Dangan Ronpate di Varia Natura, Forma e Dimensione

di Subutai Khan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Makoto... Naegi? ***
Capitolo 2: *** Un solo errore, pagato salato come un pretzel gigante ***
Capitolo 3: *** E l'errore continua a bruciare ***
Capitolo 4: *** In 'sto laboratorio fa un freddo fottuto ***
Capitolo 5: *** Di morte, amore e pinzillacchere ***



Capitolo 1
*** Makoto... Naegi? ***


Titolo: Makoto... Naegi?.
Personaggi: "Makoto Naegi" e un po' di altri.
Generi: commedia, comico.
Traccia: Dangan Ronpa, Tutti, A Fine Giornata. Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia che racconti di come i personaggi – che, smesso il loro ruolo, sono solo attori dietro le quinte del fandom – commentino questa o quella scena saliente in cui hanno recitato.

“E stooooooooooop! Ottimo lavoro, ragazzi. Per oggi basta così”.
E anche questa è fatta. Giornata particolarmente stancante, oggi. Ridacchio ripensando a quando ero un po’ più piccolo e ingenuamente credevo che fare l’attore sarebbe stato un mestiere di tutto riposo. Cosa pretendete? Un ragazzino vede gente figa alla cerimonia degli Oscar e pensa che quello è il lavoro più bello, sbrilluccicoso e meglio retribuito del mondo. Poi ti accorgi che esistono le comparse e quelli che recitano solo nelle pubblicità.
Non sono messo proprio così male, visto che qui interpreto il protagonista, ma il livello non è poi troppo più alto.
“Makoto! Makoto! Aspettami” sento una voce familiare alle mie spalle. E non posso trattenermi dal sorridere.
Neanche faccio in tempo a voltarmi che qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferra per il braccio.
Oh, ciao Kyouko.
Sì, per una strana casualità ognuno di noi ha il nome del personaggio che interpreta. Se questa fosse una storia, si potrebbe tranquillamente accusare il suo autore di essere pigro e di non avere la sbatta di inventarsi dei nomi.
“Mamma mia, oggi è stato un parto” dice allegra mentre si struscia un po’ addosso a me. Non essere troppo espansiva, te l’ho detto che il tuo costume di scena lo trovo sin troppo sexy e potrei perdere i freni inibitori. Specialmente la cravatta.
Stiamo assieme da poco dopo l’inizio delle riprese. Potete invidiarmi, lo capisco. E soprattutto credo che sarebbero felici di saperlo le orde di shipper assatanate che sicuramente cominceranno a costruirsi i castelli in testa quando vedranno i nostri due personaggi interagire. Il regista è un gran furbone e ha seminato qua e là hint non indifferenti, vecchio marpione che non è altro.
“Beh, oltre alla scena della mia esecuzione abbiamo dovuto girare quella della tua...”.
“Pure la stessa, tsk. Kodaka, sei proprio un tipo senza verve”.
“Senza verve lo scrittore del gioco da cui è tratto questo film? Ma ne sei sicura? Sicura sicura? No, perché sarò tardo io ma un’esecuzione come quella di Mondo me la sogno la notte...”.
E ride, ammettendo che in effetti non è proprio cosa comune. Trasformare un essere umano in una vaschetta di burro è sintomo di malattia mentale, secondo la mia modesta opinione.
“Basta parlare di morte e budella” mi interrompe sul nascere mentre sto per fare altri esempi “Piuttosto, perché io e te non ce ne andiamo da qualche parte? Ho un discreto languorino”.
“Volentieri. Ma senti, ti scoccia se non siamo soli? Avevo promesso a Sakura e a Taeko che si sarebbero potute aggregare...”.
Ed eccola, sento arrivare l’ennesima frigna made in Kyouko: “Ma uffaaaaaaa! Volevo una cosuccia intima e romantica!”.
“Con una pizza da Pizza-La? Hai pretese un po’ troppo alte, ragazza mia”.
Mette quel suo adorabile broncio, ben sapendo che sta cercando di farmi desistere. Ma non sarebbe giusto scaricarle così, non mi va.
“Dai, ti prometto che la prossima volta saremo soli soletti. E chissà, potremmo anche allungare un po’ la pausa e dedicarci a qualcosa di più piacevole...” alludo, sfoderando lo sguardo infido che lei soffre terribilmente. China il capo sconfitta, concedendo la disfatta solo a patto che la prossima volta non si debba sgarrare.
“Te lo giuro, nessun ficcanaso potrà frapporsi nella nostra cenetta a lume di tovagliolo”.
“Sei un cretino, Makoto!” sghignazza, con tanto di buffetto sulla spalla.
“Grazie del complimento. Aspettami qui, le recupero e poi ci avviamo”.
“Ma come, andiamo così?”.
“Non siamo attori di porno, non dobbiamo per forza toglierci gli abiti che usiamo sul set”.
Cercando cercando, mi capita di incrociare Aoi mentre entra nel suo camerino. Quella ragazza è l’esatto opposto del personaggio che interpreta: come una è solare e allegra, così l’altra è adombrata, cupa e di poche parole.
Chi ha fatto il casting, Doraemon?
Decido di buttar via un po’ di fiato provando ad invitarla. Tanto uno in più uno in meno non cambia, no?
“Ehi Aoi, ciao! Io, Kyouko, Taeko e Sakura stiamo...”.
“No”.
...
Va bene.
La supero senza sprecare ulteriore tempo, sarebbe davvero insensato insistere.
Per fortuna ci metto poco e in breve siamo tutti e quattro lanciati all’avventura.

“E così hai di nuovo perso tutto al pachinko?”.
“Non dirmelo, guarda. Mi chiedo a chi è venuta la brillante idea di farmi interpretare la Super Gambler, negata come sono con i giochi d’azzardo”.
“Tralasciando il fatto che a volte ho i tuoi stessi dubbi... evidentemente hanno sufficiente fiducia nelle tue doti d’attrice e nella capacità di rendere il personaggio realistico. E, lasciatelo dire, in quello fai un lavoro più che buono”.
“Beh, grazie Makoto”.
“Scusa se mi permetto, ma se sai di essere scarsa perché continui a buttarci i tuoi soldi?”.
“...Kyouko, sempre con la dolcezza di un bulldozer tu”.
“Oh senti, è una curiosità legittima. Trovo poco furbo pisciare il proprio stipendio in qualcosa che non ti darà in cambio nulla”.
“Perdonate se mi intrometto, ma questa volta devo proprio dare ragione a Kyouko. Mi sembra francamente stupido spendere in questa maniera dissennata i soldi guadagnati con tanta fatica e dedizione sul luogo di lavoro. Non sarebbe più saggio metterli da parte, o cercare di farli fruttare in qualche modo?”.
E con queste parole ogni possibile domanda sul procedimento di selezione del cast va a farsi friggere, perché Sakura Oogami è qui davanti a noi in questo momento. È assolutamente identica, austera e seria come colei a cui dà vita sulla pellicola.
E in realtà anche Taeko è meno fuori luogo di quanto possa apparire ad una prima occhiata, perché lo sguardo assassino che le sta rivolgendo di sbieco ogni tanto emerge prepotente anche in Celestia Ludenberg.
“Su su, signore. Non serve litigare per così poco” tento di fare da paciere. Non le ho chiamate per vederle prendersi a male parole, o peggio. E anzi, ho rinunciato alla mia intimità per voi. Sarebbe carino da parte vostra non mandare tutto a carte e quarant’otto.
“Non ci posso fare nulla se ho il vizio del gioco. È praticamente una malattia, lo sapevate questo?”.
“Dalle malattie si può guarire, specie quando non sono mortali”.
“Ebbasta morte, su! Lavoriamo a stretto contatto con quella parola tutto il giorno, almeno nel tempo libero vorrei non doverci pensare”.
“Sono con la mia ragazza” sentenzio, cercando di suonare definitivo. E, al contrario del mio personaggio, riesco a metterci la giusta dose di forza. Ogni possibile motivo di maretta viene scongiurato e possiamo proseguire pacifici il nostro pasto.
Gnam gnam. Niente male questa pizza.
“Lorsignori permettono?”.
Alzo la testa dal piatto, avendo vagamente riconosciuto la voce ma...
Uh. Sono Mondo e Chihiro.
“Per me non c’è problema” rispondo, onesto “Ragazze?”.
Nessuna ha da ridire, quindi i due si aggiungono al nostro gruppetto.
“Avete già pranzato?”.
“A dire la verità no, ma è per colpa mia. Oggi ho... ecco, non è facile per me parlarne...”.
Ci accontentiamo del silenzio, sappiamo che la timida Chihiro non ha particolare piacere a parlare dei suoi problemi prettamente femminili. Eh già. Il maschio Chihiro Fujisaki, che inizialmente si spaccia per una donna, è impersonato da una donna.
“No, non è niente del genere. La colpa è mia, mi sono attardato nel cambiarmi finite le riprese” la protegge Mondo. Molto cavalleresco il suo comportamento, lo devo ammettere. Forse dovrei imparare da lui su come si trattano le fidanzate.
Ogni tanto faccio ancora fatica ad associare al rozzo, burbero e collerico Mondo Oowada il gentiluomo che in questo momento sembra fare le fusa nella direzione della sua dolce metà. Anche se un po’ la pettinatura a banana aiuta, perché nonostante le differenze pare che se la porti dietro fin dai tempi del liceo e ne sia visceralmente affezionato.
DRIIIIIN. DRIIIIIN.
Ueh, chi è che stressa adesso?
Sul display appare... Touko.
Non mi dire che...
“Pronto?”.
“Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi salvi!”.
“Touko? Tutto... tutto bene?”.
“No che non va bene! Quel pazzo infoiato di Byakuya sta cercando di strapparmi i vestiti di dosso!”.
Santi kami, devo decidere se è peggio il film che stiamo girando o la vita che sto vivendo.

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Capitolo 2
*** Un solo errore, pagato salato come un pretzel gigante ***


Titolo: Un Solo Errore, Pagato Salato come un Pretzel Gigante.
Personaggi: Makoto Naegi, Kyouko Kirigiri.
Generi: angst.
Traccia: Dangan Ronpa, Makoto Naegi/Kyouko Kirigiri, Fino alla Fine. Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia divisa in tre parti più o meno della stessa lunghezza che seguano uno sviluppo temporale al contrario: futuro, presente, passato.

“Papà, papà! Dove sei finito?”. Sento le urla di Toshiro invadere i corridoi della Kibougamine, anche se non ho troppa voglia di dargli retta.
Sono nel bel mezzo del mio rituale e mi piacerebbe non venire interrotto, neanche dal sangue del mio sangue.
Come succede una volta al mese, mi sono piantato di fronte alla porta che su mia esplicita richiesta porta ancora la targhetta “Kirigiri”. Per fortuna Monokuma è stato abbastanza misericordioso da lasciarci la possibilità di calcolare e tenere traccia del tempo che passava, altrimenti concetti come minuto, ora e simili avrebbero perso completamente di significato. Non è facile raccapezzarsi quando vivi segregato in una ex-accademia con le finestre e le porte murate.
Appoggio la testa al legno, badando bene che la mia fronte tocchi proprio sulla ridicola immaginina che serviva da etichetta.
Non ti ho dimenticata, Kyouko. Non posso farlo.
Ti porterò per sempre sulla coscienza.
“Eccoti qui, finalmente. Si può sapere... oh”. Togami, lo sai che voglio stare da solo in questi momenti. Dovresti averlo capito, oramai.
Alzo un braccio verso la mia sinistra, la direzione da cui veniva la sua voce, intimandogli il silenzio. Recepisce e si quieta, anche se riesco a intravederlo mentre si sposta e mette le mani dietro la schiena.
Lascio che una singola lacrima cada per terra, andando a fare compagnia alle sue sorelle.
Se me lo avessero raccontato prima dell’inizio di questa follia... avrei riso come un cretino.
Makoto Naegi che è direttamente responsabile della morte di qualcuno. Impossibile. Grottesco. Fuori da ogni logica.
E invece mi è successo pure questo. Non fidandomi del mio istinto, che mi implorava di tapparmi la bocca e far finta di nulla, ho lasciato la parte più cretina di me libera di sbugiardarla e di farle da paggetto mentre la accompagnava verso quell’orribile compattatore.
Idiota. Idiota. Idiota.
Lei era davvero la nostra sola speranza di mettere il becco fuori da questa prigione. Lo dimostra ampiamente il fatto che, in tutti questi anni, non abbiamo mai cavato un ragno dal buco dai pur numerosi tentativi di scoprire l’identità del mastermind. Nulla, niente di niente. Potrebbe essere il preside, un barbone che si è intrufolato e ha trovato divertente vederci squittire come topi in gabbia, uno psicopatico qualunque.
Non lo sappiamo. Non lo sapremo mai.
Ci servi, Kyouko. Ci servi. Eppure sappiamo sin troppo bene che non tornerai, e di questo posso solo ringraziare il mio lampo di genio.
Ci credi se ti dico che ho bruciato la giacchetta che indossavo? E la felpa? E più in generale tutto quello che portavo nel peggior giorno della mia vita? Mi sentivo sporco, colpevole, indegno di rimanere al posto tuo. E la sensazione, seppur non forte come allora, ogni tanto si fa ancora viva e mi ricorda ghignando che sono scivolato al livello di Kuwata, di Oowada, di Celes. Non era mia intenzione, come non lo era per quasi tutti loro, ma la realtà resta quella.
Agli altri non l’ho mai detto, ma io conosco la verità e mi merito di soffrire da solo per tutto quanto mi resta da vivere. Perché se è vero che è stato Monokuma l’autore materiale, io mi considero a tutti gli effetti il mandante.
Faccio trascorrere un po’, immerso nel silenzio più assordante che possa esistere. Assordante perché non è riempito dalla tua voce.
Poi, finalmente, rialzo la testa e subito mi giro verso Byakuya. Sì dai, è stupido chiamarsi per cognome dopo aver condiviso così a lungo un simile destino di cavie da laboratorio.
“Ehi” dice, e ancora mi stranisco nel vederlo sorridere leggermente. Nell’occasione della famosa foto “di famiglia”, ci è venuto un mezzo coccolone quando ha espresso un’emozione che non fosse la sua tipica arroganza.
“Ehi”.
“Scusa, non sapevo che stavi facendo... quello. Non ti avrei disturbato altrimenti. È solo che Toshiro reclama il suo papà e non ti si trovava più...”.
“Sì, perdonatemi. È che sapete quanto tengo a questa cosa. Certo che...”.
“Che?”.
“A che punto siamo arrivati, Byakuya? Viviamo da non so esattamente quanto tempo in queste quattro mura, a turno ci siamo accoppiati tutti con la povera Aoi che ormai è più un’incubatrice che una persona... mi chiedo se...”.
“A parte che sei disgustoso a definire la madre di tuo figlio in questi termini... parla per te e per quell’altro rasta di Hagakure, grazie tante. Sai benissimo chi è la madre di Ryo e sei pregato di non mancarle di rispetto”.
“Va bene, va bene. Scusa. Un’altra cosa di cui non vado orgoglioso, l’aver dovuto... sopprimerla per evitare che Genocider diventasse pericolosa. Ci sono momenti in cui ho delle ricadute e mi pento della nostra decisione di lasciar perdere e rassegnarci. È così... deprimente”.
“Scuse accettate. Non fa nulla” concede prendendomi per le spalle “ci siamo passati tutti e probabilmente, a rotazione, lo rifaremo in futuro. Dai, ora andiamo da tuo figlio che sennò gli viene una crisi isterica e poi sai quanto diventa ingestibile”.
Ha ragione. Quel piccoletto ha energia da vendere e un modo di piangere capace di far esasperare anche un Buddha.
Getto un’ultima occhiata verso la porta.
Kyouko, so che non vale niente... ma scusami.

Che faccio che faccio che faccio?
Quinto processo, per la morte di Mukuro Ikusaba.
Dopo Sayaka Maizono, Junko Enoshima, Leon Kuwata, Chihiro Fujisaki, Mondo Oowada, Kiyotaka Ishimaru, Hifumi Yamada, Celestia Ludenberg e Sakura Oogami... ennesimo cadavere.
Solo i kami sanno quanta nausea ho di questo andazzo.
E sono persino più impanicato del solito. Il perché è presto detto: so che Kyouko Kirigiri sta mentendo.
Dov’è il problema, direte voi. Starà cercando di coprire il proprio misfatto, visto che ci sono un po’ di elementi che danno adito a sospetti nei suoi confronti.
No, non è così.
Kirigiri-san non è un’assassina.
Lo so. Lo so per certo.
O forse non proprio per certo. Le prove a suo carico, per quanto indiziarie, sono piuttosto solide. In effetti non ha un alibi valido, essendo sparita come un fantasma nelle ore precedenti al processo al punto di far pensare a quel furbone di Hagakure-san che il corpo le appartenesse, e in camera sua abbiamo rinvenuto la chiave dell’armadietto che conteneva quella identificata come arma del delitto.
La sua posizione non è delle più comode, lo ammetto. E non aiuta il fatto che non voglia spiegarci le ore di buco, rifiutandosi ostinatamente di rispondere.
Togami-san la sta pressando, cercando di farla confessare. E lei si limita a ribadire che quell’oggetto dev’essere stato messo a bella posta in camera sua per incastrarla, dato che lei non ci può più entrare.
Questo è vero, è stato lo stesso Togami a sequestrarle le chiavi. O meglio, lo era fino a quando siamo saliti sul montacarichi, perché poco prima di farlo mi ha rivelato che cercando in giro ha recuperato un passepartout che dovrebbe aprire tutte le porte della scuola.
Inclusa quella di camera sua, quindi. Mandando la sua giustificazione a farsi un giro.
In cuor mio so che è innocente, ci metterei tutte e due le braccia e tutte e due le gambe sul fuoco. Io mi fido di Kirigiri.
Il problema è che una contraddizione così palese non è nel suo stile. Cos’è, una metodica e analitica come lei che si dimentica di avermi parlato di quella chiave?
Potrei sbagliarmi, ma mi sembra di starla vedendo... sudare.
Credo abbia paura.
Paura di essere stata scoperta come omicida... o paura di qualcos’altro?
Se una come lei perde la freddezza... allora il motivo dev’essere grave. Realmente grave.
E io immagino di essere l’unico a sapere di quel particolare, cioè sono l’unico che può smentirla.
Ecco il perché della domanda di cui sopra: che devo fare? Comportarmi come ho sempre fatto finora e urlarle uno dei miei ormai proverbiali “Obiezione!” con tanto di dito accusatorio... o fidarmi di lei e decidere di coprirla?
Lo ripeto, io le credo. Ma il dubbio, e mi scoccia da matti ammetterlo, è forte.
“Mi tocca dirvelo un’altra volta: fate come volete, ma se io muoio qui non avrete la minima possibilità di risolvere i misteri della Kibougamine e di scoprire chi è il mastermind. Non una. Siete spacciati”. E mentre ripete la nenia per l’ennesima volta, noto in maniera indistinta che la mano sinistra le trema. Leggermente per carità, ma trema.
Non mi piace essere volgare, ma è evidente che se la sta facendo addosso. Se Kyouko Kirigiri trema... vuol dire che è terrorizzata.
Santo dio, mi fonde il cervello. Non so come devo muovermi. Non sono mai stato così teso prima d’ora.
Però aspetta, aspetta un secondo Makoto. Ti è già uscito dalla testa quel che è successo non più di dieci minuti fa? Di come la signorina Kirigiri stesse cercando di scaricare il peso su di te?
E chi si comporta così di solito? Chi ha qualcosa da nascondere. Nella fattispecie la propria colpevolezza.
La bilancia ha appena preso a pendere pesantemente da una parte.
Qualcosa dentro di me si è fatto straordinariamente indigesto.
“Avanti Kirigiri, confessa. Hai le spalle al muro, ti abbiamo inchiodata. Abbi la grazia di perdere con stile”.
“Io non ho ucciso Ikusaba, Togami. Non l’ho fatto. E sai bene il perché. Questa è una trappola”.
Chiudo gli occhi. Inspiro. Prego.
Svuoto la mente e lascio che la mia bocca si muova da sola. O da sola resti ferma.
“Kirigiri-san... stai mentendo”.
L’ho detto. Alla fine l’ho detto.
“Uh? Cosa blateri, Naegi?”.
“Non è vero che non puoi entrare nella tua stanza. Tu stessa mi hai mostrato la chiave di Monokuma. Quella chiave... apre tutte le porte dell’accademia”.
Silenzio.
-
Corro a perdifiato verso il compattatore.
Ho il petto in fiamme, la testa mi duole e il mio battito cardiaco sembra completamente impazzito.
No. Questo è un incubo. E io sono uno sciocco.
Non ho tenuto conto di una cosa fondamentale. Fondamentale.
Kirigiri-san, questa notte, mi ha salvato la vita.
E io l’ho ripagata mandandola al macello.
Stronzo irriconoscente.
Odio odio odio odio. Sento ondate di odio travolgermi. Odio per me stesso.
Emetto un ululato bestiale, sopraffatto dall’agonia. E dalla consapevolezza di come abbia appena condannato me e gli altri superstiti a un’esistenza da reclusi in questo posto.
Tocco la superficie dello strumento di morte, macchiandomi in più punti di sangue. Sangue innocente. Sangue di una persona che sarebbe stata la mia miglior alleata e ora è solo l’ennesima vittima di questo massacro.
Togami e gli altri mi osservano da lontano, ma faccio persino fatica a distinguerli con gli occhi pieni di lacrime che mi ritrovo.
Come posso essere stato tanto deficiente? Come?
Kirigiri-san, per quanto può valere adesso... scusami.

TOC TOC.
Vai via chiunque tu sia, non voglio vedere nessuno.
TOC TOC.
Via, ho detto. Via.
Voglio rimanere a riflettere in pace, chiedo troppo? Ho un tradimento da metabolizzare.
TOC TOC.
Uff. E va bene scassaballe, hai vinto.
Mi alzo e apro.
Davanti a me Kirigiri-san.
“Posso entrare?”.
Mi scosto per farla passare. Tanto ormai hai disturbato.
“Come stai, Naegi?” chiede distrattamente mentre si guarda attorno, osservando con aria... direi quasi professionale i segni rimasti dalla colluttazione di Kuwata e Maizono.
“...”. Ti è chiaro che non voglio compagnia, in questo momento?
No beh, ora sei ingiusto con lei Makoto. È la persona che, praticamente, ti ha salvato la vita laggiù in quel tribunale improvvisato.
Gli altri mi davano l’impressione di essere come un’orda inferocita alla ricerca del mostro da linciare. Invece lei ha portato in quella piccola assemblea calma, lucidità e capacità analitiche da far invidia a un qualche membro del CSI americano. Non che io guardi quei telefilm orripilanti.
“Che cosa sei venuta a fare, Kirigiri-san?”.
“Volevo farti una domanda su Maizono”.
Una domanda su Maizono? Ohibò.
Ok, fai pure. Prima fai questa domanda e prima potrai andartene.
“Prego”.
“Per quale motivo credi che abbia lasciato il nome di Leon Kuwata sul muro?”.
Che domanda del cavolo è? Mi sembra più che evidente.
“Oh, non so. Per vendicarsi del suo assassino, ad esempio?”.
“Probabile, non lo nego. Ma io vedo una possibile altra interpretazione”.
“Eh? Prego?”.
“Secondo me Sayaka Maizono ha voluto discolparsi nei tuoi confronti. Oltre che per aiutare noi con le indagini, perché senza quel particolare avremmo avuto molte più difficoltà a beccarlo... ecco, io penso abbia cercato il tuo perdono per il suo tentativo di incastrarti. Credo se ne fosse pentita”.
“Su che basi lo dici?”.
“Nessuna. Ma è più bello pensarla così, no?”.
“Tu sei davvero Kirigiri-san?”.
“A volte capita persino a me di avere una botta di vita”.
“Cerca di fare in modo che non accada in tribunale, allora. Abbiamo bisogno della tua invidiabile sagacia”.
“Percepisco del sarcasmo, Naegi”.
“Nessuno è perfetto”.
Scoppio a riderle in faccia. Pardon.
Incredibile. Quaranta secondi fa ero di pessimo umore e adesso mi sento tranquillo, sereno.
Probabilmente, quando se ne andrà, il magone tornerà di gran carriera ad appesantirmi le spalle e a stringermi il cerchio alla testa. Ma per ora ne approfitto e rido a crepapelle, di fronte al suo sguardo vagamente toccato dalla cosa.
“Sicuro di non aver bisogno di qualcosa per frenarti?”.
Non le rispondo. Non per maleducazione, è che non riesco a smettere.
Ci impiego un minuto abbondante per recuperare un minimo di senno. Poi per fortuna riesco nella titanica impresa e smetto di piangere dal troppo riso.
“Tieni” mormora. Alzando la testa, che fino a mezzo secondo fa era ancora piegata verso terra, la scorgo mentre mi allunga un fazzoletto.
Lo prendo ringraziandola, lo apro in tutta la sua larghezza e per prima cosa mi ci soffio rumorosamente il naso. Non ci posso far niente se perdo roba verdastra dalle narici quando mi vengono simili attacchi di Ridancianite.
“Mi sembra di capire che qualcosa, in quel che ho detto, lo hai trovato particolarmente ilare” commenta e, se non pensassi altrimenti, giurerei di averci colto una microscopica punta di scocciatura.
“Ti prego di scusarmi, non so cosa mi sia preso. Ammetto che lo scambio di battute era moderatamente divertente, ma da qui a perdere ogni freno inibitore in quel modo...”.
“Ti dirò, non sono così dispiaciuta della cosa. Anzi. Una risata non fa mai altro che bene, specialmente in una situazione psicologica al momento delicata come la tua”.
“Beh sì, devo ammettere che ora mi sento molto più leggero”.
“La cosa non può che farmi piacere. Ora che ho detto quel che avevo da dire, posso anche levare il disturbo”.
Si avvia verso la porta. La fermo d’impulso.
“Cosa c’è?” chiede voltandosi.
“Io... penso tu abbia ragione, su Maizono”.
“Su che basi lo credi?”.
“Nessuna. Ma non sei l’unica a cui è concesso. E poi sennò è troppo triste e deprimente, e se c’è una cosa in cui sono bravo è nel non deprimermi”.
“Spero che tu possa dimostrare questa tua dote. Ho idea...”.
“...che il casino sia appena all’inizio”.
“Uh? Io...”.
“Te l’ho letto nel pensiero. Sono un esper”.
“...”.
“No, scherzavo. Ho solo un buon intuito”.
Increspa appena appena le labbra. Credo che nella sua lingua di emozioni inespresse equivalga a un sorriso.
“Mi fa piacere che tu abbia scelto di ricordarti così di lei”.
“Preferisco l’ottimismo al pessimismo. Ah, Kirigiri-san...”.
“Sì?”.
“Grazie”.
“Prego”.

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Capitolo 3
*** E l'errore continua a bruciare ***


Titolo: E l'Errore Continua a Bruciare.
Personaggi: Makoto Naegi.
Generi: angst.
Traccia: This path that I've chosen's a rocky one/long, hard and frozen it has become/each turn that I've taken on the way/has only led me back to Hell/I am dying down, growing weaker now/it could seem that I'm doing fine/but I'm broken to little pieces deep inside (Broken - Sentenced), orfana. Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia che sia il seguito di un’altra storia postata per questa iniziativa, rispettandone trama e stile.

Toshiro corre come un indemoniato e faccio una gran fatica a stargli dietro.
“Makoto, vedi di acchiappare quella peste di tuo figlio!” sento alle mie spalle, in lontananza.
Aoi, le gravidanze ti hanno inacidita.
“Ahahahahahahah! Papà è lento e non riesce a prendermi!”. Mi faccio anche sfottere, da ‘sto rospetto.
Va bene, mi sarò appesantito ma non credere che...
Passo davanti alla camera di Kyouko.
E il sorriso, rimasto tutto il tempo dell’inseguimento sulla mia faccia, svanisce.
Rallento. Poi mi fermo, lasciandogli ulteriori metri di vantaggio.
Sento un CRACK da qualche parte, dentro.
In certi momenti questo ridicolo teatrino della famigliola da pubblicità crolla come se fosse fatto di cartapesta. Questo è uno di quei momenti.
Per quanto possa sforzarmi di ignorare, per quanto possa sforzarmi di far finta di nulla...
Io in realtà sto uno schifo.
Perché mi manchi, Kyouko. E perché sei morta per colpa mia.
Non dovrei nemmeno essere qui, ora. Dovrei essere a fare compagnia a te, a Mondo, a Chihiro e a tutti gli altri.
Me lo meriterei.
Poi qualcosa si avvinghia al mio ginocchio.
“Papà, tutto bene?”.
E il sorriso ritorna.
Non posso franare, non ancora. Devo reggere anche per lui.
Fingere. Per lui.
Tenere assieme i frammenti. Per lui.

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Capitolo 4
*** In 'sto laboratorio fa un freddo fottuto ***


Titolo: In 'sto Laboratorio fa un Freddo Fottuto.
Personaggi: Junko Enoshima, Mukuro Ikusaba.
Generi: angst.
Traccia: Ma mentre parlo/tu non mi ascolti/i casi sono due/o non mi ami più o sei morta/propenderei per la seconda ipotesi/perché emani un fetore nauseabondo (Urna - Elio e le Storie Tese), orfana. Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia narrata dal punto di vista di un oggetto inanimato.

Yawn. Mi sta venendo sonno.
Credo che ormai si stia facendo tardi. Consulterei un orologio se potessi, ma la mia mancanza di mani non aiuta.
Già. Sono un panno da laboratorio.
Oh su, non guardatemi con quelle facce. Voi essere umani siete convinti che solo voi siate i fortunelli a possedere una coscienza. Non funziona così.
È un po’ come in Toy Story, solo che vale per qualsiasi oggetto. Anche per quelli che evidentemente non possono muoversi liberamente quando sono lasciati nelle condizioni adatte.
Un paio di volte ho sostenuto delle conversazioni interessantissime con una delle celle frigorifere, la numero tre per la precisione. È quella a cui piace la filosofia. Per quelli di noi sprovvisti di bocca si chiacchiera telepaticamente.
Però ora dormono tutti. Non ho controllato bene, ma penso di essere l’unico sveglio.
E allora tanto vale che mi faccia ‘sto riposo, che me lo merito.
GNEK.
Come non detto. È arrivato qualcuno.
Non faccio neanche la fatica di chiedermi chi è. Da parecchi giorni a questa parte una sola persona entra qui.
Di solito trasporta un cadavere.
Stavolta però non è così.
Anzi, aspetta che non vedo bene... e vieni più avanti, stronza...
No, per ora non se ne parla. La sento ansimare, appoggiata alla porta chiusa. Il suono arriva attutito.
Purtroppo, dalla mia posizione svantaggiata, non riesco a capirne bene il perché.
La ragazza chiamata Junko Enoshima pare non avere intenzione di muoversi da lì, anche se forse è solo perché è intenta a riprendere fiato.
Pare aver sostenuto una lunga ed estenuante corsa.
“Cazzo, ci è mancato tanto così. Quella troietta di Kirigiri...”.
Non che mi interessi davvero, ma... cos’ha combinato adesso? È la prima volta che la sento esprimersi in maniera tanto sboccata. Di solito, quando mi omaggiava con la sua compagnia, era sempre molto metodica e fredda in quel che faceva. Ci vuole metodo e freddezza nel riporre i corpi nelle celle, oh.
Mi incuriosisce sapere perché ogni tot porta qui uno dei suoi compagni di classe, defunto. La classe 78 è andata progressivamente... si può dire sparendo, dato l’altissimo tasso di mortalità.
Non me ne intendo, ma mi dà tanto la sensazione di essere un’omicida seriale che ha preso di mira quelli sfigati abbastanza da esserle vicino.
Ecco, ora la vedo un po’ meglio.
No, stavolta è sola. E ha una maschera sul volto.
Non capisco. Perché la maschera? Non si è mai fatta problemi a fare avanti e indietro in totale libertà, quasi fosse casa sua. E il fatto che non veda da un po’ altra gente a parte lei mi dà da pensare. Gente che respira, intendo.
Scomodo non avere le gambe per alzarsi e controllare di persona.
Si avvicina a una delle unità di conservazione, maneggia un po’ con il meccanismo di apertura e VRAM, spalancata.
Riconosco l’occupante di quel loculo: è sua sorella Mukuro. Nonostante le apparenze sono fisiognomico e di ottima memoria. E anzi, ora che mi sovviene lei è stata l’ultima altra persona che ho visto in giro da parecchi giorni, se non settimane. O forse mi confondo con quando l’ha portata qui, ora non ricordo bene.
La mia vita è dura, ok? Non pretendete troppo da me.
“Ciao sorellina. Come ti va? Tutto bene nella tua celletta frigorifera? Se vuoi posso portarti la tua pistola preferita per farti compagnia”.
...
Come immaginerete non sono proprio un espertone in merito, ma dubito che sia sano parlare a una salma con il tono di chi si aspetta una risposta. Ma magari mi sbaglio io.
“Ehi, cos’è questo trattamento del silenzio? Ti ho fatto qualcosa di male, per caso? Sembri uno di quei pagliacci tristi che ha perso il sorriso e la voglia di far ridere i bambini”.
...
A quanto ricordo Mukuro Ikusaba, l’ultima volta che l’ho vista, era crivellata di ferite su tutto il corpo. Non credo sia nelle condizioni di poter ribattere, sai?
“Dai, togliti quella smorfia dalla faccia. Ora io e te andiamo a fare un gioco divertentissimo. Eddai, non fare così. Ti prometto che, finito tutto, ti darò qualche poveretto da sbudellare per farti passare l’arrabbiatura. No, meglio: te li getto addosso già morti. Così assaporerai un po’ di disperazione di alta qualità. Non è splendido?”.
...
“No no no no no no, e su. Non mi devi trattare così, poi ci rimango male. Non sei per niente kawaii”.
...
Qualcuno chiami gli infermieri della casa di igiene mentale al posto mio, grazie.
“E comunque puzzi. Datti una lavata alle ascelle ogni tanto, sei orribile”.
...
Allora.
Tenendo conto che la signorina Enoshima è l’unica persona viva che vedo, che è lei stessa a portare i corpi per immagazzinarli qui e che ogni tanto è soggetta a sbalzi di umore e di personalità... c’è la possibilità che sia stata lei ad ucciderla.
Io mi sentirei preso in giro, fossi nella sorella.
Aspetta, appuriamolo.
“Mukuro, mi senti?”.
No, ma sul serio? Non credete nemmeno a questo? Voialtri siete proprio una razza strana e mentalmente chiusa come le gambe di una suora degna di questo nome.
“Sì oggetto, ti sento. Chi sei?”.
“Mr. Panno. Ho una domanda da farti, scoccio?”.
“Un po’, a dire il vero. Non vedi che ho ospiti? E non ospiti qualunque”.
“Ti chiedo solo dieci secondi”.
“E sia. Spara”.
“No, nulla. Volevo solo chiederti... ecco... se è stata lei a farti finire qui”.
“...non sei gentile a farti gli affari miei”.
“Lo so, scusa. È che sono curioso”.
“...ebbene sì, sono qui a causa sua. Gran brutto shock, devo dire”.
“E allora perché non la insulti e non le rinfacci il suo crimine?”.
“Forse perché non posso? Credo tu ti stia dimenticando che i morti non parlano ad alta voce”.
“Hai ragione, scusa. Tendo a scordarmi di questi dettagli”.
Interrompo la conversazione, avendo ottenuto ciò che cercavo.
“Il mio piano in due fasi ha trovato degli intoppi imprevisti nella prima metà, nella fattispecie quella ficcanaso di Kirigiri che mi ha impedito di disegnare un secondo sorriso sulla gola di Naegi. Nonostante i ritardi e i disguidi, però, la seconda metà è stata studiata e provata fin nei minimi dettagli. È a prova di bomba, è proprio il caso di dirlo”. E dicendo ciò si sfila la maschera e la mette sulla faccia di quella sventurata di sua sorella.
“Dimostrami il tuo amore per me”.
“Sempre e comunque, Junko”.
Brrrr. Se potessi rabbrividirei di fronte a questa ragazza. E di fronte al fanatismo di Mukuro.
“Guarda che ti sento, eh”.
“Mi spiace, non lo ritiro. Anche se per altri motivi, sei pazza tanto quanto lei”.
“Forse. Non è più cosa che mi riguarda, dato il mio stato di diversamente viva”.
La solleva, poi pare avere un flash di quelli che ti vengono quando ti ricordi di esserti dimenticato qualcosa. La riappoggia e velocemente mi prende da terra.
“Mi servirai. Per fortuna ho già preparato il sangue di gallina e il camice e l’esplosivo, manca solo il coltello che tengo nella gonna”. Poi mi avvolge attorno al corpo.
Usciamo, andando chissà dove.


Per gentile concessione di Mana Sputachu

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Capitolo 5
*** Di morte, amore e pinzillacchere ***


Titolo: Di Morte, Amore e Pinzillacchere.
Personaggi: Aoi Asahina, Makoto Naegi, Junko Enoshima, Mukuro Ikusaba.
Generi: introspettivo.
Traccia: C’è sempre un grano di pazzia nell’amore, cosi come c’è sempre un grano di logica nella follia (F.W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra), orfana. Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia centrata sul/sui protagonista/i (del prompt), ma scritta dal punto di vista di un personaggio secondario, anche se non necessariamente in prima persona.

Osservo Hagakure mentre si accinge a recuperare il congegno d’apertura.
È la fine di un incubo. Un incubo da cui, purtroppo, siamo usciti in pochi. Troppo pochi. E non è uscita la persona a cui tenevo, e tengo, più di tutte.
Cerco di scostare una lacrima mentre ripenso a Sakura-chan. Non vorrebbe che piangessi, non quando abbiamo finalmente trovato la luce in fondo al tunnel.
È il momento di sorridere. Dobbiamo farlo anche per loro, per quelli che non ci sono più.
Eppure...
Eppure la mia mente si ostina a sbattermi in faccia Ikusaba.
Ammetto che è strano, dovrebbe essere l’ultima persona di cui preoccuparsi. Anzi, in quanto parziale colpevole di questo crudele gioco delle uccisioni, penso avrei un sacco di buoni motivi per odiarla. Odiarla, relegarla in un angolo del mio cervello sotto la colonna Esseri la cui Esistenza mi Disgusta e dedicarmi a qualcuno di più meritevole.
Ma la storia sua e di Enoshima, così come è stata dedotta da Naegi e Kirigiri, mi lascia... perplessa? Rattristata? Dubbiosa di qualcosa che non so spiegare?
Bizzarro, me ne rendo ben conto.
Voglio dire, perché fare quello che ha fatto? Perché prestarsi a un simile teatro se, stando a quanto ci ha detto sua sorella, non ne era del tutto convinta?
L’unica spiegazione sensata che mi viene in mente è che le volesse talmente tanto bene da assecondarla in tutto e per tutto. E, sebbene la cosa mi faccia un pochino vergognare, mi posso identificare in un simile sentimento nei confronti di qualcun altro. Spero in maniera non così malata.
Accanto a me Naegi, quello che si può a tutti gli effetti definire il nostro salvatore, sembra perso nei suoi pensieri. Conoscendolo, credo stia rivedendo passargli davanti agli occhi tutti i nostri amici morti.
Tutto ciò è molto nobile da parte sua, ma penso sia più utile aiutare qualcuno che ancora respira. E in questo momento io rientro nella categoria.
“Naegi...” comincio, più timida di quanto vorrei.
“Uh? Asahina-san? C’è qualche problema?”.
“No, nessun problema. Volevo solo... farti una domanda”.
Allarga le braccia prima di esortarmi a porgliela.
“Ecco, stavo ripensando a Ikusaba ed Enoshima. Considerando che noi non ci ricordiamo nulla di quanto successo negli ultimi due anni, capisco se avrai difficoltà a rispondermi... però, ecco... uff, mi prenderai per scema...”.
Il suo sorriso è rassicurante quasi quanto quello di Sakura-chan, anche se lei lo sapeva dosare con consumata maestria per renderlo più prezioso.
“Non vedo perché dovrei fare una simile stupidaggine, Asahina-san. Abbiamo appena concluso un’avventura folle in cui una nostra compagna di classe aveva deciso che dovevamo ammazzarci a vicenda come animali per il suo trastullo personale. Tranquilla che ormai nient’altro potrebbe stupirmi, scandalizzarmi o farmi dubitare della sanità mentale di qualcuno”.
Non che abbia tutti i torti, a ben guardare.
“Quindi stai serena, poni la tua richiesta e se posso cercherò di aiutarti”.
Non è facile. Mi sento stranamente contrita, per non so quale cavolo di ragione.
Il suo sguardo interrogativo mi chiede silenziosamente di esprimermi che non mi mangia. No, non lo farebbe mai. Non lui.
“Scusa, non so perché faccio fatica. In fondo è una stupida curiosità che mi frulla in testa”.
“E allora parla in santa pace, non ti giudicherò se è questo che temi”.
“Va... va bene. Io mi stavo chiedendo... perché secondo te Mukuro Ikusaba si è comportata come si è comportata. Quel che intendo è... Enoshima ha detto che questa tremenda idea era tutta merito suo e che sua sorella si era solo prestata come una brava aiutante ubbidiente. Non ho potuto fare a meno di domandarmi a cosa fosse dovuto. Fanatismo? Un distorto senso del dovere? Troppo affetto?”.
A giudicare dalla sua espressione il mio dubbio era infondato: mi può prendere per tante cose, una che si fa troppi problemi in primis, ma per scema non credo mi ci prenderà. Perché dà la sensazione di dedicarsi con tutta la propria concentrazione e materia grigia alla questione, dandole quindi una certa importanza. La mano sul mento la dice lunga.
Poi il suo sguardo enigmatico si scioglie, si volta leggermente nella mia direzione e comincia: “Asahina-san, ricordo che una volta ho letto da qualche parte di un eminente filosofo europeo del 1800 che diceva qualcosa tipo c’è sempre un po’ di pazzia nell’amore, come c’è sempre un po’ di logica nella follia. Ho la sensazione che questa frase sia il riassunto ideale del loro rapporto, e anche dello stato psicologico di Enoshima. Perché immagino che, dal suo punto di vista, tutto questo delirio avesse un senso...”.
“Si sta riferendo a Nietzsche e la citazione è sbagliata” giunge dalle nostre spalle la voce di Togami, a cui entrambi rispondiamo con uno sbuffo e una non formulata richiesta di farsi gli affari suoi.
“Quindi stai dicendo che pensi Ikusaba si fosse... diciamo piegata alla sorella perché... la amava al punto di diventare un po’ pazza?”.
“Sostanzialmente sì, anche se pazza è una parola forte che non userei per Ikusaba-san. Pur riconoscendo la sua fetta di responsabilità per l’incubo che abbiamo vissuto, personalmente la considero una vittima tanto quanto noi. Anche se posso capire chi non è d’accordo con me. Per quanto riguarda Enoshima-san, invece... ovviamente per lei il discorso è diverso. E nonostante questo la frase mi sembra comunque azzeccata, perché come ti ho già detto temo che lei trovasse tutto ciò sensato, persin giusto. Rabbrividisco alla prospettiva di scavare e capire il funzionamento di quella mente, sempre che sia possibile”.
“Sì, in effetti ho passatempi più sfiziosi”.
“Però continuo a credere che, in una maniera tutta sua, ci fosse uno scopo. O almeno una parvenza”.
“Cosa te lo fa pensare?”.
“Niente in particolare. È un’impressione a pelle, senza base. Ma sento che era così”.
“Non c’è scopo nella schizofrenia” si intromette ancora Togami. Da quand’è che è diventato così chiacchierone se non interpellato direttamente?
Lo ignoriamo. Dev’essere uno stimolo nuovo per lui.
Discutiamo ancora un po’, con Naegi che continua a sostenere il suo punto di vista senza fondamento. Non sarò io a dirgli che sbaglia, d’altronde il debito di gratitudine che tutti noi abbiamo nei suoi confronti gli lascia margine per dire quello che gli pare. E comunque non sono neanche così sicura che non possa aver ragione, quindi...
Poi Hagakure, dopo quella che è sembrata un’eternità, torna col telecomando e lo consegna a Kirigiri, la quale si avvia verso l’ingresso senza dire una parola.
Qui qualcuno ha una voglia matta di mettere il naso fuori da questa prigione. Sarebbe stupido pensare che sia l’unica.
Ma sì, basta parlare di quella squilibrata di Enoshima. Siamo liberi.
Pian piano cominciamo a seguirla, in silenzio.

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