Il modo per salvare

di Ut0piagratuita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Telefonate e sigarette ***
Capitolo 3: *** 2. Ogni volta come la prima ***
Capitolo 4: *** 3. Uno e nessuno è tutt'uno ***
Capitolo 5: *** 4. Il Nero sta bene con Tutto ***
Capitolo 6: *** 5. Make sure to keep the distance ***
Capitolo 7: *** 6. La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 8: *** 7. Notti Tempestose ***
Capitolo 9: *** 8. Cime Bianche ***
Capitolo 10: *** 9. Si tramanda che Omero fosse cieco ***
Capitolo 11: *** 0.non sono un capitolo. ***



Capitolo 1
*** 1.Prologo ***


Prologo-

Quando sei piccolo, trovi la Paura dappertutto.
L’avevo appena letto, durante la pausa pranzo, in effetti; in un libro grande come un mattone... Uno di quelli in cui ti ci perdi, poi per ritrovarti con un malditesta esemplare... e ora ci stavo pensando, appoggiata con la testa sul muro e la sigaretta in bocca. Ero sempre stata abile a farmi prendere dai pensieri, ogni professore che avessi incontrato si era trovato d'accordo su questo punto.
La mia, quella che ricordo di avere avuto da sempre, era quella per il Buio. Mia madre, quando ancora c’era, restava con me finché ne aveva voglia, poi spegneva la luce, e io rimanevo seduta sul materasso, a fissare le ante dell’armadio, aspettando con angoscia che si spalancassero. Sapevo che qualcosa di terribile ne sarebbe uscito. Da piccola ero una bambina con gli occhi pieni di pensieri, e di desideri... Desideravo, infatti, di essere in grado di capire.
Capire il continuo litigare dei miei genitori, capire tutto il nero del buco oltre l’armadio, gli sguardi che gli altri lanciavano a me e alla mia sorellastra quando ci vedevano passare, le urla di mia madre quando si chiudeva a chiave in bagno... Crescendo, però, sono diventata apatica. Sorda alle urla, cieca agli sguardi, lasciavo che tutto scivolasse, e la maschera che costantemente indossavo era diventata parte della mia pelle, tant’era diventata adattabile e familiare, per me. Lo sapevo, che l’apatia era la via facile, quella che non mi avrebbe resa felice, ma ero stanca. A vent’uno anni ero stanca, di alzarmi e cercare il calore del Sole anche per la mia anima, stanca di vivere nel rumore, che mi confondeva sempre di più. Desideravo anche saper volare.
Avere delle ali, abbastanza forti , per volare via da questo posto... I miei erano desideri; ero piccola, non avevo capito che volere qualcosa non te la fa ottenere di conseguenza. “Volere è potere”, dicono.
Ma come fai ad ottenere qualcosa quando invilupparti nella tua stessa apatia, nel tuo dolore, nei tuoi sbagli messi in sequenza casuale, come una serie di canzoni, è la cosa più simile alla redenzione che hai mai conosciuto, provato?
Mi risvegliai dal flusso dei pensieri con la suoneria del mio cellulare, Blackbird dei The Beatles, e guardando il display risposi: “ Sì, tranquilla, passo a prenderti io... sì, un’altra ora in ufficio, non preoccuparti! ... Non arriverò in ritardo, te lo prometto... ok, ok, ciao”.
Lo ributtai nella borsa, e spensi la sigaretta. Odiavo il mio lavoro, odiavo questa città, odiavo la mia vita, la persona che ero stata e quella che ero diventata, non riuscivo ancora ad andare oltre la freddezza che aveva costruito attorno a me come un muro. Guardai in alto per pochi secondi, ricordando un episodio che mi aveva fatto odiare da un’altra persona importante della mia vita : la mia migliore amica del Liceo; mi aveva detto che il miglior modo per far passare il dolore era pregare, avere fede.
Ricordo di averla mandata a quel paese... Io non ho mai avuto fede, né speranza, né niente, a dir la verità. Non c’è speranza, per una come me ... non c’è redenzione, non c’è purezza, per Lydia Martin.






A/N: non mangiatemi, per piacere!! prima storia, prima volta che apro del tutto la mia" porta che non è una porta", quindi non siate troppo cattivi... un bacio a tutti e buona sera. questa storia ce l'ho in testa già da un po', un modo diverso di vivere la Stydia, forse troppo "umano" per gli standard di Teen Wolf, ma va bene comunque!! Btw, se lasciaste un commento mi fareste davvero un favore, buona giornata.
-Mg :)

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Capitolo 2
*** 1. Telefonate e sigarette ***




 







 
 











 
"The way to save = Il modo per salvare"
+++








 

 "Ehi! “ uno scossone mi svegliò del tutto.
Stetti con gli occhi chiusi ancora per un secondo, progettando modi possibili per uccidere chi aveva osato svegliarmi, per una delle poche volte che riuscivo a prendere sonno … Aprii si scatto i miei occhi verdi, per incontrarne un paio nocciola scuro, quelli della mia collega.
“ Kira! Cosa c’è?” mugugnai, stropicciandomi gli occhi con la mano.
“Ti squillava il telefono” la guardai ancora per un attimo, troppo confusa per capire quella frase, così semplice. Lei si sistemò i boccoli con una mano, e con l’altra indicò il mio iphone, io annuii, prendendolo. “Prego, comunque” e mi fece uno dei suoi sorrisi.
“Non ti ringrazierò, mi hai svegliato” sbuffai.
“E’ la quarta volta che lo faccio. Dovresti smetterla di dormire a lavoro, Kate prima o poi se ne accorgerà e-“
“Accorgermi di cosa?” al suono della sua voce bassa Kira fece un salto. Kate Argent, 1.75 centimetri di gonne a tubino e camicette attillate, e egocentrismo e veleno puro; la donna più odiosa che potessi incontrare in quest’ufficio, insomma.
“Che mancano fogli alla stampante!” trillò la mia collega, sorridendo nervosa, io feci una smorfia.
“Mancano fogli? Credevo avessimo un magazzino pieno di risme, e che voi avesse le mani …” e fece un sorrisino, per poi continuare:” oppure stare così tanto sedute vi ha davvero rammollito il culo? Sarebbe più che comprensibile, dato le vostre capacità!” squadrò Kira, la quale arrossì, guardandosi le scarpe.
“Al contrario, Kate. Certe posizioni del mestiere richiedono molta capacità e energia, e tu lo sai bene, vero?” e sorrisi, gelida. Tutti , in quest’ufficio (persino il fattorino delle consegne), sapevano che se la faceva con Mr. Hale. Non a caso era lei quella con lo stipendio più alto, e il braccio destro del capo della compagnia, Derek Hale.
“Sai, non ti conviene giocare con il fuoco, Martin. Và a finire che ti bruci … E nel tuo caso, starei attenta il doppio”.
Ci guardammo negli occhi, verde nel verde, e vi lessi una minaccia non proprio velata. Lei ci provava gusto, nell’intimorire gli altri, nell’avere il controllo assoluto, non aveva ancora capito che non ero disposta a piegarmi ad una come lei; le sorrisi ancora, sbattendo le ciglia, e lei fece per andarsene, ma si girò verso Kira:
“Dimenticavo! Bella gonna, mia nonna ne porta una uguale!”.
Quando fu lontano, la mia collega si girò con la faccia rossa dalla rabbia “ Quella … ! L’hai sentita? E poi, è davvero così brutta? “
Io la guardai, era una semplice gonna scozzese nera e rossa, modello college, niente di sconvolgente, scossi la testa, e risposi: “ Deve piacere a te, non lei. Rilassati, è Kate che parla, non un giudice di Project Runway “.
Dopo avermi rivolto uno dei suoi sorrisoni andò alla sua scrivania, lasciandomi sola.
Kira era una brava collega, forse anche un’amica. L’unica che avevo dentro l’ufficio, nonostante fosse qui solo da quattro mesi. Così insicura, piccola e timida; era stata lei a presentarsi a me, dopo due settimane dalla sua assunzione, si era seduta nella scrivania accanto alla mia, e aveva cominciato a chiedermi consigli. Ma non le avrei mai confidato nulla.

Non mi fidavo più della gente. Non ci guadagni nulla, nel dare fiducia, nel far entrate gli altri, solo dolore gratuito.
Tornai al documento di finanza che avevo nel computer , cercando di capirci qualcosa e di non cedere al sonno, mentre ripensavo inevitabilmente a Kate, alle sue minacce che provava così tanto gusto a farmi, a quel suo modo di camminare, come fosse sempre sotto i riflettori, e sospirai. Anch’io ero stata così, un tempo: un fenomeno, un modello a cui ispirarsi, ma poi era cambiato tutto. Quel lato di Lydia era semplicemente sparito, cancellato dalla necessità, ed era inutile piangere sul latte versato, lo avevo imparato.

 




Cercando di non cadere, tra fascicoli e tacco dieci, arrivai all’ascensore. Finalmente un altro giorno di lavoro era passato, non riuscivo a crederci … Lo odiavo così tanto, il mio lavoro, che ogni giorno all’ora di chiusura saltavo dalla gioia; avrei voluto fare Microbiologia, per diventare poi un cardiochirurgo, ma i piani di mio padre erano altri, non potevo scegliere, Io, cosa farne della Mia vita …
Nel parcheggio, tra semioscurità e lampadine fulminate, scorsi Derek Hale, nella sua Camaro nera, che si sporgeva verso il sedile del passeggero; distolsi lo sguardo, cercando di evitare con gli occhi quello che mi aspettavo di capire, quello che vedevo ogni volta che dovevo portare uno dei fascicoli revisionati nell’ufficio del capo …
Che ironia, la vita è veramente una ripetizione continua, pensai scuotendo la testa. Presi le chiavi della mia auto e squillò il telefono.
“ Pronto?”
“ Lydia! Pensavo fossi morta, perché non mi hai risposto?” rispose lei, anzi strillò, e io dovetti allontanare per un attimo il telefono dal mio orecchio.
“Scusa Allison, davvero, ero a lavoro e non ho sentito il telefono … Tu non mi chiami mai a lavoro, è successo qualcosa?” chiesi, costringendo il mio cervello a fare un ultimo sforzo dopo 14 ore di ufficio.
“Lyd … “esordì lei, e io cominciai ad avere paura.
“ E’ successo qualcosa a Erica?”
“ Ha avuto un altro attacco, era ad equitazione e –“
“Ma quell’uomo è pazzo! Non può averla seriamente portata a quella lezione di prova! Dimmi che mi sbaglio, Ally, ti prego! Sta bene?” la preoccupazione trasudava dalla mia voce, non poteva essere successo; lei aspettò a rispondere, e il subconscio non contribuiva a mantenere la mia mente lucida : immagini di possibili disastri si formavano in sequenza, spaventandomi.
“Non lo sappiamo ancora per certo, l’ho portata io al pronto soccorso circa tre ore fa, ed è ancora dentro per l’operazione … Mi faranno entrare appena si sveglierà, visto che non faccio parte della famiglia.”
“Arrivo.” E aprii la macchina; ero già pronta a girare le chiavi e a premere l’acceleratore quando lei mi bloccò :
“ No, stai tranquilla, c’è sua madre qui, tu vai a casa." 
“Stai scherzando, spero! No, sto arrivando, non-“
“ Lydia. E’ meglio se non vieni ora. Passa domani, l’orario delle visite comincia alle sette e mezza del mattino.” Il suo tono non lasciava spazio allo repliche, e io mi morsi il labbro.
“Allison. Non me ne fotto, ok? Non m’importa di Laura, lei ha bisogno di me. L’hai vista, almeno? Cosa è successo?”
“ E’ caduta da cavallo durante un attacco epilettico. Per fortuna che c’era l’istruttrice affianco, non so cosa sarebbe successo se l’animale fosse stato solo con lei in quello stato …”
Chiusi gli occhi, e mi appoggiai al sedile. Avevo paura, di pensare, di muovermi.

“ Ally, devo venire, ti prego” la mia voce si incrinò, io non pregavo mai nessuno, io ero forte, non avevo bisogno dell’approvazione né del consenso di nessuno.
“ Lydia, non è per Laura … Lui è qui, e ha chiesto … mi ha chiesto di non farti venire, ti ho chiamata, ma lui non voleva nemmeno quello”. Non riuscii ad afferrare il telefono che scivolò dalla mia mano, il mio corpo era come paralizzato: era così semplice, come avevo fatto a non arrivarci? Ora capivo, ora comprendevo il perché di tre ore senza notizie … Strinsi forte gli occhi, non potevo piangere, dovevo riprendere il controllo, subito. Cercai il telefono con la mano, seguendo il suono della voce di Allison, e respirando a pieni polmoni.
“ Lydia?! Comunque, alle sette e mezza, ricordatelo! Io vado, potrebbero sentirmi, ciao.” e prima che potessi dire nulla, riattaccò. In preda alla frustrazione lo buttai nella borsa, per poi abbandonare la testa e le mani al volante.
Lui aveva chiesto esplicitamente che io non fossi presente … Che io, suo figlia, non fossi presente. Misi in moto la macchina, cercando davvero di non piangere, non dovevo dargli anche questa soddisfazione.

In venti minuti ero arrivata al mio portone, con fascicoli e borsa alla spalla mi feci le scale, pronta a passare un Giovedì sera da schifo.

 



L'ennesima sigaretta della serata, mi ero ripromessa, almeno quest'anno, di smettere. Ma mi serviva, mi serviva tirare e rilasciare fumo, mi calmava almeno un po', e mi permetteva di pensare senza fare troppo rumore. Inutile stupirsi: la mia vita andava ad un ritmo che non riuscivo a seguire, e i fallimenti andavano solo ad aumentare. Sospirando, uscii fuori in terrazzo. 
C'era la Luna già alta nel cielo, circondata dalle stelle, mi incantai a guardarle, ricordando la mia vecchia cameretta, dove c'erano le stelle stickers, quelle che si illuminano al buoi, le adoravo, mi aiutavano a superare la paura dell'armadio. 
Un riflesso di un flash e il suo rumore inconfondibile mi risvegliarono dal mio momentaneo ritiro mentale, mi girai di scatto.
Nel terrazzo accanto al mio, normalmente vuoto, c'era un ragazzo. Un ragazzo alto, con ciuffi indisciplinati castani, che , a quanto pare mi aveva appena scattato una foto. Tirai un'altra volta dalla sigaretta, indecisa su cosa dire, per poi tirare fuori un: " Hmm... Che cavolo fai?"
" Faccio una foto, credo " rispose lui, facendo un sorrisino. Alzai gli occhi al cielo, cercando di non adirarmi subito.
" L'avevo notato. intendo: perché hai appena fatto una foto? Anzi, perché l'hai fatta a Me?"
" Perché sei davvero bella, e poi perchè è nuova, mi serviva qualcosa da ritrarre." lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo, mostrandomi la macchina fotografica che teneva in mano, e io rimasi zitta per un attimo... In questa città ce n'era tanta di gente strana, lo sapevo, ma vicini stalker con strane manie, questo mai.
" Potrei anche denunciarti, sai?" lo sfidai, stringendomi nel cardigan panna che portavo addosso.
" Mio padre è lo sceriffo, non so quanto servirebbe, e poi tranquilla, non ti diffamerò su Facebook. Non so nemmeno il tuo nome" lui mi sorrise, e notai, grazie a una macchina che passava di sotto il colore dei suoi occhi: marroni scuri, ma con strane sfumature, mi fermai a guardarli, mentre lui mi mostrava i denti bianchi. Non era brutto, affatto, anzi: aveva quest'aria da ragazzino, e il naso un po' all'insù che lo rendeva ancora più infantile, ma il fisico asciutto e adulto, lo si capiva, anche nella penombra.
Sorrisi, senza motivo, poi rindossai la solita aria sufficiente, dandomi della stupida per essermi incantata davanti a un perfetto sconosciuto, pazzo, probabilmente: " Io non so il tuo, siamo pari"
" Mi sono trasferito ieri, sono ancora in alto mare con gli scatoloni e tutto il resto" spiegò lui. Attesi che andasse avanti, ma quando guardai il suo viso capii che aspettava che facessi io la prima mossa.
" Prima volta a Beacon Hills?"
" No, io ci sono nato, qui. Stiles Stilinski, piacere"
" Ah, ora capisco. Figlio dello sceriffo, piacere tuo, stalker, ora se mi scusi ..." e feci per tornare dentro, ma lui mi bloccò :
" Ehi! Non è giusto, tu sai il mio nome, potrei avere la grazie di sapere il tuo? "
" Fammici pensare ... No. Addio, vicino strano."
Lo sentii protestare, e sorrisi, mentre chiudevo la porta-finestra.
Ma il mio sorriso non era destinato a durare, non appena tornai dentro casa gettai l'occhio sulla foto che aveva fatto con Erica due estati prima, sopra il tavolino da caffè,  risaleva a quando gli attacchi si presentavano con un ritmo quasi normale, quando potevo ancora godermi mia sorellastra. Accarezzai, con le dita la superficie di vetro, sentendo gli occhi che si bagnavano, con disperazione corsi in camera da letto e mi buttai vestita sul letto.
Non ce la facevo più, non mostrare la debolezza era diventato sempre più difficile, e non bastava fumare quel pacchetto di sigarette, se poi tutto quello che restava era Vuoto. Un Vuoto che durava da quasi sei anni, però, dovrei esserci stata abituata, ma da qualche parte, dentro di me, una piccola cosa, forse speranza, cercava di sopravvivere. 
Battaglia persa, pensai, battaglia persa.




A/N : chiedo venia per tutti gli errori di ortografia che potreste trovare, sono molto scarsa quando si tratta di scrivere al computer!Erica qui ha 10 anni, sorry, ed è la sorellastra della nostra Martin, Kate è una stronza, come al solito e Kira e Allison son personaggi che non preoccupatevi se non li avete capiti subito, non l'ho fatto nemmeno io, ma col tempo, si sa, tutto si capisce( o così dicono) Stilinski entra in gioco, e per me è un ragazzo strano, senza peli sulla lingua, e Lydia se ne accorge...
Lydia vive alla giornata, cercando di tirare avanti, quindi non può permettersi di piangere, né fare la debole... Se vi va, commentate, se no, vi auguro di trovare una lettera per Hogwarts( no, non ve lo auguro, quella me la tengo io: altro che Greco e Latino!!) Già, il classico mi uccide, ok?... Buon sabato! enjoy
- Mg :)

 

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Capitolo 3
*** 2. Ogni volta come la prima ***




 







 
 











 
"The way to save = Il modo per salvare"
+++








 

    Weep for yourself, my man,
You'll never be what is in your heart
Weep, little lion man,
You're not as brave as you were at the start
 Rate yourself and rake yourself
   Take all the courage you have left
                       Wasted on fixing all the problems that you made in your own head                  But it was not your fault but mine  
                                  And it was your heart on the line                            
                                 I really fucked it up this time                            
                                           Didn't I, my dear?                                                        Didn't I, my dear?
Mumford and sons - Little Lion Man


Lydia


Sapevo che era un sogno.

Lo sapevo, come sapevo che il mio nome era Lydia Martin e avevo ventuno anni. Mi guardai intorno, con questa piccola certezza addosso, cercando di capire dove fossi.

Un cornicione, ecco dov’ero. Con i piedi stavo affrontando una paura che combattevo sin da quando ero piccola: l’altezza e il vuoto, ma ora era diverso, lo facevo e basta.

Camminavo sul cornicione, con naturalezza. Non so di quale città, non riconoscevo i palazzi che si innalzavano all'orizzonte, ma sentivo il vento sulla pelle e tra i capelli, mi sentivo libera, e sorridevo. Però non un sorriso forzato, uno di quelli di convenienza, uno di quelli che fai al lavoro, quando ti danno documenti da revisionare e ti costringono a fare straordinari, no, uno spontaneo. Lo sfiorai, pesando quella parola che si era formata nella mia coscienza: spontaneo … Da quanto non sorridevo, ma sorridevo davvero?

Forse da troppo tempo; però ieri con quello sconosciuto con la faccia familiare del mio vicino, mi ci stavo avvicinando. Il vento mi teneva compagnia, mentre guardavo giù, senza timore, e anche se mi batteva forte il cuore, non avevo paura del vuoto. Il vento portava rumori, sensazioni, voci … E più soffiava sulle orecchie, più le riconoscevo: non erano voci e basta, erano ricordi, i miei.

“ Ma come Lydia, non ti ricordi di me?”   “ Lydia Martin alla lavagna! E dopo questa volta veda di stare attenta, signorinella! La mia pazienza non è infinita.”    “Se ti dico un segreto, tu devi giurare, Giurare, di non dirlo a nessuno … Mi posso fidare di te?”     “Non sei mai stata brava a fare niente, solo creare casini, a darmi delusioni! Tu sei una delusione, forse la più grande … Tu con tua madre!”    “Tu e Jackson. Mi credi idiota? Io mi fidavo di te, pensavo fossi diversa! Mai mi sono sbagliata tanto …”

Ricordi e voci, troppe insieme, troppo forti, sovrastavano tutti gli altri rumori. Non riuscivo a distinguerle, a capire cosa dicevano, a capire a chi appartenevano … Mi tenni forte la testa, mentre sentivo le gambe che si addormentando, e insieme i sensi che si intorpidivano, urlai forte, per svegliarmi, ma il volume aumentava.
 
“ Tu hai chiuso con me, hai capito?”    “ Credevi sul serio che me ne fottesse qualcosa? Sei davvero una bambina, Lydia, patetica e inutile.”    “ Fuori da questa casa! Ora!”
 
Silenzio.

Ora c’era, il silenzio, assoluto. Non c’era più nemmeno il vento, c’era solo l’orizzonte e il vuoto sotto e intorno a me … poi qualcosa, una sensazione, che cresceva con
ritmo spaventoso. Non riuscivo a catalogarla; mi concentrai su quella, mentre si faceva sempre più vicina, vivida, concreta.

Umido.

Eccola la parola, umido.

Davvero umido, però. Non bagnato, non asciutto. Umido. Su buona parte della faccia.

Qualcosa di umido mi risvegliava dal mio sogno, che spariva dalla memoria a breve termine, come spesso succede una volta che ti svegli e ne sei consapevole. Dato il battere sconnesso del mio stesso cuore, che percepivo attraverso l’orecchio premuto nel cuscino, ne fui grata, meglio non ricordare … Ma questo umido! Metteva a dura prova i miei sensi e la mia pazienza.

“ Mhh … E’ impossibile chiedere di dormire e essere esauditi? “ grugnii, aprendo li occhi. Ed era lì, ad un centimetro dal mio viso, con il suo musetto poggiato senza preoccupazioni sulle mie lenzuola a righette, che il mio cane ricambiava il mio sguardo, e mi leccava la guancia. Sbuffai, tirandomi a sedere, e lui mi seguì, accucciandosi sotto la piega del seno, riscaldandomi subito con il suo corpicino, lenendo automaticamente quell’inquietudine che avevo addosso.  Cominciai ad accarezzarlo, seguendo la linea delle orecchie, per poi grattargli il mento.

“ Hai ragione, Berry, è ora di alzarsi, ma sai che c’è? Oggi ho più paura del solito.” Lui non rispose, cominciò a scodinzolare, io sorrisi un poco, e continuai: “ Tu non capisci, non è così facile. Da quella volta non ci siamo più visti, e non sicura di essere pronta a farlo, non oggi.” Il cane per tutta risposta sbadigliò e, dopo avermi leccato la mano, saltò giù dal letto.

Nemmeno il mio cane era in grado di parlarmi, di consolarmi del tutto, di rispondere ai dubbi a cui davo voce in sua presenza, nemmeno il mio cane …

Guardai la sveglia, e con una strabuzzata degli occhi fui resa consapevole che erano le sette e cinque minuti. Imprecando volai fuori dal letto e in tutta fretta mi tolsi il vestito stropicciato della giornata prima, e afferrai una gonna a fiori e una camicia, correndo in bagno. Allo specchio, mentre mi lavavo i denti a velocità della luce, annuii a me stessa. L’avevo fatto altre volte, forse sarei sopravvissuta anche questa volta; applicai un filo di mascara e il solito rossetto rosso acceso, e infilai gli stivaletti col tacco saltellando verso la porta.

“ Ciao cane, non combinare guai, ti prego. Ci vediamo” salutai Berry, che alzò il muso dalla ciotola dell’acqua per guardarmi, poi continuò a bere.

Aprii la porta di scatto, e volai giù dalle scale, quasi sbattendomi contro il tipo del quinto piano, quello con tutti i gatti randagi della città al seguito; per le scale vidi anche l’ascensore che si chiudeva, con dentro il ragazzo con la faccia familiare. Mi vide, e fece in tempo a fare un cenno con la mano, prima che le ante si chiudessero del tutto, io corsi al garage, senza più indugi.
 
 


Stiles
 

Mi appoggiai alla parete fredda di metallo dell’ascensore. La mia vicina bella rossa-fragola sfrecciava come una Ferrari giù per le scale, sorrisi all'immagine che si stava formando nella mia testa, per poi costringere il mio cervello a concentrarsi.

Non cosa fosse successo nelle passate quattro ore, forse non avevo risolto nulla, no, senza forse.

Quando litighi non sai mai cosa fare, come reagire … Non ero mai stato bravo a esplicitare quello che sentivo, figuriamoci a dire la verità, nuda e cruda. New York mi avevo cambiato, lo sapevo, tre anni passati a ricomporre i pezzi, cercando di recuperare almeno l’ologramma di Stiles Stilinski, per poi ricevere la bella notizia.

Sei cambiato, Stiles … non sei più il ragazzo che amavo” ripetei tutto nella mente, l’avevo già imparato a memoria: uno di quei discorsi che non credi possibili da fare nella vita reale, forse solo nelle soap opere scadenti, per poi scoprire che ne stai ricevendo uno; non lo avevi chiesto, non lo volevi, ma te lo regalano comunque. E tu lo accetti, perché puoi fare altrimenti?

Lei è sempre stata brava a fare questo genere di regali; la prima volta è stata quando era certa di essere incinta, e voleva chiudermi fuori dalla sua vita, e da quella di nostro figlio. La seconda è stata quando mi ha chiesto di trasferirmi via da Beacon Hills, insieme a lei, per ricominciare, tutto quanto. Ricordo le discussioni avute con mio padre, su quanto fosse precoce, immaturo; lui non approvava, ma io la amavo così tanto … Malia era stata la prima, per me. Con quegli occhioni cioccolato mi aveva stregato, portandomi nel suo mondo, senza darmi le istruzioni per sopravvivere, e io stavo ancora imparando ad adattarmi. Ci eravamo lasciati quasi un anno fa, e lei era tornata qui, senza di me. Era stata la prima, ma lo era ancora?

Scossi la testa, dopo quest’ultima ora passata a litigare, dopo aver fatto sesso, non sapevo come considerarci: non sapevo se lei era andata avanti, se mi amava davvero ancora, se saremmo andati per la nostra strada e basta, se si aspettava qualcosa di diverso da me.

Le aspettative, bella cazzata.

Le aspettative fanno schifo, deludono e ti portano a essere deluso. Ti ci devi abituare, se no sei fregato. Io lo avevo imparato da tanto, ma ogni volta era come la prima.

Uscii dall’ascensore, e infilai la chiavi nella toppa, facendo due bei giri. Quest’appartamento mi serviva, non ce la facevo più a stare a casa, non era solo per mia madre, ma anche per mio padre. Adoravo mio padre, era il mio esempio da seguire, l’uomo che sarei voluto diventare, e ci credevo ancora, ma dopo averlo deluso, non riuscivo ad affrontarlo così. Avevo bisogno di tempo.

Ho bisogno di tempo, non posso darti una risposta ora. Credevo di provare ancora qualcosa per te, sono certa di farlo, pensavo che questo avrebbe risolto qualcosa … voglio smetterla di mentire. Ho bisogno di tempo, di qualcuno che non mi faccia sentire così immatura “.

Ecco che tornava, la sua voce. Volevo chiuderla fuori, chiudere tutto, rimanere con il silenzio in testa. Mi precipitai in bagno, pregando che con una doccia sarei riuscita a lavare quelle parole, a lavare lei, lavarla via da me almeno per un po’.

Volevo la mia bolla, forse era troppo da chiedere, però, mi buttai sotto il getto tiepido dell’acqua, fregandomene del fatto che fosse più fredda che calda.
 
 


Lydia
 

L’odore degli ospedali è così particolare, così pieno e agrodolce che non lo dimentichi. Per me ogni volta dentro l'ospedale era come la prima, c'ero abituata. Il tuo naso lo riconosce subito, e non è una cosa malvagia, almeno sai dove sei.

Scossi la testa, alzando gli occhi sull'orologio a parete grigio e bianco della sala d’aspetto : 8.05. Grandioso, grazie, traffico del Venerdì mattina. Avevo chiesto per messaggio ad Allison la stanza di Erica, e lei mi aveva appena risposto: 169, la cercai, indecisa su cosa avrei detto, che faccia avrei fatto, ma la raggiunsi.

Erica era sempre stata una bambina bellissima. Capelli biondi, occhi ambrati con sfumature verdi, un sorriso che te ne faceva innamorare, io me ne ero innamorata: mi aveva davvero incantato. Con i suoi giochi, con il suo modo di coinvolgerti, con le sue smorfie buffe quando capiva che la prendevi in giro. Mi mancava, era la mia famiglia.

Lei non era completamente mia sorella, un suo cromosoma X apparteneva a Laura Reyes: una barbie, uguale alla figlia, differiva però nel fatto che aveva il brutto vizio di credere di poter sostituire mia madre. Ero la pecora nera della famiglia, è anche per questa mia diversità che quasi un anno e mezzo fa ero stata “gentilmente invitata” a fare le valigie e andarmene, lontano da mia sorelle, dalla mia casa, dai ricordi della mia vita passata insieme a miei genitori, quando ero ancora felice di chiamarli tali.

Nel corridoio non vidi nessuno, forse riuscivo ad andarmene senza parlare con nessuno dei due, incrociando le dita entrai nella stanza, senza aspettare né infermiere né medico. Lei era sdraiata nel letto, con lenzuola bianche e pulite, nella stanza che sapeva di disinfettante e fiori. Ce n’era un vaso, azalee rosa acceso e rose bianche, sul comodino accanto al suo viso. Il silenzio era interrotto regolarmente dal bip del monitor, e feci attenzione a non interrompere il suo ritmo, chiudendo con cura la porta.

Erica dormiva; ricordo che nella vecchia casa, quando la portavo dal divano dove si addormentava puntualmente al letto, mi fermavo a guardarla dormire. Era un calmante miracoloso, guardare la sua espressione serena, mentre lasciava la realtà e andava verso altre spiagge, create solo per lei. Mi sedetti proprio accanto a lei, guardandola: aveva un piccolo taglietto all’altezza del sopracciglio destro, ma la sua pelle era ancora candida e perfetta, sorrisi, sentendo il cure che accelerava la sua corsa.

“ Ciao pulce. Scusa se ieri non c’ero, stavo lavorando e poi mi sono anche addormentata sulla scrivania! Mi dispiace tanto se non c’ero io a tenerti la mano ieri, non lo sapevo … Sai pulce? Manchi tanto a Berry, oggi mi guardava, chiedendomi se venivi o no, e io gli ho promesso che ti avrei portato presto, spero non ti dispiaccia.” Le accarezzai i capelli mossi, perfetti, come lei. ” Stai tranquilla, piccola mia, ci sarò da adesso, dovessi rapirti per stare con te, e non succederà più, te lo giuro …” Abbassai lo sguardo, sapevo di non poter mantenere quella promessa, non potevo permettermi di vincere il gioco contro la sua salute, ma potevo esserci per lei, non importava quanto mi sarei fatta odiare da nostro padre.

“ Ti ho portata una cosa: l’orso che hai lasciato a Berry l’altra volta, mi ha detto di portartelo, a lui non serve più, dice che ne hai più bisogno tu. Mi manchi tanto, pulce.”

Mi bloccai per respirare, e tirai fuori dalla borsa l’orsetto di peluche, anche se era senza un occhio, era ancora simpatico. Era il nostro, gliel’avevo regalato io al suo settimo compleanno.

“ Mi avevano avvisato che saresti passata, e me l’aspettavo.”

Una voce proveniente dalle mie spalle mi sorprese, mi girai di scatto, rischiando di far cadere l’orsetto, già in equilibrio precario.

“Melissa ...? Sei tu l’infermiera di Erica?” chiesi, riconoscendo la figura che stava alla porta, con le braccia incrociate e una faccia furba in viso. Era la madre di Scott, un vecchio compagno di scuola, mi ero dimenticata che lavorasse in quest’ospedale.

“ In persona. Ciao Lydia.” Mi sorrise, e io non mi preoccupai troppo del fatto che probabilmente avesse sentito l’intera conversazione, Melissa McCall era la cosa più vicina ad una mamma che avessi mai avuto.

Mi alzai, guardandola dritta negli occhi, e lei mi abbracciò. Io non ricambiai l’abbraccio, non ero ancora pronta a dare amore così, se non per Erica, e Melissa lo sapeva, lei conosceva i miei tempi.

“ Mi sono stupita non trovandoti, ieri” ammise, lasciandomi andare.

“ Non sono più la ben accetta. Sono qui di nascosto, infatti” scrollai le spalle, per continuare: “ Come sta?”

“ Per adesso bene, ha ancora la morfina in circolo, quindi sta riposando bene, ma il fatto che stiano aumentando non mi piace. Ho chiesto a i tuoi genitori di fare esami in più, più approfonditi, ma loro hanno rifiutato. La porteranno da una specialista, a Vancouver.” Spiegò lei.

Spalancai gli occhi, questa opzione non la avevo tenuta in considerazione, non potevano portarla via da me.

“ Non possono farlo … E se durante il viaggio lei avesse un altro attacco? E se non raggiungesse l’ambulanza in tempo? E se fosse uno spreco di tempo?” mi agitai, cercando di non lasciarmi prendere dal panico.

“ Potrebbe succedere, come potrebbe essere che grazie a questo specialista troveremmo una nuova terapia …” spiegò lei, poggiandomi le mani sulle spalle.

“ Tu stai dalla loro parte, quindi … E chi sta dalla sua?” tolsi le sue mani, per indicare l’angelo che dormiva in quel lettino, ignaro del casino che stavano facendo i suoi genitori.

“ Io non patteggio per nessuno. Devi capire, Lydia, che andare avanti così non aiuterà tua sorella a vivere una vita almeno pseudo normale, capisco la preoccupazione dei tuoi genitori, e capisco anche te. Ma io non posso fare nulla, sono solo un’infermiera, posso dire la mia, ma non ho il controllo sulle decisioni altrui.”

Io abbassai il capo, stringendomi forte le braccia intorno alle mie spalle.

“ Vai a casa, tesoro. Ci penso io a Erica, è al sicuro con me.” Alzai lo sguardo, aveva quello sguardo dolce, da mamma, pieno di calore, di promesse bellissime, di speranza e perdono, e io mi sciolsi, riprendendo a respirare. Annuii, lasciandole anche il mio numero di telefono per sapere le novità.

Mi abbracciò un’ultima volta, prima di dirmi : “ Stai tranquilla, non sei sola in questa battaglia, e non lo sarai mai.”

Uscii dalla stanza 169, con un peso un più sulle spalle, ma una pietra un po’ più leggera sullo stomaco. Avevo le lacrime agli occhi, mi sforzi di non farle scendere, guardando su.
Pessima idea, i neon potenti del corridoi bianco dell’ospedale mi accecarono,  tenendomi le mani premute sugli occhi inciampai su qualcosa, o qualcuno.
 
 


Stiles
 

“ Ho capito, Scott. Passo domani, però, oggi devo ancora cercare di risolvere ‘sta storia con Malia … Sì sono in ospedale, ha il turno di mattina. No, non ci passo da tua madre. Passaci tu se ci devi parlare! … Se vuoi stasera … Sicuro? Un’occhiatina, non è tanto … Dai, è il tuo locale, non credo che vomiterò appena ci entrerò dentro! Va bene, ho capito, ci sentiamo.”

Riattaccai, sorridendo. Con tutto il casino con Malia non ero ancora riuscito a passare dal mio miglior amico di sempre, alias Scott McCall.

Quest’ospedale era la cosa più familiare per me, dopo la mia e la casa di Scott, che avevo in questa città. Sorrisi, notando che anche in tre anni, nulla era cambiato, forse nemmeno le persone.

“ Salve! Cerco la dottoressa Malia Tate, è possibile che lei sappia dove si trova?” chiesi sorridendo e appoggiandomi al marmo della segreteria che si trovava all'ingresso.

La segretaria mi concesse uno sguardo di disapprovazione, prima di controllare al computer. “ Sta completando il giro, quarto piano.”

“ Grazie mille …” cercai la targhetta con il nome ” Doris, mi ha illuminato la giornata!” risposi, sbattendo la mano sul marmo, e sfrecciai via, certo che si mi fossi girato, lei sarebbe stata ancora con il giudizio negativo scritto in faccia.

Era di spalle, con una cartella clinica in mano, io la raggiunsi e le picchiettai sulla spalla. Lei si girò in tutta calma, e io mi godetti come l’espressione professionale scivolava via, seguita poi da sorpresa, per poi stabilizzarsi con confusione, e forse anche un po’ di disappunto. Malia le emozioni le viveva appieno, e ti rendeva partecipe di ognuna di esse.

“ Che ci fai qui?” chiese, scioccata.

“ Lo so, avevi chiesto tempo, ma non riuscivo a smettere di pensare a quello che ci siamo detti e-“ fui interrotto subito.

“ Stiles, primo, non voglio che mi venga a trovare durante il turno, lo sai, e secondo: ho davvero bisogno di tempo, te l’avevo detto, e credevo che tu avessi capito.” Eccole lì, le parole che sapevo mi avrebbe risposto.

“ Malia, so di non essere alla tua altezza, di non essere all'altezza delle tue aspettative, ma anche se sono cambiato, se sono diverso, una cosa è ancora la stessa: ti amo.”

Lo dissi e basta, senza più ripensamenti. Perché era questa la verità: io la amavo, la amo. Un anno non era bastato a dimenticarla, lei c’era ancora, sotto la mia pelle, nelle mie ossa, lei c’era.

“ Non è questo, Stiles, non sono pronta a stare con te di nuovo. Ti prego di capirmi, e di andartene. Non possiamo parlarne così, ora.” La guardai negli occhi, in cerca di quello che desideravo, quello che ero venuto a cercare, ma sembrava essere stato temporaneamente rimpiazzato dalla decisione di lasciarmi. E capii il mio errore: ero andato di pancia un’altra volta, facendo quello che per me era giusto, ma non era la cosa giusta da fare. Malia sembrava dispiaciuta, si mordeva un labbro, così pieno e perfetto che mi venne voglia di baciarla, ma non lo feci.

Mi girai e me ne andai, ignorando le sue parole gridate, e mi stropicciai gli occhi con le mani, cercando di non cedere alla voglia di mandare tutti a quel paese e nascondermi, scappare. Girando l’angolo non vidi qualcosa che si scontrò contro di me, ma il mio corpo si assicurò bene di rimproverarmi di questa mancanza. Ero a terra, con addosso qualcosa, o qualcuno.

Aprii gli occhi, indeciso se fare il newyorchese scorbutico, ma mi bloccai, mentre le mie labbra composero un sorriso inaspettato, e una figura familiare con gli occhi verde foglia e i capelli rosso-fragola mi fulminava.
La sua smorfia sulle labbra rosso ciliegia mi fece allargare il sorriso.

“ Non sai starmi lontana, ammettilo.”

Se prima aveva l'intenzione di fulminarmi, ora mi stava decisamente incenerendo. Si tirò a sedere, con un colpo secco, liberandomi dal peso che il suo corpicino snello costituiva.

"Mi dispice, non sapevo che mi sarei scontrata ancora con te." Sbottò, aggiustandosi una ciocca di capelli uscita da dietro l'orecchio.


" A me non dispiace affatto, fa sempre piacere essere travolti da una bella ragazza come te." le risposi, guardando come gli occhi le si illuminarono di disappunto e alzava gli occhi, con le fossette che le comparirono sul viso.

" Ancora con 'sta storia. Sei un tipo molto originale! Niente macchina fotografica oggi?" chiese, alzandosi con grazia, dandomi una bella visuale di gonna a vita alta a fiori e gambe bianche e magre.

" No, ho deciso di passare alla parte in cui ti vedo senza obiettivi di vetro che creino barriere tra di noi. Una mano non sarebbe male." dissi, porgendole la mia mano. lei la guardo per poi sorridermi molto dolcemente, risposi automaticamente al sorriso, guardando i suoi occhi così grandi e profondi.

"I favori di questo genere sono per persone che si scusano e non hanno strane manie, quindi sei fuori strada, caro." E detto questo si voltò, facendo ondeggiare la sua chioma rossa.

Io rimasi per terra ancora un attimo, sorridendo alla figura che spariva dietro la colonna. Rimasi sinceramente indispettito dal fatto di non sapere ancora il suo
nome, poi abbandonai la testa sul pavimento, guardando le mattonelle del soffitto, bianche e bucherellate, fregandomene di essere sul pavimento di un'ospedale.

Non ne ho davvero voglia, constatai tra me e me. Poi mi alzai, pensando all'inserviente di Scrubs, facendo il paragone con quello di questo posto: non mi andava di essere sottoposto a torture medievali, non oggi, almeno.





A/N: ta daa! allora, tante cose: la relazione di Lydia con Erica e con i suoi genitori, quella di Stiles con Malia... 
Lydia ha paura del nuovo, dopo il bagaglio di esperienze che porta sulle spalle, il fatto si stare senza quella che considera la sua famiglia la terrorizza, al punto di fare una decisione egoista e presa al momento, che sveleremo forse nel prossimo capitolo.
Stiles invece ha deciso di aprirsi del tutto con la donna che non ha dimenticato, rimanendone ferito. Questo fatto lo condizionerà, perchè succede sempre, diciamoci la verità: il rifiuto, anche con le migliori ragioni del mondo, rimane un rifiuto e digirerlo è dura ...
spero vi sia piaciuto almeno un pezzetto, come al solito buona giornata e se lasciaste un'opione o consigli su come migliorare l'italiano( brutta bestia) ne sarei davvero felice! bye bye
- Mg :)

Ps: questi sono i protagonisti che dovete immaginare per questa storia: Stiles e Lydia

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Capitolo 4
*** 3. Uno e nessuno è tutt'uno ***


 







 
 













"The way to save = Il modo per salvare"
+++









 
« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera. »

-S.Quasimodo

 
 
 
 

Lydia

 
Concentrarsi a lavoro quando vorresti essere da tutt’altra parte, magari con tua sorella, oppure semplicemente dentro il letto, a guardare il soffitto cercando di non pensare, è praticamente impossibile.
Sbadigliando poggiai il dito sulla parola sullo schermo del computer: “Egregio ...
Se coprivo bene il ”gregio” rimaneva solo quella E maiuscola.
E, come la E di Erica.
Era ciò che mi serviva: se chiudevo gli occhi riuscivo anche a vederla Erica, con il suo sorriso buffo, o con la pace sul viso addormentato in ospedale … Era da ieri che aspettavo notizie, da Allison o da Melissa. Potevo solo aspettare, perché ero stata privata del mio essere sorella, almeno per Loro. Allison mi aveva confermato ciò che già avevo pensato: Lui e Laura avevano chiesto al medico affidato di non lasciare entrare quella”ragazza irresponsabile e combina guai” nemmeno nel reparto.
Tutto ciò era assurdo, considerando cosa avessi fatto per quella bambina da quando era nata. Ma mia madre me l’aveva sempre detto: il mondo, le persone che lo compongono, non ti saranno mai riconoscenti. ti lascerebbero anche morire per strada agonizzante se fosse la cosa migliore per loro.
Mia madre era fatta così, con tutto quel veleno sepolto dentro di lei, che non tirava mai fuori con il suo amato marito, preferiva lasciarlo per la sua “donnina”, che doveva imparare in fretta. E io ero un’ottima allieva, come una spugna assorbivo tutto, e cercavo di farla felice, di renderla fiera.
Quando se n‘era andata avevo sentito la sua assenza, in fondo, nonostante il suo strano modo di esserlo, lei era mia madre … Mio padre aveva sofferto per i primi mesi, poi si era risposato con la barbie, che si era presa sulle sue spalle il carico di una bambina triste e strana. Poi però era arrivata lei.
Loro avevano avuto paura che cercassi di sabotarla, magari inculcandole le mie idee, o semplicemente cercando di renderla simile a me, ma non avevano capito che io a Erica la osannavo. Pendevo dalla sue labbra, e la amavo, di quell’amore puro e incondizionato che provi solo per la tua famiglia. Perché lei lo era, era la mia famiglia.
Il segnale della mail si accese, avvisandomi che ne avevo appena ricevuta una, tenendomi il mento con la mano, la aprii.
Dopo le prime due righe strinsi le mani in pugni, così forte da lasciare i marchi rossi a mezzelune, in corrispondenza delle unghie.
Kira vide di certo la mia faccia, perché smise di scrivere alla tastiera e mi chiese: “Tutto bene, Lydia?”
Non risposi.
Non si potevano trovare parole; io non ci riuscivo, scossi la testa, non aspettandomi di certo che lei mi venisse incontro e ripetesse la domanda. Poi si sporse a leggere dal computer, io non reagii, ero bloccata, paralizzata dalla paura.

 
 
 
 
 

Stiles

 
C’era quasi un telo su questa città, come uno di quelli che metti in soffitta sui mobili, per non farci posare la polvere sopra; era diversa.
Sì, diversa: non era come New York, dove ogni cosa sembrava che avvenisse per caso, e la gente che incontravi eri destinato a non incrociarla più; m a non era nemmeno la vecchia Beacon Hills, dove ero nato e cresciuto. Quando avevo diciotto anni, io, come un mucchio di altri adolescenti, non sapevo nulla.
Non avevo idee sul mio futuro, non stavo progettando come sviluppare il sogno dentro il cassetto, non ero impegnato in quella che chiamavo ironicamente “ la corsa all’oro personale”.
Certo, perché gli Americani sono sempre stati famosi per questa cosa di perseguire gli obiettivi fino al punto fermo, alla vittoria, o della ricerca di gradini più alti rispetti a quelli degli altri. Uno stereotipo che però un fondo di verità ce l’aveva.
Questa città, ora come ora, era diversa; l’odore che respiravi per le vie era diverso, i suoi suoni, il colore del cielo, aveva una gradazione in più di celeste di quella che ricordavo. E non lo accreditavo di certo allo smog: mi sentivo un estraneo.
Non ero mai stato come gli altri ragazzi, quelli pronti a fare cazzate, a fregarsene, a mollare tutto e andare a vedersi la partita di football alla TV.
Io mi bloccavo e pensavo, sempre, a tutto.
Da dove veniva questo mio lato pronto ad analizzare ogni cosa, non ne avevo idea; forse da mia madre.
Quando le persone che consideri pilastri, per qualsiasi motivo, crollano, tu crolli con loro. A me era successo. Ma c’ero riuscito, ad andare avanti. Non del tutto, magari, il mio era ancora un cantiere aperto, ma mi era andata meglio che a mio padre.
Non l’ho mai rimproverato per il fatto di non essere riuscito a lasciarla andare, e non l’avrei mai fatto probabilmente: non era ancora pronto, e ognuno ha i suoi tempi. C’era stato un momento nel quale l’avevo accusato, qua, nella mia testa, di fare la cosa sbagliata, di affrontarla male, che non ne sarebbe mai uscito, ma poi avevo capito.
Nessuno può soffrire il tuo stesso dolore.
La gente, per quanto può volerti bene, amarti, non arriverà mai a soffrire la tua stessa fetta di dolore: è completamente tua, nessuno può farsene carico, e se tu soffri gli altri non stanno male come te.
Era un pensiero triste, trovato in una frase di un libro, ma che mi aveva in un certo senso aperto gli occhi: per quanto fossi empatico, per quanto viaggiassi sulla stessa onda di frequenza, e per quanto soffrissi per la stessa ragione, non soffrivo come lui. Quel dolore era solo suo.
Sospirai, pensando a mio padre. Chissà dov’era adesso …
Era già a casa? Magari davanti alla TV con la solita cena precotta in forno e la solita stanchezza sulle spalle e negli occhi? Oppure era ancora in centrale, pronto a lavorare tutta la notte per risolvere un caso?
Mentre svoltavo l’angolo per il condominio optai per la seconda opzione: lo sceriffo Stilinski viveva del suo lavoro, con passione e dedizione.
Mi aveva proposto di lavorare con lui alla centrale, e io ci avevo pensato sul serio: crimini, gli assassini, le prove, le armi … Roba da CSI, insomma. Ma avevo declinato l’offerta: quello era il suo universo, fatto da lui per lui, io avevo bisogno di entrare nel mio mondo, forse addirittura di costruirmelo dalle fondamenta, ma dovevo farcelo io.
Ed ecco perché New York, era un ponte verso il futuro per me. Il mio futuro a due, con la donna a cui avevo avuto il coraggio di dichiararmi, la donna che amavo, che avrei continuato ad aspettare.
Salii le scale, perso, guardando come il piede aspettava su un gradino l’altro prima di passare a quello più in alto, chiedendomi quando precisamente la mia vita fosse diventata un casino del genere. Prima mia madre, poi mio padre, e tutta la storia del Liceo, dove ero il nerd, il ragazzo strano: sogni strani, vestiti strani, gusti strani … E poi lei, Malia, pensare il suo nome bruciava in prossimità del petto, quindi cercai di non fermarmi su quello, o sarei scoppiato.
Riflettendo su come noi usiamo bene il senso negativo della parola strano arrivai sull’ultimo gradino, e alzai lo sguardo.
E la trovai.
La vicina attraente, quella biondo-fragola, che, appoggiata alla porta in legno, frugava nella sua borsa bianca.
“ Cerchi qualcosa?”
Lei mi guardò sorpresa, come se si fosse appena ricordata di non essere l’unica che abitava in questo terzo piano, e notai una strana luce nei suo occhi, mista a stanchezza e dolore sordo.
“ Le chiavi. Non le ho perse, erano qui … ci devono essere per forza.”
E si perse anche lei dentro la borsa, con la fronte aggrottata, io rimasi a schermarla, immobile.
La prima volta che l’avevo vista l’avevo subito etichettata come “estremamente attraente”, con quei capelli così particolari e unici, e quegli occhi, così espressivi, ma ora ero costretto a ricredermi. La mia vicina era bella, non solo attraente, e ce n’era di differenza.
C’era qualcosa di sensuale nel suo ginocchio sottile scoperto, premuto per puntellarsi contro la porta, nella piega del collo, così dolce e bianca, scoperto dai capelli intrecciati. Non era una ragazza che si nascondeva nei suoi vestiti, per paura del giudizio, no, era una di quelle che ostentano sicurezza: portava un vestitino attillato turchese, un giubbotto in pelle candido abbinato alla borsa, che non conteneva bene il seno, stretto a malapena nel vestito, e un paio di stivaletti neri; sembrava sicura del suo corpo, delle sue forme, visibili e gradite.
“ Se hai finito di radiografarmi magari mi dai una mano.” La sua voce, colorata di un pizzico di nervosismo, oltre che scocciata, mi riportò sulla Terra. La fissai, ricordando il tempo in cui se fossi stato colto in una situazione del genere sarei scappato, e avrei nascosto la testa sotto la sabbia, tipo struzzo.
Lei mi indicò lo scatolone nero che era per terra; lo raccolsi, seguendola dentro il suo appartamento, e il 3B dorato della porta mi sfidò. Attraversi la soglia, non spaventato da quel numero e quella lettera, pronto a essere cacciato all’istante dalla rossa.
Dicono che la nostra casa rispecchi la nostra personalità; armato di questo detto mi guardai attorno, per rimanere spaesato.
Colori, colori dappertutto.
Il soggiorno aveva le pareti tinteggiate di azzurro, con il divano bianco munito di cuscini rossi. Poi l’angolo cottura era verde mela, con un mosaico di mattonelle diverse, bianche e blu, e si vedeva a sinistra un piccolo corridoio bianco, e i mobili di legno scuro, pieni di libri, foto.
Non so perché, ma non me l’aspettavo. Forse per le sue reazioni scorbutiche, forse per la tristezza che avevo letto nel suo sguardo, troppa profonda per essere data dallo svolgersi della giornata.
“ Strano.” Mi lasciai scappare, lei si voltò a guardarmi, indispettita.
“ Ci ho messo un po’ per metterlo su, ma mi piace. Poggialo lì, tranquillo.” E riferendosi allo scatolone che avevo in mano indicò il divano, mentre si liberava dal giubbotto.
“ Non è brutto, ma non mi sembra da te.”
“ Mi conosci?” ribatté, ma non con cattiveria; capii che era una constatazione retorica, e io risposi con un sorriso.
“ Potrei, se sapessi il tuo nome.”
“ Giusto, mhh … perché dovrei dirtelo?” la sua voce scemò mentre andava in cucina per aprire la finestra, la seguii.
“ Perché non dovresti, scusa?”
“ Da una parte perché mi hai fatto un livido ieri con la caduta, poi perché hai strane manie con le macchine fotografiche … Però mi ha portata la scatola, quindi credo che non sia compromettente dirtelo … Lydia Martin” decise, porgendo la mano verso di me. La strinsi, adattandomi alla morbidezza della sua pelle e al suo calore, e un’espressione vittoriosa dipinta sul viso.
“ Stiles Stilinski.”
“ Perché me l’hai detto? Lo sapevo già.” Mi chiese, non solo con la bocca, anche con gli occhi.
“ Avevo paura te lo fossi dimenticato, gli altri ci mettono un po’ a ricordarselo, è un nome-“ non mi lasciò finire.
“ Strano. E’ vero, è strano.” Annuì, e io alzai gli occhi al cielo.
“ Ti ringrazio.” Ed eccone un’altra da aggiungere alla lista; però lei continuò.
“ Ma non è brutto … sempre meglio di certi altri … tipo Hernest.” Rimasi a guardarla, cercando di cogliere l’allusione che per lei sembrava così elementare, glielo si leggeva in faccia. “Hemingway”
“Ah! Sì, lo conosco! Il vecchio e il mare giusto? “ mi si accese la lampadina.
“ E non solo … Meno male, stavo per prenderti a padellate” si asciugò false goccioline di sudore, e io mi abbrunai.
“ Quindi, Stiles, ti ringrazio per avermi aiutata …” la sua voce era nervosa.
Sorrisi, cominciando a dire :” non c’è di-“
“… e anche per avermi radiografato il sedere, quello soprattutto, dopo ieri, ti ha fatto guadagnare punti bonus, ma …”
“ Non mi ringraziare, quando vuoi, solo per te” aprii le braccia, indicandomi tutto, curioso della sua reazione.
Lei cercò di nascondere il sorriso che le si stava formando sulle labbra, illuminandole gli occhi verde foglia, scuotendo quel dolore che leggevo ancora, e mi tirò un colpo al braccio.
“ Ahi! Era un apprezzamento innocente!” mi difesi, prendendomi la parte ferita e mettendola al riparo da lei.
“ Innocente? Sei un pervertito!”
“ Piano ragazzina, potrei anche offendermi … A proposito quanti anni hai?” Tirai fuori quella domanda dal nulla.
“ Troppi per rientrare nella pedofilia, mi spiace.” Rispose con una smorfia sulle labbra rosse, piene … Era così diversa da Malia, Lydia sembrava una bambina dentro un corpo di una donna, un corpo molto attraente, con le giuste curve, ma erano entrambe bellissime …
“ Ero serio.”
“ Pure io.”
La guardai con sufficienza, e lei sorrise “ La verità è che sono indecisa se dirtelo o no, non sei uno di cui si può fidare.”  Notai come il suo sorriso si spense un po’, mi chiesi il perché.
“ Ti do quest’impressione?”
“ Ti fideresti di un completo sconosciuto?”
“ Per cose come l’età e il nome sì, perché praticamente non lo rivedrei più”
“ Ma a noi non succederà: abitiamo ottanta centimetri di distanza.” Era maledettamente seria con quella frase, e io ripetei in mente la conversazione.
“ Stai tranquilla, Lydia Martin, non sono né un pedofilo né un assassino. Anzi, proprio oggi sono stato assunto come cameriere in un locale non lontano da qui. Ti puoi fidare di Stiles il cameriere.” Le assicurai, cercando di trasmetterle tutta la sicurezza che vedevo vacillare nel suo sguardo, sembrava pronta a rompersi, la mia vicina.
“ Di Stiles il cameriere potrei anche fidarmi, ma di Stiles il vicino?”
“ A lui starei attento, ma per l’informazione sull’età, andrei sul sicuro … per me hai diciannove anni, comunque.”
“ Me ne hai scalato un paio. Ne ho ventuno.” Mi sorrise, un sorriso piccolo, sincero, che le dava un’aria da ragazzina. Le stavano bene i sorrisi così .
“ Io ne ho ventidue.” Stava per aggiungere qualcos’altro quando il mio telefono suonò.
“ Scusa.”
“ Fai pure” assicurò lei, attorcigliando una ciocca rossa al dito.
Guardai il display del telefono: un messaggio da Malia. Ero indeciso: aspetto o lo apro? Guardai Lydia, aspettando forse di trovare la risposta sul suo viso, lei rispose con uno sguardo interrogativo.
“ E’ qualcuno di importante?”
“ In realtà sì, la mia ex ragazza, che però forse è la mia ragazza.” Non so perché le dissi la verità, solo non le volevo mentire, forse per quella storia della fiducia.
“ Se la ritieni importante faresti meglio a rispondere, e poi devo farmi la doccia, sarebbe meglio se uscissi da qui.” Non sorrise, ma lessi serenità nel suo viso: ancora, non voleva offendermi, era solo il suo modo di dire come la pensava, con quel piccolo pezzo di scherno che la caratterizzava .
“ Hai ragione … Rimarrei per aiutarti a insaponare la schiena ma …”
“ Ciao Stiles, sai dov’è la porta!” mi liquidò così, con lo spettro di un sorriso sulle labbra, e si girò, andando verso il corridoio.
Rimasi un attimo a guardare quelle fiammelle biondo-fragola che si allontanavano, messe in risalto dal turchese del vestito, poi aprii il messaggio, mentre uscivo dalla casa.
Stiles, ti prego, vorrei parlarti, chiamami appena leggi il messaggio.”
Non sapendo cosa fare cominciai a scendere le scale. Arrivato al portone premetti il tastino verde, volevo arrivare ad una conclusione, che fosse positiva o negativa. Ero stato in equilibrio precario troppo a lungo, il punto per rimanere in asse era sparito, ora avevo due chance: o saltavo giù dal filo e cadevo al sicuro, sulla rete, o finivo fuori, sul duro pavimento.
Ma i funamboli fanno scena anche quando sbagliano, quando cadono rovinosamente a terra, quindi non dovevo avere paura, quella parte l’avevo già superata dicendole “ti amo”, andava tutto bene.
Ci devo solo credere.

 
 
 
 



Lydia

 
Mi girai per vedere Stiles che usciva del tutto dalla porta e la sbatteva, di certo non apposta. Sospirai, riavvolgendo il nastro: dovevo starci attenta, con la fiducia, quando ero troppo vulnerabile lasciavo vedere i punti scoperti della corazza, andavo oltre la maschera da donna sicura, tornava la dodicenne che si addormentava piangendo.
Aprii l’acqua, guardandola scendere.
Dopo il blackout che avevo avuto durante lavoro mi serviva un modo per riflettere, per elaborare. Per purificarmi dalla paura, non so come fossi riuscita a sorridere tutte quelle volte con Stiles, era un po’ magica, come cosa, curante forse: staccare la spina.
L'’acqua diventòò calda subito, e io mi ci buttai sotto, sperando di stare più calma, magari nel frattempo mi sarebbe venuta qualche idea per affrontare il pranzo con mio padre, o qualche illuminazione su come convincerlo a non mandare Erica a Vancouver …
Nell’e-mail c’era un dichiarazione di guerra, io la vedevo così, Kira non aveva saputo che dirmi, se non: “ Stai tranquilla, Lydia, forse non è come pensi, forse andrà tutto bene.”
Da dove diavolo si tirava fuori tutto quell'’ottimismo me lo doveva davvero spiegare. Però lei era così: era un continuo polo positivo, anche se stava male, per qualsiasi ragione, lei sorrideva, con tutti e trentadue i denti, ecco perchéé era cosìì bella. E io avevo capito che con lei potevo anche poggiare la maschera e parlare, parlare anche di me, di Lydia, e le sue debolezze.
Ripensai all’e-mail, sembrava scritta con la stessa stilistica di quella che avevo appena mandato a un avvocato poco prima di riceverla:
Distinti saluti, … la preghiamo … sarebbe di nostro estremo piacere … e con questo le auguriamo una buona giornata... etc.
La firma era quella della sua segretaria.
L’aveva fatta scrivere dalla segretaria. Io contavo così poco, ero cosìì un problema, un peso per Lui, che l’aveva fatta scrivere dalla segretaria …
Le mani mi tremavano, tante è che dovetti sedermi per non cadere, il tremolio che si espandeva per tutto il corpo, facendomi salire la nausea, poco a poco.
Non so quanto rimasi sotto il getto dell’acqua; anche quando divenne fredda, non la chiusi.
Tremando per il freddo uscii dal bagno, con addosso solamente l’asciugamano, legato al mio corpo, e andai a cercare il mio cane. Non si era ancora fatto vedere, strano, non da lui.
“Berry? Ehi! Berry?” lo chiamai più volte, poi sentii il campanello, pregando fosse la signora da cui a volte scappava, quella del primo piano, aprii la porta.” Grazie signora, non sa quanto-“
“ Nessuna signora, solo io.”
E ancora mi fermai. La sua voce, prima del suo viso, minacciavano il pianto. Ma nei suoi occhi c’era quasi sollievo.
Mi fermai, indecisa su cosa fare, dire, ma lei mi abbracciò, e io non seppi cosa dire, se non:
“ Allison …?”







A/N: allora, ci ho messo un po' per scrivere quello che forse avete letto, o forse avete fatto scorrere. Se l'avete fatto, capisco il perché, non preoccupatevi. Questo era un capitolo purtroppo necessario: mi serviva una specie di pedana di lancio, per cominciare a costruire la storia, perché senza buona fondamenta la casa crolla, si sa. 
Vi servivano un po' di informazioni per capire innanzitutto la mentalità della Martin e la sua storia, e poi il modo di ragionare di Stiles.
Stiles è davvero difficile da scrivere, è come un'insieme immenso di numeri: puoi confondere qualcosa, ma puoi anche dimenticarti per un attimo che i numeri sono infiniti, quindi qualcuno scappa, puntualmente( ? ).
Ho deciso di proporvi una delle poesie più belle di Quasimodo, per spiegare come tutto finisca: la vita, la felicità, la tristezza...è inevitabile, quindi bisogno tirare fuori i denti!

ps: perché Allison piange? e poi nel prossimo ci sarà anche Scott, e Malia, che sarà molto diversa a quella che avete conosciuto nei capitoli precedenti.
Ok, la smetto di tediarvi, buona serata, anche se è Lunedì, e se lasciaste una recensione, un'opinione, un'offerta, il vostro codice della banca ( ma anche no ), ne sarei davvero mooolto felice!
bye bye, 
-Mg :)

 

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Capitolo 5
*** 4. Il Nero sta bene con Tutto ***














"The way to save = Il modo per salvare"
+++









 
Hope there’s someone
Who’ll set my heart free
Nice to hold when I’m tired
There’s a ghost on the horizon
When I go to bed
How can I fall asleep at night
How will I rest my head
 
Oh I’m scared of the middle place
Between light and nowhere
I don’t want to be the one
Left in there, left in there
There’s a man on the horizon
Wish that I’d go to bed
If I fall to his feet tonight
Will allow rest my head
Hope there’s someone
Who’ll set my heart free
Nice to hold when I’m tired
Hope there’s someone-
Anthony and the Johnsons
 

Lydia

 
 
Allison si era addormentata, finalmente.
Era abbracciata al mio cuscino, stesa sul letto con le lenzuola a righette, finalmente si era concessa un po’ di riposo; io me ne andai dalla camera, facendo attenzione a non svegliarla. Frugai nella borsa lasciata in soggiorno e uscii in terrazzo, per fumare. Erano quasi due giorni che non ne fumavo una, ne avevo bisogno; girai la sigaretta, sigillandola con la lingua, e in un attimo stavo guardando giù, appoggiata alla ringhiera, con la cannula sottile tra le dita.
Non credevo possibile una successione così veloce di eventi, ed ecco mi ero dovuta ricredere; con la mente cercavo di annullare quello che avevo appena ascoltato, ma non riuscivo. Semmai tutto quello che succedeva era l’effetto contrario …
 

Allison ti prego, dimmi cos’è successo!”
Non riuscivo più a guardarla piangere, in silenzio, mentre abbracciava il mio cuscino del divano, già rigato di nero dal mascara colato. Lei alzò lo sguardo, e il mio cuore sussultò: nei suoi occhi nocciola c’era una disperazione profonda, che mi scombussolava. Mi avvicinai a lei, stringendola in un piccolo abbraccio.
“ Ally, davvero, prima mi dici cos’è successo e prima posso aiutarti … Te la senti di parlarmene?”
Lei mi guardò con i suoi occhioni bagnati, per poi annuire lentamente. La ammirai, io non ci sarei mai riuscita, io ero quella chiusa, quella che non diceva nulla a nessuno. Tirando su con il naso cominciò:
“ Lydia,scusa se sono venuta qui in questo stato … Ma io non sapevo da chi andare, non sapevo chi mi avrebbe ascoltato …” frugò nella mia espressione, cercando magari rifiuto, e cattiveria.
Chissà cosa davvero si aspettava di trovare.
“ Stai tranquilla, tu sei la mia migliore amica, sono sempre pronta a starti accanto. Riguarda Erica? Riguarda il lavoro? I tuoi genitori?” Chiesi, cercando di aiutarla, e aiutare me stessa a capire.
“ No, non riguarda Erica, né i lavoro, né i miei genitori …” e qui tremò di paura ”non ancora, almeno.”
“ E allora cosa? … Isaac?” La sua espressione mi diede qualcosa a cui aggrapparmi:” Credevo vi foste lasciati.”
“ Infatti Lydia, ci siamo lasciati quasi due settimane fa, è che …”
Di nuovo si bloccò, e un’altra grossa lacrima le scivolò dall’occhio fino al tessuto del cuscino. La guardai cadere, scervellandomi per indovinare di cosa si trattasse, Allison  si schiarì la gola.
“ Non so come dirtelo, da una parte ho paura del tuo giudizio, dall’altra … Ho paura che se lo dico diventi … vero. Quanto sono idiota!”
 Seppellì la faccia nella mia spalla, e io la strinsi, aspettando.
“ Lydia, io non so come possa essere accaduto, ero a una festa, l’apertura di un nuovo locale, con le mie colleghe, e ricordo di aver bevuto, tantissimo. Stavo ancora male per Isaac, e avevo solo voglia di staccare, e poi …” avvicinai l’orecchio per capire le cose che diceva. Stava sussurrando, con la faccia premuta contro il mio cardigan, che scemava la sua voce, già bassa, e resa rauca dal pianto.
“ Ho conosciuto un ragazzo, non ricordo nemmeno il suo nome, forse Tyler, o no, qualcosa con la S … Ricordo solo che appena l’ho visto ho smesso di stare male in quel modo, ho chiuso fuori Isaac, e ci ho ballato per tutta la sera, fino a che … Fino a che non mi sono svegliata il giorno dopo, nel suo letto, nuda.”
Lei alzò gli occhi, e io continuai a guardarla, senza sorridere né nulla, se aveva paura del mio giudizio negativo su questo punto era davvero fuori strada, una sbronza potente con il mix di sesso era capitata anche a me, e lei non mi aveva mai giudicata, per quello.
“ Vai avanti.” La incitai con tutta calma, lei annuì.
“ Ho un buco, io non mi ricordo cosa è successo, ma posso solo immaginarlo. Però ho avuto la conferma dell’ipotesi peggiore …”
Qui si bloccò, aspettando che capissi, e anche io mi bloccai: ecco, c’ero arrivata, sembrava davvero così logico, così semplice.
Si spiegava così, da solo, il suo pianto, tutto era facile dopo.
“ Sei incinta … ?”
“Ho un ritardo di una settimana, sono sempre stata precisa, e ho fatto il test, poco fa.”
“ Aspetta.. il test si fa almeno dopo due settimane … Quindi …”
“ Non so di chi sia ... l’ultima volta con Isaac non avevamo usato nulla, e non ricordo di aver preso la pillola … Sono incinta ...! Ho ventidue anni e sono incinta!” lo disse, riprendendo a piangere, stringendomi forte, io rimasi bloccata.
Quella situazione era così poco familiare che non riuscivo a gestirla, le accarezzai i capelli, incapace di dire nulla.
 

Finii la sigaretta con un’ultima tirata, e la lasciai volare verso il basso, con tutta la gloria possibile.
“ Fumare fa male. Provoca molti tumori.”
“ Lo so. Sarei dovuta diventare medico anch’io.” Le ricordai, alludendo ai nostri sogni a due, al tempo di scegliere l’università a cui dedicare quel poco di cervello rimasto dopo cinque anni di Liceo.
“ Probabilmente saresti stata anche meglio di me.”
Allison era lontana, tra i palazzi e la linea dell’orizzonte, resa scura dalla notte, alla ricerca di qualcosa che non fossero i suoi sbagli, o il suo futuro immediato.
“ Tu sei sempre stata più brava di me con le persone, è giusto così.”
“ Ho paura, Lydia. Paura di rimanere sola, di affrontare questa cosa da sola, di non farcela. Sono ancora troppo giovane, ho appena cominciato a costruirmi un futuro, e ora…”
“ E’ normale essere spaventati, non devi fartene una colpa. E non sarai sola, io ci sono, e ci sarò. So di non essere molto, ma-.”
“ Lo so, è per questo che sono venuta qui: io mi fido di te, Lydia.”
“ Non credo di meritare la tua fiducia, sono piuttosto brava a incasinare tutto.” Le risposi, aggiungendoci un sorriso amaro; era la verità, inutile nasconderlo.
“ Tutti meritiamo qualcosa, così come tutti combiniamo casini, lì importante è uscirne in fretta. Guarda me, ho nove mesi di tempo.”
Il suo tono la tradiva, nascondeva tutta quella paura che si ostinava a aggirare, che usciva imperterrita da quella mezza battuta, come un fiume in piena.
“ Hai deciso di tenerlo?”
“ Credo di sì, non so dome farò, con il lavoro, con la mia vita … non so nemmeno di chi sia figlio! Ma non ho mai pensato di abortire.”
“ Questa è una cosa importante, cerca di pensarci bene, Ally. Io non posso dirti nulla, non ne ho il diritto. Posso solo assicurarti la mia presenza e il mio sostegno qualunque la tua scelta sia. Dobbiamo capire chi è il padre.”
"Temo a fare il test, servono campioni di DNA, tipo capelli, unghie, ma sono facili da recuperare … Mi sento una puttana.”
“ Tu non sei una puttana, non lo sei, e non lo sarai mai. Non dirlo mai più, Allison, non è da questo che sarai una puttana, nono son le nostre azioni a definire chi siamo, ma quello che scegliamo di essere. Tu hai deciso di tenere questo bambino, questo già ti differisce.”
Ecco perché il pianto così disperato: non solo per la scoperta della gravidanza, ma soprattutto per il fatto di uscire dall'etichetta di “brava ragazza” e imboccare, anche solo per se stessi, tutta un’altra strada.
 “ Quando sei arrivata, piangendo in quel modo, mi sono davvero spaventata.”
“ Non volevo farmi vedere in quello stato da nessuno altro. Mi dispiace di averti disturbata.”
“ Mi hai aiutato a non perdermi nei miei casini per un po’; dispiace a me non averlo saputo subito, ti sarei stata vicino da prima”
“ I tuoi casini?”
“ Sì, ho un pranzo con mio padre, dopo.” Lo buttai così, cercando di attribuire il vero peso alle parole.
“ Tuo padre? Lydia … e hai intenzione di andarci?”
“ Non ho scelta: devo riuscire a tenere qui Erica; e poi voglio vedere in faccia il mio amato padre, che fa scrivere le mail dalla segretaria, anche alla figlia.” Rabbia. Solo rabbia repressa.
Allison non aggiunse nulla, non serviva: sapevo che aveva capito.
Noi due eravamo sempre state così. Due bandiere in balia dei venti, esposte alle intemperie, ma pronte a dimostrare qualcosa, anche solo il nostro significato. Si andava avanti; io e lei non c’eravamo mai fermate, avevamo sempre cercato di stare dietro al tempo, almeno di capirne il ritmo, insieme.
Rimanemmo lì, a cercare tra i palazzi e l’orizzonte il profilo di un giorno più pulito, più bianco. Migliore.
Aguzzammo la vista: era difficile da trovare nel nero della notte.

 
 
 
 


Stiles

 
La casa di Malia era la più bianca della via, mi ricordava le case greche, quelle che avevo studiato quando cercavo di passare ad Architettura.
Arrivai nel portico, ricordando tutte le volte che c’ero stato, tutti i momenti passati qui, a tenerla tra le braccia, a cercare di rispettare quella calma che meritavamo tutti e due.
“ Sei venuto.”
Malia si fece vedere, uscendo dalla porta in noce, paralizzandomi: bastava guardarla, bastava pensarla che io mi perdevo.
“ Ti avevo detto che ci sarei stato”
“ Lo sa, me l’avevi detto . Ma pensavo che dopo ieri … ho riflettuto, Stiles, e voglio parlarti. Basta maschere, basta paura, basta bugie, solo la verità”
Rimasi ad ascoltare, immobile, pronto a scappare, se le mie paure si fossero concretizzate. Non ce l’avrei fatta a soffrire un altro rifiuto, non avrei resistito, sarei andato via e basta.
“ Tu sei l’unico ragazzo che mi ha fatto capire che quello che cercavo in tutti gli altri non era amore, ma salvezza. Tu me l’hai insegnato. Ero una ragazza strana, fissata con il fatto di uno che completa l’altro, e che è capace di farti vedere la luce, sempre. Ero piccola, inesperta, volevo trovare la felicità a tutti i costi, e credevo che l’amore la portasse. Ma poi ho scoperto, cadendo e rialzandomi, che non è semplice. Ti ho ferito in mille modi, respingendoti, dandoti tutto l’amore possibile per poi respingerti, perché ero ancora impreparata. Ma sono diversa, ora. Sono cambiata anch'io, quindi di chiedo di perdonarmi, di darmi un’altra possibilità …” si bloccò per riprendere fiato e vedere la mia reazione: io ero sinceramente scioccato, preferii non dire nulla, mi avvicinai e basta, leggendo il suo viso dolce e spaventato.
Era un piccolo uccellino, i suoi occhioni scuri mi guardavano, chiedendomi di ascoltarla fino alla fine.
“ Perché io ti amo, Stiles, nonostante tutto quello che ti ho dimostrato sia stata bipolarità e ingiustizia, io ti amo, e non ho mai smesso. Tutti gli sbagli, tutte le cose urlate erano dettate dalla nostra rabbia, ma sono pronta a conoscere l’amore, con te.”
Malia aveva finito, e ora era preoccupata.
Preoccupata che io la respingessi, come lei aveva fatto con me. Era più grande di me, ma mi aveva appena confessato si aver imparato qualcosa da me, quando in realtà era tutto il contrario: da lei avevo imparato a uscire dal mio guscio, a lasciare l’aria da menefreghista, e a diventare me stesso anche davanti agli altri. Da lei avevo conosciuto me stesso, e sentendo quelle parole sorrisi.
Non riuscivo a tirare belle parole fuori dal mio cervello, ero troppo concentrato sul suo sorriso, così totalizzante.
Tutto era lei: l’aria notturna leggera, che stava piano piano diventando alba, la luce soffusa dei lampioncini del suo portico, la speranza che sentivo crescere senza controllo nel mio cuore, lei era tutto, ed era mia.
Con un passo mi appropriai delle sue labbra, sconvolto dal loro sapore così familiare, mi resi conto di quanto mi erano mancate; lei rispose al bacio con foga, portandomi con se, insegnandomi le regole per sopravvivere a quel gioco distruttivo che era il nostro amore.
Continuammo a baciarci, mentre lei sanava la mia anima e il mio cuore, e io curavo il suo, semplicemente perché ci completavamo.
 
 
 

 
 
 


Lydia

 

“ Lydia “
“ Da quanto tempo, papà”
Lo guardai negli occhi, aveva la mia stessa gradazione di verde; il fatto di avere così tanto in comune con lui mi spaventò.
“ Lydia, tesoro!” la barbie si alzò, sfoggiando il suo abito di marca, probabilmente Armani, e mi abbracciò, stampandomi due baci sulle guance. Io rimasi impassibile, sperando non si leggesse quanto il gesto mi rendesse felice.
“ Siediti, Lydia.” Quella voce autoritaria … Risentirla era come un salto nel passato. Pregai me stessa di avere la forza di rimanere attaccata a quel presente, e mi sedetti.
Il ristorante che avevano scelto aveva un parte all’esterno, ed è lì che ci accomodammo, al tavolo numero 13. Me lo ricordavo, perché lo fissai, studiandone i particolari, mentre loro guardavano i menù, facendo commenti mielosi, che sapevano di affetto ed esperienze di vita passata insieme, a conoscere l’uno i gusti dell’altra.
Il numero 13 era intagliato su un piccolo cilindro di legno, pitturato con smalto lilla, probabilmente indelebile all’acqua, data la lucidità, e stava bene con la tovaglia bianca. Non mi accorsi del tempo che trascorse, mentre cercavo di confondermi con il vestito bianco che portavo: sarebbe stato molto più utile diventare tutt’uno, e amica con il tavolo e la tovaglia, che stare lì a sorbirmi le loro smancerie da coppia sposata.
“ E per lei?” mi chiese il cameriere, aspettando di appuntare il mio ordine, io guardai gli adulti di fonte a me, Lui mi stava scrutando e lei si ispezionava minuziosamente le dita laccate di rosso fragola.
Sorrisi, pensando all’ironia della scena: alle elementari, quando le altre bambine mi chiedevano di che colore fossero i miei capelli, io ero sempre stata fiera e sicura di affermare che fossero biondo - fragola; non rossi, non biondi. Biondo - fragola, una determinazione forse buttata così a caso per qualcuno, ma non per me, che prima di decidere che andava davvero bene come definizione, avevo passato tutto il pomeriggio a mischiare pastelli acquarellabili con le dita, riempiendo interamente i fogli del mio quaderno di Arte e Immagine.
Laura rispose al mio sorriso con una mezza smorfia, con scalfì minimamente la sua espressione da donna impeccabile e perfetta, e io spalancai gli occhi, travolta dal bisogno di concentrare la mia attenzione su qualcos’altro.
“ Prendo un’insalata, con pollo, grazie. E un’acqua minerale” comunicai al cameriere, che si affrettò ad annotare tutto.
“ Patate?”
“ Come, scusi?”
“ Il pollo. Con o senza patate?”
Prima che riuscissi rispondere Laura lo scacciò con la mano, sorridendo mentre diceva: “ Naturalmente senza, non sia mai esploda! Già più di così … Giusto, cara?”
Io non risposi, troppo impegnata ad ascoltare il replay di quella frecciatina …
Nascosi la mano tremante sotto il tavolo, e la chiusi in un pugno, il più forte che mi riusciva, non potevi permettermi di fare passi falsi.
“ Grazie di tutto.” Sancì mio padre, scocciato, guardando il cameriere che si ritirava.
Non gli piacevano i litigi tra me e la moglie, non gli erano mai piaciuti, ma sapevo da che parte si sarebbe schierato, se ne avessimo iniziato uno.
“ Quindi, Lydia, come va il lavoro?” chiese mio padre, prendendo un sorso di vino.
“ Bene, il signor Hale, mi ha promosso a vice. D’ora in poi farò sempre su e giù per scale, partecipando a riunioni di economia e bilancio … O ai convegni.”
“ E immagino che questa promozione stia fruttando.”
“ Bhé, mi è stato aumentato lo stipendio, questo è logico, ma-“
“ Te l’avevo detto. Il tuo posto è nella Hale&Company, non in ospedale, o in un laboratorio facendo ricerca. Lì non avresti dato frutti.”
“ In realtà credo che certi cardiochirurghi prendano quanto guadagnavo prima della promozione, e non sicura che-“
“ Cara, quello che tuo padre cercava di dirti è che molto felice dei tuoi risultati. Come vedi lui vuole solo il tuo bene: quello che dai è il meglio, quando non ricevi altro!”
Laura mi sorrise, fiera con se stessa per aver fatto un discorso così lungo e un con filo logico, e io piegai la testa di lato, mordendomi la lingua, per non rispondere. Sorrisi, invece. “ Papà, perché mi hai invitato qui? Per parlare di lavoro sarebbe bastata una chiamata, o un’e-mail”
“ Ti dispiace un pranzo in famiglia? E poi non volevo dirtelo per telefono”
Perché non saresti stato tu a parlare, ma Margaret.
O ti sei anche dimenticato il numero, magari, e quindi sarebbe davvero bastata un’altra e-mail, o potresti non farlo e basta!  Urlai nella mia testa.
“ Si tratta di Erica. Viste le sue condizioni abbiamo deciso di trasferirci a Vancouver, per starle accanto durante la terapia. C’è il più grande Neurologo americano, lì, il Dott. Cohen. Ha accettato di provare un nuovo tipo di cura, che potrebbe forse funzionare.”
“ E per quando sarebbe fissata la partenza?” chiesi tra i denti; vidi Laura che si metteva dritta, per sentire meglio. Un bello spettacolo da vedere, non avevo dubbi.
“ Il prima possibile.” Essenziale e conciso.
Mio padre era da ammirare: un avvocato davvero prodigioso.
“ Quando.”
Insistetti, non poteva sul serio credere mi bastassero due cazzate sul bravo dottore, e basta.
“ Non lo so, Lydia, quando i suoi livelli saranno abbastanza stabili. Tra una settimana, due …”
Mi passai una mano sul viso. Non stava succedendo.
Questo era un incubo, dovevo svegliarmi, ora, prima che fosse troppo tardi per farlo.
“ Non puoi, papà. Non puoi portarla via! Pensa a Erica, pensa a me!”
“ A Erica ci ho pensato: facendo in questo modo lei potrà forse guarire, vivere una vita normale. Non c’è bisogno che pensi a te, te la cavi benissimo da sola. Non fare l’egoista, Lydia, facendo così togli a lei la possibilità di-”
“ Come puoi dire una cosa simile? Come puoi aver il coraggio di dirlo! Tu dovresti essere mio padre, il mio punto di riferimento, quello che fa anche il mio bene, prima del suo! Come puoi insinuare che io non pensi a lei? Quando sono stata l’unica a cercare di farla vivere , di farle capire cosa voleva dire ridere, sbagliare e essere perdonata … Che cose le hai dato tu? Se non soldi e una casa in cui passare i suoi pomeriggi da sola?”
“ Io le sto dando molto più di quanto tu ti attribuisci . Sei così convinta di seminare bene, quando non vedi oltre che te stessa, sei uguale a tua madre.” Sputò fuori quella frase, guardandomi dritta negli occhi. Il calore dentro il mio petto esplose, facendomi diventare rossa in viso, e colorando la mia prospettiva, era tutto rosso, mi ci persi.
“ Se è così ne sono solo fiera, meglio non somigliarti nemmeno un po’, potessi mi annullerei dalla tua esistenza. Anzi, guardami, come le somiglio: stai tranquillo, sparirò dalla tua vita esattamente come ha fatto lei.”
 Feci per alzarmi, ma lui rise. Mio padre cominciò a ridere, io rimasi ferma incredula.
“ Ma sentila! Se davvero vuoi che smetta di far parte della tua vita, allora smettila di creare casini. Smettila di darmi problemi, di fare la bambina viziata e cresci. Ti svelo un segreto: non ce la fari mai da sola. Voglio vedere come tornerai da me, chiedendomi aiuto, e io, tuo Padre, non sarò così tanto  buono”
“ Tu non sei mio padre, tu sei sola una brutta copia di lui. Mio padre è morto quando avevo dodici anni, quando tua moglie se n’andata. E ora me ne vado pure io.”
“ Lydia! Lydia Martin! T-“
 Sentii le sue urla da dietro, ma non mi voltai, ero ancora abbastanza vicina da sentire però Laura che protestava quando Lui alzava la voce, e cercava di calmarlo.
Non avrei voluto dire tutte quelle cose, ma ero arrivata al punto che non c’era più nient’altro da dire.
Niente Lydia Martin, io ero Lydia e basta, quella ragazza senza famiglia, che faceva un lavoro che non le piaceva. Ero Lydia, quella ragazza che ora se andava con la voglia di piangere, ma senza lacrime che scendevano.
Non ce n’erano più, le avevo sprecate tutte.
 
 





Stiles

 
Le baciai la spalla nuda, mentre la guardavo dormire. Sulle labbra aveva una piccola smorfia, che mi fece sorridere, era sempre stata tenera mentre dormiva, mi aveva subito scatenata l’istinto di proteggerla, di abbracciarla e in quell’abbraccio riuscire a comunicarle tutta la mia presenza.
Un messaggio mi fece distogliere l’attenzione dal corpo nudo della mia ragazza abbandonato contro il mio.  Cercai il telefono, cercando di non farla svegliare.
Da Scott:” Ehi, se passi un attimo firmi il contratto, se no troverò un altro cameriere.”
Sorrisi, sapendo che il suo era un modo per farmi incavolare; sapevo benissimo che non l’avrebbe mai fatto sul serio.
 Mi alzai, cercando i vestiti, ancora sparsi per il pavimento della stanza, e sentii lei che si muoveva, seguito dallo strusciare delle coperte.
“ Te ne vai di già?”
“ Sì dolcezza, il lavoro mi chiama.”
“ Pensavi di andartene senza salutare? E poi pensavo che rimanessi, abbiamo un anno di distanza da recuperare” chiese lei, mordendosi un labbro, con malizia. Io le sorrisi di rimando, trovando quella posa estremamente eccitante.
“ Ora devo scappare, ma dopo, avremo tanto tempo per …” e la baciai con suggestione, facendo unire le nostre lingue, assaporando Malia fino in fondo, il mio corpo che chiedeva sempre di più.E che cercavo di non cedere.
“ Va bene, chiamami.” Mi sorrise, e gli rubai quel sorriso con un altro bacio,prima si uscire dalla stanza, felice, finalmente.
 
 

“ Quindi una firma e sono dentro?”
“ Direi di sì, è così che funzionano i contratti. Complimenti, signor Stilinski: è ora un componente del” Dark side of the Moon!” disse pomposamente il mio amico, tirandomi una pacca sulla spalla, ridendo.
“ Non ho ancora capito perché l’hai chiamato così”
“ Per l’album dei Pink Floyd. Lo sai, era il gruppo preferito di mia madre, siamo cresciuti con quella band!”
Annuii, ricordando i viaggi in macchina, cantando canzoni Another Brick in the Wall, o Wish You Were Here fino allo sfinimento.
“ Mamma mia, dopo quella tortura tu hai scelto di continuarla dando al tuo locale lo stesso nome dell’album? Masochismo, suppongo.”
“ No, mia madre. Quindi, parlando di cose serie, da-“
“ Mi offendi, McCall, intendi dire che il nostro passato insieme non è una cosa seria?”
“ Certo che no, amico, ma credo che il tuo turno di domani lo sia: alle dieci qui, puntuale.”
“ Del mattino?”
“ Se vuoi venire alle dieci di notte fai pure, sono soldi in meno per te e più per me” sorrise, passandomi una birra, ne presi un sorso, scuotendo la testa, felice di essere lì con lui.
Scott era sempre stato il mio miglior amico, forse dire fratello sarebbe stato più giusto: non ricordo un giorno della mia infanzia passato senza di lui. Giorni passati in bicicletta, o a casa sua combinando guai. Era quel tipo di persona che una volta che la trovi non senti più il bisogno di cercare altre per costruire la stessa forza di rapporto. Lui mi era sempre bastato, non mi annoiavo mai, e lui era sempre pronto ad ascoltarmi, o darmi consigli, nel suo modo strano, facendomi arrivare da solo, senza prendersi mai il merito. Scott era quel tipo di persona che ti rimane vicino comunque, fedele come un cane.
“ Com’è andata all'inaugurazione? C’erano almeno due anime solitarie?” chiesi sarcastico, lui alzò un sopracciglio.
“ Ti stupirà, ma mezza Beacon Hills era qui, per il primo giro di shots offerto dal sottoscritto.”
“ Ora capisco come ce li facciamo i clienti, pagando per loro … fatto nuove conoscenze?”
“ In realtà sì. Ho conosciuto una ragazza … quando l’ho vista ero tipo:-Wow, è lei!”
“ Caspita, la vorrei davvero conoscere la ragazza che riesce a farti così”
“ Era bellissima, corpo da urlo e un paio di occhi enormi, quasi belli quanto i tuoi, forse di più”
“ Mi sento tradito: i miei occhi sono favolosi, non puoi equipararli a quelli di una tipa qualunque!” sbottai, falsamente offeso.
Quello era un gioco che avevamo sempre provato gusto a giocare: offenderci per finta per il nostro aspetto fisico, cosa che vista dall’esterno poteva sembrare o molto ambigua o solo molto idiota.
“ Perdono, chiedo perdono!” si piegò, nascondendosi con le braccia , quasi pronto a ricevere percosse, io risi, tirandogli un segnaposto.
“ Ci devo pensare, tu renditi utile nel frattempo: passami un’altra birra, quarterback.” Dissi alludendo al nostro periodo al Liceo, dove lui era quello sportivo, e io il nerd-topo di biblioteca, ma che comunque riusciva a prendere sempre meno di lui in algebra.
“ Vacci piano, non vorrei doverti scaricare poi a casa ubriaco fradicio! Ti dicevo, comunque: era davvero bellissima, aveva …”
E mi porse una birra, io cominciai ad ascoltare, mi era mancato, Scott McCall.
 
 
 

Il condominio era silenzioso, nonostante fossero solo le nove e mezza di sera.
Malia era stata richiamata a lavoro, quindi stavo tornando a casa. Correvo sulle scale, felice di andare a casa e magari farmi una bella dormita, senza preoccupazioni per una volta.
Ma i piani erano diversi: era lì, Lydia.
Stava contro la porta, per terra, con le gambe strette al petto, e la testa nascosta tra di esse, nella sua bolla. Mi avvicinai piano, per non spaventarla. Lei mi sentì, perché alzò la testa di scatto, con terrore. Io rimasi ancora più impaurito da quello che vidi nei suoi occhi: c’era solo dolore. Dolore nero, dolore che ti porta giù, e lei stava affondando, caduta libera.
Lo capivo, ero lo stesso nero che avevo visto tanto volte allo specchio, io lo capivo perché era come il mio.
“ Ehi … Mi aspettavi? Perché se mi stavi aspettando la prossima volta ti lascio le chiavi” dissi a voce bassa, scendendo al suo livello, guardandola negli occhi.
Lei prese un grande respiro, e mi chiese, a voce bassa e piccola, che lasciava trasparire la sua fragilità, e forse anche roca, chissà da quanto tempo era lì, zitta:
“ E’ stata una buona giornata?”
“ Diciamo che è stata migliore di altre” non mi allargai troppo, non volevo dire nulla di compromettente “ la tua?”
“ E’ stata pessima. La peggiore da quando ho ventuno anni”
“ Cos’è successo?” credevo non mi rispondesse, ma mi supì sussurrando a fatica.
“ Ho scoperto di essere solo un nome, non una donna che qualcosa la vale”
“ Non credo sia vero. Non ti conosco, ma ho capito che sei intelligente, bellissima e piena di valore. Chiunque te l’abbia detto non capisce un cazzo”
“ Mio padre, no ora è solo una metà dei miei cromosomi, e io sono una delusione”
“ Tu non lo sei.”
“ Se non sono una delusione allora sono rotta, non servo più. Sono sbagliata”
“ Come lo sono tutti. Per quanto rotti, non saremo mai sbagliati. Perché non esiste né giusto né sbagliato. Esistono solo le cose che succedono, e tu che sopravvivi ad esse”
“ Non ho più voglia, Stiles, questa non è vita, è una fottuta giostra che gira al contrario. E non mi dire che la speranza è l’ultima a morire, che andrà tutto bene, me l’hanno rifilata già ‘sta cazzata”
“ Non lo avrei detto, forse però avrei detto che portare questo peso da sola ti distruggerà”
“ Sono anni che vado avanti, forse ce la farò anche questa volta. O forse mi arrenderò al destino : ho provato, non ho riuscito, rinuncio. Perché sono stanca, non ne ho più la forza.” Si abbandonò alla porta, in balia dei suoi demoni.
Non so per quanto tempo rimasi a guardarla.
Stava così ferma da sembrare una statua, con gli occhi pieni di dolore così radicato, troppo vecchio per la sua età. Mi fece ricordare, in qualche strano modo, la Pietà.
Quando c’ero stato, con i miei genitori, lì a Roma, durante uno degli ultimi viaggi con mia madre, li avevo lasciati all’ingresso di San Pietro, tra la calca, mentre io ero riuscito ad avvicinarmi il più possibile, armato di cellulare con fotocamera, non sicuro se si potessero foto o no.
Ma ci arrivai di fronte, dimenticai il cellulare, e insieme il proposito di fare la foto.
La Pietà era una mamma con il proprio figlio. Lo teneva in braccio, suo figlio, che era stato appena ucciso, e lei teneva il suo corpo morto tra le braccia.
Suo figlio era un corpo senza vita, un fantoccio abbandonato, senza più fili, recisi dalla radice, era un involucro vuoto. Ma c’era qualcosa che mi fece cambiare il modo di guardarlo: la sua espressione.
Quella mamma guardava il proprio figlio con un misto di sensazioni, che la mia mente di tredicenne sempre impegnato a riflettere e a fare pensieri profondi aveva infiocchettato per bene, in maniera romantica e filosofica …
Un abbraccio dopo essere stato svegliato da un incubo,
Un bacio di bentornato dalla persona a cui tieni di più;
Una stretta di mano così forte da eliminare tutto il resto:
Una nota, un colore, così pieno da farti quasi paura.
Un mucchio di sensazioni inspiegabili a parole distinte, ma forse racchiudibili in “amore”; anche se era dato per qualcosa di morto, per qualcosa che non c’era più, lì c’era amore, e dolore.
E vidi anche qualcosa come il riflesso lucido di una lacrima, proprio sulla guancia fredda della statua, così nascosta da sembrare quasi immaginazione, ma non avevo davvero bisogno di esserne certo. La dolcezza così dolorosa che traspariva dalla sua espressione parlava più di mille lacrime, mi diceva molto di più.
Lydia non piangeva.
Non vidi una sola lacrima solcarle il viso, ma quella sua posa, quel suo tenersi stretta per le spalle, come per rimanere in quel terzo piano freddo e squallido, e non nei meandri della sua tristezza, quel suo abbandonarsi come un fantoccio vuoto alla porta, la rendeva sia la mamma che il figlio.
Era come la Pietà.
E io, Stiles, quello che finalmente qualcosa la capiva, non ricoprivo nessun ruolo, non c’era spazio per me, se non quello dell’essere spettatore. E rimasi lì, nonostante potessi fare mille altre cose, mille volte più calmanti, più effimere, più per me, io rimasi.
Mi abbandonai con lei contro quella porta nera lucida, il 3B che ci faceva la guardia, ma senza parlare.
Perché avrei potuto spronarla, a credere almeno nella vita, a trovare le cose buone nelle giornate, a non rinunciare, ma non dissi nulla, perché io la capivo.
Non c’erano parole per descrivere il dolore, e se c’erano non le volevo sapere: se erano fuori questo pianerottolo, dov’eravamo noi due, uniti solo per il contatto spalla - spalla, potevano rimanerci.
Quindi chiusi gli occhi come Lydia, pronto a perdermi dentro il suo mondo scuro, sapendo di non poter tonare indietro: quella sua parte di persona sarebbe stata rischiosa e infinita come un buco nero. Solo e soltanto nero.
Ma ancora, rimasi.
Io, quello che era sempre stato troppo fuori dagli schemi, stavo assistendo ad uno spettacolo unico, non mi sarei alzato.
 





A/N: allora, innanzitutto nihao e buona sera, e poi vi prego di avere Pietà di me, ho scritto così lentamente e male ce ci ho impiegato due giorni per finirlo...
Oggi il colore è il Nero:  quello però che indossi dentro, che si possono non semplicemente nascondere, e Stiles è così bravo a leggere le persone che ha già capito Lydia, e rimane con lei, nonostante potesse fare mille altre cose, perchè sono simili... nonostante avesse appena ricevuto una dei  più bei regali, cioè l'amore della donna che ama, rimane con la vicina sconosciuta, che è immersa dentro il suo Nero.
Questa storia mira all'aspetto umano dei due protagonisti. Forse proprio perchè sono così umani, così simili a noi, che non posso non dedicarvelo: questo capitolo, scritto così: male, in fretta e probabilmente vuoto per alcuni di voi, questo è per tutte le persone che Annegano nel proprio nero, che litigano, che si sentono sminuite...
Io, con la mia vita, mi rivedo un po' in quello che succede a questi due protagonisti, ed essendo io la protagonista della mia storia, voglio almeno andare oltre, arrivare magari a voi. Quindi spero che vi sia piaciuto, e che mi perdonerete per questo piccolo sfogo;) 
buona giornata, e come al solito, opinioni e recensioni non sono male accette, anzi! ciao ciao
-Mg :)

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Capitolo 6
*** 5. Make sure to keep the distance ***













"The way to save = Il modo per salvare"
+++









 
Understand the things I say, don't turn away from me
'Cause I've spent half my life out there
You wouldn't disagree
Do you see me? Do you see? Do you like me?
Do you like me standing there?
Do you notice? Do you know? Do you see me?
Do you see me?
Does anyone care?
 
Unhappiness where's when I was young
And we didn't give a damn
'Cause we were raised
To see life as fun
And take it if we can
 
Understand what I've become, it wasn't my design
And people everywhere think, something better than I am
But I miss you, I miss, 'cause I liked it
'Cause I liked it, when I was out there
Do you know this? Do you know?
You did not find me, you did not find
Does anyone care?
 
Ode To My Family-
Cranberries

 
 
 



Stiles

 
Mi svegliai di colpo, con ancora quella sensazione di vuoto addosso.
Essere svegliato dagli incubi era una salvezza, soprattutto quando gli incubi in questione trattavano di silenzio e vuoto. Quei tipi di incubi che erano i più terrificanti, perché mi ricordavano il periodo dopo la morte di mia madre, quando ero solo.
Ci sono sensazioni che mai dimentichi.
Te le porti in giro, credendo di poterle tenere al guinzaglio, ma quando prendono il controllo i posti si scambiano; e poi sono così indimenticabili che ogni singola cellula del tuo organismo impara a riconoscerle, a trovarne il sapore, l’odore, il tocco leggero sulla pelle.
Quel tipo di solitudine, quello che ti lascia sdraiato sul letto a piangere fino a prosciugarti, e forse anche di più, non lo cancelli. Ti rimane tatuato addosso, come una cicatrice indesiderata, lì, in bella vista. Così che tutti la possano vedere.
Mi passai il dorso della mani sulla fronte, asciugando le goccioline di sudore freddo che la ricoprivano, e nel frattempo prendevo grossi respiri, cercando di stabilizzare il ritmo dei battiti del mio cuore, che sentivo bene attraverso i capillari ai lati della testa: sembrava avessi corsa una maratona.
Era sempre stato difficile non cedere al panico; mi era successo tante di quelle volte dopo la sua morte, che sapevo esattamente come riconoscere quando stava per avvivare un attacco.
Accanto a me, nel letto stropicciato con le lenzuola azzurre, il mio, sentii un frusciare di coperte, riuscii a calmarmi, miracolosamente: Lei era qui, sarebbe andato tutto bene.
Chiusi gli occhi, sentendo la sua mano fresca che risaliva piano la mia schiena, scatenando i miei sensi. Stava rilassando lentamente i muscoli tesi, con una dolcezza e una leggerezza disarmante, tutta espressa da quel tocco lieve. Era una cura prodigiosa, che lei conosceva bene.
Alzò l’orlo della mia maglietta di cotone, arrivando al contatto pelle – pelle che tanto agognavo.
Ora il mio cuore prese il volo, mentre con le dita lei mi rassicurava e dava vita ad un diverso tipo di reazione.
Qualcosa cresceva dentro di me, piegai la testa di lato, con la pelle d’oca: non riuscivo a concentrami su nient’altro che non fossero le sue mani sulla mia schiena, che salivano e scendevano sempre più giù, giù, bruciando tutto, sempre più giù …
Trattenni a stento un gemito quando raggiunsero l’elastico dei boxer, stuzzicandomi, e facendo immaginare cose, tante cose.
“ Brutto sogno?” sussurrò lei.
“ … Non immagini” riuscii a biascicare.
“  Posso fare qualcosa? Magari riesco a farti stare meglio”
 “ Come?”
 La sua mano superò l’elastico, entrando dentro l’indumento, diventato improvvisamente stretto come l’eccitazione non esitò a farmi visita lì sotto; trattenni il fiato, con il cuore a mille.
“ Non lo so … Qualcosa ce l’ho in mente, ma non sono sicura di essere così brava” e così come la sua mano aveva superato quella linea di confine, cominciò a ritrarla, con leggerezza, risvegliando del tutto il mio corpo; mi trattenni dal protestare.
Era una dolce tortura, divertente, sì, ma volevo vederne il termine, magari con noi due, stesi uno sopra l’altro …
“ Sono sicuro che te la cavi”
E mi girai, lei sorrise maliziosa, prima di travolgermi con il suo corpo, caldo e accogliente, io la assecondai, sentendo le lenzuola fredde al nostro contatto, che mi diedero altri brividi. Avvicinò così tanto il suo viso al mio che le nostre labbra si sfiorarono, il suo respiro alla fragola mi stuzzicò, ed ero fin troppo eccitato, sembravo un dodicenne la sua prima volta, ma lei se n’era accorta, perché lo faceva sempre: mi conosceva, forse troppo bene, e soprattutto conosceva l’effetto che aveva su di me.
Portò quelle labbra piene al livello del mio orecchio, sussurrandomi:
“ Se ti faccio questo effetto, forse me la cavo bene. Ma ci sono modi più efficaci, che non so se sei pronto a provare”
Si divertiva a torturarmi in quel modo.
Io risposi, con il fiato corto: “ M-Mettimi alla prova”
“ Se lo desideri . Mhh …” iniziò una scia di baci roventi a bocca aperta che partivano dall’orecchio giù per la mascella, i miei occhi si chiusero automaticamente, poi arrivò al collo, aw quel punto preciso tra l’orecchio e la spalla, che sapeva mi avrebbe fatto impazzire
“ Ah …” rantolai, e la sentii mentre faceva una risatina, era fiera di se stessa, era felice di tutto questo controllo che aveva sul mio corpo. Non mi rallegrò particolarmente: avrei voluto essere io quella che la rendeva indifesa , ma non potevo davvero evitare di sottomettermi a quel tipo di “ordini”, era così … appagante e lussurioso. Un modo perfetto per annullare gli incubi.
“ Va meglio?” chiese, alzando il viso.
I suoi occhi verdi erano liquidi dal piacere, e se non fossi stato così preso dal nostro gioco per il controllo, l’avrei presa lì, subito.
“ Non è male. Vieni qui” le ordinai, baciandola.
Le sue labbra erano come miele, saporite e dolci, ne mordicchiai uno, poi le chiesi il permesso con la lingua, prendendole il viso con le mani; Lei me lo concesse, facendomi entrare e iniziando una danza pericolosa con la mia lingua.
Mi stavo perdendo, mentre la facevo stendere  sotto di me, le nostre intimità separate solo dalla sua maglietta e miei boxer, la mia ragione mi stava abbandonando.
“ Non puoi resistermi” disse lei, prendendo tra i denti il lobo dell’orecchio. Mi morsi il labbro per reprimere il gemito che mi stava nascendo dal profondo delle gola mentre sentivo i suoi capezzoli induriti dall'eccitazione attraverso la sua magliettina leggera.
“ L-Lydia” riuscii ad esalare, e percepii il suo sorriso tramite la pelle: Lei si divertiva così, ed era maledettamente brava a farlo.





Aprii gli occhi, di scatto.
In base a quello che non ero certo essere un sogno ora ero nel mio letto con … Lydia.
Con il battito che aumentava mi girai piano, ero confuso e spaventato, brutto mix.
Se tutto quello che ricordavo ora era vero, io avevo appena tradito la mia ragazza, ragazza che avevo riconquistato solo ieri, quindi sarei stato un bastardo. E mi sarei sentito anche in colpa, con tutte e due: da una parte Lydia, nel suo momento di fragilità assoluta, durante il quale si era fidata di me così tanto da lasciarmi assistere al suo dolore Nero. E dall’altra Malia che si era dichiarata, annullando passo per passo quel dolore che esisteva da un anno intero, quella che mi amava.
Con un groppo in gola che non potevo mandare giù, mi voltai del tutto.
Spalancai gli occhi: l’altra metà del letto era vuota.
Ripresi a respirare, sentendo di poter mandare giù quel groppone.
Mi spremetti le meningi, cercando di ricordare la notte precedente …


“ Lydia?” chiesi, spezzando quel silenzio che ancora aleggiava indisturbato, che mi era sembrato infinito.
Lei non rispose. Ma lo considerai perfettamente normale: era entrata in un universo parallelo, dove c’era solo lei e i suoi demoni, e non era ancora pronta ad uscirne. 
Mi spostai davanti a lei, aveva ancora gli occhi persi, io le presi il mento, per farle alzare lo sguardo, rimanemmo così, verde nel marrone, senza mai dividere il contatto che si era creato da solo fra le nostre iridi, finché lei non piegò la testa di lato.
" Vieni con me." le dissi, prendendola per mano, e mettendoci tutti e due in piedi. La portai alla porta del mio appartamento, e frugai in tasca cercando le chiavi, mentre non la perdevo d'occhio: sembrava su un altro pianeta, sperduta, con gli occhi sconsolati e i capelli arruffati. 

Non aveva avuto nemmeno la forza di protestare, come sapevo avrebbe fatto in condizioni normali.
Mi travolse un'ondata di tenerezza per quella ragazza triste, ma bellissima.
" Ora rimani qui con me. Tranquilla, non approfitterò di te, ho solo paura che il vecchietto del 3D possa non essere un cavaliere come lo sono io". Le spiegai, mentre chiudevo la porta, cercando di metterla a suo agio, lei accennò un sorriso, aggiustandosi il vestito bianco che portava, le conferiva un'aria angelica e pittoresca.
" Vieni, la mia camera è da questa parte." con le nostre mani ancora allacciate  arrivammo nella mia stanza. Per fortuna era in ordine, ero riuscito a sistemare tutti i vestiti fuori dagli scatoloni, quindi tirai un sospiro di sollievo, lei si sedette sul letto, aprendo e chiudendo gli occhi.
Sembrava così non lei, persa nella sua mente, nei ricordi che l'avevano portata ad aspettare qualcosa, o qualcuno per tutto quel tempo sul pianerottolo.
" Puoi usare il bagno per cambiarti, ti do una mia maglietta, così non dormi nel vestito, io vado a prendere la tua borsa, l'abbiamo lasciata lì ... ok?"
Lei asserì impercettibilmente e io frugai nel cassetto del comò, fino a trovare una T-shirt blu con scollo a V, gliela porsi, mentre le indicavo la porta.
" Il bagno è quello, io torno subito, Lydia" 
La lasciai con un piccolo sorriso.
Quando tornai lei era già stesa, con le gambe scoperte in bella vista, mi chiesi se avesse ancora il reggiseno addosso, poi scacciai il pensiero, dandomi dell'idiota. Feci per andare sulla poltrona, quando sentii la sua voce, poco più alta di un sussurro: " C'è abbastanza spazio per tutti e due"
Io strabuzzai gli occhi, ma mi stesi accanto a lei, con ancora i jeans addosso. Rimasi a guardarla negli occhi.
Lydia sorrideva, un sorriso triste, ma che faceva scintillare quei denti bianchi nel buio della stanza, e quando una ciocca biondo-fragola le ricadde sul naso, fui in dubbio se spostargliela o meno.
Ma non lo feci: non volevo rompere quell'armonia che si era creata, dove lei si mostrava vera, e io la assistevo, dove lei si lasciava toccare e io mi prendevo cura di lei.
Risposi al suo sorriso con un occhiolino, poi chiusi gli occhi, stanco; però lei era al sicuro, qui accanto a me, il suo corpo che irradiava un calore tranquillo, quindi andava bene. 





Mi alzai, con l'intenzione di cercarla, ma appena arrivai in soggiorno capii: Lydia se n'era andata; la borsa non era più sul tavolo, dove l'avevo lasciata. 
Lydia se n'era andata, spero a casa, senza dire nulla, senza lasciare nessun segno del suo passaggio, se non quel sogno nella mia mente.
Sospirai, guardando la porta chiusa, e chiedendomi perché. 
Perché scappare in quel modo, perché sparire .. Forse non era pronta per parlare, forse l'avevo offesa in qualche modo, forse era successo qualcosa.
Indeciso se andare a controllare, feci per aprire la porta, ma qualcosa mi bloccò: per terra, proprio accanto al tavolo, c'era un'agenda. 
Un'agenda azzurra, chiusa con un elastico. La aprii, consolato di avere la giusta conferma: era sua, e a quanto diceva il suo turno di lavoro era già iniziato, ma sarebbe finito alle sei e mezza. Non sapevo dove lavorava, ma confidavo in Scott: lui era bravo in queste cose.
Andai in bagno a farmi una doccia, ripensando a quello che era successo, e pensando a lei, Lydia ... 
Chissà come stava. Chissà dov'era, con chi era. Magari era sola, chiusa nel bagno dell'ufficio, a piangere, oppure era a qualche riunione, cercando di mascherare la disperazione che aveva lasciato vedere a me ...
Ma poteva non essere a lavoro … Quindi era a casa?
Magari addormentata, cercando di recuperare tutta la vita possibile.
Sospirai e chiusi gli occhi, perché non potevo fare altro.
 



 





Lydia

 
 Bene. Perfetto.
Non bastava il ritardo epico, ora si aggiungeva anche la macchinetta del caffè rotta, perfetto.
Mi guardai intorno. In caffetteria non c’era nessuno con cui potessi lamentarmi,nemmeno Kira c’era, diversamente dal solito, in cui avevamo un orario per il caffè tutto nostro. Tornai con la sguardo all’oggetto di “inutile utilità” davanti a me, sbuffando.
“ Stupido aggeggio inutile.” Si era anche mangiato i miei soldi, gli tirai un colpo con il tacco, forse con tropo entusiasmo, per essere contro un oggetto difettoso, la guardai ondeggiare, soddisfatta della vendetta che avevo appena messo in atto.
Oggi l’ufficio era quasi deserto, per l’inizio delle vacanze natalizie, quindi era comprensibile.
Kira era già a casa a preparare la valigia per andare a trovare i parenti  a New York, quindi l’avevo già salutata, con un abbraccio.
Mi sarebbero mancati i suoi sorrisoni e le sue domande che mi facevano riflettere.
Mr.Hale aveva fatto addobbare tutto lo studio, e anche questo squallida parte di corridoio: c’era un piccolo alberello con le luci e i festoni, ma che stonava con l’aria triste della caffetteria, che aveva invece le poltroncine marroncine e il bancone in marmo bianco.
Non portava allegria, o almeno, non a me. Non oggi.
Guardai l’orologio che avevo al posto: le dieci e mezza, ancora un’ora e mezza alla pausa pranzo, dove avrei dovuto raggiungere Allison in un locale dal nome strano, che non ricordavo.
Mi allontanai sconfitta dalla macchinetta, ma non prima di averla incenerita con lo sguardo. Questo lavoro era tremendamente noioso, pieno di conti, tacchi alti che ti distruggevano le caviglie, di riunioni infinite di bilancio, dove parlavano una lingua sconosciuta a tutti tranne che non a loro stessi; quindi prendersela con le macchinette del caffè difettose era davvero il minimo.
Andai in bagno, e lì mi guardai allo specchio, avevo gli occhi strani, pieni di noia e tristezza, la riconoscevo, e poi le labbra gonfie e screpolate, probabilmente perché avevo passato la notte a morderle, con la mente sulle nuvole, ma non nuvole bianche e soffici, modello Pixar. No, nuvoloni grigio scuro, carichi di pioggia e freddo.
La notte precedente era stata vissuta da qualcun altro, non ero stata io. Il mio corpo non lo guidava il mio cervello, lui se n’era andato a pensare in una stanza sua, lasciando che il corpo se la cavasse da solo.
Avevo ceduto al momento, mi ero lasciata vedere debole, fragile, come quella ragazzina che ancora si nascondeva dietro la facciata della nuova Lydia Martin. Quella ragazzina aveva tanta paura di alzarsi e trovare una metà del letto dei genitori vuota, era terrorizzata di perdere il padre perché teneva più al rimpiazzo alla madre che a lei, aveva l’impressione di non essere davvero una persona, ma solo un corpo carino, ferito da tutti, costantemente.
Jackson era stato il terzo, a ferirmi: la prima mia madre, il secondo mio padre, poi lui. Mi mostrava come un premio, facendomi sorridere, perché a lui andava bene così, e anche a me: io ero innamorata.
Ma tutte le cose belle finiscono, mi ci ero fatta il callo, ci passavo sopra in questo modo: se deve finire, finisce, non sarò io a fermarla. Pessimismo puro, ma io ci andavo a braccetto, saltellando e giocando a campana, eravamo vecchi amici.
Stiles ieri mi aveva spaventato più di me stessa: mai una persona mi si era avvicinata in quel modo, offrendomi addirittura il suo letto, la sua presenza.
Le persone vogliono sempre qualcosa in cambio, non fanno mai niente gratis,  così, semplicemente perché si sentono di farlo, oppure perché gli importa …
No, non succede.
Per questo ero scappata la mattina, per questo quando avevo visto il messaggio della ragazza, dove lei gli augurava una buona notte e gli diceva che lo amava mi ero alzata di scatto, togliendomi la sua maglietta morbida che sapeva di dopobarba e mi ero rinfilata il vestito, come se tenendola addosso mi sarei ustionata: perché bastavo io a bruciare tra le fiamme, non potevo portare nessuno con me.
Non importava quanta dolcezza avessi letto nel suo sguardo, quando pace mi aveva portato il suo corpo steso accanto al mio, quanto le sue parole mi avessero acceso una lucina flebile, che io chiamavo ridicolmente speranza, non importava davvero, perché finché io fossi stata quella che rovinava tutto ciò che toccava, non avrei mai fatto spazio a nessuno. Non avrei mai riaperto la porta del dolore davanti a nessuno, forse per paura, forse per spirito di autoconservazione, forse semplicemente perché ci ero abituata. Dovevo essere forte e fredda, distante come su un’altra galassia,  almeno non avrei fatto male a persone pure, a persone che sembravano felici, che avevano cose di cui essere grate.
Io ero grata della mia solitudine: facevo meno male agli altri, da sola.
E mi andava bene così; ne ero convinta.
Lo penso sul serio, lo penso sul serio … lo penso sul serio?
Mi chiesi allo specchio, la mia immagine riflessa non rispose, forse nemmeno lei  lo sapeva, o forse aveva paura a dirlo, pure lei.
 
 


 
“ E te ne sei andata? Così?”
“ Sì, ma che potevo fare? Io non lo conosco, e che gli avrei detto? E poi è fidanzato, non credo che, come dici tu” è attratto da me”, sai?” la scimmiottai, e lei mi regalò una delle occhiate acide più belle della nostra storia insieme.
“ Tu sei matta, Lydia, oppure ti droghi, non c’è possibilità con te” scosse la testa, prendendosi la testa tra le mani.
“ Sapevo di essere un caso perso, gr-“
“ Secondo me gli interessi”
“ Ma mi ascolti? E’ fidanzato!!”
“ Che c’entra, tu sei comunque bella, non è un segreto!”
“ Già, bella come il fondo di una padella …”
“ Assolutamente, sai che ho sempre adorato gli articoli da cucina” le si illuminarono gli occhi, come disse quella battuta.
“ Ah, Ah, Ah … Che simpatica!” le lanciai un tovagliolo, sorridendo, lei lo prese al volo, alzando un sopracciglio.
“ Però, tornando seria: per me lui ci tiene a te, magari non in quel senso!” specificò quando vide la mia espressione, tenendo le mani alzate “ ma ci tiene, se no non ti avrebbe portato a casa sua.”
“ Non lo so, Ally, non lo conosco. So solo che non succederà un’altra volta: la persona fragile che ha visto ieri su quel pianerottolo non la rivedrà più, mi assicurerò che sparisca dalla circolazione” dissi, risoluta, perché era vero: mai più.
“ Fai sempre così, hai così tanta paura di buttarti che chiudi tutto e tutti fuori, quando capirai che non tutti vogliono farti del male?”
“ Quando cominceranno a dimostrarmelo, ne ho abbastanza di riporre fiducia in chi mi fa solo soffrire”
Lei scosse la testa, e prese un sorso d’acqua, mentre io finii di mangiare la mia insalata.
“ Comunque, come va a te? Hai già fissato una data per il test?” le chiesi, pulendomi con un fazzoletto.
“ Ci devo passare dopo, una mia amica lavora in genetica, dice che mi darà una mano”
“ Ottimo … E il tipo della festa?”
“ Non lo so, Lydia. In un certo spero sia suo, perché con Isaac …”
“ Credo che l’unico modo per scoprirlo sarebbe fare il test”
“ Sembra facile, ma pensaci, pensaci bene: prima di tutto Isaac non lo accetterebbe, e poi questo ragazzo, per quanto dolce e carino mi ricordi, non credo sarebbe disposto a fare il padre così, con uno schiocco di dita!”
“ Davvero non ricordi nulla? Tipo se avute usato precauzioni, o se tu avevi preso la pillola?”
“Non mi ricordo nulla, Nulla!  Perché ero anche ubriaca e ho solo ricordi vaghi di quella notte. E con Isaac … non lo so. Ci sono state più volte! Non so davvero.”
“ Forse l’unico modo sarebbe farlo e basta. Chiediglielo. Magari si ricorda se avete preso precauzioni o no …” dissi, rendendomi conto solo dopo quanto stupida fosse la farse: era inutile, a che sarebbe servito? Solo a :
" E come? Non potrei chiedergli una cosa del genere senza fargli venire dubbi. Non voglio correre nessun rischio, non in questo modo. Per ora andrò a fissare la data del test, poi provvederò ai campioni di DNA, e basta. Ce la farò da sola.”
ra convinta, o almeno, così voleva sembrare, ma sapevo che dietro quella voce decisa stava in agguato una ragazza terrorizzata delle conseguenze.
“ Non so, Allison, come sai non sonno completamente d’accordo, però ne riparleremo con calma dopo il test …” la guardai annuire, pensando che ci sarei stata per lei, sempre.
“ Credo di dover scordare la calma, per un po’”
“ Già, ma ci sono qua io, te lo prometto” le presi una mano, stringendola forte, lei osservò le nostre mani allacciate per un attimo, prima di alzare lo sguardo e dire:
“ Lo so, persona matta, lo so” lei sorrise, e io ripresi a respirare: se lei era tranquilla, potevo esserlo con lei, almeno su questo punto.
 

 
 
 



 


Stiles

 
“ Com’è andata a lavoro?” chiese la mia ragazza, accavallando le gambe sulle panchina dell’ospedale.
“ Stranamente bene .. Mi aspettavo di morire sotto i piatti da portare i tavoli, ma sono ancora vivo” le accarezzai i capelli, mentre lei si accucciava contro il mio petto, sorrisi, rincuorato, e sinceramente sollevato che quel sogno fosse stato solo un sogno.
Avevo passato tutta la mattina cercando di annullare quella sensazione di appagamento che avevo addosso, e cercando di rimpiazzarla con la felicità per l’incontro con lei che avrei avuto dopo il turno al locale.
“ Una volta ho lavorato come cameriera” disse, guardando il giardinetto che avevano messo all’esterno, io mi piegai sul suo viso, per vedere i suoi occhi: oggi, con la luce del sole, erano pieni di sfumature color caramello. Rendevano il suo sguardo ancora più dolce ec aldo.
“ Sì?”
“ Davvero! Nel ristorante di mio zio, d’estate, ma ero terribile: ero così timida che per prendere un ordine ci mettevo almeno un quarto d’ora, poi mi stancavo subito, quindi abbandonavo tutto per andarmene alla spiaggia con mio cugino e la ragazza”
Sorrise, forse occupata a rivedere l’immagine di quel suo piccolo pezzo di passato, e ci provai anch’io: lei che ridendo correva verso il mare, con il Sole e i suoi capelli lunghi e morbidi sciolti al vento, era una bellissima fotografia.
“ Neanche io sono così loquace”
“ Te la cavi meglio di me, Stiles, tu hai sempre saputo leggere tutte le persone, senza aver bisogno di fare pratica, tu sei nato con l’empatia” lei era seria, lo disse guardandomi negli occhi, e io pensai all’esempio perfetto per quell’affermazione: Lydia …
Non ero andato alle sei e mezza alla Hale&Company per ridarle l’agenda azzurra; grazie a Scott lo avevo scoperto, insieme ad alcune informazioni su suo padre e sulla sua famiglia.
Aveva una sorella, Erica, più piccola di lei, figlia della nuova moglie del padre, Laura Reyes; Scott conosceva bene Lydia, frequentavano molti corsi insieme a scuola, ed era stato lui a consigliarmi di aspettare di tornare a casa per parlarci, di lasciarle tutto il tempo per metabolizzare.
Lo avevo ascoltato, mi fidavo del mio miglior amico.
Quindi ora ero all’ospedale con Malia, mentre lei faceva una piccola pausa dal lavoro, occupato a tenerla tra le braccia, con lei in quest’oasi di pace che creavamo insieme.
“ Mi sei mancato ieri” la sua voce era dolce e calma, era una constatazione non fatta per sentirsi in colpa, era per dimostrare la sua vicinanza a me.
“ Anche tu, ma avevi lavoro, e so quanto ami il tuo lavoro”
“ Cos’hai fatto quando sei tornato a casa, ieri sera?” chiese, intrecciando le sue dita con le mie.
“ Mah … ho guardato un film e poi sono andato da mio padre”
Non so perché lo feci. Non so perché mentii: non era successo nulla di male, ieri.
Solo io che avevo aiutato la mi vicina, nient’altro, no? … Ma lo feci: le dissi una bugia.
“ Come sta?” chiese, sinceramente preoccupata, perché lei adorava mio padre, era vicina a lui, lo era sempre stata.
“ Meglio, solo molto stressato con il lavoro.”
Mentii ancora, non capacitandomi di mio stesso: ma che diamine stavo facendo? Io non mentivo mai a Malia, poi per cose del genere …
C’era qualcosa che mi bloccava, forse il fatto del sogno di stamattina, o il fatto che non trovandola con me il mattino dopo quella connessione così forte mi avesse lasciato quasi deluso, forse semplicemente perché avevo paura della reazione di Malia.
Quindi la baciai, senza aspettare una sua risposta.
Feci mie le sue labbra, per eliminare questa strana sensazione che mi stava perseguitando da tutto il giorno, e lei non se ne accorse, non si accorse del mio tremolio, del mio sapore, che sentivo diverso, più amaro …
Ero solo io che notavo tutto questo, solo io vedevo questo problema, ero io quello che mentiva …
Malia approfondì il bacio, e io unii la mia lingua con la sua, cercando quella sicurezza che solo lei sapeva darmi.
“ Ti amo” esalai senza fiato, lei sorrise sulle mie labbra.
“ Ti amo anch’io”
Ecco la mia ancora, la mia sicurezza.
Ci rimasi aggrappato, pregando di calmarmi e tornare a essere me stesso.
Di non sbagliare più, di smetterla di pensare a quella ragazzina triste che abitava dietro la porta 3B, che mi aveva portato a “questo”.
Ma non era colpa sua …
Che colpa aveva lei, se non quella di essersi fidata di uno sconosciuto?
Tutto lo sbaglio era qui, nella mia mente. Se c’era qualcuno a cui dare la colpa, quello ero io.
 
 
 

 
Presi un grosso respiro, con l’agenda azzurra in mano premetti il tastino che diceva Martin, senza più esitare.
Lei aprì poco dopo, con un maglione rosso acceso addosso e le gambe scoperte.
Vedere la sua pelle così candida, e nuda, mi provocò una stretta allo stomaco, e aprì un pochino quell’angolo del mio crevello che da stamattina cercava di serrare con chiusura ermetica.
“ Ciao” dissi, cercando di focalizzarmi su di lei, su Lydia e basta, non sul suo corpo.
“ Ciao” rispose lei, guardandomi negli occhi. Notai che la tristezza c’era ancora, e che ora era mischiata con fretta e timore.
“ Ti ho portato questa, l’avevi lasciata nel mio salotto” gli porsi il libriccino che tenevo tra le mani.
“ Grazie, la stavo cercando, in effetti” rispose, prendendola, fuggendo il mio sguardo. Probabilmente non era vero, probabilmente lei non si era nemmeno accorta della sua assenza.
Quella conclusione mi lasciò l’amaro in bocca, non so esattamente perché.
“ C’è qualcos’altro?” chiese, poi, con urgenza, io scossi la testa.
Lei stava per chiudere la porta, ma io la bloccai con la mano.
“ In effetti sì, qualcosa c’è, Lydia. Perché?”
“ Perché cosa?” chiese, confusa.
“ Perché te ne sei andata. Perché sei sparita in quel modo. Perché?”
Lei si morse un labbro, persa, e io trovai la posa molto dolce e accattivante nello stesso tempo, ma non feci nulla, rimasi ad aspettare che lei cercasse le parole.
“ Perché è meglio così, Stiles. Non posso farti entrare, sarebbe come dimostrarsi debole del tutto, sarebbe troppo rischioso e io non posso farti questo”
“ L’hai già fatto: dopo ieri io cr-“
“ Ieri è stato un errore, non avrei mai dovuto farmi vedere così. Ho sbagliato.”
“ Ma perché, Lydia? E’ così terribile appoggiarti agli altri? E’ così brutto farti aiutare, farti salvare?”
“ Sì, Stiles, sì! Tu non capisci, non puoi davvero capire, cosa vuol dire non avere più la forza di andare avanti, di sentirsi così sola che ti convinci che sia il meglio per tutti! Come puoi saperlo? A te va tutto bene! Non hai qualcuno che verrà portato via da te tra poco, non hai perso qualcuno che credevi ci sarebbe stato per sempre! Tu-“
“ Io, Lydia, ho perso mia madre quando avevo tredici anni. Non pensavo che offrendoti il mio aiuto avrei scatenato tutto questo. Ti chiedo scusa, per averti disturbato, per non averti lasciato abbandonata a questa porta, da sola. Mi dispiace di aver riconosciuto il tuo stesso dolore, perché era come il mio. Non ti disturberò più, tranquilla.”
“ No, Stiles, aspetta” gridò lei, vedendomi indietreggiare. Io mi bloccai, il perché non lo so, so solo che i miei piedi si bloccarono lì, su quella mattonella grigio chiaro, e ci rimasero.
“ Mi dispiace per quello che ho detto. Io non sono abituata alle persone che credono in me. Non sono abituata alle persone che cercano di tenermi qui”
Lo disse in fretta, con quella voce bassa, con quelle labbra rosse fragola e quella fragilità negli occhi.
Io la guardai, la guardai tutta: davanti a me c’era una donna fragile ma forte, che aveva trovato sempre le ragioni per alzarsi la mattina, nonostante questo mondo che ci teneva a sbatterle sempre la porta in faccia. Ora Lydia c’era tutta, e si lasciava vedere da me, che la ammiravo.
Nonostante mi avesse appena sputato tutte quelle cose, nonostante fosse scappata così da me e da se stessa.
Quindi mi avvicinai a lei, e dopo averla guardato intensamente negli occhi, le diedi un bacio sulla fronte.
Le mie labbra non si fermarono più di un paio di secondi su quella pelle fresca e profumata.
“ Buona notte, Lydia” non sorrisi, volevo che leggesse tutta la serietà nei miei occhi.
“ Buona notte, Stiles” rispose lei, stringendosi le spalle con le mani, come per darsi quel calore che non vedeva nei miei occhi marroni, e allora smise di cercarlo.
Chiuse la porta e io rimasi lì.
A fissare quel numero e quella lettera, che si chiedevano cosa fosse appena successo.
“ Non lo so nemmeno io” gli risposi, il 3B stette zitto: non voleva aiutarmi a capire, o forse semplicemente non ci riusciva, come me.
Perché non lo capivo: non capivo quello che era appena successo, non capivo Lydia e non capivo me stesso.
Questa volta fui io quello che si sedette per terra, aspettando qualcosa, o qualcuno. O forse niente, perché sapevo che niente sarebbe arrivato.
Niente c’era sempre
.







A/N : Che cos'è successo? bella domanda...
prima strani sogni, poi una Lydia che continua a scappare, convinta fermamente che sia meglio così, poi l'effetto delle sue decisioni su Stiles
Tante cose, forse scritte un po' male, però oggi è così che vi lascio, con un bel punto di domanda : ?
perché alla fine è questo, una serie di eventi, legati alle emozioni e al fatto che non si può gettare la spugna e basta; la vita non ti aspetta, la vita va avanti.
e Stiles non capisce cosa stia succedendo, forse nemmeno voi, ma non preoccupatevi: quando sarà il momento sarò certa che siate i primi a saperlo ;)
Vi lascio con un grosso grasso bacio e la speranza che questo giorno finisca bene almeno per voi, e vi chiedo di perdonarmi per gli eventuali errori di orografia, non è colpa mia, ma delle mie dita impazzite ...
quindi sì, credo sia tutto, ciao ciao ciao e ciao.
ps: recensioni e altre cose del genere sono gradite, no problem. see ya!
-Mg :) 

 

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Capitolo 7
*** 6. La quiete prima della tempesta ***













"The way to save = Il modo per salvare"
+++










 
Heavy eye clothing on the roadside
Swinging from the street lights
I hope by the morning I will have grown back
By the morning I will have grown back
I'll escape with him
Show him all my skin
Then I'll go
I'll go home
Amsterdam

I'm a flying kite in the breeze just
Restlessly seeking images a child needs to help them sleep
I was thinking that I should see someone
Just to find out that I'm alright

I used to dream of
Adventure
When I was younger
With lungs miniature
Good night with killing
Our brain cells
Is this called living
Or something else
Or something else

By the morning I would've grown back

 
Amsterdam -
Daughter
 
 
 
 

Lydia

 

 
Sbam!
Chiusi la porta dietro di me.
Alle mie orecchie il suono appariva mille volte più forte e più violento, quindi corrugai la fronte e mi allontanai in fretta, guardandola vibrare un poco.
Dopo l’amabile chiacchierata di due sere fa avuta con Stiles in questo stesso punto, avevo avuto il malditesta nonstop, una presenza costante che mi stava letteralmente uccidendo i neuroni.
Tutti i rumori apparivano più forti, tutti i colori accesi più sgargianti, tutte le voci più chiassose …
E il tutto si aggiungeva ai pensieri ingombranti e troppo pesanti sui quali la mia mente costruiva situazioni  e ipotesi, ed era allora che il mio cervello chiedeva una bella pausa.
Sarebbe stato bellissimo asportarsi l’ipotalamo fuori dalla scatola cranica e non pensare per qualche ora … O per qualche anno.
Mi accesi una sigaretta, mentre davo un’ultima occhiata alla visuale del pianerottolo: il mio 3B e il suo 3A galleggiavano in quel mare profondo e scuro, scrutandosi, respirando uno l’aria dell’altro. Non potevano essere più distanti, più staccati, nonostante quegli ottanta centimetri, come ora.
Li guardai con tristezza, perché erano come noi due: ormai divisi, dopo due giorni senza una notizia da parte dell’altro, o un semplice ”ciao, come va?”, o perlomeno un rumore di passi sulle mattonelle  grigie chiare, per percepire la sua presenza … Ma niente, niente in due giorni.
Perché la verità era che io l’avevo fatto. Nonostante avessi letto quella disperazione e quell’impotenza negli occhi prima di chiudermi nella mia casa, rompendo quella connessione ingombrante che lui portava appresso, io mi ero rifugiata, nella mia tana sicura, ma avevo aspettato. Mi ero nascosta dietro quella stessa porta nera lucida, con il mio numero e la mia lettera che proteggevano la mia fragilità, e avevo continuato ad aspettare. Ingenuamente, avevo aspettato qualcuno.
No, non qualcuno, proprio lui.
Lui, Stiles; lo avevo aspettato perché sentivo che noi due, noi dovevamo spiegazioni ad entrambi, lui per quel freddo nello sguardo, che mi aveva ghiacciato dentro, cristallizzato le mie vie respiratorie e bloccato il calore del mio sangue; e io per il mio essere bipolare, e per questo incasinargli la testa.
Portavo solo guai, o casini, o confusione … Mi rassegnai, era il mio mestiere, era quello che sapevo fare, lo portavo alle brave persone, per questo mi convincevo che la mia solitudine era qualcosa che doveva rimanere certa, presente. E perché lui avrebbe dovuto cercarmi, per quale motivo cercare una ragazza vuote e spenta come me?
Tirai profondamente dalla cannula, chiudendo gli occhi. Il sapore del tabacco mi occupò i sensi, dandomi una sensazione di appagamento e familiarità, fumare mi calmava, la nicotina rilassava e i aiutava a riflettere senza fretta, e senza troppa ansia.
Scrollai le spalle, imboccando le scale, scendendo lentamente scalino dopo scalino, guardando i mio condominio, cercando di assimilare ogni piccolo dettaglio. Le pareti erano di un impersonale bianco panna, che non dava un senso di casa dove stare sicuri e in allegria, ma ogni tanto, come si scendeva in basso, c’erano zerbini colorati, e piantine fuori dai portoni, che ti aiutavano a capire che la vita c’era anche in quella monotonia fatta di bianco e grigio e crepe causate dall’umidità e dal tempo.
Uscii dal grande portone a specchio, perdendomi con gli occhi nella via, si mischiavano sensazioni e colori, e odori, e luce … La mia stessa testa mi chiedeva una scappatoia, terrorizzata di fermarsi sui particolari e ricondurci memorie, ricordi scomodi, che mi avrebbero portato a risalire su, nella mia tana sicura.
E quindi mi misi la borsa a tracolla, e buttai la sigaretta, poi cominciai a correre. Piede dopo l’altro, come quando facevo atletica.
Correre, perché la velocità di quell’azione naturale per il mio organismo non mi faceva paura, e mentre percorrevo la strada per l’ospedale, ridevo, respirando un’aria che sapeva di libertà. Ora capivo veramente perché mia madre usciva tutti i giorni per correre, la mattina, perché era un modo di liberarsi, di scuotersi dalla predivibilità. Correre era forse come le piante e gli zerbini che mi impressionavano ogni volta, che rompevano la routine, quella nota singola e ripetitiva che cercavo di evitare.
Perché avevo le ali ai piedi, perché non mi serviva sforzarmi di spegnere tutto, correvo e basta.
Quindi continuai ad accelerare, nonostante le mia milza minacciasse di lasciarmi a quel semaforo, e la mia borsa piena di oggetti e scontrini mi mettesse alla prova, ricadendo sempre nell’avanti della tracolla. Correvo, e respiravo, mandando in pausa tutti i ricordi; respiravo a pieni polmoni, dando all’ossigeno un significato diverso, come se solo accogliendolo dentro di me potesse calmarmi e darmi un senso.
Un senso serviva, era vero, ma non lo avrei trovato.
Sorrisi amaramente, pregando le mie gambe di imparare a volare, solo per me.
 
 
 


“ Hai i capelli …” non continuò, ma non serviva, davvero. Bastava la sua espressione.
“ Sono così un disastro?”
Allison non rispose, mi passò lo specchietto dorato da borsetta che aveva sempre con sé e aspettò la mia reazione.
Feci una smorfia: la ragazza dentro l’oggettino che tenevo, sconcertata, tra le dita era appena stata travolta da un tornado, da una catastrofiche tromba d’aria, non c’erano dubbi.
Aveva gli occhi mezzi rossi, lucidi, e le guance colorate di una strana colorazione rossa.
E i capelli … Smisi di guardarla per pietà verso i miei amati capelli unici, che curavo da sempre, con tutta l’attenzione dovuta.
“ Eri in cima a qualche montagna e sei caduta giù?”
“ Sei seria? No, stavo correndo”
“ La Porche non stava bene? O tu avevi troppo caldo per gli undici gradi che ci sono oggi?”
“ Non ne ho idea. So solo che mi serviva smaltire un po’ qui dentro, le cose stavano degenerando” e mi indicai la tempia, Allison annuì, aggiustandosi una ciocca castana scura.
“ Ti stanno bene, hai un’aria che è a metà tra ’mi hanno appena sfrattato e volevo lanciarmi da un palazzo, ma sono ancora viva’, e  ’ho fatto sesso selvaggio, non vuoi sapere i dettagli, non sei pronto’!” ridacchiò lei.
“ Ma come vengono in mente a te certe cose? Certo che non li voglio i dettagli!” risposi, cercando di districare i nodi con le dita, soffrendo atrocemente, ma mordendomi la lingua per non esternarlo.
“ Meno male che sei venuta, oggi era troppo noioso senza di te”
“ E’ solo il solito pranzo del Lunedì, Ally” puntualizzai, ma sorrisi, alla sua dolcezza.
“ Lo so, ma sei la mia migliore amica, adoro averti intorno, anche se sei in quello stato” arricciò il naso, riferendosi chiaramente al mio look da persona che aveva appena ficcato la mano nella presa della corrente.
“ Questo stato va trattato con rispetto, Argent” la sfidai con impertinenza.
“  Cerchi di intimorirmi, Martin?” rispose lei, abbassando il viso, guardandomi dritta negli occhi.
“ Non lo farei mai, tra le due sei tu quella che incute terrore, con i tuoi occhi che lanciano fulmini e i denti che diventano zanne durante la luna piena”
“ Non so, Lyd, con quei capelli che hai oggi forse siamo pari …”
“ Ah, basta! Smettila o te la farò pagare, con gli interessi!” la minacciai, ridendo sotto i baffi alla sua espressione sconvolta, e agitando un grissino in modo minaccioso verso il suo naso.
Lei per tutta risposta lo afferrò e ne strappò un morso.
“ Grazie, Lydia”
“ Di nulla, Allison”
Scoppiammo a ridere, e mentre lei tossiva, cercando di mandare giù il grissino combattendo contro le sue costrizioni con una bottiglietta d’acqua, io chiamai il cameriere, ricordandomi del nostro primo incontro, avvenuto nello stesso tipo di situazione …
 


Camminavo da sola per la sala mensa. 
Strano, molto strano, anzi: Lydia Martin aveva sempre la sua cricca al seguito, sempre.
Ma ora ero sola, con il mio pranzo nel vassoio, cercando un tavolo libero, perché non avevo voglia di sorridere e fare la stronza perfetta, come facevo di solito. Nessuno mi sarebbe venuto a cercare al tavolo venti, quindi mi ci sedetti. 
Il tavolo era quasi vuoto, c’erano due ragazzi, troppo impegnati a parlare di una partita persa per accorgersi della ragazza popolare, me, che stavo vicino loro, poi due sedie più a destra c’era una ragazza che parlava al telefono, aprendo il pranzo mentre cercava di seguire il filo della conversazione.
“ Sì, mamma … Ho capito, davvero! No, sono a pranzo, dopo ho Letteratura, sì, ho capito … Non farò tardi!  Ciao, ti voglio bene anch’io … A dopo”
Riattaccò, sorridendo in modo buffo, e io la osservai mentre mordeva un pezzo di sandwich e nel frattempo frugava nella borsa, con i capelli mossi che volteggiavano, e creavano giochi diversi di sfumature marroni ad ogni mossa. 
Ad un certo punto iniziò a tossire, cercando di deglutire, e annaspando alla ricerca di una fonte di aiuto per mandar giù quel groppone, io, in tutta calma, le tirai la mia bottiglietta.
“ Grazie, davvero. Mi hai salvato”
Io non riposi, annuii e basta, vedendo lei che chiudeva gli occhi e poi li riapriva, sorridendomi anche con essi. Io aggrottai la fonte, e stavo per chiederle che avesse, quando si alzò e si sedette accanto a me, tendendomi la mano.
“ Allison Argent”
“ Lydia Martin. Argent ? Sei la sorella di Kate?
“No, a dire il vero siamo cugine”specificò lei, rimanendo con le labbra socchiuse, io annuii.
“ Non vi somigliate affatto”
“ Fisicamente? Sì, è vero”
“ Non solo: si vede che tu non sei un androide senza cuore”
“ Potrei offendermi, sai? E’ mia cugina …”
“ Non dovresti, non è rivolto a te … E poi ho solo esternato una mia opinione”
“ E’ vero, ma Kate non è così male, devi solo conoscerla a fondo”
“Non credo sia una buona idea”
“ Per quale motivo?”
“ Da una parte perché sto con il suo ex, poi perché ci odiamo”risposi semplicemente, senza paura di sembrare inopportuna, perché avevo capito che a Allison non cambiava nulla, lei era una persona sincera, l’avevo intuito da subito.
“ Siamo in due allora: la odio, la odio sul serio”
“ Forse mi piaci, Allison Argent. Non perché hai i miei stessi gusti, ma perché non hai paura ad ammetterlo”
Ci sorridemmo. Lei annuì, alzando un sopracciglio bruno.
“ Anche tu mi piaci, forse. Hai i capelli rossi”
“ Non rossi, biondo – fragola” precisai, aprendo il mio pranzo.
“ Biondo – fragola? Le fragole possono essere bionde?”chiese lei, confusa.
“ Sulla mia testa sì. Credo”
“ Bene! E’ sempre bello imparare cose nuove” non mi stava prendendo in giro, non sapeva come rispondere alla mia sicurezza, ma non era cattiva.
“ Mi piaci, Allison diventerai la mia migliore amica.”
“ Grazie, Lydia” mi sorrise e mi passò la bottiglietta d’acqua.
 


Così, con una conversazione strana e breve, avevo cominciato ad essere amiche, vere amiche.
Eravamo come due meteoriti, proveniente da diversi pianeti, entrati in collisione, creando un’esplosione silenziosa …
Grandissima, colorata, silenziosa ma fastidiosa. Perché Allison era questo; era risate e suoni dolci, e unici, come il mare sentito dall’interno di una conchiglia. Allison era la leggerezza, e avevo imparato ad aspettarla, perché lei la sapeva,la strada di casa, quindi anche se spariva io non avevo paura.
Era la mia migliore amica, sarebbe sempre tornata.
 
 
 
 
 

 

Stiles

 



“ No, Scott, mi rifiuto! Non metterò quel coso solo perché un paio di ragazzini ci tengono a vedermi conciato come una donna!”
Sbottai, mettendo le mani davanti, mentre il mio amico mi squadrava dal suo posto al bancone bar. 

Si divertiva a mettermi in difficoltà, o a farmi proposte da me considerate solo indecenti. 
Come oggi; ma non sarei stato a quello che diceva, non stavolta.
“ Quel coso si chiama grembiule ricamato. E poi è la festa di compleanno del moccioso, quindi vuol dire che noi faremo tutto ciò che dirà”
“ Potresti farlo tu, visto che sei così ben disposto!”
“E toglierti un’opportunità di rendere felice un dolce bambino innocente? Che persona sarei? E poi sei talmente sexy con quel grembiule, quasi quasi..”
“ No! Non dire nulla, preferisco non sapere!” chiusi gli occhi, sperando che facendo così pure il mio cervello rinunciasse a costruire una bella fantasia, magari simile a quella che Scott voleva condividere con il sottoscritto.
Si stava davvero divertendo, non ne avevo il minimo dubbio, poi non lo mascherava neppure: stava ridendo a crepapelle, guardando la mia espressione schifata davanti al grembiule rosa ricamato con fiori e apine, con la scritta lilla che diceva " Buon Compleanno!".
" Dai Stiles, non rovinare la festa di compleanno del povero George Newton!" mi pregò Scott, facendomi gli occhi dolci, e avvicinando contemporaneamente il grembiule sul bancone.
" Io mi rifiuto! Non possono davvero chiedermi di rinunciare alla mia virilità in questo modo!" non ero intenzionato a cedere, avevo la mia dignità, andava salvaguardata.
" Ti do la notte libera se lo fai"
" Tutta la notte? E non ci saranno ripercussioni sullo stipendio del mese?" contrattai, subito più interessato a questa festa di compleanno che stava per essere la mia rovina, o almeno del mio lato pieno zeppo di orgoglio maschile.
" Non un centesimo... di meno, ma devi indossarlo e comportarti in modo di essere convincente"
" Convincente? In che senso?" chiesi, temendo sinceramente la sua risposta.
“  Bhè, volevano un cameriera figa, una con cui provarci … Fa del tuo meglio” disse lui, lucidando il bancone con lo straccio bianco, mentre io digerivo il perso di quelle parole.
E capivo cosa realmente avevano chiesto a Scott, quando appena arrivati i mocciosi avevano cominciato a fare la fila davanti al suo ufficio. Incavolato nero lo fulminai con lo sguardo, sperando di comunicargli tutto il disprezzo e l’odio che provavo verso di lui in quel momento.
“ Giuro che questa me la paghi, McCall, lo giuro sul mio stesso nome”
“ Dovrei avere paura?”
“ Sì! Quando avrò finito rimpiangerai di aver riso così poco, perché sarà l’ultima volta che sarai stato in gradi di farlo!” gli abbai contro, mentre prendevo quel maledetto grembiule.
“ Uh … che paura, Stiles Stilinski in grembiulino che mi minaccia!” mi fece il verso lui, io mi misi la parrucca bionda e gli tirai contro una scarpa, lui la evitò per un pelo, poi me la rilanciò, ridendo.
“ Datti da fare, tesoro” mi incitò lui, facendo una smorfia e dandomi il cinque.
“ Mhh … Certo, zuccherino mio” gli feci l’occhiolino, mandandogli anche un bacio, usando apposta la mia voce più maschile e gutturale, lui cominciò a ridere più forte, mentre io mi dirigevo al tavolo, con un piccolo sorriso sardonico che mi occupava con insistenza sempre maggiore le labbra: mi sarei divertito, oh sì.



 
 
“ Basta, sul serio, Scott, non lo farò mai più”
“ Hai ragione, Stiles, non la farai mai più … Però, che spettacolo … Ho ancora le lacrime agli occhi dalle risate, e mi fa male la milza”
Lo guardai asciugarsi le lacrime con il dorso della mano, con il sorriso fissato sulle sue labbra, con allegria che mi rendeva fiero, quasi. Scott era sempre stato ottimista, felice, ma sapevo riconoscere quando si divertiva davvero e quando no. Come lui sapeva farlo con me.
Ci conoscevamo davvero: avevamo passato tanto di quel tempo assieme, a sostenerci uno con l’altro, senza fretta e senza pretese, che sapevamo esattamente come stare insieme.
Lui mi aveva aiutato tutto il tempo, con mia madre, con mio padre, con Malia. Però non avevo ancora lasciato che mi aiutasse con la mia vicina.
Perché dovevo prima capirla io, dovevo capire io come muovermi con quella ragazza spaventata.
Lydia.
Pensarla toglieva sempre un po’ di tempo, non potevi davvero aspettarti di poterla citare così a caso e poi non venire automaticamente bersagliato dai suoi occhi pieni di mondi tristi e ricordi pesanti, o dalla traccia del suo respiro leggero addormentato sulla pelle. O dei suoi capelli, così morbidi e frondosi, che mi ricordavano i campeggi fatti con Scott e mia madre, le fronde delle felci che liberavo da piccolo, sconvolgendomi della loro semplice bellezza. Lydia era semplice all’esterno: una ragazza dannata, che non dava speranze ai ragazzi a meno che fossero estremamente palestrati o belli, curati, famosi. Ma lei era complessa, era uno di quei problemi di matematica che per trovare la soluzione dovevi rifletterci sul serio, rischiare, tornare sui tuoi passi …
Così complessa che mi ero preso due lunghi giorni per rielaborarla. Dopo quella serata passata a terra, su quel mare grigio e squallido, a galleggiare su una solida zattera di pensieri, non ero tornato al mio appartamento. Ero stato da Malia, nella sua casa bianca, per quei due giorni, concentrandomi sulla vita insieme alla mia ragazza, a quanto mi completasse, a quanto quella ragazza dagli occhi caldi e di cioccolato riuscisse a farmi raggiungere la pace dei sensi.
Ma, per quanto fosse stato riposante e mi avesse aiutato a staccare da quel tipo di pensieri per una bella parte del tempo, c’era sempre, al mattino, quell’ora in cui tutto era calma, silenzio e la mia memoria si apriva, dando tutto lo spazio a lei. Avevo una strana connessione con quella ragazzina, che mi aveva portato a mentire a Malia, e a stare davvero un’intera notte a fissare il nulla, seduto sul pavimento del pianerottolo.
Come ora mi allontanavo dal locale, felice di essermi guadagnato quella nottata tutta per me, frugavo nelle tasche della giacca, cercando quel rettangolo di carta fotografica, risalente a quasi una settimana fa.
La trovai nella prima tasca a sinistra, sotto il peso delle chiavi, stropicciata, ma intera.
Quella foto era la più vera forma di Lydia, quella in cui lei perdeva il suo sguardo tra le vite legate ai palazzi della città, e si offriva per quello che era, per quello che portava dentro di se. Lei lì era vera e palpabile.
Non so se si riuscisse a leggere semplicemente osservando bene la foto; io ci riuscivo, ci riuscivo perché sapevo.
Perché io conoscevo quella parte di Lydia Martin, lei me l’aveva lasciata guardare.
Mi lasciai guidare dai miei piedi, con la scusa che il turno di Malia sarebbe finito solo alle sei del mattino dopo, sapendo bene dove sarebbero andati.
Erano d’accordo già da un po’, solo che la mia ragione li avevi presi con il guinzaglio, ma ora ero io che mi volevo fidare di loro, guardando che sarebbe successo.
Qualcosa mi faceva pensare a un certo paio di occhi, e un sorriso rosso, rosso fragola.
 
 
 

 
 

Lydia

 
“La verità è che non ti volevo qui solo perché mi mancavi … anche perché ho bisogno di te”
Io raddrizzai subito la schiena, e mi avvicinai, stando il più attenta possibile.
Stavamo uscendo dal ristorante solo ora, ed eravamo appoggiate al ponte del parco della città, quello rande e sempre chiassoso, guardando le papere che stavano lì, placide, non disturbate dalla nostra presenza.
“ Tra poco devo andare in ospedale … Per ritirare i risultati delle analisi. Ho fatto il test”
“ L’hai fatto senza dirmi nulla?”
“ Sì. Perché sapevo che saresti venuta, e mi avresti consolato, saresti stata con me. E mi avresti fatta sentire bene” lo disse guardando l’acqua che scorreva, io ascoltai tutto, senza capire.
“ Non capisco, Ally … C’è qualcosa di sbagliato, in tutto questo?”
“ Io. C’è qualcosa di sbagliato in me” lo sputò così, con disprezzo per se stessa, e io rimasi in attesa, che lei si spiegasse, ma mi avvicinai, fino a stabilire un contatto lieve tra il mio braccio e il suo.
“ Io non ce la facevo a leggere la comprensione la pietà che avresti avuto nello sguardo. E la tua dolcezza, perché è questo che fai tu, mi fa sentire amata anche quando non lo voglio … non lo volevo, non lo dovevo volere, anzi. Io ho tradito uno dei più grandi valori, per me: la correttezza versi se stessi, e non …” si bloccò, mentre una grossa lacrima le attraversava la guancia, indisturbata.
“ Tu non hai tradito te stessa, Allison. Hai solo fatto un errore: sei stata avventata, ed è successo. Sei rimasta incinta, ma questo non vuol dire che tu sia una puttana, che tu di conseguenza cambierai ciò che sei. Gli errori ci servono, gli sbagli ci aiutano a costruirci. Perché non potremo mai imparare a reagire, ad aiutare noi stessi, se prima non cadiamo nella stessa buca più volte. Tu ora ti vedi come una macchia, come un errore più grande degli altri, ma non devi.”
“ Ci ho provato, ho provato a chiamarti, a chiederti aiuto, ma non ce l’ho fatta, scusa …” e si asciugò un’altra lacrima, io sorrisi dolcemente, mossa da quell’amore di cui parlava con rabbia prima, senza davvero intenderlo.
“ Non ti devi nemmeno scusare, se non ci dovevo essere, per te, va bene. Io non sono arrabbiata, come potrei? Sei tu quella che tiene le redini della propria vita, Ally, non io, non le mie scelte, o i miei consigli, solo tu” le spiegai, prendendole la mano.
“ E quanto sei speciale, Ally, quanto sei unica … Quanto vali, per me. Quanto sei forte, quanto io ci tengo a fartelo capire: tu non sarai mai uno spettro, una frase fatta. Tu sarai sempre una persona, e per quello che succederà, per le strade che ci divideranno, io sarò con te, con tuo figlio, almeno lo sarò nel mio cuore. Fidati del tuo, di cuore, Ally, per quanto ferito ha sempre funzionato meglio del mio. Tu sei sempre stata quella brava, quella che sapeva trovare le note giuste per arrivare alla canzone armoniosa che è l’amore! Non rinunciare a essere te stessa, perché sei unica.”
Lei rimase a guardarmi, poi mi abbracciò, senza dire nulla.
Sentivo i suoi singhiozzi profondi attraverso il suo torace premuto contro il mio.
Allison era lì con me, nella suo seguire i suoi istinti, nel suo affidarsi senza paura agli altri, per quanto si nascondesse dietro gli errori, e io l’amavo a modo mio, come avevo voluto bene a Erica, ma in modo meno totalizzante.
Perché io dipendevo dal mio piccolo angelo biondo che stava dentro un letto d’ospedale, e non sapeva che tra poco ci saremmo lasciate, io dipendevo dal suo sorriso, dal suo essere tutta la mia famiglia; ma io e Allison vivevamo in simbiosi, appoggiandoci l’una all’altra.
Sbagliando e imparando, seguendo una sinfonia nota solo a noi.
La strinsi forte a me, dividendo con lei il mio essere triste, il mio essere me, e lei lo fece con i suoi stessi pesi.
Uno scambio equo, che non alleggeriva né cambiava, dava solo più equilibrio.
“ Vuoi che venga con te, ora?” le chiesi, nell’abbraccio.
Lei scosse la testa.
“ No, ce la faccio, però ti posso chiamare appena esco?”
“ Certo” non aggiunsi altro, non serviva.
 
 
 
 
Corsi su per le scale, con il cellulare in mano, agitata da una strana ansia …
Chi sarebbe stato il padre? Isaac o lo sconosciuto della festa?  
Non lo potevo sapere, le possibilità erano cinquanta e cinquanta, e io ero solo una che non aveva un qualche dio al quale affidarsi, quindi pregava l’universo che tutto sarebbe girato per il verso giusto.
Arrivai senza fiato all’ultimo gradino, e ci rischiai anche di cadere, guardando la sorpresa che c’era.
Odiavo le sorprese, l’avevo sempre fatto, ma non potei bloccare il sorriso puro che mi si formò sulle labbra quando lo vidi: con due lattine di birra e un cartone di pizza, bloccato davanti alla mia tana sicura, che aspettava qualcuno.
No, non qualcuno, lui aspettava me.
Incerta feci un passo in avanti, e lui si girò, di scatto.
Stiles Stilinski mi fissò con espressione colpevole, ma allo stesso tempo stupito, spaesato, poi mi fece spazio, mentre raggiungevo la porta e la aprivo con le chiavi argentee.
Non disse nulla, mi fece passare per prima e entrò nel mio appartamento. Notai che aveva quell’odore di dopobarba, alla stella alpina e al muschio, lo stesso della maglietta.
Chiusi la porta, attivando quella strana protezione che il 3B mi garantiva ogni volta, solo che questa volta c’era anche il mio vicino strano, dentro, con me.
 
 
 

 
 

Stiles
 

 

 

 “ Lydia”
“ Stiles”
“ Spero che la pizza Margherita vada bene, non sapevo i tuoi gusti, quindi …”
“ Va benissimo, non dovevi preoccuparti”
“ Scusa per l’intrusione, volevo parlarti e-“
“ Vieni, prima almeno sediamoci” mi fece un cenno, togliendosi il giaccone, scoprendo un paio di jeans scuri attillati e un blusa lilla scuro.
Era bellissima e accattivante, come al solito, e io sentii quanto quella vista mi fosse mancata tramite una fitta allo stomaco.
“ Puoi lasciare la giacca sul divano” mi disse, mentre si toglieva i tacchi alti, rimanendo a piedi nudi, e lasciando le scarpe accanto alla porta. Io seguii le sue istruzioni, abbandonando la mia giacca blu scuro sul divano bianco, sistemandomi la mia maglietta grigio scuro stropicciata, la seguii in cucina con la testa tra le nuvole, o forse troppo concentrata sul suo sedere piccolo stretto in quel paio di jeans, che non lasciava davvero spazio all’immaginazione.
“ Come mai sei venuto qui, con una pizza?”
“ E due lattine di birra” aggiunsi cercando di posticipare l’imminente discussione.
“ Perché?”
“ Perché sono stato due giorni dalla mia ragazza, nella sua casa, e oggi pensando e camminando sono finito qui. Dovevo parlarti” le spiegai in fretta, mentre acchiappavo il piatto di ceramica che mi stava porgendo. Lei annuì, poi prese anche forchette e coltelli dal cassetto, e dei tovaglioli.
Si sedette di fronte a me, dandomi una bella visuale del viso particolare e dei suoi occhi pieni di domande.
“ Ti va bene parlare mentre mangiamo?”
“ Certo, io parlo, tu ascolti …” acconsentii, staccando un pezzo di pizza e mettendoglielo nel piatto, lei per tutta risposta si versò la birra in un bicchiere e cominciò a berlo, guardandomi.
Capii che il suo modo di darmi spazio, e io presi un bel respiro, cercando di focalizzare la mia concentrazione sul peso delle parole che avrei usato.
“Avevo bisogno di tempo. Tempo per pensare, per analizzare ogni piccola cosa, ogni possibile spiegazione o anche solo per capire la logica che stava dietro quel modo di reagire … Tu sei una persona splendida, Lydia, mi permetti di studiare le emozioni in un modo così singolare che non posso non ringraziarti”
“ Quindi mi vedi come una cavia?”
“ Non esattamente, ti vedo come la mia vicina, che ha bisogno di qualcuno che la ascolti …”
“ E sei convinto che quel qualcuno sia tu?”
“ No, Lydia, non mi attribuisco tanto potere, lo so, strano detto da me, la perfezione fatta a persona” alzai le mani, scuotendo la testa, lei portògli occhi al cielo, sbuffando leggermente. Continuai, sorridendo:
“ Ma volevo solo provare ad ascoltarti, a esserci per te, a darti una sicurezza”
“ Vedi, Stiles, nonostante tu sia la perfezione, io non mi sento così sicura con te”
“ Posso sapere il perché?”
“ Perché io non mi fido di nessuno” prese un altro sorso di birra, e guardai come deglutiva e poggiava la lattina sul tavolo in legno.
“ E’ giusto non dare a propria fiducia così, è una specie di autodifesa del corpo, ma pensavo che ti fidassi di me” dichiarai, convinto. Perché se lei non si fidava di me, io non avevo davvero capito nulla della ragazza misteriosamente complicata che mi stava seduta di fronte.
“ Ed è così, io mi fido di te”
“ E allora … Mi sono perso qualcosa”
“ Io mi fido di te, Stiles, ma c’è qualcosa, un muro, che non posso semplicemente abbattere, è davvero alto e invalicabile, lo è sempre stato. Noi non ci conosciamo io non so il giorno del tuo compleanno, non so quale sia il tuo colore preferito, se hai animali da compagnia … “ la bloccai, prima che potesse continuare.
“ Il mio colore preferito è l’azzurro, lo sembra un colore ovvio per un ragazzo, ma per me no. Non ho animali, perso sono allergico al pelo del gatto e mia madre lo era a quello del cane, avevo un pesce rosso, ma è morto prima che mi ci potessi affezionare, e il mio compleanno non te lo dirò fino a che io non saprò la data del tuo. Hai ragione, tu non mi conosci, ma io qualcosa l’ho capita di te, forse: fumi per pensare, non perché abbia davvero preso il vizio. Fumare ti permette di vedere le cose da un'altra angolazione, e tu sfrutti quest’opzione, rovinandoti i polmoni. Sei tremendamente intelligente e acuta, capisci subito quando qualcuno cerca di prenderti per i fondelli. Sembri una persona scura, ma dentro hai un mondo colorato e vivo, che sei stata costretta a stringere e nascondere. Tu soffri, soffri tanto, e soffri a pieno, perché le emozioni non le fai scorrere e basta, tu ti ci bagni, e ci rimani dentro. Tu sei bellissima, e sai di esserlo, ma questo non ti rende vanitosa o stronza, sei semplicemente una ragazza in pace con le proprie forme … E ti fidi di me, non so perché, ma lo fai”
Lydia rimase in silenzio, masticando il boccone di pizza, io ripresi fiato, e rilassai le spalle, e morsi anch’io un pezzo di pizza, assaporando quella pietanza che sempre mi era piaciuta, che avevo imparato a fare da mia nonna, subito dopo la mia madre di mia madre, nella sua casa al lago, durante un pomeriggio piovoso.
“ Ti sei dimenticato qualcosa: errore costante e portatrice di sventure” aggiunse lei, pulendosi con un tovagliolo. “ E poi mi stupisci, sei molto più acuto di me, nell’osservare. Mi hai studiato bene, purtroppo … Ma ora una domanda mi sorge, consona”
“ Spara”
“ Perché ci tieni così tanto, a esserci? Ti spiego il mio punto di vista: le persone hanno sempre doppi fini, che fruttino qualcosa a loro, come è anche nella natura dell’uomo, l’egoismo istintivo, e il cercare sempre un  qualcosa di più comodo, più malleabile a seconda delle proprie necessità … Quindi qual è il tuo doppio fine?”
Mi spiazzò. Con quella frase elaborata e piena di concetti comuni, mi aveva fatto tabula rasa in mente …
Qual’era il mio doppio fine? Non lo sapevo con certezza, da una parte credevo di non averne, di essere mosso dalla vicinanza che provava per quella ragazza, dall’altra ci stava tutta l’attrazione ingiustificabile che aveva verso di lei, e il suo corpo, il suo modo di pensare …
“ Non lo so con certezza, forse aiutando te riuscirò ad aiutare anche me stesso”
Le dissi questo, guardandola con timore negli occhi, paura per la sua reazione, o la sua espressione.
Ma lei mi sconvolse, ancora una volta.
Lydia rimase calma e annuì.
“ In un certo senso me l’aspettavo, e non sono arrabbiata, non con te, almeno. Lo sono un po’ con me stessa perché ispiro quasi pietà, ma sono felice di poterti aiutare”
“ Non mi ispiri pietà, non l’ho mai detto. Io ti capisco, capisco il tuo dolore. Ma non mi sembrava giusto nascondere il mio bisogno di andare avanti dietro l’aiuto che avrei potuto darti. Non lo è nemmeno ora: io ci tengo a te, tengo a te, Lydia, non al capo espiatorio che costituisce il tuo problema … capisci?”
“ Purtroppo sì, Stiles, per quanto il tuo discorso sia contorto, e ti posso solo dire che ci penserò.”
“ Mi basta, per ora. Ora mangia la pizza, che sei dimagrita troppo”
“ Come? Hai in progetto di farmi ringrassare con questa pizza? E poi come fai a saperlo?”
“ Si vede …” ammisi, nascondendomi dentro la lattina di birra, lei alzò un sopracciglio.
“ Dovresti davvero smetterla di radiografarmi, è alquanto irritante!” sbottò, mordendo un’altra fetta.
“ Sei bellissima, ragazzina. Sarebbe un crimine”
“ E’ un crimine per un ragazzo fidanzato, dovrei farti sul serio mettere dentro per questo! A no, aspetta, tuo padre è lo sceriffo, non servirebbe a molto” alludendo al nostro primo incontro mi passò un tovagliolo.
Io lo presi, sorridendo a quella ragazza, che con la sua stranezza mi teneva impegnato, mettendomi tutto in discussione. Non so se gliel’avrei mai detto, forse un giorno sì.
Questo momento di semplicità e battute, e di noi due veri, che andavamo avanti, era la quiete prima della tempesta, lo sapevo bene, ma me lo stavo godendo, perché nei suoi occhi verde foglia c’era una promessa: lei sarebbe stata qui finché io l’avrei aspettata.
E io lo stavo facendo, io ce la stavo facendo.
Questa partita sapeva di pizza e birra e filo del rasoio, di un funambolo che aveva voglia di buttarsi e volare, e stavo imparando le mosse vincenti, ora dovevo solo fare pratica
.




A/N: ok ok ok, scusate la morte apparente, tanti casini, tanti litigi tra Montecchi e Capuleti, quindi serviva tempo...
anche questo capitolo è una pedana di lancio, per costruire una parte delicata e bella della storia, quindi don't panic, andrà tutto bene! innazitutto un bel grazie a quelli che sono arrivati a questo spazietto che mi rubo ogni volta, e grazie a quelli che seguono, o recensiscono, o leggono semplicemente questo sclero scostante che ridicolmente chiamo storia... davvero, mi procurate un bel Sole, e quindi mi abbronzo, e tutti siamo felici ;p
a parte gli scherzi, grazie davvero, non sapete quant felicità mi date.
Allora, in questo capitolo ho voluto mettere più Allison che Scott, perchè dopo aver visto la puntata non poteva lasciare la parola Allison senza il giusto peso, non si poteva.
Stiles sta cercando di capire Lydia, e Lydia sta provando a fare crollare il muro, ma le ultime due righe dicono bene: questa era quiete, prima della tempesta!! che tempesta, purtroppo vi devo mettere in guardia, le rose e i fiori e le pizze Margherita( scusate ma non sapevo davvero come approcciarmi con il gusto della pizza, partendo dal presupposto che le pizze americane fanno rimpiangere di averle mangiate, e non aggiungo altro) sono finite. end. stop!
quindi hold on, e ricordiamo queste risate, e questi sorrisi, perchè dal prossimo capitolo torna il drama...
picchiatemi subito, ok? fate in fretta, almeno, farà meno male!
le solite scuse per gli orrori di ortografia, e il solito bacio, grande come come tutta l'Eurasia, stavolta!
statemi bene e buone vacanze!
ps: recensioni e robe varie, sapete cosa fare XD bye bye
-Mg :)

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Capitolo 8
*** 7. Notti Tempestose ***














"The way to save = Il modo per salvare"
+++










 

I can't remember when it was good
Moments of happiness elude
Maybe I just misunderstood
 
All of the love we left behind
Watching the flash backs intertwine
Memories I will never find
 
So I'll love whatever you become
And forget the reckless things we've done
I think our lives have just begun
 
I'll feel my soul crumbling away
And falling away
Falling away with you
 
Staying awake to chase a dream
Tasting the air you're breathing in
I hope I won't forget a thing
 
And all of the hopes we've cherished fade
Making the same mistakes again
Making the same mistakes again
 



Falling Away With You-
Muse
 
 
 
 




 

Lydia

 
 
Non si muoveva, quindi non era una cosa viva.
Una macchia?
Non lo sapevo, però continuai a fissarla.
Una macchia nel muro bianco sporco; era un’opzione, o un insetto immobile color marrone scuro?
La fissai, continuavo ad esaminarla, focalizzando con gli occhi quella cosa misteriosa. Tutte le altre cose della stanza sembravano di futile interesse al suo confronto, tanto ero concentrata, e combattevo contro l’impellente bisogno di alzarmi e controllare da vicino.
C’era da sempre, la mia capacità di concentrare tutta la mia attenzione su dettagli insignificanti, che però riuscivo a studiare così minuziosamente che subito avevano un peso notevole e importante. Forse l’esempio più giusto era quello che  mi aveva cambiato, e che al tempo stesso aveva dimostrato come anche nel trauma la mia testa si difendesse nell’identico fottuto modo …
A dodici anni, il giorno in cui, tornata da casa di mia zia con una rosa per mia madre in mano, non l’avevo trovata da nessuna parte, quando avevo realizzato ciò che era successo, mi ero seduta sul mio letto duro, ma così amato, da sempre, e avevo fissato la crepa che c’era sulla porta.
E l’avevo fatto finché non era entrato Lui nella scena, facendo il solito casino nelle quinte …
Perché Lui faceva sempre così, mi faceva perdere, non sapeva come maneggiarmi quando ero sul punto di crollare e frammentarmi in mille pezzi …
 
 
 

 
“ Lydia! Lydia!”
Non risposi.
Non perché non volevo, ma perché io non l’avevo sentito. La crepa sulla superficie della porta era troppo importante, più di mio padre, più di quello che diceva, più di mia madre, più di tutto …
“ Lydiaa! Sei qui ...! Perché non mi hai risposto subito?”
Ora lo sentii bene; aveva spalancato la porta della mia camera, togliendo l’oggetto del mio studio accurato dal mio campo visivo. Aprii e chiusi gli occhi, trovando solo in seguito la forza di portarli su di lui.
I suoi capelli furono la cosa che mi rimasero più impressa, da subito: sempre curati, in ordine … Ora erano una criniera scomposta e selvaggia, di colorazione rossiccia spenta, davano un senso di rabbia che sarebbe riuscita a sollevare un palazzo, e nei suoi occhi, così simili, uguali, ai miei, leggevo dolore, e tristezza.
Quella davanti a me era la brutta copia di mio padre, non era lui. Mi spaventò.
“ Lydia … C’è una cosa che ti avrei dovuto dire tempo fa, io e tua madre …”
“ Non ho visto la sua macchina, anche la sua metà di armadio è vuota, così il bagno. L’ho chiamata già quattordici volte, non ha risposto. Ho aspettato che finisse il suo turno, per chiamare direttamente in segreteria, e mi hanno detto che era già andata a casa … Ho capito, papà.”
“ No,   Lyd, io e tua madre … Devi capire, che non stiamo più insieme … Stiamo affrontando una fase complicata e abbiamo deciso di prenderci del tempo da soli”
“ Siete divorziati, papà. L’ho capito”
Lui spalancò gli occhi, rimase a guardarmi, in silenzio.
Abbassai la testa, aspettando che parlasse di nuovo, magari per sgridarmi, o per cercare di sdrammatizzare.
“ Anche se non vivremo più tutti insieme, questo non vuol dire che non saremo più una famiglia … Lei ha deciso di lasciare me, non te; ti vorrà sempre bene, come faceva prima.”
“ Io non ci credo, papà, scusa”
“Lyd, noi ce la faremo. Noi due: io e te” mi prese una mano, e la strinse, io ero immobile, ancora non avevo la forza di alzare lo sguardo “ce la faremo anche senza di lei sempre qui con noi. E poi è tua madre, Lyd, ti vorrà davvero bene come pr-“
“Me lo avrebbe detto! Se mi avesse amato, me lo avrebbe detto! Invece ha preferito che lo scoprissi così, che passassi un’ora a cercarla, e che tu fossi il primo a dirmelo! Ci ha lasciati, tutti e due, per lei era meglio in questo modo, non cercare di difenderla …
Voglio stare da sola, papà. Ti prego”
Una lacrima cominciò a prendere forma, e compiere il suo tragitto giù per la mia guancia. Era la prima di tante. Tanto tempo senza piangere, e ora volevo consumare il mio dolore in completa solitudine, Lui non mi avrebbe aiutato a stare meglio, doveva stare fuori dalla mia bolla.
Mio padre annuì, e , continuando a tenere il suo sguardo fisso su di me, uscì dalla mia camera. Ora era sola.
Davvero sola, senza nessuno, a parte me stessa.
Senza una madre. Sola.
 
 



“ Lyd?”
“ Scusa, mi ero incantata”
Allison sorrise appena, e si sedette sulla poltroncina bordeaux accanto a me.
Notai come la sua gonna blu notte le stesse bene: il bianco della sua pelle risaltava su quel cielo scuro; e come lei ne torturava le estremità, dominata dal nervosismo. Lo riconoscevo, perché ero lo stesso che ora mi faceva tamburellare le dita sul bracciolo in pelle, e posare lo sguardo dappertutto tranne che sul suo viso.
“ Mi hai chiamato qui, alla fine … Ma credevo avessi già ritirato i risultati ieri sera.”
Osai esternare, mordendomi il labbro, sentendo il gusto del mio rossetto rosso scuro che avevo oggi, che faceva pendant con la gonna borgogna a ruota, che maledicevo ogni secondo che passava: io e il mio vizio di non mettere collant, anche a Dicembre. Però stava bene anche con la poltroncina della sala d’aspetto in cui eravamo, con il tavolo pieno di riviste, e le pareti sobrie e precise, con uno schifoso intonaco bianco sporco che mi faceva pensare all’ospedale in cui Erica stava passando gli ultimi giorni a Beacon Hills.
“ Ero qui anche ieri, ma c’è stato un problema con i computer … E avevo bisogno di qualcuno, che stesse con me qualunque fosse stato il risultato. E tu sei venuta.” Finii lei, guardandomi con i suoi occhi resi liquidi dall’ansia, così scuri da fare quasi paura.
“ Quindi ora che si fa?”
“ Siamo in una sala d’aspetto. Aspettiamo”
“ Siamo nel posto giusto, quindi” chiesi a voce bassa.
“ Sì … almeno lo spero” aggiunse con amarezza, dando voce alla nostra paura comune, e strinse i pugni.
Io riportai il mio sguardo nel bianco della parete, non trovando più la macchia. Forse era davvero un insetto.
E ora era sparito. Puff.
L’unica certezza era che il bianco era tornato bianco, e che nelle sale d’aspetto si aspetta. Quindi non c’era nient’altro da fare, solo aspettare.
Pensai a come il tempo controlla la nostra vita, a come noi dipendiamo da esso, gli stiamo dietro, lo perdiamo, poi lo ritroviamo per puro caso, e poi lo perdiamo di nuovo …
La doccia fredda è scoprire che sarà così per sempre, quindi si aspetta e basta.
Sbuffai, non era giusto.
 
 
 
 
“ Tu rimani qui, ce la faccio.”
“ Sicura?”
“ Sì, Lyd, te lo chiedo per favore” era risoluta, glielo si leggeva negli occhi, nella postura; io annuii, gettando la spugna: quando decideva una cosa, era così e basta.
“ Allora sono qui fuori, ti aspetto.” Le feci un sorriso e lei si girò, sparendo dietro l’angolo dello studio. Io sprofondai di nuovo nella poltroncina, chiudendo gli occhi.
Non sarei dovuta andare al lavoro se non dopo pranzo, per una piccola riunione di bilancio, quindi c’era tutto il tempo per cercare di non andare il panico, di trovare una soluzione …
Ma chi volevo prendere in giro?
Un figlio già in condizioni normali ti sconvolge la vita, figuriamoci così! Non c’era più posto in cui stare tranquilli, sarebbe stato spazzato via dal cataclisma che il test avrebbe portato qui tra noi.
Ora, finalmente, stavamo per scoprire chi fosse il ‘fortunato’ neo padre.
Chi sarebbe stato? Eravamo così vicine alla soluzione alla domanda, e questo era un bene, una cosa positiva; ma al contempo avevo paura, per Allison, per suo figlio …
In questi casi che si doveva fare? Aspettare, aspettare che Allison uscisse da lì, e pregare l’universo in un risvolto positivo … O almeno in una possibilità di starle vicina nel modo giusto, di felicità almeno dopo la tempesta.
Ero ancora a occhi chiusi quando lei arrivò.
Stavo ancora immaginando scenari di morte, distruzione e lacrime nel nostro futuro da dietro le palpebre, quando lei si piazzò di fronte a me, tendendomi una busta già aperta, bianca, impersonale. Mi sembrava strano che là dentro ci fosse il padre del figlio di Ally.
Non stava piangendo, era bloccata, mi guardava, ma senza vedermi in realtà: era da qualche altra parte, era fuori da questo studio, forse anche fuori da questa città. Questo suo isolamento mi spaventò ancora di più, e, tendendo il mio sguardo saldo su di lei, presi tremante la busta.
Nei test di gravidanza si trova la compatibilità in centesimi di ogni singolo campione in relazione al campione di prova originario, o una roba del genere. Con questo piccolo appunto mentale aprii il foglio, prendendo un bel respiro.
I miei occhi lo trovarono da soli, io non feci nulla.
Fu colpa loro, loro riconobbero quel nome, e l’unica cosa che potei fare fu mettermi una mano davanti alla bocca.
Non c’era nulla che potessi fare, oltre che giocare a ping-pong con il foglio e Allison, bloccata nel suo stato catalitico, e riportare la mia attenzione a ciò che avevo appena scoperto.
La memoria mi portò ai tempi del Liceo, durante l’ora di Spagnolo, e a volte anche Biologia...
Sebbene anche Isaac facesse parte di quella fetta di passato, scoprii qualcos’altro: qualcosa di più importante.
 
Isaac Lahey : 27 %  di compatibilità
Scott McCall : 89 % di compatibilità
 
Il foglio scivolò per terra, e rimase lì, inerme, indisturbato, aveva già fatto il suo lavoro, ora poteva stare tranquillo …
Ma noi?

 
 
 
 







 

Stiles

 
 

Non chiedevo mica tanto.
Un lavoro, uno che mi permettesse di stare dietro ai conti della casa, che mi facesse riabituare a Beacon Hills, per poi cercare di far fruttare la mia laurea in Architettura.
Insomma, non chiedevo molto: una paga decente e la possibilità di stare con le persone, di imparare cose diverse da quelle che si trovano sui libri, e di stare con i miei amici, non in un campo d’addestramento livello Marines.
Mi ero dovuto ricredere: questo locale mi stava mettendo alla prova, e stava temprando i miei nervi, non andandoci piano: da due giorni non vedevo il mio letto, né la mia fidanzata, tutto per colpa Sua.
Mi morsi la lingua per l’ennesima volta, nel tentativo di non imprecare quando sentii la voce di Scott dalla cucina, come un fulmine a ciel sereno. L’ennesimo, cioè.
“ Tavolo 3! Un’insalata senza salsa e una piadina!”
Accelerai il passo, sollecitato dal tono scocciato del mio capo, e anche cuoco, e anche barman.
Anche nella mia scarsa esperienza c’era una cosa che avevo imparato: i primi due giorni della settimana, nell’ora di pranzo, il locale si riempiva più di una spiaggia a Ferragosto. E il fatto che ci fossero le vacanze natalizie alle porte incrementava solo questo scomodo fattore.
C’eravamo solo noi due, io e Scott, contro la clientela pretenziosa del primo pomeriggio, in genere. Con il tempo ci eravamo abituati, ma più il Natale si avvicinava più le speranze di tornare a casa la sera si affievolivano, e non ce l’avremmo davvero mai fatta senza Liam, un caro amico del mio capo, che ogni tanto veniva ad aiutarci.
Il ‘Dark Side Of The Moon’ non era un pub rinomato, nonostante si trovasse nella Road 13, la strada che divideva in due la città, nella quale la competizione  tra i vari locali era spietata.
Pur non essendo famoso, però, si difendeva bene, anche se nuovo, per la buona musica e l’efficienza che si era conquistato sin dall’inaugurazione, nonostante ci fossimo noi tre a prenderci cura di lui.
Gettai uno sguardo verso la porta quando sentii il campanello che reclamava attenzione, e quasi mi misi a saltellare, rischiando di spaventare i clienti.
“ Liam! Oddio, grazie! “
“ Ehi! Facessi quest’effetto anche alle ragazze!”  sorrise, e si guardò intorno: era impossibile non vedere tutta la clientela che ci teneva qui, a pregare in un genocidio di massa, ma nel frattempo ci rendeva fieri di noi stessi “ Se mi aveste chiamato prima vi sarei stato più d’aiuto”
“ Non pensarci, tu sei qui ora! Non sai quanto mi eccita vederti” chiusi gli occhi, sorridendo nel modo che Lydia aveva battezzato come “estremamente stupido e inquietante”.
“ Hmm … Okay” indietreggiò, spalancando gli occhi, e piegando la testa da un lato, poi scoppiò a ridere, e io lo seguii a ruota. Era impossibile rimanere seri, tra di noi: finivamo sempre per impazzire e fare battute idiote, o strane espressione, che rendevano il lavoro più sopportabile.
Gli tirai il grembiule, ancora ridacchiando.
“ Al lavoro, su su su! Basta scherzi, Liam “ lo sgridai con il sopracciglio alzato.
“ Ricorda che sono la tua salvezza, la Vostra!” urlò a Scott, che sentitosi chiamare in causa si affacciò, facendo un casino con pentole e piatti.
“ Benvenuto all’inferno, amico”
“ Non potevo lasciarvi tutto il divertimento”
“ Certo, certo, ma ora al lavoro, non vi pago per fare battute e non fare un cazzo!”
“ Ehi, McCall, modera i toni, ci sono dei minori qui” lo rimproverai, indicando Liam.
“ Come hai detto?” chiese lui, allacciandosi il grembiule.
“ Niente tesoro, oggi Stiles non vuole essere pagato”
“ Che permalosi! Nemmeno un po’ di sano divertimento” commentai, prendendo il libretto delle ordinazioni.
” Te lo do io il sano divertimento!” mi urlò Scott, e io sorrisi, per quanto fosse regolarmente l’anima della festa, anche lui si scaricava ogni tanto, era umano.
Ma forse anche per questo era il mio miglior amico: Scott era vero, era una persona come me, con le sue debolezze, e i suoi dubbi, e per quanto fosse sempre rischioso mostrare se stessi, lui lo aveva fatto sin dal primo incontro. Lui non era stato solamente un amico, un fratello, Scott mi aveva insegnato qualcosa ogni volta; Scott era come il mio guru, la guida che a volte anche stando zitta ti sapeva guidare nella giusta direzione.
 
 




 
 
“ Non credi sia il caso di staccare? Un po’… non dico di andarcene, giusto per riprendere fiato”
“ Stiles, sei un lavativo. Mi chiedo perché ti ho assunto!” sbuffò Scott, passandosi il dorso della mano sulla fronte per asciugare il sudore, io guardai il display del cellulare: due notifiche e un messaggio. Lo aprii, facendo uno sbadiglio; era di Malia,
“Ehi, cameriere! Senti, nemmeno stasera riesco a venire al locale, devo fare più straordinari possibili, se voglio passare il Natale con te, solo per te … Mi farò perdonare, te lo giuro, nel frattempo sappi che ti penso sempre, e che ti amo …
Ti amo ti amo ti amo, tanto tanto …”
Arricciai il naso: mi mancava davvero la mia ragazza, mi mancava il calore della sua presenza, la sua risata leggera ma piena allo stesso tempo, quella colorazione di caramello che variava con la luce che erano i suoi occhi. Mi mancavano anche le sue battute, il suo non capire i miei scherzi idioti, poi i suoi baci, i suoi Ti amo, che dimostrava sempre …
Sorrisi, pensando a Lei, e non vidi il borsone che mi arrivò in testa, non feci in tempo a schivarlo.
“ Ma che-?”
“Questo è perché non rispondi mai, brutto asino!”
“ E mi devi tirare il borsone pieno di roba tua sudata della palestra per farti ascoltare?”
“ Mi pare logico!” esclamò, scuotendo la testa, come se fosse davvero troppo ovvio, pure per me. Mi tolsi dalla testa i calzini che erano scappati dall’interno della borsa, cercando con tutte le forze di non pensare al loro odore, per non vomitare il pranzo che avevo appena avuto la grazia di consumare, con i miei colleghi, sul piano in cucina, tra spezie e altri profumi familiari.
“ Che vuoi?” e una smorfia avendo scoperto il colore di quei calzini mi attraversò l’intero organismo.
“ Non usare quel tono con me, caro mio” per tutta risposta gli tirai il suo borsone addosso, ma lui lo schivò, guardammo come tutte le cose che conteneva si sparsero per terra. Per fortuna Liam se n’era già andato: sarebbe morto, alla quella vista. Quel pavimento lo aveva appena lavato e lucidato lui, con attenzione ammirevole, per essere solo un diciassettenne, che veniva pagato alla fame, e per il talento che aveva, in tutto ciò che faceva.
Liam voleva diventare medico, e lo sarebbe diventato, mi ci giocavo la mano; un ottimo medico, anzi. Ma nel frattempo che finiva il Liceo cercava di guadagnarsi i soldi necessari per puntare in alto, a buone università, a uscire da questa cittadina, bella ma maledetta allo stesso tempo.
“ Volevo chiederti dove avevi intenzione di passare le vacanze, genio”
“ Se continui con questo atteggiamento, di certo non con te! La verità? Non ne ho idea” ammisi, sedendomi sul piano in metallo appena lucidato dal sottoscritto.
“ Cioè? Non dovevi fare quella cosa con Malia?”
“ Era il programma, ma il lavoro, la famiglia … Non so nemmeno se lo passeremo insieme, questo Natale”
Prima, quando eravamo a New York, le vacanze natalizie non erano mai state un problema: passavamo uno o due giorni dai suoi, per poi dedicarci a noi stessi, in tutti i modi possibili … Rimpiangevo quei tempi.
“ Comunque sappi che da noi sei sempre il benvenuto. Quest’anno mia madre ha invitato anche tuo padre …”
“ Davvero?”
“ Sì, amico. E’ già il secondo anno. Non se la passa bene, sai? Sei già stato da lui?”
“ Non, non ancora, non so perché posticipo così tanto, ma sento che non è ancora il momento”
“ Perché?”
“ Perché andare lì sarebbe disseppellire vecchie storie, vecchi demoni che vorrei rimanessero dove sono ancora per un po’ ” spiegai, mordendomi un labbro.
Adoravo mio padre, era sempre, sempre stato il mio faro, ma le delusioni che ci avevano allontanato in questi anni erano dietro l’angolo, pronte a sorprendermi.
“ Ho capito, e ti dico solo questo: qualsiasi cosa sia successa, qualunque sia stato il problema, lui ti ha già perdonato; e gli manchi, ha bisogno di te, quindi ora è il tuo turno” mi mise una mano sulla spalla, e ci guardammo negli occhi.
Scott parlava da persona saggia, da persona con un’esperienza alle spalle, perché anche lui si era allontanato dal proprio padre, anche se per molto più tempo, e in circostanze completamente differenti, quindi lui mi capiva sul serio. Ero io quello che non si capiva, che non sapeva più come affrontare la situazione che chiamavo ‘vita propria’, che continuava a incasinarsi, mischiando idoli con vita reale, e delusioni con fumo, e bugie.
Il casino c’era, nella vita di tutti, ero io quello che lo affrontava in modo diverso, forse non lo vedevo così nitidamente, invece gli altri ci riuscivano.
Sì, perché quando sei piccolo le cose le vedi con la punta arrotondata, non ti fanno male sul serio, le impari guardandole da lontano, con il giubbotto di salvataggio addosso, poi cresci, e ti becchi tutte le schegge, così tante che toglierle è impossibile, puoi solo aspettare che la pelle si rimargini con esse, le inglobi dentro di te, te le porti appresso, te le porti dentro.

E non puoi pesarle, non puoi cercarne magari una più grande delle altre a cui dare la colpa; tutte sono parte di te, alla fine.
 
 

 
 







 

Lydia

 
 

Sedute sulla nostra panchina del parco, eravamo silenziose. Io persa nei miei ricordi, lei nei suoi …
Scott McCall.
Chi era Scott McCall? Adesso, notizia della ultim‘ora, sapevo che oltre un nome familiare, molto familiare, era anche il padre del figlio di Ally. Lydia Martin non dimentica nulla, e nessuno, nemmeno i nomi più insignificanti.
Non che McCall lo fosse, o almeno, lo era stato, prima che entrasse nella squadra di football, diventando il famoso quarterback, che aveva portato vittorie prodigiose alla scuola.
Ma Scott McCall non era stato solo il bravo giocatore, no.
Era stato soprattutto quello con la media appena inferiore alla mia in Spagnolo, cosa che me lo aveva fatto quasi odiare; e mio compagno di laboratorio durante l’ora di Biologia l’ultimo anno. Io conoscevo già Scott, lo conoscevo davvero, ero anche stata a casa sua qualche volta, solo non come sconosciuto che aveva messo incinta la mia migliore amica!
Scossi la testa: era impossibile.
Non stava succedendo sul serio, era uno strano sogno, che stava durando un po’ troppo per i miei gusti. Mi diedi un pizzicotto, chiudendo gli occhi: tutto sarebbe tornato alla normalità.
Ti prego ti prego ti prego ti prego …
Riaprii prima un occhio, poi l’altro. Si vedevano le anatre, che nuotavano calme e tranquille, ignare del casino che ci stava colpendo direttamente. Il parco era vero, io e Allison eravamo due persone reali, quindi giunsi alla conclusione che quella era vita Reale, che non si poteva scappare. Ero bloccata, lo eravamo entrambe.
Allison aveva cominciato a piangere, silenziosamente, senza dire né chiedere nulla, e io lasciata fare, perché nemmeno io mi sentivo nella posizione di portare conforto …
“ Lyd, devi andare a lavoro?”
“ Posso non andarci, tranquilla. Mr. Hale non si offenderà se non vede la mia brutta faccia alla riunione. Tu sei più importante” la rassicurai, girandomi a guardarla: si stringeva alla giacca color carta da zucchero che le aveva regalato la madre, una splendida giacca, che le stava così bene, gliel’avevo sempre invidiata; sembrava così fragile.
“ Devo parlare con lui …” la sua voce era poco più di un sussurro, ma era sicura di ciò che diceva.
“ Adesso?” chiesi, scioccata.
“ E quando, se no?”
“ Non credi sia un po’ avventato andare lì e … Che gli diresti, scusa? ‘Scusa, sono la futura madre di tuo figlio, sì quella ubriaca, di un po’ di settimane fa, congratulazioni sei Padre!’ ”
Lei arricciò il naso, e io mi morsi la lingua, non volevo essere così diretta: non era la cosa migliore da fare in questo momento, con lei in questo stato, ma allo stesso tempo dovevo farla reagire, almeno un pochettino.
“ Deve saperlo, non posso nasconderglielo. Mio figlio non crescerà senza un padre, te lo posso assicurare”
“ So quanto è brutto crescere senza un genitore, ma non puoi aspettarti che lui sarà pronto a fare il padre così, con un colpo di bacchetta. Per questo ti dico, aspetta almeno di averlo digerito tu …”
“ Digerito?! Sono incinta! Ho ventidue anni e sono incinta! Non sono mai stata in pace con il mio corpo, e da qua a qualche mese sarò un continente, e il padre del bambino non può rimanere un nome dentro una busta, non farò questo a mio figlio!” scoppiò Allison, spalancando gli occhi, e facendomi notare la vena sulla fronte che usciva a salutare ogni volta che si discuteva di qualcosa che le importava sul serio.
Arretrai di qualche centimetro sulla panchina di pietra fredda, impaurita dalla sua ira, forse più che giustificata, e rimasi a guardarla mentre prendeva grossi respiri, cercando di calmarsi … la cosa positiva era che le lacrime si erano fermate, per ora.
“ Scusa se sono esplosa, ora sono più calma: devi capire che il mio è un dovere, informarlo di essere padre, fargli sapere di essere parte di una nuova vita, glielo devo.” Sembrava calma, ma ci andai cauta comunque: mi stava cominciando a spaventare, con quell’occhiata da pazza psicopatica … Colpa degli ormoni, così speravo.
“ Hai pienamente ragione, Ally; condivido sul serio ciò che dici, ma il mio consiglio è questo: conosci prima Scott, cosa sai di lui? E aspettare, almeno un giorno, non sarebbe sbagliato. Prenderti un poco di tempo per te, per ragionare a mente lucida, per non fare tutto di fretta. Ma il mio è un consiglio, decidi tu per te”
“ Voglio andare, almeno a vederlo, hai ragione, tutto ciò che conosco di lui è qui” si toccò la pancia, e io capii: la sua mente ubriaca aveva cancellato tutto ciò che era avvenuto quella sera, l’unica vera prova era la vita che piano piano stava prendendo forma, forse per sbaglio, forse per caso, ma Ally aveva deciso di non cancellarla, di dargli una possibilità
 Allison era forte, molto più di quanto mostrasse, aveva la capacità di rimanere con i piedi per terra, di fare la cosa giusta. Mi fidavo molto più del suo senso di giustizia che del mio, sempre.
 “ Andiamo allora” mi alzai, sistemandomi la gonna, e sentendo arrivare il formicolio del sangue che defluiva, colpa dell’essere stata seduta troppo tempo nella stessa posizione. Ma quando avevi bisogno di pensare, o eri in movimento continuo o eri immobile; mi sarei fumata una sigaretta, ma sapevo che Allison non l’avrebbe accettato: dopo aver perso sua madre per colpa di un cancro ai polmoni per il troppo fumo, non sopportava neanche l’idea di una sigaretta.
“ Sicura? Non devi lavorare?” chiese, alzandosi pure lei e ravvivandosi i boccoli castano scuro.
“ Certo! Io odio quello studio, mi fai solo un favore … E poi è tanto che non vedo Scott, voglio proprio valutare questo ragazzo che ti fa buttare all’aria anni di fedina penale più pulita di quella di un santo” le sorrisi, prendendola un po’ in giro: era lei quella pulita tra le due, e ne era sempre andata fiera.
“ A volte le cose cambiano nel giro di pochi minuti … Succede sempre così no? I cambiamenti succedono, non puoi voltargli le spalle”
“ E’ vero, Ally, è proprio vero” concordai, guardandola dritta negli occhi. Quanto tristezza, quanto dolore dentro quel mare nero, quanta voglia di scappare … Ma insieme forza di continuare a camminare, la ammiravo, ammiravo il suo essere fragile e forte insieme, il suo essere migliore. Per questo l’avrei sempre difesa, ci sarei stata sempre per lei.
Mi prese la mano, e io la strinsi: era fredda e piccola, come quella di un bambino, avevo paura di farle del male, ma anche io avevo bisogno di un appiglio.
Strano che fosse proprio lei il mio ora: la ragazzina che interpretava il ruolo di madre, che faceva la forte in ogni situazione, che tirava fuori gli artigli anche in un mondo fatto di armi...
Ma ci scommettevo; mi ci giocavo la mano: sarebbe stata bravissima.  La migliore.
Perché credevo in lei, con tutta me stessa.
 
 
 
 


Il locale era chiassoso e pieno di persone, come mi ero aspettata. Dalla spiegazione della mia migliore amica era già preparata a trovarci cose come la parete fatta di confezioni di vinili con le band che avevano fatto la storia del rock: partendo dai The Beatles, arrivando ai Pink Floyd, arrivando ai Led Zeppelin, i Queen, Elvis …
Quello era il mio piccolo paradiso, così me lo immaginavo; a bocca aperta riconobbi la canzone che c’era alla radio, dall’altoparlante per i tavolini che c’erano all’esterno: Hotel California, degli Eagles.
“ Questa canzone è vecchissima!” protestò Allison, ma si affrettò ad aggiungere, guardando la mia faccia “ ma non è per questo è brutta”
“ Bene, meno male che ti sei corretta”commentai: la musica era sacra, per me. Non potevi permetterti di disonorarla in nessun modo, non con me intorno.
“ Quindi è questo il posto?”
“ Sì, ‘Dark Side Of The Moon’. Questo me lo ricordo. Vieni, l’entrata è qui, a destra” mi indicò la porta con il logo caratteristico dei Pink Floyd.
“ Bel posto, comunque” commentai, intendendolo sul serio: era un paradiso del rock, in questa città che stava sempre più cedendo alla musica commerciale, come il resto della popolazione cibernetica.
“ Dentro lo è anche di più”
Allison aprì la porta con un colpo secco, e io riconobbi olezzi di umanità e spezie, ma allo stesso tempo odore di divertimento …
Divertimento, sì: tipo un mix di adrenalina, buona musica e persone che stavano insieme.
Le pareti erano nere, con quadri e foto delle band emergenti quasi cinquanta anni fa, tipo i Rolling Stones; i tavoli erano contro il muro, lasciando un corridoio centrale che portava ad una scalinata, e al bancone bar. I tavoli erano bianchi con le tovagliette rosse, e mettevano allegria, per quanto fossero praticamente monocromatici, e i clienti erano felici, tutte le persone sembravano un po’ più contente, lì. Quel posto mi piaceva sul serio, sembrava davvero pieno di divertimento .
Quando vidi Allison che indietreggiava seguii il suo sguardo, per trovare, al posto di barman, il fortunato neo padre: stava parlando con una bionda, mentre le versava da bere, e sembravano amici, dalle occhiate che si lanciavano.
“ Non so se ce la faccio …”
“ Ma come Ally! Siamo qui, possiamo farcela. Dobbiamo solo ordinare da bere”
“ E’ questo il problema .. Come sto?”
“ Perfetta, come al solito” la buttai così, tenendo lo sguardo fiso su Scott e la bionda amichevole.
“ Sul serio, Lydia: sono così un disastro?”
 Ora la guardai, impaurita dal suo tono, era molto stanco, troppo per la solita Allison, sempre energica e pronta a bere. Le sistemai i ciuffi che erano fuori posto, ma lei stava bene sempre, lo avevo capito, non aveva problemi di questo genere: Ally era bella dentro, non le serviva un makeup particolarmente accattivante o un atteggiamento da ragazza facile, lei spalancava quegli occhioni, e il gioco era fatto.
“ Sei perfetta, sul serio. Altro che bionda, tu quella la batti cento a zero! ” le sorrisi, facendole capire che ero sincera.
“ Andiamo, allora” prese un respiro, poi fece il primo passo con il suo tacco dieci, e io la seguii subito, guardandomi ancora un po’ intorno, sinceramente invidiosa della felicità degli altri clienti …
Mi sarebbe piaciuto stare lì e basta, ascoltando la musica e bevendo qualcosa, godendo della atmosfera calda che si respirava nel locale, ma c’era una cosa più importante da fare: aiutare Ally, e l’avrei fatto, ancora.
Sempre.

 
 
 








 

Stiles

 
 


“ Ok, sono le otto e un quarto, boss, io direi che il mio turno è finito!” gli urlai, non vedendo come fosse impegnato con la cliente.
“ Hai ancora un quarto d’ora, lavativo” rispose lui, ammiccando alla bionda che aveva davanti, che beveva il suo tequila a sorsetti, radiografandolo con i suoi occhioni verdi.
Non erano di un bel verde, però, non erano come quelli della mia vicina: questi erano spenti, senza sfumature profonde dentro, erano statici. Nemmeno lei mi piaceva, sembrava una barbie: corpo troppo perfetto, capelli troppo perfetti … Sembrava finta.
“ Credevo che avessero abolito la schiavitù in America” mi lamentai, sedendomi accanto a lui, prendendo una bottiglia di vodka liscia.
“ Non nel mio locale: posto mio, regole mie … E lascia la vodka.”
Sbuffai, alzando lo sguardo, puntandolo verso il locale: per fortuna la mole di gente era diminuita, voleva dire che potevo sul serio tornare a casa, dal mio fedele letto, dalla mia TV, dal mio frigorifero pieno di birra fredda; non sembrava vero.
Sorrisi, stranamente felice.
“ Sera!” sentii il mio capo che aveva cambiato tono, non era il tono da spaccone che usava con le altre clienti, ora sembrava sorpreso, forse anche disorientato.
“ Ciao. Due tequila, per piacere” questa voce era familiare, portai lo sguardo in quella direzione, non credendo alle mie orecchie.
“ Tu!” esclamai, allibito. Lydia sorrise impercettibilmente, slacciandosi i bottoni del giaccone.
“ Io. Ciao Stiles”
“ Non mi aspettavo venissi mai nel mio locale” spiegai, cercando di non fermarmi troppo sulla sua scollatura, che non disdegnavo mai, oggi Lydia portava una maglietta in pizzo bianco, scollata, e una gonna bordeaux, senza calze. Era bellissima, come sempre, e proprio come sempre me ne accorge incantandomi guardandola: Lydia era uno spettacolo, uno spettacolo sensuale e puro, una maledizione per gli occhi.
“ Eccomi qui, bel posto comunque, non pensavo esistessero ancora persone con un minimo di senso musicale a Beacon Hills”
“ Tutto merito del sottoscritto” intervenne Scott, porgendo la mano alla mia vicina “ Scott McCall, il proprietario di questo fantastico e stupendo locale”
“ Lydia Martin”
“ Come?! A me ci vogliono tre giorni e due incidenti per sapere il tuo cognome e a lui lo dici così, senza problemi?” sbraitai, senza riuscire a contenermi, vidi che l’amica di Lydia annuì con rassegnazione, mentre la rossa incrociò le braccia, e si morse un labbro; una sua posa tipica.
“ Noi ci conosciamo già, Stiles” disse il mio miglior amico, prendendo i bicchieri di vetro da sotto il bancone.
“ Esatto, ora di Spagnolo e-“ iniziò Lydia, sedendosi felice.
“ Biologia” concluse lui, porgendole il suo bicchiere pieno.
“ Questo lo sapevo, ma non mi aspettavo tradissi la nostra fiducia così …”
“ Stai vaneggiando Stile, troppo lavoro?” mi provocò la mia vicina, prendendo un sorso dal suo bicchiere.
“ In effetti sì, ma il mio turno è quasi finito, posso uscire finalmente da questo manicomio … Chi è la tua amica?” mi rivolse alla bella ragazza che era rimasta in silenzio fino a questo momento, bevendo tranquilla, ascoltando il nostro battibecco come se fosse la cosa più normale e ovvia. Aveva i boccoli color mogano, e due occhi profondi e scuri, come quelli di un cerbiatto. Era bella, come la sua amica, ma in modo completamente diverso. Se Lydia era una tempesta di fuoco e neve, che spazzava via tutto, lei era la calma del mare la sera, una bellezza notturna e pallida come la luna.
“ Io sono-“
“ Allison. Mi ricordo di te …” la interruppe Scott, guardandola fissa negli occhi. Vidi Lydia che raddrizzava la schiena, e prendeva un grosso respiro.
“ Anche io mi ricordo di te”
“ Eri qui il giorno dell’inaugurazione, vero?”
“ Sì, con alcune colleghe …” non continuò, non ce n’era bisogno.
C’era una sensazione strana nell’aria, galleggiava tra di noi, mettendo una specie di muro tra me e Lydia, e Scott e Allison. Forse il loro legame tra iridi, forse il modo in cui uno era proteso verso l’altro, forse per il fatto che Scott non aveva prestata più attenzione alla barbie bionda che ci fissava dal suo posto, indispettita; mi sentivo in più, dentro una zona non mia, né di Lydia. Era di Scott e Allison …
Il suo nome non mi era nuovo, ora che potevo vederlo con i miei occhi, non mi era difficile rimettere a posto i pezzi: era lei la sconosciuta che lo aveva stregato sin dal primo sguardo, quella con cui aveva passato tutta la sera, e poi la notte. Quella che lui non aveva trovato la mattina dopo.
“ Sono venuta perché volevo parlarti, ma se non è un buon momento …”
“ Nessun problema, sul serio, sono qui per ascoltarti” Scott sorrise, la bruna sorrise di rimando, arrossendo e abbassando lo sguardo.
Ero intenerito da quella scena, mi risvegliai solo grazie a Lydia che, portate le labbra colorate di rosso, scuro come la gonna, al mio orecchio mi chiese :” Che ne dici di lasciarli da soli? ”
Il suo respiro caldo mi portò a ricordare per un attimo quel sogno a luci rosse che ci vedeva protagonisti, lo scacciai con forza dalla mia testa, sudando freddo, per la forza di quel semplice ricordo.
Annuii, non sicuro di poter contare sulla mia voce, e mi alzai, indossando il giubbotto.
“ Io torno a casa, Ally, chiamami poi” le scoccò un bacio sulle guance, lasciando una traccia rossa, come lei: rossa, di tutte le sfumature.
Lydia lasciò dieci dollari vicino al bicchiere vuoto, e io li afferrai prima che Scott se ne accorgesse.
“ Questo mettilo sul mio conto”
“ No! Non ci pensare, pago io” protestò lei, alzandosi, facendo un casino con i tacchi vertiginosi che indossava contro il parquet, naturalmente tacchi rossi.
“ Non ti permetto di comandarmi” le infilai il giaccone nero con i bottoni dorati, quello che per prenderla in giro lo rassomigliavo allo stesso di Mary Poppins.
“ E tu puoi? Imponendomi di non pagare?” non demordeva, non era abituata a farla, quella vicina che mi ritrovavo.
“ Io sono un uomo, è diverso”
Le tappai una bocca con la mano prima di che potesse replicare, e salutai Allison e Scott con un cenno, poi la spinsi verso la porta.
“ So camminare, grazie” si dimenò dalla mia presa, facendo valere la sua posizione di prima donna anche questa volta, io sorrisi, beffardo.
“ Ma che brava”
“ Quanto sei stronzo?”  e scappò ridacchiando via prima che io capissi.
Alzai gli occhi il cielo: e poi ero io quello infantile?
 
 







 
La neve.
La neve ricopriva la via come una coperta bianca, la prima dell’anno.
Io e la mia vicina camminavamo fianco a fianco, con il suo giaccone che si scontrava con il mio giubbotto come unico punto di contatto. Ora eravamo silenziosi, ascoltavamo i rumori della città intorno a noi: le coppiette che ancora giravano ridendo, le macchine che sfrecciavano per le strade fredde, le televisioni dalle case …
Ma il manto bianco rendeva tutto più lontano e futile: tutto era di vana importanza, vuoto, in confronto alla neve. Io guardavo lei e Lydia, che danzava tra i mucchi di neve, girando in tondo a occhi chiusi.
“ Da piccola andavo sempre a pattinare d’inverno, con tutti e due i miei genitori. Era sempre uno dei regali più belli”
“ Io non ho mai imparato. A Natale noi facevamo sempre qualche viaggio per il mondo, oppure passavo le intere vacanze a casa di Scott, programmando scherzi o giocando ai videogiochi”
“ Ti porterò a pattinare, non puoi non averlo mai fatto” il suo tono era così mortificato, che quasi mi dispiaceva solo per come lei si poneva.
“ E tu sei mai stata a Parigi con la neve? E le luci natalizie sparse per la città?” le chiesi, non volendo competere, forse semplicemente per indagare.
“ Non sono mai stata a Parigi” rispose lei, prendendo un fazzoletto di carta dalla tasca.
“ Ti porterò a Parigi, allora. Questo è più grave, lo sai, vero?”
“ Stavamo per partire a Parigi, con la scuola, quando poi scoprii che i miei si erano divorziati, e non pensai più a quel viaggio” spiegò a voce bassa, io rimasi zitto, scosso. Ma al tempo stesso ero stupito: Lydia che mi diceva questo, in questo modo …
“ Grazie per aver pagato, è stato un bel gesto”
“ Non mi sembrava l’avessi apprezzato così tanto, prima”
“ Infatti non l’ho apprezzato, non lo faccio nemmeno adesso. Ho solo detto che è stato un bel gesto, da persona gentile.”
“ Io sono sempre gentile”
“ E’vero” finii lei, riprendendo a camminare.
Io rimasi confuso da quella frase ancora per un attimo, poi la seguii, guardando come i suoi capelli biondo-fragola risaltassero nel bianco della città.
Era come seguire una torcia, flebile, certo, con le sue numerose cadute, con le sue frasi strane e complesse, ma era una scia ben visibile, io la seguivo e basta.
La raggiunsi e rimanemmo a guardarci negli occhi, marrone nel verde, guardando anche le nostre anime.
“ Non c’è di che”
Lydia non rispose, mi concesse un sorriso, uno piccolo, uno vero, che nasceva dal cuore, che era la speranza di un rosso sempre più vivo.
Mi stavo affezionando sempre più alla mia vicina, e se dovevo sopportare ritmi estenuanti solo per vedere il suo sorriso, finché fosse stato vero, lo avrei fatto con piacere. Perché lei era un mondo da scoprire, era un posto familiare in cui cadere, era la mano che dopo la caduta dal filo ti aiutava a rialzarti …
Camminare in questa notte di neve bianca e pura con lei sembrava essere la cosa giusta al momento giusto, e quindi sorrisi: era una bella sensazione, non volevo che finisse
.

 











 
A/N: Allura, premetto chiedendo scusa: no, non ero morta, mi dispiace, ero solo su un altro pianeta, chiamato ‘pseudo-vacanza-estiva’, e sono tornata! Ma non per molto, tranquilli, il 24 parto di nuovo, e spero di finire l’ottavo capitolo prima di questa importante data …
bene bene! Come vanno le vacanze estive? Qui c’è caldo, molto caldo, per questo scrivo del freddo del Natale, e della neve( ^-^= what a wonderful thing), e della scoperta che ha scioccato anche me, perché non ero sicura che fosse lui il padre!
Ero tipo indecisa, ma vediamo cosa succederà, prima di giudicare!
Che dire di questo capitolo? Che forse è un po’ lungo, e mi perdonino i non amanti del rock, ma mi sono sempre immaginata una Lydia o Folk-grunge o molto rockettara, quindi dovevo esaltarla in qualche modo!
Qui si scoprono un po’ i scheletri negli armadi dei protagonisti: la relazione con i rispettivi genitori, e la difficoltà ad affrontare ogni genere di problema riguardante questa parte di vita, da una parte Stiles che non parla con il padre, da una parte Lydia che con tutti i casini che si ritrova deve riuscire a sostenere una miglior amica incinta e la sorellastra …
Lo so, sembra un casino, ma vi prometto che mi impegnerò con tutta me stessa, davvero, per rendervi partecipi e esaudire le vostre richieste, anche per smetterla di fare errori grammaticali (orrori, cioè), quello soprattutto!
Un bacione, perché vi voglio tanto bene, e un augurio di buone vacanze a tutti!!
Ciaoooooo ;)

Ps: recensioni e opinioni, sappiate che son sempre( insomma, sempre, diciamo che mi piace sostenerlo, poi da dimostrare è un’altra cosa, A VOLTE) qui, per voi, perchè mi farebbe molto piacere, sentire il vostro parere, che sia negativo o positivo o neutrale, tipo la Svizzera, non importa …
vi saluto, ciao ancora, e Stiamo Uniti, come direbbe Gianni!!


-bye Mg :)

 

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Capitolo 9
*** 8. Cime Bianche ***


 







 

"The way to save = Il modo per salvare"
+++







“ Una strada dentro, ce l'hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l'incombenza di questo viaggio nostro, e solo raramente, la complica. Adesso è uno di quei momenti che la complica. Volendo riassumere volendo, è quella la strada, quella dentro, che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c'è più. Succede. Credetemi. E non è una cosa piacevole.

-
Così adesso, volendo riassumere volendo, il problema è questo, che ho tante strade intorno e nessuna dentro. “



 
A. Baricco -
Oceano Mare
 
 

 
 
 






 

Stiles
 



 
6.45… 6.45.
Il rosso di quei numeretti elettronici mi fece male alle retine.
Chiusi gli occhi, con la velocità di un bradipo. Poi li riaprii, perché quel rosso lasciato così al caso mi faceva pensare a una vicina cinica e triste, che probabilmente dormiva ancora, nella sua casa colorata.
I numeri della sveglia lampeggiavano ancora, accanto al mio viso, sul comodino pieno di libri e chiavi, in disordine, come al solito, quando riaprii gli occhi.
Ogni mattino riesci a pensare a più cose contemporaneamente, perché hai ancora addosso la modalità riflessione dalla sera prima … O almeno, per me era così in quell’istante.
Puoi pensare al sogno da cui ti sei appena staccato, o cercare di non pensare affatto, fissando qualsiasi cosa che riesca a stuzzicare appieno la tua mente. Il sogno non lo ricordavo, come altre volte era successo. C’era il vuoto in mente, quindi non mi preoccupai, potevo fingere di non avevo dormito, di essere stato tutta la notte a fissare quel numero che mi avvisava che erano le sei e quarantacinque di mattina del diciotto di Dicembre, e non si preoccupava della confusione che avevo in testa in quell’esatto istante.
Ma era una sveglia, non era un suo problema, solo mio; lei doveva solo suonare all’ora che stabilivo io, e aiutarmi a non arrivare tardi a lavoro quando ce la faceva, lei faceva solo il suo dovere. Lei mi riportava semplicemente alla sera prima, fatta di bianco neve e biondo-fragola, come Lydia, che a modo suo dominava la scena della mia vita.
Strano, perché quella sveglia era stata un regalo di Malia, quando aveva capito che le sveglie del cellulare non mi avrebbero mai aiutato nel mondo, sia del lavoro che la Terra, il pianeta in cui arrivare tre ore di ritardo non è concesso.
“ It’s been a hard day’s night and I’ve been working like a dog / It’s been a hard day’s night I should be sleeping like a log…”
La suoneria che aveva scelto il mio miglior amico per se stesso mi scosse dal filo infinito di pensieri in cui mi stavo per impelagare, e mi fece alzare di scatto, per cercare il telefono che squillava, cantando la canzone dei The Beatles.
Con il telefono in mano aspettai un attimo per far sì che stelline e pallini neri smettessero di bloccare la mia vista, poi premetti il testino verde.
“ Ehi” la sua voce assonnata mi fece sorridere.
“ Ehi, che c’è?”
“ Scusa l’ora, ieri ho fatto tardi e-“
“ Tu e Allison?”
“ Hmm … Diciamo di sì, però non è come pensi!”
“ Io no penso nulla”
“ Ti conosco, Stiles, meglio di quanto tu creda … Siamo rimasti tutta la notte a parlare, per conoscerci, però abbiamo finito due bottiglie di tequila, quindi ora sono distrutto, e devo ricomprare la tequila” annuii, andando in terrazzo, facendo attenzione a non schiacciare la pianta che mi aveva regalato la nonna di Malia, che avevo strategicamente messo nel balcone.
“ Capisco, è stato bello?”
“ E’ stato … Splendido. Non ho mai conosciuto una come lei, credo che mi piaccia, che mi piaccia sul serio”
“ Bene, ne sono-“ mi bloccai, forse avevo sentito male, oppure no? “Cosa? Non voglio dire nulla ma, la conosci appena, Scott”
“ Lo sapevo. Sapevo l’avresti detto … Ma stavolta è diverso”
“ Diverso come?”
“ Diverso: Io sono diverso, lei è diversa. Non so come, solo fidati di me, Stiles, questa volta andrà bene”
“ Scott, lo sai che mi fido di te, solo che conosco la storia delle tue ragazze precedenti ... Ma ti credo, se questa volta è diverso, allora è diverso” conclusi, guardando il balcone di Lydia: la porta finestra,  era aperta, e notai un dettaglio che mai avevo visto: Lydia aveva un cane. Un cane che continuava a correre dentro e fuori della porta trascinando la sua coperta. Sorrisi.
“ Infatti stasera ho deciso: vado a casa sua e la porto fuori, a cena”
“ Scotto McCall all’attacco” commentai, immaginando il mio miglior amico vestito da Superman, con il pugno alzato, che volava nel cielo di Beacon Hills, soccorrendo i deboli e gli afflitti.
“ Sono nervoso, però …”
“ Come mai? Proprio tu, che non hai paura di nulla?!”
“ Lei è così perfetta … dovevi vedermi, ieri, mi sentivo un sedicenne alle prime armi, sempre balbettando, no riuscivo a guardarla negli occhi, ma lei continuava a sorridere in quel modo, quello che ti farebbe fare tutto … E’ una trappola, Stiles, davvero: è una di quelle donne per cui ci perdi la testa, stanne certo” era sicuro, il suo tono era a metà tra la rassegnazione e il divertimento.
Invidiai Scott in quel momento, la sua sicurezza.
Sembrava avesse trovato un punto fermo, ne era così convinto, e mi fece riflettere …
Io e Malia avevamo avuto la forza di andare avanti, nonostante la morte di suo padre, e la morte di mia madre, eravamo due universi rotti che si erano ritrovati;ma la nostra relazione, per quanto ora andasse a gonfie vele, era ancora piena di fraintendimenti, di insicurezza. Non che io avessi dubbi sul fatto di amarla, si intende ma indossavo l’insicurezza e la paura di sbagliare da quel giorno in ospedale, in cui avevo voltato le spalle alla durezza delle sue parole, affilate come coltelli, che mi avevano fatto male. E poi questo diverso, non c’era stato, con Malia: non c’era stata la sensazione che sarebbe andato tutto bene; solo la paura di lasciarsi, di rimanere soli di nuovo, di stare senza di lei, senza il vuoto che lei riempiva.
“… Quindi dimmi in bocca al lupo, amico mio!”
“ Certo! In bocca al lupo, andrà bene”
“ Crepi! Lo spero; ciao, Stiles”
“ Ciao Scott”
Chiuse la chiamata, e io riportai lo sguardo al balcone della mia vicina, il cane era rientrato dentro già da un po’, era solo un balcone vuoto, ora, lo si capiva. Ma ero io che non capivo la sensazione di disagio che portavo addosso, la sentivo sulle spalle, come una coperta, in quella mattina di Dicembre, riscaldava, ma aveva uno strano retrogusto, di incompiuto e infelice.
Decisi in quel momento, con la pianta grassa che mi aspettava, per tornare alla sua solitudine, sotto lo strato di neve che ebbi la cura di togliere, proteggendomi dalle spine con la manica della maglietta.
Mi cambiai in fretta, con indumenti semplici: oggi era il mio giorno libero, potevo non girare in ghingheri, un paio di jeans, una maglietta blu e una camicia a quadri verde e grigia addosso, mi lavai la faccia, guardando allo specchio il solito ammasso di capelli spettinati, me ne fregai, come sempre e corsi fuori dalla porta.
Il 3B mi aspettava, era da tanto che non mi vedeva davvero, gli sorrisi, forse un po’ più felice di prima. Bussai, e attesi, guardando quel numero e quella lettera, che mi erano così familiari, eravamo quasi amici, nonostante le nostre divergenze; eravamo lì per la stessa ragione, ragione che aveva i capelli rossi e probabilmente avevo appena svegliato, e che avevo riaccompagnato ieri fino a quella stessa porta, come fanno i veri signori, come mia madre mi aveva sempre insegnato.
Aspettai, Lydia sarebbe arrivata tra breve.

 
 
 
 






 

Lydia
 

 
 
Sapeva di estraneo, lo percepii con il naso.
Oggi sapeva di diverso.
Forse perché la neve copriva ogni cosa con dolcezza pura e candida, magari anche il tempo, i giorni, gli attimi, i nasi delle persone che mangiavano i sogni e non riuscivano a smettere di pensare …
Perché era così, in un certo senso: il mio cervello non si era fermato un secondo, mi aveva tenuta sveglia praticamente tutta la notte, aspettando ansiosamente una chiamata dalla mia migliore amica, ripetendo le sequenze di immagini, suoni, dolori più o meno Neri …
Estraneo, diverso, alieno, perché oggi non era come ieri, e probabilmente non sarebbe stato come domani.
Oggi sapeva di silenzio, e pausa, e di pane appena sfornato, nella panetteria che vedevo dal mio terrazzo, all’angolo della strada. Oggi non sapevo se sarebbe stato migliore o peggiore; oggi, come gli altri giorni, andava passato, vissuto; oggi, come gli altri giorni, nessuno escluso, era una sfida.
Non era stata sempre perfetta nelle sfide: prima del Liceo, dove la mia immagine andava alimentata sempre, continuando a sorridere, e a fare la Principessa del Male, come mi chiamava Ally, per prendermi in giro; prima non era portata per le sfide a lungo termine. Mi accadeva di gettare la spugna, o dimenticare qualche dettaglio, o semplicemente mi stancavo di cercare di dimostrare chissà cosa a me stessa.
Con il tempo diventavo propinqua ad abbondare le armi, e a gettare le armi nelle mani dei nemici, magari implorando pietà. Poi avevo imparato che tutto sta nel fatto di dare l’impressione di credere in se stessi, e nelle proprie capacità.
Perché la verità è che nulla va secondo i piani, e le gratificazioni non cadono mica come la pioggia a Londra: o impari a guardarti la gloria e tiri fuori gli artigli o aggiri il problema, e rinunci, convincendoti che non ti serviva più di tanto, in fondo …
Stai bene anche senza, no?
Sospirai, ricordando come solo il mio nome suscitasse o terrore o profonda ammirazione, o invidia, nelle bocche dei miei coetanei o anche quelli più grandi, ero stato un esempio, un peso, una da evitare come la peste, una da sfigurare con le proprie unghie …
Uno zampettare ritmato, così familiare da partecipare a volte anche ai miei incubi, mi fece subito pensare ad un altro tipo di unghie: quelle, o meglio quelli, parlando di artigli, appartenenti al cane più pestifero e potenzialmente inutile della storia, il mio.
“ Buondì”  dissi a voce alta, aprendogli occhi, e sedendomi sul cuscino a righette.
Berry fece capolino dalla porta, tenendo imprigionato tra i canini il suo giocattolo preferito: un osso celeste di gomma, che se lo schiacciavi al centro fischiava e vibrava.
Durante i suoi tempi d’oro riusciva anche a emettere luce, giallognola, per qualche glorioso secondo, ma dopo numerose battaglie, menomazioni e torture inferte da canini affilati, aveva rinunciato ai segnali luminosi, concedendomi la serenata ad ogni morso. Quel fischietto teneva duro: non avrebbe ceduto così in fretta; forse era proprio questo che lo rendeva il più degno agli occhi del mio cane … o forse il fatto che rimanesse l’unico giocattolo integro e esteriormente illeso.
“  Che c’è, Berry? Non ti piace la mia faccia da morta di sonno?”
Berry per tutta risposta starnutì, facendomi sorridere,
“ Chi tace acconsente, lo sai?” mi strinsi tra le coperte, sbaglio o qui si ghiacciava?
“ Brr … Ma perché fa così freddo?” probabilmente era normale, essendo Dicembre, ma davvero doveva esserci il Polo Nord nel mio appartamento? Tra un po’ si vedevano i pinguini qui in giro.
“ Tu non hai freddo?” mi alitai sulle dita, sentendole intorpidite; il mio cane mi guardò, poi se ne andò verso il corridoio, girandosi qualche volta, facendomi intendere che voleva- doveva- essere seguito dalla sua padrone freddolosa.
Mi alzai e , rinunciando alla ricerca delle pantofole calde e soffici, feci a piedi scalzi il tragitto dalla mia stanza fino alla cucina …
E allora capii.
“ Ma che hai fatto?!” urlai, osservando inibita quello spettacolo di distruzione pura. Berry non rispose, continuò a scodinzolare, guardandomi felice: per lui andava bene, anzi, era fiero della sua opera.
“ Berry! Cosa hai fatto?! Io non-“ stavo per continuare, sull’orlo dell’implosione, quando bussarono alla porta.
Mi allontanai dal cane, che ora azzannava il povero osso blu, che fischiava implorando aiuto, andai alla porta, cercando di non apparire sull’orlo di una crisi isterica.
“ Ciao. Bel pigiama” disse lui, sorridendomi, con tutti e trentadue i denti.
“ Grazie. Che ci fai qui?”
“Sono passato a salutarti, e magari anche a rubarti il caffè, visto che la-“ ma fu interrotto da Berry, che cominciò ad abbagliargli contro, Stiles spalancò gli occhi, intimorito, ma non arretrò.
Non era spaventato da Berry; ne fui felice, adoravo il mio cane, non soffrivo quasi le persone che disprezzavano gli animali a prescindere, e se Stiles fosse stato una di quelle persone …
“ Berry, giù! Basta, lui è un nostro amico! Mi dispiace, Stiles, sai, deve difendere il territorio, è l’unica cosa utile che fa” ammisi, chiudendo la porta e accarezzando Berry, che subito si calmò e cominciò ad annusare Stiles, guardandolo però ancora con diffidenza.
“ Figurati … Non ho mai avuto, mia madre era allergica, quindi scusa se sono un po’ così … E poi sono sorpreso: non pensavo tu avessi un cane, non l’ho mai visto, le due volte che sono stato qui”
 “ Questo perché non c’era: ogni tanto evade, non ho ancora capito come, e scende giù al primo piano, dalla signora Price, almeno le tiene compagnia, però fa impazzire me”
Stiles sorrise, e poggiò la mano sul pelo color caffè del mio cane, tastandone la consistenza, poi cominciò ad accarezzarlo. Berry abbaiò di felicità, e si mise a terra con la grazie di un bue abbattuto, pronto a ricevere coccole.
“ Volevi il caffè?”
“ In realtà sì, e poi volevo parlarti”
Spalancai gli occhi, pensando per un attimo a quella cosa, quella cosa scomoda che mi rendeva complice in un segreto che tra nove mesi non sarebbe stato più un segreto. Ma lo scacciai subito: Allison non l’aveva mica detto a Scott, no? E poi erano le sette del mattino, di certo Scott e Stiles non si erano sentiti, e mica era una cosa da dire al telefono, giusto?
“ Di cosa?”
“ Il solito, sai … Natale in arrivo, lavoro, animali da compagnia” disse alludendo al cane che saltellava per il salotto “ Il suo divano sparso per il terrazzo …”
“ Non me ne parlare … Mi dispiace che tu l’abbia visto, sono un ospite orribile” dissi, poggiando con cautela la tazza che tenevo in mano. Stavo apparecchiando per due, cosa che non succedeva da quando Erica o Allison stavano qui per colazione, quasi un anno fa; tirare fuori due tazze, due coltelli e tovagliette …
Era strano, diverso.
E il fatto che il mio cane avesse trasferito cuscini e coperte del divano dal loro posto usuale al balcone non aiutava di certo.
“ E’ come avere un uragano a due passi dal letto, mi chiedo ancora perché non ha già dato fuoco alla casa, oppure perché non mi ha abbandonato del tutto.”
“ Magari ti vuole bene, ci tiene a te, se no non ti avrebbe difeso da me”
“ Magari si aspettava che tu lo portassi via da questa prigione colorata, e quando ha capito che non lo avresti fatto …” dissi preparando la macchinetta del caffè.
“ Magari ha ragione ad avere paura per te, ce l’ho anch’io” si appoggiò allo stipite della porta, dandomi tutta la sua attenzione.
“ Tu tieni a me?” chiesi, forzando il tono scherzoso, cercando di non far trasparire il disagio per una possibile riposta negativa. Perché io ci tenevo a lui, tenevo avesse una buona opinione di me, ci tenevo rimanessimo noi due, pazzi vicini, sempre a litigare per stupidate, e a guardarci negli occhi. Io ci tenevo, a Stiles.
“ Certo che sì, ragazzina”
Non aveva dubbi, lo capii. Lo capii, perché nemmeno io ne avevo.
Deglutii, e gli passai il cestino con i toast, lui mi fece un bel sorriso, che io risposi solo in parte, con quella strana sensazione ancora presente, in tutta me.
Mi attraversava dalla punta dei capelli fino alle unghie dei piedi. Non se ne andava, e non riuscivo ad ignorarla … Ma che avevo oggi?
 
 
 
 
 
 
 


“ Comunque dovevo parlarti dei nostri due migliori amici” esordì lui, sorseggiando il caffè che si era preparato lui stesso, sostenendo che il mio fosse “ Troppo amaro e acido, un po’ come te”. Si era beccato un giocattolo sbavato di Berry in fronte, per la simpatia.
“ In che senso?” quasi mi andò di traverso il mio, di caffè, tossii, con la paura che cresceva ingiustificata.
“ Stamattina Scott mi ha chiamato e mi ha chiamato, dicendo che c’è qualcosa di-“
“ O no …” mi scappò, da solo. La situazione stava degenerando, non sapevo che fare.
“ Allora tu lo sai, me l’aspettavo, voi d-“ lo interruppi subito.
“ Stiles, devi capire che non è colpa solo di Allison, è successo così, nessuno si aspettava davvero che-“
“ Ho capito benissimo, Lydia, e di certo non ne faccio una colpa  ad Allison, in realtà non capisco nemmeno cosa ci sia di sbagliato, credo solo che sia stato un piccolo errore di-"
" No, piccolo, non direi ... ma hai ragione, è in un certo senso un errore, un errore che sconvolgerà le nostre vite da cima a fondo, ma-"
" Non ti seguo, Lydia, a che ti riferisci?"
Rimasi a fissarlo: davvero mi prendeva in giro in questo modo? E poi non reputavo il bambino un piccolo problema, né un incidente di percorso ... 
Un bambino restava un bambino, comunque lo si volesse chiamare.
" Al figlio di Allison e Scott, mi sembra ovvio"
Stiles rimase fermo, a guardare la sua tazza ancora mezza piena, non era la reazione che mi aspettavo, mia spettavo che annuisse, che mi dicesse qualcosa del tipo:" Lo so, ho paura anche io,... Ti capisco", non silenzio tombale, silenzio che mi faceva venire in mente un pensiero totalmente diverso.
“ Oh no … Tu non … Tu non lo sapevi” sussurrai, chiudendo gli occhi come quella realizzazione mi colpì: fredda come una secchiata di ghiaccio e caldo come uno schiaffo sulla guancia.
“ No che non lo sapevo! E nemmeno Scott lo sa! Nemmeno Scott lo sa, devo … Devo dirglielo subito! Un figlio! Un figlio! Con Allison!” Stiles si alzò, prendendosi la testa fra le mani, dondolando avanti e indietro. Io rimasi a fissarlo mentre prendeva tremante il telefono, poi scattai e glielo presi dalla mano.
“ Lydia!”
“ No, Stiles, prima devi capire!”
“ Capire cosa? Non c’è nulla da capire, nulla! E’ tutto troppo semplice, anzi, e Scott deve saperlo ora” si avvicinò al mio viso, con la decisione così dura che mi fece male dentro, ma mandai giù quel groppone: sapevo di essere dalla parte della ragione, per quanto male facesse.
“ Devi capire che nemmeno a me piace tenere questo segreto, d’accordo? Mi fa provare disprezzo per me stessa, sapere che se Allison non ha la forza di confessarglielo ci sarà un bambino senza un genitore, e so cosa vuol dire, e lo sai anche tu!” lo vidi aprire bocca, per replicare, e lo bloccai subito: doveva ascoltare tutto ciò che avevo da dire, poi sarebbe successo quello che doveva succedere.
“ Ma la scelta è sua! Di Allison, e né io né te possiamo intrometterci. Ho fatto un casino, ho fatto un casino io, ma sono pronta a rimediare, e tu mi devi aiutare, Stiles: mi devi promettere che non dirai nulla a Scott”
Lo guardai negli occhi: il suo marrone aveva delle sfumature dorate, sfumature che mi fecero capire la frustrazione repressa, e il peso delle mie parole; mi morsi il labbro, stanca di stare lì, per quanto mi fossi appena svegliata.
Lui prese un bel respiro, e lo lasciò andare: cercava di calmarsi prima di rispondere.
“ Promettimelo, Stiles, ti prego” lo ripetei, avvicinandomi a lui, e lui si allontanò, guardandomi con paura. Gli facevo paura.
Ciò che gli chiedevo faceva paura.
“ Io te lo prometto, Lydia, ma non sono d’accordo. Non sono affatto d’accordo”
Non mi guardava negli occhi, e io mi strinsi tra le mie stesse braccia, sentendomi più sola che mai. Senza Stiles che mi seguiva con il suo sguardo caldo c’era ancora più inverno nel mondo, e pesava molto di più sulle spalle. Era un peso che schiacciava, lentamente, dolorosamente.
“ Devo andare: mio padre mi cerca” e così uscì dalla cucina, poi dall’appartamento. Non una parola, uno sguardo, un respiro di più. Lui corse via come se stesse andando a fuoco.
Così Stiles Stilinski lasciò sola Lydia Martin, e Lydia non fece nulla per impedirlo, Lydia rimase ferma, con gli occhi vitrei, pieni di inverno e freddo.
Così Lydia Martin capì il casino che aveva fatto, e cosa aveva chiesto al suo vicino …
Presi un respiro e arrivò la consapevolezza che il freddo rimaneva, il freddo non se ne andava.
 
 





 
 
 
 
Finii di vestirmi con tutta calma, mettendo prima i collant bianchi, poi il vestitino verde salvia, poi il maglioncino bianco e i tacchi color smeraldo.
Ci misi più attenzione e più tempo del solito, a truccarmi, a valutare gli abbinamenti tra borsa e scarpe, il tutto essendo sempre perfetta e impeccabile. Mi sedetti davanti allo specchio e mi alzai i capelli in uno chignon ordinato, leggendo nei miei stessi occhi quello che non ammettevo a voce alta.
Tutta questa cura era una maschera al peso schiacciante che dominava il mio stomaco, e io lo ignoravo e basta, ora c’era Melissa da cui andare, c‘era il mio angelo biondo che mi aspettava: dovevo farmi bella per lei.
L’infermiera, madre, guarda caso, del fortunato neo padre, mi aveva mandato un messaggio informandomi che c’erano novità, che sarei dovuta andare subito in ospedale, da mia sorella, dal mio punto di riferimento. Mi tremava il labbro, mentre pensavo che esempio stavo diventando: bugie, promesse impossibili da mantenere, senso di colpa … Non sarei mai stata un esempio per quella ragazzina splendida che mia sorrideva e faceva splendere il sole. Era ancora una volta una delusione, per gli altri e per me stessa, e sarebbe andata avanti così, me lo sentivo.
Ma Lydia Martin resiste, Lydia Martin non si fa buttare giù da nulla e nessuno, Lydia Martin risorge dalle proprie ceneri, come le fenici.
Sempre.
Lydia Martin è una garanzia, Lydia Martin ce la fa …
Vero?
Presi le chiavi e gettai l’occhio all’appartamento: subito prima di pranzare avevo dato una sistemata, e dopo pranzo aveva pulito tutto il salotto, rimaneva quella tazza di caffè freddo, sul marmo della cucina, che aspettava il suo proprietario.
Presi un altro respiro, e chiusi la porta, non avendo la forza di guardare il 3B, scommettevo sapesse tutto.
Lui ascoltava sempre tutto, lui vedeva sempre tutto.
Mi allontanai, e il freddo mi seguii, ancora.

 
 
 
 










 
 
 

Stiles

 
 




La solitudine non mi dispiaceva, davvero.
Avevo appena salutato la mia ragazza.
Avevamo pranzato insieme, e aveva senza dubbio capito che qualcosa non andava, ma lei aveva capito che avrei parlato quando sarebbe stato il momento. Malia rispettava i miei tempi, Malia era una sicurezza dolce e comprensiva, era ciò  che mi serviva, dopo quella tempesta …
Calciai una lattina di Coca Cola, e quella volò qualche metro più in là, la guardai cadere al suolo coperto di neve, e mi strinsi nel giaccone, intorpidito dal freddo di questa giornata storta e strana.
Mio padre mi aveva davvero cercato, chiedendomi di pranzare insieme, ma io aveva declinato l’offerta, giocando la carta della ragazza che non vedevo da quasi quattro giorni, e lui aveva chiesto se, appena mi fossi liberato, sarei potuto passare in centrale, giusto per parlare un po’. Mio padre stava facendo il primo passo, quello che in realtà spettava pienamente a me; mio padre stava provando davvero a recuperarmi, a vivere con me il nostro rapporto di padre e figlio …
E avevo deciso di provarci pure io, ed eccomi, camminando sulla neve appena caduta, alle sei e quarantacinque di sera, nella Beacon Hills trafficata e chiassosa, come un eremita in un deserto di solitudine e promesse prese in fretta. Sei e quarantacinque come stamattina, come un ricordo rosso che mi tornava in mente guardando come la neve si era posata a terra, lacrime delle nuvole, scese solo per noi … era un rosso pesante ora, non era più il semplice biondo-fragola che ti faceva pensare all’estate, alle risate e al caldo.
Era un rosso che si caricava di pioggia, di dolore, di sguardi piena di richieste impossibili e speranze menzognere …
Rosso come Lydia, ovviamente, che mi aveva terrorizzato, mi aveva fatto scappare. Rosso anche con più sfumature, bello da guardare e immaginare, ma crudo da tastare.
Quel rosso mi tradiva e prendeva sempre, quel rosso mi stava colorando l’anima, rosso sangue.
 
 




 Birdy – The District Sleeps Alone Tonight
 
 
 



 
Lydia chiuse gli occhi un’altra volta, e alzò le braccia al cielo, e rimase lì, intenta a catturare ogni fiocco di neve.
Eravamo al parco, alle undici di notte, e non c’era praticamente nessuno, c’eravamo appropriati delle altalene e degli latri giochi per bambini, e avevamo appena concluso una difficile e sanguinosa guerra di palle di neve, che aveva visto il sottoscritto vincitore.
Lydia stava sopra una panchina, in piedi, come la statua del Salvador di Rio, solo più Rossa, anche dentro, e viva, piena di vita; e nel suo ruolo di cacciatrice sapeva per certo che ogni fiocco di neve è diverso da un altro. Non ne esistono due uguali.
Simili, sì, così simili che molte volte si rischiava di confonderli tra di loro, ma non uguali, quello mai.
“ Sai Stiles, le cose uniche sono quelle più scontate” sussurrò, aprendo gli occhi e guardando il suo bottino di caccia.
Il fiocco era piccolo, fragile; era caduto dalla nuvole, magari con la promessa di tornare, un giorno, ma la mano fredda di Lydia lo aveva bloccato.
“ E’ una lacrima cristallizzata di una nuvola triste, e non tornea più indietro … Rimarrà qui a dividere con noi la sua tristezza, e la sua unicità” finì, con gli occhi tristi. Mi avvicinai.
“ Così sembra. Ma sono anche quelle più vere. Quelle che valgono” la guardai occhi, cercando di farle capire non a parole il significato nascosto della frase, riferendomi a ciò che il padre le aveva detto, al suo dolore Nero.
Lydia spalancò gli occhi, e si affrettò a osservare il fiocco, che si stava cominciando a sciogliere; il suo verde foglia era fuso nel turbamento, ma capii che aveva percepito l’allusione nelle mie parole.
“ Le cose uniche potranno anche essere quelle più vere. Ma sono ciò da cui la gente scappa, il più delle volte”c’era qualcosa nel suo tono, come una specie di rimpianto misto ad amarezza, e la guardai bene, prima di dire senza più paura:
" La gente comune è liquida, ragazzina: come l'acqua assume forme diverse a seconda del contenitore. Le persone uniche sono quelle che rimangono solide, quelle non le puoi omologare alle altre... Proprio per questo tutti siamo unici, ognuno in un modo unicamente suo"
" Quindi siamo dei fiocchi di neve, in pratica"
" Sì, siamo dei fiocchi di neve"

Aprii una mano per catturane uno, ma lei mi bloccò, e mi diede il su, facendolo scivolare dalla sua alla mia mano. Tutto fu dimenticato in quell’esatto istante, in cui il gelo della sua mano e il calore della mia, rimasta nella tasca del giaccone, entrarono in collisione.
Quel pezzo di nuvole, quella lacrima, figlia della tristezza e del vapore era destinato a sciogliersi presto, ma tenni la mia mano vicino a quella della rossa, senza paura, guardandola ora da più vicino.
Lydia era unica, speciale. Lydia era vera.
Rimase lì, con la sua mano nella mia, a mento in su e occhi chiuso, aveva terminato la sua caccia, ora riponeva il fucile e si godeva la neve. Le strinsi la mano, lei ricambiò la stretta,portandomi con sé sopra la panchina innevata.
Mi sentii come lei, in un mondo diverso e più vero, e unico, di questo qua.
Le nostre mani in contatto, a dividere quella lacrima ghiacciata: estate e inverno. Freddo e caldo.
Rosso e Verde, come la maglietta che avevo sotto il giaccone.
Tutti i dettagli che ci guardavano, ci studiavano, aspettandosi qualcosa.
Ma io guardavo lei.
Quello era uno spettacolo maggiore...
Unico









 
Guardai per terra: la neve era ancora lì, ero io che avevo cambiato un po’ modo di guardarla, anche Lydia era la stessa, solo era di una sfumatura più scura, io avevo cambiato la sensibilità a quelle sfumature minime e seminascoste  ...
Dalla notte al giorno le cose cambiano, a volte.
Cose che succedono, lo fanno e basta.
Alzai lo sguardo: la stazione di polizia. Ricordi e memorie arrivarono più veloci di un battito di ciglia, e io rimasi ad assaporarne uno ad uno, prima di trovare il coraggio di entrare. Un piede dopo l’altro, come quando da piccoli si va con paura verso le braccia d tuo padre, è lo stesso, solo che era più facile, questa volta: era già caduto, prima, sapevo che gusto aveva la sconfitta, e l’asfalto. Era  un cerchio: ne inizio, né fine, una cosa continua.
 
 







Odore di caffè e polvere da sparo, il solito.
C’ero cresciuto, con quest’odore, sia in casa che nelle narici quando venivo a ficcanasare qui, e i colleghi di mio padre mi aiutavano, a fare scherzi allo sceriffo.
Questo posto mi aveva visto crescere, litigare, ridere … Era come un pezzo di me, un pezzo della mia vita. Mi appoggiai al muro , guardandomi intorno, cercando la mia preda.
La avvistai, e mi feci coraggio: o adesso o mai più
“ Sceriffo” dissi, aspettando che mio padre si accorgesse, che sì, proprio il suo figlio prodigo era tornato a casa, o almeno, alla stazione della polizia.
“ Chi mi cerca? Parrish, almeno durante la pausa caffè! N-“
“ Ciao, papà”
“ S-Stiles”
I suoi occhi verde-azzurro si fermarono su di me, e capii quanto mi erano mancati, quegli occhi ci sarebbero sempre stati.
Sorrisi, commosso, e abbracciai mio padre, cercando una cura per la solitudine che avevo dentro lo stomaco e il cuore, e la cura ad un Rosso ingombrante.
Lo sceriffo Stilinski mi strinse a sé, e io mi sentii davvero a casa …
Ora c’ero tutto
“ Mi sei mancato, Stiles”
“ Anche tu, papà. Anche tu”
 
 

 
 









 
 

Lydia

 

 
 
Melissa mi abbracciò, non appena vide come il senso di colpa mi rodeva l’animo.
Erica dormiva, non potevo andare a salutarla, nemmeno di nascosto, ma fui grata del destino, in questo caso: in questo stato non avrei voluto essere vista da nessuno, nemmeno da Melissa.
Ma lei era la mia mamma, e mi tenne stretta, mi fece sperimentare quel calore che mi mancava da tanto tempo, così tanto che fui tentata di scaricare il peso che avevo all’altezza della gola, ma non lo feci: lei sarebbe diventata nonna, tra breve, non spettava a me dare la notizia.
“ Come stai, cucciola? Sembri giù”
“ Lo sono, ma tra poco starò meglio, mi devo solo calmare …” sussurrai, soffiandomi il naso.
Non stavo piangendo, non lo facevo più da tempo, ma aveva gli occhi gonfi, e il naso raffreddato dalla sera prima, che non volevo ricordare, avrebbe fatto troppo male.
“ E’ uil lavoro? E’ qualche ragazzo? Se èp così mando Scott e-“
“ No, no, tranquilla, è solo nostalgia per Erica, tranquilla” sorrisi, dicendo quella mezzo verità “ Non c’è bisogno di nessuno Scott”
Melissa sorrise per un attimo, poi abbassò lo sguardo.
“ Ti ho chiamata qui, piccola mia, perché quello che sto per dirti non potevo scrivertelo per messaggio .. Tuo padre ha dato un ultimatum: la data è fissata”
Mi sedetti, credendo di essere pronta al peggio, guardai Melissa e aspettai, tamburellando le dita sulle ginocchia, tic che tradiva la mia ansia.
“ Erica sarà trasferita a Vancouver il 25 di Dicembre, il giorno di Natale, tra-“
“ Sette giorni” finii per lei, atona.
Altro freddo, altro Nero.
Rischiai di annegarci, Melissa provò a tenermi lì con lei, ma era troppo tardi: mi aveva già riempito i polmoni, era finita.
Non c’era più nulla da fare, Lydia Martin era umana, anche lei poteva morire.
Nero.
Vuoto. Freddo, come il ghiaccio, come la tristezza, come l’assenza.
Ghiaccio che rende ciechi, sordi e muti, e immuni al dolore.
Immuni a tutto. Anche all’abbraccio di Melissa McCall, che senza parole diceva molto di più, anche se lei era la cosa più vicina a una mamma che avessi mai avuto …
Ma niente lacrime nemmeno stavolta, solo silenzio …
 
 
 
 
 
 
 



Salii le scale di casa Argent due a due, senza guardare avanti, solo il mio tacco color smeraldo.
Appena uscita dall’ospedale avevo provato a chiamare Allison, ma ogni volta era scattata la segreteria: o mi stava evitando, o non poteva rispondere, quindi tanto valeva andarci di persona …
Dovevo aggiustare almeno questo casino, ora, il più in fretta possibile.
Ma ecco che qualcosa di duro ma caldo bloccò la mia corsa: il petto marmoreo di Scott McCall.
“ Scott …”
“ Lydia” sputò lui, guardandomi freddamente negli occhi, io spalancai la bocca, cercando di formulare una parola, una frase, qualsiasi cosa, ma nulla uscì, e Scott sparì veloce come era arrivato.
Rimasi a fissare il vuoto ancora per un po’, poi finii l’ultima rampa di scale, e arrivai alla camera di Allison.
Entrai senza bussare, e rimasi scioccata dalla visione che mi si presentò davanti: la mia migliore amica era sul letto in lacrime, seduta a gambe incrociate, appoggiata alla tastiera del letto. Alzò lo sguardo su di me, e non disse nulla.
Fui io quella che, stanca del silenzio, urlai: “ Ma che è successo?”
E nessuno rispose.
Solo vuoto, vuoto solo e bianco come la neve, che vedevo dalla finestra di Allison.
Quello ormai guidava il timone della mia vita, e io non avevo la forza di oppormi.
Mi sedetti sul letto, aspettando.
Che cosa, lo scoprii più tardi.
Vuoto e bianco neve. Niente colore, niente vita, niente.
Vuoto, bianco.
Vuoto, bianco …















A/N:
Ben trovati all'appuntamento meno atteso della settimana! yeeeeeee! ;)
va bhe, la smetto: salve salve! scusate se non mi sono fatta sentire ieri, qui non c'era rete, ed erano l'una e trentacinque di notte, decisi di farlo il giorno dopo, ed eccomi qui!
spero si possa vedere il banner frutto del mio sclero, e spero ascoltiate quella canzone mentre leggete quella parte di capitolo, è veramnete per-fet-ta... forse
questo capitolo è un po' un frattaglio: tante cose, tanti colori, tanti avvenimneti.... da una partre Lydia che capisce la gravità della situazione( cioè, lei era cosciente già da prima, ma non in questi termini, spero capiate: cose di questo peso vanno digerite, e non subito le attribuiamo le dovute attenzioni!), e Stiles che si accorge quanto, per quanto una persona possa rivelarsi di un color molto positivo, non dico si trasformi, ma cambi lievemente...
e poi torna suo padre, yeeee! non so voi, ma io adoro lo Sceriffo Stilinski ^-^
e Erica parte tra SETTE giorni, scusate l'errore madornale, non che mi stia succedendo in questo periodo, non tiratemi scarpe, pliz, quindi nuovi casini all'orizzonte, nuovi cataclismi.... Non li lascio vivere tranquilli, mi spiace, non ci riesco...
ah! E poi Scott e Allison: che è successo? Avranno parlato di qualcosa? O qualcuno? ( if you know what I mean
vi lascio ora, ma con una richiesta superspeciale, ma anche un po' scontata: gradirei motlo sapere cosa ne, e se, pensate( scherzo ;p ) della storia... Veramente, sembra stupido o ovvio, ma io sono molto curiosa, e forse anche un po' scoraggiata, perchè già essendo nata senza autostima( l'avevano già finita, e anche intelligenza, ma quella è un'altra storia)... Non sapere se vi piace, se vi disgusta, se non vi cambia nulla... Inzomma, mi fa stare un po' così, e pensare: Mari ... sei una *bip*
Sorry, censura obbligatoria ;p
quindi sì! no alla guerra e sì a valsoia!
se aveste la gentilezza di recensire, o fare qualsiasi altra cosa, legale, s'intende, io ne sarei felicissima, e sarei ancora più grata delle belle persone che siete, tipo 'sta qua:

24maggio2011

che continua a racensire, a dirmi la sua... 
non so come ringraziarti, tessoro, davvero...
credo di volerti bene, anche se non ci siamo mai incontrate nè viste realmente in faccia... quindi magari fatevi un giro nel suo perimetro di sito, perchè lei vale... ed è unica, tipo Lydia ;))

ps: scusate per gli errori grammaticali e questo angolo che è cresciuto, nel frattempo...
Io e la tastiera del computer viviamo una relazione strana e solo nostra, accettateci per quello che siamo

buona giornata, vi amo tutti, e vi mando un abbraccio grande come l'Eurasia...
do svidanya( non sono sicura si scriva così, va bhe!)
bye bye
Mg :)

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Capitolo 10
*** 9. Si tramanda che Omero fosse cieco ***




















"The way to save = Il modo per salvare"

+++





Excuse me for a while,
Turn a blind eye with a stare caught right in the middle
Have you wondered for a while
I have a feeling deep down you’re caught in the middle
If a lion, a lion, roars would you not listen?
If a child, a child cries would you not give them

Yeah I might seem so strong
Yeah I might speak so long
I’ve never been so wrong
 
Excuse me for a while,
While I’m wide eyed and so damn caught in the middle
Have you wondered for a while
I have a feeling deep down you’re caught in the middle
 
Yeah I might seem so strong
Yeah I might speak so long
I’ve never been so wrong
I’ve never been so wrong

 



 
Strong –
London Grammar
 


 

 Lydia 

 


 
“ Basta”
Poco più che un sussurro, lo guardai perdersi nel suo viaggio per la stanza vuota in cui ero, era uscito naturale dalle mie labbra che avevano perso il controllo per tutto il tempo in cui le avevo tenute sigillate.
Lo stato di trance da cui mi stavo lentamente risvegliando mi faceva sentire in una specie di stanza insonorizzata, all’apparenza vuota, ma piena di finzione e pura attesa.
Gli occhi stavano per lacrimare, da quanto erano rimasti aperti, quindi li chiusi, bloccando il segnale fisso che avevo instaurato con la neve fuori per la strada.
Neve e non neve.
Fuori la città continuava a respirare, a trascorrere la notte con quel tipo di caos particolarmente calmo che c’è solo prima del Natale; e mischiava il silenzio di una neve candida al fastidio delle luci colorate che decoravano le case, ostentando ricchezza e cura marcata.
Sbadigliai, stanca dal corso disastroso degli eventi a cui avevo partecipato come un automa, senza poter veramente avere voce in capitolo, e smisi di guardare fuori, cercando la proprietaria della stanza in penombra in cui mi trovavo. Ma Allison non c’era, era andata in ospedale per una firma di revisione, quindi ero sola, che aspettavo impaziente una storia che doveva ancora essere raccontata.
Questa casa mi aveva visto crescere durante gli anni del Liceo, mi aveva accolta nel suo mondo a tre, fatto conoscere i suoi abitanti e i suoi segreti, e ora notavo lo spettro si quella felicità decaduta, del fantasma che si aleggiava per le stanze, lasciando gli aloni sugli specchi e muovendo impercettibilmente le tende al suo passaggio. La guardai negli occhi, ricordando il suo sorriso tirato ogni volta che mi vedeva entrare dalla porta d’ingresso dietro la figlia, o il modo in cui veniva a controllare che studiassimo veramente …
Sorrisi ricordando come, a Victoria Argent, non fossi mai piaciuta.
La guardai attraverso la grossa cornice in ottone accanto alla finestra, dove stringeva il marito e la figlioletta, rubai un po’ di felicità dai loro volti per tornare a respirare, e richiusi gli occhi.
Si stava meglio senza guardarla, questa vita.
Faceva meno male.
“ Basta”
Lo sussurrai ancora, come per darmi un po’ di quella forza che mi mancava.
Con le dita sentivo ancora la consistenza fredda e dura del vetro, e pensando a quella signora dai capelli rossi e l’aspetto austero, sentii il sapore del mio ricordo sulla lingua, e mi lasciai cullare da esso.
Mi prese da solo, così, con la forza con cui un bambino acchiappa un aquilone, e io lo accettai: certi ricordi non puoi fare a meno di riviverli …
 



 
 
Le decorazioni natalizie in casa Martin rimanevano le stesse di sempre.
C’era una sorta di legame affettivo a livello quasi morboso, che mia madre ogni anno rimarcava, mandandomi in spedizione per la soffitta, alla caccia degli scatoloni marroni, raccomandandomi di fare assoluta attenzione. Ricordo che trovarli era sempre un’impresa, dovevo entrare nella parte di soffitta più scura e nera, quella piena di polvere e cose della vecchia casa di mia madre.
Quel giorno eravamo solo noi due, e Matis il gatto arancione e grasso, che ci fissava dall’alto del davanzale della finestra, seguendo i nostri movimenti con le sue iride screziate di giallo. In religioso silenzio toglievamo le decorazioni dell’albero di Natale dal fondo della scatola, e notavo come ogni ghirlanda, ogni pallina aveva una sua storia, un suo passato da raccontare. Mia madre si bloccava a guardarle, e sorrideva di tanto in tanto, e io ero felice: mia madre non sorrideva spesso, era bello quando lo faceva, mi piaceva.
“ Sai Lyd, io ci sono cresciute con queste” indicando le palline di vetro mi richiamò dalla mia bolla “ io e tua nonna le conservavamo tutti gli anni, e mi si spezzerebbe il cuore se se ne perdesse qualcuna. E’ importante avere qualcosa da conservare e ricordare”
Annuii, poggiando l’angelo con l’abitino in pizzo a terra, e la guardai: Natalie Martin teneva fra le mani una campanella dorata, e la guardava con una dolcezza e un amore che, testimone il crampo nella profondità dello stomaco, non aveva mai dedicato a me, sua figlia.
“ A tuo nonno invece, le decorazioni non ti interessavano”
“ Perché?”
“ Non lo so, il perché. Ci guardava fare l’albero con il disappunto scritto in viso, e sorrideva ogni volta che facevamo cadere qualcosa … Non capiva quanto fosse importante rispettare le tradizioni  “ 
La sua amarezza era palpabile, e i suoi occhi tremarono di qualcosa simile al dolore; non capivo nemmeno io, avevo sempre adorato i nonni, e non avevo mai pensato a mia mamma come loro figlia, che litigava o veniva sgridata e punita.
“ Le decorazioni lo facevano triste, come papà?” chiesi, cercando di arrivare al nocciolo del problema, ma mia madre scosse la testa.
“ No, per chi l’inverno ce l’ha dentro non c’è modo di cogliere scintille così piccole come le festività”
“ Come?”
“ Mio padre aveva l’inverno con sé, lo portava addosso come un maglione, e non lo toglieva mai. Era troppo distante dal mondo mio e di tua nonna, lui non accettava il nostro essere attaccate alle cose”
“ Non capisco, perché?”chiesi ancora, indagando come mi era solito fare: non mi accontentavo di risposte a metà, per me ci voleva tutto.
“ Non ci riusciva. Si nasce così a volte: distanti, ghiacciati, e nulla o nessuno può fare qualcosa … E più si ripetono le stesse abitudini, più è difficile accettarlo; come quando ti spazzolo i capelli: fa sempre male, tu ti lamenti sempre, ma è inevitabile” 
Mandai la mia mente alla ricerca del ricordo che mia madre richiedeva, e tornai alla sera prima, a lei e me sedute sul letto, lei con la spazzola di legno con i disegnini a fiori che, a ritmo scandito, non si curava dei miei urletti e le mie smorfie, che la mia natura da bambina di dieci anni non poteva reprimere.
“ Era severo, Lydia, il suo ideale di vita non comprendeva l’affetto, o l’amore gratuito, per lui era importante ricevere qualcosa in cambio, sempre. Quindi era come l’inverno: si prendeva tutta la gioia e la vita, e la nascondeva sotto la sua coperta bianca. Quando si ha un peso dentro, uno di quelli che più cammini più ti schiaccia, non si toglie. Per certe cose la speranza non esiste. E quando le persone trovano cose come l’inverno dentro … la speranza per l’inverno dentro non esiste”
Mia madre aveva gli occhi lucidi, ma non la vidi piangere, invece si alzò e andò in bagno. Sbatté la porta, rimasi a guardarla per qualche secondo.
E capii che la conversazione era finita, lei era già nel suo mondo, fatto di medicine e di tempo passato contro la parete del bagno, a guardare la finestra che dava sul giardino, in silenzio assoluto; io rimasi sola, su un pavimento pieno zeppo di passato natalizio. Presi tutte le decorazioni e, facendo attenzione, cominciai a posizionarle sui rami dell’alberello sintetico, guardando i loro colori, cercando di imitare lo stile di mia madre il meglio possibile.
In silenzio promisi a me stessa che non sarei mai diventata la delusione che suo padre era per mia madre, sapevo di potercela fare, a essere migliore, a essere un rimpiazzo all’affetto mancante, nella mia mente pittoresca ero un buca neve: vincevo l’inverno e il fitto intreccio di fili bianchi della neve, e facevo ritornare la primavera. 
Quando finii l’albero mia madre non era ancora uscita dal bagno, e il gatto si era addormentato. Avrei imparato bene, negli anni successivi, che la mia solitudine andava nascosta, come l’inverno dentro, andava portata sotto il maglione, per evitare domande scomode o confronti.
Sola, mi accovacciai contro la porta del bagno, per starle vicino.
Io adoravo mia madre, io c’ero sempre per mia madre.
 
 



Etciù!
Uno starnuto mi fece tornare sul pianeta Terra con la velocità della luce, e mi guardai attorno spaventata: nella mia solitudine avevo perso la concezione del tempo e dello spazio.
Poggiai la cornice con cautela, poi corsi giù per le scale, rassicurandomi con il fatto che l’estraneo era di certo Allison, che potevo stare tranquilla. Tirai un sospiro di sollievo quando riconobbi la mia migliore amica, con sciapa e berretto ancora addosso, che lottava per chiudere il portone difettoso.
“ Sei tu”
“ Chi ti aspettavi? Babbo Natale arriva tra qualche giorno” mi sorrise, sbattendo con forza la porta nera, facendo tintinnare la campanella dorata che aveva messo accanto ad essa.
“ Non credo in Babbo Natale … Com’è andata in ospedale?”
“ Io sì! Comunque, tutto-“ si interruppe per disfarsi della sciarpa verde, “ bene. Finstock insisteva sul fatto che avessi prescritto un farmaco mensile scaduto, che aveva appena accettato lui dal campionario, e che tra parentesi andava somministrato a dosi giornaliere! “
Mi grattai la testa nascondendo un altro sbadiglio, cercando si ricordare chi fosse Finstock.
“ Ah … Finstock?”
“ Sì, il farmacista! Quell’idiota stratosferico di Bobby Finstock … Non capisco come diano la laurea a certa gente ”
“ Non ce l’ho veramente presente, scusa …”
“ Capelli neri, quasi sempre oleosi, occhi azzurri trasparenti, pelle bianchiccia - malata … No? Lasciamo perdere, davvero” si tolse anche il berretto abbinato alla sciarpa, e il giaccone, lasciò entrambi sull’appendi abiti e si diresse in cucina, io la seguii.
“ Ok, e per il resto, come stai?”
“ Ti va un tè? O una tisana?”
La guardai un attimo, cercando le sue vere intenzioni nei suoi occhi da cerbiatto: aveva deliberatamente evitato la domanda, sostituendola con un’altra, tipico di Allison. Sospirai.
“ Vada per il tè”
“ Alla fragola, come sempre?” aprii lo scomparto sopra i fuochi, per prendere bollitore e tazze.
“ Certo. Senti Ally, io ho-“
“ Sì Lyd, adesso ti preparo il tè, e mi faccio una camomilla, e poi ti racconto tutto” sancì con decisione. Andò verso l’altro mobile, cercare le bustine di tè, e io la guardai, felice che non fosse adirata. Ci mancava solo che la facessi arrabbiare, e non saremmo mai andate da nessuna parte.
“ Sei sicura? Io non voglio costringerti a far nulla, non ti devi sentire pressata, accetto anche un no, seriamente.”
“ Lo so, ma ti ho fatto aspettare abbastanza, sono pronta per parlarne. Ne ho bisogno, anche se non vorrei altro che dormire e dimenticarmi della mia vita per qualche ora”
“ Sarebbe bello” convenni, sedendomi sul tavolo, lasciando che le mie gambe dondolassero avanti e indietro, ringraziandomi mentalmente di aver messo i collant: non sarei mai resistita all’inverno gelido altrimenti. 
Allison annuì, poi rivolse la sua completa attenzione all'acqua che cominciava a riscaldarsi, io mi guardai le gambe, pensando a quel ricordo che mi era rimasto impresso.
Bruciava così tanto che mi premetti una mano sulla bocca per soffocare un grido ... Sarei scoppiata presto, il campanello d'allarme già squillava, esigeva di essere ascoltato, ma lo ignorai: prima gli altri che se stessi, no?
Mi presi la testa fra le mani, i rumori della strada riempivano il vuoto che si andava a formare dentro; l'inverno che mio nonno portava l'aveva tramandato a me, me lo sentivo.




 
“ Ho fatto una delle cazzate più grandi della mia vita, e in ventidue anni di vita credevo di aver acquisito una certa esperienza …”
“ Per certe cose non si è mai troppo grandi” smorzai la serietà, facendola sorridere.
Allison prese un sorso dalla tazza fumante, e io la imitai, preparandomi alla storia che avevo aspettato, ma che ora non ero sicura di voler sentire.
“ Ieri, dopo essere stata al cimitero con mio padre, sono passata un attimo al Dark Side Of The Moon per parlare con Scott, ma era chiuso per pulizie, quindi sono tornata a casa … Avevo ancora in testa la conversazione del giorno prima: io e lui siamo rimasti fino alle tre del mattino seduti al bancone, semplicemente parlando e bevendo, guardandoci negli occhi, imparando uno la vita dell’altro, ed è stato perfetto …” si fermò per riprendere fiato, e abbassò gli occhi, addolcendo in qualche modo i lineamenti del viso, sorrisi, pensando alla situazione, che, per quanto scomoda, offriva sempre una ragione in più per sorridere, anche se per poco.
“ Ma tornata a casa non riuscivo a stare calma: e se lo scoprisse? E se poi finisse per ferirmi, come Isaac, come tutti gli altri? Però allo stesso tempo non potevo non sperare nel fatto che una volta saputa la verità lui mi avrebbe perdonata, e , anzi, avrebbe accettato la cosa, e mi avrebbe aiutato con il bambino. Non lo so, Lyd, hanno ragione quando dicono che la speranza è l’ultima a morire, la sentivo ieri, è quella che mi ha spinto a vestirmi bene, a farmi i capelli, a truccarmi e a mettermi il rossetto, dopo che lui mi aveva invitato a cena. Assurdo come la vanità di noi donne esca fuori una volta che ci sono gli uomini in mezzo”
Allison mi guardò negli occhi, io annuii, come per darle il permesso di continuare.
“ Dove ti voleva portare?”
“ Al nuovo ristorante giapponese … Io non ho mai mangiato giapponese, lo sai?”
“ Nemmeno io, solo cinese, e non quanto siano diversi” risposi, prendendo un sorso del tè alla fragola.
Lo lasciai scivolare giù, sentendo come quella bevanda rosata mi infiammava la gola, si bloccò vicino al cuore, a riscaldarmi un po’, una debole luce nel mio essere buia, anche dentro.
“ Alle otto  in punto era qui, con il casco ancora in mano, per me. L’ho fatto salire, come mi ha visto ha cominciato a sorridere e a balbettare che ero davvero bellissima, e io ero così felice, davvero, non puoi capire …” lo disse con la voce così spenta e vuota che avrei riso, se non fosse stato quello il contesto.
“ Ma non può andare tutto sempre bene, no? Dev’esserci sempre quella macchia, quel granello che fa pendere la bilancia da una parte più che un’altra …
 

“ Scott! Sei puntualissimo, complimenti”esclamai, girandomi di scatto. 
Mi stavo ancora mettendo gli orecchini di perle allo specchio quando notai il suo riflesso che mi guardava. Scott sorrideva, era bellissimo quando lo faceva.
“ Una delle mie numerose doti! WOW … Voglio dire, sei bellissima Allison, io … Wow”
Sorrisi, guardandomi la gonna: ero vestita con un semplice abitino nero di velluto, aderente, che aveva uno spacco dietro che arrivava al livello dei reni, e i miei stivali con il tacco.
" Dove andiamo stasera, McCall?"
" Bhè, signorina Argent, avevo intenzione di portarla alla nuova apertura Giapponese che questa cittadina ci offre"
" Com'è educato, signor McCall, a cosa devo tutto questo garbo?"
“ Sono così solo con chi ne vale la pena” sorrisi, permettendo al mio cervello di crogiolarmi sul significato di quella frase.

“Sei sicuro che io ne valga la pena?”
“ Credo di sì, Allison … Che c’è mi nascondi qualche segreto che mi farà cambiare idea su di te?” rise, io non riuscii a ridere con lui, la risata si bloccò nella mia gola, non riusciva a uscire.
“ Non credo, perché lo chiedi?”
“ Scherzavo, naturalmente! Io mi fido di te, so che sei speciale e diversa delle altre, e mi fido già di te” mi fece l’occhiolino, e io sentii i lati del mio sorriso afflosciarsi, mi schiarii la gola.
“ Non sono esattamente come tu mi immagini”mi sedetti sul letto, continuando a guardarlo, la gola che pizzicava sempre di più.
“ In che senso? Hai mai ucciso qualcuno? Fai parte di qualche organizzazione che vende gli organi illegalmente?”
“ Ovviamente no! Mai”
“ E allora non c’è niente di cui preoccuparsi, e poi ci conosciamo da troppo poco, non pretendo di essere colui di cui ti fidi, io sono qui per aspettarti tutto il tempo che ti serve”
“ Allora per il bene di tutti e due c’è una cosa che ti devo dire”
“ Mi fai quasi paura, con quella faccia … Io sono qui”
Mi si avvicinò, poggiò il casco sul letto e si abbassò al livello dei miei occhi. I suoi erano così pieni, così sinceri e dolci, che mi maledii per la mia lingua lunga, ma ormai non potevo tornare indietro, andava fatto. Ora, subito.
“ Ricordi la prima volta che ci siamo visti? Sono stata subito colpita dal ragazzo che sapeva sorridere anche con gli occhi, e che senza pretese mi ha ascoltato tutta la notte, e mi ha fatto dimenticare dei miei casini …” Scott annuì, non sorrise, mi ascoltava in silenzio, e mi prese la mano, come per aiutarmi a portare il peso del segreto inconsapevolmente.
Con la forza che mi dava, senza sapere come e perché, presi tutto il fiato necessario, e lo sputai così: 
“Dopo quella notte sono rimasta incinta … E il padre sei tu”    
 
 

“ Gliel’hai detto e basta?”
“ Sì”
Allison non mi guardava; lo disse fra i denti, io aprii e chiusi la bocca, sconvolta: non trovavo il modo per esprimere ciò che avevo in testa.
“ Cioè gliel’hai tirato addosso così?”
“ Sì, Lydia”
“ Ma sei pazza?!”
“ Come diavolo avrei dovuto fare!?”
“ Non lo so, di certo non avresti dovuto dirlo come se fosse una cosa da niente, come se fosse un ‘splendida stagione l’estate, non credi?’ “
Scimmiottai la mia amica, accompagnando le mie parole con le mani.
“ Credi che mi sia piaciuto? Ho fatto la cazzata più grande della mia vita! E non c’è più speranza, dal modo in cui mi ha fulminato dopo, il suo silenzio assoluto, il modo cui si è alzato senza riuscire a guardarmi negli occhi … Se n’è andato dicendo: questo è un problema”
“ Ma che problema?! Non può essere un problema …” farfugliai, mortificata.
“ Essere incinta è un problema!” urlò Allison, buttando la testa fra le braccia conserte. Stavo per parlare quando una voce mi interruppe, una voce che mai avrei voluto sentire in quel momento.
“ Chi è incinta? Tu, Lydia?”
Chris Argent fece il suo ingresso nella cucina, con in una mano una busta della spesa.
Mi squadrò attentamente, preoccupato di trovare una risposta affermativa scritta sul mio volto, con amarezza capii il perché.
Aveva davanti Lydia Martin, quella facile, che in passato non si era fatta problemi a farsi l’intera squadra di football e parte della rappresentanza maschile del Beacon Hills High.
La gente non crede mai ai cambiamenti, credono solo ai miracoli stile Fatima, e solo se gli capitano sotto il naso.
Ingoiai il groppone, e scuotendo la testa, risposi : “ Con tutto il rispetto, signor Argent, si sbaglia. Non si tratta di me, io non sono incinta”
“ Davvero, Lydia? Perdonami se esprimo il mio pensiero, ma fino a qualche anno fa-“
“ Papà!” lo interruppe Allison sconvolta, ma io non battei un ciglio: ero abituata al modo di suo padre di mettermi alla prova.
“ Infatti, qualche anno fa. Non sono più quel tipo di persona … E anche se fossi incinta-“
“ Non sarebbero affari miei, stai tranquilla!” ridacchiò, facendo sparire quell’espressione inquisitoria di pochi secondi prima “ sei piccola ma sai come si morde. Scusa per essermi permesso, non volevo insinuare nulla”
“ Si figuri” gli sorrisi, dimentica dell’argomento della discussione tra me e la mia migliore amica.
“ Ma allora chi è incinta? Di chi stavate parlando?” infatti, come nel passato, Chris Argent ricordava semre tutto, non sbagliava un colpo, e raccoglieva sempre ciò che seminava.
La lingua mi si legò nella bocca, e anche i miei occhi si abbassarono in direzione della tazza alla fragola che mi ricordava che lei era ancora lì.
Allison guardava suo padre, con gli occhi che lentamente si facevano più grandi, le pupille che si allargavano, dandole un’espressione di puro e semplice terrore.
Dopo un silenzio che non so quanto durò, probabilmente ore, anni, lustri, sentii una vocina piccola piccola prendere coraggio ed esporsi al nemico, con coraggio invidiabile, o forse solo idiozia acuta.
“ Di me, papà … Io. Io sono in-incinta”







 






 

Stiles



 
“ Non entri?”
“ Mi prendo qualche minuto per la mia altalena”
John Stilinski annuì, e io mi incamminai, attraverso il vialetto innevato, guardando gli alberi spogli, che mi rendevano difficile immaginare lo stesso paesaggio durante l’estate. Ma nessun posto è come casa, e ci sarei riuscito sempre, bastava chiudere gli occhi e aprire quel posto del mio cervello dove stava la mia infanzia.
L’altalena di cui parlavo era quella che avevamo costruito io e Scott, legata con la corda al ramo dell’olmo dietro la casa, ci avevamo passato i pomeriggi, cercando di salire sempre più in alto, e cercando di volare su quei 35 cm di legno …
“ Sono tornato” le dissi, e lei fece la diffidente, non rispose.
“ Hai ragione, è passato tanto tempo, ma sono qui ora”
La mia altalena non era una facile, e non dava confidenza a nessuno, andava capita, e bisognava rispettare i suoi tempi. Mi avvicinai e tolsi la neve che la ricopriva, poi mi sedetti, con un sorriso che nasceva spontaneo sul mio viso, tutto di questa vita mi era mancato, l’altalena per seconda, per primi i miei genitori …
 

“ Stiles! Stiles!”
La voce di mia madre mi spaventò, e sorpresa più ramo di un albero mi portarono a saggiare il terriccio direttamente con la mia faccia.
“ Oddio Stiles!”
I suoi occhi furono la prima cosa che vidi, poi sentii le sue mani sul mio viso. Le mani di mia madre erano sempre così delicate, così calde … Le avrei riconosciute dappertutto, avevano un odore poi, che sapeva di sapone di Marsiglia e lavanda, inconfondibile per me. Sorrisi alla sua voce colorata di preoccupazione, e mi tirai a sedere. Il volo che avevo appena fatto era stato di qualche metro, ma ero così tanto abituato alla sensazione di cadere inerme sul terreno che non ci facevo più caso, un livido in più mica cambiava la vita, tanto.
“ Ti sei fatto male? Questo perché sei sempre in giro ... La prossima volta che ti becco lì io-“
“ Sto bene mamma, e poi l’avevi detto tu che mi volevi più all’aperto”
“ All’aperto non significava migrare sopra l’albero e starci tutto il tempo!”
Quel sottile strato di scherno che riconobbi mi diede fastidio, e arricciai il naso.
“ Mamma”
“ Figlio. Che c’è, stai bene?”
La sua collera era già sfumata, ora era la mia mamma che si preoccupava sempre per me, e che mi sorrideva anche con gli occhi, con l’anima, oltre che con la bocca.
“ Solo un po’ di malditesta … La gravità fa male”
“ Questo è per ricordarti che non sei un uccello. La prossima volta usa una mela, Newton ha fatto così”
“ Non sei divertente, mamma”
“ Nemmeno tu lo sei se mi fai venire un infarto prima del tempo, figlio”


Mi sorrise dolcemente, ma i suoi occhi erano quasi spenti, aggrottai le sopracciglia, ma non dissi nulla. Lasciai che mi prendesse per mano, e mi guidasse in casa, per pre4paraci e andare dalla nonna, che come al solito mi avrebbe squadrato e avrebbe detto : ‘ Sta venendo su troppo smilzo, Claudia, ma lo nutrite?’
Il suo cuore era grande quanto debole, così mi piaceva disegnarla, e dopo un po’ aveva smesso di lavorare, era andato in pensione senza aspettare il via, fregandosene dei soldi. E così era sparita mia madre: il suo corpo, il suo essere viva, i suoi capelli, i suoi occhi …
Ma il suo sorriso, il suo sorriso era rimasto immortale e immutabile, era come mille soli e mille stelle, era come un gelato in una giornata d’estate, come il desiderio che esprimi il giorno del tuo compleanno davanti alla torta …
Mia madre era un’assenza fissa nel mio cuore, e questo posto mi parlava di lei, così tanto da far male, apriva di nuovo quella voragine che tanto faticosamente avevo tentato di riempire durante gli anni.
Questo posto era lei.
“ Sono tornato, mamma”
Glielo dissi, e lei mi sentì. Il suo respiro su una brezza mi scompigliò i capelli, e sorrisi.
“ Mi sei mancata anche tu”
Le dissi poi, e lei sentì anche questo.
 
 

 
“ Come ti è sembrata la città come prima impressione?” mi chiese mio padre quando ci sedemmo tutti e due a tavola.
La casa non era cambiata molto, anzi, non era cambiata affatto: stessi mobili, stesse fotografie, stesso disordine sparso per le stanze.
“ Mhh … Confusionaria, con più persone e piena di cartelli pubblicitari”
“ Hai ragione, ma dovresti esserci abituato, alla pubblicità, venivi da New York”
“ Hai ragione”
Mio padre annuì, poi cominciò a spiegarmi come aveva dovuto “ sistemare il camino e tutte le tubature della casa, perché facevano proprio schifo”, e io lo ascoltai. Poi gli chiesi del lavoro, dei nuovi casi su cui stavano lavorando.
“ Ultimamente ci è stato affidato un caso di furto con scasso ripetuto: una banda di ragazzi si aggira per la città irrompendo nei mini market durante la notte e rubando dalle casse” mio padre aveva la faccia contratta, capii quanto fosse in disaccordo con la situazione.
“ Wow … Quando ero piccolo io si bloccavano al fondo cassa della scuola”
“ Sono molto più all’avanguardia, con grimaldelli e ogni genere di diavoleria inventata da loro”
“ Li prenderete presto? Avete qualche pista?”
“ Assolutamente no, ma comunque non potrei parlartene, si chiama violazione della privacy”
Lo squadrai con sufficienza.
“ Che c’è, non credi al tuo vecchio?”
“ Certo che sì, papà, come potrei non dubitare dello sceriffo di Beacon Hills, che ci preserva dal crimine e dalla malvagità dell’essere umano medio?”
“ Mangia Stiles, che si fredda”
Sorrisi, vedendo come alzò gli occhi al cielo, era bello tornare alla normalità, ogni tanto.
Affondai la forchetta nel groviglio di spaghetti che avevo davanti, e ne portai un po’ alla bocca.
“ Sono stranamente buoni … Li hai cucinati tu?” chiesi, esterrefatto, mio padre fece l’offeso, ma capii subito dove stava il trucco.
“ Stranamente buoni? Non ti permettere sai? Certo che li ho cucinati io”
“ Ah sì? Allora la busta di  Bloom’s che ho visto nella spazzatura prima era un miraggio”
Ci guardammo negli occhi, io divertito ma intenzionato a non cedere, lui preso in contropiede e irritato per causa mia.
“ Mi hai beccato, ma non ti permettere più, sai? Solo perché non so cucinare come uno chef non vuol dire che qualsiasi cosa che esca dalla mia cucina sia una schifezza”
“ L’ultima volta che hai provato a cucinare degli spaghetti si è azionato l’allarme antincendio della casa, papà”
Mio padre mi fulminò con lo sguardo, e prese un’altra forchettata.
La mia vittoria aveva un buon odore, e sapeva di ottima pasta e vino rosso.
Rosso.
Rosso come un particolare pigmento, non rosso sangue, né rosso corallo, più come rosso fragola, o meglio biondo fragola.
E sangue biondo fragola, sorriso biondo fragola, sogni biondo fragola, e risate, e confusione, e dolore che va dal Nero al Rosso …
E tutto questo aveva un nome, che al solo pensiero mi fece venire i crampi allo stomaco, quindi evitai di comporlo.
Deglutii in fretta, cercando di finirlo tutto in un sorso, per non vedere quel colore così vicino a me, mi faceva male concentrarmi su quella parte di mondo ora, volevo dare la precedenza ai miei genitori, alla mia ragazza, al futuro figlio del mio miglior amico …
Mi morsi il labbro, quando risollevai lo sguardo trovai gli occhi grigio azzurri con sfumature verdi di mio padre accesi di preoccupazione.
“ Tutto bene, Stiles?”
“ Sì, certo … Stavo solo pensando a una cosa …”
“ Riguarda Malia? Va tutto bene tra voi due?”
“ No, non riguarda lei, e sì, va tutto bene. Dopo devo andare da lei, infatti”
“ Mi fa piacere che tu abbia trovato una come lei, Stiles, è una brava ragazza, lei si interessa a te” mi offrì un sorriso. I sorrisi sul suo viso ci stavano bene toglievano un po’ rughe, toglievano le notti insonni a fare il doppio turno per guadagnare più soldi, toglievano un po’ di dolore, ma non toglievano l’assenza che una moglie può rappresentare, quel tipo di ruga non la potevi asportare.
“ Fa piacere anche a me”
“ Certe persone riescono a raggiungere livelli di comprensione inimmaginabili, e a volte scambiamo la semplice complicità per amore … Ma l’amore va oltre questo, Stiles” si bloccò, per guardarmi negli occhi. Io posai la forchetta, con le orecchie pronte a captare il messaggio.
“ L’amore non può essere racchiuso in una sola parola, in una sola sensazione, sarebbe stupido e riduttivo. L’amore è come una melodia, che parte da un luogo determinato di noi stessi, ed è udibile solo da una persona, e anche se sei stonato, anche se all’inizio non capisci il ritmo, lo devi seguire … Poi l’amore è attesa, è essere in grado si aspettare l’altro, di mantenere le promesse nonostante tutto, amore è un verbo, è qualcosa sempre in movimento, non è statico, non è mai scontato, non è abitudine. Amore è come respirare, sembra facile, sempre per sempre, ma le cose succedono, e tu puoi smettere di respirare per un po’ di tempo, ma mai per sempre … Ecco l’amore è un mai dentro un sempre”
“ In che senso?”
“ Devi capirlo tu Stiles … E soprattutto devi capire quando ami una persona, e quando invece cerchi salvezza per te stesso, quando cerchi solo un’occupazione per non soffrire”
Non risposi, guardai in basso, pensando alle sue parole. Il loro peso echeggiava nelle mie orecchie, ricordandomi i miei dubbi, la mia fragilità, il mio essere senza difese rispetto al mondo.
Questa cosa della differenza tra amore e salvezza mi faceva andare in due direzioni diverse, ma venne lui a salvarmi per fortuna.
“ Non preoccuparti di questo adesso. Sappi che io sono e sarò sempre fiero di te, figlio mio. Io e tua madre lo siamo sempre stati”
Ci guardammo negli occhi, finché io non confessai quello che mi portavo dietro da quasi undici anni, sempre senza spezzare quel legame che cresceva giorno dopo giorno, che era nelle mie vene, nel mio essere uomo, il legame tra padre e figlio.
“ Mi manca tanto”
“ Anche a me, Stiles ”
Ecco il vero rapporto tra padre e figlio, quello che Scott avrebbe dovuto avere con suo figlio, non una bugia per fare meno male nel momento … L’uomo che avevo davanti mi era d’esempio, come lo era stato per Scott dopo la scomparsa del padre, era verità, era coraggio e forza di andare avanti; dovevo fare qualcosa, dovevo essere il rimedio per questa situazione.
Da una parte la promessa fatta a Lei, dall’altra tutto quello che mi era stato insegnato, il mio miglior amico, il mio dire la verità sempre, la lealtà che dovevo verso chi non aveva mai barato con me.
E così, in quel momento in cui eravamo in tre, non più solo io e mio padre, ma anche la Sua mano sulla mia testa, e il Suo sorriso annullante, presi la mia decisione: decisi da che parte stare.
La vita è una stronza, ti fa decidere, anche se poi te ne penti, anche se soffri nella tua scelta, anche se fai del male alle persone a cui tieni.
E’ una stronza perché poi ti fa capire che la scelta che fai è quella giusta.
O così speri, almeno.

 
 
 







 

Lydia

 

 

 
“ Dell’altro?”
“ Come?”
“ Oltre al caffè e ai biscotti, desidera dell’altro?”
“ No grazie” sorrisi al commesso, che rispose con un occhiolino, poi sparì dietro la parete. Non era mica male: alto, capelli biondo scuro, occhi accesi, poi aveva questa faccia da ragazzino, che non guastava, ma ne avevo abbastanza dei biondi, mi portavano solo in brutte direzioni.
L’unica persona con l’espressione da ragazzino che digerivo ora chissà dov’era, e chissà se ce l’aveva ancora con me … Probabilmente sì.
Sospirai, giocherellando con una ciocca di capelli che mi era scivolata dallo chignon.
Il mio capo era davvero un signore, ci teneva così tanto ai propri dipendenti che mandava anche le e-mail per i giorni di malattia, e avevo il sospetto che non le scrivesse quell’adorabile collega tutta tubini e tacchi dodici.
Mr. Hale mi aveva consigliato di  restare a casa, visto che ero “ terribilmente malata”, come la sua fidata assistente Kate gli aveva riferito, e mi augurava di rimettermi presto, almeno così era scritto nella mail che mi era appena arrivata. Bello essere malata quando non ti pagano i giorni di assenza …
Ma poi non m’importava davvero più di tanto, odiavo quel lavoro, e finché avevo i soldi per sopravvivere e nutrire il mio cane, potevo anche fingermi malata e soffrire quell’assistente del diavolo che avevo per collega.
“ Ecco a lei, sono $ 3.45, passi una buona serata, signorina …?” mi chiese lui sorridendo e passando i miei acquisti alla cassa del minimarket, gli passai una banconota da cinque.
“ Lydia, Lydia Martin”  risposi, sbattendo le ciglia, sorridendogli: mi piaceva fare la ragazzina maliziosa, che cercava l’attenzione dei maschi, sapevo di poterla ancora ricevere.
 “ Matt, Matt Daehler. Piacere di conoscerti”
“ Il piacere è tutto mio”
“ Non dimenticarti il resto”
“ Grazie, sono così fuori dal mondo a volte …”
“ Succede anche ai migliori, o alle belle ragazze”
“ Attento Matt, la tua ragazza porta dire che ci stai provando con me”
“ E anche se fosse?”
“ Credo che lo scoprirò la prossima volta” gli sorrisi come per scusarmi, e fuggii fuori da quel posto, con un po’ più di disgusto per me stessa, ma un sorrisino leggero che aleggiava sulle labbra.
Dopo che Chris Argent mi aveva praticamente scacciato con la frase “ scusa ma devo parlare con mia figlia, da soli” ero fuggita a casa, poi avevo dato un’occhiata alla dispensa ed ero uscita di nuovo, con ancora i capelli legati e il vestito dal quasi giorno prima ….
Quasi perché era mezzanotte passata, quindi tra venti minuti o più sarebbe stato domani, il diciannove di Dicembre, sempre più vicino alla partenza di Erica.
Mentre tornavo a casa mi formavo mi fermai un attimo davanti a un negozio di elettronica, negli schermi davano la canzone dei Queen, Long Away, e mi fermai ad ascoltare le parole.
 
Lonely as a whisper on a star chase
Does anyone care anyway?
For all the prayers in heaven
So much of life's this way **
 

Sorrisi con amarezza, capendo il vero significato delle frasi, e mi allontanai, con la consapevolezza che anche avevo una lunga strada davanti ero ancora sola, e sola rimanevo.
Non era un peso facile da portare appresso, ma andava fatto, per il bene delle persone accanto a me, sospirai, guardando la condensa che era il mio respiro, mi lasciava anche quello, andava in alto, per il mondo, il cielo …
Perché ci sentiamo soli? Perché le cose non vanno mai come vogliamo?
“ Ti diverti, eh? Ti diverti a fare un casino con la mia vita?!” urlai al cielo sopra di me, per tutta risposta un gocciolina di pioggia mi cadde sulla guancia, come una lacrima, cominciai a ridere, una risata a metà tra tosse e reazione isterica, non riuscivo a smettere di ridere, mi premetti una mano sulla bocca, poi aprii le braccia.
“ Grazie del messaggio, ho capito tutto” ma sotto voce aggiunsi un ‘ aiuto, chiunque tu sia, aiutami ’, non l’avrei mai detto a voce alta, poi cominciai a correre, nonostante i tacchi vertiginosi e il trucco, con la pioggia che scandiva il ritmo della mia corsa, e mi persi tra le vie, cercando la strada di casa.
 
 
 
Il palazzo era racchiuso in religioso silenzio, cercai di regolarizzare per evitare di svegliare nessuno. Guardai il display dell’ Iphone, era l’una e un quarto di notte, era abbastanza normale. Salii le scale al buio, facendomi luce solo con la torcia del mio telefono, apposta, volevo rendere il mio ritorno epico, come se fossi stata fuori per anni, e non minuti. Il mio respiro e il gocciolare dei miei abiti bagnati sul pavimento erano le uniche cose che mi tenevano compagnia, arrivai al terzo piano in fretta, e tirai un sospiro di sollievo quando non vidi nessuna luce accesa, né nessun vicino sull’uscio del suo portone.
Arrivai al 3B, e lo salutai con una strizzata di capelli sul tappeto, poi , con il cellulare tra le labbra che faceva luce frugai nella borsa, alla ricerca delle mie chiavi, facendo, naturalmente, un casino. Ero ancora intenta nella mia ricerca quando la porta del 3A si aprì, e ne uscirono due figure, che non riconobbi nella semioscurità, poi Stiles accese la luce, e li vidi, capii che era lui perché lui era accanto all’interruttore.
“ Lydia?”
“ Mhh” mi tolsi il cellulare dalla bocca lasciando cadere busta della spesa e borsa “ buona sera”  mi uscì più flebile di un sussurro, ma loro avevano sentito.
Loro erano il mio vicino e una ragazza con gonna color caramello, maglietta bianca e camicia di jeans aperta, aveva una giacca al braccio, e un sorriso che andava da un orecchio all’altro, che crepitò alla mia vista. Era molto bella.
Questa considerazione mi colpì, e qualcosa mi si smosse dentro, facendo lo stesso rumore di quando sposti un mobile trascinandolo dopo tanto tempo che è rimasto fermo.
La ragazza vicino a Stiles mi guardò con i suoi enormi occhi color cioccolato, poi sorrise impercettibilmente, e sporse la mano verso di me.
“ Piacere, io sono Malia, la fidanzata di Stiles”
“ Lydia” risposi, asciugandomi prima la mano sulla parte del vestito che era rimasta all’asciutto.
“ Non mi avevi detto di avere una vicina” lo riprese lei, Stiles annuì, poi scrollò le spalle.
“ Non è mai uscito l’argomento”
“ Da quanto abiti qui, Lydia?” mi chiese Malia, appoggiandosi al fidanzato, e sorridendomi, in modo non cattivo né sgarbato, forse solo un po’ inquisitorio, mi mise un po’ a disagio, ma non lo lasciai vedere.
“ Da sempre … No, in realtà abito in questa palazzo già da un anno e mezzo, ma sono nata qui a Beacon Hills” le spiegai, sorridendole “ Scusate se vi gocciolo un po’ addosso, ha appena cominciato a piovere, e non avevo un ombrello”
“ Figurati” rispose lei. Non osavo alzare lo sguardo su Stiles, sentivo i suoi occhi addosso, e avevo paura di non trovarci solo sorpresa, ma anche delusione, tristezza, dolore …
Tutto provocato da me.
 “ Mi piacerebbe rimanere qui e conoscerti bene, ma io e il mio ragazzo dobbiamo andare” rise lei, guardando il diretto interessato che le rivolse un sorriso dolce e puro, poi alzò lo sguardo su di me, e il suo sguardo divenne ghiaccio liquido, che fece comunque effetto nelle mie vene.
Rimasi bloccata, presa d’’assalto da quell’inverno che mi faceva sempre più male, e mi schiacciava sempre di più.
“ Ciao Lydia, passa una buona serata” mi salutò il mio vicino, guardandomi fissa negli occhi, poi baciò la propria ragazza.
 Malia ridendo fuggì al bacio giusto il tanto di riuscire a dirmi : “ Buona serata!” , poi abbracciò il suo ragazzo di lato e gli diede un altro bacio, si girarono senza più guardarmi, e corsero giù per le scale.
“ Ciao anche  a voi” sussurrai a un pianerottolo vuoto,che spense la luce, ricordandomi che avevo qualcosa da fare, ma lasciandomi di nuovo sola, con una lucina di torcia in mano.
Era questo il bello di ripetersi tanto una cosa: più la ripeti, più la incanali nel tuo cervello, più ci credi.
E alla fine si avvera.
Io  so di essere sola, credo di essere sola, io sono sola.
 




 
 

 
 

Stiles
 

 
 
 
 
 
Fuori dal palazzo, la mia jeep azzurra mi aspettava, come sempre.
Anche sotto la neve, la tempesta, il sole cocente, la pioggia, lei era lì, fedele compagna di viaggio. La sua storia era cominciata con un abbandono: i precedenti proprietari, non trovando più interesse in lei l’avevano abbandonata a se stessa, in una strada buia una notte, e io e il mio miglior amico, durante una delle nostre esplorazioni del quartiere verso le tre del mattino, l’avevamo trovata e  presa con noi. Con dedizione avevamo sostituito tutti i pezzi che erano andati in malora, e l’avevamo vista rinascere sotto la nostra mano inesperta, era una figlia per me, non l’avrei mai abbandonata, e sapevo che era reciproco.
Io e la mia jeep eravamo fatti per stare insieme, semplicemente.
La voce della mia ragazza mi distolse dalla contemplazione del miglior veicolo mai esistito.
“ Un giorno o l’altro mi tradirai con lei”
“ Lei chi?” chiesi, non capendo a chi si riferisse …
Una Lei l’avevamo appena incontrata, al solo pensarla mi si impastava la bocca, e mi tornavano i crampi allo stomaco.
Mi sforzai di eliminarla dalla mia mente per adesso, avrei avuto poi il tempo per rifletterci sul serio.
“ La jeep, ovvio. Com’è anche sicuro che ci becchiamo una polmonite se non apri questa  macchina”
La guardai: stava dritta sotto la pioggia, lasciando che le gocce le cadessero per il viso, il corpo, i vestiti. Mi sorpresi di quanto, anche nelle condizioni climatiche inadatte, lei rimanesse bella, la sua vista bastava per farmi perdere la concezione del tempo, l’avrei potuta guardare per sempre. Le sorrisi, e lei sporse la mano verso il mio viso, accarezzando la mia pelle coperta da pioggia, e lessi nei suoi occhi l’amore che desideravo.
La tirai contro di me, poi la premetti contro la portiera dell’auto.
“ Ci son mille altre cose che potrei fare”
“ Mhh, tipo?” si morse il labbro, e a quella vista così eccitante sentii il mio udito ovattarsi e il mio corpo focalizzarsi solo su una cosa.
“ Ti amo”
Lo dissi così, poi mi rubai la sua risposta, senza paura di non essere ricambiato. Il suo sapore era inconfondibile per me, sapeva di passione, di calore, di consolazione e casa, in una maniera così totalizzante che ogni volta era come la prima. Lei mi portò le braccia al collo, premendo il suo corpo magro contro il mio, mischiando pioggia a saliva, a sapore, e capii che quella che avevo fatto era la scelta giusta.
Questa era amore: una scambio equo, non un gioco al dare e ricevere, era una canzone che sapeva di pioggia, non di note composte, e io ero così felice di averlo trovato, di aver trovato qualcuno con cui dividere me stesso …
Baciare Malia era una delle cose che avresti potuto fare fino all’infinito senza stancarti, e fui sincerante dispiaciuto quando lei si staccò, ancora a occhi chiusi, dandomi una visone celestiale.
“ Ti amo anch’io, Stiles”
Sorrisi, e la guardai aprire gli occhi su di me. La potenza del suo sguardo mi rendeva nudo e indifeso, mi costringeva a mettermi in gioco.
Perché io? Perché io quando potevi avere tutto, avere di meglio?
Mi chiesi, poi le accarezzai un guancia e aprii la macchina.
“ Andiamo a casa?”
“ Sì, ti porto a casa” le assicurai, aprendole la portiera.
“ Bene, perché è un po’ che non ci prendiamo del tempo per noi stessi”
“ Hai proprio ragione”
Risposi, anche se lei aveva già la portiera chiusa, e non mi sentii.
Sorrisi, perché quel genere di tempo insieme mi faceva sempre sorridere, e oltre il sorriso sentii qualcos’altro che si smuoveva in me.
Riprendere il ritmo non era male, dopotutto, anche se dovevi fare dei sacrifici, rinunciare a delle cose, o delle persone.
Guardai alla sua finestra: la luce era accesa, il balcone aperto, forse stava per uscire a fumare, lei era quel genere di persona che non si fermava per il tempo atmosferico.
Sospirai, chiedendole scusa, perché io avevo fatto la mia scelta, ora aspettavo la sua.
Rimasi anche qualche secondo sotto la pioggia che lavava i miei pensieri e i miei peccati, con quelle lacrime di nuvole sciolte, quelle che lei non avrebbe mai versato per me, o per nessuno altro.
Lydia mi sarebbe mancata, dopotutto.
E’ così con le persone importanti, ti mancano, dopotutto.
 
 
 




 
 
 
 
 
Solitario come un sussurro nel mezzo
di una caccia alle stelle
Comunque, a chi importa?
Nonostante tutte le preghiere al cielo
Gran parte della vita è fatta proprio così. **
 







A/N:
buon giorno, buon pomeriggio, buona sera e buona notte!
bene, innanzitutto chiedo venia per il ritardo del'aggiornamneto e per quelle persone che l'hanno letto ieri, bhe, si sono persi me e una particina di capitolo... questo perchè! perchè il mio computer è più inutile di un gufo su un tostapane in un'autostrada, e con certe cose non puoi semplicemente  ragionare!!
tralasciando quest'importante dettaglio, come va? state bene? state per ricominaciare la scuola o l'università?? BENE! bentrovati sulla stessa barca, affonderemo insieme come il capito del Titanic, non come Schettino, o almeno, così si spera... :o
va bhe, la storia, che è quello per cui siete qui, spero ( già già ), in questo capitolo, intitolato in questo modo in memoria delle versioni di latino a cui non stavo pensando mentre scrivevo, e invece avrei dovuto, ci sono gli scheletri nell'armadio dei personaggi, e la differenza anche fin troppo evidente tra le due famiglie, tra i diversi tipi di educare i figli...
e poi c'è Ally, poverina, l'ho davvero fatta bionda, ma se ci pensate è meglio: tutto in una volta, così non deve più preoccuparsi, yee...
no, lo so benissimo, ma vedete che anche questo si sistema ;)
fin ora ho solamente parlate di morte e distruzione e doklore a palate, ma dai prossimi capoitoli inizia la vera storia d'amore, e, per spoilerare il prossimo capitolo, sappiate che Qualcuno tornerà a Beacon Hills...
chi sarà??????

top secret, ma sappiate che è di fondamentale importanza nella storia, e che pyrtroppo le tempeste non son finite, ho in previsione tabnte cose, forse troppe, ma che spero diano solo un po' di più a questi personaggi... Non so voi, ma io li adoro, sono fragili ma forti insieme, sembrano quasi persone reali, con i loro sorrisi, i loro sbagli...
spero di farvi arrivare il mio 'messaggio' e spero di sentire le vostre opinioni, che siano pro o contro, fa sempre piacere, e ringrazio tutte le persone che seguono, o leggono e basta, o ricordano, o preferiscono questa storia...
ogni numeretto rappresenta l'inifinito affetto che nutro per voi, quindi vi mando un abbraccio fortissimo, e tanto bene!!

ps: come al solito, non picchiatemi per gli orrori di ortografia, non è colpa mia, ma del fatto che non so scrivere!
detto questo, buona fine ( noooooo ) vacanze, e buona giornata!
bye bye
- Mg :D



 
 

 

 

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Capitolo 11
*** 0.non sono un capitolo. ***


 

Le mie più sentite scuse.



Non so davvero come esprimere questo concetto di grande scusa che provo dentro. Ho abbandonato questa storia da così tanto tempo che mi sembrava impossibile addirittura che internet non l'avesse eliminata in modo autonomo, ma a quanto pare il destino mi guida ancora *come al solito non so che sto scrivendo* volevo solo chiedere un grande scusa.
Non esistono ragioni abbastanza pressanti, quando si ama scrivere, che ti impediscano di farlo, per questo prometto, a chi prova piacere nel leggere questa piccola storia senza molto impegno, che anche solo una volta alla settimana, la continuerò e, stranezza delle stranezze, riuscirò anche a finirla!
Ho tanto in mente, e nonostante le vita sia un casino, come credo sia capitato pure a voi, portare avanti le proprie passioni non può essere un optional. 
Detto questo, addio persone di questo ristretto raggio di Universo, magari vi aspettavate un capitolo strappalacrime che vi avrebbe fatto dimenticare la mia assenza,
E invece no!
La finisco perchè davvero credo di non aver mai scritto così tante insensatezze nello stesso trattato, Distinti saluti ed Arrivederci. Prometto di portare splendidi capitoli con me la prossima volta, che spero sarà questo Sabato...
Tanta Utopia a tutti, buona reincarnazione ^-^


 

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