’interno vi era lo stesso dedalo di cavi al contrario. Sospirò, demoralizzato e disperato. Di sicuro si era già trovato in situazioni poco felici, ma al momento non ne ricordava di peggiori di quella. Lanciò un’occhiata al timer. I numeri rossi segnavano che aveva ancora circa una decina di minuti. Si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte. Il tempo era poco. Troppo poco. Ma non poteva arrendersi. Prese in mano il suo coltello e cominciò ad esaminare i cavi. Ma quanti diavolo erano?! Si passò la lingua sulle labbra secche. Ci avrebbe messo ore. Peccato che avesse meno di dieci minuti, come lo informava lo schermetto del timer. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare le nozioni principali sugli ordigni esplosivi seguiti all’accademia di polizia.
-Fossero almeno colorati!!!- Piagnucolò tornando a guardare i fili bianchi. Nella sua mente cominciava a vederli come una nidiata di serpentelli albini. Lanciò un’occhiata al display. Ancora cinque minuti. Accidenti come passa il tempo, quando ti occorre! Ed allora arrivò il lampo di genio. Solo uno dei cavi che si collegavano al timer mandava l‘impulso di detonazione. Ed aveva notato che uno era più grande degli altri. Pregò che la sua intuizione fosse esatta. Affiancò la lama del coltello al cavo. Un ultimo sospiro. E recise il filo.
Si aspettava il botto. Ma non arrivò. Solo dopo qualche secondo si decise ad aprire gli occhi. I numerini rossi del timer erano fissi. Esalò un sospiro che non si era accorto di trattenere. Le gambe gli stavano tremando. Con una risatina isterica si accasciò contro il muro.
-Sono … Sono vivo. Sono vivo! C’E L’HO FATTA!!!- Cominciò ad urlare, mentre due lacrime di sollievo gli rigavano le guance. Era così nervoso da non rendersi conto della tensione accumulata in quei pochi minuti. Il cuore batteva così forte da sfondargli il petto. Quando si fu calmato quel tanto da rimettersi in piedi, si diresse all’uscita.

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Dalla sua postazione, Amanda non gli ha tolto gli occhi di dosso da quando è entrato, a quando si è allontanato, traballando come un ubriaco.
Perché non lo ha fermato? Non lo sa neanche lei. E non vuole neppure chiederselo. È solo uno dei tanti interrogativi che quella storia si porterà dietro.
I passi del poliziotto sono ormai lontani. Ma lei non vi bada più di tanto. Ha in mente un’immagine della sera prima. Quando aveva messo la coperta a Richard e Cassidy, addormentati sul divano. Il suo desiderio più grande. La cosa a cui agoniava di più. Una famiglia. C’era andata così vicino … Eppure, dentro di sé, sapeva che era stata solo un’illusione. Che quel quadretto casalingo davanti ai suoi occhi era solo un’immagine effimera. Un sogno. E nulla di più. Perché la sua famiglia era svanita lo stesso giorno in cui il suo Johan era stato ucciso. O forse prima. Nel momento stesso in cui il primo ordigno esplodeva in quel supermercato. Da allora la sua famiglia, o quella che avrebbe potuto avere era stata distrutta. Cancellata.
I suoi occhi fissano i cavi dell’ordigno lasciati scoperti dall’agente. E si rende conto di non provare più nulla. Neppure odio verso l’uomo che le ha ucciso il marito anni prima. È stanca, Amanda. Stanca di tante cose. Stanca di soffrire. Stanca di combattere. Stanca anche di cercar vendetta. Accarezza lo schermo del timer, quasi stesse sfiorando la guancia di un amante. Le labbra le tremano un momento. La mano si abbassa sul cavo reciso. E sa esattamente cosa deve fare. Un sorriso aleggia sul volto pallido, mentre attiva manualmente la bomba. Finalmente avrebbe riposato.

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-Cassidy! Cassidy!- La guardiamarina Michela Sacks schizzò fuori dall’auto federale con una velocità fuori dal comune, un razzo candido dal portamento militare.
-Mamma!- La bimba riconosce la sua tutrice all’istante, e sgambetta impaziente, imprigionata dall’abbraccio di Gibbs, che con un sorriso la lascia andare. Quasi inciampa per tuffarsi nell’abbraccio rassicurante della donna, che non riesce a trattenere qualche lacrima di sollievo. Poi, come se si fosse ricordata in quel momento di una cosa molto seria, Cassidy scioglie un pochino l’abbraccio. -Posso chiamarti mamma, vero?- Michela esplose in una risata tra le lacrime.
-Puoi chiamarmi come vuoi, tesoro!- L’abbraccio si fece più serrato, protettivo, mentre la piccola rideva. Accanto a Gibbs, Kate sorrise teneramente. Michela sarà anche un militare, ma prima di tutto è una donna, ed una donna con una bambina, poco importa il grado di parentela. Ed ha mantenuto la promessa che gli aveva strappato Tony all’ospedale. La mora sente pungere un occhio. Con uno scatto si asciugò all’istante una lacrima di commozione, sperando che il suo capo non l’abbia notata. Gibbs sorrise di fronte all’ingenuità di quel gesto inutile, ma fece finta di nulla. Si voltò in direzione dello stadio, ed il sorriso scomparve, sostituito da uno sguardo granitico. Non aveva dimenticato che mancavano ancora due persone all’appello.

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Tony aveva superato la stanza in cui era stato imprigionato già da un pezzo, quando lo sentì. Un rumore. Nitido, quasi assordante nel silenzio del cantiere in disuso. Si guardò attorno, allarmato. Ben lontano dall’aver scordato che la Rudolph era ancora nell’edificio. Scrutò il buio per lunghi istanti, finché non ne trovò la fonte. Rimase lì, sorpreso ed immobile.
-No … Questo no …-

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Kate era nervosa. Erano passati quasi dieci minuti, e Tony non si era ancora fatto vivo. Aveva già resistito qualcosa come tre volte all’impulso di schizzare a cercarlo. Solo l’apparente calma di Gibbs le aveva impedito di ricacciarsi in quel dedalo di corridoi e pilastri bui. Continuava a camminare avanti e indietro, sbuffando e lanciando occhiate impazienti all’entrata del cantiere. La domanda le rimbombava nella mente come una pallina in un flipper. Dove diavolo si era cacciato Tony? Avrebbe voluto gridarlo, ma sapeva che nessuno dei presenti era in grado di risponderle.
Ed infine cedette. Con passo sicuro si diresse dentro lo stadio.
-Adesso basta! Vado a cercarlo!- Non aveva fatto neppure un paio di passi, che la mano di Gibbs l’aveva trattenuta per un braccio. -Lasciami, Gibbs!- Kate cercò di liberarsi dalla presa del suo superiore, ma era inutile. Era troppo salda. Una vena d’irritazione la attraversò: nel giro di due giorni aveva sperimentato troppe volte, per i suoi gusti, che la forza fisica dei suoi colleghi era maggiore della sua. Forse avrebbe dovuto fare una sessione intensiva di palestra … Gibbs la costrinse a guardarlo negli occhi.
-Non è il momento di …- La mora non sentì mai il seguito della frase. Un’enorme esplosione ricoprì ogni rumore, talmente improvvisa da assordare tutti i presenti. Quando il fumo e le polveri si diradarono, la metà posteriore dello stadio non esisteva più. Solo un cumulo di macerie.
E quando Kate riuscì a riprendersi dallo shock dello spavento, il suo cervello fece due più due. L’edificio, anche se solo in parte, era crollato. E questo poteva solo voler dire che Tony non era riuscito a disinnescare la bomba. La gola le si era improvvisamente seccata, e non solo per la polvere che impregnava ogni centimetro cubo d’aria. Con gli occhi sbarrati, fece qualche passo verso ciò che restava dell’edificio.
Una serie di lacrime le correvano sulle guance, senza che lei riuscisse a trattenerle. Perché l’agente Todd lo sapeva. Erano pochissime, se non nulle, le possibilità che il suo collega fosse ancora vivo. Ma Kate, la semplice Kate, la donna che stava dietro all’agente federale, si rifiutava di crederci. Rifiutava anche solo di pensarlo. Perché avrebbe voluto dire lasciare insoluta la questione con Tony, e soprattutto, non rivedere più il suo sorriso. Nè quello strafottente che sembrava prendere per i fondelli tutto il mondo, né quello sincero, adulto, rassicurante, così raro da essere prezioso. Abbandonando la razionalità, si lanciò di corsa verso le macerie, ma di nuovo nel giro di pochi minuti, la mano di Gibbs la bloccò, costringendola a fermarsi, ancora contro la sua volontà, a pochi metri dall’ingresso di quello che doveva essere uno stadio.
-Lasciami, Gibbs … Perfavore!- La voce della donna era poco più di una supplica. Supplica che l’ex marine non esaudì. Pochi istanti, e Kate crollò. Cominciò a piangere. Quasi non si accorse che Jethro le cingeva le spalle con un braccio, per darle un qualche conforto. Si lasciò semplicemente andare ai singhiozzi, quasi più di rabbia che di dolore. Perché non avrebbe mai potuto perdonare Tony di aver fatto quell’idiozia. Ma così come lui, non sarebbe riuscita a perdonare neppure se stessa. Per non averlo fermato. Per non aver chiarito a tempo debito tra loro. Per aver aspettato così tanto, per capire che le barriere tra loro erano solo nella loro testa. Per non aver voluto ammettere, neanche con se stessa, che si era innamorata di quell’idiota donnaiolo da strapazzo di Anthony Dinozzo.
-Kate …- La voce calma e comprensiva di Gibbs cercò di scuoterla, con fare quasi paterno. Kate si liberò dall’abbraccio, colma di stizza e dolore. E gridò conscia che le sue parole finivano rivolte al vento.
-SEI UN IDIOTA, ANTHONY DINOZZO!!!-
-Ma non perdi mai occasione per ricordarmelo? Mai una volta che mi dicessi che so … Che sono bello, simpatico, altruista … Affascinante …- Colta da un semi infarto, la mora si voltò di scatto. Impolverato, ammaccato e ansimante, ma decisamente vivo, l’agente Dinozzo se ne stava a pochi metri da lei, appoggiato ad un pilastro di cemento, una mano nascosta all’interno della giacca.
-Perché ci hai messo tanto, Dinozzo!- Sibilò Gibbs col suo tono seccato. La preoccupazione già dimenticata. Tony sorrise e tirò fuori la mano dalla giacca, tirandone fuori un batuffolo grigio miagolante.
-Francis!- Trillò Cassidy, sfuggendo all’abbraccio della zia, e schizzando dal suo gattino.
-L’ho trovato mentre venivo via …- Spiegò Tony, mentre porgeva la bestiola alla bambina.
-E la Rudolph?- Domandò Jethro. Tony scosse la testa.
-Non so che fine abbia fatto, capo. Ma prima di uscire, posso assicurarti che la bomba l’avevo disinnescata …-
-Capisco …- Mormorò l’ex marine. Non era difficile immaginarsi come una bomba disarmata potesse esplodere. Qualcuno l’aveva riattivata. Solo allora Dinozzo focalizzò la sua attenzione su Kate, che fino a quel momento non si era mossa di un millimetro.
-Bhe, Kate, non mi dici niente? Non mi dirai che non ti sei preoccupata neanche un pochino …- Senza neppure guardarlo, la mora poteva immaginarsi benissimo il sorriso vagamente beffardo di Tony, che sotto la polvere e il sangue, la prendeva in giro. Di sicuro Tony si stava godendo la scena, trovando la sua disperazione divertente. Di colpo ogni briciolo di paura svanì, sostituito da una stizza sfociante nella rabbia. Con un ringhio inferocito, Kate si lanciò contro il collega, cominciando a tempestargli il petto di pugni.
-Idiota idiota idiota idiota!- Ed una lunga serie di altri epiteti poco simpatici che costrinsero Michela a tappare le orecchie a Cassidy. Tony la lasciò sfogare, finchè questa non cadde in un pianto liberatorio. Passata la disperazione, passata la rabbia, ciò che le restava era il sollievo. Si abbandonò contro il petto dell’uomo. Stava facendo la figura della pazza isterica, ma almeno si sarebbe goduta la sua vicinanza per qualche minuto, quel tanto che le sarebbe bastato per liberarsi della tensione accumulata. Quando poi Tony la cinse con le braccia, seppellì il viso contro la sua spalla, per nascondere il sorriso che quel gesto le aveva fatto sbocciare sulle labbra. Rimasero così, abbracciati per qualche minuto. Kate si crogiolava in quel calore protettivo e rassicurante, mentre Tony gustava il profumo dei suoi capelli, ancora presente, nonostante l’odore di polvere ed esplosivo. Entrambi ben lungi dal voler interrompere qual contatto fisico. Ma ci pensò la voce dell’innocenza a far tornare i due agenti con i piedi per terra.
-Mamma, ma i due signori sono fidanzati, vero? E quando si sposano?- Un momento di silenzio generale avvolse il quintetto. La semplice domanda di Cassidy era suonata come un allarme. Michela non sapeva esattamente cosa rispondere, non sapendo come stavano le cose tra Tony e Kate. Gibbs aveva sfoderato uno sguardo di puro ghiaccio, e la promessa di un bello scappellotto a testa ai suoi agenti aleggiava nell’aria. Kate e Tony, dopo qualche istante di congelamento, si staccarono a razzo. Kate rossa con sfumature bordeaux, Tony con un’improvvisa tosse, da lui attribuita al pelo di gatto. Jethro mantenne le iridi cristalline per un lungo minuto puntate sui due agenti, che sudavano freddo. Poi spostò lo sguardo verso gli agenti che si davano da fare con le macerie dell’esplosione.
-Andiamo. Qui ci penseranno quelli della squadra speciale … Ah, Dinozzo?-
-Sì, capo?-
-Pulisciti la faccia. Sembri uscito da uno dei film horror di Abby!- Tony si passò una mano sul volto. Non si era più tolto il sangue e si era raggrumato. Kate, indecisa se ridere o tirare un sospiro di sollievo, diede una pacca amichevole al collega.

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-Ahia!-
-Avanti, Tony la vuoi smettere di fare il bambino? Ho quasi finito.- Esclamò Kate, esasperata, mentre cercava di disinfettare il taglio sullo zigomo di Tony. Quando erano tornati in ufficio, Kate si era offerta di fare la crocerossina. Ma i continui capricci dell’uomo l’avevano fatta pentire amaramente.
-Sei tu che hai la mano pesante! Ma chi ti ha insegnato, Mike Tyson?-
-Ancora una parola, Tony e giuro che ti faccio vedere cos’altro ho imparato …- Sibilò la mora, premendo più forte la garza sul taglio. Ignorando il mugolio di dolore di Tony, Gibbs avvisò che gli uomini della squadra speciale avevano trovato dei resti umani tra le macerie, vicino al punto dov’era avvenuta l’esplosione.
-Dovranno fare gli esami del DNA, ma sono quasi sicuri che si tratti della Rudolph.- Spiegò l’uomo, mentre si accasciava sulla sua poltrona. Un sospiro di sollievo si diffuse nell’ufficio. In qualche modo, quella storia era finalmente finita. E, cattivi a parte, non ci avevano rimesso la vita altre persone. Michela e la piccola Cassidy avrebbero potuto vivere senza più il terrore dello spettro di Richard O’Connell. Tony, in qualche modo, aveva chiuso un capitolo oscuro del suo passato. I sensi di colpa nei riguardi di Amanda Rudolph, d’ora in poi, se ne sarebbero rimasti per sempre sepolti in fondo alla sua coscienza. Nella mente degli agenti, però rimaneva ancora un dilemma. “Perché?” Quale era stata la ragione scatenante di quella scia di morte? Fu McGee a trovare tale risposta. Richiamò l’attenzione dei presenti sventolando una busta giallina con la mano sana, per poi posarla sulla scrivania davanti a Gibbs.
-Hey, guardate che cosa ho trovato!- Incuriositi, Tony e Kate si avvicinarono al loro superiore. Con un sorriso orgoglioso, Tim spiegò quale fosse il contenuto della busta, mentre Gibbs l’apriva. -È la cartella clinica della Rudolph. Riguarda una visita fatta poche settimane prima dell’inizio delle pazzie di Johan Smilton.-
-Era incinta.- Lesse Gibbs.
-Non mi sembra una novità, capo …- Borbottò Tony, che venne freddato da un‘occhiataccia dell‘ex marine, mentre McGee completava il resoconto.
-Ma era già stata diagnosticata una gravidanza a rischio. Ed il feto era malformato. Nelle ultime radiografie si vede bene. Se anche la Rudolph fosse riuscita a portare a termine una gravidanza così difficile, il bambino sarebbe nato con forti handicap, sia mentali che fisici.-
-Forse …- Kate deglutì. -Forse è per questo che Smilton ha disposto quelle bombe …- Gli occhi dei tre colleghi uomini si piantarono sulla mora, assetati di risposte che una pro filers era decisamente più in grado di dare rispetto a loro. -Sì … Voglio dire … Da quello che abbiamo visto, Amanda era ossessionata dall’idea di avere una famiglia. Figli, marito e quant’altro. Probabilmente Johan non era diverso. Ora, se non sbaglio, c’è un particolare che accomuna tutti i luoghi delle esplosioni.- Gibbs annuì.
-Ognuno di quei posti era collegato ai bambini. Nei supermercati si vedono sempre madri a far la spesa con i figli … -
-Il figlio della Rudolph avrebbe avuto handicap mentali, se fosse nato. Niente biblioteca e scuola come tutti, per lui.- Continuò Tony.
-Non parliamo poi di andare allo stadio … Il sogno di ogni padre, è quello di portare il figlio a vedere la squadra del cuore disputare un incontro.- Sospirò McGee. -Ma la casa?-
-Il bambino avrebbe dovuto crescervi. E tutto era già pronto per accoglierlo.- Spiegò Gibbs, riponendo i fogli nella busta. -Un motivo più che ovvio per volerla distruggere. Anch’io avrei voluto farlo con la casa delle mie ex mogli …- Un sorriso fugace si disegnò sulle labbra dei tre agenti, oramai in procinto di uscire. Era stato un weekend davvero sfibrante. Nella sede dell’NCIS erano rimasti soltanto loro. Gibbs salutò la sua squadra ricordando che per l’indomani voleva un rapporto dettagliato sul caso. Con un borbottio di disapprovazione, McGee si diresse al laboratorio, dove Abby lo aspettava. Tony e Kate si attardarono in ufficio. Un silenzio carico di tensione calò tra i due. Avevano atteso così tanto di poter restare per un po’ da soli, che adesso non avevano la più pallida idea di come e da dove cominciare. Come sempre, fu Tony il primo a cominciare.
-Allora … Finalmente siamo soli, eh?-
-Già …- Mormorò Kate, che improvvisamente aveva preso interesse per la punta delle sue scarpe, troppo imbarazzata per alzare lo sguardo sul collega. Si faceva schifo da sola. Peggio di una ragazzina al primo anno di liceo. E sì che con tutto quello che aveva passato con lui, non avrebbe dovuto avere grandi difficoltà a parlargli guardandolo in faccia! Ma l’angolo più pauroso e imbarazzato della sua testa sapeva solo che il momento che temeva di più in assoluto era arrivato, e stavolta non ci sarebbero state malate di mente o esplosioni di sorta ad interromperli. Sussultò, quando Tony riprese la parola.
-Dovevamo fare un discorsetto, noi due, vero?>-Kate sussultò quando si rese conto che la voce di Tony veniva da pochi centimetri dal suo volto. Senza che lei se ne fosse accorta, le si era avvicinato, e con una delicatezza infinita, le stava sollevando il mento con una mano, in modo che fossero faccia a faccia. La mora si sentì arrossire. Gli occhi di Tony erano esattamente come quando l’aveva baciata dopo l’esplosione. Profondi e caldi.
-Vero …- Le labbra dell’agente si distesero in un sorriso. Kate non potè fare a meno di ricordare il momento in cui lui l’aveva baciata. Ad un tratto le venne voglia di sentire di nuovo il sapore delle sue labbra. Mandando al diavolo l’imbarazzo, la donna colmò la distanza che separava la sua bocca da quella di lui. Piacevolmente sorpreso dell’improvvisa temerarietà della collega, Tony approfondì il bacio, e le cinse la vita con il braccio, mentre con la mano libera le toglieva una ciocca di capelli dal viso. Kate da parte sua fece aderire perfettamente il suo corpo a quello dell’uomo, e gli mise le braccia attorno al collo. Il bacio durò molto più a lungo rispetta alla prima volta. Dopotutto non c’erano bombe pronte ad esplodere da un momento all’altro, escludendo i loro stessi cuori impazziti di gioia. Si staccarono solo per mancanza d‘ossigeno, ma già disposti a ricominciare subito.
-Dì, ma non dovevamo fare un discorsetto, noi?- Domandò ridacchiando Tony, mentre Kate si accoccolava contro il suo petto.
-Per parlare c’è sempre tempo, no?- Rispose lei. Tony scoppiò in una sonora risata. Solo lo sguardo corrucciato che gli rivolse la mora lo fece smettere.
-È che credo che la mia presenza ti faccia male … Stai cominciando a pensare come il sottoscritto!- Si scusò lui, leggermente impacciato. Kate rimase qualche istante in silenzio, poi scoppiò a ridere a sua volta.
-Sei un idiota …-
-Se non me lo dicevi cominciavo a preoccuparmi ….- La risata dei due echeggiò per tutto l’ufficio, in cui gli unici testimoni di quella notte erano le lampade al neon delle scrivanie, che emanavano una particolare luce soffusa, quasi ideale per l’occasione. Quella sera, sarebbe stata solo loro, non dell’agente Todd o dell’agente Dinozzo. Solo di Kate e Tony. Le persone che stavano dietro gli agenti. Sarebbe stata una notte fatta per scoprirsi a vicenda, senza maschere e senza distintivi. Forse sarebbe stato troppo presto perché si potessero pronunciare alcune parole come “ti amo”, ma per le parole ci sarebbe stato tempo. Ora c’era solo una notte. Due persone, un uomo ed una donna. Ed una luce soffusa.

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Gibbs rimase a contemplare il cielo. Era una bella serata, dopotutto. Ed anche se si trovava all’ingresso della sede dell’NCIS, in piena città, le stelle mostravano tutta la loro lucentezza, al cospetto di una luna sottile, ma non per questo meno imponente.
-Ancora qui, Jethro?- Domandò Ducky, col solito impermeabile, mentre si sistemava il cappello.
-Così pare.- Fece l’ex marine, con un’alzata di spalle. Il medico legale gli si avvicinò.
-C’è un cielo stupendo, questa sera.- Gibbs annuì. Non c’era molto da dire tra loro. Quando ci si conosce da tanto tempo, le parole possono anche diventare superflue. -Dimmi Jethro … Hai intenzione di fare qualcosa, per quei due?- L’ex marine sorrise. Non c’era bisogno di saper leggere nel pensiero per capire a chi si stava riferendo l’amico.
-No. Non per il momento. Voglio lasciarli in pace, almeno per stasera. Non è il caso di fargli sapere che so già tutto …- Il sorriso si trasformò in un ghigno divertito. -Tanto, gli scappellotti sono come le parole. C’è sempre tempo …-

-Fine capitolo 11-

-THE END-

T-T… Buaaaaaah! È finita! La mia fic è finita! È assurdo, sono triste …
Ma quanto accidenti di zucchero ci ho messo, in questo finale?! Se lo leggesse gente che mi conosce mi prenderebbe in giro a vita! Questa non sono io!!! Giuro! O meglio ... lo sono, ma solo per le fan fic ... e spesso neppure per quelle. Le parti romantiche sono quelle che mi danno più difficoltà in assoluto. bhe, fatemi sapere che ne pensate, se devo cambiare stile, se devo smettere di scrivere, se vi va di leggere altre mie fic su NCIS!

Salutissimi!!!
Will

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