Military Academy Of Love

di Mortisia_Ailis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Olimpia appoggiò il suo borsone sul baule alla fine del letto, si sedette sul materasso ed accarezzò la coperta di lana infeltrita. Questa coperta mi pruderà. Chiuse gli occhi per qualche minuto prendendo un profondo respiro. L’immagine di lei e sua madre che si abbracciavano nel parcheggio dei dormitori le invase la mente. La stava vivendo come uno spettatore esterno: sua madre che la stringeva forte a sé raccomandandole di rispettare le regole, di chiamare quando avrebbe potuto, di coprirsi bene quando avrebbe avuto freddo e di mangiare la verdura. Olimpia odiava la verdura. E suo padre, con quello sguardo fiero perché sua figlia – la sua unica figlia – stava prendendo la strada che avrebbe voluto seguire lui ma che per problemi di salute non ha potuto e che avrebbe reso fiero suo padre, nonno di Olimpia. Sentì un profumo di lavanda, quello che sentiva sempre quando rientrava in casa sua, mentre l’immagine dei suo genitori salutavano con la mano Olimpia mentre lei entrava nel dormitorio femminile nella Scuola Militare Aeronautica di Firenze. Ma quando Olimpia riaprì di nuovo gli occhi non si trovava a casa sua ma in una delle tante stanze del dormitorio femminile, il profumo di lavanda non era del diffusore di profumazione che sua madre teneva sul mobile delle chiavi nell’entrata di casa loro vicino ad una conchiglia del viaggio in Grecia di qualche anno prima, ma bensì di una ragazza che prese il letto accanto al suo. Aveva i capelli biondi legati in una coda. Era piegata sul suo borsone intenta a disfarlo. Il letto era pieno dei suoi pochi vestiti che era permesso di portare, della sua trousse da bagno rosa confetto ed un accappatoio anch’esso rosa. Un piccolo cuscino con una scritta ricamata “Fai dei bei sogni”.
Olimpia si alzò dal letto e prese il borsone. La sua intera vita, adesso, era dentro quel vecchio borsone rosso e blu. I suoi vestiti, quelli preferiti, erano ben piegati e divisi in buste sottovuoto. La sua trousse da bagno blu a pallini bianchi, il suo accappatoio verde, le sue infradito bianche con le palme blu prese a Los Angeles. La felpa grigia di Abercrombie, quella del suo ragazzo, Alessandro, che gliela diede il giorno prima quando si erano salutati. “Indossala quando sentirai la mia mancanza, indossala di notte e con il mio profumo intriso nel tessuto sarò sempre lì con te” le disse prima di lasciarle un tenero bacio sulle labbra con la tristezza di non sapere quando l’avrebbe rivista ma con la speranza di riaverla presto tra le braccia.
La foto di lei e dei suoi genitori, tutti insieme nella loro vacanza a Napoli. La foto di lei e Alessandro la prima volta che si erano conosciuti. La foto di lei e la sua migliore amica, Giada, e il loro braccialetto dell’amicizia “ricorda la promessa: non lo toglieremo mai, anche a costo di tagliarci un braccio, ma il bracciale da polso non deve sparire”. Quel bracciale in corda azzurra con le loro iniziali divisa da un cuore. E per ultima, ma non meno importante, anzi forse la foto più importante di tutte, quella di lei e suo nonno il giorno del suo quattordicesimo compleanno.
Ripose il borsone vuoto sotto il letto e il resto delle sue cose nel baule, prese la sua uniforme – quello che sarebbe stata per i prossimi mesi – la camicia azzurra, il maglioncino blu, la cravatta blu, il pantalone scuro e le scarpe nere. Nel baule c’era anche la divisa ufficiale: la camicia bianca, la giacca, un altro pantalone scuro, il cappello, i guanti e le scarpe. Ecco, in qual baule, era rinchiusa la sua intera vita, ma ad Olimpia andava bene così. Ad Olimpia piaceva.
“Io sono Camilla, e tu?” la ragazza dai capelli biondi, sporta dal letto su cui era seduta, con la mano tesa in avanti e un sorriso sul viso, aveva strappato Olimpia dai suoi pensieri. Si sedette anche lei sul letto e strinse la mano a Camilla “Io sono Olimpia” e sorrise.
Gli piaceva il suo nome, per quanto strano fosse. Derivava dal greco, significava ‘abitante dell’Olimpo’. Lo aveva scelto suo padre, professore di greco al liceo e appassionato dell’Iliade. Certo, non era un nome molto conosciuto e da piccola la prendeva in giro e la consideravano strana per questa cosa, ma a lei piaceva e non si curava molto di quello che dicevano e pensavano gli altri di lei.
“Mi piace il tuo nome, sembra un nome di una guerriera. Proprio adatto a questa scuola!” Olimpia sorrise alle parole di Camilla. Era la prima persona a cui piaceva il suo nome, esclusa la sua famiglia, ed era la prima volta che qualcuno la definisse ‘guerriera’. Forse Olimpia aveva trovato la sua prima amica nell’accademia?
Dall’altra parte del campus, nel dormitorio maschile, Luca e il suo migliore amico Andrea si battevano per avere il letto vicino al muro, quello in fondo la stanza. “Sei solo un’idiota Avesani” , “E tu un pappamolla, Franchi.” I due ragazzi si erano conosciuti il primo anno in quella scuola. Erano diventati amici proprio mentre litigavano per chi prendesse l’ultimo letto tra loro due, proprio come in quel momento. Compagni di stanza, di lezioni, di guai. Migliori amici da tre anni ed inseparabili. Alla fine, proprio come il primo anno e il secondo, Luca batté Andrea e si aggiudicò lui il letto. Sistemarono le loro cose, s’infilarono le divise e con il libro di matematica in mano si avviarono entrambi a lezione.
Durante il tragitto dal dormitorio alla scuola vera e propria dove c’erano tutte le classi, i due ragazzi si raccontarono le loro vacanze estive. Andrea era tornato a Milano dalla sua fidanzata, poi a metà Luglio insieme ai suoi amici di Milano trascorse alcune settimane a Genova. Luca, invece, tornò a Verona da sua madre. Trascorse l’intera estate nella sua amata Verona, tra uscite con gli amici e nuove conquiste, i tre mesi estivi passarono in fretta tanto che non si accorse che era arrivato Settembre e il momento di ritornare alla vita militare.
Olimpia e Camilla attendevano da circa dieci minuti il foglio con l’orario delle lezioni in segreteria e quando lo ricevettero da una segretaria di mezza età e troppo bassa per il bancone, salirono le scale per il primo piano classe 214.
La prima ora trascorse lenta ed impegnativa, le due ragazze non si aspettavano che già dal primo giorno iniziassero a studiare i primi argomenti duramente ma non rimasero tanto stupite da ciò, era pur sempre una scuola militare. La seconda ora di Olimpia era fisica e, purtroppo per le due ragazze, non era la stessa di Camilla. Andarono in direzioni diverse.
Olimpia era così concentrata a cercare una penna nella sua borsa a tracolla da non accorgersi di dove andasse e Luca era troppo impegnato a raccontare ad Andrea una delle sue avventure estive da non vedere Olimpia camminare nella sua stessa direzione. I due si scontrarono e il contenuto della borsa di Olimpia si riversò a terra. Entrambi si guardarono e rimasero entrambi senza fiato. Olimpia non aveva mai visto un ragazzo così bello e anche Luca non aveva mai visto una ragazza così prima d’allora. Luca era alto, i capelli castani erano corti, quasi rasati. Gli occhi verdi. Occhi come quelli avrebbero dovuto essere vietati, oppure bisognava promulgare una legge in base alla quale i ragazzi con occhi così belli potevano circolare solo con gli occhiali da sole. Dio quanto era bello Luca! Quegli occhi verdi come un prato in primavera, le labbra piene e ben disegnate, rosse a forma di cuore, e la pelle chiara: tutto di lui era perfetto.
Olimpia era un po’ più bassa di Luca, gli arrivava all’incirca sotto il mento, con i capelli castani scuri quasi neri e gli occhi azzurri. Gli occhi più azzurri che Luca avesse mai visto. Più azzurri del cielo. Così cristallini, sembrava di specchiarsi nell’oceano, in quell’acqua così chiara che si trova solo nell’isole afrodisiache.
Si abbassarono entrambi nello stesso momento per raccogliere le cose di Olimpia e sbatterono le fronti l’una contro l’altra. Olimpia si toccò la fronte con una mano mentre con l’altra apriva la borsa e Luca infilava alla rinfusa e velocemente le cose. La ragazza si alzò in fretta, guardò Andrea quasi spaventata e superandolo velocemente, continuò per la sua strada con la borsa stretta al petto.
Luca si alzò di scatto voltandosi nella direzione in cui Olimpia era fuggita e la vide camminare in fretta verso le scale, “Ei aspetta, come ti chiami?” urlò, ma la ragazza era già troppo lontana per sentirlo. Luca abbassò lo sguardo sulle sue mani dove stringeva una foto: era una ragazzina e un signore anziano. Era caduta dalla borsa della ragazza e lui non aveva fatto in tempo a rinfilarla dentro. Almeno ho una scusa per parlarle e per rivederla, pensò Luca mentre Andrea lo guardava storto sapendo benissimo cosa gli stesse passando per la testa in quel momento. Lo conosceva meglio di chiunque altro e proprio per questo era il suo migliore amico.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Luca trascorse la seconda e la terza ora fissando quella foto, girandola e rigirandola tra le sue dita. Si chiedeva chi fosse quella bambina e quell’anziano che sorridevano alla macchina fotografica con un torta davanti, anche se dentro di sé, in fondo, sapeva che quella bambina era la stessa ragazza con cui si era scontrato quella mattina. Ci poteva essere solo un paio d’occhi azzurri come l’oceano e appartenevano alla ragazza senza nome.
Trascorse le due ore con la testa fra le nuvole, non curandosi di quello che il professore stesse spiegando, non sentendo Andrea richiamarlo più volte per farlo ritornare sulla terra. Trascorse le due ore a fissare quella foto, a pensare alla ragazza ed affibbiargli qualsiasi nome femminile conoscesse da trovare quello giusto che potesse essere, per puro caso e fortuna, il suo o che le addicesse al suo viso angelico e agli occhi oceano.
Olimpia, al piano superiore, nella classe 103 durante la lezione di fisica, riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Il Professor Moretti, uomo molto anziano e con una parlantina molto lenta, si perdeva fin troppo in chiacchiere e aneddoti dimenticandosi più volte il filo del discorso dell’argomento della giornata. Il ticchettio continuo della biro sul banco avrebbe mandato in una crisi nevrotica qualsiasi essere umano, ma nella classe ognuno era nel proprio mondo da non accorgersi del rumore snervante che stava facendo Olimpia con la sua penna fortunata, quella che usava per ogni compito in classe. Sbadigliò e pensò che l’ora dopo sarebbe andata peggio, aveva storia. Non le restava che sperare che la professoressa o il professore non fosse lento e noioso come Moretti, o si sarebbe addormentata sul banco.
Qualche ora dopo, un miliardo di ticchettii da biro sul banco, due noiosissime lezioni, Olimpia si sedette su una delle panchine nel cortile all’aperto, quella sotto a l’unico albero presente nel giardino. Era l’ora di pranzo, ma non aveva molta fame, così preferì sedersi all’aperto, godersi ancora un po’ quel caldo estivo che stava svanendo lasciando il posto all’autunno e il sole. Leggersi l’unico libro che avesse con sé, l’unico libro che aveva mai amato davvero: Orgoglio e Pregiudizio. Olimpia aveva una cotta enorme per Darcy: ricco gentiluomo, intelligente e onesto ma anche altezzoso orgoglioso e introverso.
Aprì il libro, ma non trovò la pagina dove aveva lasciato il segno. Il suo segnalibro era sparito. La foto di lei e suo nonno era andata persa. Per un momento, Olimpia, andò nel panico. Sentì il fiato mancargli e iniziò ad agitarsi. Iniziò a rovistare nella borsa, la capovolse sull’erba cercando tra tutti gli oggetti sparsi sul verde, ma la foto non c’era. Aveva perso la cosa più importante, la motivazione per cui lei era in quella scuola.
Un rumore di passi sulla breccia della stradina si avvicinarono ad Olimpia e si fermarono proprio davanti a lei, in ginocchio sull’erba davanti alle sue cose sparse sul prato. Un mano si stese sotto i suoi occhi e la foto di lei e suo nonno comparve nella sua visuale. La prese velocemente tra le mani guardandola come se fosse un miraggio, come un beduino sperduto nel deserto da chissà quanto vede in lontananza un oasi e non sa se è vera o solo frutto della sua immaginazione.
Olimpia strinse l’immagine al petto asciugandosi frettolosamente una lacrima che le era sfuggita. Rimise tutte le sue cose in borsa, si rialzò e guardò chi fosse il suo salvatore. Oceani infiniti incontrano distese verdi. Il suo salvatore era il ragazzo con cui si era scontrata quella mattina.
“Grazie, non so cosa farei senza”, appoggiò la borsa sulla panchina e si sedette. Infilò la foto nel libro e lo rimise nella borsa. Luca si avvicinò alla panchina e indicò il posto vuoto di fianco ad Olimpia come a chiederle il permesso di sedersi e lei annuii. “Di nulla, non ho fatto in tempo questa mattina a ridertela.” “Proposito di questa mattina, mi scusi per esserle venuta addosso, non ero attenta a dove andavo.” “Non ti preoccupare.”
Il silenziò calò tra i due. Il fruscio del vento tra le foglie dell’albero faceva compagnia ai due ragazzi. Passarono circa dieci minuti in cui nessuno dei due proferì parola e l’imbarazzo aleggiava tra di loro, pesante ed ingombrante. Olimpia prese a giocare con l’orlo del suo maglioncino, anche se era settembre e l’aria era ancora calda, la divisa della scuola era quella e bisognava stringere i denti e sopportare il caldo che si sentiva con quel maglioncino di lana.
“Non dovresti essere in mensa?” Luca ruppe quel silenzio che lo stava torturando. Odiava i silenzi imbarazzanti e voleva conoscere e parlare con quella ragazza di cui ancora non sapeva il nome, ma lo avrebbe scoperto presto. “Non ho molta fame” rispose tranquillamente Olimpia voltandosi nella sua direzione. E solo allora notò un dettaglio importante per il comportamento che avrebbe dovuto mantenere. Il ragazzo indossava una spilla sul suo petto: Allievo Scelto. Una freccia a due strisce gialle circondate da altre blu. Si ricompose e fissò lo sguardo davanti a sé. Non si era accorta di avere davanti a sé un allievo del terzo anno e soprattutto uno Scelto.
“Ma dovresti mangiare, non va bene saltare i pasti.”
Olimpia si portò una mano alla bocca cercando di mascherare il risolino che gli nacque sulle labbra a quelle parole. Chissà quante volte aveva sentito quella frase, ormai aveva perso il conto. Olimpia mangiava sano e il giusto per la sua età e fisico, ma a volte, semplicemente, non le andava di mangiare e così saltava i pasti. I medici e i familiari l’avevano avvertita più volte che quello era soltanto l’inizio di una brutta abitudine, ma Olimpia non aveva problemi con il cibo. Le piaceva mangiare, semplicemente non aveva voglia o fame.
“Non per essere irrispettosa nei vostri confronti, ma la predica me l’ha già fatta mia madre questa mattina.”
Questa volta fu il turno di Luca di ridere. Quella ragazza le aveva dato del lei cercando di essere rispettosa nei suoi confronti, ma era finita con il diventare un’impertinente e questo fece divertire Luca. Era la prima persona che avesse mai visto in quella scuola comportarsi così: essere rispettosa e irrispettosa nello stesso momento con uno Scelto. Nessuno si era mai azzardato fare una cosa del genere, soprattutto un allievo del primo anno nel  primo giorno di scuola. Sembrava che la nomina “Allievo Scelto”, agli altri allievi, incutesse timore. Ma la cosa che incuriosì molto Luca era il perché gli avesse dato del lei senza averle detto o fatto capire che fosse un allievo del terzo anno.
“Come fai a sapere che sono del terzo anno?”
Olimpia si alzò ripulendosi i pantaloni e risistemandosi il maglioncino leggermente sgualcito. Afferrò la borsa e portò la cinghia sulla sua spalla afferrandola saldamente, si posizionò sull’attenti davanti a Luca, seduto fin troppo scompostamente per un allievo di una scuola militare. “Hai la spilla degli Scelti e gli Allievi Scelti sono sempre del terzo anno. Diciamo che ho tirato ad indovinare. Adesso se vuole scusarmi ho una lezione tra poco e ancora non so bene dove si trovano le aule.” Olimpia accostò i piedi emettendo un lieve rumore quando le scarpe sbatterono tra loro, spalle e schiena dritti, petto in fuori e mento all’insù. Salutò il ragazzo sull’attenti e con un lieve ed impercettibile assenso del capo e si avviò verso l’edificio dell’aule.
Luca si alzò subito in piedi quando la ragazza iniziò a camminare via da lui. La guardò per qualche secondo: il movimento oscillante delle spalle mentre camminava, i capelli raccolti ma che avrebbe preferito vederli sciolti e svolazzanti nell’aria. “Posso accompagnarti, se vuoi.”
Olimpia si voltò con un sorriso raggiante sul volto e continuò a camminare all’indietro “Sono sicura che ha di meglio da fare piuttosto che fare da guida turistica ad un allievo del primo anno.” E detto questo si voltò e continuò per la sua strada. Luca rimase colpito dalla ragazza per quella sua rispettosa strafottenza che aveva nei suoi confronti. Sentì dei passi avvicinarsi alle sue spalle e Andrea, il suo migliore amico, si fermò al suo fianco. I primi bottoni della camicia aperti, il nodo della cravatta allentato e la mani infilate nelle tasche del pantalone scuro.
“Conosci le regole, Luca.” Quest’ultimo alzò le mani in aria e iniziò a camminare anche lui nella direzione dell’aule. La breccia scricchiolava sotto i suoi passi rompendo il silenzio soave che aleggiava nel cortile della scuola, presente solo in quel momento della giornata esclusa la notte. Quando sentì i passi dell’amico dietro di lui, a metà strada, si voltò con le mani ancora in aria e continuò a camminare all’indietro. “Non ho fatto nulla” Andrea si stava riallacciando la camicia e riaggiustando il nodo della cravatta prima di entrare nell’edificio “Per ora.” Sul viso di Luca comparve un sorriso malizioso, alzò un paio di volte le sopracciglia e poi insieme al suo migliore amico entrarono nell’edificio.
 
Alla fine della giornata, dopo la cena e l’operazione serale, Olimpia si trovava distesa nel suo letto nella camera insieme alle altre compagne. Era già da circa mezz’ora che era suonata la campanella del coprifuoco, probabilmente le altre ragazze erano già nel mondo dei sogni. Olimpia, distesa sulla schiena, fissava il soffitto notando quanto fosse diverso da quello della sua cameretta a Roma ed in quel momento sentì la mancanza dei genitori.
Credeva che non avrebbe sofferto del distacco e invece dovette asciugarsi una lacrima che le scese all’angolo dell’occhio destro al pensiero di sua madre che le dava la buona notte sull’arco della porta prima di chiuderla.
Si voltò verso il letto di Camilla, dove era distesa su un fianco dandole le spalle. Sperò anche Camilla non stesse dormendo, che anche lei sentiva la mancanza dei suoi genitori. La chiamò piano, cercando di non farsi sentire dalle altre ragazze e non svegliare nessuno. Camilla si girò nella sua direzione al primo richiamo ed entrambe, distese su un fianco si guardarono.
“Senti la mancanza di casa tua?” Olimpia annuì lievemente. “Credo che qui tutte le ragazze sentano la mancanza di casa loro, del loro letto e del loro peluche preferito.” Entrambe risero silenziosamente. “Passerà?” Camilla scosse la testa, sistemandosi poi meglio sotto le coperte e sul cuscino. “No, credo che non passi mai, ma ci faremo l’abitudine.” , “Camilla è la prima volta che dormo fuori casa senza genitori.” Camilla estrasse la mano da sotto il cuscino e la tese oltre il suo letto verso Olimpia, che la strinse forte con la sua mano. Si sorrisero dolcemente prima di chiudere entrambe gli occhi ed addormentarsi mano nella mano.
Dall’altra parte del giardino tra i due dormitori, al terzo piano nella stanza 23, Andrea teneva la lampada del suo comodino accesa ed era seduto sul bordo del letto con lo sguardo fisso e torvo verso le spalle di Luca disteso sul letto.
Luca sentiva lo sguardo dell’amico perforargli la schiena.
“Franchi se non spegni immediatamente quella luce, te la spacco in testa la lampada.” Disse nel buio silenzioso dell’altra parte della stanza uno dei loro compagni di stanza con la voce ottavata dal cuscino. “Si, Franchi, spegni quella luce.” Luca schernì Andrea voltandosi verso di lui quel tanto che bastava per guardarlo con sguardo divertito nel ripetere la frase del compagno. Andrea allungò la mano e spense la luce, si stese sul letto e s’infilò sotto le coperto restando comunque con lo sguardo verso l’amico.
“Ricordati le regole.” Bisbigliò piano verso Luca che con un sospiro gli augurò la buona notte.

Olimpia e Camilla entrarono insieme nella mensa e per un momento si sentirono gli sguardi di tutti gli allievi addosso ed un improvviso calore si espanse nel corpo di Olimpia accumulandosi sulle sue guancie costringendola ad abbassare lo sguardo. Non amava sentirsi al centro dell’attenzione, a differenza della sua amica, che quando si accorse degli sguardi famelici dei ragazzi, prese sottobraccio Olimpia e con un sorriso raggiante la trascinò ai primi due posti liberi che videro.
Luca, seduto al tavolo vicino a quello dove le ragazze si stavano dirigendo, tenne lo sguardo fisso su Olimpia mentre beveva il succo d’arancia. Andrea, seduto di fronte a lui, gli diede un calcio sotto al tavolo e per poco Luca non si strozzò con il succo. Vide Olimpia sedersi sulla sedia dietro a lui e decise di prendere la palla al balzo. Spinse la sedia all’indietro tenendosi in equilibrio sulle due gambe posteriori e si sporse verso la ragazza. Guardò prima il piatto stracolmo e poi lei che ancora non si era accorta della presenza di Luca. “E’ un onore averla in mensa quest’oggi.” Le andò il boccone di cereali di traversò e iniziò a tossire. Prese il bicchiere d’acqua davanti a sé e iniziò a bere mentre Luca, scusandosi per averla spaventata, iniziò a darle leggere pacche sulle spalle in modo apprensivo cercando di farle andare giù i cereali. Quando Olimpia si riprese, si pulì la bocca con il tovagliolo e si girò verso di lui. “Buongiorno. Ci sono venuta sempre, escludendo il pranzo del primo giorno.” , “Lo so, ti ho vista.” Olimpia arrossì a quelle parole, arrossì per l’attenzione che il ragazzo aveva per lei. Si girò verso il piatto e riprese a mangiare, ignorandolo. Luca la guardò ancora per qualche secondo, poi fece scorrere lo sguardo sul resto del tavolo e si ricompose al suo posto ricevendo l’ennesimo sguardo torvo dell’amico.
Una ragazza, seduta alla sinistra di Olimpia, le si avvicinò all’orecchio e sottovoce le sussurrò piano “Conosci Luca Avesani? E’ il ragazzo più bello dell’accademia” cercando di non farsi sentire da nessuno. Olimpia mandò giù il boccone e si voltò verso la ragazza che non conosceva ma che aveva visto qualche volta nei corridoi della scuola. “Non so come si chiama, mi ci sono scontrata una settimana fa.” , “Te lo dico io, si chiama Luca e tu sei una ragazza fortuna. In questo momento tutte vorrebbero essere al tuo posto.” Olimpia sentì di nuovo quella vampata di calore impossessarsi del suo corpo. Le guance le si tinsero di rosa e riabbassò il capo verso il piatto. Bevve un sorso d’acqua prima di rispondere alla ragazza. “Lo cedo volentieri a chiunque lo voglia.” , “Tienitelo stretto invece, nessuna ha mai attirato l’attenzione di Luca. Tu sei la prima.” Olimpia si voltò piano verso il tavolo dietro di sé, cercando di non farsi vedere da Luca ma, purtroppo o per fortuna, il suo sguardo azzurro s’intrecciò con quello verde del ragazzo.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Erano passate due settimane da quando Olimpia era in quella scuola. Si alzava il mattino alle 5:30, trenta minuti per preparasi e sistemare la sua parte della stanza, saluto alla bandiera e allenamento all’esterno. Caldo o freddo, pioggia o sole non faceva differenza, si correva all’esterno. Ore 7:00 colazione e poi tutti a lezione fino le ore 14:30. Finite le lezioni Olimpia si rinchiudeva in biblioteca, come quasi la maggior parte degli studenti, a studiare. Si era scelta un posticino solitario alla fine della grande sala, nascosto tra due scaffali dedicati all’anatomia animale. Polveroso, all’ombra e solitario. Nessuno avrebbe mai ficcato il naso in quell’angolo e così Olimpia poteva trascorrere il suo intero pomeriggio nascosta lì tra la polvere a studiare, a leggere, ad immergersi nel suo profondo mondo di pensieri fino all’ora di cena. Si rincontrava con Camilla nella sala da pranzo, al loro solito tavolo, con le altre ragazze della camerata. E al solito tavolo dietro il suo, Luca.
Non si erano più parlati dopo quella volta sulla panchina e al tavolo durante la colazione la settimana prima. S’incontravano per i corridoi della scuola, nel cortile, nella sala da pranzo, ma mai una volta si erano rivolti la parola. Un accenno di capo, qualche sguardo, ma nulla di più.
Luca continuava a non sapere il suo nome e giorno dopo giorno impazziva nel vederla senza neanche pronunciare il suo nome. Olimpia, d’altro canto, conosceva il nome del ragazzo “occhi smeraldo”, come lo avevano soprannominato le altre ragazze della scuola, ma non si era azzardata neanche una volta a chiamarlo. Lo incontrava poco, si vergognava da morire perché in fondo non lo conosceva, lui era sempre accerchiato da altre ragazze ed in più, Olimpia, non usciva mai dalla biblioteca. Chi si sarebbe mai interessato ad un topo da biblioteca come lei? Ma ad Olimpia non le era mai importato se non interessasse ai ragazzi perché le piaceva leggere. Olimpia, nei libri, trovava l’amore che aveva sempre sognato di vivere e le andava più che bene, perché viverlo attraverso le emozioni di un personaggio inventato avrebbe fatto meno male se fosse finito. Ma da quando quegli occhi smeraldo si erano incastrati nei suoi, Olimpia, non faceva altro che preoccuparsi di cosa Luca pensasse di lei.
Passavano i giorni e lui non faceva altro che guardarla da lontano, lui pensava che lei non lo vedesse, e invece lei poteva chiaramente sentire quel fascio verde posarsi su di lei e trafiggerle la pelle e l’anima. Ogni sguardo che Luca regalava ad Olimpia, per lei era un dubbio in più. Una frustrazione continua.
Perché mi guarda? Perché non fa altro che guardarmi? Perché mi guarda soltanto e non fa altro? E’ letteralmente accerchiato da ragazze e guarda me, perché? Forse si è accorto di quanto io sia strana. Chissà cosa starà pensando adesso di me. Chissà cosa pensa di me ogni volta che mi guarda. O forse non pensa niente di me perché non mi guarda affatto, è solo una mia impressione, una mia fantasia. Lui non mi guarda ed io non lo guardo. Lui non pensa a me e io non penso a lui, giusto? E’ così che deve andare, eppure non faccio altro che pensare a lui.
Eh sì, Olimpia pensava a lui. Pensava a lui quando si svegliava sperando di vederlo quel giorno. Pensava a lui mentre entrava nella sala da pranzo ed ispezionava tutti i tavoli chiedendosi se si fosse seduto al suo solito posto, dietro il suo tavolo e se l’avesse vista entrare. Mentre si dirigeva in classe, mentre era in classe, mentre usciva dalla classe, Olimpia, si chiedeva dove lui fosse e cosa stesse facendo: se stava studiando, se stava ascoltando la lezione, quale lezione avesse, se aveva un test o se, come lei, fosse distratto e chissà, magari stesse pensando proprio lei. Olimpia pensava a lui anche quando avrebbe dovuto studiare nel suo angolino isolato in biblioteca e invece si ritrovava con il naso tra le pagine di Orgoglio e Pregiudizio immaginandosi una storia tra lei e Luca come quella di Elizabeth e Darcy.
Più passavano i giorni e più Luca era distratto, isolato nel suo mondo di sogni e pensieri e tutti se ne erano accorti: dal suo migliore amico Andrea al sergente che li controllavano al mattino durante la corsa. Luca che era sempre stato alla testa dei ragazzi in corsa, sempre il primo a rispondere, ad essere attento, adesso era quello più assente di tutti. Sempre con la testa tra le nuvole, o meglio con la testa su Olimpia. In un costante ritardo, passava le notti sveglio a fissare il soffitto buio pensando e pensando.
L’inverno era arrivato molto in anticipo, una mattina di fine Ottobre, con un bel temporale. Il cielo coperto da grandi nuvoloni grigi, tanto da rendere il cielo quasi nero. Il vento soffiava forte costringendo Luca a stringersi ancora di più nella mantella blu scura. Le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi passi mentre si dirigeva verso l’entrata della biblioteca. La pioggia scendeva giù con quanta più forza potesse. Proprio un bel acquazzone. La stradina che costeggiava il grande edificio era pieno di pozzanghere e per quanto Luca cercasse di schivarle per non bagnarsi, era impossibile non mettere un piede proprio dentro una di esse bagnando così l’orlo dei pantaloni. Per fortuna non ho accorciato la strada passando per il giardino come al solito pensò tra sé e sé mentre alzava lo sguardo verso le scalette. Proprio in quel momento il grande portone in legno dai battenti oro, si aprì rivelando l’esile figura di Olimpia stretta anche lei nella mantella blu della divisa troppo grande per lei. Stringeva a sé due grandi libri cercando di non farli bagnare. Si diede un’occhiata intorno e poi volse lo sguardo al cielo concentrandosi sul ritmo della pioggia e della forza cercando il momento giusto per uscire da sotto la tettoia per bagnarsi il meno possibile. Luca rimase fermo a guardare ogni suo singolo movimento, ogni sua espressione a pochi passi dalle scale.
Olimpia fece un respiro profondo ed uscì dal suo rifugio scendendo il primo scalino, ma le pozzanghere anche lì erano impossibili da evitare. Olimpia cercò di schivarle il più agilmente possibile, per quanto la sua goffaggine glielo permise, ma proprio all’ultimo grandino appoggiò male il piede scivolando e cadde a terra. I libri volarono in aria atterrando poco più in là in mezzo alla strada sotto la pioggia infradiciandosi tutti. Il cappuccio della mantella era scivolato lasciando i lunghi capelli biondi bagnarsi sotto l’acqua. Luca si affrettò verso di lei per soccorrerla.
Gran bella figura Olimpia si portò una mano sulla fronte cercando di nascondere il rossore sulle sua guancie per la vergogna. “Stai bene? Hai fatto una bella botta!” Luca si era accovacciato accanto a lei. Olimpia alzò lo sguardo verso di lui e notò che anche il cappuccio del ragazzo era sceso lasciando i suoi capelli scuri bagnati alla vista della ragazza. L’acqua che cadeva sulla sua testa per poi scorrere lungo il suo viso costringendolo in una smorfia lo rendeva ancora più sexy, più di quanto già non lo fosse, agli occhi di Olimpia. Luca strinse le sue grandi mani su un avambraccio della ragazza aiutandola a rialzarsi, ma la caviglia di Olimpia non resse il peso e una fitta di dolore la costrinse ad accasciarsi di nuovo su se stessa. Ma Luca velocemente avvolse l’altro braccio libero intorno la vita della ragazza per sorreggerla. Guardarono entrambi in basso verso la caviglia di Olimpia che alzò il pantalone quel tanto cha bastava per dare una veloce occhiata. Il gonfiore della caviglia era evidente anche oltre il calzino nero che indossava.
Luca non ci pensò due volte e, da gentiluomo qual’era, lasciò andare l’avambraccio della ragazza per far passare il braccio sotto entrambi i suoi ginocchi e alzarla prendendola in braccio. Olimpia si dimenò un po’ tra le braccia del ragazzo sentendosi a disagio. Cercava di scendere, quel gesto era alquanto inappropriato per due – quasi – sconosciuti, soprattutto in una scuola militare dove il contatto fisico tra gli allievi che andava ben oltre un semplice gesto di cortesia era vietato.
Luca strinse ancor di più la presa sulle gambe e sulla schiena della ragazza cercando invano di farla smettere di muoversi. Una silenziosa intimidazione di smetterla di muoversi. “Posso camminare” Olimpia cercò di nuovo di scendere dalle sua braccia cercando di riportare un piede a toccare terra, ma Luca fu più veloce di lei e riprese di nuovo la gamba. “No che non puoi. Ti porto io in infermeria.” , “Possiamo chiamare qualcuno.” , “Ho detto che ti porto io!” Luca le lanciò uno sguardo torvo, severo intimandola silenziosamente di smetterla a cui Olimpia obbedì appena vide gli occhi del ragazzo che non erano più di quel verde brillante che vedeva tutti i giorni, ma erano di qualche tonalità più scura.
Olimpia allacciò le braccia dietro il collo di Luca, si strinse di più a lui e appoggiò la testa sulla spalla cercando di proteggersi il più possibile dalla pioggia. Tentativo alquanto inutile visto che era già zuppa.
Olimpia tra le braccia di Luca e stretta sul suo grande petto, sembrava ancor più piccola di quel che era. E Luca, sentendo il calore che quel corpicino emanava nonostante il freddo di quella giornata, sembrò rilassarsi.

Olimpia era distesa sul lettino dell’infermeria e Luca in piede accanto a lei mentre aspettavano il risultato della radiografia alla caviglia. Il tragitto dalla biblioteca, dove era caduta Olimpia, all’infermeria era un tragitto abbastanza lungo. Avevano attraversato l’intero campus sotto la pioggia che sembrava non voler cessare. Superarono l’edificio delle aule e quello degli uffici. La palestra e i due dormitori ed arrivarono all’infermeria fradici. Luca era rimasto solo con la camicia bianca che teneva fuori dai pantaloni e con i primi tre bottoni slacciati. Il maglioncino blu era sul calorifero ad asciugare insieme a quello di Olimpia, ma lei aveva chiesto all’infermiera una coperta per tenersi al caldo ed asciugarsi sperando di non prendere l’influenza.
Luca guardò la ragazza distesa sul lettino mentre giocherellava con il bordo della coperta. I capelli biondi, ora umidi, erano sparsi intorno la sua testa sul cuscino bianco candido. Quel viso bianco, ma non pallido, con le gote leggermente arrossate per il drastico cambiamento di temperatura. Sembrava una di quelle bambole di porcellana. Così belle, piccole e fragili. Le labbra leggermente schiuse di un rosso ciliegia. Le ciglia lunghe a nascondere quel paio d’occhi azzurri.
“Allora me lo dici come ti chiami o devo aspettare la prossima volta che ci scontriamo o che cadi a terra?” Olimpia rise leggermente ripensando alla figura che aveva fatto cadendo a terra come una pera cotta. Alzò lo sguardo verso di lui e quell’azzurro colpì Luca dritto al centro del petto. Aveva il cielo nello sguardo. “Olimpia. Mi chiamo Olimpia.”
Luca si guardò intorno alla ricerca di una sedia per riposarsi qualche minuti mentre aspettavano. Prese una sedia in plastica rigida bianca e si sedette vicino al lettino. Ora gli sguardi erano più o meno alla stessa altezza.
“Senza offesa, ma hai un nome piuttosto strano.” , “Mio padre è un professore di greco e un fissato con i miti sugl’Idei dell’Olimpo. Nessuna offesa!”
Luca si sentì sollevato quando Olimpia, finalmente conosceva il nome della ragazza, lo tranquillizzò. Ma la ragazza disse qualcos’altro che fece stringere lo stomaco a Luca. “E invece tuo padre che lavoro fa?” Luca lasciò in sospeso la domanda pensando se dirglielo o meno, quale professione esercitava il padre. Aprì la bocca per risponderle dopo aver deciso che era giusto che lei sapesse ma l’infermiera irruppe nella stanza stringendo tra le mani le risposte della radiografia. Era stata fortunata, era solo una distorsione: una bella fasciatura stretta alla caviglia, riposo assoluto per almeno due settimane e un paio di stampelle per muoversi solo se era strettamente necessario. Luca aiutò Olimpia ad alzarsi dal lettino e a mettersi in piede, l’aiutò ad allacciarsi la mantella prima di uscire dall’infermeria mentre lei si teneva saldamente alle stampelle che l’infermiera gli aveva dato.
“Ti faccio un permesso per andare nella tua stanza ad asciugarti e cambiarti prima che ti becchi un bel raffreddore. Lo stesso per te Avesani, ma non farci l’abitudine!” L’infermiera scarabocchiò su tre fogli: due erano i permessi per andarsi a cambiare nelle stanze e l’altro era la prescrizione medica di Olimpia per la caviglia. Stavano uscendo dalla stanza quando l’infermiera li richiamò ancora una volta “Vicino la porta d’entrata deve esserci un cestino con degli ombrelli dentro, prendetene uno e copritevi.” Luca annuii con la testa e poi, con una mano appoggiata sulla schiena di Olimpia aiutandola, uscirono dall’infermeria e andarono nei loro dormitori.
Luca non l’abbandonò neanche per un momento, la sua mano sempre appoggiata alla sua schiena a sorreggerla e lo sguardo vigile su di lei. L’accompagnò nella parte del dormitorio femminile, nella sua camera. Aspettò seduto sul suo letto mentre lei si cambiava nel bagno e quando ne riemerse, improvvisamente, la luce saltò lasciando i due completamente al buio. Olimpio iniziò ad agitarsi, il cuore prese a battergli forte e il respiro a farsi più affannoso. Odiava il buio, odiava non riuscire a vedere le cose e adesso che era in una condizione invalida per muoversi, le prese ancora di più il panico. “Luca dove sei?” Luca si alzò di scatto dal letto, come se bruciasse e si diresse a tentoni nel buio verso di lei. Anche nella penombra della stanza gli occhi verdi di Luca e quelli azzurri di Olimpia luccicavano, emanando luce propria. Rimasero in piedi l’uno di fronte all’altra in silenzio a guardarsi. Non c’era nessun’altro e nel buio tutto era lecito, se loro non avrebbero visto chiaramente cosa fosse accaduto – o meglio – quello che Luca aveva in mente di fare da lì a pochi secondi, nessun’altro avrebbe visto.
Circondò il fianco di Olimpia con un braccio e la strattonò contro il suo petto. Le stampelle caddero a terra con un rumore secco metallico per l’improvviso gesto del ragazzo. Olimpia appoggiò le mani sul petto del ragazzo accarezzando i pettorali da sopra il tessuto leggero della camicia. Erano duri sotto il tocco leggero dei polpastrelli della ragazza. “Non riesco a smettere di guardarti.” , “Allora non farlo.” Lo sguardo di Luca scese verso le labbra di Olimpia e la testa iniziò ad avvicinarsi lentamente, ma a pochi centimetri di distanza la luce tornò facendo tornare i due ragazzi nella realtà e nella scuola militare con regole rigide.

 
“Tra gli Allievi è vietata qualsiasi manifestazione o esternazione, anche se gradita o ricambiata,
di affetto o di interesse per la sfera sessuale.”

 
Luca si staccò velocemente da Olimpia lasciandola senza fiato e ansimante per l’improvviso avvicinamento e l’elettricità che in pochi secondi si era creata tra i due. Si abbassò raccogliendo le stampelle e porgendogliele, si girò e prese il suo maglioncino e con una strofinata di mano sui capelli, uno sguardo perso ad Olimpia, Luca lasciò la stanza diretto nel dormitorio maschile.


Angolo autore:

Eccomi di nuovo con il terzo capitolo della storia. Innanzitutto volevo scusarmi per il troppo tempo trascorso prima della pubblicazione, ma non avevo tempo a sufficienza da stare quelle 3 orette al computer e scrivere il capitolo..così l'ho scritto un po' alla volta  (quando avevo tempo e ispirazione haha).
Voglio ringraziare due persone che mi hanno rencesito entrambi i capitoli, quindi grazie Marty Andry e Portgas D Denis x ace 
Vi lascio anche il mio account twitter nel caso volete seguirmi (anche se volete farmi qualche domanda riguardo la storia)
@alisayhello 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


L’esame di metà trimestre si stava avvicinando e ogni studente dell’accademia Douhet studiava forsennatamente nel pomeriggio. Alcuni addirittura, in quella settimana, tiravano avanti a caffè e nottate in bianco pur di studiare tutto alla perfezione con la paura che poi all’esame non avrebbero saputo nulla e sarebbero stati bocciati.
Luca, a differenza degli altri che si rinchiudevano in biblioteca, preferiva studiare nella sua camera. Gli altri credevano che andando in biblioteca avrebbero trovato il silenzio più profondo ma invece tra un sussurro e l’altro, in quel grande salone, regnava tutto tranne il silenzio. Invece, nella camera 21 del dormitorio maschile, l’unico rumore udibile era il respiro di Luca, il suono delle pagine sfogliate, lo strappo di un foglio dal quaderno, lo stappare dell’evidenziatore e quel suono fastidioso del tratto del pennarello sulla pagina plastificata.
Strano ma vero, in quella settimana Luca era riuscito a concentrarsi sullo studio senza pensare nemmeno una volta ad Olimpia. Se escludiamo il mattino quando si alzava, o quando la incontrava nella sala da pranzo a colazione, pranzo e cena. Per i corridoi della scuola e nel cortile. Nella palestra e durante uno degli allenamenti mattutini in cui si erano ritrovati nello stesso gruppo. E non dimentichiamoci prima di andare a dormire. Okay, Olimpia era ormai un chiodo fisso per lui e, ma era riuscito davvero a concentrarsi sullo studio. Bastava non averla intorno o a portata di sguardo. Anche se alla fine, ce l’aveva a portata di pensiero.
Decise di chiudere il libro di chimica e passare a letteratura, ritenendo la letteratura inglese più leggera delle nozioni basi di chimica, ma non fu così. Per mezz’ora cercò con tutte le forze di concentrarsi sugli scrittori inglesi e le loro vite, ma sembrava che qualsiasi cosa fosse più interessante di quello. Anche un misero granello di polvere che volava in controluce era più interessante. L’entrata teatrale in grande stile di Andrea nella camera distolse l’attenzione di Luca dal granello che fluttuava nell’aria e strappandolo fuori dai suoi pensieri.
Luca e Andrea si erano conosciuti il primo anno nella scuola. Andrea, a quei tempi, era un ragazzino magrolino preso di mira dagli allievi più grandi. Nei primi mesi, Luca si era aggregato a quel gruppetto che prendeva di mira i novellini e quelli più deboli – che a guardarli – non c’entravano un tubo in una scuola militare. Luca seguiva quei ragazzi praticamente ovunque, pensava che così facendo si potesse creare la fama di duro, o per evitare di essere preso di mira anche lui. Poi, un giorno, gli allievi vennero divisi nelle camere per anno e, Luca e Andrea si ritrovarono nella stessa stanza. Andrea pensava che fosse un brutto scherzo del destino e, a dire la verità un po’ lo era, perché da quel giorno, che litigarono per aggiudicarsi il letto in fondo, diventarono amici inseparabili. Luca abbandonò il gruppo di bulletti di turno e iniziò a difendere Andrea quando veniva preso di mira ed entrambi finivano sempre in mutande legati ai pali dell’alza bandiera. Quante risate si sono fatti e quante altre se ne avrebbero fatte.
Adesso Andrea non aveva più bisogno di Luca per difendersi, era diventato un ragazzo dalle spalle larghe e i bicipiti definiti. Adesso non veniva più preso di mira e aiutava i novelli invece di prenderli in giro, come era successo a lui.
Erano entrambi distesi sui propri letti a fissare il soffitto con le braccia incrociate sotto la testa. “Hai più visto Olimpia?” Andrea non approvava il fatto che Luca avesse un chiodo fisso con questa ragazza. Le regole parlavano chiaro, andavano rispettate e loro, più di chiunque altro, dovevano seguirle. Se Luca avesse continuato a pensare ad Olimpia, la sua ‘cotta’ sarebbe cresciuta e Luca è un tipo che non si ferma davanti a niente quando una cosa gli interessa. Inoltre, a Luca, piaceva giocare con il fuoco, rischiare. E più la posta in gioco era alta, più c’erano rischi e pericoli da correre, Luca non diceva mai di no a giocare. “No, siamo tutti troppo impegnati a studiare per l’esame.” Con un sonoro sospiro Andrea si tirò su e si sedette sul bordo del letto verso la parte di Luca. Lo fissò attentamente mentre guardava il soffitto, non aveva mai visto il suo amico così. Lo conosceva abbastanza da sapere che non aveva mai avuto storie serie ma solo avventure. La cosa più simile ad una relazione che aveva avuto, era un rapporto di sesso-amicizia con una sua compagna di scuola nell’ultimo anno di medie, quando aveva iniziato a fare sesso. In quei tre anni, non lo aveva mai visto interessarsi neanche ad una sola ragazza di quella scuola. Diceva che con la divisa non le attiravano, anzi, smorzava del tutto il suo interesse e in più, lui doveva dare l’esempio, doveva rispettare le regole. E adesso, dall’arrivo di Olimpia, quel Luca era come se si fosse dissolto nell’aria. Non ce n’era più traccia. C’era solo un Luca che faceva a botte con questa nuova sensazione che alloggiava dentro di lui, una sensazione mai provata. O forse sì, una sensazione simile la provava quando tornava a Verona. Quando tornava a casa. “Devi dimenticarla amico. Non ne vale la pena rischiare l’espulsione per una ragazza che non conosci nemmeno.”
Luca scattò in piedi, sentiva la rabbia crescere dentro di lui. Cosa ne voleva sapere Andrea di quello che Luca sentiva per Olimpia, o di cosa e non cosa sapeva di lei? Con la camicia sbottonata sul colletto, senza cravatta e fuori dai pantaloni, s’infilò il maglioncino blu e superò in fretta e furia Andrea seduto ancora sul letto. “Se dovesse succedere qualcosa tra te e Olimpia, ci farai espellere. Tu, Olimpia, io.” Luca si bloccò sul posto e con le vene del collo in risalto per la rabbia, si girò di scattò verso Andrea. “Tu? Cosa c’entri tu in questa storia?”, “Io sono il tuo migliore amico Luca, e alla fine mi racconterai qualsiasi cosa succederebbe tra te e lei e io saprò e ti parerò il culo e se qualcuno dovesse scoprirvi, anch’io verrei cacciato perché starei dalla tua parte, anche se è sbagliato. Luca lo sai quanto è importante questa scuola per me e sai quanto è importante per te. E tu, più di chiunque altro, non puoi permetterti di essere espulso.” , “Perché mio padre mi ucciderebbe.” Luca con lo sguardo sconsolato per la verità sbattuta in faccia, si guardò le scarpe non riuscendo a reggere lo sguardo dell’amico. “Sì, tuo padre ti ucciderebbe. E anch’io se mi ritrovo sul marciapiede oltre quel cancello con le valigie piene e che non stia tornando a casa per le vacanze estive. Luca seriamente, immischiati in qualcosa di più che va oltre ad un ‘ciao’ e un ‘mi passeresti gli appunti di matematica’ con Olimpia e giuro sulla bandiera italiana che alzo ogni mattina sul quel palo che ti soffoco con un cuscino nel sonno.” A quel punto, a quelle parole, Luca capì. “Sei un egoista del cazzo Andrea. Ti interessa di più evitare l’espulsione e restare in questo carcere, che la felicità del tuo migliore amico.” , ”Okay, fallo! Immischiati in qualcosa con Olimpia, lascia che tuo padre lo venga a sapere, fatti espellere e poi dimmi che sapore ha la felicità. O meglio, la cinta di pelle di tuo padre.” Andrea si mise sull’attenti: spalle dritte, il braccio sinistro ben disteso lungo il fianco e il braccio destro piegato all’altezza del sopracciglio “Porta i miei saluti al Maggiore.” Ed uscì dalla stanza.
 
Olimpia era appena uscita dalla biblioteca dopo una lunga sessione di studio incessante. Erano le nove di sera, aveva perfino saltato la cena pur di finire di studiare in tempo quei 6 capitoli di storia. Quel freddo pungente di metà Novembre la costrinse a stringersi il più possibile nella mantella blu notte. Con la borsa a tracolla ben salda in spalla, percorreva quel vialetto con il naso ficcato nelle pagine di Orgoglio e Pregiudizio. Sapeva ogni singola parola a memoria ma non si stancava mai di leggerlo. Vide con la coda dell’occhio qualcosa muoversi poco distante da lei, o meglio qualcuno. Chiuse il libro riponendolo nella borsa e guardò meglio. Luca era seduto sulla panchina dove avevano parlato per la prima volta. Anzi, non era proprio seduto, diciamo più stravaccato su quella panchina, con le gambe distese in avanti e incrociate, la mani dietro la testa appoggiata allo schienale e rivolta al cielo. Si guardò intorno assicurandosi che non ci fosse nessuno a vederli o a disturbarli e con quella poca sicurezza che gli era venuta solo a guardarlo così tranquillo su quella panchina, si avvicinò a lui.
Luca sentì la presenza di qualcuno vicino a lui e con la coda dell’occhio vide Olimpia sedersi vicino a lui e assumere la sua stessa posizione con la testa rivolta al cielo. Era una serata limpida, in cielo non c’era neanche una nuvola e le stelle erano luminose, ma niente era più luminoso del suo sguardo pensò Luca. “Non hai freddo?” Olimpia sentiva ancora più freddo solo a guardarlo, metà Novembre con un freddo da Nord America e lui sono con quel maglioncino. Luca tirò su la testa fissando Olimpia per alcuni secondi che sembravano interminabili. “Sto qui fuori da così tanto che ormai mi sono abituato.” Il silenzio regnava tra loro due ed era un silenzio pesante, si riusciva a sentirlo perfino sulla pelle. Uno di quelli imbarazzanti, accompagnati dalla paura che ti annoda le viscere di dire la cosa sbagliata. E dopo il loro quasi bacio al buio una settimana prima, il silenzio ne era tanto. Non si erano ne più visti e ne parlati. Olimpia quel silenzio lo sentiva fin troppo sulle sue spalle, infilarsi sotto la pelle e fin dentro le ossa, le raggelava il sangue. Si sistemò la borsa sulla spalla e si alzò dalla panchina, rivolse un sorriso sghembo a Luca e indicando alle sue spalle balbettò che forse era meglio che andasse. Luca si alzò in piedi fissandola, aprì la bocca per parlare ma non ne uscì nulla. Voleva dirle di non andare, di restare lì con lui, di non lasciarlo solo con i suoi pensiero perché lo avrebbero soffocato e che invece quando era con lei, lui respirava. Ed era la prima volta che lui respirava, che respirava davvero, non solo per vivere. In quella scuola, in casa sua quando c’era suo padre – non riusciva a respirare davvero – sentiva un grande macigno pesargli sui polmoni, mentre quando erano insieme, quel macigno spariva e lui tornava a respirare, a sentirsi..più libero. Voleva dirle che la pensava, costantemente, giorno e notte, senza tregua. Che se lei si fosse consumata per ogni persona che la pensava, a quest’ora sarebbe sparita e la colpa sarebbe stata tutta di Luca perché non passava neanche un secondo in cui lei non occupasse la sua mente. Voleva dirle tante cose, ma dalla bocca non uscì nulla e Olimpia si girò e iniziò a camminare verso il dormitorio. Quel macigno che tanto pesava a Luca sui suoi polmoni stava tornando, iniziava a sentirsi mancare l’aria, come un sub a corto d’ossigeno a metri e metri sott’acqua. E come quel sub che cerca con tutte le sue forze di risalire in superficie per tornare a respirare, Luca fece la stessa cosa trovando la forza per far uscire quelle parole dalla sua bocca. Ed uscirono, ma forse uscirono quelle sbagliate. “Io e Andrea, il mio migliore amico, abbiamo litigato!” Olimpia si girò di nuovo verso di lui quando lo sentì parlare. Quando quella voce roca che gli piaceva tanto vibrò nell’aria fredda. Piegò la testa da un lato e guardandolo sottecchi non riuscendo a capire il senso di quella frase o meglio il perché la stesse dicendo proprio a lei. Da una parte apprezzava quel gesto, perché significava che Luca voleva confidarsi con lei, voleva raccontale qualcosa di più di lui e della sua vita, che voleva aprirsi. “Abbiamo litigato per te.” E allora Olimpia capì perché stesse dicendo quell’accaduto proprio a lei, perché lei era la ragione del litigio. Si sentì subito in colpa per essere il motivo per cui i due migliori amici avevano litigato, ma da un lato si arrabbiò anche terribilmente perché lei non aveva fatto nulla. Perché lei non aveva fatto nulla, giusto? Era da lì solo due mesi, cosa poteva aver fatto di così grave da far litigare due amici? “Mi dispiace se avete litigato per colpa mia” disse Olimpia senza nascondere, davvero, il dispiacere e un po’ anche la rabbia, nel suo tono di voce. E se ne andò senza dire nient'altro lasciando Luca lì da solo, in piedi, al freddo con i suoi pensieri a tormentarlo. Un po’ lei a usurare la sua mente, un po’ il litigio con Andrea. Ma lui non si arrese, non voleva lasciarla andar via con lo sguardo, con quel peso sulla coscienza. Perché Luca capì dal suo tono di voce che Olimpia si sentiva in colpa per aver fatto litigare i due amici, ma non era lei il vero motivo. Sentiva il bisogno di spiegarle che non era colpa sua, anzi, il dovere. Non voleva vederla andar via con quello sguardo triste e quelle spalle piegate di chi porta un peso addosso troppo grande da reggere. La rincorse a perdi fiato. Era a pochi passi dal dormitorio quando l’afferrò per un braccio trascinandola dietro un muro per essere sicuri di non farsi vedere da nessuno. Si voltò per guardarla in viso: lo sguardo confuso, arrabbiato. Luca iniziò a parlare con il fiatone. “Non è per colpa tua che abbiamo litigato. Cioè si, sei il fulcro della lite, ma è colpa mia perché…” guardò Olimpia cercando una qualche reazione. La vide più rilassata, con solo quelle poche parole era riuscito a toglierle quel peso. Non era davvero colpa sua e lei si sentiva meno arrabbiata e più in pace con se stessa. Luca notò un luccichio nel suo sguardo e riprese a parlare pronunciando finalmente quelle parole che fino a quel momento erano incastrate in un cassetto remoto della sua testa. Troppo testardo per ammetterlo, troppo spaventato per quello che era. “Perché non riesco a smettere di pensare a te. E sento questa sensazione. Questa strana sensazione, ma è buona. E’ come quando sei bambino e cadi e ti sbucci un ginocchio e piangendo corri tra le braccia di tua mamma e senti il suo profumo, un buon profumo, e ti senti al sicuro.” Olimpia aveva un leggero piccolo sorriso accennato sulle sue labbra, un bellissimo sorriso accennato, a quel dolce pensiero di un piccolo Luca che correva tra le braccia della madre, che sentiva il suo profumo e si sentiva al sicuro. “E quando sono con te, Olimpia, mi sento al sicuro. Mi sento a casa, ma non la mia casa intesa come la mia città, come Verona. Mi sento come se fossi nella mia camera, che per me, è il posto più sicuro al mondo.” E con lo sguardo concentrato sulle labbra di Olimpia, Luca le prese il viso tra le mani e lo avvicinò un po’ al suo. Euforico e felice. “In parte la regola l’ho già violata, perché non avrei dovuto farmi coinvolgere da te in questa cosa. Che poi il bello è che tu non hai fatto niente, a parte guardami. E’ bastato solo il tuo sguardo per mandarmi fuori di testa. Non mi sono mai sentito così prima d’ora e tanto vale, allora, che la regola la violi del tutto ed in questo momento vorrei baciarti. Dio quanto vorrei baciarti.” E lo fece. Luca la baciò, così, d’impulso. Cogliendo di sorpresa lei, perché Olimpia non se lo aspettava quel bacio e non pensava che lo avrebbe fatto davvero, e cogliendo di sorpresa anche un po’ se stesso perché, sì, sentiva dentro di sé che voleva farlo ma non pensava di avere davvero il coraggio di farlo. Luca si buttò in quel gioco focoso trascinando con sé Olimpia, consapevole che sarebbe stato rischioso per entrambi. Che nessuno dei due ne sarebbe uscito illeso, che avrebbe ferito, bruciato entrambi. Ma poco importava perché in quel momento, con le labbra impresse su quelle di lei, con il suo profumo ad entrargli nelle narici e ad intossicargli la mente e il cuore, Luca pensò che quella era la cosa più giusta, anche se era la più sbagliata. Che lei era la cosa più giusta al mondo.

Angolo Autore
Eccoci qui con un nuovo capitolo. In questo capitolo accadono due cose fondamentali: Luca e Andrea litigano e finalmente questo benedetto bacio tra Luca e Olimpia, ma non fatevi illusioni, le cose non fileranno liscie per i nostri protagonisti.
Nel terzo capitolo ho ricevuto ben 5 recensioni, certo, per alcuni di voi sono davvero poche, anzi, ma per me sono tantissime e perciò vorrei ringraziare  Sun_Rise93, Marty Andry, Rebel_Spirit, Portgas D Denis x ace e AlysonWar
Vorrei ringraziare anche quattro stelline che ha aggiunto la mia storia tra le preferite e sono Free_Yourself, Georgine, Shatts, Tsue98
Volevo anche ricordarvi i miei profili:
twitter: @alisayhello
instagram: alicemarconi
ask: Ailis @MarconiAlice

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