Annie

di Alfred il sanguinario
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Non sono mica scema! ***
Capitolo 2: *** Il segreto di Mimi... ***
Capitolo 3: *** Risveglio ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 - Non sono mica scema! ***


Henry Brooks osservava attentamente la cartella clinica della futura paziente. Gli avevano comunicato che sarebbe arrivata nel pomeriggio: il viaggio era lungo e poteva impiegare anche tre o quattro ore.
Il dottor Brooks bevve un sorso di cappuccino dalla tazza di bianca porcellana sporca e scheggiata sull’estremità destra. Continuò imperterrito a leggere la cartella clinica e osservare la foto della paziente.
La paziente avrà avuto sì e no undici anni. I capelli neri le cadevano sulle spalle, la carnagione olivastra lasciava chiaramente intravedere le occhiaie e i graffi sul volto. L’espressione lasciava intravedere odio e noia: gli occhi a mezz’asta, il volto corrugato, e la bocca aperta, ma senza che si vedesse la lingua, come se stesse borbottando qualcosa a denti stretti proprio mentre gli veniva scattata la fotografia.
“Dottor Brooks” disse una voce che proveniva dall’altra parte della porta di legno marcio e semidistrutto.
L’uomo alzò lo sguardo dalla cartella clinica e pronunciò uno stanco: “Avanti.”
La sua assistente, una donna alta, magra, dai capelli e la carnagione scuri, con in testa una fascia rossa a fiori, entrò nella stanza.
“Cosa c’è, Mimi?” chiese l’uomo.
La donna si appropinquò al dottore.
“E’ arrivata la dottoressa Martin, con la nuova paziente.” disse, sbattendo con fare annoiato una pila di fogli disordinatamente legati da un elastico sulla scrivania.
Il dottor Brooks guardò per un momento l’orologio che aveva al polso, nonostante fosse certo di avere ragione.
“E’ l’una di pomeriggio.” disse, con tono da rimprovero.
L’assistente strinse i pugni, per trattenere la rabbia.
“Non decido io l’orario dell’arrivo dei pazienti.” disse, lasciando trasparire un filo d’inquietudine.
Il dottore alzò le sopracciglia. “Era un appunto.” disse, alzandosi in piedi.
Mimi, la giovane assistente, girò i tacchi e in un baleno sparì, sbattendo fragorosamente la porta.
La ragazza attraversò il corridoio e giunse in sala d’aspetto, dove c’erano la direttrice dell’ospedale psichiatrico in cui lavoravano, Sabrina Fourner, e la dottoressa Martin.
La dottoressa, una nanerottola dai capelli biondi tinti, teneva stretta per un braccio una ragazza sugli undici anni. Era lei, la paziente.
Quando Mimi entrò, sia l’infermiera che la direttrice dell’istituto alzarono lo sguardo su di lei, mentre la paziente teneva lo sguardo ostile fermo sul pavimento.
“Mimi” disse Sabrina “questa è la dottoressa dell’ospedale da cui proviene la nostra paziente; si chiama Mariah Campbell. Lei invece è la nostra nuova paziente, si chiama Annie Massey.”.
Mimi annuì. Il tono che usava sempre Sabrina, la inquietava ogni volta di più. Un tono soave, che nascondeva un sacco di cattiveria. Lei conosceva male Sabrina, ma si raccontavano un sacco di cose su di lei, tra gli assistenti e gli infermieri. Ovviamente l’accusavano di essere avida come il demonio, di aver costruito il St. Catherine Institute solo per guadagnare soldi.
Ma altre voci, che sentiva mentre stava in segreteria, a poltrire, da alcune infermiere che passavano di lì per pulire la biancheria, parlavano di maltrattamenti indicibili sui pazienti, e la accusavano in prima persona.
A Mimi faceva uno strano effetto quella donna. Era abituata a immaginare le direttrici dei manicomi come delle donne di mezza età grasse, incuranti di tutto e di tutti e brutte. Invece Sabrina poteva essere considerata bella: aveva più o meno venticinque anni, un sorriso sempre smagliante, la carnagione chiarissima, i capelli neri e un fisico da fotomodella.
“Io devo tornare a casa.”
Una voce roca, bambinesca e sull’orlo di diventare furente distrusse tutti i pensieri di Mimi. A parlare era stata proprio la paziente, Annie.
La ragazzina non ottenne risposta.
“Accompagna Annie nella sua stanza, Mimi.” le ordinò Sabrina.
Mimi non disse niente, si limitò a prendere per il braccio la ragazzina e farle strada.
Molti pazienti gravi, come sembrava essere quella bambina, camminavano e parlavano lentamente. Annie invece camminava spedita, tranquilla, ma nonostante ciò parlava con voce roca e con qualche difficoltà.
“Dove siamo?” chiese la ragazza, quando imboccarono uno stretto e polveroso corridoio.
“Al St. Catherine, a Liverpool.” le rispose Mimi.
In meno di cinque minuti arrivarono davanti alla camera di Annie.
Mimi aprì la porta e le mostrò la branda e il rudimentale tavolino apparecchiato. Tutte le pareti bianche, senza nessuna finestra.
“Questa è la tua stanza, Annie.” le disse.
Annie le lanciò uno sguardo inceneritore.
Mimi sorrise, compassionevole nel vedere Annie ammucchiare le sue cose nella stanzina.
“Non sei più a Belfast, Annie, siamo a Liverpool adesso.”
Annie alzò lo sguardo e le sorrise beffarda. “Guarda che non sono mica scema.” disse. La sua voce ora era diversa… non aveva più quel timbro sofferente e roco, come rotto dal pianto. Era una normale voce, per giunta un po’ beffarda.
Mimi restò a bocca aperta. “Se no perché saresti qui?”
Annie fece spallucce, poi si avvicinò lentamente all’infermiera, fino a portare la sua fronte a pochi centimetri dal mento di Mimi.
“Io sono qui per molte e svariate ragioni.” disse sottovoce. Poi si avvicinò all’orecchio dell’assistente.
“Ma so parlare. E ricordo ogni giorno della mia vita.” le bisbigliò all’orecchio.
Annie si allontanò, con un sorriso beffardo stampato sul volto, e si sedette sulla brandina.
“Ora puoi andare, Mimi.” le disse.
L’assistente cercò di sembrare il meno scioccata possibile quando si richiuse alle spalle la pesante porta di acciaio. 

Rieccomi. Con un'altra storia. A capitoli. Così ne inizierò così tante che alla fine non ne continuerò neanche una!!! yeeee! Basta con questo ottimismo, se v'intriga leggete, se non v'intriga leggete, se avete voglia recensite se non avete voglia recensite. 
Alla prossima. 


 

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Capitolo 2
*** Il segreto di Mimi... ***


 
“Ti rendi conto?” esclamò Mimi.
Tutto il suo stupore e furore si bloccarono non appena notò l’espressione indifferente di Monica.
“Mimi, per me stai esagerando!” disse la donna.
Come sospettava. Monica era la migliore collega che potesse desiderare, lì al St. Catherine, ma era incredibilmente scettica e perennemente incurante di tutto. Certo, neanche lei voleva fare dell’inutile allarmismo su una bambina che diceva tutto ciò che pensava, ma non pretendeva questo.
“Sapevo che non avresti capito, Monica.” Disse. Se si fosse trattato di un’altra persona non l’avrebbe mai detto, per paura di ferirla e di perderla, ma la freddezza di Monica rendeva questo abbastanza improbabile.
La collega sorrise. Si scostò una ciocca di capelli rossi dal viso e disse: “Guarda, dovrei andare proprio adesso a prendere le lenzuola sporche di Annie.” Disse. Poi alzò lo sguardo verso Mimi. “vuoi venire anche tu?”
Mimi non capiva perché avesse accettato. Percorreva i freddi e marmorei corridoi dell’ospedale, preceduta da Monica. Ormai non poteva farsi indietro. E poi Annie era solo una bambina, per giunta bassa e mingherlina; non poteva farle niente.
“Ciao!” a raggiungerle era Brad. Un altro infermiere dell’ospedale; capelli neri, volto chiarissimo, tanto alto quanto robusto.
“Ciao” le disse distrattamente Mimi. Brad gli stava simpatico, ma non era certo il tipo di persona pronta ad aiutarti in qualsiasi circostanza. Si poteva definire un uomo profondo, colto e interessante, ma sicuramente non altruista.
Monica nemmeno rispose. Si limitò a tirare praticamente in faccia all’infermiere delle lenzuola.
“Che schifo!” esclamò lui.
Monica alzò gli occhi al cielo. “Sono le lenzuola pulite, devi distribuirle!”
Senza aggiungere altro, Brad scomparve alle loro spalle.
Ripresero a camminare, finché non si fermarono vicino al bagno.
Monica si voltò verso Mimi. “Okay, io devo andare qui a cambiare gli asciugamani, tu intanto vai da Annie.”
Mimi sentì rodersi il fegato. “Avevi detto che ci saresti venuta anche tu!” sibilò.
Monica alzò gli occhi al cielo. Era parecchio acida quella mattina.
“Di certo non ti uccide!” disse.
Mimi sentì il respiro che si faceva irregolare. I polmoni le pulsavano e l’aria che respirava sembrava fredda.
“No!” disse.
Monica aveva raccolto gli asciugamani da sostituire. “Va bene” disse con tono arrendevole “aspetta solo che cambi gli asciugamani e verrò anch’io da Annie…” detto questo sparì nel bagno. Un freddo e schifoso antro che tutti, pazienti e personale, cercavano di evitare.
Mimi sentì l’ansia trasudarle fuori dal corpo come gocce di pioggia su un impermeabile. Forse  era vero, forse aveva esagerato. Ma ora, comunque fosse, non sarebbe tornata da sola da Annie. E questo le bastava.
Il corridoio era deserto. Non un’anima viva. Mimi sospirò. Ripensò a quando mise piede in quell’istituto, a quanto le fosse sembrato strano e terrificate fin dall’inizio, a quanto Sabrina, la direttrice, le fosse sembrata viscida e fredda sin dal loro primo incontro.
“Mimi!!” strillò qualcuno. Non un anonimo qualcuno, ma quel qualcuno. La voce che le era sempre sembrata calda e confortante, ma allo stesso tempo spenta e fredda, che ora assumeva un diverso tono… Monica!
La ragazza si precipitò verso il bagno.
“Tutto bene?” chiese.
Il silenzio. Solo lo scroscio d’acqua di un rubinetto aperto.
Il pavimento era bagnato. Guardò a terra. Gli asciugamani! Gli asciugamani che Monica doveva sostituire erano lì, buttati a terra l’uno sopra l’altro, fradici e disordinati.
“Monica.” Disse, sempre più inquietata.
Un cambio dell’atmosfera della stanza. Un cambio repentino, netto. Il rubinetto aperto si era spento. Qualcuno aveva tirato la manopola. Mimi si voltò di scatto. Nessuno.
Si avvicinò cautamente al rubinetto, quasi fosse quell’oggetto la causa dell’incubo che stava vivendo. Per poco non trasalì.
Sangue. Era pieno di sangue. Sangue denso, con quell’odore metallico, riempiva la vasca del rubinetto, scorreva in direzione del tubo di scarico. Quel movimento così circolare e impietosamente periodico svuotò la testa di Mimi. Osservava quel ciclo, quel liquido sinonimo di dolore, di pianti, di morte.
“Ciao, Mimi LeBlanc.” Disse qualcuno alle sue spalle. Si voltò di scatto.
Quella voce. Quell’apparentemente innocente voce. E quel viso. Pelle olivastra, lentiggini, capelli lunghi, setosi e neri. Quell’essere, o bambina, che dal giorno prima riempiva i suoi pensieri.
Annie.
Mimi riuscì a bisbigliarlo.
“Che ti succede, Mimi?” chiese Annie. “per caso non trovi più la tua amichetta?”
“Sta lontana da me!” strillò la donna non appena Mimi fece un passo avanti.
“Hai paura di me, Mimi?” chiese lei, con un tono innocente e vagamente canzonatorio. “eppure, non avevi paura del tuo papà?” disse.
Mimi sentì il cuore batterle ancor più velocemente. Papà. Solo quella parola la faceva stare in ansia. Sentì le punta delle dita fredde, e avvertì una certa nausea, che le impediva di affrontarla. Quell’essere, quella maledetta… come diavolo sapeva di suo padre?
“Il tuo paparino.” Riprese Annie avvicinandosi a lei. “sempre pronto a prenderti a schiaffi, a picchiarti, a umiliarti.”
“No…” bisbigliò Mimi.
“E il tuo fratellino… quanto eri impotente per impedire che il tuo paparino lo uccidesse.” Le si avvicinò ancora di più. “la verità è che tu non eri impotente” bisbigliò. “potevi salvarlo, potevi salvare quel tuo piccolo fratellino dalla furia di un vecchio signore giunto allo stremo delle sue forze, ma…” concluse la frase come se volesse assaporare le parole mentre passavano sulla lingua. “non l’hai fatto.”
Il segreto di Mimi. Il senso di colpa che la assorbiva ogni mattina. Il ricordo di suo padre, un anziano ma ancora violento padre, che stritolava una creatura innocente. La sua creatura innocente. Tutto si fece nitido nella mente di Mimi, al punto da oscurare Annie che si sbellicava dalle risate, e che, prima di lasciare il bagno diceva: “Ah, mi raccomando… terza porta a sinistra!”
Mimi cadde a terra. Aveva paura di aprire gli occhi, ma anche di chiuderli. Di rivedere quella scena orribile, quella dell’omicidio di suo fratello, di suo padre che si macchiava di un delitto imperdonabile.
La voce di suo fratello. L’ultimo grido fatale di quel piccolo bambino: “Mimi, aiutami!”, le risate di Annie, le urla di suo padre, il grido straziante di Monica… Monica!
Con la poca forza che le rimaneva, Mimi si trascinò, immersa fino al collo in quella schifosa acqua, fino alla terza porta da sinistra. Quella menzionata da Annie.
No, non avrebbe dovuto aprirla. Monica era lì; gli occhi glaciali, il sangue sul volto, il coltello ancora piantato sul petto.
Tutto girò.
E Mimi cessò di ricordare, di pensare…
“Mimi!” l’ultimo grido era un misto fra le voci di suo fratello, di suo padre e di Annie. E anche di Brad. Forse stava arrivando. Stava arrivando per salvarla e incastrare Annie. 



Eccomi con un nuovo capitolo di Annie. Ovviamento so che ho fatto passare così tanto tempo che è impensabile che gli stessi recensori recensiscano (scusate la ripetizione) la mia storia, ma... Amen. Se v'intriga leggete, se non v'intriga non leggete, se avete voglia recensite, se non avete voglia recensite. Punto. Al prossimo capitolo (si spera un po' prima ;))

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Capitolo 3
*** Risveglio ***


 
“Dove sono?” fu la prima domanda che venne in mente di fare a Mimi, distesa su un letto, circondata da voci che le apparivano solo fastidiosi suoni.
Non riuscì a dire niente, però. Sentiva un forte dolore percorrerle il torace, quasi i polmoni le fossero stati spappolati. Ogni respiro provocava dolore, e ogni pensiero provocava confusione. Tentò di aprire gli occhi, per capire dove si trovava. Se lo impose.
Riuscì a vedere, in modo sfuocato e confuso, le luci del suo lampadario. Non amava quel lampadario, avrebbe voluto cambiarlo, ma in quel momento fu la cosa migliore che potesse vedere. “Sei a casa, Mimi” sembrava dirle quell’oggetto, fermo e sospeso nell’aria, che trasmetteva la sua luce calda sulla stanza.
L’udito era ancora offuscato, e non aveva la forza di voltarsi, per vedere se quei rumori erano provocati da persone o da qualcos’altro.
Sentì una mano fredda, sudaticcia e umida afferrarle il braccio. Emise un rantolio. Chiunque fosse quella persona, le stava posizionando un qualcosa dagli odori forti sotto il naso. Mimi si sentì d’un tratto più lucida.
“I Sali” pensò “sicuramente sono i sali”
Aprì gli occhi del tutto. Aveva riacquistato l’udito. Non era ancora in forze, ma i dolori sembravano essersi attenuati.
“E’ sveglia!” disse qualcuno. Ora poteva riconoscerla… Sabrina!
D’istinto voleva alzarsi e fuggire, ma quella donna rimaneva sempre la sua datrice di lavoro. E anche la persona che l’aveva fatta risvegliare.
Mimi si voltò. Era seduta sul suo divano. Il suo amato divano.
Brad le si avvicinò.
“Come va?” chiese.
“Annie.” Fu la prima cosa che disse.
Brad parve confuso. “Annie… cosa?”
Il dubbio che Annie potesse non essere stata colta in flagrante da Brad e gli altri la sfiorò solo allora. E mentre il dubbio la sfiorava, doveva già elaborare che era definitivamente accertato. Un pugno nello stomaco, insomma.
“E’ stata lei ad uccidere Monica!” disse.
Tutti i presenti si lanciarono sguardi interrogativi.
“Monica?” chiese Sabrina.
Mimi deglutì. Il tono della donna era interrogativo, ma, dato il suo carattere, non dava mai l’idea di una che ti dava ragione.
“Monica è stata… uccisa.” Bisbigliò Mimi.
Sabrina si scostò una ciocca di capelli neri come la pece dal volto, in contrasto bianco come il latte. Arricciò le labbra, rosse e carnose, ma per nulla strette.
“Noi la davamo per scomparsa, ma… certo, se ne sei più che sicura” disse. Il suo tono, mascherato da una perenne quanto fasulla cordialità, lasciava trasparire tutto l’egocentrismo che occupava quasi interamente il suo snello corpo.
Eppure la frase non suonava minacciosa. Non aveva neanche contestato che i medicinali e lo svenimento potessero farle credere di aver vissuto ricordi inesistenti. Cosa che da lei si sarebbe aspettata.
“E’ stata Annie, ne sono certa!” disse Mimi.
Sabrina scosse la testa, nascondendo sempre il suo furore dietro il sorrisetto che la contraddistingueva. “Questo non è possibile” cinguettò “perché Annie era nella sua stanza.”
“Forse è uscita!” obbiettò la ragazza.
“Le porte di metallo pesano quasi un quintale.” Disse.
Era vero. E Mimi ne era consapevole. Uscire dalle stanze senza che nessuno ti aprisse era impossibile… almeno quanto conoscere tutti i segreti di una persona vista solo una volta! Forse Annie sfuggiva alle regole della natura…
Mimi stette zitta. 



Bene. Questa volta ho aggiornato più velocemente rispetto alla prima volta, ma sicuramente non c'ho messo poco. Prometto (parola di lupetto) che aggiornerò il più presto possibile il prossimo capitolo. Mi scuso se il capitolo può risultare troppo breve e scarno di avvenimenti. 

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