1_Picture of you and I in love
Picture
of you and I in love
Capitolo uno
Jay
Strinsi forte le coperte con le dita, mi ostinai a tenere chiusi gli
occhi, ma ormai era tutto finito e non sarebbe più tornato indietro.
Per quanto mi sforzassi di trattenere il sogno, ormai gli ultimi colori
stavano sbiadendo e quel sorriso che mi faceva tanto male scomparve in pochi
istanti.
Rilassai lentamente le mie dita contratte e aprii gli occhi.
Era ancora notte, dalla finestra si poteva vedere la luce al neon del
ristorante, che si trovava dall’altra parte della strada, lampeggiare ad
intermittenza.
I primi giorni, quando mi ero appena trasferito in quel buco di
appartamento, avevo trovato molto difficile chiudere occhio a causa di
quell’illuminazione color ciliegia, ma poi ci avevo fatto l’abitudine e in poco
tempo era diventata come la lucina, che tenevo accesa la notte sul comodino
quando avevo cinque anni, per sconfiggere la mia paura del buio.
In strada si sentiva il rumore delle auto, voci, ma soprattutto il suono
vagamente rilassante della pioggia, mentre nella mia stanza l’unico suono percettibile
era il mio respiro, ancora affannato per il sogno.
Imprecai piano, prima di rigirarmi nel letto e di litigare con le
coperte che si ostinavano a scivolare giù dal letto, mentre lo sguardo si
soffermava per pochi istanti sulla scatola che avevo accanto al letto.
Sentii una fitta all’altezza del petto, riuscendo a distogliere lo
sguardo in poco tempo e ad impedirmi di ricordare, ostinandomi ad insultare il
proprietario dell’auto in strada, a cui era partito l’antifurto e che mi stava
facendo innervosire ancora di più, per non pensare ad altro.
I numeri verdi della sveglia indicavano che era solo mezzanotte, avevo
dormito si e no un’ora e sentivo che gli occhi mi si stavano di nuovo per
chiudere.
I pensieri confusi del dormiveglia mi avevano sempre affascinato; una
volta avevo iniziato col ricordare di quando da piccolo mia madre cucinava i
muffins al cioccolato, fino ad arrivare alla terza superiore quando mi ero
fatto una del quarto anno in bagno, insomma, da un’estremo all’altro in pochi
secondi e trovando dei collegamenti tra gli avvenimenti della mia vita del
tutto inesistenti o complessi da capire in momenti come quello; quando cominci
a sentire un piacevole torpore avvolgerti e inizi a pensare che presto il sonno
ti porterà via.
L’urlare e cantare in strada della gente si trasformò lentamente in un
brusio di sottofondo vagamente piacevole, ma l’istante di quasi totale relax
venne interrotto dal rumore forte e fastidiosi di un clacson in strada, mentre
un uomo insultava qualcuno che a quanto pare aveva attraversato, senza prima
guardare la strada.
Sospirai infastidito, prima di sollevarmi e di camminare verso la
finestra.
L’aria pungente della notte mi fece venire la pelle d’oca, mentre
lanciavo uno sguardo di puro odio alla gente in strada, chiedendomi se nemmeno
la pioggia di quella notte poteva far tornare a casa propria quelle persone.
Ero solo.
Io, che avevo sempre pensato di essere circondato da persone sincere, mi
ritrovavo solo.
Ero stato un ingenuo, ma principalmente ero un egoista bastardo ed ero
certo che quella solitudine non sarebbe durata in eterno.
Non per me.
Tornai a guardare il mio letto e sentii una strana sensazione quando lo
vidi vuoto.
Finii per inciampare sulla scatola di cartone, che si trovava tra il
letto e la finestra, facendo uscire da essa degli oggetti e un album di
fotografie.
Pensai di tornare a dormire e di mettere tutto a posto il giorno dopo,
ma poi cambiai idea.
Accesi la luce e mi accoccolai nel letto con quell’album tra le mani.
La copertina rigida era color muschio e aveva sopra raffigurate delle
foglie leggermente più chiare, mentre la scritta: “Fotografie” spiccava essendo
color bianco.
Avrebbe fatto male sfogliare quelle pagine, lo sapevo, eppure avevo
bisogno di dimostrarmi che tutto quello che era successo non era semplicemente
un sogno, ma qualcosa di reale, palpabile... come una fotografia.
Raggiunsi la pagina che cercavo con una strana ansia e disperazione,
sfiorai i due visi sorridenti e felici nell’immagine e provai una stretta al
cuore ricordando ogni cosa, ogni singolo ieri che avevo bruciato e posto
ordinatamente nel dimenticatoio, ogni sguardo, ogni bacio, ogni carezza, ogni
sorriso, ogni attimo rubato e ogni sogno infranto.
I miei occhi non riuscivano a lasciare quelli nella foto, quelli che
possedevano un magnifico color nocciola misto verde, quelli che avevo sognato
neanche cinque minuti prima, quelli che era inutile provare a dimenticare
perché sarebbero sempre rimasti nella mia mente.
Il suo viso sorridente, le labbra carnose, i capelli ricci e bruni, il
naso regolare, il piccolo neo che si trovava sul suo braccio destro...
Era inutile mentire: mi mancava.
La mia Katy.
Chiusi di scatto l’album e lo buttai a terra, furioso con me stesso, mi
portai le mani tra i capelli e abbassai il viso, mentre cercavo inutilmente di
trattenere le emozioni e di non mettermi assolutamente a piangere. Le lacrime
non scesero, ma i singhiozzi mi scossero il corpo in modo vergognoso. Mi
sentivo un bambino piccolo ed indifeso, inutile e debole.
Non aveva senso piangersi addosso, ormai era finita, le avevo spezzato
il cuore come un vero bastardo ed egoista e, mentre l’avevo fatto, mi ero
sentito me stesso, prima di rendermi conto che avevo sbagliato tutto con lei.
Avevo buttato nel cesso cinque mesi, cinque mesi della mia vita sprecati
nel tentativo vano di farla innamorare di me, per poi rendermi conto, una volta
lasciata, che le mie intenzioni mi si erano ritorte contro.
Perché mi ero innamorato io.
E se all’inizio era iniziato tutto come un gioco, adesso ripensandoci mi
sembrava un sogno triste e senza lieto fine.
Quella foto era l’unica cosa che rimaneva di quel sogno, l’unica cosa
che mi permetteva di ricordare che era successo davvero, ogni singolo gesto,
ogni singolo sorriso e ogni singolo giorno e notte passata insieme.
Da quando l’avevo vista la prima volta in quel locale e mi ero
avvicinato chiedendole il numero e lei mi aveva riso in faccia prima di
andarsene con le sue amiche, da quando l’avevo incontrata di nuovo
nell’officina dove lavorava mio zio e dove avevo portato la mia moto a
riparare, da quando ero riuscito a convincerla che non ero del tutto un
coglione e che di me ci si poteva fidare, da quando era diventata un’amica
necessaria e, solo successivamente, la mia ragazza.
Fino alla fine le mie intenzioni con lei non erano mai cambiate, tutto
quello che volevo era che abbassasse le sue difese, quei muri che aveva
costruito in profondità nella sua anima e che mi lasciasse entrare nella sua
vita.
Quando ci ero riuscito, avevo creduto di non voler più niente da lei e
da vero bastardo l’avevo lasciata, le avevo detto addio per sempre e in
quell’istante avevo veramente creduto che fosse la cosa giusta da fare.
E tutto quello che mi rimaneva di lei era quella foto, quella foto
dimostrava che era accaduto d’avvero, che avevo davvero vissuto quei cinque
mesi con lei.
Quella foto di noi due innamorati.
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