Dietro la tela

di a_marya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera dal passato ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Coinquilini ***
Capitolo 4: *** Il Professore ***
Capitolo 5: *** Serata di gala ***
Capitolo 6: *** Hotel Fogliadoro I ***
Capitolo 7: *** Hotel Fogliadoro II ***
Capitolo 8: *** Confessione ***
Capitolo 9: *** Indizi ***
Capitolo 10: *** Tradita ***
Capitolo 11: *** la calma prima della tempesta ***
Capitolo 12: *** Il museo di Grenoble ***
Capitolo 13: *** Il museo di Grenoble II ***
Capitolo 14: *** Sempre più vicino ***
Capitolo 15: *** Sempre più vicino II ***
Capitolo 16: *** Il metodo Blendell ***
Capitolo 17: *** Il metodo Blendell II ***
Capitolo 18: *** Questioni personali ***
Capitolo 19: *** Alleati ***
Capitolo 20: *** Alleati II ***
Capitolo 21: *** Nuovi membri ***
Capitolo 22: *** Il vero nemico ***
Capitolo 23: *** Il vero nemico II ***
Capitolo 24: *** Il vero nemico III ***
Capitolo 25: *** Sacrificio ***
Capitolo 26: *** Sulla buona strada ***
Capitolo 27: *** Segreti di famiglia ***
Capitolo 28: *** Segreti di famiglia II ***
Capitolo 29: *** Serpe in seno ***
Capitolo 30: *** Serpe in seno II ***
Capitolo 31: *** Serpe in seno III ***
Capitolo 32: *** Un passo avanti ***
Capitolo 33: *** Stretta finale ***
Capitolo 34: *** Stretta finale II ***
Capitolo 35: *** La tana del lupo ***
Capitolo 36: *** La tana del lupo II ***
Capitolo 37: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Lettera dal passato ***


Questa storia ha inizio in una ombrosa giornata di fine settembre. Fa ancora piuttosto caldo, l’estate è finita da poco, ma il cielo è coperto di nuvoloni neri che nascondono la luce del mattino. Ha inizio con la telefonata inaspettata di un impiegato del servizio postale, il giorno del mio sedicesimo compleanno. C’è un pacco per la signorina Alexis Libuori, mi avverte con voce annoiata.
Poco più tardi sono nell’ufficio del mio padre adottivo ad aprire una scatola di cartone, senza riuscire ad immaginare di cosa possa trattarsi.
Ho specificato “padre adottivo” perché è uno degli elementi chiave per poter comprendere quello che sto per scoprire. Prima di procedere quindi, vorrei spiegare alcuni fatti riguardanti la mia storia.
Sono figlia di un’artista americano, Jon Blendell, e di un’insegnante italiana, Debora Carraro. I miei si sono conosciuti ad un convegno sulla storia dei simboli precristiani ad Atlanta e lì si sono innamorati e sposati. A pochi mesi dal loro inaspettato matrimonio hanno avuto me. Due anni dopo, mentre eravamo in macchina, mio padre ha perso il controllo dell’auto e ci siamo schiantati contro un tronco. Io sono andata a sbattere contro il sedile di mia madre e ho perso conoscenza. I miei genitori sono morti.
Per un motivo che nessuno fino ad ora aveva capito, nel testamento che mio padre aveva redatto poco prima dell’incidente affidava la sua unica figlia non alla sua famiglia né a quella di sua moglie ma ad una coppia di italiani che avevano conosciuto durante il viaggio di nozze e che non avevano più visto né sentito da allora.
Quella coppia però mi ha accettata ugualmente e da allora Rosa e Stefano sono i miei genitori e io sono la loro figlia. Ed è così che ci siamo trattati, da genitori e da figlia. Mai come estranei costretti a stare insieme dal destino.
Tornando al presente, quando apro il pacco vedo che contiene un album di fotografie, alcuni libri, una cartelletta chiusa piena probabilmente di fogli e due buste da lettera, una indirizzata a me, l’altra ai miei genitori adottivi.
Nella lettera indirizzata a me, mio padre, quello vero, morto quattordici anni prima, mi dice che spera che io sia cresciuta bene, che sia una ragazza forte perché ha bisogno della mia forza per completare la sua missione.
Diversi giorni dopo la mia nascita, il mio defunto padre scrive di aver ricevuto una telefonata da un suo caro amico d’infanzia, con cui aveva perso ogni contatto, e si sono accordati per un incontro faccia a faccia. In quell’incontro l’amico dimenticato, Richard Drake, ha raccontato a mio padre di essere un agente dei servizi segreti americani impegnato in una grossa indagine su una misteriosa serie di incidenti sospetti.
Drake ha continuato, dicendo di aver scoperto che tutti quegli incidenti avevano un elemento in comune, un antico simbolo romano inciso su misteriose pietre laviche di origine sconosciuta, e di aver fatto risalire questa catena di omicidi ben mascherati a un’organizzazione segreta, quasi una setta massonica a giudicare da ciò che aveva scoperto, ma che non poteva più continuare quell’indagine perché tutti i documenti che era riuscito a trovare erano scritti in un antico codice che lui non conosceva.
Drake ha chiesto quindi a mio padre di studiare attentamente il fascicolo che aveva portato per lui per aiutarlo a decifrare quei messaggi e a continuare le indagini prima che quella gente lo trovasse e lo uccidesse.
Subito dopo aver consegnato il fascicolo nelle mani di mio padre, Drake si era però accasciato sul tavolo, colpito alla schiena dal proiettile di un sicario professionista che nessuno avrebbe mai trovato e arrestato.
Mio padre è fuggito e da allora si era interessato all’indagine impegnandosi a fondo nella traduzione di quei simboli. Cinque mesi dopo aveva tradotto quasi tutti i messaggi e la verità che aveva scoperto era così mostruosa da sfiorare il surreale: l’organizzazione era formata da persone che si credevano i successori di un’antica setta di centurioni romani con lo scopo di portare a termine la missione dei loro antichi predecessori: distruggere il mondo di Roma. In termini moderni voleva dire distruggere quasi tutta l’Europa, parte dell’Asia e alcune zone dell’America dove, secondo quei centurioni, i romani erano sbarcati, molto prima di Cristoforo Colombo.
Mio padre non aveva le risorse per capire chi fosse questa gente né come intendessero portare a termine quegli abominevoli propositi ma sapeva che doveva fare qualcosa e così era andato a parlare della sua scoperta con alcuni dirigenti dei servizi segreti americani di cui Drake gli aveva fornito i nomi. Da quel momento mio padre era stato vittima di troppi incidenti perché fossero coincidenze e aveva dovuto cominciare la vita del fuggitivo, trascinando me e mia madre un po’ ovunque nel mondo, ben sapendo che non sarebbe riuscito a fuggire per sempre.
Così aveva trovato un altro modo per cercare di fermare i folli progetti dell’Organizzazione: aveva scritto tutta la storia sottoforma di romanzo, poi ne aveva nascosto ogni capitolo in uno dei quadri che aveva dipinto lui stesso e li aveva venduti tutti.
Aveva preparato tutto così che io, quindici anni più tardi, potessi pubblicare la sua opera e smascherare l’intera setta, con la speranza che l’Organizzazione non fosse già riuscita a raggiungere il suo scopo.
Troppo sconvolta per affrontare il tutto da sola sono corsa a parlare con i miei genitori adottivi. Anche a loro mio padre aveva spiegato la situazione, pregandoli di assistermi in quest’opera così difficile e di provvedere alla mia preparazione con il fondo (immenso) che aveva aperto per me in Svizzera sotto falso nome, così che quando fossi stata abbastanza grande avrei potuto cercare quei quadri e pubblicare la sua storia. Aveva anche spiegato che tutte le prove della loro adozione erano state fatte sparire e che per tutti in America l’unica figlia di Jon Blendell era morta con lui nell’incidente fatale.
Per settimane aveva faticato ad accettare la situazione ma alla fine mi ero arresa. Mio padre aveva bisogno di me, anche se era morto, e io non lo avrei deluso. D’accordo con i miei genitori adottivi avevo contattato quindi la donna che mio padre aveva scritto potermi aiutare a prepararmi alla mia nuova vita segreta, ma un uomo mi aveva comunicato che quella donna era morta pochi giorni prima, di malattia.
Da allora quell’uomo, Juno, si era preoccupato di insegnarmi tutto quello che c’era da sapere sulla storia e sull’arte della difesa, preparandomi mentalmente e fisicamente all’eventualità che un giorno chi aveva ucciso mio padre trovasse anche me. Nel frattempo, per una maggiore copertura, io e Juno abbiamo escogitato un modo per far credere a tutti, ma in realtà ai servizi segreti, che quella donna fosse ancora viva, per poter accedere ai suoi dati e alle sue infinite possibilità senza che qualcuno si insospettisse.
A diciannove anni ho comprato il primo quadro di mio padre ed escogitato un altro modo per pubblicarlo restando nel più totale anonimato. Da allora, sono anche io un’agente segreto, anche se nemmeno i servizi segreti lo sanno.

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Capitolo 2
*** Incontro ***


Lascio la penna sul tavolo per strofinarmi gli occhi.
La luce della vecchia lampada è troppo fioca e devo continuamente aguzzare la vista per vedere quello che ho scritto ma non oso accenderne una più forte per paura di svegliarlo, così continuo a strabuzzare gli occhi per distinguere le righe sul foglio.
Con gli occhi chiusi, sorrido pensando all’espressione del suo viso quando leggerà queste pagine. Già lo vedo storcere la bocca nella sua smorfia abituale mentre nasconde gli occhi neri che ridono, seduto, o meglio sepolto, in quella vecchia poltrona vicino al fuoco, troppo vicino per me, lanciando occhiatacce al mio ritratto sopra il televisore!
Senza smettere di sorridere, apro gli occhi e riprendo la penna, rivivendo con la mente gli eventi che ci hanno portato in questa vecchia casa sulla scogliera dove il mare borbotta di continuo e all’improvviso sento un brivido sfiorarmi la pelle delle braccia e della schiena mentre ricordo quel viso che affiorava a tratti tra le onde, urlando antiche maledizioni cariche di rabbia e terrore…
Scuoto la testa con la fronte corrugata, decisa a scacciare quei pensieri e ricomincio a scrivere.
So che se voglio raccontare tutta la storia non potrò fare a meno di scrivere anche delle cose brutte ma ho deciso che non permetterò a quei fantasmi di torturarmi ancora, ci penserò solo quando dovrò raccontarli e poi li bandirò per sempre. Questo diario non è solo un regalo ma anche il mio modo per esorcizzare per sempre il passato. E poi manca ancora tanto prima che il mio racconto arrivi all’incontro con il Cardinale, non sono che all’inizio della mia piccola opera…
Guardo l’orologio e ricordo che ho poco tempo per questa notte. Cerco perciò di riportare alla mente il ricordo del momento che sto descrivendo ora, una sera di un gelido ottobre e non posso trattenermi dal sorridere di nuovo…

 
28 OTTOBRE 1996
La serata è gelida. Non ricordo che abbia mai fatto così freddo in questo periodo dell’anno; molti pensano addirittura che ci sarà neve in questi giorni. Spero di no. Mi piace la neve, la sua carezza fredda, ma rende difficile correre e cambiarsi in fretta e io ho estremamente bisogno di poter fare entrambe le cose.
Mi stringo ancora di più le braccia sul petto e alzo il passo verso la luce calda che illumina le finestre poco più avanti. Non vedo l’ora di piazzarmi vicino alla stufa con un bicchiere di buon vino rosso in mano e mia zia possiede entrambe le cose.
Quando finalmente raggiungo la casa ho le mani e la faccia insensibili e a stento riesco a suonare il campanello. Quando il vecchio Bill mi apre la porta sono talmente intirizzita che non riesco propriamente a sorridere, ma faccio un tentativo e corro verso il salotto, per salutare zia Ade. In realtà si chiama Adelaide e non è mia zia, ma sono tanti anni che la chiamo così e a lei fa piacere. Le do un bacio gelido sulla guancia velata di rughe sottili che nessuno avrebbe il coraggio di farle notare e saluto rapidamente gli altri presenti, stranamente numerosi.
- Dove sono mamma e papà? – chiedo mentre mi tolgo il cappotto e il sangue riprende a circolare nella mia faccia con un piacevole formicolio.
- Arriveranno a momenti cara, sai com’è tuo padre – mi risponde quasi urlando. Zia Ade è quasi completamente sorda e crede che anche il resto dell’umanità, per solidarietà, abbia deciso di cavarsi i timpani. Ma anche questo è un aspetto di zia Ade che nessuno sottolineerebbe mai davanti a lei.
- Perché non vai a prendere un bicchiere di vino dalla cucina e ti riscaldi accanto alla stufa, cara? Sembri un ghiacciolo! - mi suggerisce sempre a voce troppo alta e io sorrido, quindi mi faccio largo tra la folla per raggiungere l’accogliente cucina.
Mentre esamino con lo sguardo le numerose bottiglie esposte sulla parete per cercare il mio preferito, sento il campanello e subito dopo la voce di mia madre che saluta tutti allegramente e mi affretto a riempire uno dei bicchieri puliti ordinati sulla mensola e a tornare nell’altra stanza. Come tutti, anch’io sono curiosa di conoscere il resoconto della serata.
I miei, infatti, sono appena tornati dall’ospedale, dove Caterina ha appena partorito i suoi tre gemelli e ora la stanza è un continuo rilancio di domande. In breve mia madre (con l’aria soddisfatta di essere lei a riferire il tutto) ci informa che il parto è stato difficile ma ben riuscito, che i gemelli sono sani, robusti, in carne come i genitori e che una di loro e femmina mentre gli altri due sono maschi. E così sono svanite tutte le ipotesi e le relative scommesse sul sesso dei gemelli, penso con un sorriso.
Quando hanno finito i dettagli, mi avvicino per salutarli e finalmente riesco a dirigermi verso la stufa nell’altro salotto, quello grande, ma mi blocco a pochi passi dalla meta.
Al mio posto abituale, davanti alla stufa, leggermente a destra per appoggiarsi al basso mobile di mogano c’è un ragazzo, uno sconosciuto tra l’altro.
Lo guardo accigliata, con la voglia di spintonarlo e riprendermi il posto che è mio per diritto da quando ho messo piede per la prima volta in quella casa ma mi accorgo che non sarebbe molto maturo da parte mia e sbuffo. Si è anche messo nella mia stessa posa!
Lo squadro meglio senza preoccuparmi di nasconderlo, chiedendomi chi sia. Di certo qualcuno di importante, ricco sfondato, a giudicare dagli abiti firmati ed eleganti.
In quel momento lo sconosciuto ride, una risata sommessa ma vibrante, perfetta sul suo viso raffinato e io resto lì a fissarlo sfacciatamente, dimentica di tutti gli altri presenti che mi passano accanto.
È alto, molto più di me, e magro, ma non eccessivamente, con la carnagione scura e i capelli neri, perfettamente lisci, pettinati all’indietro con quantità industriali di gelatina, in modo da lasciare libera la fronte alta e spaziosa. Il volto ha i lineamenti delicati e il naso aquilino sembra mettere in risalto la bocca sottile ma decisa, sensuale.
Indossa un cardigan nero, il cui collo alto gli sfiora a tratti il mento non perfettamente rasato, e un paio di pantaloni beige firmati, dalla linea semplice ma elegante e anche le scarpe sono firmate, nere. Nell’insieme sembra sofisticatamente semplice ed emana un fascino non indifferente.
- Se non chiudi la bocca, sbaverai sul tappeto – mi avverte Linda comparendomi accanto con un bicchiere di vino in mano a sua volta. Anche lo sconosciuto ne ha uno e mi chiedo quale abbia scelto fra la collezione di zia Ade.
Io apro la bocca e la richiudo di scatto, fingendo di asciugarmi un filo di bava dall’angolo della bocca con il dorso della mano e Linda ride, poi mi saluta con un bacio sulla guancia.
- Sapevo che avresti approvato. Ma ti avverto, devi pagare il biglietto e rispettare la fila – continua con aria divertita e questa volta sono io che rido. Quando farò la fila per un uomo, i miei capelli saranno tutti bianchi, non avrò un solo dente in bocca e camminerò col bastone.
Però non posso negare che chiunque sia il ladro di stufe, è decisamente bello. Quasi perfetto se non fosse che è un uomo e che mia ha rubato la stufa.
Faccio segno a Linda di seguirmi e mi siedo sul divano sull’altro lato dalla stanza, da dove posso continuare a osservare l’affascinante sconosciuto, che intanto si è girato per parlare con una anziana amica di mia zia.
Sono contenta che sia girato almeno in parte, così posso guardarlo senza che se ne accorga. Il suo profilo deve essere semplicemente magnifico. Lo osservo mentre guarda la sua interlocutrice con sguardo interessato, ascoltando il monologo con un sorriso gentile.
Mi chiedo quale sia il suo nome e come si trovi in casa di zia Ade. Forse è un nipote di qualche ospite… Probabile, ma non l’ho mai visto ai frequenti raduni di mia zia.
- Oltre a conoscere il numero delle sue pretendenti, sai anche il suo nome? – domando a Linda, interrompendo il suo sproloquio sul suo ultimo acquisto nella nostra boutique preferita. Lei mi guarda perplessa e io indico con lo sguardo verso la stufa e lei sorride.
- Si chiama Alex, non so il cognome, ed è il figlioccio di quella signora vicino alla credenza, quella con la gonna a fiori.
Io mi volto fingendo di aggiustare la gonna per non dare nell’occhio. La conosco. Zia Ade l’ha conosciuta qualche settimana fa nella pasticceria di mia madre e ha subito insistito per presentarmela. Ha conoscenze influenti all’università dove studio. Come se mi potrebbero essere utili, poi.
- Pare che abbia vissuto con il padre in America diversi anni e ora è tornato per stare con la madre. Lavora con la legge, o medicina, o qualcosa del genere. Roba da secchioni insomma – continua intanto Linda imperterrita. Mi chiedo dove abbia scoperto tutte queste cose. Certo non da lui in persona, quindi non so se credere a tutto.
- Ha già fatto strage in paese anche se è qui da meno di una settimana – aggiunge poi la mia amica con uno sguardo malizioso che io fingo di non notare. Sorseggio un altro po’ il mio vino e spio Alex da sopra il bordo del bicchiere. Mi chiedo se sia una coincidenza che si chiami proprio Alex.
Comunque, ha già perso parte del suo fascino. Non mi sono mai piaciuti i figli di papà e lui è certamente uno di loro. Uno tutto vestiti firmati e voti eccellenti agli esami dell’università, voto a cui hanno contribuito non poco i soldi di paparino, in aggiunta alle tasse ordinarie. Qualcuno di altezzoso e pieno di sé, in cerca solo di attenzioni. Lo dimostra la cura con cui si è vestito per venire ad una partita a carte fra vecchi, come se si aspettasse di incontrare qualche divo di Hollywood.
Visto che Linda continua a fissarmi con aria sorniona, decido di cambiare discorso e le chiedo del suo ultimo fidanzato. Funziona alla grande e Linda attacca a descrivere dettagliatamente ogni messaggio che si sono scambiati nell’ultima settimana, resoconto che io tra l’altro ascolto solo in parte, visto che lo conosco già.
Come mi aspettavo, è assolutamente identico a quello che riguardava il precedente. Mi chiedo se non l’abbia imparato a memoria, come una poesia per bambini. Probabilmente, la colpa è del fatto che i ragazzi di Linda hanno una sola cosa in comune fra loro: il quoziente intellettivo pari a zero virgola svariati zero uno.
Mi chiedo di nuovo come fa Linda a sopportarli: lei ha intelligenza da vendere, è un fenomeno. A sua detta, anzi, è per quello che li sceglie stupidi. A letto non serve il cervello e fuori lei pensa per entrambi. Secondo me il discorso è assurdo ma a lei va bene così e io non mi intrometto. Però continua a sembrarmi una cosa squallida. Non che sia una fan dell’amore vero, ci credo più o meno quanto credo a Babbo Natale, ma credo che i rapporti dovrebbero basarsi su qualcosa di più solido dell’intesa sessuale, come il rispetto, la fiducia, il sentirsi a proprio agio.
Continuando a sorseggiare il vino, mi chiedo come mi presenterò alla reception dell’hotel l’indomani. Quasi tutti i documenti che ho li ho già usati e non ho il tempo di farne di nuovi. Dovrà bastare una nuova pettinatura e un accento diverso. Straniero magari. Tipo scozzese o roba del genere. Più ci penso, più mi sembra una buona idea. Posso fingere di aver lasciato i documenti in valigia, che purtroppo non mi è ancora stata consegnata. Può funzionare, specialmente se l’addetto è un novellino.
Linda ha finito di parlare del suo nuovo ragazzo e mi chiede dell’università, così le racconto le ultime novità e chiacchieriamo del più e del meno per un altro po’, poi mi accorgo che il mio vino è finito, così le dico di aspettarmi e torno in cucina per riempirlo ancora. L’adunata di là sembra dover durare ancora parecchio.
Arrivata sulla porta della cucina esito leggermente sulla soglia, poi entro a testa alta, l’aria indifferente. Accanto al tavolo, intento a stappare una bottiglia di vino pregiato, c’è Alex-lo-sconosciuto che alza la testa sentendomi arrivare.
- Queste bottiglie sono splendide. È un peccato doverle aprire, non trovi? – mi chiede con un sorriso. Io annuisco sorridendo ma senza entusiasmo. Vado alla parete da esposizione e scelgo una bottiglia già aperta, quindi torno al tavolo e la appoggiò sul legno scuro, stappandola. Non so perché ma mi sento nervosa vicino a lui, quindi faccio tutto di fretta, così posso correre di nuovo da Linda.
- Conosce l’ospite di casa? – mi domanda con una altro sorriso. Ma non smette mai di sorridere? Che c’è di divertente nel chiedermi se conosco l’ospite? Mah… e poi chi è che va alle feste di anziane che non conosce?
- Sì, abbastanza bene – mi fermo e lo guardo, rispondendo al sorriso – E’ mia zia.
Quasi non scoppio a ridere quando vedo la sua faccia sorpresa. Non te l’aspettavi eh? Chissà perché mi viene spontaneo mettermi sulla difensiva vicino a mister bei vestiti…
- Non l’avrei mai detto. Siete così diverse… - mi fa lui, sempre col sorriso stampato in faccia. Mi viene voglia di tirarglielo via a schiaffi.
Anche perché, se si fosse prima disturbato a chiedermi chi fossi, ora saprebbe il perché non ci somigliamo. Però mi sembra strano che qualcuno nell’emisfero non sappia la mia storia. A momenti la pubblicavano anche sul giornale nazionale grazie a mia madre… poi mi ricordo: Linda ha detto che è vissuto in America tanti anni. Forse è per quello che non conosce la storia della povera orfanella smarrita.
Senza salutarlo esco dalla cucina con il bicchiere pieno, troppo pieno. Non appena mi giro verso Linda un vecchietto mi viene addosso e io gli rovescio mezzo bicchiere di vino sulla camicia.
-Oh, mio Dio, mi dispiace, davvero, mi dispiace tanto… - mormoro imbarazzata e mi giro per vedere se c’è qualche straccio pulito intorno. Qualcuno me lo porge e io lo afferro e comincio a pulire la camicia dello sconosciuto anziano, che sembra non aver nemmeno capito cosa sta succedendo.
Il danno è abbastanza grave, ma il vecchietto non sembra preoccupato e dopo qualche tentativo rinuncio anch’io. Tanto non è che avrebbe fatto conquiste con quella camicia.
Mi giro, dispiaciuta per quel casino, e vedo mister bei vestiti che mi guarda con la faccia di chi non riesce più a trattenere una risata. Ma tu guarda! Come si permette? Se non fosse stato per lui nemmeno avrei combinato quel disastro. Maleducato impertinente!
- Non è che ti serve aiuto? Non vorrei che uccidessi qualcuno alla prossima distrazione. Sai com’è, non sono più giovanotti qui… - mi canzona lui.
Ora gli tiro sul serio uno schiaffo e poi vediamo chi dei due ha bisogno di aiuto!
- Visto che… - comincio ma poi mi interrompo.
Cosa dovrei dirgli, che è stata l’emozione di aver parlato con lui che mi ha scombussolata?! Ma per piacere! È già abbastanza egocentrico di suo, senza che gli racconti fesserie.
- No grazie. Il bicchiere ora è più vuoto.
Faccio per camminare, ci ripenso e mi volto verso di lui.
- Ma se per caso vuoi portarmi il bicchiere, non dico no – gli faccio con un sorrisetto e lui fa una faccia da “Touchè”. Rido e torno da Linda che mi guarda con tanto d’occhi.
- Ora è il tuo turno di chiudere la bocca – le faccio con un sorriso e mi siedo sul divano accanto a lei.
- Sei qui da meno di un’ora e già sei riuscita a parlargli. Ti avevo detto di rispettare la fila- aggiunge con espressione di rimprovero e ridiamo insieme.
- Si vede che salta subito al dessert – faccio io, con finta modestia. Ma preferirei cambiare discorso, così le chiedo del week-end.
- Forse vado al mare con Robert.
- Al mare? Ma sei impazzita? È ottobre, se non l’hai notato e sta per nevicare – le faccio notare io. Chissà perché sospetto che l’idea sia dell’energumeno che si ostina a chiamare Robert.
- L’ha proposto Robert. Non so perché ma forse vuole chiedermi qualcosa di importante… - mi risponde lei con aria sognante.
- Si certo. Al massimo ti chiederà se vuoi fare un bagno in acqua così ti fa vedere come luccicano i suoi muscoli quando sono bagnati. – la disilludo io. È proprio ingenua certe volte.
- Io non rifiuterei… - risponde lei con aria ammiccante e io faccio finta di soffocare un conato. È matta, ormai è ufficiale. La prima cosa che faccio quando torno a casa è chiamare uno psichiatra.
Il discorso cambia ancora argomento e prosegue tranquillo fino a quando non succede l’orrore: prima a basso volume, poi sempre più alto, si diffondono le note di un lento.
No, non può succedere. Se mia madre comincia, non la ferma più nessuno. E mi costringerà a ballare con qualche vecchietto. Mai. Mai e poi mai.
- Alexis tesoro… - mi chiama infatti in quel momento dall’altra stanza. Lo sapevo. E se fingessi una polmonite lancinante? O è meglio fingere che mi ha chiamato Richard Gere? Linda ride di gusto e io mi alzo lentamente.
- Tesoro, cos’è quella faccia da funerale? – domanda mia madre, raggiungendomi.
- Faccio le prove per quando mi sarò vendicata – le sussurro in un orecchio e lei mi guarda con l’aria innocente.
- E perché pensi che c’entri io? Ti assicuro che ti sbagli. Ma visto che ce n’è l’occasione perché non concedi un ballo a questo simpatico ragazzo? È il figlioccio di Paola, quella signora che… - dice lei con un sorriso e io mi sento raggelare. Pregando di sbagliarmi, mi chiedo quanti ragazzi ci siano alla festa…
- Non sono sicuro. La mia camicia è nuova e visto cosa succede col vino… - mi prende in giro lui. Tutti ridono e io decido che è l’ultima battuta che fa in vita sua. Forse il linciaggio potrebbe andare…
- La tua camicia starà benissimo. Però io stipulerei una polizza assicurativa – risponde mio padre intanto. Lo fulmino con lo sguardo. Questa sera sarà una strage. Un’ecatombe di vendetta.
Mi sento arrossire e maledico di nuovo quell’arrogante. Se fosse un gentile bravo ragazzo, ora dovrebbe intuire che non ne ho nessuna voglia  e declinare l’invito…
- Con molto piacere – dice lui e mi porge il braccio. Figuriamoci.
Immagino mentre rifiuto e lascio la casa con fare sprezzante… e con un’orribile figura da codarda. Come tornerei ai prossimi raduni?
- Se è un piacere per te… - rispondo alla fine, lasciando capire che non vale lo stesso per me. Sarei proprio falsa se glielo facessi credere.
- Alla prossima canzone, allora, milady – risponde con un sorriso galante e gli occhi di mia madre assumono lentamente la forma di un cuore. L’ha conquistata. Ora forse si sposano e mi lasceranno in pace. Mi spiace solo per papà.
Io gli faccio un sorrisetto e torno di corsa da Linda.
- Allora?
- Mi ha chiesto di ballare – rispondo tetra. Io odio ballare. E odio lui. E odio il doppio ballare con lui.
- Davvero? – Linda sembra al settimo cielo.
- Balleremo, non organizziamo il matrimonio Linda. E poi, tecnicamente, mia madre ha proposto di ballare e lui ha accettato.
- Ma è magnifico.
- No, è solo educato. Orrendamente educato.
- Sei certa che vuoi ballare con lui? – mi chiede poi preoccupata.
- No che non voglio. Ma perché ti preoccupi?
Linda sembra esitare, poi prende coraggio.
- Visto che lui è così gentile e che il tuo modo di ballare è un po’… come dire… doloroso in certi casi…
Ok, ora sono furiosa. Come sarebbe a dire doloroso? Va bene, non sono proprio una ballerina nata, però non sono poi un disastro… non sempre almeno. Non se mi impegno.
Con orrore sento che la musica è finita. Mi nascondo con la speranza che lui non mi veda e rinunci ma subito sento Linda esclamare:  - Siamo qui. Alexis è qui!
Ecco un’altra vittima della mia vendetta questa sera. Ma Bei Vestiti è davanti a me e non posso fuggire come se fosse un lupo, quindi sorrido e mi dirigo con lui verso il salotto, liberato apposta per far spazio alle coppie.
- Spero che non ti abbiano costretto… - comincia lui. Ma non sembra poi così preoccupato anche se l’avessero fatto.
- Ma come, non vedi la mia felicità sprizzare? – replico sarcastica.
Accidenti, non avrei dovuto. Ora penserà che mi intimorisce.
- Scusami, non è per te. È che odio ballare e odio mia madre quando mi costringe – cerco di spiegare.
- Non preoccuparti. Vedrai che ti verrà la voglia di ballare sempre con me, dopo questo ballo – mi risponde.
Perché mi sono giustificata? È più stupido di quanto avessi immaginato. Se le merita le mie frecciatine. Ma più in fondo mia madre mi guarda con aria spaventata e decido che posso comportarmi bene per un minuto o due. Forse. Se lui tiene la bocca chiusa.
- Non sembri loquace.
“Perspicace!” penso, ma non rispondo.
- Non parli mai?
- Devo concentrarmi sui passi – rispondo brusca. Non mi piace la sensazione della sua mano sulla mia schiena. E anche il suo profumo è troppo… inebriante per i miei gusti. E non permetterò alle sue chiacchiere di farmi deconcentrare dai miei piedi, non posso dare ragione a tutti questi estimatori delle mie capacità di danzatrice.
- Scusa la franchezza, ma devi essere davvero poco abituata al ballo se devi concentrarti per dondolare – mi fa notare.
Gli rivolgo un’occhiata tipo lanciafiamme e lui scoppia a ridere. Ora è ufficiale, lo odio.
- Si chiama battuta di spirito, sarcasmo, non so come preferisci… - continua lui.
No, il linciaggio non è abbastanza, ci vuole qualcosa di più drastico. Nessuno ride di me. Nessuno mi prende in giro. Quella è una mia prerogativa esclusiva.
- O forse l’ho detto per non farti capire che non mi stai simpatico. Si chiama educazione, buon gusto, non so come preferisci… - rispondo io con un sorrisetto ironico e lui sorride di più. Ma l’avrà capito che lo sto insultando? Forse non si è ancora abituato alla lingua locale…
- Non so perché ma mi sembra che abbiamo cominciato col piede sbagliato.
- Ehi, ma te l’hanno mai detto che potresti fare concorrenza a Sherlock Holmes?
La sua mano sulla mia schiena è bollente e il profumo mi da alla testa.
- Grazie. Comunque, perché non ricominciamo? Non so nemmeno il tuo nome…
- E tu balli spesso con le sconosciute?
- No, non sempre. Solo quando sono così simpatiche. Mi fanno sentire il benvenuto – risponde e ride. Però devo ammettere che ha davvero una bella risata. Arrossisco. Perché poi arrossisco? Non ce n’è motivo, non arrossisco mai io…
- Comunque, anche tu non conosci il mio nome – mi fa notare lui.
- Ti sbagli. So che ti chiami Alex, che sei vissuto in America con tuo padre e che lavori con la legge o medicina o roba del genere, che sei abbastanza ricco da vestire firmato e ti piace La Coste. So che ti sei arruffianato mia madre con questo ballo e che ora vivi qui con tua madre…
- Ok, ho capito, brava. Hai fatto i compiti a casa vedo. Però non devi odiarmi poi così tanto se ti interessa sapere la mia storia.
Lo sguardo da pesce lesso che accompagna queste parole mi fa arrossire di nuovo. In effetti, avrei anche potuto fare a meno di quello sfoggio. Ma è stato lui a provocarmi.
- Io comunque sono Alexis – gli dico, tanto per cambiare discorso.
Lui mi guarda con una faccia strana, come se stesse cercando di capire se parlo sul serio.
- Be? Che c’è? Mai sentito un nome del genere? – gli domando.
- No. Però devi ammettere che è una strana coincidenza. Io Alex e tu…
- Perché sarebbe strana? Ci sono milioni di persone con questi nomi.
- Sì ma non tutte ballano insieme anche se si odiano – replica lui, serio per una volta. La volta sbagliata per altro, perché quello che sta dicendo è così assurdo che sono io questa volta a sorridere ma non dico nulla, decidendo che è inutile discutere con lui.
- Non ho mai detto di odiarti – rispondo alla fine, più per educazione che altro.
- Davvero? Chissà perché ero convinto del contrario – replica lui ironico e io gli lancio un’occhiataccia, ma scuoto la testa e non rispondo.
- Visto che sai così tante cose su di me, che ne dici di pareggiare i conti? Cosa fai nella vita? Vivi in città?
- Sono al quarto anno di università e vivo in città, sì – rispondo in tono casuale.
Immagino però la faccia che farebbe se aggiungessi che compro quadri di valore sotto falso nome, scrivo libri sotto falso nome e continuo la vita di una donna morta cinque anni fa. Il tutto per svelare una specie di mistero cosmico. Per poco non scoppio a ridere da sola.
- Cosa fai nel tempo libero? – insiste lui. Ora ha abbandonato quell’aria di sufficienza e sembra più serio, quasi interessato. E poi non sorride più come un ebete, grazie al cielo.
Esito un po’, poi rispondo mantenendomi sul vago: leggo, ascolto musica, faccio un po’ di sport… solite frasi fatte, di cui l’unica cosa vera è lo sport. E non per passare il tempo ma per necessità. Per lavoro se vogliamo.
Lui annuisce e continua a farmi domande in generale sulla mia vita. Io rispondo automaticamente, quasi senza pensare, sforzandomi di non pensare alla sua mano sulla schiena, alla piacevole sensazione del suo ventre piatto contro il mio, del suo alito fresco ma un po’ dolce… Possibile  che questo ballo non finisca mai?
Quel pensiero mi fa venire un terribile sospetto. Senza smettere di ballare, con la fronte corrugata, mi sforzo di sentire le note della canzone sotto il chiacchiericcio. È ancora lenta, morbida e avvolgente, ma è diversa da quella che stavo ballando. Come pensavo.
- Per quanto abbiamo ballato? – gli chiedo brusca, interrompendolo mentre diceva qualcosa.
Lui mi guarda confuso, come se non capisse e finge un’aria innocente. Io lo guardo furiosa e lui sorride.
- Quattro canzoni, la seconda piuttosto lunga a mio parere, ma piacevole – mi risponde in tono conciliante. Lo trafiggo con lo sguardo, sperando che mi nascano i superpoteri per poterlo incenerire all’istante. Non succede, ovviamente, ma lui smette di sorridere, forse ha capito che non mi sto divertendo affatto.
- Ballavamo così bene e non stavamo nemmeno litigando… - dice lui, a mo’ di scusa ,ma allenta la presa sulla schiena, comprendendo che non me ne importa un accidente.
Senza rispondere, non voglio che capisca quanto mi ha infastidita, mi stacco e mi dirigo a passo svelto verso l’ingresso senza degnarlo di un altro sguardo. Prendo il cappotto e mentre lo infilo vado a cercare zia Ade per salutarla, poi saluto i miei genitori e Linda, che finalmente sta parlando con una donna. Lei mi chiede come mai vado via così presto ma io le prometto che le spiegherò per telefono. Lei intanto annuisce e sorride, come se avesse intuito chissà quale grande verità ma io cerco di ignorarla. Devo andarmene da lì e alla svelta.
Corro alla macchina, rabbrividendo sotto il freddo intenso, più pungente dopo il calore della casa. Andare al mare, che razza di idea. Solo a uno come Robert poteva venire in mente con questo freddo. Mi chiedo perché la natura sia stata così crudele con quell’uomo.
Mentre il motore si riscalda, chiudo gli occhi e respiro a fondo, sentendo che il solito mal di testa comincia a strisciare lungo le mie tempie e faccio una smorfia. Cerco di non pensare all’interrogatorio di mia madre domattina. Di certo vorrà sapere come mai ho ballato così tanto tempo e con la stessa persona per giunta. Cosa risponderò, che il suo profumo era così buono che non sentivo nemmeno la musica?
Accidenti a lui. Accidenti, accidenti e ancora accidenti. Ci mancava solo questa.
La macchina parte e per un po’ mi concentro sulla guida. Salgo velocemente in casa, mi assicuro di chiudere tutte le serrature e inserisco il ferretto, lascio chiavi e cappotto sul divanetto all’entrata e mi dirigo verso il salotto, assaporando il tepore di casa mia. Che benedizione il riscaldamento centrale!
Vado dritta allo stereo, scelgo il cd e lo inserisco, alzo il volume e vado in cucina. Mentre le rilassanti note di Enya si diffondono lentamente per la casa, mi preparo un bicchiere di tisana alle rose. Dicono che dovrebbe aiutare a dormire. Non è vero, non per me almeno, ma hanno un buon sapore e un ottimo profumo. Con la tazza bollente tra le mani torno in salotto e sprofondo nella poltrona con gli occhi chiusi, lasciando che la musica agisca sui miei nervi.
Ripenso all’intera giornata, in particolare la sera, e cerco come ogni giorno di fare un elenco delle cose positive e negative. Tra quelle positive c’è che sono riuscita ad ottenere un appuntamento con il rivenditore e forse tra qualche giorno avrò l’ennesimo quadro. Quelle negative sono Alex Bei Vestiti, Alex Bei Vestiti e Alex Bei Vestiti. La musica sprigiona una serie incredibilmente rapida di note al pianoforte e io immagino di eseguire quegli accordi. In realtà non riuscirei mai a suonare quella musica, non sono molto brava ancora, ma il piano mi piace, è rilassante e spero di trovare tempo per imparare a suonarlo bene.
Ripenso a ciò che ci siamo detti con Alex Bei Vestiti, a come l’ho visto quando sono entrata, con il sorriso gentile e il viso arrossato dal calore della stufa, a come era piacevole la sensazione della sua mano sulla schiena… scuoto la testa. Basta. Il tempo di Alex Bei Vestiti è scaduto, da un pezzo. Ho cose più importanti a cui pensare.
Eppure continuo a sentire il suo profumo, è come se i miei vestiti si fossero impregnati di quell’odore fresco, mascolino. Chiudo gli occhi più forte e bevo l’ultimo sorso di tisana. Basta con il rampollo. Fine della questione.
Mi alzo e metto la tazza nel lavandino, quindi vado in camera da letto. Mi svesto lentamente, Enya continua a suonare uno strumento a fiato che non riesco a riconoscere, di là, e io mi concentro su quel suono, per capire di che strumento si tratta.
Infilo canticchiando a bassa voce la camicia da notte e mi infilo velocemente sotto le coperte, con un brivido. Mi accoccolo nella mia posizione preferita sotto il voluminoso piumone arancione e rimango a sentire le note. La musica è finita e ne comincia un’altra, una delle mie preferite, quella che mi fa sempre pensare ad una radura in mezzo ad una foresta sotto la pioggia, quella fresca, estiva cascata d’acqua…
Senza accorgermene scivolo lentamente nel sonno. Penso che dovrei spegnere lo stereo ma non ho voglia di alzarmi. Tanto prima o poi si spegne da solo. Molto meglio starsene qui al calduccio a pensare a come sarebbe bello essere in quella foresta della canzone, sotto la pioggia fresca, mentre ballo un lento con Alex…
 

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Capitolo 3
*** Coinquilini ***


Lascio di nuovo la penna, gli occhi mi bruciano come se avessi una fiamma che arde proprio al centro. Strano come ricordo ogni dettaglio di quella sera. Sono successe così tante altre cose nel frattempo, eppure quella sera è rimasta vivida, come marchiata a fuoco dentro di me. Uno di quei ricordi che anche quando sarò vecchia, con i capelli bianchi e nemmeno un dente in bocca, potrò raccontare ai miei nipoti con estrema lucidità. Mi fa male la schiena e ho le gambe intorpidite, così decido di alzarmi a fare due passi. Tendo l’orecchio per sentire se per caso lui si è svegliato ma lo sento russare debolmente. Sorrido. Dice sempre che non russa lui. Ne è davvero convinto. Mi alzo lentamente per non far cigolare la sedia e mi stiracchio sentendo la schiena che scricchiola appena. Il mare sotto di me sembra essersi calmato, ora è solo un vago mormorio lontano. Vado in cucina e prendo un po’ d’acqua dal frigorifero, che ronza sommessamente, come un vecchio affaticato. Ritorno con la mente alla mia storia, ma non alla sera che ho appena raccontato ma agli anni precedenti. Ricordo quando ero ancora una bambina che sognava di fare la scrittrice, e sorrido un po’, pensando a quanto sia buffo il destino. Avevo realizzato il mio sogno ma talmente diverso da come l’avevo immaginato… e a quale prezzo…
Guardo l’orologio sulla cucina e vedo che si è fatto veramente tardi. Sarà meglio che vada a dormire un po’ o domattina non riuscirò a tenere gli occhi aperti e addio lezione. Torno silenziosamente nella stanza da letto e mi corico, cercando di fare più piano possibile.
Lo guardo preoccupata ma lui continua a dormire tranquillo. Potrebbero assassinarlo nel sonno e lui non se ne accorgerebbe nemmeno. Sorrido e lo bacio delicatamente, poi mi stendo accanto a lui. Improvvisamente mi abbraccia, senza aprire gli occhi.
- Ti amo, ti amerò sempre anche se non chiudi le tende – mi sussurra.
Io sorrido con la testa contro la sua spalla. La sua frase non ha senso e mi fa capire che sta parlando nel sonno. Dio, quanto lo amo. Dove potevo trovare un altro uomo che mi dicesse d amarmi anche mentre dorme?
- Anche io amore, anche io. Anche se russi e parli nel sonno – gli rispondo in un sussurro.
- Io non russo – mi risponde con la voce impastata e alzo la testa per capire se è sveglio o no. Non sembra che sia sveglio, ma naturalmente è mio marito, la recitazione è la sua vita.
- Allora forse è Giacomo che russa, devo essermi sbagliata – dico. Se è sveglio non se ne starà zitto. Non mi risponde ma mi stringe forte e borbotta qualcosa che non capisco, poi mi bacia sulla tempia, nel nostro punto segreto.
- Ti amo anche se dormi con Giacomo – mi dice.
E io sorrido, sentendomi innamorata come una ragazzina. Amo mio marito e va bene così. Al diavolo le maledizioni fantasma.

 
5 marzo 1997
Guardo ancora l’orologio. So benissimo che non possono essere passati più di due minuti ma non riesco a trattenermi. Mi chiedo cosa farò se non si presenta. È assurdo, è un uomo d’affari rispettato, non c’è nessun motivo per cui non dovrebbe presentarsi. È solo paranoia mi dico. Intanto continuo a guardare verso la porta e stringo convulsamente il bicchiere nella mano, rimpiangendo di non aver preso qualcosa di più forte che mi rilassasse nell’attesa.
Poi finalmente la porta si apre di nuovo e lo vedo entrare, scuotendo il fondo dei pantaloni dalla pioggia. Tiro un sospiro di sollievo e mi do della sciocca, quindi alzo la mano e faccio un cenno, così che veda dove sono seduta. Lui risponde appena al sorriso e si dirige a grandi passi verso di me, stringendo con mio enorme piacere una valigia dalle dimensioni strambe, enorme ma sottilissima. Può contenere solo un quadro.
- Buonasera signorina Samples. Mi perdoni il ritardo ma questa pioggia ha mandato in corto la gente oggi – si scusa lui, sedendosi e poggiando delicatamente la valigia per terra contro la sedia, così che non cada.
- Si figuri. Non sono arrivata da molto neanche io – rispondo. Non è vero, sono arrivata anzi con mezz’ora d’anticipo e lui è in ritardo di un’altra mezz’ora abbondante ma non mi sembra gentile farglielo notare. E poi è meglio che non capisca quanto tengo a quel quadro. Sempre meglio non sapere.
Comincia a fare qualche domanda generale, com’è il tempo dalle mie parti, come stanno i bambini, cose di questo genere. Io rispondo a tutto educatamente, tenendo ben presente ciò che gli ho raccontato su Leanne Samples, ma in modo sbrigativo. Voglio concludere questo affare al più presto e tornare a casa.
- Spero non le dispiaccia se vado subito al dunque signorina – dice lui e io sorrido, non riesco a farne a meno.
- Purtroppo sarà una lunga giornata e vorrei tornare dai miei figli in tempo per la partita - continua e io annuisco, mentre penso che può anche mettersi a ballare il tip-tap se serve ad accelerare.
- Come vede ho portato con me il quadro, così potrà accertarsi di persona che è quello che le interessa. Devo ammettere signorina che non è stato facile trovarlo, lei ha dei gusti molto particolari – dice ancora mentre apre la valigia ed estrae con delicatezza la tela, liberandola poi del velo che la protegge.
È esattamente quella che cercavo. Mi sembra impossibile averla trovata finalmente e mi viene voglia di gridare e ordinare un mega cocktail per tutti, ma annuisco e sorrido appena. Non deve capire. Meglio non sapere.
- Mi dispiace se le ha procurato qualche grattacapo signor Dumont. Ma nessuna opera varrà più di questa tra qualche anno, mi creda – rispondo sorseggiando soddisfatta il mio the freddo. Lui mi sorride ma non commenta. Probabilmente è convinto che sia solo un’altra eccentrica che si crede una grande esperta e invece non capisce nulla di arte. Bene, è esattamente quello che voglio che pensi di me. Non per niente ho indossato questo cappello e questa gonna orrendi.
- La ringrazio nuovamente di cuore per aver dedicato a me il suo tempo signor Dumont e spero che il piccolo extra che ho inserito nella busta la ripaghi almeno in parte delle sue fatiche – dico passandogli la voluminosa busta. Per un momento mi viene l’insana idea di fuggire con il quadro e i soldi. Sono davvero un gran bel gruzzolo, mi ci vorrà una vita per recuperarli. Ma ovviamente non faccio niente del genere.
Aspetto che controlli che ci sia tutto e mi godo la sua espressione esterrefatta quando vede in quanto consiste esattamente il piccolo extra. Mi è dispiaciuto un po’ dar via tutti quei soldi ma è importante che non faccia mai il mio nome in caso qualcosa vada storto. E ci penserà due volte prima di parlare di me e ammettere che si è intascato tutti quei soldi. Potrebbe costargli la carriera e questo lui lo sa.
- Non so davvero come ringraziarla signorina. Fare affari con lei è stato un vero piacere e spero che capiti presto un’altra occasione – dice lui alzandosi in piedi, pronto per andar via.
- Lo spero anche io, signore. Non immagina quanto – rispondo con un gran sorriso. Ovviamente, è l’ultima volta che ci vedremo ma è meglio che lui creda il contrario. L’idea di un altro extra come quello che ha appena ricevuto gli farà tenere la bocca ben chiusa sul nostro incontro, ne sono certa.
Non appena l’uomo è uscito dal locale mi volto verso la barista, una simpatica ragazza dai grandi occhi verdi, e le ordino un gin-lemon. Solitamente non bevo alcolici ma mi sembra giusto festeggiare. Ne mancano solo cinque e poi sarà tutto finito, la mia vita tornerà una comune vita da cittadina.
Sorrido mentre mi massaggio il collo e penso a come sarà bello poter riprendere gli studi davvero, magari laurearmi addirittura. Solo altri cinque. Cinque e poi la libertà.
Bevo con calma il mio gin lemon guardando il resto del locale, deserto a quell’ora, ad eccezione di due vecchietti che si giocano l’ultima birra della giornata a carte, poi pago il conto ed esco.
È incredibile il freddo di quest’anno. Sembra inverno da una decina d’anni e ancora non accenna a lasciare il passo all’estate. Non vedo l’ora di poter mettere da parte tutti questi dannati maglioni, non li sopporto più. Se tra due settimane il tempo non è cambiato giuro che me ne infischio e vado in giro con le canottine, anche se morirò di freddo.
Prendo l’ombrello dal portaombrelli sulla porta e mi avvio verso casa a passo lento, attenta a non incappare nelle numerose pozzanghere e a sollevare il quadro abbastanza perché non lo sfiori nemmeno una goccia. Fortuna che casa è vicina, mi sento davvero una vecchia pazza in questo momento e di certo lo penseranno anche i passanti, che già cominciano a guardarmi storto. Al diavolo.
Apro la porta di casa e corro ad appoggiare la tela sul tavolo della cucina, poi mi tolgo la giacca e la butto sulla poltrona. La appenderò più tardi, ora ho altro da fare.
Mi avvicino di nuovo al tavolo lentamente, con cautela, pregustando quello che so già di trovare. Rimango qualche minuto a guardare il disegno: è un ritratto, una giovane donna che si guarda allo specchio mentre si aggiusta un ciuffo ribelle di capelli. Studio ogni linea del disegno con attenzione e sfioro appena la superficie con le dita, risalendo lungo il profilo del braccio. So che il mio segreto è sul retro della tela ma non importa, mi piace guardare i suoi disegni, ammirarne la bravura.
Finalmente decido che è il momento, quindi giro con molta cautela la tela e la riappoggio sul tavolo, fissando con attenzione la trama del legno sottostante la tela, alla ricerca del dislivello. Eccolo lì, nell’angolo in basso a sinistra.
Mi sento emozionata, come una bimba che scarta i suoi regali di Natale. È una stupidaggine e lo so, so già cosa troverò sotto quel sottile panello, ma non posso farne a meno. Mi consolo pensando che in realtà so solo in parte cosa troverò, mi resta da scoprire ancora molto.
Infilo l’unghia nella discrepanza del pannello e con un po’ di pressione una parte del legno, un piccolo quadrato, si solleva. Lo alzo e lo appoggio sulla sedia più vicina mentre guardo il gruppo di fogli ripiegati che era nascosto sotto quel piccolo quadratino.
Sorrido trionfante mentre lo tiro fuori con delicatezza, aspirando come sempre il profumo che emana. Mi chiedo ancora come sia possibile che dopo tutti quegli anni quella carta sia ancora profumata e ancora una volta non mi riesce di trovare nessuna spiegazione possibile. Pazienza, in fondo anche questi particolari fanno parte della magia di questo piccolo rito.
Apro il primo foglio e scorgo rapidamente le frasi scritte nella sua grafia elegante, per controllare che sia ancora tutto leggibile o se serve qualche ritocco. No, è tutto nitido come quando è stato scritto.
Sono tremendamente curiosa di sapere cosa c’è scritto e mi trattengo a stento dal sedermi sulla sedia lì in cucina per leggere con attenzione. Non è il momento di sapere, non è il mio modo. So già come leggerò quelle poche pagine, l’ho già fatto tante volte e anche questo fa parte del rito, perciò aspetterò.
Lasciando da parte i fogli, rimetto tutto a posto e porto il quadro nella camera da letto, più tardi penserò a come sistemarlo, poi torno a prendere i fogli e li porto nello studio. Apro il cofanetto con l’intenzione di metterli la dentro fino a che non li leggerò ma ci ripenso; tanto comincerò la lettura tra non molto, il tempo di fare una cena veloce e controllare a che punto sono le mie finanze.
Li lascio sulla scrivania e torno in cucina, quindi apro il frigo e cerco qualcosa di buono da preparare. Non ho tantissima fame, voglio qualcosa di leggero. ma non vedo niente che mi ispiri… alla fine pesco un barattolo di formaggio fresco e decido che per stasera andrà bene. Prendo del pane in cassetta dalla dispensa e metto qualche fetta di pane in un piatto, quindi metto il pane nel microonde. Adoro il pane caldo, emana un profumo delizioso, ed è perfetto in serate fredde come questa.
Intanto che il pane riscalda, apparecchio la tavola e penso a cosa ci sarà scritto questa volta sui fogli. L’ultima volta la storia si era fermata quando il protagonista scopre l’elemento comune a tutte le vittime su cui indaga ed è a un passo dallo smascherare il misterioso Cardinale, nome in codice del super cattivo di turno.
Come dimostrerà che la sua intuizione è corretta? Come incastrerà il temibile capo della setta? Muoio dalla voglia di saperlo, come sempre.
E pensare che io sono l’autrice di questo romanzo, io lo scrivo e io lo pubblico… sorrido all’idea, lo faccio sempre. Mi diverte pensare alla faccia che farebbe chiunque se gli raccontassi in quale modo questa storia è finita nelle edicole nazionali.
Mi immagino seduta in un bar, con un buon caffè fumante davanti, mentre rispondo alle domande di un giornalista. Nella mia immaginazione, il tipo davanti a me ha il solito cappello da pescatore che i giornalisti hanno nei film, il solito anonimo impermeabile e l’immancabile piccolo registratore da taschino, fuma un sigaro e si alza gli occhiali sul naso col pollice ogni minuto. È una scemenza, oramai nessuno va in giro così, tanto meno i giornalisti, eppure è così che lo vedo io.
E ho una chiara idea della sua voce, bassa e un po’ nasale, quando mi fa la fatidica domanda:
- Allora, è vero che conosce l’autore della saga di “Resti di verità”?
E io con un sorriso un po’ stanco, come quelli delle assistenti super belle degli agenti segreti dei film, quel sorriso che dice “sapevo che mi avresti fatto questa domanda, vecchio mio e mi sono preparata a dovere”, rispondo tranquilla, già pregustando la sua espressione sbigottita:
- Certo che lo conosco. Sono io l’autore, o meglio l’autrice.
Lui quasi si lascia scappare il registratore dalle mani per la sorpresa e io rido sommessamente, come se lo compatissi un po’.
- E come le è venuta l’idea della storia? – domanda lui infine, quando ha capito che non è uno scherzo.
- In verità, è stato mio padre a darmela. Lui ha scritto la sua storia, poi ne ha suddiviso i capitoli e li ha nascosti nei quadri che lui stesso dipingeva, perché sapeva che l’avrebbero ammazzato prima che potesse pubblicare la sua storia. Poi mi ha lasciato un elenco con i nomi dei quadri in cui erano nascosti i capitoli e il compito di far pubblicare la sua opera. Ed eccoci qui.
Rido di nuovo. Quella si che sarebbe una scena da ricordare. Peccato che non si avvererà mai. Non tanto per la fama, non mi è mai piaciuto essere al centro dell’attenzione e sono sicura che odierei tutti quelli che mi fermano per un autografo… no, più che altro mi piacerebbe dimostrare a tutti quei cervelloni maschi, che è stata una donna a rubargli il primo posto in classifica di tutti i best-seller.
E poi mi chiedo anche, come sempre, se quello che il protagonista del romanzo scoprirà alla fine del libro sia la verità, se qualcuno potrà capire chi è il vero Cardinale, oppure sono solo supposizioni di mio padre. Nella sua lettera non mi ha scritto di aver mai scoperto le identità nascoste dietro i falsi nomi nei fogli scritti in codice, ma non si può mai dire.
Il microonde mi avverte che il mio pane è pronto, così esco il piatto e lo appoggio velocemente sul tavolo, scotta. Spalmo il formaggio fresco sulla prima fetta e assaporo il contrasto tra il pane caldo e il formaggio fresco. Semplicemente divino.
Do un occhiata all’orologio e mi accorgo che è già tardi, devo sbrigarmi se voglio sapere il resto della storia stasera e non permetterei a niente e nessuno di impedirmi di leggere quei fogli, sono troppo curiosa di sapere cosa scriverò nel mio prossimo capitolo.
Mangio ciò che resta della mia cena velocemente e rimetto tutto in ordine, poi vado allo stereo nel salotto e inserisco un cd. Non guardo nemmeno di cosa si tratta, è semplicemente il primo della pila lì accanto.
Mentre il cd sta per partire vado nella mia stanza e prendo i fogli dalla scrivania, insieme con un plaid dalla cassapanca. Accidenti all’inverno. Prima o poi dovrà pur finire!
Torno in salotto e per poco non scoppio a ridere. Il cd che ho inserito è uno di Polly, la figlia della mia vicina di appartamento che ogni tanto passa il pomeriggio con me, quando sua madre deve lavorare fino a tardi, e la canzone che si diffonde dolcemente dalle casse ultima generazione è Candy Candy, un cartone animato di almeno vent’anni fa.
Scuoto la testa e mi avvicino allo stereo per scegliere qualcosa di più adatto alla lettura ma quando sono a pochi passi dai cd qualcuno suona alla mia porta. Mi giro verso la porta e poi guardo l’orologio. È tardi, non ricevo mai visite a quest’ora. Chi può essere?
Grace ha dimenticato le chiavi di casa? No, ci sarebbe Polly in casa con la baby-sitter, aprirebbero loro. Linda che ha lasciato l’ennesimo fidanzato? Non mi sembrava che fossero sul punto di rompere quando l’ho sentita ieri mattina.
Intanto che io formulo le mie ipotesi, il disturbatore suona di nuovo. È evidente che non ha intenzione di andarsene. E se fosse importante? Che qualcuno dei miei genitori si sia sentito poco bene…?
Nascondo i fogli di mio padre sotto il cuscino della poltrona accanto a me con un’imprecazione, abbasso il volume dello stereo e corro ad aprire, improvvisamente allarmata. Ora che ci ho pensato, sono quasi sicura che mi troverò davanti un infermiere o qualcosa del genere venuto a dirmi qualcosa di terribile.
Apro solo la porta senza togliere il ferro, nell’agitazione mi sono dimenticato di averlo inserito. In realtà è stata la cosa più intelligente che ho fatto negli ultimi dieci minuti.
Davanti a me, fermo sul pianerottolo con il solito sorriso ebete c’è Alex-guarda-come-sono-ricco che mi guarda.
Mio Dio, che vuole? A momenti nemmeno lo riconoscevo. Non l’ho più visto dalla disastrosa festa a casa di mia zia, quando ho ballato con lui per quattro balli di fila senza nemmeno rendermene conto.
- Che vuoi? – gli chiedo brusca.
- Buonasera anche a te. Ancora una volta la tua simpatia mi riscalda il cuore, Alexis.
Non solo mi disturba nel momento più importante della giornata, si permette pure di fare il simpatico? Lo odio.
- Non hai risposto. Che vuoi?
Non so perché ma con lui non ci riesco proprio ad essere gentile. È come se emanasse delle radiazioni che mi costringono ad essere maleducata con lui. E comunque non mi importa, almeno capirà che non è il benvenuto e mi lascerà libera di leggere la mia storia.
- Va bene, saltiamo i convenevoli. Sono rimasto chiuso fuori e ho bisogno che Stefania mi porti la chiave di riserva. Posso usare il telefono? – mi chiede lui gentile, con quel sorriso stucchevole.
Io non rispondo, rimango lì a fissarlo come se non avessi capito che ha detto. Be’ in realtà non ho capito sul serio. Perché è venuto fino a casa mia per usare il telefono? Come fa a sapere dove abito?
- Ti ripago il costo della chiamata se vuoi, ma ho davvero bisogno del telefono.
- Perché da casa mia?
Lo so che devo sembrare stupida, una specie di ritardata che non capisce quando le si parla ma non riesco a farne a meno. Proprio non capisco. È come se mi sfuggisse un passaggio logico nel suo discorso. Il che è impossibile, perché ciò vorrebbe dire che ne esiste almeno uno in quello che dice e so che non è così.
- Perché sei l’unica che conosco e non mi sembra un bel modo di presentarmi ai miei nuovi vicini svegliarli a quest’ora per usare il loro telefono.
Ok, più che un passaggio mi manca un intero brano di discorso. Finora ho capito una sola cosa: uno dei due deve aver picchiato forte la testa e sta dando i numeri. E non ricordo di essere caduta.
- Nuovi vicini… ma di cosa stai parlando? Sicuro di non aver bevuto?
Lui mi guarda paziente e sposta il peso del corpo da una gamba all’altra, allargando quel sorriso idiota, come se gli facessi pena.
- In effetti ho bevuto un po’ di champagne, ma non in maniera preoccupante. Ma forse mi sono espresso male, non sono ancora abituato alla lingua come dovrei. Vicini è il termine giusto per indicare chi abita nel tuo palazzo, no?
- Sì ma… tu non abiti nel palazzo… - comincio io poi mi blocco, sbiancando. In effetti c’è stato un trasloco in questi giorni, proprio al palazzo al piano sopra il mio ma… è impossibile.
- Mi dispiace contraddirti ma da questa sera alle nove non è più così. Sono ufficialmente un… come si dice? Condomino credo.
Dice quell’ultima parola sillabandola come un bambino e per un momento mi viene da ridere. Ora ho capito. È un incubo. Devo essermi addormentata sul tavolo e sto avendo un incubo.
- Senti, so che è tardi e che ti ho interrotto nelle tue faccende personali, ma ho davvero bisogno di quella telefonata. Non m’importa se la casa è in disordine o se hai compagnia, io me ne andrò in qualche secondo, solo il tempo di chiamare qualcuno…
Va bene, non è un incubo. Troppo realistico per esserlo. E poi il profumo che emana Bei Vestiti è troppo reale per essere un incubo. Ma nessuno gli ha mai spiegato la differenza tra profumo e bagnoschiuma? Sembra che si faccia la doccia con quel profumo. La Coste, come la sera della festa. Almeno è un buongustaio.
Scuoto la testa per liberarmi da quei pensieri inopportuni. Non è davvero il momento di riflettere sui suoi gusti di profumeria. Ora devo liberarmi di lui e alla svelta.
- Va bene, senti, usa questo dannato telefono. Sono troppo stanca per capire l’assurdità di questa situazione – dico finalmente, mentre scuoto la testa. Sento che ritorna la mia cara amica emicrania. Chissà perché mi viene sempre dopo cinque minuti dei discorsi di Bei Vestiti.
Tolgo il ferretto dalla porta riluttante, ancora incapace di credere che sia il mio nuovo vicino. Lui entra con un sorriso soddisfatto e si guarda attorno con aria curiosa.
Io resto lì, impacciata, senza sapere esattamente cosa fare. So che dovrei correre a prendere il telefono e liberarmi in fretta di lui ma non mi fido a lasciarlo qui da solo mentre i fogli di mio padre sono sulla poltrona. E se li leggesse per caso?
- Allora non ho interrotto nessun gioco perverso – dice lui con quel maledetto sorriso. Giuro che prima o poi glielo strappo a suon di schiaffi, lo farò piangere come quando è nato.
- Giochi… - comincio, poi capisco cosa vuole dire. Ma che razza di donna crede che sia?
Lo fisso scandalizzata, incapace di ribattere e lui ride.
- Non prenderla male. Solo che visto quanto ci hai messo ad aprire la porta ho pensato che volessi nascondere qualcosa… - si giustifica lui.
Io sto per ribattere in modo piuttosto volgare ma mi fermo. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Non ho intenzione di rispondere alle sue provocazioni.
- Non sarei venuta alla porta, nel caso – rispondo alla fine. Lo fisso per qualche minuto in silenzio ancora titubante all’idea di lasciarlo qui da solo, poi finalmente mi decido. Restandomene qui non risolverò la situazione.
- Vado a prenderti il telefono, aspetta qui – gli dico spazientita. È entrato da qualche secondo e già vorrei sbatterlo fuori a calci.
Mi rendo conto che non sono molto educata, dovrei per lo meno invitarlo a sedersi finché torno ma non mi importa. C’è il rischio che non se ne vada più e non deve succedere per nessun motivo, è meglio fargli capire da subito che non è il benvenuto, considerando che abiterà nel palazzo da domani. Non ho intenzione di ritrovarmelo qui ad ogni ora.
- Non mi inviti nemmeno a sedermi? Allora c’è davvero un gioco perverso in atto… - commenta lui divertito. Io alzo gli occhi al cielo, esasperata.
Ma con tutto il pianeta disponibile, perché doveva abitare proprio qui? Perché non in Asia o su qualche isola sperduta nel pacifico? Forse agli squali non avrebbe dato tutto questo fastidio.
Mi giro per rispondergli male e levargli quel sorriso dalla faccia una volta per tutte e lo vedo davanti alla mia poltrona ad un secondo dal  sedersi. La poltrona su cui ci sono i fogli.
- Giusto, perdonami, sai è l’ora tarda, la sorpresa… perché non ti accomodi in cucina? Si sta più caldi. Potrei preparare un caffè… - gli dico con un sorriso tanto grande quanto finto. Se trova i fogli sono finita.
Ma ci ripenso in un attimo. Un caffè? Dove mi è saltato in mente? Accidenti. Ora dovrò farlo, non posso dirgli che ho cambiato idea. Potrei fingere però di averlo finito… e mi prenderebbe in giro per la vita. No, a questo punto è meglio fare quel dannato caffè.
Vado verso lo stereo e alzo il volume, almeno la musica mi calmerà un po’. Sono troppo nervosa e potrebbe accorgersene.
Oddio.
Pessimo errore.
Orrendo, madornale, tragico errore.
Per tutta la casa si diffondono ora le note di “Kiss me Lycia”. Avevo dimenticato di aver inserito a caso il cd. Accidenti, accidenti e ancora accidenti!.
Lui mi guarda con aria interrogativa, facendo di tutto per non scoppiare a ridere, e indica lo stereo. Sto per spiegare perché ho la sigla di un cartone animato nello stereo ma quel suo maledetto sorriso mi blocca. Mister Perfezione ha bisogno di una lezione.
- Qualcosa non va? – chiedo con aria innocente, come se non avessi capito.
- Kiss me Lycia? – domanda lui, sul punto di scoppiare sul serio.
- Oh, la canzone. Scusa, ho sempre adorato le sigle di… tutti i miei cartoni preferiti – rispondo con un gran sorriso e quasi non scoppio io a ridere quando vedo la sua faccia. Questa non se l’aspettava proprio. Corro in camera mia a prendere il telefono prima di ridergli davvero in faccia e resto qualche minuto seduta sul bordo del letto per riprendere il controllo, quindi ritorno in cucina.
Lui si è già seduto e si guarda attorno, studiando ogni particolare della stanza e non si è accorto che sono arrivata. Ne approfitto per studiarlo meglio.
Ha ancora il cappotto addosso, un capo che da solo deve valere quanto tutto il mio armadio, e sembra incredibilmente fuori posto nella mia cucina semplice, affatto elegante.
Ha quasi un’aria sperduta e per un attimo lo vedo come deve vederlo chi non lo ha ancora sentito parlare: uno straniero, elegantissimo e bello come un dio, che si trova in difficoltà forse per la prima volta in vita sua e non sa esattamente come muoversi.
Mi fa un po’ tenerezza, lo ammetto. Probabilmente non deve essere facile vivere improvvisamente come i comuni mortali dopo tutti quegli anni insieme a paparino. Forse non avrei dovuto essere così dura con lui. Magari si nasconde dietro un muro di superficialità perché si sente solo e indifeso…
- Se ti stai chiedendo come starei nel tuo harem, ti avverto che non mi sono mai piaciuti i giochi perversi – dice lui all’improvviso, facendomi sobbalzare.
Ok, ritiro tutto. È cretino fino al midollo, nessuno sa fingere così bene.
Gli tiro il telefono, sperando inconsciamente che manchi la presa. Così otterrei due vittorie nello stesso momento: lui dimostrerebbe di non essere poi così perfetto come gli piace credersi e in più potrei riuscire a beccarlo dritto in testa. Chissà che la botta non lo faccia rinsavire.
Lui, però, effettua ovviamente una presa perfetta e fa un altro dei suoi sorrisi, così naturale che sento il cuore mancare un battito.  
Turbata da quello strano effetto, comincio a preparare il caffè, così ho una scusa per dargli le spalle. Lo sento parlare con Stefania, anche se non so chi sia, e chiederle se può portargli le chiavi che le ha lasciato. Chi sarà questa Stefania, per avere le sue chiavi? Fidanzata? Mi sembra improbabile che uno come lui abbia la fidanzata però. L’amante è più probabile.
Mi ritrovo ad ascoltare senza volerlo ma non mi sembra carino da parte mia, se Stefania è davvero la sua amante. Così smetto di concentrarmi sulle parole e faccio più attenzione al cambio di tono. Quando vuole sa essere davvero dolce anche nel parlare, come adesso. Capisco quando sorride perché la voce cala di qualche tono e sorrido quando il tono diventa imbarazzato, con la pronuncia leggermente strascicata.
Poi lui saluta e ringrazia, quindi attacca.
- Ti sono davvero grato, non so come avrei fatto senza di te. È che a casa mia la serratura è una sola e uscendo ho dimenticato la chiave della serratura più piccola – dice poi e io gli faccio un cenno con la mano per indicare che non importa.
Servo il caffè sul tavolo e mi siedo di fronte a lui, con la mia tazza bollente subito tra le mani, indicando verso lo zucchero nel caso voglia zuccherarlo ancora.
- Mi dispiace aver disturbato te, ma non conosco quasi nessuno qui, tanto meno nel palazzo… confesso che mi vergognavo un po’ a svegliare sconosciuti… - continua a giustificarsi lui. Io mi volto a guardarlo, comprendendo all’improvviso una cosa.
Non c’entrano le chiavi, non è per quello che è qui. O meglio, anche per quello ma non solo. Alex Il Perfetto è qui perché ha bisogno di parlare con qualcuno.
Di nuovo mi prende quella strana sensazione di tenerezza, come se fosse un bambino che ha bisogno di protezione. Ed è strano davvero, considerando che non ne ha affatto l’aspetto, con quei lineamenti e quel sorriso e quel profumo…
Per poco non mi soffoco quando un sorso di caffè mi va di traverso a quel pensiero. Mio Dio, sto fantasticando su Bei Vestiti!
- Tutto bene? – domanda lui smettendo di sorridere all’improvviso e posandomi una mano sul braccio. Io faccio di sì con la testa, cercando di frenare la tosse. Quando riesco a smettere di tossire, gli sorrido appena e lui si rilassa e torna ad appoggiare la schiena allo schienale.
- Oh, questo era uno dei miei cartoni preferiti da bambino – dice lui all’improvviso e io sulle prime non capisco. Poi sento che dalla radio arrivano le note di un’altra sigla, “Tiger Man” e mi sento sul punto di sprofondare. Gli sorrido un po’ forzatamente, sentendomi in imbarazzo come non mai.
Mi chiedo se non sia il caso di spiegare la realtà ma subito scuoto la testa. Come dovrei spiegargli il fatto che gli ho mentito su una cosa così stupida? Peggiorerei solo le cose.
- Aspetta qui, metto qualcosa di meno infantile – gli dico mentre corro verso lo stereo nel salotto. Scelgo un altro cd, una vecchia raccolta di brani jazz e lo inserisco.
Rimango sulla soglia finché non parte la prima canzone e rivolgo un’occhiata interrogativa al mio ospite, per essere certa che sia di suo gradimento. Lui mi sorride e mi mostra il pollice alzato. Torno in cucina ridendo e riprendo il mio posto, con la tazza di nuovo stretta tra le mani anche se non è più calda come prima.
- Da quanto sei tornato a vivere qui? – gli domando. Ormai è chiaro che non avrei il tempo di leggere il capitolo sui fogli e due chiacchiere non mi uccideranno.
- Ufficialmente un mese e mezzo, ma in realtà solo tre settimane fa.
- Ma eri alla festa di mia zia in ottobre… - gli ricordo io.
- Non mi ero ancora trasferito. Ero venuto per stare con mia madre e cercare una casa ma avevo ancora del lavoro da sbrigare e sono tornato da mio padre per un altro po’ di tempo, finché non chiudevo tutti gli affari in sospeso.
Continuo a fargli qualche domanda e lui mi risponde sempre più a suo agio. Sì, avevo ragione, aveva bisogno di due chiacchiere molto più che di un telefono. E miracolosamente non ci siamo scontrati nemmeno una volta, il che mi fa sperare bene. Forse se lo evito, non mi creerà molti problemi anche abitando nel palazzo.
Dopo un po’ lui si alza e dice che si è fatto tardi e che sicuramente Stefania, la donna che lo aiuta nelle pulizie, è arrivata ed è meglio raggiungerla. Mi saluta scusandosi di nuovo per l’intrusione e con la promessa che non accadrà più e sparisce.
Io resto per un po’ ancora seduta e fisso la porta da dove se ne è appena andato. Così la mia ipotetica amante non è che la donna delle pulizie. Fortuna che non ho fatto commenti, avrei fatto la figura dell’idiota. Di nuovo.
Ripenso a tutto quello che è successo, al cd dei cartoni animati e a quando mi sono soffocata con il caffè e mi chiedo cosa deve aver pensato di me. Chiudo gli occhi, sentendomi più goffa che mai e di nuovo sento quel senso di fastidio verso di lui. Sono anni ormai che non sono più goffa con le persone.
Allora perché ogni volta che lui è nella mia stessa stanza sembra che non ne faccio una giusta? Ancora una volta mi viene da pensare a lui come un qualcosa di radioattivo, qualcosa che emana onde radio che mandano in corto il mio cervello.
“Non so il cervello, cara mia, ma di sicuro i programmi per la serata” mi dico pensando ai fogli ancora nascosti sotto il cuscino della poltrona. Per un attimo penso a cosa sarebbe successo se si fosse seduto e li avesse rovinati. E peggio se li avesse letti e avesse cominciato a fare domande. Cosa avrei risposto?
Mi alzo di scatto e decido che questo era l’ultimo minuto sprecato per pensare a Alex-Bell’Aspetto. Per questa volta non è successo niente di preoccupante, se escludiamo il fatto che crede che sia una patita di sigle dei cartoni animati, e non capiterà mai più che venga in casa mia, quindi è inutile pensarci ancora.
Vado a recuperare i fogli dal loro nascondiglio ultra segreto e spengo lo stereo, quindi spengo la luce in cucina e vado nella mia camera. Mi spoglio rapidamente per il freddo e mi infilo subito sotto le lenzuola, indecisa se dormire subito o leggere qui la mia storia. Ma ormai è tardi e domattina dovrò andare in università. E poi non mi va di interrompere la mia tradizione per colpa di quello lì. Meglio aspettare domani, decisamente.

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Capitolo 4
*** Il Professore ***


6 MARZO 1996
Quando la sveglia suona sono immersa in un sonno profondissimo e ci metto un po’ per sentire il suono più odiato del mondo. Lancio un’occhiataccia alla radiolina vicino a me, sperando di spaventarla con il mio sguardo minaccioso ma lei se ne infischia e continua a suonare. Con un sospiro alzo la mano e la spengo, cercando le forze per rimettermi in piedi. Più che camminare, mi trascino fino alla cucina e cerco tentoni la scatola dei cereali, perché non ho ancora trovato la forza di aprire gli occhi.
Prendo la tazza, la riempio di latte e la infilo nel microonde, poi preparo il caffè. Mentre la mia colazione continua a riscaldarsi, vado in salotto e prendo la posta, decidendo che forse è ora di aprirla. Sono a un passo dalla porta a scegliere la posta interessante quando qualcuno suona al campanello.
Mi giro verso la porta con aria interrogativa, come se la porta potesse dirmi chi è senza sforzarmi di aprire ma intuisco subito che non lo farà. Togliendomi un ciuffo fastidioso dalla faccia mi avvicino strascicando alla porta e guardo dallo spioncino, per essere certa che non sia ancora Alex che ha deciso di perseguitarmi.
No, non è lui, è un ragazzo che non conosco, con un buffo cappello in testa. Ma tutti i malati di mente hanno deciso di riunirsi a casa mia?
Ormai però chiunque sia il matto di turno mi ha vista, non posso ignorarlo, quindi apro la porta ma lascio il ferretto, decisa a capire cosa vuole prima di aprire del tutto.
- Consegna per lei signora. Deve firmare qui – mi dice il ragazzo strano senza nemmeno salutare, masticando una gomma con aria stanca.
Ora ho capito il perché di quel cappello. È l’orribile divisa del servizio consegne della mia strada. Perché poi qualcuno dovrebbe mandarmi una consegna? Non aspettavo nessun pacco…
Ancora un po’ stordita firmo dove mi indica il ragazzo, non più buffo ma maleducato, e quello mi consegna un pacchetto, quindi sparisce.
Fisso il pacco, cercando di capire qualcosa di tutta la faccenda ma il mio cervello non funziona ancora a pieno ritmo e non riesco a capire, così lo porto in cucina e lo lascio sul tavolo. Lo aprirò dopo aver fatto colazione con la speranza che gli zuccheri mi sveglino un po’.
Il latte è pronto ma il caffè non ancora. Guardo ancora il pacco e mi chiedo di chi è, il tizio maleducato non mi ha detto il nome del mittente e non c’è scritto sul pacco. Lo prendo e lo rigiro per un po’ nelle mani, poi mi decido ad aprirlo, tanto non ho niente da fare finchè il mio latte non è caldo al punto giusto.
Lo scarto con cautela, nel caso ci fosse qualcosa di fragile all’interno, ma non appena ho tolto la carta marrone del servizio consegne mi trovo un’altra carta, carta regalo questa volta, piegata anche male.
Per caso è il mio compleanno? No, vorrebbe dire che ho dormito per più di cinque mesi e sarebbe preoccupante davvero. Qualche anniversario allora? No, non che ricordi…
Lo scarto sempre più curiosa e finalmente riesco a togliere tutta la carta. Il mio regalo consiste in due scatole, una sull’altra. Quella più sopra è sottile e quadrata, completamente bianca, sembra molto elegante; l’altra è invece più voluminosa, più rettangolare e di un colore giallo vivo, allegro. Sul fianco della scatola grande c’è stampata una scritta color oro, “Benny’s”. La conosco, è il nome di una pasticceria in centro, un posto da ricconi.
Mi sento ancora più confusa. Nessuno di quelli che conosco è abbastanza ricco da frequentare un posto così raffinato, tantomeno mandarmi un regalo inaspettato.
Prendo la scatola sottile ma mentre la alzo per aprirla, un foglietto svolazza sul tavolo. Poggio la scatola e prendo il bigliettino, un cartoncino bianco come la scatola ma decorato con raffinati ghirigori argentati. Sul biglietto, in una calligrafia elegantissima e sconosciuta, c’è scritto:
 
“Mi dispiace per ieri sera, di aver rovinato i tuoi programmi. Anche se non eri impegnata in giochi perversi, di certo avevi altro da fare. Grazie per avermi dedicato il tuo tempo. Spero che la crema ti piaccia, mi hanno detto che è il bar migliore della città e che apprezzerai la buona musica.
Spero anche di poterti restituire il favore, quando l’appartamento sarà in condizioni di ricevere ospiti se avrai voglia di parlare. Tuo debitore, buona colazione.”
 
Rimango a fissare quelle poche righe allibita. Alex, è stato Alex a mandarmi il regalo. Rileggo di nuovo il biglietto e poi un’altra volta ancora, incredula, poi guardo di nuovo le sue scatole sul tavolo e non posso fare a meno di sorridere.
E io che l’avevo creduto un pomposo figlio di papà. Sarà anche ricco, ma di certo non è un maleducato. E ha buon gusto quanto a colazione, su questo non c’è dubbio.
Sorrido e apro la confezione di “Benny’s”, già pregustando il miglior cornetto che io abbia mai mangiato. A vederlo è uno spettacolo: è enorme, ricoperto da quantità industriali di zucchero a velo…
Lancio un’occhiata al microonde, per controllare quanto tempo manca prima che il mio latte sia caldo. La lancetta del timer è a meno di un millimetro dallo zero e così decido che per oggi può bastare. Mi alzo e prendo la mia tazza, bollente tanto da scottarmi i polpastrelli, zucchero il latte e verso il caffè caldo nel latte.
Peccato che non sia un cappuccino, farebbe una coppia perfetta con il mio mega cornetto. Mentre aspetto che il latte si raffreddi abbastanza per poterlo bere senza ustionarmi gravemente, comincio l’assalto al cornetto. Ne assaggio un morso e sorrido soddisfatta: non è buono come dicevano… è molto meglio! La pasta è di una sofficità incredibile, dolcissima…
Per un momento quasi scoppio a ridere mentre immagino cosa deve pensare qualcuno che entri in questo momento e mi veda qui a venerare un cornetto, poi il richiamo del cibo divino fa scomparire ogni altro pensiero e continuo a mangiare, gustando ogni morso. Anche perché la prossima volta che mangio le paste del “Benny’s” sarà forse, e dico forse per intendere una più che remota possibilità, alle mie nozze.
Ho quasi finito la mia colazione quando suonano alla porta.
Mi hanno per caso eletta sostituta del papa a mia insaputa stamattina? Passano settimane senza che riceva nemmeno una telefonata e stamattina pare che l’intera città abbia deciso di vedere se sono ancora viva.
Lancio un’occhiata malefica verso la porta, sperando che il visitatore avverta la mia aura negativa e se ne vada ma il campanello suona di nuovo. Lascio a malincuore gli ultimi due morsi di cornetto sul tovagliolo e vado ad aprire, sperando per chiunque sia il disturbatore che abbia un motivo più che valido per venire a suonare alla mia porta a quest’ora del mattino.
Controllo dallo spioncino, chiedendomi se Alex non abbia dimenticato ancora qualcosa. Visto il premio, sono disposta ad accoglierlo in casa ad ogni ora!
Invece è solo Linda. Apro la porta con uno sbuffo.
- Spero che tu abbia un’ottima ragione per essere qui, mia cara – le dico mentre richiudo la porta.
- Buongiorno anche a te! – replica lei con un sorriso, al quale non posso non rispondere. È talmente abituata al mio modo di fare che nemmeno se ne accorge più. Devo diventare più cattiva.
- Vedo che anche oggi il mio raggio di sole splende di allegria! – continua sarcastica e io rido mentre le faccio cenno di seguirmi in cucina.
- Oh cielo, mi sono dimenticata qualche festa? – mi domanda non appena si è seduta, notando subito i pacchi sul tavolo e la carta regalo sulla sedia.
- No, tranquilla. La tua memoria è infallibile come sempre – la tranquillizzo riprendendo a bere il mio latte. Si è fatto veramente tardi, devo sbrigarmi se voglio arrivare in università in tempo.
- Ma allora hai un amante! – esclama estasiata.
- Nessun amante, Linda, non sarei mai così squallida – la disilludo, finendo il latte. Lancio un’occhiata agli ultimi morsi di cornetto poco più avanti, indecisa se essere maleducata con la mia amica o offrirle l’ultimo morso di paradiso.
- Vuoi? Ultimo morso – offro a malincuore, scegliendo la seconda scelta. Linda scuote la testa e io ingoio il resto del cornetto prima che cambi idea, raggiante. La generosità paga, qualche volta.
- Allora è un ammiratore segreto? – mi incalza lei, intuendo che non le racconterò spontaneamente il motivo di quel regalo. Un’altra occhiata all’orologio mi avverte che sono in ritardo pazzesco e così taglio corto e le indico direttamente il biglietto, che è rimasto sul tavolo, poi le faccio segno di seguirmi mentre vado in camera e scelgo dei vestiti per la mattinata.
Mentre apro l’armadio alla ricerca di qualcosa di caldo ma carino, guardo di sottecchi Linda e la vedo spalancare la bocca e guardarmi felice e arrabbiata allo stesso tempo.
- Premesso che sono strafelice per te, tesoro, ti odio – dice infine guardandomi storto e io rido mentre tiro fuori il maglioncino beige e i pantaloni neri, stretti alle caviglie. Li butto sul letto e rovisto ancora un po’, per trovare una camicia adatta sotto il maglioncino.
- Perché non mi hai detto di questo principe? – chiede fingendosi offesa e io rido ancora; la adoro quando mette il broncio, è davvero buffa.
- Perché sai che adoro quando mi tieni il broncio, tesoro – replico io. Esco la camicia nera di raso e la canotta nera e mi volto verso di lei con i due indumenti in mano.
- La canotta, decisamente. Fa più caldo del solito –mi dice lei, intuendo all’istante, senza bisogno che aprissi bocca. Ecco quello che adoro anche di lei: mi capisce al volo, come se leggesse direttamente nella mia mente.
- Non è un principe, solo un riccone americano – le spiego mentre mi cambio.
- Solo? – domanda lei sedendosi sul letto.
- Sì, solo questo. Lo conosci tra l’altro, l’hai visto a una festa si zia Adelaide. Ti ricordi quel moretto straniero, quello con cui mi hanno obbligato a ballare?
Linda spalanca gli occhi e la bocca contemporaneamente. Sembra un pupazzo, di quelli che se tiri una leva aprono gli occhi ed escono la lingua.
- Quel principe? Proprio quello? Quello che è tornato per la madre?
Annuisco mentre mi guardo allo specchio. Sì, può andare. Ora mancano le scarpe.
- Non mi hai detto che vi sentivate ancora – replica lei in tono accusatorio, come se l’avessi tradita.
- Infatti non l’ho più visto da quella sera, né sentito – rispondo, per calmarla.
- Non si direbbe dal biglietto, tesoro – insiste, non convinta.
Io alzo gli occhi al cielo mentre decido per le decolté.
- Mi lasci finire o racconti tu?
Lei si zittisce all’istante e si accomoda meglio sul letto, come se stessi per raccontare il segreto della mia vita e a me viene da sorridere. Se le raccontassi il vero segreto della mia vita, allora sì che spalancherebbe occhi e bocca!
- E’ venuto qui ieri sera perché aveva dimenticato le chiavi di casa e aveva bisogno del telefono per farsi portare il doppione e visto che stavo bevendo il caffè gliene ho offerto una tazza e abbiamo fatto due chiacchiere… tutto qui lo scoop – concludo, mentre vado in bagno. Tiro fuori il fondotinta e l’ombretto e comincio a truccarmi un po’.
- Tutto qui? Tesoro, questo è un riassunto che fai a tua madre, non alla tua migliore amica – mi fa notare lei e io sorrido. Ha ragione, non sono mai stata così concisa nel raccontarle qualcosa. Ma è già tardissimo e non ho voglia di raccontarle i dettagli, sarebbero inutili e rischio di perdere un sacco di tempo, sa essere anche peggio di mia madre se vuole.
- Voglio sapere ogni cosa, ogni più piccolo dettaglio, non te la caverai così – insiste inseguendomi in bagno.
Io controllo il risultato sul mio viso. Non va, manca ancora qualcosa, sembro pallida come un morto. Prendo il fard dal cassetto e ne applico un velo sulle guance. Meglio.
Torno in camera da letto e apro il portagioie scegliendo tra i miei orecchini. Quelli a goccia. Si intonano perfettamente col maglioncino beige. Linda intanto mi fissa, aspettando che riprendo il racconto e io cedo sbuffando. Non smetterà di fissarmi finchè non avrò raccontato tutto, fa sempre così.
- Non c’è molto altro da dire. È stato poco, era già tardi. Mi ha detto che dopo la festa è tornato in America per gli ultimi dettagli e che da due settimane si è stabilito qui, definitivamente. Ah, e poi mi ha detto che ha trovato casa, ha affittato l’appartamento al piano di sopra – le dico in tono casuale, sperando che non afferri il significato di quell’affermazione.
- Vuoi dire qui sopra? Sopra al tuo appartamento? Nel senso che sarete vicini di casa?
- Sì. Be’ in effetti non proprio vicini, lui sta sopra, non qui di fianco – rispondo, cercando di distrarla con una battuta.
Lei mi fissa con aria truce, poi sorride e riattacca la sfilza di domande, come se avesse capito cosa cerco di fare. Dannazione, probabilmente lo ha capito davvero.
Rispondo automaticamente a tutte le domande, ho capito che non riuscirò mai a farla smettere, fino a quando non le ho detto anche da che lato Alex portava la riga, poi finalmente tace, soddisfatta per il momento e mi aiuta a riassettare in cucina.
- E questo? – mi domanda, sollevando il pacchetto sottile, quello che stava sopra la scatola del cornetto. Me l’ero proprio dimenticato a dire il vero.
- Era nel pacco insieme al cornetto. Aprilo, io devo preparare la borsa – le dico correndo di nuovo in camera. Prendo la borsa beige dall’attaccapanni e la riempio rapidamente di tutto il necessario.
- E’ un cd, di musica – mi dice dall’altra stanza.
Che genio di amica che ho. E di cos’altro voleva che fosse il cd, arti marziali? Scuoto la testa sorridendo mentre infilo in borsa il cellulare. È ancora spento ma lo accenderò una volta in macchina, ora non ho tempo. Tanto so già che non mi ha cercata nessuno.
- Potresti essere più precisa? – le domando rientrando in cucina per controllare di non aver lasciato nulla in giro, poi vado in salotto per prendere le chiavi.
- Musica… Canzoni… Sigle dei cartoni animati a dire il vero – conclude lei perplessa.
- Dopo tutta quell’eleganza, non me l’aspettavo proprio da lui. Perché le sigle dei cartoni?
Mi fermo e la guardo, perplessa anch’io. Poi all’improvviso mi torna in mente l’unico dettaglio che avevo omesso del racconto perché mi era proprio sfuggito di mente e allora scoppio a ridere, fino a che mi lacrimano gli occhi.
Linda si avvicina lentamente aspettando che le spieghi, con la faccia di chi sta dubitando della sanità mentale di entrambi, e io le faccio segno di sbrigarsi, senza riuscire a smettere di ridere.
Chiudo la porta a chiave e chiamo l’ascensore sempre ridendo e Linda continua a guardarmi confusa e un po’ dubbiosa, aspettando che mia sia passata la crisi prima di riprendere con le domande.
Quando l’ascensore arriva finalmente le risa si sono calmate in un sorriso molto accentuato. Entro e mi do un’occhiata allo specchio dell’ascensore mentre Linda schiaccia il pulsante giusto.
Le racconto del piccolo incidente dello stereo e a quel punto anche lei scoppia a ridere come una forsennata, al che io non riesco a trattenermi e ricomincio a ridere. Arriviamo alla mia macchina ancora ridendo e ce ne stiamo lì ferme, aspettando di essere abbastanza calma per guidare.
Finalmente riusciamo a riprendere un po’ di controllo. Metto in moto asciugandomi gli occhi umidi e vedo Linda fare lo stesso.
- Quindi ora lui pensa che tu sia una fan di Cristina D’Avena – esclama Linda in un ultimo accesso di risa.
- Non sopportavo quella sua aria da superuomo. Volevo sbalordirlo… in quel momento mi è sembrata una buona idea… - mi giustifico io, immettendomi nel traffico non molto intenso, grazie al cielo.
- Be’ di sicuro l’hai sbalordito. Sono sicura che sei la prima fan di Cristina D’Avena che incontra da almeno vent’anni – replica Linda, raggiustandosi il trucco nello specchietto.
Io mi domando in effetti dove mi sia venuto in mente, ora che mi rendo conto di che figura da stupida devo aver fatto. Eppure lui non ha riso di me, non è fuggito a gambe levate anzi, mi ha persino regalato un cd nuovo di zecca per ringraziarmi.
Sorrido, colpita da quel piccolo pensiero più che dal cornetto. Quasi.
Non deve essere stato facile, tra l’altro, trovare un cd a quell’ora di sera, deve essersi impegnato davvero per trovarlo. E a pensarci bene, deve essersi anche alzato più che prestissimo per avere il tempo di andare da Benny’s, comprare il cornetto, impacchettarlo e portarlo all’ufficio consegne. Sorrido di nuovo, lusingata da tutte quelle premure. Ho proprio sbagliato a giudicarlo. Forato alla grande, mi dico con un po’ di rammarico. Forse mi scuserò con lui per come l’ho trattato e magari spiego anche l’equivoco di Cristina D’Avena.
- Quando vi rivedrete? – domanda Linda, con un sorriso adatto ad una pubblicità di dentifricio.
- E chi ha detto che ci rivedremo? – replico io, senza distogliere lo sguardo dalla strada. In questa città sono assolutamente incapaci di guidare, riescono ad investire la gente persino dentro le case, non ci si può permettere un solo secondo di distrazione.
- Come sarebbe chi l’ha detto? Lui, mi sembra chiaro.
- Non ha mai detto niente del genere e io nemmeno.
Linda mi squadra, indecisa se darmi direttamente un colpo in testa o attaccare con una delle sue prediche. Decide mio malgrado per la predica.
- Alexis, non ti rendi conto che questa tua aura pessimista non ti farà trovare mai un uomo adatto a te?
E chi ha mai detto che non posso vivere anche senza? Sinceramente anzi, trovo che gli uomini in genere siano una complicazione scomoda, da rimandare più a lungo possibile, e nel mio caso poi, sarebbe più che altro una tragedia, una catastrofe da evitare ad ogni costo.
- Il tuo principe ti ha specificato nel biglietto che sei la benvenuta in casa sua, questo è più che esplicito come invito a mio modesto parere. E considerando quanto è dolce, gentile, ricco e tremendamente bello, saresti un’idiota se lo ignorassi, tesoro.
- Linda, è normale scrivere frasi di circostanza in queste occasioni. Il suo non è interesse, solo educazione – le faccio notare aprendo il finestrino. È incredibile come possa essere sfiancante discutere con lei su certi argomenti, sto quasi sudando.
- E tu per educazione dovresti accettare. E poi sarebbe molto maleducato da parte tua non ringraziare per i regali, fargli sapere che hai apprezzato ma che non era necessario, non trovi?
Ora so perché vuole diventare avvocato. Riuscirebbe a scagionare Hannibal Lecter, se lo credesse un buon partito. Fortuna che i suoi principi le impedirebbero di difendere assassini o tra qualche anno in galera metteranno gli onesti cittadini, per proteggerli dai  criminali a piede libero. Certe volte questa ragazza mi fa davvero paura.
- Vorrà dire che gli farò una telefonata allora. Ammesso che si ricordi che esisto.
- Una come te non si dimentica facilmente cara. E poi se ha pensato a te durante i mesi in America, non credo che basteranno due giorni per dimenticare…
Io le lancio rapidamente un’occhiataccia, sperando che la smetta di farsi falsi film. Forse anche la carriera cinematografica non l’avrebbe delusa in effetti. Viene da chiedersi se non sia per caso figlia illegittima di Quentin Tarantino.
- E poi dove gliela fai la telefonata, visto che non ha il telefono?
- Guarda che hanno recentemente inventato un prodigio: il cellulare. E poi non è detto che non abbia il telefono, semplicemente era dalla parte sbagliata della porta chiusa per usarlo, no?
Questa volta grazie al cielo tace, consapevole che non può obiettare a un’ovvietà del genere. Però mi chiedo in effetti come mai un uomo di mondo come lui non si porta sempre un cellulare dietro quando esce. Non posso credere che non ce l’abbia per niente.
Finalmente intravedo l’università tra i vari edifici e comincio a guardarmi intorno alla ricerca di un parcheggio. Trovo un posticino minuscolo tra una Volvo e una Punto e mi ci infilo subito, rigirando il volante per evitare di graffiare le fiancate. Meno male che la mia macchinina è abbastanza piccola o morirei elemosinando un parcheggio.
Attraverso la strada correndo per approfittare del semaforo favorevole e Linda mi segue subito. Appena entrata in università però noto qualcosa di strano. Troppa gente in giro per i corridoi, l’androne è pieno di studenti e professori.
Guardo Linda che mi risponde facendo spallucce e decido di scoprire di che si tratta, anche se probabilmente deve essersi sentito male qualcuno, forse il custode. Non mi meraviglierei se fosse venuto un collasso a quel poveretto, è abbastanza vecchio per aver visto con i suoi occhi la nascita di Gesù.
Vedo poco più a destra Grazia, una ragazza del mio corso e mi avvicino. La saluto e le chiedo se sa cosa stia succedendo.
- E’ per il nuovo professore di Storia antica, pare che sia uno scrittore famoso e sono tutti in attesa di un autografo – spiega lei senza smettere di sollevarsi sulle punte per vedere oltre la massa di gente che la precede.
- Fantastico. Addio lezione per oggi. Ho appena sprecato la mia giornata – borbotta Linda accanto a me e io alzo gli occhi al cielo, perfettamente d’accordo con lei. Non ci voleva proprio, accidenti. Avrei potuto leggere le pagine di papà invece di perdere tempo qui.
- Non del tutto forse. Dicono che sia un affascinante avventuriero. Hai presente Indiana Jones? Pare che anche lui sia stato personalmente a caccia di antichi tesori, di certo sarà una conoscenza interessante… - replica Grazia, rinunciando a sbirciare.
- Un vecchio borioso che non parla d’altro che mummie e vecchi mattoni accatastati? Non è esattamente quello che rientra nel mio concetto di interessante – replica ancora Linda e subito tutte e due attaccano a parlare di ciò che sarebbe davvero interessante, qualcosa che comprenda per esempio tanti soldi e un bel paio di occhi azzurri.
Mi allontano scuotendo la testa, ancora infastidita per aver sprecato una mattinata per nulla, e vado verso il distributore automatico in fondo alla stanza, ho bisogno di un caffè.
Saluto Pollimi, il decrepito custode, che risponde con un sorriso e mi chiede dov’ero finita in questi giorni. Per avere l’età dei tre Magi, ha un occhio impareggiabile il vecchio Pollimi, mi chiedo come faccia a notare tutto e ricordare sempre.
Rispondo sia al sorriso sia alle domande mentre scelgo cosa prendere. Il caffè del distributore assomiglia un po’ al brodo di verdure di zia Adelaide, in effetti, e gli altri prodotti non sono da meno ma ho bisogno di qualcosa di caldo. Opto per il caffè macchiato sperando che il sapore del latte nasconda quello delle verdure… cioè, del caffè.
Mentre aspetto che il mio caffè sia pronto guardo di nuovo in direzione di Linda e Grazia e vedo che la situazione è immobile: la gente è ancora ammassata davanti alla porta e quelle due ridono di gusto, segno che parlano ancora di cose interessanti.
- Mi scusi, signorina, quella è l’aula dove farà lezione il professor Gagliani? Giulio Gagliani?- domanda una voce alle mie spalle e io mi volto.
Un ragazzino, non può avere più di diciott’anni, con i capelli corti, castano chiaro, e un paio d’occhi verdi di straordinaria bellezza, nascosta dietro un paio di occhiali dalla montatura semplice. In effetti, anche il suo abbigliamento è semplice, roba da grandi magazzini, una camicia, un maglione scuro e un paio di Jeans scuri, scarpe da ginnastica e un’anonima borsa di pelle, anche questa nera.
- Non sono sicura del nome ma lì ci sarà il professore nuovo sì, quindi se cerchi lui… - rispondo io, con la voce un po’ infastidita. Non tanto per il ragazzo, più che altro per il professore che ha deciso di cominciare a insegnare il giorno sbagliato.
- E’ normale che ci sia tutta quella gente o è solo per vedere la novità?- domanda ancora lui, fissando quasi inorridito la calca che nasconde del tutto la porta dell’aula.
Io sorrido, capisco che sia scioccato. Si vede che è il primo giorno poverino, e non comincia bene. Non lo invidio proprio anzi.
- Tranquillo, è solo per il nuovo fenomeno da baraccone, la smetteranno tra qualche giorno – lo rassicuro mentre prendo il mio caffè macchiato. Lo assaggio con cautela, preparandomi al sapore radioattivo.  Infatti, fa veramente schifo, anche peggio del caffè alle verdure.
Con una smorfia disgustata butto il restante intruglio nel cestino accanto al distributore. Mai più caffè macchiato. Dovrebbero mettere delle avvertenze su questa macchina, come per i medicinali. Abbiamo il diritto di sapere come buttiamo i nostri soldi.
- Lei non si scioglie al solo pensiero di vederlo? – mi domanda il ragazzino con un sorriso e io faccio finta di sciogliermi sul serio, facendolo ridere. Ma che ci fa un bamboccio in università, ora che ci penso? Non può essere una matricola, è troppo giovane.
- Non mi sciolgo facilmente e un vecchio borioso che parla solo di mummie e vecchi mattoni accatastati non rientra tra i motivi di svenimento – rispondo con un sorriso, ripetendo le parole di Linda.
- Ha già fatto una conoscenza disastrosa? – domanda ancora. Mi viene il sospetto che chiacchieri per ritardare il lancio nella mischia ma non mi dispiace. Lo capisco e almeno passo anch’io l’attesa.
- No, non l’avevo mai sentito nominare. Ha solo scelto il giorno sbagliato per il suo ingresso trionfale.
- Perché? – chiede curioso. Intanto lascia la borsa per terra e si appoggia con la schiena al distributore, incrociando le braccia. Di nuovo mi chiedo cosa ci faccia in università, probabilmente non ha nemmeno diciott’anni.
- Di solito non seguo le lezioni, sono venuta stamattina perché mi interessava una in particolare e adesso grazie al nuovo arrivo le lezioni salteranno tutte per dare a chiunque la possibilità di conoscere questo grande luminare. E io ho appena buttato al vento la mia mattinata.
Lui ride di nuovo e sembra cercare qualcosa nella tasca. Esce infine due monetine sta per inserirle nel distributore.
- Sinceramente, te lo sconsiglio. Avresti appena pagato per suicidarti. Esistono modi migliori per morire, o comunque meno schifosi – lo avverto prima che sprechi i soldi.
- Grazie dell’avvertimento. Non mi sembra gentile morire adesso, rischio di deludere tutta quella calca inferocita e le conseguenze potrebbero essere disastrose – mi ringrazia rimettendosi le monete in tasca e io sento la mia faccia congelarsi in un sorriso appena accennato.
A pensarci bene, non parla affatto come un bamboccio e non sembra così sperduto in un aula universitaria, anche se è solo l’androne. Queste ultime parole poi, mi fanno venire un dubbio atroce in mente.
Lui nota la mia espressione e scoppia in una risata, poi mi porge la mano con un gran sorriso.
- Giulio Gagliani, piacere di conoscerla.
Ma perché non sto mai zitta?
Rimango a bocca aperta, incapace di trovare delle parole adatta a giustificarmi. Per quale stupido motivo l’ho chiamato fenomeno da baraccone? Per non parlare del fatto che gli ho dato del vecchio borioso…
Lentamente porgo la mia mano e biascico il mio nome, con il desiderio di usare un’altra voce e fingermi schizofrenica.
- Non si preoccupi, sapevo già che le foto che pubblicano su di me non mi rendono giustizia – scherza lui, senza l’aria offesa che sarebbe normale.
Io sorrido debolmente, felice che non sembra essersela presa a male ma ancora rossa di vergogna. Ho appena sparato a zero su uno scrittore di successo che sarà anche il mio futuro professore davanti a lui in persona. Accidenti.
- Mi ha fatto davvero piacere parlare con lei, signorina Libuori. Mi dispiace per la sua mattinata ma le prometto che chiederò personalmente di non interrompere nessuna lezione in mio onore, così non avrà motivo di rancore.
Io arrossisco di nuovo violentemente, e abbasso lo sguardo, con la voglia di nascondermi nell’ufficio del vecchio Pollimi. Tra l’altro, la mia imperdibile lezione appena saltata è appunto quella di Storia Antica, la sua. Con che faccia entrerò nell’aula ora?
Lui prende la borsa e si avvia coraggiosamente verso la massa di persone che non si è smossa ne è diminuita nel frattempo. Anche io mi incammino lentamente, ancora imprecando per la figuraccia e raggiungo Linda. Le racconto subito di quello che è appena successo e lei scoppia a ridere. La fulmino con lo sguardo e lei cerca di darsi un contegno.
- Deve essere il tuo periodo no, mia cara – scherza, ancora ridendo.
Di certo non è il periodo sì, considerando che nel giro di poche ore ho convinto il mio affascinante vicino che adoro le sigle dei cartoni animati e il mio professore che sono un’odiosa spara giudizi, superficiale tra l’altro. Niente male no?
Non so come, ma sembra che il professore sia riuscito a raggiungere il suo posto nell’aula, dietro la cattedra, e finalmente la calca inferocita si trasferisce dentro l’aula per avere l’onore di stringere la mano alla nuova star del momento.
Io e Linda invece entriamo e prendiamo subito posto nelle ultime file, approfittando della confusione generale. Almeno seduta qui dietro non dovrebbe vedermi…
Mentre Linda commenta il nuovo prof, io ripenso ai fogli nascosti nella mia stanza e cerco di immaginare cosa ci sarà scritto. Finora ogni capitolo descriveva uno degli omicidi-incidenti ma ora che ci avviciniamo alla fine… dovrà pure aver scritto prima o poi qualcosa di rivelatorio, altrimenti non avrebbe senso tutta questa faccenda.
Cerco di ricordare il prossimo quadro sulla lista, ha un nome strano, qualcosa che somiglia al tedesco, ma non riesco a ricordare esattamente quale. Di sicuro però so che sarà molto più difficile degli altri da trovare. Ormai sono arrivata al culmine della storia, quando il protagonista scopre la verità sul gruppo segreto che lo vuole morto, quali sono gli obiettivi dei fanatici e soprattutto la vera identità del capo della setta, quindi sono certa che mio padre ha nascosto questi ultimi capitoli molto meglio degli altri.
Mi accorgo che Linda ha smesso di parlare con me e sta parlando con qualcuno al telefono. È davvero matta, se la scoprono con il telefono in aula glielo sequestrano e le metteranno una nota di demerito… Ma un’occhiata in giro mi rivela che nessuno guarda dalla nostra parte, sono tutti ancora concentrati sulla fila per gli autografi.
Buffo, il professore non sembra proprio entusiasta della venerazione che sta ricevendo, sembra anzi che si vergogni. Forse è qualche poveraccio di provincia che non avrebbe mai nemmeno sognato un successo simile per il suo libro.
Mi soffermo a guardarlo in viso per un po’, favorita dalla mia posizione in alto che mi fa vedere tutto nonostante la fila di ammiratoti, per cercare di capire quale sia la sua reale età.
È davvero impressionante, non gli darei ancora più di diciannove anni nonostante è seduto sulla cattedra del professore. Di certo sarà giovanissimo, se ha più di trent’anni è un alieno. Uno studente prodigio? Può darsi, ma hanno detto che è un ricercatore oltre che insegnante. Dove ha trovato il tempo per imparare tutto? Più probabile che abbia avuto la cattedra solo per il successo del momento, per dare lustro all’università, anche se è totalmente incapace di insegnare.
Poco male, non è una materia che mi interessa particolarmente. La seguo solo perché ho bisogno di crediti ed è abbastanza semplice. E poi potrei definirmi imbattibile sull’argomento, ormai.
Finalmente sembra che gli autografi siano finiti e tutti cominciano lentamente a prendere posto, mentre il professore tira fuori un portatile dalla sua anonima borsa in pelle con un sospiro. La fama lo strema, poveretto.
Quando finisce di collegare tutti i cavi del portatile si volta verso di noi e passa in rassegna con lo sguardo tutta la classe. È incredibile il silenzio che regna in questo momento, sembra che sta per dire una messa funebre invece di una lezione di storia.
- Solitamente mi presento ai miei alunni, ma in questo caso non mi sembra che ci sia bisogno, perciò andrò subito al prossimo punto in programma – esordisce con un sorriso nervoso.
Come inizio, devo dire che è promettente. Comincia a venirmi il dubbio che insegneremo più noi a lui che il contrario. Linda infatti è così interessata a ciò che sta dicendo il bamboccio lì in fondo che si analizza le punte dei capelli alla ricerca di imperfezioni.
Mentre il professore si impegna a farci capire quanto sia onorato di fare lezione nella nostra università, quanto cercherà di essere un buon professore (avevo ragione, non ha un briciolo di esperienza come insegnante) e sviolinate di questo genere, io e Linda ci mettiamo ad organizzare il prossimo sabato, giorno che per legge naturale si trascorre con le amiche. Decidiamo per cinema, l’attore più affascinante possibile, cena fuori, thailandese probabilmente, e qualche locale tranquillo dove finire la serata in bellezza, certe che anche Paola e Cristina saranno d’accordo. Paola ama il thailandese e Cristina vive per i locali.
Mi volto di nuovo verso la cattedra e mi accorgo che il bamboccio inesperto ha cominciato la sua lezione e sta mostrando alla classe una serie di diapositive che raffigurano simboli.
- Questo è il simbolo che veniva usato a quell’epoca per indicare i ritrovi segreti. Poteva significare allo stesso modo una casa, una stalla, una zona di campagna… qualsiasi cosa, secondo come era stato deciso nella precedente riunione – dice ora il bamboccio. Sembra più sicuro di sé ora. Peccato che la sua aria professionale non dia più credito alle sue assurdità. Quel simbolo non indicava il luogo del ritrovo e non indicava niente di quello che lui aveva elencato. Quello era il segno del “grande capo”, il simbolo che indicava la presenza del profeta alla riunione. Ne ero più che certa, mio padre aveva raccolto informazioni sui simboli del periodo per il suo libro e mi aveva lasciato tutti i suoi appunti in merito.
Non solo il mio professore era un novellino con l’aria da poppante spaventato ma era anche un incompetente in materia. Fantastico. E io che speravo di imparare qualcosa di importante dalle sue lezioni, di poter decifrare quello che non sono riuscita a capire da sola degli appunti di mio padre.
Intanto il bamboccio continua a spiegare le sue bugie sull’origine del simbolo Vega, il segno del profeta, e io cerco di concentrarmi su qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non ascoltare. La tentazione di correggerlo è già abbastanza forte, se ascolto qualche altra fesseria non sarò in grado di frenarmi e mi esporrò troppo. Come dico sempre, meglio non sapere. In questo caso né i miei compagni né il bamboccio devono sapere il mio interesse per questo argomento o la mia preparazione. Troppi sospetti, troppe domande seguirebbero e allora sì che sarei nei guai.
- Ma questo simbolo aveva anche un altro significato, uno più nascosto che pochissimi eletti conoscevano – continua il professore incompetente. Ecco, forse ora dirà il vero significato. Non è vero che lo conoscevano solo pochi eletti, ma almeno una cosa giusta l’avrà detta.
- Questo era anche il simbolo della luna, ovvero della donna, Tula.
Ok, questo è davvero troppo. La donna? La donna? Ma dove si è laureato, al collegio per deficienze mentali?
- Ne è proprio sicuro? Molti altri esperti la pensano molto diversamente su questo simbolo – sbotto io prima di rendermi conto di aver parlato.
Nell’aula cala un silenzio tombale, persino il vento fuori sembra zittirsi in quel preciso istante. Maledizione. E ora?
- Ne sono a conoscenza, signorina. Ma la teoria e la realtà non sempre coincidono.
E lo vuole insegnare lui a me? Potrei scriverci un libro su questa frase, mio caro Gagliani.
- Le teorie, quando sono valide, derivano dall’analisi della realtà, dunque coincidono quasi sempre.
Cosa che tra l’altro un professore dovrebbe sapere già.
- Mi sembra giusto. Ma si renderà conto anche lei che sono passati un po’ di anni e la realtà è un tantino cambiata da allora…
Ora fa anche il sarcastico? Ma tu guarda…
- Non mi sembra convinta però. Le faccio notare una cosa allora. Mi dica, qual è l’idea dei suoi teorici?
Non rispondo subito. Non so se sia proprio il caso di fare sfoggio delle mie conoscenze. Ma ormai il danno è fatto e poi Linda mi guarda con un gran sorriso di incoraggiamento, anche lei ha capito che questo qui non sa un accidente della materia.
- Il simbolo Vega era il segno del profeta, colui che avrebbe letto la Parola, non del luogo in sé. Per questa ragione il simbolo non corrisponde a Tula, la luna, che era il segno della donna. Le donne non erano ammesse tra i profeti, come ancora oggi, e non sempre erano ammesse ai riti – spiego senza alzare molto la voce.
Mi sento terribilmente a disagio ora, mi stanno fissando tutti. Peggio, mi sta fissando il professorino con un aria leggermente divertita, come se fossi io la pazza che insiste nel dire assurdità e la cosa mi innervosisce non poco.
- Lei signorina è molto informata in proposito, i miei complimenti. Ma è evidente che la sua è una conoscenza da manuale, un sapere preso dai libri.
Io non rispondo di nuovo. Non perché non so che dire, ma perché tutto quello che potrei ribattere sarebbe offensivo nei confronti di questo cialtrone con l’aria da minorenne.
Lui sorride più apertamente intanto e si allontana lentamente dalla cattedra per salire qualche gradino dell’aula. Arriva fino al secondo banco, al quale si appoggia con una mano mentre il silenzio quasi surreale persiste.
Nessuno accenna un qualsiasi movimento, tutti sono concentratissimi sul dibattito per non perdersi nemmeno una battuta e io comincio a sentirmi come un personaggio del Far West, un pistolero durante un duello, in quel breve momento in cui i due avversari si studiano prima di estrarre le pistole. Che situazione imbarazzante.
- Da cosa riconosce esattamente il simbolo Vega, signorina? Anzi, più esattamente, da cosa lo distingue da Tula?
Io lo fisso per qualche momento perplessa. La risposta è talmente semplice che la domanda in sé è assolutamente senza senso. Tutti però aspettano la mia mossa, quindi rispondo, aspettando di capire dove vuole arrivare Gagliani.
- Vega somiglia ad una zeta, Tula a due clessidre stilizzate unite al centro.
Lui sorride ancora di più, gli angoli della bocca sfiorano quasi le orecchie ormai, e io mi sento ancora più a disagio. C’è qualcosa che mi spaventa un po’ in quello sguardo.
All’improvviso il professore si gira e torna alla cattedra, la supera e arriva alla lavagna. Mentre lo fisso ancora più confusa, lui disegna il simbolo Vega da una parte, abbastanza grande perché lo vedano tutti e poco distante disegna il simbolo Tula.
- Qualcuno di voi vede qualche somiglianza? – domanda poi a tutta la classe. Ovviamente nessuno risponde, anche perché ancora una volta la domanda non ha senso. È più che evidente che i due simboli non hanno niente in comune. Gagliani però non smette di sorridere mentre fa scorrere lo sguardo su tutti i presenti.
- Ora vi insegnerò qualcosa che sui libri non potete imparare. Guardate attentamente il segno Vega. Lo vedete tutti bene? Perfetto. Ora osservate con attenzione il simbolo della luna. Siete tutti certi che non ci sia relazione tra i due?
Nessuno risponde ma tutti allungano il collo verso la lavagna, alla ricerca di qualcosa di nascosto. Io scuoto la testa, questi giochini mi danno un fastidio tremendo. Perché non va dritto al punto?
- Bene, dato che siete tutti assolutamente convinti che siano due cose così diverse…
Lascia la frase in sospeso mentre cancella i due disegni alla lavagna e riproduce nuovamente il segno Vega al centro, grande come prima per permettere a tutti di vedere bene. Io mi sento nervosa, sulle spine, e non capisco il perché, il che mi infastidisce.
È come se qualcosa sia scattato nel mio cervello, come se avessi captato un’ombra che però non riesco a vedere nitidamente. Istintivamente anche io comincio a sporgermi verso la lavagna, fissando intensamente il disegno alla ricerca di un legame che però non riesco a vedere.
- Ora, tutti voi potete ben vedere che questo è Vega, la “zeta” a cui accennava prima la signorina. Ma provate a chiedervi… cosa diventerebbe se noi unissimo questi due lati? E poi questi altri due?
E mentre domanda unisce uno alla volta gli estremi del disegno, tracciando quasi un secondo segno Vega in orizzontale sovrapposto a quello precedente… improvvisamente sotto i nostri occhi non c’è più Vega, simbolo del profeta, ma Tula, la donna, la luna.
Guardo l’aria sorniona del professore che sorride nella mia direzione e per poco non gli scoppio a ridere in faccia. E questo sarebbe il grande mistero? Questa è la meravigliosa intuizione che non potevamo imparare dai libri?
A me l’unica cosa che sembra dimostrare questo giochino è che l’università ha appena buttato i soldi degli studenti in un altro stipendio inutile.
Stranamente però tutti gli altri hanno un’espressione stupita, come se mai in vita loro sarebbero arrivati a quella conclusione, e lui si crogiola dentro quegli sguardi ammirati mentre torna di nuovo verso i banchi. Sale ancora lentamente i gradini, questa volta fino ad arrivare due banchi prima del mio.
- Allora signorina, chi ha ragione ora, io o i suoi teorici? – domanda sorridente.
- I simboli dell’epoca sono tutti semplici, disegnati da persone ignoranti. Tranne qualche eccezione, tutti i simboli precristiani sono formati da un insieme di linee rette, dunque, è possibile creare partendo da un unico simbolo tutti gli altri con il suo metodo. Non significa niente, professore.
Un po’ mi dispiace per lui, è il suo primo giorno di lavoro e già gli ho fatto fare una figuraccia ma in fondo se l’è meritata. Incrocio le gambe e mi sforzo di non distogliere lo sguardo dal suo. Mi sono appena suicidata in storia antica, ma non importa. Se devo seguire le lezioni è per imparare, non per insegnare al professore il suo mestiere.
Eppure deve essermi sfuggito qualcosa perché lui continua a sorridere, anzi, sembra un sorriso ancora più convinto. L’intera classe ha lo sguardo rivolto a noi, in attesa del prossimo contrattacco e io mi sento di nuovo tremendamente a disagio.
- Ne è davvero sicura?- domanda lui, sfavillante. Io non rispondo, mi limito a fissarlo perplessa. Certo che ne sono sicura, lo sono tutti in quest’aula.
- Mi dica una cosa signorina – continua lui senza distogliere lo sguardo. Hanno un potere magnetico i suoi occhi, non c’è che dire. È difficile resistere all’incanto della pacata intelligenza che sembra riempire le iridi castane.
- Sono certo che lei ha studiato ogni dettaglio degli autorevoli teorici, comprese le biografie. E sono certo quindi che sa dirmi con esattezza il loro anno di nascita, o meglio, il periodo storico.
Io rispondo lentamente, senza capire cosa centri ora questa domanda.
- Quasi tutti i maggiori teorici appartengono al ‘700, qualcuno all’ ‘800. Solo due di loro risalgono alla seconda metà del ‘600 ma sono più dei precursori che dei teorici veri e propri. E allora? – domando con voce controllata, come se non mi importasse più di tanto.
Invece sono curiosa, devo ammetterlo, ormai il discorso mi ha coinvolta totalmente e voglio sapere cosa ribatterà. È come essere in un dibattito politico, anche quando il discorso è poco interessante, ti ritrovi ad accalorarti sempre più per difendere il tuo punto di vista.
- Una cronologia perfetta, davvero. E mi dica, ha letto da qualche parte di come sono giunti alle loro conclusioni?
- Più o meno come tutti gli altri studiosi immagino, studiando, osservando…- rispondo, accavallando le gambe. Le sue chiacchiere inutili non le sopporto davvero più. Il tutto poi per non ammettere di aver sbagliato! Tipico errore maschile…
- E’ qui che si sbaglia signorina – ribatte lui in quel tono tranquillo e allegro che comincio già ad odiare profondamente.
- E’ andata benissimo fino a quando ha parlato di osservazione. Se ci pensa, se ci pensate tutti a dire il vero, viene logico credere che queste persone abbiano osservato, visto con i loro occhi le prove di quello che asseriscono. Invece vi posso assicurare che nessuno di questi insigni autori e maestri si è mai mosso dalle sue poltrone comode nelle varie parti del mondo.
Nessuno parla, nemmeno io. A questo punto, è al limite della farneticazione secondo me. Anche se quello che dice è vero, e io non lo credo affatto, non ha nessuna importanza. Se questi nomi sono entrati nella storia, ci sarà un qualche motivo.
- Vi ricordo che stiamo parlando del settecento, al massimo il primo ottocento, nessuno allora intraprendeva viaggi scomodi e lunghi anche diversi mesi solo per guardare da vicino dei segni sulla roccia. Gli esploratori partivano e si stabilivano nelle varie zone del mondo, osservavano, studiavano, poi annotavano tutto su piccoli taccuini su cui disegnavano anche schizzi e schemi e spedivano il tutto alle università “civili” dove ricchi professori pubblicavano le loro idee.
- Questo vuol dire quindi che le loro teorie derivano comunque da dati certi, osservati sul luogo – interviene un'altra voce, un ragazzo in fondo all’aula dal lato opposto al mio. Grazie al cielo, ora il professore non discute più con me soltanto, ma ha cominciato una lezione vera e propria a tutta la classe.
- In un certo senso. Gli esploratori non erano artisti nati, non tutti per lo meno, perciò spesso il disegno che facevano era approssimativo, in qualche caso appena un abbozzo e i teorici si basavano quindi su pochi frammenti dell’immagine originale.
Gagliani si ferma per riprendere fiato e intanto passa ancora una volta in rassegna con lo sguardo tutta l’aula, per essere certo che tutti stiano seguendo. Comincio a credere di essermi sbagliata sul suo conto. È probabilmente un cacciaballe, un teorico con idee strambe fuori dalla dottrina comune, ma non è alle sue prime armi con l’insegnamento.
Per quanto sembra strano a giudicare dall’aspetto giovanissimo, è ovvio che ha già tenuto altre lezioni, sa bene come tenere vivo l’interesse ed è riuscito con molta maestria a trasformare una discussione in una lezione interessante. Forse non tutto è perduto, se sugli altri argomenti è più preparato di questo.
- E dovete anche tener conto di un altro particolare. Due, trecento anni fa non si avevano mezzi di ricerca molto avanzati. Tutti gli strumenti necessari ad un esploratore erano una lampada, un taccuino, una matita, un pennello e un sacco di coraggio e buona fortuna. Tutto quello che quegli uomini potevano fare una volta trovato un reperto era togliere la polvere in eccesso, studiare forme e colori. Nulla di più. Oggi invece con i mezzi moderni possiamo scannerizzare una frazione della roccia, analizzare la sua composizione chimica, capire con che strumento è stata fatta l’incisione, in che anno precisamente, se appartiene a quel determinato luogo o vi è arrivata in un secondo momento… capite?
Tutti annuiscono, decisamente convinti. Devo ammettere che queste sono davvero obiezioni convincenti, reali e concrete. Può davvero essere possibile che gli appunti di mio padre siano sbagliati? In fondo lui non era un esploratore, come me ha imparato tutto quello che sapeva leggendo libri nel tempo libero, senza nemmeno un professore.
- Ora è più convinta della mia professionalità, signorina? – mi domanda intanto Gagliani, strappandomi ai miei pensieri.
Io sobbalzo leggermente, non mi ero accorta che si era avvicinato tanto. Ora è appoggiato con la mano al mio banco e mi squadra dall’alto sempre con quel sorriso smagliante. Ora però è un sorriso più naturale, meno sornione di quello che esibiva durante la spiegazione.
In fondo, questo ragazzino mi sta simpatico. Sa il fatto suo, devo ammetterlo. Potrebbero essere lezioni davvero interessanti da oggi.
Annuisco con un piccolo sorriso.
- Non ho mai dubitato della sua professionalità professore. Ogni argomento ha diverse interpretazioni, ho semplicemente dedotto che lei la pensa diversamente da me.
- Lei ha ragione sulle interpretazioni, signorina, e voglio chiarire che il mio intervento non era rivolto a minare la credibilità dei suoi autori.
- Eppure devo ammettere che ci è riuscito piuttosto bene – replico prima di rendermene conto. Di nuovo. Accidenti, devo davvero smetterla di parlare così istintivamente, ora nascerà un’altra discussione interminabile…
- In questo caso chiedo scusa, non era mia intenzione. Volevo solo mettere in chiaro che non dovete prendere tutto per oro colato, perché il sapere cambia, si evolve. Seguite questo corso per imparare ciò che hanno detto ma anche per imparare a superare le credenze, ad affermare nuove teorie più esatte.
Io annuisco e sorrido, senza parlare prima di dire qualcos’altro di pericoloso. È stata una bella lezione ma se ne comincia un’altra non torneremo più a casa oggi.
- E visto che abbiamo chiarito l’equivoco, cosa ne pensa di venire a cena con me questa sera? È stata una discussione incredibilmente stimolante e mi piacerebbe poter approfondire il discorso. Potrebbe addirittura aiutarmi a programmare le mie lezioni – continua lui, sempre con quel sorriso.
Io lo fisso senza parole. Il mio professore, quello che ho offeso e messo in difficoltà davanti a tutta la classe mi ha appena invitata a cena. Davanti a tutta la classe. O mio Dio. O. Mio. Dio.
Mi accorgo che tutti intorno a noi ci fissano a bocca aperta, qualcuno sorridendo un po’, qualcun altro scuotendo la testa disgustato da questa dimostrazione più che clamorosa di preferenze. Gagliani deve essere totalmente impazzito.
Continuo a restare in silenzio, con gli occhi spalancati, senza sapere cosa dire. Sono davvero scioccata, oltre l’immaginabile. Sento che Linda accanto a me continua a tirarmi calci alla gamba per farmi riprendere mentre annuisce piano, quasi impercettibilmente.
- Questa sera ha detto? Ne è davvero sicuro? Non credo che sia il caso… - comincio io, un po’ balbettando. Spiazzata, ecco l’aggettivo giusto per descrivermi in questo momento. Completamente spiazzata.
- Sì, forse ha ragione, questa sera no. Domani sera va meglio?
Io non so davvero cosa dire, scrollo solo le spalle, ancora incredula. Lui non capisce il mio gesto di confusione e lo interpreta male.
- Va bene allora, ci vediamo domani sera qui davanti, le farò assaggiare i migliori gamberi di tutta la città. Diciamo verso le otto e mezzo. A domani.
Io sono troppo allibita per replicare. Lui mi fa un altro sorrisone, poi si volta verso tutti gli altri e ricorda che la prossima lezione si terrà tra due giorni e assegna una ricerca sui Sumeri, quindi sparisce.
Non appena l’ultimo angolino della sua borsa è scomparso dietro la porta nell’aula si alza un chiacchiericcio sempre crescente, una specie di onda che cresce fino a proporzioni gigantesche. E la cosa peggiore è che so che nessuno sta parlando della lezione, i commenti ormai sono tutti per il mio appuntamento improvvisato.
Con la voglia matta di scomparire, fondermi con la sedia e non staccarmene fino alla fine di questa giornata assurda, mi volto verso Linda, senza parlare.
Lei sta sorridendo apertamente, probabilmente già pensa al riassunto corretto e rivisto della lezione da raccontare agli amici e a tutti quelli che vorranno ascoltare. E anche a qualcuno a cui non importerà assolutamente nulla ma che avrà la sfortuna di capitare vicino a lei nel momento sbagliato.
- Wow. Colazione da un ricco principe azzurro e cena da una star internazionale. Senza offesa, ma ti sto invidiando più di J. Lo tesoro – dice lei senza smettere di sorridere.
Le lancio un’occhiataccia. Non è davvero il momento del suo spirito. Intorno a me intanto comincia a raccogliersi gente, troppa gente, dall’aria minacciosa. Non so perché ma ho come l’impressione che stiano decidendo se linciarmi o inneggiare a me. E sembra che stia vincendo il linciaggio.
- Bene, dato che la tua capacità di linguaggio è andata persa per le prossime ore, propongo di scomparire da quest’aula prima che comincino a piovere le domande. Credo che alla prima risposta mancata sarai il prossimo reperto da archiviare per il nostro bel professore – continua Linda vedendo che non le rispondo. Io mi lascio guidare, approvando in pieno il piano e pregando di poter raggiungere l’uscita prima di soffocare.
Raggiungiamo di corsa il bagno e ci chiudiamo dentro.
- Quel cretino mi ha invitato a cena! – esclamo sedendomi sul water. Finalmente il mio cervello comincia ad elaborare il fatto e a considerare le conseguenze. Le disastrose conseguenze.
- Pare proprio di sì. Se non ne sei sicura, puoi chiedere alle trecento persone presenti in aula in quel momento… - scherza Linda. Alzo gli occhi al cielo.
- Ok, non è momento di scherzare. Ma in fondo non è niente di grave. Quattro chiacchiere, due bicchieri di vino, sei ore nella sua macchina e poi non ti rivolgerà più la parola. Se gli vai proprio a genio, ti concederà una notte nel suo appartamento di lusso e farà finta di non conoscerti la mattina dopo.
Io la guardo con gli occhi spalancati, praticamente in preda al panico.
- Se vuoi puoi saltare le ore in macchina o nell’appartamento ma il risultato non cambierà affatto credimi. Tra qualche giorno sarà tutto normale, lui non ci penserà più e tu tornerai a studiare come un mulo.
Sì, Linda aveva ragione forse, lui non avrebbe più pensato a me dalla mattina dopo la cena. Ma non era questo il punto. Quello che mi preoccupava davvero era che anche se si fosse trattato solo di una cena, tutte le persone presenti nell’aula questa mattina ricorderanno questa storia dell’appuntamento per sempre e mi terranno d’occhio fino a dopo la laurea.
- Se sei preoccupata che gli altri pensino chissà che, spargerò la voce che la serata è stata un fiasco e che lui ti odia. Nessuno metterà in dubbio la validità del tuo esame, sta tranquilla – mi rassicura Linda e io chiudo gli occhi.
Non mi importa se credono che sia la favorita del professore o che sia raccomandata. Quello che mi preoccupa è che ora tutti mi conosceranno e la fama porta sempre brutte sorprese per chi ha un segreto da nascondere. E io ne ho a bizzeffe. E pensare che mi ero impegnata così tanto per restare nell’anonimato più totale! Avevo persino sbagliato qualche esame per non aver una media troppo alta, niente che potesse attirare l’attenzione generale e ora quell’idiota mi invita a cena davanti a tutti.
Ok, è inutile pensarci ormai e soprattutto dannarsi l’anima. In fondo Linda ha perfettamente ragione, questa pagliacciata è solo il capriccio di una sera e poi tutto tornerà normale. O comunque io mi impegnerò perché torni normale.
Gli farò credere di essere fidanzata da cinque anni o malata terminale o una noiosa secchiona sfigata, lui perderà interesse, in classe se ne accorgeranno tutti e tra un mese nessuno si ricorderà di me. Al massimo inscenerò la mia morte e mi auto inserirò nel programma protezione testimoni. Niente che non si possa gestire con la massima calma.
Mi sciacquo la faccia per riprendere il controllo e faccio segno a Linda di darcela a gambe prima che qualcuno decida di venirmi a cercare anche qui per conoscere chissà quale inesistente dettaglio piccante sulla faccenda dell’invito a cena.
Non so come, ma riusciamo a raggiungere l’entrata posteriore dell’edificio e a ritornare incolumi fino alla macchina. Più che entrare in macchina, io mi ci tuffo dentro e chiudo immediatamente la sicura dello sportello, imitata da Linda.
- Erano anni che non seguivo una lezione così eccitante! – esclama lei entusiasta, non appena di è accomodata sul sedile.
Io mi limito a incenerirla con lo sguardo. Cosa ci sarebbe di tanto eccitante in un matto sconsiderato che fa il cretino con le allieve?
- Comunque ce l’ho a morte con te. Perché queste cose a me non succedono mai? – domanda con il broncio ma con gli occhi fin troppo ridenti. Almeno se si fosse offesa sul serio sarebbe rimasta in silenzio per tutto il viaggio.
- A dire il vero, anche io non ci sono proprio abituata, nel caso l’hai dimenticato. E in più, al tuo contrario, avrei preferito che le cose restassero così – replico io acida, mettendo in moto. Non vedo l’ora di chiudermi in casa e ascoltare un po’ di musica rilassante. Una doccia calda non ci starebbe male.
- Sai di essere noiosa vero? Credo di avertelo già detto – risponde Linda seria, aggiustandosi i capelli nello specchietto retrovisore.
Non rispondo e mi concentro sulla strada. Mi trattengo a stento dall’accelerare a tutto gas o strombazzare il clacson per far svegliare tutte le principesse addormentate nelle macchine avanti a me. Possibile che sia così difficile capire la differenza tra freno e acceleratore?
- Cosa ti metterai? Abitino sexy o finto casual? Il classico però potrebbe interessare ad un uomo come lui… - continua la mia amica radiolina accanto a me. A giudicare dalla sua faccia felice sembra che debba andarci lei a cena al posto mio!
- Metterò un pantalone e una maglia. A collo lungo. Grigio topo o qualche colore altrettanto deprimente. Fine dei progetti – taglio corto io. Se comincia a programmare la serata è finita, non smetterà mai più.
- Te lo proibisco. Divieto categorico. Riesci a combinare un appuntamento all’anno, non puoi permetterti il lusso di mandarlo pure a monte, chiaro? – replica lei. Seriamente. Alla fine credo che sia questa la cosa che mi spaventa di più dei suoi discorsi sull’argomento, il fatto che sia seria mentre parla. Crede davvero nelle fesserie che dice in questi momenti.
- E non ti dice niente il fatto che non ne combini mai più di uno all’anno? – rispondo, imprecando contro il pirata che si è appena immesso sulla mia corsia senza rispettare lo stop. Ultimamente credono di stare tutti a Maranello da queste parti.
- Sì. Mi dice che sei spaventosamente acida e asociale e che se non ci penso io a te, finirai come quelle vecchie zitelle odiose che abitano sole in appartamenti pieni di gatti pulciosi.
Sapevo che l’avrebbe detto. Ormai sta perfezionando questa battuta quasi quanto mia madre. Per questo non mi spreco a rispondere, so che sarebbe fiato sprecato, ma l’idea che la mia migliore amica possa somigliare anche solo lontanamente a mia madre in questo campo mi terrorizza più della minaccia delle armi nucleari in Oriente.
Grazie al cielo la lumaca e il pilota di formula uno cambiano corsia per poter girare più avanti e posso accelerare almeno un po’. Casa mia mi sembra sempre più un oasi nel deserto.
- Per favore, te lo chiedo da amica. Sii gentile con quel poverino stasera, simpatica e accomodante. Parla di tutto tranne che di università, sorridi spesso e sforzati di assecondare i suoi istinti maschili, chissà che tu non ricordi dove hai lasciato i tuoi di istinti. Ok?
- Siamo arrivate Linda. E non provare a chiamarmi, tanto stacco il telefono – la saluto sorridente, parcheggiando sotto casa sua. Con un leggero sospiro di sollievo, lo ammetto.
- Ma tu non sai vestirti per queste occasioni! – esclama lei con espressione spaventata.
- Copierò la copertina di Playboy, dovrei averne ancora un numero da qualche parte – le rispondo sarcastica rimettendo in moto. A volte mi viene da chiedermi se Linda non sia la figlia naturale di mia madre.
Guido un po’ più lentamente fino a casa mia, cercando di godermi il breve tragitto. Mi è sempre piaciuto da morire guidare, ha un non so che di estremamente rilassante. O comunque lo aveva finchè la benzina costava meno di un solitario, a dire il vero.
Salgo le scale fino al mio piano, l’ascensore è troppo lento per il mio stato d’animo attuale, ma solo quando sono arrivata sul mio pianerottolo capisco quanto sia stata una cattiva idea. Almeno in ascensore avrei potuto far richiudere la porta e fingere che si era bloccato, fuggire uscendo dal garage… ora sono costretta ad affrontare il mio destino.
- Ciao mamma. Ciao Alex – li saluto non proprio raggiante. Vederli insieme mi mette un po’ d’ansia ad essere sincera, di inquietudine e vederli davanti alla mia porta mi mette un’irritazione spaventosa. La giornata non prevede niente di buono. Comunque vista la colazione di questa mattina, unico elemento positivo della giornata finora, non posso cacciare entrambi.
- Ciao tesoro, finalmente ti sei decisa ad arrivare. Io e il povero Alex aspettiamo qui da quasi mezz’ora. Com’è stata la lezione? – domanda mia madre e io alzo gli occhi al cielo sorridendo.
- Diciamo che non vedevo l’ora di arrivare a casa. Per rilassarmi – aggiungo, sperando che almeno uno dei due capisca l’antifona. Ovviamente è una speranza vana, perché non appena apro la porta entrano tutti e due. Ancora non riesco a capire cosa ci facciano insieme e soprattutto davanti alla mia porta.
- Prego Alex, accomodati in cucina – dice mia madre. Io mi volto e le lancio un’occhiataccia. Da quando è diventata il mio maggiordomo?
Lei intanto si limita a far svolazzare la mano con un sorriso e io sospiro. Avrei fatto meglio a rimanere in macchina mi sa. Ormai comunque è troppo tardi, meglio assecondarli e spedirli fuori di qui entrambi il prima possibile.
- Allora Alex, perché aspettavi davanti alla mia porta? Ancora problemi con le chiavi? – domando cercando di sembrare cordiale. Purtroppo non sembrano aver voglia di andarsene tanto presto.
- No. Ma si tratta comunque di un favore quindi… cerca di essere buona e gentile con me. Credi di potercela fare?
- Dipende – rispondo, sospettosa. Mia madre è dietro di me ma so che sta ridendo. Anzi, peggio, sta sorridendo. E quando mia madre sorride, signori e signore, è il momento di uscire l’artiglieria pesante perché sta tramando qualcosa. Qualcosa al cui confronto l’attacco dell’11 settembre sembra uno scherzo di halloween.
- Non è niente di grave, in realtà, appena un piccolo favore ad un povero straniero sperduto in questa grande città… nonché a tua madre ovviamente. In realtà quindi è un doppio favore, nel senso che con una buona azione farai contente ben due persone – risponde lui.
Io lo fisso con gli occhi stretti, cercando di capire dove sta l’imbroglio. Ha girato troppo intorno alla cosa e sottolineato un po’ troppo il concetto del far felici ben due persone. Inoltre sta di nuovo sorridendo come un’idiota, quel sorriso ebete che sfoggiava alla festa di zia Adelaide la prima volta che ci siamo visti.
- Mamma, in che modo esattamente tu potresti essere collegata a lui? – domando girandomi verso di lei. Come prevedevo ha quel sorriso gentile che è peggio di un’ammissione di colpa scritta e controfirmata dal papa. Infatti, probabilmente le servirà una grazia divina per sopravvivere alla mia vendetta questa volta.
- Di che si tratta? – taglio corto. Meglio togliersi subito il dente e prepararsi alla battaglia.
- Te l’ho detto, solo una piccola…
- Di che si tratta? – ripeto. Mi sta venendo il mal di testa. Ma non so se è colpa dei miei nervi fin troppo tesi o del panico che mi suscitano le idee di mia madre. Alex intanto sorride imbarazzato e colpevole mentre mia madre è soddisfatta, quasi trionfante.
- Ero venuto per chiederti una mano. Ho deciso di aprire un piccolo negozio, una specie di tavola calda e volevo sapere se conoscevi un modo per farlo sapere in città… poi ho incontrato tua madre e mi ha detto che tra qualche giorno ci sarà una serata di gala, al quale parteciperà tutto il paese e allora… – il poveretto sta quasi sudando e io comincio ad avere pena per lui. Comincio a credere che lui non sia d’accordo quanto me su questa brillante idea di mia madre ma è chiaro che non deve aver avuto molta scelta.
- Così mia madre ha suggerito che potrei accompagnarti durante la serata e presentarti qualcuno di interessante per la tua tavola calda, giusto? – concludo io, sentendo uno strano sapore amaro in gola. Credo che sia il sapore della sconfitta. Sono settimane che mia madre fa di tutto per costringermi a partecipare a questa pagliacciata e ora sono costretta ad accettare. Maledizione.
- Be’ sì, in effetti… ma sarei contento anche io se tu decidessi di accompagnarmi. Comunque non sei obbligata, era solo un’idea così, sul momento… - continua lui. Quasi balbetta e continua ad esibire il suo sorriso idiota.
Io sospiro mentre lancio un’altra occhiataccia a mia madre che mi fa quel sorrisetto soddisfatto.
Cosa posso fare? Odio le feste piene di gente falsa e chiassosa e odio ballare. In più, non è bastato un cornetto favoloso a farmi diventare improvvisamente simpatico Alex. Lo sopporto un po’ più di prima ma passare tutta una serata con lui…
D’altra parte mi fa davvero pena in questo momento, seduto nella mia cucina ad implorarmi, per non parlare del tormento che mi darà mia madre se rifiuto… e poi comincio ad avere davvero paura, ora so che è disposta davvero a tutto pur di portarmi a quella dannata festa. Chi altro sacrificherà pur di ottenere i suoi scopi?
Quasi senza rendermene conto annuisco lentamente, già sapendo che è un errore madornale ma pensando che forse una serata di svago mi servirà. Sto lavorando troppo ultimamente e una festa odiosa è sempre meglio che starsene chiusi in casa.
E poi, anche se questo pensiero striscia lentamente appena in superficie, un po’ devo ammettere che non mi dispiacerà poi così tanto dimostrare al mio affascinante vicino che anche io so essere affascinante se mi ci metto. Finora ho dato solo il peggio di me in sua compagnia e voglio rimediare. Chissà che non mi meriti un altro cornetto come stamattina…
- Meraviglioso. Allora, la festa sarà tra una settimana ed è una cerimonia formale, quindi serve un abito da sera per entrare. Vi farò avere i biglietti. Pensate, non dovete nemmeno darvi appuntamento, abitate nello stesso palazzo! – esclama mia madre. Più che parlare, si direbbe che sta cinguettando, sembra una chioccia tutta contenta.
Prima che abbia il tempo di inventare qualche urgentissima commissione per liberarmi di entrambi ora che ho fatto il mio sacrificio, mia madre è già ai fornelli che prepara un caffè ad Alex che mi guarda e sorride, a metà fra il colpevole e il divertito. In questo momento non so chi odio di più.
Probabilmente lui. Mia madre è un osso duro quando decide qualcosa ma è sempre mia madre e le voglio comunque bene. E poi lui è un uomo, dovrebbe farsi rispettare, accidenti! Grazie a lui, mia madre mi ha incastrata.
Per mia fortuna non appena finito di bere il caffè Alex si alza e saluta me e la mamma, dicendo di avere non so cosa da finire per il suo nuovo locale. Io sorrido appena, il mal di testa è lancinante ora e aspetto che la porta si sia chiusa dietro di lui prima di cominciare a fissare mia madre.
- Cos’hai da guardare tanto? È una splendida idea, è perfetto. Almeno uscirai un po’ dalla tua solitudine. E poi Alex è un ragazzo delizioso – si giustifica lei senza che io abbia anche solo aperto bocca. Sono diventata proprio prevedibile, sembra che tutti mi leggano nel pensiero.
- Una splendida idea? Non so ballare, non ho un abito da sera, non sopporto i tacchi e i manichini in smoking. Non sopporto le conversazioni insulse di queste cerimonie né le moine che sfoggiano tutti. E poi non ti è venuto in mente che potrei avere degli impegni?
- Ma sì, certo. Con te stessa magari. O forse con te stessa… sono certa che potrai rimandare. Te stessa capirà tesoro – mi prende in giro mia madre con un sorriso.
Questo è davvero il massimo, mia madre che fa la sarcastica. Credo che stia imparando da me. È troppo brava come allieva, la cosa non mi piace affatto.
Alzo gli occhi al cielo, sembra che non faccio altro negli ultimi giorni, e impreco sottovoce. Accidenti. Come faccio ad arrabbiarmi con le se mi fa quello sguardo da cucciolo abbandonato? E la cosa peggiore è che lei sa che non posso arrabbiarmi e lo fa apposta. Sembra che si eserciti ad imitare Bambi davanti allo specchio quando non ha niente da fare.
- Va bene, tanto so che è inutile discutere con te. Ora piuttosto mi daresti una mano?
- Ti stai arrendendo troppo facilmente. Che c’è sotto? – domanda mia madre sospettosa. Io sorrido: uno a uno.
- Tanto per cominciare, ho un appuntamento stasera, quindi non ho tempo da perdere, ho un mucchio di cose da fare nella giornata – dico in tono casuale, godendomi appieno la faccia sorpresa di mia madre.
- Un appuntamento? Uno vero? E con chi? Una persona? Un maschio? – domanda lei quasi sotto shock e io rido. Potrei anche arrabbiarmi per questa sua incredulità, ma non importa, sono davvero in ritardo.
- E comunque già che parteciperò alla serata di gala, non avrò tempo per aiutarti con i fiori della giornata del tè – continuo sorridendo, evitando di rispondere di proposito. Ora è il mio turno di gongolare, lei è completamente dibattuta.
- E va bene. Ma spero che un giorno tu ti penta di aver tradito tua madre a questo modo. Mi costringi a passare tutto il pomeriggio con quell’odiosa ficcanaso di Felice – mi rimprovera lei fingendo di esserne offesa e io faccio finta di essere sul punto di piangere.
- Il tuo sarcasmo non ti porterà lontano signorina. E comunque se davvero hai tante cose da fare, cosa ne pensi se resto qui oggi e ti aiuto un po’? la tua casa sembra una stalla, non puoi sopravvivere in questo disordine.
Io non rispondo nemmeno, la mia casa è più che sufficientemente in ordine dal mio punto di vista ma lei non è capace di stare in una casa più di tre minuti senza sentire il malsano bisogno di pulire ogni centimetro quadrato. E comunque ammetto che la sua malata ossessione mi fa dannatamente comodo in questo momento, non ho proprio il tempo di mettermi a fare un po’ di grandi pulizie.
Dopo un pranzo veloce ma niente affatto leggero (come sempre quando cucina mia madre) quindi, lei si dedica a una meticolosa ecatombe di innocenti acari e io mi sistemo nella mia poltrona per dedicarmi al mio lavoro, ancora in sospeso. È il capitolo più lungo che mi sia trovata a copiare finora ma mi piace scrivere al mio portatile, mi rilassa e in una giornata come questa ho disperatamente bisogno di rilassarmi.
Quando salvo e chiudo il programma il sole è tramontato da un pezzo e mia madre ha abbandonato le pulizie per concedersi una tazza delle mie tisane alla rosa, che ha diligentemente preparato anche per me. mi avvicino e sorseggio un po’ del liquido caldo, cercando di muovere lentamente il collo e la schiena intorpiditi da tante ore seduta.
- Non manca molto alla fine di questa storia vero? – domanda mia madre all’improvviso senza guardarmi.
- No, ormai sono agli ultimi quadri. Se continuo a questo ritmo avrò finito entro dicembre e potrò davvero brindare a una nuova vita – la rassicuro. Per quanto mi riguarda invece, il pensiero della fine non mi rassicura affatto. Sono cos’ abituata a condurre questo genere di vita che non so se riuscirò ad abituarmi a una più normale.
- E cosa farai quando tutto sarà finito? – domanda ancora, guardandomi questa volta.
- Finirò gli studi e poi… forse cercherò di ottenere una cattedra da qualche parte, oppure cercherò un’associazione privata che ha bisogno di qualche storica o antropologa. Qualcosa tipo quei circoli che gestiscono la biblioteca o il museo o quelle cose per cui la gente ha bisogno di una guida…
Lei sembra pensarci un po’ su, continuando a bere la sua tisana.
- Non ti annoierai?
- Da morire. Ma finirò con l’abituarmi prima o poi. E magari trovo anche il tempo di cercare un marito meno fastidioso possibile.
Come prevedevo l’idea la fa sorridere compiaciuta, credo che organizzare il mio matrimonio sia lo scopo massimo di tutta la sua vita.
- Per questo venire alla serata della settimana prossima è un’ottima idea. Alex è davvero un bravo ragazzo.
Pensare a me ed Alex insieme mi fa quasi soffocare con l’ultimo sorso della mia tisana. Cosa ha fatto per meritarsi tutta questa stima?
- Non lo conosci affatto mamma. È affascinante e pieno di soldi ma questo non fa di lui un bravo ragazzo. Potrebbe essere scappato dall’America perché è un ladro o chissà cosa… o magari ha lasciato moglie e figli. O peggio ha dei figli illegittimi di cui non vuole interessarsi… - le faccio notare, ma lei sorride imperterrita.
- Conosco sua madre ed è una donna adorabile. E poi non ha solo i soldi tesoro, ha eleganza, educazione, istruzione…
Faccio per replicare ma alla fine rinuncio. È assolutamente convinta di quello che dice e non cambierà mai idea.
Venti minuti dopo ho deciso cosa mettere e mia madre mi aiuta con i capelli, che sono più ribelli del solito. Mentre mi trucco leggermente, lei mi trova gli orecchini e la collana di madreperla e me li allinea sul comò in camera, poi mi esce le scarpe. Vedendo la sua faccia disperata scoppio a ridere, non so trattenermi, ma lei si limita a lanciarmi un’occhiata sofferente e si siede sul letto.
Ha promesso a sua madre di convincermi ad innamorarmi dei tacchi alti prima o poi, ma fino ad ora ogni suo tentativo è stato vano. Innanzitutto non mi piacciono, mi fanno sentire tremendamente a disagio e poi non vanno affatto d’accordo con il mio… stile di vita, per così dire.
E poi l’odio è reciproco, visto che ogni rara volta che sono costretta ad indossarli mi distruggono i piedi. È come se si vendicassero del mio malanimo nei loro confronti.
Torno in camera e indosso i miei comodi stivaletti, rigorosamente senza tacco, mentre cerco di infilarmi gli orecchini. Intanto la mamma mi allaccia la collana e liscia la giacca che ho appoggiato sul letto.
- Bene, credo di essere pronta. Devo solo trovare le chiavi – dico, sperando che se ne vada prima di cominciare l’attacco dell’interrogatorio.
- Almeno vuoi dirmi con chi esci? – mi domanda osservandomi con sguardo malizioso.
Appunto. Come non detto.
- Non farti illusioni, è solo un professore. È nuovo e ha bisogno di aiuto per mettere a punto il programma – rispondo, mentre riempio la borsa con tutto il necessario.
- E lo farete davanti ad una cena? – domanda mia madre alzando un sopracciglio. Non la sto guardando, ma so che lo ha fatto dal tono della sua voce.
- Non ho detto che andiamo a cena. Ho detto che ho un appuntamento. In università.
Dal suo silenzio capisco che è indecisa tra il credermi e abbandonare le sue speranze o decidere che sto mentendo per nascondere un amante segreto.
- E visto che il mio appuntamento è tra meno di dieci minuti credo che sia il caso che cominci ad avviarmi. Non credi anche tu? – insisto, accompagnandola gentilmente verso la porta. In realtà non è vero, manca almeno mezz’ora, senza contare l’ovvio ritardo con cui arriverò, ma ho bisogno di qualche minuto di silenzio.
Fortunatamente il saluto dura meno del previsto e dopo qualche raccomandazione (invariata da quando ho compiuto tredici anni o giù di lì) vedo i capelli biondi perfettamente alla moda di mia madre sparire dietro le porte dell’ascensore.
Chiudo la porta e mi ci appoggio contro con la schiena, tirando un sospiro. Che razza di giornata. E pensare che era cominciata così bene, con quella splendida colazione!
Come avevo fatto a passare dal cornetto del “Benny’s” ad un appuntamento forzato col mio professore ad un altro appuntamento forzato con il mio coinquilino? Più che dalla padella alla brace, la mia situazione poteva definirsi dalla brace all’inceneritore.
Mi guardo di nuovo allo specchio dell’anticamera, sperando di aver scelto l’abbigliamento giusto. Semplice ma non trasandato. Troppo sofisticata avrebbe significato che considero la cena importante, trasandato che non me ne importa niente di niente. E visto che è il mio professore dovevo assolutamente trovare una via di mezzo.
Analizzo attentamente la camicia stile cinese, abbottonata fin sotto il mento, i pantaloni stretti semplicissimi, abbelliti solo dalla cinta, la giacca (alla quale tolgo via un fastidioso filo sporgente da uno dei bottoni)… si, credo che non avrei potuto fare di meglio.
Resto comunque qualche altro minuto lì davanti alla porta, cercando di immaginare la serata. Odio quando non posso programmare tutto, nei minimi dettagli e stasera non so nemmeno cosa faremo, dove andremo, di che parleremo. Accidenti.
Chiudo gli occhi e respiro profondamente, cercando di raggiungere lo stato di perfetta calma. Devo sembrare fredda e irraggiungibile, noiosa e…
Qualcuno suona alla porta. Maledizione. Accidenti l’ho già detto.
Stringo più forte gli occhi e sbatto delicatamente la testa all’indietro contro la porta, desiderando di poter urlare e spaventare il visitatore finchè non se ne sia andato.
Il campanello suona di nuovo. Un osso duro direi.
Rassegnata apro la porta, cercando di apparire più scocciata possibile.
Fuori alla porta, con quello stupido sorriso ebete, c’è il mio nuovo vicino, Alex. Di nuovo.
- Ti sei trasferito di sopra o sul mio pianerottolo? – domando, più scortese di quanto avrei voluto. Lui si limita a sorridere ancora di più.
- Ora sì che ti riconosco. Quella versione gentile di te mi ha mandato in confusione – ironizza e io faccio un sorriso sarcastico, trattenendo un gestaccio. Ora sono felice di essere stata scortese con lui.
- Allora? Qualche dubbio sulla serata di gala? – domando, visto che lui sembra essersi incantato a guardarmi.
- Be’ sì, cioè no… sì e no… non proprio…
Ecco un’altra cosa che odio. I balbuzienti. Lo sprono con un’occhiata eloquente.
- Ecco… ero venuto a chiederti se sei sicura che per te vada bene… voglio dire, forse prima non volevi dispiacere tua madre, ma davvero, non sei costretta. Se non ne hai voglia le dirò che ho scoperto di aver un impegno inderogabile proprio quella sera.
Io non rispondo e lui rimane a guardarmi, aspettando che mi decida. Io valuto l’offerta. In effetti, sarebbe perfetto, mi libererei di quell’inconveniente scomodo e mia madre non potrebbe darmi la colpa… però ammetto che mi fa un po’ tenerezza. Un uomo decisamente bello, ricco e gentile se ne sta impalato sulla mia porta perché vuole sapere se io, non lui, non mia madre, se io voglio andare a questa dannata serata.
E poi mi ha portato il cornetto di Benny’s…
- Non preoccuparti, ci vengo. Non dico volentieri perché sarebbe una bugia, odio queste feste formali, ma è una grande occasione per il tuo locale. A che servono i vicini?
Gli sorrido e sono felice di vedere che risponde al mio sorriso. È più che bello quando sorride così, è da mozzare il fiato. In smoking deve essere uno schianto…
- Grazie. Davvero – dice e c’è qualcosa di tremendamente… intimo, nel modo in cui lo dice. Un modo incredibilmente sincero e diretto che mi fa girare leggermente la testa e…
- Ora devo andare. Mi stanno aspettando – dico, un po’ troppo bruscamente. Non mi piace l’effetto che mi fa la sua vicinanza, mi sconvolge troppo. Anzi, non dovrebbe sconvolgermi nemmeno un po’. Specialmente stasera. Mi serve tutta la mia calma.
Lui annuisce indietreggiando di qualche passo.
- Alla settimana prossima allora. E se cambi idea sai dove trovarmi – mi saluta e poi comincia a salire le scale.
Io resto a guardarlo qualche secondo, poi sorrido scuotendo la testa. Che tipo strambo.
Mi decido a chiudere la porta, controllo di avere le chiavi e il cellulare in borsa e scendo per le scale, non ho il tempo di aspettare l’ascensore. Salgo in macchina e metto in moto. Mi sento stranamente nervosa e agitata e la cosa mi infastidisce parecchio. Come al solito la macchina avanti alla mia sembra guidata dal re delle lumache e devo trattenermi dall’uscire e andare a prendere a schiaffi chiunque sia al volante.
Mentre aspetto che il re lumaca capisca che il verde è un colore amico, cerco di capire per quale assurdo motivo sono stata invitata a cena dal mio nuovo professore. Ammetto che ho sbagliato nel criticarlo e mettermi in mostra e che forse me la sono andata a cercare ma un invito a cena non è decisamente il modo in cui avrebbe dovuto reagire Gagliani. O forse la sua idea era proprio quella di spiazzarmi? Be’ ci è riuscito alla grande devo ammettere.
Dopo altri venti minuti di angoscianti interrogativi sono arrivata all’università. Parcheggio proprio davanti all’uscita, sentendomi tremendamente ridicola. Ai dipendenti ancora a lavoro nell’edificio, sembreremo una coppia di amanti in un incontro clandestino e questo mi manda nel panico. Non voglio che circolino voci sul mio conto, di nessun tipo, tantomeno di questo tipo.
Entro lentamente nell’androne e mi guardo intorno, sperando di vederlo lì ad aspettarmi. Non ho intenzione di chiedere all’inserviente se l’ha visto, devo passare più inosservata possibile. Ma lui ovviamente non c’è, deve essere in qualche aula.
Mi avvicino alla porta dell’aula più vicina e controllo se è chiusa. Meglio vedere se riesco a trovarlo da sola prima di chiedere a qualcuno. Profilo basso, devo tenerlo a mente.
La porta non si apre, quindi passo all’altra, anche questa chiusa. Sbruffando mi avvicino alla terza porta, cominciando a perdere le speranze. Accidenti a lui. Non ho mai dovuto aspettare il mio cavaliere, figuriamoci andarlo a cercare. Due donne delle pulizie più avanti, vicino alle macchinette del caffè, mi stanno squadrando e ridacchiano tra loro. Perfetto. Addio profilo basso. Grazie professore.
- Se intende nascondersi è troppo tardi, signorina Thompson – dice all’improvviso la voce di Gagliani alle mie spalle. Mi giro con un sorriso tirato, sentendomi tremendamente consapevole delle occhiate interessate delle due inservienti, ormai alle mie spalle.
- Mi deve scusare per il ritardo, il parcheggio in questo paese è molto peggio di tutti i miei rebus – si scusa sorridendo mentre si avvicina. Io annuisco e sorrido un po’ di più.
- Allora andiamo? Le ore che passo qui la mattina sono più che sufficienti – esclamo a voce forse un po’ troppo alta, per far capire alle due spione alle macchinette che non stiamo per imboscarci in una delle aule chiuse.
Lui fortunatamente sorride e annuisce, precedendomi verso l’uscita. Io cammino dietro di lui, non troppo vicina, e cerco di respirare a fondo. Odio l’agitazione che mi sta quasi soffocando e non mi va che lui mi veda così agitata, potrebbe fraintendere.
- E’ meglio se prendiamo una macchina sola, così servirà un solo parcheggio – dice lui mentre esce il telecomando dell’auto dalla tasca e preme il pulsante facendo suonare l’antifurto.
E chi ha detto che volevo prendere la sua? Comunque ha ragione ed è meglio se la mia macchina resta qui. Così limito il rischio che qualcuno la riconosca mentre andiamo al ristorante.
- Dove andiamo? – domando dopo aver allacciato la cintura. Ci metto qualche minuto perché le mani mi tremano leggermente. Dannazione, non dovrei essere così agitata!
- Un posticino non lontano da qui. Non sono pratico ancora della zona e un amico mi ha detto che è ottimo per una serata informale – risponde, mettendo in moto. Lo guardo per capire come giudicare quell’”informale”. L’ha usato per indicare una serata tranquilla a base di chiacchiere in un’atmosfera rilassata o per indicare una serata del tipo “non sono il tuo professore quindi posso provarci con te?”. Dall’espressione però sembra un “informale” del primo tipo. Sinceramente, non so cosa avrei preferito. Se ci avesse provato avrei almeno avuto una scusa per andarmene subito, invece così…
Comincia a farmi qualche domanda sulla lezione, del tipo quant’è stata interessante, se ha fatto una buona impressione, se ho sentito commenti particolare, quanto il suo metodo è diverso dal professore precedente… tutto come se la sua lezione non fosse partita dal fatto che l’ho criticato e ho messo in discussione la sua competenza.
È proprio la serata dei tipi strani, penso, ricordando Alex nervoso e impacciato sulla mia soglia appena mezz’ora fa. Ma è meglio concentrarsi su un problema per volta.
Quando arriviamo a destinazione vedo che conosco già il posto, ci venivo spesso con un mio ex-fidanzato. Ha ragione Gagliani, o il suo amico, è un bel posto e si mangia bene. Anche se avrei qualcosa da ridire sull’informalità del luogo…
Quando entriamo il cameriere chiede al professore il nominativo e ci conduce subito verso un tavolo nell’angolo, abbastanza lontano dagli altri per permettere conversazioni davvero private ma anche abbastanza illuminato da non sembrare preparato per una dichiarazione d’amore e la cosa non può che farmi piacere.
Non appena ci sediamo un’altra cameriera porta pane, acqua e una bottiglia di vino bianco, oltre ai menu.
- Prendetevi il tempo che serve per ordinare e se volete consigli o chiarimenti, dovete solo chiamarmi – dice la ragazza con un gran sorriso. 
- Probabilmente si è chiesta il perché di questo invito – comincia Gagliani mentre apre il menu. Accidenti, questo sì che è andare dritti al punto. Meglio così, penso, ma non rispondo e aspetto che lui vada avanti. È meglio aspettare e vedere come conduce il discorso: professore-alunna, uomo-donna, esperto-incompetente. Poi mi regolerò di conseguenza.
- Premetto subito che la mia è una proposta interessata ma non indecente – continua e io aggrotto la fronte. Che cosa vorrebbe significare questa frase?
- Voglio dire che le ho chiesto di venire a cena con me perché lei è tremendamente bella, signorina Thompson, e allo stesso tempo intelligente, sveglia e preparata sull’argomento, perciò sarei molto felice se potessimo andare oltre le lezioni – spiega lui senza alzare lo sguardo dal menu.
Non rispondo, non saprei che dire. Non ho mai ricevuto dei complimenti così diretti da una persona tanto inaspettata e quindi aspetto che finisca prima di commentare.
- Tuttavia non è indecente perché non le chiederò favori di nessun genere, non la forzerò né ricatterò in alcun modo e la sua risposta non influirà sulla sua votazione. In pratica, le sto chiedendo di dimenticare che sono il suo professore e considerarmi solo un corteggiatore come gli altri.
Ora finalmente alza lo sguardo dal menu e mi sorride, per farmi capire che è sincero.
Io intanto mi verso un bicchiere di vino bianco con molta lentezza, cercando di prendere tempo. Sono sbalordita da questa premessa e come mi è capitato pochissime volte in vita mia non ho parole.
- Si rende certamente conto, professore, che è una cosa impossibile. Non posso semplicemente dimenticare che è il mio professore. Senza contare che lei è anche uno scrittore di successo e uno storico di fama internazionale. Non sono esattamente quelli che chiamo dettagli – rispondo, dopo qualche sorso. Sostenere il suo sguardo mi riesce tremendamente difficile, quindi fingo di leggere il menu a mia volta.
- Vero. Ma credo che sarà più facile non pensarci se ci diamo del tu, no? E comunque non mi sembra che la mia fama o il mio successo ti abbiano impedito di obiettare in aula, no? – obietta lui, perfettamente tranquillo.
Io alzo un sopracciglio per fargli capire quanto poco condivido quest’idea assurda. Sono situazioni completamente diverse, non sono nemmeno paragonabili. Però sono felice di notare che sono meno agitata. Questa conversazione così “alla pari” in un certo senso, come se stessi davvero parlando con un compagno di corso, mi rende decisamente più tranquilla.
- Sono sicuro che sei una ragazza abbastanza sveglia da capire che non è il successo che rende migliori gli uomini. E comunque i miei libri sono famosi solo per gli esperti, la maggior parte della gente non sa nemmeno che esisto. Scommetto per esempio che tu non hai letto nessun libro dei miei – insiste e io distolgo lo sguardo imbarazzata. In effetti non l’ho mai fatto, nonostante ne ho sentito parlare parecchio.
Lui comunque mi sorride, un bel sorriso naturale e franco, che mi aiuta a rilassarmi un altro po’. Effettivamente, non sembra proprio il tipo che si offende, anzi, sembra disponibile e simpatico, di quelli che non hanno problemi nel mettersi in discussione. Questo gli fa guadagnare qualche punto e gli sorrido, molto più naturale e rilassata.
- Facciamo un patto. Io cerco di essere tremendamente banale per tutta la sera e poi decidi: se mi consideri ancora il professore pieno di soldi e potere, rifiuti il mio prossimo invito e io ti boccio, altrimenti accetti di passare con me un’altra sera e io ti promuovo con il massimo dei voti – propone e io lo guardo diffidente.
- Sto scherzando, ho promesso di non ricattarti. Però per il resto ero serio. Deciderai a fine serata.
Sorseggio un altro po’ il mio vino, indecisa. In effetti ha ragione, mi sono bastati pochi minuti per sentirmi a mio agio in sua compagnia e l’idea di una serata insieme comincia a non dispiacermi. Anzi, sembra interessante. Forse per la prima volta potrò fare una conversazione degna di questo nome.
Accetto la proposta e lui sorride soddisfatto. Senza sapere perché, penso ad Alex, al suo sorriso perfetto, e lo confronto con quello un po’ sghembo di Gagliani. Non saprei proprio scegliere. Uno è meravigliosamente perfetto e rassicurante, l’altro contagioso e… sexy. Sì, credo che sexy descriva bene il sorriso di Gagliani. Scuoto la testa per scacciare questi pensieri assurdi, nonché inutili.
Gagliani comincia a farmi una serie di domande su di me del tipo abiti con i tuoi, cosa vuoi fare dopo l’università, lavori, quali sono i tuoi passatempi… cose così, alle quali rispondo vagamente, il più delle volte mentendo. Nel frattempo la cameriera dal gran sorriso torna per prendere le ordinazioni, promettendo che sarà tutto pronto in pochi minuti, poi sparisce.
- Allora, Alexis, come mai sei così preparata sulla storia antica? – domanda Gagliani dopo che la ragazza si è allontanata, sorseggiando anche lui il vino. Mi aspettavo questa domanda, sono preparata.
- Mio padre era un grande appassionato di storia. Probabilmente me l’ha trasmessa geneticamente. Dopo la sua morte, comunque, quando leggevo i libri di storia mi sembrava che lui fosse accanto a me ed era bello. Poi mi sono appassionata e…
- Capisco. Una bellissima eredità da tramandare – risponde lui con un sorriso al quale rispondo. È bello poter dire la verità ogni tanto. Almeno, quasi tutta.
Da quel momento cominciamo a parlare soprattutto di storia, scambiandoci pareri sui libri letti, i film visti, opinioni personali su alcuni grandi dibattiti ancora in corso tra gli storici. È una conversazione splendidamente fluida e naturale e in poco tempo mi trovo a parlare a ruota libera, come se stessi parlando con mio padre invece che con un professore di fama mondiale.
La conversazione non si ferma nemmeno quando la cameriera porta i primi antipasti. Tra un boccone e l’altro raccontiamo a turno qualcosa, come se recitiamo un copione preparato ed è una bella sensazione. Intanto io noto anche altre cose che mi piacciono di questo Gagliani: non interrompe il discorso degli altri, sembra sempre interessato a quello che dico e non si lascia distogliere dal fondoschiena della cameriera o delle ragazze che passano. Non sfoggia il suo sapere come gli altri e non cerca di mettersi in mostra.
Comincio ad essere contenta del suo invito, anche se mi ha messa in imbarazzo davanti a tutti e farà circolare un sacco di voci sul mio conto.
Quando la ragazza ci porta il secondo abbiamo abbandonato la storia per parlare di altri cento argomenti, assurdamente diversi: il matrimonio, la convivenza, le prospettive di lavoro per i nuovi laureati… Il tutto sempre con una naturalezza sorprendente, senza imbarazzanti silenzi.
In realtà, ogni tanto lui sembra incantarsi su di me e quando cerco di riportarlo alla realtà si giustifica dicendo che ho una bocca troppo ammaliante. Ammaliante? Come fa una bocca ad essere ammaliante? Ogni volta io comunque mi limito a scuotere la testa e a riprendere a parlare, fingendo di ignorare i suoi commenti.
Mi sembra decisamente più saggio, considerando che ho ancora parecchi dubbi sull’idea di vederci anche altre volte. È sempre il mio professore in fondo, anche se  amichevole e di compagnia. Però mi fanno piacere, lo devo ammettere. Sottili e discreti, che non ti mettono in imbarazzo. Non troppo almeno.
La fine della cena arriva prima che me ne accorga. Peccato, stavo bene. Lui si alza e va a pagare il conto, nonostante le mie (finte) proteste per contribuire anche io, poi mi fa un cenno e ci avviamo alla macchina.
Saliamo, ancora chiacchierando, poi lui si zittisce e mi guarda sorridendo. Accidenti. So perché fa quella faccia. Credo che sia arrivato il momento. Devo dare una risposta che non ho. Maledizione.
- Cos’ha deciso signorina Thompson? – domanda. Non mi piace il ritorno al lei. Mi mette agitazione.
Lo guardo senza dire niente, cercando di trovare le parole per dirgli che non possiamo continuare a vederci. È assurdo, impensabile. Soprattutto per me. Non c’è spazio nella mia vita per le complicazioni che verrebbero dal vedersi con un professore, specialmente se giovane e simpatico. Di certo tutte le ragazzine del primo anno faranno la fila per mettersi in mostra tra meno di un mese, non appena si spargerà la voce di com’è davvero.
Lui continua a fissarmi tranquillo e io prendo fiato. Meglio non tirarla per le lunghe.
- Mi farebbe piacere ripetere una serata così. Sono stata bene. Per il resto, vedremo – dico.
Sono impazzita? Sono ubriaca? Come mi è saltato in mente di dire una cosa del genere? Io non voglio ripetere la serata, non devo volerlo. Stavo per dirglielo anche! Accidenti, maledizione, dannazione e tutte le imprecazioni che conosco.
Lui però sorride soddisfatto.
- Allora ti comprerò uno dei miei libri. Non puoi uscire con me senza averlo letto – dice mettendo in moto, poi scoppia a ridere, probabilmente dopo aver notato la mia faccia, tutt’altro che entusiasta.
- Sto scherzando, prometto che non li vedrai nemmeno una volta – mi rassicura ridendo e io faccio finta di asciugarmi il sudore dalla fronte.
- Però questo scommetto che ti interesserà di più. Anche se spero che continueremo a discutere in aula. È stato molto divertente, stimolante litigare con te – continua prendendo un pacchetto dal cruscotto. O mio Dio, non ho mai ricevuto tanti regali in un giorno nemmeno al mio compleanno.
Lo prendo imbarazzata, completamente spiazzata da questo gesto. Decisamente non me l’aspettavo. Lui mi fa un gesto con la mano per dirmi di aprirlo e io lo scarto, titubante. Sono tremendamente consapevole dei suoi occhi incollati a me e per un momento mi chiedo cosa farei se mi baciasse, magari prima di separarci. È assurdo che mi venga anche il dubbio, penso, dopo tutte le volte che ho analizzato questa situazione, decidendone vantaggi e svantaggi. Eppure in questo momento non so davvero cosa farei. O meglio, non credo che rifiuterei.
Quando riesco a liberarmi dalla carta regalo vedo che si tratta di un libro, per l’esattezza di “Vega e Tula. La doppia faccia della stessa medaglia”. Mi volto verso di lui, sorridendo con aria interrogativa.
- Riesco a capire quando convinco qualcuno e stamattina ho visto che non credi nelle mie teorie. Non è per farmi pubblicità ma sarebbe bello sapere cosa ne pensi. C’è sempre bisogno di un critico spassionato. Se riesco a convincere i miei nemici, allora passerò alla storia – spiega, ma non riesco a capire se sia serio o no.
Comunque ha ragione, sono proprio curiosa di leggere meglio la sua idea. Più lo conosco, più non mi sembra proprio un cialtrone. Possibile che mio padre abbia davvero commesso degli errori di valutazione? Per la prima volta non so rispondere. Sono sempre stata assolutamente certa della sua infallibilità ma ora…
- Grazie. È stato un bel pensiero, lo leggerò volentieri. Anche se non credo che cambierò idea, senza offesa – dico finalmente, vedendo che lui aspetta una mia risposta. Non voglio che creda di avermi già conquistata solo con un libro. Eppure, mi sento quasi come se l’avesse fatto. Di certo ci è andato vicino.
È stato un bellissimo pensiero e ha completato magnificamente questa serata, bella nonostante le mie nere previsioni.
Solo ora mi accorgo che abbiamo parlato di un sacco di cose ma non gli ho chiesto niente dei suoi viaggi, così gli faccio qualche domanda. Lui sembra un po’ restio a raccontare le sue avventure attraverso i continenti ma dopo un po’ prende coraggio e mi racconta un sacco di aneddoti divertenti e interessanti.
Sono così concentrata su quello che dice che mi accorgo solo vagamente che non stiamo tornando all’università ma stiamo girovagando a zonzo per la città. Sorrido pensando che di certo non si può dire un uomo privo di iniziativa, ma in realtà non mi dispiace affatto.
Non sono mai stata così bene durante un appuntamento con un uomo e non che non ne abbia avuti, al contrario di quello che sostengono Linda e mia madre.
È che con lui non mi sento un soprammobile, una figura inanimata come solitamente mi fanno sentire gli altri. Con lui è tutto naturale, semplice, diretto. Mi tratta da persona dotata di un cervello oltre che di seno e sedere (anche perché, a dire il vero, non è che siano proprio appariscenti) e la cosa non può che farmi piacere. Niente a che vedere con Alex Buon Cornetto, che continua a trattarmi gentilmente da idiota.
Continuando a raccontarmi delle sue avventure (che sono state incredibilmente tante e ricche, a dispetto della giovane età, che ho scoperto essere di appena ventinove anni) mi porta a prendere un gelato, a fare una passeggiata, quindi torniamo in università e restiamo seduti su una delle panchine all’esterno, dimentichi del tempo che passa.
Quando mi decido a controllare il mio orologio spalanco gli occhi e gli lancio un’occhiataccia: sono già passate le due e da un pezzo. E io che avevo contato di poter tornare a casa piuttosto presto e riposare un po’. Domani sarà un’altra giornata frenetica e avrei voluto essere abbastanza in forze per affrontarla.
- Credo che sia arrivata l’ora di riaccompagnare a casa la mia cenerentola – dice lui alzandosi e mi porge il braccio. Lo accetto sorridendo e di nuovo mi chiedo cosa farei se mi baciasse prima di salutarci. Ancora non ne ho idea.
Ci avviciniamo alla mia macchina e comincio a cercare le chiavi nella borsa. Strano, ma non ho nessuna voglia di tornare a casa. Mi sembra così triste in questo momento tornare in quella grande casa vuota e silenziosa!
- Verrai domattina? – mi domanda Giulio (abbiamo deciso di lasciare i cognomi in università) quando finalmente le mie dita si chiudono sul metallo freddo delle chiavi.
- No. Ho preso alcuni impegni a cui non posso rinunciare. E poi non ci sono lezioni molto importanti. Solitamente seguo solo quelle irrinunciabili, questo edificio mi fa venire l’orticaria – rispondo. Anche se mi chiedo se non si il caso di cominciare a frequentare più spesso le lezioni… potrebbe rivelarsi utile. Per i miei esami, ovviamente.
- Capisco. Peccato. Mi sarebbe piaciuto avere un motivo per arrivare fin qui – replica mentre io apro lo sportello. Dal tono della voce capisco che sorride e sorrido a mia volta ma non mi volto.
- Visto quello che ti pagano per fare lezione, direi che il tuo motivo ce l’hai già – rispondo mentre entro in macchina, ma senza chiudere lo sportello. Lui ride, con quella risata così… caratteristica. È una sorta di marchio personale, la sua firma. È melodiosa e squillante, terribilmente contagiosa. Ha anche un effetto calmante su di me e questo mi piace. L’opposto della risata vibrante di Alex, che sembra sempre entrarmi dentro come un’onda e sconvolgere tutto.
- Tra i soldi e la tua compagnia, io scelgo la tua compagnia se ti va di condividere la mia povertà – risponde in tono melodrammatico mentre si sposta per permettermi di chiudere lo sportello. Io rido mentre abbasso il finestrino. Non credo che mi abituerò mai a questi suoi complimenti inaspettati. Li lancia così nel bel mezzo di un discorso assolutamente neutrale e mi spiazza ogni volta.
- Devo andare ora. Ci vediamo alla prossima lezione – lo saluto mettendo in moto. È davvero tardi ora, siamo l’unica cosa che ancora si muove e parla nei dintorni, come se fossimo rimasti svegli solo noi. E anche questo mi piace, da un tocco di intimo a questo momento apparentemente banale.
Ripenso al probabile bacio, non più chiedendomi come reagirei ma sperando di poterlo ricambiare.
Lui infatti si appoggia con le braccia al finestrino e ora il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Lui continua a sorridere ma lo vedo dai suoi occhi che anche lui sa che questo è il momento perfetto. Io mi sento nervosa come una scolaretta, ma stranamente ora la cosa non mi infastidisce, sono troppo concentrata.
- Credo che sia il momento in cui ti do il bacio della buonanotte – sussurra a meno di un centimetro dal mio viso ma io non rispondo e continuo a fissarlo. Credo che la mia voce tremerebbe se cercassi di parlare ora e rovinerei tutto.
Lui sorride appena e all’improvviso un campanello d’allarme sembra risuonarmi in testa. La mia stessa voce mi dice che sto facendo il più grosso sbaglio della mia vita, che questa è un’avventura stupida e assurda di cui potrei solo pentirmi…
Ma proprio ora lui sta avvicinando ancora di più la sua bocca alla mia e io zittisco quel campanello fastidioso e… ne suona uno vero.
Una suoneria bassa e melodiosa che somiglia un po’ troppo alla suoneria del mio cellulare si diffonde nella mia auto. Io faccio finta di ignorarla ma lui si allontana appena e mi indica la borsa con aria rassegnata.
Direi che il momento magico è passato. Grazie signor telefonante, ti ringrazio davvero di cuore, penso, mentre mi volto verso la borsa sul sedile accanto e cerco il telefono. Chiunque sia, ha appena rinunciato al mio regalo per il prossimo natale e se mi sta chiamando per una stupidaggine, sta rinunciando a me e basta.
Finalmente riesco a trovarlo e lo tiro fuori con un gesto stizzito. Sono talmente arrabbiata per l’interruzione che non guardo nemmeno il numero sul display, rispondo e basta.
- Chiunque tu sia spero che la tua ragione per chiamarmi a quest’ora sia più che ottima- dico con voce cupa.
- Avevo voglia di sentire la tua voce amica – mi risponde divertita una voce che conosco già fin troppo bene, nonostante ci ho parlato poche volte. Una voce che odio.
- Che vuoi Alex, specialmente nel bel mezzo della notte? – domando. Non sono nemmeno più arrabbiata, tanto con lui è inutile. È stato creato apposta per dannarmi l’anima. Geneticamente rompiscatole.
- Niente di importante, vedo che hai da fare… - risponde.
- Innanzitutto non vedi un accidente perché siamo a chilometri di distanza. Secondo, già che hai chiamato e hai interrotto una cosa importante, sei pregato di avere un motivo migliore di niente – insisto con la voglia matta di rispedirlo in America. Possibilmente in modo doloroso. Atrocemente doloroso.
- Si, in effetti avevo un motivo ma… va be’ te lo dico un’altra volta. Buonanotte.
Ha chiuso. Questo stupido americano senza un briciolo di intelligenza in corpo mi ha chiuso la telefonata. Dopo aver rovinato il mio momento speciale, mi chiude la chiamata senza dirmi nemmeno perché ha chiamato. Se si potesse elevare al quadrato l’idiozia, Alex ne sarebbe il risultato pratico.
Vedo che Giulio mi guarda con aria interrogativa e sorrido un po’ forzatamente.
- Nessuno. Solo mio cugino. Non è normale poveretto, ha un deficit mentale. È quasi down ora che ci penso, però senza gli occhi storti – spiego, pensando che glieli faccio venire io gli occhi storti quando lo vedo la prossima volta.
Comunque il momento della buonanotte è passato, quindi mi allaccio la cintura.
- Va bene allora… buonanotte. Ci vediamo alla prossima lezione – lo saluto. Non so se essere dispiaciuta per il bacio mancato o no.
- Va bene. Chiederò di fare qualche lezione in più allora, così ci vedremo più spesso. E poi mi hai promesso un altro appuntamento – risponde lui e poi si incammina verso la sua macchina. Resto a guardarlo salire in macchina, poi finalmente parto verso casa mia. È più che tardi, praticamente è già mattina.
Mentre guido verso casa, lentamente ma non per il traffico questa volta, sento svanire l’eccitazione della serata e riesco a ritrovare un briciolo di lucidità. In realtà comincio a pensare di dover ringraziare Alex, mi ha evitato di cadere in una trappola infida. Perché, diciamocelo, una relazione con un professore non può essere niente di diverso, specialmente per me.
Non riesco a gestire una relazione con le persone normali, figuriamoci con un professore. E poi lui è famoso, è conosciuto e di certo questo non porterebbe niente di buono per me. Diventerei famosa anch’io per riflesso, come è successo a mia madre, quella vera, e mi sembra evidente che la cosa non l’ha di certo aiutata.
Cosa gli direi quando mi chiederà di vederci? “Fammi pensare amore, lunedì no perché compro quadri sotto falso nome, martedì nemmeno perché leggo gli appunti di mio padre morto, mercoledì no perché mi alleno nel caso cerchino di uccidere anche me, giovedì credo di dover fare delle ordinazioni per una tizia morta. Forse venerdì…anzi no, venerdì devo scrivere un libro che pubblico sotto falso nome. Facciamo sabato?”
Ma sì, che gran bella idea! Di certo contribuirò a rendere la sua vita migliore! Giulio è il mio professore e per il suo bene, è meglio che resti solo questo.
Però non è detto che la nostra debba proprio essere una relazione fissa, penso mentre scendo dalla macchina e chiudo con le chiavi. Ma no, che sto dicendo. È un professore, non si accontenta certo dei ritagli di tempo di una studentessa, ne avrà a bizzeffe più disponibili.
Inserisco l’antifurto ed entro nel portone. Chiamo l’ascensore ma come al solito non è proprio dei più rapidi, così decido che arrivo prima se salgo a piedi, sperando questa volta di non trovare mia madre o Alex a ciarlare di feste di gala.
Quando arrivo sul pianerottolo non ci sono visitatori inattesi ma mi accorgo subito che qualcosa non va: il tappetino davanti alla mia porta è spostato e il portaombrelli è rovesciato. Mi muovo lentamente mentre mi avvicino alla porta, ripensando a tutti gli insegnamenti di Juno.
Primo, controllare se c’è odore di polvere da sparo. Annuso l’aria ma non sento niente di insolito. Non erano armati. O almeno non hanno usato le armi.
Secondo, assicurarsi che non siano ancora in casa. Tendo l’orecchio per sentire eventuali rumori ma è tutto silenzioso sia in casa che nelle scale.
Ho il cuore che mi rimbomba nello stomaco e sento che l’adrenalina comincia a scorrere a fiumi nelle mie vene ma cerco di ignorare entrambe le cose. Devo essere concentrata.
Appoggio un piede contro la porta e spingo lentamente, per vedere se è ancora aperto. La porta non si muove. Brutto segno. O sono ancora dentro o hanno le chiavi di casa mia. Non so quale delle due cose sia peggio, in questo momento.
Giro la chiave lentamente, cercando di fare meno rumore possibile nel caso il ladro sia ancora dentro. Se si tratta di un ladro. La chiave gira tre volte e tiro un sospiro di sollievo. Non sono dentro, non avrebbero chiuso con tutte e tre le mandate. Subito dopo mi si gela il sangue: hanno richiuso a chiave. Hanno le mie chiavi di casa.
Rimetto il portaombrelli in piedi e aggiusto il tappetino, quindi entro in casa e chiudo la porta con tutte le mandate possibili, poi inserisco il ferretto. Posso mettere qualche altra sicura? No, non credo.
Terza lezione, controllare che non sia un’imboscata. Avevo dimenticato che non era finita.
Faccio il giro della casa con molta calma, respirando appena e accendendo tutte le luci che ho in casa ma fortunatamente è deserta. Tiro di nuovo il fiato e deglutisco mentre il cuore rallenta un po’. Incredibile ma sto sudando. Ho la fronte coperta da una patina di goccioline fredde e lo stesso vale per la mia schiena.
Quarta lezione, controllare cosa manca. In realtà però i mobili sono in perfetto ordine, non sembra che ci sia stato un furto, né che qualcuno si sia messo a frugare. Comunque, per sicurezza, apro il cofanetto con i miei gioielli e rovisto tra bracciali e orecchini. Sembrano tutti presenti. Controllo il computer ma non sembra essere stato forzato in nessun modo e comunque non avrebbero potuto utilizzarlo senza la password.
In ultimo, col cuore che martella di nuovo assordante, mi avvicino al cassetto dove tengo nascosti i fogli di papà. Non sono ancora riuscita a leggerli e così li ho nascosti nel solito cassetto, l’unico con la serratura.
Lo tiro, per vedere se è stata rotta la serratura ma il cassetto non cede. Prendo la chiave da sotto il lume del comodino e lo apro, pregando di trovare tutto al suo posto. È così, per fortuna.
Rifaccio il giro, più che altro per calmarmi e spegnere tutte le luci che ho acceso, poi torno in camera da letto. L’orologio sul comodino segna le tre meno un quarto del mattino. Direi che il mio sonno è appena andato a farsi benedire.
Vado in cucina e metto a bollire un po’ d’acqua calda. Ho proprio bisogno di una tisana, almeno per calmare il tremito alle mani. Ora che l’adrenalina comincia a svanire, sento la paura montarmi dentro sul serio. Mi siedo e chiudo gli occhi, inspiro, conto fino a tre, espiro.
Chi era entrato in casa mia? Non poteva essere un ladro, non avrebbe lasciato tutto così in ordine e avrebbe rubato qualcosa. Ma chi allora? Non ne ho idea.
Altra domanda: come era entrato in casa mia? Era chiaro che aveva le chiavi o sarebbe scattato l’allarme antifurto. Ma come era riuscito a procurarsele? Tranne le mie, che avevo io, l’unica altra persona ad avere le chiavi di casa è mia madre ma di certo non era passata per un salutino alle tre del mattino.
L’acqua bolle e mi alzo per prendere la tisana alla rosa mosqueta. Le mie mani hanno smesso di tremare, per lo meno. Verso il composto nell’acqua bollente e mescolo con un cucchiaino.
Terza domanda: perché era entrato in casa mia? Cosa cercava? Per un momento mi viene in mente l’odore della carta da lettere del mio padre vero, quello genetico, morto in un attentato che era stato fatto passare per incidente. Era assurdo pensare una cosa del genere ma… nei suoi quaderni di appunti sulla storia antica, sulla Chiesa e sulla misteriosa confraternita, mio padre mi ha lasciato milioni di avvertimenti e raccomandazioni sull’importanza di restare nell’anonimato, proprio perché, ha scritto, loro sono sempre lì che aspettano di trovare l’ultima superstite.
Ma non ho mai dato davvero peso alle sue parole. Sì, ho preso mille precauzioni in ogni cosa che faccio per conto suo, ho inventato nomi, storie, documenti per mascherarmi, ho evitato ogni possibile fonte di fama (se non consideriamo il mio ultimo invito a cena) e ho anche preso lezioni di combattimento dal maestro che lui stesso mi ha indicato ma…in realtà non ho mai creduto davvero che potessero risalire fino a me.
E ancora non ci credo. Mi sembra così assurdo, così impossibile. E poi, anche se davvero si tratta delle stesse persone che hanno ucciso i miei veri genitori, perché se ne sono andati senza niente? L’unica cosa che potevano cercare, se si tratta delle stesse persone, sono i fogli di mio padre, ma non li hanno toccati. O no?
A pensarci bene, avevano le chiavi di casa mia, quindi nulla esclude che abbiano le chiavi del cassetto. E se hanno solo trascritto i fogli, o li hanno fotografati o roba del genere e sono andati via, proprio per non farmi allarmare?
La mia tisana è pronta e la verso nella tazza, scottandomi l’indice, ma quasi non me ne accorgo, è un gesto automatico. Come è automatico il gesto di zuccherarla e assaggiarla. È buona, bollente e dolce come piace a me. Torno a sedermi, con la tazza sul tavolo, tra le mani gelide.
Anche se li hanno copiati o fotografati non conta nulla, comunque. Io li pubblicherò ugualmente. A che scopo allora entrare qui? Come potevano sapere che non ero in casa?
O era proprio quello l’obiettivo? Erano venuti per simulare un altro incidente?
La sola idea mi fa rabbrividire, nonostante la tisana bollente tra le mani. Ne bevo un altro sorso, fissando la porta d’ingresso, quasi aspettandomi che all’improvviso qualcuno la apra sparando alla serratura come nei film d’azione e un commando di tipi in uniforme e dal volto coperto invada la mia casa, per spedirmi insieme ai miei veri genitori.
Chiudo gli occhi bevendo un’altra lunga sorsata di tisana. L’immagine è più realistica di quanto il mio cervello scosso possa sopportare al momento, quindi la scaccio ostinatamente.
Cosa faccio ora? È il caso di chiamare la polizia? Non appena il pensiero mi sfiora però scuoto la testa: e cosa gli dico, il tappetino era spostato e il portaombrelli rovesciato? Oppure gli spiego del complotto segreto di una specie di setta mistica che vuole inghiottire l’economia mondiale?
Però in effetti c’è qualcuno che posso chiamare, penso con un sospiro di sollievo. Lui sì che saprà cosa fare. Prendo il cellulare dalla tasca e scorro la rubrica fino al numero di Juno. So che sta dormendo, ma gli lascerò un messaggio in segreteria, così domani mi richiamerà e risolverà la faccenda. Juno è il mio istruttore di combattimento ma è anche un ex militare di non so quale corpo segreto. Lui sa sempre cosa fare, di certo lo saprà questa volta.
Il pensiero di poter contare su di lui mi rassicura un po’. Gli lascio un messaggio in segreteria e finisco la mia tisana, bevendo lentamente e lasciando che il suo calore si diffonda per il mio corpo scosso. Devo rimandare l’appuntamento di domani, non posso rischiare che qualcuno mi segua, ma non posso certo farlo ora, devo aspettare per forza un’ora più umana.
Il pensiero però mi fa accendere una lampadina nella mente: e se non fossero stati i fogli quello che cercavano? E se l’obiettivo era la lista dei quadri rimanenti?
Certo era molto più sensato: se avessero trovato la lista dei quadri avrebbero potuto anticiparmi nel rintracciare i prossimi due e allora tutta la fatica di questi anni sarebbe andata persa, non avrei mai potuto finire di pubblicare il romanzo.
Tiro un altro sospiro. Sapere il vero motivo della visita, sempre se è davvero opera di quelle persone, mi fa sentire meglio: primo, perché so che non l’hanno trovato di certo, non tengo la lista in casa mia, e secondo perché se l’hanno cercata qui vuol dire che non sanno di Juno e Patricia. Non ancora comunque.
Guardo di nuovo l’orologio: le tre e venti. Chissà perché, qualcosa mi dice che sarà una delle notti più lunghe della mia vita. Vado nella mia stanza e prendo l’ipod, quindi torno in salotto e mi accascio sulla mia poltrona, coprendomi con la coperta sottile, mentre scelgo una canzone lenta, nella speranza di dormire almeno un po’. Sarà una lunga, lunga notte.

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Capitolo 5
*** Serata di gala ***


Lascio la penna e mi strofino il naso, poi vado in cucina e mi verso un bicchiere di succo di frutta all’arancia. Mi ci vuole qualcosa di un po’ agro per riprendermi stamattina. Ieri notte ho scritto fino alle tre passate e alle sei e mezza di questa mattina la sveglia implacabile mi ha costretto a cominciare una nuova giornata.
Mio marito è già uscito, ormai sarà già nel suo ufficio con quella segretaria un po’ troppo gentile (ma non mi preoccupo, ci vuole ben altro per separarci) e quindi ho la casa libera, così ho deciso di approfittarne per continuare a scrivere il mio regalo speciale.
Guardo il bordo spesso dei fogli già scritti e mi sorprendo di aver già scritto così tante pagine per descrivere così pochi eventi. Non credevo che la mia memoria avesse serbato tutti questi particolari e la cosa è un tantino preoccupante, a dirla tutta. Gli psicologi non parlano di rimozione come strumento di difesa?
Comunque, visto quanto poco tempo manca al nostro anniversario e quanto poco tempo ho per scrivere, forse è un bene, non perderò molto tempo a lambiccarmi il cervello alla ricerca di passaggi censurati. Se continuo a ricordare tutto con la lucidità che ho avuto finora, non avrò nessun problema a finirlo.
Chissà però quanto questa lucidità mi accompagnerà nel mio racconto. Forse scrivendo mi riuscirà più facile che ricordando rievocare gli ultimi atti di questa triste storia, e potrò finalmente ricordare qualcuno di quei momenti che sembrano così confusi nella memoria. Una specie di terapia del diario segreto.
Ma so già che non sarà così. Sono invece piuttosto certa che quando arriverò alla parte davvero cruciale della storia, la mia mente si rifiuterà di ricordare, censurerà e confonderà esattamente come ha fatto nei miei ricordi.
È un problema però che affronterò quando ci sarò arrivata, ancora tra molte pagine.
Per ora, penso mentre esco il quadernino dal cassetto, devo ancora raccontare la sera di gala.

 
13 marzo 1997
Mi guardo allo specchio per la centesima volta, controllando che tutti i capelli siano al loro posto. Ovviamente per ora sono tutti ordinati ma la vera prova del nove sarà uscire all’aperto. C’è vento stasera, il che non va d’accordo né con i miei capelli, né con la mia gonna, penso con una smorfia.
Non metto una gonna da un sacco di tempo e non mi piace l’idea di doverlo fare per Alex Geneticamente Fastidioso. Non gli ho ancora perdonato di aver interrotto la mia buonanotte con Giulio quella sera. Anche se è una storia destinata a finire prima di nascere, sarebbe stato bello sapere cosa si prova a baciare un professore, specialmente quando è così affascinante.
Controllo di nuovo l’orologio, sono le nove in punto. Per fortuna alla serata di gala ci sarà anche da mangiare, sto morendo di fame. Vado in cucina e cerco il cartone di succo di frutta: mi servono zuccheri per affrontare l’intera serata ma se mangio rischio di rovinare il trucco e non ho il tempo di ricominciare.
A meno che il mio accompagnatore oltre che fastidioso non sia anche ritardatario. Sarebbe possibile, visto che sono le nove e cinque minuti e il campanello non suona. Un altro buon motivo per rendergli la serata impossibile.
Mentre sorseggio il succo, attenta a non rovinare il rossetto o altro, cerco di immaginare di cosa potrei parlare con quel bell’imbusto e non mi viene niente a parte le torture che sarei felice di infliggergli.
Faccio un’altra smorfia: con Giulio non siamo stati un solo momento in silenzio, l’intera serata è stata all’insegna della naturalezza. Perché non può essere Giulio ad accompagnarmi alla serata di gala? Sono sicura che saprebbe farmi divertire anche lì. Alex invece non farà altro che sorridere come un ebete e propinarmi le sue frasi gentili fino alla nausea. Oppure mi racconterà la sua brillante vita americana di cui non potrebbe importarmi di meno e allora non riuscirò a trattenermi e gli butterò lo champagne addosso, rovinando la serata a tutti.
Qualcuno suona al campanello.
Accidenti.
Vado ad aprire camminando lentamente, un po’ per colpa dei tacchi semplicemente vertiginosi, un po’ per farlo aspettare. Controllo di nuovo l’orologio: otto minuti di ritardo. Penso a una frase molto sarcastica ma sottile per farlo sentire in colpa, ma quando apro resto senza parole. Non mi sono preparata ad uno spettacolo del genere, per niente.
Alex non è bello questa sera, è semplicemente divino: indossa un completo nero che sembra essergli stato cucito addosso e una camicia nera aperta sul collo, senza cravatta. È l’equilibrio tra semplicità ed eleganza fatto persona. Inoltre ha tirato i capelli indietro come la prima sera che l’ho conosciuto e ogni suo movimento emana quel profumo che ormai credo producano solo per lui. La Coste.
Come faccio ad odiare un tale spettacolo? Odiare lui ora, vestito così, con quell’aria sicura di sé, di quelle che ti promettono serate indimenticabili…dovrebbe essere un peccato capitale, un reato da pena di morte.
Intanto però vedo con piacere che anche lui mi fissa senza una parola e stranamente la cosa mi fa piacere. Non credevo che mi sarebbe importato, ma ora mi sento tremendamente felice di aver seguito il consiglio di mia madre.
- Io… dovrei invitarti più spesso a serate di gala. Sei meravigliosa stasera – mi dice, riprendendosi. Anche io riprendo a respirare finalmente.
- Io sono sempre meravigliosa. E ora andiamo, sei in ritardo – replico ma l’effetto non è da regina di ghiaccio come volevo che fosse, piuttosto da fedele davanti ad un’apparizione divina, a metà tra l’estasiato e l’impaurito.
Chiamo l’ascensore, sentendo il suo sguardo bruciarmi sulla schiena come un marchio a fuoco. Di nuovo ringrazio il cielo di aver ascoltato mia madre e aver indossato il vestito. Avrei fatto una figura tremenda accanto a lui vestita in altro modo.
L’ascensore si apre ed entriamo. Con la scusa di aggiustarmi i capelli allo specchio cerco di mettere più distanza possibile tra noi. Il suo profumo è decisamente troppo…troppo.
- A che ora finisce l’incantesimo? Mezzanotte come per tradizione? – domanda con il suo sorrisetto. Come si può avere un sorriso così bello?
Fortunatamente proprio in quel momento l’ascensore emette un suono e apre le porte. Sulla strada ci sono già i miei genitori, fermi vicini alla loro auto parcheggiata. Corro loro incontro e li saluto con un bacio, ammirandoli entrambi per la loro eleganza.
Loro però non fanno nessuna meraviglia così eleganti. Sono sempre stati due tipi “di classe” come li definisce zia Ade, e sembra che con un abito da sera e gli abiti grezzi che indossano quando curano l’orto o il giardino facciano la stessa splendida figura. Qualche anno fa zia Ade li aveva presentati ad una sua amica proprio cominciando da questa loro caratteristica, dicendo che tutti e due potrebbero ricevere la regina di Inghilterra anche in pigiama e non farebbe differenza. Tutti si erano messi a ridere, loro due compresi, ma quell’affermazione mi è rimasta impressa. È come se li avesse ritratti con le parole.
- Sarà meglio andare ora, o saremo in ritardo. Non posso permettere a quell’ipocrita di Susanna Modigliani di arrivare prima di me o me lo rinfaccerà per sempre – dice mia madre dopo avermi salutata in tono sbrigativo, spingendo mio padre delicatamente verso lo sportello dell’auto.
Io annuisco e vado verso la mia macchina, contenta di avere quei pochi minuti di guida per me. Mi aiuteranno a rilassarmi. Invece appena un passo dopo, Alex mi afferra il braccio.
- Credo che sia meglio andare con una macchina sola. Non avremo problemi di parcheggio. E poi sono il tuo cavaliere stasera, e tu la mia dama – mi ricorda, sorridendomi con quell’aria spavalda. È meglio dell’aria ebete ma la odio lo stesso.
Non mi sembra una buona idea comunque. Non sono certa di sopportare la sua vicinanza dirompente per troppo tempo, mi serve qualche minuto per ritrovare il mio autocontrollo. Mia madre però ci guarda dal finestrino e non sono del tutto certa di saper guidare con i tacchi che indosso, perciò alla fine sbruffo e salgo nella sua macchina, grande quanto un jet in confronto al mio piccolo catorcio.
Durante il tragitto io rimango seduta rigida e immobile, senza dire una parola, lo sguardo perso oltre il finestrino. Darei di tutto per non essere in questa macchina in questo momento. Nemmeno l’alberello profumato appeso allo specchietto retrovisore riesce a coprire il profumo intenso di Alex e io sento il mio stomaco fare le capriole dentro di me. All’improvviso, non ho più tanta fame.
Quando scendiamo Alex esclama una valanga di complimenti rapiti a mia madre, organizzatrice della serata mentre io osservo tutto con un sorriso estasiato. Per quanto io sia più abituata a questo genere di successi materni, stavolta resto anche io a bocca aperta: mia madre si è davvero superata.
Lo spiazzo davanti a noi, che solitamente è un enorme campo abbandonato con l’erba che cresce disordinata qua e là in uno stato di abbandono totale, è diventato una specie di gigantesco giardino luminoso. Non so come, ha steso dell’erba sintetica al posto del pavimento e ha circondato l’area con infiniti lampioncini stile inglese, tutti addobbati.
Su tre lati del campo ha fatto montare gazebo giganteschi sotto cui i tavoli sono stati preparati con estrema eleganza, mentre al centro, circondato da un’altra fila di lampioni inglesi che mandano però luci di diverso colore, è stato lasciato uno spazio vuoto, nel caso qualcuno voglia ballare. I colori dominanti sono il bianco e l’oro e l’atmosfera è rilassata e tranquilla. Sembra quasi una rappresentazione sull’Olimpo.
- Dove hai trovato i fondi per creare questa meraviglia? – domando a mia madre, rubandola alla gente che si è avvicinata per i complimenti.
Lei sorride compiaciuta mentre saluta la temuta Susanna Modigliani, arrivata dopo di noi, ovviamente.
- La tua cara mamma ha ancora parte del suo fascino, tesoro – risponde in un sussurro.
Io sorrido e scuoto la testa. Non riesco ad immaginare mia madre che usa il suo fascino per corrompere il sindaco e ottenere più fondi. Certe cose è meglio non domandarle.
- Abbiamo per caso ospiti da Hollywood? – domanda Alex, appena dietro di me.
- Non per fare la guastafeste ma credo che l’ospite sia tu, stasera – rispondo sorridendo, mentre un gruppo di anziane signore lo occhieggia discretamente.
- Fortuna che non potrò essere importunato allora. Questa sera sono già impegnato – replica mettendosi affianco a me e cingendomi la vita con un braccio.
Il contatto sembra bruciare e gelarmi allo stesso tempo e deglutisco a fatica, resistendo alla tentazione di spostarmi e allontanarmi. Non mi piace questa vicinanza, mi turba. E non mi piace essere turbata. Non da lui. Non per lui.
- Volevo ringraziarti ancora una volta per aver accettato di accompagnarmi. Spero che questa serata sia davvero importante come dice tua madre per il locale – continua mentre mi spinge delicatamente verso il centro del campo, dove si è riunita la maggior parte della folla già arrivata. Mi chiedo quanta altra gente arriverà prima della fine della serata.
- E’ una città piccola, vedrai che la voce si spargerà in fretta – lo rassicuro con una smorfia, pensando a quante mani dovrò stringere, quanti sorrisi finti dovrò esibire e quante frasi ridicole dovrò pronunciare prima che sia finita. Fare pubblicità non è un compito facile come si pensa, bisogna essere esperti diplomatici. E non so se mi riuscirà bene con questo profumo a confondermi le idee.
Nell’ora successiva facce di diversa grandezza, età, colore e sudorazione si susseguono senza nessuna tregua e sia io che Alex non facciamo che continuare a sorridere a tutti e tutto, indistintamente. Per mia sfortuna però, ad Alex il sorriso finto sembra riuscire molto meglio, più naturale e sereno del mio che invece deve sembrare tirato con le mollette ormai. Perché diavolo a lui riesce sempre bene di fare tutto?
Più lo guardo stasera conoscere gente nuova e più me ne convinco: ha stretto un patto col diavolo. Una sera si è messo in una stradina di campagna isolata, si è appostato ad un incrocio e si è messo a chiamare il maligno, offrendogli la sua anima per un fascino irresistibile. Già che c’era però, poteva fare il servizio completo e guadagnarci anche in quanto a quoziente intellettivo, penso con un sorriso trattenuto appena.
- Vedi qualcosa di divertente in questa situazione? Perché sarei felice di sapere cosa c’è di bello nel dolore lancinante alla faccia. Credo che sorriderò per settimane da stasera – mi chiede Alex in un sussurro.
- Non mi sembra un grande cambiamento. Tu sorridi sempre, lo facevi anche prima di stasera – preciso io guardandolo eloquentemente e rido alla sua espressione offesa.
- Solo con te, per dimostrare quanto sono felice di vederti – replica. Il suo fiato contro il mio orecchio mi fa rabbrividire.
- Allora cosa ti comunica il fatto che io non sorrido mai quando sei con me? – replico con un sorrisetto, lisciandomi la gonna.
- Che sei acida e scontrosa. Ma io so che fingi per nascondere la tua parte tenera e gentile e ho deciso di scoprirla e tirarla fuori – risponde e io soffoco una risata.
Finalmente il sindaco della città annuncia al microfono che è arrivato il momento di prendere posto ai tavoli per gustare la cena. così ringrazio il cielo, queste scarpe mi stanno segando le caviglie, e mi avvicino al tavolo dove mia madre ha già preso posto.
- Cara ti spiace se tu e il caro Alex prendete posto qui accanto? Sabrina e Francesco non conoscono nessuno qui intorno… sono certa che saprete metterli a loro agio.
Io sto per replicare, con una scusa qualsiasi: quei due non conoscono nessuno perché non esiste umano in grado di restare sveglio più di cinque minuti in loro compagnia. Purtroppo, nonostante il tono gentile come sempre, lo sguardo di mia madre non ammette repliche e comunque i due simpaticoni sono già dietro di me e non so proprio che scusa inventare per non sembrare maleducata.
Come serata non poteva davvero andare meglio: ho dei trampoli al posto delle scarpe, indosso un vestito di una taglia troppo stretta per i miei gusti e sarò circondata per tutta la cena da Alex Bei Vestiti e la coppia più noiosa nell’intera galassia…
Ci sediamo e Alex mi scosta la sedia con fare galante ma io non lo degno di uno sguardo: queste moine possono conquistare mia madre ma a me non mi sfiorano nemmeno. Prendo il menu e fingo di leggerlo. Lo conosco già, ho consigliato io stessa mia madre mentre sceglieva tra i diversi piatti che le erano stati proposti, ma non voglio cominciare io la conversazione. Preferirei anzi evitare di parlare con questi due il più possibile, c’è il rischio che si convincano che da stasera diventiamo amici e mi fermino ogni volta che li incrocio per strada.
- Non sembri proprio divertita, mia cara – mi bisbiglia Alex curvandosi verso di me e investendomi in un’ondata di profumo che mi toglie momentaneamente il fiato.
Trattengo a stento una risposta poco adatta alla serata: l’unica che può chiamarmi mia cara è mia madre, che conosco da una vita. E poi nessuno gli ha detto che gli uomini non usano il termine cara da più o meno quarant’anni?
- Non è esattamente il genere di serata che preferisco – rispondo secca. Come ho potuto convincermi a sottopormi a questa tortura?
- Di serata…o di compagnia? – replica. Dal tono direi che sta sorridendo e la cosa mi innervosisce.
Solitamente la gente si offende, si irrigidisce, ti guarda male… nessuno sorride mentre ti chiede se per caso non sopporti la sua vista!
Sono quasi tentata di rispondere che sì, in effetti cambierei volentieri anche la compagnia ma uno sguardo ai pesci lessi seduti davanti a noi (che ci fissano apatici tenendosi per mano, come se stessimo per giustiziarli) mi ridà in parte il mio autocontrollo.
Non è né il luogo né il momento per dare spettacolo. Prendo un respiro profondo, cercando di tornare calma come sono di solito: non posso permettere al suo profumo di distruggere a questo modo il mio autocontrollo, accidenti.
- Perdonami. È stata una giornata piuttosto lunga e non sono abituata a tutto questo sfarzo – rispondo, cercando di usare un tono gentile.
In fondo non è tutta colpa sua: sono stata io ad accettare il suo invito, ben sapendo che genere di feste organizza mia madre. E non è nemmeno colpa sua se è così dannatamente ricco e bello.
- E’ un peccato. Sei incantevole in questo sfarzo – replica lui e gli sorrido appena, chiedendomi per quale stupido motivo mi sento così lusingata dai suoi complimenti. Non è certo la prima volta che ne ricevo e d’altronde ho messo questo vestito proprio perché solitamente fa questo effetto.
I camerieri cominciano la loro rapida sfilata attraverso i tavoli portandoci delle tartine in vari gusti. Nonostante nel vedere questo spettacolo di tartine mi sia tornata la fame lancinante, riesco a malapena ad assaggiarne due prima che i due al nostro tavolo spazzolino l’intero vassoio, sempre con quell’aria apatica da iniezione letale di morfina.
Lancio un’occhiataccia alla ragazza, Sabrina, che però ingoia tranquilla una tartina con lentezza esasperante, come per farmi dispetto. La prossima portata la divoro, anche se non mi piace. Deve sapere cosa significa guardare gli altri mangiare i tuoi antipasti.
Alex cerca educatamente di fare conversazione con i due sconosciuti ma quelli sono troppo concentrati a divorare le delicate tartine per rispondere con più di un sì o un no.
Quasi mi viene da ridere nel vedere i disperati tentativi di Alex di estorcere qualche informazione ai nostri amici. Lui non sa che non è un caso se non conoscono nessuno, che non parlano mai perché fanno parte di una strana setta religiosa. Credono di essere i detentori di non so quale verità misteriosa e che parlare con i comuni paesani possa contaminare la loro purezza d’animo, o qualcosa del genere.
Forse dovrei avvertirlo, ma in fondo se la sta cercando. Non deve necessariamente essere gentile con tutti, no?
Lascio Alex a scoprire da solo la verità su questi due simpaticoni e mi astraggo dalla conversazione, pensando invece alla retata nel mio appartamento. Da allora non sono riuscita a scoprire niente sui possibili ladri. Dopo essermi assicurata che non mancasse davvero niente in casa, ho provato a chiedere se nel palazzo qualcuno avesse sentito niente ma i ladri sembrano essersi teletrasportati direttamente sul mio pianerottolo.
Una cameriera dall’aria frettolosa serve qualche altro antipasto raffinato e ne prendo qualcuno nel piatto, ma lo assaggio distrattamente, dimentica della mia vendetta per le tartine.
Ho parlato con Juno e ha detto che farà anche lui delle ricerche e che nel frattempo devo restare calma e passare inosservata. Il che significa interrompere la mia ricerca degli ultimi quadri mancanti per chissà quanto tempo, cosa che non mi piace proprio.
E non sopporto nemmeno di starmene buona ad aspettare che chiunque sia stato ad entrare nel mio appartamento decida di cercare meglio, magari facendo del male a qualcuno questa volta.
Mentre un elegante cameriere mi versa dell’altro vino nel bicchiere, mi chiedo ancora una volta se davvero si tratta delle persone da cui mi ha messo in guardia mio padre. Mi sembra così assurdo, dopo tutti questi anni. Perché poi si sarebbero fatti vivi proprio ora?
- Alexis qualcosa non va? – mi domanda Alex facendomi trasalire. Non può continuare a parlare con i divoratori di tartine e lasciarmi pensare in santa pace?
- Niente, scusate. Ero un po’ pensierosa. Dicevate?
Cerco di sorridere mentre rispondo e di scacciare il pensiero del mio appartamento violato dalla testa. Non è comunque il momento di pensare a certe cose.
- Parlavamo dell’Irlanda. Ci sei mai stata? – domanda Sabrina.
Incredibile, è riuscito davvero a farli parlare? Conversazione normale, a livello umano?
Tra l’altro scopro ora che Sabrina ha una voce bellissima, molto melodiosa. Mi aspettavo quasi che fosse roca a stentata, come quella dei sordomuti.
- No, ma mi piacerebbe moltissimo. Mi piacciono i paesaggi un po’ aspri – rispondo, cercando di interessarmi alla conversazione più noiosa e scontata del secolo.
- Allora l’Irlanda ti incanterebbe. Bisogna solo abituarsi al vento. Dopo tre giorni diventa un supplizio – continua Sabrina, sorseggiando il vino. Avrà sete dopo tutte le tartine che ha ingurgitato.
- Dipende dai punti di vista. Per me è l’essenza stessa dell’Irlanda. Ha qualcosa di incredibilmente…vivo, selvaggio. Sembra racchiudere lo spirito impetuoso delle centinaia di guerrieri irlandesi – replica Alex con aria rapita e io bevo un sorso di vino, resistendo alla tentazione di tracannare il bicchiere.
Ora ho avuto la prova di quanto la natura possa essere cattiva con qualcuno. Ma a chi può mai piacere un vento incessante e freddo? Il vento è la cosa più fastidiosa del mondo e lui la sente piena di “spirito impetuoso”. Sembra appena uscito da un romanzo e lo fa sembrare ridicolo.
Dopo qualche altra chiacchiera insulsa (Sabrina e Francesco ora non la smettono di parlare a ruota libera, era meglio quando si credevano moralmente superiori e chiudevano il becco) sulle bellezze irlandesi finalmente arriva di nuovo un cameriere che serve il primo, un risotto dall’aria tremendamente squisita.
Ringraziando il cielo che almeno questo Sabrina non possa rubarlo, assaggio la prima forchettata. Avevo ragione, è squisito, ed è chiaro che anche gli altri la pensano come me perché la smettono di ciarlare sull’Irlanda e si concentrano sul loro piatto.
Il resto della cena devo ammettere che trascorre in modo piuttosto tranquillo, la conversazione procede piuttosto spedita (con qualche vano tentativo dei due mangiatori di tartine di illuminarci sulla superiorità della loro religione) e mi sento finalmente sazia. Siamo anche riusciti ad accennare al futuro locale di Alex e i due si sono offerti di spargere la voce.
Eppure io non vedo l’ora che finisca tutto. Non mi piacciono queste feste così eleganti, dopo un po’ mi sento soffocare. E poi ci sono così tante cose da fare che l’idea di starmene seduta qui a sentire discorsi stupidi e noiosi mi fa venire l’orticaria. Quasi quasi servirebbe a me una dose di morfina. Dovrei chiedere ai miei nuovi amici se per caso non ne hanno un po’ in borsa. Su di loro ha un effetto pazzesco.
Mentre mi esamino annoiata i ricami della gonna all’improvviso sento l’uomo-tartina, Francesco, domandare ad Alex qualcosa a proposito di un certo romanzo, che io conosco molto bene.
- Ovviamente sì. Ma ad essere sincero, non lo trovo esattamente la rivelazione della letteratura che sembrano crederlo gli altri – risponde con aria saccente.
Io faccio una smorfia, non riesco a trattenermi. Questo ignorante, che crede che il vento sia poetico, sta giudicando banale il mio romanzo?
- E come mai? Quali sono i punti che non ti convincono? – domando prima di potermi fermare. Se pure avevo cominciato a provare un po’ di simpatia nei suoi confronti dalla sera in cui era venuto a sfogarsi a casa mia, ora lo trovo più che insopportabile. Più di quando mi ha rubato il posto vicino alla stufa a casa di mia zia Ade.
- Non so…la storia è un po’ troppo fantasiosa, troppo… insomma, sembra la copia letteraria di “Mission Impossible” – risponde con aria da grande intenditore.
Gliela strapperei a schiaffi quell’aria dalla faccia. Come si permette di giudicare mio padre troppo fantasioso? La copia di Mission Impossible?
Per un lunghissimo minuto ho voglia di raccontargli ciò che so di quella storia, di spiegargli quanto sia vero tutto quello che ho pubblicato per conto di mio padre. Vedere la sua espressione scioccata sarebbe un’emozione impagabile.
Fortunatamente i due mangiatori di tartine dicono qualcosa e io mi riprendo. Per quanto questo borioso incompetente abbia bisogno di una lezione, non posso certo dargliela qui, raccontando la verità sul romanzo, specialmente ora. Cercando di riprendere il controllo, sorseggio il mio vino, stringendo un po’ troppo il bicchiere.
Alex intanto continua a spiegare ai due apatici quanto creda che la critica letteraria abbia esagerato il caso di questa saga così esageratamente surreale, quanto trovi che il linguaggio sia esageratamente pomposo e raffinato per un libro così dozzinale.
Dozzinale? Ha detto proprio dozzinale?
Guardo fisso il mio piatto che non sto mangiando, solo per non rischiare che qualcuno possa leggermi in faccia la furia che mi stravolge il viso in questo momento.
Di tutti i cafoni boriosi, ignoranti, maleducati, tanto pieni di sé da non vedere quanto siano “pomposi e dozzinali”, di sicuro lui è il peggiore in assoluto che avrei potuto incontrare.
Dovrebbero dargli il nobel per la cieca arroganza superficiale da odioso figlio di papà! Il romanzo di mio padre, nonché il mio in una certa parte, sarebbe dozzinale!
- E tu cosa ne pensi Alexis? Hai letto almeno uno dei suoi romanzi? – mi domanda poi, sottolineando quell’almeno come se mi ritenesse un’ignorante. Idiota.
Respirando a fondo scaccio dalle mie mani la voglia di prendere il secchiello del ghiaccio per il vino e rovesciarglielo sulla testa, così saprebbe quanto posso essere più dozzinale se lo voglio. Quando mi sento più calma mi giro, sfoggiando un sorriso enorme quanto finto.
- Sì, gli ho letti tutti e mi sono praticamente innamorata dell’autore – rispondo con voce forse un po’ troppo scossa ma non importa.
- Trovo che nessuno negli ultimi cinquant’anni sia riuscito ad usare le parole in maniera così elegante eppure diretta. Leggere i suoi libri è come… non so, la “Morte del Cigno” letteraria. È semplicemente meraviglioso – concludo, allargando il sorriso.
Probabilmente devo aver fatto la figura dell’idiota con tutti questi complimenti per un libro perché Sabrina e Francesco davanti a me hanno abbandonato la loro aria da dose letale di morfina per sostituirla con una da “chiamate lo psicoanalista più bravo sul mercato e ditegli di portare della morfina anche a lei”, ma me ne frego dell’espressione dei divoratori di tartine, comunque. Nessuno può giudicare il mio romanzo “dozzinale” con tanta leggerezza.
Cosa ne sa lui dei rischi che ha affrontato mio padre per scrivere la sua storia fino in fondo? E di quelli che sto affrontando io per pubblicarla?
Finalmente i due affamati di tartine e risotti ci chiedono il permesso di alzarsi dicendo che devono assolutamente salutare una loro conoscente (come se avessero dei conoscenti) e io ne approfitto per fumare una sigaretta.
In realtà non fumo di solito ma nelle occasioni particolari una sigaretta mi aiuta a rilassare i nervi e questo è decisamente uno di quei momenti particolari, perché ho le mani che mi tremano tanto sono nervosa. Prendo perciò una delle sigarette dal mio pacchetto di emergenza che nascondo nella tasca interna della borsa e l’accendino, quindi mi alzo e mi dirigo verso un angolo non troppo illuminato del giardino, ma faccio appena qualche passo che Alex mi si affianca.
- Non sei costretto ad accompagnarmi – dico gelida, impegnandomi per non limitarmi a spintonarlo e correre via.
- Non sono d’accordo. Sono il tuo accompagnatore questa sera, quindi il mio compito è esattamente quello di accompagnarti – scherza lui. Ah ah, penso io.
Continuo a camminare a passo più svelto possibile, chiudendo gli occhi e stringendo la mano a pugno prima di ritrovarmela sulla sua faccia. La sua simpatia da quattro soldi non riesco a digerirla, ancora di più della sua arroganza.
- Devi proprio avere un disperato bisogno di quella sigaretta per correre così – mormora lui alzando il passo per seguirmi e io accelero ancora un po’ con un sorriso tutt’altro che allegro.
Per quanto mi riguarda, lo farei correre legato con le mani ad un cavallo imbizzarrito e riempirei la strada di massi pregando che riesca a colpirli tutti. Allora forse cambierebbe idea sul mio romanzo.
Raggiungo l’angolo più estremo e mi fermo di scatto, così velocemente che quasi mi finisce addosso. Bene, ho tutte le intenzioni di rendergli la serata più difficile possibile. Mi appoggio con la schiena contro un tronco vicino a me, dandogli volutamente quasi le spalle. Mi accendo la sigaretta e, chiudendo gli occhi, aspiro una lunga boccata lenta, sentendo la nicotina risalirmi le vie respiratorie. Trattengo qualche secondo, assaporando la sensazione di calma, ed espiro, sempre lentamente.
- E’ successo qualcosa? Ti vedo nervosa all’improvviso… - comincia, ma io non gli rispondo.
Continuo a tenere gli occhi chiusi e a concentrarmi sulla mia sigaretta. Ora che siamo lontani dalle luci e dai rumori, sono tremendamente cosciente del suo respiro dietro di me, del fruscio della sua giacca ogni volta che muove un braccio, del suo profumo che aleggia intorno a noi come una nube firmata La Coste ma mi sforzo di ignorare il tutto e pensare solo alla sigaretta tra le dita.
- Ho detto qualcosa di sbagliato, ho fatto qualcosa che ti ha… - insiste avvicinandosi di qualche passo.
- Non hai fatto assolutamente niente. Ti ho già detto che non sopporto questo genere di feste. Odio lo sfarzo e i discorsi insulsi da ricconi – lo interrompo brusca.
Qualcosa mi dice che dovrei evitare questo piccolo sfogo ma non riesco a controllarmi. La sua vicinanza sembra inibire il mio autocontrollo. E comunque, non ho nessuna voglia di fermarmi, si merita tutta la mia freddezza.
- E io ti ho già detto che è un vero peccato. Sei incantevole con quest’aria da regina di ghiaccio – sussurra lui alle mie spalle, quasi nel mio orecchio, facendomi sussultare.
Maledizione. Non mi ero accorta che si fosse avvicinato tanto. Ignoro l’istinto di allontanarmi per non dare l’impressione di aver paura di lui o cose del genere e chiudo più forte gli occhi, respirando un’altra boccata lenta. Per fortuna il fumo copre almeno in parte il suo profumo.
- E’ da quando mi hai aperto la porta questa sera che non riesco a toglierti gli occhi di dosso, sei la donna più affascinante che abbia mai sognato.
Queste lusinghe mi mettono tremendamente a disagio e continuo a dargli le spalle. Mi sento come presa in trappola e tuttavia non riesco a trovare la forza di replicare qualcosa di sarcastico e rimettere le giuste distanze tra noi. Mi sento come prigioniera di un qualche incantesimo. E la cosa peggiore è che in fondo all’agitazione, allo scompiglio che la sua vicinanza sta creando dentro di me, non riesco nemmeno a trovare la voglia di andarmene da lì, di allontanarmi da lui…
- So che tra noi non è scattata subito un’ondata di simpatia ma… tu mi piaci Alexis, mi sei piaciuta subito, da quando ti ho vista la prima sera a casa di tua zia e quando stasera ti ho vista così…così dannatamente bella io…
Mentre parla mi costringe a girarmi verso di lui e io mi ritrovo a fissare il suo collo possente, senza il coraggio di alzare lo sguardo al suo viso e con il cuore che galoppa forsennatamente togliendomi il respiro. Dov’è finita la mia sana antipatia per lui?
Vedendo che non alzo il viso di mia spontanea volontà lascia la mia mano per farmi alzare la testa fino a che i miei occhi non possono fare a meno di fissarsi nei suoi, che sono scuri, intensi, irresistibili. Sono così magnetici che non riesco a distogliere lo sguardo nemmeno quando Alex all’improvviso mi bacia.
Sulle prime, sono troppo sconvolta per reagire in qualunque modo e resto ferma immobile, assaporando la dolcezza di quella bocca morbida contro la mia. Per un momento sembra tutto immobile attorno a noi. È come se le luci, i suoni, la gente della festa a pochi metri da noi scompaia in una nebbia confusa sullo sfondo, lasciandoci soli in questa fioca oscurità mentre nella mia mente si accendono mille girandole luminose. Intanto la bocca di Alex non si stacca dalla mia, diventa anzi sempre più… affamata, in un certo senso, e io non riesco più a trattenermi dal rispondere a quel bacio intenso che mi sconvolge.
Rispondo al suo bacio abbandonandomi contro di lui, dimenticando tutta la mia antipatia verso di lui, la sensazione di irrequietudine che mi ispira, i commenti sui libri di mio padre, mettendo da parte ogni remora o pudore.
Incoraggiato dalla mia risposta, Alex mi cinge la vita con un braccio e con l’altra mano risale lungo la schiena fino ad arrivare al collo e io mi sento sempre più persa in quel bacio che sembra non avere fine. Senza smettere di baciarmi Alex mi spinge delicatamente indietro fino a che mi ritrovo incastrata tra lui e il tronco dell’albero. I suoi baci si fanno ancora più insistenti, ancora più famelici, mentre con il braccio mi stringe sempre più contro di lui. Credo che sto di svenire. Ho le gambe molli, la testa gira vorticosamente, il cuore va così veloce che salta i battiti, la mente in corto circuito totale…
- Alexis! – mi chiama una voce dietro di noi, emergendo dallo sfondo confuso.
Imbarazzata come una ragazzina, riesco a staccarmi a malincuore da Alex spintonandolo con uno scatto, quindi mi volto verso la voce che ci ha interrotti.
- Professore! – esclamo, col desiderio di sprofondare. Cosa avrà visto della follia che ha appena interrotto? Lui comunque non sembra imbarazzato. Forse col buio non si è visto molto…
Mi avvicino al professor Gagliani e gli stringo la mano che mi sta porgendo.
- Come mai qui? – domando, sperando di avere un tono sufficientemente frivolo. In realtà mi sento ancora tremendamente scossa dal bacio di Alex, dalla sua vicinanza pericolosa. Cosa mi è saltato in mente? Come ho potuto essere così sciocca e rispondere a quel bacio? Ora sarà tutto più difficile, più complicato.
Maledizione!
- Ho accompagnato una vecchia amica. Diceva che avrei potuto fare incontri interessanti - spiega lui sorridendo nella penombra.
Sento Alex avvicinarsi dietro di me e lo presento a denti stretti a Giulio. I due si stringono la mano ma non sembrano molto contenti di farlo.
- Ed è riuscito a farli questi incontri? – domando poi a Giulio, tornando ad ignorare Alex, nella speranza che decida di tornare al tavolo per conto suo. Ho bisogno di qualche momento da sola, per riprendermi.
- Ci siamo incontrati, no? – risponde lui con quel sorriso sghembo e io rispondo al suo sorriso. Ecco una persona che non mi innervosisce, anzi mi rilassa, mi fa sentire a mio agio nonostante le sue lusinghe. Forse è una fortuna che sia arrivato proprio ora, prima che potessi continuare questa assurda follia.
Chiacchieriamo ancora per qualche minuto di tutto e niente, mentre Alex dietro di noi si muove nervoso ma non dice una parola, poi sentiamo il sindaco annunciare la ripresa della cena.
- Sarà meglio andare ora. Non vorrei che i miei compagni di tavolo divorino anche questa portata – lo avverto sarcastica e Giulio ride di gusto. Adoro la gente che ride alle mie battute. Sento che sto già riprendendo un po’ di controllo.
Alex invece dietro di noi è taciturno e scuro in volto. Probabilmente non ha gradito l’intrusione di Giulio né di essere messo da parte così sfacciatamente ma non mi curo di lui. 
- Spero di rivederti dopo la cena. Potrei invitarti a ballare. Sono bravo sai? – mi avverte Giulio ammiccando e io sorrido.
Ovviamente non ballerei mai con lui. Mi sta troppo simpatico per distruggerlo in modo così crudele. E poi mi piace che abbia stima di me, perché disilluderlo con uno stupido lento?
- Sempre se riuscirà a liberarsi del suo cavaliere personale – interviene finalmente Alex con un sorriso che ha però molto poco di amichevole o scherzoso, a cui Giulio risponde con lo stesso sorriso tirato.
Non so perché ma ho come l’impressione che si stia creando un po’ di tensione tra i due, come se si stessero studiando per un duello. Scuoto la testa per scacciare queste sciocchezze dalla mente. La verità è che sono ancora sconvolta per quello che stava succedendo tra me ed Alex. Soprattutto a me a dire il vero. E comunque, io tifo per Giulio.
- Ora sarà meglio andare davvero, o tua madre ingaggerà qualche valletto per venire a cercarci – mi ricorda Alex in tono freddo, prendendomi sotto braccio. Di nuovo ho l’impressione che stia lanciando una sorta di silenziosa sfida a Giulio e la cosa mi irrita da morire. Non intendo essere il trofeo tra loro.
- Vengo con voi. Così saprò dove venirti a cercare per il nostro ballo.
Il sorriso di Giulio mentre dice queste parole sembra quello di uno dei protagonisti di quegli spaghetti western: tira fuori il piombo masnadiero, e combatti da vero uomo.
Alterno lo sguardo dall’uno all’altro, cercando di capire cosa stia succedendo tra questi due, ma alla fine rinuncio. Forse è solo una fantasia della mia mente sovraeccitata e comunque non mi importa, ho altro a cui pensare ora, come per esempio trovare il modo di rientrare in me stessa, tornare la solita Alexis fredda e distaccata.
Ne ho un bisogno disperato, ho già incasinato troppo la situazione.
Ci avviamo lentamente verso i tavoli mentre Giulio non fa che parlare a raffica raccontandomi qualcosa sull’università, così in fretta che riesco a stento a rispondere. Alex resta ancora silenzioso e cammina rigido, quasi tirandomi per il braccio come una bimba capricciosa, cosa che non riesco a sopportare. Ecco che riaffiora la mia sana antipatia nei confronti di Alex, finalmente. Forse è il segno che sto tornando normale.
Ormai siamo arrivati e Giulio si allontana, indicandomi il suo tavolo “per qualsiasi evenienza”, quindi riprendiamo a mangiare in silenzio. La portata che hanno appena servito è una spettacolare tagliata di non so quale tipo di carne, cucinata in modo più che squisito e cerco di concentrarmi sul mio piatto, con scarsi risultati: nonostante i miei sforzi, infatti, le immagini di poco prima si susseguono nella mia mente senza che possa fare niente per fermarle e basta questo per far galoppare nuovamente il cuore a mille.
Chiudo gli occhi e cerco disperatamente di scacciare quelle immagini dalla testa, ben attenta a non incrociare lo sguardo di Alex per niente al mondo. Mastico lentamente il boccone e bevo un po’ di vino. Anzi no, la definizione più esatta è tracanno il vino che resta nel bicchiere.
Che diavolo ci ha presi a tutti e due? Come abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione assurda? Lui è Alex, il mio vicino pomposo e antipatico, quello che mi ruba il posto accanto alla stufa e che mi fa sentire goffa e impacciata. Lui mi rende nervosa e suscettibile, non debole e…
L’unica spiegazione è che siamo entrambi ubriachi. Soprattutto io devo essere ubriaca. In effetti questo vino è così buono che forse ho esagerato un po’. Non mi sento ubriaca, ma non vuol dire niente no? Tanta gente non si accorge di essere ubriaca fino a che non si spoglia e comincia a ballare sui tavoli stonando qualche vecchia canzone da tavola calda. Sì, dev’essere quello. Il vino unito all’eccitazione della serata, a quest’atmosfera così rilassata, quasi da romanzo rosa, e magari anche al fascino del mio cavaliere. In fondo, per quanto sia odioso, nessuno può mettere in dubbio che sia l’uomo più affascinante che io abbia mai conosciuto. E con questi abiti eleganti poi…
E poi non può piacermi uno che non legge i miei libri. Discorso chiuso.
- Chi è quel professore? – domanda all’improvviso Alex, a voce bassa ma tesa.
- Il mio professore di storia dell’università – spiego sulla difensiva. Non so da cosa dovrei difendermi ma il suo tono accusatorio non mi piace. Sembra un marito geloso che ha visto la moglie dare troppa corda al primo giovane che le si è avvicinato.
- E cosa ci fa qui? – continua, stesso tono da interrogatorio.
- L’hai sentito, ha accompagnato una vecchia amica – rispondo, ancora più ostile. Lancio un’occhiata ai due divoratori di tartine davanti a noi ma sono tutti e due concentrati sulla loro cena e non si stanno accorgendo di niente. O almeno non sembra che stiano ascoltando noi.
- Io ho sentito che voleva fare incontri interessanti. E a quanto pare sei tu, l’incontro interessante. Cosa c’è fra voi due? – domanda a bruciapelo, nel suo tono risentito.
Io non rispondo, lo fisso soltanto a bocca aperta. È assurdo. Non è ubriaco è proprio impazzito. Alex-bei-vestiti è completamente fuori di testa. Mi sta facendo una scenata di gelosia! E non siamo nemmeno fidanzati! Non siamo fratelli, né amici d’infanzia, non ci stiamo conoscendo…
- Qual è il tuo problema? – domando, a voce un po’ troppo alta forse, perché i divoratori di tartine alzano la testa verso di noi. Lo fanno all’unisono e con la stessa identica espressione in faccia. Più che marito e moglie sembrano gemelli. Anzi, due cloni.
Mi costringo ad abbassare la voce e ripeto la domanda.
- Non hai risposto alla mia domanda. Cosa c’è tra voi?
Lo sguardo di Alex è incredibilmente duro e accusatorio quasi e io mi costringo ad ingoiare e contare mentalmente fino a cinque prima di rispondere o questa volta è vero che gli faccio saltare tutti i denti e al diavolo la serata perfetta.
- Qualsiasi cosa ci sia tra me e Giulio non ti riguarda, Alex. Voglio ricordarti che sono qui per far pubblicità al tuo ristorante, non per fare gli sposini. Piantala con questo tono – rispondo quando ho recuperato un minimo di autocontrollo, cercando di restare calma per non attirare altra attenzione.
Mi costringo a fissare i due divoratori, tanto per non guardare Alex, e mi accorgo di quanto quei due siano inquietanti: mangiano all’unisono!
Alzano insieme il braccio, aprono insieme la bocca…persino masticando vanno quasi in sincronia! È disgustoso. È veramente inquietante.
- Il che vuol dire che c’è qualcosa di grosso. Spero tu abbia notato che è un professore e tu un’allieva. Non avrei mai pensato che potessi essere così – risponde lui così a bassa voce che riesco a stento a sentirlo.
Mi volto verso di lui ma non dico niente. Sto fremendo di rabbia e se parlassi sono sicura che urlerei. Ma come si permette? Praticamente mi sta dando della troia, crede che vada a letto con lui solo perché è il mio professore! E poi anche se fosse, cosa gliene importa a lui? Di che si preoccupa?
Lui comunque non mi guarda e non aggiunge altro, all’improvviso sembra super concentrato sulla sua tagliata che non ha ancora assaggiato e alla fine torno anch’io a guardare il mio piatto. Non mangio però, mi si è chiuso lo stomaco.
Che razza di comportamento sarebbe questo? Perché ora improvvisamente gli sta tanto a cuore se mi vedo con Giulio? Come si permette di giudicarmi? Non mi conosce, ci siamo parlati in un paio di occasioni prima di stasera, non ha il diritto di venirmi a fare la morale!
Arriva ancora il cameriere e porta via i piatti, poi ne arriva subito un altro e serve un trionfo di pesce dall’aria divina ma non riesco nemmeno ad assaggiarlo, sono troppo nervosa per mangiare ancora.
I divoratori di fronte a me ovviamente non si lasciano scappare nemmeno una forchettata e cominciano subito il loro inquietante assalto sincronizzato ai poveri pesci. Non li sopporto veramente più. Se fanno anche solo un’altra mossa in sincronia, giuro che mi alzo e li prendo a schiaffi, in sincronia.
Alex intanto mangia lentamente il suo pesce con lo sguardo perso nel suo bicchiere, come affascinato da quel meraviglioso liquido colorato che è il vino e io resto per un po’ a fissarlo. Lascio scivolare lo sguardo sul suo profilo, sulla sua bocca, sulla sua mascella, sulla mano, poi ritorno a guardargli il viso, come se potessi capirlo solo leggendogli quell’espressione corrucciata. Com’è possibile che un uomo così perfetto all’esterno sia anche così maledettamente idiota all’interno? Forse è questo che intendono quando parlano di meraviglie della natura, è a lui che si riferiscono. Solo qualcosa di meraviglioso e sovrannaturale poteva creare tanto splendore con così poco cervello a separargli le orecchie. Ha un’espressione così assorta ora che sembra un pensatore greco, una statua perfetta scolpita nel marmo eterno. In questo momento è così bello da togliermi letteralmente il fiato e sento il cuore mancare un paio di battiti.
Scuoto la testa e torno a fissare a mia volta il mio bicchiere. Che mi sta succedendo? non posso davvero aver pensato una cosa del genere!
Pensatore greco? Marmo eterno? Devo seriamente smettere di bere questo vino, ha un effetto devastante sulla mia sobrietà!
Mi alzo di scatto esasperata da questa follia. Di nuovo i divoratori alzano la testa all’unisono per guardarmi e io mi trattengo a stento dallo schiaffeggiarli sul serio. Finalmente anche Alex ha alzato la testa ma la riabbassa prima di incontrare il mio sguardo. La sua indifferenza è la cosa che più mi indispettisce. Dopo la mia esagerata attenzione, ovviamente.
- Io vado al tavolo di Giulio. Se qualcuno mi cerca sono lì – avverto secca e parto in direzione del tavolo di Giulio. Di sicuro lui saprà trovare il modo di calmarmi, la sua voce ha un effetto meraviglioso sui miei nervi.
Non appena riesco a vedere il tavolo mi accorgo che lui guarda nella mia direzione e gli sorrido. Non voglio avvicinarmi al tavolo, meglio evitare le chiacchiere della gente. Speriamo solo che lui capisca e si avvicini spontaneamente.
Con mio enorme sollievo infatti lui intuisce subito e lo vedo alzarsi e avvicinarsi a me.
- La mia adorabile fanciulla è stanca della cena? – domanda non appena arriva a qualche passo da me.
- In effetti. Anche la compagnia non è delle migliori – mi lascio scappare prima di potermi controllare.
Giulio sorride e mi prende sottobraccio, intuendo forse la mia agitazione.
- Che ne dici se organizziamo una fuga romantica e ce ne andiamo a fare una passeggiata solo noi due? Anche la mia compagnia potrebbe essere migliore – propone raggiante.
Io non rispondo subito, sono un po’ titubante. Se mia madre dovesse accorgersi che ho piantato in asso il mio odioso cavaliere per una passeggiata romantica mi terrà il broncio fino alla fine dei secoli. Mi volto un momento verso il suo tavolo, ma la vedo impegnata a chiacchierare con un gruppo di persone abbastanza numeroso. Non sembra che si libererà facilmente.
Lo sguardo poi mi scivola automaticamente verso il mio di tavolo e vedo che Alex ci guarda da lontano. Non riesco a capire se guarda proprio noi o solo da questa parte, sono troppo lontana, ma non mi importa. Che pensi anche che sto comprando il voto del prossimo esame se crede. Torno a guardare Giulio e gli sorrido, quindi cominciamo a camminare.
- Chi è il ragazzo che era con te? – domanda non appena ci siamo allontanati un po’ dalla folla.
Alzo gli occhi al cielo. Ma oggi nessuno che si faccia gli affari suoi? Tuttavia la voce di Giulio non ha niente del tono accusatorio di Alex e anche la sua espressione è tranquilla, come se volesse solo essere socievole.
- E’ il figlio di un’amica di mia madre. Sta aprendo un nuovo ristorante e così abbiamo pensato che questa festa era l’occasione per fare un po’ di pubblicità al posto, ma lui non conosce nessuno qui, è nuovo, e aveva bisogno di un’accompagnatrice conosciuta… - spiego con noncuranza, agitando la mano in aria per fargli capire che non ha importanza.
In realtà non voglio parlare di Alex. Sono ancora troppo arrabbiata con lui. Lo odio ancora di più dei divoratori di tartine ed è difficile scendere al di sotto del loro livello.
- Allora avete parlato solo di quello? Meglio così – replica Giulio con un sorriso.
- Perché?
- Perché così posso farti tutti i complimenti che voglio senza essere ripetitivo – spiega lui e io rido. Mi sto già rilassando, sento il ricordo di Alex sempre più lontano.
Intanto è buio intorno a noi e faccio fatica a guardare dove metto i piedi, figuriamoci capire dove stiamo andando. Ma Giulio cammina a passo piuttosto sicuro e io mi lascio semplicemente trasportare da lui.
- Se avete parlato del ristorante per esempio, non avrà avuto modo di dirti quanto sei splendida stasera. Sembri una statua della dea Venere che ho visto una volta in un museo… - continua Giulio e io sorrido distogliendo lo sguardo.
Continuiamo a camminare per un po’ nel buio, chiacchierando del più e del meno, mentre mi godo la sensazione di tranquillità che mi ispira Giulio. Al confronto dell’irrequietudine che mi mette addosso Alex con la sua sola presenza, è il paradiso.
- Hai letto il libro? – domanda poi indicandomi una panchina a pochi passi, appena distinguibile nell’oscurità che ci circonda. Ora ho capito dove siamo, queste panchine riempiono solo il corso che porta al vecchio teatro.
Io gli rivolgo un’occhiata interrogativa, non riuscendo a capire di che sta parlando. Quale libro? Poi ricordo: la sera della nostra prima cena mi ha regalato uno dei suoi libri sulla storia dei simboli antichi. Ovviamente non ne ho letto nemmeno il titolo, mi ero completamente dimenticata dell’esistenza di quel libro nel momento successivo averlo riposto insieme a tutti gli altri che non leggerò mai. Non posso dire però al mio professore che mi ero dimenticata del primo e unico regalo che mi ha fatto (che ha scritto lui tra l’altro), mi caccia a pedate dall’università.
- Non ho avuto molto tempo, ma ho cominciato a leggerlo. È un libro che prende – mento spudoratamente, sperando che non mi faccia domande più specifiche.
- Sono contento che ti piaccia. Allora non sono proprio un fallito come storico no?
Rido.
- Anche se fosse non lo direi, visto che sei il mio professore, ti pare?
Cerco di sorridere ma non mi riesce. Improvvisamente, mi sento tremendamente stanca e vorrei solo poter chiudere gli occhi per un momento.
- Ti va di raccontarmi cosa ti rende così pensosa? – domanda intanto lui.
Accidenti, speravo che con il buio non se ne fosse accorto.
- E’ solo l’aria della festa. Non mi piacciono le cose formali e i gesti affettati e lì ce n’erano entrambe da fare indigestione – spiego in tono vago, sperando che lasci perdere.
- E’ un peccato. Sembri molto a tuo agio e quest’aria da regina delle fiabe ti rende… favolosa per l’appunto – continua lui.
Io non rispondo e non sorrido nemmeno. L’ha già detto Alex subito prima di baciarmi e distruggere il poco autocontrollo che ero riuscita a mantenere. Al solo pensare a quel bacio sento che mi si infiammano le guance e il cuore riprende quello strano palpitare frettoloso. Possibile che le radiazioni di quell’uomo finiscano con il provocarmi un infarto?
- Credo che sia più grave di un po’ di noia – continua Giulio, e questa volta gli sorrido a mo’ di scuse. Ha ragione, non sono venuta con lui per pensare ad Alex, devo concentrarmi solo su di lui. In fondo, si merita i miei pensieri molto più di quel bell’imbusto tutto soldi e moine.
- Hai ragione. In effetti, la noia e solo una piccola parte del problema… l’altra sono queste maledette scarpe. Mi stanno segando le caviglie e tra un po’ ti cadrò ai piedi sanguinante.
- Sediamoci allora – propone ma io non riesco a vedere nulla in quest’oscurità su cui sedermi e non posso certo sedermi a terra con questo vestito.
Infatti, lo vedo sedersi per terra e farmi segno di accomodarmi accanto a lui. Io gli indico la mia gonna e faccio una smorfia per fargli capire il problema ma poi ci ripenso.
Sono stanca, turbata e arrabbiata. Me ne infischio di quello che penserà la gente quando vedrà la mia gonna tutta sporca e spiegazzata. In fondo, c’è già che pensa che io sia una sgualdrina che si vende per qualche voto, no? Diamogli un motivo per pensarlo sul serio!
Mi siedo accanto a Giulio che mi sorride, approvando la mia “follia” e resta poi a guardarmi in silenzio. Io mi sento un po’ a disagio sotto quello sguardo indagatore e così chiudo gli occhi, assaporando il sapore fresco dell’aria. In quel momento una brezza leggera mi fa rabbrividire leggermente e mi fa cadere alcune ciocche di capelli davanti al viso. Lo sapevo che non avrebbero resistito fino alla fine, maledizione.
Alzo il braccio per ravviare quelle ciocche fastidiose ma quel movimento sprigiona un’ondata del profumo di Alex, che sembra essersi appiccicato addosso in modo indelebile, come se quell’odioso damerino mi avesse marchiata a fuoco nel breve spazio di quel lungo, dolce, appassionato bacio…
Solo allora mi accorgo di due cose che non avevo notato: primo, che qualcuno mi sta baciando davvero. Secondo, che il bacio che sento non è quello di Alex. È meno intenso, più famelico, più rude in qualche modo. Lentamente apro gli occhi e vedo che infatti non è Alex che mi sta baciando. È di Giulio quella bocca dal sapore aspro, come di sigaro.
Resto per qualche secondo immobile, senza sapere che fare o meglio troppo scossa per potere pensare a cosa fare. Ma tutti stasera hanno deciso di baciarmi?
Giro la testa, sottraendo la bocca a quella di lui e lo spingo dolcemente indietro con la mano.
- Giulio mi dispiace, davvero… è solo che… non stasera, ti prego, non stasera – bisbiglio e non appena lui si è allontanato abbastanza mi rimetto in piedi, sforzandomi di ignorare il suo sguardo dispiaciuto e confuso.
- Non stasera – ripeto di nuovo con un filo di voce.
Mi volto e comincio a camminare, cercando di non mettermi a correre. Non sarebbe una buona idea dato il buio e le scarpe e non voglio che Giulio pensi che sto scappando da lui.
Dopo qualche metro però mi risiedo di nuovo per terra, con la testa appoggiata alle ginocchia. Non posso tornare così alla festa, ho bisogno di qualche minuto per riprendere il controllo. In effetti, non so perché mi sento così sconvolta. Di certo non è la prima volta che ricevo un bacio fuori programma, anche se devo ammettere che mai ne avevo ricevuti due a meno di un’ora l’uno dall’altro.
Forse è un po’ il senso di colpa che mi fa sentire così male. Mi sento tremendamente in colpa con Giulio per averlo baciato pensando ad un altro e per essere fuggita via così, senza una spiegazione… di certo non era questo che si aspettava e nemmeno che meritava. Ma non potevo certo dirgli la verità. Non potevo spiegargli che scappavo perché in effetti stasera sono già stata baciata a tradimento da uno che odio perché di solito mi manda in corto circuito totale con la sua sola presenza e che era a quello che pensavo mentre lui mi baciava, no?
Inoltre, per un motivo talmente assurdo che non riesco nemmeno ad immaginarlo, mi sento in colpa anche con Alex. Mi sento come se l’avessi tradito, come se…
Ma questa è follia allo stato puro. Anzi, semmai è lui quello che deve sentirsi in colpa. È per colpa sua, del suo bacio e del suo maledetto profumo che mi sono comportata così con Giulio, è solo colpa sua!
Lentamente il senso di colpa comincia a trasformarsi in rabbia. Come si permette questo babbeo ignorante che ha definito il mio libro la versione letteraria di Mission Impossible e che mi ha rubato il posto vicino alla stufa di rovinarmi così una serata tanto tranquilla?
Se non fosse stato per lui mi sarei goduta la mia cena, che invece non ho quasi toccato, mi sarei goduta il mio bacio con l’affascinante professore. Invece lui ha rovinato tutto.
Mi alzo di scatto, presa dalla voglia disperata di fargli capire subito che razza di idiota penso che sia dopo stasera e costringerlo a scusarsi in ginocchio, ma ho dimenticato un dettaglio. Dove diavolo sono?
Mi guardo intorno nell’oscurità rischiarata appena dalla luna alla ricerca di una strada o qualcosa. Niente. Maledizione.
Quando siamo arrivati fin qui io seguivo Giulio ed ero così arrabbiata con Alex che non ho fatto proprio caso alla strada. Ma ora, come torno indietro?
Dannazione. Dannazione, dannazione e ancora dannazione.
Comincio a camminare dritta. Prima o poi arriverò da qualche parte. Intanto ingannerò il tempo pensando a tutte le torture che si possono infliggere a un maledetto guastafeste come il signorino Sono-Bello-E-Vi-Rovino-La-Serata-Come-Voglio.
Qualcosa tipo venti minuti dopo vedo davanti a me le luci della festa. Tiro un sospiro di sollievo, più che altro lo fanno i miei piedi distrutti, e non riesco a trattenere un sorrisetto sadico. Ora vediamo quanto resiste Alex-Rovina-Serate sotto la mia furia implacabile.
Mi dirigo verso il nostro tavolo ma mi accorgo subito che qualcosa non va: non c’è quasi nessuno in tutto il parco, sembra che se ne siano andati tutti a casa. Al momento però la mia vendetta è più importante di qualsiasi stranezza abbia fatto fuggire tutti gli invitati.
Mi guardo intorno, cercando Alex ma non riesco a vederlo. Non se ne sarà andato, voglio sperare. Anche perché, se spera di sfuggire così alla mia vendetta si sbaglia di grosso.
- Alexis, posso sapere di grazia dove eri andata a finire?
La voce di mia madre, leggermente stridula e molto accusatoria, mi costringe a girarmi verso di lei.
- E’ successo un casino mamma… ti spiego… - balbetto ma lei mi interrompe subito.
- Con tutta la sincerità tesoro, me ne infischio del tuo casino. Qui è successo di tutto mentre mia figlia era chissà dove ad amoreggiare con… lasciamo perdere. Io vado via, ne riparliamo a casa.
Detto questo, mi madre si gira e se ne va. Mia madre. Quella donna gentile, affettuosa, che cerca di giustificare anche Hitler quando si parla di lui, si è girata e mi sta lasciando qui come un’idiota!
- Mamma, aspettami. Si può sapere che ti prende? Con chi è che sarei andata ad amoreggiare adesso?
Mi rendo conto che la mi voce deve sembrare quella di un’isterica ma per stasera ne ho veramente abbastanza. Non posso crederci! Anche mia madre ora pensa male di me!
- Non fare finta di niente con me, signorina – mi ammonisce agitandomi un dito davanti al naso, come faceva quando ero bambina.
- Sai che non mi intrometto mai nella tua vita privata e sinceramente, avrei preferito continuare così, anche se forse se l’avessi fatto ora non saremmo arrivati a questo punto. Ma dopo stasera, mi riuscirà parecchio difficile, come immagino che valga anche per il resto della città. Non è così che ti ho educata!
Mi rendo conto che nonostante il tono pacato, mia madre è furibonda ma io continuo a non capire di cosa sta parlando.
- A parte il fatto che tu ti intrometti sempre nella mia vita privata mamma, mi vuoi spiegare per bene che… cos’è successo? – domando ancora, cercando di non cedere all’esasperazione. Chissà perché ho il sospetto che ancora una volta centri Alex.
- E’ successo che la mia festa è rovinata, che saremo sulla bocca di tutti almeno per un anno e che da adesso puoi dire addio al tuo tanto caro anonimato, tesoro. Hai giocato col fuoco, bambina mia, e ora ti si è ritorto contro. I tuoi amanti hanno fatto a… c’è stato un vero e proprio combattimento, con il sangue, le urla e… - mia madre si interrompe, troppo disgustata dal ricordo e io non riesco a fare altro che fissarla.
Chi diavolo sarebbero i miei amanti ora? Di quale combattimento sta parlando? Che c’entro io?
- Mamma, mi dispiace, qualsiasi cosa sia successa per colpa mia e sarò felice di chiarire con te tutta questa faccenda più tardi ma ora ho disperatamente bisogno di capire: di cosa stai parlando? Chi sarebbero i miei amanti? Perché c’è stato un combattimento?
Sono davvero agitata ora, lo sento dalla mia voce e probabilmente lo sente anche mia madre che finalmente la smette di guardarmi come se fosse una criminale incallita. Forse ha capito che davvero non riesco a capire di che sta parlando.
- Parlo di Alex e quel tuo altro amante, Alexis. Mentre tu eri a rassettarti come si conviene a una donna di quella risma, quel ragazzino è tornato qui e ha parlato con Alex che ha ben pensato di dargli un bel pugno sul naso e dopo hanno cominciato a litigare, urlando che eri ora di Alex, ora di quell’altro, ora che avevi baciato l’uno, ora che avevi baciato l’altro… e intanto tutti lì a guardare e a sentire…
Credo che sto per sentirmi male. Sento la testa girare un po’ troppo velocemente, ho le gambe molli e mi manca l’aria… chiudo gli occhi e faccio dei bei respiri, lenti e profondi.
E così, Alex e Giulio hanno dato spettacolo e ora il resto del mondo saprà tutti i dettagli della mia vita. Splendido. E mia madre pensa che io sia una… una donnaccia. Ancora più splendido.
Improvvisamente la mia testa smette di girare come una trottola e comincia a pulsare dolorosamente. Bene, sono le prime avvisaglie della mia furia cieca e selvaggia che monta lentamente. Ciò vuol dire che sta tornando la cara vecchia Alexis, finalmente.
Se prima Alex doveva aver paura, ora è meglio che cambi universo perché non ci sarà posto abbastanza lontano per sfuggirmi e quando l’avrò trovato gli farò rimpiangere per sempre di avermi incontrata.
Ma prima devo fare un’altra cosa. Mia madre è sull’orlo di una crisi di pianto e devo spiegarle la situazione.
- Mamma ascoltami. Io non so quello che si sono detti quei due durante la rissa ma non credo che sia la verità. Io non ho nessun amante, né l’uno, né l’altro e né nessun altro. Sono stati loro a baciare me, ironicamente entrambi stasera, ma li ho rimessi subito al loro posto (quasi subito, sussurra una vocina dentro di me mentre il ricordo del bacio di Alex mi sfiora il pensiero, ma scaccio quella voce con forza) ed è per quello che mi sono allontanata dalla festa, per allontanarmi da entrambi. Poi non so cosa sia successo ma ti assicuro che qualsiasi cosa si siano detti l’hanno fatto solo per farsi dispetto, non è successo niente con nessuno dei due.
Lei è rimasta in silenzio ad ascoltare, e questo è già un brutto segno. Mia madre non se ne sta mai zitta ad ascoltare. Comunque non ha più l’aria gelida da signora offesa e questo è un bene.
- Va bene tesoro ma questo non cambia le cose. Per quanto non sia d’accordo sul fatto che tu abbia un amante, non è così che ti abbiamo cresciuta io e tuo padre, non è quello che mi preoccupa. Ora tutta la città pensa che tu abbia degli amanti e tutti cominceranno a farsi gli affari tuoi e dopo quell’intrusione a casa tua…
Ora sì che sta piangendo e il vederlo non fa che aumentare la mia rabbia oltre i confini del possibile. Nessuno fa piangere mia madre impunemente. Alex è un uomo morto, questo è sicuro.
- Ho paura che quegli uomini possano scoprire chi sei se cominciano a circolare voci su di te. Se qualcuno dovesse seguirti o che so io per riferire di qualche altro amante e scoprisse invece… oh, bambina mia, sono così in pensiero ora… - continua trattenendo un singhiozzo.
Mai come in questo momento ho sentito di volerle bene. Ora tutta la città pensa che sua figlia sia una prostituta, una donna persa e perversa e lei si preoccupa solo per me. Non potevo chiedere una madre migliore.
- Ascolta mamma, se quegli uomini sono venuti a casa mia è perché sanno già chi sono e dove abito, le voci non cambieranno niente per loro. E per i ficcanaso troverò il modo di evitarli. Se proprio sarà una situazione disperata lascerò perdere per un po’ il libro, fino a che non si saranno calmate le acque, ok? Ora basta però preoccuparsi, raggiungi papà piuttosto, prima che si addormenti in piedi.
Per fortuna a quest’idea ride, mentre si asciuga gli occhi.
- Fa attenzione angelo mio, ti prego. È un gioco pericoloso quello a cui stai giocando – mi ammonisce e io le do un bacio sulla guancia ancora umida.
- Starò attenta mamma – la rassicuro.
- Mamma, un’ultima cosa. Dove sono ora Alex e Giulio?
- Alex è nella sua macchina credo, l’altro non lo so, è scomparso dopo la medicazione. Buonanotte tesoro.
- Buonanotte mamma – la saluto, poi la guardo andare alla macchina e aspetto che siano partiti. Non voglio che assista a un omicidio dopo tutte le preoccupazioni di questa sera.
Ora che mia madre è al sicuro, sento di nuovo la rabbia crescere oltre misura e la testa riprende a pulsarmi. Come diavolo si è permesso quell’idiota prepotente di fare una cosa del genere?
Cerco con lo sguardo la sua macchina e finalmente la vedo, parcheggiata dietro un albero poco distante. Mi avvicino rapidamente, senza più cercare di frenare la voglia di vendetta, con l’immagine di mia madre che piange fissa nella mente.
Quando arrivo vicino alla macchina lui è seduto al posto di guida con la testa rovesciata contro il sedile e tiene gli occhi chiusi, perciò non si accorge che sono lì fino a quando non apro lo sportello.
Lo vedo sussultare e gira di scatto la testa verso di me. Ha un’espressione strana, che non riesco a decifrare ma non ci provo nemmeno più di tanto. L’unica espressione che voglio vedergli sulla faccia in questo momento è dolore, atroce, lancinante, insopportabile dolore. Magari anche il terrore non guasterebbe.
- Che diavolo ti è saltato in mente di fare quella scenata, immenso ammasso di idiozia che non sei altro? – urlo. Non era mia intenzione urlare ma non ho saputo farne a meno. Il fatto che lui se ne rimanga lì a fissarmi instupidito poi non migliora di certo la sua situazione.
- Mettiamo bene in chiaro una cosa, mister Sono-Bello-E-Faccio-Quello-Che-Mi-Pare, è l’ultima volta che la tua faccia entra a far parte della mia vita. Sono venuta qui solo per non dispiacere mia madre e questo non ci rende né amici, né fratelli, né fidanzati né tantomeno amanti – pronuncio quell’ultima parola con disgusto.
- Non so cosa ti abbia fatto credere il contrario ma quello che hai detto il primo giorno che ci siamo visti era la pura verità: io ti odio. Ora più che mai. Non hai nessun diritto di metterti in mezzo ai miei affari, di qualunque natura essi siano, tanto più quelli privati.
Mi fermo per riprendere fiato e alzo una mano per indicare che non ho finito, anche se lui continua a fissarmi come se non capisse chi sono e non ha l’aria di uno che sta per ribattere. Meglio per lui perché sono capace di investirlo con la sua stessa macchina se fa un altro errore.
- Me ne infischio se sei solo, se sei straniero, se sei ricco, se sei bello, se abiti vicino a me. Me ne infischio anche se sei il nipote del papa o il figlio illegittimo del re di Inghilterra. Da questo momento, sta fuori dalla mia vita, Alex. Non voglio più sentirti, vederti o parlare di te in nessun modo che non sia il discorsetto obbligatorio al tuo funerale. Mi hai capita?
Ora che mi sono sfogata mi sento mille volte meglio. La testa ha affievolito quel pulsare diabolico ed è scomparso quel senso di oppressione dal petto.
Respiro affannosamente in attesa di una sua risposta, ma lui continua a fissarmi senza dire niente. Evidentemente Giulio deve avergliele suonate per bene per ridurlo così male. Sembra un deficiente. Anzi no, mi correggo. In effetti, il passo dal suo stato normale a quello di ebete è talmente breve, che non ci vuole certo Ercole per riuscirci.
- Quindi mi trovi bello – è la sua risposta, in tono asciutto e calmo, come se finora gli avessi parlato delle mie vacanze estive.
Io sono talmente spiazzata da una risposta del genere che resto lì a fissarlo, senza parole. Ma ha capito almeno una delle parole che gli ho detto?
- E’ bello che tu dica questo di me. E lo pensi di tutti quelli con cui vai a letto, oppure accetti anche persone brutte nel tuo letto? – mi domanda, sempre in quel tono tranquillo da chiacchierata davanti ad un caffè.
Ora sono più che spiazzata. Ora sono allibita. Mi sta dando della prostituta per caso?
- Be’ probabilmente dal tuo punto di vista siamo tutti belli se abbiamo i soldi per pagare la tua… generosità, se così possiamo definirla. O forse non ti interessano nemmeno i soldi… forse la tua è solo voglia di qualcuno che ti riscaldi il letto. È così?
Ora il suo tono è sfumato verso un incrocio di sarcastico e indispettito.
Questa è follia. Lui mi fa passare per una prostituta davanti a tutta la mia città, fa piangere mia madre, mi rovina la serata anche con Giulio… e lui è quello indispettito?
Intanto lui si alza lentamente e viene fuori dall’auto. Nella luce fioca delle lampade ancora accese nel parco mi sembra di cogliere una smorfia di dolore ma sono talmente scioccata dalle sue accuse che non ci faccio caso. Lui è indispettito. Ma guarda. Povero cucciolo.
- Sai qual è la cosa divertente? Io ti credevo diversa. Ho sempre pensato che le donne sanno fare solo un cosa nella vita e le ho sempre scansate per questo. Invece tu, con la tua finta morale, con la tua finta aria irraggiungibile, sembravi diversa. Sembravi migliore. Ti ho creduta tanto migliore delle altre che sono arrivato ad espormi con te… e tu meno di cinque minuti dopo già eri nelle braccia di quell’altro bamboccio…
Ora basta. Non me ne starò qui a farmi insultare da uno che avevo giurato costringere a scusarsi in ginocchio davanti a me. Eppure tutta la rabbia che provavo sembra essersi disciolta nel disprezzo, un disprezzo così totale e profondo da darmi allo stomaco.
Apro la bocca per spiegargli quanto mi faccia pena questa sua sfuriata ma non mi escono le parole, così mi volto scuotendo la testa e faccio un passo, intenzionata ad andarmene.
Lui però mi prende il braccio con tale forza che sono costretta a girarmi. Ora la sua faccia non ha più niente dell’ironia compassata di qualche secondo fa. Ora sembra furioso e… addolorato, mi viene da dire. Ma è assurdo. Un essere così non può nemmeno sapere cos’è il dolore.
- Non te ne andrai così facilmente, bellezza. Cos’è, fa male sentire la verità? Preferisci considerarti come una semplice ragazza che cerca compagnia?
Il suo tono è velenoso, quasi mi sembra di vedere del fumo verde uscire dalla sua bocca.
- Tu sei completamente pazzo, Alex. Non sai quello che dici. Evidentemente la botta in testa è stata forte. Lasciami andare ora e sparisci dalla mia vita. Non farti vedere mai più, nemmeno per scusarti – gli intimo glaciale, ma lui non muove un muscolo e non allenta la presa nemmeno di un millimetro.
- Credo che sia la prima cosa vera che dici da quando ti ho conosciuta. Sono pazzo. È l’unico motivo per cui potrei stare ancora così male dopo aver scoperto che razza di persona sei, Alexis.
- Ti ho detto lasciami.
Questa volta però la mia voce non ha nulla di glaciale. Sembra più una supplica che un ordine e forse è proprio di questo che si tratta. Le sue parole mi fanno male, il che è assurdo. So che sono fesserie e so che dovrei odiarlo, che dovrei fregarmene di quello che dice. Invece mi sento schifosamente male per ciò che sta dicendo. Mi sento tradita, offesa.
Lui non risponde e continua a fissarmi con quella strana espressione tra furore e dolore. Poi finalmente allenta la presa sul mio braccio senza smettere di guardarmi e io lo ritiro lentamente, massaggiando il punto in cui c’erano le sue dita, incapace di smettere di fissarlo a mia volta, chiedendomi chi è questa persona, cosa vuole da me. E soprattutto, perché mi fa così male la sua rabbia.
Dopo qualche secondo, lui si gira verso la sua macchina, la mano sullo sportello e resta lì, fermo in piedi. So che questo è il momento per fuggire via da questa assurda follia ma il mio cervello non reagisce minimamente. Continuo perciò a fissare la sua schiena, massaggiandomi ancora il braccio.
All’improvviso, come per un ripensamento, lo vedo girarsi di scatto, prendermi per le spalle e baciarmi. È un bacio violento, quasi disperato.
Ancora il mio cervello non reagisce, eppure quel contatto sembra accendere una miriade di interruttori dentro di me cancellando tutto quello che non riguarda la sensazione di quella bocca, di quelle mani, e istintivamente mi aggrappo a lui. Quella risposta sembra dare nuovo vigore a quella bocca affamata, a quelle mani indagatrici e mi ritrovo incapace di reagire in alcun modo, conscia solo del rumore dei nostri respiri affannosi e del battito dei nostri cuori.
- E’ così che ti ha baciata lui? – sussurra Alex in sussurro roco e rabbioso.
Quelle parole però sembrano penetrare nella nebbia del mio cervello. Finalmente riesco a spingerlo abbastanza forte da farlo indietreggiare, poi lo schiaffeggio con tutta la forza che ho.
Il suono dello schiaffo riecheggia secco nell’oscurità attorno a noi e per alcuni minuti sembra aleggiare nel silenzio che si è creato.
Io continuo a fissarlo furente, incapace di trovare parole che esprimano come mi sento in questo momento, mentre lui ricambia il mio sguardo con un’aria quasi disgustata.
Indietreggio lentamente per qualche passo, completamente scombussolata, poi senza dire una parola mi volto e me ne vado. Dopo qualche altro minuto sento lo sportello dell’auto chiudersi e il motore ruggire, quindi mi sfreccia accanto a una velocità incredibile. Probabilmente si ammazzerà, penso. Tanto meglio, mi risparmia la fatica.
Mentre torno a casa a piedi, mi concentro a fatica solo sui passi e sul mio respiro, costringendo la mia mente a scacciare il ricordo di tutta questa serata infinita. Non sono ancora pronta per elaborare quello che è successo. Ogni tanto mi viene da sorridere se penso alla scena che vedrebbe un passante se mi incrociasse: una bella ragazza vestita da sera, con dei tacchi vertiginosi, i capelli scompigliati, la gonna sporca di terra e l’aria di chi è reduce da una guerra. Che poi è esattamente come mi sento. Come se fossi appena stata in Vietnam e fossi tornata sconfitta.
Quando arrivo a casa fisso con orrore il portone, temendo di incrociarlo ancora, ma il palazzo è deserto. Faccio le scale, nonostante il dolore lancinante ai piedi, per ritardare ancora un po’ il momento in cui mi sarò messa a letto e la mia mente dispettosa avrà modo di pensare a questo inferno di giornata.
Non appena a casa vado dritta in bagno, mi spoglio, mi strucco e mi preparo per la notte, evitando con cura di riflettere sulla mia immagine riflessa nello specchio. Sembro sul serio tornata ora da una guerra ma non dal Vietnam. Una guerra del futuro, con le armi nucleari e i mostri cibernetici.
Mi stendo nel letto, sperando di addormentarmi prima di aver il tempo di ripensare a tutta la situazione. Ovviamente la sorte non è così buona con me. Eppure con mia grande sorpresa, non penso a stasera. Anzi, non penso affatto. È come se il mio cervello sia pieno di ovatta che impedisce il fluire dei pensieri. E va bene così. L’ovatta è sempre meglio dei pensieri.

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Capitolo 6
*** Hotel Fogliadoro I ***


Rido di gusto quando penso alla faccia che farà quando leggerà questa parte. Dopo tanti anni non ha ancora superato questo piccolo “affronto” e quando capita il discorso diventa tutto scontroso come se temesse che io possa tornare da quel traditore da un momento all’altro.
Non riesce davvero a capire che non lo lascerei per nulla al mondo, figuriamoci per uno così. Anche perché se la sorte è stata buona con noi, dovrebbe essere morto da un pezzo.
Ma di questo non sarò mai convinta.
Comunque torno a fissare il quaderno davanti a me, cercando di concentrarmi e ripartire. Di questo passo non finirò nemmeno per i nostri cinquanta anni di matrimonio. È incredibile quante pagine ci sono volute finora per descrivere pochi argomenti rispetto  a tutti quelli che verranno. Fortuna che mio marito è un gran lettore, oltre che uno scrittore di fama internazionale, penso con un sorriso, subito seguito da una smorfia: chissà quante critiche avrà da fare per ogni singola pagina che leggerà! Ma sono sicura che, critiche letterarie a parte, gli farà  piacere e questo è l’importante. Al massimo, cambierò Stato per un po’, fino a che non avrà terminato, penso con un altro sorriso.
In realtà mi rendo conto che tutto questo pensare non è che il modo della mia mente di ritardare l’inevitabile: ora comincia la parte difficile del racconto. Fin’ora è stato facile perché ho scritto quello che riguardava me sola, e quindi sapevo cosa scrivere. Ora invece dovrò cominciare a scrivere di ciò che le macchinazioni di altri hanno fatto succedere nella mia vita e non so se sarò in grado di andare avanti con la storia pur non conoscendo a fondo i dettagli.
Non credo che riuscirò a descrivere tutte le sfumature dei prossimi eventi senza sapere esattamente cosa pensavano i veri protagonisti di questa parte della mia vita, soprattutto i cattivi della situazione.
Probabilmente anzi finirò con l’imbrogliare le cose, confondere e male interpretare alcuni aspetti, distorcendo in parte quello che realmente è avvenuto ma non posso saperlo e coloro che potevano saperlo ora sono morti o scomparsi. Uno solo di loro è al lavoro e forse lui potrà chiarirmi alcuni dubbi che ancora mi tormentano di tanto in tanto, anche dopo tutti questi anni.
Per ora però, l’importante è finire, come diceva una splendida canzone. O forse, nel mio caso, iniziare. E tutto cominciò all’hotel Fogliadoro.

 
 
23 marzo 1997
Sono seduta qui da talmente tanto tempo che la gente qui intorno comincerà a pensare che faccio parte dell’arredamento, accidenti. Dove sarà finito questo stupido signor Bown?
Lancio un’altra occhiata disperata alla porta, poi guardo di nuovo l’orologio: un’ora e tre quarti di ritardo. Assurdo. Comincio a chiedermi se non gli sia successo qualcosa e soprattutto, se non sia successo qualcosa al mio quadro.
Sento un rumore e alzo di scatto la testa verso la porta, sperando di vedere un signore con un lungo cappotto rame (ma chi è che va ancora in giro con un cappotto lungo e soprattutto color rame?) ma è solo una ragazzina. Accidenti!
Mi chiedo cosa può essere successo: il traffico è escluso, anche all’ora di punta sarebbe in Alabama a quest’ora. Un malore? Ma ha detto di alloggiare in questo hotel, se fosse avrebbero mandato qualcuno a prendere le sue cose no? Un incidente? Al solo pensiero mi si stringe lo stomaco. Spero di no. Il fuoco e la benzina non vanno d’accordo con le tele quasi quanto con le persone.
Di nuovo un rumore alla porta. Di nuovo alzo di scatto la testa, pregando che sia lui, e di nuovo devo riabbassarla sconfortata: è solo una donna con suo figlio. Torno a far finta di leggere il mio giornale, spiandomi intorno per essere certa di non essere troppo osservata, anche se con questi abiti anonimi e la parrucca, non credo che qualcuno sarebbe in grado di riconoscermi. Fortunatamente nessuno guarda nella mia direzione.
- E’ inammissibile che in una città come questa debbano essere i cittadini a difendersi dai delinquenti! Con quello che pago in tasse, mi aspetterei di essere scortato come una star! – urla un signore grasso che sta scendendo ora le scale. Io lo sbircio dall’orlo del mio giornale ma non è nessuno che conosco, quindi mi rilasso nuovamente. Accidenti a me quando ho accettato di incontrare questo idiota di Bown in hotel. Lo sapevo che era troppo rischioso!
- Se anche gli onesti cittadini non possono vivere tranquilli nelle loro case, che ne sarà di questo Paese? È ridicolo, anzi, è folle! – continua a sbraitare il grassone dirigendosi verso la porta. Lo sbircio di nuovo senza capire con chi stia parlando, poi noto qualcosa di nero attaccato al suo orecchio e il mondo ha di nuovo senso: ha un auricolare, forse non riesce a sentire bene chiunque sia dall’altro capo della linea ed è per questo che urla così tanto. Ormai lo fissano tutti.
Comunque, non posso che essere dalla sua parte signore, penso con un sorrisetto. Anche io avrei qualcosa da ridire sui sistemi di protezione dello stato. Se la nostra polizia fosse qualcosa di più che un gruppo di grassoni in divisa, quegli uomini non sarebbero mai arrivati a rubare in casa mia e non sarebbero certo scomparsi così nel nulla…
Questa riflessione mi fa raggelare il sangue nelle vene. E se avessero scoperto qualcosa sui quadri? Possibile che abbiano capito tutto e ucciso il signor Bown prima che arrivasse qui?
No, impossibile. Non devo perdere la testa. Nessuno sa dei quadri tranne me e Juno, nessuno può aver scoperto niente. È solo la mia paranoia. Probabilmente questo idiota di Bown si è solo addormentato o si è ubriacato e non ricorda del mio appuntamento, devo solo aspettare con calma.
Guardo di nuovo l’orologio: due ore e cinque minuti di ritardo. Di nuovo nella mia mente si formano le immagini di un incidente stradale, non troppo accidentale magari. In fondo è così che hanno risolto con mio padre no? No. Non devo pensarci.
Guardo di nuovo il foglio di giornale. Lo sto fissando da più di un quarto d’ora. Fortuna che non c’è nessuno vicino a me che possa accorgersene. Ancora un rumore alla porta, ancora un falso allarme.
Ora basta, non posso più starmene qui ad aspettare. Se è successo qualcosa lo devo sapere ora. Soprattutto nel caso i miei sconosciuti amici centrino qualcosa in questo ritardo infinito.
Mi alzo e mi dirigo alla reception, pensando velocemente a qualcosa da inventarmi per sapere cosa sanno di Bown. In fondo non so nemmeno il suo nome. Non so niente di lui tranne il cognome, che non mi sembra nemmeno vero. E non sarebbe la prima volta che questi rivenditori se ne inventano uno finto.
- Buongiorno signorina, posso esserle d’aiuto? – mi domanda in tono gentile la donna dietro il bancone. Ha un’aria molto professionale, sicura di sé, il che vuol dire che non è una novellina. Peccato.
- Sì. Sto aspettando un signore che alloggia qui ma è in ritardo, parecchio a dire il vero. Siete certi che non abbia lasciato nessun messaggio per me? Magari per rimandare? – domando cercando di usare un tono un po’ titubante. Si tranquillizzano sempre quando vedono che l’altro è incerto.
- Posso controllare. Mi dice come si chiama il signore?
- Bown. Signor Bown – rispondo in un soffio, pregando che sia il nome vero. Se non lo è la tizia penserà che sia una ladra o che so io e addio appuntamento. Mi sbatteranno fuori a calci.
- Ne abbiamo quattro di Bown. Non sa nulla di più preciso? – mi domanda la donna, che si chiama Rachel come informa il cartellino sul cravattino.
Maledizione. No, non so nient’altro. Ci penso su un po’, storcendo la bocca, sforzandomi di ricordare qualcosa di utile…
- So che è arrivato qui dieci giorni fa. La sua prenotazione deve risalire ad allora – le dico con un sospiro di sollievo. Non possono essere arrivati tutti nello stesso giorno.
- Molto bene. In effetti, c’è un Bown che è arrivato qui dieci giorni fa. Se mi da qualche minuto, controllo la sua cartella. Magari la ragazza prima di me l’ha lasciato lì e ha dimenticato di avvisarmi.
Mentre lei scompare in una porticina alle sue spalle, torno a fissare la porta. Non so perché ma mi sento tremendamente a disagio ora, come se qualcosa mi dicesse che sta per succedere qualcosa di terribile. Eppure la situazione nella hall è ancora tranquilla, sebbene la porta resti lì chiusa. Ma sono agitata. Tremendamente agitata.
- Mi spiace signorina, non ci sono messaggi del signore e non ha lasciato detto quando rientra – mi informa Rachel. Annuisco lentamente. Maledizione, ho finito le idee.
Ringrazio Rachel e mi volto per tornare a sedermi poi mi viene un’altra idea.
- Mi scusi signora se la disturbo ancora. Non è che potrebbe dirmi il suo nome, del signor Bown. Potrei provare a rintracciare il numero dal servizio clienti abbonati magari…
Rachel è titubante. Si vede che sa per esperienza che non è un’informazione che può darmi. Per quanto ne sa lei potrei essere una pazza dalla quale lui cerca di scappare. Ma io ho dannatamente bisogno di sapere cosa sta succedendo.
- La prego, sono più di due ore che aspetto qui e tra un po’ dovrò andarmene e… dovevo vedere il signor Bown per una questione della massima urgenza – la imploro ma lei scuote il capo in un gesto impotente.
Accidenti. Proprio oggi dovevo avere il capo delle receptionist modello a ricevermi?
- Mi rincresce davvero signorina, ma non sono autorizzata a darle quest’informazione. Al massimo può lasciarmi lei il suo recapito. La farò avvertire non appena il signore rientra – si offre gentile Rachel.
Io sono indecisa. Non mi sono travestita per poi darle il mio numero di cellulare. Però se rifiuto lei si convincerà che sono una matta.
- Magari lo aspetto finché posso. Se proprio quando dovrò andar via lui non è arrivato, non le secca farmi questa cortesia vero? Sarebbe tremendamente gentile da parte sua.
Rachel mi sorride molto professionale. Deve essersi insospettita. Torno lentamente alla poltrona su cui ero seduta prima, in modo da vedere bene la porta che continua a restare chiusa. Mi siedo e riapro il giornale sbuffando, poi sento di nuovo la porta aprirsi. Sbircio speranzosa ma il cuore salta una ventina di battiti per poi fermarsi completamente: in piedi davanti alla porta, vestito in tutto il suo splendore, c’è Alex, il mio Alex, che si guarda intorno.
Nel secondo prima che lui guardi nella mia direzione io mi nascondo dietro il giornale. Che diavolo ci fa lui qui? Ecco la catastrofe che il mio sesto senso aveva avvertito. Ormai il mio corpo ha sviluppato un radar per lui. E ora che faccio? Non posso sgattaiolare via con il giornale sulla faccia, ma se per caso si voltasse verso di me mi riconoscerebbe subito. Il mio è un travestimento piuttosto leggero, confonde le idee a un estraneo che voglia fare un mio identikit ma non ingannerebbe nessuno che mi conosce. E sebbene non ci vediamo dalla serata di gala, qualche settimana fa, non credo che abbia già dimenticato la mia faccia.
Accidenti, accidenti e super mega accidenti!
Abbasso lentamente il giornale e lo vedo alla reception mentre parla con Rachel. Da qui  non riesco a sentire cosa le stia dicendo ma lei abbassa subito lo sguardo verso il registro sul banco. Bene, si vede che ha anche lui un appuntamento qui, il che vuol dire che o sale dal suo appuntamento, o l’appuntamento scende da lui e se ne vanno all’istante dall’albergo. La terza opzione, non voglio nemmeno immaginarla. Se dovesse sedersi qui per aspettare è la fine.
Fortunatamente lo vedo sorridere a Rachel e dirigersi verso l’ascensore. Grazie al cielo!
Ora però devo andarmene via alla svelta, prima che scenda di nuovo e mi veda. Ma come faccio con Bown? Lancio un’ultima occhiata disperata alla porta ma ancora una volta quell’idiota non è là. Guardo quindi di nuovo Rachel. Non la convincerò mai a darmi il nome, figuriamoci il numero e non posso lasciarle il mio.
Che faccio? Alex scenderà qui a momenti. Dannazione!
Poi finalmente un’idea. È appena un tentativo disperato, ma è l’unica cosa che posso fare, oltre a pregare. Prendo dalla borsa uno dei biglietti da visita di Grace, la donna morta di cui io continuo la vita, prendo la penna e scrivo velocemente un messaggio: “Tua madre sta male, molto male. È importante che tu torni. Era di questo che volevo parlarti ma tu non sei venuto. Spero che il tuo orgoglio non ti costi il suo ultimo saluto”.
Mi alzo e mi dirigo a passi veloci verso Rachel. Speriamo che se la beva. Di solito le madri morenti fanno sempre effetto ma questa sembra un osso duro.
- Signora mi dispiace ma non posso davvero aspettare oltre. Questo è il mio biglietto da visita e qui c’è il mio numero. Dietro c’è un messaggio per il signor Bown. Sarebbe così gentile da farglielo avere? Mi raccomando, è davvero della massima urgenza. Gli dica si richiamarmi non appena torna. La ringrazio.
Mi allontano camminando lentamente. Nemmeno la regina delle receptionist modello saprebbe rinunciare alla tentazione di leggere il messaggio, a maggior ragione se davvero si era insospettita.
Richiamami, ti prego Rachel, leggi quel dannato messaggio e richiamami…
- Signorina? – mi chiama Rachel con voce contrita alle mie spalle. Sì!
- Sì?
- Se è davvero una cosa urgente forse posso fare un piccolo strappo – mi avverte con un sorriso.
Io cerco di mascherare il mio mentre torno vicino al banco. Devo avere la faccia di una disperata, sta morendo la povera mamma di Bown!
- Sarebbe davvero così gentile? Non sa come le sarebbe riconoscente Bown.
- In effetti, è vietato ma vedo che lei è in ansia e non mi sembra una criminale. Le darò il numero del suo cellulare, è l’unico recapito che abbiamo. Ma devo pregarla di una cosa: se dovessero esserci problemi, non dica a nessuno che gliel’ho dato io, mi licenzierebbero in tronco – mi implora.
Io la rassicuro con un gran sorriso e lei, ancora un po’ incerta, mi scarabocchia il numero su un pezzo di carta. La ringrazio di cuore e mi allontano, pregando che Alex non compaia proprio ora.
- Signorina? – mi chiama di nuovo Rachel alle mie spalle. Che altro c’è ora?
Mi volto e mi avvicino di nuovo con aria interrogativa.
- Mi deve perdonare la mia sfacciataggine ma deve capire che sto rischiando il posto e non posso non farle questa domanda: come fa a non sapere il nome del signor Bown e conoscere sua madre?
Il mio sorriso si congela per qualche secondo. Dannazione se è sveglia! E ora?
- Perché Bown non è il suo nome… Rachel. Vede, sono l’avvocato della signora Delano, la madre di Pietro Delano, figliol prodigo scappato di casa anni fa dopo una lite di cui non conosco la ragione. In tutti questi anni abbiamo condotto numerose ricerche fino a quando l’abbiamo ritrovato in America con un nuovo nome, Bown. Non conosco il suo nuovo nome di battesimo ma mi sembra giusto che sappia che sua madre sta morendo – spiego. Ti prego, non fare altre domande Rachel, ti prego…
- Capisco. Mi scusi ancora per la mia impertinenza ma sa…
- Era un dubbio lecito signorina, non si preoccupi.
Più che dirigermi verso l’uscita, corro verso quella dannata porta. Quando mancano appena un paio di passi sento dietro di me il campanello dell’ascensore. Sorrido infilandomi gli occhiali da sole. Questa volta l’ho scampata, mio bel rampollo.
Esco nell’aria fresca dell’esterno, quasi uno shock dopo il caldo nell’albergo, e alzo il passo verso il corso, per confondermi tra la gente prima che Alex esca da quella porta. Chiamerò Bown quando sarò al sicuro da lui. Non appena scendo il marciapiede però vedo un uomo con un lungo cappotto rame e una valigia grande ma sottile che può contenere solo un quadro.
Ti sembra questo il momento di arrivare signor Bown?
Comunque mi metto a correre per raggiungerlo. Meglio che gli spieghi della mia piccola bugia prima che scopra che sua madre sta morendo. Riesco a raggiungerlo appena un secondo prima che apra la porta dell’albergo.
- Signor Bown? Posso sapere che cosa le è successo? – gli domando afferrandogli il braccio.
Lui si volta con un sussulto e io aggrotto la fronte. Sembra terrorizzato.
- Vi ho già detto che non so di cosa state parlando. Il mio è un quadro di grande valore. Ora andatevene prima che chiami la polizia – quasi mi urla in faccia.
- Signor Bown, si calmi. Sono Melinda Falconieri, avevamo un appuntamento qui due ore fa, doveva vendermi un’opera di…
- So chi è Melinda Falconieri – mi interrompe lui brusco, ma guardandosi intorno spaventato.
- Come faccio a sapere che lei è chi dice di essere? – mi domanda poi.
Io lo guardo un po’ confusa. È impazzito?
- Signor Bown, lei mi ha chiamato qualche giorno fa, ci siamo dati appuntamento qui e lei mi ha detto che l’avrei riconosciuta per il cappotto…- so che non è esattamente la prova di identità che vuole, ma ovviamente non posso dargli questa prova, dato che non sono Melinda Falconieri. Intanto la sua ansia ha contagiato anche me e anche io comincio a guardarmi intorno, cercando qualcosa di sospetto, sebbene non sappia cosa cercare.
- Come l’ho salutata? – mi domanda ancora Bown sospettoso, guardandomi con quegli occhietti piccoli da topino spaurito.
- Che vuol dire… - comincio, senza capire veramente più niente, poi mi ricordo.
- In maori. Ha detto una parola e io le ho chiesto cosa voleva dire e lei ha risposto che era il saluto maori – rispondo e tiro un sospiro si sollievo quando lo vedo rilassarsi un po’.
- Mi spiega cosa…
- Non c’è tempo per le spiegazioni. Non è l’unica signorina a volere questo dipinto. Non so perché, non ha gran valore, ma siete in troppi. Lei almeno non mi ha minacciato comunque, quindi mi sembra giusto che se lo tenga lei. L’importante è che mi lascino in…
Non finisce la frase perché un fiotto di sangue rosso scuro gli fuoriesce dalla bocca, quindi stramazza a terra.
Io per riflesso prendo il quadro che mi porge ma ho i circuiti completamente fuori uso.
- Signor Bown… - mormoro, incredula. Finalmente qualcuno intorno a noi si è accorto del fatto e una signora comincia a strillare. A quel suono tutti si girano verso di noi e cominciano a correre in tutte le direzioni. Io sono ancora bloccata lì, fisso ancora il signor Bown ai miei piedi senza riuscire a muovermi.
Alzo lentamente la testa, pronta per lanciare un urlo ma qualcuno mi mette una mano guantata sulla bocca, togliendomi momentaneamente il respiro e cerca di strapparmi il quadro dalla mano.
Quell’aggressione mi ridà le mie facoltà di movimento, sebbene non riesca ancora a ragionare, e d’istinto metto in pratica tutte le infinite lezioni di Juno sull’autodifesa. Strattono il quadro e alzo di scatto il gomito, piantandolo nella gola del mio aggressore che si allontana, e subito corro, attenta a non perdere la presa sul quadro.
Troppo scossa per ragionare, la mia mente segue istintivamente tutti i consigli del mio istruttore. Mi guardo alla ricerca di un nascondiglio ma c’è troppa gente perché possa raggiungere un negozio, quindi continuo a correre. Mentre sto per girare l’angolo però qualcuno alle mie spalle afferra la valigia e me la strappa di mano. Mi volto e vedo una figura correre di nuovo verso l’hotel e senza pensarci mi lancio al suo inseguimento, spintonando la gente che continua a correre dappertutto come impazzita.
Ora finalmente capisco l’agitazione di Bown, il suo ritardo e le sue parole. Evidentemente, mentre si recava qui qualcuno doveva averlo avvicinato e minacciato di dargli il quadro, lui si era rifiutato e probabilmente aveva cercato di seminarli fino a che era arrivato all’hotel. Ma era chiaro che chiunque fossero i suoi inseguitori erano riusciti a stargli dietro e l’avevano appena ammazzato.
Il ragionamento mi fornì anche la spiegazione sull’interrogativa più importante: gli unici disposti ad uccidere per i quadri di mio padre erano i sicari dell’Organizzazione. Sconnessamente mi viene da pensare che dovrebbe esserci Alex ora qui. Vediamo se avrebbe ancora il coraggio di definire il mio romanzo troppo fantasioso.
In mezzo a tutta questa calca faccio fatica a non perdere di vista l’uomo con il quadro e per poco non mi frega quando raggiungiamo la piazza centrale. Fortunatamente l’uomo salta per evitare qualcosa e spicca per qualche minuto sopra la folla. Corro con tutto il fiato che ho, ringraziando Juno per gli allenamenti estenuanti e finalmente vedo il tizio imboccare una stradina quasi deserta.
La imbocco più in fretta che posso ma mi accorgo subito che non lo raggiungerò mai. Lui è parecchio più avanti di me e diversi metri più in là c’è una macchina ferma con lo sportello aperto. Scommetto quel maledetto quadro che è lì per lui.
Mi guardo intorno alla ricerca di ispirazione e vedo dei cassonetti e dei bidoni alla mia sinistra e un mucchio di bottiglie di birra vicino ad un gradino sulla destra. Senza perdere di vista l’uomo, fortunatamente ingombrato dalla valigia enorme, afferro due delle bottiglie di birra e ne lancio una contro il tizio. Lo prendo alla spalla ma lui non si gira nemmeno. Riprovo con l’altra e questa volta lo centro appena sotto il ginocchio.
L’uomo cade e si lascia sfuggire il quadro dalle mani. Con un ultimo sforzo riesco a raggiungere il tipo, che intanto si è rimesso in piedi, e gli assesto un calcio nei suoi gioielli. Lui si accartoccia su se stesso con un’imprecazione e perde la presa sul quadro, che afferrò prima di fuggire di nuovo verso la piazza.
Sento dietro di me delle urla maschili e gli sportelli di un’auto aprirsi, il che vuol dire che i complici di quel bruto sono più di uno. Maledizione. Cerco di lanciare un’occhiata alle spalle per capire quanti sono esattamente e quanto sono vicini e sento il respiro fermarsi quando vedo qualcosa scintillare tra le mani di un colosso che prende la mira verso di me. subito dopo il rumore dello sparo aleggia nell’aria dietro di me una, due, tre volte, poi altre urla e rumore di passi. Mi stanno seguendo di nuovo.
Continuo a correre cercando di concentrarmi per mantenere regolare il respiro ma mi fa male il fianco e non riesco a correre agilmente con questo coso gigantesco tra le mani. Finalmente raggiungo la piazza che però ora è deserta, si vede che la gente è fuggita spaventata, e continuo a correre senza fermarmi. Dove vado ora?
Arrischio un’occhiata alle mie spalle e vedo tre uomini semplicemente enormi sbucare dal vicolo.
Maledizione!
Continuo a correre, ormai ansimando visibilmente e trattenendo smorfie di dolore a ogni fitta la fianco. L’hotel. Devo riuscire a raggiungere l’hotel. Non possono uccidermi davanti a tutta quella gente e l’hotel ha sicuramente un corpo di sicurezza attivo. Nel caso posso sempre nascondermi e scappare dopo. Se riesco a raggiungere l’hotel, sono salva.
Qualche minuto dopo vedo le grandi porte dorate davanti a me e ringrazio il cielo. Di nuovo rischio un’occhiata alle spalle sperando che i tizi abbiano rinunciato ma ovviamente sono ancora lì. Anzi, sono più vicini di quanto immaginassi.
Entro nell’hotel e mi dirigo direttamente verso le scale. Di sfuggita noto Rachel che mi guarda allibita e cerca qualcosa da dire ma prima che parli io sono già per la tromba delle scale, che arranco per i gradini.
Non appena comincio la scalinata capisco di aver commesso un errore: sono troppo stanca per correre per le scale, mi raggiungeranno in men che non si dica. Questo dannato quadro inoltre non è proprio leggerissimo ed è troppo ingombrante per nascondermi.
Corro verso l’ascensore, illuminata da un’idea improvvisa, pregando che arrivi subito. Fortunatamente il campanello suona quasi immediatamente dopo che l’ho chiamato. Alla svelta ci infilo dentro il quadro e blocco l’ascensore. Tiro via il braccio appena un secondo prima che le porte dell’ascensore me lo trancino via all’altezza del gomito. Bene, ora ho nascosto il quadro, ma dove nascondo me stessa?
Non posso aprire le porte, la maggior parte saranno chiuse e se c’è qualcuno dentro che si mette a urlare sono finita. Sento intanto delle imprecazioni e capisco che i miei inseguitori si sono appena accorti dell’ascensore bloccato.
Devo fare in fretta o faccio la stessa fine di Bown. Davanti a me c’è una finestra ma sono al secondo piano, mi sfracellerei al suolo e le porte sono fuori discussione. Che altro posto c’è?
Il bagno! No, non va bene, non lo tralasceranno di certo e sarei in trappola. Niente bagno.
Mentre sto per perdere la speranza e uccidermi prima che lo facciano gli scimmioni più giù, sento una porta aprirsi. Al diavolo le urla, stordisco chiunque sia il tipo. Mi alzo con l’ultimo briciolo di forza e mi catapulto dentro la stanza, trascinando la persona alla porta di nuovo dentro con me. Rotoliamo entrambi a terra e sento la mia spalla esplodere in mille luci colorate. Ma fortunatamente ho troppa adrenalina in corpo perché il dolore mi stordisca, così riesco a liberarmi dal peso del tipo che resta a terra confuso, e mi precipito a chiudere la porta con tutte le mandate possibili. Non sono ancora al sicuro, ma ho guadagnato un po’ di tempo.
Mi lascio scivolare a terra fino a sedermi con la spalla contro la porta, respirando a fatica mentre mi massaggio delicatamente il fianco. Il dolore alla spalla si sta trasformando in fuoco liquido sotto la pelle ma non è insopportabile per il momento.
- Alexis!
Non ho il coraggio di aprire gli occhi. Questa voce la conosco già, anche troppo bene per i miei gusti.
Accidenti, maledizione, dannazione, tutte le imprecazioni che conosco più quelle che non sono ancora state inventate!
- Alexis, cos’è successo? Stai bene?
Mi domanda Alex, che deve essersi seduto accanto a me, visto che sento il suo alito sulla mia guancia.
Mi sembra di aver già imprecato, vero?
- No, Alex, non sto affatto bene. Ma ti prego, fa silenzio – rispondo in un bisbiglio, ancora senza fiato. Il mio cuore batte talmente forte che potrebbe distruggermi i timpani temo e il dolore al fianco non accenna a placarsi. Inoltre mi accorgo solo ora che devo essere grondante di sudore perché la mano con la quale mi sto massaggiando è bagnata ed appiccicosa.
- Accidenti, sei ferita.
Non è una domanda, è un’affermazione. E il tono della sua voce non è affatto rassicurante.
Apro lentamente gli occhi e mi guardo. In effetti, c’è una brutta macchia rossa sul mio fianco. Ma mi sento terribilmente stordita e non riesco a fare altro che fissarla inebetita. 
- Ti spiace spiegarmi cosa sta succedendo? – domanda lui. Sembra irritato dalla mia intrusione.
- Per favore, non fare rumori, fa finta che non ci sia nessuno. Se ci sentono, ci ammazzano tutti e due – biascico. Tento di sentire i rumori all’esterno ma non riesco a capire se si stanno avvicinando.
- Che cosa vorrebbe dire? Chi ci ammazza? Perché? – domanda. Eppure sembra calmo, solo leggermente infastidito.
- Chi è che ammazza chi? – domanda una stridula voce femminile, non troppo elegante. Subito dopo una donna non più giovanissima, con parecchi chili di troppo e conciata come una prostituta entra nella stanza. Ha l’aria terrorizzata.
- Te l’avevo detto che non era sicuro, maledizione! Se gli sbirri mi prendono finisco in galera a vita! Stupida io che do’ retta a un principino come te. A te non fanno niente tanto, è la puttana che finisce in galera! – sbraita la donna.
Se non stessi così male tirerei un altro schiaffo a Mister Morale. Non è vestita come una puttana, lo è proprio! E fa tante storie se bacio Giulio! Comunque sono troppo debole per farglielo notare ora, ci penserò dopo.
- Alex, ti prego, falla stare zitta. Se sentono che siamo qui… - cerco di dire ma le parole mi escono a tratti. Devo aver perso parecchio sangue, accidenti. Mi sento terribilmente debole…
- Sarita sta’ zitta. Prendi un asciugamani pulito e resta di là – intima Alex. Mi piace il suo tono. Sicuro, calmo, professionale. Sembra quasi che sia abituato a situazioni del genere.
- Alexis, ora ti porto di là. Ti farò male ma dobbiamo spostarci dalla porta – mi avverte lui bisbigliandomi all’orecchio. Io annuisco appena. In realtà non mi fa più così male il fianco. Anzi, ora che ci penso, non mi fa male più niente…
Quando riapro gli occhi sono distesa su un letto che non è il mio, in una stanza che non è la mia. Cerco di alzare la testa ma non riesco a muovermi di un solo millimetro, quindi cerco di parlare ma la voce non esce.
Che diavolo è successo? Dove sono? E come ci sono arrivata?
Poi lentamente la nebbia che mi opprime il cervello si dirada lentamente e comincio a ricordare. Il signor Bown era morto e quegli energumeni mi stavano inseguendo… il quadro! Cerco di nuovo di alzarmi. Questa volta mi sollevo di un paio di centimetri ma ricado subito sul cuscino. Perché mi sento così debole?
- Sei sveglia finalmente – dice una voce accanto a me.
Mi volto lentamente verso la voce e vedo Alex. Ma che ci fa lui qui? Poi mi ricordo. Era la sua la stanza in cui mi sono fiondata prima di…
- Sono svenuta vero? – domando con un filo di voce.
- Sì.
- Da quanto?
- Diverse ore ormai. Abbastanza perché arrestassero quelle persone. Alexis, ti va di spiegarmi cosa succede?
Il tono di Alex è tranquillo, pacato. Strano, mi aspettavo una sfuriata da autentico macho.
- E’ una storia piuttosto lunga. Hai detto che li hanno arrestati?
- Sì. Alexis, sto rischiando la galera per questa storia. Non importa se ci vorranno anni per sapere di che si tratta, voglio sapere che stai combinando.
Il suo tono ora è ancora pacato ma più duro, perentorio.
- Dov’è il quadro? C’era un quadro nell’ascensore – domando, ignorando la sua domanda. Non ho abbastanza energie per affrontare l’argomento.
- Non lo so. Nessuno ha nominato quadri. Probabilmente l’avrà preso la polizia. Alexis, non tergiversare. Voglio sapere che sta succedendo. Perché ti hanno sparato?
Ma io non ho voglia di parlare. Ci vorrebbero tempo ed energia e io non ne ho, soprattutto la seconda.
- Perché mi sento così stordita?
- Sono i tranquillanti, per il dolore al fianco. Perché quegli uomini volevano ucciderti?
- Non lo so. Stavo comprando un quadro quando… il venditore è morto e quelli… hanno cominciato ad inseguirmi… non lo so…
Non posso spiegargli tutta la storia. Ho bisogno di riflettere, di pensare. E non posso farlo mentre sto così male. Però non posso starmene qui ad aspettare che quelli si prendano il mio quadro. Anche se hanno arrestato i tre giganti, di certo l’Organizzazione ne manderà altri a finire il lavoro.
- Devo chiederti un favore. È importante, estremamente importante. Devo prendere quel quadro. Non lasciare che se lo riprendano. Devi portarmi quel quadro – biascico. Ora sì che sono veramente stremata. Ho bisogno di dormire.
- Dimmi perché. Perché quel quadro è così importante?
Ma io non rispondo. Ho solo bisogno di dormire.

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Capitolo 7
*** Hotel Fogliadoro II ***


- Ora mi dici che sta succedendo o ti spedisco in galera insieme ai tuoi amici, quant’è vero che mi chiamo Alex – sbraita non appena l’infermiera è andata via.
- Vuoi abbassare la voce? Ti sentiranno tutti – lo ammonisco mentre prendo le pillole con un po’ d’acqua. Spero che passi in fretta questo maledetto dolore, non lo sopporto più.
- Me ne frego che ci sentono. Sto rischiando la prigione per aiutarti e intendo sapere perché, maledizione!
In effetti, mi rendo conto che non deve essere stato facile per lui. Mi ha nascosta nella sua stanza, ha recuperato il quadro… ce n’è abbastanza per un’accusa di complicità. Fortuna che non ho fatto niente di cui lui possa essere complice. Solo che lui questo non lo sa.
Lui intanto mi fissa furioso e un tantino esasperato e io trattengo un sorriso. Mi secca ammetterlo ma quest’aria da maritino preoccupato lo rende tremendamente sexy.
- Se sei preoccupato per la tua fedina penale, puoi stare tranquillo. Non ho commesso nessun reato – lo rassicuro in tono acido, ma so che non basterà questo. Lui vuole sapere tutta la storia. Ma non la saprà mai.
- A no? E come mai di grazia vogliono ucciderti? So che sei una donna impossibile ma mi riesce difficile pensare che sia solo il tuo caratteraccio la ragione di questo casino… - ironizza lui.
Ora è davvero esasperato. Be’ in fondo sono giorni che continuo a girare in tondo alla faccenda, cercando una scusa qualsiasi. Ma non riesco a trovare nulla di normale per cui una studentessa debba fuggire da tre enormi sicari. E comunque se lo merita, visto il tipo di persona che mi ha reputata.
- Smettila di prenderti gioco di me. Voglio sapere la verità e non me ne andrò da qui finchè non me l’avrai raccontata tutta.
Dal tono mi sembra piuttosto convinto di quello che dice. Ed io per poco non scoppio a ridere: crede davvero che io abbia paura di lui?
- Come preferisci. Ma ti avverto, tra un po’ cominceranno ad arrivare i miei clienti. Spero che la cosa non ti dia fastidio. Tanto dovresti essere abituato, no?
Lui si zittisce e mi guarda storto ma io lo ignoro. Credeva davvero che non avrei ricordato la “generosa” Sarita in stanza con lui? E viene a fare a me la morale.
- Smettila di comportarti come una bambina capricciosa. Non devo dare a te spiegazioni su quello che faccio nel mio tempo libero. In fondo non siamo parenti, né amici, né fidanzati, né amanti, come hai sottolineato tu qualche sera fa, giusto?
Questo è uno di quei momenti in cui lo distruggerei con lo sguardo se potessi.
- Non ti ho chiesto spiegazioni. Era piuttosto chiaro cosa stava succedendo. Ma almeno risparmiami le tue scenate moraliste, ipocrita – replico furiosa.
Odio la sua aria di superiorità, visto che in fin dei conti, non c’è proprio niente in cui lui sia migliore.
- Vorrei ricordarti che ti ho salvato la vita. Almeno questo devi riconoscermelo.
Lo sguardo che mi lancia è pieno di sfida. Sul momento non rispondo, combattuta tra la voglia di prenderlo a schiaffi, e quella di ringraziarlo. In effetti, mi sembra di non averlo mai fatto da quando mi sono ripresa. Poi mi viene in mente il momento in cui quella… Sarita è uscita fuori, il suo aspetto sfatto: come ha potuto stringere e baciare lei, dopo aver stretto e baciato me?
- Nessuno te l’ha chiesto – rispondo dura e l’espressione di Alex vale più di mille risposte. Il fatto che mi senta in colpa guardando la sua aria ferita mi fa innervosire ancora di più.
- In fondo, non sono che una donna perduta per te, no? Cosa te ne importava di una prostituta di meno? Oh scusa, probabilmente l’hai fatto per non offendere Sarita…
Se uno sguardo potesse uccidere, credo che ora sarei agonizzante. La rabbia che c’è negli occhi di Alex adesso potrebbe mettere ko un intero plotone. Ma mi sforzo di voltarmi dall’altra parte e ignorarlo.
- Sai… - comincia ma si interrompe subito.
- No niente. Lascia perdere. Stammi bene, Alexis – dice dopo qualche minuto. Il tono è rabbioso e risentito e io preferisco non rispondere.
Vedendo che non intendo rispondere, si gira e se ne va da casa mia sbattendo la porta. Io continuo a fissare quella porta per un po’, sperando che la Divina Provvidenza decida di vendicarsi al posto mio e lo faccia rotolare per le scale. Se lo meriterebbe in pieno, accidenti a lui.
Mi alzo, imprecando per il dolore al fianco, e mi dirigo verso la mia camera da letto. Devo rivedere i fogli che ho trovato in quest’ultimo quadro. Dopo quest’aggressione non ho più nessun dubbio: l’Organizzazione mi ha trovata, non ho molto tempo per finire il lavoro che ho cominciato. Anche se è davvero una sfortuna che mi abbiano trovata proprio ora che avevo quasi finito, accidenti. Raggiungo il cassetto zoppicando e mi risiedo di botto sul letto non appena ho preso i fogli. Ma non passerà mai questo dolore lancinante?
Rileggo lentamente le poche pagine. Per fortuna che non ho mai avuto problemi a decifrare la scrittura di mio padre, penso con un sorriso. Possibile che non mi abbia lasciato nemmeno un indizio su chi sia questa gente? Che senso ha pubblicare la loro storia se non sappiamo chi siano?
Eppure in quelle pagine piene di misteri e di suspense non riesco a trovare nulla che possa svelare qualcosa sulla reale identità di quei personaggi fittizi. Tanti nomi, tanti luoghi ma niente che indichi quanto c’è di vero e quanto no. Se non fosse per i suoi appunti, i documenti, il suo diario, io stessa potrei pensare che si tratta solo di una storia molto fantasiosa.
Getto i fogli sul letto in un moto di stizza. Accidenti a te papà, penso guardando i foglietti sparpagliarsi sul materasso con un silenzioso fruscio.
Perché scrivere una storia vera se poi nessuno deve sapere quanto sia reale? Qual’era lo scopo di scrivere una storia per denunciare un’organizzazione criminale se nessuno poteva riconoscere le persone che si celavano dietro questi personaggi?
Eppure non riesco a credere che mio padre mi abbia affidato una missione del genere, conoscendo i rischi che avrei corso, senza un vero motivo. Ma qual è? Per chi è davvero questa storia?
Lo squillo del telefono mi strappa ai miei dubbi facendomi sussultare.
- Pronto? – domando dubbiosa. Non conosco il numero che sta chiamando e dopo quello che mi è successo ultimamente, ho una paura del diavolo.
- Buongiorno principessa – mi saluta allegra la voce di Giulio dall’altro capo della linea.
- Ciao – lo saluto a mia volta con un sorriso. Che bello sentire una voce amica!
- Ho saputo che non te la passi tanto bene.
Ora il suo tono è serio, leggermente preoccupato.
- Niente di grave. Tra qualche giorno starò benissimo – lo rassicuro. Ecco qualcuno che si preoccupa veramente per me. Non come altra gente.
Chiacchieriamo per un po’, in parte della mia disavventura (mia madre ha sparso la voce che ero lì per incontrare un’amica quando hanno cominciato a sparare e mi hanno colpita per sbaglio) e un po’ delle novità in università.
- Cos’hai da fare questa sera? – mi domanda dopo aver terminato le chiacchiere inutili.
- Folleggiare tutta notte con i miei amanti segreti – rispondo sarcastica. Non l’ho più visto dalla sera della festa ma avrà anche lui la sua ramanzina. Per quanto so che la colpa è stata di Alex, di certo anche lui non è del tutto innocente. Avrebbe potuto comportarsi più da persona matura ed evitare quella commedia.
Lui infatti tossicchia imbarazzato.
- Oh, già… quella storia… ne ho sentito parlare… mi dispiace Alexis, non pensavo… che ne dici se ne parliamo stasera a casa tua, davanti a una cena? Un amante appassionato come me ha bisogno di compagnia.
Io non rispondo e ci penso per un po’. Una cena a casa mi sembra in effetti un po’ troppo oltre a quella che era la mia idea di rapporto con Giulio, considerando che è ancora il mio professore. Ma io non posso certo muovermi e poi, penso irritata, ormai lo sanno tutti che siamo amanti e che sono una donna perversa.
- Se non ti dispiace assistere una povera malata…
- Ho sempre desiderato fare l’infermiere da piccolo. Ho lo spirito da crocerossina io, te l’avevo mai detto? – ironizza e io scoppio a ridere. Al diavolo quello che penserà la gente (perché non c’è dubbio che lo verranno a sapere tutti, dalla sera della festa sono sorvegliata a vista come una serial killer). Un paio d’ore in compagnia, una compagnia così piacevole per giunta, mi faranno bene di sicuro.
- Sai dove abito? – domando, sospettando che la risposta sia sì.
- Certamente. Per che ora preferisci?
- Per le nove sarebbe troppo tardi? Il fatto è che prima verrà mia madre per assicurarsi che non sia morta e non credo che tu voglia sottoporti al suo interrogatorio… - propongo. In realtà mia madre se ne andrà prima delle nove ma voglio avere il tempo di aggiustarmi un po’. A furia di starmene su questo divano devo sembrare una sciattona.
- Per le nove mi sembra splendido. Anche perché se faremo più tardi del previsto, forse riesco a convincerti a farmi restare lì – azzarda.
Io rido ma so già che non succederà mai e poi mai. Di certo non ora, non qui, non mentre sono in queste condizioni pessime.
Ci salutiamo e mi stendo sul letto sorridente, ad occhi chiusi. Subito dopo però il sorriso scompare e mi sento terribilmente triste. In colpa quasi. Cosa sto facendo?
Giulio è il mio professore, e già questo è un bel problema. Se aggiungiamo poi che d’ora in poi dovrò guardarmi le spalle da una mega organizzazione segreta che intende uccidermi e che non si farà problemi nell’uccidere anche tutti quelli che mi conoscono…
Tuttavia non me la sento di rinunciare alla sua compagnia. So che è da egoisti ma con lui sto bene. E poi mi sembra giusto che paghi un piccolo prezzo per una compagna come me. Anche se forse dal suo punto di vista non è proprio un prezzo piccolissimo...
Guardo di nuovo i fogli sparsi sul letto con una smorfia. Certe volte sarei felice di bruciarli tutti e mandare a quel paese l’intera faccenda. Godermi una vita normale insomma. Ma ho come l’impressione che anche senza fogli, la mia vita resterebbe un casino.
A fatica li raccolgo tutti e li rimetto al loro posto, ben nascosti, quindi torno sul divano. Questo dolore al fianco è ancora insopportabile. Mi riposerò un po’ e poi cercherò di darmi una sistemata.
Poco dopo arriva mia madre e in men che non si dica la casa è uno specchio e io sono quasi pronta. Sono già vestita e pettinata, devo solo truccarmi un po’. Il mio pallore caratteristico sembra essersi accentuato dopo tutto il sangue che ho perso, tanto che mia madre ha avanzato l’ipotesi che per un errore genetico il mio sangue non si rigeneri. Le ho tirato un cuscino per tutta risposta.
- Ma sei proprio sicura che sia un uomo vero? Non è che l’infermiera oggi ha esagerato con i tranquillanti, tesoro? – domanda mia madre in tono preoccupato.
- Grazie per la fiducia, mamma. Comunque sì, credo che si possa definire abbastanza vero – replico acida. Mia madre che mi prende in giro è davvero il colmo. Spero almeno che lo dica per prendermi in giro… Ma cosa credono, che sia un’arpia?
- Guarda che se lo dici solo per farmi andare via, non c’è né bisogno, vado via lo stesso – insiste.
- Mamma!
Non so se devo essere offesa, preoccupata o stizzita. Mia madre che fa la simpatica è proprio assurdo, mia madre alza la testa se le dici che c’è un asino che vola. Ma l’idea che creda davvero in quello che sta dicendo è ancora più preoccupante da un certo punto di vista.
Comunque dopo avermi osservata ancora qualche minuto, sospira in modo molto melodrammatico come le riesce bene e mi saluta. Io la guardo sparire dietro la porta e resto per un po’ a pensare, poi mi decido ad alzarmi. Devo truccarmi almeno un pochino prima che arrivi Giulio.
Al contrario di certe persone ritardatarie, Giulio è puntualissimo. Alle nove precise il campanello suona e arranco fino ad aprire.
- Mi scusi cercavo una mia amica… è malata, sofferente e ha richiesto le mie cure… - comincia dopo aver lanciato un elegante fischio di ammirazione.
Lo faccio entrare con un sorriso e gli mostro la cucina. Lui appoggia le varie buste che trasportava e si guarda intorno.
- Mi piace. Semplice e accogliente. È proprio come te – si complimenta annuendo.
Gli faccio fare un breve giro della casa, cercando di zoppicare il meno possibile, quindi torniamo in salotto. Mi siedo con un sospiro di sollievo e lui deve essersene accorto perché mi guarda con aria ammonitrice.
- Non so cos’hai, ma non credo che debba continuare a girovagare per la casa. Sono o no il tuo maggiordomo?
- Mi sembrava di aver chiamato per un infermiere…
Lui sorride. Mi piace da matti quando sorride. È talmente bello quando sorride che potrei innamorarmi di lui solo per quello.
- In realtà ho anche una laurea in medicina. Faccio il maggiordomo solo nel tempo libero e solo per le persone speciali – mi avverte.
- Spero che tu sappia fare anche il cuoco, perché non sono in grado di cucinare stasera – azzardo. In realtà non intendo davvero metterlo ai fornelli, ho già preparato il numero di un buon ristorante accanto al telefono, ma mi piace stuzzicarlo un po’.
Con mia grande sorpresa invece vedo che sorride trionfante e comincia ad uscire un’infinità di contenitori dalle buste poggiate sul tavolo.
- Come desidera mia signora. Spero che il menu sia di suo gradimento. Per questa sera sono previsti antipasti di mare, spaghetti alla polpa di granchio, trionfo di spigola al cartoccio, frutta di stagione e soufflé.
Io sgrano gli occhi.
- Guarda che non intendevo sul serio…
- Io invece sono serissimo. Allora va bene?
Assumo l’aria più contrita che mi riesce.
- Mi dispiace tanto… è stato un pensiero dolcissimo il tuo ma… sono intollerante al pesce…
La sua faccia in questo momento è da oscar, penso subito prima di scoppiare a ridere.
Lui fa un’espressione un po’ confusa, quindi cerca di sembrare offeso, ma si vede benissimo che ride sotto i baffi.
- E così vi prendete gioco di me mia signora. Forse non vi fidate delle mie arti culinarie?
- Non saprei… se cucini come spieghi… - lo canzono io.
Questa volta fa una buffissima espressione da lupo di mare.
- Lei mi sta sfidando, dolcezza. Ma attenta, stai giocando col fuoco…
Io rido ancora più forte. Ho fatto bene ad accettare questa cena.
Dopodiché Giulio si dedica alla preparazione del suo complicato menù, senza smettere per un momento di parlare. Se non avesse fatto il professore, di certo avrebbe avuto successo in politica. Non ho mai conosciuto nessuno che parlasse così tanto. Potrebbe fare concorrenza a mia madre. E non è positiva la cosa.
Mentre la pasta e il “trionfo al cartoccio” cuociono lentamente, apre una bottiglia di vino e mi offre il bicchiere.
- Che ne dici di brindare?
- A cosa? – domando prendendo il bicchiere. Lui intanto si siede sulla poltrona al mio fianco. Ha un aspetto meraviglioso con questa camicia sportiva. E sembra essere perfettamente a suo agio.
- A te, ovviamente. Alla tua guarigione. L’università è lugubre senza la tua presenza luminosa.
Rido di nuovo. Mi sembra di essere tornata al Rinascimento in questo momento.
- Chissà cosa direbbe il consiglio di amministrazione se ti sentisse parlare così ad una tua alunna – lo stuzzico sorseggiando il vino. È squisito, deve essere un’ottima annata.
- Sono certo che sarebbe d’accordo con me. Quando si ha di fronte una dea, non ci si può fermare ai dettagli come i ruoli sociali.
Sembra completamente convinto di questa teoria e io arrossisco leggermente. Nessuno mi aveva mai definito una dea e devo ammettere che è tremendamente piacevole sentirsi così apprezzate. Sempre meglio che sentirsi considerate delle prostitute, penso stizzita.
Dopo il brindisi cala il silenzio per qualche minuto, mentre Giulio mi fissa spudoratamente.
- Cosa c’è ora? – domando dopo un po’.
- Sei bellissima. È assurdo pensare che abbia viaggiato per anni alla ricerca dei tesori più belli e invece dovevo solo venire qui, a due passi da casa mia – risponde serio, senza smettere di guardarmi.
Abbasso lo sguardo mentre arrossisco di nuovo. Devo essermi ammalata perché arrossisco troppo spesso ultimamente. Però è piacevole in questo caso. Intanto Giulio si alza e torna in cucina e lo sento muovere mestoli e coperchi.
Qualche minuto dopo siamo seduti a tavola. Devo ammettere che è un cuoco favoloso. Non smette mai di sorprendermi questo bizzarro professore con l’aria da minorenne.
Anche durante la cena la conversazione scorre piacevole e fluida. Giulio continua a raccontare un sacco di dettagli delle sue ricerche, dei suoi viaggi e della sua fortunata carriera, aiutata come ammette lui stesso dalla parentela con un famoso storico e giornalista. Quando non parla della sua amata storia, non fa che sbrodolare complimenti che io ignoro gentilmente con un sorriso.
Ecco un’altra cosa che mi piace di Giulio: con lui sono perfettamente padrona di me stessa, niente comportamenti o pensieri fuori luogo con lui, anche perché non è tipo da suscitarne. Quando sto con lui sono rilassata, perché non mi sento in pericolo. Una caratteristica non comune a tutti, a quanto pare.
- Ho visto che hai un sacco di libri sulla storia dei simboli – dice tra un boccone e l’altro di cartoccio.
- Ti avevo già detto che mio padre era un appassionato. Ho ereditato sia la passione che i suoi libri – spiego prima di bere un po’ di vino. Sembra davvero interessato e la cosa mi fa piacere: solitamente, con tutti gli altri (pochini a dire il vero) uomini con cui sono stata quando accennavo per sbaglio alla mia passione per la storia mi sentivo un extraterrestre.
- Cos’altro devo sapere di te? Oltre che ti piace la storia, che sei orfana e che sei intollerante al pesce? – domanda con un sorrisetto ironico, facendomi ridere.
- Non c’è molto altro da dire a dire il vero…
Per la prima volta mi sento in colpa nel mentire così spudoratamente. Sa davvero dovessi dire il vero, potrei parlare per ore e alla fine fuggirebbe a gambe levate.
- Dev’esserci qualcosa… qualche segreto inconfessabile…
Per poco non mi soffoco con il boccone. Ingoio con difficoltà e cerco di mascherare con un sorriso il mio disagio. Lo sta facendo apposta?
- In effetti, ce ne sarebbe uno… ho un altro amante. Non ti dispiace vero? – lo provoco con un’occhiataccia. Ora che ci penso, non ho ancora sentito le sue scuse per quella storia.
Lui sorride imbarazzato, con aria colpevole.
- Touchè. Ma non mi sembra un gran segreto. Sapessi quante professoresse in università ne hanno… anche quelle da cui non te lo aspetteresti mai… - ironizza, poi sorseggia il suo vino con fare misterioso.
Lo rimprovero con gli occhi ma non posso fare a meno di ridere. Certo che è un maestro in quanto a elusione degli argomenti che non gli piacciono.
- Va bene, faccio il serio per un minuto. Mi dispiace per quella storia. Ma ha cominciato lui – si difende.
- Questo lo so. Ma invece di dargli corda avresti dovuto comportarti da persona matura e andartene – gli faccio notare, riprendendo a mangiare lentamente.
- Hai ragione. Ma non ci sono proprio riuscito. Quell’aria da damerino prepotente non la sopporto, soprattutto su uno che si permette di dire certe cose di una signora…
Lascia cadere questa mezza accusa con non curanza ma il suo tentativo va assolutamente a vuoto con me. So che sta facendo, vuole vedere cosa mi ha raccontato Alex, vedere se lo difendo. Decido di non stare al gioco. Qualsiasi cosa si siano detti quella sera ormai è acqua passata e non mi va di rovinare questa serata perfetta parlando di Alex.
- E tu invece? Oltre ai viaggi, alle lezioni e ai corsi di cucina… che altro c’è da sapere di te?
Lui si limita a fissarmi senza rispondere per un lungo momento, poi sorride.
- Che sono un bugiardo. In realtà non ho mai seguito dei corsi di cucina, queste squisitezze le ho comprate dal ristorante all’angolo di casa mia. Poi… che sono un maniaco pervertito, ho una mia alunna come amante, ma questo forse l’hai sentito in giro…
Io gli scocco un’occhiataccia. Molto divertente davvero. Lui mi risponde con un sorrisetto ironico.
- Oh giusto, dimenticavo che in realtà non sono un professore ma un agente segreto del Male e l’università è solo una copertura. Sto svolgendo una missione per un pezzo grosso della mafia araba che ha deciso di rapire una splendida fanciulla e portarla nel suo harem e poi distruggere il resto del mondo…
Gli lancio il tovagliolo centrandolo in pieno sul viso e lui ride.
- Sapevo che non mi avresti creduto, è per quello che non ti ho detto prima la verità. Ma credimi, ora sono pentito e voglio solo un’altra possibilità con te. Basta donne, basta soldi, basta pallottole, solo io e te e i nostri quindici figli… - continua in tono melodrammatico ma con quella che vorrebbe essere credo la sua aria da ammaliatore. So che ridendo lo smonterò del tutto, ma come faccio a restare seria?
Anche se devo ammettere che per un momento il mio sorriso ha vacillato, quando ha pronunciato le parole “agente del Male”. È come se un campanello avesse suonato dentro di me, certa che stava per dire “agente di un’Organizzazione del male”. Ma è solo la mia paranoia, meglio andare oltre.
Continuiamo la cena fino al dessert, poi lui mi obbliga a sedermi mentre rimette in ordine in cucina. Io lo osservo mentre cerca fra i pensili il posto di ogni cosa. Sembra davvero a suo agio in questo momento, come se cenassimo insieme da una vita. E anche io mi sento stupendamente a mio agio con lui.
- Hai continuato a leggere il libro? – domanda dalla cucina.
Io faccio un sorrisino colpevole che lui non vede, visto che mi da le spalle.
- Sì ma vado a rilento. Sono impegnatissima in questo periodo – mento, sbirciandolo da sopra il bordo del divano. Non sembra essersela presa.
- Non è che sono in cerca di lodi e non voglio sembrarti pesante. È che sto lavorando a un nuovo libro e, visto che sei così preparata sulla storia, mi chiedevo se non potessi darmi una mano…
- Di cosa si tratta?
- Il libro in generale di associazioni segrete del passato. Templari, massoni… quella roba lì. Però il tuo aiuto mi servirebbe per una parte in particolare. Un mio amico ha trovato alcuni documenti in codice in una basilica sotterranea che hanno appena scoperto sotto una montagna in Inghilterra, ma non riesco a decifrarli, o meglio a interpretarli.
- Non so se sarei in grado di aiutarti. In fondo il mio è un sapere preso dai libri – replico e lui si gira per farmi una smorfia. È così che ha definito la mia conoscenza della storia alla prima lezione. Comunque non è del tutto falso. Non ho mai approfondito molto oltre gli appunti di mio padre e la parte che interessava il mio libro, non credo che sarei in grado di arrivare dove non riesce un professore competente.
- In realtà non mi serve qualcuno di preparato. È proprio quello il problema forse.
Io lo guardo interrogativa ma lui continua a darmi le spalle.
- Che vuoi dire?
- Vedi, il fatto è che confrontando i simboli con i codici di decifrazione che ho io, credo di aver trovato quello giusto, uno risalente più o meno ai romani. Però decifrandolo con quel codice, il messaggio non ha nessun senso. Evidentemente è un documento importante e chiunque l’abbia scritto ha usato un segreto dentro il codice segreto, capisci? Come se avessero usato i simboli segreti con un ordine segreto o qualcosa del genere. Mi serve quindi qualcuno fresco, che non conosca nulla di questa faccenda, qualcuno che veda il foglio e usi la sua creatività per capire il passaggio che ci manca.
Io non rispondo, ci penso un po’ su. In effetti, è una teoria che ha senso. Non sarebbe la prima volta che gli antichi cambiano l’ordine dei simboli per nascondere meglio il messaggio. Proprio come ha detto Giulio, un segreto dentro un segreto. Ed effettivamente di solito riesce a scoprire il segreto più colui che non ne sa nulla che colui che ha studiato a fondo. Qualcosa a che fare con i pregiudizi mentali credo.
- Mi faresti davvero un gran favore se accettassi. Sento che sono importanti e sarebbe fantastico inserire un documento così fresco nel libro, lo renderebbe davvero aggiornato – insiste vedendo che non rispondo.
Io però sono ancora titubante. Non so perché ma di nuovo sento un fastidioso campanello suonare nel mio cervello e la cosa mi irrita. Meno di un’ora fa ho pensato che con Giulio stavo bene perché non mi sento in pericolo ed ecco che questo dannato campanello non fa che interrompermi.
Intanto Giulio mette al suo posto anche l’ultimo dei bicchieri e si avvicina a me, sedendosi di nuovo sulla poltrona di fianco al divano.
- Facciamo così. Io domani ti porto le fotocopie di tutti i documenti e del codice di decifrazione. Tu te li guardi un po’, ci rifletti su e se ti viene un’idea, passi dal mio ufficio ed entri nel progetto, altrimenti sarà stata una scusa per vederti anche domani. Va bene così?
Di nuovo il campanello.
Al diavolo.
Annuisco e lui sorride soddisfatto.
Parliamo un altro po’, poi accendiamo la tv e lui si siede accanto a me su divano, poggiandosi le mie gambe sulle sue per farmi restare stesa e parliamo ancora, discutendo dei programmi che ci capitano a tiro di telecomando. Sembriamo una coppia di sposi, seduti sul divano a parlare di tv con interesse e naturalezza come se fosse la fame nel mondo. È bellissimo. Mi da una sensazione di serenità splendida.
- Ora credo che sia proprio il caso di andare – mi avverte dopo un’occhiata all’orologio.
Anche io guardo il mio e mi accorgo per la prima volta che sono le due passate. Accidenti come vola il tempo con lui!
Lo accompagno zoppicando alla porta, nonostante tutte le sue proteste da maritino preoccupato.
- Allora a domani mia splendida principessa malata.
Il suo sguardo ora è serio e profondo. E anche un po’ indiscreto, visto che sembra che mi stia spogliando con gli occhi. Ma non mi da fastidio, è un’indagine discreta la sua, piuttosto piacevole anzi.
- A domani, prof. E grazie della compagnia. Sono stata benissimo stasera.
- Lo spero. Con quello che ho pagato al ristorante per la cena…
Io rido di nuovo. È bello stare con qualcuno che ti fa ridere così tanto. Era da un po’ che non mi succedeva.
- Anche io sono stato bene. Spero che questo ti convinca che non sono quel maniaco che credi… mi piaci davvero Alexis, non è il capriccio per una studentessa.
Ora è tremendamente serio e io arrossisco un’altra volta, distogliendo lo sguardo. Comincio ad abituarmi.
- Buonanotte – lo saluto. Se resta ancora un po’ sul pianerottolo finirò con il pregarlo di restare ancora un po’ e non sarebbe affatto un bene.
- Buonanotte – risponde e si dirige verso le scale. Io lo guardo scendere qualche gradino, poi chiudo lentamente la porta, chiudendo gli occhi. Quant’è faticoso essere impeccabili!
Sto per andare a sedermi di nuovo sul divano (è tardissimo ma non ho assolutamente sonno, sarà l’effetto del vino) quando suonano alla porta.
Mi volto aggrottando la fronte. Che Giulio abbia dimenticato qualcosa?
- Ho dimenticato una cosa – dice infatti non appena apro la porta, poi mi bacia.
È un bacio lento, delicato, intimo. La migliore buonanotte della mia vita.
- Buonanotte, principessa – sussurra quando si stacca da me, con mio enorme disappunto. Non volevo che questo bacio finisse, non ancora.
Scende di nuovo le scale e io resto di nuovo a guardarlo, sperando che torni di nuovo indietro ma anche che sparisca. Se tornasse non credo che riuscirei a resistere dal chiedergli di restare.
Arrivato all’ultimo scalino prima di sparire alla mia vista si volta e mi manda un bacio con la mano.
Io rido e ricambio il bacio, poi scompare dietro il muro.
Accidenti alla mia stupidità! Per una volta, avrei dovuto fregarmene delle regole. Delle mie stesse regole.

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Capitolo 8
*** Confessione ***


Guardo fuori dalla finestra. Quel giorno fu uno dei più importanti, non solo per questa storia ma per la mia vita in generale. Fino a quel momento la mia vita era stata pieno di segreti e sotterfugi ma mai veramente in pericolo, sul filo del rasoio ma non tragicamente in bilico. Da quel giorno invece, cambiò tutto: ciò che fino ad allora avevo fatto per abitudine, come parte di un gioco misterioso e appena un tantino pericoloso, ma in cui ancora non credevo più di tanto, all’improvviso diventò una realtà spaventosa e pericolosissima. Come le bambine che giocano a fare le streghe e ad un certo punto scoprono che quelle filastrocche hanno davvero risvegliato un potere oscuro e maligno.
Soprattutto, credo che fu importante perché per la prima volta non riguardava me sola. Era un giorno della mia vita ma cambiava irreparabilmente anche quella di altre persone, in modo profondo e per la maggior parte ignoto sia a me che ai diretti interessati. Ma ora, col senno di poi, mi sembra così chiaro quanto quel giorno fu decisivo per le vite di molti, che mi riesce difficile capire come sia stato possibile che nessuno di noi, nessuna delle persone coinvolte allora, se ne sia reso conto.
Probabilmente, il motivo è che stavano succedendo così tante cose tutte insieme, che nessuno di noi ebbe mai davvero il tempo di fermarsi a pensare. Perché in fondo, anche se la giornata dell’omicidio all’hotel fu la prima della serie, non fu certo l’unica così intensa e nemmeno la peggiore, anzi…
Inoltre, gli eventi strettamente legati alla mia missione segreta non erano gli unici a susseguirsi a ritmo incessante.
Se c’è una cosa che accomuna tutte le catene di eventi, misteriosi, banali, pericolosi o quotidiani che siano, infatti, è che uniscono immancabilmente tutti i partecipanti in una complicata rete di relazioni, senza curarsi che essi siano amici, nemici, conoscenti, innocenti, innamorati.
Una rete invisibile ma fitta a cui nessuno può sottrarsi, che spesso, molto spesso, decide al posto tuo, rendendo tutto più complicato e difficile. O emozionante, a seconda dei punti di vista.
E dopo l’omicidio all’hotel, quella rete cominciò a stringersi attorno a noi, sottile ma resistente, plasmando le nostre vite senza che potessimo rendercene conto, legandoci tutti insieme in un destino comune. Nel bene o nel male. Finchè morte non ci separi, mi viene da pensare, con un brivido. Ma anche con un sorriso, se penso al mio splendido marito.

 
 
25 MARZO 1996
- Tesoro, sai che potrei ucciderti e continuare a vivere la tua vita? – mi canzona Linda dall’altra parte della linea e io sorrido. Non ti converrebbe affatto amica mia.
- Cioè solo a te poteva capitare un’avventura del genere! È meraviglioso, spettacolare… - continua entusiasta.
- Linda, avrebbero potuto uccidermi – le faccio notare mentre apro l’armadio e comincio a cercare una maglia carina.
- Ma non l’hanno fatto, no? In compenso sei stata salvata dal più affascinante degli stranieri e coccolata da una specie di Indiana Jones versione giovane e sexy…
- Che si dà il caso sia il mio professore – la interrompo di nuovo. Scelgo quella color pesca.
- Appunto! Nemmeno nei romanzi succedono così tante cose splendide tutte insieme!
È inutile. Proprio non riesce a capire che sarei potuta morire. Il fatto che ci fosse Alex a salvarmi e Giulio a consolarmi rende tutta la faccenda splendida per lei. Assurdo.
- Sto partendo ora da casa. Dammi dieci minuti e sono da te se questo cretino davanti a me si ricorda dove ha lasciato l’acceleratore e parte – mi avverte lei quasi ringhiando contro il tizio.
- Va bene. Pensi che sia meglio il pantalone nero o quello beige? – le domando prima che attacchi.
- Quello beige. Ti fa un bel sedere – risponde e attacca. Vada per quello beige.
Evidentemente il guidatore davanti a lei deve essersi ricordato dove aveva lasciato l’acceleratore perché nemmeno dieci minuti dopo suonano al campanello. Corro ad aprirle e torno in bagno, chiedendole di cercare il fermaglio con gli strass nella borsa.
- Ecco il fermaglio. Ora raccontami tutto per bene – dice non appena entra nel bagno, porgendomi il fermaglio.
Lo afferro e cerco disperatamente di dare un senso ai miei maledetti capelli, oggi più crespi che mai.
- Ti ho già detto tutto al telefono. Non saprei che altro aggiungere.
- Non hai capito. Voglio tutti i minimi particolari della cena. E dico tutti – mi avverte con un’occhiata da esperta conoscitrice del mondo, che mi fa ridere sempre.
Ricomincio quindi il racconto, cercando di soddisfare la sua voglia di particolari mentre scelgo la borsa e la riempio con tutto l’occorrente. Lei mi ascolta rapita, interrompendomi solo per qualche esclamazione di quando in quando.
- Io davvero non ti capisco Alexis. Perché mai l’hai fatto andare via? – mi domanda scandalizzata.
- Perché è il mio professore, perché non è il mio ragazzo e perché sono ferita se te lo sei scordato – le ricordo con un sorriso.
- Di tutte e tre, solo la ferita può essere considerata una ragione valida. A proposito, ti fa male? Sei sicura di voler arrivare fino al museo? Sarà aperto per tutta la settimana…
- Non troppo – mento. Mi fa male parecchio, anche se meno di ieri grazie a tutti gli antidolorifici che ho ingurgitato. Non posso assolutamente mancare a questa mostra, metteranno in esposizione uno dei quadri che mi mancano della lista di mio padre. È un’occasione d’oro, non dovrò nemmeno ingaggiare un ricercatore d’arte e non posso rischiare che l’organizzazione lo prenda. Se l’altra volta hanno rintracciato Bown, devo presumere che abbiano anche loro la loro lista.
- Meglio così. Tanto prendiamo la macchina, quindi se ti comincia a far troppo male, avvertimi e torniamo sul divano – mi rassicura seguendomi in cucina.
- Se hai preso tutto, direi di cominciare ad avviarci. Ci sarà un mucchio di gente e non voglio che mi rubino il quadro migliore – ironizza Linda aprendo la porta. Con quello che guadagna come commessa non potrebbe comprare nemmeno il vino che offriranno alla mostra, figuriamoci uno dei quadri.
Come al solito, riuscire a spostarsi con la macchina in questa città è un rebus ma per fortuna riusciamo a raggiungere la galleria in solo il triplo del tempo che ci avremmo impiegato per arrivare a piedi, se fossi stata in grado di camminare così a lungo.
Non appena entriamo mi guardo subito intorno alla ricerca del quadro di mio padre ma da qui non riesco a vederlo. Però resto stupita nel vedere quanta gente sia già arrivata. Eppure è aperto da meno di un’ora.
Non mi piace, più gente c’è più sarà difficile notare qualcosa di strano. In fondo da quel giorno all’hotel quegli uomini mi hanno vista in viso, ora sanno chi cercare. Ma non mi sembra di vedere nulla di sospetto per il momento.
- Alexis sta calma. Dietro di te, vicino a quella colonna, c’è il tizio americano, quello del cornetto – mi avverte Linda artigliandomi il braccio.
Io faccio una smorfia. Maledizione. È peggio di una persecuzione.
- Non lo saluti? – mi domanda Linda, riavviandosi i ricci che le scendono sul viso. Sono la sua disperazione ma io ucciderei per dei capelli come i suoi.
- No – rispondo secca, avvicinandomi al quadro più vicino. È orribile ma non voglio parlare di Alex.
- Alexis non fare l’idiota. Non è un mondo in cui puoi conoscere un figo del genere e ignorarlo – mi rimprovera Linda scandalizzata. Ho il sospetto che in realtà ci tiene così tanto solo per essere presentata.
- Sono sicura che non vorrebbe farsi vedere a parlare con una prostituta – replico acida, fingendo di interessarmi a un altro quadro. È tremendo anche questo. Mi chiedo come mai abbiano esposto il quadro di mio padre in mezzo a questa spazzatura.
- Una prostituta a cui ha salvato la vita. E poi è una storia vecchissima ormai, non se la ricorda più nessuno.
Io mi volto verso di lei allibita. Quella serata maledetta è stata meno di un mese fa e lei già la definisce antichissima!
- E’ incredibile come un paio di begli occhioni distruggano ogni senso di giudizio in quel tuo cervellino – le faccio notare cercando di sembrare meno interessata possibile.
- Ti sbagli mia cara. I suoi occhioni non mi fanno nessun effetto. I suoi pettorali, il suo sederino rotondo e quell’aria da ricco playboy però…
Scuoto la testa lanciando uno sguardo al cielo. È veramente incorreggibile.
E comunque non mi importa. Non rivolgerò mai più la parola a quell’affascinante cafone. Soprattutto dopo che mi ha salvato la vita. Altrimenti dovrei rispondere alle sue domande, il che è assolutamente fuori questione.
- Va bene. In questo caso allora… non ti importa che sia qui con una splendida biondona alta quasi quanto la Tour Eiffel, vero? – insiste.
Le lancio un’occhiataccia ma agito la mano come se non me ne potesse importare di meno. Il che è vero, non mi importa. Però sono curiosa di vedere chi ha sostituito la “generosa” Sarita. Linda ha ragione, è semplicemente infinita quella tizia, sarà alta una decina di metri o giù di lì. Ed è praticamente nuda. Sembra appena uscita dalla copertina di Playboy.
Faccio un’altra smorfia e torno a guardare il quadro davanti a me. Non mi sarei dovuta aspettare niente di meglio da uno come lui, è l’unico genere di donna con cui può avere qualcosa in comune. Moralista ipocrita.
Comunque ho cose più importanti da fare. Trascino Linda alla ricerca del quadro di mio padre, sforzandomi di ignorare la presenza di Alex. Da quando l’ho visto però mi riesce impossibile ignorarlo. È come se dentro la mia mente ci fosse uno di quei radar termici e anche quando è tecnicamente fuori dalla mia vista io avverta la sua presenza come una macchiolina giallo-arancio a forma di uomo.
 - Ecco un quadro decente – mi sussurra Linda trascinandomi verso destra. Non appena lo vedo sorrido raggiante. È il quadro che cercavo, quello di mio padre. Brava Linda.
- Hai ragione è stupendo – mormoro. Darei chissà che per poterlo comprare subito. Ho paura a lasciarlo qui. Però so che non posso farlo, finchè c’è Linda. Anche questa volta dovrò infatti usare un nome falso e non saprei proprio come spiegare alla mia amica il perché.
Cerco nella borsa il bollino rosso che ho portato da casa. Lo attaccherò al quadro per far vedere che è stato acquistato e passerò domani a ritirarlo. Mi costa aspettare ma è necessario.
Finalmente l’ho trovato. Lo tengo stretto nel pungo così perché Linda non lo veda e mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa con cui distrarla mentre appiccico il mio bollino. Finalmente trovo un bel ragazzo in vista e lo faccio notare anche a lei. Ovviamente si volta subito e comincia a squadrarlo commentando a bassa voce. Mi volto velocemente e allungo la mano per attaccare il bollino prima che perda interesse ma rimango con la mano alzata a metà mentre non posso impedire alla mia bocca di spalancarsi.
Appena un secondo prima che io attaccassi il mio bollino, un signore dall’aria distinta attacca il suo.
Non può essere. Questo ha deciso di morire. Eppure non è così vecchio e non sembra nemmeno malato.
- Mi scusi, ma stavo per attaccare il mio bollino – gli faccio notare secca, mostrandogli il bollino.
- In questo caso mi rincresce molto – risponde lui galante e si gira per andarsene.
Forse non ci siamo capiti.
- Mi scusi – ripeto alzando un po’ la voce. So che è una pessima idea ma non posso farmi rubare il quadro in questo modo. Quel quadro è mio. Mi appartiene per diritto genetico. Non dovrei nemmeno pagarlo.
Lui si volta di nuovo, con il sorriso galante stampato in faccia. Già lo odio.
- Come le stavo dicendo prima che si voltasse con elegante maleducazione, volevo acquistarlo io questo quadro, stavo per prenotarlo – ripeto con voce calma, sfoggiando un sorriso che ha ben poco di amichevole.
- E come le ho detto, mi rincresce moltissimo. Ma non lo aveva ancora fatto, giusto? – domanda. Ha un leggero accento francese. Odio i francesi.
- Ma stavo per farlo – ripeto con aria da donna-squalo. Sono una maestra nello sfoggiare quest’aria.
Linda accanto a me mi fissa interdetta ma non le do’ retta. Non è il momento, le spiegherò più tardi.
- “Stare per” non indica un futuro? Io l’ho comprato nel presente. Mi spiace, ma credo che in affari sia considerato più importante del futuro.
Quel sorriso idiota mi sta facendo alterare. Ma siamo in pubblico e io voglio quel quadro. Potrei tirargli la borsa in testa, staccare il quadro e fuggire ma ho la vaga impressione che non funzionerebbe.
Lo fisso senza smettere di sorridere cercando il più velocemente possibile una soluzione a questo problema. Non posso tirare in ballo l’organizzatore della mostra perché il mio bollino è un falso per così dire, non ho svolto nessuna trattativa per averlo, darebbe ragione a lui. Probabilmente mi caccerebbe anche dalla galleria, e non posso fare una scenata davanti a tutti, figuriamoci spiegare perché questo quadro è così importante.
- Effettivamente, forse ha ragione lei… - comincio sfoggiando il sorriso migliore del mio repertorio.
- Ma quando voglio qualcosa, solitamente la ottengo, signore.
Lui scoppia a ridere.
- Ne sono certo. Sfortunatamente vale lo stesso per me.
Maledizione. Ma non può semplicemente scusarsi e lasciarmi prendere il mio quadro? In fondo ce ne sono altri mille, di certo di maggior valore in questa galleria. Perché deve proprio complicarmi la vita?
- Posso farle una domanda, signorina? Perché vuole così tanto questo quadro? – mi domanda poi, facendo impallidire il mio sorriso smagliante. Accidenti a te.
- Questioni affettive. E poi si lega meravigliosamente con la tinta del mio divano – rispondo, irritata. Quanto la fa lunga, per un quadro che non ha mai sentito nominare.
- E lei invece? Perché lo vuole? Così confrontiamo le motivazioni e se lo prende quello con la motivazione migliore – azzardo, già sapendo che è stupida la cosa.
- Mi spiace, credo che la mia motivazione sia meno nobile della sua. Non sono io a volere questo quadro ma la mia accompagnatrice e io voglio la mia accompagnatrice.
Si avvicina ancora di più a me con un sorriso da squalo anche lui.
- A meno che non voglia essere la mia accompagnatrice al suo posto. In questo caso la questione sarebbe risolta – mi bisbiglia all’orecchio.
Sulle prime non rispondo. Magari potrebbe essere un’idea. In fondo è abbastanza giovane e non eccessivamente brutto e sarebbe davvero un modo semplice per risolvere la questione. Ma poco più dietro del mio avversario vedo la bionda che ha accompagnato Alex. Non posso dare altri motivi a quell’ipocrita per ritenermi una poco di buono, quindi accettare è escluso.
- Non credo che la sua accompagnatrice gradirebbe essere sostituita così facilmente e per così poco – replico secca e mi volto per andarmene. Sono stanca di questo battibecco inconcludente che sta attirando troppa attenzione. In fondo, davanti al padrone della galleria avrebbe ragione lui e lo sappiamo entrambi. Sono sicura che anche lui l’ha capito, è per questo che si diverte a stuzzicarmi. Coglione.
- Allora la invito volentieri a visitare la mia casa quando le viene nostalgia del suo ricordo – replica prima di scoppiare nuovamente a ridere. Ribadisco, coglione.
“Certo che la visiterò, simpaticone. Con uno scalpello e un disturbatore di frequenze, nel caso avessi un allarme a casa tua. E Juno al mio fianco, in caso arrivasse la polizia” sto per ribattere ma vengo interrotta da qualcun altro.
- Devo deluderla signor Richelieu. Credo che la signorina dovrà visitare la mia casa quando avrà nostalgia. Sono desolato ma non sapevo della disputa in atto e mentre voi litigavate ho acquistato il quadro per un prezzo maggiore del suo.
La voce di Alex risuona quasi dispiaciuta nel silenzio che si è creato attorno a noi. Io lo guardo cercando di mascherare la mia confusione e lui mi sorride accattivante.
- Cosa ne dice signorina, le farebbe piacere visitare casa mia al posto di quella del Cardinale? – domanda poi verso di me.
Ci stanno ancora guardando tutti e io boccheggio, al limite della confusione. Poi ritrovo il mio controllo e sorrido raggiante al mio odioso vicino.
- Con estremo piacere. Sono proprio curiosa di vedere se si abbina come dovrebbe.
Alex mi viene vicino e mi offre il braccio, che io accetto sorridendo ancora di più, e ci avviamo verso l’uscita sotto gli sguardi e qualche primo commento del pubblico improvvisato. Dopo qualche passo però mi volto di nuovo verso l’antipatico francese.
- E’ stato un vero piacere discutere con lei, signore. Spero di vederla alla prossima mostra. Senza rancore.
Se mi dessero un centesimo per ogni grammo di soddisfazione che provo in questo momento ad ammirare l’espressione fintamente gentile di sconfitta mal sopportata di questo stupido omuncolo, sarei miliardaria. E lo sarebbero anche i miei figli e i miei nipoti. Forse anche i figli dei miei nipoti.
Non appena usciamo dalla porta della galleria salto al collo di Alex, ringraziandolo. Se non fosse per lui, starei organizzando un furto a casa di uno sconosciuto francese. Non in senso ironico.
Lui si irrigidisce per un secondo, probabilmente non si aspettava una reazione simile, ma poi ricambia il mio abbraccio seppure timidamente. Anche oggi è circondato dalla sua abituale nube di La Coste che mi fa momentaneamente mancare il respiro.
Subito però mi stacco da lui e mi ricompongo. È ancora Alex, comunque.
- Grazie. Ma perché l’hai fatto?
- A dire il vero non volevo farlo, ero andato dall’organizzatore solo per avvisarlo ma lui mi ha detto che era impossibile, aveva ricevuto una sola offerta per quel quadro. Dovevi tenerci parecchio per arrivare a imbrogliare per averlo. E poi odio i francesi – risponde serio.
Distolgo momentaneamente lo sguardo, pregando che non mi chieda perché è così importante e lui fortunatamente, non lo fa, così torno a rilassarmi.
- Allora passo questo pomeriggio a prendere il quadro. E quando vuoi, la mia casa sempre aperta per i miei salvatori – esclamo, prima di rendermi conto di cosa sto dicendo. Accidenti, ormai però l’ho detto, non posso rimangiarmelo. Spero che capisca che non era un invito proprio letterale.
- Frena dolcezza. Non ti costringerò a diventare la mia accompagnatrice per avere il quadro, ma ho anche io le mie condizioni. Spiegami cos’è successo all’hotel.
Maledizione. Avrei dovuto saperlo che c’era il trucco.
- Tu hai già un’accompagnatrice e mi sembra… interessante. Te l’ha presentata Sarita? – replico sarcastica, sperando di distogliere l’attenzione dal discorso.
- E’ solo la responsabile del settore licenze. Devo comprare la sua approvazione per il locale. E comunque non riuscirai a cambiare discorso, dimmi tutto o il quadro torna a casa con me. In effetti starebbe benissimo nel mio corridoio…
Io gli lancio un’occhiataccia, amaramente pentita di quell’abbraccio. Non saprà un accidenti di quella storia ma non ho ancora una scusa pronta e non posso lasciare che si porti via il quadro, così restiamo entrambi in silenzio, sfidandoci con lo sguardo.
- E va bene, quando sarai pronta a vuotare il sacco, sai dove trovarmi – risponde lui dopo diversi minuti, tornando nella galleria. Io non rispondo e resto a guardarlo entrare. Dal tono si vede che ci è rimasto male, era sicuro di avermi in pugno, e questo mi rende felice, deve capire che nessuno costringe Alexis Blendell a fare qualcosa contro la sua volontà. Eppure… mi sento uno schifo per averlo trattato così. In fondo se non fosse per lui ora il quadro ce l’avrebbe il francesino nella galleria.
Accidenti a lui. Perché deve rendere così difficile odiarlo?
- Alexis mi vuoi spiegare cosa accidenti sta succedendo?
La voce di Linda mi fa letteralmente balzare per aria. Non mi ero accorta che fosse uscita.
- L’hai detto anche tu che era il quadro migliore. Io ci ho provato.
- Ma non avevi contrattato. Da dove hai preso il bollino?
- E’ un vecchio trucco. È di un’altra mostra. Se lo metti pensano tutti che è già comprato e nessuno fa la sua offerta, poi alla fine della mostra vai dall’organizzatore e offri un basso prezzo. Lui è costretto quasi a vendertelo, tanto è convinto che non lo vuole nessuno perché nessuno ha offerto qualcosa in più.
Lei mi guarda dapprima dubbiosa, poi mi fa un sorriso complice.
- E succede spesso in questo brillante piano di truffa che un ricco e splendido americano ti ruba il pezzo proprio sotto il naso?
- Sali in macchina. Non abbiamo più niente da vedere qui e comincia a farmi male il fianco – le dico secca, evitando di rispondere. Ma Linda è sveglia e scoppia a ridere, smascherando subito il mio tentativo di ignorare quel dettaglio.
Ci mettiamo in macchina e arranchiamo per le vie della città. Linda mi propone un gelato ma io voglio solo andare a casa, questa storia della galleria mi ha messo di malumore, così le racconto che mi fa male il fianco e che voglio solo andare a casa mia.
Non appena arrivata mi siedo sulla poltrona fissando la porta davanti a me. La mattina che avrebbe dovuto essere la mia fortuna, il modo per prendermi il mio quadro senza troppe complicazioni è diventata la peggiore che potevano capitarmi. E tutto, come sempre negli ultimi tempi, per colpa di Alex. Comincio a chiedermi se non lo faccia apposta.
In effetti, tutti i peggiori casini della mia vita sono cominciati quando lui si è trasferito nel mio palazzo e fin dalla prima volta che l’ho visto il mio istinto mi ha subito urlato di stargli alla larga. E poi ha il fascino giusto per poter essere una spia.
Scuoto la testa, chiudendo gli occhi. È fastidioso e inopportuno, nonché arrogante e presuntuoso, ma non è una persona malvagia. Non devo farmi trasportare dalla mia antipatia.
Comunque, è arrivato il momento di impedirgli di intromettersi nella mia vita. Ora vado a riprendermi il mio quadro e chiarisco una volta per tutte che non voglio più avere niente a che fare con lui. In fondo, lui crede che io sia una specie di prostituta, che venda me stessa in cambio di un bel voto, no?
Presa da un’improvvisa carica prendo le chiavi e il libretto degli assegni, ignorando il fastidio al fianco. Mi secca pagare più di quanto avrei fatto alla galleria, ma considererò il resto come il premio per farlo stare lontano dalla mia vita.
Chiudo la porta e salgo le scale, sentendomi nervosa e agitata. Qualcosa mi dice che sto andando dritta nella tana del lupo cattivo, ma mi sforzo di controllarmi.
Devo approfittare di essere debole e ferita, magari gli faccio un po’ pena e riesco a strappargli un prezzo contenuto.
Non appena davanti alla sua porta, prendo un bel respiro e suono il campanello. Provo ad immaginare quello che gli dirò per convincerlo a stare fuori dalla mia vita, ma so già che con uno così le parole non contano più di tanto. È il tono quello che conta davvero, l’espressione, la gestualità. Tutti quegli elementi impliciti, è su quello che devo concentrarmi.
Visto che non risponde nessuno, riprovo a suonare, tenendo il campanello premuto più a lungo. Non può non essere in casa. Devo cogliere l’attimo di questa carica improvvisa.
Di nuovo nessuna risposta. Di nuovo suono il campanello, tenendolo schiacciato per due minuti. Nessun segno, nessun rumore.
Mi attacco al campanello, odiandolo ancora di più. Non può rubarmi il quadro e non farsi trovare a casa quando vengo a riprendermelo, è fuori questione. Ho deciso che voglio quel quadro ora e lo avrò, a costo di scassinare la sua bella porta elegante…
- Oh, Alexis, sei tu.
Sobbalzo. Non mi aspettavo di vedermelo davanti così.
Evidentemente era sotto la doccia perché è bagnato e indossa solo un asciugamano intorno alla vita. Quasi mi sento mancare il fiato vedendo le goccioline scorrere lungo i muscoli scolpiti del petto e delle spalle.
Chiudo gli occhi e faccio un bel respiro. Non è un buon inizio ma non permetterò al suo corpo perfetto di distruggere il mio autocontrollo, non questa volta. Meglio che sia in tenuta da doccia, non potrà corrermi dietro se rubo il quadro e scappo.
- Sono venuta per il quadro – annuncio fredda. Odio l’aria sorniona con cui mi sta fissando. Odio il sorrisetto idiota che sta facendo e odio quello sguardo malizioso. Lo odio.
- Mi stavo facendo la doccia – risponde.
- Ne sono felice. Voglio il quadro, poi torna a fare quello che ti pare.
- Non mi devi qualcosa prima? – domanda, appoggiandosi allo stipite della porta. In questo modo i suoi addominali sembrano ancora più scolpiti e di nuovo sento il fiato mancarmi. Dio, che bellissimo essere odioso.
- La mia vita non ti riguarda. Dimmi quanto vuoi per il quadro e facciamola finita – replico asciutta, tirando fuori il libretto degli assegni e preparandomi a una dura battaglia al risparmio.
- Forse ti è sfuggito, ma se non fosse per me ora nemmeno l’avresti una vita. Direi che mi riguarda eccome.
- Grazie del salvataggio. Ti manderò una pianta così potrai rovinare la vita a lei. Il prezzo, Alex.
- La storia, Alexis.
Il suo sguardo è fisso nel mio e io mi sento tremendamente a disagio. Non sono abituata a trattare con un cocciuto ostinato in asciugamani che sembra appena uscito dalla copertina di qualche rotocalco per donne sole.
- Senti Alex, ti sono grata per avermi aiutata ma non ti dirò niente della mia vita perché non voglio che tu ne faccia parte. Come posso fartelo capire? Perciò ora dimmi qual è il prezzo di quel quadro e poi sta fuori dalla mia vita.
Lui non risponde e continua a fissarmi, sgocciolando sul tappetino di benvenuto. Io sostengo il suo sguardo.
- Dimmi allora perché vuoi così tanto quel quadro.
- L’unica trattativa che possiamo fare è sul prezzo Alex, nient’altro. Non ti voglio nella mia vita.
- Hai paura che il tuo professore sia geloso?
- Maledizione! Dammi quel quadro. Sono stufa dei tuoi giochetti.
- E’ una cosa importante, una storia seria? Oppure ti piace solo perché è così famoso?
Di nuovo la rabbia comincia a montarmi dentro e mi mordo l’interno delle guance per impedirmi di mettermi a urlare. Ma perché non può darmi quello che voglio e lasciarmi in pace? Cosa gliene importa della mia vita, di me?
- E’ così allora. Per averti bastano i soldi e un po’ di successo? Peccato, Alexis, ti avevo creduta migliore…
Prima di potermi fermare lo schiaffeggio più forte che posso. Non permetto a nessuno di darmi della prostituta.
- Intendi schiaffeggiarmi ogni volta che mi avvicino alla verità Alexis? Se non volevi che la gente pensasse male dovevi evitare di uscire con lui.
Di nuovo alzo la mano per schiaffeggiarlo ma questa volta lui riesce a bloccarmi e senza che abbia il tempo di rendermi conto di quello che sta succedendo mi ritrovo con la schiena contro lo stipite della porta, il braccio dietro la schiena e il corpo di Alex appiccicato al mio che mi impedisce qualsiasi movimento. Come fa ad essere così veloce?
- Cosa ti ha promesso? Un posto sicuro all’università? Di portarti con lui ai suoi prossimi viaggi? Cosa ci vuole per meritarsi la tua considerazione Alexis?
Mentre parla il suo alito fresco mi accarezza il viso e sento i miei vestiti inumidirsi al contatto con il suo corpo ancora bagnato ma continuo a fissarlo con aria di sfida. Non deve accorgersi che il mio cuore ha di nuovo accelerato i battiti.
- Lasciami andare Alex. Non sono una delle tue puttane. Voglio solo il quadro. Se hai bisogno di una pausa, chiama Sarita.
Lui stringe gli occhi, quasi voglia schiaffeggiarmi a sua volta e io sorrido sfidandolo di nuovo con gli occhi.
- Se mi avessi chiesto spiegazioni quella mattina, sapresti che ti stai sbagliando – risponde poi, senza allentare la presa.
- Non mi sembrava che ci fosse altro da dire, era una situazione piuttosto chiara. E comunque non mi importa. Se è quello il tipo di donna che preferisci sono affari tuoi ma non t’azzardare a paragonarmi a loro. Non sai niente di me.
- Ti sbagli, Alexis. So più di quanto tu creda. Il problema è che non capisco cosa ci fai con uno così.
- Sembri geloso, sai? – lo provoco. Il braccio che mi ha bloccato dietro la schiena si sta addormentando ma non ho nessuna intenzione di implorarlo di lasciarmi andare.
- Forse lo sono. E questo mi fa impazzire. Non dovrei esserlo, non dovrebbe importarmi niente di te ma non ci riesco, Alexis. Non riesco a ignorarti, non riesco a immaginarti con lui…
La sua bocca ora è a meno di un millimetro dalla mia e le ultime parole più che dirle le sussurra, sfiorandomi le labbra con le sue.
So che è il momento per liberarmi, ora che è distratto, ma ancora una volta, come la sera del ballo, il mio cervello sembra momentaneamente scollegato e mi ritrovo incapace di reagire.
Proprio nel momento in cui potrei liberarmi, il mio cervello sembra totalmente assorbito dalla sensazione della pelle calda di Alex oltre la mia maglietta, del suo alito fresco, delle sue labbra così vicine alle mie, del mio cuore che batte all’impazzata e del suo, che batte altrettanto veloce sul mio petto.
- Se solo tu potessi capire quello che… - comincia ma non riesco a sentire il resto della frase.
Colta da un impulso improvviso e irrefrenabile lo bacio, zittendolo. Lui sembra sorpreso ma dopo qualche secondo risponde al mio bacio con foga.
Mi lascia il braccio per stringermi più a sé, schiacciandomi ancora di più contro lo stipite e io non posso fare a meno di cingergli il collo con le braccia, nonostante il dolore a quello addormentato e al fianco, assaporando ogni centimetro della sua bocca con passione pari alla sua. E’ una fesseria, lo so, me ne rendo conto, ma non posso fermarmi e ben presto anche quell’ultimo barlume di lucidità scompare dalla mia mente, scacciata prepotentemente dai brividi che mi corrono lungo la schiena.
Da quel momento perdo completamente il senso della realtà. Le uniche cose di cui sono consapevole sono le mani di Alex che mi accarezzano da sopra la maglietta bagnata, i suoi baci su ogni centimetro di pelle esposta, i suoi muscoli che guizzano sotto le mie dita indagatrici, i nostri respiri affannati.
Mi accorgo appena di non essere più sulla porta ma per terra, con Alex sopra di me, e con un calcio chiudo la porta, prima che qualche guastafeste decida di intromettersi, senza smettere di assaporare la sua pelle che sa ancora leggermente di bagnoschiuma.
Ad un certo punto sento che Alex mi solleva la maglia e alzo le braccia per aiutarlo, poi è la volta dei Jeans. Sento le sue mani scorrere lungo le gambe in una carezza sensuale e non riesco a trattenere un mugolio di piacere mentre la sua bocca scivola lungo l’orlo della coppa del reggiseno, poi lungo la linea delle mie costole per scendere ancora più in giù. Si sofferma sull’ombelico e rabbrividisco mordendomi il labbro, completamente persa in questa sensazione divampante, pregando che possa durare all’infinito. Invece di proseguire verso il basso, Alex risale nuovamente a cercare la mia bocca e io rispondo a quel bacio con tutta la foga di cui sono capace. Le sue mani intanto non smettono di accarezzarmi ovunque e finalmente sento le sue dita sfiorare l’orlo delle…
Una raffica di esplosioni distrugge il momento.
Ci irrigidiamo tutti e due e restiamo immobili. Per qualche minuto il rumore dei nostri respiri affannosi è l’unico rumore nella stanza, poi di nuovo un’altra raffica. È un mitra, questa volta sono abbastanza lucida da riconoscere quel suono secco, e mi irrigidisco ancora di più. Alex si accascia ancora più su di me e mi mette un dito sulla bocca per farmi capire di stare zitta, mentre cerca di allungare il collo verso la finestra.
Un’altra raffica, questa volta più lunga e più vicina, poi la porta si spalanca di botto. Alex rotola al mio fianco e si rimette in piedi con uno scatto impressionante, proprio mentre un tizio con una tuta nera e il volto coperto irrompe nella stanza urlando qualcosa che non capisco, puntandomi il fucile contro.
- Alexis non muoverti – dice Alex. Strano, dalla voce non si direbbe spaventato. Anche l’espressione non è terrorizzata, sembra piuttosto… concentrato direi. Il suo sangue freddo è ammirevole.
Senza rispondere mi metto a sedere, e resto immobile, cercando con lo sguardo una via d’uscita. Al contrario di Alex, la mia espressione deve essere di terrore puro. Nonostante il mio addestramento infatti, vedere il buio dentro quella canna puntata dritto su di me mi impedisce di pensare razionalmente, così cerco di seguire il suggerimento di Juno. Non pensare, lascia che sia l’istinto a sopravvivere. Bene istinto, è proprio il momento di darsi da fare.
- Cosa volete da noi? Prendete quello che vi pare, non opporremo resistenza – comincia Alex ma da come fissa il tizio armato non si direbbe proprio pronto alla resa. Anche il suo corpo è tutto in tensione, pronto a scattare alla minima possibilità.
Devo distrarre il tizio. Se riesco a distrarlo, forse Alex potrebbe colpirlo e disarmarlo…
- O mio Dio, Alex, chi è questo, cosa vuole, dagli quello che vuole ti prego, non lasciare che ci facciano del male… - comincio a blaterare con la voce più stridula che mi riesce (e non devo sforzarmi nemmeno molto a dire il vero per risultare credibile), fingendomi sull’orlo di una crisi isterica.
Il tipo armato abbocca e si gira dalla mia parte alzando il fucile e urlando di nuovo qualcosa di incomprensibile e Alex ne approfitta per avventarsi su di lui. Rotolano entrambi per terra, Alex sopra che cerca di disarmare Tuta Nera.
Intanto mi rimetto in piedi e corro verso l’asciugamani bagnato, la arrotolo a mo’ di frusta e colpisco Tuta Nera sul viso, proprio sugli occhi. Lo schiocco secco risuona forte quasi quanto l’urlo di dolore del tipo, che molla la presa sul fucile per coprirsi gli occhi colpiti e io afferro prontamente l’arma.
- Ora è meglio se ti dai una calmata, ragazzone. Sei capitato al momento sbagliato – intimo a Tuta Nera puntandogli il suo stesso mitra contro, mentre Alex si rimette in piedi e si copre di nuovo con l’asciugamani. Mi sforzo di ignorare il fatto che il divino corpo di Alex è completamente nudo a meno di un metro da me e mi concentro su Tuta Nera, che se ne sta immobile ora.
- Facciamo il gioco della verità, adesso. Chi sei? Chi ti ha mandato? – domando fredda anche se con il fiato  grosso, con la canna del mitra a qualche centimetro dal suo viso, ma ovviamente quello nemmeno mi risponde.
Alex mi si avvicina, nuovamente coperto ora.
- Non credo che ci risponderà, Alexis. Dammi il mitra, lo tengo d’occhio mentre chiami la polizia.
Io però non gli do’ retta. Credo di sapere chi lo manda, ma ho bisogno di sentirlo dire da lui.
- Sai cosa succede a chi non dice la verità, vero? Ti faccio saltare i tuoi gioielli in meno di un secondo. Poi la prima mano, poi la seconda, se necessario anche i piedi. Cosa vuoi da questa casa? Chi ti ha mandato?
Lui bisbiglia qualcosa. Non riesco a capire cosa dice ma finalmente capisco perché: non parla italiano. Deve essere russo o ucraino o qualcosa del genere. Maledizione. Comunque, non sarà questo a fermarmi.
- Alexis per favore, dammi quel fucile e va’ a chiamare la polizia – dice Alex al mio fianco ma di nuovo lo ignoro.
- Il tempo scorre. Verità o penitenza signor Tuta Nera?
Lui mi fissa con odio e non dice una parola, quasi sfidandomi. Hai scelto il giorno sbagliato per darmi fastidio, compare.
Mi inginocchio accanto a Tuta Nera e gli punto il fucile nel collo, impedendogli di respirare. Lui porta le mani al fucile ma senza fiato non riesce a disarmarmi, né a diminuire la pressione del fucile.
- Muoviti e sei morto. Parla e forse hai qualche speranza – intimo di nuovo, quasi in un sussurro.
Questa volta dice qualcosa, ma a voce troppo bassa perché possa capire. Affondo ancora di più il fucile nel suo collo, tanto che una vena comincia a gonfiarsi pericolosamente.
- Non ho capito bene. Ti spiace ripetere?
- Alexis così lo uccidi.
- Forse ti è sfuggito, Alex, ma è esattamente quello che intendo fare se non mi da la mia risposta. Ora.
Alex si zittisce, anche se continua a spostare il peso da un piede all’altro, nervoso. Ha il cordless in mano ma non sta chiamando nessuno. Meglio così, mi serve tempo prima che arrivi la polizia.
- Rofferwaak – bisbiglia Tuta Nera. Che cavolo vuol dire?
- Chi è questo tizio? Che vuole? – domando, allentando appena la pressione del fucile.
- Не кто. что. он полет.
Ora sì che è più chiaro. Non importa, troverò il modo di tradurlo.
- Alex chiama la polizia, ora. C’è un pacco per loro.
Mi rialzo togliendo il fucile dal suo collo ma continuo a tenerlo sotto tiro. Lui si massaggia il collo, mormorando altre parole sconosciute. Non credo che sia auguri di compleanno. Alex intanto compone il numero.
- Non funziona, accidenti. Questo simpaticone deve aver tagliato i cavi del telefono – impreca dopo qualche minuto.
- Vado a vedere se ho della corda. Tu cerca di non farti ammazzare. E non fare altre fesserie per favore. Rischiamo già un processo così, senza un morto tra i piedi.
Alex scompare nell’altra stanza e io resto a fissare l’uomo, ancora steso per terra, che mi fissa a sua volta. Ripenso alle parole che ha detto. Cosa avrà voluto dire? Mi avrà dato davvero le risposte che cercavo? Per quanto ne capisco di russo, potrebbe anche avermi mandato a quel paese. Ma tanto non cambierà versione.
Tuta Nera accenna un movimento e io scuoto la testa, avvicinando di nuovo il fucile alla sua faccia. Lui capisce e torna immobile ma continua a ripetere qualcosa.
- Spia. America. Traditore – bisbiglia con un accento così forte da rendere quasi incomprensibili quelle parole. È la conferma che cercavo. Ora sono certa che sia un uomo dell’Organizzazione, solo loro sanno che è stata una spia americana a tradirli.
- Non ho corda in casa, mi dispiace. Qualche altra idea brillante? – domanda scettico Alex, comparendo di nuovo, questa volta con maglietta e pantaloni.
- Spia. America. Traditore! – urla di nuovo il russo, alzandosi di scatto e avventandosi su Alex brandendo un coltello, troppo veloce perché possa usare il mitra che ho in mano.
Con una mossa degna dei migliori agenti segreti dei film americani, Alex schiva il colpo, disarma Tuta Nera e lo colpisce al petto con il suo stesso coltello, prima ancora che io mi sia resa conto di quello che sta succedendo.
Tuta Nera si accascia lentamente al suolo.
- Spia. America. Traditore – bisbiglia nell’ultimo sospiro, poi giace immobile a faccia in giù, con un lago di sangue che si allarga sotto di lui.
Per qualche minuto nessuno si muove e il silenzio regna sovrano. Mi accorgo solo dopo di avere ancora il fucile puntato e lo abbasso lentamente, mentre Alex mi si avvicina, aggirando la pozza rossastra.
Lascio cadere il fucile, tremante, e mi copro gli occhi. All’improvviso la vista di tutto quel sangue, l’odore dolciastro che emana mi riescono impossibili da sopportare.
- E’ tutto finito, tranquilla. Ora andiamocene da qui – mi bisbiglia Alex abbracciandomi. Mi accorgo di tremare violentemente ora ma non riesco a calmarmi e resto qualche minuto aggrappata a lui, mentre la mia mente elabora quello che è successo.
Quando finalmente mi sento un po’ più calma mi stacco da lui.
- Sarà meglio avvertire qualcuno ora – sussurro, ancora scossa.
- Ci vado io. Tu rivestiti, torno tra un minuto.
Vestiti. Certo. Non mi ero resa conto di essere ancora in biancheria. Mentre Alex esce di casa raccolgo i miei vestiti. Ora sono appena umidi. Li indosso sforzandomi di ignorare il cadavere poco più in là. So che dovrei essere preparata a una situazione del genere ma non è affatto così. Niente nel mio addestramento mi aveva preparata a uno spettacolo simile e anche se mi sono allenata per uccidere, non mi ero mai soffermata a pensare a cosa significasse in concreto. È terribile, devastante.
Poco dopo Alex torna su con tre uomini in divisa.
- Dov’è il signor Sorrini? Chi sono loro? – domando, evitando ancora di guardare il cadavere.
- Il portinaio non c’era e loro sono degli agenti. Ora ci penseranno loro, noi andiamocene via – mi spiega Alex, spingendomi delicatamente verso la porta. Io mi lascio condurre, sforzandomi di scacciare dalla mente l’odore dolciastro del sangue.
- Hai le chiavi? – mi domanda gentile. Annuisco e le prendo dalla tasca dei Jeans, poi apro la porta.
Lui entra dopo di me e chiude con il ferretto.
- Ti va di fare una doccia? Io intanto ti preparo un the.
Annuisco di nuovo e mi dirigo in bagno, camminando come una sonnambula.
Apro l’acqua e mentre aspetto che si riscaldi mi tolgo di nuovo i vestiti, restando solo con la biancheria, poi entro nella doccia e subito il getto d’acqua bollente mi investe. È un po’ troppo calda ma me ne accorgo appena. Lascio che mi scorra su ogni centimetro di pelle, come se con il sudore potessero scivolare via anche i ricordi di questa mattinata orribile.
In effetti, dopo non so quanto tempo sotto quel getto troppo caldo, mi sento meglio. Chiudo i rubinetti e mi asciugo lentamente, quindi mi avvolgo nell’asciugamano e vado in camera da letto per prendere dei vestiti puliti, lego i capelli ancora bagnati in uno chignon improvvisato e torno in cucina.
- Ti senti meglio? Mi dispiace ma non ho trovato the, né camomilla o altro – mi avverte Alex.
Anche lui sembra piuttosto scosso ora. O meglio, sembra affaticato, come se avesse combattuto contro un esercito invece che contro un solo uomo. Lo capisco benissimo, mi sento anche io così.
- Che significa tutta questa storia Alexis? Prima quegli uomini all’hotel, ora questo a casa mia…
Mi siedo al tavolo, evitando il suo sguardo. Raccontandogli la verità lo metterò in pericolo. Ma comunque è già in pericolo, se sono venuti a casa sua.
- E’ una storia molto lunga Alex. E chi la conosce di solito non vive abbastanza per raccontarla agli altri – mormoro.
Lui si siede dall’altra parte del tavolo, poi si sporge per prendermi le mani tra le sue. Come sono fredde in confronto alle mie.
- Da come si stanno mettendo le cose, cara, mi sembra che la tua preoccupazione sia inutile ormai. Sono dentro anche senza sapere niente.
Ha ragione, lo so. Ma non riesco comunque a guardarlo negli occhi. Mi sembra di condannarlo a morte raccontandogli la verità.
- E’ una storia cominciata molto tempo fa, prima che io nascessi direi. Anche io ne so poco in realtà.
- Dimmi quello che sai.
Comincio a raccontargli tutta la storia, cominciando dall’incontro tra mio padre e il suo amico fino alla giornata all’hotel.
- Il resto lo conosci già – concludo. Mi sembra di aver parlato per ore, ho la bocca tremendamente secca.
- Quindi il tizio sarebbe uno di questa Organizzazione. E il quadro di stamattina… è uno di quelli di tuo padre giusto? È per questo che lo volevi a tutti i costi.
Non rispondo, sarebbe inutile, è ovvio che è così. Mi sento così in colpa… ora Alex rischia la vita, solo per avermi conosciuta. Sarà anche odioso, ma non dovrebbe rischiare per colpa mia. Nessuno dovrebbe. Dove ho sbagliato?
- Perché non hai parlato subito, invece di farmi penare?
- Non è un gioco, Alex. Fino ad ora solo otto persone sono venute a conoscenza di questa storia. Quattro di loro sono morte, il quinto lo è per tutti tranne che per me e gli altri tre sono costretti a vivere nel segreto più assoluto.
- Chi sono questi tre?
- Io, mio padre e mia madre. Solo noi Alex. Capisci cosa stai rischiando?
- Avresti dovuto dirmelo Alexis. Avresti dovuto dirmelo.
- No, non avrei dovuto, nemmeno ora. Tu non avresti dovuto sapere niente di tutta questa storia, Alex. Non scherzavo quando ho detto che non ti volevo nella mia vita. E tu dovresti renderti conto di non volere me nella tua, specie ora.
Lui mi lascia le mani e si appoggia con la schiena allo schienale, fissandomi. Lo so anche senza guardarlo che mi sta fissando.
- E ora cosa intendiamo fare?
- Noi non intendiamo fare niente. Io intendo scoprire cosa significa la risposta del tizio, anche se probabilmente sarà solo una bestemmia o roba simile. Tu invece, intendi tornare in America da tuo padre, di corsa, senza avvertire nessuno. Lì sarai al sicuro.
- Stai scherzando spero. Credi davvero che ti lascio così, con un’organizzazione di malati mentali che cerca di ammazzarti?
- Non ho bisogno della tua protezione Alex, te l’ho dimostrato oggi. E non mi servono finti eroi. Devi metterti al sicuro, prima che scoprano chi sei e rintraccino tutti i posti dove potrai nasconderti.
- Non essere ridicola. Sono venuti a casa mia, sanno già chi sono.
- Forse no, forse mi stavano seguendo e mi hanno vista entrare in casa tua. Forse non sanno chi sei.
- Me ne frego se lo sanno o no. Non mi muovo da qui. Ti darò una mano.
Lo sapevo. Maledetti maschi. Finisce sempre così.
- Non ho bisogno del tuo aiuto, ti ripeto. Me la sono cavata per vent’anni, continuerò per altri venti.
- Hai detto tu che è la prima volta che ti attaccano. Forse ora sanno chi sei, sanno che la figlia di Blendell non è morta e forse sanno anche molto altro. Un viso che non conoscono ti farà comodo. E poi ho qualche risorsa che potrebbe tornare utile.
Alzo gli occhi al cielo. Non ho le energie per reggere questa conversazione.
- Ho tutte le risorse che mi servono. Alex, per favore, dammi retta e prenota subito un biglietto per l’America. Ti farò sapere quando sarà tutto finito.
- Come fai a dire che finirà? Non sai nemmeno chi è questa gente, Alexis, potrebbe durare per sempre.
- Non è così. Mancano solo pochi capitoli alla fine del libro, poi il mio compito sarà finito e loro non avranno più motivo di uccidermi, tutto quello che so lo sanno anche tutti i miei lettori.
- Fesserie. Nessuno dei tuoi lettori ha le prove che sia tutto vero, quindi non sono potenziali testimoni. Tu sì Alexis, lo sarai sempre. Non smetteranno di darti la caccia solo perché il libro è finito.
Ancora una volta, so che ha ragione, l’ho pensato anche io mille volte. Ma dopo aver pubblicato l’ultimo capitolo potrò trasferirmi, cambiare identità una volta per sempre e ricominciare ad avere una vita normale. Spero. E comunque non voglio coinvolgere altre persone in questa follia, specialmente lui. So già che si improvviserà eroe dilettante ad ogni occasione e non voglio fare da balia a nessuno.
- Alex… Non importa, tanto non capiresti. Portami quel quadro e dimenticati di questa storia. Anzi, prima pensa a cosa diremo alla polizia, poi dimenticati tutto e torna da tuo padre.
Come hanno fatto le cose a precipitare a questa maniera? Solo qualche settimana fa nessuno sospettava chi ero e ora ho subito già due attentati e il mio odioso vicino conosce tutta la mia storia. Maledizione.
- Alla polizia ci penso io e stasera ti porto il quadro. Ma non partirò Alexis, io resto qui. Con te. Per te.
Chiudo gli occhi. Ecco che comincia a recitare il ruolo di eroe dilettante. Non voglio sentire le sue frasi sdolcinate e tremendamente inappropriate.
- Senti Top Gun, è inutile che ora cominci a fingerti interessato a me. Portami il quadro e poi vattene da qui. Per te. Non voglio farti da balia.
- Alexis, so che sei abituata a nascondere il tuo lato tenero dietro una maschera da arpia odiosa, ma visto che ho appena rischiato di morire per te e credo che lo farò spesso nel prossimo futuro, potresti essere un po’ più gentile?
- Assolutamente no. Se decidi di restare, ti tratterò malissimo. E credimi, non hai ancora visto niente di quello che so fare.
- Le tue minacce non serviranno. Non abbandono una donzella in pericolo.
Donzella? Questo non ha capito proprio niente di me.
Con un balzo mi allungo verso di lui, gli blocco le mani con la sinistra e gli pianto indice e medio della destra nel collo, a un millimetro dalla giugulare.
- Sei tu il donzello, caro mio. Sono anni che mi esercito per questi momenti.
Invece di mostrarsi spaventato o almeno impressionato come avevo previsto, lui mi guarda e sorride leggermente, poi con uno dei suoi scatti felini, si mette in piedi, facendo cadere la sedia all’indietro, e tirandomi per la mano come in un giro di valzer mi fa ritrovare di nuovo incastrata nel suo abbraccio.
- Alex, esattamente, che lavoro hai detto che facevi in America?
Lui ride.
- Non te l’ho mai detto, perché non me l’hai mai chiesto.
- Non te l’ho mai chiesto perché sapevo che lavoravi con la legge o la medicina…
- Ero un’agente di sicurezza nelle banche, in questo senso lavoro con la legge, in più ho vinto quattro campionati nazionali e sono arrivato secondo al campionato internazionale americano di una particolare arte marziale. Sono anni che mi esercito per questi momenti – risponde, ripetendo le mie parole. Lo incenerirei con lo sguardo, se solo non fosse alle mie spalle.
- Ora la smetti di parlare come se fossi mia madre e mi spieghi qual è il piano? Tanto non ti libererai di me fino a che non l’avrai fatto. E sai che sono un mago quando si tratta di starti fra i piedi.
- Almeno su questo siamo d’accordo – replico sarcastica, cercando di liberarmi ma lui è troppo forte.
- Ma ti avverto, Top Gun, se dovessi trovarti in pericolo, non verrò a salvarti. Semmai ti darò il resto, così impari ad intrometterti nella mia vita.
- Mi sembra un buon affare. Ma ti ripeterò queste tue parole il giorno in cui dovrò salvarti la vita.
Alzo gli occhi al cielo senza nemmeno rispondergli. Povero illuso. Crede davvero che capitolerò così facilmente? Mi libererò di lui alla prima occasione, senza che se ne accorga nemmeno. Sono anni che mi libero di uomini fastidiosi.
Mi lascia andare e io torno a sedermi. Comunque non si può dire che non sia in forma. Forse ha ragione nel ritenersi utile. Nel caso serva una missione suicida, per esempio, lui sarà il primo candidato.
- Ora sarà meglio che tu vada a prendere il quadro e lo faccia sparire, prima che i compari di quel tizio decidano di darsi al furto. E poi bisogna far calmare le acque. La prima regola è niente polizia.
- Sei sicura che sia una buona idea? Magari le forze dell’ordine potrebbero…
- Regola numero due: niente commenti sul mio metodo. Si gioca alle mie regole, sono io il capo e tu obbedisci. Chiaro? la polizia è fuori questione.
- Ma scusa, quegli agenti corrotti c’erano al tempo di tuo padre. Ormai saranno morti o fuori servizio, non credi? Sono certo che gli americani potranno darti una mano…
- Se dovessi avere il sospetto che tu ti stia rivolgendo a polizia, KGB, CIA o roba simile, ti uccido Alex. Sul serio.
- Ricevuto, capo. Dopo il tuo interrogatorio, sono certo che non avresti problemi.
Bene, almeno questo punto è chiaro. Ora devo chiamare Juno per comunicargli gli sviluppi. Non sarà certo entusiasta di questa storia. Già mi figuro la sua ramanzina anzi.
- Un’altra cosa. Non una parola a mia madre, le verrebbe un infarto. Ora vai a prendere quel quadro.
Lui annuisce e si dirige verso la porta, la apre e resta lì immobile.
- Scusa, cercavo Alexis.
La voce di Giulio suona non troppo felice e io corro alla porta. Dannazione! Non è proprio il momento per una visita di cortesia. Ma come glielo spiego? Accidenti! Alex intanto mi fissa senza dire una parola. Che fare? Giulio non può restare qui ma non posso spiegare che un tizio ha appena cercato di uccidermi…
- Eccomi qua – esclamo, avvicinandomi sorridente.
- Capisco. Ero solo venuto a portarti questi. Ti avevo detto che sarei passato – spiega porgendomi un pacco non troppo voluminoso. Avevo dimenticato la storia dei fogli incomprensibili. Lo prendo ma non lo apro, non davanti ad Alex, che intanto se ne sta fermo a guardarci.
- Se vuoi entrare, Giulio, accomodati – lo invito, facendo segno ad Alex di andare di sopra con gli occhi.
Alex spalanca gli occhi, ma gli intimo il silenzio con lo sguardo, so quello che faccio. Prima avrò liquidato questa storia dei simboli, prima Giulio tornerà al suo lavoro senza scuse per tornare qui. A differenza di altri, lui capisce quand’è il momento di sparire. Visto che non si muove, ripeto il mio silenzioso messaggio al mio nuovo complice, sperando che capisca e vada a prendere quel benedetto quadro. Lui per tutta risposta mi guarda con gli occhi ridotti a due fessure. So cosa sta pensando ma me ne frego. Sapere la mia storia passata non gli da il diritto di decidere del mio presente.
- Vorrei ricordarle professore, che Alexis è ancora convalescente, quindi non deve stancarsi. Per nessun motivo, tanto meno le sue voglie illegali – esclama Alex in tono glaciale, guardando verso Giulio con un’espressione affatto amichevole.
Per quale motivo non ho colto l’occasione di ucciderlo quando avevo il mitra tra le mani? Da dove gli salta in mente di uscirsene con certe accuse? Mi volto verso Giulio, le guance in fiamme per la vergogna.
- Fa finta che non abbia fiatato, Giulio. Lui è il cugino quasi down di cui ti parlavo – lo scuso, cercando di chiudere la porta ma Alex si mette in mezzo prima che possa riuscirci.
- Grazie di aver parlato di me al tuo… amichetto. E comunque il down qui è serissimo. Trovati qualche altra sciacquetta per il momento.
Detto con quel tono, sembra davvero una minaccia. Mi chiedo come faccia Giulio a restare tranquillo. Lui intanto però sorride come se Alex gli stesse raccontando qualche aneddoto divertente.
- Abbiamo un amante respinto qui. Non preoccuparti, so come prendermi cura di Alexis. E anche se dovesse urlare, non sarebbe certo per il dolore, puoi stare tranquillo.
Sgrano gli occhi incredula. Ora anche Giulio si mette a rispondere alle provocazioni di questo mentecatto?
- Finitela, tutti e due. Alex, esci immediatamente e non tornare per qualche ora per favore. E tu invece va in cucina e apri il pacco. Diamo un’occhiata a questi documenti – ruggisco, zittendoli.
Perfetto, ora devo anche fare la maestra. Che giornata assurda.
- Io sono al piano di sopra se a qualcuno venisse voglia di…
- Alex! Sparisci, ora! – sbraito, chiudendogli la porta in faccia. Questo è proprio il massimo. Non solo accusa me, che almeno conosce, ma va a dire certe fesserie al mio professore! Ribadisco, avrei dovuto usare quel mitra quando ne ho avuto l’opportunità.
- Nervosetto il tuo amico.
Fulmino con lo sguardo Giulio che ridacchia. Non è il giorno giusto.
- Non è un mio amico. E non voglio più assistere a questi ridicoli battibecchi tra voi due, chiaro?
- Peccato. Sei molto sexy quando ti arrabbi – mormora ammiccando.
Alzo gli occhi al cielo, sospirando ma sorridente. Accidenti a lui e al suo bel sorriso, non riesco ad essere seria con lui.
- Cos’abbiamo qui? – domando avvicinandomi, cambiando discorso.
Spero di potermi liberare subito di lui, mi sento stanchissima. Lui intanto torna serio ed esce un plico di fogli e foglietti, poi li sparpaglia sul tavolo. Accidenti. Non so perché ma ho l’impressione che non intenda andarsene molto in fretta e questo non è buono.
- Queste sono tutti i documenti che abbiamo trovato, non potevo fare delle fotocopie senza il rischio di danneggiarli, e questo è il codice che credo serva per decifrarli. Il resto sta a te – spiega, porgendomi un foglietto stropicciato.
Ora è abbastanza chiaro che non se ne andrà fino a quando non l’avrò aiutato a decifrare quei fogli o sarà chiaro che non ne sono in grado e per entrambe le ipotesi ci vorrà più tempo del previsto. Valuto per qualche minuto la possibilità di cacciarlo letteralmente con una scusa qualsiasi senza preoccuparmi di sembrare scortese ma c’è il rischio che si incuriosisca e si trattenga ancora più del necessario. In fondo ero con Alex poco fa. E comunque continuerebbe a tornare fino a quando non avremo chiuso questa storia quindi tanto vale chiuderla subito. Non credo che riproveranno ad ammazzarmi in giornata.
Mi siedo con una smorfia di dolore mentre il fianco ricomincia a farmi male e prendo il foglietto che mi sta porgendo.
Lo esamino qualche momento, per vedere se siano dei simboli che già conosco ma non mi sembra di averli mai visti. Do’ una rapida occhiata ai fogli sul mio tavolo, mordendomi un labbro. In effetti, la disposizione dei segni è strana, con spazi molto lunghi o molto stretti, alcuni più sopra di altri, come se avessero scritto a zig zag.
- Cosa mi puoi dire che sai già? – domando andando verso i pensili. Ho bisogno di un caffè. Prendo la macchinetta e faccio segno a Giulio che annuisce. Mentre io preparo il caffè lui mi informa di quello che hanno già scoperto.
In realtà non è molto. Si dovrebbe trattare di un’Organizzazione segreta risalente agli inizi del ‘900 circa, con struttura a piramide, il che vuol dire un sacco di addetti, un numero più ristretto di addetti speciali, un numero ancora più ristretto di collaboratori e così via fino ad un unico capo generale. Qualcosa di molto simile ai templari insomma, ma molto meno cavallereschi. Non sanno esattamente quali erano gli obiettivi di questa associazione ma sospettano che abbia a che fare con delle scoperte scientifiche passate inosservate.
Quando il caffè è pronto, lo verso nelle tazze e porgo a Giulio la sua, tornando ad esaminare i vari segni sui fogli. Sono segni semplici, piuttosto lineari, con più curve che rette, il che mi fa pensare che gli autori si siano ispirati ai caratteri medievali. Può essere un’idea, devo tenerla a mente.
- Non c’è uno stemma, una firma, qualcosa del genere? Sarebbe più semplice risalire all’autore forse – ipotizzo.
- Sì, c’è questo stemma che ricorre in tutti i documenti, e crediamo che sia una specie di sigillo di autenticazione, ma non siamo riusciti a scoprire niente nemmeno su questo.
Mi mostra un cerchio diviso in quattro parti da una croce disegnata all’interno, le cui estremità si allungano in una specie di fiammella tremolante. Mai visto niente del genere.
- A prima vista non so che dirti. Devo guardarli per bene, pensarci un po’ su… ti farò sapere quando avrò qualche idea. Se ne avrò qualcuna. Sinceramente, dubito di potervi essere d’aiuto.
- Non preoccuparti se non dovesse venirti niente in mente. Ci avremo provato. Tanto non ti pago, quindi…
Rido nervosamente, poi suonano alla porta. Sospiro chiudendo gli occhi, per niente contenta di  questa ennesima visita. Dopo la mattinata di oggi, l’unica cosa che desidero è stendermi un po’ sul letto, in silenzio…
Suonano di nuovo e vado ad aprire.
- Ecco il quadro, Alexis – mi avverte Alex entrando senza che io l’abbia invitato. Chiudo la porta, poi mi ci appoggio con la testa, con gli occhi chiusi. Cos’ho fatto di male per meritarmi lui?
- Avevo detto qualche ora, Alex. Potevi portarmelo dopo, con calma – lo avverto, raggiungendolo in cucina, dove lui si è diretto dopo aver appoggiato il quadro vicino allo stereo.
- Lo so ma casa mia è un disastro in questo momento, ho pensato che rischiava di danneggiarsi – spiega.
Che pessimo bugiardo. Si capisce che è solo una scusa da come squadra Giulio, che risponde con sguardo ostile. Maledizione a tutti e due.
- Che succede qui? Spero di non aver interrotto niente.
Fa un sorrisetto in direzione di Giulio mentre parla, al quale Giulio risponde con lo stesso entusiasmo. Io li guardo tutti e due, indecisa su chi uccidere per primo. Probabilmente Alex.
- Stavamo controllando una cosa per l’università, nessun gioco perverso, cretino – rispondo e torno a guardare i fogli. Spero che vedendo che non succede nulla se ne vada di sua spontanea volontà.
Alex invece si avvicina al tavolo e comincia a guardare i fogli a sua volta, con l’aria di chi non intende andarsene per un bel po’. È più irritante dell’edera velenosa quest’uomo. Inopportuno come il cacio sul gelato.
- Ehi, questo simbolo l’ho già visto… - mormora all’improvviso Alex, prendendo un foglio dal mucchio per esaminarlo più da vicino. Mi sporgo verso di lui e lui mi indica una specie di H con delle punte di freccia ad ogni estremità. Anche Giulio si avvicina, con aria scettica. Questo duello silenzioso mi sta davvero dando ai nervi.
- Ne sono sicuro, l’ho già visto da qualche parte… cos’è? – domanda con la fronte corrugata.
- E’ un messaggio in codice, ma non riusciamo a capire cosa ci sia scritto.
Alex continua a fissare il foglio, le sopracciglia corrugate. È molto sexy con quest’aria concentrata… scuoto la testa per scacciare questi pensieri inopportuni.
- Mah. Eppure sono certo di averlo visto da qualche parte… - sussurra, poi fa spallucce e lascia il foglio.
- E come mai li decifrate voi? Corso supplementare? – domanda ironico.
- Sì, per alzare i miei crediti. Così non sarò costretta a concedere i miei favori anche agli altri professori – rispondo acida. Se vuole ancora credere che sia una che si vende per così poco sono affari suoi.
Lui si rabbuia mentre Giulio alle sue spalle sorride. Lo fulmino con un’occhiataccia, non è divertente. Lui cerca di tornare serio ma si vede che ride sotto i baffi.
Mi alzo e metto nel lavandino le tazze di caffè sporche, poi domando a Giulio qualcosa sull’università, poi del libro, che finalmente ho cominciato a leggere davvero e come al solito da lì finiamo a parlare di tutt’altro. Nel frattempo Alex se ne sta in silenzio, esaminando i fogli e lanciandomi ogni tanto occhiatacce ma lo ignoro volutamente. Vuole fare il terzo incomodo? Benissimo, lo farò sentire di troppo come mai nella sua vita.
Mi avvicino a Giulio e mi appoggio con la schiena al tavolo per stargli di fronte, dando quasi le spalle ad Alex. Incrocio le gambe e sfioro con il piede le caviglie di Giulio che sorride divertito. Gli faccio qualche domanda più personale e lui risponde pronto, mentre io sorrido e giocherello con i capelli, flirtando vistosamente.
Vedo la mascella di Alex stringersi tanto che sembra essere sul punto di esplodere, anche se fa finta di guardare i simboli dei fogli davanti a lui, e sorrido ancora di più. Gliel’avevo detto di stare fuori dalla mia vita. Gli insegnerò io chi comanda qui.
- E il tuo fianco invece? Mi sembri in splendida forma – si complimenta Giulio, sporgendosi leggermente verso di me per sfiorarmi il fianco con le dita. In realtà è completamente guarito ma è meglio fingere di essere ancora in convalescenza, così ho una scusa per non andare a lezione. Ci manca una sparatoria in università.
- L’università è tremendamente vuota e grigia senza di te, sai? Non ci sono stimoli per andarci a lavorare… - insiste, avvicinandosi ancora di più. Io gli reggo il gioco, ammiccando più del dovuto e godendo tremendamente nel vedere la faccia di Alex in questo momento. Mi spiace per Giulio che mi fa da cavia, ma Top Gun ha bisogno di una lezione.
Lo squillo di un cellulare interrompe la mia piccola e innocente commedia. Alex si alza e risponde, poi si allontana in fretta nel corridoio, verso la camera da letto per parlare in privato. Non abbastanza in fretta però perché io non senta la voce di una donna dall’altra parte della linea.
- Non era così che avevo immaginato il nostro… approfondimento – bisbiglia Giulio con un sorrisetto, venendomi ancora più vicino e appoggiando entrambe le mani al tavolo, bloccandomi tra le sue braccia e il tavolo dietro di me. Faccio spallucce, indecisa se disilluderlo o essere d’accordo con lui. In effetti anche io non l’avrei certo immaginato così, anche se non sapevo esattamente cosa immaginare. So che Giulio è più grande di diversi anni, so che è il mio professore e so che è famoso, tutti motivi per stare alla larga anche da lui ma… chissà, forse per una volta, avrei potuto dimenticarmi di essere la figlia di Blendell ed essere solo Alexis.
Ma grazie ad Alex, ogni previsione è andata in fumo. Maledizione a lui e al giorno che ha preso quel dannato aereo per arrivare qui. Dovrei fare reclamo alla compagnia aerea.
- Scusate, lavoro – si scusa Alex entrando di nuovo in cucina.
Io spingo Giulio di nuovo indietro, imbarazzata. Non vorrei esagerare, Alex è capace di avvertire il rettore solo per farmi dispetto.
- Tu non hai un lavoro – gli ricordo, raccogliendo i fogli sparsi sul tavolo per rimetterli nella loro busta giallina.
- In un certo senso, cioè. Era la donna delle autorizzazioni, sai, per il locale – spiega e io annuisco. È ora di far sparire questi due e dedicarmi alle mie ricerche. Ora sì che ho qualcosa su cui lavorare.
- Ora sarà meglio che ve ne andiate tutti e due e mi lasciate riposare. La ferita comincia a farmi di nuovo male e vorrei stendermi un po’ se non vi dispiace.
Giulio annuisce, poi si avvicina e mi schiocca un sonoro bacio all’angolo della bocca, sorride ad Alex e scompare.
Alex invece non sorride affatto, potrebbe fare da controfigura ad un temporale in questo momento.
- Le tue moine sono disgustose, spero che te ne renda conto. Quello scrittore da strapazzo è… - non finisce la frase, come se fosse troppo disgustato per continuare. Di nuovo sento le mani prudermi.
- Non sono affari tuoi. E non parlare male di Giulio. Lui, è una persona molto più a modo di te – lo rimprovero, infilando i fogli nella busta con rabbia per evitare di guardarlo negli occhi.
- Sei davvero incredibile Alexis. Prima vieni a casa mia e per poco noi non…
- Non tirare fuori questa storia. L’ho fatto solo per convincerti a darmi quel benedetto quadro, niente di più. Non farti strane idee – lo interrompo brusca. Non è la verità ma non importa. Non succederà mai più.
- Ah capisco. Scusa allora, devo aver frainteso. Sai che ti dico, forse hai ragione. Non vali la mia vita – replica.
Dal tono gelido e tagliente si direbbe offeso. Prende la giacca che aveva appoggiato allo schienale della sedia e se  ne va, sbattendo la porta. Di nuovo. Se non la smette con questo brutto vizio, ci chiudo lui nella porta prima di sbatterla di nuovo.
Mi siedo con le mani sugli occhi, aspettando che la rabbia passi lentamente. È incredibile il potere che ha quell’uomo di farmi infuriare. Devo trovare il modo di liberarmi di lui, alla svelta, prima di strangolarlo con le mie mani.
Prendo il pacco di Giulio e vado in camera da letto. Al momento ho altro a cui pensare. Poggio la busta sul comodino e apro il cassetto dove nascondo i fogli di mio padre. Da quando sono riuscita a recuperare il quadro, il giorno dell’attentato all’hotel, non sono più riuscita a trovare il tempo di preparare anche questo capitolo alla pubblicazione e invece devo assolutamente continuare con il mio lavoro, devo dimostrare a questi folli che non mi spaventeranno né mi fermeranno.
Torno in cucina, metto il ferretto alla porta e prendo il cordless, quindi mi siedo. Prima di cominciare a lavorare su questo capitolo sarà meglio avvertire Juno degli sviluppi.
Come avevo previsto quando gli dico che ho dovuto raccontare tutto ad Alex non fa che grugnire, lamentarsi ed imprecare contro di me.
- Juno, non avevo davvero scelta. Un tizio armato di mitra ha distrutto la sua casa e per poco non lo ammazzava. Cosa dovevo dirgli, che era il signore a cui ho rubato il parcheggio secondo te?
- E’ stata la stupidaggine più grossa che tu abbia mai fatto, e in questo periodo ne hai fatte parecchie. Perché non hai buttato la colpa a lui? Perché non hai fatto finta di non avere idea di cosa…
- Meno di un mese fa mi ha salvata da un altro attentato. Credi che mi avrebbe creduto? Meglio averlo dalla mia parte che lasciare che se ne vada a fare in giro domande su di me. Magari andava anche dalla polizia…
- Siamo nella fase di pericolo, Alexis, quello grosso. La prossima volta, chiamami prima di fare qualche fesseria. Ho promesso di tenerti in vita fino alla fine di questa storia.
Mi chiude il telefono senza nemmeno salutarmi. Deve essere davvero furioso, accidenti. Ma che altro potevo fare?
Per fortuna non ho dovuto specificare troppo i dettagli sulla mia visita a casa di Alex. Probabilmente sarebbe venuto a farmi fuori di persona, per essere certo di non dare la soddisfazione all’Organizzazione di uccidermi loro.
Mi fermo e chiudo gli occhi, massaggiandomi le tempie. È la prima volta che ripenso a quello che è successo prima dell’attentato. Come ho fatto ad essere così stupida? Ero andata lì per dirgli di stare fuori dalla mia vita e invece sono finita sul suo pavimento… se mia madre sapesse che eravamo sul pavimento… probabilmente anche Sarita ha avuto più stile di me.
Al diavolo. Ormai è successo. Ma non succederà mai più. Questa volta davvero. Non posso permettergli di sconvolgere la mia vita a questo modo. Si è intromesso anche troppo finora.
- Basta così, ora. È il momento di metterti al lavoro – mi dico ad alta voce, sperando che sentirlo mi convinca di più.
Per tutto il resto della giornata lavoro al vecchio capitolo ancora non pubblicato e poco prima delle tre del mattino successivo ho finito di rendere leggibili le parti danneggiate e decifrare tutta la scrittura. Ora devo solo batterlo al computer e farlo arrivare alla casa editrice.
Mi strofino gli occhi, che mi bruciano da morire, e rimetto tutto a posto. So che dovrei riposare almeno un po’ ma ho paura di chiudere gli occhi e rivedere quell’uomo steso ai piedi di Alex, risentire quell’odore metallico che si diffondeva dalla pozza rossastra o il suono secco dell’arma automatica. Se fossimo stati in piedi, la scarica di proiettili ci avrebbe tranciato le gambe, non avremmo avuto scampo.
Rabbrividisco e mi strofino le braccia. Non credo che riuscirò a dormire comunque. Ho bisogno di tenermi occupata.
Sposto la poltrona del salotto in modo da avere più spazio al centro e faccio un po’ di esercizio. È da un po’ che non lo faccio, per via della ferita al fianco, e ho quasi subito il fiatone, per non parlare del dolore intenso che si irradia dalla ferita, ma non mi fermo. Se conto impedirò ai miei pensieri di ripensare a questa folle giornata. E dire che era cominciata così bene.

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Capitolo 9
*** Indizi ***


Se ripenso a quei giorni sento lo stomaco stringersi. Furono giorni semplicemente folli, in cui mi sembrava di non avere un attimo di tregua. La paura che provai in quei primi giorni di catastrofe non è paragonabile e nessun altro periodo della mia vita, esclusa forse l’ultima notte, quella che avrebbe scritto la parola fine a tutta la mia vita come l’avevo fino ad allora conosciuta.
E forse fu proprio quella paura costante, quel continuo, incessante senso di disastro imminente, di confusione, di surreale che mi impedì di rendermi conto di quello che qualcuno tramava alle mie spalle, così vicino che avrei potuto sentire il fruscio dei suoi malefici fili che si intrecciavano se non fossi stata così distante dalla mia abituale lucidità.
Furono giorni intensi e frenetici, in cui mi sembrava di vivere a metà tra un incubo e un film di azione un po’ troppo reale, giorni in cui per la prima volta da quando mi ero imbarcata in quella stravagante avventura dubitai di essere all’altezza del compito che mi ero assunta.
Ma sto di nuovo tergiversando e devo smetterla. Il momento che sto per descrivere merita un’attenzione particolare, una concentrazione maggiore rispetto agli altri e non posso farmi distrarre dalle mie riflessioni.
Non so se saprò descrivere questo momento come merita, ma devo almeno provarci o il mio esorcismo non avrà funzionato e come regalo dovrò ripiegare sulla solita cravatta, che non verrebbe comunque indossata.
Riprendo a scrivere quindi, sorseggiando il caffè ormai freddo, sperando di saper rendere giustizia al groviglio di sentimenti e avvenimenti che sto per raccontare.
 

 
8 APRILE
- Non riesco davvero a crederci. Non avrei mai pensato che sotto quella tua aria antipatica nascondessi una specie di agente segreto – mormora Alex dal profondo della poltrona alle mie spalle, in cui si è inabissato qualche ora fa.
- Quanti segreti che può nascondere una prostituta che si vende per qualche voto eh? – lo canzono io senza distogliere lo sguardo dallo schermo del computer davanti a me.
- Quindi è per questo che fai sempre l’acida e la scontrosa, per nascondere il tuo segreto? – insiste, ignorando la mia frecciatina. Ma non riesce proprio a stare zitto?
- No, lo faccio nella speranza che certi rompiscatole intuiscano che non sono pane per i loro denti a dire il vero – replico con un mezzo sorriso, continuando a scorrere con lo sguardo le voci della ricerca sul computer, senza riuscire a trovare quello che cerco. Perché è così difficile trovare un traduttore di russo online?
- In effetti, non deve essere stato facile per te vivere così per… quattro anni se non sbaglio. Ma com’è possibile che nessuno se ne sia mai accorto finora?
- Nessuno è mai venuto a ficcanasare nella mia vita con tanta insistenza, probabilmente. Nemmeno tu l’avresti saputo se il destino non avesse capito che il mondo non ha bisogno di un altro guastafeste come te.
- Sei sempre così dolce con me tesoro… mi farai venire le carie – ironizza lui, poi finalmente si zittisce e torna a leggere il libro che ha sulle gambe. È uno di quelli che mi ha lasciato mio padre, dice di voler essere preparato su tutta la storia.
Continuo a cercare instancabile qualcosa che mi aiuti a tradurre le parole del russo che ci ha aggrediti. In realtà non sono nemmeno sicura che si scriva così come lo sto cercando io. E non sono nemmeno certa che si tratti proprio di russo. Potrebbe essere ucraino, rumeno o chissà cos’altro.
Sbuffo, chiudendo la pagina. È ovvio che così non riuscirò a concludere niente. Lascio perdere quindi momentaneamente la traduzione e vado al tavolo dove ho appoggiato i fogli del nuovo capitolo. Non ho ancora pubblicato quello vecchio ma è meglio portarmi avanti con il lavoro.
- Serve una mano? – domanda Juno entrando.
- Stavo per cominciare a lavorare sul nuovo capitolo. Alcuni fogli sono danneggiati, l’inchiostro è quasi invisibile… hai niente che possa aiutarmi?
Lui si avvicina ad uno scaffale pieno di bottigliette e ne prende qualcuna, leggendo le etichette e rimettendole al loro posto fino a che non ne prende una color amaranto.
- Questo può aiutarti. È un acido, si lega con le tracce di inchiostro rimaste e le rende di nuovo leggibili – mi spiega porgendomi la boccetta.
Mentre lavoro sui fogli danneggiati occhieggio di sottecchi Alex. Da quando ci siamo praticamente trasferiti a casa di Juno non riesco a fare a meno di pensare a lui. A come si sia intrufolato nella mia vita, a come abbia preso a farne parte naturalmente, come se ci fosse sempre stato.
E sebbene all’inizio mi abbia dato fastidio, in realtà non posso nascondere che comincia a piacermi l’idea di averlo intorno, di avere qualcuno con cui condividere questa follia. Qualcuno di grande e sicuro e affidabile  e sexy come lui.
Probabilmente è anche per questo che non mi dispiace il feeling che si sta creando tra noi, una complicità che non avrei mai sospettato di poter instaurare con uno come lui. È ancora il solito rompiscatole ficcanaso e pieno di sé ma la sua compagnia in questi giorni è diventata… stimolante, in un certo senso, e comincio ad apprezzarla più di quanto avrei mai immaginato.
Negli ultimi giorni, mentre condividevamo tutto, non ho potuto fare a meno di ripensare ai baci che mi ha rubato, alle sensazioni che la sua vicinanza nel suo appartamento mi aveva fatto provare…
Possibile che… magari… forse… che Alex sia più che bei vestiti e tanta arroganza? No, non è possibile. Ma non si può mai dire nella vita, no?
Lui d’altro canto non si è preoccupato minimamente di nascondere il suo nuovo interesse nei miei confronti. Ha più volte cercato di riprendere il discorso che aveva cominciato la sera dello sfortunato ballo di gala ma ho sempre trovato il modo di sfuggirlo. Non si è dato per vinto e ha preso l’abitudine di lanciare occhiate e frecciatine che nemmeno un cretino avrebbe potuto fraintendere, nonché di girare per casa solo in pantaloni, sicuro che non avrei potuto resistere a quel fisico. Non ha tutti i torti, devo ammetterlo.
- Stanca? – mi domanda lui all’improvviso alzando gli occhi dal libro.
- Un po’ sì. E tu? Stai leggendo da ore.
- Un po’ anche io. Trovato niente di utile?
- Non ancora. Riproverò più tardi. E tu stai capendo di più sulla versione letteraria di Mission Impossible?
Lui sorride, un sorriso stupendamente mozzafiato.
- Un po’ sì. Ho esaminato quasi tutto il materiale e… non ho parole. È davvero una cosa grossa. Non so come abbia fatto a passare inosservata a qualcun altro. Non so, altri agenti, servizi segreti… come fanno a non vedere? Come fanno a non credere a tutte queste prove?
- Sanno tutto, sanno che è tutto vero, ma sono implicati anche i servizi americani, Alex. È per mano loro che mio padre è morto ed è per questo che mio padre mi ha affidato a una coppia di italiani, per sottrarmi a entrambe le squadre.
Lui scuote la testa, ancora scettico a questa mia convinzione.
- Mi dispiace per… per tutto questo. So che non è per questo che sei tornato in Italia.
- Alexis, sono tornato in Italia per cambiare la mia vita, per cercare di trovare qualcuno o qualcosa che desse un senso alla mia vita. E ho ottenuto tutto questo, quindi non dispiacerti.
Distolgo lo sguardo, intuendo cosa intende ma decisa ad evitare l’argomento. Anche se forse potrei essere interessata a lui, non è comunque il momento adatto per una cosa del genere, meglio rimandare al dopo-romanzo.
Lui si accorge del mio tentativo di ignorarlo e mi raggiunge, appoggiandosi al mio schienale, mentre io fisso ostinatamente lo schermo del computer, senza vedere niente in particolare.
- Perché continui a respingermi? So che anche tu provi la stessa cosa, non negarlo – mi sussurra quasi nell’orecchio.
Chiudo gli occhi per un istante, assaporando la sua vicinanza inebriante, di nuovo inspiegabilmente desiderosa di sentire il sapore di quelle labbra, il calore del suo abbraccio…
- Credevo che mi reputassi una poco di buono. Non vorrei mai rovinare la tua immagine perfetta per una come me – replico scattando in avanti con la schiena per allontanarmi il più possibile da questo diavolo tentatore, cercando di mantenere un tono tranquillo. Non mi riesce nemmeno un po’ e lui se ne accorge subito perché all’improvviso si allontana dallo schienale appena lo spazio per far ruotare la sedia, così da ritrovarmelo a pochi centimetri di fronte a me.
- E’ inutile che continui a fingere con me Alexis. Ora che so il tuo segreto puoi abbandonare la maschera da dura e rilassarti.
- E chi ti dice che fosse una maschera? – ribatto prima di potermi fermare. Forse non è il momento di stuzzicarlo ma come sempre la mia bocca con lui perde ogni controllo.
Lui sorride e si avvicina ancora di più con il viso al mio. Ormai i nostri nasi si sfiorano.
- Non è una maschera dici? Allora perché non mi hai ancora cacciato con una delle tue battute simpatiche? Perché mi permetti di stare qui, sfiorarti i capelli… - mentre lo dice sfiora delicatamente una ciocca fuoriuscita dalla mia crocchia improvvisata.
Vorrei fermarlo. Dovrei fermarlo. Ma non riesco a trovarne il coraggio. È come cacciare Brad Pitt, non è facile.
- Perché mi permetti di fare questo… - continua, cominciando a sfiorarmi la linea del collo con le labbra. Ora è decisamente il momento di fermarlo ma ancora non ci riesco. Il vortice nello stomaco intanto ha rivoluzionato completamente la geografia di tutti gli organi: il cuore è in gola, lo stomaco nel basso ventre…
Per fortuna un suono che comincio a conoscere molto bene ormai ci interrompe. È il cellulare di Alex.
- Devo rispondere, mi dispiace. Torno fra un momento – mormora e si allontana.
Maledetto cellulare. Negli ultimi giorni non fa altro che rispondere al cellulare, dileguandosi per non essere ascoltato. Questa cosa non mi piace, ma non voglio intromettermi nella sua vita, l’ho già incasinata abbastanza. E poi probabilmente è un segno del destino o un aiuto mandatomi dal Signore per evitare di commettere un enorme peccato, dovrei ringraziare chiunque abbia chiamato.
Comunque è ora di tornare al lavoro, quindi torno vicino al computer, digitando ancora sui tasti alla ricerca di un traduttore, con poche speranze. Maledizione, non potevano mandare un sicario inglese? O francese magari… qualcosa di più facile da tradurre.
Mi guardo intorno alla ricerca di ispirazione, sforzandomi di ignorare il tono gentile di Alex che parla al telefono nell’altra stanza. Segno che sta parlando con una donna, penso storcendo il naso. Probabilmente sarà ancora la biondona, la tizia delle licenze per il locale. Ma non fa altro che chiamare lui? Non ha altri clienti?
Mentre impreco contro le impiegate sexy lo sguardo mi cade su un pacco giallino buttato su una pila di libri. È il plico dei fogli di Giulio, l’avevo portato per dargli un’occhiata nel tempo libero ma non l’ho ancora aperto. Ora che ci penso, non ho nemmeno telefonato in questi giorni, penserà che mi sono scordata di lui…
Vado a prendere il pacco e torno alla scrivania, esco i fogli e li sparpaglio davanti a me. Distrarmi forse mi farà venire un’idea.
Osservo di nuovo i simboli, segnando con la matita la lettera a cui corrispondono, senza riuscire a trovare un senso logico. Sembrano davvero parole a casaccio. Soprattutto mi insospettiscono tutti questi spazi enormi tra una parola e l’altra, tra un rigo e l’altro…
Prendo il cellulare e compongo il numero di Giulio.
- Ciao professore. Sei impegnato o posso parlarti? – domando non appena risponde.
- Ciao, sono sempre libero per te. cosa c’è?
- Ho i tuoi fogli sottomano e stavo pensando… avevi detto che credevi si trattasse di un’associazione del novecento vero? Ma il codice di decifrazione che mi  hai dato è più vecchio, del medioevo direi…
- Sì, l’abbiamo notato anche noi, ma abbiamo pensato che gli adepti abbiano utilizzato di proposito un vecchio codice già esistente. Ancora non hai trovato un senso a quei documenti?
- No. È assurdo, sembra che… non so, che manchi qualcosa…
- La cosa assurda è che io non riesca ancora a decifrare questo mistero. Ho tre lauree, parlo diciotto lingue e non capisco cosa manca in un messaggio di quasi duecento anni fa. È ridicolo – si lamenta acido.
Accidenti, dove ha trovato il tempo di prendere tre lauree?
- Mi dispiace, non credo che potrò esserti d’aiuto a questo punto. Dovrai rivolgerti a qualcun altro – mi scuso. Mi dispiace davvero di non potergli essere d’aiuto, ma non so cos’altro tentare e al momento ho altre ricerche da fare.
A questo punto mi si accende una lampadina nel cervello.
- Giulio, scusa se cambio discorso così all’improvviso ma… diciotto lingue hai detto?
- Sì, qualcuna meglio, qualcuna peggio.
- E il russo rientra per caso tra queste?
- Sì, direi di sì anche se non è la mia preferita. Ti serve aiuto?
- In effetti sì. Ho una frase di un… un vecchio libro che sto traducendo per un’amica ma c’è una frase che non riesco a capire.
Gli dico la pronuncia così come l’ho annotata dopo l’aggressione e lui mi risponde subito.
- Non è proprio russo, credo che sia moldavo. Comunque credo che significhi “Non chi. Cosa. Lui è la missione”. Ma potrei essermi sbagliato, non conosco benissimo il moldavo…
- Capisco…
Non è vero. Non ho capito. Questa frase non ha senso. Che vuol dire che Rofferwaak è la missione?
- Un’altra cosa, Giulio: sai per caso chi è Rofferwaak? – aggiungo, anche se so che è un tentativo disperato, ma vale la pena farlo.
- Non ne sono assolutamente certo ma credo che sia un filosofo, qualcuno risalente tipo al seicento, forse cinquecento. O forse era uno scienziato…
Mi alzo di scatto per l’eccitazione e allungo la mano per prendere una penna e annotarlo ma urto per sbaglio la boccetta contenente il liquido amaranto che si riversa sui fogli sparsi sul tavolo, quelli di Giulio. Maledizione!
- Ok, grazie davvero di cuore, non puoi immaginare che aiuto mi hai dato. Ora però devo scappare, c’è stato un piccolo incidente, ti richiamo non appena posso – lo saluto e lancio il telefono sulla poltrona, cercando qualcosa con cui assorbire il liquido prima che rovini del tutto i fogli.
Mi affida documenti antichissimi e preziosissimi e io li riduco in una poltiglia molliccia. Splendido.
Finalmente trovo una maglia abbandonata e la butto sulla chiazza amaranto, cercando di rimediare a quel disastro. In realtà non posso fare molto, il liquido colorato ha ricoperto quasi tutto il tavolo.
Con una smorfia di irritazione sollevo uno dei fogli bagnati prendendolo dall’angolo e lo tengo così, aspettando che sgoccioli pregando che non sia del tutto illeggibile. Con mia enorme sorpresa invece, vedo il colore fissarsi sul foglio e concentrarsi in linee più scure negli spazi bianchi tra le parole, prendendo lentamente forma di linee e curve.
Incredula, ci metto qualche secondo a capire: gli spazi vuoti non erano affatto vuoti, c’erano delle parole lì prima, parole che erano invisibili ad occhio nudo ma che ora si evidenziavano a causa del liquido. Ecco qual’era la parte mancante!
Lascio sgocciolare tutti i fogli, uno per uno, e li dispongo su un tavolo nell’angolo, sgomberandolo da carte e scatole varie, mentre il liquido si fissa per bene. Intanto cercherò Rofferwaak, il nome che Tuta Nera ha pronunciato.
- Ti lascio sola due minuti e tu combini un disastro – esclama Alex entrando, notando il liquido sparso un po’ dappertutto.
- Mi è caduta la boccetta, ma non importa. Ho una novità interessante – gli spiego tutta eccitata, mentre digito il nome Rofferwaak su Google. Vediamo se qualcun altro lo conosce a parte Giulio.
- Ho telefonato a Giulio e mi ha tradotto la frase e spiegato chi è Rofferwaak – continuo.
Lui emette una specie di grugnito-brontolio.
- Hai chiamato il dottorino, splendido – replica infatti acido.
- Non è un dottore, è un professore ed è stato comunque più utile di te – ribatto. Non lo sopporto quando fa così.
- E lui sa di questa storia? Gliel’hai detto? – insiste.
- No, non lo sa. Ed è meglio per lui che continui a non saperlo quindi fa attenzione a come parli se doveste incontrarvi o dovrei eliminarvi entrambi.
- Ne avresti il coraggio?
- Assolutamente sì. Forse per Giulio avrei un po’ di compassione ma… ci penserà Juno. Due infiltrati sono decisamente troppi.
Lo fisso, sfidandolo a continuare la sua predica di gelosia ma lui si avvicina al tavolo in silenzio, dichiarando la resa. Bene, almeno ha capito quando non può vincere.
Non so quanto tempo abbiamo passato seduti lì davanti allo schermo luminoso alla ricerca di qualche traccia di questo misterioso Rofferwaak. Alla fine qualcosa l’ho trovata, ma non è sufficiente a rendere tutto più chiaro. Viene citato in qualche blog come uno scienziato della fine del quattrocento che ad un certo punto della vita era stato però processato per una scoperta che aveva fatto, ritenuta opera della magia nera o roba simile e da allora si era dedicato alla filosofia, diventando partecipe di svariate sette e associazioni segrete, fino alla sua incarcerazione. Durante gli anni del carcere aveva scritto un saggio tra filosofia e scienza ma non aveva fatto in tempo a pubblicarlo perché era morto, malattia sembra. Il libro era stato poi ritrovato da una delle sette a cui apparteneva che ne avevano fatto una sorta di Bibbia, sottraendolo così all’attenzione del grande pubblico.
Ma tutto questo che aveva a che fare con la missione?
Mi sento ancora più confusa di prima, maledizione.
- E’ inutile continuare a cercare qui, Alexis. Non troveremo altro. È ovvio che non è una star – cerca di convincermi Alex ma io non riesco a smettere. Deve esserci qualcos’altro accidenti, non può essere finita qui.
- E’ l’unico indizio che abbiamo – insisto.
- Sei sicura che tra i libri di tuo padre non ci sia nessun accenno a questo Rofferwaak? – domanda poi pensieroso.
Ci rifletto su. Non mi sembra, lo avrei riconosciuto altrimenti, li conosco ormai quasi a memoria. Ma in effetti mio padre ha usato degli pseudonimi per il libro quindi è possibile che…
Mi alzo e vado a prendere uno dei libri dallo scaffale. È un libro sulla storia delle associazioni, forse qui troverò qualcosa.
- Provo a leggere qui, forse trovo qualcosa. Tu intanto… trovati qualcosa da fare, ho bisogno di silenzio.
Mi immergo quindi nella poltrona dove era seduto Alex e comincio a sfogliare rapidamente le pagine, alla ricerca di un nome che possa somigliare a…
Finalmente trovo qualcosa. Non è molto ma forse è una traccia. È un paragrafo che mio padre ha sottolineato, scrivendo delle lettere puntate sul bordo, R. = S. F. -> l. in c. -> M.???
Finora le avevo ignorate perché non avevo idea del loro significato ma ora… potrebbe essere Rofferwaak uguale scienziato e filosofo, libro in carcere, missione? Sì, potrebbe. Come potrebbe d’altronde essere Rotula uguale sterno e falange, luce in camera, maniaca.
- Trovato niente? – domanda Alex, che sta osservando i fogli di Giulio sul tavolo nell’angolo.
Gli spiego rapidamente quello che ho trovato e torno a leggere con più attenzione il paragrafo sottolineato. Parla di una specie di setta chiamata Pyrus, diffusasi nel tardo cinquecento. La caratteristica di questa setta era che tutti i suoi adepti erano persone in vista nella società, filosofi e scienziati con una discreta fama e tutti di origine latina. Inoltre, il testo di riferimento per questo gruppo era una sorta di trattato filosofico-scientifico di origine sconosciuta. Che sia l’associazione di cui parla nella vita di Rofferwaak, quella che ha trovato il suo saggio scritto in carcere? Così tutto avrebbe un senso…
Avverto Alex di quello che ho trovato e poi anche Juno, che però sembra perplesso.
- E cosa intendi fare ora? Con l’organizzazione addosso, rischiamo di esporci troppo – dice infatti quando ho terminato, grattandosi il mento. Brutto segno.
- Sono d’accordo con lui, Alexis. È troppo rischioso, se farai delle indagini se ne accoreranno e…
- E cosa? – domando incredula. Proprio loro che dovrebbero appoggiarmi si tirano indietro.
- Sanno già chi sono e dove abito, quindi sanno chi sono i miei amici e parenti e hanno già cercato di uccidermi due volte, e non ci sono riusciti per un pelo. Che altro potrebbero fare secondo voi? Non voglio starmene qui ad aspettare che riescano a farla franca.
- Da morta però non sarai più utile che nascosta. Credo che sia meglio concentrarci sui prossimi capitoli e finire questa storia – insiste Alex. Juno non parla, si limita a fissare ora me ora Alex con una strana aria, per niente rassicurante.
- L’hai detto proprio tu, Alex. L’ultimo capitolo non metterà fine a questa storia. Loro sanno che nessuno può provare che sia una storia vera e che io sono l’unica testimone. Non si fermeranno solo perché il romanzo è finito – gli faccio notare.
- Potresti cambiare identità, fuggire da loro, ricominciare una vita nuova. Dobbiamo solo trovare gli ultimi capitoli… potresti darmi i nomi, ce li dividiamo così li troviamo nella metà del tempo…
Incrocio le braccia scuotendo la testa. È fuori discussione, la lista non la vede nessuno tranne me. So che lui crede che sia perché non mi fido ma non è così. Non solo almeno. Se loro non sanno i nomi dei quadri non possono lasciarseli sfuggire, non può venirgli nessuna voglia di cominciare una ricerca senza di me… io ormai sono abituata, sono un’esperta nel ritrovamento, lui no, farebbe qualche casino e non posso rischiare di perdere il quadro.
- La ricerca è compito mio e di nessun altro, te l’ho detto.
Trattengo a fatica la rabbia. È assurdo, come fanno a non capire? Alex lo capisco, non è abituato ed è probabile che parli per paura più che altro ma Juno… lui mi è stato accanto in tutti questi anni, sa che non è un capriccio del momento questo, sa che ho ragione. E invece di aiutarmi se ne sta lì zitto a grattarsi il mento.
- Juno ti spiace dirmi la tua opinione in merito? – sbotto. Almeno abbia il coraggio di schierarsi da una parte o dall’altra.
- Abbiamo sempre lavorato in questo modo e ci è andata bene fino a quando questo qua non è arrivato in città. Perché cambiare ora che siamo alla fine? Dico di continuare come abbiamo sempre fatto e scoprire cosa c’è alla fine. Magari tuo padre ha scritto una sorta di epilogo con i nomi dei veri criminali, non possiamo saperlo.
Non dico niente ma abbasso lo sguardo. Non ha tutti i torti. Eppure non riesco ad accettare di starmene qui ferma ad aspettare che uccidano qualcuno per farmi uscire allo scoperto. Bown ha già pagato con la vita il mio segreto. Chi sarà il prossimo?
- A parte sottolineare che il mio arrivo non ha niente a che vedere con l’inizio di questi attentati, sono d’accordo con lui, Alexis. Continuiamo a cercare i quadri, vediamo cosa c’è alla fine e poi decidiamo.
Li guardo tutti e due irritata da questa specie di ostracismo. Mi aspettavo che mi avrebbero aiutata, non ostacolata. Comunque da sola non posso riuscire a cercare sia i quadri che altri indizi, quindi non ho altra scelta.
-E va bene, non mi farò distrarre. Ma se perderemo, sarà solo colpa vostra – sottolineo, poi torno ai fogli di mio padre. Ora sono piuttosto leggibili, sarà meglio cominciare a batterli al computer.
Dopo uno scambio di sguardi ostile anche Juno e Alex tornano a fare quello che stavano facendo. Fin dal primo giorno Juno è dell’idea che non sia un caso se l’arrivo di Alex è coinciso con l’inizio degli attentati, ma io non sono d’accordo. Lui mi ha salvata, questo lo scagiona. E poi… ho scoperto di avere in comune con lui più di quanto credessi, non è quello che credevo. E la persona che ho scoperto nascosta in lui non può far parte di un’organizzazione criminale.
- Alexis, posso parlarti un momento? – domanda Alex alle mie spalle. Mi volto controvoglia.
- Che c’è?
- Tu non credi davvero che io voglia… che sia una spia insomma, uno di loro.
Lo sguardo serio che ha in questo momento sembra passarmi da parte a parte e io distolgo lo sguardo. Credo che lui sia sincero, lo credo davvero. Voglio credergli forse e lui fa di tutto per essere convincente.
Lui intuisce che sono titubante e si avvicina a me, mettendosi proprio davanti e mi costringe a guardarlo negli occhi.
- Ho bisogno che tu mi creda. Io sono qui, rischio la mia vita, per te. So che non ti piace sentirlo ma… ci tengo a te, in modo particolare, diciamo. E in questi giorni qui, insieme, tutto il giorno, fianco a fianco…
“Sta’ zitto e baciami!” vorrei dirgli all’improvviso. In fondo è così che succede nei film…
Solo che questo non è un dannato film e di nuovo sento il suo telefono squillare da qualche parte nella stanza.
- Scusa, devo rispondere.
Maledetti cellulari!
Tendo l’orecchio per capire chi è dall’altra parte della linea: voce di donna, piena, sensuale. Quella maledetta impiegatuccia delle autorizzazioni. Forse dovrei farle una visitina uno di questi giorni, ricordarle gli altri clienti…
Devo smetterla. A me non importa di Alex, non sono gelosa di lui, quindi può parlare con chi gli pare. Però…
Torno vicino alla scrivania per inviare il capitolo ormai finito e vedo nella barra di Start che la pagina internet su Rofferwaak è ancora aperta. So che Juno pensa che sia meglio di no ma non riesco a stare qui ferma e se loro non vogliono aiutarmi… devo trovare qualcuno che lo faccia.
Compongo di nuovo il numero di Giulio che risponde subito, come se aspettasse vicino al telefono.
- Scusa se ti disturbo di nuovo ma volevo dirti due cose. La prima è che ho scoperto il segreto dei tuoi documenti. C’è dell’inchiostro nascosto negli spazi bianchi, parole che non si vedono ad occhio nudo. Non ho tradotto interamente ma credo che così il messaggio abbia senso. La seconda è… dove posso trovare informazioni piuttosto specifiche su quel Rofferwaak che ti dicevo?
- Alexis sei un genio! Come hai fatto ad accorgertene? Sapevo che mi avresti aiutato, ti devo un favore enorme. Rofferwaak? Credo di avere qualche idea… potresti provare con la biblioteca del castello…
- E’ solo per chi ha una carta speciale o qualcosa del genere, sono documenti riservati – spiego. Ci avevo già provato altre volte.
- E’ per questo che gli mostrerò la mia carta gold. Non mi negheranno una sbirciatina.
- Fantastico! Sei un grande, davvero. Troverò il modo di ringraziarti.
- Un’altra cena sarebbe gradita… facciamo venerdì? Nel pomeriggio andiamo in biblioteca e poi ristorantino… ti va?
Mi guardo intorno, cercando di capire se uno dei miei due coinquilini si stia avvicinando ma non mi sembra. So che è un rischio enorme ma vale la pena correrlo.
- Mi sembra perfetto. A venerdì allora.
Non faccio in tempo a chiudere che Alex entra nella stanza. È scuro in volto, sembra furioso. Che abbia sentito?
- Cos’hai? – gli domando cauta, preparandomi ad un’altra scenata.
- Niente. Niente di niente. Tutto bene. Perfetto.
- Sembra che ti hanno rapito il cane, dal tono di voce. Che è successo?
- Da quando ti interessa il mio tono di voce? – replica stizzito.
- Ok, come non detto mister simpatia. Spero che lo sgozzino, il cane – ribatto voltandomi di nuovo verso il computer. Così imparo a preoccuparmi per lui, accidenti.
- Brutte notizie al lavoro. Sembra che ci sia qualche problema con la licenza. Credo che non sarò qui venerdì – spiega dopo un po’, prima di sparire nel cortile, probabilmente a fare pesi. Sorrido. È la prima cosa buona che fa da quando lo conosco. Così posso fare finta che usciamo insieme, Juno non romperà tanto se crede che sia con lui a cena invece che con Giulio.
Invio la mail alla casa editrice con il nuovo capitolo, stando attenta a seguire la solita procedura così che l’indirizzo sia non rintracciabile e poi vado al tavolo con i documenti di Giulio. Sarà meglio che gli dimostri di essermi interessata anche ai suoi di problemi, non voglio sembrare solo un’approfittatrice, quindi è meglio che glieli traduca.
In realtà ho appena preso la matita in mano quando Juno mi chiama dal cortile. Lascio tutto sulla scrivania con l’intenzione di riprendere più tardi ma dopo gli allenamenti sono troppo stanca e così resta tutto lì.
 
 
- Prego signori, da questa parte – ci indica il tizio baffuto, precedendoci in un lungo corridoio.
È meraviglioso quante porte apra l’essere famoso. Senza Giulio non mi avrebbe nemmeno rivolto la parola questo simpaticone con i baffi alla Mussolini.
Ci porta in una stanzetta minuscola che puzza di polvere e di chiuso.
- Il libro è questo. È un po’ danneggiato ma ancora leggibile. Fate molta attenzione, ha un valore inestimabile- sottolinea guardando verso di me, come se temesse che potessi rubarlo. Trattengo a stento la voglia di fargli un gestaccio. Chi crede che  sia?
- Ora vi lascio al vostro lavoro. Buona lettura – dice ancora e poi scompare, chiudendo la porta.
- Bene, mettiamoci al lavoro – esclama Giulio. Sembra contento di dover passare le prossime tre o quattro ore a spulciare vecchi libri noiosi. Un altro punto a suo favore. Anche se devo ammettere che in questi giorni Alex ne ha acquistati parecchi. Cominciano ad essere pari.
La lettura è più utile di quanto avrei mai immaginato. Ho scoperto un sacco di cose su questo Rofferwaak e credo di cominciare a capire cosa significa che lui è la missione. Leggendo ho scoperto infatti che Rofferwaak non è il suo vero nome ma solo uno pseudonimo, ispirato a quello che secondo lui era il nome di un centurione romano, fondatore di una setta segreta e che la scelta di questo nome è data dal fatto che la sensazionale scoperta di Rofferwaak partì proprio dalla lettura del diario di questo misterioso centurione che a quanto pare, partecipò in prima persona alla supposta scoperta dell’America da parte dei romani.
Sembra che Roma avesse scelto un gruppo di centurioni tra i migliori di tutte le zone conquistate e che li avesse reclutati per una missione segreta: scoprire nuovi pezzi di mondo. I centurioni partirono quindi e navigarono fino a quando non giunsero sulle coste di un paese verde e rigoglioso, dal clima terribilmente caldo, i cui abitanti avevano la pelle rossa. Avevano scoperto l’America quindi. Ma non solo. Alcune voci sostengono che su quelle coste i centurioni trovarono anche qualcos’altro, qualcosa di così sconvolgente da mandare subito una nave di nuovo in patria e chiedere di inviare i migliori scienziati latini.
A questo punto però la storia si confonde: secondo alcuni arrivò ma non ripartì mai, secondo altri ancora una nave con a bordo alcuni dei migliori scienziati partì davvero ma non raggiunse mai le coste americane. Fatto sta che nessuno tornò a riprendere quei centurioni dalle coste su cui erano bloccati e così la loro storia fu conosciuta solo attraverso quel diario, scritto dal centurione Rofferwaak e tramandato di generazione in generazione nel villaggio in cui erano vissuti i centurioni fino alla morte. Poi, con la scoperta ufficiale dell’America, erano cominciati i viaggi verso il nuovo continente e tra coloro che viaggiavano alla scoperta delle meraviglie americano c’era anche il filosofo Rofferwaak che aveva trovato il diario e ne aveva fatto la sua opera migliore. Da allora quel libro era diventato uno dei più letti, fino a quando la Chiesa non lo aveva dichiarato eretico e proibito.
È chiaro che quei centurioni erano gli stessi che avevano per primi fondato l’Organizzazione. Ecco perché la missione è distruggere Roma, è la vendetta per essere stati abbandonati lì.
Ora quindi la domanda è: cosa trovarono sulle coste americane i romani di così importante da non lasciare nessuna traccia ufficiale di questa spedizione e abbandonare i loro centurioni?
Non mi sento così eccitata da un sacco di tempo. È il primo vero indizio che ho trovato sulla vera identità dell’Organizzazione. Nonostante tutti i suoi libri mio padre non mi ha lasciato detto niente su questo gruppo tranne il loro crudele obiettivo. Non so se perché non avesse approfondito nemmeno lui o per chissà quale altra ragione.
- Spero di esserti stato d’aiuto – dice Giulio sbadigliando, strappandomi dai miei pensieri.
- Infinitamente. Non ti ringrazierò mai abbastanza, Giulio.
- Non ho fatto niente di così eccezionale, ho solo pagato una fortuna per quella carta – minimizza con un sorriso a cui rispondo.
- Che ne dici ora di andare a mangiare qualcosa? Sto morendo di fame – propone. Ovviamente accetto subito, perché anche io non resisto più, lo stomaco mi si sta ripiegando per la fame.
- A cosa ti serve sapere tutte queste cose su Rofferwaak? – mi domanda poi mentre si gusta una fetta di carne semplicemente enorme. La Fiorentina mi sembra che ha detto si chiami. Io non riuscirei mai a mangiare una cosa simile.
Sapevo che mi avrebbe fatto questa domanda, così rispondo vagamente che non è per me, che sto aiutando un’amica a fare una tesi di ricerca per una borsa di studio in storia della filosofia. Lui non sembra convinto ma non aggiunge altro e io cambio subito discorso, porgendogli il pacco con tutti i documenti, ora perfettamente visibili.
- Non ti ringrazierò mai abbastanza per l’aiuto che mi hai dato. Come hai fatto a capirlo?
- Stavo ripulendo delle vecchie cose di mio padre e il liquido mi è caduto per sbaglio sui fogli. Era un detersivo parecchio acido, si vede che ha legato con le vecchie tracce di inchiostro… - spiego sempre vaga. In realtà è assurdo, non potrebbe mai succedere e credo che anche lui lo sappia perché mi fissa per diversi minuti con aria insospettita.
Io continuo i miei spaghetti tranquilla, come se niente fosse, poi bevo un sorso di vino e lui alla fine torna a guardare la sua carne desistendo. È davvero una fortuna che almeno lui non mi sconvolga come Alex, con lui riesco a mantenere il mio abituale controllo.
La cena trascorre piacevole, come sempre d’altronde. L’unico intoppo è stato Alex, che ha continuato a chiamarmi per tutta la serata. Mi sono subito guardata intorno, temendo di trovarmelo lì nel ristorante ma non c’era nessuno. Possibile che abbia capito che sono con Giulio e voglia rovinarmi la serata? Comunque non otterrà niente perché l’ho spento dopo la quinta chiamata.
Dopo aver pagato il conto Giulio propone di accompagnarmi a casa ma rifiuto.
- Non è per te, è che non dormo a casa mia stasera. Sono da mia zia e lei starà già dormendo, non voglio svegliarla… - gli spiego, sperando che non se la prenda. Non posso certo farlo entrare a casa di Juno, dove fogli e attrezzature e armi sono sparsi un po’ ovunque.
- Che peccato. Però posso accompagnarti fino alla porta. Prometto che non insisto per entrare – insiste e non posso fare a meno di accettare. Dopo quello che ha fatto oggi non me la sento, oltre al fatto che sarei tremendamente scortese.
Quando siamo sotto casa di Juno lo saluto baciandolo sulle guance.
- Grazie di tutto, cena compresa.
- Aspetta un momento. E questo sarebbe il tuo saluto di ringraziamento? Non puoi proprio fare di meglio? – domanda con aria finta offesa ma in realtà molto allusiva.
Sorrido mordendomi un labbro. So che sembro matta per lui ma non me la sento proprio. In questi giorni tra me e Alex è nato qualcosa, non so cosa, ma mi sento come se lo tradissi se ora bacio Giulio. E non è corretto nemmeno nei confronti di Giulio se bacio lui pensando ad Alex.
- Mi dispiace ma… credo che dovremmo limitarci ad una splendida amicizia, almeno per ora – spiego.
Lui sembra confuso.
- Sono successe delle cose in questi giorni sai e non posso davvero… mi dispiace tanto. Ma forse è meglio così in fondo. Tu sei sempre il mio professore – cerco di spiegare, già sapendo che è inutile.
- E’ per quello della festa vero? Il tizio che mi ha preso a pugni, che ha interrotto il nostro approfondimento… cugino down se non sbaglio…
Il tono è risentito e mi dispiace da morire. Ma ormai non posso farci niente, non posso far finta che Alex non esista per me.
- Non è proprio mio cugino…
- E nemmeno down. Ma Alexis, non lo dico perché sono di parte, non solo almeno, ma io non mi fiderei di quello. Non è quello giusto per te, non merita la tua attenzione. Nemmeno la tua fiducia o il tuo rispetto se è per questo…
Ora sono io che mi metto sulla difensiva. Non mi piace il modo in cui parla di lui, come se sapesse delle cose che io non so.
- Giulio mi dispiace davvero ma… è così e puoi solo scegliere tra la mia amicizia o niente. Non posso darti di più per il momento.
Lui non risponde e mi fissa in silenzio. Io distolgo lo sguardo imbarazzata, sentendomi un verme.
- Va bene, scelgo l’amicizia. Meglio di niente no? Sei sempre in tempo per cambiare idea.
Sorrido appena, felice che almeno non abbia deciso di tagliarmi completamente fuori.
- Ci vediamo allora – lo saluto di nuovo, scendendo dalla macchina.
- Se il down non avrà niente in contrario – replica con un finto sorriso poi riparte.
Accidenti, ho combinato un bel casino.
- Ti ho chiamato mille volte stasera. Dov’eri? Perché eri con quello? – mi aggredisce la voce di Alex non appena apro la porta. È in piedi, appoggiato con la spalla alla colonna. Sembra mio padre quando avevo quindici anni e tornavo in ritardo.
Mi indispettisco subito. Ho già affrontato un momento terribile per colpa sua, è meglio se si congratula e sparisce.
- Non sono affari tuoi. Le chiamate le ho viste ma avevo altro da fare al momento. Ora puoi dirmi che cosa volevi.
- Prima dimmi che ci facevi con lui. Siete stati di nuovo a letto? – domanda velenoso, furioso.
- Sei veramente impossibile – ringhio, mettendomi le mani sui fianchi con fare bellicoso. Ma perché non sta zitto e basta?
- Con che coraggio vieni a farmi questa sfuriata dopo tutto quello che mi hai detto in questi giorni? Hai capito che sono la donna che cercavi e continui a credermi una…
- Non è questo che intendo. Ma le sante non vanno a letto con i loro professori – insiste acido.
- Non ci sono andata a letto! Perché ne sei così convinto? – domando esasperata.
Lui mi guarda risentito ma non dice niente. È ufficialmente la persona più snervante che io abbia mai conosciuto.
- Allora? Cosa ti fa credere che io sia stata a letto con lui? Io non ho mai accennato a una cosa del genere, eppure tu sembri convinto… - insisto. Questa volta lo metterò alle strette, non potrà rifiutarsi di darmi ragione.
Lui ancora non risponde, continua solo a fissarmi con gli occhi stretti.
Ora sto per strozzarlo. Se non la smette di guardarmi così giuro che stringerò le mie mani intorno al suo collo fino a quando non smette di respirare.
- Non prendermi in giro, cerca di essere sincera una volta nella vita, Alexis – risponde infine, con voce dura come l’acciaio.
- È quello che sto facendo, dannazione! Sto cercando di essere più sincera possibile con te su questa cosa e tu continui a darmi addosso per una colpa che non ho! – quasi urlo esasperata. Non ce la faccio, non posso sopportare anche questo in questo periodo.
- Mi dici quindi per piacere perché sei così sicuro che io e Giulio… - domando cercando di tornare ad un tono di voce più normale.
- Perché me l’ha detto lui, ecco perché maledizione! – sbotta finalmente distogliendo lo sguardo.
A questa affermazione non rispondo. Sono troppo allibita. Sta parlando sul serio?
- Non te l’ha detto vero? Per quale motivo credi che l’abbia preso a pugni? Sarò un cretino ma non permetto che si dicano certe cose della mia… di una mia amica.
Lascio ricadere le mani sui fianchi. Non ci posso credere? Possibile? O si sta inventando tutto per ripicca?
- Mi ha detto che hai dei nei sul fianco che formano un triangolo se non mi credi – aggiunge vedendo la mia espressione.
Più che parlare sembra che ringhi anche lui. Io non riesco ancora a replicare. È vero, li ho e Alex non può averli visti, sono troppo più in basso della vita dei Jeans per vederli.
- Non ti piace vantarti delle tue conquiste? A lui pare di sì… - il tono da vecchia acida mi fa saltare su tutte le furie.
- Non ci sono mai stata a letto e non posso credere che tu ci abbia creduto!
- Ma per favore… davvero ti aspetti che ci creda?
- In effetti no. Solo una persona intelligente potrebbe rendersi conto dell’assurdità di quello che stai dicendo e tu di sicuro non sei per niente intelligente!
- Alexis… togliti i pantaloni.
Lo guardo allibita. Sta davvero dando i numeri? Ho sentito male?
- Avanti togliteli – insiste.
- Sei impazzito? Vuoi che chiami l’ospedale? Forse hanno qualcuno che può aiutarti…
- Togliti quei dannati pantaloni e dimostrami che quei nei non esistono, dimostrami che se l’è inventato…
Non replico. Capisco ora la sua idea ma non posso farlo. Quei nei esistono, sono lì, anche se non so come faccia Giulio a sapere della loro esistenza…
- Per favore Alexis, fammi vedere che ha mentito…
Mi sta quasi supplicando e questo mi spiazza e ammutolisce. Anche perché non posso farlo.
- Non puoi farlo vero?
- Ho davvero dei nei a forma di triangolo su un fianco. Ma non sono mai stata a letto con lui.
- E cosa dovrei pensare invece? Che ti siano caduti per sbaglio i pantaloni mentre lui ti dava una ripassata? O preferite chiamarlo ripasso accademico? – domanda in un nuovo scoppio di ira.
- Sei veramente un cafone oltre che un idiota! Se ci fossi andata a letto non avrei avuto nessun problema a dirtelo. È una persona splendida, è un bel ragazzo ed è ricco sfondato…
- Quindi questo ti giustifica. Non importa che sia il tuo professore, il fatto che sia bello e ricco lo rende perfetto, giusto? Io sarò anche un cafone e un idiota, Alexis, ma tu sei un’ipocrita. Fai tanto la santerellina e poi menti a te stessa, e ti svendi alla prima occasione. Giudichi gli altri credendoti migliore perché proteggi il mondo da chissà chi, credi che tutto ti sia concesso perché giochi a fare l’eroina…
Si interrompe per riprendere fiato ma non riesco a replicare. Sono così arrabbiata che non riesco a formulare una frase coerente, il mio cervello è invaso da una lacerante nebbia rossa, quindi resto a fissarlo con una smorfia sulla faccia.
- Ora se non ti dispiace vado a letto. Non meravigliarti se domani non ci sono, non mi va di condividere il tetto con una che guarda solo al portafoglio di chi la circonda – ringhia, girandosi per andare nella sua stanza.
- Non ti azzardare nemmeno a dirlo, malfidente che non sei altro. Sono io che non voglio condividere il tetto con un cretino che mi crede una prostituta! Sparisci, e non farti più vedere – gli urlo riprendendomi appena, poi vado verso la mia camera. Prima di scomparire nel corridoio però mi volto di nuovo verso di lui, che nel frattempo non si è mosso dalla colonna.
- Per la cronaca, non non sono andata a letto con lui perché credevo che mi piacessi tu! – sbraito e poi corro nella mia camera, sbattendo la porta non appena dentro.
Sono semplicemente furiosa. Come ho potuto pensare che tra me e Alex potesse esserci qualcosa? È la persona più schifosa, mal pensante, ipocrita, gretta, ottusa, squallida…
Mi siedo sul bordo del letto, con gli occhi chiusi, cercando di controllare il respiro che è diventato corto e decisamente troppo affrettato e rimango diversi minuti immobile, col cuore in tumulto e la mente piena di parolacce.
Dopo un po’ qualcuno bussa alla porta ma non rispondo. Non sono in vena di parlare con nessuno in questo momento, nemmeno con Juno. Se solo ripenso a quello che ha detto quello zotico imbecille…
Bussano di nuovo e di nuovo non rispondo in nessuna maniera. Che pensino pure che sono fuggita dalla finestra.
- Alexis, per favore. Aprimi – mi prega Alex dall’altra parte della porta.
Non rispondo di nuovo. Non gli parlerò mai più. In fondo non vuole certo avere a che fare con una prostituta il signorino, vero?
- Alexis apri questa porta – insiste lui, imperterrito.
Ok, forse qualche altra parola offensiva posso anche concedergliela, nel caso creda che dimenticherò le sue offese prima di mai.
- Fuori da casa mia, lurido mal pensante ipocrita – replico con voce quasi isterica.
Lo odio, più di ogni altra cosa. E odio me stessa per avergli permesso di arrivare a questo punto.
- Non è casa tua questa. Mi apri per favore?
- No. Sono a letto con Giulio. Mi servono soldi – rispondo acida, fissando la porta con aria truce. Gli sembra il momento di fare il pignolo?
- Non fa niente, aprimi lo stesso. Dobbiamo parlare.
- No, non abbiamo niente da dirci. Non ho niente da dire a uno come te.
- Per favore – insiste in tono quasi tranquillo, un altro motivo per cui odiarlo. Dov’è la sua rabbia di poco fa, adesso?
Crede che anche io sbollirò in fretta come lui? È evidente che non mi conosce affatto. Mai, non cederò mai.
Non rispondo e continuo a restare in silenzio per diversi minuti mentre lui mi prega di aprirgli. Strano che Juno non sia ancora sveglio.
- Va bene, se non vuoi aprirmi vorrà dire che ti parlerò da qui fuori. Mi dispiace per quello che ho detto, non penso davvero che tu cerchi solo i soldi.
Silenzio gelido da parte mia. Ci vuole molto più di qualche parola di scusa con me.
- E’ solo che quando ho sentito che lui conosce quei particolari… non ci ho più visto. Come facevo a pensare che se l’era inventato? Aprimi, ti prego.
Niente da fare, deve penare ancora parecchio per il mio perdono.
- Alexis… non ci ho più visto perché voglio essere io quello che scopre il tuo corpo, quello che lo conosce a memoria, quello che ti stringe e ti accarezza e ti bacia. Voglio essere io a portarti la colazione a letto e voglio che sia il mio nome quello che sussurri nel sonno…
Giulio gli ha detto che ho sussurrato il suo nome nel sonno?!?
- Voglio essere io a fare tutte queste cose perché mi piaci Alexis, anche se sei acida e scontrosa e antipatica e perfezionista e maniaca e logorroica e paranoica. Mi piaci anche se devo rischiare la vita per stare con te. Mi apri per favore?
Ok, ora sono indecisa. Di solito non cedo così facilmente però… come faccio a restare insensibile a uno come lui che ti dice cose come queste?
Apro lentamente la porta e resto a guardarlo. Lui mi sorride piano.
- Non ci sono stata a letto e non voglio che tu mi creda una prostituta – insisto, seria.
- Non ti credo una prostituta.
- E non sono acida, logorroica, scontrosa, perfezionista, maniaca e paranoica.
- Avrei da ridire ma… scuse accettate?
- Può darsi. Se mi porti la colazione a letto potrei ripensarci…
Lui sorride ancora di più e mi stringe a sé.
- Tutte le colazioni che vuoi. Basta che non diventi tutta ciccia e brufoli…
Cerco di tirargli uno schiaffo ma lui mi blocca e mi bacia. Il miglior bacio della mia vita. E anche tutto il resto è il meglio della mia vita.

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Capitolo 10
*** Tradita ***


Quando mi sveglio Alex non c’è. Guardando il suo posto vuoto accanto a me sorrido, mettendomi il cuscino sulla faccia. Chi mi assicura di non aver sognato stanotte? Quello che mi ha detto tutte quelle frasi dolci non poteva essere Alex e quella che ha ceduto così facilmente non posso essere io… Che succederà ora? Questa notte non abbiamo esattamente parlato noi due… non so ora come ci comporteremo. Devo dirlo a Juno? Aspettare? Dire ad Alex che è stato frettoloso e che è meglio prenderci del tempo?
Mi tolgo il cuscino e mi metto a sedere, sbuffando per spostare i ciuffi scompigliati dalla mia faccia. In effetti non è il caso di avere una relazione in un momento del genere…
- Buongiorno. Avevi ordinato croissantes? – mi saluta Alex entrando con un vassoio.
- Scherzavo quando ho detto che dovevi portarmi la colazione al letto – sottolineo, sorridendo, ma già pregustando quella delizia.
- Con te non si sa mai, tesoro – risponde, baciandomi sulla fronte.
- Cosa credi di fare ora? – gli domando dando il primo morso alla mia colazione.
- Qualsiasi cosa mi ordini di fare mio capitano. Mi sembra di aver capito che non posso scegliere molto – risponde allegro.
- Allora potresti accompagnarmi. Se quella gente sa chi sono vuol dire che sto lasciando delle tracce e devo scoprire quali e cancellarle. Vieni con me? Così ne approfittiamo per parlare di stanotte…
- Non posso certo lasciarti andare da sola, no? Ma non credo che ci sia niente da dire. È stato tutto piuttosto chiaro. E piacevole – replica con aria languida, facendomi sorridere. Però torno seria subito. Può scherzare quanto vuole ma ne abbiamo di cose da dire. Non sono per niente sicura di quello che sto facendo.
Corro a prepararmi per uscire, avverto Juno che esco e raggiungo Alex che è già in macchina ad aspettarmi.
- Gliel’hai detto? – mi domanda quando ho chiuso lo sportello, indicandomi Juno con la testa.
- Non ancora. Non ha senso tenerlo nascosto, ma non so… se fosse una cosa senza seguito…
- Per quale motivo non dovrebbe esserci un seguito? Mi sembravi d’accordo stanotte… non hai sentito mentre parlavo da solo come un cretino dietro la tua porta chiusa? – il suo tono è tranquillo ma una vena comincia a pulsargli sulla fronte, segno che non è tranquillo affatto.
- Ho sentito benissimo ma… è una situazione complicata questa e non so se sia il caso di… capisci? Non posso permettermi distrazioni ora e tu sei una distrazione enorme per me.
- Cosa centra "la situazione" con noi due?
- Tutto e il fatto che tu te ne renda conto mi fa capire che forse è stato un tremendo errore.
Ferma il motore e si volta verso di me, ora evidentemente arrabbiato.
- Sei veramente incredibile. Credi che non capisca in che pericolo ci troviamo? Ma sono disposto a correre il rischio per stare con te e vorrei che anche tu lo fossi.
Mentre parla mi prende una mano tra le sue e… suona il suo cellulare.
- Pronto? Vanessa? Dimmi tutto, certo, certo posso parlare…
Accidenti a lei! Ma non ce l’ha una vita? Dove trova i soldi per tutte queste chiamate?
- Ora? Veramente stavo… certo, capisco. Sto arrivando.
Attacca e mi guarda storto.
- Ho trovato un possibile locale per il mio progetto e… se non vado lo perdo di sicuro – mi spiega in tono risentito.
Ovviamente. Di sicuro.
- Non importa, andrò da sola, parleremo a casa. Ma Alex, fa attenzione. Guardati sempre intorno e se vedi qualcuno che ti fissa anche solo un po’ scappa. Non farmi correre a salvarti.
- E cosa ti fa credere che abbia bisogno di essere salvato? – replica con lo stesso tono cupo e distante. Sentirlo mi indispettisce: in fondo cos’ho detto di così assurdo? Preoccuparmi mi sembra il minimo. Se lui si crede Top Gun, forte e invincibile, io non sono così ingenua.
Non rispondo e scendo dalla macchina, preparandomi alla lunga camminata che mi aspetta. È assurdo avere una macchina e non poterla usare. Devo ricordare a Juno di prendermene un’altra, una meno conosciuta.
La mattinata è assolutamente inutile, non riesco a scoprire niente. Eppure da qualche parte nel mio sistema ci deve essere una falla, un buco che i miei nemici hanno colto. Di nuovo mi vengono in mente le parole di Juno: “Non ti sembra una coincidenza un po’ forzata che lui arriva e loro ti trovano?” Ma non può essere lui. Deve esserci un’altra spiegazione.
All’improvviso il mio cellulare vibra nella tasca. Lo apro e vedo che sono dei messaggi della segreteria. Avevo dimenticato che c’erano i messaggi di Alex di ieri sera, ha detto di avermene lasciati parecchi dopo che l’avevo spento.
Compongo il numero della mia segreteria. Ci sono otto messaggi per lei. Accidenti, non demorde facilmente!
“Alexis sono Alex, richiamami immediatamente è urgente”. Il primo è andato. “Alexis, sono ancora io, richiamami ci sono novità”, dice il secondo. “Fa stare zitto quel bamboccio due minuti e richiamami, ho scoperto delle cose importanti” sbraita il terzo. Doveva essere esasperato quando me l’ha lasciato, penso sorridendo. Geloso? Scorro fino al sesto: “Alexis, spero che tu ti stia divertendo. Quando ti importerà di nuovo della tua vita torna a casa”.
Scorro la rubrica fino al numero di Alex e provo a chiamarlo. Segreteria. Gli lascio un messaggio per dirgli di richiamarmi, ignorando l’irritazione. Perché stacca il telefono per vedere un locale con la sua “amica”? Ma forse è solo per evitarmi.
Provo a chiamare Juno, forse lui sa qualcosa. Infatti, sa di cosa si tratta ma è troppo lungo da spiegare, è meglio vederlo con i miei occhi, perciò volo verso la mia nuova casa, in ansia. Cosa ci può essere di così importante?
- Ti ricordi i documenti di quel tuo amico professore? Quelli che si sono bagnati…
- Sì, me li ricordo. Qual è il problema?
- Alex li ha tradotti, non chiedermi il perché, e ieri sera, rileggendo alcuni appunti di tuo padre, ha scoperto una cosa inimmaginabile. Sono una raccolta dei verbali dell’Organizzazione, Alexis. La nostra Organizzazione.
Non ci credo. Ho cominciato a tradurli e non mi sembrava che… va bene, avevano qualche punto in comune ma le basi sono simili per quasi tutte le organizzazioni. Cosa gli fa pensare che si tratti della stessa?
Juno nota la mia aria scettica e si avvicina alla scrivania, prende un fascio di fogli e me li porge. Gli do un’occhiata rapida, troppo sconvolta da quello che mi ha appena detto. Mi accorgo che sono le fotocopie dei documenti di Giulio. Quando cavolo le ha fatte? Per quale motivo poi?
- Leggi qui. Questo brano. Poi leggi il quarto capitolo di tuo padre. Sono le stesse parole, Alexis, tuo padre aveva questi documenti quando ha scritto quella parte. Li ha citati parola per parola.
Stringo i fogli allibita, scorrendo velocemente la scritta a matita sopra i simboli. Ha ragione, le stesse precise parole. Non può essere un caso. Controllo anche gli altri fogli, ce ne sono altri di brani citati.
Ma se davvero sono gli stessi documenti, perché mio padre non me li ha lasciati? A meno che…
- Juno, dov’è la cartellina con gli originali? Forse so perché papà non me li ha lasciati.
Juno scompare e torna poco dopo con una cartellina blu. La apro e sfoglio velocemente tutti gli appunti fino a trovare il quadernino che cercavo. Lo sfoglio rapidamente e finalmente trovo quello che volevo. Brani scritti in corsivo, tra le virgolette, ma non nella scrittura di papà. Evidentemente sono informazioni che ha raccolto il suo amico, quello che gli ha affidato l’incarico, e perciò non avevamo le fonti vere ma direttamente la traduzione.
Accidenti, questo vuol dire che Giulio ha le prove di tutto quello che ho pubblicato. Non una traduzione che chiunque può inventare, ma dei documenti veri, risalenti a secoli fa, scritti in codice… è la prova che stavo cercando. E ce l’ha Giulio. Il che vuol dire che è in pericolo.
Il solo pensiero mi procura un attacco di nausea. Devo trovarlo e prendere quei fogli, subito.
Richiamo Alex ma il cellulare è ancora staccato. Gli lascio un altro messaggio ordinando gli di tornare immediatamente, poi chiamo Giulio.
- Dove sei? – gli domando, sforzandomi di controllare il tono di voce.
- In università ma ho appena finito, stavo andando a casa. Perché?
Già perché? Non posso spiegargli con disinvoltura che un gruppo di fanatici psicotici potrebbe volerlo uccidere per prendere quei fogli.
- Mi è sembrato che ci siamo lasciati un po’ frettolosamente ieri, non abbiamo affrontato abbastanza la questione e… vorrei chiarire bene le cose.
- Mi sembra piuttosto chiaro. Tu stai con il down e il professore deve restare solo questo, al massimo un amico. Tutto cristallino.
- Lo so ma… è che vorrei cercare di spiegarti… ti va se ci vediamo? – buttò lì. Non so ancora come gli spiegherò la situazione ma devo prendere quei fogli prima che abbia il tempo di leggerli. Se hanno trovato me, che per pubblicare mi sono resa volutamente invisibile, è certo che ci metteranno meno di un secondo a trovare lui e farlo fuori, non appena il libro sarà uscito. E sono assolutamente certa che dopo averli letti non potrà fare a meno di pubblicarli, è uno studioso in fondo.
- Al bar della facoltà tra venti minuti? – propone poco convinto e io accetto.
- Juno prendo la tua macchina. Torno tra un po’.
Non appena arrivata vedo che Giulio è già lì.
- Ciao – lo saluto, sedendomi di fronte a lui.
- Ciao. Mi spieghi che c’è? Perché tutta questa fretta? – domanda subito lui.
- Scusami è che…
- Alexis non devi scusarti. È la tua vita, hai fatto la tua scelta. Non la condivido, ma la rispetto. Che altro c’è da dire?
- In effetti… detta così sembra chiara la cosa… - ironizzo con un sorriso stentato, cercando disperatamente un modo per introdurre il discorso senza insospettirlo. O sembrare pazza.
- Per me è chiarissima, quindi non parliamone più ok? Però mi fa piacere che tu sia qui.
Sorrido di nuovo. Devo sembrargli davvero un’idiota, probabilmente si starà chiedendo come ha fatto a piacergli una come me.
- Visto che siamo qui e non parliamo di noi… che mi dici del nuovo libro? – domando, sfoggiando un sorriso fintissimo.
- Procede bene. Per ora sono ancora alla parte che parla dei massoni ma non vedo l’ora di arrivare ai documenti che mi hai tradotto. Visto che nessuno sa ancora di quella scoperta, sarà sensazionale pubblicarla nel mio nuovo libro...
- Quando intendi pubblicarlo? Manca molto?
Lui ci pensa un po’ su.
- Un mese credo, forse due per scriverlo. Più tutta la parte di revisione della casa editrice. Solitamente mi fanno penare, vorrebbero cambiare praticamente tutto. Sarà in vendita di sicuro però entro la fine dell’anno.
Bene, manca ancora un po’ di tempo. Grazie al cielo.
- Gli altri del gruppo hanno già visto quei documenti?
- Tradotti? Non ancora. Non ho avuto il tempo. Dovrei mostrarglielo dopodomani, alla prossima riunione programmata.
Bene, almeno è l’unico a sapere di questa storia.
- E tu li hai letti tutti?
- Non ancora, anzi sono ancora ai primi due o tre fogli. Per questo aspetterò la prossima riunione. Voglio studiarli a fondo.
- Senti… non so come dirtelo ma… avrei di nuovo bisogno di quelle pagine. Non credo di aver fatto tutto il lavoro che dovevo, e preferirei poterle studiare di nuovo…
- Stai scherzando? Hai già fatto un lavoro magnifico, non c’è affatto bisogno che ti affanni più di così. Se anche ci sarà qualcosa da fare, ho un sacco di collaboratori pagati proprio per farlo.
- Non voglio che vedano il lavoro a metà, non li ho nemmeno tradotti… e poi mi sono divertita, è stato molto interessante. Ti prego, solo un’occhiata, te li riporto tra qualche giorno.
Lui non mi risponde e mi fissa per qualche minuto. Sostenere il suo sguardo mi costa non poca fatica, ma mi sforzo di sembrare il più normale possibile. Grazie al cielo non sono mai stata molto normale.
- Alexis, c’è qualcosa che mi stai nascondendo? – domanda lui sporgendosi verso di me.
Dannazione! Finora stavo bene con lui perché ero più sincera con lui che con chiunque altro e ora lo respingo e imbroglio in meno di ventiquattr’ore. Sono orribile.
- Ok, la verità era che… volevo inserirlo in un progetto… citando te ovviamente come fonte, non voglio prendermi il merito della scoperta…
- Non potresti comunque farlo… finchè non pubblico il libro non ho nessun diritto su questa cosa e se lo legge qualcun altro potrebbe… capisci perché non posso farlo? Vorrei davvero aiutarti ma non posso, ti prego di capire, Alexis.
Sembra davvero dispiaciuto e io devo sembrarlo più di lui. Non vorrei fargli questo ma devo impedire che si faccia del male praticamente con le sue mani.
- Ti prego Giulio, solo pochi giorni, ti assicuro che nessuno leggerà niente prima della pubblicazione ufficiale del libro però… mi servono ora, non posso spiegarti meglio…
- Alexis vorrei aiutarti davvero ma non posso. Non è solo il mio libro, è il lavoro di molte altre persone e non posso tradirle così, rischiare il loro momento di gloria solo perché mi piaci…
Distolgo lo sguardo imbarazzata. Magico, nessuno me l’aveva detto in vent’anni e ora ho ricevuto due dichiarazioni un meno di un giorno. Come faccio ad essere così sfortunata?
- Giulio sarebbe importantissimo per me, lo so che ti chiedo tanto ma…
- Mettiti nei miei panni. Potrebbero anche denunciarmi i miei colleghi, lo sai?
Ha ragione ma non so davvero che scusa inventarmi. E se li rubassi da casa sua?
Di nuovo un cellulare, il mio. Leggo il numero sul display, è Juno.
- Scusa un attimo, devo rispondere – mi scuso e mi allontano un po’.
- Juno sono con Giulio non posso parlare ora ti richiamo…
- Alexis sono qui. Degli uomini armati sono qui. Non tornare a casa se non ti chiamo, avverti la polizia se non lo faccio…
Poi mi chiude la comunicazione. La sensazione di gelo che mi scorre nelle vene è indescrivibile. Che vuol dire sono lì? Come fanno a sapere dove siamo? Come fanno a sapere di Juno?
“Ti sembra un caso che lui arriva e loro ti trovano?” Le parole di Juno mi risuonano per un momento nella testa, come un lampo. Oltre me e Juno, Alex è l’unico a sapere di quella casa, sa dove siamo. E avrebbe dovuto essere con me invece… no, non devo farmi prendere dal panico. Anzi, devo avvertirlo di non tornare.
Provo di nuovo a chiamarlo ma mi risponde ancora la segreteria. Gli lascio l’ennesimo messaggio pregandolo di non tornare, poi corro da Giulio.
- Giulio mi dispiace, devo scappare. Un problema a casa, il forno… ti richiamo io. Nel frattempo per favore, lascia perdere quei documenti, non leggerli ancora. Ne riparliamo un’altra volta. Fino ad allora non leggerli
Lui fa per rispondere ma io scappo prima di sentire cosa dice, col cuore in tumulto e la mente piena di pensieri orribili. Ti prego, Dio, fa che non sia successo niente a Juno. Né ad Alex. E se fosse per questo che è sempre staccato il suo telefono? Non può essere… no. Non devo pensarci.
Mi rimetto in macchina e volo a casa. Parcheggio sul retro, attenta a notare movimenti sospetti. Non mi sembra che ci sia nessuno in vista. Prendo dal cruscotto la pistola di riserva e tolgo la sicura, quindi esco silenziosamente dall’auto e mi avvicino furtivamente alla porta bianca. Provo a sentire se dietro c’è qualcuno ma regna il silenzio totale. Maledizione, non credo sia un buon segno.
Apro la porta, lentamente per non farla cigolare, ed entro con la pistola puntata, ma la cucina è deserta. Mi avvicino alla porta del corridoio e di nuovo provo a sentire eventuali rumori ma di nuovo è tutto silenzioso. Entro con la pistola spianata in un’altra stanza vuota. Continuo così per tutte le stanze, fino allo studio.
Lì trovo Juno steso per terra, a pancia in giù, imbrattato di sangue lungo la gamba sinistra e il braccio destro. Corro vicino a lui, terrorizzata di tastargli il polso, ma è ancora vivo perché respira, anche se appena. Cerco di spostare il tessuto per vedere la gravità della ferita ma l’unica cosa di cui mi rendo conto è che è piuttosto grave. Non sono pratica di ferite.
- Ora chiamo un ambulanza, tu sta zitto e pensa solo a respirare, tra poco starai bene – lo rassicuro, usando uno straccio per tamponare la ferita alla gamba, che mi sembra quella più grave, mentre con l’altra mano cerco il cellulare nella borsa. Ci metto un po’ perché la mano trema troppo ma finalmente le mie dita lo afferrano e riesco a chiamare il pronto soccorso.
Come gli spiegherò perché delle persone armate sono entrate in casa nostra e hanno cominciato a sparare?
Subito dopo la sensazione della canna di una pistola sulla mia spalla sinistra mi fa reagire d’istinto: mi rimetto in piedi con un balzo e contemporaneamente gli pianto un gomito nello stomaco e gli sferro un calcio allo stinco.
- Ahi! Alexis, sei impazzita? Ma che ti è preso? Sono io! – urla Alex, preso alla sprovvista.
- Oh mio Dio, Alex, non mi ero accorta che fossi tu, credevo che fosse uno dei… - mi scuso ma mi interrompo, e lo abbraccio. Grazie al cielo è vivo!
- Credevo che fossi…
- Va tutto bene ora, calma. Cos’è successo? – mi interrompe, lasciando cadere a terra l’arma e stringendomi a sua volta.
- Non lo so, mi ha telefonato Juno dicendomi di non tornare e quando sono arrivata qui lui era per terra e la casa deserta e poi tu e la pistola… - mi accorgo di straparlare a vanvera, troppo confusa perché lui possa capirci qualcosa ma non riesco a controllarmi, come non riesco a trattenere il tremito che mi sta scuotendo ora.
Le ore successive si svelgono troppo veloci e confuse per poterle ricordare, come un film a cui sia stato inserito il foward. Ricordo solo vagamente l’ospedale, le domande della polizia (a cui però ha risposto quasi solo Alex), le foto dei giornalisti locali e poi finalmente casa.
- Dobbiamo trovare un altro posto, qui non siamo più al sicuro – dice Alex appena entrato, ma io non lo guardo nemmeno.
E se fossi arrivata troppo tardi? E se l’ambulanza non fosse arrivata in tempo? E se…
- Alexis ti prego. Smettila di tormentarti, è tutto passato. Juno sarà dimesso tra tre settimane e starà benissimo – mi consola avvicinandosi a me.
- Lo so. Ma se non fosse andata così? Come avrei fatto senza di lui, Alex? È lui che mi ha istruita, lui che mi ha sostenuta fin’ora… come avrei fatto?
- Ci sarei stato io accanto a te, secondo dopo secondo, per aiutarti e sostenerti al posto suo. E avremmo onorato lui come il tuo vero padre e tutti quelli che sono stati meno fortunati di noi. Ma non è successo no? Quindi rilassati e pensa a dove altro possiamo andare.
- Da nessuna parte. Io resto qui.
- Alexis è una follia. Sanno che siamo qui.
- Sanno dov’è casa mia, sanno dov’è questa casa, cosa che nemmeno i miei genitori vivi sanno. Cosa ti fa credere che non troveranno la prossima casa? Non posso sfuggire per sempre, io devo continuare a pubblicare i miei capitoli – gli spiego.
Ho pensato spesso a questo da quando siamo tornati dall’ospedale. Se hanno trovato questo posto, mi troveranno ovunque.
- Forse hai ragione, ci avevo pensato anche io. Ma non possiamo starcene buoni ad aspettare che ci uccidano sul serio. Ci deve essere un posto che non potranno trovare.
- Credevo che fosse questo e non era così. Alex, spostarci ci porterà solo via del tempo. Non possiamo andarcene.
Lui non replica ma non mi sembra affatto convinto. Non mi importa, ho già deciso, se non gli sta bene è libero di andarsene quando gli pare, per cui continuo a guardarlo con aria di sfida.
- Va bene, faremo come vuoi. Sta’ tranquilla – sussurra prima di abbracciarmi di nuovo. Più che rispondere al suo abbraccio mi aggrappo letteralmente a lui, sentendo di nuovo gli occhi diventare lucidi. Accidenti, ho pianto più negli ultimi due giorni che negli ultimi vent’anni, devo decisamente smetterla. Piano piano però l’abbraccio si trasforma in un bacio, dapprima lento poi sempre più intimo e coinvolgente… fino a quando non suona il cellulare. Il mio.
- Pronto? – rispondo con un guizzo di paura. Ho paura a fare tutto praticamente, dall’attentato a Juno. Che in realtà era a me.
- Sei sparita. Si può sapere che fine hai fatto? – mi domanda Giulio dall’altra parte della linea.
Ha ragione, sono scomparsa dopo la mia fuga dal bar, mi sono completamente dimenticata di lui.
Mi scuso, inventando che l’incidente del forno era più grave del previsto e aveva coinvolto un mio caro amico che ora era in ospedale e lui si mostra subito preoccupato ma gli spiego che ormai è tutto a posto. Alex intanto mi guarda con aria interrogativa e gli faccio il nome di Giulio con le labbra. Subito lui storce il naso e si rabbuia e io lo rimprovero con gli occhi. Abbiamo già affrontato l’ argomento e mi sembra di essere stata chiara su questo punto: niente lotte tra spasimanti e soprattutto niente ulteriori scazzottate o conoscerà l’Alexis cattiva e non glielo consiglio.
- Stavo leggendo i fogli che mi hai tradotto e non immagini cosa ho scoperto! La nostra teoria su questo gruppo misterioso era completamente sbagliata, è molto di più  che un’organizzazione passata! Anzi, rivedendo alcuni punti credo di aver scoperto una cosa più fenomenale di quanto avrei mai immaginato – riprende intanto Giulio nel telefono.
Per l’ennesima volta negli ultimi tempi, mi si gela il sangue nelle vene. Gli avevo ordinato di lasciar perdere, maledizione!
- Alexis, credo che questa organizzazione esista ancora! Abbiamo scoperto una società segreta del terzo millennio! Credo che abbiamo trovato…
- Niente! Giulio, non scherzavo quando ti ho detto di lasciar stare tutto. Fa finta di non aver trovato niente, almeno per il momento, ti prego. Non posso spiegarti niente per ora ma devi fidarti di me.
Quasi sto urlando nel telefono ma la sola idea di Giulio a faccia in giù come Tuta Nera o ferito come Juno o in una macchina in fiamme come mio padre… no, non deve succedergli niente.
Alex continua a guardarmi pregandomi di spiegare ma non ho tempo ora, gli spiegherò più tardi. Devo impedire a Giulio di suicidarsi.
- Giulio, ci vediamo tra un quarto d’ora al tuo studio, non muoverti di là e non parlare a nessuno di questa storia.
Chiudo il telefono prima che abbia il tempo di replicare.
- Si può sapere che sta succedendo, di nuovo? – domanda Alex nervoso.
- Era Giulio, ha letto i documenti e ora si è messo in testa di pubblicarli nel suo libro… accidenti! Non avrei dovuto dirgli della mia scoperta! Se non glieli avessi dati…
- Glieli hai dati? Sei impazzita per caso?
- Non sapevo di cosa si trattasse, non sapevo nemmeno che li avevi tradotti…
- L’avresti saputo se il tuo cellulare fosse stato acceso – borbotta.
Ha ragione va bene, ma ora non è il momento di decidere chi è il colpevole, devo andare a convincere Giulio a… non lo so a fare cosa, ma di sicuro a non mettere a repentaglio la sua vita.
- Devo andare ora. Vieni anche tu? – domando mentre prendo le chiavi e il cellulare.
- No, non credo. Non vorrei distrarti – replica. Accidenti, gli sembra il momento di fare i capricci?
- Ti ucciderei quando fai così – gli bisbiglio rabbiosa, prima di chiudere la porta.
Maledizione a lui, alle sue parole sdolcinate e a me, che ci sono cascata come un’imbecille! Lo sapevo che non avrei dovuto fidarmi di quella versione così gentile e accomodante. Lui è e sarà sempre il solito cretino, arrogante e fastidioso. Persino ora che Giulio è in pericolo pensa solo a se stesso e al suo orgoglio ferito!
Per fortuna, raggiungo lo studio di Giulio in meno tempo del previsto. Lui è dentro con un ragazzo, che fa uscire non appena mi vede.
- Alexis, devo ammettere che in questi giorni mi stai facendo preoccupare.
- Ascolta Giulio, ti avevo pregato di non leggere quei documenti fino a quando non avessi potuto rivederli…
- Non ho mai detto che ti avrei ascoltato. Non posso fermare il lavoro di dieci persone solo perché un mattina hai dato di matto – mi interrompe, mettendo il broncio. È la prima volta che lo vedo sulla difensiva con me e proprio nel momento meno opportuno. Ma come faccio a biasimarlo?
- Ascolta, non volevo dirtelo ma non so come convincerti altrimenti. Quei documenti non devono essere inseriti nel libro.
Lui mi guarda interdetto. Non sarà facile, non è uno stupido.
- Stai scherzando? Alexis, mi hai sentito mentre dicevo quanto sarà sensazionale? E poi, dopo tutta la fatica per tradurli…
- Lo so ma… è che… ci sono delle persone che potrebbero prendere molto male un’eventuale pubblicazione di questi documenti…
- Ma di che stai parlando? Chi è questa gente? Perché dovrebbe prenderla male? Cosa dovrebbe importarmene anche se fosse?
- Non te lo posso spiegare, ho giurato di mantenere il segreto. E poi non hai avuto il tempo di condurre ricerche approfondite. E se poi fossero dei falsi? Se avessimo sbagliato la traduzione? Insomma, è troppo presto per pubblicarli, credimi – insisto.
Lui continua a guardarmi come se parlassi di extraterrestri e non ha tutti i torti. Ma non può pubblicare quel libro.
- I documenti me li ha forniti una fonte sicura, sono certo che non sono dei falsi e non abbiamo sbagliato, quello è il codice di decifrazione giusto e tutto ha un senso così… è una cosa grandiosa, dovresti essere felice per me!
- No che non lo sono e ho i miei motivi per non esserlo, solo che ora non ti posso spiegare… vorrei che ti fidassi di me, Giulio…
Lui mi fissa per un po’, come se potesse leggermi nella mente e capire. Quasi mi dispiace che non sia così.
- Alexis, pubblicherò quei documenti in questo libro. Proprio non ti capisco certe volte… - dice poi, freddo, distaccato. Accidentaccio!
- Ascoltami per favore… ti giuro che non sono pazza e ho bisogno che ti fidi di me. Pubblicarli ora sarebbe un grande sbaglio, credimi. Anzi, credo che dovresti metterli al sicuro, in una banca per esempio e non parlare a nessuno di questa scoperta grandiosa – propongo al limite della disperazione. Ovviamente lui scuote il capo.
- Mi vuoi dire che sta succedendo? Sembri una matta sinceramente, in questo momento. Cosa sai che io non so?
Una marea di cose, vorrei rispondergli ma so che non posso. Non posso permettere che anche lui si intrometta in questa faccenda, la storia è già abbastanza complicata.
- Alexis, non so di che stai parlando ma non posso non pubblicarli. È un momento importante per me, quei documenti saranno la vera bomba del libro… non puoi chiedermi di metterli da parte perché tu… non so nemmeno perché…
Dei colpi alla porta lo interrompono. È proprio il mio periodo fortunato, penso, mentre mi sento di nuovo come se avessi ghiaccio nelle vene. Trattengo Giulio per il braccio e gli faccio segno di non aprire e di restare in silenzio. Lui mi guarda con aria interrogativa ma lo ignoro e torno a fissare la porta, pregando che sia una segretaria che vuole solo lasciare un massaggio. Se è la segretaria ora dovrebbe chiamarlo a voce, avvertire che è solo la dolce signora delle…
Di nuovo i colpi, forti, rabbiosi. Non credo che la signora bionda fuori dall’ufficio bussi in questo modo. Ma non può essere chi penso che sia, non possono già aver scoperto tutto…
Altri colpi, ancora più violenti di prima. Ora Giulio comincia ad essere evidentemente spaventato ma non posso che sperare che non faccia fesserie. Intanto esco la pistola dalla borsa, ringraziando il cielo di averla portata ma sperando che non debba usarla. Giulio diventa pallidissimo quando vede il metallo scuro scintillare tra le mie mani e prego che non svenga, mi serve lucido.
- Signor Gagliani, siamo della CIA americana. Abbiamo bisogno di scambiare due parole con lei – intima una voce possente dal forte accento oltre la porta. Non so se essere felice o meno della notizia. Sono felice che non sia qualche altro sicario armato e spietato ma… non sono sicura che la CIA sia più sicura.
- Signor Gagliani, apra la porta. Dobbiamo solo farle qualche domanda, apra la porta per favore – insiste la voce.
Giulio fa per muoversi verso la maniglia ma di nuovo gli faccio segno di no con la testa. Non mi piace questa storia.
- Signor Gagliani non ha altra scelta, questo è un ordine. Apra la porta e non le accadrà niente – insiste ancora di più la voce, assumendo un tono decisamente minaccioso.
Devo pensare e in fretta, maledizione. Mi sembra piuttosto strano che la CIA venga a cercare Giulio proprio ora ma… se fossero davvero agenti? Non posso rischiare che Giulio diventi un criminale per il momento.
Mi guardo intorno in cerca di un’idea ma la stanza è praticamente vuota: c’è solo la scrivania, due sedie e un grosso armadio di ferro, di quelli che servono per i libri. Poi per fortuna mi accorgo di un’altra porta, nascosta dietro la tenda.
- Ascoltami ora. Io mi nascondo lì dentro e tu apri la porta. Resta sempre qui, dove ti posso vedere, rispondi alle loro domande ma non accennare nemmeno lontanamente ai documenti e se ti fanno domande tu nega di averli mai visti, chiaro? E qualsiasi cosa dicano, non seguirli, inventa qualcosa – bisbiglio a Giulio, che sembra ancora piuttosto intontito ma ha ripreso un po’ di colore. Mi nascondo tenendo la porta aperta appena, con la pistola stretta tra le mani, il sudore freddo che mi scivola lungo la schiena, la testa che mi pulsa.
- Prego. Scusate, ero in bagno. Qual è il problema? – sento domandare a Giulio. Grazie a Dio ha la voce piuttosto salda.
Entrano nella stanza quattro uomini, vestiti in modo piuttosto elegante li vedo mostrare a Giulio dei tesserini.
- Signor Gagliani, siamo certi che lei sia in possesso di importanti documenti che dovrebbe consegnarci.
Maledizione! Come fanno a saperlo? Mio padre aveva ragione, anche la CIA è coinvolta in questa storia allora, ammesso che siano dei veri poliziotti.
- Non capisco di quali documenti parlate. Sono uno storico, non ho a che fare con nessun tipo di documenti che potrebbe riguardare la CIA americana, ne sono certo.
- La nostra fonte è sicura, quindi non perda tempo a mentire e ci consegni quei documenti.
- Non vi servirebbe un mandato anche se li avessi? – domanda Giulio. Per fortuna sembra che si stia riprendendo, gli viene molto naturale fingere.
Il tizio più alto dei quattro tira fuori un documento e lo mostra a Giulio.
- Bene. Ma resta il fatto che non so di quali documenti parliate.
- Sono documenti riguardo a un’antica associazione. Crediamo che siano in realtà codici tra bande mafiose.
Sì, come no. Tutti i mafiosi del mondo conoscono la scrittura segreta medievale. Non so se sono o no agenti ma di certo non sono furbi. CIA o no, sono certa ora che vogliono solo i fogli e non per ordine dello stato americano, questo è poco ma sicuro. Papà aveva ragione. La polizia americana… è un incubo.
- Forse credo di aver capito di quali documenti parlate signori. Riguardano per caso un associazione risalente all’incirca al novecento? – domanda Giulio. Ma che fa? È impazzito? Non può consegnarglieli sul serio!
- Esattamente. Deve consegnarceli, subito – risponde il tizio alto.
- Sentite, non so per quale motivo siate interessati ma tanto io ormai non ne ho più bisogno. Solo che al momento non sono in mio possesso, la mia editrice li sta esaminando per sceglierne qualcuno da inserire nell’edizione figurata, capite? Ma se ripassate fra… - due giorni? - potete prendere quello che vi pare.
Ora sono confusa. Ma che sta dicendo? Poi sorrido, intuendo e ringraziando il cielo. È ovvio che Giulio sta cercando di prendere del tempo. Bravo, ottima mossa. Potrebbe essere un compagno perfetto in una missione segreta. Non bisogna nemmeno istruirlo, gli viene proprio naturale.
Gli uomini discutono ancora per qualche minuto insistendo sulla necessità di averli subito ma Giulio riesce a sembrare di una sincerità disarmante, tanto da farmi preoccupare. Sebbene ora mi faccia comodo, mi chiedo se saprei riconoscere una sua bugia se me ne raccontasse una. È un bugiardo perfetto.
Finalmente il piccolo gruppo lascia la stanza e posso uscire da questo angusto stanzino. Cominciava a mancarmi l’aria lì dentro.
- Sei stato meraviglioso. Ora dobbiamo prendere i fogli e fuggire il più lontano possibile prima che ci trovino – dico tirandolo per un braccio.
- Aspetta un momento. Non mi muoverò da qui fino a quando non mi avrai spiegato attentamente cosa sta succedendo. Perché dovrei scappare dalla CIA americana? Non ci sono nemmeno mai stato in America! Perché vogliono quei fogli? Perché tu stai scappando?
Mi fermo e sento che arrossisco. È ridicolo, dopo aver mantenuto il segreto per anni, negli ultimi tempi lo sanno praticamente tutti, manca solo un articolo sulla Gazzetta nazionale. E ora mi sento così in colpa…
- Giulio ti giuro che ti spiego tutto mentre andiamo. Ora prendi i fogli e andiamocene da qui alla svelta. Anzi, avvisa la tua segretaria che mancherai per qualche giorno, diciamo un paio di settimane.
Lui resta dubbioso e distante ma finalmente mi segue, riponendo i fogli in una anonima cartellina marrone e chiudendo a chiave lo studio. Aspetto nervosamente che inventi una scusa per la anziana segretaria, ancora un po’ scioccata dalla visita di quelli che probabilmente credeva essere dei poliziotti esistenti solo nei film.
- Filomena devi farmi un grosso favore… devi avvertire l’università che sarò assente per un po’, facciamo due…no, tre settimane, e rimanda tutti gli appuntamenti che ho al prossimo mese. Manda una cassa del miglior vino che riesci a scovare e mandala al dottor Rinaldi come scuse per aver nuovamente rinviato.
- Professore ma che sta succedendo? Quegli uomini… - la voce della segretaria è stridula, un po’ troppo prossima al soffocamento ma non abbiamo tempo per preoccuparci di lei. Dobbiamo scappare immediatamente. Spero solo che Giulio sappia trovare una scusa che suoni convincente, ci mancano solo i controlli universitari o la guardia di finanza a complicare le cose.
- Non preoccuparti Filomena, niente di grave. Mio… cugino ha dei problemi con il suo permesso di soggiorno all’estero e visto che è lì per una ricerca a nome mio tocca a me risolvere la questione, il che mi costringe però a recarmi sul posto e quindi… mi farò vivo non appena so qualcosa in più. Grazie.
Ci allontaniamo dallo studio più in fretta possibile, in totale silenzio. Cerco di capire se ci stanno seguendo ma non mi sembra di notare niente di sospetto. Anche se fosse comunque, non so cos’altro fare.
Mi dirigo verso la macchina di Juno e faccio segno a Giulio di entrare. Controllo un’ultima volta intorno ma sembra tutto tranquillo, così entro a mia volta in macchina e metto in moto.
- Alexis ora voglio delle risposte chiare e immediate. Mi spieghi cosa sta succedendo?
Dal tono di voce capisco che Giulio è arrabbiato, confuso, impaurito, curioso, diffidente e mille altre cose tutte insieme. Tuttavia non è ancora il momento per rispondere alle sue domande, devo assicurarmi che nessuno ci stia seguendo e comunque se lo dicessi così non mi crederebbe. Deve essere a casa quando sente questa storia per la prima volta, a portata di prove materiali a cui non potrà non credere, nonché di una sedia nel caso non dovesse reggere lo shock.
- Si può sapere perché mi stai facendo diventare un ricercato federale? Chi sono le persone che potrebbero prendere male la pubblicazione di questi fogli? Cosa ne sai tu di questa storia?
- Giulio giuro che ti spiego tutto quando arriviamo a casa, voglio farti vedere delle cose mentre parlo. Per ora posso solo dirti che avevi ragione quando hai detto che questa società esiste ancora e chiunque siano i suoi adepti sono persone potenti e spietate. Sono diversi anni che sono sulle tracce di queste persone e posso assicurarti che non si farebbero scrupoli nell’uccidere chiunque scopra della loro società.
- E’ per questo che mi hai chiesto di quel Rofferwaark vero? Non esiste nessuna ricerca di nessuna amica – mi accusa.
Non rispondo, fisso lo sguardo sulla strada. Mi sento orribile e so che quando saprà l’intera storia mi sentirò ancora peggio. Ma ormai quel che è fatto è fatto, non posso più tirarmi indietro.
Facciamo qualche giro a vuoto con la macchina per assicurarmi che nessuno ci segua e quando mi sento abbastanza tranquilla mi avvio finalmente verso casa. Proprio a pochi metri dalla grande villa seminascosta il mio cellulare comincia a suonare nella borsa. È Alex, probabilmente vorrà sapere che fine ho fatto. Accidenti non avevo pensato a quei due quando ho pensato di portare qui Giulio, mi renderanno la vita impossibile fino alla fine dei miei giorni. Al diavolo.
Chiudo la chiamata senza rispondere, parcheggio e scendo dalla macchina, facendo segno a Giulio di seguirmi. Lui intanto ha abbandonato la sua aria scettica e nervosa ed ha assunto un’aria meravigliata e confusa. Di sicuro questa villa è diversa dal mio appartamentino in centro, penso con un sorriso. E non ha ancora visto l’interno, con le sale armi e le palestre e tutto il resto.
Non appena entro Alex per poco non mi salta addosso come la sera precedente. Comincia a diventare un’abitudine.
- Si può sapere dov’eri? – mi rimprovera, poi la sua espressione cambia e diventa di ghiaccio quando vede Giulio dietro di me.
- E lui? – domanda con voce cupissima. Avrei dovuto prepararmi meglio alla battaglia che si svolgerà tra pochi attimi.
- LA CIA l’ha trovato, non ho avuto altra scelta – spiego concisamente, senza aspettarmi che basti questo a convincerlo.
- Sei impazzita? – domanda infatti subito dopo, guardandomi come se mi fossi appena fatta tatuare un dragone sulla faccia. O come se fossi una pazza. Forse non ha nemmeno tutti i torti.
- Una cosa per volta per favore. Ora devo spiegare a Giulio la situazione – taglio corto sapendo che la discussione sarà eterna.
Alex mi fissa con gli occhi ridotti a una fessura, poi serra la mascella e ci segue, lanciando un’occhiataccia a Giulio che risponde subito con un’occhiata altrettanto ostile.
- Perché lui sa? – domanda Giulio in tono accusatorio.
A questo punto non ce la faccio davvero più. Mi volto di scatto verso i due che mi seguono, così all’improvviso che per poco Giulio non mi finisce addosso.
- Mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte. È l’ultima volta che ripeto questo discorso dopodiché vi sbatto fuori a calci tutti e due e non mi importa se cercano di uccidervi o se ci riescono. Questa è una cosa seria, serissima, e ho bisogno di tutta la concentrazione possibile per venirne a capo senza che nessuno si faccia male. Me ne frego quindi dei vostri problemi, della gelosia e di tutte le altre fesserie maschili tra voi, in questa casa e in questa missione il capo sono io, ergo non devo spiegazioni di niente a nessuno di voi due. Le decisioni le prendo io e il motivo non deve riguardarvi, potete accettare o andarvene a vostro rischio e pericolo. Tutto chiaro?
Per qualche momento nessuno dei due parla, si limitano a fissarmi, indecisi se credere alle mie minacce o impuntarsi, poi sembrano prendere una decisione.
- Voglio sapere cos’è tutta questa storia, poi deciderò se accettare o meno – risponde Giulio in tono di sfida. Annuisco, mi sembra una cosa sensata. Non posso costringere nessuno a rimanere, in fondo.
Alex ci mette qualche secondo in più per rispondere, mentre fissa Giulio con l’aria di chi sta guardando qualcosa di odioso e ributtante. Poi si accorge della mia espressione, che deve essere simile a quella di un pazzo prossimo a un omicidio e si decide anche lui.
- Vediamo se regge prima di discutere. Potrebbe anche risolversi da solo il problema, magari gli viene un infarto – dice con voce cupa.
Lo fulmino con lo sguardo, non è il momento per il sarcasmo, poi riprendo a camminare verso lo studio principale.
Una volta entrati sento una specie di rantolo strabiliato. Giulio infatti si guarda intorno come se avesse appena aperto l’anta del vecchio armadio e fosse entrato nel magico mondo di Narnia.
- Capisci perché volevo aspettare che fossimo a casa per spiegare? mi serve supporto materiale…
Lui mi fissa ancora allibito, poi sembra ricordare perché siamo qui e torna a fissarmi con aria di rimprovero.
- Sono tutt’orecchie. Comincia dall’inizio. E non tralasciare niente. Non avere paura, non credo che avrò un infarto.
Ma che cosa ho parlato a fare qualche minuto fa? Comunque so che potrei parlare per ore e non la smetterebbero perciò alzo gli occhi al cielo e comincio il mio racconto, partendo dall’attentato a mio padre fino alla visita della CIA al suo studio. Durante il racconto non riesco a trattenere un sorriso di tanto in tanto, vedendo come l’espressione di Giulio cambia ad ogni parola, sembra davvero appena entrato a Narnia.
- Mi stai dicendo che mi sono innamorato di una James Bond al femminile? – esclama quando ho terminato.
Sorrido appena per il paragone ma il sorriso scompare subito quando mi accorgo della faccia di Alex. Non sembra aver preso bene la domanda.
- E’ davvero… cioè… è incredibile. Mi sembra tutto assurdo – continua poi Giulio, passandosi una mano sul viso.
- Già, è l’effetto che fa un po’ a tutti la prima volta. Però è tutto vero, Giulio, reale e molto più pericoloso di qualsiasi film di spionaggio. Quindi ti prego di rispondermi con tutta la sincerità possibile. Vuoi prendere il primo aereo per la zona più remota che riusciamo a trovare? In Zimbabwe non dovrebbero rintracciarti…
-Stai scherzando vero? E quando mi ricapita più un’occasione simile? Potrei contribuire a sgominare una setta criminale, salvare il mondo o almeno una buona parte e conquistare il cuore della bella eroina… - scherza venendomi incontro.
Alex manda una specie di ruggito e io faccio un salto all’indietro, lanciando un’occhiataccia a Giulio e una un po’ più conciliante ad Alex. In effetti questo suo silenzio totale non è affatto positivo, credo che mi aspetti una vera e propria guerra, altro che battaglia. Ma ci penserò più tardi.
- Non accetto scherzi su questa storia Giulio. E ti ho già spiegato la situazione tra noi. Anzi, ora che sai tutta la storia a maggior ragione dovresti capire che non c’è tempo per storielle alla Bogart-Hepburn…
Giulio fa una smorfia, come se l’avessi schiaffeggiato e di nuovo mi sento malissimo. Ho combinato un casino. Intanto mi accorgo che anche Alex fa una smorfia. Forse crede che mi riferissi anche a quello che è successo tra noi… Distolgo lo sguardo confusa.
È così? Non lo so, non lo so davvero e non è questo il momento di pensarci.
- Quindi ora cosa intendiamo fare? – domanda Giulio appoggiandosi alla scrivania e continuando a grattarsi il mento.
- Intendiamo? – lo interrompe subito Alex – Ora anche questo è della partita?
- Zitto cugino down… sarò più utile io di quanto tu potresti mai fare in mille vite. E poi io ho i documenti. Non puoi buttarmi fuori Alexis, non intendo lasciar perdere questa storia – obietta Giulio in tono scocciato.
Mi massaggio qualche secondo le tempie, sentendo le prime avvisaglie di emicrania in arrivo. Ma quando mai mi è saltato in mente di salvargli la pelle?
- Giulio per il tuo bene preferirei vederti sul primo aereo per lo Zimbabwe.
Alex fa una faccia sollevata e trionfante e Giulio fa di nuovo la faccia da cucciolo pestato.
- Ma – riprendo subito, ignorando la smorfia di Alex – Se intendi crearmi più problemi che sollievo dallo Zimbabwe allora tanto vale che resti a portata di pistola. Non potrò venire a salvarti laggiù e non siamo certi che loro non scoprano dove sei nascosto.
Sottolineo l’ultima parte guardando Alex, come per giustificarmi, ma lui si limita a serrare di nuovo la mascella ed evitare il mio sguardo, irritando i miei nervi già piuttosto scossi. Non avevamo deciso che il capo fossi io?
- Ovviamente mi conosci bene, perché non intendo farmi spedire come un pacco postale. Voglio divertirmi anche io e salvare il mondo insieme a te. A voi – si corregge poi, con una smorfia.
- L’avevo immaginato. Bene, ora veniamo alla parte pratica. Ti ho già spiegato a che punto sono le nostre ricerche, ora dobbiamo decidere che direzione prendere.
Faccio una pausa, cercando di ipotizzare una linea di condotta. Nei miei piani non erano mai stati considerati questi due, che ora mi fissano come se fossi il loro maestro davvero. Non so se potrò reggere questo ruolo per molto, penso sconfortata.
- Faremo così: io continuo a lavorare sul capitolo che abbiamo già, devo spedirlo alla casa editrice prima che i nostri simpatici amici cerchino di nuovo di farci fuori, poi cercherò gli ultimi due quadri. Giulio, tu sarai l’addetto alle ricerche. Voglio saperne di più su questo filosofo e voglio anche sapere se ci sono stati altri casi, omicidi, incidenti, che possono rientrare in questa storia, magari riusciamo anche a capire meglio contro chi abbiamo a che fare. Alex, tu ti occuperai invece di ripercorrere tutte le mie tracce. Se ci hanno trovato vuol dire che c’è una falla nel mio sistema, dobbiamo trovarla e correggerla così forse potremo nasconderci da qualche altra parte.
- Perfetto, mi metto subito all’opera. Conosco alcune persone che potrebbero essermi utili – afferma Giulio sedendosi davanti al computer.
- Per contattare chiunque aspetta, Alex ti mostrerà come rendere la mail non rintracciabile da nessuno. E mi raccomando, non fornire nessuna indicazione su dove sei, non fornire indirizzi, appuntamenti, nomi. E comunque preferirei che prima di metterti all’opera ti riposassi un po’ e dessi un’occhiata al materiale che abbiamo già.
- Come vuole lei capo.
- Ora che avete finito, possiamo parlare un momento, capo? – domanda Alex pronunciando quel “capo” quasi come un insulto, poi esce dalla stanza senza aspettare la mia risposta. Lo seguo imprecando contro il mio destino.
- Sei proprio certa di volere quell’imbecille nella squadra? È un professore, non è abituato a queste situazioni, crollerà tra qualche giorno – mi avverte, cercando di mantenere un tono basso per non farsi ascoltare.
- Senti chi parla. Stammi a sentire Bond, nemmeno tu sei esattamente un esperto di questa storia, ricordatelo. Lui anzi è forse più preparato di te, sa già come muoversi per fare ricerche che possono pestare i piedi alla gente. E comunque sono certa che mi darebbe più problemi se lo allontanassi che non se resta.
- Forse, ma dimentichi una cosa: lui è uno scrittore. Quanto credi che ci metterà prima di scrivere un libro sulla tua vita? Siamo fortunati se aspetterà la fine del libro di tuo padre prima di scriverne uno lui. E sappiamo tutti che pubblicare l’ultimo capitolo non risolverà questa storia.
Ha ragione, non posso negarlo. Anche io ho pensato a questo piccolo dettaglio. Deformazione professionale in un certo senso. Sono abbastanza certa che tutto quello che Giulio leggerà e vedrà e saprà e capirà finirà rilegato in tutte le librerie prima che me ne renda conto. Ma sono anche sicura che è abbastanza sveglio da rendersi conto che dovrà attendere per il suo momento di gloria. Spero.
- Ci avevo pensato. Per questo chiederò a Juno di tenerlo d’occhio. E farò attenzione anche io, non preoccuparti. Pensa a fare bene il tuo lavoro. È davvero fondamentale capire come ci hanno trovato Alex.
- Lo so e ti ringrazio della fiducia. Ma non mi fido lo stesso di lui. È stato capace di mentire solo per farmi un dispetto, sei sicura che sarà così leale come serve? Cosa credi che succederebbe se cercassero di comprarlo?
- E’ per questo che tu ti assicurerai che non ci trovino, così non dovremo preoccuparci anche di questo. E comunque potrei avere gli stessi dubbi su di te – gli faccio notare, sperando di tagliare questa discussione. Ho bisogno di sedermi tranquilla e pensare a come sta cambiando la situazione, ho bisogno di prendere fiato qualche minuto e riflettere.
- Voglio sperare che tu non dica sul serio – mi rimprovera, serissimo, con una smorfia. Deve esserci rimasto male.
- Mi dispiace, non volevo dire che non mi fido di te. Solo che se mi perdo tra tutti i sospetti che potrei avere non ne uscirò più. Devo fidarmi di voi due alla stessa maniera, non posso fare diversamente, cerca di capirlo – il mio tono è implorante e lui sembra capire. Annuisce e non replica oltre. Chiudo gli occhi ringraziando il cielo di questa tregua, anche se so che è solo momentanea.
- Ora torniamo di là, è ora di metterci a lavoro – lo incito voltandomi verso lo studio. Lui mi blocca prendendomi il braccio e mi costringe a voltarmi di nuovo verso di lui.
- Poi troviamo un momento per parlare di noi. Ho bisogno di capire come comportarmi.
Il suo sguardo è così penetrante da farmi quasi girare la testa. Di nuovo sento il disperato bisogno di appoggiarmi a lui, di lasciare che mi abbracci e mi accarezzi come la scorsa notte. Ma non è il momento.
- Cercheremo di parlarne. Fino ad allora però… ti prego… comportati come se quella notte non sia esistita, almeno davanti a Giulio e Juno. Non voglio complicare ancora le cose.
Lui fa un’altra smorfia, ma è assolutamente necessario. Non posso permettermi distrazioni di nessun tipo ora e avrò già abbastanza schermaglie da affrontare senza che si mettano di mezzo i sentimenti.
- Come vuoi. Ma non permetterò a quell’idiota di avvicinarsi a te, non chiedermelo nemmeno. Se fa un’altra mossa idiota o una battutina delle sue lo strozzo io prima che l’Organizzazione lo trovi.
Annuisco e faccio per girarmi ma di nuovo mi costringe a guardarlo e mi bacia. Un bacio lungo, dolce, che scioglie momentaneamente la tensione e offusca il mio mal di testa.
Quando si allontana torno nello studio senza dire nulla, turbata. Era a questo che mi riferivo quando parlavo di distrazioni.
Per tutto il resto della giornata restiamo chiusi tutti insieme nello studio principale, ognuno al suo lavoro, senza parlare molto. Ovviamente l’elettricità tra Alex e Giulio farebbe saltare per aria un generatore e ogni tanto controllo le lampadine per essere certa che non siano scoppiate, ma a parte questo riusciamo a lavorare, il che mi fa tornare un po’ di speranza su una possibile convivenza almeno per poco.
Verso sera sento i muscoli della schiena completamente atrofizzati e gli occhi gonfi come palloni da calcio. Mi stiracchio lentamente, trattenendo un gemito di dolore. Evidentemente però non devo averlo soffocato del tutto perché sia Alex che Giulio si voltano verso di me con aria preoccupata e si avvicinano per aiutarmi, bloccandosi subito e guardandosi con aria di sfida.
- Finitela. Non ho bisogno né del vostro aiuto né della vostra stupida ostilità. Io vado a mangiare qualcosa, quando avete finito di scannarvi raggiungetemi se avete fame – sbotto e me ne vado in cucina. Resisterò molto poco in queste condizioni.
In cucina mi avvicino al frigo ultratecnologico di Juno, sperando di trovare qualcosa di leggero. Questo mal di testa è talmente forte da darmi allo stomaco. Trovo un po’ di formaggio e del prosciutto, quindi cerco del pane tra le varie ante. Metto il pane nel tostapane mentre faccio sciogliere il formaggio nel microonde. Intanto mi appoggio al mobile del lavello e finalmente ripenso a quello che è successo nelle ultime ventiquattr’ore.
È assurdo come fino a un mese fa nessuno sapesse del mio segreto e ora sembra il segreto di pulcinella.
Come ho fatto a coinvolgere tutta questa gente? A cosa sono serviti tutti i miei sacrifici di questi ultimi anni per impedire alla gente di avvicinarsi troppo a me? Con un senso di frustrazione penso a tutte le volte che mi sono impedita di avere troppi amici, un fidanzato… tutto inutile, visto che alla fine sono riuscita a mettere a rischio delle vite, alquanto importanti aggiungerei.
A questo non avevo pensato infatti: Alex è solo una guardia di sicurezza in un altro Stato per giunta, nessuno si darà pena di non vederlo per un po’. Ma Giulio? Lui è una star internazionale, ha le lezioni, le conferenze, il lavoro al suo libro… come farò ad evitare la curiosità di tutta questa gente? Come impediremo a tutte queste persone di mettersi a cercare la loro celebrità?
Mi massaggio di nuovo le tempie, con il mal di testa che pulsa nel mio cervello come un qualcosa di perfido e vivo. Alla fine dei conti non dovrei colpevolizzarmi più di tanto, mi dico, non potevo fare diversamente, né avrei potuto prevedere tutte le coincidenze che mi hanno portato a questo punto.
Come facevo a immaginare che sia il mio vicino antipatico, sia il mio professore famoso avrebbero preso una cotta per me?
Eppure d’altra parte è innegabile che se mi fossi comportata diversamente, se non avessi accettato l’invito a cena di Giulio o se non avessi dato troppo peso ad Alex forse le cose sarebbero state diverse, forse le loro vite sarebbero al sicuro adesso.
- Quando hai finito di rimuginare potresti rispondermi per favore?
La voce di Giulio mi fa sussultare. Ero così assorta nei miei pensieri che non mi sono accorta che fosse entrato nella stanza.
- Scusami, ero sovrappensiero. Cosa mi avevi chiesto?
- Volevo sapere cosa c’è esattamente tra te e il cugino down. E se c’è della maionese in frigo.
Apro il frigo e gli porgo la maionese mentre cerco le parole più adatte per rispondere alla sua domanda. Come gli spiego cosa c’è tra noi due se non lo so nemmeno io? È passato troppo poco tempo, non ho avuto modo di riflettere, di analizzare…
- Per adesso non c’è niente. Siamo in una cosa molto più grossa di qualsiasi relazione personale, te l’ho già detto.
- Cosa c’è stato allora? E non venirmi a dire niente perché non ci credo. Ho visto come ti guarda.
Sto per eludere la domanda ma un flash mi fa cambiare risposta all’ultimo minuto. Non è il momento delle discussioni ma nemmeno dell’ipocrisia.
- Qualcosa c’è stato ma sono certa che riesci ad immaginarlo da solo. In fondo la fantasia non ti manca di certo. E poi è molto simile a una cosa che è successa tra noi, anzi che in realtà non è successa ma che qualcuno crede di sì.
Non so se ha capito qualcosa, la mia frase è talmente confusa che a malapena ho capito io. Lui comunque arrossisce e distoglie lo sguardo. Sembra che sia stata abbastanza chiara dopo tutto. E questa è la prova che Alex non ha mentito.
- Hai ragione, sono stato orribile e meschino, un essere abominevole che meriterebbe il linciaggio… ma non riesco proprio a sopportare il diritto esclusivo di possesso che quello crede di avere su di te, a sentir lui sembra che basti un bacio per…
- Me frego sinceramente di quello che può averti dato fastidio. A me ha dato fastidio sapere che la gente crede che io sia stata a letto con te mentre non è vero. E mi da fastidio che tu mi abbia spiato.
- No, questo non puoi dirlo, non ho mai fatto niente del genere. E poi quand’è che ti avrei spiato?
- Come facevi allora a sapere dei nei?
- Ne stavi parlando alla tua amica una volta, a lezione. Sono passato lì vicino e per caso ho ascoltato…
Io lo guardo incerta, non ricordo di aver mai parlato dei miei nei e mi sembra comunque strano che lui abbia… ma alla fine mi convinco, non può essere stato altrimenti. Sono sicura che non mi abbia mai vista senza pantaloni e di sicuro non abbiamo mai parlato dei nostri nei perciò deve davvero averlo sentito per sbaglio. Accidenti. Quando mai mi sono messa a parlare di nei.
- Va bene, niente. Lasciamo stare per ora. Ma se sento un’altra fesseria simile sei fuori e non mi importa delle conseguenze. Ho bisogno di potermi fidare delle persone che ho al mio fianco.
- Hai ragione, mi dispiace da morire, ti giuro che non accadrà più. Ma così non hai risposto alla mia domanda. Cosa c’è tra voi due?
- Mi dispiace deluderti ma la risposta è comunque niente. Niente di importante per lo meno, ora come ora.
- Ora sei tu la falsa.
- Grazie della fiducia. Al contrario di quello che pensate tutti da queste parti non sono una bugiarda e non sono solita andare a letto con il primo che capita. Tra me e Alex non c’è niente.
- Quindi non da fastidio a nessuno se cerco di conquistare quel tuo cuore di ghiaccio.
- Sbagliato, dà fastidio a me. quante volte devo ripeterlo ancora? Non ho tempo per giochini sentimentali.
- Il mio non è un giochino, Alexis. Mi piaci davvero, come posso fartelo capire?
- Non voglio dire questo… il punto è che i sentimenti complicano le cose e non so se hai notato che la situazione è già abbastanza complicata così. Per favore, prometti che è l’ultima volta che riparliamo di questa storia. Non voglio più sentir parlare di cotte.
- Tranne sottolineare di nuovo che non è una cotta, farò come vuoi, ti convincerò con i fatti. E riprenderemo il discorso quando saremo tutti fuori pericolo.
- Se riusciremo a sopravvivere si vedrà. Mangiamo ora?
Lui annuisce e finalmente posso consumare la mia cena. Non appena ho finito di mangiare sparecchio e vado nella mia stanza. Chiamo prima mia madre, che è super preoccupata anche perché non sa dove sono. Le spiego che stiamo bene e che tutto procede tranquillo, ascolto un po’ le sue novità e le raccomando per l’ennesima volta di fare la massima attenzione, quindi le do la buonanotte. Visto che è ancora presto faccio anche una telefonata a Linda, alla quale ho raccontato di essere fuori paese per alcuni questioni legali sull’eredità di un vecchio zio di Venezia morto da poco. Esistito da poco vorrei aggiungere.
- Com’è Venezia? Bella come dicono? – domanda con la sua voce gaia. Non sembra avere alcun sospetto per fortuna.
- Troppo umida per i miei gusti, sai quanto odio la pioggia. Praticamente non ho visto altro che la stanza dell’albergo, il taxi e lo studio dell’avvocato – mi lamento, cercando di introdurre una dose convincente di delusione nella mia voce.
- Non hai ancora idea di quanto tempo ti servirà? A che punto siete con le pratiche? – domanda curiosa.
- Non ti so ancora dire con precisione. A quanto pare le leggi sulla successione dei terreni non è abbastanza chiara. Inoltre sembra che mio zio abbia lasciato parecchi debiti non pagati e dobbiamo aspettare di verificare la somma dei debiti e il valore monetario dei terreni per capire quanti soldi effettivamente avanzeranno dopo aver pagato tutto… non avrei mai detto che le eredità erano così complicate.
- Già è quello che dicono tutti, proprio qualche giorno fa ho seguito un seminario proprio sulle eredità. Purtroppo non si parlava di terreni, mi dispiace. Comunque vuoi sapere l’ultima novità? Pare che il tuo amato professore sia misteriosamente scomparso da stamattina. Voci di corridoio hanno detto che è stato arrestato dalla polizia americana per qualcosa riguardante una sua ricerca in Florida o roba simile… sei sicura che non abbia invece deciso di raggiungere la sua alunna preferita per un… ripasso privato?
Faccio una risatina nervosa, pensando a come basta poco per finire in prigione con le parole della gente. Addirittura arrestato.
- Posso assicurarti che per ora sono sola con la mia noia e un mucchio di carte incomprensibili. Se si dovesse far vedere ti avverto, tranquilla – scherzo, quindi la saluto promettendo di farmi risentire spesso.
Controllo l’orologio e mi è accorto che si è fatto piuttosto tardi. Resto per qualche minuto seduta al bordo del letto con gli occhi chiusi. Se fossi credente penso che questo sarebbe il momento giusto per pregare di uscirne vivi. Peccato che non creda nelle preghiere di convenienza. Comincio a prepararmi per andare a dormire e solo mentre indosso la maglia che uso al posto del mio abituale pigiama mi accorgo che Alex non ha cenato e non l’ho sentito andare nella sua stanza.
Controllo di nuovo l’orologio. Possibile che sia ancora nello studio?
Mossa da uno strano senso di protezione raggiungo lo studio più in silenzio possibile, per non farmi sentire da Giulio nel caso sia ancora in cucina. Arrivata alla porta dello studio busso leggermente ma non ottengo risposta. Accosto allora l’orecchio alla porta, per capire se si è addormentato ma non sento niente. Apro la porta, cercando di fare più piano possibile ed entro. La stanza è buia, illuminata appena dalla fioca luce del monitor del computer ancora acceso, di Alex nessuna traccia.
Mi avvicino al computer con l’intento di spegnerlo, poi mi accorgo di una cosa che mi lascia senza fiato: lo schermo è acceso su una pagina di internet, più esattamente sul sito della CIA americana, o almeno una versione molto credibile, e nell’angolo a destra c’è una piccola finestra che indica l’avanzamento della copia di alcuni file. Clicco sui dettagli dell’operazione di copia per capire cosa esattamente stia copiando chiunque abbia lasciato acceso il pc.
Per l’ennesima volta nell’ultima settimana mi si gela il sangue nelle vene: i file in copia sono la versione digitale di alcune pagine dell’ultimo capitolo di mio padre che abbiamo recuperato, quello non ancora riscritto e inviato alla casa editrice. Per quale motivo uno dei due sta ricopiando quei file? Perché sta navigando sul sito della CIA?
All’improvviso sento una voce, anzi più che altro un bisbiglio. Mi guardo di nuovo intorno nella penombra, cercando di capire da dove viene il bisbiglio, e vedo la portafinestra dietro la libreria semichiusa. Mi avvicino con passo felpato e resto in ascolto, poiché il buio fuori è totale e non riesco a vedere niente, poi riconosco la voce di Alex. È piuttosto lontana e da qui non riesco a capire cosa dice, per cui esco a mia volta, mantenendomi vicina al muro, certa che non possa vedermi nell’ombra più di quanto io vedo lui.
- Non è possibile, te l’ho detto. È troppo rischioso. Deve esserci un altro modo – sta dicendo intanto.
Una lunga pausa. Cerco di captare la voce dall’altra parte del telefono, giusto per avere un’idea ma deve essere troppo lontano, non riesco a sentire nemmeno se è un uomo o una donna.
- Non lo so, non mi piace. Comunque tu cerca di farmi avere quei dati, io troverò una soluzione. Ora devo andare.
Sento lo scatto del telefono che si chiude e mi allontano dalla portafinestra per non farmi vedere ma non mi sembra che stia rientrando. Infatti poco dopo lo sento passeggiare nervosamente poco più in là, imprecando impercettibilmente.
Con chi parla a quest’ora? È mezzanotte passata ormai. Perché è andato fuori a parlare? Cos’è tutto questo bisogno di privacy? Quali dati aspetta, qual è il problema che deve risolvere? E soprattutto, la telefonata ha a che vedere con la pagina internet ancora aperta?
Poi lo sento avvicinarsi per rientrare, così mi rimetto vicino alla finestra. Voglio capire subito cos’è questa storia.
- Alexis sei ancora sveglia. Mi dispiace se ti ho disturbato – dice non appena si accorge della mia presenza.
- Cosa stavi facendo? Chi era al telefono? – domando subito, mantenendo a mia volta la voce bassa ma fredda.
- Uno dei collaboratori dell’azienda di papà in America, problemi di lavoro – risponde lui tranquillo.
- Che tipo di problemi?
- Riguardano la gestione della mia parte dell’azienda.
- Non eri una guardia di sicurezza nelle banche? Da quando fai parte dell’azienda di tuo padre?
- E’ proprio questo il problema. Non ne facevo parte fino a qualche giorno fa. Sembra però che uno dei settori sia in perdita e non riesce a riprendersi e così mio padre ha avuto la brillante idea di far sembrare sulla carta che ha lasciato quella parte della baracca a me, in modo da beneficiare di alcuni incentivi ai giovani imprenditori o roba del genere.
- E doveva dirtelo proprio a quest’ora? – insisto io, per niente convinta.
- In America è già mattina e poi finora avevo spento il telefono per lavorare in pace. Purtroppo è una cosa piuttosto urgente e Grendich ha continuato a riprovare fino a quando non ho risposto. Se non risolvo subito rischio la prigione, questa manovra amministrativa è frode in America. E se non ti dispiace mi sembra di rischiare più che abbastanza con la legge di questi periodi.
- Perché sei uscito fuori per parlare? – domando, un po’ meno diffidente.
Se è la verità, è una gran brutta storia. Se la polizia americana comincia a fare indagini su di lui potrebbe arrivare fino a qui…
Per poco non mi metto a ridere. La polizia americana ci ha già rintracciati perché alcuni o forse tutti i suoi agenti fanno parte dell’Organizzazione, quindi è stupido preoccuparsi delle indagini sulla frode.
- Ero già fuori quando ha suonato il telefono, stavo prendendo un po’ d’aria. E poi non volevo svegliare nessuno. Come mai tutte queste domande? Non ti fidi? – domanda lui in tono scherzoso.
Mi rilasso un po’, sorridendo nervosamente. In effetti non avevo considerato il fuso orario e comunque la sua versione è credibile, i dati che aspetta potrebbero essere quelli delle vendite.
- Alexis non stavo facendo niente di segreto, rilassati – mi dice venendomi vicino e mettendomi le mani sulle braccia, in uno strano abbraccio a distanza. Io annuisco senza allontanarmi, è piacevole sentire il suo calore.
- Stavi lavorando ancora al computer? – domando, cercando di prendere il discorso alla larga. Non voglio metterlo sulla difensiva.
- No, tranquilla, ho smesso di stare al computer già da qualche ora. Ero troppo stanco per continuare. Ho fatto qualche telefonata a casa, a mia madre e a qualche amico, tanto per non farmi prendere per morto.
Non rispondo, non mi aspettavo questa risposta. In fondo se sono uscita è ovvio che sono passata per lo studio quindi è ovvio che ho visto il computer acceso, non può sperare di farla franca così facilmente. A che scopo mentire così spudoratamente allora?
- Il computer è acceso di là. Sei sicuro di non averlo lasciato acceso per completare qualcosa mentre telefonavi?
Lo fisso per cogliere ogni sfumatura delle sue espressioni, sebbene sia difficile con questo buio, ma lui sembra tranquillo.
- Ah sì, l’ho lasciato acceso ma non perché ci stavo lavorando. Mentre cercavo di capire cosa potevi aver sbagliato nel coprire le tue tracce mi è venuta in mente un’idea. Tu credi di aver fatto tutto il necessario per nasconderti ma evidentemente non è così. Ma ripercorrere tutte le tue tracce potrebbe essere troppo lungo e comunque noi non sappiamo di quali mezzi dispongono i nostri avversari. Così ho pensato di andare al contrario, cominciando a cercare direttamente nei database dei cattivi, ma visto che non sappiamo niente dell’Organizzazione ho pensato di cominciare dalla CIA. Loro hanno una specie di computer centrale dove vengono registrate tutte le attività, no? Quindi è probabile che abbiano registrato anche i tuoi dati per poterti cercare anche fuori dall’America, così ho chiamato un vecchio amico hacker e mi sono fatto introdurre nel sito della CIA. Per ora non ho trovato niente ma sono appena all’inizio.
Rimango in silenzio a guardarlo. Devo ammettere che l’idea non è affatto male. Non ci sono sicurezze ma è di sicuro più veloce che ripercorrere tutti i miei passi. E così si spiega anche la pagina della CIA aperta sul computer. Ma la copia dei file?
- Ottima idea, bravo. Non ci avevo pensato. E i file? A che servono?
- Quali file? – domanda.
Ora basta. Cos’è la serata degli indovinelli?
- I file che stavi copiando, Alex.
- Non ho copiato nessun file, Alexis. Non so di cosa parli.
- Quando mi sono avvicinata per spegnere il computer ho visto la pagina internet e la finestra della copia ancora in corso – spiego spazientita.
Non posso credere che non ne sa niente. Chi avrebbe copiato allora i file, il fantasma del pc?
- Non ho copiato niente Alexis, te lo ripeto. Non è forse una qualche operazione automatica del computer?
No, ne sono sicura. I computer non copiano i file personali.
Rientro nella stanza per fargli vedere con i suoi occhi che non sono matta ma la finestra non c’è più. La pagina di internet è ancora là ma nessuna finestra di copia. Provo a ridurre a icona ma ancora niente. Evidentemente deve aver terminato l’operazione mentre eravamo fuori a parlare. Cerco il programma di ricerca dei file esistenti nel computer ed inserisco il percorso che ho letto poco fa. Niente, nessun file corrispondente ai criteri di ricerca trovato, mi avverte il pc. Fisso per un po’ la scatola grigia perplessa. Sono certa di aver visto quella finestra. In preda ad un’altra idea provo a cercare le ultime operazioni compiute del processore ma scopro che sono state eliminate. Nessuna operazione trovata.
Fisso lo schermo luminoso in preda ad un mal di testa lancinante. Qualcuno stava copiando i miei file, ne sono sicura. E l’unico che stava lavorando al computer finora è Alex, che però mente spudoratamente per nasconderlo. Cosa c’è sotto?
Di nuovo nella mia testa pulsante compaiono i soliti dubbi. Da quando è arrivato lui in città la situazione è precipitata all’improvviso, è stato quasi sempre presente ai vari attentati. C’era all’hotel, c’era a casa sua, c’era anche alla mostra dove c’era il quadro di papà e non mi è mai sembrato terrorizzato a dovere, era sempre come se fosse preparato a quel genere di eventi. E ha insistito per restare, nonostante i rischi.
- Alexis, deve essere stata qualche operazione automatica te l’ho già detto. O forse era qualcos’altro e la tua mente stanca l’ha registrata come copia… perché non lasci perdere e vieni a dormire? – mi suggerisce Alex con voce stanca.
Non rispondo e lo fisso per qualche attimo, mentre la mia mente lo immagina con una tuta nera addosso…
- Sì hai ragione. Forse sono solo stanca. Magari domattina riuscirò a capire di cosa si trattava – rispondo poi, con un sorriso tirato. Meglio lasciar perdere per ora, se davvero sta combinando qualcosa devo scoprirlo senza insospettirlo.
Torno nella mia camera e mi metto a letto, rabbrividendo al contatto con le lenzuola fredde. Mi giro su un fianco e ripenso ad Alex. Perché mentire? Sapendo che non posso credergli? Per quale motivo ha copiato i file?
“Ti prego, fa che non sia uno di loro. Non può essere uno di loro. Ho bisogno che non lo sia” penso, lottando contro le lacrime che cercano di uscire. Non ho mai pregato e non piango facilmente ma in questo momento non posso farne a meno. Ho bisogno di potermi fidare di lui.

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Capitolo 11
*** la calma prima della tempesta ***


- Non pensi che la casa editrice si insospettirà se spedisci gli ultimi capitoli a distanza così ravvicinata? Nessuno potrà crede che hai scritto tutte quelle pagine in qualche giorno – mi fa notare Alex, qualche giorno dopo, con tono cauto.
Non lo sopporto quando usa questo tono, cioè sempre negli ultimi giorni.
- Non intendo spedirlo infatti. Ma come ho già spiegato mille volte, se hanno trovato Bown è probabile che sappiano anche come arrivare agli altri quadri, quindi devo trovarli prima di loro. E smettila di parlarmi come se fossi una psicotica instabile – lo rimbecco in tono sbrigativo e un tantino acido, senza alzare lo sguardo dalla tastiera.
- Allora smettila di comportati da psicotica instabile. Sta andando tutto bene, nessun altro è venuto a cercarci. Evidentemente avevi ragione tu, sono certi che abbiamo cambiato casa e ci stanno cercando chissà dove. Rilassati.
Non rispondo e continuo a battere caratteri che compaiono sullo schermo. È proprio idiota, non è adatto a compiti del genere. Fortuna che non era lui il figlio di mio padre altrimenti a quest’ora addio America, Europa e chissà cos’altro.
- Proprio perché non ci stanno cercando dobbiamo sbrigarci e anticiparli. Approfittiamo della calma prima della tempesta – spiega Giulio intanto dal fondo della stanza, dove si è rintanato da questa mattina insieme al suo portatile e al telefono.
Alzo lo sguardo per lanciare un’occhiata soddisfatta ad Alex, che alza gli occhi al cielo imprecando sottovoce, e ritorna al suo computer. Perché non poteva essere brillante come Giulio anche lui? Perché Giulio capisce al volo e a lui devo spiegare la stessa cosa mille volte? Di nuovo penso che non è ancora troppo tardi per inventare qualche missione suicida in cui spedirlo.
Torno a concentrarmi sulla pagina Word aperta davanti a me. Come ha brillantemente spiegato Giulio, devo approfittare della calma prima della tempesta. Ovviamente anche io so che non posso spedirli subito tutti alla casa editrice senza destare qualche sospetto, ma mi sentirò molto più al sicuro quando avrò non solo tutti i quadri ma anche almeno tre o quattro copie digitali e altrettanto cartacee dei capitoli mancanti, nascosti in vari punti della città.
All’improvviso lo squillo del telefono nella stanza accanto mi fa sobbalzare. Cerco per qualche minuto il cordless, poi rispondo con voce spaventata e preoccupata. Nessuno ha il numero di questa casa.
- Signorina Altieri? Volevo avvertirla che suo zio sta per essere dimesso, è necessario che qualcuno venga a prenderlo – mi avverte la voce dell’infermiera antipatica che ci ha fatto firmare i moduli quando abbiamo portato Juno in ospedale. Tiro un sospiro di sollievo, anzi due.
- Mi scusi ma non doveva uscire tra altre due settimane? – le domando poi.
- Sì ma lui ha firmato il foglio per tornare a casa. Dice che non gli piace la nostra cucina – mi spiega stizzita, così taglio corto e la ringrazio, promettendo di arrivare immediatamente. Tipico di Juno.
Ritorno nello studio e avverto i miei due complici che sto uscendo per portare Juno a casa. Li fisso torva per qualche minuto, senza riuscire davvero a credere di potermene andare tranquilla, lasciando questi due soli. Alla fine però mi volto e vado a prendere il cappotto. Qualcuno dovrà andare a prendere Juno ed è meglio che ci vada io che so accorgermi se qualcuno mi segue. E poi devo preparare Juno alle novità. Lui ancora non sa dell’arrivo di Giulio nella casa del Grande Suicida.
Quando arrivo all’ospedale faccio di tutto per passare più inosservata possibile ma nessuno sembra badare a me. Quando vedo Juno uscire saltellando dalla sua stanza con l’aiuto delle stampelle gli corro incontro e lo abbraccio delicatamente, sentendomi tremendamente sollevata. Sarà bellissimo riaverlo in casa a sbraitare contro tutto e tutti.
- Cos’hai combinato? Perché tutto questo affetto? – domanda infatti lui subito sospettoso. Mi conosce troppo bene, accidenti.
Io faccio un sorriso smagliante quanto finto.
- Niente di cui devi preoccuparti adesso, zietto – esclamo per ricordare che lui è mio zio per i dipendenti di questo ospedale.
Lentamente arriviamo fino alla macchina e lo aiuto a salire. Cerca di fare il duro ma credo che la ferita gli faccia ancora abbastanza male. Non so se è un bene perché non avrà energie per rimproverarmi o un male perché sarà più nervoso e irascibile del solito. Quando comincio ad accennare agli ultimi sviluppi scopro che, ovviamente, è vera la seconda ipotesi.
- Vuoi per carità spiegarmi cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Non basta che mi abbiano quasi fatto fuori per colpa del tuo amichetto, ora abbiamo un altro moccioso a cui fare da balia? – sbraita infatti.
Io continuo ad alternare lo sguardo tra la strada davanti e lo specchietto per essere certa che nessuno ci segua, mentre mi preparo a una lunga, lunga giornata.
- Non potevo fare altrimenti Juno, lo capisci? LA CIA stava per prendere quei fogli e comunque adesso sa che li ha lui. Cosa dovevo fare secondo te? lasciare che si prendessero le uniche prove che abbiamo?
- Ancora con questa storia delle prove! Lascia stare, Alexis, il nostro compito non è fornire delle prove. Dobbiamo solo finire di pubblicare questo libro.
- Il libro da solo non serve a niente. Non sarà un romanzo d’azione a fermarli, dei documenti che dimostrano che è tutto vero invece…
- Fin’ora non hai mai cercato delle prove, non ti servivano. Da quando è arrivato quell’americano…
- Alex non c’entra niente con questa storia, è solo un incidente imprevisto. E comunque finora non mi servivano delle prove perché nessuno aveva provato a uccidere me e chi mi sta vicino. Ora il pericolo è reale e vicino e devo sapere contro chi sto combattendo per difendermi. Conosci il tuo avversario, ricordi? Me l’hai insegnato tu.
Lui non risponde, scuote la testa e guarda cocciutamente fuori dal finestrino. Io so che fa così per via di Patricia, so che sta solo cercando di proteggermi ma a volte davvero non riesco a capire. Sa che ho ragione sull’inutilità di quel libro lasciato così eppure fa di tutto per impedirmi di andare oltre, di portare davvero a termine la missione di mio padre. Se non sapessi che è Juno penserei a volte che sta cercando di proteggere qualcuno.
Quando arriviamo a casa cerco di aiutarlo a uscire dalla macchina ma lui ignora il mio aiuto con fare stizzito e si dirige da solo alla porta. Lo fisso per un po’ cercando di ricordare che è ferito e che non posso aggredire un uomo ferito, a causa mia per giunta.
- Alexis? – domanda Giulio sentendo la porta aprirsi. C’è un velo di ansia nella sua voce e la cosa mi intenerisce. Ha molta più paura di quanto non voglia ammettere, come un bimbo che si improvvisa capo della sua combriccola.
- Giulio ti presento Juno. Juno, lui è il mio professore nonché asso nella manica – li presento mentre chiudo la porta con tutte le serrature possibili e controllo per l’ennesima volta fuori dalla finestra per vedere se c’è qualche macchina sospetta o un passante troppo ricorrente vicino alla casa ma sembra tutto immobile. Di nuovo mi vengono in mente le parole di Giulio: la calma prima della tempesta. Non avrei saputo trovare un’espressione migliore per descrivere questi ultimi giorni.
Non appena sistemate le cose di Juno nella sua stanza e cercato tutti insieme il modo per facilitare i suoi spostamenti nell’enorme casa nonostante le stampelle, ritorniamo nello studio dove aggiorno rapidamente Juno sugli sviluppi.
- Alex è riuscito ad entrare nel sito della CIA per scoprire cosa sanno su di noi e magari anche come si stanno muovendo, anche se finora abbiamo avuto pochi risultati. Giulio sta facendo alcune ricerche sul nome che ci ha fornito Tuta Nera, Rofferwaak. Sappiamo che è il nome di un filosofo ma sono del parere che si tratti anche di un qualche nome in codice in onore di quel filosofo e sapere a chi appartiene sarebbe decisamente utile. Io ho finito di battere al computer il nuovo capitolo, ora mi resta solo da fare le copie e nasconderle, poi potrò cercare gli ultimi due quadri.
Juno ascolta tutto con l’aria diffidente di chi si aspetta di trovare un errore da un momento all’altro e questo mi infastidisce un po’. Perché tutti ultimamente pensano che sia ammattita e che non so quello che faccio?
Quando ho finito di mostrargli i piccoli passi avanti nel nostro lavoro e gli ho spiegato i nuovi piccoli accorgimenti introdotti per restare ancora di più nell’anonimato gli faccio segno di seguirmi in cucina. Ho bisogno di parlargli da sola.
Non appena in cucina Juno si siede, evidentemente esausto, e io cerco di preparare un caffè anche se in questi giorni in casa regna il caos più totale e per trovare la macchinetta del caffè servirebbe Indiana Jones. Sorrido appena, pensando che in effetti ho un giovane e sexy Indiana Jones proprio nella stanza accanto.
Quando sono riuscita a mettere il caffè sul fornello mi siedo a mia volta, proprio accanto a Juno, e mi porto un dito alla bocca per fargli capire di fare silenzio perché nessuno senta. Lui capisce subito che non gli ho detto tutto e si fa subito attento, sporgendosi per quanto possibile verso di me.
In breve gli racconto la storia della misteriosa copia dei file di cui non esiste più traccia nel computer, sorvolando sui miei dubbi su Alex. Lui mi ascolta serio, attento, senza interrompermi, grattandosi leggermente il mento e guardando un punto imprecisato della tenda.
- Cosa credi che significhi? – mi domanda quando ho finito.
Ci penso un po’ su. Nonostante ci abbia pensato un sacco da allora non ho ancora trovato una spiegazione definitiva.
- Non so davvero cosa pensare. Se è stato Alex è davvero uno stupido perché poteva trovare una scusa migliore che “non sono stato io”, sa benissimo che non posso credergli… ma è appunto questo. Chi altri se non lui? Giulio era già andato a dormire…
Juno ci pensa ancora un po’, continuando a fissare la tenda come se ci fosse qualcosa che non lo convince. Anche io mi ritrovo a fissare la tenda per cercare di capire cosa attira la sua attenzione ma non noto niente di insolito.
- In realtà è evidente che non può essere stato Alex. Anche se lui avesse copiato i file e fosse poi uscito imprudentemente per parlare al telefono non ha avuto il tempo materiale per cancellare tutte le tracce dal computer, tu eri con lui. Deve essere stato invece qualcuno che ha approfittato che Alex non ci fosse per copiarli e poi ha cancellato le tracce mentre eravate fuori a parlare. Il che vuol dire Giulio. Se vogliamo, potrebbe essere tornato nella stanza dopo che tu eri uscita, ha copiato i file ed è uscito, o forse si è nascosto nel buio quando ti ha sentita arrivare, ha aspettato che il computer terminasse e ha cancellato le tracce prima che voi due rientraste…
Lo guardo con gli occhi sgranati. Ha perfettamente ragione, non avevo pensato al tempo per cancellare le tracce dell’operazione dal computer. Alex non poteva farlo, era con me. Ma allora perché Giulio li avrebbe copiati?
Restiamo per un po’ in silenzio, ognuno perso nelle sue riflessioni, poi mi rendo conto che stiamo passando troppo tempo qui soli mentre quei due sono di là.
- Juno, per questo motivo voglio che tu controlli entrambi. Stai nello studio con loro, sempre e comunque e registra ogni cosa strana senza dire niente. Se uno dei due sta combinando qualcosa voglio coglierlo con le mani nel sacco e costringerlo a parlare. E cerca di ascoltare le conversazioni al telefono di entrambi. Se comunicano con qualcuno lo fanno per forza per telefono. Io controllo le e-mail.
Ci accordiamo meglio sui turni per tenerli d’occhio, poi Juno ammette di essere troppo stanco e se ne va in camera sua, rifiutando categoricamente il mio aiuto. Intanto io torno nello studio, è ancora presto e c’è un sacco di lavoro da fare.
Quando entro nella stanza però non posso fare a meno di osservare sia Alex che Giulio. Chi dei due mi sta nascondendo qualcosa? A quale scopo? A vederli ora, assorti e silenziosi, non riesco a credere che uno dei due possa tradirmi. Sono così tranquilli, sembrano quasi una squadra! Poi ripenso a questa surreale tranquillità e un filo gelido si insinua nella mia schiena.
La calma prima della tempesta.
 

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Capitolo 12
*** Il museo di Grenoble ***


Lascio la penna sul tavolo e mi alzo per stiracchiarmi. È stato meno difficile di quello che pensavo arrivare fino a qui. Credevo che sarebbe arrivato il momento dei vuoti di memoria, delle censure involontarie e invece no, mi sembra di aver riportato tutto con una ragionevole lucidità. Anche se un po’ questa cosa mi preoccupa: dopo tutti questi anni com’è possibile ricordare tutto così nitidamente?
Mi viene in mente per qualche attimo un libro che ho letto poco tempo fa, in cui la protagonista cerca di ricostruire la sua vita dopo una enorme tragedia ma non riesce a liberarsi del ricordo di quel dramma e così continua a vedere ovunque il fantasma della sua famiglia, morta nell’incidente, che le impedisce di andare avanti. Alla fine del libro la ragazza scopre che in realtà per uno strano caso del destino suo marito e suo figlio sono ancora vivi e che può tornare da loro. A questo punto l’autore fa una considerazione che mi ha colpita: il ricordo è un legame potente, l’unico di cui la nostra mente dispone per mantenere vivo il passato e forse, a volte, è il modo in cui la nostra mente, o forse quello che alcuni chiamano sesto senso, ci lancia un messaggio di avvertimento per dirci che in fondo non è finita. Forse, dice l’autore, il ricordo di qualcosa svanisce solo quando quel qualcosa è veramente finito.
Quella notte non sono riuscita a dormire.
Un rumore improvviso mi strappa a i miei pensieri e corro con lo sguardo all’orologio appeso sopra lo stereo, e mi accorgo che è molto più tardi di quello che pensavo. Tendo l’orecchio per sentire se il rumore proviene dall’entrata, ormai è quasi ora che mio marito rientri, ma deve essere stata la mia immaginazione, è tutto silenzioso.
Mi rilasso nuovamente e torno a guardare il foglio davanti a me con uno strano senso di timore e diffidenza,  come se da quel foglio, da quel lunghissimo susseguirsi di parole, potessero uscire tutti quei guai, quelle malvagità, quella follia che dovrebbe essere sepolta da un pezzo sotto le ceneri del passato ma che a volte… a volte…
Chiudo gli occhi per scacciare questi pensieri sciocchi e assurdi. Tra poco non sarò più sola, devo sbrigarmi se voglio scrivere almeno un’altra piccola parte e per farlo ho bisogno di essere concentrata, o finirò con l’imbrogliare tutto e rovinare il regalo. E poi scrivere serve ad esorcizzare anche, no? Prima avrò tradotto questi ricordi in linee nere sul foglio, per quanto sia difficile, prima potrò andare avanti. O almeno così ha scritto il mio avventuroso marito.
Spero tanto che abbia ragione.
 

 
17 APRILE 1996
- Alexis abbiamo un problema – mi avverte Juno con voce cupa entrando nello studio.
L’espressione è ancora più tetra della voce e una morsa di paura mi stringe lo stomaco mentre prendo il foglio che mi sta porgendo. Distrattamente mi accorgo che Alex e Giulio hanno interrotto entrambi quello che stavano facendo e ora mi fissano, subito contagiati a loro volta dall’aria tesa e preoccupata di Juno.
Il foglio è una pagina stampata da ArtSearch, un sito internazionale sull’arte che contiene una raccolta completa di tutti i quadri esposti nei musei di tutti gli Stati aderenti, cioè tutti quelli con i musei.
Scorro rapidamente con lo sguardo senza riuscire a capire cosa vuol dire Juno, poi mi sento improvvisamente debole e senza fiato. D’istinto mi appoggio con la mano al bordo della sedia, continuando a fissare quella riga come se potessi cancellarla con la sola forza del pensiero.
- Allora? – mi esorta Alex, nervoso. Giulio invece mi si avvicina senza dire nulla ma spronandomi con lo sguardo.
- Non è possibile – dico con un filo di voce guardando Juno, che per tutta risposta annuisce impercettibilmente.
- Ho controllato una ventina di volte. Non ci sono errori, è stato venduto.
Merda!
- Alexis di che state parlando? – domanda di nuovo Alex, avvicinandosi a sua volta ma stando bene attento ad evitare qualsiasi contatto con Giulio. Se non fossi così scioccata lo rimprovererei sonoramente.
- Il prossimo quadro sulla lista. L’hanno venduto, non è più dove sapevamo che fosse – spiego con voce atona, mentre la mia mente è già freneticamente alla ricerca di una soluzione al problema. Per il momento però gira a vuoto.
- E non c’è modo di rintracciare il nuovo proprietario? – domanda Giulio in tono incerto. Evidentemente non capisce perché tutto questo scompiglio. Certo che non capisce, non sa ancora tutto.
- Sappiamo già chi è il nuovo proprietario. La Francia – continuo io, sempre con lo stesso tono di voce incolore.
Ora finalmente vedo il dubbio comparire sui volti di Alex e Giulio.
- Il quadro era in una galleria privata, era tutto pronto per andare lì e acquistarlo al miglior prezzo ma la Francia ci ha battuto. Più precisamente il museo di “LesArtsModernes” a Grenoble, un paesino sulle rive della Loira – spiega meglio Juno.
Ora finalmente hanno afferrato entrambi la gravità del problema e mi fissano ad occhi sgranati, aspettando la mia risposta.
Che sfortunatamente non ho.
- Quante possibilità ci sono di parlare con il direttore del museo e convincerlo a venderlo? – domando a Juno, pregando che abbia una risposta.
- Poche. A quanto pare l’acquisto risale a pochi giorni fa ma più che di un acquisto si tratta di appropriazione legittima. Il quadro rappresenta proprio uno squarcio della vista del paesino in cui è compresa anche la vecchia Torre del campanile, una costruzione risalente alla prima diffusione del cristianesimo in Francia e crollata durante il terremoto di qualche secolo fa. A quanto pare le uniche tracce di quel campanile erano descrizioni nei romanzi e questa è la prima prova ufficiale della sua esistenza secondo alcuni, fantasia secondo altri. È stato comunque dichiarato patrimonio della comunità in quanto unica testimonianza dell’esistenza del campanile per ora ed esposto pubblicamente nel museo comunale fino a quando una giuria di esperti non avrà deciso se può essere considerato veduta del campanile o frutto dell’immaginazione dell’autore.
Ci guardiamo tutti con la stessa aria incerta, poi tutti tornano a guardare me. accidenti! Pochi giorni prima…
- Va bene. Quante possibilità abbiamo di invalidarlo?
- Cioè? – domanda Juno perplesso, senza capire cosa intendo dire.
- Se dimostriamo che quello è un falso, uno scherzo di qualche autore senza nessuna importanza il direttore farà di tutto per liberarsene prima di diventare lo zimbello della Francia – propongo, non troppo convinta.
- E’ difficile e rischioso – si oppone infatti subito Juno. Non me la sento di dargli torto, ha ragione e lo so. Ma è l’unica cosa che possiamo fare.
- Se dichiarano quel quadro bene della comunità non sarà possibile comprarlo più del Partenone o del Colosseo – insisto.
Juno mi guarda senza rispondere ma si vede che è contrario all’idea. Gli altri due guardano ora me, ora Juno senza proferire parola. Dov’è tutta la loro saggezza nel prendere decisioni ora? Perché non propongono qualcosa di utile invece di criticare quando prendo io una decisione?
- Secondo me si può fare. In fondo sono un esperto di fama mondiale, non avranno sospetti se vi accompagno – comincia Giulio, con l’aria assorta.
- Il mio lavoro è cercare opere d’arte e quel quadro è abbastanza antico e importante per loro da non sembrare troppo strano se mi interesso. Voi potreste fare i miei colleghi. Alla fine non dobbiamo rubare il quadro, ci basta prenderlo il tempo di prendere i fogli giusto? Basterà essere credibili per qualche ora, il tempo di esaminare il quadro…
Lo fisso, annuendo leggermente. Ha ragione, vista così può anche funzionare. Mi bastano pochi minuti per prendere i fogli. Mi dispiacerà non poterlo avere a casa come gli altri, è comunque un ricordo di mio padre vero, ma la missione è più importante della mia nostalgia. Giulio ha tutte le credenziali giuste per fingere di essere passato da quelle parti ed essersi interessato al caso di questo misterioso campanile…
- Mi piace. Juno tu potresti creare tutti i documenti che servono? Passaporti, credenziali…
Juno annuisce, ancora un po’ scettico ma più convinto di prima. Forse portare Giulio tra i nostri non è stato solo un male.
- Non so, mi sembra un tantino azzardato. Se ci hanno scoperto qui c’è da supporre che sanno come intercettare i nostri movimenti. Se vedono che andiamo in Francia e ci seguono, arriveranno al quadro insieme a noi. Al minimo problema con i documenti o un sospetto del direttore loro prenderanno il quadro prima di noi. Non si faranno problemi a rubare un bene comunale da quello che ho capito… - obietta Alex.
Impreco con un moto di stizza. Perché deve fare sempre il guastafeste? Però non posso negare che anche lui ha ragione…
- E’ vero, il rischio è altissimo ma è l’unica possibilità che abbiamo per ora. Non possiamo muoverci legalmente perché se no ci troveranno di sicuro e loro non avranno problemi se il quadro diventa comunale ma noi sì. Dobbiamo agire subito – replica Juno.
Io rifletto ancora un po’. E’ il penultimo quadro, è importantissimo, non posso permettermi di fallire proprio ora.
Questa messinscena è la più difficile che ho messo in atto finora e sicuramente sarà la più lunga e costosa e non ci sono sicurezze che riusciremo nel nostro intento… ma che scelta ho?
- Va bene Juno, tu contatta chi devi per i documenti, Giulio si metterà a studiare, devi essere preparatissimo su quel quadro e sul campanile se vogliamo far credere che ti interessi per curiosità, e Alex è l’addetto alle ricerche. Voglio sapere tutto quello che puoi sul direttore, sul paesino, sul museo, su tutto. Debiti, magagne, tutto ciò che può essere un punto debole. Fai anche qualche ricerca sui vecchi proprietari del quadro, magari riusciamo a dimostrare che c’è una qualche irregolarità nei passaggi e scopriamo che il quadro non è ancora legalmente proprietà del museo.
- Tu cosa farai? – domanda Juno, ancora preoccupato ma un po’ più fiducioso ora che abbiamo un piano che potrebbe anche funzionare. Spero tanto che non sia un errore madornale…
- Ho una truffa da organizzare. Devo trovare il modo di arrivare in Francia più silenziosamente possibile, organizzare la nostra permanenza lì, giustificare la nostra scomparsa dal paese in società… mettiamoci al lavoro.
E per i quattro giorni successivi nessuno di noi ha fatto altro. Dalla mattina alla sera tutto ciò che abbiamo fatto è stato in vista della partenza. Ognuno ha svolto il suo compito instancabilmente e per la prima volta, anche se lo ammisi solo con me stessa, fui felice di non essere sola. Non avrei mai potuto risolvere questo casino da sola.
Il quarto giorno, un mercoledì incredibilmente caldo per essere ancora primavera, è tutto pronto e alle quattro e venticinque del pomeriggio siamo tutti in macchina, direzione Grenoble.
- Hai controllato che la batteria del portatile sia carica? – domanda Juno a Giulio, che si è già rimesso all’opera. È decisamente il più dinamico di noi, è in grado di lavorare anche quando tutti gli altri sono esausti. Comincio a capire come fa ad avere più di una laurea e una cattedra in università oltre a pubblicare libri a meno di trent’anni.
- E’ tutto a posto, possiamo andare – conferma Giulio, senza alzare gli occhi dallo schermo del portatile.
Mentre Alex imbocca il viale della villa faccio ancora una volta la lista del necessario ma non mi pare di aver dimenticato qualcosa. Il che vuol dire che per almeno le prossime sei ore posso rilassarmi un po’, grazie al cielo. Negli ultimi giorni ho dormito pochissimo e mangiato ancora meno, mi sento come se dovessi crollare da un momento all’altro. Peccato che sia impossibile.
Appoggio la testa al sedile dietro di me mentre allaccio la cintura e chiudo gli occhi, godendomi l’aria calda che entra dal finestrino e mi accarezza il viso. La stanchezza è talmente tanta che non appena chiudo gli occhi ho le vertigini per qualche secondo e un leggero senso di nausea fa la sua comparsa per svanire subito.
Fortunatamente non sono l’unica stremata da questa settimana folle e in macchina regna il silenzio. Ogni tanto Giulio fischietta qualcosa e Alex sintonizza per qualche minuto la radio sul canale del meteo e del servizio autostrade per essere certo di non trovare sorprese, ma nessuno sembra aver voglia di parlare, me compresa.
Tuttavia nonostante la stanchezza non riesco ad addormentarmi e mi ritrovo a fissare per un po’ i due seduti ai sedili davanti.
Vederli così vicini mi fa capire quanto sia grave il mio problema: sono l’uno l’esatto opposto dell’altro, solo una schizofrenica potrebbe essere combattuta tra due persone così.
Alex è seduto più rigido, composto, e guarda avanti con cipiglio serio, trasmettendo anche così immobile una sensazione di agitazione, una specie di vibrazione sotto pelle. Ha i capelli portati indietro, leggermente spettinati, come sempre da quando abita con noi e la camicia sbottonata sul collo, ma sembra comunque perfettamente ordinato, come se avesse studiato ogni capello fuori posto, ogni piega sbagliata della camicia per far risaltare ancor di più la precisione meticolosa di tutto il resto.
Giulio invece è seduto in modo rilassato, quasi abbandonato contro il sedile e la sua espressione, che vedo riflessa nello specchietto laterale perché è seduto proprio davanti a me, è rilassata nonostante sia assolutamente concentrato. Al contrario del mio vicino, lui emana una sensazione di calma, di pace anche mentre lavora e anche il suo modo di vestire, il suo modo di parlare trasmettono la stessa tranquilla prontezza.
Come posso sentirmi attratta da due persone così diverse? Come posso sentirmi attratta allo stesso tempo dal bianco e dal nero?
È un interrogativo che mi preoccupa molto più di quanto mi preoccupano i rischi che sto correndo per scrivere questo benedetto romanzo. Sento che su questo punto si discute la mia sanità mentale e non posso essere l’eroina che salva tutti se sono anche una pazza furiosa con disturbo della personalità bipolare… potrebbe significare che probabilmente tutto quello che ho vissuto per anni non è che il frutto della mia malattia ossessivo - maniacale, dei miei istinti psicotici, delle mie manie inconsce…
- Sei sicura che nessuno farà domande in città? Tre persone che nemmeno dovrebbero frequentarsi sono scomparse nello stesso momento… - domanda Juno strappandomi alle mie riflessioni.
- Abbastanza. Per tutti Giulio è a fare un sopralluogo per conto di un amico, Alex è tornato in America per le ultime pratiche per il trasferimento e io sono in ritiro studio per prepararmi al mio nuovo esame. E comunque possiamo comunicare via mail così nessuno si farà venire sospetti se sanno che siamo vivi e che stiamo bene.
- E se controllassero la mail?
- Useremo gli internet point il più possibile, cambieremo indirizzi IP e ci collegheremo per pochi minuti per volta, per sicurezza. Più di così non so davvero cosa fare, Juno. Un conto è assumere un nome falso per un paio d’ore, solo per una persona o al massimo due. Un altro è sparire per una missione segreta con le attrezzature e tutto per commettere un reato bello e buono.
- Abbiamo dei documenti perfetti, se ci scoprono passeranno anni a cercare le identità false e noi abbiamo un piano di fuga davvero buono. Possiamo farcela – mi sussurra Juno e io sorrido.
Non ne sono affatto sicura ma non voglio che gli altri se ne accorgano. Andiamo avanti perché io li ho convinti, se vengo meno io potrebbe crollare tutto…
Viaggiamo ancora per ore e ore, fermandoci solo ogni tanto per mangiare qualcosa o andare al bagno degli autogrill e ci diamo continuamente il cambio alla guida per non stremare nessuno. Nessuno parla molto, siamo tutti stanchi e chi non guida ne approfitta per chiudere un po’ gli occhi. Perfino l’infaticabile Giulio è costretto ogni tanto a lasciare il suo portatile per riposare mente e corpo.
E di nuovo, mentre dallo specchietto retrovisore guardo Alex e Giulio dormire sul sedile posteriore, rivolti verso i propri finestrini come se anche nel sonno non riuscissero a dimenticare i loro screzi, mi domando come posso sentirmi attratta da entrambi. E poi, con un brivido gelido che mi attanaglia lo stomaco e il cuore, ripenso ai documenti copiati e cancellati senza riuscire a trovare una spiegazione qualsiasi che non preveda il tradimento. Ma non ci riesco.
Mentre è il mio turno di guida, di notte, sull’autostrada fortunatamente più che scorrevole come avevamo previsto, all’improvviso un cellulare comincia a suonare. Tutti gli altri dormono così profondamente da non sembrare accorgersi del suono e io cerco di capire da dove provenga il suono, certa che appartenga a quei due asini seduti dietro. Avevo avvertito quei due che erano proibiti i cellulari, non hanno mai visto tutti quei polizieschi in cui il criminale viene fregato rintracciando il cellulare?
Abbastanza sicura di aver capito da quale parte viene, allungo la mano dietro il mio sedile senza distogliere lo sguardo dalla strada. Finalmente afferro una cinghia e con una serie di acrobazie riesco a portare uno zaino davanti a me. Tasto lo zaino con il palmo aperto fino a sentire la vibrazione e tiro fuori il corpo del reato, che però non ho mai visto. Fisso l’apparecchietto nelle mie mani confusa, cercando di collegarlo a qualcuno qualsiasi nella mia macchina senza riuscirci e mi volto per qualche secondo a fissare i due dietro di me. Intanto chiunque stia chiamando non accenna a demordere e faccio scattare lo sportellino superiore per chiudere la chiamata e per un secondo leggo il nome che appare sul display sentendomi subito mancare il fiato.
A grandi lettere nere sullo schermo giallo-verdognolo nelle mie mani brilla divisa in tanti minuscoli quadratini la scritta centrale.
Premo con forza il tasto con la cornetta rossa, con la mente che viaggia più veloce dell’auto che guido. Per un momento ho una voglia matta di aprire il finestrino e liberarmi di quella scomoda scoperta, piena di terribili significati… poi mi rendo conto che sarebbe stupido.
Eliminare la prova incriminante non cancellerà il fatto che uno dei due passeggeri e complici addormentati nella mia macchina ha comprato un cellulare appositamente per questo viaggio e me l’ha tenuto nascosto e che comunica con un numero che ha salvato centrale. Centrale di cosa?
Cerco di pensare in positivo mentre continuo a stringere il cellulare in una mano e a guidare con l’altra. Magari è il cellulare di Giulio e “centrale” è il nome con cui si riferisce al suo gruppo di ricerca. Oppure “centrale” sta per sede centrale e potrebbe essere la sede di qualsiasi cosa: università, municipio… Alex ha detto che era un dipendente, magari di qualcosa che aveva una sede centrale e una distaccata…
O forse il proprietario del cellulare intendeva proprio centrale come quelle della polizia, dei vigili del fuoco, della CIA…
Colta da un’intuizione improvvisa riapro lo sportellino e cerco il numero nella rubrica, per controllare il prefisso e scoprire almeno da dove stesse chiamando la “centrale” e faccio altre due scoperte che mi mandano in corto circuito il sistema cardio-circolatorio per qualche secondo, tanto che rallento lentamente con la macchina.
Punto primo, il prefisso non lo conosco, non l’ho mai visto in vita mia ma ricorda tremendamente quelli americani nei film. Punto secondo, ancora più inquietante, è l’unico numero salvato in rubrica. Chiunque ha comprato il cellulare l’ha fatto per comunicare solo esclusivamente con la “centrale”, cosa che non ha senso se è qualcosa di poco importante, ma che ne ha molto se non solo è una comunicazione importante ma anche segreta. Proibita.
Dannazione, è proprio come uno di quei cellulari che hanno le vittime di rapimento nei film polizieschi, o gli agenti segreti in quelli di azione. Quei film che parlano di spie, doppiogiochisti e agenti segreti. Come quelli della CIA.
Sento un mugugno provenire dal sedile posteriore e d’istinto nascondo il cellulare tra le mie gambe e fingo di frugare nello zaino per qualcosa, che se qualcuno me lo chiedesse sarebbe una bottiglia d’acqua. Ma dopo quell’unico suono il sibilo della strada che scorre veloce intorno a noi torna ad essere l’unico suono in macchina e mi rilasso nuovamente.
Agendo ancora una volta d’istinto, rimetto il cellulare dove l’ho trovato, sforzandomi di memorizzare il numero per salvarlo dopo e fare le mie ricerche quando ho un momento libero. Rimetto lo zaino dietro il sedile e torno a guidare, cercando di controllare che stiano ancora tutti dormendo ma per fortuna sono ancora l’unica sveglia nell’auto.
Improvvisamente tutta la stanchezza del viaggio sembra essere svanita, sostituita da una febbrile ricerca di giustificazioni, spiegazioni, possibilità… chi? Perché? Quando?
Ecco un’ottima domanda, penso. Quando. Perché negli ultimi giorni nessuno ha lasciato la casa, nessuno è rimasto solo, tantomeno ha avuto il tempo di andare a comprarsi un cellulare… il che mi fa rabbrividire ancora. Se nessuno ha avuto il tempo di comprarlo vuol dire che lo aveva già da prima che decidessimo del viaggio ma io sono assolutamente certa di non averlo mai visto fino ad ora e questo può voler dire solo due cose: improbabile coincidenza o segreto tenuto attentamente nascosto, con una maestria non indifferente tra l’altro, considerando le circostanze.
Proprio come i file copiati e cancellati dal computer. Questo non è lo spionaggio da dilettanti, questo è un lavoro da professionisti. E ci solo due categorie di professionisti spie che possono essere interessate a me in questo momento, cioè la CIA e i Cattivi con la C maiuscola. E nessuno dei due è positivo, per niente.
Ma forse sto esagerando, forse sono solo stanca e sovraeccitata e la mia mente non riesce che a vedere imbrogli e segreti. Forse quando domani chiederò a chi appartiene il cellulare, avrò una spiegazione perfettamente logica e molto vigliacca con tutta probabilità da uno dei due, che proprio non è riuscito a staccarsi dalla sua quotidianità tecnologica. Magari quello della centrale è l’unico numero salvato solo per una questione di tempo, non ha ancora trovato il momento in cui aggiungere altri numeri alla rubrica di nascosto perché sa che lo uccido quando scopro chi è stato il deficiente. O potrebbe essere l’unico numero che non ricorda mentre quello di amici e parenti stretti chiaramente saprebbe comporli e riconoscerli a memoria.
Comunque non posso scoprirlo rimuginandoci sopra, rifletto, meglio non farmi troppe congetture e aspettare di vedere chi prende lo zaino non appena arrivati.
Lo zaino! Ma certo! Come ho fatto a non pensarci? Non so di chi è il cellulare ma di sicuro so di chi è lo zaino! Rincuorata di poter dare almeno subito un volto alla mia futura vittima, cerco di ricordare lo zaino ma ero così presa dal cellulare che non ci ho fatto proprio caso. Cerco allora di allungare la mano dietro di me per riprenderlo e guardarlo meglio ma proprio in quel momento vedo Giulio agitarsi e aprire gli occhi.
- Che ore sono? – domanda con la voce un po’ impastata dal sonno.
- Tardi – rispondo laconica. Spero che si rimetta a dormire così posso controllare…
- Da quanto tempo stai guidando? Devi essere esausta – riflette, stiracchiandosi per quanto possibile nello stretto abitacolo.
- No, ce la faccio ancora un po’. meglio che ne approfitti per riposare ancora, sei tu la punta di diamante del gruppo, devi essere più che perfetto.
- Lo so ma ormai sono sveglio, non mi addormenterei comunque prima di un bel pezzo. E sono stanco di starmene rannicchiato qui, ho bisogno di sgranchirmi un po’. Accosta non appena trovi un’area di servizio e fa guidare me.
Accidenti, proprio nel momento meno opportuno. Ma non voglio mostrare davanti a lui di avere dei sospetti su qualcuno, così annuisco e accelero un po’. Riuscirò a pensare meglio se non devo guidare, comunque.
Arrivati alla piazzola di sosta accosto e scendo dalla macchina, sentendo ogni osso del mio corpo scricchiolare sonoramente e Giulio fa lo stesso, con la stessa smorfia di chi è rimasto troppo tempo seduto. Sento anche le sue ossa scricchiolare nonostante il sibilo del traffico e ci sorridiamo, poi ci rimettiamo in macchina, scambiandoci di posto.
Non appena dentro l’auto, mi sporgo verso il sedile del guidatore, facendo attenzione a non svegliare Alex, e afferro nuovamente la cinghia dello zaino. Lo appoggio sulle mie ginocchia e faccio finta di frugare all’interno mentre lo studio, cercando di ricordare a chi appartiene. Assurdamente, anche lo zaino non mi dice nulla. Abbiamo preparato insieme le valigie eppure sono quasi certa di non aver mai visto questo zaino prima di ora. È come se qualcuno l’avesse infilato all’ultimo momento…
Sbircio più attentamente il contenuto, certa che da qualche parte deve esserci un indizio sul proprietario, ma trovo solo due asciugamani, un giornale che al buio non riesco a vedere di che giorno è, delle penne e una radiolina, di quelle che si trovano in qualsiasi bottega di cianfrusaglie, abbastanza piccola da attaccarla ai vestiti per ascoltare le ultime notizie mentre si lavora. A batterie, di colore giallo spento e incredibilmente, sconosciuta anche questa.
- Cerchi qualcosa in particolare? – mi domanda Giulio sbirciandomi dallo specchietto retrovisore mentre si aggiusta alla meglio un ciuffo ribelle sulla fronte.
- No, cercavo solo una bottiglia d’acqua ma non c’è – rispondo richiudendo tutto e rimettendo lo zaino al posto con cautela.
- La borsa frigo è nel bagagliaio, dobbiamo fermarci se vuoi bere.
- No, non è così urgente. Aspetterò la prossima sosta.
Lui non risponde e continua a fissarmi dallo specchietto per qualche secondo, mentre io faccio finta di niente e guardo fuori dal finestrino sul lato di Alex, per studiarlo con la coda dell’occhio, poi si convince e torna a guardare la strada.
Torno a squadrarlo mentre guida fischiettando un motivetto che conosco ma che al momento non riesco ad identificare e mi chiedo se lo zaino sia il suo. Non mi sembra agitato di avermi visto frugare ma non significa niente. È chiaro che chiunque sia la spia è uno che sa il fatto suo. Quello zaino non l’ho mai visto e nemmeno il suo contenuto.
Mentre Giulio imbocca una galleria, la mia mente torna di nuovo sui miei terribili interrogativi e ripenso di nuovo ai file, ricostruisco ogni minuto di quella sera cercando di capire chi e come abbia fatto quelle operazioni, poi ripenso alla chiamata, al numero in particolare, cerco di collegare le due cose, cerco di capire il nesso mancante, provo a ricordare altre stranezze…
Quando riapro gli occhi è mattina presto e siamo fermi nel parcheggio di un autogrill, l’ultimo come mi informa Alex sollevato, prima di arrivare al confine. Sospiro anche io di sollievo, sognando una doccia calda e un’ora su un letto vero, poi mi dedico al panino che Juno mi sta offrendo. Ha un’aria pessima noto, per niente riposata e piuttosto sofferente.
- La ferita? – gli domando preoccupata. Non posso permettermi di perdere Juno.
- Arriverò a destinazione, tranquilla. Ma dopo lasciatemi dormire per un paio di settimane nella migliore suite dell’albergo – ironizza e io sorrido un po’ mentre mordo il panino. Dormire è l’ultima cosa che faremo durante la nostra “vacanza parigina”.
- Cosa dicono i giornali locali riguardo al quadro? Ci sono sviluppi? – domando a Giulio, addetto al computer, ma lui scuote la testa.
- Strano. I giornali locali sopravvivono grazie a queste battaglie legali. Com’è possibile che nessuno parli del quadro? È patrimonio nazionale, dovrebbe mettere fine o accendere ancora di più le lotte sull’esistenza di una torre, come fa a non interessare a nessuno? – domando, riflettendo ad alta voce.
- Probabilmente la notizia è tenuta segreta dal direttore del museo per evitare figuracce fino a quando non sarà certo dell’autenticità del quadro – suggerisce Alex.
- Notizie del genere trapelano sempre ai giornalisti. Hanno più spie dei Servizi Segreti – gli faccio notare, scettica. Questo silenzio sulla sorte del quadro non mi piace. Di nuovo non posso fare a meno di pensare: “la calma prima della tempesta”.
- Secondo me qualcuno non vuole che la storia si sappia in giro. Non sappiamo ancora niente su come il museo abbia trovato il quadro? – domando, rivolgendomi di nuovo al nostro informatico, ma lui scuote ancora la testa.
- Sembra che il vecchio proprietario abbia una villa in Francia, proprio vicino Grenoble, che usa solo d’estate. Probabilmente qualche donna delle pulizie assunta di recente deve aver visto il quadro e aver fatto qualche commento, qualcuno ha sentito e ha capito subito che potevano nascere soldi così ha contattato il museo – interviene Alex, incaricato di scoprire qualcosa su questo argomento.
Annuisco, mi sembra una teoria probabile, ma ancora non capisco perché tutto questo silenzio su una cosa così grossa per un paesino come quello. Chi è che vuole insabbiare la faccenda? E soprattutto perché?
- Che ne dite se ci pensiamo una volta arrivati lì? In fondo non ci interessa più di tanto, ora il quadro è al museo. Voglio fare una doccia prima di essere scambiato per un cavernicolo – incita Giulio e ci rimettiamo in marcia.
Poche ore dopo troviamo la prima indicazione stradale in francese e ringrazio il cielo di aver seguito il corso di francese in facoltà. Ovviamente c’è Giulio che lo parla correntemente come l’italiano ma non mi piace dipendere dagli altri per capire le cose.
Approfitto del fatto che siamo tutti svegli per ripassare velocemente il racconto che abbiamo inventato per copertura, per ricordare a tutti l’importanza di mantenere la massima attenzione e spiego ancora una volta ad Alex e Giulio come muoversi in città per passare più inosservati possibili. E già che ci siamo, ripasso anche la procedura nel caso qualcosa andasse storto, pregando freneticamente che non sia necessario metterla in pratica, poi torno a riposare per un po’ fino a quando una mano non mi scuote per dirmi che siamo arrivati.
Grenoble è un paesino molto simile a uno dei tanti in Italia, immerso in campagna, silenzioso. Case piccole, più botteghe che negozi veri e propri, parecchie chiese, strade strette. Tutto qui ha un’aria piuttosto datata, l’impressione generale è quella che si ha girando per Siena o Gubbio, un piccolo borgo che si sforza di mantenere l’aspetto del passato. Non mi stupisce che il direttore del museo ci tenga così tanto a un quadro importante per la storia del paese, è chiaro che la tradizione qui è uno dei pochi motivi di turismo e quel quadro sarebbe un bel colpo. Accidenti a te papà, penso, non potevi ritrarre la Tour Eiffel invece che una torretta sperduta, forse mai esistita?
Guidati da Alex che ha studiato la strada su internet prima di partire ci dirigiamo direttamente verso il nostro albergo, una pensioncina in centro assolutamente anonima ma ben tenuta, a giudicare dalle foto sul web, a conduzione familiare.
Non appena arriviamo infatti, due signori un po’ avanti con l’età, probabilmente marito e moglie, ci accolgono, presentandosi come i proprietari e dandoci il benvenuto in Francia. Giulio risponde per tutti con un francese che sembra sbalordire anche i due proprietari e dopo pochi convenevoli ci facciamo mostrare le stanze.
Le camere che ci vengono assegnate sono comunicanti, piccole, con il bagno in comune, arredate in modo semplice ma accogliente e subito alla vista dei letti nessuno di noi riesce a trattenere un sorriso.
- vous n’avez pas reposé très bien dans le vélo, eh? – domanda il signore dietro di noi.
- Non molto – ammette Giulio con un sorriso, e il signore annuisce con aria di chi sa molto bene cosa vuol dire dormire in macchina.
Poi Giulio si fa mostrare dal simpatico vecchietto le prese e il funzionamento del riscaldamento per l’acqua del bagno, quindi il signore ci lascia accomodarci mentre lui aiuta sua moglie, come traduce Giulio.
Non appena la porta si chiude, Alex e Juno si siedono sul letto, Giulio mette il portatile sotto carica e io mi affaccio alla finestra.
È bello vedere di nuovo un paesaggio fermo ma è anche strano trovarsi in questo paese, con le scritte per lo più incomprensibili e le facce diverse dal solito. Molto francesi.
- Quando cominciamo? – domanda Juno.
- Domani mattina andiamo al museo. Ora siamo tutti stanchi e abbiamo bisogno di una doccia se non vogliamo dare l’impressione di essere corsi qui. Ricordate che siamo qui in vacanza da un po’ ormai.
- Intanto possiamo andare a fare un giro? Ho bisogno di un po’ di moto – propone Alex, stiracchiandosi.
Ci rifletto un po’ su, sapendo che è pericoloso ma che non posso tenerli in gabbia per sempre. In fondo qui non li conosce nessuno e l’Organizzazione non sa che siamo qui. Spero. E comunque ho delle ricerche da fare e devo parlare da sola con Juno quindi forse…
- Va bene ma non allontanatevi. Io resto qui con Juno e vedo se l’acqua calda funziona a dovere.
Alex annuisce e si dirige verso la porta.
- Aspetta un momento. Prima sistemiamo le valigie – lo fermo.
Ora finalmente scopriremo a chi dei due devo tagliare la testa.
- Buona idea. Così magari mi cambio prima di scendere in strada.
Ognuno di noi comincia a prendere borse e valige, svuotarle mettere le cose al proprio posto per quanto possibile. Incredibilmente nessuno prende lo zaino che resta abbandonato contro l’armadio per un tempo che mi sembra lunghissimo, mentre cerco di perdere tempo per non perdere quella dannata borsa di vista proprio nel momento cruciale.
Finalmente arriviamo alle ultime due borse da svuotare, una grossa valigia rossa e il fatidico zaino. Mi fermo, fingendo di sgranchirmi la schiena mentre osservo lo zaino e aspetto di vedere chi tra Alex e Giulio lo afferrerà, ma ancora una volta mi sento all’improvviso come se qualcuno mi desse un colpo allo stomaco con una mazza o un bazooka.
Al rallentatore come credevo succedesse solo nei film, vedo la mano afferrare la cinghia, mettere lo zaino sul bordo del letto e sfiorare impercettibilmente la tasca dove so esserci il cellulare, come per controllare che si sia ancora. Poi la stessa mano apre la cerniera superiore e comincia a tirare fuori le altre cose, asciugamani, penne, radiolina. Sfiora ancora una volta la tasca con il cellulare ma non apre la cerniera e anzi mette lo zaino in una delle valigie già svuotate e raggiunge a fatica l’armadio dove mette la valigia sul fondo, così che non ingombri nella stanza.
Lo raggiunge a fatica perché non può camminare agevolmente da diversi giorni. Non può perché la mano che ha tirato fuori le cose dallo zaino e sfiorato la tasca col cellulare senza tirarlo fuori è la mano di Juno.
Mentre gli altri continuano tranquilli, io mi sforzo di non accasciarmi nel bel mezzo della stanza, completamente senza fiato.
Perché Juno starebbe nascondendo il cellulare? È stato lui a dirmi di proibirli agli altri per tutto il viaggio!
Cerco di nascondere meglio possibile il viso prima che qualcuno si accorga della mia espressione che deve essere sconvolta, e di pensare. Non è detto che lo stia nascondendo in fondo, anzi sono sicura che se glielo chiedo lui non lo negherà affatto e avrà un’ottima spiegazione per averlo portato. Di sicuro. Per forza.
Ma per quanto possa ben spiegare il fatto di aver comprato un cellulare senza dirmi niente, uno zaino senza dirmi niente e una radio ancora senza dirmi niente, che spiegazione ha per parlare con un numero che ha salvato come “centrale”? perché io so benissimo che lui non lavora in un posto con sedi distaccate, non ha un gruppo di lavoro che chiama centrale, non ha mai nominato in mia presenza in cinque anni niente che possa avere a che fare con una centrale.
- Alexis tutto bene? – mi domanda Alex premuroso, accanto a me, ed io sussulto. Non mi ero accorta che si fosse avvicinato.
- Si… solo un giramento di testa, la stanchezza forse. Una doccia calda e un paio d’ore di letto vero mi rimetteranno in sesto – lo rassicuro sorridendo appena. Improvvisamente ho una voglia matta di abbracciarlo forte, di stringermi a lui come quella notte a casa di Juno…
- Ora andate a prendere un po’ d’aria fresca e tornate tra non più di due ore. Domani dovete essere freschi e riposati come chi è in vacanza da qualche giorno – lo incito.
Ora più che mai ho bisogno di restare sola con Juno. Se fosse stato Alex o Giulio a mentire potevo chiudere la faccenda con una strigliata o al massimo con un interrogatorio da KGB e lasciarlo legato alla sedia fino a che qualcun altro lo avesse trovato ma con Juno… non posso credere davvero che mi stia nascondendo qualcosa e non posso permettere che quei due sappiamo che abbiamo un problema ai piani alti, per così dire.
Quando finalmente sia Alex che Giulio sono usciti dalla stanza, mi siedo sul bordo del letto, fissando Juno che si sta medicando la ferita.
- Perché hai voluto Alex nella tua stanza? Ti ricordi cosa ti ho detto sulle relazioni nel nostro caso? – mi rimprovera poi Juno, senza smettere di medicarsi.
Per qualche minuto non rispondo. È così tranquillo… non può stare nascondendo qualcosa, non potrebbe fingere così bene…
- Dobbiamo controllare entrambi e sarà più facile se ce li dividiamo e comunque non potevamo lasciare quei due insieme, da soli, nella stessa stanza. Li avremmo trovati morti entrambi domattina, scannati a vicenda – replico in tono freddo, preparandomi ad affrontare l’argomento del cellulare. E della chiamata soprattutto.
- E perché proprio Alex? Cosa è successo la sera che avete litigato prima che mi sparassero?
Il suo tono accusatorio non mi piace per niente e mi sforzo di continuare a restare calma, a rispondere in modo atono. Non è questo il problema grave e sentirmi rimproverare così per una sciocchezza mentre lui trama alle mie spalle mi da tremendamente ai nervi. Mi sa che troveranno noi scannati, molto prima di domattina.
- Proprio Alex perché abbiamo già stabilito delle regole e so che le rispetta. Ho bisogno di dormire tranquilla. Giulio sembra non capire cosa vuol dire niente relazioni per ora e questo mi mette in agitazione. Come vedi io sto seguendo le tue regole alla lettera. Perché tu invece non lo fai?
- Cosa vuoi dire? – domanda con tono casuale, come se davvero non capisse. E la cosa mi fa davvero infuriare, non può non ricordare, non può davvero non capire.
- Mentre guidavo ieri notte ha cominciato a suonare un cellulare. Voi dormivate tutti e così l’ho preso per spegnerlo e per romperlo in testa a chi di quei due mi avesse disobbedito, solo che non ho riconosciuto né il cellulare né lo zaino dove l’ho trovato, così ho aspettato stamattina per vedere chi era il colpevole e indovina un po’? Era il tuo quello zaino, il che mi fa pensare che sia tuo anche il cellulare.
Mi fermo per riprendere fiato, perché ho parlato troppo in fretta. Lui non risponde subito, prima finisce di disinfettare per bene, con calma, per niente agitato o con aria colpevole.
- E’ un cellulare nuovo, comprato appositamente per questo viaggio e l’ho reso sicuro. Non potranno rintracciarlo mai e un cellulare fa sempre comodo quando si stanno commettendo reati, sai?
- Perché non mi hai avvertito?
- Perché non sono riuscito a trovarci da soli e poi mi è passato di mente. Abbiamo qualcosa di più serio a cui pensare che un cellulare. Se mai ci sarà utile l’avresti scoperto comunque.
- Va bene. E con quale centrale comunichi esattamente? Perché era la “centrale” che ti chiamava ieri – insisto, con tono palesemente accusatorio questa volta, non riesco a farne a meno. Mi sento tradita e imbrogliata e non mi piace affatto, non da lui.
- Casa tua Alexis. La centrale che tanto ti insospettisce è casa tua. Ma se qualcuno dovesse trovarlo non potevo certo scrivere “casa di quella che cercate di ammazzare”, ti pare?
- Non prendermi in giro, Juno. Ho visto il numero, il prefisso è straniero e il numero non è quello di casa…
- Non posso credere che tu mi stia davvero accusando di una cosa simile Alexis. Il prefisso è straniero perché il numero è quello di una segreteria croata che devia automaticamente la chiamata verso il telefono dei tuoi genitori, così se qualcuno cerca di rintracciarli si fa una bella vacanza in Croazia, una cosa che ti ho imparato a fare da una vita.
Rimango ammutolita per qualche minuto, indecisa se credergli o meno. Ha ragione, è una cosa che abbiamo fatto spesso e che è risultata essere estremamente sicura. Mi sembra assurdo salvare il numero di casa mia visto che lo sappiamo entrambi a memoria e considerando che non prevedo improvvisi cali contemporanei di memoria… ma è Juno accidenti! Juno, il mio Juno! Come posso dubitare di lui?
- Alexis non starai davvero pensando che… andiamo! Mi sono quasi fatto ammazzare per aiutarti!
Ha ragione ovviamente, e mi sento malissimo. Sono una persona orribile. Eppure…
- Mi dispiace. Non credo che tu stia imbrogliando. Dico solo che forse stai facendo qualcosa di cui non vuoi parlarmi per chissà quale assurdo istinto di protezione…
Lui si siede sul letto, fissandomi con aria indispettita ma meno arrabbiata di prima.
- Ok, ci può stare. Ma non sto facendo niente di chissà cosa tu immagini. Sono dentro a questa storia insieme a te, Alexis.
Il suo tono rassicurante mi convince molto più della sua storia e mi rilasso un po’. Lui è Juno, non può tramare contro di me.
- Ora credo che sia meglio che ti vada a fare quella doccia, sembri appena tornata da una maratona nella savana e io ho bisogno di dormire senza le tue fastidiose accuse nelle orecchie – mi canzona, mettendosi steso.
Sto per dirgli che dovrebbe andare nella sua stanza se intende dormire ma ci ripenso, tanto Alex non c’è e non credo che riuscirò davvero a dormire fino a quando non saremo tornati con i fogli nella borsa.
Nella doccia lascio che l’acqua precipiti con forza dall’alto e mi massaggi il collo e le spalle. Il vapore mi fa sentire piacevolmente stordita e rilassata, anche se le gocce che mi scivolano lungo le gambe mi solleticano appena. Sembra passato così tanto da quando mi sono sentita rilassata l’ultima volta! Mi sento come quei vecchi che hanno vissuto troppo a lungo e sono passati attraverso troppe esperienze che ormai pesano tutti sulle spalle, lì dove inizia il collo.
E subito mi viene in mente, come un flash confuso dai contorni sfuocati, la sera in cui ho litigato con Alex e poi lui mi ha chiesto scusa e poi noi… credo che quella notte sia stata l’ultima volta in cui mi sono sentita giovane, energica, rilassata.
Com’erano dolci le cose che ha detto attraverso la porta! E com’era buono il suo profumo, quel misto di colonia e sudore… il solo pensiero sembra divampare dentro il mio cervello per qualche minuto, mentre continuo a ricordare momenti sconnessi di quella notte, come una serie di fotografie sparse su un tavolo senza nessun ordine e di nuovo mi torna quella voglia matta di essere di nuovo lì… vorrei non avergli mai detto di ignorarmi, vorrei non aver finto che quella notte non sia esistita. Forse così stanotte avremmo potuto ritentare la magia…
Apro gli occhi di scatto e mi affretto a risciacquarmi, quindi esco dalla doccia facendo bene attenzione a non scivolare e mi avvolgo nell’enorme asciugamano rosa, strofinandomelo addosso per asciugarmi, come se con l’acqua potessi cancellare anche quel pensiero che sembra invece aver messo radici nella mia testa.
Eppure dovrei saperlo che non è il momento delle debolezze, non ora, non qui, non prima che questa brutta storia sia finita.
Quando ritorno in camera Juno non è più sul letto e Alex guarda distrattamente fuori dalla finestra.
- Fatto una bella passeggiata? – gli domando.
- Abbastanza. Fa più freddo di quanto immaginassi. Però il paese è bello, molto caratteristico. Non mi meraviglia che siano così interessati a quel quadro, è quasi una questione identitaria.
Osservandolo mentre parla mi accorgo però che qualcosa non va, che qualcosa lo preoccupa. So che sembra stupido perché è logico che sia preoccupato, stiamo commettendo un reato grave in un paese straniero per lottare contro una spietata banda di criminali che vuole distruggere il mondo, ma non è solo questo.
- C’è qualcosa di cui vorresti parlarmi? – domando, infilandomi il vestito. Lui è talmente preso dai suoi pensieri che non si è nemmeno accorto che mi sono svestita e rivestita davanti a lui, penso con una punta di dispiacere. Probabilmente l’avrei respinto comunque, ma mi piacciono le sue attenzioni di tanto in tanto… e ora che siamo soli…
- No, niente. È che… Alexis credo che Giulio nasconda qualcosa.
La sua accusa mi lascia sorpresa e stizzita. Non è il momento di farsi venire i finti sospetti di gelosia.
- So che pensi che mi sta solo antipatico ma non è per quello. Mentre facevo la mia passeggiata l’ho visto parlare con delle persone strane, gli ha dato dei fogli e anche qualcosa che mi è sembrato un cd. Aveva un modo di fare e un’espressione che…
Intanto mi porge il cellulare. Sul display c’è un immagine molto sgranata di Giulio che parla con tre persone alte come colossi e altrettanto massicce. Glielo restituisco con un’occhiataccia.
- Giulio conosce il francese quasi alla perfezione ed è una persona famosa, forse più di quanto tu possa immaginare, i suoi libri sono tradotti quasi in tutte le lingue del mondo e ovunque vengono vendute a milioni… probabilmente erano suoi ammiratori o roba del genere… e poi perché lo spiavi?
- Non lo stavo spiando, te l’ho detto, l’ho incontrato per caso. Stavo bevendo qualcosa di caldo e l’ho visto entrare in una stradina nascosta con questi tre… erano strani ma non capivo perché, così ho chiesto a un signore vicino a me e ho capito cos’avevano di particolare. Non erano francesi, Alexis. Erano russi. Dei russi molto conosciuti da queste parti. Russi come l’uomo che ci ha aggrediti in casa mia.
Il suo tono è grave e il viso ha un’espressione tirata. Non credo che se lo stia inventando, è davvero convinto di quello che sta dicendo. E il collegamento ci sta. Ma non posso credere che Giulio sia davvero così… il suo entusiasmo è genuino e poi lui è uno in vista, conosciutissimo, non potrebbe mai avere una vita segreta. Perché dovrebbe tradirmi poi?
- Alexis diciamolo, quello è strano. È appena maggiorenne e ha una sfilza infinita di titoli, tremila lavori e troppe conoscenze per uno che ha dovuto sudarsi il pane. Nessuno impara una ventina di lingue a scuola, nemmeno per alzare la media. E poi è un ricercatore, uno scrittore, un professore… casualmente giusto nella tua università tra l’altro… è impossibile Alexis, è così perfetto da essere… be’ da essere sospetto.
Non rispondo subito, cercando di pensare. Non mi va di ammetterlo però è strano davvero...
- Sei solo invidioso di lui, Alex. Non mi servono paranoie inutili, sono già abbastanza presa per i fatti miei… - cerco di replicare alla fine ma la mia voce non ha un tono molto convinto. Non è la prima volta che anche io mi domando come possa fare tutto. E da quando è arrivato a casa di Juno non l’ho visto lavorare una volta, mai ricevere chiamate di lavoro, tranne qualcuna che ha fatto lui…
- E poi guarda caso conosce, il russo, come quel sicario, e nemmeno nomini quel tipo col nome strano, il filosofo o quello che è, ecco che lui lo conosce, unico sulla faccia della Terra.
- Ha accesso a documenti che molti non sanno nemmeno che esistono, è facile per lui imparare cose impensabili.
- Già tra cui i verbali della nostra Organizzazione, Alexis. Proprio quelli. Documenti che nemmeno tuo padre ha mai trovato e lui se li trova così per caso e con una schiera di cervelloni super pagati quello chiede aiuto proprio a te…
Non rispondo e fisso invece una parte qualsiasi del muro davanti a me, pensierosa. Sebbene sono ancora convinta che abbia frainteso il misterioso incontro e che stia ingigantendo le cose per questioni personali diciamo, non posso non ammettere che ha ragione su un bel po’ di cose.
In fondo Giulio non mi ha mai spiegato come abbia avuto quei documenti e non aveva motivo di chiedere proprio il mio aiuto per tradurli. E l’inchiostro svanito è uno dei primi controlli che si fanno quando si ha a che fare con documenti molto vecchi, perché lui non l’ha fatto subito? Perché poi mi ha dato gli originali e non solo delle copie? Se avessi avuto delle copie non avrei mai scoperto il segreto di quelle pagine…
- E ci sono i file che tu dici di aver visto copiare sul pc a casa di Juno. Io ero fuori con te mentre finiva l’operazione, anche se fosse, quindi non avrei potuto cancellarli e invece qualcuno aveva cancellato la cronologia delle azioni fatte. Non è una cosa che fanno tutti prima di spegnere il computer Alexis, chi ha cancellato quella cronologia l’ha fatto per nascondere qualcosa e tranne io e te c’era solo lui in casa…
Anche questo è vero, è la stessa conclusione che ho tratto io, ma non ho ancora avuto modo di affrontare con lui la questione. E poi non riesco a credere che Giulio possa stare nascondendo qualcosa, lui è così ingenuo, così eccitato all’idea di far parte di questa avventura… se fosse una spia sarebbe di certo più abituato alla vita da spie, no?
- E comunque Juno continua a farti notare la coincidenza tra il mio arrivo e quando ti hanno scovata, ma lui non è arrivato molto dopo di me da queste parti, giusto? Era già qui da un po’. E ti ha invitato a cena proprio la sera del blitz a casa tua. Può essere un caso o forse… anche tu ti sei chiesta come facevano a sapere che non eri in casa. Forse perché sapevano che eri a cena con uno dei loro.
Anche questo è dannatamente vero. Di sicuro Alex sa essere convincente e ha un sacco di prove, per così dire, in favore della sua tesi.
- Giulio è una persona troppo importante per nascondere un segreto del genere Alex. E comunque lui ha delle prove sui suoi viaggi, ha i suoi libri e le lezioni le tiene sul serio perciò… non può essere una spia Alex.
- Quindi credi che siano tutte coincidenze?
Rifletto un po’ prima di parlare. Non so se è il caso di parlarne con lui, non so se posso fidarmi… ma tanto i suoi dubbi li ha comunque e non voglio che creda che ignoro i fatti che giustamente lui ha interpretato perché mi sento attratta dal bel professore.
- Credo, se vuoi sapere la verità, che Giulio stia cercando di continuare il suo libro anche a distanza e soprattutto che stia cercando di scrivere la bozza del prossimo ora che la sua memoria è ancora fresca Alex, ecco cosa credo. Il che è dannatamente pericoloso ma non fa di lui una spia. Grazie di avermi messo a parte dei tuoi pensieri, affronterò con lui questa storia degli incontri clandestini e ti farò sapere cosa ha da dire in sua discolpa. Ora però smettila di fare il James Bond dilettante e pensa a restare concentrato, ok?
Si vede che è rimasto male dalla superficialità con cui sto trattando la questione ma non posso farci niente. Non posso permettergli di andarsene in giro a fare congetture e lanciare accuse che potrebbero distruggere quel po’ di equilibrio che abbiamo costruito fino ad ora. Anche se io stessa non sono convinta di quello che dico.
- Il capo sei tu mi pare. Ma ti assicuro che da ora in poi lo terrò d’occhio personalmente. Ora ti va se parliamo un po’ di noi?
L’ultima domanda mi fa quasi trasalire, accidenti. In effetti sapevo che non poteva aver dimenticato che avevamo un argomento così importante in sospeso ma non so ancora cosa dire a riguardo. Non ho ancora avuto il tempo di riflettere…
- Sto impazzendo a furia di starti così vicino e non poterti toccare, Alexis… - il suo tono è carezzevole e allusivo mentre parla e io rimango immobile a fissare fuori dalla finestra, cercando qualcosa da dire ma senza riuscirci.
- Per quanto dovrò ancora stare a guardare quello spogliarti con gli occhi prima di poter stare ancora con te? prima di poter dimostrare che… quanto sei importante per me? io ho bisogno di sapere da che parte stai Alexis, di capire chi sceglierai alla fine…
Ha ragione anche su questo e l’idea di trovarmi d’accordo con lui così tante volte oggi mi preoccupa un po’, soprattutto perché non so cosa rispondergli.
Chi sceglierò alla fine? Alex mi piace davvero o il mio è stato solo un momento di debolezza, reso più facile dal suo fascino e dalla sua vicinanza in quei giorni? Mi piace Alex o l’affascinante aiutante della solitaria eroina, in pratica?
Quando lui mi si avvicina mi sento come investita da una specie di onda sismica che smuove tutto, confondendo ogni mio pensiero razionale… ma cosa c’è oltre la passione, oltre l’attrazione per un bell’uomo?
Vorrei disperatamente credere che non si tratta solo di solitudine o di alchimia fisica ma che c’è qualcosa di più profondo che la confusione di questi giorni non mi permette di vedere… ma non ne sono così sicura, forse anche perché non ho mai avuto una cotta per qualcuno, non so riconoscerla con precisione.
E poi c’è Giulio, Giulio che mi fa ridere, che mi rilassa, Giulio che è simile a me in tutto, che mi capisce al volo, che mi accetta e mi rispetta anche quando quello che dico o faccio non gli sta bene. Poi c’è Giulio che mi fa sentire tranquilla, protetta in un certo senso, Giulio che…
- Continui a rimandare dicendo che questo non è il momento Alexis ma io non ne posso più di questa situazione, ho bisogno di sapere a chi tieni davvero. A me? al dottorino? A te stessa, Alexis?
L’ultima domanda mi ferisce, è orribile da parte sua pensare una cosa del genere di me, eppure mi rendo conto che non ha tutti i torti a pensarlo, perché alla fine dei conti gliene ho dati tutti i motivi.
- Alex non dico che non è il momento perché voglio temporeggiare ma perché davvero non è il momento per me di darti una risposta, per il semplice motivo che la risposta non ce l’ho. So che ora penserai di me che sono una persona orribile e tutto ciò che mi hai già detto dopo la festa ma… la verità è che adesso questa missione è la cosa più importante per me e fino a quando non l’avrò portata a termine non potrò riflettere abbastanza da capire se può essere una cosa seria tra noi o…
- Riflettere? Alexis non è un film in tv che devi decidere se ti piace o no, non puoi riflettere su di noi. Devi solo dirmi se è a me che pensi quando chiudi gli occhi, quando sei sola, quando vuoi parlare. Devi solo dirmi se è me che cercheresti per risolvere un problema o per passare un po’ di tempo. È una cosa semplice.
- No, non lo è Alex. Non lo è per me. Ho passato talmente tanto tempo a fare a meno delle persone che ora non so… ho bisogno di tempo Alex, per capire cosa voglio davvero. E soprattutto per vedere cosa ci sarà dopo tutto questo. Ora sono io ad avere dei dubbi ma quando tutto questo sarà finito potresti essere tu ad accorgerti che forse ti piaceva solo la povera eroina in difficoltà, oppure che non puoi reggere questa situazione per tutta la vita.
Mi fermo per prendere un po’ di fiato, sforzandomi di controllare la marea di emozioni che mi attanaglia la gola e intanto vedo la sua espressione, un po’ delusa, un po’ confusa, un po’ scettica e mi dispiace. Mi dispiace davvero e vorrei tanto potergli dare una risposta certa, magari proprio quello che vuole sentirsi dire ma non posso farlo, non ancora.
- Tra noi c’è qualcosa, non posso negarlo, non voglio farlo perché è qualcosa di bello, ma è comunque qualcosa che deve aspettare. Non posso darti niente di più per ora.
Lo fisso, a fatica, trattenendo il senso di debolezza, relegando il bisogno di stringermi a lui in un angolino remoto, certa che è la cosa peggiore che potrei fare adesso. Lui mi fissa per qualche secondo senza dire nulla, forse decidendo se dico la verità o mi sto prendendo gioco di lui.
- Vorrà dire che mentre decidi andrò a farmi una doccia. Non mi piaci solo perché sei l’eroina in difficoltà, io ti amo.
Detto questo si gira ed entra in bagno, poi chiude lentamente la porta dietro di sé. Io mi accascio di nuovo sul bordo del letto e chiudo gli occhi, sentendomi stanca e addolorata.
Silenziosamente, sentendo il rumore della doccia dietro la porta chiusa, mi preparo per la notte, quindi mi stendo sotto il lenzuolo, senza poter fare a meno di ripensare ad Alex, a quello che ha detto di Giulio, a tutte le misteriose coincidenze che riguardano tutti loro, Juno compreso, a quanti pericoli corre chiunque mi si avvicini… e poi ripenso ovviamente a quello che ha detto di noi, a quello che ha detto di provare per me…
Perché ha detto di amarmi? E soprattutto, per quale dannato motivo non gli ho risposto “anche io vicino più bello del mondo”? Quando mai mi capiterà più un Alex che mi dice di amarmi?
E mentre l’acqua della doccia continua a scorrere dietro la porta chiusa, comincio a piangere, piano e in silenzio, sentendomi tremendamente stupida ma anche disperata. Sempre cercando di fare più silenzio possibile, continuo a piangere, sfogando la paura e l’incertezza e la solitudine, sciogliendo in parte quel tremendo nodo che mi impedisce di respirare, lasciando che le lacrime calde e salate riempiano quel vuoto che sembra avermi divorato per anni.
E mentre ancora piango sommessamente, sento all’improvviso il braccio di Alex cingermi la vita, il suo petto contro la mia schiena, il suo fiato tra i capelli e senza sapere esattamente cosa sto facendo mi giro verso di lui e mi aggrappo silenziosamente a lui, piangendo ancora più forte, mentre lui mi tiene stretta, accarezzandomi i capelli e mormorando qualcosa di confortante all’orecchio, che io però non sento, stordita dalle mie stesse lacrime.
Credo di essermi addormentata così, con Alex che mi abbraccia e mi coccola, sussurrandomi che va tutto bene finchè siamo insieme…
 

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Capitolo 13
*** Il museo di Grenoble II ***


La mattina dopo è ancora Alex che mi sveglia.
- E’ meglio che ti prepari prima che arrivino gli altri se non vuoi che credano chissà che – sussurra.
Sapendo che ha ragione prendo i vestiti e mi dirigo in bagno dove mi faccio una doccia rapida, quasi ghiacciata, e cerco di nascondere il pallore e le occhiaie sotto un pesante velo di trucco. Quando mi sembra poi di non poter fare di meglio esco fuori, dove vedo Juno e Giulio già pronti nella nostra camera.
- Possiamo andare? – domanda Giulio, che sembra impaziente di cominciare. Come fa a non avere paura?
Ci mettiamo in cammino, per evitare che un tassista possa ricordarsi di noi in un’eventuale interrogatorio, e inganniamo il tempo della passeggiata ripassando i punti fondamentali del piano. Saliamo, raccontiamo un po’ di fesserie sulla vacanza e sull’interesse riguardo il quadro, convinciamo il direttore a mostrarcelo per un’oretta, il tempo di capire se può essere autentico, e ce la filiamo alla svelta.
Poco prima di arrivare davanti al museo poi, Giulio tira fuori due copie di un giornale locale, di qualche giorno fa.
- A pagina sei troverete l’unico articolo scritto sul nostro quadro. Potremo far finta di aver scoperto da qui che si trovava nel museo e ci siamo incuriositi.
Apro la pagina giusta e scorro rapidamente il minuscolo articolo, una ventina di righe al massimo, poi guardo Alex che ricambia il mio sguardo, intuendo cosa voglio dire probabilmente. Ecco quali fogli ha scambiato Giulio con i misteriosi russi, le copie del giornale. Probabilmente deve essere ricorso a qualche contatto poco raccomandabile e per questo si nascondeva. Senza sapere esattamente il perché tiro un sospiro di sollievo. Sapevo già che era innocente ma mi sento sollevata ugualmente.
In pochi minuti siamo arrivati davanti alla massiccia entrata del museo, un palazzo sfarzoso ma tremendamente mal messo, con l’aria di un bisogno disperato di una restaurazione urgente. Saliamo la grossa scalinata e una ragazza, giovane ma evidentemente non la più popolare ai tempi della scuola per così dire, ci viene incontro.
Lasciamo tutti che sia Giulio a presentarsi, spiegando chi è e chiedendo di poter parlare con il direttore. La ragazza non mostra di riconoscere Giulio ma è chiaro che è rimasta colpita dalla sua padronanza della lingua. O forse solo dal fascino del proprietario di quella lingue, penso con un sorriso.
Il direttore ci riceve in uno studio grande ma poco illuminato. Ha l’età di mio nonno ma il sorriso è gioviale e anche lo sguardo ha un che di estremamente lucido, brillante.
- Cosa posso fare per voi? – domanda in un italiano abbastanza comprensibile, anche se con un fortissimo accento.
Giulio gli racconta della vacanza e di aver letto accidentalmente l’articolo, come previsto, e fa gentilmente la sua richiesta.
Il vecchietto non fa una piega ma una contrazione rapidissima e involontaria del muscolo tradisce la sua improvvisa agitazione.
- Conosco i suoi lavori, signor Gagliani, ho letto molti suoi libri e li ho trovati molto interessanti. Tuttavia mi duole deluderla, ma sono stato esplicitamente obbligato dal governo francese a non mostrare il quadro a nessuno, nemmeno a lei, quindi dovrà aspettare che siano i funzionari statali a decretare per primi l’origine di quel dipinto.
Questa notizia ci lascia tutti piuttosto sorpresi. Il governo francese? Che importanza può avere un quadro del genere per il governo? Che senso ha proibirne la mostra?
- Mi rendo conto della vostra sorpresa, l’ordine ha stupito anche me ma non si discutono gli ordini del governo.
Per quale motivo tutto questo segreto? Addirittura c’è di mezzo il governo… un conto è che un piccolo comune si prenda la proprietà di un quadro ma che gli organi centrali si interessino a una piccolezza del genere… questa proprio non ci voleva. Un sindaco si può corrompere ma il governo francese?
- Mi tolga solo una curiosità, direttore: lei comunica sempre al governo i suoi acquisti? – domando.
- No, signorina – risponde laconico quello, senza capire probabilmente dove voglio arrivare.
- Perché non riesco proprio a capire come faccia il governo francese a sapere che lei ha il quadro.
- I piccoli comuni come Grenoble, signora, sono maggiormente inclini alle invidie e alle rese dei conti personali, e siccome non siamo nel Far West bisogna escogitare modi strani per ottenere le proprie piccole soddisfazioni – risponde l’anziano, fissandomi con aria quasi divertita.
- Chi le ha ordinato il silenzio stampa?  
- Gli stessi che mi hanno impedito di mostrarlo ai legittimi proprietari, signora.
- E non c’è l’obbligo di motivare un ordine del genere? Come può non sapere perché tanto mistero?
- Quando ho provato a chiedere delucidazioni mi è stato risposto che serviva a mantenere valida la mia licenza.
In pratica l’avevano minacciato. Ma chi interessa il quadro tra quelli che hanno buoni agganci all’interno del governo francese?
- Un’idea deve pur essersela fatta del motivo o sareste già nello studio di un buon avvocato, direttore. Chi altri vuole questo quadro? – domando e capisco di aver fatto centro dal fintissimo sorriso con cui lui nega.
Altra domanda: perché qualcuno dovrebbe proteggere la causa dei suoi guai? Perché ha paura forse. Chi può essere tanto potente da incutere però un tale terrore e smuovere il governo francese per avere un quadro di scarso valore?
L’Organizzazione ovviamente.
- Posso farle un’altra domanda? Da quanto tempo siete in questa situazione di stallo? Quanto tempo fa ha ricevuto l’ordine di non mostrare il quadro né spargere la voce che si trova qui?
- Poche ore dopo averlo appeso alla sua parete, signorina. Il che è successo qualche settimana fa.
Poche ore. Come pensavo. L’Organizzazione non può aver rintracciato il quadro e mobilitato il governo in così poco tempo, il che vuol dire che stavano già cercando quel dipinto e il museo gliel’ha rubato proprio sotto il naso. Ma se sapevano già che quadro cercare questo vuol dire che…
L’idea mi fa girare la testa per qualche secondo mentre il mio stomaco si rivolta. Se sapevano che quadro cercare allora l’Organizzazione ha la lista.
- Signorina si sente bene? Vuole sedersi qualche momento?
Maledizione, sembra che qualcuno mi abbia fatto il malocchio. Qualsiasi cosa progettiamo finisce sempre col complicarsi ultimamente. Solo che ora non so proprio come risolvere questo casino e abbiamo pochissimo tempo…
Come ha fatto l’Organizzazione a scoprire del quadro? Perché se avevano la lista hanno aspettato proprio l’ultimo momento per metterci le mani su? Ancora più importante… come fanno ad avere la lista?
La sola idea di quell’elenco di nomi nelle mani di quei pazzi spietati mi fa venire il voltastomaco. Eppure non capisco: se hanno la lista perché non usarla? Perché aspettare che il museo la comprasse? Forse non hanno la lista ma… Non riesco a credere che sia una coincidenza che loro arrivano al quadro mentre ci arriviamo noi… ma noi eravamo rinchiusi a casa di Juno, è impossibile che Alex o Giulio abbiano… non può essere stata una fuga di notizie…
Annuisco lentamente, fingendomi all’improvviso più debole di quello che mi sento in realtà, folgorata da un’idea improvvisa. Se la comunicazione del divieto di pubblicità è arrivata al direttore poche ore dopo aver portato il quadro nel museo e il giornale riporta la notizia solo qualche giorno dopo, allora qualcuno ha violato il divieto. Qualcuno con molta voglia di parlare e probabilmente, anche con moltissima voglia di leggere il suo nome in un importante romanzo internazionale.
- Mi scusi, deve essere il fuso orario insieme alla fame… questa mattina non ho ancora toccato cibo… le sarebbe molto di peso portarmi un bicchiere d’acqua con un po’ di zucchero? – domando al direttore con la voce più flebile che mi riesce. Che fortuna essere un’attrice nata in questi casi.
Lui ovviamente si offre subito di portarmi del succo e delle brioche, come avevo sperato, e si allontana scusandosi.
- E ora? Come facciamo a prendere i fogli? – domanda Giulio, in tono piuttosto calmo per le circostanze. Per fortuna sa gestire bene la pressione, io sono sul punto di urlare.
Faccio segno a Juno di controllare la porta e agli altri due di avvicinarsi, poi spiego la mia idea.
- L’articolo è uscito giorni dopo il divieto quindi qualcuno ha parlato e mi sembra chiaro che non è stato lui quindi… la segretaria deve essere più disponibile e meno spaventata. È una giovane bruttina e mal vestita, si scioglierà al primo fusto che le fa due complimenti e chissà, magari è disposta a farci dare un’occhiata rapida al quadro…
Non appena hanno capito la mia idea tutti sorridono, evidentemente sollevati di avere un piano alternativo. Senza che gli dica niente Juno si avvicina alla porta per controllare se il direttore torna e mi rivolgo direttamente ad Alex.
- Il compito del galante spetta a te, corri dalla segretaria, fa finta di telefonare, fumare, decidi tu. Attacca bottone e promettile che se ci mostra il quadro per cinque minuti la citiamo nell’opera. Falle qualche domanda su di lei per farle capire che davvero la inseriamo nel libro e quando l’hai convinta fa finta di venire a cercare il professore. Io ti aspetto nel corridoio e andiamo insieme.
- E il direttore intanto? – domanda Giulio.
- Ci pensi tu. Non appena arriva gli chiedi di fare un giro del museo perché… è l’ambientazione perfetta per un libro che stai scrivendo… il primo che è in parte inventato… non lo so, improvvisa. E soprattutto mettici parecchio, fai tante domande…
Poi Juno ci fa cenno di tacere e torna ad appoggiarsi alla scrivania, evidentemente stanco per via della ferita.
- Ecco qui il miglior croissantes del paese con una buona tazza di latte caldo. Niente di meglio per rimettersi in sesto dal cambio di ora – mi rassicura il direttore rientrando nella stanza.
- La ringrazio, è stato gentilissimo. Spero che non le dispiacerà se approfitto un’ultima volta della sua disponibilità, direttore. Già che sono qui vorrei dare un’occhiata al museo, potrebbe essere perfetto come luogo del mio prossimo libro. Sto scrivendo un saggio sull’importanza dei piccoli centri per… il sopravvivere della cultura e sono certo che avete qualcosa di interessante per me…
Il direttore sembra illuminarsi all’idea come avevamo previsto e subito fa segno a Giulio di seguirlo, cominciando a raccontare con orgoglio di come il suo museo abbia messo l’arte a disposizione di tutti fin dai tre secoli prima…
Non appena Giulio e il direttore si sono allontanati mi abbandono contro lo schienale della sedia, massaggiandomi le tempie mentre Juno mangia la restante parte del cornetto.
Aspetto qualche minuto, senza riuscire a stare un solo momento ferma, mi guardo un po’ attorno nello studio, osservo i numerosi attestati incorniciati alle pareti e sfoglio le carte ammassate sulla scrivania. Mentre scorro rapidamente un fascicolo incomprensibilmente francese, un foglietto cade per terra. Lo raccolgo per rimetterlo tra i fogli e mi accorgo che si tratta di un numero telefonico. Lo osservo per qualche minuto, confusa, poi lo rimetto al suo posto. Strano, mi sembra di aver già visto…
- Alexis, credo che ti stia chiamando Alex – mi avverte Juno e io corro fuori dalla porta, tendendo l’orecchio ma Juno si è sbagliato, sento ancora la voce di Alex che chiacchiera con la segretaria. Persino da qui la sua voce è tremendamente sexy, è impossibile che fallisca.
Pochi istanti dopo lo vedo affacciarsi al corridoio e farmi un cenno. Era ora.
- La nostra Charlotte ci ha gentilmente concesso un’occhiata al quadro. Giusto il tempo di qualche foto per la versione illustrata del saggio. Gagliani non avrà problemi ad inserire il suo nome vero? – mi spiega non appena li ho raggiunti.
Non devo faticare molto per fingere un’espressione trionfalmente estasiata.
- Assolutamente. Mi sembra il minimo anzi. La ringrazio signorina, il suo aiuto è fondamentale – mi complimento ma lei non mi ascolta nemmeno, ha occhi solo per Alex.
Un po’ irritata dall’aria compiaciuta che quel borioso imbecille ha stampata in faccia per aver conquistato il cuore di una che l’essere maschile che ha avvicinato più da vicino è stato probabilmente un cactus, chiedo a Charlotte di farci strada, prima che il direttore ci scopra.
Muovendosi eccessivamente furtivamente, come se fosse in un film di spionaggio nazista invece che in un corridoio deserto, Charlotte ci conduce in una piccola stanzetta sulla destra, facendo ben attenzione a non far cigolare la spessa porta di legno, poi ci indica il quadro e rimane sull’uscio, per controllare di non perdere il posto.
Io e Alex ci avviciniamo subito al quadro e mentre Alex lo osserva ammirato, più per quello che rappresenta immagino che per il disegno in sé per sé, io comincio subito a tastare la parte posteriore alla ricerca dello sportellino.
- Non fate le foto allora? – domanda nervosa ma eccitata Charlotte, senza muoversi dal suo posto di guardia.
Alex balbetta qualcosa e mi guarda nervoso, ben sapendo che non abbiamo niente che posa fare foto, nemmeno il cellulare. Accidenti, avevo dimenticato questo dettaglio mentre suggerivo l’idea. Ma non ho tempo di pensarci, quindi continuo a sfiorare il pannello di legno retrostante alla ricerca del dislivello.
- Prima devo assicurarmi che sia quello giusto – afferma Alex ad alta voce, avvicinandosi ad angoli a casaccio del quadro, passandoci una mano sopra come per tastare chissà che e riallontanandosi di nuovo per esaminare un altro angolo, in attesa che io trovi quel dannato…
Eccolo! Il dislivello nel pannello è sotto le mie dita. Cerco di contorcere la mano per riuscire a scalzare il quadrato e prendere i fogli ma da questa posizione non riesco nemmeno a smuoverlo, accidenti!
Alex intanto mi incita con lo sguardo, rendendosi conto che non può continuare ad esaminare a casaccio per molto ma io non posso che scuotere la testa, imprecando contro il maledetto legno.
- Sbrigatevi, sento dei passi in fondo al corridoio… - ci avverte spaventata Charlotte, con voce leggermente isterica. Non è per niente adatta a questo mestiere, si agita troppo.
Cerco di fare ancora più forza sul dislivello, trattenendo un urlo di dolore per la mano che sembra sul punto di spezzarsi, e finalmente sento il “tac” del legno scalzato e un quadrato di legno cade per terra mentre afferro i fogli.
Nel momento stesso in cui le mie dita sfiorano la carta Charlotte emette un verso strozzato e si volta verso di noi. Alex soffoca un’imprecazione e lascia andare il quadro che ricade pesantemente sulla mia mano.
- Ahi! Sei impazzito? Aiutami a tirare fuori la mano di qui me la sto spappo…
Non riesco a finire la frase, il fiato mi muore in gola. Quando mi sono voltata verso Alex ho capito perché ha lasciato andare il quadro.
Sull’uscio Charlotte viene lentamente verso di noi, passo dopo passo, mentre cerca di dire qualcosa che il sangue che sgorga a fiotti dalla sua bocca soffoca. Nel petto, proprio dove si congiungono le scapole ha piantato un coltello dal manico enorme e il sangue fuoriesce anche da lì, denso, scuro, lento.
Biascico qualcosa, incapace di comprendere cosa sta succedendo fino a quando il dolore alla mano non mi riattiva il cervello.
- Alex aiutami a liberarmi! – urlo e Alex sembra riprendere contatto con la realtà. Solleva nuovamente il quadro e io ritiro velocemente la mano, soffocando un gemito di dolore quando stringo le dita per non perdere i fogli.
Mentre cerco di infilarli nella tasca della felpa Alex mi tira giù per una gamba, facendomi sbattere violentemente il mento sul pavimento di legno e il colpo mi stordisce per diversi minuti.
Mi accorgo solo vagamente di urla incomprensibili, poi il rumore di qualcosa che si infrange, poi Alex impreca di nuovo, poi qualcos’altro si infrange. Qualcosa mi vola da sopra la testa, così vicino che mi smuove i capelli, poi qualcuno mi trascina per la gamba e mi fa indietreggiare. Uno strano fumo denso si impadronisce del mio cervello rapidamente, facendomi sentire debole…
- Alexis, sveglia, dobbiamo andarcene di qui! – mi urla Alex nell’orecchio, tra un colpo di tosse e l’altro. Improvvisamente anche io comincio a tossire, sento che mi manca l’aria…
Finalmente riprendo del tutto coscienza e capisco che quel fumo non era nella mia testa ma nella stanza. Il rumore di cose infrante che sentivo deve appartenere a qualche specie di bombola soporifera o roba del genere.
Mi copro la bocca e il naso con la manica e prendo la mano che Alex mi porge, mentre mi intima di camminare carponi.
Io eseguo senza replicare, sentendomi tremendamente debole e cercando di respirare il meno possibile… poi finalmente ci ritroviamo in corridoio, a pochi passi da una densa nube che si allunga verso di noi fuori dalla porta spalancata.
Senza ancora smettere di tossire Alex mi fa segno di rimettermi in piedi e cominciamo a correre il più possibile, allontanandoci dal gas, fino a quando torniamo nello studio.
Lì troviamo Juno seduto a terra, accanto a un cadavere molto simile a Tuta Nera solo che vestito di blu, con un elmetto al posto del tessuto che Tuta Nera aveva sulla faccia, e un giubbotto antiproiettile, che non è riuscito a parare la coltellata inflitta da Juno.
Giulio invece non è nella stanza…
- E’ ancora con il direttore, correte a cercarlo – mi avverte Juno, intuendo la mia domanda.
Senza dirmi niente Alex mi trascina di nuovo per la mano lungo un altro corridoio fino ad arrivare in una grossa stanza, piena di quadri e divanetti rossi al centro.
Sforzandomi di trattenere gli ultimi colpi di tosse, estraggo la pistola che avevo nascosto sotto la felpa e imitata da Alex, comincio a puntarla un po’ intorno, avanzando nella stanza enorme alla ricerca di Giulio e del direttore.
Pochi metri dopo un grande arco, vicino a una rappresentazione dell’Annunciazione a Maria di chissà chi, vedo una enorme striscia di sangue.
- O mio Dio – invoco. Non può essere, non deve essere il sangue di Giulio, non è possibile, lui deve stare bene, non può essere il suo, ti prego fa che non sia il suo, fa che stia bene, che sia vivo, che…
- E’ del direttore, sono qui – esclama all’improvviso la voce di Giulio, un po’ stordita ma viva.
Con un enorme sospiro di sollievo mi volto nella direzione della voce e lo vedo fare capolino da dietro una parete poco più avanti.
Ha un’aria scossa, poverino, ma in effetti non sembra ferito.
- Ci è arrivato alle spalle, non l’ho sentito fino a quando il direttore… lui è caduto ed era pieno di sangue… mi sono abbassato e mi ha mancato e poi… non lo so tutto così veloce… l’ho colpito col coltello…
Io e Alex corriamo entrambi verso di lui mentre sta ancora blaterando e Alex gli sfila il coltello che ha ancora stretto in mano.
- Andiamo dottore, dobbiamo filarcela di qui, l’allarme è già scattato, sta per arrivare la polizia – lo incita Alex, tirandolo per una manica. E infatti il trillo assordante di un allarme comincia a rimbalzare contro le pareti, facendo tremare i vetri delle finestre.
Giulio non sembra capire ma si mette in moto dietro di noi e presto raggiungiamo Juno e Alex lascia il braccio di Giulio, che sembra essersi ripreso, per sostenere Juno lungo la scalinata. Usciamo dalla porta principale cercando di assicurarci che nessuno ci veda e ci tuffiamo rapidamente nel groviglio di stradine alle spalle del palazzo.
Corriamo per un pezzo e ci fermiamo soltanto quando ci rendiamo conto di aver perso il senso dell’orientamento, e visto che Juno sembra piuttosto affaticato dalla fuga ne approfittiamo per riprenderci un po’ tutti. Ci sediamo sui gradini di una chiesa davanti a noi e prima che me ne renda conto sto ridendo.
- Alexis la mancanza di ossigeno deve averti fatto male… due persone sono morte, stiamo fuggendo dalla polizia e da sicari spietati, abbiamo perso i fogli e ogni possibilità di riprenderli adesso perciò…
- Ti sbagli, Giulio. Mi dispiace per Charlotte e il direttore ma abbiamo un sacco di motivi per ridere.
Gli mostro il gruppo di fogli stretti nella mia mano con aria trionfante.
- Quindi problema risolto, abbiamo il prossimo capitolo – riassume pensoso. Un po’ di entusiasmo in più non faceva mica male…
- Ora possiamo tornare di corsa a casetta e metterci al lavoro, prima che nasca qualche problema anche con il prossimo quadro della lista. Ancora non sappiamo come faceva l’Organizzazione a sapere che era questo dipinto il nostro obiettivo.
- Ci penseremo quando torniamo a casa. Ora rientriamo all’hotel, facciamoci una doccia, rimettiamoci in macchina e togliamoci di torno prima che qualcuno ci colleghi agli omicidi… - propone Juno rimettendosi in piedi.
Non appena all’hotel, ci dirigiamo ognuno verso la propria stanza, anche se non posso fare a meno di notare l’occhiataccia di Giulio quando Alex apre la porta della nostra stanza.
Al diavolo.
- Sei stata geniale, se non avessi avuto quell’idea… - si complimenta Alex cominciando a spogliarsi.
Io sorrido senza dire niente. Ha ragione, è stata un’idea brillante e non potevo scegliere momento migliore per averla, pochi minuti ancora e sarebbe stato tutto inutile.
Eppure, ora che l’adrenalina comincia a scemare, sento il peso di due vite innocenti sulle spalle, proprio come ha detto il direttore. Le mie vecchie spalle stanche.
- Non potevamo fare niente per loro. Li avrebbero uccisi ugualmente Alexis – mi consola Alex notando la mia espressione.
- Lo so, ma mi chiedo per quante altre cose non potremo che stare a guardare, quante altre cose sono passate in silenzio senza che nessuno facesse niente. È triste pensarlo.
- Hai ragione ma non darti troppa pena. Se avessero potuto scegliere come morire sono certo che sarebbero stati felici di dare la vita per una causa così importante e tutti gli altri… stiamo facendo il possibile per vendicarli.
Gli sorrido di nuovo, grata del suo tentativo di conforto, poi mi volto verso l’armadio e comincio a rimettere tutto nelle valigie. Avrei preferito riposare almeno una notte dopo una mattinata simile ma è meglio trovarsi già per strada quando cominceranno le ricerche degli assassini del museo.
Sto ripiegando l’ultima maglia per metterla in valigia quando Giulio entra all’improvviso nella stanza dalla porta comunicante, senza bussare.
- Accidenti Giulio mi hai spaventata! – lo accuso ma lui non si prende la briga di scusarsi. Ha un’aria concitata e mentre si avvicina a me si guarda intorno.
- Dov’è Alex? – domanda in un bisbiglio quando è a portata del mio orecchio.
- Si sta facendo la doccia – rispondo, senza capire il suo fare misterioso. Lui si porta un dito alla bocca e continua:
- Alexis devo dirti una cosa che non ti piacerà per niente. Credo che Alex sia una spia.
Per poco non scoppio a ridere, questa storia delle spie sta diventando una barzelletta, ma lui intuisce che sto per ridere e mi stringe il polso facendomi di nuovo segno di tacere.
- Non sto scherzando e non lo dico solo perché mi sta antipatico e dorme in stanza con te.
Davvero? penso io ma non lo dico, intuendo che tanto non la pianterà fino a quando non mi avrà mostrato il suo ragionamento. Dopodiché gli dirò dei sospetti di Alex su di lui così capiscono che sono ridicoli. Forse.
- Alexis, non ti sembra strano che i cattivi ci trovano sempre? È come se sappiano in anticipo le nostre mosse… anche tutta questa storia del quadro, l’agguato proprio mentre c’eravamo dentro noi… non riesco a togliermi dalla testa l’idea che i veri bersagli di quegli assassini eravamo più noi che il quadro. Così ho cominciato a pensare a quale errore stiamo commettendo che loro possono aver individuato, come fanno a sapere le cose che sappiamo noi in tempo quasi reale e ho provato a ripercorrere le nostre mosse per progettare questo viaggio pensando che forse hanno capito che stavamo per partire e ci hanno seguito e…
Si interrompe e tira fuori dalla tasca un foglio stampato. Gli do un’occhiata rapida e mi accorgo che sono dei tabulati telefonici. La prima colonna riporta i numeri telefonici, la seconda la data e l’ora, la terza la durata delle chiamate e infine la quarta, in corrispondenza dei numeri per cui non c’è durata riporta frasi e parole.
- Come può… - comincio ma Giulio mi interrompe subito.
- Quelle non sono chiamate, sono i messaggi inviati, per questo c’è il testo. Ora guarda verso la fine della pagina. Chiamate e messaggi sono tutti verso lo stesso numero. Ora leggi il penultimo messaggio.
Scorro col dito fino al messaggio indicato e leggo il testo riportato. Le parole stampate dicono “tutto sotto controllo. Stabilito per domani mattina”. Lo fisso per qualche minuto, cercando di capire, poi controllo l’ora dell’invio: 02.28 di ieri notte. Mentre io dormivo, lui inviava messaggi sospetti.
- Ci sei? Domani mattina. Sono le istruzioni per il blitz al museo Alexis!
- Può dire tutto o niente Giulio. Non è esattamente una prova schiacciante ti pare? – cerco di farlo ragionare.
Ed è la verità, non posso considerarla esattamente una prova di tradimento, anche se ucciderò lo stesso Alex. Avevo detto niente cellulari, maledizione! E poi come può pensare al cellulare mentre io dormo tra le sue braccia?
- Alexis metti da parte un po’ la tua tempesta ormonale per quel fusto senza foglie e rileggi il messaggio. Domani mattina. E guarda caso l’ha inviato proprio ieri notte. Di notte Alexis, per essere sicuro di non essere visto.
- Di notte perché sa che se vi trovo col cellulare in mano vi tronco tutte e due le mani e vi faccio chiamare l’ospedale con la lingua, Giulio. Ed è esattamente quello che intendo fare. Ma non prova che sia una spia.
- Certo non da solo. Ma ripensa a quello che è successo… anche Juno ha detto che da quando è arrivato Alex l’Organizzazione sembra sapere sempre dove siete, quando parla al telefono si allontana come se potessimo ascoltare chissà quali segreti, ha fatto di tutto per cacciarmi dalla squadra…
- Non ti vuole perché siete due idioti…
- O forse perché sapeva che così avrei potuto tenerlo d’occhio. Hai detto di avergli dovuto raccontare la verità perché si è trovato coinvolto nei due attentati, gli unici due ci tengo a sottolineare, che hai subito. E quando hanno quasi ucciso Juno lui era già là, proprio dietro di te. Sapeva che i documenti che mi hai aiutato a tradurre erano proprio i verbali della tua setta. Perché li ha tradotti se no? Perché voleva rubarli, ecco perché! E poi andiamo Alexis, un agente di sicurezza nelle banche non impara a lottare come Rambo e di sicuro non cambia stato per aprire un ristorante…
Aveva ragione, ci avevo pensato anche io alla stranezza del suo arrivo qui. All’inizio era per la madre che non stava bene, ma da quando conviviamo non l’ho mai sentito chiamarla. Ora ha problemi di lavoro e vuole aprire un ristorante…
E poi tutte quelle coincidenze… è innegabile, per quanto non mi piaccia pensarci, che i miei problemi sono arrivati insieme a lui e ho riflettuto spesso sul fatto che è stato presente a tutti gli attentati, in un modo o nell’altro. Infine, cose che nemmeno Giulio sa ma che mi hanno spesso portato a farmi qualche domanda su Alex, riguardano la facilità con cui si è liberato dei poliziotti, non solo dopo l’attentato all’hotel ma anche dopo che Tuta Nera era piombato nel suo appartamento… anche quella volta si era liberato del corpo e delle indagini in qualche ora, cosa in cui riesce solo lui che io sappia…
- Ascolta Giulio, come ho già detto a tutti e due, non ho bisogno dei vostri suggerimenti. Sono abbastanza sveglia da tenervi d’occhio entrambi e sono molto più preparata di voi due ad affrontare situazioni del genere quindi piantatela di giocare ai detective dilettanti e pensate a fare quello che vi chiedo, chiaro?
- Non sto mettendo in dubbio le tue capacità Alexis ma devi ammettere che non puoi definirti esattamente lucida su Alex…
Per pochissimo non lo prendo a ceffoni. Chi si crede di essere per venirmi ad accusare di una cosa simile?
- Sei libero di andartene quando vuoi se i miei metodi o la mia lucidità non ti convincono, Giulio. Non ho tempo per i vostri sospetti idioti. Tutti e due avete un sacco di cose da spiegare se vogliamo mettere tutte le carte in tavola.
- Non starai per caso dicendo che…
- Dico che me la so cavare da sola e che se mi accorgo di qualche altra indagine o mossa di cui io non sono al corrente vi uccido prima che possa farlo l’Organizzazione. Fine della discussione.
Il tono è duro e risentito e lo sguardo con cui lo fisso non è affatto da meno. Finalmente lui sembra capire che sono davvero arrabbiata e distoglie lo sguardo con una smorfia. Fa per dire ancora qualcosa ma cambia idea e si volta per andarsene, ci ripensa di nuovo e mi bacia. È un movimento talmente veloce e inaspettato che non ho il tempo di reagire e resto immobile mentre mi stringe i fianchi e mi accarezza i capelli…
Un secondo dopo Giulio è contro l’armadio, con i piedi a una ventina di centimetri dal pavimento mentre Alex gli sbraita in faccia di non avvicinarsi un’altra volta, stringendogli il colletto fin quasi a soffocarlo. Io mi sento così confusa che non reagisco subito e resto qualche secondo a fissarli, desiderando avere una bomba a mano per farli saltare in aria tutti e due in questo preciso momento.
Poi finalmente Juno spalanca la porta attirato dalle urla di Alex e io riprendo contatto con la realtà, corro verso quei due imbecilli e tiro un calcio alla schiena di Alex che lascia andare Giulio e si volta verso di me col viso stravolto dalla rabbia ma anche dal dolore.
- Sei per caso… - comincia a dire ma io lo interrompo con un sonoro schiaffo che lo lascia finalmente ammutolito.
- A dimostrazione che non… - comincia poi Giulio ma interrompo anche lui colpendolo con le nocche sul naso.
Lui mi guarda allibito mentre si porta le mani a coppa sul naso sanguinante, mentre Alex mi fissa furioso ma senza replicare, massaggiandosi la schiena nel punto dove l’ho colpito.
- Se volete morire potete dirlo subito, ci sono un sacco di modi molto più divertenti per me per farvi fuori – sbraito, trattenendo a stento la voglia di legarli al letto e lasciarli qui tutti e due. E lo farei se non sapessi che in realtà la colpa di tutto questo è mia. Non avrei mai dovuto coinvolgere due uomini in questa storia, era chiaro che avrebbero trovato un motivo per comportarsi da perfetti idioti.
- Meno di ventiquattr’ore fa abbiamo rischiato di morire e voi avete davvero il coraggio di prendervi a pugni? Non avete ancora capito che voi non contate niente in confronto a quello che stiamo fronteggiando? Dio mio, è impossibile essere così stupidi.
Il mio tono di voce ha assunto sfumature stridule per la rabbia e da come mi fissano tutti e tre senza il coraggio di fiatare per nessun motivo, deduco che anche il mio aspetto dev’essere indiavolato al punto da incutere vero terrore.
Bene, era ora. Sono stufa delle loro stronzate, questa è la mia missione e non gli permetterò di rovinare tutto. Ora è il momento di far uscire la vecchia, terribile Alexis e far rimpiangere a questi due bambocci di avermi mai conosciuta.
- Sono stufa delle vostre stupide liti, tanto nessuno di voi due potrà mai essere il mio uomo semplicemente perché io non sarò mai così stupida da legarmi a un idiota con più testosterone che cervello, è chiaro?
Entrambi mi fissano senza replicare, entrambi con aria offesa e furiosa, proprio come due bambini che vengono sorpresi dalla mamma a litigare e ora ascoltano in silenzio la ramanzina. È pazzesco.
- Forse ti è sfuggito ma è stato lui a saltarmi addosso – piagnucola Giulio in tono risentito ma si zittisce immediatamente quando lo fulmino con lo sguardo.
- E a te sfugge che sei un professore universitario, non dovrebbe nemmeno venirti in mente di metterti a litigare per la ragazza-trofeo. Per non parlare di questo piagnucolio insulso. Non sono stato io, è stato lui, è lui il bambino cattivo – lo scimmiotto con vocina infantile – è patetico.
Lui distoglie lo sguardo ma non risponde. Forse ha capito che la prossima volta che lo fulmino non sarà con lo sguardo.
- Ora vi alzate, mettete le valigie in macchina e in assoluto silenzio ce ne ritorniamo a casa. Poi ci dividiamo i compiti, pubblichiamo gli ultimi capitoli e ognuno se ne torna a casetta, senza mai più interferire con la vita degli altri.
Juno accenna un movimento stizzito e mi affretto a specificare:
- Tranquillo Juno, tu sei esonerato dall’obbligo del silenzio. Per tua fortuna hai un cervello che emette più idee che ormoni.
Torno a fissare i due cretini seduti sul letto per essere certa che abbiano capito che non scherzo affatto e quando sono finalmente convinta che non hanno intenzione di replicare, mi volto e vado nel bagno, per prendere i miei ultimi effetti personali.
In realtà non m’importa del bagnoschiuma alla lavanda, il suo odore mi ricorda più delle tubature rotte che la lavanda, ma ho bisogno di qualche minuto per riprendere il controllo nonché il fiato.
Come ho potuto essere così stupida da coinvolgere quei due nella missione? Sapevo che sarebbe andata a finire così, eppure…
Eppure un bel niente. Eppure mi sono fatta trascinare dai miei ormoni, proprio come ho rimproverato di fare a quei due là fuori.
Come è potuto succedere? Come ha potuto la razionale ed efficiente Alexis Super Spia cadere nel classico errore del sentimentale? Anzi, no, non è nemmeno questione di sentimento, è qualcosa di molto più basso e squallido. Perché purtroppo non posso nemmeno nascondermi dietro questa scusa nobile…
Anche se… in effetti ultimamente con Alex le cose…
Scuoto la testa, irritata da me stessa. Sto solo cercando di giustificarmi per le mie decisioni stupide. Con Alex non c’è niente di più di un’attrazione fisica perché è indubbiamente il più bel vicino di casa che una donna possa desiderare.
Con Giulio invece la situazione è anche più complicata. È affascinante quanto Alex anche se meno bello, e la sua intelligenza e il suo spirito mi hanno colpito fin dal primo istante. La sua compagnia mi fa sentire tranquilla, protetta, perfettamente conscia di ogni singola emozione, come se avesse il potere di cristallizzare ogni sfumatura di me stessa… mi sento più vicina a Giulio che ad Alex ma la sua fama, il suo lavoro… nonostante mi piaccia davvero con lui non riesco a lasciarmi andare del tutto…
Chiudo gli occhi e li copro con il dorso della mano, appoggiando la testa alla parete ma resistendo alla tentazione di lasciarmi scivolare fino a sedermi per terra. Se lo faccio non mi alzerò più e non abbiamo tempo da perdere.
La verità è che non importa cosa provi io per ognuno dei due, per ora la missione è la cosa più importante e per portarla a termine ho bisogno di tutto il mio sangue freddo e la mia lucidità. Nessuno deve intromettersi.
Qualcuno bussa leggermente alla porta e cerco di ridarmi un contegno, poi apro e continuo a infilare rabbiosamente le ultime cose nel beautycase, facendo sbattere tutto.
Alex resta fermo sulla soglia a fissarmi per un po’, appoggiato allo stipite con le braccia conserte e l’aria assorta. Assurdamente quella sua posizione mi ricorda quando sono andata a casa sua per riprendermi il quadro che mi ha rubato al museo e poi…
Afferro il bagnoschiuma, cercando di tenere bene a mente il mio proposito di fredda razionalità, poi verso il contenuto del flaconcino nel lavandino e butto la confezione. Tanto puzzava in maniera insopportabile, non lo voglio a casa mia.
- Mi dispiace – dice all’improvviso. Il tono è serio e greve, forse lo è davvero.
Io però continuo a dargli e spalle e fingo di frugare nel beauty alla ricerca di qualcosa che non so nemmeno io. Non voglio guardare la sua aria contrita, non voglio ripensare a quel pomeriggio…
- Mi dispiace davvero. E’ che… quando sono uscito e ho visto che ti baciava io…
Ora la sua voce ha assunto un che di soffocato quasi e capisco che la rabbia ribollisce ancora dentro di lui, credo che lo farà per un bel po’. E stranamente mi sento in colpa, anche se so di non averne. Non mi aspettavo quel bacio, tantomeno l’ho cercato.
- Non lo sopporto Alexis, non riesco a sopportare che un altro ti baci, o che ti tocchi o anche solo che ti rivolga la parola.
- Un altro o solo Giulio? – sbotto prima di potermi fermare. Dannata linguaccia.
- Che vorresti dire ora con questo? – mi domanda sulla difensiva.
- Ti da fastidio che qualcuno mi baci o che Giulio possa rubarti il premio Alex?
Lui non mi risponde e mi fissa qualche secondo, sconcertato dalla mia domanda. Eppure non mi sembra una cosa così assurda.
- Non me ne frega niente se è quello o il Presidente della Repubblica ad avvicinarti Alexis. Per me non sei il premio che spetta al bravo eroe della favola, per me sei… io tengo a te Alexis, non al confronto con quell’imbecille.
- Tra i due mi sembra che il più imbecille sia tu a dire il vero. Sei stato tu ad appenderlo contro l’armadio – gli faccio notare.
Non so perché difendo Giulio, mi ha dato più fastidio il suo bacio che la scenata di Alex in fondo, ma mi viene spontaneo contraddire Alex. E questo credo che dimostri che non sono innamorata di lui, solo attratta. Pura questione di ormoni.
- Si, forse hai ragione, il fesso qui sono io. Perché alla fine dei conti sono io quello che si sta facendo coinvolgere, sono io quello che sta facendo la figura dell’idiota per dimostrarti quanto ci tengo e tu baci quello lì…
Mi volto, di nuovo furiosa, e lo incenerisco con lo sguardo. Ancora una volta la vecchia, sana ostilità nei suoi confronti torna a farsi sentire e mi fa rimpiangere di aver versato quel bagnoschiuma, sarebbe stato un’arma perfetta.
- Scusa, non volevo dire quello che ho detto.
- Sì invece, era esattamente quello che volevi dire. E sai che ti dico? Hai ragione, stai facendo la figura del fesso. Sono stufa di ripetere che non c’è posto per i sentimenti in questa faccenda, soprattutto ora.
- Domani potremmo essere morti quindi non mi sembra furbo aspettare.
- Proprio perché potremmo essere morti non voglio affrontare il problema, lo capisci? Per decidere cosa provo per te o per Giulio ho bisogno di tempo, di riflessione e adesso non posso sprecare nessuna delle due perché ho mezzo mondo da salvare. Come fai a non capirlo?
Adesso sono io ad avere un tono piagnucoloso e non mi piace affatto. Io non piagnucolo mai. Scuoto la testa e cerco di darmi un contegno, incrocio le braccia e respiro a fondo.
- E se tu ci pensassi almeno la metà di quanto ci penso io, non manderesti messaggi nel cuore della notte. Mentre io dormo tra le tue braccia – lo rimprovero, sottolineando l’ultima frase con una smorfia di disgusto.
Ok, dovrebbe darmi più fastidio il fatto che l’abbia inviato, non che lo abbia fatto in quel momento. Ma il mio orgoglio ha bisogno di dargli una strigliata in ogni caso.
Per un po’ non risponde e distoglie lo sguardo, colpevole.
- Non stavo facendo niente di male, Alexis. Era uno dei legali in America, per quella questione dell’azienda di mio padre, ricordi? Te ne ho parlato a casa. Spiegandoti che parlo di notte per questioni di fuso orario.
- E cosa hai fissato con loro per questa mattina, se posso saperlo?
- Ho dato istruzioni al mio avvocato per convocare una riunione. Per questo avevo tutto sotto controllo, come ho scritto. E se leggi i messaggi ricevuti, capirai che dico la verità.
Ok, non ho letto i messaggi ricevuti e potrebbe avere ragione. Il che vuol dire che sto facendo la figura della stupida oca gelosa. E paranoica. Ma non è questo il punto.
- Quello che intendo dire è che nessuno di noi dovrebbe condurre nessuna vita al di fuori di questo, fino a che non sarà tutto finito, Alex. È questo il punto, questo ho cercato di spiegarti prima che venissi invischiato nella mia vita. Ho provato a fartelo capire ma tu dovevi fare l’eroe. Be’, io non posso permettermi lo stesso errore. Al momento la mia vita è necessariamente in stand-by.
- E’ la cosa più assurda che abbia mai sentito. Non puoi semplicemente mettere pausa alla tua vita, Alexis.
Certo che è più lento di un ritardato! Come fa a non afferrare il concetto?
- Per me invece è possibile ed è così che voglio continuare. Da quando è cominciata questa storia non fai, non fate, altro che ripetere quanto sono importante, quanto sono speciale, quanto non sopportate l’idea di stare senza di me… uno di voi due si è mai chiesto che cosa voglio io? Vi è mai passato per la testa che potrei non essere interessata a una relazione?
Lui mi fissa con aria profondamente ferita e mi interrompo, sentendomi di nuovo in colpa senza sapere perché.
- Credevo che fosse questo che intendevi dire quando hai fatto l’amore con me Alexis, che eri interessata a me. Ma evidentemente sono troppo all’antica e ho tratto conclusioni affrettate.
Il tono con cui pronuncia questa frase ha l’effetto di una cannonata in pieno petto e distolgo lo sguardo.
Ha ragione, la colpa è solo mia, sono stata io a permettere che tutto questo succedesse. Ma intendo rimediare.
- Hai ragione e mi dispiace. Non avrei mai dovuto… venire a letto con te quella notte.
L’idea di definirlo “fare l’amore” mi riesce impossibile. Per quanto vorrei poterlo credere so che non è per amore che ho passato la notte con lui. Solitudine, confusione, attrazione ma non amore. Una forte, irresistibile attrazione che forse, un giorno molto, molto lontano potrebbe diventare qualcos’altro ma per adesso non amore.
- Non voglio che pensi che sia una facile o che non mi sia importato… ha significato molto per me ma non so ancora quanto. Non lo so perché non ho il tempo di soffermarmi a pensare, perché non ho il tempo di…
- L’amore non è una cosa che puoi analizzare Alexis. O mi ami o no. O sei interessata a me o non lo sei. Non serve tempo per capirlo, basta un attimo. L’amore è una sensazione Alexis, che ti prende per uno sguardo, per un scambio di battute, per un tocco casuale. Non puoi analizzarlo come se fosse un problema o uno dei capitoli di tuo padre.
La sua voce triste, delusa, mi ferisce quasi quanto le sue parole. Praticamente sta dicendo che sono un’odiosa approfittatrice fredda come una macchina. Ma forse è un’altra la cosa che mi fa più male. Credo che il motivo per cui quelle parole mi hanno ferita così, è che sono vere.
Sono una macchina. Mi sono allenata e preparata per anni a diventare una macchina, un androide.
- Allora questa discussione è inutile Alex, perché non ti amo. Per me il tuo tocco casuale, il tuo sguardo, uno scambio di battute tra noi non è che un momento qualsiasi della mia giornata, piacevole se le battute sono divertenti.
- E Giulio? lui lo ami?
Non rispondo subito. So che dovrei dire di no ma… con Giulio è tutta un’altra storia. Con lui non ho avuto molti momenti intimi diciamo, ma qualcosa è scattato, di questo sono sicura. Non so se quello che provo quando sono con lui è paragonabile alla sensazione che intende Alex ma di sicuro è qualcosa, qualcosa di bello, che mi fa stare bene, al contrario della tensione che si scatena tra noi due.
- Non credo di amare Giulio ma il punto è un altro Alex. Io non amo come te. Credo a dire il vero che tranne Alice e Biancaneve nessuno ama come te. Per me l’amore è qualcosa di diverso, meno immediato e decisamente più complesso. Soprattutto per me l’amore non è tutto Alex, quindi non mi basta sapere di amarti per pensare di non poter stare senza di te. Per me la vita è fatta di un milione di cose e l’amore è solo una della lista e non è nemmeno al primo posto per principio, c’è chi può permettersi di metterlo in cima e chi invece ha cose più importanti a cui dedicarsi e la mia lista di cose importanti è talmente lunga che…
Mi fermo perché non ho più fiato ma anche perché non so che altro dire. Sa benissimo anche lui adesso da cosa è occupata la mia vita e dovrebbe rendersi conto da solo che l’amore non figura nemmeno nella Top Ten. Forse a lui sembrerà crudele e gelido da parte mia, ma dovrà farsene una ragione.
- E’ una cosa così… squallida se permetti che… è chiaro che abbiamo due modi di vedere le cose, questa cosa in particolare, quindi inutile discutere ancora.
Si zittisce per qualche secondo e mi guarda quasi disgustato dalla mia visione della vita, poi riprende, in tono amaro:
- Per quanto mi riguarda non sono disposto ad essere inserito tra il trentesimo e il quarantesimo posto nella tua irrinunciabile lista perciò festeggia Alexis, hai appena risolto il tuo problema. Tieniti il dottorino se a lui va bene, io mi chiamo fuori.
Senza aspettare di sentire la mia risposta si gira e se ne va, lasciandomi sola a fissare un uscio vuoto, incapace di muovermi.
È stata la conversazione più spiacevole che ho avuto da anni. Mi sento uno schifo, una persona orrenda e insensibile e soprattutto mi sento in colpa. Il che mi porta ad essere arrabbiata. Anzi no, furiosa.
Come si permette di farmi sentire così? Come si permette di giudicare la mia vita, le mie idee sulla vita? Chi si crede di essere per dirmi come devo considerare una cosa o quanto ritenerla importante?
Ritorno in stanza e afferro la mia borsa, poi scendo nella hall, sempre più rabbiosa.
Nessuno, tantomeno Alex-nel-paese-delle-meraviglie può permettersi di giudicare la mia vita o il mio modo di essere. E poi cosa mi fa proprio lui la morale dopo che l’ho sorpreso in una stanza d’albergo con una prostituta? E questo sarebbe il suo candido amore fanciullesco?
Davvero un peccato aver ricordato Sarita solo adesso, sarebbe stato esilarante guardare la sua faccia e ascoltare la sua risposta a questa domanda: Sarita ti faceva provare tutte queste romantiche emozioni?
- Sei pronta? – mi domanda Juno, facendomi trasalire. Ero così assorta nei miei pensieri che non mi ero accorta di lui.
- Sì, credo di sì.
Torno nella stanza, cercando di calmarmi e dimenticare le prediche di Alex-stinco-di-santo. Non ho tempo per pensare a lui ora. Tanto meglio se mi lascia in pace quindi. Forse anzi, se non mi avessero distratta così tanto ultimamente, non saremmo mai arrivati qui, non avremmo permesso che due innocenti facessero quella fine…
In preda a una nuova angoscia, quasi soffocante, mi volto verso Juno, che è già sulla soglia.
- Juno, loro hanno la lista vero? Altrimenti come potevano sapere dove cercare? – gli domando con un soffio di voce. Se hanno davvero la lista possiamo anche arrenderci, non li batteremo mai.
- Non è detto, anzi non credo che sia così. Altrimenti non avrebbero aspettato che arrivassimo al quadro. Credo invece che abbiano trovato un modo per spiarci, capire le nostre mosse, sapere quello che sappiamo noi.
Rifletto un po’ sulla sua risposta. Ovviamente è la più logica, molto meglio della mia. Però è ugualmente terrificante.
Come hanno fatto a trovarci? Come riescono a spiarci, a prevenire le nostre mosse?
L’unica risposta che mi viene in mente su due piedi è: spia. E improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, mi torna in mente l’uomo armato nell’appartamento di Alex.
“America, traditore” aveva detto. E io avevo capito che si riferiva a Drake, la spia americana che per prima li aveva scoperti. Ma Drake non era dei loro, li aveva scoperti, non traditi.
- Alexis stai bene? – mi domanda Juno. Annuisco lentamente, sconvolta da quel pensiero. Se non intendeva Drake di chi parlava Tuta Nera? Cosa aveva voluto dire con quelle parole? Era un caso che le avesse pronunciate nell’appartamento di Alex che profumava ancora di America?
Mi metto in piedi così velocemente da farmi girare la testa. Non è il momento di pensare, sono troppo sconvolta, sto tirando conclusioni affrettate e assurde solo perché sono arrabbiata con lui.
Ora devo andare a casa, calmarmi, bere una decina di tisane bollenti e poi proverò insieme a Juno a rimettere insieme i fatti, sforzandomi di collegare tutti i pezzi.
Faccio un ultimo giro delle due stanze, per essere sicura di non aver dimenticato niente che possa ricondurre a noi, passo un panno di cotone sulle mensole, sull’armadio e sulle maniglie, tanto per evitare di lasciare troppe impronte digitali, alle lenzuola e agli asciugamani ci penseranno i padroni dell’hotel lavandoli prima del prossimo ospite.
Sto per andarmene quando mi viene in mente una cosa che ho visto fare in un film. Mi avvicino al cestino della spazzatura e do uno sguardo dentro, ci sono solo tre fogli appallottolati.
Li prendo e li stendo, cercando di capire cosa sono e se contengono informazioni che potrebbero condurre fino a noi. Uno è una lista di numeri, probabilmente qualcosa che ha stampato Giulio dal pc, niente però che contenga informazioni scottanti per così dire, quindi lo ributto nel cestino. Il secondo è un volantino pubblicitario in francese, probabilmente lo hanno raccolto mentre facevano la loro passeggiata, e ributto anche quello nel cestino.
Il terzo invece è un post-it giallo su cui è annotato un numero telefonico dal prefisso strano. Non è un numero che riconosco subito ma ho come l’impressione di averlo già visto. Il numero dell’hotel? Del museo?
Ci penso un po’ su ma non riesco a capire così decido di buttarlo nello zaino, tanto per essere certi. Lo butterò una volta a casa.
Vado nell’altra stanza e faccio la stessa cosa ma non trovo nient’altro di compromettente, quindi prendo le borse, metto lo zaino in spalla e chiudo le due porte con le chiavi, poi esco nell’aria afosa, mi dirigo verso la macchina e mi siedo sul sedile posteriore, decisa ad approfittare del viaggio per riposare un po’.
Ma prima di riuscire davvero ad oltrepassare la soglia della coscienza non riesco ad impedire alla mia mente di arrovellarsi un altro po’ e di ripensare a tutto quello che mi ha detto Giulio, al foglio con il messaggio stampato, alle strane coincidenze. Possibile che il suo tanto candido amore non sia stato che un trucco per farmi abbassare la guardia?
 

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Capitolo 14
*** Sempre più vicino ***


Alzo la testa e lascio vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Per quanti anni siano passati da allora, ancora non riesco a cancellare i volti di tutti coloro che hanno pagato con la vita gli errori di altri. Il direttore del museo, la segretaria, l’uomo in portineria e tutti gli altri, precedenti e postumi… tutte quelle vite distrutte, spezzate con una facilità disumana.
Ma in fondo credo che sia proprio questo l’aspetto più terribile della distruzione, la facilità con cui la si utilizza. Che le ragioni siano più o meno nobili, che sia più o meno giusto, che sia premeditato o solo il frutto di un momento di follia, la distruzione si compie in pochissimo tempo, così poco da non permettere a nessuno, distruttore o distrutto che sia, di riflettere, di pensare alle conseguenze.
Come sempre quando il ricordo di quelle vite viene a tormentare la mia giornata, mi chiedo se ho davvero fatto tutto il possibile per impedirlo, se davvero ho dato il massimo di me nel cercare di contenere l’ondata di morte e distruzione che la follia di una sola mente distorta aveva creato.
E anche se in fondo so che niente potrà ridare a quella gente e alle loro famiglie quello che quell’onda di crudeltà ha loro sottratto, così come so che il mio senso di colpa è inutile quanto beffardo, mi sento comunque in parte sollevata nel trascrivere del loro sacrificio in questo quaderno, come una specie di lapide memoriale in cui, sebbene non possa ridare la vita a quei volti, posso almeno dare alla loro morte il giusto valore, dare al loro ricordo la giusta importanza.
È un pensiero stupido questo, e lo so bene, considerando che solo mio marito leggerà queste pagine e so già che lui conosce il valore di quelle vite sacrificate ma il pensiero che quei nomi non scompariranno insieme alla nostra memoria ma rimarranno nero su bianco su queste pagine mi rincuora così come spero possa rincuorare anche loro.
Buffo pensiero per una che per metà della sua vita non ha creduto alla reincarnazione, penso con un sorrisetto tetro. Ma poi anche quel piccolo sorriso scompare, sostituito da un brivido gelido lungo la pelle. La mia esperienza mi ha cambiata profondamente, mi ha insegnato molte cose che mi permettono oggi di vivere la mia splendida vita… ma quanto dolore il mondo ha pagato come prezzo della mia maturità, per la mia felicità.
Scuoto la testa e ricomincio a scrivere, sbirciando con ansia l’orologio in cucina. È quasi ora di smettere, tra poco devo andare a prendere i ragazzi ma voglio scrivere almeno un altro po’, alleggerire la coscienza da almeno un altro doloroso ricordo prima di andare.
E mentre la mia mano guida la penna nel formare parole e frasi e la mia mente viaggia lontana, ricreando scenografie e copioni, il mio cuore si contrae in preda alla tristezza e alla paura. Paura di quello che il futuro può riservare a una persona con così tante cose da esorcizzare.
Ma poi il pensiero va alla persona che giorno dopo giorno condivide le mie paure e le mie colpe e mi sento rassicurata: nessun prezzo sarà comunque troppo alto in cambio di un’intera vita con l’uomo che amo.
 

 
26 APRILE 1996
Interrompo per un attimo la lettura e copro con la mano un sonoro sbadiglio. Sono ore che cerco ma ancora nessun risultato.
Eppure deve essere da qualche parte…
- Alexis, ti ho portato del caffè – mi avverte Giulio appoggiando la tazza fumante accanto alla tastiera.
- Ancora niente? – mi domanda poi, appoggiandosi di spalle alla scrivania e sorseggiando a sua volta da una tazza fumante.
Mi limito a scuotere la testa, assaporando il liquido bollente.
- Sei sicura che non ci sia un errore di trascrizione? Magari tuo padre ha sbagliato a scrivere oppure l’inchiostro ha sbavato e ha trasformato una lettera in un’altra… - suggerisce.
Potrebbe ma è improbabile. In questi anni non ho mai trovato un errore di distrazione in tutti i documenti di mio padre, è chiaro che qualsiasi cosa scrivesse doveva rileggerla moltissime volte per essere sicuro. Anche se magari per una volta andava di fretta…
- Spero proprio di no, altrimenti abbiamo un problema enorme.
Ed è la verità. Se ha ragione lui, siamo fregati, non capiremo mai abbastanza in fretta qual è il quadro da cercare e non sono ancora sicura che l’Organizzazione non abbia la lista. Potrebbe semplicemente aver avuto difficoltà come noi nel reperire il quadro, mio padre li ha nascosti benissimo. Ma non è detto che anche stavolta abbiano gli stessi problemi.
- Quanto tempo ci resta secondo te? – domanda ancora Giulio e alzo gli occhi al cielo.
Sarà per colpa del mio stato sovraeccitato ma tutte queste domande mi irritano incredibilmente e devo fare uno sforzo notevole per non rispondergli male.
- E’ evidente che non ne ho idea Giulio, non ci teniamo aggiornati sulle nostre informazioni – replico sarcastica.
Dall’espressione risentita capisco che il mio sforzo di non rispondere male non è riuscito molto bene.
- Forse il caffè non è stata una buona idea, vado a farti una camomilla – ironizza infatti.
Accidenti. Non sopporto quell’aria da cucciolo bastonato.
- Mi dispiace, è che sono in piena crisi di panico. Loro forse hanno la lista e io sto qua a rigirarmi i pollici – spiego, cercando di respirare a fondo e rilassare i muscoli del collo, senza gran risultato nemmeno in questo.
- Io sono ancora dell’idea di Juno, non possono avere la lista. Ci avrebbero fatto sapere in qualche modo di aver vinto – mi rassicura, mettendosi alle mie spalle e portandomi i capelli avanti, poi comincia a massaggiarmi delicatamente il collo indolenzito.
Credo di essere in paradiso.
- Rimane il fatto che loro sanno come conoscere i nostri spostamenti, forse possono perfino ascoltare le nostre conversazioni e se non ci sbrighiamo saremo in un grosso guaio – gli faccio notare, chiudendo gli occhi e assaporando il dolce dolore alla base del mio collo. Dove ha imparato a fare i massaggi a questo modo?
- Se ti stai domandando come ho imparato a rilassare i muscoli contratti, me l’ha insegnato una donna della popolazione Samo, in Africa. Io ho insegnato a lei qualche trucchetto di medicina occidentale e lei mi ha introdotto all’arte del massaggio… - mi spiega, come se mi avesse letto nel pensiero.
E il pensiero di questa sintonia tra noi mi fa fremere qualcosa dentro, una sensazione inaspettata ma piacevole, così come la sensazione che dalle sue dita passa alle spalle contratte, come una corrente elettrica.
- Alexis so che non vuoi sentirne parlare ma sarebbe davvero più ragionevole se tu mi dicessi il nome del quadro e lo cercassimo insieme. In fondo che abbia ragione tu o Juno, l’Organizzazione sa come spiare le nostre mosse quindi è inutile continuare a mantenere il segreto con me, ti pare?
Io ci rifletto su per un po’. Forse ha ragione, le mie regole sono ormai inutili. Se sanno come rintracciarci fino in Francia è ovvio che sanno chi siamo e dove andiamo qui in città. E restando qui rendo l’obiettivo ancora più facile per loro, potranno ucciderci tutti insieme.
All’improvviso decido che è arrivato il momento di cambiare le regole del gioco. Non sarebbero in grado di trovare il quadro più di me però…
- Va bene, chiama Juno e Alex per favore e digli di venire qui. Devo parlarvi subito.
Mentre Giulio va a cercare gli altri due cerco di pensare velocemente.
Proprio quando ho cercato di diventare ancora più invisibile i miei nemici hanno trovato il modo di spiare le mie mosse, quindi credo che sia arrivato il momento di cambiare le carte in tavola, confondere le idee a chi mi sta braccando. Per quanto mi ripugni l’idea, ho bisogno di un’esca, qualcosa che attiri qualche sicario che possa catturare e interrogarlo.
Inoltre è innegabile che ci sono troppe coincidenze, troppi doppi sensi intorno ai miei “aiutanti” e permettergli di girovagare mi potrà forse aiutare a scoprire il pezzo che mi sfugge sul conto di entrambi.
- Tutti a rapporto signore – ironizza Giulio entrando, seguito da Alex e Juno.
Faccio loro segno di sedersi e intanto cerco di riordinare le idee. È importante dire solo lo stretto necessario.
- E’ arrivato il momento di cominciare un’altra partita - esordisco, fissandoli tutti e tre per essere certa che siano attentissimi.
- Al momento il nostro sistema ha una falla, un buco e noi dobbiamo trovarlo. Basta con la segretezza quindi, niente più nascondersi.
Vedo lo stupore emergere dai loro volti, insieme alla confusione, alla curiosità, alla preoccupazione e anche, almeno in parte, il sollievo. Hanno ragione, ci siamo quasi murati vivi dopo il viaggio in Francia.
- E’ una follia Alexis, l’idea più assurdamente pericolosa e stupida che tu abbia mai avuto – mi smentisce Juno, profondamente contrariato. Me lo aspettavo ma so anche che cambierà idea quando avrà scoperto l’altra parte del piano, perciò sorrido e vado avanti con la mia teoria.
- Hai ragione ma è proprio questo il punto. È l’ultima cosa che si aspettano e questo li farà incuriosire. Le possibilità sono due: o capiscono che stiamo tramando qualcosa e aumentano la sorveglianza, e forse riusciamo a capire come hanno fatto a trovarci, o pensano che stiamo mollando e che siamo in una specie di pausa in attesa di far calmare le acque e allora abbasseranno la guardia e ci daranno lo stesso il tempo di capire meglio come muoverci.
- Hai dimenticato una terza opzione, se decidono di ammazzarci tutti e togliersi il pensiero. Hai dimenticato quello che è successo in Francia? – insiste Juno, che sembra scioccato dal mio cambiamento.
- Non l’ho dimenticato affatto Juno ma guardiamo in faccia la realtà: se sapevano del museo in Francia vuol dire che sanno chi siamo e come ci muoviamo, quindi è chiaro che siamo sotto tiro da chissà quanto tempo. E poi, se non ti ricordi, sono venuti anche qui, ti hanno quasi ammazzato in questa casa, quindi sanno benissimo che siamo qui. Restare nascosti non ha senso, rendiamo solo più facile tenerci sotto controllo.
Mi fermo un momento per riprendere fiato e lo fisso, cercando di fargli capire che c’è dell’altro che non posso ancora spiegargli ma lui scuote la testa, ancora convinto che mi stia sbagliando.
Dov’è la telepatia da super agenti ultra intelligenti?
- Se ci dividiamo dovranno farlo anche loro, dovranno quadruplicare i controlli, le intercettazioni o qualsiasi cosa facciano per spiarci e questo ci da quattro possibilità in più di scoprire come fanno, oltre a rallentarli.
- E se si rifà viva la CIA? Dimentichi che sono venuti a cercarmi anche loro… - mi fa notare Giulio, evidentemente felice all’idea di potersi muovere un po’.
- Non possono accusarci di niente per ora quindi possono solo limitarsi a spiarci e questo è un problema che abbiamo già.
- LA CIA è ancora più grossa e potente dell’Organizzazione, Alexis, e non ha bisogno di agire in segreto. Loro possono ottenere tutti i mandati che vogliono – sottolinea Alex.
- Questo casino rallenterà anche il nostro lavoro Alexis, ci ha pensato? Non mi sembra un grande affare… - insiste ancora Juno. Accidenti a lui se è lento!
- Non esattamente. Ci dividiamo i compiti e continuiamo a lavorare, solo separatamente per parte della giornata, durante la quale ci teniamo comunque in contatto. E ci mettiamo d’accordo per ritrovarci qui ogni volta che serve, l’abbiamo fatto per anni io e te.
Sottolineo volutamente ci dividiamo i compiti, certa che se anche quei due dovessero notarlo penseranno che mi riferisco a loro due.
Finalmente sembra che Juno abbia intuito qualcosa. Mi guarda ancora scettico ma anche sospettoso. Era ora.
- Quindi ci stai proponendo una specie di Spy Game. Diventiamo spie a tutti gli effetti, con i codici segreti, gli appuntamenti e le false piste, ho capito bene? – domanda Giulio.
- Precisamente. Juno procurerà a tutti un cercapersone come quello dei medici e ci aggiorniamo con quello per gli appuntamenti o in caso di emergenza. Per il resto ci teniamo in contatto via mail criptata e qualche altro trucchetto che Juno vi spiegherà, troviamo un modo per far arrivare qui entrambi senza farvi vedere e il gioco è fatto.
- Mi piace, mi piace davvero Alexis. Ha la semplice follia delle idee geniali – mi incoraggia Alex, che però non mostra lo stesso entusiasmo di Giulio. Forse almeno lui si rende conto del pericolo.
- Grazie. Ovviamente è la cosa più pericolosa che farete nella vostra vita e dovrete tenere sempre gli occhi aperti, le orecchie spalancate e i sensori attivi. Dovrete fidarvi del vostro istinto, non importa se diventate paranoici, meglio un falso allarme che uno mancato. Ora vi spiego come muovervi per restare più al sicuro possibile ma i miei consigli non vi garantiranno nulla, sono solo precauzioni generali. Se siete in pericolo, né io né Juno potremo venire a salvarvi, chiaro?
Annuiscono entrambi e io tiro un sospiro di sollievo. Ma mi riprendo subito. È anche la cosa più rischiosa che abbia mai fatto io.
- Ora andate ad avvisare amici e parenti che state rientrando, poi tornate qui per imparare.
Entrambi si alzano, all’unisono, ed escono dalla porta evitando accuratamente di sfiorarsi, come se fossero entrambi contagiosi. Ovviamente non è così perché grazie al cielo la stupidità non è infettiva.
- Bene, cos’è che non hai ancora detto? – mi domanda Juno curioso.
- Ho detto quasi tutto in realtà. Ho solo omesso che loro vanno scorrazzando per la città, noi invece gli stiamo alle calcagna come due bravi segugi e scopriamo tutto ciò che c’è da scoprire. Dove vanno, cosa fanno, chi vedono. Così li teniamo d’occhio e gli salviamo la pelle se fanno qualche errore ma allo stesso tempo cerchiamo di svelare il grande mistero cosmico delle coincidenze.
Lui annuisce soddisfatto, finalmente d’accordo con me. Ne ero sicura, adora spiare la gente.
- Credi che siano nella rete dell’Organizzazione? – mi domanda, serissimo.
- No. Credo che Giulio stia cercando di mettere a punto il suo nuovo romanzo convinto di sapersi nascondere e lasciando invece tracce ovunque. Alex invece… non lo so…
- Va bene, non importa. Lo scopriremo in questi giorni. Però non hai considerato una cosa: e se i cattivi seguono noi intanto?
- Ti sbagli, ci ho pensato eccome. Ma come ho detto prima, è un pericolo che dobbiamo correre. E sono davvero convinta che loro sanno chi siamo e dove siamo. Se avessero voluto ucciderci l’avrebbero già fatto.
- Ma cosa aspettano allora?
- Credo che alla fine abbia ragione tu, non hanno la lista. Non avrebbero aspettato tanto, avrebbero già trovato tutti i quadri, no?
Juno ci riflette e annuisce. Anche su questo ero sicura che sarebbe stato d’accordo. In fondo non c’è spiegazione migliore per ora.
- Come ci dividiamo quei due? – mi domanda poi in tono pratico.
- In base agli orari. Finchè sono in università io controllo Giulio e tu Alex, dopo ce li scambiamo e se necessario ce li scambiamo ancora.
- Sarà complicato.
- Ma efficace.
- Non è detto. Ma seguiremo il tuo piano, voglio capire chi è che sta sabotando i nostri sforzi.
Per qualche altro giorno siamo rimasti tutti insieme cercando di dividerci al meglio i compiti e istruendo Giulio e Alex su come muoversi una volta soli. Abbiamo stabilito le vie da utilizzare per arrivare qui quando ce ne sarà  bisogno e abbiamo ideato dei messaggi in caso di emergenza. Frasi fatte tipo “tua sorella sta partorendo”, tanto per andare sul sicuro. In realtà sono certa che non le useremo mai ma sono altrettanto certa che ha contribuito a dare credibilità alla mia versione per loro e anche a calarli meglio nella parte degli agenti in incognito.
Poi finalmente, in una luminosa mattina di quasi estate, ho provato di nuovo la meravigliosa sensazione di girare le mie chiavi nella toppa della mia serratura, accendere le luci della mia casa, usare la mia macchina del caffè.
Dopo tutto quel tempo a casa di Juno è stato un vero sollievo godermi la pace e il silenzio del mio salotto, la tranquilla compagnia del mio arredamento. Anche se non ricordavo di aver lasciato un disordine simile.
Per prima cosa chiamo mia madre per rassicurarla e poi chiamo anche Linda, per avvertirla sono finalmente a casa.
- Sicura che non vuoi uscire un po’ stasera? Potresti raccontarmi com’è stato e intanto prendere un po’ d’aria – propone Linda, ma rifiuto l’offerta e rimando a domani.
- Ho davvero bisogno di qualche ora di sonno dopo quell’orrendo treno – mi giustifico e lei sembra crederci.
In realtà avrei davvero bisogno di qualche ora di riposo ma non è il momento. Ora devo organizzare le mie prossime giornate.
Accendo il pc e aspetto che parta la connessione, poi scorro la lista dei preferiti. Scarico l’orario di lezione di Giulio e registro il suo numero d’ufficio, poi sintonizzo il mio ripetitore sul suo numero e faccio lo stesso col numero del cellulare. In questo modo potrò registrare ogni sua comunicazione al lavoro e saprò quando intende spostare le lezioni, annullarle o solo ricevere visite. Poi rintraccio il segnale satellitare della sua auto, ringraziando Google Maps per l’efficiente aiuto.
Cerco quindi di rintracciare il segnale del cellulare di Alex e faccio la stessa cosa del numero d’ufficio. Un po’ mi piace l’idea di avere i cellulari sotto controllo. Potrei cercare di scoprire qualcosa in più su quell’impiegata un po’ troppo sexy. E insistente.
All’improvviso qualcosa illumina il mio cervello, come un fuoco d’artificio.
Credo di sapere come hanno fatto i nostri nemici a rintracciarci a casa di Juno e maledico me stessa. Come ho potuto non pensarci?
Faccio immediatamente qualche ricerca sul sito del comune fino a quando non riesco a trovare il numero della segreteria dell’ufficio per le licenze di attività. Lo segno rapidamente su un foglietto mentre cerco di ricordare il nome della biondona.
Sono piuttosto sicura che me lo abbia detto ma proprio non riesco a ricordarlo. Pazienza, troverò un modo.
Aveva ragione Juno sul coinvolgimento personale maledizione. Se non fossi stata così gelosa di quella stangona rifatta avrei intuito che non era solo l’attrazione per Alex a spingerla a telefonare così spesso.
Maledizione, accidenti e tutte le altre imprecazioni che conosco. Anche in lingua straniera.
Scossa dal senso di colpa do una sbirciata all’orologio. È quasi mezzogiorno ma se sono fortunata riesco a trovare ancora qualcuno che mi risponda.
- Pronto? – saluta una voce maschile annoiata dall’altro capo della linea.
- Salve, mi chiamo Patricia Fosther, qualche giorno fa sono venuta in ufficio per delle licenze per il mio nuovo esercizio ma ho trovato qualche intoppo… quando sono venuta ho parlato con una signorina molto alta, bionda ma non riesco a ricordare il suo nome…
- E’ proprio sicura che fosse alta e bionda? – mi domanda dopo qualche minuto.
Come potrei scambiare una alta per una bassa o una mora per una bionda?
- Si ne sono sicurissima. Una gran bella signorina se mi capisce, molto giovane…
- Mi dispiace signora ma non c’è nessuna signorina bionda che lavora all’ufficio per le licenze. È proprio certa che non si stia confondendo? Magari ha chiesto solo informazioni a una bionda ma l’ha ricevuta qualcun altro…
Questa volta sono io che non rispondo, sentendo uno strano vuoto all’altezza dello stomaco.
Allora ho ragione, quella tipa non è una impiegata. Come ho potuto non capirlo prima?
Cerco però di calmarmi e non tirare conclusioni affrettate. Possibile che Alex abbia dei contatti con qualche altro impiegato al di fuori dell’organico strettamente legato a quell’ufficio? Può avermi accennato a una cosa del genere?
- Mi dispiace, ricordo solo di aver parlato con questa signorina…
Così l’impiegata non è un’impiegata. Ma allora chi è?
- Signora è ancora in linea? Una delle ragazze delle pulizie mi ha appena ricordato che c’è un’altra ragazza, appena assunta, alta e bionda… forse ha parlato con lei…
Sospiro tipo per un quarto d’ora. Almeno non mi ha mentito riguardo il mio segreto, forse si vergognava di far sapere che esce con una donna delle pulizie.
Ma il mio sollievo dura poco. Mi ha mentito e si è visto con lei anche dopo che noi… quella sera… ecco perché aveva spento il cellulare la mattina dopo… che ipocrita, falso, orrendo…
Ricordo che il tipo è ancora in attesa e mi mostro contenta di aver risolto il mistero, lo ringrazio e riattacco.
Come può essere così stupidamente idiota? Come ha potuto passare la notte con me e fare anche l’offeso quando non ho voluto dirlo agli altri! Faceva la parte di quello innamorato lui, quello che voleva la grande storia d’amore! E intanto la mattina dopo se la spassava con un’altra! E mi viene a fare il sermone sul vero amore…
Ma la verità è che la stupida sono io. Sono io che ho creduto a tutte le fesserie che mi ha rifilato.
E comunque non dovrebbe meravigliarmi. Uno che si vergogna di uscire con una ragazza come quella solo perché lava i pavimenti è un persona così piccola e bigotta che non può nemmeno avvicinarsi a comprendere cosa sia un rapporto vero, basato sulla fiducia e sull’onestà e il rispetto…
Eppure nascosta sotto la rabbia c’è un’altra sensazione, qualcosa che… non aveva l’aspetto della donna delle pulizie quella. Forse è orribile da parte mia pensare che le donne delle pulizie siano tutte uguali però… insomma aveva unghie perfette, pelle da copertina… l’acqua e i detersivi rovinano entrambi…
Ma potrebbe anche essere semplicemente una lavoratrice molto poco diligente. Magari è stata costretta a guadagnare dei soldi e quello è l’unico lavoro che ha trovato e finge di svolgerlo. Ce ne sono tante di ragazze così. Come le commesse che chiacchierano per tutto il tempo al cellulare o le segretarie che leggono le riviste.
Oppure quella è uno degli agenti dell’Organizzazione che ha avvicinato Alex, che è stupido e rimbambisce per ogni scorcio di tette che vede in giro, così può seguire i miei movimenti attraverso lui. E quindi è colpevole due volte, perché mi ha tradita e mentito e perché va dicendo i fatti miei alle sconosciute.
Oppure Alex è una specie di spia infiltrata e ha rivelato ogni cosa alla sua capa supersexy che ha organizzato il blitz al museo e il comune è solo una copertura. E infatti ha mandato quel messaggio, proprio la sera prima…
Chiudo gli occhi e mi avvicino alla finestra, senza vedere niente in particolare.
Ora come ora non posso sapere niente di più ma il sospetto è valido, perciò non posso ignorarlo. E soprattutto devo riuscire a mettere da parte il mio orgoglio ferito, non deve interferire con la mia obiettività.
Fino a quando potrò ucciderlo con le mie mani.
Intanto cerco per un po’ di pensare a come posso conoscere i programmi giornalieri di Alex ma non mi viene in mente niente. Sfortunatamente di lui posso controllare solo il cellulare e l’auto, accidenti. Dovrò ricordarmi di dire a Juno di non mollarlo un attimo mentre io verifico questa storia.
Uno sbadiglio enorme mi avverte però che è arrivato il momento di riposare un po’ il cervello, quindi tanto per distrarmi un po’ decido di rimettere a posto tutto ciò che ho portato in viaggio, poi mangio qualcosa di mala voglia e faccio qualche esercizio.
Quando sono ormai a pezzi, mi stendo sul tappeto per riprendere fiato e intanto cerco di concentrarmi sul quadro. La questione di Alex e della bionda è meno importante di quel quadro, almeno fino a che non sarò sicura che quella tipa è davvero una spia. Dove potrebbe essere finito?  
Maledico il pessimo tempismo del destino. Fino a poco tempo fa era così semplice, bastava ingaggiare qualcuno che era preparato per scovare quadri, sborsare qualche migliaio di euro e il gioco era fatto. Come rimpiango quei tempi. Ora non posso permettermi il lusso di scaricare l’incombenza a qualcun altro, lo ucciderebbero nel giro di qualche minuto. Ma è così difficile…
Vorrei che Giulio potesse aiutarmi. Lui è bravo a cercare cose scomparse e la sua presenza è un toccasana per i miei nervi. Il suo fascino controllato, il suo umorismo discreto… mi basta pensarci per sentirmi meglio.
Di nuovo non riesco ad impedire alla mia mente di fare una specie di confronto immaginario tra Alex e Giulio. Come possano piacermi due persone così diverse? Comincio a sospettare che uno dei due mi abbia drogato con qualche strana pozione per farmelo piacere, non posso essere attratta allo stesso modo dal bianco e dal nero!
Eppure ancora adesso non so decidere chi dei due mi piace di più, tanto meno se amo uno dei due oppure no. A volte mi sembra di essere innamorata di Alex ma… quando Giulio mi sta vicino mi fa sentire così in pace, serena. Con lui riesco a rilassarmi e parliamo tantissimo. Con Giulio ho davvero molte cose in comune mentre Alex… la sua vicinanza manda in corto totale i miei circuiti a livello fisico ma non c’è niente che ci unisce, siamo come il pesce e la carne, appena vagamente simili. Non so niente di lui e il mio istinto continua a dirmi di stargli alla larga. E finora non mi sono mai sbagliata seguendolo.
E ora questa storia dell’impiegata… cosa dovrei pensare? La sola idea che Alex mi stia davvero tradendo sembra togliermi il respiro ma l’idea che mi abbia semplicemente mentito e che frequenti qualcun’altra, una Sarita o chissà chi, non mi fa affatto stare meglio. Ma è gelosia? Se lo è, è perché sono gelosa di Alex o solo di una cosa che credevo mia in un certo senso?
- Questo non è pensare al quadro, maledizione! – impreco ad alta voce, cercando di mettermi a sedere.
Credo che alla fine dei conti quella più da biasimare tra tutti sia proprio io. Sono io quella che doveva essere più sveglia e preparata di tutti e invece…
Devo pensare al quadro. Solo al quadro. Devo scoprire dove si nasconde.
Mi alzo e mi attacco al telefono. Visto che tanto la segretezza è andata a quel paese, è il momento di rischiare. Chiamo diversi intenditori e ingaggio diversi “cercatori” per il mio quadro. In fondo, a ben pensarci, di sicuro l’organizzazione non perderà tanto tempo dietro a tutti gli intenditori visto che sa chi sono, loro si aspettano proprio che mi muova da sola. Dopo Bown sono andata personalmente in Francia, forse questo basta a lasciarmi un po’ di margine di movimento.
Sono quasi tentata di approfittarne e di chiamare qualcun altro per cominciare a cercare anche l’ultimo quadro ma mi accorgo subito che sarebbe un grosso errore. Anche se forse non credono che io mi rivolga davvero a qualche professionista, tutti questi mercenari in giro a cercare gli stessi due quadri salterebbero immediatamente agli occhi. Basso profilo, non devo dimenticarlo.
Mi guardo intorno per qualche momento, decidendo cosa fare. Dovrei riordinare casa dopo un’assenza così prolungata ma non ne ho voglia, la delusione per la bugia di Alex è ancora troppo cocente e starmene qui da sola significherebbe di sicuro rimuginare all’infinito.
Mi cambio velocemente e prendo le chiavi della macchina. Tanto vale cominciare il mio nuovo compito di guardia del corpo barra investigatore dei miei complici.
Mentre scendo le scale chiamo Juno per sapere quale dei due sta controllando lui e scopro che si sta occupando di Alex. Non so se essere felice o meno della notizia. Da un lato ora voglio sapere perché mi ha mentito, dall’altro se mi avvicino troppo prima dei prossimi cinquant’anni potrei ucciderlo prima che abbia il tempo di capire perché. Forse è un bene quindi.
Comunque riattacco e connetto il palmare al mio portatile, quindi scarico il programma della giornata di Giulio. E’ ancora in università, ha una lezione in aula tre.
Mi immetto nella corsia giusta, diretta all’università. Già che ci sono posso cominciare da lì a fare qualche domanda su di lui e potrò vedere quando finisce la lezione per seguirlo subito.
Non appena arrivata mi dirigo verso l’angolo delle macchinette e cerco di sapere qualcosa da un gruppo di studenti riuniti lì ma nessuno di loro sembra sapere niente sul professore e lo stesso vale per le donne delle pulizie che aggancio subito dopo. In realtà questo più che rassicurarmi mi agita ancora di più.
È uno scrittore, ricercatore, esploratore, professore, ha tre lauree e parla diciotto lingue. E nessuno si è insospettito, nessuno si chiede come può uno così giovane aver fatto tutto questo? Nessuno che sparge voci cattive su di lui, nessuno tira fuori qualche aneddoto imbarazzante sul suo passato? È impossibile. Mi fa pensare più a un passato cancellato che a uno immacolato. E questo non mi piace affatto.
Do’ un’occhiata all’orologio e mi accorgo di avere ancora un po’ di tempo prima che la lezione termini, così decido di andare nel suo ufficio. Forse la segreteria conosce qualcosa in più.
Non appena arrivata alla scrivania della signora coi capelli argentei, che ora mi accorgo essere la copia sputata della nonnina di Titti e Silvestro, vedo che altre persone mi hanno preceduto. Ci altre persone che aspettano di poter parlare col professore e sembrano tutti piuttosto seccati di dover aspettare la fine della lezione.
Mi avvicino cautamente, cercando di non dare nell’occhio, e cerco di ascoltare quello che si stanno dicendo gli sconosciuti. Mi accorgo che sono precisamente in quattro, un uomo piuttosto anziano e tarchiato ma dall’aria molto fine che se ne sta invece per conto suo e una donna dall’aria antipatica insieme a due uomini alti e professionali, avvocati sembra.
Maledizione, gli avvocati sono un problema, chissà quante tracce stanno lasciando mentre lo cercano. Avrebbe dovuto dirmi che aveva a che fare con gli avvocati.
Poco dopo vedo la testa di Giulio affiorare nelle scale e mi nascondo dietro un armadio, fingendo di leggere la bacheca affissa di fianco. Non voglio che mi veda qui, non saprei spiegare perché sono venuta.
Lo sento salutare i presenti e poco dopo chiudere la porta. Mi volto di nuovo e vedo che i tre forse avvocati sono entrati tutti insieme, mentre l’uomo anziano è rimasto a chiacchierare con la segretaria.
Cerco il modo di intromettermi tra loro e chiedere qualche informazione ma la porta dell’ufficio si spalanca all’improvviso e i tre forse avvocati escono neri come un temporale. Mi sa che il colloquio non è andato per il meglio.
Osservo i tre andare attraversare la stanzetta e dividersi poi davanti all’ascensore. Due di loro aspettano fermi mentre l’altro esce sulle scale d’emergenza e mi viene un solo motivo in mente perché il tipo possa usare proprio quelle scale. Lo seguo con discrezione e lo vedo appoggiato alla ringhiera, proprio come avevo previsto.
- Posso rubarle una sigaretta? – domando dopo averlo raggiunto.
Lui me ne porge una con un gesto rabbioso, senza nemmeno guardarmi. Come posso convincerlo a dirmi quello che voglio sapere?
- Posso farle una domanda? Il suo completo è firmato? Il taglio è meraviglioso – domando a bruciapelo mentre accendo la sigaretta e ne assaporo l’aroma. Era da troppo tempo che non fumavo, ne avevo proprio bisogno.
Lui mi guarda scocciato, poi si guarda la giacca e fa un sorrisetto.
- Armani.
- Wow. Deve guadagnare parecchio…
- Sono un avvocato – risponde laconico. Le sue narici fremono vistosamente, come le mani.
- Deve ritenersi molto soddisfatto immagino di avere Gagliani come cliente allora, sembra un tipo importante…
Con una risata secca mi interrompe subito.
- Ho gestito clienti molto più importanti. Non è che una seccatura il vostro illustre professore, signorina. Dia retta a me, quel tipo è un idiota firmato, un imbroglione con un protettore molto potente… - insinua.
Lo fisso perplessa, sperando che continui da solo. Di nuovo questo misterioso protettore.
- Sorpresa vero? Eppure il pomposo bamboccio non è che uno squallido brucia - milioni con un parente molto illustre che copre tutte le sue magagne. Ma non i suoi debiti a quanto pare. Il nostro professore ha debiti che ammontano a milioni – annuncia con aria trionfale.
Io faccio un fischio di incredulità e lascio cadere il mozzicone.
E così il mio amico non ha un soldo e ha accidentalmente dimenticato di dirmelo. Come ha dimenticato di dirmi di avere un benefattore di una certa fama che probabilmente lo sta cercando fin da quando è scomparso.
Lo ringrazio per la sigaretta e mi complimento ancora per il vestito, poi me ne vado prima che Giulio mi veda.
Non riesco a credere di aver aspettato tanto a scoprire le sue bugie, accidenti. Mi sono lasciata distrarre da tutto il resto e non ho fatto nessun controllo approfondito. E nemmeno Juno a quanto pare, ma di certo lui si aspettava che lo avessi già fatto io prima di coinvolgerlo in questa faccenda.
Come ho potuto essere così avventata? Prima non penso che l’impiegata che telefona ogni due per tre possa essere un problema, poi dimentico di verificare il passato di Giulio…

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Capitolo 15
*** Sempre più vicino II ***


Non appena uscita dall’università sento il mio cellulare suonare nella borsa. Mi chiedo chi possa essere, anche perché non ho voglia di parlare con nessuno in questo momento… ma forse è uno dei professionisti che ho ingaggiato per trovare il quadro!
- Alexis degli agenti della CIA americana sono venuti a farmi delle domande su di te. Si può sapere cosa stai combinando? – mi aggredisce invece la voce di Linda non appena apro la comunicazione, senza nemmeno darmi il tempo di dire “pronto”.
- CIA? – domando, soffocando un’imprecazione. Accidenti a loro, perché fanno domande su di me? Ero certa che fosse fuori gioco ancora per un po’! in fondo l’Organizzazione ha fatto dei bei progressi, non credevo che si sarebbero esposti ancora…
- Esatto, tesoro, hai sentito bene. Mi hanno fatto un mucchio di domande su di te e sulla tua vita e sul tuo viaggio…
- E tu hai risposto a tutto? – domando, con voce soffocata.
Mi dirigo verso un marciapiede per evitare di essere investita e mi fermo davanti a una tabaccheria. Maledizione.
- E cosa volevi che facessi? Avevano i distintivi e i completi scuri, proprio come quelli della tv! Alexis, ti dispiace dirmi cosa sta succedendo?
La voce di Linda è furiosa ed io chiudo gli occhi, cercando qualcosa da dire. Non posso certo tirare in ballo anche lei, Juno mi uccide con le sue mani se complico ancora di più la situazione. Ma come posso spiegare le indagini della polizia americana?
- Ha a che fare con Alex vero? Cosa c’è tra voi? Cos’è, il tuo contatto in qualche losco affare criminoso americano?
- Che cosa centra Alex ora?
- Due mesi fa un americano viene ad abitare sopra il tuo appartamento e ora la polizia americana viene a fare domande su di te. Come sarebbe cosa centra Alex?
Già buffa coincidenza. Mi metterei a ridere se la situazione non fosse disperata oltre che comica. Comincio a sentirmi come in una storia di Pirandello, una storia piena di buffe coincidenze, in cui si cerca disperatamente di salvare la propria maschera.
- E poi a casa di tua zia Ade… vi conoscevate già non è vero? È per questo che hai accettato di ballare con lui, per questo c’era quel feeling tra voi… non posso credere che tu mi abbia tenuto all’oscuro di tutto – continua intanto Linda.
Per poco non scoppio a ridere. La polizia americana le fa delle domande sulla sua migliore amica, lei sospetta che sia implicata in chissà quale traffico internazionale e la sua preoccupazione maggiore è che non le ho detto niente!
- Ascolta Linda è una storia molto complicata. Ha a che fare con quello che è successo all’hotel Fogliadoro, ricordi? Quando mi hanno ferito… Non te l’ho detto perché ho giurato di non farne parola con nessuno, è un affare grosso e molto, molto pericoloso – improvviso, ma me ne pento subito.
Questa non ci voleva. Linda non si lascerà calmare con un accenno, ora insisterà fino a quando non saprà tutta la storia.
- Sinceramente tesoro me ne frego se è complicato, la polizia americana è venuta a fare a me delle domande, a cui spesso non sapevo nemmeno cosa rispondere perciò il minimo che puoi fare ora è spiegarmi cosa significa questa storia.
Stranamente non sembra arrabbiata come prima. Più che altro ora sembra curiosa e infastidita per essere stata tenuta all’oscuro del mio misterioso segreto, il che è tipico di Linda.
- Va bene, ti va di venire da me? Sto per rientrare, potremmo parlare un po’ e vedrò di spiegarti quello che posso.
- Non quello che puoi, cara. Voglio quello che sai – replica e attacca.
Lascio cadere il cellulare in borsa e mi strofino gli occhi. Sta peggiorando tutto troppo in fretta. Cosa le racconterò adesso? Linda è un osso duro, non la abbindolerò facilmente. Mi serve qualcosa di credibile.
Maledizione. Lo sapevo che alla fine sarebbe successo ma non poteva succedere tra qualche settimana?
Mi affretto a tornare a casa e non appena ho chiuso la porta corro nella stanza da letto, poi comincio a tirare fuori dall’armadio i vestiti e li butto un po’ ovunque per la stanza, torno in cucina e metto le cose sottosopra, cercando di pensare a cosa posso aver portato in un viaggio lungo quasi un mese. Linda crede che io sia a Venezia da quando mi sono trasferita da Juno in fondo, è meglio che sia credibile.
Non appena ho finito di mettere casa ancora più in disordine di quando l’ho trovata ecco che suonano alla porta.
- Sono tutta orecchie mia cara – esclama Linda entrando e lasciando cadere la borsa sul pavimento.
- Ciao anche a te, amica mia. Sono felice di rivederti dopo tutto questo tempo – la saluto sarcastica. Non voglio indispettirla ma devo restare la solita Alexis, come se non le avessi nascosto nessun traffico internazionale.
- Anch’io, ma ti saluterò come si deve quando mi avrai spiegato perché quei tre si sono presentati a casa mia armati di pistole e distintivo e mi hanno fatto tutte quelle domande su di te. Chi è davvero il nostro Alex?
Questo sì che è andare dritti al punto, penso con un sorriso.
- Il nostro Alex è un… indagato innocente. Un uomo, un suo socio in affari, è stato ucciso e lui era l’ultimo ad avere appuntamento con lui solo che il tizio ha rimandato all’ultimo minuto. La polizia crede che possa essere in pericolo e indaga sulle sue conoscenze probabilmente.
- Alexis, se fosse un sospettato non potrebbe lasciare la città, figuriamoci il continente – mi fa notare sedendosi sul bracciolo della poltrona mentre io fingo di rigovernare un po’ in cucina.
- Non è un sospettato, solo un indagato, infatti. Ha avuto il permesso di lasciare il paese a patto di comunicare i suoi spostamenti e lui l’ha fatto.
- E perché chiedono di te allora? E cosa centra l’hotel dove ti hanno ferita?
- Chiedono di me perché ero all’hotel e perché Alex abita vicino a me probabilmente e mi sembra ovvio che chiedono dell’hotel perché lì c’era Alex e dei pazzi armati. Forse pensano che siano le stesse persone che hanno ucciso il suo socio, non saprei. Ma cosa ti hanno chiesto di preciso?
Linda mi fissa con gli occhi stretti, cercando di decidere se sto dicendo la verità e soprattutto se deve accontentarsi.
- Mi hanno fatto un sacco di domande sulla tua famiglia, su cosa fai e mi hanno chiesto anche se t’interessi di quadri. Per questo mi è venuta in mente quella volta che hai litigato con quel tipo alla mostra, quando hai attaccato un bollino falso ma mi sembrava un po’ eccessivo mandare la polizia americana…
- Decisamente. Sono sicura che non centra… ma non so dirti cosa centra con il resto. Forse sospettano che abbiano ucciso quell’uomo per rubargli un quadro di valore, non so… - improvviso di nuovo.
Non ho dubbi ormai, mio padre aveva ragione anche sulla CIA e Alex si sbagliava a credere che quelli corrotti fossero morti o in pensione. Anche se era una cosa che sapevo già mi sento lo stesso stranamente debole.
- E poi volevano sapere sul tuo viaggio a Venezia, quando eri partita, chi ti avevi accompagnata… dulcis in fundo, mi hanno fatto un sacco di domande sul professor Gagliani e sulla vostra relazione.
Pronuncia l’ultima frase con un tono a metà tra il “lo sapevo io” e l’accusatorio. Io non rispondo subito e fingo un’espressione sorpresa. E ora come lo giustifico questo?
- Anche io ho notato che siete scomparsi insieme, tesoro. Ma loro come hanno fatto a saperlo? Cos’altro mi nascondi?
Ora di arrabbiato la sua voce non ha proprio niente ed ha assunto invece la tipica tonalità da gossip. Questo mi rincuora un po’ ma non molto. Probabilmente, anzi, ora vorrà ancora più dettagli di prima.
- Non ho visto né sentito il professore da quando sono partita per Venezia, Linda… non so perché loro domandino di lui o perché lo abbiano collegato a me… loro non ti hanno spiegato come mai quelle domande?
Lei ci pensa un po’ su. Sembra un po’ agitata ora, come se qualcosa non le tornasse.
- Ora che mi ci fai pensare no. Hanno detto un sacco di scuse e di top secret e di semplice curiosità ma non hanno spiegato un bel niente.
- Ti hanno lasciato un numero o un recapito se ti fosse venuto in mente altro?
- Sì, quello sì.
Si guarda intorno alla ricerca della borsa, ci rovista dentro per un po’ e poi torna a sedersi porgendomi un foglietto bianco con un numero scritto sopra. Lo fisso attentamente, memorizzandolo per fare qualche ricerca dopo. Probabilmente è falso ma è meglio controllare.
- Sei proprio sicura di non volermi dire nient’altro? – insiste e scuoto la testa, come se proprio non sapessi cosa aggiungere. Intanto però mi sento una persona orribile e la cosa non mi piace affatto. Mento alla gente da una vita e non mi ha mai dato fastidio, so che lo faccio per il loro bene. Perché allora adesso sta cambiando anche questo semplice punto fisso?
- Non è che non voglio, è che non ne so molto nemmeno io. E poi ho giurato di non parlarne con nessuno.
- Io non sono nessuno! E comunque la tua storia non è poi così complicata come volevi farmi credere no? Oppure mi stai nascondendo qualcosa? – insinua. Quindi in realtà non se l’è bevuta, accidenti. Lo immaginavo.
- Linda, ti posso assicurare che è meglio per te se non sai niente. E comunque a grandi linee te l’ho spiegato.
Ed è la verità. Un uomo è stato ucciso, Richard Drake, e da allora cerchiamo gli assassini. CIA compresa. Più o meno.
- Ok, non ci credo ma va bene. Voglio fidarmi di te e credere che lo fai davvero per il mio bene. Ora posso salutarti.
Non fa in tempo a finire di parlare che mi salta addosso in un abbraccio molto doloroso perché ci fa finire entrambe per terra.
Poco dopo, ancora ridendo come matte, ci sediamo in cucina davanti a un po’ di gelato e Linda mi racconta le ultime novità.
- La CIA non è l’unica che è venuta a cercarmi negli ultimi giorni. Sono anche stata ingaggiata ufficialmente da uno studio legale come assistente per un caso di sospetta frode commerciale.
Mi congratulo con lei, e sono sinceramente felice. Anche perché questo la terrà lontana dai miei affari per un po’.
- A quanto pare lo studio difende una persona che ha fatto causa a un importante gruppo industriale, qualcosa di farmacia, per un effetto collaterale o qualcosa del genere. È un affare grosso, Alexis, questa è la mia occasione!
Gli occhi le brillano dall’emozione e io spero sinceramente che funzioni. Sarà davvero brava come avvocato.
- Sono già state fissate le date del processo? – domando, felice di poter insistere su quest’argomento e tralasciare la CIA.
- No, non ancora. Ma si arriverà di sicuro, le prove sono abbastanza buone.
- E quale sarà il tuo compito?
- Farò domande in giro per cercare qualche altro caso, dovrò smanettare un po’ in rete per cercare informazioni sulle industrie, roba del genere. Poi loro invece costruiranno la strategia e dibatteranno in aula. Se vinciamo prendo un sacco di soldi e il mio nome viene associato a un successo enorme nel diritto penale. Se perdiamo recupero solo le spese e il mio nome resta associato a un grande caso. Sono piuttosto convinta che abbia ragione il nostro cliente comunque…
- Come si chiama il cattivo di turno?
- Le industrie MC, che sta per Médecine Catholique, buffo nome vero? È perché sono di proprietà di un Cardinale francese, un certo Richelieu. Come è possibile che un uomo di chiesa possa gestire un impero del genere? Per non parlare della truffa…
- Probabilmente non gestisce proprio niente, è solo un nome no? Qualcuno usa i suoi soldi per speculare, non dovrei dirtelo io…
- E invece è proprio questo il bello di questo caso. Il signor Richelieu gestisce personalmente tutte le attività delle aziende, che sono sparse in tutte le zone povere del mondo, fa le visite sul luogo, tutto ciò che fa un bravo dirigente. Però riceve anche un sacco di soldi dalla Chiesa in quanto Cardinale. Che te ne pare?
Per tutta risposta le faccio un gesto con la mano, come a dire “lo sapevo”. E, infatti, lo sapevo, quelli che si dannano tanto l’anima per convincere gli altri che sono buoni lo fanno solo per coprire segreti più sordidi di tutti gli altri, e la Chiesa merita sicuramente un premio come comunità di ritrovo per delinquenti mascherati da agnellini.
- E’ proprio questo il problema maggiore del caso. Richelieu è esente da qualsiasi tipo di sanzione perché non appena qualcuno alza la voce ecco che interviene la Chiesa a zittire tutto.
Già, Linda ha ragione. Quando un’Organizzazione così ti salva il sedere puoi considerarti praticamente invincibile. Provo un leggero brivido a pensare allo strano parallelismo con la mia situazione. Chiesa e Organizzazione sembrano così simile in questa prospettiva e l’idea che una setta di psicotici abbia qualcosa in comune con coloro che dovrebbero salvare le nostre anime…
- Ora è meglio che vada, devo cominciare a mettermi a lavoro se non voglio sfigurare. Ci sentiamo domani per una seratina tra amiche?
Annuisco con un sorriso, in preda ad una specie di impulso. Non è propriamente il momento per divertirsi ma ho disperatamente bisogno di rientrare nella mia vita com’era prima che quest’ondata mi sommergesse.
La accompagno alla porta, poi mi volto ad osservare il mio salotto. Sembra un campo di battaglia e per qualche momento mi viene il desiderio di lasciarlo esattamente così. Rispecchia perfettamente il mio stato d’animo. Tuttavia so che se mia madre dovesse entrare qui le verrebbe un colpo e non ho intenzione di avere una vita in più sulla coscienza, perciò mi metto all’opera.
Riordino dapprima il salotto, muovendomi tra le dolci note di Giovanni Allevi, poi la cucina e infine la stanza da letto. Mentre piego maglie e pantaloni cerco di ricordare, stizzita, dove ho già sentito il nome di quel Cardinale francese.
Sono sicura di averlo già sentito, eppure non riesco ancora una volta a focalizzare dove. Questa specie di amnesia localizzata mi da tremendamente fastidio. Ho sempre avuto una memoria di ferro, cosa mi sta succedendo?
Assurdamente, ripenso a tutti quei film in cui la spia, scoperta senza che se ne accorgesse, viene lentamente drogata dal cattivo, perdendo le sue brillanti facoltà…
Scuoto la testa dandomi della stupida. L’unica cosa che sta mandando in pappa le mie facoltà è un mese di convivenza con due fusti isterici e un branco di assassini alle calcagna. È normale in condizioni del genere essere stressati, la mia momentanea difficoltà di memoria è solo un sintomo dello stress.
Ma dove ho già sentito il nome di Richelieu?
Intanto piego uno dei maglioncini che ho portato in viaggio con un gesto nervoso e nel rigirarlo per metterlo al suo posto vedo un post-it attaccato.
Lo stacco e lo osservo. È un numero telefonico che non riconosco… come è finito sul mio maglione?
Mi guardo intorno, come alla ricerca di ispirazione e vedo lo zaino sotto la sedia. Ecco come è finito lì, è il post-it che ho raccolto dal cestino dell’hotel nel caso potesse ricondurre a noi. Lo accartoccio e lo infilo in tasca, poi riprendo a piegare vestiti e cercare di ricordare dove ho già sentito il nome francese ma ancora non ci riesco, così decido di farmi un caffè, sperando di riprendermi un po’.
Mentre riempio la macchinetta lo sguardo mi cade sul quadro appoggiato su una sedia. È il quadro che Alex ha comprato per me il giorno della mostra, quasi un secolo fa…
Ecco dove ho sentito quel nome!
L’illuminazione (e la soddisfazione di essere riuscita a ricordare nonostante la demenza senile che avanza) mi fa scivolare la base della macchinetta nel lavandino mentre il caffè in polvere si disperde ovunque sulla cucina appena riordinata. Senza farci caso però accendo immediatamente il computer e mi siedo alla sedia.
Ecco dove ho sentito quel nome, Richelieu è il tipo che mi ha quasi strappato il quadro dalle mani!
Digito velocemente il nome nella barra di ricerca e aspetto, poi clicco il risultato che mi sembra più attendibile.
Effettivamente la foto è proprio dell’uomo con cui ho litigato. Le informazioni personali dicono ciò che ha detto anche Linda, le sue industrie sono sparse un po’ per tutto il così detto terzo mondo e si occupano di distribuzione dei medicinali di base a un costo ridottissimo per quelle popolazioni. Uno scopo molto nobile per investire i soldi ereditati da generazioni e generazioni di imprenditori e politici. La sua è una delle famiglie più importanti del panorama sociale francese ma non solo, le cui origini vengono fatte risalire addirittura a una importante famiglia latina quando i romani avevano conquistato la Francia. Non ha figli né parenti prossimi, tranne un fratello maggiore con cui non ha più rapporti da molti anni a causa di uno screzio familiare. Il suo domicilio è a Parigi ma è continuamente in giro per il mondo.
Niente insomma che possa ricondurlo all’Organizzazione. Tiro un sospiro di sollievo, combattere contro uno così sarebbe stato impossibile. Niente tranne quelle origini latine…
- Ora basta, stai diventando una vecchia che vede fantasmi dappertutto – dico ad alta voce nella stanza vuota.
Il fatto che fosse interessato proprio a quel quadro è solo una coincidenza. In fondo mio padre era un buon pittore, non è così impossibile.
Rimando per qualche secondo a fissare lo schermo, poi chiudo la ricerca e mi alzo. Guardare il numero telefonico che hanno messo online per chi volesse contattare il Cardinale nei suoi uffici vaticani mi ha fatto ricordare il numero che la presunta CIA ha lasciato a Linda. Come lei, anch’io sono piuttosto certa che sia un falso, ma tanto vale accertarmene.
Cerco il cordless e compongo il numero, poi attendo qualche minuto ma dall’altra parte della linea sento solo il nulla di un telefono staccato. Prevedibile. Tuttavia mi segno il numero su un foglietto che metto nel portafoglio, potrebbe tornarmi utile un giorno, chissà, e mentre infilo il foglietto tra le infinite carte fedeltà di vari supermercati mi torna in mente il numero sul post-it.
Prendo quindi il foglietto giallo dalla tasca e lo fisso ancora un po’… di sicuro è un numero che ho già visto ma non riesco ad associarlo a niente. Non è proprio di quelli che conosco eppure…
Provo ad esaminare la scrittura cercando di capire a chi appartiene, ma non mi sembra di nessuno dei miei tre complici. Eppure se era nel cestino della nostra stanza deve essere di qualcuno di noi… a meno che il simpatico vecchietto non abbia dimenticato di vuotare il cestino prima dell’arrivo dei nuovi ospiti. Potrebbe darsi.
Accartoccio di nuovo il post-it e lo butto nel cestino, ridendo nervosamente. Sono ufficialmente un’isterica paranoica.
Torno in camera da letto e cerco di continuare la mia missione di riordino che sembra ancora più disperata che mai e intanto mi sforzo di non pensare a nulla, rilassare un po’ il mio cervello ormai stanco.
Provo a immaginare grandi spiagge dorate, mare cristallino, enormi ville quasi interamente di vetrate con gigantesche piscine ornate di palme… poi immagino di essere in un magnifico hotel di quelli che si vedono in pubblicità, villaggio turistico tipo Seychelles o roba simile.
Mi accorgo di essermi quasi fermata nel ripiegare vestiti ma non importa, il piacere di queste immagini è troppo per interrompermi ora. Mi immagino salire nella mia lussuosissima camera con letto a baldacchino ed entrare nel mio immenso bagno con sauna incorporata…
Scoppio in una risata isterica. Proprio la stessa immagine della stanza in Francia. Pari pari, sauna compresa. Ripensandoci, avremmo dovuto scegliere qualcosa di extra lusso, tanto ci hanno trovati lo stesso e almeno mi sarei potuta godere qualche divertimento… all’improvviso però mi torna in mente a tradimento il ricordo del museo. Ricordo il direttore che mi porta i cornetti e l’ingenua segretaria… un groppo in gola soffoca la mia risata e mi fa pungere gli occhi.
Non potrò mai cancellare il peso di quelle due vite innocenti. So che ce ne sono state altre ma di queste sono almeno in parte responsabile. Immagino la segretaria rifarsi lo smalto perché tanto sa che nessuno chiamerà o verrà in visita e il direttore nel suo ufficio polveroso, a sfogliare vecchi libri e registri, assaporando l’odore di carta e di debiti…
Un flash mi esplode in testa e cancella ogni rimorso. Ecco da dove viene il post-it! Non è la nostra scrittura perché non l’abbiamo scritto noi quel numero, il post-it l’ho raccolto dall’ufficio del direttore!
La scoperta mi fa sentire di nuovo capace nel mio mestiere proprio come poco prima aveva fatto il ricordo del nome del Cardinale. Le piccole soddisfazioni.
Tuttavia non ricordo affatto di aver preso quel foglietto giallo, sono certa di averlo rimesso sulla scrivania. Non mi serviva e sarebbe stato rischioso… eppure più ci penso e più mi convinco che sia proprio quel post-it. Magari l’ho preso senza accorgermene, magari mi si è solo attaccato alla manica mentre sfogliavo altri fogli e si è staccato nella stanza dell’albergo. Forse lì qualcuno l’ha visto per terra e l’ha buttato. Si può essere, anzi è la cosa più probabile.
Ma questo non spiega perché allora mi sembra di conoscere un numero trovato nell’ufficio di uno che non avevo mai visto.
Possibile che qualcuno di quei due idioti abbia chiamato da una delle nostre case senza ricordarsi di nascondere il numero?
Corro a riprendere il foglietto dal cestino, pregando di essermi sbagliata. Se è così allora so come ci hanno rintracciato e pensare di aver ucciso due persone per una svista così banale… avrei dovuto essere io a chiamare proprio per evitare cose così…
Prendo il foglietto con due sole dita anche se nel cestino non c’è nient’altro che polvere e lo stendo di nuovo. No, non è un numero di casa. Non è nessuno dei nostri numeri, nemmeno cellulare. Tiro un sospiro di sollievo, anche se è stupido. Non è che questo mi assolva per le due vite innocenti.
Poi un altro flash nella testa. C’è un numero dei nostri che nemmeno io conosco, il numero del cellulare segreto di Juno. Non conosco il numero di quella scheda però quindi non potrebbe sembrarmi familiare…  eppure il pensiero del cellulare ha fatto scattare qualcosa. Un filo sottile che non è proprio un ricordo e nemmeno un’intuizione ma appena un remoto collegamento…
D’istinto prendo il mio cellulare e scorro i numeri della rubrica, velocemente, guardando solo i primi tre numeri di ognuna delle voci… non conosco il numero della scheda ma c’è un altro numero che associo a quel cellulare e forse…
Bingo! Il prefisso, ecco cosa c’è di familiare!
Osservo alternatamente il numero sul post-it e quello sul display salvato come centrale.
I due numeri hanno lo stesso prefisso perché sono in realtà lo stesso numero!
Ecco perché devo averlo preso da quell’ufficio, anche se non lo ricordo. Evidentemente ho riconosciuto il numero e per evitare qualsiasi dubbio… ma poi un’altra ombra mi oscura il viso.
Che numero ha detto Juno che era?
Un ripetitore, che rimandava a casa dei miei. Solo che un ripetitore non può fare telefonate, può solo riceverle.
E poi c’è anche qualcos’altro, qualcosa di strano ma non riesco ad afferrare cosa. Lo fisso ancora.
Un ripetitore in Croazia. Ma c’è qualcosa, una stonatura che intuisco ma…
Mi precipito di nuovo al computer e riapro l’ultima ricerca online, poi scorro la pagina fino al recapito telefonico di Richelieu. Il numero ovviamente è diverso ma il prefisso, le prime cifre, sono identiche.
Ma come è possibile che un ripetitore in Croazia abbia lo stesso prefisso del recapito di un francese?
Prendo ancora una volta il cordless in mano e compongo velocemente il numero, pregando in silenzio che risponda uno dei miei genitori. Stringo il cordless talmente tanto da farmi diventare le nocche completamente bianche.
Il telefono comincia a squillare da qualche parte nel mondo. Tre squilli, quattro squilli, cinque squilli. Sono tentata di riattaccare e rimandare la mia verifica all’indomani ma qualcosa mi impedisce di spostare il pollice su quel tasto e alla fine è troppo tardi.
Una voce di donna, qualcuno di non più giovanissimo mi sembra di capire, dice nella cornetta:
- Allô? Juno, est-tu? Il y a des problèmes ?
Questa volta non ce la faccio a parlare, a inventare qualcosa. Chiudo semplicemente la comunicazione, sentendo una terrificante sensazione di compressione all’altezza del petto, come se i miei polmoni si siano ridotti improvvisamente a due palloncini bucati che non riescono più a gonfiarsi.
Juno mi ha mentito. Mia madre non parla francese. Quel numero non è un ripetitore croato che rimanda a casa mia. Quello è un numero francese.
Perché Juno mi ha mentito?
Per quale motivo nascondermi qualcosa? Chi altri sa che è vivo? Da quanto tempo me lo nasconde? Perché non me ne sono mai accorta? Mille domande come queste frullano nella mia mente mentre io rimango in piedi, nel bel mezzo della stanza, a fissare la cornetta traditrice, come aspettandomi che si scusi per quello scherzo di pessimo gusto.
E poi ancora altre: perché questo numero ha chiamato al museo, lo stesso dove siamo andati noi e dove ci hanno trovato quelli? Non posso credere che sia solo una coincidenza. Juno mi nasconde un numero, francese come quel museo, e lo stesso numero chiama anche il museo. Perché? Per il quadro ovviamente, altrimenti non ci sarebbe stato niente da nascondere.
Ma chi altri sa? A quale gruppo appartiene questo numero? Di sicuro non al mio, me lo ricorderei se avessi una complice francese e gli altri due sono la CIA e l’Organizzazione. E parla con Juno. Due più due…
Ma forse è solo il contatto francese di Juno, cerco di dirmi senza molta convinzione. Una specie di informatrice in Francia. Ma è assurdo. Non può avere informatori sparsi per il mondo, il mondo lo crede morto! E poi perché allora mentirmi? Perché inventare la storia del ripetitore quando poteva solo dirmi la verità?
Non so per quanto rimango ferma in piedi, di sicuro abbastanza da farmi male la pianta dei piedi, e non so per quanto ci sarei rimasta ancora se qualcuno non avesse suonato alla porta.
Come se avessero sparato invece che suonare il campanello, corro alla porta, con il cuore in tumulto, spaventata. A questo punto non mi meraviglierei affatto se a suonare al mio campanello fosse stato ET che vuole usare il mio telefono per chiamare casa.
Cercando di fermare il tremito delle mani sollevo il dischetto sottile e avvicino l’occhio allo spioncino, certa di vedere due occhi enormi liquidi e delle lunghe dita verdi dall’altra parte.
Ovviamente non c’è nulla di verde dietro la porta, solo la faccia pacata di Giulio. Solo che non so se ho voglia di aprirgli. Non so se avrò la capacità di vederlo e ascoltarlo.
Giulio però allunga di nuovo il dito sul campanello che sembra perforarmi la nebbia rabbiosa che ha riempito il cervello. Se è venuto deve avere un buon motivo. E non posso lasciarlo lì come un idiota, soprattutto ora che mi ha vista guardare dallo spioncino.
Tolgo il ferretto e apro la porta, per niente felice di vedere il suo sorriso gentile.
- Ciao Alexis, disturbo? – mi saluta entrando.
- In effetti… - non è affatto carino dirglielo ma al momento non mi importa. Ho bisogno di tempo per riflettere, per capire perché Juno mi ha mentito. Se necessario chiarirmi con lui direttamente.
- Ti rubo solo un momento. LA CIA è tornata da me. Dicono che hanno delle prove che i documenti che cercano sono in mio possesso e mi hanno mostrato un mandato molto altisonante che spiega quali terribili pene mi toccheranno se non consegno quei fogli. Per il bene della sicurezza nazionale. Ti rendi conto! La sicurezza nazionale!
Maledizione, insistenti. Speravo di avere un altro po’ di tempo.
- Ok, prendi tempo, intanto prepariamo qualcuno che faccia il tuo avvocato. Gli propiniamo le stesse cose che hai detto a me quando te li ho chiesti indietro, salvaguardia di un progetto, copyright della futura opera e cose simili. Siamo in Italia, non hanno tutto il potere che hanno a casetta.
- Sono i servizi segreti americani, Alexis, non posso semplicemente cacciarli da casa mia. Ho bisogno di qualcosa di meglio per liberarmene del copyright. E se gli dessimo delle copie? Tanto ormai siamo stati scoperti…
Chiudo gli occhi e vado in cucina per prepararmi una tisana. In realtà mi rendo subito conto che non è stata una buona idea perché le mani mi tremano ancora e i miei movimenti sono troppo nervosi per passare inosservati a Giulio ma non mi importa nemmeno questo. Ho troppo bisogno di quella tisana ora.
- Se hanno il tempo di analizzarli troveranno il modo di invalidare l’unica prova che abbiamo che quella organizzazione esista davvero. E’ fuori discussione.
- Cosa è successo? Perché sei così agitata? – domanda cambiando discorso all’improvviso.
- Niente, sono solo stanca – taglio corto.
Lui intuisce forse che non voglio parlarne e non insiste oltre, rimane anzi in silenzio mentre io aspetto che la mia tisana sia pronta.
Sbatto la zuccheriera sul tavolo talmente forte da far volare metà dello zucchero sul tavolo.
- Sei sicura di stare bene?
- Sì – rispondo ma mi rendo subito conto che è stupido. Non sono nemmeno un po’ credibile. Ma non voglio che sappia del numero e di Juno, quindi improvviso.
- Siamo appena tornati da un viaggio dove abbiamo commesso diversi reati e ho visto due persone innocenti morire davanti agli occhi, noi stessi ci siamo salvati per un pelo e ora vieni qua a dirmi che abbiamo non una brutta bestia ma due. Cosa ti aspettavi, un bel balletto della felicità? – lo aggredisco acida, senza nemmeno guardarlo.
Subito dopo però mi pento di aver usato quel tono e mi volto verso di lui che mi fissa confuso.
- Scusami, non ce l’ho con te ma… questa cosa mi sta sfuggendo dalle mani. Non sono più sicura di poterne venire a capo – spiego frettolosamente, tornando ad osservare la fiamma sotto la tisana, immaginando che la mia rabbia bruci insieme a quel gas, sforzandomi di farla svanire.
- Siamo ancora in testa Alexis. L’importante è mantenere la calma, l’hai detto tu circa due trilioni di volte da quando mi hai portato alla base.
Sorrido appena, per niente divertita. Ha ragione, è il mio motto. Ma come faccio a mantenere la calma quando l’unica persona di cui mi fido è un traditore? O per lo meno mi ha ingannato, non sono ancora pronta per pensare che Juno possa avermi tradito in senso letterale.
- E poi adesso non sei più sola no? Ora hai due fedeli servitori…
Faccio una smorfia e alzo gli occhi al cielo. Fino a quando ero sola andava tutto alla grande quindi non mi venissero a parlare di aiuto.
- Sicura che sia solo questo? – insiste mentre si avvicina fino a sfiorarmi il gomito con la mano.
Al contatto, nonostante i vestiti, sussulto involontariamente. Lui se ne accorge ed esita qualche secondo, poi torna ad accarezzarmi il gomito con più delicatezza, fissandomi con l’espressione più dolce e comprensiva del mondo.
Solo che io invece di sorridere e sentirmi meglio per il conforto, ho un’improvvisa voglia di urlare e spaccare tutto.
Non sopporto il suo sguardo sdolcinato, non sopporto la sua vicinanza compassionevole e ancora meno sopporto il solletico al gomito che mi fa con le dita.
- E’ che non sopporto di…
Non finisco però la frase e mi allontano, sentendomi troppo scossa per i miei gusti. Non riesco a dimenticare la voce di quella donna, l’inflessione elegante mentre pronunciava il nome di Juno…
- Perché non ti siedi sul divano mentre io zucchero la tisana? – suggerisce Giulio.
Credo che abbia davvero paura di me adesso. Forse mi crede schizofrenica.
Comunque annuisco e vado davvero a stendermi sul divano, senza importarmi dell’educazione. Non gli ho chiesto io in fondo di venire proprio ora e non è che lui sia più educato di me, visto che è evidente che non voglio compagnia e lui insiste a restare.
Chiudo gli occhi e mi sforzo di concentrarmi sui rumori che fa Giulio in cucina per allontanare il ricordo di quella maledetta telefonata dalla mente almeno per qualche minuto. Vorrei non averla mai fatta, vorrei non aver trovato quel numero, quel cellulare. So che è stupido ma vorrei lo stesso non aver mai saputo nulla di questa storia.
- Ecco a lei, signorina. Con tre cucchiai pieni come piace a te – mi avverte Giulio, venendo verso di me con la tazza bollente tra le mani e l’espressione di un’equilibrista.
Prendo la tazza, chiudo gli occhi e sorseggio il liquido dolcissimo, sentendone il calore scendere lungo la gola e diffondersi nel petto. Bevo un secondo sorso e poi un terzo, aspettando che il calore raggiunga i miei nervi e li distenda, ignorando volutamente Giulio che sono certa mi fissa.
Infatti quando apro appena un occhio lui è seduto sulla poltrona accanto e mi fissa. Non so se essere più indispettita per il fatto che continua a fissarmi da quando è arrivato, o invidiosa per l’aria rilassata che ha mentre sta seduto nella mia poltrona. Credo però di essere più invidiosa che arrabbiata con lui. E poi è così affascinante così…
Lentamente sento calare una sorta di benevola nebbia sul mio cervello mentre gli occhi mi si fanno pesanti. Questa tisana è miracolosa, devo ricordarmi di comprarne di più alla prossima offerta…
- Ora credo che sia arrivato il momento che vada – dice Giulio alzandosi.
Cerco di mascherare un sorriso di sollievo ma poi mi sento terribilmente in colpa. In fondo non è colpa sua se Juno mi ha mentito e lui è stato così gentile, come sempre…
- Aspetta… - lo blocco mentre è sulla porta. Lui si volta verso di me e gli faccio segno di aspettare con la mano mentre mi alzo faticosamente e lo raggiungo.
- Voglio scusarmi. È un brutto momento ma mi passa dopo una bella dormita. Ti chiamo domani e ne parliamo ok?
- Va bene, a domani allora.
Resta a fissarmi ancora una volta nella serata per qualche minuto e io riesco a stento a sostenere il suo sguardo, in preda a una sonnolenza improvvisa quanto quasi soffocante. Subito dopo sento le mie gambe cedere.
Sarei caduta se Giulio non mi avesse afferrata prontamente. Mi ha afferrata mettendomi il braccio sotto la schiena, curvato verso di me come la scena clou dei film più melensi…
- Alexis, stai bene? –
- Scusa, un leggero giramento di testa… credo di… - lo rassicuro mentre cerco di rialzarmi ma mi accorgo di non farcela. La testa ha preso a girare alla velocità di una trottola impazzita e le gambe non reggono il mio peso.
Senza dire una parola Giulio mi prende in braccio e mi trasporta fino al divano, dove mi appoggia delicatamente.
Di nuovo ho l’impressione di trovarmi in un film, uno di quelli che si concludono con la romantica scena educatamente censurata in stanza da letto. Peccato che io riesca a stento a tenere gli occhi aperti invece.
Infatti le palpebre sono improvvisamente diventate due muri di cemento sugli occhi e l’ultimo barlume di coscienza prende a scivolare lentamente verso un sonno profondissimo. L’ultima cosa che riesco a registrare prima del buio totale è Giulio che mormora qualcosa in tono disperato e poi le sue labbra sulle mie.
 
Quando riapro gli occhi ho un momento di confusione. Non riesco a capire dove sono.
Alzo lentamente la testa, pesante come un macigno, e mi guardo lentamente intorno, schermandomi gli occhi con la mano perché la luce mi ferisce in modo insopportabile.
Dopo qualche minuto il mio cervello collega i diversi scorci di stanza che intravedo tra le dita e mi colloca nel mio salotto, più precisamente sul divano. Accanto a un uomo, scopro qualche secondo dopo. Giulio precisamente. Nudo ancora più precisamente.
Confusa ma troppo stordita per essere ancora davvero spaventata cerco di sopportare il dolore causato dalla luce mentre con la mano mi tasto timidamente le gambe, le braccia, la pancia.
Assurdamente le mie dita toccano solo pelle, pelle ovunque. Nemmeno uno straccio di stoffa a coprire la mia pelle esposta crudelmente alla luce del giorno.
Un po’ più sveglia e decisamente più agitata, quasi al limite del terrore, fisso Giulio, cercando di dare un senso al suo essere qui, nudo, accanto a me, sul mio divano.
Cos’è successo ieri sera?
Mi sforzo di ricordare nonostante il dolore pesante alla testa che mi impedisce di pensare. Ma nessuna informazione viene ripescata dalla mia memoria. Il vuoto più assoluto si impadronisce della mia mente.
Sforzati, Alexis, mi dico, sforzati di più. Cominciamo dal primo ricordo disponibile, decido.
Sono rientrata dopo il viaggio. Ho parlato con Linda. Poi? Poi è arrivato Giulio. No, no c’è qualcos’altro prima. Qualcosa di spiacevole… la telefonata! Ho scoperto che Juno mi ha mentito, e poi è arrivato Giulio. ma dopo? Cos’è successo dopo che ho aperto? Gli sono saltata addosso come un’assatanata e ci siamo rotolati sul tappeto?
Non riesco a ricordare, c’è qualcosa che mi ricorda il caldo, una sensazione di calore intenso, qualcosa a proposito di film romantici e Giulio che mi abbraccia, mi sorregge…
Niente che abbia senso però, solo flash confusi.
Abbiamo guardato un film e poi abbiamo cercato di riprodurlo in versione amatoriale? Abbiamo chiacchierato di film e ci siamo dichiarati amore eterno? O abbiamo prima fatto sesso e poi guardato un film?
Perché il fatto che lui sia nudo e io sia nuda e che siamo vicini, unito alla sensazione di calore intenso che ricordo e al senso di spossatezza che non vuole abbandonarmi ora credo che diano un unico, incredibile, orribile risultato. La domanda quindi diventa: come siamo giunti a questo risultato?
Rifletto se sia il caso di svegliare immediatamente Giulio per chiedergli una spiegazione ma poi decido che sia più saggio andare prima a mettermi qualcosa addosso. Mi alzo molto lentamente, in uno stato peggiore dell’ultima volta che mi sono ubriacata con Linda, e cerco di non fare rumore mentre ripesco la maglia dal bracciolo della poltrona. Fisso qualche minuto i miei pantaloni, per cercare di capire come hanno fatto a finire sul mobile vicino alla porta, poi decido di rimandare queste domande e mi limito a prenderli e infilarli, con la vergogna che sembra rimbombarmi nel cervello.
Com’è possibile che io non ricordi assolutamente nulla? Sembra che il party qui sia stato decisamente… movimentato, per usare un eufemismo, eppure nemmeno una traccia è rimasta nel mio cervello, tranne quella sensazione di calore e questo stato di imbecillità acuta.
- Buongiorno. Già vestita? – mi domanda Giulio all’improvviso, e io reagisco urlando come se mi avesse colpita.
- Alexis stai bene? – mi domanda stiracchiandosi, poi comincia a rivestirsi in fretta.
Bene? Stiamo scherzando? Ho cancellato una sera intera della mia vita e ora mi sento come imbottita di cotone. Una favola.
- Te ne sei già pentita?
Il tono della sua voce ha assunto un che di tragico e dalla sua espressione si direbbe che l’ho appena colpito con un machete. E non sa ancora che non ho nemmeno idea di cosa dovrei pentirmi. O meglio un’idea piuttosto precisa ma nessun ricordo.
- Capisco. Avrei dovuto immaginarlo in fondo. È stato un errore ma restiamo amici giusto? È così che si dice in questi casi.
La sua voce ora starebbe benissimo in un funerale, è così tetra che quasi mi meraviglio di non veder uscire i pipistrelli dalla sua bocca, e il suo sguardo ferito mi blocca il fiume di domande in gola.
Cosa faccio ora? Lo distruggo definitivamente spiegandogli che non ricordo niente di ieri sera?
- Almeno avrò un bel ricordo di questa storia. Però proprio non ti capisco, Alexis. Come puoi essere così… e quello che mi hai detto ieri sera?
Ok, ora è troppo. Che cos’è che avrei detto? Devo ricordare, devo assolutamente ricordare…
- Spiegami solo una cosa, hai fatto così anche col cugino down? È per quello che crede di avere il diritto di proprietà su di te?
- Non lo so se ho fatto così perché se vuoi la verità non ho idea di quello che è successo ieri – sbotto prima di potermi fermare.
Ammutolisce e mi fissa come se fossi Hitler in persona e avessi appena annunciato lo sterminio. Forse avrei dovuto essere più delicata nel dirglielo ma lui è partito in quarta e non sopporto di sentirmi dare della prostituta insensibile. Di nuovo. Men che meno sopporto le sue allusioni a quello che è successo con Alex, che lui comunque non sa.
- Adesso non ricordi? Come puoi essere così ipocrita? – mi domanda allibito.
- Mi dispiace Giulio, mi dispiace davvero ma non sto mentendo. Davvero non ricordo… - balbetto, cercando di sembrare meno aggressiva ma il mio tentativo non sembra convincerlo.
- Certo, molto comodo vero? E ti capita spesso di dimenticare le tue notti d’amore?
Ora sembra furioso. E disgustato. Ma che diavolo ho fatto? Cos’è successo? Perché non me lo ricordo?
E comunque non mi sembra giusto tutto questo risentimento, non è che lui sia stato proprio un esempio di sincerità a tutti i costi mi pare.
- A te capita spesso di dimenticare i tuoi debiti? O lo stuolo di avvocati che ti cerca lasciando tracce ovunque?
Lui non risponde ma assume un’espressione colpevole e imbarazzata. Appunto.
- Quella è un’altra faccenda e non te l’ho detto perché… be’ è solo una cosa da niente, un malinteso che si risolverà presto e comunque posso gestirlo da solo.
- Voi non avete il diritto di avere segreti con me, come posso farvelo capire? Quegli avvocati avranno lasciato tracce ovunque mentre ti cercavano e probabilmente è proprio così che ci ha trovati anche l’Organizzazione!
- Non essere ridicola, loro cercano solo me e non hanno nessun motivo di collegarmi a te. E non posso credere che tu voglia paragonare questo a quello che è successo questa notte!
Ora tocca a me non rispondere e assumere un’espressione imbarazzata. Ovviamente le cose non possono dirsi proprio sullo stesso piano e l’ho tirato fuori… be’, per sviare il discorso, in effetti. Non proprio coraggioso.
- Giulio ti giuro che io davvero non ricordo ieri sera, non so perché…
Lui non dice niente e mi fissa in silenzio, lo sguardo gelido e rabbioso. Maledizione.
- Se dovesse tornarti la memoria Alexis sai dove trovarmi. Sono stanco di giocare al gatto e al topo con te – dice alla fine e la sua voce ha un che di talmente definitivo da farmi venire i brividi.
Se ne va prima che possa replicare ancora e io rimango in piedi nel bel mezzo del salotto, fissando sconcertata la porta.
Che cosa mi sta succedendo? Come posso aver ceduto a Giulio e non ricordarlo? Cosa ho detto, cosa ho fatto? Perché non me lo ricordo?
Mi guardo intorno, come se i miei mobili potessero darmi le risposte di cui ho bisogno ma niente mi suggerisce il minimo collegamento, nessuna lampadina mi si accende nella testa.
Ho aperto la porta e c’era Giulio, questo lo ricordo, ma poi? Il passo successivo è direttamente la sensazione di calore, ma non posso davvero essergli saltata addosso come un’assatanata no? Deve esserci stato qualcosa che ha scatenato… che cosa? Che cosa ha scatenato? Non riesco a credere che davvero io e Giulio… e se si trattasse di un malinteso?
No, lui sembrava piuttosto convinto. Eppure come posso non ricordare assolutamente niente?
Decido che è a questa domanda che devo rispondere prima di tutto. Ma da dove comincio?
Mi aggiro per la casa, alla ricerca di qualcosa che mi illumini e mi soffermo in bagno, davanti alla scatola dei medicinali. Non ricordo assolutamente di aver preso dei medicinali ma… in fondo ero scossa per aver scoperto la bugia di Juno, magari ho preso qualcosa che mi aiutasse a calmarmi prima che arrivasse Giulio, qualcosa che ha avuto degli effetti collaterali disastrosi magari…
Ispeziono tutte le confezioni e i flaconi, alla ricerca di qualcosa che mi susciti un ricordo. Non trovo niente che mi illumini però trovo una confezione aperta di ansiolitici. Non sapevo nemmeno di averli ma dalla scatola ne mancano cinque e visto che sono sicura di non averne mai presi in precedenza, ne deduco che devo averli presi tutti ieri sera.
Confusa, leggo il foglietto delle controindicazioni. Come ho potuto essere così matta da prenderne cinque? E quando ho comprato questo medicinale?
Alla fine trovo la risposta che cercavo. In grassetto, più grande del resto del testo, c’è scritto tra gli effetti indesiderati “difficoltà di concentrazione, spossatezza, nausea, febbre”. E inoltre leggo anche “debolezza, emicranie, alterazione dell’umore più o meno accentuata”. Spinta da un terribile senso di vergogna per la mia stupidità scorro ancora più avanti sul foglietto fino alla scritta “sovradosaggio”. Tra le voci elencate trovo scritto “stato confusionale, allucinazioni, palpitazioni, perdita temporanea più o meno prolungata della memoria”.
In pratica mi sono drogata come una quindicenne stupida e incosciente e in preda ad alcune controindicazioni come la difficoltà di concentrazione, l’alterazione dell’umore, lo stato confusionale e un probabile accenno di allucinazioni ho convinto Giulio che lo amavo e mi sono lasciata sedurre da lui. Poi in preda ad altre controindicazioni come la perdita temporanea di memoria ho rimosso tutte le fesserie che ho fatto e mi sono abbandonata alle ultime voci di spossatezza, debolezza e emicrania.
Inoltre mi sta assalendo una nausea soffocante che non so se dipende dal medicinale o dalla vergogna per l’imbecillità che si è impossessata di me. Come spiego ora a Giulio che sono andata a letto con lui e gli ho detto chissà che solo perché ero drogata di ansiolitici? E se lo venisse a sapere Alex? O Juno?
Il solo pensiero mi fa battere il cuore all’impazzata per l’agitazione. O è un altro effetto collaterale?
Poi un suono mi trapana il cervello, nonostante provenga da piuttosto lontano nella casa. È il mio cordless che suona.
- Pronto? – rispondo ancora stordita non appena trovo il telefono, incastrato sotto la poltrona.
- Tesoro che voce orrenda che hai. Stai bene? – mi domanda Linda dall’altro capo della linea.
Prima di potermi trattenere mi lascio sfuggire una risata a metà tra l’isterica e una crisi di pianto.
- Diciamo che è una lunga storia, magari te la racconto un’altra volta. È successo qualcosa? – le domando, cercando di decidere se raccontarle davvero quello che ho fatto o coprire di pietoso silenzio questa nuova idiozia.
- Sì, praticamente da ieri è successo di tutto. Sono tornati gli agenti della polizia americana a farmi domande su te e Gagliani, mi sono ritrovata circondata dai giornalisti, il mio nuovo datore di lavoro ha avuto un infarto quasi fatale, ho forato tutte e quattro le ruote della macchina, credo di essere pedinata e il mio nuovo e potente avversario legale mi ha gentilmente minacciata di uccidermi se non la smetto di indagare su di lui.
Ok, mi sono persa alla seconda cosa.
- Che vuol dire minacciata? Come puoi aver forato tutte le ruote? In che cosa ti stai cacciando? – le domando ancora più confusa. Almeno c’è qualcuno che sta messo peggio di me.
- Si tratta di quel Cardinale francese, ricordi? Mi hanno assunta per fargli causa ma da allora, che poi sarebbe ieri, mi è successo di tutto. Ho avuto qualche sospetto che non fossero coincidenze e ora ne ho la certezza. Un energumeno vestito di nero e con una cicatrice enorme si è intrufolato in casa mia, mi ha aggredita quando sono rientrata dalle lezioni e mi ha avvertita di rinunciare a questo incarico se ci tengo alla vita.
- Hai chiamato lo studio vero? – le domando, sentendomi gelare.
- Certo, prima della polizia.
- E cos’hanno detto? Spero che non abbiano fatto storie…
- In realtà hanno insistito tantissimo perché lasciassi perdere ma sono stata irremovibile.
Altro che palpitazioni, ora il mio cuore ha un tonfo e smette di battere per qualche secondo.
- Linda hanno minacciato di ucciderti! Lascia immediatamente perdere questa storia!
- Sei impazzita? È l’occasione della mia vita, ho pregato per anni di averne una! Finalmente potrò far vedere chi sono, la mia carriera è assicurata!
- Se non ti ammazzano prima.
- Giusto. Ma sarà una morte onorevole no? Magari mi intitoleranno una strada o addirittura una piazza…
Non riesco nemmeno a rispondere, sono sopraffatta dall’orrore. La mia migliore amica è una masochista pazzoide con manie suicide. E megalomane aggiungo.
- Sto scherzando, tesoro. La polizia mi ha riempito di guardie del corpo, non potranno farmi proprio niente. Non è eccitante?
- E’ stupido, pericoloso, folle e un altro milione di aggettivi simili ma di sicuro non è eccitante. Come fai a non capire che ne potrebbe andare della tua vita? – la aggredisco.
- Starò benissimo e comunque sono un avvocato. Rischio la mia vita comunque, tanto vale farlo per qualcosa che ne vale la pena.
Chiudo gli occhi e non rispondo. Ho abbastanza problemi da me per preoccuparmi anche per lei. Minacciata di morte!
- Infatti ti ho chiamata per questo. Il capo della polizia mi ha obbligato a trasferirmi e volevo sapere se potessi ospitarmi tu per un po’. Qualche settimana e tolgo il disturbo.
Perfetto, e ora che le rispondo? Scusa amica mia, ma casa mia è un campo di battaglia e saresti più al sicuro a casa del tuo Cardinale che da me?
- Per me non ci sono problemi ma nei prossimi giorni starò molto poco a casa, starai più sola che in compagnia. Non sarebbe meglio se stessi dai tuoi?
- Scherzi? Li stroncherei tutti e due nel giro di un secondo, ictus fulminante in entrambi i casi. Non devono sapere niente di questa storia.
- Ma non hai detto che sei circondata dai giornalisti? Come pretendi di tenerli all’oscuro?
- Sono da una zia in campagna, una fissata con il rifiuto della tecnologia e roba del genere, non vedranno un telegiornale fino al mese prossimo. Per favore prometto che non ti accorgerai nemmeno che ci sono…
Mi sento presa in trappola. Credo di cominciare a ricordare perché mi sono drogata di medicinali e per poco non mi precipito a ingoiarne un’altra decina.
- Va bene, vediamo cosa possiamo fare – le dico. Parlerò col capo della polizia e lo convincerò che non può restare qui, inventerò qualcosa. Per ora è meglio non insospettirla.
- Sei la migliore. Mi trasferisco domani credo, in tarda serata. Che emozione!
Non rispondo, impegnata a fare una lista mentale di tutto ciò che devo far sparire dalla circolazione prima che lei arrivi, poi finalmente mi saluta e riattacca.
Muoio dalla voglia di lasciarmi scivolare per terra e rimanere così fino a quando un affascinante medico del pronto soccorso chiamato da chi mi ha cercato e non mi ha trovato per giorni mi viene a soccorrere. Ma se mi fermo sono assolutamente certa di non rialzarmi più e non posso crollare ora. Lo sguardo fantasma di un padre mai conosciuto mi obbliga a resistere ancora per due quadri. Due quadri equivalgono a qualche settimana, un mese al massimo. Lascerò la trascrizione e la pubblicazione a Juno e poi mollo tutto e fuggo a Bora Bora con ciò che resta dei risparmi di mio padre. Viaggio solo andata. Poi ricordo che Juno mi ha mentito e mi sale un groppo in gola, non so se di rabbia, di delusione o cos’altro.
Scuoto la testa e cerco di scacciare il pensiero. Non sono ancora sicura di quello che ho scoperto e non devo farmi prendere dalla confusione e tirare conclusioni affrettate. Juno è l’uomo più fidato che potessi immaginare, me l’ha consigliato il mio stesso padre defunto quindi non posso bollarlo come traditore senza nemmeno avergli parlato. Affronterò la questione al momento giusto..
Vado nel bagno, afferro il flacone di ansiolitici né verso il contenuto nel water, quindi tiro lo sciacquone, prima che mi torni la tentazione e ci rimanga secca. Sarebbe da morire dal ridere se dopo tutto questo morissi per indigestione di farmaci.
Poi vado nella mia stanza e comincio a tirar fuori tutti gli strani vestiti, le parrucche e i documenti falsi da ante e tiretti e infilo tutti in voluminosi cartoni che ho tenuto apposta in caso avessi dovuto far sparire tutto all’improvviso, proprio come ora.
Trasporto i cartoni nel salotto, perfettamente imballati, e attacco un appunto sul frigorifero per ricordarmi di chiamare Alex per farmi aiutare a trasportarli a casa di Juno. Non posso nemmeno pensare di chiamare Giulio e con Juno devo ancora chiarire prima la questione della donna francese. All’improvviso, assurdamente, Alex che mi inganna per nascondere una squallida tresca a pagamento mi sembra l’unico a cui rivolgermi e non so se ridere o urlare per questo.
Qual è l’altra priorità? Il medico. Devo sapere cosa fare per la mia improvvisa indigestione di ansiolitici. Per fortuna l’assistente mi tranquillizza, cinque non sono una quantità eccessivamente rischiosa ma mi avverte di restare a riposo, cercare di sudare il più possibile e stare lontano dal flacone. Pare sollevata quando le dico di averlo buttato via ma subito dopo con voce ansiosa e anche un po’ scettica mi consiglia uno psicologo. Fingo di segnarmi il numero, ringrazio e chiudo la chiamata. Bene.
Che altro? Juno. Devo sapere perché mi ha mentito.
Fisso il cordless che stringo ancora in mano e mi mordo il labbro. Improvvisamente il mio coraggio viene meno. Non sono sicura di riuscire ad affrontarlo con la giusta dose di fredda razionalità che mi serve. Ma non posso nemmeno stare qui a mordermi le labbra come una bambina impaurita.
Decido di lasciargli un messaggio, così deciderà lui quando richiamarmi. “Devo parlarti. È importante. Si tratta del cellulare” scrivo e poi invio. Forse non è stata una mossa brillante dirgli in anticipo che ho scoperto il suo imbroglio ma credo che da qualche parte il mio subconscio sta cercando di dargli modo di trovare una scusa plausibile. È assurdo ma è proprio così. Ho disperatamente bisogno di potermi fidare ancora di lui, almeno per un po’ e sono disposta anche ad illudermi e mettere tutto a repentaglio. Questo dovrebbe farmi capire quanto sono disperata.
E ora?
E ora lavoro al capitolo che abbiamo così faticosamente recuperato in Francia, sforzandomi di ignorare il ricordo del direttore e della ragazza che sono rimasti uccisi. Da domani mi metto subito alla ricerca del prossimo quadro, anzi dei prossimi due.
E intanto penso al modo migliore per affrontare tutti e tre e chiarire i troppi equivoci intorno alla mia vita.

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Capitolo 16
*** Il metodo Blendell ***


Sfoglio le pagine ancora bianche con un sospiro. Non credevo che ci avrei messo così tanto e ora non sono nemmeno sicura che le pagine che restano basteranno. Se penso poi che il nostro anniversario è quasi arrivato e a me manca ancora tanto della nostra storia…
Però ammetto che mi fa anche sorridere l’idea di avere così tanto in comune con mio marito. Il fidanzamento in realtà è stato brevissimo e a volte mi sono rammaricata di non aver potuto rimandare il matrimonio ancora un po’, mi sarebbe piaciuto fare un po’ di quelle cose che fanno i fidanzati. Non che da sposati ci siamo mai fatti mancare i nostri momenti ma è un’altra cosa, si sa. Ma non potevamo tornare al passato, dovevamo andare avanti.
In fondo io non avrei avuto che bugie da svelare al di là della mia famiglia e lui… be’ anche a lui ha i suoi scheletri nell’armadio e molti sono scheletri che fanno ancora paura. Lo so perché a volte lo sento gemere nel sonno nomi che dovrebbe aver dimenticato da tempo e che da sveglio non riesce a pronunciare. In quei momenti lo abbraccio forte e aspetto che si tranquillizzi, poi cerco di riaddormentarmi a mia volta, senza staccarmi da lui.
È questo forse il centro del nostro matrimonio, io sono un talismano per lui e lui è un talismano per me, qualcosa che tiene lontani i vecchi ricordi e cancella le brutte sensazioni, qualcosa come uno scaccia sogni che allontana i pensieri cupi e ci ricorda che in fondo siamo stati fortunati.
Ed è bello sapere di avere sempre un talismano con sé, e di esserlo per qualcuno. Ti fa sentire importante, ti fa sentire immortale quasi. O almeno è così che fa sentire me. 
Per questo il quaderno mi sembra il regalo perfetto. Non solo allontanerò i vecchi ricordi ma li neutralizzerò, distruggerò il loro potere malefico una volta per tutte. E forse riuscirò anche a cancellare quei gemiti nella notte, chissà. 
 
4 maggio 1997
Guardo fuori dalla finestra ancora una volta, cercando di scorgere l’imponente figura di Juno attraversare  la strada ma di lui ancora nessun segno. Maledizione è già in ritardo di un bel po’.
Ancora una volta, la trecentesima probabilmente, mi torna in mente il signor Bown. Anche lui fece ritardo quel giorno all’hotel e poi… oppure potrebbe essersi sentito scoperto e aver deciso di fuggire, vigliacco oltre che traditore…
Sbatto volontariamente la testa contro il vetro, imponendo alla mia mente di smetterla con questi stupidi film mentali. Juno sta solo ritardando, probabilmente perché vuole assicurarsi di non essere seguito oppure si è trattenuto a spiare Alex un altro po’. è il suo sospetto numero uno come cattivo in questa storia.
- Tesoro non stai per buttarti di sotto vero? Non sono brava a fare i discorsi in memoria di qualcuno al suo funerale e in qualità di tua migliore amica io sono sicura che…
- Non sto per buttarmi di sotto, Linda. Tu non dovevi essere già uscita? – le domando con un filo di apprensione spero ben mascherata. Non posso far salire Juno mentre lei è ancora in casa, come le spiego di avere per amico un energumeno di colore di cui non le ho mai parlato e di cui non può parlare a nessuno perché risulta essere morto per lo Stato italiano?
- Hai ragione, accidenti, sono in super ritardo. Grazie per avermelo ricordato. E grazie anche di tutto il resto se non dovessimo rivederci mai più.
- Linda! È il peggior saluto di prima mattina che abbia mai sentito!
- Lo so ma lavoro contro un potente Cardinale francese e corrotto. La peggior specie.
- E’ stato bello conoscerti in questo caso – la saluto e intanto mando un messaggio a Juno per dirgli di aspettare nelle scale.
- Alexis – mi chiama urlando però Linda prima ancora che abbia finito di scrivere il messaggio. La raggiungo, con una gran voglia di buttarla di forza nell’ascensore ma mi blocco non appena entrata in salotto.
- Il tuo vicino e il tuo professore sono sul tuo uscio. Ciao tesoro, divertiti – mi saluta di nuovo sventolando la mano e ridendo.
Accidenti, maledizione e tutte le imprecazioni di tutte le lingue che esistono e che esisteranno. Come glielo spiego adesso?
- Che cavolo ci fate qui voi due? – urlo chiudendo la porta.
- Sono venuto a portarti questo – dicono entrambi all’unisono. Non so se ridere o ucciderli di botte.
- Io ti ho portato questo e lui invece questo – ripete Giulio strappando alcuni fogli dalle mani di Alex e porgendomeli insieme a quelli che stringe tra le sue.
Li guardo rapidamente mentre invio un messaggio a Juno per dirgli di aspettare ancora. Prima caccio questi due, voglio parlare con lui a quattr’occhi.
Il primo plico è una pagina stampata da internet. È una lista di numeri lunghissimi che la tabella indica come IP.
Il secondo è invece una specie di mappa ma non di una città. Sembra più che altro la mappatura di una rete o qualcosa di simile. Anche in questo caso non capisco a cosa mi serva, quindi alzo lo sguardo sui due che stanno a fissarmi impalati vicino alla porta.
- Quello è di Alex – comincia a spiegare Giulio. Ha il tono più glaciale che gli ho mai sentito, nemmeno mio padre usa questa voce quando parla della suocera.
- Ho pensato che c’era anche qualcun altro a parte noi che poteva copiare dei file dal tuo computer e cioè un server remoto. Vuol dire che qualcuno può sfruttare la tua connessione per entrare nel computer e compiere alcune operazioni, in alcuni casi anche copiare dei file, e infatti, quella sera il tuo firewall ha bloccato l’accesso a una ventina di server che hanno cercato di distruggere le tue barriere – spiega infatti Alex, con voce fredda quasi quanto quella di Giulio.
Dovrei essere io quella furiosa con lui, quindi perché ha questa voce tetra?
- Ho provato a tracciare il percorso di quei server. Provengono tutti da un grosso pallino pieno di computer in un paesino sulla costa, vicino Roma, un posto che sulla carta è disabitato perché proprietà dell’esercito, nonché sede della Guardia Personale del Papa in persona. Perché dei soldati e delle guardie dovrebbero divertirsi ad entrare nel tuo computer?
Non dico nulla ma il mio cervello è in pieno fermento. Un posto disabitato, un covo di computer che non esiste. Alex ha ragione, deve averli trovati. La base di sicuro non è, non sarebbero così sprovveduti, ma solo una delle postazioni qui vicino. E poi questa storia è cominciata in America, la loro base dev’essere lì. Ma è un buon inizio. Potremmo far saltare la centrale o ciò che hanno costruito lì e guadagnare un po’ di tempo…
- Bene, grazie per l’impegno, ora andatevene. Casa mia è circondata di poliziotti, non dobbiamo farci vedere troppo insieme. Ragioneremo su tutto domani, a casa di Juno. Deve esserci anche lui. 
- Stai dimenticando la mia ricerca. Come mi hai fatto notare, sono in pochi a conoscere Rofferwaak e così ho pensato di fare un ricerca sull’originale del diario. Un pezzo così unico doveva essere da qualche parte e infatti l’ho trovato, diciamo. Fa parte da quasi cinquant’anni di una collezione privata ma non so ancora di chi, il conto è stato pagato da una società che non sono riuscito a rintracciare, credo che sia fittizia. Chi altri se non il capo di quei pazzi può pagare una montagna di soldi per quel libro?
- E’ un manoscritto molto antico, qualsiasi fanatico sarebbe potuto essere interessato.
- Si, ma cinquant’anni fa è poco prima che cominciassero gli omicidi. Pochi anni. Giusto il tempo di organizzare la cosa per benino. Forse è per questo che hanno agito solo ora, trovare la loro Bibbia ha dato vigore alle paranoie, tipo segno del destino…
- Va bene, è già qualcosa. Come si chiama la società?
- Paramount qualcosa. È stata aperta in Olanda se non sbaglio.
Annuisco distrattamente. Potrebbe essere un fiasco ma vale la pena provare. 
Devo assolutamente sapere contro chi combatto.
- E sul simbolo? – domando poi.
- E’ uno di quelli dei documenti, quello che rappresentava la firma in fondo ad ogni foglio. Non ho scoperto altro.
Rifletto un po’ cercando di dare un ordine alle informazioni apprese, sforzandomi di ignorare la presenza di entrambi così vicino a me. Non so nemmeno chi evitare di più tra i due. E sono tremendamente pentita di avergli affidato dei compiti. Ora che so che non posso fidarmi di nessuno dei due ho capito l’errore ma non posso semplicemente dirgli che la festa è finita, che non mi servono più…
- Bene, tu Giulio continua a cercare, deve esserci qualche traccia che ci faccia capire meglio contro chi stiamo combattendo. Il simbolo deve essere la chiave ma qualche vecchio testimone non mi dispiacerebbe. Tu Alex, cerca di capire meglio questo covo informatico… cos’è, se è registrato da qualche parte, a chi appartiene… Ci aggiorneremo in questi giorni. Via ora, tutti e due. E non ripresentatevi qui senza avvertire!
Se ne vanno senza dire una parola. Strano. Ma è meglio così adesso. Con Giulio voglio parlare da sola, quando si sarà calmato e con Alex… non so nemmeno se devo chiarire qualcosa con lui. In fondo se frequenta un certo tipo di donne non riguarda la missione e la vita privata deve essere necessariamente messa in stand-by…
Finalmente apro la porta a Juno che mi guarda torvo mentre entra. Gli faccio segno di accomodarsi e richiudo per bene.
- Era ora. Ho aspettato quasi un’ora in quelle scale – si lamenta sedendosi sul divano. È così strano vederlo a casa mia, non ci è mai entrato. È sempre rimasto nascosto il più possibile nella casa di Patricia.
- Mi dispiace ma Alex e Giulio avevano delle novità. Domani ci vediamo tutti a casa tua e ne parliamo. Ora devi prima spiegarmi un’altra cosa. Perché mi hai mentito?
Lui fa una faccia che non mi piace affatto. È colpevole e rassegnata. 
No! Non è così che deve fare! Deve essere incredulo e confuso e dirmi che mi sono sbagliata!
- Dovevo proteggerti. È per questo che sono in questa storia. Quel numero è molto importante ma è altrettanto importante che tu non sappia a chi appartiene, Alexis.
Ok, credo di essere io quella incredula e confusa ora. Pessimo inizio. Mi mente per proteggermi?
- Troppo tardi. So che è di una donna, una francese, che abita molto vicino al museo dove ci hanno quasi ammazzati e che ha chiamato proprio il museo. Ora dimmi tutta la verità Juno.
- Maledizione, avrei dovuto bruciarlo quel dannato foglietto. Però brava, hai imparato anche il trucco del cestino – si complimenta e per poco non gli salto addosso. Gli sembra il momento?
Però almeno ora so perché non ricordavo di aver preso quel foglietto, non l’avevo fatto. Era stato Juno, per impedirmi di collegare le due cose. Che stupida che sono stata.
- Per tutti questi anni ti sono stato vicino in questa storia, ti ho sempre aiutata. Ora devi fidarti di me ciecamente.
- Stronzate. Voglio sapere chi è quella donna, perché mi hai mentito e perché è saltata fuori proprio ora. Cos’ha a che fare con il quadro e l’attentato?
- Ha a che fare col quadro soltanto, non con l’attentato Alexis. Non puoi davvero aver pensato che…
- Non avrei mai pensato che mi avresti mentito e invece mi hai detto che era il numero di casa mia deviato su un ripetitore in Croazia! Dimmi chi è, Juno.
- Mi dispiace Alexis ma non posso farlo. Nat deve restare un segreto ancora per un po’. Meglio ancora per sempre. Ti sto chiedendo di fidarti di me come hai fatto finora. Come quando all’inizio ti obbligavo a fare delle cose che non sopportavi e che alla fine hai capito essere per te. Come quando ti ho impedito di tenere un diario ricordi? O di andare ai concerti su prenotazione o roba simile…
- Non è la stessa cosa Juno! Come faccio a fidarmi di te dopo che so che mi hai mentito? Diavolo, avremmo potuto morire e tu…
- Nat non c’entra con l’attentato Alexis. Lei è dalla nostra parte.
Non rispondo subito. Nat, così l’ha chiamata. Devo ricordarlo.
- Perché? Cosa ne sa lei di questa storia? Come facciamo ad essere sicuri che sia dei nostri? Che cosa mi hai nascosto Juno, e per quanto tempo? – domando dopo un po’. Mi sembra ancora impossibile che Juno mi abbia davvero mentito.
Lui non mi risponde e si copre gli occhi con le mani. Sembra terribilmente stanco. Io invece sono terribilmente stanca. Stanca di stare attenta, di indagare, di proteggermi. 
- Sono stanca, Juno. Stanca di non potermi fidare di nessuno. Perciò ti avverto che ho tracciato il percorso della telefonata e so dove abita questa Nat e se non me lo dici tu chi è la vado a cercare io di persona e le faccio sputare il vostro segreto, a costo di ucciderla. Sono stata chiara?
Spero proprio di sì perché ovviamente non è vero che ho tracciato la telefonata e quando ho provato a cercare l’indirizzo corrispondente al numero non è risultato nulla, come se non esistesse.
Lui intanto continua a non rispondermi e a tenersi le mani sugli occhi. Io vorrei lasciarmi cadere sul pavimento, ho le gambe così molli ormai, ma mi sto sforzando di resistere ancora un po’. Non sarei molto minacciosa svenuta nel mio salotto.
- Nat è il motivo per cui stai pubblicando il romanzo. Avevi ragione quando dicevi che tuo padre non ti avrebbe fatto rischiare la vita per pubblicare una storia che nessuno sapeva vera. Tutto il materiale che è stato pubblicato serviva a Nat, lei sa come usare il romanzo di tuo padre per collegare nomi e fatti per creare un fascicolo che renderà pubblico al momento giusto.
Credo di essere svenuta. Anzi no, ne sono sicura perché non conosco un’altra situazione in cui il mio corpo possa essere così scollegato da me e io sia ancora viva. Nemmeno il cervello reagisce. Niente, non una parola, un pensiero, il nulla.
Juno sapeva perché rischiavo la vita e non me l’ha mai detto. In tutti questi anni avrebbe potuto dare un senso al mio impegno e invece non l’ha fatto. 
- Sa contro chi combattiamo – riesco a dire dopo un po’. 
- No Alexis, non è così. Non sappiamo tutto, conosciamo solo qualche nome ma ci mancano quelli fondamentali. L’Organizzazione è enorme, lo sai, e noi conosciamo appena una decina di nomi, tutto il resto è un mistero, perciò non sarà conoscere quei nomi che ti terrebbe al sicuro da loro lo capisci? 
- Era comunque un passo avanti, avrei potuto fare delle ricerche…
- E’ proprio per questo che te l’ho tenuto nascosto. Sei una ragazzina ancora, Alexis, non puoi combattere contro di loro ma non sei ancora in grado di capirlo. Se ti avessi detto quei nomi avresti fatto qualche fesseria o al meglio avresti sprecato tempo ed energie per scoprire qualcosa che nemmeno i migliori agenti segreti sono riusciti a scoprire. Così ti ho protetta e ho protetto il tuo lavoro.
Di nuovo ammutolisco. Mi siedo pesantemente sulla poltrona senza parlare, anche se Juno mi fissa.
La sua storia è abbastanza assurda che sono abbastanza certa che sia la verità questa volta ma… non riesco lo stesso a crederci.
Avrei potuto sapere contro chi sto combattendo, forse avrei anche potuto salvare quelle vite innocenti e invece lui ha lasciato che morissero per proteggere il romanzo. Forse non siamo tanto migliori dell’Organizzazione in fondo.
- Andiamo Alexis, sai che ho ragione. E comunque non è il momento di farsi distrarre. Siamo a un passo dalla vittoria, ce l’abbiamo quasi fatta, non puoi permetterti di mollare ora. Non te lo permetterò.
Lo guardo intenzionata a fargli capire come mi sento ma richiudo la bocca senza dire niente. Non capirebbe comunque, è convinto di quello che dice, certo di averlo fatto per il mio bene. E forse ha anche ragione, non sarei stata pronta allora per conoscere i miei avversari. Ma ora sì e non c’è momento migliore per sapere qualcosa in più sulla mia vita.
- Bene. Ti darò un’altra possibilità allora. Alex ha scoperto una possibile specie di base vicino Roma, intendo andare a vedere di cosa si tratta. E voglio sapere chi sono i miei nemici.
- Ecco di cosa parlavo Alexis, sei ancora la ragazzina che devo proteggere. Lo capisci che non possiamo permetterci di scoprire le identità nascoste? Non è un gioco da ragazzi, non hai idea contro chi stiamo combattendo. Dammi retta, trova gli ultimi quadri, pubblica i capitoli mancanti e parti per le Hawaii senza ritorno. Siamo alla fine.
- Esatto Juno, siamo alla fine e io sono ancora all’inizio. Non so chi siano queste persone, non so perché fanno tutto questo. Non so nemmeno se faccio bene a nascondermi, magari scopro che invece loro sono i buoni e io la cattiva.
- Sai che non è così. Hanno ucciso delle persone.
- Anche Garibaldi ma lo ha fatto per la libertà. Voglio sapere i nomi che conosci, Juno.
- Per favore Alexis, dammi retta. Troviamo gli ultimi capitoli e poi ti prometto che ti accompagnerò personalmente da Nat e ti farò raccontare tutta la storia prima di imbarcarti definitivamente per la tua nuova vita. Aspetta solo un altro po’…
Lo fisso con aria di sfida, furiosa, ma lui non sembra essere molto disposto a cedere. E io non sono in grado di combattere ora. Quindi seguirò il metodo Blendell che finora ha avuto molto successo: cervello, fortuna e bugie vincono sempre.
Scoprirò quello che voglio sapere senza che Juno lo sappia. In fondo lui ha tradito me, non vedo perché non dovrei fare lo stesso.
- Ok, come vuoi. Aspetterò fino a quando avremo recuperato l’ultimo capitolo, ma non un giorno di più.
- Affare fatto. Quali erano le novità? – mi domanda sollevato. Illuso.
Gli racconto brevemente di Linda e lo vedo cambiare espressione e colore ad ogni parola, come previsto. Per fortuna però conviene anche con me che non potevo fare diversamente. Niente ramanzina per questa volta.
Però c’è anche un’altra cosa interessante. La faccia che ha fatto quando ho nominato le industrie Richelieu. Quella non era un’espressione prevista. Era la faccia di chi sente il nome di un vecchio nemico d’infanzia.
Tuttavia registro questa informazione senza fare domande. Sono quasi certa che mi abbia detto la verità questa volta ma questo non mi aiuta a fidarmi di lui. Sembra davvero intenzionato a proteggere questa Nat e so che farà di tutto per impedirmi di sapere di più. Che fortuna che mi abbia insegnato a mentire.
Poi gli racconto anche di quello che hanno trovato Giulio e Alex, senza accennare a quello che ho scoperto io su Alex. Gliene parlerò quando sarò sicura di quello che sta succedendo, inutile buttare legna sul fuoco fin da ora. E comunque non manderò giù tanto facilmente il suo inganno, da ora agisco come dico io. Gli dimostrerò che sono una donna, una maledettamente capace per giunta e che ha sbagliato a tenermi nascosta la sua amichetta.
- Davvero intendi andare a vedere di che si tratta? È una pessima idea, Alexis, praticamente un suicidio. E poi non è di certo dove tengono nascoste le prove dell’Organizzazione quindi a che scopo rischiare?
Lo fisso gelida per un po’, cercando di valutare a mia volta pro e contro, ma alla fine decido.
- Non vado lì per cercare prove ma per creare un po’ di scompiglio. Voglio far saltare quel posto, Juno. Anzi, ti dirò di più. Voglio far credere che ho fatto saltare quel posto così loro credono che io sia a Roma e intanto me ne resto qui a cercare quel dannato quadro. Il che vuol dire che sarai tu a far saltare il loro piccolo Internet Point.
Anche lui mi fissa in silenzio per un po’, decidendo se approvare o meno. È evidente che sia poco convinto ma non so più se fidarmi del suo giudizio. Mi ha mentito per tutti questi anni!
- Potrebbe anche riuscire, ma lo trovo comunque un’inutile perdita di tempo. Non è che lo ricostruiranno, ne renderanno attivo un altro, gli facciamo perdere al massimo mezza giornata.
Di nuovo sono io a non rispondere, perché so che ha ragione, ci ho pensato anch’io. La verità è che non riesco ad ignorare quella specie di centrale, voglio colpirli come hanno fatto loro con me, voglio fargli capire che so chi sono e dove cercarli. 
Che sono pericolosa.
Cerco di spiegarlo a Juno che continua a rimanere scettico ma sembra quasi accettare, seppur a denti stretti.
- Ne parliamo domani ai ragazzi e vediamo di organizzarci – concludo.
- Ma come farai a seguirli entrambi se io non ci sono?
- Non li seguirò entrambi infatti. Fino a che ci organizziamo e prepariamo tutto il necessario sono sicura che avremo capito se e chi dei due nasconde qualcosa. Tu andrai a Roma con quello sicuro e io intanto uccido quello stupido.
Annuisce lentamente, poi decide di andarsene prima che ritorni Linda. Poco prima di scomparire nell’ascensore aggiunge:
- Alexis, mi dispiace di averti tenuto nascosto qualcosa ma è fondamentale che non cerchi di rintracciare in nessun modo quella donna. Fidati del tuo vecchio maestro.
Mi sta praticamente implorando e per qualche attimo sento che la mia mente formula un “sì certo caro mio, ovvio che mi fido, mica posso affrontare tutto questo da sola…” ma alla fine non dico nulla. Annuisco appena e richiudo la porta.
Per quanto io abbia bisogno di lui, di potermi fidare di lui, quello che ho scoperto è troppo grosso per far finta di niente. Però vorrei lo stesso non averlo mai scoperto.
Passo il resto della mattinata a cercare il quadro in tutte le gallerie del mondo ma senza grandi risultati. Qualche vaga possibilità ma alla fine niente di concreto. Alla fine chiudo la pagina con un moto di rabbia e mi alzo per mangiare qualcosa.
Com’è possibile che un quadro svanisca nel nulla?
Mi è anche venuto il terribile sospetto che l’Organizzazione sia riuscita a metterci già le mani sopra ma alla fine mi sono tranquillizzata, anche se lo avessero preso ci sarebbe lo stesso una traccia da qualche parte fino a quando lo hanno acquistato.
Invece nulla, il nulla più assoluto.
Finito il mio magro pranzo, decido di chiamare mia madre, che ormai mi avrà data per morta. Infatti non appena sente la mia voce dall’altra parte della cornetta attacca una ramanzina infinita. Quando finalmente si è calmata mi racconta le novità.
- Qualche giorno fa è venuta la polizia a chiedermi di te Alexis, una polizia straniera… l’NBI o qualcosa del genere…
- CIA mamma, la polizia americana. Lo so, sono andati anche da Linda, avevo immaginato che fossero venuti anche da voi.
- Allora ti hanno scoperto anche loro? – mi domanda con la voce ridotta a un sibilo. Accidenti, non volevo che lo sapesse, ora non starà un attimo tranquilla.
- Non è che mi hanno scoperto anche loro mamma, è che fanno parte anche loro dell’Organizzazione per cui se mi trova una mi trova anche l’altra. Il problema è che se mettono in mezzo la CIA devo combattere contro due bestie ma sempre della stessa razza…
Lei non parla per un po’ ma capisco dal respiro la sua agitazione.
- Cosa vi hanno chiesto? Hanno lasciato detto qualche nome, un recapito…
- No, niente di niente. Hanno detto che era solo un controllo sulle persone con quel nome perché pare che una ricercata si chiami come te… ne hanno di fantasia però gli americani… 
- Va bene mamma, non preoccuparti, ho tutto sotto controllo. C’è Juno insieme a me, lui sa come fare per proteggermi. Se dovessero di nuovo farsi vivi però tu tienili alla larga, dì che se vogliono sapere altro devono chiamarmi e li incontrerò col mio avvocato ok?
- Va bene tesoro. Ma sei sicura di mangiare abbastanza? Hai una voce così debole…
Scoppio a ridere nella cornetta. È proprio mia madre. La figlia è ricercata e in pericolo di vita e lei si preoccupa che abbia mangiato abbastanza.
- Diciamo che mi manca la tua torta di mele. Comunque passo da voi un giorno di questi, se sono venuti a farvi delle domande sanno che siete i miei genitori, non c’è motivo di restare lontani, ok? così decidi se mi sono sciupata.
Lei sembra soddisfatta di questa notizia e cambia argomento raccontandomi gli ultimi pettegolezzi del quartiere, poi mi saluta ricordandosi che deve andare con papà a comprare alcune cose per il garage.
- Fate attenzione mamma, per favore. Attenti alle macchine che vi seguono, se qualcuno vi fissa un po’ troppo… ne abbiamo già parlato, non fatemi stare in pensiero… - le ricordo, con un nodo alla gola. Il pensiero della nostra piccola utilitaria verde in fiamme…
No, non devo lasciarmi impressionare dai miei stessi film mentali. Non gli accadrà niente. Spero.
Dopo aver chiuso la comunicazione do un’occhiata all’orologio e mi accorgo che è quasi ora del mio turno di sorveglianza. Chiamo Juno per sapere chi dei due inseguo oggi e scopro di essere di nuovo la guardia di Giulio.
Di nuovo non so se esserne felice o meno. Non voglio pensare a Giulio e a quello che è successo tra noi mentre ero drogata ma non so se voglio davvero vedere Alex con quella lì accanto…
Velocemente mi cambio e mi infilo in macchina, cercando sul palmare dove si trova Giulio. Una fortuna che la sua macchina abbia l’antifurto satellitare.
Il puntino rosso che indica la sua posizione compare a pochi isolati da casa mia, così mi dirigo verso quella zona e fisso attentamente le macchine parcheggiate finchè non la individuo. In divieto di sosta tra l’altro.
Scuotendo la testa cerco tra le facce dei passanti quella di Giulio ma non riesco a individuarlo. Mi concentro allora sui negozi, magari è entrato a fare compere, ma anche lì non vedo niente. Parcheggio e scruto i dintorni per un po’ ma di Giulio ancora nessuna traccia, e fisso la mappa sul palmare per cercare di capire dove può essere andato. Magari ha parcheggiato un po’ più lontano perché non ha trovato posto, anche se il fatto che sia in divieto mi fa capire che non ha perso molto tempo a cercare un vero parcheggio. Quindi o è qui vicino o aveva un appuntamento molto urgente…
Un appuntamento… dove può incontrare qualcuno un professore così rinomato? Analizzo ancora la mappa alla ricerca di qualche bar di un certo livello e ne trovo due. Mi dirigo verso entrambi ma né dentro né fuori riesco a trovarlo.
Faccio ancora qualche giro con la macchina nei dintorni, attenta a ogni passante anche se così facendo ho creato una fila lunghissima dietro di me. Ecco cosa fa il primo della fila di città, siamo un mondo di spie, penso con un sorrisetto.
Finalmente quando sto ormai per rinunciare, individuo una fisionomia familiare dietro la porta a vetri di un hotel sulla destra, seduto al bancone del bar vicino ad un altro tizio.
Parcheggio nel primo buco disponibile e mi avvicino a piedi all’hotel, tenendo il bavero della giacca più alto possibile e maledicendomi per aver dimenticato di prendere un cappello. Sarebbe stato utile per coprire la mia faccia.
Fingendo di esaminare una vetrina di dolci proprio accanto all’hotel, sbircio nella hall, cercando di restare alle spalle di quello che mi è sembrato Giulio. Visto da vicino in effetti è un po’ troppo robusto per essere lui e il cappello che indossa, oltre a non farmi vedere bene il suo profilo, non è assolutamente nello stile di Giulio. Per non parlare dell’hotel che sembra più una bettola adatta a incontri poco puliti che a colloqui di gente importante.
Poi il cameriere che sta servendo la coppia con il forse-Giulio si sposta e riesco a vedere bene il viso dell’interlocutore dell’uomo. È il tipo tarchiato ma elegante che aspettava di parlare con Giulio, quello col tatuaggio. Il che mi fa pensare quindi che quello che ha di fronte sia proprio Giulio anche se non capisco il suo strano aspetto.
E cosa ci fanno poi due uomini come loro in un albergo così squallido? Di certo c’erano mille altri posti più adatti nei dintorni… 
Mi avvicino sfacciatamente alla vetrata dell’hotel, fingendo di esaminare l’interno come se volessi una stanza. Devo capire se è Giulio o no ma di qui continuo a non riuscire a decidere. E poi voglio comunque ascoltare cosa dice il tipo tarchiato.
Se uno di quella classe incontra qualcuno in un posto così squallido, di solito è perché è coinvolto in affari altrettanto squallidi e visto che conosce Giulio…
Per fortuna i due sono seduti abbastanza vicino alla vetrata e le loro voci mi arrivano abbastanza comprensibili, anche se un po’ confuse.
- Abbiamo i giorni contati. Se arrivano prima di noi a quei documenti il Cardinale ci ucciderà tutti. Devi farlo fuori ora, una volta per tutte. E poi andremo avanti per la nostra strada – dice l’uomo che riconosco, quello che aspettava Giulio.
Il Cardinale? Eppure ero certa che carnevale fosse passato per quest’anno. Però ha parlato di uccidere. Chi ucciderà chi? Per che cosa hanno i giorni contati? 
E poi un ricordo mi blocca il respiro in gola. Il Cardinale è lo pseudonimo che mio padre usa nel suo libro per indicare il capo dell’Organizzazione.
Ad un tratto non voglio più sapere se quello lì davanti e Giulio, voglio scappare e dimenticare ciò che ho sentito. Perché se Giulio si nasconde come un delinquente per parlare con uno che parla di uccidere non potrò che pensare una sola spiegazione. E non riesco nemmeno a pensarci.
- Ci sto già lavorando. Tra due giorni al massimo sarà risolto, ho già un piano. Ma devi parlargli, ho bisogno di più tempo. Ancora non ce l’abbiamo.
Improvvisamente mi sento debole, come se mi fossi drogata di nuovo. Quella che ho sentito è proprio la voce di Giulio. E’ Giulio quello che si nasconde come un criminale con uno che parla di uccidere. E’ un incubo.
- Va bene, farò quello che posso. Ci rivediamo qui tra una settimana se il tuo piano è riuscito. Altrimenti spero che ti troverai bene all’inferno – conclude il tipo tarchiato e si allontana dal bancone.
Lo strano Giulio davanti a me finisce il contenuto del bicchiere e paga il conto, quindi fa una telefonata brevissima di cui non capisco le parole ed esce a sua volta dall’hotel.
Io resto a fissarlo mentre prosegue dritto verso la macchina di Giulio, ancora incapace di credere a quello che ho sentito. Eppure la voce era proprio la sua, nonostante lo strano aspetto. E proprio l’aspetto forse è la cosa più inquietante: se ha avuto la scaltrezza di imbottirsi per mascherare addirittura la fisionomia non è la prima volta che si nasconde, è un professionista.
Penso la parola con un senso di ribrezzo così forte da farmi venire il voltastomaco e all’improvviso decido di entrare nell’hotel. Ho bisogno di qualcosa di forte che cancelli questo sapore amaro e mi aiuti a ritrovare un po’ di lucidità.
Mi siedo al bancone, poi ordino una vodka liscia e sorrido sprezzante al barista che mi guarda indeciso, scegliendo se accontentarmi nonostante l’ora o no. Alla fine decide per il sì e mi allunga un bicchiere non troppo pieno insieme a una ciotola di noccioline e olive.
Sorseggio il drink con lo sguardo perso e infilo distrattamente in bocca un’oliva. Quindi alla fine, dopo tutti i miei sforzi, mi sono incasinata da sola. Il mio maestro mi tiene nascosta l’unica persona che conosce tutta la storia, il vicino ha una relazione segreta e il professore partecipi a incontri segreti con gente losca dall’aria molto ricca. Chi di loro tre appartiene infine ai Cattivi?
Un’altra lunga sorsata di vodka mi brucia la gola e lo stomaco e trattengo a stento un colpo di tosse. Il barista continua a spiarmi di sottecchi e non voglio che decida che devo andarmene prima di dare i numeri.
Anzi lo fisso con aria di sfida e ne bevo ancora un’altra lunga, lunga sorsata. Lui fa una smorfia di disapprovazione e torna ad asciugare i bicchieri con lo straccio, borbottando tra sé.
E ora come dovrei comportarmi? Devo affrontare Giulio? Aspettare e capire qual è il suo gioco?
Altro sorso di vodka, altro calore bruciante, altra idea. E se partissi all’improvviso e continuassi la mia missione da un qualche punto sperduto dell’Alaska o del Mali? Lontana da tutti e tre questi impostori, lontana dalle mani degli assassini, lontana da tutti quelli che devo proteggere e rappresentano così il mio punto debole…
Sarebbe perfetto, solo che è irrealizzabile. Non posso semplicemente sparire e sperare che nessuno faccia domande. E poi non riesco a trovare questo dannato quadro qui, figuriamoci da qualche buco sperduto e puzzolente in Africa.
Altra sorsata, altro fiotto di scoraggiamento. Non so bene dove ho fallito ultimamente, ma ormai è evidente che ho perso. Magari potrei fare harakiri come i giapponesi, l’ultimo gesto di coraggio, il suicidio.
Mi metto in bocca una manciata di noccioline, alla maniera in cui lo farebbe un camionista, e colgo un’altra smorfia di disgusto del barista che continua a fissarmi di soppiatto. Quasi mi soffoco nel tentativo di smorzare una risata. Di sicuro, di tutti gli avventori di questa bettola io sono la più originale. Donna, di aspetto abbastanza elegante ma non criminale, che beve vodka come una russa e mangia noccioline come un camionista.
Di nuovo mi sale su una risata divertita e stavolta non riesco a fermarmi. Quello mi lancia un’altra occhiata e abbassa di nuovo la testa sui bicchieri. Però un’intuizione mi si è accesa nel cervello. Io sono originale perché sono nuova ma i clienti abituali il barista li conosce sempre…
- Lei pensa male di me vero? – gli domando, facendolo trasalire.
- Non penso nulla. Ognuno è libero di fare come crede – risponde laconico senza alzare lo sguardo.
- Lei è un pessimo bugiardo. È evidente che sta pensando male del mio drink. Eppure non mi è sembrato che facesse tante storie a quei due signori che erano qui poco fa. E uno dei due beveva martini. Solo perché sono una donna non crede che regga l’alcool?
Lui sembra pensarci qualche secondo, poi fa spallucce.
- Quei due signori sono un altro tipo di persone. Vuole qualche patatina con quello?
Sebbene il tono sia casuale non mi è sfuggita l’occhiata nervosa che ha lanciato in giro mentre parlava. Deve essere un vero brutto ceffo, questo signore. E parlava con il mio complice. Splendido.
- No, altra vodka invece. E altre noccioline. A me non sembravano affatto delinquenti, credo invece che lei sia proprio un gran sessista schifoso – replico, cercando di biascicare un po’ le parole, come se cominciassi ad essere non troppo lucida. Magari diventa più loquace se crede che non ricorderò nulla della conversazione.
- L’abito non fa il monaco. E quello è il peggior pastore del mondo.
- Dice sul serio? Erano preti?
Lui mi squadra e finalmente si avvicina a me, appoggia i gomiti sul bancone e si sporge verso di me con aria confidenziale.
- E’ una giornalista vero?
Rifletto un po’ prima di rispondere. Qualcuno è già venuto a fare domande forse?
- Non esattamente. 
Lui sembra riflettere un po’, poi mi sorride.
- Bene, sa cosa? Lasci perdere la vodka. Le darò io uno scoop interessante. Quello che ha visto uscire da qui è il signor Elvigio Severo Terenzio, un vescovo della santissima Chiesa insieme al suo protetto. E quando non recita messa, è un…
La porta che si apre distrae il tipo che non finisce la frase e se ne va in cucina. Maledizione. Un? 
Aspetto un po’ per vedere se torna ma il cameriere sembra scomparso. Mi allungo per sbirciare la porta che da sul retro ma non riesco a vederlo. Dopo parecchi minuti finalmente il cameriere torna al banco ma mi ignora completamente. Ha lo sguardo spaventato. Forse qualcuno l’ha sentito spettegolare e gli ordinato di smetterla.
Maledizione.
Mi alzo per tornare a casa e affrontare la questione direttamente con Giulio ma la mia testa si mette a girare lentamente e la stanza prende ad ondeggiare. Credo che la vodka stia cominciando a fare effetto, avrei dovuto accettarle quelle patatine.
Mi ficco in bocca un’altra manciata di noccioline e, molto lentamente, mi alzo e cerco il bagno, forse un po’ d’acqua fresca mi sarà d’aiuto. Non vedo cartelli nella stanza ma c’è un piccolo corridoio sulla sinistra, forse il bagno e lì.
Ancora più lentamente, cerco di arrancare fino al corridoio e finalmente trovo la porta del bagno. Ma nello stesso momento, smetto subito di averne bisogno. 
Appeso alla parete, proprio accanto alla porta del bagno, c’è il quadro di mio padre, proprio quello che non riuscivo a trovare.
Nonostante la vodka, cerco di pensare mentre il mio cuore fa un balzo di felicità. Come faccio a portarlo via da qui? Non posso semplicemente staccarlo e andarmene con un quadro sotto braccio…
- Oh, mi scusi signorina – esclama un tizio mentre mi viene addosso.
L’urto non è stato fortissimo ma il mio equilibrio reso molto precario dalla vodka cede immediatamente e sarei caduta se il tipo stesso non mi avesse trattenuto per il braccio.
- Grazie, non importa. Ero al centro del corridoio – mi scuso a mia volta con un sorriso, poi mi volto di nuovo verso il quadro solo che non posso. Il tipo continua a stringermi il braccio.
Lo fisso cercando di capire che problema abbia, mentre nel mio corpo l’intero sistema di allarme comincia a suonare all’impazzata. È un asiatico di età indefinibile, con una voce che indica però più un uomo che un ragazzo, e un sorriso bonario. Mi fa venire in mente Jackie Chan. Solo che non credo che sia la sua saggezza che lo spinge a trattenermi il braccio.
- Ora sono in piedi, grazie, può lasciarmi…
- Non credo signorina, non mi sembra affatto lucida. Perché invece non viene con me di sopra e aspetta di essere…
Gli pianto il gomito nella gola e finalmente mi lascia andare il braccio, momentaneamente stordito e senza fiato.
Strappo il quadro dalla parete e cerco di superare il tipo con un balzo ma lui intanto si è ripreso abbastanza da afferrarmi per i capelli e sbattermi contro il muro. Lascio la presa sul quadro mentre un milione di stelline colorate mi esplode in testa e mi mordo forte la lingua. A fatica, sia per la botta che per la vodka, cerco di rimettermi in piedi e colpire di nuovo l’uomo ma i miei movimenti sono troppo lenti e deboli e quello li schiva facilmente, poi mi afferra di nuovo per le braccia e me le torce dietro la schiena, mentre con l’altra mano soffoca il mio grido di dolore.
- Come le dicevo, signorina, è meglio che mi segua di sopra se non vuole farsi male.
Senza lasciarmi né le braccia né la bocca mi trascina oltre l’angolo del corridoio e mi infila nell’ascensore. Quando le porte si sono chiuse dietro di noi mi libera la bocca e preme il tasto del primo piano mentre riprendo fiato. Non cerco nemmeno di liberarmi, sarebbe inutile in ascensore. Però cerco di pensare.
Non posso credere che sia una coincidenza che Giulio si traveste per venire qui dove c’è il mio quadro a parlare di omicidi e che il Maestro qui compare poco dopo, proprio quando ho trovato il quadro… 
L’ascensore emette un trillo e le porte si spalancano. L’uomo mi strattona per i polsi e mi trascina lungo un corridoio deserto fino alla stanza numero 21, quindi bussa e non appena qualcuno apre la porta mi ci spinge dentro.
Mi accorgo che ci sono altre persone nella stanza, due in vista ma sento dei rumori provenire da un’altra porta chiusa alla mia destra. Senza che abbia il tempo di vedere altro, Jackie Chan mi strattona di nuovo e mi fa sedere di forza su una sedia quasi al centro della stanza, di fronte alla porta chiusa, poi uno dei due nella stanza, un tipo biondino dall’aria fin troppo curata, mi si avvicina.
- Finalmente abbiamo il piacere di incontrarci, signorina Blendell. Lei non immagina da quanto tempo la sto cercando – mi dice.
La sua voce melliflua e controllata ha un che di viscido che mi fa rabbrividire, ma mi limito a fissarlo con odio, aspettando che vada avanti.
- Lei non sa chi sono io, suppongo, quindi comincerò col presentarmi. Mi chiamo Jack Malone e sono il responsabile dell’unità della CIA americana che lavora al suo… caso. Le va di farci una bella chiacchierata? 
Mentre lo dice esce dalla tasca il tesserino e mi mostra il distintivo, come se la sola vista di quel pezzetto di ferro potesse convincermi a parlare. Devono ritenermi proprio un’idiota. 
- Io e i miei superiori crediamo che lei sia in possesso di importanti informazioni riguardo una certa Organizzazione segreta e vorrei che lei mi consegnasse queste informazioni. 
Per tutta risposta gli sputo sulle scarpe lucide e torno a fissarlo, sperando di potergli mandare una qualche saetta elettrica che stordisca l’ultimo neurone che deve essergli rimasto appiccicato sotto tutta la gelatina che ha tra i capelli.
- Come inizio poteva essere migliore, ma sono sicuro che quando avrà ascoltato la nostra offerta si renderà conto che conviene anche a lei collaborare. Provi a pensarci. Potremmo assicurare una protezione costante per il resto della sua vita e dei suoi familiari, potrebbe smettere di nascondersi e vivere una vita normale.
Si zittisce, aspettando forse la mia risposta che ovviamente non arriverà. Intanto cerco di pensare a un modo per liberarmi ma la mia attenzione viene catturata da un altro tizio che entra nella stanza proprio in quel momento con il quadro tra le mani.
Cerco di trattenere al meglio un sospiro angosciato. Se prendono quei fogli sarà davvero finita, nemmeno Juno potrà portare a termine il mio compito, tutti questi anni di sacrificio saranno inutili…
- L’accordo che le propongo è che lei ci da tutto ciò che possiede riguardo questa faccenda e dimentica di averne mai sentito parlare e noi in cambio chiudiamo un occhio sui reati che lei ha commesso e le offriamo anche una nuova vita, libera da tutto e tutti in qualsiasi punto del pianeta lei decida di abitare.
Mi guarda di nuovo, con un sorrisetto che vorrebbe essere invitante. Credo che sto per vomitare.
- Considerando i soldi di cui dispongo e gli alberghi pidocchiosi in cui dovete nascondervi voi, credo che mi convenga la vita che ho già. Anzi, se fossi in lei, farei qualche accordo in meno e userei quei soldi per un nuovo parrucchiere. Sembra che porti un parrucchino, di pessima fattura tra l’altro…
Lui, inaspettatamente, scoppia a ridere, un suono tremendo come la sua voce. Mi fa pensare a un coniglio che squittisce. Che orrore. Non posso permettere che la mia missione fallisca per colpa di un coniglio col parrucchino.
- Visto che mi sembra un po’ timida, comincerò io. Lei fa parte di una organizzazione criminale non meglio identificata coinvolta in una lunga serie di omicidi. Io sono quello che ha avuto il compito di arrestarla e farsi consegnare tutto quello che ha, e che sa, su questa organizzazione. Se collabora, forse evita il braccio della morte a breve scadenza.
Scoppio a ridere. È una risata orribile, nervosa e sfiatata ma non posso trattenermi. 
- E’ questo che farete credere a tutti? Che la pazza sono io? 
Devo ammettere che sono un po’ delusa. Mi aspettavo qualcosa di più originale. Sembra un copione riciclato.
- E cosa dovremmo credere invece, signorina? Che una organizzazione di esaltati le ha gentilmente concesso un accesso illimitato a documenti riguardanti i loro crimini per scrivere il suo romanzo?
Accidenti, l’hanno pensata nel dettaglio, però. Poco originali ma molto accurati, devo ammetterlo.
- Se siete così sicuri che sia una pericolosa criminale, perché non mi avete arrestata invece di tendermi un agguato? – insinuo. E sono felice che la mia voce risuoni ancora spavalda e ferma perché dentro mi sento di gelatina. 
- Come le ho detto, sono sicuro che lei ha molto più in mano di quello che ha pubblicato, perciò le propongo un accordo non proprio… ufficiale. Lei mi da i nomi dei pezzi grossi e io intercedo per la sua salvezza. Il carcere a vita è sempre meglio di un’iniezione letale.
- Perdonatemi ma sono confusa. Visto che ci siamo solo noi, che senso ha tutta questa messa in scena?
Ed è la verità, non capisco perché insista su questa farsa. Siamo soli, a parte i suoi stessi uomini. O forse non sono tutti suoi uomini? Forse alcuni sono solo agenti ignari di tutto e lui sta cercando di provocarmi così da avere una scusa per farmi sparire… ma perché fare tutta questa fatica? Non poteva organizzare una squadra dei suoi, spararmi e farla finita? In fondo Jackie Chan bastava e avanzava a fermarmi…
- Sappiamo entrambi che non sono io la matta qui, e che non vi dirò niente. Quindi cosa stiamo aspettando?
Malone sorride, un sorriso ebete che solo un agente del genere può esibire, e fa un cenno a uno degli agenti fermi a guardare. La camera piomba nel buio quando il tizio chiude le finestre e subito dopo un quadrato di luce bianca illumina la parete di fronte a me, appena a sinistra della porta.
- Voglio farle vedere una cosa. Le mostrerò una serie di immagini e poi ne discuteremo insieme.
Fa un altro cenno all’agente che schiaccia un pulsante con un clic e una prima immagine riempie il quadrato di luce. È la foto di uno schermo di computer sul quale è aperta una mail, datata meno di un anno fa.
- “Ho trovato come rimediare. Cerca Alexis Blendell, ha quello che ci serve” – legge ad alta voce Malone.
Un altro clic e l’immagine sembra scivolare sulla parete per essere sostituita da un’altra. È quasi la stessa immagine di prima ma la mail è diversa.
- “Devi trovarla per forza, dobbiamo sapere tutto quello che sa. Potrebbe essere la chiave” – legge ancora, con lo stesso tono incolore. Io cerco di non mostrarmi affatto colpita ma non credo di esserci riuscita.
Di chi sono queste mail? E per chi sono? Perché mi cerca proprio ora? 
Altro clic, altra mail. 
- “Cerca ancora. Sono certo che sia ancora viva. Gli obiettivi sono ancora pochi, poi sarà tutto finito. Dobbiamo trovarla prima” – legge ancora.
Si zittisce per qualche secondo e io fisso il suo sguardo nella luce fioca del proiettore, sfidandolo a continuare. 
Malone ricambia il mio sguardo, sembra sul punto di dire qualcosa ma cambia idea e fa cenno all’agente di proseguire.
- “Copertura saltata. Parto come previsto. E uccidi quella maledetta” – legge ancora, sottolineando l’ultima frase.
Un brivido mi scende lungo la schiena mentre pronuncia “uccidi” ma cerco di nasconderlo e fisso di nuovo Malone con aria di sfida. Tutto questo conferma solo quello che sapevo già, non mi convincerà certo a collaborare. 
Sono decisamente confusa. Talmente confusa da aver quasi dimenticato la paura.
- Le mail che ha letto, signorina, le ha spedite un nostro agente ad una persona ancora sconosciuta. Ora quell’agente è morto e il suo ultimo messaggio è stato questo – si interrompe e fa un altro cenno.
Sul muro appare un’immagine diversa dalle precedenti. È la foto di un corpo riverso sul volante di un’auto, chiaramente morto. Stranamente però il braccio sinistro dell’uomo è disteso e l’indice sfiora il vetro del parabrezza dove si legge ben nitida, poiché il vetro è appannato, la scritta “AB2370098643112”.
Ora sì che sono confusa. Che significa? 
- Quello è un codice che le appartiene signorina, e il mio collega voleva farci capire chi è stato il suo assassino. Era riuscito a trovarla e lei l’ha ucciso prima che potesse arrestarla. Cristallino, direi.
Spalanco gli occhi nel buio, colpita dalla serietà con cui dice queste assurdità.
Possibile che questo idiota sia davvero convinto di quello che dice? Che qualcun altro l’abbia mandato a fare il lavoro sporco, rifilandogli una storiella da poco per convincerlo ad eliminarmi?
- E per quale motivo ha scritto un codice invece che nome e cognome, di grazia? Vi risparmiereste il fastidio. E poi io non conosco quel codice. Perché mi apparterrebbe? – insinuo, con tono volutamente sarcastico.
- Il motivo non la riguarda, il punto è che quel codice ci ha portato a lei, quindi su di lei pende un’accusa di omicidio premeditato. Ora è più disposta a raccontarmi…
Malone non riesce a finire la frase perché un tonfo sordo lo interrompe, poi qualcosa lo colpisce e stramazza a terra. Chiudo gli occhi e non riesco a trattenere un urlo, certa che l’Organizzazione abbia deciso di chiudere la faccenda.
Inspiegabilmente invece sento Jackie Chan allentare la presa su di me per difendersi e ne approfitto per lanciarmi per terra.
Se riesco ad arrivare al proiettore e spegnerlo, potrò fuggire con l’aiuto del buio.
Striscio velocemente verso l’agente col telecomando ma non riesco a trattenere un urlo di dolore nel muovere le braccia e chiunque sia entrato lo sente, perché qualche secondo dopo incombe su di me e mi tira su per il braccio, strappandomi un altro gemito.
Registro in preda al terrore che il tipo è vestito proprio come Tuta Nera e i suoi compari all’hotel. Avevo ragione. È davvero finita. Malone non era che una pedina e visto che la tirava per le lunghe…
Istintivamente comunque, cerco di colpirlo al viso per liberarmi ma le braccia intorpidite reagiscono con lentezza e l’uomo schiva il colpo e mi blocca di nuovo le mani. 
- Alexis smettila! Sono io, Alex! Dobbiamo fuggire di qui, presto! – mi incita la voce proveniente da sotto il passamontagna.
Ed è proprio la sua voce! Poi Alex si toglie la maschera e vedo che è lui in carne ed ossa. Sembra un miracolo.
Anche se stordita e ancora dolorante lo seguo verso l’uscita, poi lo strattono.
- Alex hanno il quadro! Dobbiamo prendere i fogli!
- Non c’è tempo per il quadro, Alexis, dobbiamo andarcene, presto si riprenderanno e non avranno problemi ad ucciderci.
Io però non posso lasciare quei fogli, senza questo capitolo non potrò pubblicare il prossimo… cerco di liberarmi dalla presa di Alex e individuare il quadro nella luce fioca, mentre lui continua a tirarmi verso la porta.
Poi la luce improvvisamente si accende. Un agente è riuscito a trascinarsi fino all’interruttore.
- Agente Beckett, cosa diavolo…? 
Alex fa una strana espressione, poi spara al petto dell’uomo che si accascia con un gorgoglio.
- Andiamo via di qui.

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Capitolo 17
*** Il metodo Blendell II ***


- Che cosa vuol dire “agente” Beckett? Perché gli hai sparato? Che diavolo mi stai nascondendo? – urlo istericamente.
Siamo in una macchina che non ho mai visto, sparati a quasi centocinquanta chilometri orari su una strada piena di curve. Se non fossi così agitata starei di sicuro vomitando dappertutto, è come stare su una giostra impazzita.
- Alexis, calmati ora. Ti spiegherò tutto più tardi, quando saremo a casa. Ora cerca di capire se ci inseguono.
Il suo tono è calmo ma è evidente che non lo è affatto. Lo fisso per qualche minuto, indecisa se pretendere delle risposte subito oppure aspettare di calmarmi davvero. Scelgo la seconda.
Riprendo lentamente fiato, massaggiandomi le braccia ancora intorpidite. Non riesco ancora a credere a quello che mi è successo nell’ultima ora e mi sento malissimo. Ho bisogno di un’aspirina.
Quando è certo che non ci stanno inseguendo Alex comincia a tornare verso casa mia. Parcheggiamo poco distante e mi sorregge delicatamente per tutto il tragitto, fino a che non mi siedo sul divano.
- Preparo qualcosa da bere. Cosa preferisci? – mi domanda.
- Dammi solo dell’acqua con un’aspirina. E rispondi alle mie domande.
Lui annuisce e va in cucina senza rispondere a nulla. Lo sento preparare il caffè e sto per ripetere la domanda ma mi trattengo, voglio guardarlo in faccia mentre risponde. Perché per ora io riesco a pensare una sola ragione per cui un agente della CIA chiama lui agente.
Finalmente lo sento andare in bagno, alla ricerca del medicinale. Grazie al cielo, ho la testa che mi scoppia.
Quando ritorna viene direttamente da me col bicchiere d’acqua in una mano e l’aspirina nell’altra, me le porge e si siede accanto a me.
- Credo di doverti dire una cosa – comincia.
La sua espressione è serissima e questo mi fa agitare ancora di più. Per un terribile momento sono certa che sta per dirmi che fa parte dell’organizzazione e che ora deve…
- Non sono stato del tutto sincero con te.
Trattengo il fiato ma non dico niente e continuo a fissarlo mentre l’aspirina sfrigola nel bicchiere. Non so se voglio sentire il resto.
- Prima di venire qui e conoscerti la mia vita era… molto complicata e il lavoro come agente di sicurezza non era l’unico che svolgevo.
Stringo con forza il bicchiere tra le mani mentre il mio cervello anticipa la sua rivelazione.
Faccio parte dell’Organizzazione, dice nella mia testa. Devo ucciderti, dice. Distruggerò ogni prova, dice.
- Mi hanno chiamato agente Beckett perché sono un agente della CIA.
Il respiro mi si blocca e la mano mi trema tanto che Alex è costretto ad afferrare il bicchiere per evitare che si frantumi per terra. Lo poggia sul pavimento accanto ai miei piedi e mi fissa.
Io continuo a non rispondere perché devo ancora elaborare l’informazione.
Alex è un agente americano. È una spia in pratica. È arrivato col compito di uccidermi. Mi torna in mente l’ultima mail che Malone mi ha mostrato. “Uccidi quella maledetta” diceva. Da un agente a un altro agente.
- Alcuni mesi fa sono stato congedato per un anno di terapia dopo che il mio migliore amico è morto in servizio. Per questo mi sono trasferito qui, mi hanno obbligato ad allontanarmi fino a quando non fossi tornato operativo, ma quando sono arrivato ti ho incontrata.
- Alex non dirmi altre stronzate sul colpo di fulmine perché… - comincio ma lui mi ferma con un gesto della mano.
- Poche settimane prima che morisse, Dirk mi aveva chiesto di incontrarci e mi aveva parlato del suo ultimo caso perché c’era qualcosa che non riusciva a capire. Era un caso di incidente sospetto e aveva notato delle somiglianze con un vecchio caso che un collega di suo padre aveva seguito anni fa. Una serie di incidenti sospetti.
Ascolto Alex col fiato sospeso, intuendo cosa sta per raccontare. Il caso che seguiva Drake.
- E’ un caso che conosci già quindi non starò a rispiegartelo. Stranamente però, tutto il materiale relativo a quel caso è misteriosamente scomparso e sembra che nessun altro se lo ricordi. Inoltre da quando ha cominciato a fare le indagini ha ricevuto troppe pressioni per chiudere la faccenda come incidente perché fosse vero e ha cominciato a indagare di nascosto fino a che si è imbattuto in un nome, l’unico che avrebbe potuto dare un senso a tutta la faccenda. Il tuo, Alexis.
Fa una pausa, a corto di fiato, ma non ne approfitto. In questo momento mi sento come svuotata. Soprattutto non so se credergli.
- Allora ha pensato di chiedermi aiuto e mi ha mandato alcune mail per chiedermi se potessi rintracciarti ma non sono riuscito a trovare niente, tu risultavi morta nell’incidente e poi lui è morto e io sono stato spedito qui. E quando ti ho incontrato per caso a quella festa non ho potuto fare a meno… il resto lo sai già. Dovevo scoprire perché Dirk è morto, Alexis.
Continuo a non rispondere e a fissarlo attonita. L’aspirina ha smesso di sfrigolare ai miei piedi ma non la raccolgo e cerco invece di assorbire questa nuova versione.
- Mi stai dicendo che è un puro caso che ci siamo incontrati?
- Esatto. E so che avrei dovuto dirtelo prima ma…
- E secondo te dovrei crederci? - lo interrompo.
Mi rendo conto che la mia voce ha assunto un suono stridulo e strozzato ma non me ne curo. Sono troppo sconvolta per pensarci ora. Alex è una spia!
- Per tutto questo tempo mi hai mentito, ingannata…
La mia voce, che voleva essere imperiosa e terrificante, è appena un sibilo privo di energia. Anche se sapevo che mi nascondeva qualcosa, anche se centinaia di volte mi sono chiesta se uno dei miei complici non fosse una spia, non avevo mai creduto che fosse davvero così. Che stupida.
- Mai, Alexis. Non sono più un agente per molto tempo e per il resto… non ti ho ingannata. Ho tradito la tua fiducia, lo so e non sai quanto mi dispiace ma non ti ho ingannata nemmeno per un momento…
- Hai lasciato che uccidessero quelle persone in Francia! – sbraito all’improvviso, mentre la rabbia cresce ad ondate e finalmente mi torna qualche energia.
- No! Alexis, non pensarlo nemmeno. Nessuno della CIA sa che ti conosco, per questo ho dovuto sparare a Truster. Loro non sanno niente di me o di te o della tua missione. Di me puoi…
Il suono secco della mia mano sulla sua faccia interrompe la frase. Se sento un’altra volta la parola fiducia gli stacco la testa a suon di schiaffi.
Dimentica della stanchezza e dell’aspirina lo aggredisco sbraitando una caterva di rimproveri e imprecazioni, sforzandomi di non colpirlo ancora. Lui non risponde e si limita a fissarmi con aria più che colpevole, angosciata quasi. Ma questo non basta certo a fermarmi.
Se penso a tutte le fesserie che mi ha rifilato, a tutte le moine che… come ho potuto cascarci? Come ho potuto essere così idiota da credergli? E lui, come ha potuto prendermi in giro, umiliarmi e tradirmi in questo modo?
Avrei dovuto sparargli un colpo in testa la prima volta che l’ho visto. Il mio istinto me lo diceva di stargli alla larga e il mio istinto è infallibile. Quasi ho voglia di prendere a calci me stessa per quanto sono stata stupida.
- Sparisci immediatamente dalla mia vista, schifoso viscido traditore che non sei altro. Non voglio mai più vederti vivo – sottolineo l’ultima parola.
Ancora non so se credere o meno alla sua versione ma non è che cambi molto. Mi ha mentito, ingannata e tradita e questo è sufficiente per una condanna a morte istantanea. E non sarà la mia incapacità momentanea a impedirmi di ammazzarlo, chiamerò Juno non appena si è tolto dai piedi e gli spiegherò tutto. Lui saprà cosa…
- Alexis per favore, cerca di ragionare. Devo sapere chi ha ucciso Dirk e voglio restare al tuo fianco fino alla fine… - insiste intanto lui, interrompendo il filo dei miei pensieri.
Questa volta non lo schiaffeggio. Gli tiro un pugno.
Dopo quello che mi ha raccontato ha ancora il coraggio di continuare con le sue moine? Ha proprio deciso di voler morire oggi questo imbecille. Bene, almeno su questo siamo d’accordo.
Improvvisamente gli occhi cominciano a pizzicarmi e respirare mi riesce difficile e mi volto per non farmi vedere così. Non lo sopporterei. Io sono Alexis la Terribile, non piango per i traditori, li elimino.
Il suono del campanello interrompe la mia sfuriata.
Lancio un’occhiata ad Alex che sembra spaventato quanto me. Di sicuro è la CIA che ci ha rintracciato. Prendo la pistola che mi porge Alex, attenta a non sfiorare le sue dita, e mi avvicino alla porta con cautela.
Lentamente alzo il dischetto dello spioncino e mi affaccio, con un tremito, poi sospiro.
- Linda! Come mai già di ritorno? – domando mentre lei entra in casa come un uragano.
- E’ successa una cosa pazzesca Alexis, anche se te la racconto non ci crederai mai! Non mi era mai successa una cosa simile, è assurdo, ancora non posso credere che… oh, c’è lui – mi avverte indicando Alex sul divano.
- E’ sul mio divano Linda, lo vedo – replico sarcastica.
Ma Linda non risponde e fissa ora me ora Alex cercando di capire cosa sta succedendo. Poi si riscuote, decidendo forse che la sua novità è più importante di quello che succede tra noi due, quindi lancia la borsa che finisce in un angolo della stanza, rovesciandosi per terra per metà.
- Mi dispiace di avervi interrotto ma non posso aspettare. Devo partire immediatamente, non so nemmeno per dove perché sono in grave pericolo…
Registro l’informazione spalancando gli occhi ma qualcosa non va. Non ha proprio l’aria di una spaventata a morte.
- Non è meraviglioso? Sono una Protetta! Mi dovrò muovere in incognito e fare quelle cose da persona importante in possesso di informazioni cruciali…
Chiudo gli occhi, trattenendo a stento un sorriso. Non mi ero sbagliata, la mia amica è contenta di rischiare la vita. E questa dovrebbe essere il nuovo avvocato brillante. Il mondo è praticamente spacciato.
- Ed è proprio così, sono importante! Sono il miglior avvocato del mondo! Si tratta di quelle industrie ricordi? Non ne sono ancora sicura ma…
Intanto si è allontanata verso il bagno e quello che dice dopo non riesco a capirlo.
Mentre aspetto che ritorni in salotto per poter parlare meglio, approfitto che Linda non possa ascoltare per rivolgermi di nuovo ad Alex, che non si è più mosso dopo un breve saluto a Linda.
- Vattene. Non so se dici la verità o meno ma non ti voglio nella mia squadra. Se sei un nemico ti riprenderanno, se eri un amico ti uccideranno. Ad essere sincera, non mi importa un accidente. Ma non voglio più vederti.
Non è proprio la verità ma non posso fare altrimenti. Perché per quanta voglia abbia di strozzarlo con le mie mani, non posso farlo sperando che nessuno se ne accorga, soprattutto con Linda testimone.
- Ti prego Alexis, almeno stammi a sentire fino alla fine. C’è ancora una cosa di cui volevo… -  insiste ancora.
Mi limito a fissarlo, senza preoccuparmi di nascondere la smorfia di disgusto che so di avere in faccia, e a zittirlo con la mano. Non voglio sentire mai più nemmeno il suono della sua voce.
Lui cerca di nuovo di replicare ma lo zittisco  di nuovo con la mano. Prova infine con uno dei suoi sguardi colpevoli ma mi sforzo di voltarmi e ignorarlo. Non permetterò ai miei ormoni di mandare tutto all’aria. Di nuovo.
- E’ inutile parlarne ora. Capisco che ti senti offesa ma… se solo tu mi ascoltassi, se cercassi di capire…
Non rispondo e non mi volto a guardarlo. Non so quanto potrò resistere all’istinto omicida che mi sta montando dentro, è meglio per lui se sparisce all’istante, come in un fumetto.
Sento che finalmente si alza. Mi sembra assurdo che finisca così, dopo quello che abbiamo passato… mi tornano in mente tutte le litigate, tutte le sfuriate, quella sera dopo la cena con Giulio, quando noi…
Gli occhi però si riempiono di lacrime e scaccio questi pensieri. Non è il momento e comunque non per Alex.
Eppure non riesco a smettere di piangere mentre anche la gola, lentamente, sembra restringersi e bloccare il passaggio dell’aria. Tossisco un paio di volte, con gli occhi che non smettono di lacrimare e la tosse diventa più forte. Mi accorgo che anche Alex e Linda stanno tossendo convulsamente e cerco Linda con lo sguardo ma mi blocco prima. Sul ripiano della cucina un oggetto cilindrico emana una specie di vapore sottile, che si vede appena.
Non sono in pena per Alex, sto soffocando! Quello è gas!
Mi giro verso Alex ma non riesco a vederlo quindi mi stendo per terra e tenendomi una manica premuta sulla bocca, cerco di raggiungere Linda, di cui riesco a vedere i piedi vicino alla porta della mia stanza, ma lo sforzo è enorme: i polmoni mi bruciano per la mancanza di ossigeno e la testa comincia a girarmi.
Finalmente riesco a raggiungerla e le tasto il collo, sempre soffocando i colpi di tosse. È viva, credo che questa cortina serva solo a stordire…

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Capitolo 18
*** Questioni personali ***


Butto la penna e chiudo di botto il quaderno, poi rimango in ascolto. Mi è sembrato di sentire qualcuno nell’altra stanza ma deve essere la suggestione, perché la casa è immobile. Nemmeno il vento fuori fa rumore.
Rido nervosamente di me stessa, sono l’unica che si lascia spaventare dalle sue stesse storie. Se il mio datore di lavoro mi vedesse ora, è probabile che perderei il posto all’istante. Nel mio lavoro non c’è spazio per i folli, anche se la cosa mi ha sempre fatto ridere. La verità è che lo studio è un manicomio mascherato da agenzia per il recupero e la vendita di pezzi d’arte.
Fisso il quaderno chiuso, chiedendomi che effetto farebbe se dovesse essere esposto un giorno, insieme ad altri pezzi. In fondo non è tanto impossibile, tra molti anni, quando non ci saremo io e mio marito e forse nemmeno i miei figli e i miei nipoti a spiegare l’origine di questa storia, non sarà difficile credere che ogni parola di questo quaderno sia solo il prodotto di una mente molto fantasiosa. Un romanzo, manoscritto per di più. Potrebbe valere molto.
Eppure mi rendo conto che se mai dovesse succedere una cosa simile, sarebbe un disastro. Chiunque leggesse questa storia non potrebbe più fingere di non aver letto, di non sapere. E conoscere quello che io e chi con me ha scoperto potrebbe cambiare per sempre l’opinione che si ha dell’umanità stessa.
Un vecchio avvertimento mi risuona nelle orecchie e mi fa rabbrividire leggermente. Se qualcun altro dovesse sapere, la mia vita e quella dei miei cari sarebbe spacciata. E questo pensiero mi rimanda ad un altro ricordo, alla voce che emergeva dalle onde…
Riapro il quaderno, scacciando l’immagine dalla testa. Comincio a perdere fiducia nell’idea che basterà scrivere questo quaderno per scacciare quel demone in particolare. Gli altri magari, ma non questo. Forse è questo il modo in cui la sua maledizione mi inseguirà fino alla fine dei miei giorni e il solo pensiero mi fa fremere d’angoscia.
La mia vita è meravigliosa adesso ma a volte non basta a consolarmi abbastanza per scacciare quell’incubo…
Ma voglio essere fiduciosa, fino alla fine. Sono certa che, se ci credo fino alla fine, completamente, riuscirò a fare di questo regalo il mio talismano e a sconfiggere quella voce spettrale. Devo solo crederci davvero.
E finire la storia, naturalmente.

 
 
 
4 maggio 1997 (tardo pomeriggio)
Mi sveglio in preda a un conato e cerco di voltarmi di lato per non soffocare. Poi tossisco convulsamente mentre il mondo davanti a me è un velo nero pieno di stelline colorate. Quando la tosse si è calmata un po’ qualcuno mi avvicina alle labbra qualcosa di fresco che mando giù avidamente e sento delle voci ma non riesco a distinguerne nessuna.
Finalmente con uno sforzo che mi sembra titanico riesco ad aprire un occhio. Sulle prime la stanza è sfocata e ondeggiante, il che mi fa venire ancora la nausea, ma dopo un po’ sembra fissarsi meglio e diventare più nitida. Apro anche l’altro occhio e mi sforzo di vedere il viso delle ombre che mi stanno di fianco.
- Alexis finalmente! Avevamo paura che… come stai? Cos’è successo? Chi è stato?
Cerco di parlare ma la voce non mi esce e la gola mi fa tremendamente male. Cerco l’acqua con gli occhi e mi sforzo di fare segno alla voce che intuisce e mi porge di nuovo il bicchiere. Bevo ancora un po’ e guardo di nuovo il proprietario della voce. Finalmente il suo viso è abbastanza a fuoco per capire che si tratta di Giulio.
- Cos’è successo? – domando io a lui. Persino la mia stessa voce mi trapana il cervello con una fitta lancinante.
- Non lo so, sono venuto a casa tua per farti vedere una cosa ma ti ho trovata svenuta in salotto…
Chiudo di nuovo gli occhi e mi sforzo di ricordare… cosa stavo facendo prima di svenire?
Poi all’improvviso mi torna tutto in mente.
Cercando di ignorare il mal di testa lancinante, provo a raccontare ai due quello che ricordo. Il quadro nel motel, Malone, le mail, Alex che mi salva e confessa di essere lui la spia…
Sia Giulio che Juno si lanciano all’unisono in un lungo monologo sul genere “lo sapevo io” ma ignoro entrambi. Il mal di testa è insopportabile e ho ancora la nausea. Inoltre non credo di potermi reggere in piedi.
- Come sta Linda? – domando all’improvviso, ricordando che c’era anche lei quando il gas ha cominciato a diffondersi.
Loro due si guardano e poi guardano me con aria allarmata. Pessimo segno.
- In casa c’eri solo tu Alexis. Non abbiamo trovato né Alex né Linda.
Ci metto un po’ per registrare l’informazione. La mia migliore amica è scomparsa insieme alla spia cattiva e difficilmente si tratta di una fuga romantica.
La nausea mi assale di nuovo e per qualche minuto il resto del mondo scompare. Quando mi calmo guardo Juno, cercando almeno in lui un po’ di conforto. La sua espressione sicura e controllata mi rincuora un po’ in effetti.
- Visto che non credo che Linda sia riuscita ad andarsene sulle sue gambe, guarda come sei ridotta tu, è certo che l’hanno presa loro.
Lo so anch’io ma sentirlo ad alta voce mi fa sussultare lo stesso.
- Il lato positivo è che Alex sa benissimo che Linda non sa nulla di questa storia perciò non le faranno del male, la useranno per ricattarci, Alexis.
Giusto, giusto. Ha ragione lui. Non le faranno del male. Non le faranno niente. 
- Quindi non ci resta che trovare l’ultimo quadro e poi… - continua Juno ma lo interrompo allibita.
Ha ascoltato una sola parola di quello che ho detto?
- Il quadro ce l’hanno loro, abbiamo perso un intero capitolo. Come faccio ad andare avanti?
- Lo saltiamo. Troviamo l’ultimo e lo adattiamo per collegarlo a quello precedente così nessuno se ne accorgerà – suggerisce Giulio.
Il gas deve avermi fatto più male di quello che credevo oppure questi due ne hanno respirato buona parte.
- Secondo voi quindi dovrei lasciare la mia migliore amica in mano a quei pazzi e cercare tranquillamente l’ultimo quadro, come se niente fosse?
- Alexis cerca di riflettere… non le faranno niente, gli serve per ricattarti…
- La ammazzeranno non appena capiranno che non intendo salvarla! Intendono uccidere mezzo mondo per vendicare un gruppo di tizi morti quasi duemila anni fa, cosa credi che gli importi di uccidere Linda?
Per qualche minuto nessuno di noi parla. Li sfido con lo sguardo, incapace di credere a quello che sento, mentre loro fissano me come se fossi una malata in piena crisi. Ma nonostante non sia proprio in gran forma, sono certa di avere ragione. Uccideranno Linda non appena capiranno che non mi lascerò ricattare e non permetterò che le facciano del male.
Se penso che sarebbe tutto diverso ora se non mi fossi comportata da imbecille con Alex… il solo pensiero di quel viscido verme mi fa tornare la nausea. Avrei dovuto ammazzarlo quel giorno a casa sua, quando avevo il mitra tra le mani…
Ecco perché Tuta Nera continuava a dire “America, traditore”. Non parlava di Drake. Parlava di Alex. Ecco perché si allontanava quando parlava al telefono, chiamava la base. Ecco come faceva ad essere a casa di Juno dietro di me il giorno dell’attentato. Ecco perché voleva conoscere la lista, ecco perché era collegato al sito della CIA. E io che ho creduto davvero… che idiota!
Come ho potuto non capirlo prima? Sapeva combattere meglio di me, nessuna guardia di sicurezza lotta così! E poi lasciare un posto così sicuro per aprire un ristorante… hanno inventato una copertura praticamente inutile a cui solo io potevo credere!
Ora però rimedierò al mio errore. Scoprirò chi c’è dietro questa Organizzazione maledetta, li troverò e gli farò scontare tutto il male che hanno fatto. Soprattutto quel verme di Alex. Ha fatto un grosso sbaglio a tradire Alexis Blendell e ora ne pagherà le conseguenze. Di questo può stare certo.
Alzo di nuovo lo sguardo verso Juno e Giulio che continuano a fissarmi con quell’aria compassionevole. Se non la smettono immediatamente gli cavo gli occhi. Sono abbastanza incazzata da poterlo fare davvero.
- Va bene, andiamo avanti. Mi occuperò del quadro mentre tu Juno, devi trovare un modo per nascondere i capitoli che abbiamo preso e farli arrivare alla casa editrice automaticamente, diciamo. Quei capitoli devo essere pubblicati anche se ci trovano prima.
- Perché non mandarli subito? – domanda Giulio perplesso. Ora che ci penso anche lui ha un paio di cose da chiarire.
- In questi anni ne ho pubblicato uno all’anno all’incirca, per non dare nell’occhio mentre cercavo i quadri. Se invio dieci capitoli in un giorno qualcuno potrebbe farsi troppe domande.
Lo fisso, aspettando qualche altro commento ma lui preferisce voltarsi  in silenzio. Bene. Non permetterò che il mio errore con Alex metta in dubbio le mie capacità. Sono ancora io il capo.
- Tu Giulio intanto annuncerai il tuo prossimo libro sull’Organizzazione.
Entrambi spalancano gli occhi. Prevedibile.
- Dobbiamo distrarre i federali. Tanto ormai sappiamo che sanno che stai con me, inutile nasconderti. Sarai più al sicuro sotto i riflettori, non potranno ucciderti sotto gli occhi della stampa. Ma non è detto.
- Non preoccuparti, me la caverò. Ma pubblicherò davvero tutto il materiale?
I suoi occhi sembrano brillare per l’eccitazione e mi mordo il labbro. Se l’avessi fatto prima forse ora le cose sarebbero diverse. Ho peccato d’orgoglio nel volere che il romanzo di mio padre fosse l’unico a prendersi il merito e ora Linda è in pericolo.
- Juno tu non lo mollerai un attimo, controlla ogni contatto, ogni telefonata, tutto. Potrebbero fingersi giornalisti o chissà cosa e ucciderlo di nascosto. E magari ci riesce di beccare qualcuno di questi stronzi.
Per fortuna anche Juno sembra soddisfatto del suo compito. Così mi lasceranno libera di scoprire chi si nasconde dietro l’Organizzazione e dove tengono Linda.
Cerco di riflettere per un momento. E se stessi facendo un errore? Ma in fondo ne ho già fatto uno e se non faccio qualcosa Linda morirà ugualmente. Non è che un altro errore potrebbe peggiorare di molto le cose.
- Ora ho bisogno di riposare, per favore. Quel gas mi ha conciato male.
Entrambi annuiscono e se ne vanno, continuando a fissarmi di sottecchi per cercare di intuire se sto per dare di matto. Il che è esattamente quello che intendo fare.
Finalmente Juno chiude la porta dietro di sé e sento il trillo dell’ascensore, poi il silenzio.
Ora non mi resta che chiamare la polizia e avvertire della scomparsa di Linda. Quando è arrivata ha detto che doveva partire immediatamente perché aveva scoperto qualcosa di grosso, presto verranno a prenderla. Saranno loro a cercarla per me fino a che avrò scoperto dove si nasconde Alex e gli avrò fatto rimpiangere di avermi mai conosciuta.
Prendo il telefono e chiamo la centrale di polizia, spiegando all’incirca quello che è successo. Subito il centralino o quello che è mi passa il capitano. Rispiego anche a lui la situazione, omettendo la presenza di Alex nella stanza. Devono essere sicuri che a rapirla sia stato questo industriale francese, ci manca solo che anche la polizia locale si unisca alla mia band.
Dopo aver riattaccato cerco di pensare. Dove potrebbero aver portato Linda? Non possono essere in qualche centrale perché Linda era protetta della polizia. Un hotel? Una casa abbandonata nei dintorni?
In fondo trasportavano una donna svenuta, non possono viaggiare molto. Ma devo muovermi in fretta.
Cerco velocemente su internet i nomi degli hotel della zona e segno gli indirizzi di quelli che potrebbero più probabilmente ospitare un gruppo di poliziotti corrotti, poi consulto una mappa online, e tante grazie ancora a Google Maps, e individuo qualche casa diroccata e alcune in via di costruzione. Forse non solo i rom utilizzano quelle costruzioni per nascondersi.
Che altro posso fare?
Ci penso per un po’, la mente ancora lenta e le gambe molli come gelatina. Deve esserci qualcos’altro che posso fare. Poi mi viene un’idea.
Alex era in contatto con la bionda, quella che aveva spacciato per impiegata comunale. Forse lei sarà meno difficile da rintracciare e potrebbe darmi qualche indizio su dove cercarlo. Ma come posso trovarla? Non ricordo nemmeno il suo nome…
Però posso provare a cercarla al comune. Fa la donne delle pulizie, in fondo. Anche se lavora poco si dovrà pur presentare sul posto di lavoro.
Do un’occhiata all’orologio e mi accorgo che sono ancora in tempo, se faccio in fretta. Peccato che in questo momento io abbia i riflessi di un bradipo addormentato. Forse è meglio fare una telefonata prima e controllare che sia di turno o quello che è.
Al trecentesimo squillo più o meno mi risponde una donna. Le spiego chi cerco e mi risponde che ormai tutte le donne delle pulizie hanno staccato da un po’. Maledizione. Lascio comunque un nome finto e il mio numero di telefono pregando di essere richiamata, fingendo di essere un agente pubblicitario e di averla notata all’asta. Se è quello che dice non potrà rifiutare.
Chiudo la chiamata e mi lascio cadere su una sedia, stremata. Spero che gli effetti di questo gas svaniscano in fretta perché così non riuscirei a salvare me stessa da una zanzara, figuriamoci Linda.
Ma non posso nemmeno pensare di dormire mentre non avrò fatto un altro passo avanti verso la mia amica, perciò mi sforzo di ignorare il mal di testa e la debolezza e pensare.
Cos’altro posso fare fino a che rintraccio Alex, visto che di andare in giro per palazzi diroccati è fuori discussione?
Dopo qualche minuto di meraviglioso nulla finalmente mi viene in mente un’idea.
Chiamare Nat, chiunque essa sia, ecco cosa posso fare. Juno ha detto che è lei la destinataria del romanzo, è arrivato il momento di sapere perché. E scaricare a lei il barile, così io mi riprendo Linda. Non mi importa se dovrà cercare da sola l’ultimo quadro o se dovrò consegnarla all’Organizzazione, meglio la sua vita che quella di Linda.
Cerco il numero in rubrica e schiaccio la cornetta verde. Mi accorgo che mi sudano le mani e cerco di allentare la stretta ma senza molto successo.
È successo tutto così in fretta… e per colpa mia e dei miei stupidi ormoni! Se non mi fossi lasciata incantare dal fascino di quel bell’imbusto, dal suo profumo firmato, dalla sua aria spavalda…
- Allô? – domanda la voce dell’altra volta dall’altro capo della linea.
Il mio cuore fa un tuffo e per qualche secondo non riesco a parlare. Non mi sono preparata un discorso ed è stato un errore imperdonabile. E se non riesco a convincerla?
- Sono Alexis – rispondo, col tono più fermo che mi riesce. Non so se ci sono riuscita. Non so nemmeno se sappia chi è Alexis.
Dall’altra parte mi risponde un lungo silenzio e mi mordo il labbro. Avrei dovuto calmarmi e pensare a un discorso, qualche frase intelligente e minacciosa da dire. E se adesso riattacca? Non mi sembra molto spiesco attaccarmi al telefono come una delle vendite telefoniche…
- Ciao Alexis, mi chiedevo quando mi avresti trovata – risponde finalmente Nat, con voce calma e ferma e un forte accento.
Sospiro inconsciamente. Almeno non mi ha chiuso la chiamata. Solo che ora non so cosa dire. Ho talmente tante domande da farle e non so che tono usare.
- Ho bisogno di risposte e in fretta. La situazione è… peggiorata e devo assolutamente sapere chi sta cercando di uccidermi – spiego, sperando di aver usato uno di quei toni che nei libri sono definiti come “che non ammetteva repliche”. Ma io mi sento molto più Bridget Jones che Alexis la Super Spia.
- Non ho le risposte che cerchi. Altrimenti questa storia non…
- Stronzate – la interrompo. Finalmente la mia voce ha un che di fermo e convinto.
- Mancano solo due capitoli, ormai il quadro dovrebbe essere abbastanza chiaro. Dimmi quello che sai o verrò a chiedertelo di persona.
Forse minacciarla non è un’idea grandiosa ma non sono riuscita a trattenermi. Linda potrebbe morire da un momento all’altro e non permetterò a una francese di impedirmi di salvarla. Se sono ancora in tempo. Il solo pensiero mi toglie il fiato.
- Che vuol dire peggiorate? Juno sta bene vero? – domanda cercando di nascondere l’apprensione.
Ma chi diavolo è Nat? Esattamente quanto è legata a Juno?
- Ci sono delle vite in pericolo ma non ti dirò di chi. Dimmi quello che sai.
Di nuovo mi risponde il silenzio. In realtà mi sembra di poter sentire il rumore delle rotelle nella sua testa girare freneticamente, pensando a come reagire. O forse questo è il rumore del mio cervello.
Cosa farò se si rifiuterà di parlare? Come faccio a sapere se mi dice la verità? Il mio piano che era sembrato così brillante sotto l’effetto del gas comincia a mostrare qualche falla di troppo. Ma non devo pensarci, devo restare concentrata. Ci sarà un modo per convincerla a parlare e poi troverò il modo di verificare quello che ha detto.
Una cosa per volta.
- Va bene, forse è ormai inevitabile. Sapevo in fondo che non avrebbe potuto durare per sempre – dice infine Nat.
Per poco non mi metto a ballare nella stanza. Non sarò costretta ad usare sofisticate tecniche di tortura che comunque non conosco.
- Tuttavia non posso parlartene al telefono. È troppo lungo da spiegare e non è sicuro. Hai detto che sai dove trovarmi. Fallo e ti dirò quello che so.
Rifletto un attimo sulle sue parole. Sta prendendo tempo? Di sicuro fino a che l’avrò raggiunta lei avrà trovato il modo di fuggire…
- Non andrò da nessuna parte. Ma devo essere certa che tu sia proprio chi dici di essere prima di raccontarti quello che so.
Dopo di che sento il clic della comunicazione interrotta.
Fisso il telefono per qualche secondo. Questo non l’avevo previsto. Come faccio a trovarla prima che fugga? O che racconti tutto a Juno che mi lega a una sedia qui? O a comunicare con la sua organizzazione, qualunque essa sia?
Maledizione. Accidenti. Dannazione. E anche tutte quelle che non mi vengono in mente ora.
Di certo non la troverò sull’elenco, perché da qualsiasi parte sta non vuole essere trovata dalla controparte e nessuno tranne Juno sembra conoscere la sua esistenza. Mio padre stesso non l’ha mai nominata. Ma Juno non mi dirà mai dove trovarla e comunque non voglio fargli sapere che la sto cercando.
Ma quando mai mi è venuto in mente di farle capire che so dove abita?
Cerco di pensare più in fretta che posso, mentre mangio qualcosa. Anche se non volesse dirmelo potrei costringere Juno a parlare… tendergli qualche trabocchetto o qualcosa di simile… ma non è uno stupido, capirebbe subito l’imbroglio. A meno che…
Devo andare a casa sua. Da qualche parte avrà delle informazioni su questa tizia, visto che è il suo unico contatto.
Ma devo allontanarlo se voglio trovare qualcosa e mi serve una scusa valida. Dovrebbe essere morto, non è che posso mandarlo a comprare del latte. E mi servirà anche una scusa per quando andrò in Francia. Forse avrei dovuto prepararmi meglio per quella telefonata, fare la spia vera è più complicato del previsto.
Mi lascio cadere sulla sedia, esausta. Ho mosso appena qualche dito sul telefono e mi sento come se avessi partecipato alla maratona.
Guardo il cordless appoggiato sul tavolo come se potesse suggerirmi qualcosa, con una bolla vuota al posto del cervello, e improvvisamente il trillo del telefono riempie il silenzio della cucina.
Ok, ho pregato per un suggerimento divino ma non credevo che arrivasse telefonicamente…
- Alexis stai bene? – mi domanda Giulio nella cornetta, senza nemmeno lasciare che dica “pronto”.
- Più o meno – rispondo laconica. Non mi va di parlare dei miei sensi di colpa con lui. E non abbiamo ancora parlato di quella notte maledetta. Davvero gli ho detto che lo amavo?
- Volevo solo dirti… Se hai bisogno di compagnia o… solo da amici, prometto, rimandiamo tutto il discorso. Insomma, so che è difficile per te…
Chiudo gli occhi in silenzio. È così buono da farmi venire voglia di ucciderlo. Ho fatto sesso con lui dicendogli cose non vere e la mattina dopo mi sono rimangiata tutto, ho rifiutato tutte le sue avance e gli ho anche tirato un pugno, l’ho maltrattato e ignorato spesso e chissà quante altre cose orribili, l’ho trascinato in una follia dove rischia la vita… e mi chiama solo per chiedermi se sto bene. Davvero, lo ucciderei.
- Alexis, lo so che ho detto delle cose orribili ma… io… non penso niente di quello che ho detto, o quasi, ero solo arrabbiato, e credo che tu sia davvero in gamba su questa faccenda e sono sicuro che ce ne tirerai fuori e se dici che sono una…
- Per favore, Giulio, non dire altro, ho capito. E vorrei comunque spiegarti. Ripensandoci credo di aver bisogno di compagnia…
Ed è la verità. Ho disperatamente bisogno di compagnia. Questa casa è orribile senza Linda. E dire che è rimasta qui appena un paio di giorni.
- Benissimo, allora mi preparo e arrivo.
Non mi da nemmeno il tempo di dire qualcosa che chiude la comunicazione.
Lascio il telefono e sorrido. Solo Giulio potrebbe correre così al mio comando, dopo tutto quello che è successo.
Non mi merito una persona così.
Quando il campanello suona sto lavorando al capitolo che abbiamo già recuperato. Chiudo tutto al sicuro nel cassetto e vado ad aprire a un sorridente Giulio.
- Sono felice di vederti. Anche se devo dirtelo Alexis, sei uno straccio.
- Ciao anche a te Giulio – gli rispondo facendogli segno di entrare e ignorando i suoi commenti con un sorriso.
- Sei fortunata ad avere un corteggiatore come me, non tutti potrebbero amarti come faccio io se ti vedessero ora sai?
Scoppio a ridere e gli faccio segno di sedersi in cucina.
- Per fortuna che il discorso era rimandato… - gli faccio notare non appena smetto di ridere. Chissà se si rende conto di essere così comico quando ci si mette.
- Ho deciso che rimandiamo il discorso di quello che tu provi per me, non il contrario – replica con un sorriso candido, come se nelle sue parole ci fosse una verità troppo ovvia per contraddirlo.
Decido di soprassedere per il momento e gli porgo una tazza del caffè che ho preventivamente preparato insieme a qualche biscotto. Meglio il suo chiacchiericcio leggero che parlare di Linda e di Alex…
- Scherzi a parte, sono venuto qui solo per essere sicuro che non ti stessi suicidando o roba simile. So che tu e Linda siete molto legate.
Ora la sua voce ha un tono così serio che mi fa pizzicare gli occhi. Davvero, non lo merito.
- Ti ringrazio Giulio ma non credo che ci sia questo rischio. Ho già avuto la mia esperienza con i sonniferi e ho combinato un disastro.
- Davvero? Alexis la Terribile ha fatto incetta di pillole?
Il suo tono è così incredulo che scoppio di nuovo a ridere. Sembra che gli abbia detto che ho le antenne. Però mi piace la fiducia assoluta nelle mie capacità di resistenza, diciamo. E mi spaventa anche un po’.
- E’ di questo che volevo parlarti.
Mi siedo di fronte a lui e aggancio per bene il suo sguardo. Voglio che capisca che dico la verità ora.
- E’ quello che è successo quando sei… rimasto da me quella notte. In un momento di… debolezza, ho esagerato con i tranquillanti.
Vedo i suoi occhi ingrandirsi e rimpicciolirsi diverse volte, a seconda delle diverse emozioni. Dubbio, incredulità, sorpresa…
- Non cercavo di uccidermi, sia chiaro. In realtà non ricordo nemmeno il perché l’ho fatto, così come non ricordo quello che è successo dopo, fino a quando mi sono svegliata. Non ti ho mentito quando ho detto di non ricordare nulla, era uno degli effetti collaterali del farmaco…
Per dimostrare che non sto dando i numeri gli porgo la confezione che ho conservato di proposito e il foglietto delle indicazioni.
Lui prende la boccetta e la rigira tra le mani, il foglietto non lo degna nemmeno di uno sguardo. Ogni tanto alza lo sguardo su di me, che intanto mi vergogno come mai in vita mia, e poi torna a fissare la boccetta tra le mani.
Finalmente posa la confezione sul tavolo e torna a guardare me.
- E così… davvero non ricordi proprio niente?
Scuoto la testa, sentendomi avvampare per la vergogna. Mi rendo perfettamente conto di quanto devo sembrargli stupida in questo momento.
- Ho davvero fatto l’amore con te semi-cosciente. Praticamente ho abusato di te.
Il tono preoccupato e le sopracciglia aggrottate mi fanno credere che ci stia davvero pensando. Davvero si sta preoccupando di aver approfittato di me,  anche se sa perfettamente che non lo sapeva.
Come direbbe Linda, questo sì che è da sposare. In realtà lei avrebbe usato un altro termine ma…
Non è il momento di pensare a Linda però. Non voglio crollare davanti a Giulio come ho fatto con Alex. Ma anche Alex è da cancellare dalla lista dei pensieri…
- Non intendi denunciarmi vero? Perché non immaginavo che… insomma non sembravi molto drogata, ecco…
Lo dice con un sorriso allusivo a cui rispondo con un’occhiataccia. Gli sembra il caso di mettersi a scherzare?
- Va bene, d’accordo, la smetto. Ma è un vero peccato, mia cara.
Preferisco non chiedere altri chiarimenti prima di sprofondare davvero e mi limito a scusarmi ancora una volta.
- Per favore, evitami le scuse. Tutto vorrei da te, tranne che le tue scuse. Per me è un bel ricordo, in ogni caso. E se permetti, farò di tutto perché non rimanga l’unico…
Gli tiro un’altra occhiataccia ma nascondo un sorriso. Quando si dice caparbio. Non mi meraviglia che sia riuscito ad arrivare così in alto nella sua carriera a un’età così giovane. Se in tutto quello che fa insiste quanto fa con me…
Intanto lui si alza, raccoglie le tazze e le mette nel lavandino, quindi si piazza in piedi davanti alla mia sedia e poggia le mani sullo schienale, impedendomi di muovermi.
- Questo silenzio posso considerarlo assenso? In fondo mi sembra giusto rinfrescare la tua memoria su qualche piccolo trucchetto che hai mostrato di apprezzare…
Prima che abbia il tempo di replicare la sua bocca è sulla mia. È un bacio dolce, lento, intenso, proprio come quelli che solo uno come lui sa dare. È un bacio che non chiede nulla in cambio in un certo senso, che ferma il tempo e cancella tutto il resto…
Lo allontano lentamente (e più che un po’ controvoglia anche) con la mano.
Allontanarlo è l’ultima cosa che vorrei fare ora ma non posso continuare. Ho già fatto questo errore recentemente e il ricordo di Alex è ancora troppo vivo.
Giulio però non sembra offendersi e mi guarda invece con un sorriso appena accennato. Lentamente solleva una mano dallo schienale e mi accarezza i capelli, poi la guancia, fino a sfiorarmi il collo…
Questa volta sono io che mi sporgo verso di lui, in cerca della sua bocca, delle sue carezze gentili, così diverse dalla passione bruciante di quelle di Alex, e il pensiero di Alex mi spinge a chiedere ancora di più da quel bacio, a cercare con più forza il piacere che quelle labbra morbide riescono a suscitare.
Pian piano il bacio si trasforma, si fa più intenso ancora, e entrambe le mani di Giulio prendono a sfiorarmi lentamente il viso, il collo, le spalle mentre io mi aggrappo sempre più a lui, tirandolo sempre più vicino a me…
- Aspetta Alexis, aspetta un momento.
La voce roca e affannata di Giulio interrompe l’incantesimo. Mi stacco malvolentieri e lo guardo confusa.
- Non posso farlo, non ora. Sarebbe come approfittare di nuovo di te, di questo momento di debolezza… non voglio farlo così, di nuovo. La prossima volta che farò l’amore con te, voglio che tu sia assolutamente certa, che non ci siano rimpianti o recriminazioni…
Il tono della sua voce, che ha un che di supplichevole quasi, spegne definitivamente la mia brama e mi fa vergognare. Di nuovo. Ha perfettamente ragione, non è giusto che io gli faccia questo, non ora. E il fatto che lui lo capisca, che non cerchi solo di cogliere l’occasione mi smuove qualcosa dentro.
Lo abbraccio di slancio, la faccia incollata al suo petto. Non merito tutto questo, non merito niente di lui…
Mi accorgo appena delle braccia di Giulio che mi stringono per le spalle, in un gesto più intimo e profondo di qualsiasi bacio. Poi lui mi allontana dolcemente e mi bacia la fronte.
- E’ ora di riprovare quel divano credo. Vediamo se la tv ci aiuta a passare il tempo.
Lentamente, come se portasse una bambola, mi trascina sul divano, mi distende così che possa poggiare la testa sulle sue gambe e accende il televisore, a volume così basso da scandire appena le parole. Il film che appare è Colazione da Tiffany, in bianco e nero, che ho visto decine di volte. È uno dei miei preferiti.
Lo dico a Giulio, che ovviamente si lancia in una delle sue interminabili maratone linguistiche e ben presto il film lo guarda solo la stanza mentre noi parliamo di tutt’altro…
Quando Giulio mi sveglia mi sento stranamente bene. Riposata, rilassata, quasi come se il mio vicino non avesse rapito la mia migliore amica per cercare di uccidere mezzo mondo.
- Ora devo andare, ho una conferenza a cui non posso mancare. Ti chiamo quando ho finito, va bene? – mi saluta intanto Giulio.
- Che ora è? – domando con la voce ancora impastata. La luce che filtra dalle finestre mi confonde. Era sera quando ci siamo messi a guardare il film.
- Quasi le nove del giorno dopo. Dormivi così beatamente che non ho avuto il cuore di svegliarti.
- E tu?
- Ho dormito anche io alla fine. Il tuo divano è comodo anche per due. Ci sentiamo dopo.
Annuisco distrattamente, ancora stordita e ascolto il rumore che fa fino a che chiude la porta, poi richiudo gli occhi. In pratica l’uomo che ho respinto decine di volte ha dormito quasi in piedi sul mio divano senza nemmeno provare ad approfittarsi di me. Ma dove l’hanno partorito, nella Città Incantata delle Favole?
Dopo qualche minuto mi sforzo di aprire gli occhi, incitandomi mentalmente ad alzarmi. Per quanto Giulio sia meraviglioso, c’è gente molto meno amabile da combattere.
Mi tiro su e mi stiracchio, con la testa che sembra piena di elio.
Cerco di mettere a fuoco un pensiero qualsiasi, quindi mi alzo lentamente in piedi e vado verso la borsa.
Mentre parlavo con Giulio mi è venuta un’idea su come trovare Nat in fretta e liberarmi di Juno e Giulio mentre vado di nuovo in Francia. In fondo mi basta usare il vecchio metodo che Juno stesso mi Juno stesso mi ha insegnato: se non sai fare qualcosa, falla fare a chi è più capace.
Cerco nell’agenda il numero dell’interno della stazione di polizia che Linda mi ha dato nel caso qualche tipo strano si fosse avvicinato troppo e aspetto che qualcuno prenda la comunicazione.
Come sempre l’attesa è interminabile ma finalmente qualcuno mi risponde. Una voce maschile, giovane. Probabilmente un sostituto o addirittura una recluta lasciata a sbrigare le inconvenienze.
- Buongiorno, sono l’amica della signorina Linda…
- L’avvocato scomparso – mi interrompe quello. Si è già fatta conoscere così bene?
- Esatto. Avrei bisogno di parlare col responsabile della sua scorta. Ho trovato tra gli appunti che ha lasciato a casa mia qualcosa che potrebbe essere utile.
- La signorina è scomparsa, la sua scorta non esiste più, quindi non c’è nessun capo.
Da che università l’hanno preso questo? La Harvard dei poveri?
- Prima però c’era e visto che ora è stata rapita qualcuno si occuperà pure del caso…
- Mh… devo controllare.
Cosa dovrebbe controllare questo idiota? Una persona scomparsa, mentre era sotto protezione, non è la priorità?
Comunque cerco di non replicare e aspetto che il cervellone mi passi qualcuno, sperando che sia più sveglio di lui. Intanto penso a come inserire le mie informazioni negli appunti veri di Linda, nel caso qualche poliziotto voglia controllare.
- Buongiorno, come posso aiutarla? – mi domanda finalmente un’altra voce. Anche questa è maschile ma sembra almeno un po’ più competente.
Ripeto la storia e questa volta le mie parole smuovono qualche neurone.
- Stavo rimettendo in ordine alcune carte di Linda quando ho trovato un appunto. C’è scritto… controllare Nat, possibile fonte prove e c’è questo numero di telefono…
Gli do il numero sul quale ho chiamato, forse loro potranno rintracciarla meglio di me. Lo spero, altrimenti ho finito le idee.
- Mi faccia controllare un momento… non c’è niente di più preciso?
Un altro genio strappato alla scienza.  Cosa ci dovrebbe essere più preciso di un numero telefonico?
Rispondo tentando di mantenere un tono educato e aspetto che dica qualcosa. In sottofondo sento il ticchettio della tastiera di un computer. Almeno non sta solo facendo finta di cercare.
- Potrebbe volerci un po’ più del previsto. La richiamo quando avrò qualcosa – mi avverte dopo qualche minuto.
Scandisco il mio numero di telefono e lo ringrazio, incrociando le dita.
Nell’attesa decido di assecondare il mio stomaco brontolante senza sforzarmi troppo e trovo il compromesso in una pizza surgelata, un’orrenda pizza surgelata.
Aspetto che il microonde ne migliori l’aspetto, invece anche scongelata il risultato non è dei migliori. Non mi arrendo e cerco qualcosa con cui condirla, quindi la infilo nel forno e accendo il televisore in attesa del trillo del forno. Ho bisogno di non pensare per qualche minuto.
Quando finalmente l’antipatico timer mi trapana l’orecchio mezz’ora dopo, sistemo la mia cena nel piatto e apparecchio. Anche cotta sembra che l’impasto sia stato fatto con cartone e stucco e il sapore non migliora la mia opinione: è davvero orrendo e devo sforzarmi per mandare giù l’ultimo trancio ma almeno è calda e mi aiuta a passare il tempo.
Il telefono suona di nuovo prima che metta in bocca l’ultimo boccone. Lo butto nel piatto senza rimorso e saluto di nuovo la voce di prima.
- Ho trovato una cosa molto strana. A questo numero corrispondono quarantatre nomi che abitano addirittura in nazioni diverse. Deve esserci un errore ma non riusciamo a venirne a capo. Se nel frattempo ha un fax le invio l’elenco di nomi, mi dica se ne riconosce qualcuno.
Gli do il numero e quasi immediatamente la macchina comincia a ronzare mentre il foglio si riempie di nero, nome dopo nome seguito da stati di provenienza. Leggo i nomi velocemente ma nessuno mi dice niente e soprattutto non compare nessun Nat.
Accidenti. Sono praticamente al punto di partenza. Non posso andare a bussare a casa di quarantatre persone.
- Mi ci faccia pensare… mi dispiace ma così su due piedi…
- Va bene, grazie lo stesso per l’informazione. Controlleremo. Lei intanto resti a disposizione e tenga a portata di mano quegli appunti, forse c’è qualcos’altro di utile.
Saluto la voce e chiudo la comunicazione, poi butto il telefono sul tavolo e mi siedo, fissando sconsolata la lista infinita di nomi davanti a me. Sono sicura che la polizia non riuscirà a trovare nessun errore, è un trucco che conosco anche io e il mio telefono di casa è protetto alla stessa maniera. Ho personalmente falsificato gli elenchi dei gestori telefonici per creare lo stesso scompiglio.
Però so che Nat, chiunque essa sia, è tra questi nomi perché ha risposto personalmente e so che è francese, quindi elimino sistematicamente i nomi che abitano in altri stati. Ne rimangono diciannove, sono comunque troppi.
Fisso i nomi rimasti, alla ricerca di qualche ispirazione. Alain Dumas, Jean Bouchet, Francis Plossat, Marguerite Guernice, Paul Yvètt, Millicent Rale, Jacques Mountbert, Antoinette Rostrait, Riccardo Giammasini, Adam Lomount, Genevieve Abèt, Roxanne Pight, Veronique Saintpole, Marie Festerais, Pauline Nuce, Anastasio Pilu, Torrence Wale, e due impronunciabili nomi tedeschi.
Come altro posso restringere il campo?
Lo sguardo si incastra soprattutto sui nomi stranieri, in particolare quelli dal sapore americano o inglese, difficile dirlo. In fondo Juno è americano e anche Nat è un nome molto poco francese. Ma potrebbe voler dire tutto o niente. E poi se ha una pronuncia francese così perfetta vive in Francia da anni e il motivo potrebbe benissimo essere che ha sposato un francese. E si sa che da che mondo e mondo i contratti delle utenze si registrano a nome del marito, forse perfettamente francese.
Per adesso comunque è l’unica idea che ho, tanto vale fare qualche tentativo. Isolo i nomi più americani o inglesi e li segno sul retro del foglio, ancora bianco.
Millicent Rale, Roxanne Pight, Torrence Wale.
Mi sposto per piazzarmi davanti al computer e cerco qualche informazione su questi tre nomi ma non cavo un ragno dal buco, come avevo immaginato.
E ora?
Non posso abbandonare proprio adesso, solo questa Nat ha le risposte che cerco. E devo sapere se posso davvero fidarmi di Juno. Il tradimento di Alex ha sconvolto tutte le mie certezze. Avevo tutte le prove davanti agli occhi, sia Juno che Giulio me le hanno sbattute in faccia centinaia di volte eppure io ho continuato a non voler vedere e ora Linda potrebbe essere morta.
E se anche con Juno avessi ignorato dei segnali importanti? A lui in particolare mi sono affidata ciecamente perché era stato il mio defunto padre a darmi il suo nome e garantire per lui ma forse nemmeno mio padre sapeva del legame tra Juno e questa Nat.
Fisso di nuovo i nomi, pregandoli quasi di suggerirmi la prossima mossa. Fisso ogni lettera di quei nomi, li ripeto a voce alta sperando in qualche associazione, cerco addirittura degli anagrammi nascosti ma niente, nessuna lampadina.
Millicent Rale, Roxanne Pight e Torrence Wale.
Sono talmente stremata a furia di pensare che mi sembra di essere sul punto di svenire e do un’occhiata all’orologio. Sono passate più di due ore da quando ho ricevuto questo fax e non ho ancora pensato a niente. Forse è arrivato il momento di riposare il cervello. E se domani non riesco a ancora a venirne a capo, lascio perdere questa idea. E tanti saluti alle risposte.
Guardo per un’ultima volta i nome segnati, con lo sguardo ormai talmente appannato da vedere sfocato e le parole si accavallano l’una all’altra, indistinte, unite dall’improvvisa sparizione di ogni spazio…
Mi alzo così velocemente da far cadere la sedia all’indietro con un tonfo che mi rimbomba nella testa come un gong rituale e resto per un momento senza fiato ma mi riprendo all’istante.
È un’idea stupida e probabilmente tra poco riderò di me stessa ma è una possibilità e spiega anche il perché Juno abbia salvato il numero sotto il nome di “centrale”.
Finora non ci avevo pensato, ma in effetti non ha senso. Perché proprio “centrale”? perché non qualcosa di meno sospetto?
Centrale, ripeto tra me. Milli Cent Rale. Milli Centrale.
Centrale perché così oltre al numero di telefono ha segnato anche il falso nome, nel caso gli fosse passato di mente. E io so com’è facile dimenticare un nome finto quando continui a chiamare quella persona col suo nome vero.
Apro di nuovo la pagina internet e cerco un indirizzo. Rue Déchât n.657, Saint Rémi, Paris.
La soddisfazione mi fa ronzare il sangue nelle orecchie. È un’idea talmente assurda che più ci penso e più mi convinco di aver indovinato. Deve essere così.
Uno sbadiglio di circa un’ora mi avverte che nemmeno l’entusiasmo può smorzare il bisogno di una buona dormita, quindi spengo il computer, metto i fogli nel tiretto della cucina e vado in camera da letto.
Domani mattina penserò a come sparire per qualche giorno senza che nessuno, soprattutto Juno, se ne accorga. Anche questo non sarà un compito facile.

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Capitolo 19
*** Alleati ***


Lascio la penna sul quaderno così che faccia da segnalibro e mi alzo per sgranchirmi un po’ le gambe. Mi sembra di aver scritto per ore, anche se so che non è nemmeno un’ora che ho cominciato. Forse sto invecchiando, penso con un sorriso.
Con un sorriso perché la verità è che sono certa di essere troppo vecchia per certe cose, e scrivere le mie angoscianti memorie rientra tra quelle. Non è il restare ferma tanto tempo, è lo stress da ricordo che mi fa sentire così stremata, come se i ricordi, invece che provenire dal cervello, provenissero dalla base del collo e tutti i muscoli della schiena si tendessero per lo sforzo di riprodurre quelle immagini mentali.
Mi verso un bicchiere di succo di frutta alla pera, che non mi piace per niente ma è il preferito dei miei figli, e lo sorseggio guardando il quaderno sulla scrivania, mentre istintivamente la mano mi corre alla pancia, il pollice a sfiorare quella piccola cicatrice perfetta, fugace fantasma di una ferita di tanto tempo fa…
Il pensiero di essere così vicina a raccontare come mi procurai quella ferita mi ricorda che il mio lungo sforzo è quasi terminato, la storia volge al termine e non so se la cosa mi fa piacere. Sono felice di liberarmi di tutti quei ricordi dolorosi e spero davvero di chiudere definitivamente il capitolo incubi, però qualcosa dentro di me comincia a ribellarsi a quella parola “fine” scritta così forzatamente e questo mi preoccupa da morire.
È il segno che sto impazzendo? Come può una sola cellula del mio corpo pensare di voler trattenere quelle immagini nei troppo pochi cassetti della mia memoria?
Ma forse non è niente di così eccezionale, forse il mio subconscio si rifiuta semplicemente di lasciar andare una parte di me stessa. Anche se ora ho chiuso con gli intrighi e gli assassini da un bel po’, per molto tempo quella era la mia vita, la mia essenza, ed è difficile decidere di rigettare tutto quello che ho rappresentato per tanti anni.
Tuttavia so che è necessario dimenticare quella parte di me per poter progettare un futuro davvero sereno e ho assolutamente bisogno di un futuro così, lo devo a mio marito e ai miei figli e non posso dimenticare l’antica maledizione senza dimenticare la persona che è stata maledetta.
Devo stringere i denti, quindi, e terminare quello che ho cominciato, partendo da quello che mi raccontò Nat quella sera, dal momento in cui tutto improvvisamente divenne finalmente chiaro e l’ultimo capitolo di quella Alexis venne scritto. Le rivelazioni di Nat infatti furono l’inizio della fine, non solo per coloro che cercavano di uccidermi ma anche per me stessa, per Alexis Blendell, la ragazza che morì prima ancora di nascere.
L’idea di scrivere da sola l’elogio funebre a quella Alexis però, anche se maledetta, mi mette una paura del diavolo.

 
 
                                                                              
7 maggio 1997
La sveglia suona come sempre troppo presto. Con uno sforzo titanico riesco comunque a sollevare il braccio e spegnerla, poi ad aprire un occhio.
La sveglia non mentiva. È proprio mattina.
Mi alzo faticosamente e vado in cucina. Starò meglio quando avrò una buona dose di caffè in circolo. Anche perché è una giornata lunga quella che mi aspetta. Tra poco partirò per Saint-Rémi e tra meno di ventiquattr’ore incontrerò Nat. E più si avvicina quel momento, meno mi sento sicura che sia la cosa giusta da fare.
Ma credo che sia solo paura la mia. E se quello che ha da raccontarmi non mi piace? Se non volessi sentire le sue risposte?
Per non parlare del dubbio: e se non appena entro un colpo di fucile mi sfracella la testa?
Ma questa è la minore delle mie preoccupazioni. Visto che non credo all’aldilà, sarebbe la soluzione più rapida per me. il vero problema nasce se invece di uccidermi decidono di catturarmi e torturarmi per farsi dire segreti che non conosco. In quel caso sì che sarei nella cacca.
Mentre aspetto che il caffè sia pronto accendo il computer, devo davvero lavorare al capitolo che ho trovato al museo se voglio essere credibile a Juno e Giulio.
Istintivamente porto la mano al fischietto che ho dimenticato appeso al collo ieri notte. Lo sollevo con un sorriso per toglierlo, poi cambio idea e lo nascondo di nuovo sotto la maglia del pigiama. Non prevedo che qualcuno si avvicini abbastanza da notare lo strano ciondolo e comunque non mi importa. Ho bisogno di qualcosa che mi sia di supporto e questo è perfetto.
L’aroma del caffè riempie la cucina e mi alzo per versarlo nella tazza. Lo zucchero con una piccola montagna di zucchero, alla faccia della linea, e lo butto giù quasi d’un sorso. Forse avrei dovuto aspettare che si raffreddasse un po’, maledizione.
Mentre verso il caffè rimasto qualcuno suon il campanello. Il mio campanello.
Per un momento, terribile, un senso di dejà-vu mi riporta a quella mattina di qualche mese fa, quando Alex mi aveva consegnato un cornetto enorme a domicilio per ringraziarmi di avergli fatto usare il telefono la sera prima. A conti fatti, direi che da lì è cominciato tutto…
Mi muovo a rallentatore verso la porta, sperando che una magia abbia riportato indietro il tempo fino a quella mattina. Così potrei prendere Alex a calci prima che combini di nuovo tutto questo casino.
Ma dietro lo spioncino non c’è l’annoiato ragazzo delle consegne, ma una tipa superfiga con lo sguardo di ghiaccio.
Apro la porta senza togliere il ferretto.
- Cosa vuoi ora? – domando a Yvonne, confusa. E anche un po’ impaurita. Sa dove abito.
- Poteri dirtelo dentro casa invece che sul pianerottolo? Sono sicura che non vuoi che tutti i tuoi vicini sentano cosa ho da dirti – mi risponde quella nel solito tono pratico e annoiato anche lei. Almeno qualcosa in comune col fattorino ce l’ha. È insopportabilmente odiosa.
Di malavoglia tolgo il ferretto e apro la porta, poi corro al computer e chiudo lo schermo prima che lei riesca ad arrivare abbastanza vicina da leggere a cosa lavoravo.
Senza nemmeno togliere il cappotto o lasciare la borsa, viene sparata verso di me e comincia a parlare a macchinetta, quasi troppo veloce perché possa capire ciò che dice.
- Ho trovato quello che mi hai chiesto e fossi in te starei alla larga da quel tipo. In teoria è un agnello ma nella pratica è associato a diverse bande criminali di piccolo taglio nella zona, con qualche amicizia potente però, visto che è riuscito a mantenere la fedina penale immacolata.
La mia faccia deve essere più rivelatoria di quanto pensassi perché le basta un’occhiata per sapere che non so di cosa parla.
- Il nome che mi hai dato al bar, sveglia cocca – spiega stizzita, mentre si avvicina alla mia seconda tazza di caffè non ancora bevuta e la manda giù in un sorso. Senza nessuna smorfia da lingua scottata.
Non può essere umana, questa.
Comunque, ora che ho capito di cosa parla rifletto su quello che ha scoperto. Maledizione. Il che vuol dire che il mio collaboratore di cui appena ieri ho ammesso con me stessa di essere un pochino innamorata parlava in un sordido hotel con un delinquente. Merda.
- Grazie. E sei venuta solo per questo? Non potevi telefonare?
So di essere scortese ma tanto dubito che Miss Cortesia qui se ne abbia a male. Infatti non fa una piega al mio tentativo di essere odiosa e maleducata quanto lei e si limita a fissarmi con i suoi occhioni celeste slavato.
- Malone sta diventando un problema peggiore del previsto. Non sono riuscita a scoprire niente su di lui, è coperto bene.
- Ci siamo viste appena ieri, davvero credevi di poterlo fregare in mezza giornata? Non è un caso se è un tuo superiore – le faccio notare, con immensa soddisfazione. Molto infantile da parte mia, lo so, ma l’espressione stizzita che ne ricavo è musica per il mio ego.
- E quanto credi che ci metteranno ad ammazzare Alex e la tua amica, Einstein? Dobbiamo muoverci molto in fretta.
Ok, forse ha un po’ ragione. Ma non mi hanno nemmeno contattato per farmi qualche richiesta finora, niente di niente. Quindi o il danno è fatto (ti prego ti prego ti prego fa che non sia così ti prego) oppure ho ancora un po’ di tempo.
Però in effetti, sono scomparsi da due giorni ormai, perché nessuno mi contatta? Qualsiasi cosa vogliono dovranno pur dirmela, se davvero Alex non sta con loro (cosa di cui non sono affatto sicura ancora). E se Alex sta con loro… be’ non capisco questa farsa di Yvonne-la-strega-che-ti-aiuta. E non so cosa vuole da me, visto che sa che non ho niente tranne la lista.
- Sei tu quella che è arrivata col piano brillante. Se sapessi come trovare Linda da sola non avrei accettato di collaborare con te, ti pare?
Forse il tono sarcastico - accondiscendente non è una grande idea contro la Donna-Mille-Modi-Di-Uccidere ma non riesco proprio a fermarmi. Odio le persone odiose.
- Io mi allontanerò qualche giorno, devo fare una cosa che forse mi darà qualche informazione in più su Linda...
- Vengo con te allora. Devo scoprire dove si trova Alex prima che lo facciano fuori.
- Non esiste. Io e te non siamo amiche, e non sono nemmeno sicura che non stai con Malone e quella congrega di pazzi. Quindi le nostre strade si dividono.
Non posso portare questa tizia dritta da Nat. Se sta con Juno parto dal principio che Nat sia una alleata, in linea di massima, mentre lei lavora per la CIA che è decisamente dalla parte dei cattivi.
Ma la faccia di Yvonne non è affatto rassicurante. E il fatto che lavori per la CIA mi suggerisce che se vuole seguirmi può farlo come vuole, no?
Non posso permetterlo assolutamente. Devo trovare qualcosa che la trattenga qui. Ma che cosa?
Poi, colta da improvvisa illuminazione, vado a prendere la borsa. Cerco in fretta in portafoglio quindi mi metto a rovistare tra le centinaia di biglietti e cartoncini che ci tengo dentro, fino a che trovo quello che cercavo.
Forse è una stronzata, ma mi serve giusto qualche ora, il tempo di salire su quell’aereo senza che lei mi segua.
- Controlla questo numero mentre io sono via e anche questi nomi – le do il foglietto col numero che la forse squadra della CIA aveva lasciato a Linda e i nomi degli avvocati che hanno ingaggiato Linda. Entrambe sono solo perdite di tempo, sono cose che ho già fatto ma la terranno impegnata per un po’ almeno.
E poi, di nuovo in preda all’illuminazione improvvisa, le do anche il nome della Paramount senza spiegarle il perché mi interessa.
Giulio non è riuscito a trovare nient’altro su questa misteriosa società ma forse la CIA sa dirmi qualcosa in più. Se poi Yvonne lo riferisce direttamente al loro capo, il Cardinale come lo chiama mio padre morto, allora sono spacciata. Il che vuol dire come ora, perciò non ci perdo molto.
Yvonne non mi risponde ma da come mi guarda capisco che non è proprio d’accordo sul programma. Al diavolo.
Sostengo il suo sguardo, con una certa fatica perché fa proprio paura – sembra un cyborg, non sbatte nemmeno le ciglia come gli umani! – fino a che fa un impercettibile cenno con la testa e distoglie lo sguardo, in segno, forse, di tregua. Grazie al cielo.
- Ora se non ti dispiace, ho del lavoro da sbrigare prima di uscire.
Accompagno le parole con un eloquente gesto della mano che indica la porta. Altra occhiataccia poco amichevole della stangona, altro difficile confronto di sguardi, altra resa da parte sua. Due a zero per me.
Si allontana senza dire altro, nemmeno salutare, e si chiude la porta alle spalle.
Stupidamente, resto a fissare la porta chiusa per un po’, quasi certa che rientrerà all’improvviso con un lanciarazzi e si toglierà lo scrupolo di eliminare ogni traccia che ha davvero preso, quasi, ordini da me, che deve considerare poco più di una pulce. Il che mi fa godere ancora di più la mia piccola vittoria personale.
Quando sono abbastanza sicura che Yvonne non tornerà ad uccidermi, mi decido a mettermi al computer e lavorare finalmente al capitolo e continuo ininterrottamente per altre due ore, fino a che gli occhi cominciano a bruciarmi troppo per continuare. Non sono davvero abituata a stare troppo tempo davanti agli schermi luminosi.
Mi alzo e cerco di stiracchiarmi il più possibile, poi prendo la borsa che ho lasciato apposta vicino al tavolo e comincio a riempirla con tutto il necessario: acqua, cracker, patatine, succhi di frutta, merendine, caricabatterie del cellulare e del portatile, block notes, penne, documenti falsi, soldi, un piccolo registratore.
Cos’altro? Mi guardo intorno alla ricerca di ispirazione ma non vedo niente che sia indispensabile e voglio viaggiare più leggera possibile. Mi dispiace di non poter portare con me nessuna arma, anche se non sono sicura che riuscirei ad usarla nel momento del bisogno visto che non ho mai sparato a nessuno, nemmeno agli animali. Ma non credo che spiegare la mia situazione convincerebbe le steward dell’aereo a lasciarmela portare a bordo.
Metto anche il portatile nella sua custodia, quindi prendo la borsa con i vestiti che ho già preparato dall’altra stanza.
Ora che sto per partire ho una paura matta. E non solo dell’aereo.
Prendo infine le chiavi e il cellulare, inserisco l’allarme (che ho montato dopo la misteriosa visita mentre ero a cena con Giulio) e controllo di aver chiuso tutte le finestre.
In realtà sto perdendo tempo e me ne rendo conto. Non è che posso chiamare Nat o Millicent o quello che è e dirle che ho cambiato idea, preferisco non sapere niente e lasciare che uccidano Linda.
Comunque indugio ancora un po’ davanti alla porta, cercando di prendere coraggio. Mi viene in mente un’altra cosa che non ho preso e vado a prendere l’ipod e il suo caricatore, così saprò cosa fare durante il viaggio. Mi guardo di nuovo attorno, alla ricerca di qualcos’altro e lo sguardo mi cade sulla mensola dei libri. Forse non è una cattiva idea prenderne uno, potrei avere qualche difficoltà a dormire stanotte. E forse anche quelle successiva.
Mi avvicino e leggo i titoli stampati sul fianco, indecisa, fino a che trovo il libro che mi ha regalato Giulio una vita fa. Non ho mai letto nemmeno la metà del suo regalo, penso con un filo di senso di  colpa. Ma non è che abbia avuto molto tempo. Lo estraggo dalla fila insieme a un romanzo giallo (tanto per distogliere la mente no? Simbologia e assassini) e ficco entrambi nella borsa col cibo, quindi mi decido ad uscire e chiudere con le chiavi.
Ora è il momento di smetterla di cincischiare o perderò davvero l’aereo.
Arrivo all’aeroporto più in fretta di quanto avrei preferito e subito mi dirigo al terminal giusto. È la prima volta che viaggio in aereo e sono un po’ nervosa. Nell’attesa prendo qualcosa al bar dell’aeroporto, poi mi siedo su una di quelle scomodissime sedie di plastica che si trovano ovunque e cerco di rilassarmi con la musica nelle orecchie, continuando però a controllare di non essere seguita o roba del genere, poi finalmente la voce gracchiante dell’altoparlante avverte che è possibile salire a bordo.
Il viaggio è tranquillo, molto più di quanto mi aspettassi, e non soffro il mal d’aria, per fortuna. La musica non mi ha rilassata da morire ma mi ha evitato il collasso e sono persino riuscita a godermi almeno un po’ la vista delle nuvole quasi troppo vicine.
Subito dopo essere atterrata do’ un’occhiata alla mappa che ho stampato e cerco di raggiungere la piazzola da cui prenderò il pullman, che per fortuna trovo abbastanza facilmente, quindi prendo il mio posto sull’autobus. Me ne pento subito, perché è una fornace claustrofobica ma per fortuna partiamo poco dopo e il viaggio è breve.
Scesa dalla fornace riprendo la mia cartina e raggiungo, con un po’ più di fatica, il piccolo ostello dove ho prenotato.
A prendere i miei soldi e consegnarmi la piccola chiave c’è una quindicenne con serissimi problemi con l’acne e anche con la moda. Bene, non si da mai retta alle descrizioni delle ragazzine, credono tutti che esagerano o omettono qualcosa, tanto per il gusto di dire una bugia. Nel caso in cui la parrucca e i finti nei  non dovessero essere sufficienti.
Salgo nella stanza e sistemo le borse, tiro fuori il portatile e avviso i miei, Juno e Giulio che sono arrivata a destinazione. Quindi scorro la rubrica fino al numero giusto e schiaccio la cornetta verde.
- Allô? – risponde la voce cristallina di Nat.
- Sono venuta a trovarti Millicent, dimmi quando ci vediamo – le dico, senza presentarmi, nel tono più duro che mi riesce.
Mi vergogno un po’ nel rendermi conto che sto inconsciamente imitando Yvonne-la-strega per sembrare minacciosa e professionale, ma non importa, basta che funzioni.
Dopo un po’ di preoccupante silenzio, finalmente Nat mi da un orario.
- Inutile che ti dia l’indirizzo vero? – insinua.
Non rispondo alla sua provocazione e chiudo la comunicazione senza salutarla. Voglio che capisca subito che sono tosta e incazzata.
Bene, visto che ho alcune ore ancora libere decido di darmi una sciacquata. Forse non sarò mai impeccabile come Yvonne ma almeno non mi presenterò puzzolente di autobus.
Dopo una lunga doccia bollente, mi stendo sul letto, che è meno terribile di quanto mi aspettassi. Un ostello francese sembra un tre stelle italiano, dovrei lamentarmi con il nostro ente del turismo una volta a casa.
Chiudo gli occhi, cercando di respirare lentamente. Cosa spero di scoprire da Nat? In che modo potrà essermi utile a scoprire dove si trova Linda?
Non lo so, forse sto solo perdendo tempo, nella migliore delle ipotesi. Finirò ammazzata nella peggiore. Ma se mio padre ha scritto tutti quei capitoli per lei, un motivo ci deve essere. E spero che quel motivo mi porti a Linda.
Problema numero due: Alex. Cosa devo pensare di lui? Ha ragione Yvonne, mi ha mentito ma non è uno dei loro? È uno dei loro e si è reso partecipe della più confusa messa in scena del secolo? Perché io davvero non riesco a capire… se è un nemico, perché mandare Yvonne a fingere che non sia così? Ormai è fuori dal gioco, quello che penso di lui non ha più importanza. E non ha bisogno di attirarmi da nessuna parte, perché bastava Linda per farlo.
A che gioco sta giocando quindi? Non riesco a decidermi.
Il fatto che voglia ucciderlo per avermi mentito, a qualsiasi riguardo, di sicuro non mi aiuta.
Poggio un braccio sugli occhi, maledicendomi per non aver portato con me dell’aspirina. Forse poteva aiutarmi con il mal di testa che mi sta uccidendo, visto che c’è troppo poca differenza di fuso orario per parlare di jet lag.
Proprio quando sto per scivolare in una possibile dormita ristoratrice, il mio telefono prende a squillare. Accidenti.
- A parte gli avvocati, voglio sapere cosa stai combinando – mi ordina la voce di Yvonne nella cornetta.
Cos’ho fatto di male per meritarmela?
- Cos’hai scoperto? – domando comunque, senza obbedire e ignorando il tono imperioso. Deve capire che nessuno mi da ordini, nemmeno se è alto tre metri.
- Il numero è dello stesso tipo che mi hai fatto setacciare, il vescovo o quello che è. E la società non esiste ma è sempre legata a lui. Chi è questo tizio?
Io non rispondo, devo assimilare quello che ha detto.
Il numero della CIA di Linda non è del tutto inesistente come credevo. Staccato, ma appartenente a un nome ben preciso. Che è lo stesso del proprietario di una società inesistente che ha per marchio il simbolo usato come firma nei documenti dell’Organizzazione. Che è lo stesso di un criminale. Che è lo stesso che parlava di omicidi con Giulio.
- Sei ancora in linea? – domanda Yvonne scioccata.
- Il numero a quale indirizzo corrisponde? – le chiedo, ignorandola di nuovo.
Me lo detta e lo annoto furiosamente sul braccio, non ho tempo per prendere il block notes dalla borsa. E mentre detta di nuovo mi sembra che il cuore manchi qualche battito: l’indirizzo è vicino Roma. Chissà perché ho come l’impressione che non sia molto lontano da dove Alex aveva trovato quella specie di base computerizzata che ha violato il mio computer.
- Si può sapere che sta succedendo?
Questa volta la voce della strega ha un che di stridulo, segno della rabbia che minaccia di soffocarla. Rabbia contro di me. Ma non me ne preoccupo, al momento ho guai peggiori.
- Sei proprio sicura che la società sia del vescovo e che lui sia un criminale? – chiedo continuando a ignorarla, anche se so che è una domanda stupida. Infatti Yvonne non mi risponde nemmeno.
- Ok, ricevuto. Nessuna novità sul tuo capo? – le domando poi cambiando discorso.
Non intendo dirle niente, ovviamente, non mi fido di lei. Anche ammesso che non stia con l’Organizzazione sarebbe capace di salvare il suo prezioso Alex e lasciare Linda nelle mani di quei pazzi o chissà che altro.
- Forse, ma niente di sicuro – risponde laconica e fredda.
Capisco subito che non intende dirmi niente di preciso su Malone finchè non le dico qualcosa sul vescovo ma detto tra noi non potrebbe importarmene di meno di Malone ora, perciò non insisto.
- Dimmi cosa centra questo vescovo con tutta questa storia – impone ancora Yvonne.
- Te lo spiego quando torno, rientro domani sera. Intanto cerca tutte le proprietà a nome del vescovo e mandamele per mail.
Poi chiudo la comunicazione. Ho bisogno di pensare. E di non sentire quella voce odiosa.
Guardiamo prima le cose positive: il vescovo ha permesso che fosse usato un suo numero rintracciabile per ingannare Linda, perché? Perché era sicuro che nessuno avrebbe chiesto nulla a riguardo, anche se fosse saltato fuori. Non per niente ha la fedina penale immacolata, come ha detto Yvonne.
E l’indirizzo del numero di telefono è vicino al grosso pallino computerizzato dei cattivi, che se non sbaglio era sede della Guardia papale. Quindi della Chiesa, a cui può accedere anche un vescovo, se ha molti soldi.
Infine la sua società usa lo stesso simbolo della firma nei documenti dell’Organizzazione. Una società falsa, passabile di reato che invece è lì intatta da chissà quanto tempo. Troppo perché nessuna forza dell’ordine se ne sia mai accorto. E chi meglio della CIA può proteggere una società fasulla, con qualche scusa tipo indagine top-secret?
Quindi è molto probabile che io abbia trovato il cosiddetto Cardinale dell’Organizzazione, il che ha anche un senso. Cardinale perché è quello che lui si ritiene anche se è rimasto solo un vescovo, o roba simile. Megalomania.
Mio padre non ha scelto quel nome in codice a vanvera, dopotutto.
Ora passiamo alle cose brutte.
Cosa ha a che fare Giulio con il vescovo? Perché non può essere una coincidenza il fatto che si conoscano. Sono alleati? È al vescovo che Giulio deve dei soldi, gli hanno promesso di estinguere i suoi debiti in cambio di… be’, di me?
Non riesco a respirare. Non posso credere che anche Giulio sia dei loro. Non posso credere che mi abbia tradito a questo modo. Mi fidavo di lui, più di Alex. E ora scopro che forse è più cattivo di Alex e Yvonne messi insieme.
Faticando a respirare e concentrarmi, mi sforzo di pensare: può essere stato Giulio il contatto dell’Organizzazione?
Lui non mi conosceva ancora quando qualcuno si è introdotto a casa mia. E non sapeva della casa di Juno quando gli hanno sparato. Alex l’ha visto parlare con dei russi come Tuta Nera ma potrebbero essere dei fans e non è che avessero scritto “RUSSI” in faccia, no? Ha sempre cercato di far fuori Alex ma solo perché era geloso. Ed è stato lui a farmi conoscere Rofferwaak, non mi avrebbe aiutata a scoprirli se fosse con loro. Non ci sono molti elementi, quindi, che possano provare che Giulio è dei loro.
Tranne il fatto che ha incontrato un criminale e che ha parlato con lui di omicidio. E che mi ha dato gli originali dei documenti dell’Organizzazione. Non mi ha mai spiegato come e dove li abbia trovati.
All’improvviso, il flusso dei miei pensieri viene interrotto da un conato di vomito. Raggiungo giusto in tempo il water e aspetto che lo stomaco torni tranquillo. Perché diavolo non riesco a tenere niente nello stomaco ultimamente?
Dev’essere la tensione. Il viaggio, Nat, Giulio…
Mi rimetto in piedi, mi do una sciacquata alla faccia e torno nella stanza principale, quindi accendo il computer. Yvonne mi manderà una mail e voglio leggerla subito. Forse tra quegli indirizzi c’è anche il posto dove hanno rinchiuso Linda. Anzi, ne sono quasi certa. Un altro posto coperto dalla mano della Chiesa e quella del denaro.
Mentre il computer parte, mi ripeto che Giulio non può essere un traditore. Alex sì, potrebbe, e c’erano un mare di indizi che avrebbero dovuto farmelo capire prima: i messaggi, la sua comparsa contemporanea all’inizio del putiferio, le ragioni assurde per cui si è trasferito in Italia. Giulio non ha nulla che lo accusi. Quasi. Tranne l’incontro all’hotel.
Non appena il sistema è operativo compare la notifica di nuove mail non lette. Più di una.
Apro velocemente la pagina, ringraziando le moderne tecnologie wireless nonché il servizio gratuito dell’ostello. Una è di Yvonne, una di Juno, due dei miei genitori, un’altra di Giulio.
Leggere il suo nome dopo quello che ho scoperto mi fa tremare per qualche secondo. Apro prima quelle innocue dei miei, che sono dei saluti, e di Juno, che invece mi ha inviato il programma delle interviste di Giulio per il suo annuncio. Quella di Yvonne è fredda come lei, solo un elenco di indirizzi, sparsi un po’ per tutta Italia e qualcuno anche all’estero. Non mi meraviglia scoprire che molti sono vicino Roma. Ora devo solo trovare il modo di controllarli tutti e scoprire se uno di questi è il posto dove hanno nascosto Linda. E anche Alex, ovviamente. Oppure no?
In effetti non mi sono soffermata molto sulle possibilità che li tenessero nascosti separatamente. Ma non sarà un problema. Io cerco Linda e che Alex aspetti la sua bella Yvonne, se davvero è in pericolo.
Infine, lentamente, muovo il dito in direzione della mail di Giulio, con un’altra lunga serie di brividi.
“Ho scoperto qualcosa riguardo alla Paramount. Ha avuto a che fare con tutte le persone vittime degli incidenti su cui indagava Drake o con le società per cui loro lavoravano. E visto che erano tutti ricercatori più o meno affermati, probabilmente avevano scoperto che la società era fasulla o chissà cos’altro e li hanno eliminati prima che li denunciassero. Siamo molto vicini, Alexis”.
Fisso il monitor per un po’, come una ritardata. Starei esultando se questo non compromettesse ancora di più la posizione di Giulio.
D’altra parte, mi aggrappo proprio a questa mail per scagionarlo del tutto: non mi avrebbe detto del collegamento della Paramount con gli omicidi se stesse nascondendo il proprietario della società, no?
Mi viene in mente un’altra ipotesi: forse Giulio non sa la verità sul vescovo. Forse non è che lo conosce proprio, hanno avuto qualche piccolo affare riguardo i suoi debiti. In pratica Giulio è stato usato a sua insaputa.
È un’ipotesi debole e un po’ troppo conveniente, anche perché l’ho pensato di tutti quelli che incontro ultimamente, ma non riesco a scartarla definitivamente. Voglio credere che sia così.
Spengo il computer e chiudo gli occhi per un po’, poi controllo l’orologio. Di dormire ormai neanche a parlarne, quindi tanto vale cominciare a prepararmi per andare a far visita a questa misteriosa Nat/Millicent.
Mi vesto lentamente, indecisa su tutto.
Come ci si veste per incontrare un fantasma, una che non esiste? Dovrei andare sull’elegante, sul casual, sullo stile hard rock per far capire che sono una dura?
E poi, devo andarci armata? Non sono nemmeno sicura che sarei capace di sparare a qualcuno ma non mi sento tranquilla ad andarci completamente disarmata, non ho nemmeno un’idea di quello che troverò.
Alla fine scelgo un maglioncino lungo, nero, con dei disegni vagamente orientali sul bordo, dei Jeans scuri e gli stivali alti al ginocchio, con la suola alta in un semi-tacco. Sono comodi e ci posso facilmente nascondere dei coltelli, che so usare meglio delle pistole. E mi fanno anche guadagnare diversi centimetri, il che non è male quando devi intimorire qualcuno. È molto più facile fare paura se sei più alta.
Raccolgo i capelli in una crocchia strettissima tanto che quasi mi lacrimano gli occhi, quindi infilo la parrucca ramata, mi trucco in modo da sembrare più pallida del normale e ridisegno i finti nei. Tutto questo mentre cerco di immaginare Nat. So che non è più tanto giovane perché si capisce dalla voce ma del resto? È alta, bassa, magra, cicciona, arcigna, crudele, gentile, autoritaria?
Non lo so, ma sto per scoprirlo, noto con un’occhiata all’orologio. È ormai ora di andare, considerando che non so bene la strada. Prendo la pistola, la assicuro all’interno della giacca come mi ha insegnato Juno, controllo i coltelli negli stivali, infilo il piccolo congegno elettronico nella tasca dei pantaloni, ben nascosto dal maglione. Se qualcuno di avvicina lo uccido con una scarica di un milione di watt circa.
Il tragitto è leggermente più difficile del previsto, chiedere informazioni è decisamente più difficile, ma riesco comunque ad arrivare alla mia destinazione quasi in anticipo.
Anche se ho poco tempo, mi prendo diversi minuti per osservare la casa, che è un palazzo a tre piani con numerose finestre ma una sola uscita possibile in vista e il cancello è automatizzato. Se sono in trappola, muoio.
Da dietro le tende chiare non si scorgono movimenti di sorta, solo da una stanza al primo piano si vedono delle ombre chiare, quindi devono essere lì. Per fortuna non mi ucciderò se dovessi buttarmi dalla finestra, anche se poi mi sparano in giardino prima che riesco a scavalcare il cancello.
Mi faccio coraggio il più possibile e mi avvicino al cancello. Sono così nervosa che un alito di vento mi farebbe saltare per aria e tengo per precauzione la mano lontana dalla pistola nel giubbino. Non vorrei sparare a un passante troppo rumoroso.
Con stomaco annodato per la tensione e la gola ridotta a una fessura roca mi accosto al campanello. Non mi meraviglio di notare che mi trema la mano mentre schiaccio il pulsante. E poi mi meraviglio di vomitare spesso in questi giorni.
Proprio mentre sto stupidamente per chiedermi cosa rispondere alla domanda “chi è” sento un rumore e il cancello comincia ad aprirsi lentamente. Per fortuna non ho dovuto gracchiare nessuna risposta.
Varco la linea del cancello e avanzo in giardino verso il grosso portone in legno davanti a me con lo stesso spirito che deve aver animato le anime dantesche all’ingresso dell’Inferno. Com’è che diceva la scritta? Lasciate ogni speranza, o voi che entrate, mi pare. Appunto.
Non faccio in tempo a bussare che il portone si apre per metà e un uomo non molto alto e decisamente non magro mi fa cenno di entrare con la mano.
Il marito? Il figlio? Il capo? Un adepto pazzo che ora mi ammazza?
- Mi chiamo Alène, signorina Blendell, sono il maggiordomo della signora Rale. La signora mi ha chiesto di accompagnarla in salotto – mi avverte l’uomo con un accento ammirevole prima di incamminarsi.
Paranoica, ecco cosa sono. Eppure mi sento come la mosca a casa del ragno. Il fatto che l’androne di questa casa sia immenso e arredato vecchio stile non contribuisce poi a rendere meno soffocante l’impressione di trovarsi in un vecchio film horror dove la nuova arrivata finisce ammazzata per un qualche folle rituale.
Il salotto è appena due porte oltre l’androne ed è una bella stanza, stranamente più piccola dell’entrata, arredata sempre in stile impero ma senza i toni cupi dell’altra stanza. Davanti a me, ci sono due poltrone e un divano, al centro un piccolo tavolino con dei fogli sparsi sopra e nell’aria si levano le musiche di un’opera classica allegra che non conosco. Inoltre, per fortuna, è vuota, a parte una signora seduta su una delle poltrone. Niente imboscata di esaltati, per ora.
- Benvenuta Alexis. Accomodati, prego – mi saluta Nat, cordialmente, facendomi cenno verso la poltrona accanto alla sua. La voce è dolce molto più che al telefono e anche il suo sorriso è caldo e sincero.
La fisso, sentendomi maleducata ma incapace di smettere. Non l’avevo immaginata così.
La Nat che aveva in mente era decisamente più provata, in un certo senso, smagrita e spenta come tutte le persone che passano la vita a nascondersi da tutti, resa insofferente dalle infinite privazioni, cose così.
La vera Nat è un’amabile signora, molto simile a mia madre nella sua corporatura alta e rotondetta, perfettamente curata sia nel tailleur celeste pallido, sia nei capelli bianchissimi. Persino le rughe sul suo viso sono sottili e delicate, apparentemente simmetriche sui due lati della faccia. Ha un portamento che non si può che definire regale, così aristocratica e controllata, lo sguardo intelligente e tranquillo. Deve essere stata una donna dal carattere molto forte, oltre che molto bella, da giovane.
Io mi avvicino alle poltrone impacciata, anche se mi odio per questo. Addio aria da dura. Ma non mi aspettavo di certo un’avversaria che assomiglia alla nonna del canarino Titti.
Mi siedo in punta, le mani poggiate sulle gambe perché non tremino.
- Sono felice di conoscerti anche se questo vuol dire che ci sono cattive notizie – continua lei mentre mi siedo e di nuovo mi sorride, innocua. Però c’è qualcosa nel suo sorriso, una nota di stanchezza e rassegnazione, come chi sa che il gioco è finito per sempre, che gli dà qualcosa di meravigliosamente autentico. Non come i sorrisi prestampati di Yvonne.
- Sono curiosa di sapere come hai convinto Juno a parlarti di me ma prima, per favore, prendi qualche cioccolatino. Devo tenere alto l’onore dell’ospitalità francese, se non voglio che mio marito si arrabbi.
Fa un cenno ad Alène che ci porge un vassoio pieno di carte multicolore. Ovviamente non mi muovo e mi limito a fissare la simpatica signora di fronte a me. Crede che sia così stupida?
Il sorriso di Nat sembra incerto per un po’, poi sembra illuminarsi come per un’idea.
- Juno non ti ha detto niente, mi hai trovata da sola. E quindi non ti fidi.
Non è una domanda quindi non rispondo. Sarebbe sciocco. Continuo a fissarla però, cercando di rilassare i muscoli della schiena. Vorrei togliere la giacca ma non voglio separarmi dalla pistola, quindi lo tengo addosso e spero di non mettermi a colare sudore.
Nat scuote la testa, con un altro di quei sorrisi stanchi e dispiaciuti, e prende per prima un cioccolatino dal vassoio.
- Devo farti i miei complimenti. Non è facile strappare a Juno un segreto.
Anche se ha usato di nuovo quel tono calmo e gentile, mi innervosisco. Sono stufa di parlare amabilmente come se non fosse in pericolo la vita di Linda.
- Stammi a sentire Nat, o Millicent o comunque ti chiami, non sono qui per una visita di piacere. Ti ho già detto per telefono che c’è in gioco la vita di molte persone e non mi va di stare a giocare mentre qualcuno muore. Dimmi quello che sai.
Lei invece di rispondere mi fissa un po’, in silenzio, di nuovo con l’aria dispiaciuta. Mi ha già dato ai nervi quest’aria mesta, se non la smette le darò io qualcosa per cui dispiacersi davvero.
- La situazione è davvero così terribile?
Ogni traccia di sorriso è svanita e la sua espressione è seria e grave mentre fa un cenno al maggiordomo di lasciarci sole. Questo mi tranquillizza un po’, sono capace di stendere una vecchietta anche disarmata e ho comunque più di un’arma a disposizione.
- Speravo davvero che non si arrivasse mai a questo punto. Ho pregato per tanti, tanti anni – continua, prima che io risponda alla sua domanda.
- Come sai di questa storia? Perché è a te che mio padre destinava il libro? – le chiedo, già spazientita da questo girare intorno. Voglio sapere tutto e subito e poi correre di nuovo a salvare Linda.
- Perché il mio nome vero è Natalie Drake e sono la sorella di Richard.
Questa proprio non me l’aspettavo, quindi non rispondo.
Possibile? Sì, l’età potrebbe coincidere. Ma potrebbe anche essere una stronzata colossale.
- Molti anni fa, poco prima che Richard fosse ucciso, una sera mio fratello venne da me e mi consegnò un biglietto. C’erano delle indicazioni e un numero. Mi disse che aveva scoperto qualcosa di grosso, così grosso che avrebbe dovuto forse sparire per un po’ e voleva che io avessi accesso alle prove nel caso gli fosse successo qualcosa.
Ascolto attentamente ma cerco allo stesso tempo di tenere d’occhio la porta. Intanto non riesco a spiegarmi perché, se davvero è la sorella di quel Drake, Juno non mi abbia mai parlato di questa sorella misteriosa. Né mio padre.
- Qualcosa gli è successo e io ho seguito le indicazioni fino a trovarmi con in mano una grossa cartella contenente dei documenti, verbali di polizia per lo più, alcuni interrogatori, moltissimi appunti a mano, ma ognuno sembrava scollegato da tutti gli altri, non c’era nessun nesso logico. Mi chiesi se Richard fosse impazzito. Poi ho trovato un appunto in cui mi diceva di contattare una persona che avrebbe potuto aiutarmi, Jasper Marshall.
Fa una pausa e mi fissa a lungo, tanto che mi domando se si aspetta che dica qualcosa. Solo che non mi viene niente, questa storia è…
- Sto parlando di Juno, Alexis. Juno era il soprannome del caporale maggiore Jasper Marshall. Richard lo aveva conosciuto durante gli anni da militare, era il suo addestratore per la precisione. Quando Richard aveva cominciato ad avere paura per la sua vita, gli aveva chiesto protezione e voleva che facesse lo stesso per me.
Questo spiega il collegamento tra Juno e Nat. Ma non perché lui non me ne abbia mai parlato.
- Perché mio padre non ha dato direttamente a te la traduzione dei documenti allora?
- Non mi hai ascoltato, bambina. Lui mi diede quelle prove poche sere prima di morire assassinato mentre incontrò tuo padre il giorno stesso di morire. Richard non fece probabilmente in tempo a dirgli tutto o più probabilmente non voleva farlo.
Fa un’altra pausa, con la voce leggermente incrinata, ma si riprende subito. Nei suoi occhi c’è ancora quella traccia di tristezza dispiaciuta e mi chiedo se non si senta in colpa. Ma di cosa?
- Devi considerare che Richard non aveva capito nulla sull’Organizzazione, lui credeva che qualche gruppo di malati si era messo in testa di annientare il sapere occidentale, una frangia molto potente dei soliti anarchici insomma. Probabilmente non pensava nemmeno che l’avrebbero ucciso, aveva più paura di un allontanamento forzato dal “campo”, come lo chiamava lui. E tuo padre era un civile. Non avrebbe coinvolto dei civili fino a che avesse potuto impedirlo, cioè finchè è morto.
- Anche ammesso che io ti creda, a questo punto del libro hai messo insieme abbastanza pezzi per capire come collegare quei documenti, quindi falla finita e denuncia questi pazzi prima che ammazzino qualcun altro.
Il tono è così duro e inespressivo da sorprendere anche me. Non mi sono nemmeno impegnata questa volta. Sono troppo scossa infatti per pensare, lascio fare al mio istinto, come se fosse un pilota automatico, mentre io cerco di capire se fidarmi o meno.
- In un certo senso è così ma… in un altro non è così semplice, mia cara. Quello che abbiamo è qualcosa, ma non abbastanza per fermare questa follia, non basta a condannare il vero colpevole.
Da come lo dice non mi sembra che stia per strapparsi i capelli, il che mi fa pensare di nuovo che sia una trappola. Però… cosa aspettano a farmi fuori, se ci sono altri agenti nascosti? Che senso ha, di nuovo, questa sceneggiata?
- Va bene, dammi tutto quello che ti ha lasciato Drake e lascia fare a me allora. Troverò il modo di collegarli da sola.
Di nuovo la mia voce somiglia un po’ troppo a un ringhio e non me ne dispiace affatto. La vita di Linda è in pericolo e tutti si mettono a giocare con i cavilli come gli avvocati dilettanti.
- Non posso ancora farlo, mia cara. Prima devo raccontarti la storia fino in fondo o potresti trarre le conclusioni sbagliate. Seguimi.
Si alza a fatica e si incammina nel corridoio. Non voglio seguirla, sia perché non mi fido sia perché non voglio obbedire ai suoi ordini come il suo maggiordomo ma lei prosegue senza darmi l’opportunità di ribattere, così mi alzo e la raggiungo, guardinga, la mano vicina alla pistola.
Saliamo una scalinata immensa e seguiamo un corridoio largo quanto un’autostrada fino ad una porta di legno massiccio.  Nat bussa leggermente con le nocche, poi entra senza aspettare di essere invitata.
La stanza in cui entriamo è una camera da letto, abbastanza grande e poco illuminata, arredata in uno stile barocco molto pesante. Grandi mobili scuri e intarsiati, giurerei a mano, enormi quadri in cornici dorate, pesanti drappi cupi alle finestre. Alla nostra destra, davanti a uno scrittoio Davenport mi pare che si chiamino, c’è un uomo, piuttosto anziano, su una sedia a rotelle.
- Tesoro abbiamo visite. La nostra cara Alexis è un’amica di Juno, è venuta a darti un suo saluto.
Sebbene l’uomo non abbia reagito minimamente alla nostra entrata, si gira di scatto (o quanto più velocemente gli permette la sua età) al nome di Juno e un sorriso stanco e sofferente gli illumina il viso scarno.
Pimpante come se non stessimo parlando fino a un momento prima di esaltati con manie omicide, Nat raggiunge l’uomo e gli sistema amorevolmente la coperta sulle gambe, quindi lo aiuta a voltare la sedia nella mia direzione.
Impacciata, faccio un saluto con la mano, indecisa e confusa.
- E’ proprio come mi aspettavo un’amica di Juno, amore. Bella e armata – sussurra appena l’uomo.
Arrossisco e non riesco a impedire alla mia mano di correre alla pistola nascosta nella giacca. Come diavolo ha fatto a vederla? È nascosta benissimo, ho controllato per ore allo specchio!
- Non è colpa tua figliola, ho un occhio speciale per le armi io. Sai, io e Juno ne abbiamo viste di pallottole insieme.
La sua voce è roca e il forte accento rende le parole quasi incomprensibili, però la risata che segue è limpida e sinceramente felice. Ora sono quasi certa che non siano impostori, sembra essere davvero un grande amico di Juno, si capisce dal tono affettuoso che usa quando pronuncia il suo nome.
Ma come può essere amico di qualcuno di almeno vent’anni più vecchio? Perché il signore sulla sedia deve avere almeno settant’anni e Juno ne ha poco più di cinquanta!
- Non cominciare con le tue storie, Jean, o ti affaticherai. Le racconterai tutto a cena, se Alexis vuole farci questo onore.
Prima che abbia il tempo di scuotere la testa e inventare una scusa il signore mi regala un sorriso magnifico e i suoi occhi sembrano illuminarsi.
- Che meraviglia! È troppo tempo che non abbiamo ospiti, Milli. Sarà un piacere ricordare Juno piccolo e imbranato!
Come faccio a rifiutare? Ho un debole per gli anziani e questo sembra aver davvero bisogno di quattro chiacchiere.
- Ma certo, ne sarò felice.
- Ora noi signore andiamo di sotto. Tu cerca di non stancarti fino all’ora di cena e prepara qualche bella storia da raccontare alla nostra ospite.
Nat saluta il signore con un bacio affettuoso sulla tempia, poi mi guida di nuovo verso il salottino al piano di sotto, dove eravamo prima.
- Quello che hai visto era mio marito, Jean Luis Richelieu, fratello del famigerato Cardinale Richelieu.
Sgrano leggermente gli occhi nel sentire ancora questo nome, tuttavia non dico niente. È chiaro ormai che non è una coincidenza il fatto di inciampare sempre in questo Cardinale ma non riesco ancora a collegarlo alla mia missione.
- Non so se ti sei già imbattuta in questo nome, ma di certo lo incontrerai spesso da ora in poi, quindi è meglio chiarire subito questa cosa, così ti sarà più facile capire il seguito.
Non dico nulla, in attesa di capirci qualcosa e lei, dopo essere certa che non ho nulla da dire, prosegue.
- Oggi il Cardinale è a capo di una delle industrie farmaceutiche più importanti nel mondo ma quello non è il suo progetto, quelle industrie sono il frutto di anni e anni di lavoro di mio marito, nonché suo fratello.
Fa una pausa, forse per nascondere la rabbia nella voce. Evidentemente è una ferita non ancora rimarginata, nonostante la bella villa. Ma ancora sembra di essere a un incontro di psicanalisi e non sono venuta qui per questo.
- Tutti nel mondo sanno che all’inizio i due fratelli lavoravano insieme e che ad un certo punto si sono divisi e non si sono mai più rivolti la parola ma nessuno sa che è successo perché il Cardinale è una persona abominevole, un mostro senza nessuna morale.
Di nuovo la voce le si incrina ed è costretta a fare una pausa. Se è una recita, le riesce splendidamente.
Dopo qualche minuto però sembra riprendere il suo autocontrollo e il discorso procede in tono calmo e misurato.
All’inizio le industrie MC si chiamavano JLR come le iniziali dei proprietari, Jean Luis e Jacques Lucien Richelieu, entrambi figli di un grosso imprenditore nel campo della medicina. Già allora i due fratelli non andavano sempre d’accordo ma per realizzare il suo progetto Jean aveva bisogno anche della parte di eredità di Jacques e questo aveva bisogno di un lasciapassare per le alte cariche della Chiesa Cattolica, a cui si era votato qualche anno addietro, così decisero di provare a cercare un punto d’incontro.
Poco dopo la fondazione della società però, Jean fu chiamato dall’esercito a partecipare a una guerra nell’Africa centrale in qualità di medico di campo e così delegò tutti i suoi compiti delle industrie al fratello che rimase solo a gestire tutto il patrimonio.
La guerra era di piccole dimensioni, in un certo senso, ma durò a lungo e intanto Jean fece amicizia con la gente del posto, quelli almeno che parteggiavano per gli europei, e così venne a scoprire una cosa terribile: proprio in una regione accanto a quella dove lui combatteva per difendere i diritti degli uomini, una grossa industria farmaceutica occidentale faceva esperimenti che provocavano una strana malattia alle cavie e ai lavoratori. L’impresa era la JLR.
Non appena riuscì, Jean parlò col fratello per chiedere spiegazioni ma ci fu una violenta lite. Jacques era entrato a far parte di una specie di setta, e stava usando la JLR per gli scopi di quella congrega: usavano un’erba dell’America centrale per ricavarne una sorta di energetico.
La sostanza, una volta assunta, era in grado di cancellare lo stimolo del dolore. Secondo questa congrega, quell’erba era stata usata per la prima volta da un gruppo di centurioni sbarcati sulle coste dell’America molto prima dei romani e avevano subito intuito che se data all’esercito li avrebbe resi invincibili in battaglia.
Tuttavia la sostanza aveva numerosi effetti collaterali e di solito portava chi la assumeva a stati allucinogeni, paralisi e finanche morte e le alte cariche del governo romano avevano ritenuto più prudente abbandonare quei centurioni e dimenticarsi della scoperta. Il gruppo a cui si era unito Jacques, la Legione si facevano chiamare, si dichiarava legittimo successore di quei centurioni e aveva deciso di vendicare l’abbandono dei loro antenati.
- Ma questa immagino che sia una storia che già conosci – sottolinea Nat con un sorriso stanco.
Come se il gatto mi avesse mangiato la lingua non riesco a rispondere. Sono piuttosto certa che la storia sia vera ormai, visto che non hanno cercato di farmi del male. Ma c’è qualcosa che mi sfugge.
Se sappiamo chi è il responsabile, cosa stiamo facendo qui?
- Comunque, dopo la lite, Jean ha denunciato quegli esperimenti per impedire al fratello di continuare con la sua follia e ha scoperto un altro orrore: Jacques aveva sfruttato il monogramma comune per far ricadere le responsabilità degli esperimenti su Jean così quando un intero villaggio venne spazzato via dall’utilizzo di quella sostanza tutte le colpe ricaddero su mio marito. Ha evitato il carcere per un soffio ma di fatto siamo confinati qui da anni, ormai.
Fa una pausa per riprendere fiato e io non la interrompo. Voglio capire come va a finire questa strana versione.
- Poi Richard è morto e io temevo per la nostra vita, perché ormai la malattia aveva reso Jean troppo debole per difendersi. Per questo ora sono Millicent Rale.
Ci penso un po’ su. Di certo non è la storia che avevo immaginato quando pensavo a chi aveva ucciso mio padre.
Comunque, forse ho capito cosa stiamo aspettando a incastrare il perfido Cardinale Richelieu.
- E anche le prove che aveva raccolto Drake hanno lo stesso problema, conducono sia a Jean che a Jacques, giusto?
- Esatto. Ecco perché non possiamo utilizzarle ancora. Dobbiamo trovare un modo per incastrare il vero responsabile di questa faccenda ma Jacques è furbo ed è riuscito a diventare un pezzo troppo importante nella società.
- Al momento non mi importa di incastrarlo, devo prima trovare il modo di salvare Linda. Se lui è il mandante di questo casino, allora lui sa dov’è Linda…
- Non fare cose stupide proprio ora, bambina. Se ti avvicini a lui ti farà ammazzare come una mosca, non gli importa nulla della vita umana. Devi trovare un altro modo per salvare la tua amica.
Sto per ribattere ma un’occhiata al cipiglio testardo stampato sulla faccia di Nat mi convince che è inutile discutere con lei. E comunque non mi serve il permesso di una sconosciuta per fare a modo mio.
- Dove sono le prove che ha raccolto Drake? Voglio vederle in ogni caso.
- Mi sembra giusto. Seguimi.
Arriviamo in una specie di enorme tavernetta, con lunghi scaffali pieni di bottiglie di vino impolverate, illuminate troppo fiocamente dal soffitto. Sembra una scenografia della perfetta villa francese, scommetto che le bottiglie sono di Borgogna o Chardonnay o roba del genere. Proprio come nei film, il che non mi aiuta certo a scacciare questo senso di irrealtà, come se mi trovassi davvero su un set.
Senza curarsi di controllare se la seguo, Nat prosegue quasi a casaccio tra gli scaffali fino ad arrivare ad una piccola porta in legno chiaro, mal messa. La apre e mi fa segno di entrare dopo di lei.
Col cuore che mi martella in gola, faccio fatica a non impugnare la mia arma, certa che la stanzetta sarà piena di agenti pronti a spararmi. Invece la stanza è deserta, minuscola, ingombra di strani oggetti che non riconosco ma che immagino servano con le bottiglie, attrezzi da sommelier insomma.
Mentre cerco di riportare i battiti del cuore a un ritmo più naturale, Nat apre una grossa scatola di plastica disegnata, uno quegli scatoloni ripiegabili in cui le mamme infilano le robe al cambio delle stagioni. Ne tira fuori una grossa cartella piena di fogli, talmente simile alla prima ricevuta da mio padre che mi sento momentaneamente mancare il fiato.
- Ecco, questo è tutto quello che ho ereditato da mio fratello. Potrai dargli un’occhiata dopo cena se vuoi. Ora è il momento di andare a sentire qualche vecchia storia di guerra, mio marito adora raccontare i tempi d’oro.
Senza parlare ritorniamo al piano superiore e ci dirigiamo in una sala da pranzo enorme. La cena trascorre tranquilla, persino divertente mentre Jean racconta di un Juno giovanissimo e alle prime armi. È stato in quelle terre assolate che Juno è diventato quello che conosco io, tutto muscoli e armi.
- Fu una guerra lunga e inutile alla fine. Però ci unì molto, anche se eravamo diversi, e quando lo salvai da una bomba, Juno divenne la mia ombra, l’amico migliore che avessi mai avuto. È stato difficile separarci quando sono tornato a casa, dopo… la lite con mio fratello.
Lo disse con una vena di malinconia e di amarezza ma senza il rancore che mi aspettavo. Possibile che abbia perdonato suo fratello per quello che gli ha fatto? Io non ne sarei mai capace.
- Fu per la nostra amicizia che prese tanto a cuore quel ragazzotto di mio cognato, quando entrò nell’esercito. Glielo chiesi come favore, perché Richard era troppo buono e troppo giusto per quel mondo. Non sapevo che l’avrei cacciato in guai ancora peggiori.
Lo disse con un tale senso di colpa nella voce da farmi venire il groppo in gola. Comincio a credere di dover andare da  un dottore, io non piango mai e invece negli ultimi giorni sembra che non riesca a farne a meno.
Quindi Jean sa tutto, comunque. Poveretto, non deve essere affatto facile. Sapere che tuo fratello è capace di…
L’ho detto io, non appena l’ho visto, che quel Cardinale non mi piaceva. Se solo penso che ci sono stata così vicina quel giorno!
Quando finiamo di mangiare tutte le portate si è fatto tardissimo. Aspetto che Nat metta a letto il marito, poi infilo tutte le carte di Richard in una grossa borsa che mi ha dato Nat.
- Perché Juno non mi ha mai parlato di voi? Mio padre non lo sapeva ma lui… - domando prima di salutarla definitivamente. È una domanda che mi sto facendo da sempre.
- Per molto tempo non ho voluto più avere a che fare con questa storia, mi aveva già rovinato abbastanza la vita. Sono scomparsa, ho cambiato nome e ci siamo nascosti qui. Juno mi ha trovata pochi mesi fa e… non ero ancora pronta per ricominciare.
- Ci sono in ballo troppe vite, Natalie. Sinceramente, non posso aspettare che tu sia pronta.
- Lo so, per questo mi sono nascosta. Come Natalie non potevo sottrarmi a un dovere che non ho mai voluto.
Sto per replicare che è la cosa più egoista che abbia mai sentito ma mi mordo la lingua. Non sono in grado di giudicare. Forse anche io avrei fatto la stessa cosa al posto suo.
- Ti prego, fa attenzione a come le usi. Jean ha già sofferto abbastanza per questa faccenda, un altro scandalo lo ucciderebbe.
- Farò il possibile ma Jacques deve essere fermato. Non resterò a guardare mentre uccide qualcun altro.
Lei annuisce mesta, poi mi accompagna alla porta.
- Porta i nostri saluti a Juno e digli che mi dispiace, per tutto. Non avrei voluto che andasse così tra noi. Ma spero tanto un giorno di rivederlo, e anche Jean ne sarebbe felice.
La lascio sulla porta per salire nel taxi. Non avrei mai trovato la strada per la mia stanza al buio.
Mentre l’auto gialla mi riporta al mio albergo ripenso a tutto quello che ho scoperto stasera. Una sostanza che inibisce il dolore, ecco il gran segreto che mio padre non era riuscito a scoprire. È per quella sostanza che sono morte tutte queste persone. Ma ora? Hanno trovato il modo di usarla? Vogliono venderla, nasconderla, usarla?
Non lo so proprio. Non riesco a pensare da mentecatto.
E come posso usare questa informazione per trovare Linda? E che relazione c’è con il vescovo che parlava con Giulio? Perché anche lui è ben invischiato nella faccenda. Forse il vescovo è il grande capo dell’Organizzazione, o Legione come ha detto che si fanno chiamare, e Richelieu esegue gli ordini. Ma in tutto questo che c’entra Giulio? E com’è entrata in ballo la CIA?
Alla fine non mi è stata molto utile questa scappatella francese. Maledizione.
Quando finalmente il taxi si ferma davanti all’insegna luminosa, pago l’uomo e salgo nella mia camera con la grossa borsa. Anche se è tardi e sono parecchio stanca, non posso aspettare fino a domani per sapere qualcosa in più, quindi tiro fuori la grossa cartella dalla borsa e comincio a leggere.
Come ha detto Nat sono per lo più testimonianze e interrogatori, alcuni documenti di proprietà e fotocopie di contratti. Leggendo i nomi dei contratti mi accorgo che sono tutti i nomi di coloro che sono poi morti negli “incidenti” e come aveva detto Giulio, sono contratti di ricerca con la Paramount, che a quanto pare è un’ala sconosciuta delle MC, quella dedicata agli affari loschi. Ecco il collegamento tra le due società, la prova definitiva. E come ha detto Yvonne il nome di Terenzio sembra essere importante in questa società satellite.
Alla fine credo di essermi fatta un quadro piuttosto preciso della situazione: il Cardinale Richelieu è a capo di una setta chiamata Legione di cui fa parte anche Terenzio e insieme conducono esperimenti per mettere a punto una sostanza che creerebbe dei guerrieri invincibili in una guerra e probabilmente intendono usare questi super soldati per distruggere quello che era secondo loro il mondo di Roma.
Non trovo però niente che possa aiutarmi a trovare Linda. Restringere il campo a Terenzio e Richelieu non mi aiuta, visto che entrambi possiedono decine di proprietà sparse in tutta Italia, per non parlare di quelle all’estero.
E c’è da inserire Giulio nel quadro. Anche se non ho ancora capito in che maniera, so che Alex entra in gioco perché lavora nella CIA, ma Giulio? Che rapporto c’è tra lui e Terenzio? Non riesco a credere che sia un caso che quei due si conoscono e che Giulio piomba nella mia vita.
Ma è una pedina inconsapevole o una carogna? Non lo so. Mi sembrava così genuino, spontaneo… non riesco a credere che stia davvero con l’Organizzazione. Dannazione, mi sono innamorata di lui!
D’istinto prendo il suo libro dalla valigia e lo sfoglio, osservando le parole stampate come se lì si nascondessero le risposte che cerco. Ma ovviamente nessuno pubblica un libro in cui ammette di essere un pazzo.
Chiudo il libro e fisso per un po’ la copertina, con l’immagine di una pergamena stampata sopra, ripensando a tutto quello che ho passato con lui. Ripenso a quando ha cucinato a casa mia mentre ero ferita, alla prima volta che siamo usciti, a come avevo voglia di sapere com’era baciarlo e anche a quella mattina in cui mi sono svegliata al suo fianco…
Sovrappensiero, apro il libro, sollevando solo la copertina, e mi ritrovo a fissare una piccola scritta in alto sul retro della copertina che non avevo mai notato.
“Sei sulla strada giusta, e tra poco brillerai tra le stelle. Con affetto zio E.” c’è scritto, a mano.
Come ho fatto a non vederla mai? Perché non ho mai aperto al primo foglio, ovvio, sono andata direttamente all’introduzione. Dannazione! Avevo la risposta sotto gli occhi dall’inizio!
Ecco come entra Giulio in questa storia. Il vescovo Elvigio Terenzio è suo zio.
Ma questo non mi aiuta di certo a capire se Giulio sa o non sa di essere parente di un esaltato da ricoverare. Probabilmente no, continuo a ripetermi. Probabilmente.
Mi spoglio e mi metto a letto, con la testa che mi rimbomba di tutte le informazioni accumulate nella serata, troppo stanca per pensare ancora. Forse una notte di sonno mi aiuterà a vederci più chiaro. E comunque domani mattina chiamo Giulio e chiariamo questa faccenda una volta per tutte.
La mattina dopo arriva fin troppo presto, ma ho il tempo di farmi una doccia prima della colazione. So che dovrei chiamare Giulio ma voglio pensare un po’ a quello che gli dirò prima. Ma come chiedo se per caso non sta recitando per uccidermi quando meno me lo aspetto?
Ci penso e ripenso mentre bevo il mio caffè accompagnato da qualche biscotto. Di certo non posso chiederglielo direttamente. Potrei dire di aver appena ricordato il particolare del suo incontro all’hotel ma come spiego quello che ho scoperto su suo zio? Oppure potrei prenderla alla lontana, chiedendogli di chi è la dedica sul libro…
Lo squillo del mio cellulare interrompe i miei pensieri. Il numero sul display è sconosciuto, brutto segno.
- Pronto?
- Signorina Blendell, lei deve spiegarmi un paio di cosette.
La voce di Malone è perplessa e quasi furente. Ci metto qualche secondo per riconoscerlo.
- Ho trovato delle telecamere installate per tutta la casa, nonché dei microfoni. Che sta succedendo qui?
Le sue parole mi gelano il sangue. Telecamere? Com’è possibile? Quando?
- Allora? A che gioco sta giocando signorina?
- Credo di averle appena dimostrato che non è me che deve arrestare. Sono una vittima che lei dovrebbe proteggere invece – rispondo non appena mi torna la voce. Più che voce è un sussurro strozzato ma non mi riesce di meglio. Merda! Ecco come facevano a seguire i nostri movimenti! Sono certa che anche a casa di Juno ne troverò qualcuna. Ma chi ce le ha messe? Quando?
- Questo è ancora da vedere. Intanto mi spieghi perché qualcuno dovrebbe spiarla.
Certo che è davvero lento questo tizio! Come fa a non capire?
Comunque questo mi da almeno una certezza, Malone non fa parte dell’Organizzazione, altrimenti non mi direbbe delle telecamere. Quindi avevo ragione, qualcun altro me l’ha aizzato contro. Comincia a sembrare il gioco di “Indovina chi”. Chi è l’adepto pazzo della CIA? Ha gli occhiali? È magro?
- Senta, al momento non posso spiegarle niente. Mi faccia il favore di vedere se ci sono delle impronte su quelle telecamere e non dica a nessuno quello che ha scoperto, chiaro? Mi farò viva io non appena posso.
Chiudo la comunicazione e spengo il cellulare. Non posso occuparmi anche di Malone, ora. Telecamere!
Accendo il computer, aspettando impaziente che carichi del tutto, quindi mando una mail a Juno per avvertirlo di controllare anche a casa sua. Quando diavolo le hanno installate?
La prima sera che sono entrati a casa mia, quando sono rientrata dalla prima cena con Giulio! Ecco perché se n’erano andati senza prendere niente. Non cercavano né la lista né qualche altra prova, avevano messo telecamere ovunque, dannazione! Come ho fatto a non pensarci subito?
Perché non era niente di visibile. Ho fatto il giro della casa per controllare ed era tutto perfettamente in ordine e nessun segno di telecamere. Che razza di strumenti avevano? Be’ certo la CIA deve avere qualche trucchetto nascosto.
Ma a casa di Juno? Cerco di sforzarmi di pensare ma non so rispondere. Siamo rimasti rintanati lì per tutto il tempo.
Quindi deve essere stato Alex o Giulio. Il che mi riporta al punto di partenza.
In particolare, mi riporta al punto in cui il casino è colpa mia. Perché sono stata io a permettere che quei due entrassero nella mia vita, io a non controllare l’appartamento con qualche sofisticato ricercatore di onde elettromagnetiche, io a portare Linda a casa mia…
Scuoto la testa con decisione. Darmi la colpa non rimedierà ai miei errori, ora posso solo cercare di fare qualcosa e il qualcosa in questo caso è tornare a casa velocemente e affrontare Giulio. Devo sapere cosa significa esattamente essere il nipote di un vescovo come Terenzio come ha fatto ad indebitarsi e se questo centra qualcosa con il rapimento di Linda.
Per fortuna non manca molto al volo e decido di andare subito all’aeroporto, tanto per andare con calma. Prendo tutte le mie cose e chiudo la valigia, quindi apro la porta per scendere di sotto quando mi coglie un altro di questi maledetti attacchi di nausea. Arrivo appena in tempo in bagno e non riesco a scostare del tutto una ciocca. Rimetto la mia già magra colazione e poi resto qualche minuto seduta per terra, in attesa di riprendere fiato.
Cosa mi sta succedendo? Credevo fossero gli effetti del gas ma è passato troppo tempo da allora e lo stesso vale per la mia indigestione di medicinali. Che sia ammalata? Che qualcuno mi stia lentamente avvelenando? Non lo so, ma forse è il caso di andare da un medico, in ogni caso, al mio ritorno. Anche se mi sento un po’ stupida a farmi visitare per un po’ di nausea mentre mezzo mondo cerca di ammazzarmi.
Bagno la ciocca sporca sotto l’acqua corrente e poi lego i capelli così da nascondere l’unica ciocca bagnata, quindi riesco finalmente a raggiungere l’aeroporto.
Anche il viaggio di ritorno è tranquillo e mi da molto tempo per pensare. Devo chiedere a Juno di far spostare i miei genitori, anche se sanno chi sono voglio lo stesso saperli lontano per un po’, una bella vacanza in crociera per esempio. E devo contattare Yvonne per darle anche il nome di Richelieu, così potrà cercare anche tra le sue proprietà. Anche se non mi fido del tutto di lei, ha fatto tutte le ricerche che avevo chiesto, con risultati decisamente migliori dei miei, e mi ha consegnato il vescovo senza battere ciglio. Non so bene da che parte stia, ma non è col vescovo, il che mi fa pensare che non stia nemmeno con Richelieu.
Penso molto anche a come comportarmi con Alex una volta trovati ma alla fine decido che non possiamo semplicemente tornare indietro, mi ha comunque mentito, quindi lo lascerò alla sua aitante collega, che se ne tornassero insieme in America. Sempre che la storia di Yvonne sia la verità. Non devo mai dimenticare che potrebbe essere solo una trappola.
E ho anche deciso di fare il possibile per togliere Malone di mezzo. Se non è dei cattivi, finirà col farsi ammazzare e anche se non mi piace, non vorrei saperlo morto per colpa mia.
Quando atterriamo c’è Giulio fuori all’aeroporto ad aspettarmi con la macchina. Come fa a sapere a che ora arrivavo?
- Ciao Alexis. Tua madre mi ha detto che forse ti serviva un passaggio – mi saluta quando mi trova tra le folla.
Avrei dovuto immaginarlo. Mia madre non è proprio quel che si dice una tomba con i segreti, anche se l’avevo pregata di non dire a nessuno del mio ritorno. Volevo un po’ di tempo per me.
Comunque già che ci sono posso togliermi subito il sasso dalla scarpa e affrontare l’argomento zio.
Butto la valigia nel cofano, poi mi siedo e mi allaccio la cintura, aspettando che anche lui si metta comodo. Preferisco coglierlo di sorpresa mentre è alla guida, così dovrà dividere la sua attenzione.
- Non vedo il quadro – dice allacciandosi la cintura. Il tono è preoccupato. Sinceramente preoccupato, mi verrebbe da dire.
- Era un falso. O meglio, stesso nome e stesso soggetto ma autore molto diverso.
- Dovresti indagare sul copyright – scherza e sorrido.
- Mentre ero lì ho notato una cosa. Sul libro che mi hai regalato c’è una dedica, da parte di un certo E. Di chi si tratta?- butto poi lì, come se fosse una piccola curiosità, cercando di controllare la voce per migliorare un po’ l’effetto “non sei mica sotto interrogatorio”.
Ok, non è proprio un discorso alla larga ma non ho saputo improvvisare niente di meglio così alla sprovvista. Grazie mamma.
- Non pensare a male, è solo mio zio. Zio Elvigio, per l’esattezza, che io chiamo Ligio. È un tipo simpatico, sono sicuro che ti piacerebbe.
Risposta rapida, tono sicuro, nessuna esitazione, nessun tremore alle mani, nessun sorriso troppo convincente. Sembra davvero essere sincero. Forse è davvero il nipote del super cattivo.
Cosa dovrei fare ora? Accusarlo apertamente di avermi tradita? Se poi mi sbagliassi non potremmo più tornare indietro, non me la perdonerebbe mai e ora ho bisogno di lui.
E anche se non mi sbagliassi non è che me lo confesserà tranquillamente.
Così faccio qualche domanda generica, come se volessi solo riempire il silenzio e lui risponde sempre tranquillo, rilassato, anche piuttosto felice.
Sono molto legati, lui e zio Ligio, perché è stato lui a prendersi cura di Giulio quando i suoi genitori sono morti. È stato zio Ligio a insegnarli tutto quello che sa, a dargli un posto dove dormire nell’alloggio dietro la sua chiesa, e poi a pagare i suoi studi e finanziare il suo primo viaggio come il suo primo libro…
Un santo praticamente. Se non fosse che è proprietario della società più direttamente collegata all’Organizzazione.
- E’ anche un po’ per lui che non ho detto nulla sui miei… problemi di finanziamento. Se si spargesse la voce ne rimarrebbe molto deluso e la sua immagine… non credevo che fosse importante – spiega, imbarazzato.
Finora tutto combacia con quello che disse l’avvocato quel giorno, fuori dal suo studio. Un brucia-milioni con un parente molto ricco. E non credo che stia mentendo. Forse che davvero non sa nulla della seconda vita dello zio.
In fondo, non è che in molti andrebbero raccontando al proprio pupillo come hanno trovato i soldi per finanziarli.
Decido di non fare altre domande, almeno per il momento. Voglio vederci chiaro prima di parlare più chiaramente, non voglio che vada a spifferare tutto a suo zio in ogni caso. Però c’è un’altra domanda che devo fare.
- Era tuo zio quello con cui parlavi in quell’alberghetto dalle parti dell’università la mattina che mi hanno aggredita?
Lui sembra non capire bene di cosa stia parlando. Allora gli racconto per filo e per segno quello che ho sentito quella mattina. Quando ho finito di parlare, siamo arrivati a casa mia e lui parcheggia ridendo di gusto.
- Hai frainteso tutto. Il Cardinale è un Cardinale vero e proprio, un caro amico di mio zio ed è il principale finanziatore del libro che tu hai interrotto. Lui non sa niente di questa storia e insiste perché io finisca il libro altrimenti ci uccide, metaforicamente parlando – spiega con un sorriso.
Sarà, ma non mi sembravano scherzare molto. E guarda caso suo zio è il principale sospettato come capo dell’Organizzazione. E poi parlavano di un uomo…
- Alexis, il fatto che Alex sia un bastardo non vuol dire che lo siamo tutti. Non ti tradirei mai e poi mai, lo sai vero?
- L’ultimo che me l’ha detto lavorava per la CIA a mia insaputa – replico cupa.
Giulio sorride, un sorriso triste, poi mi prende entrambe le mani nelle sue e mi guarda dritta negli occhi.
- Ho cercato di spiegarti che siamo diversi io e quell’ebete ma non hai voluto ascoltarmi – mi rimprovera bonariamente.
Io non rispondo però, ed evito il suo sguardo. Sono così stanca di segreti e bugie e mi rendo conto di non avere più la lucidità necessaria per distinguere la realtà dalle menzogne.
- Hai ragione a dubitare, è giusto nella tua posizione e ti ho comunque tenute nascoste delle cose ma vorrei davvero che tu ti fidassi di me – insiste quando vede che non intendo demordere.
Sto per replicare che anche questa l’ho già sentita ma mi mordo la lingua. Insistere non servirà a niente e io sono davvero stanca. Ho voglia di andare a casa, fare la doccia, dormire un po’ e ripensare a quello che mi ha detto Nat, magari parlarne con Juno e soprattutto trovare Linda.
E per fare tutto questo ho bisogno di credere a Giulio. Almeno per ora.
Gli sorrido, scusandomi per l’interrogatorio e lui mi abbraccia in una nuvola di dopobarba fresco e asciutto, quindi mi da un lieve bacio.
- Chiamami domani così ti racconto quello che abbiamo fatto alla conferenza. È stato uno spasso.
Annuisco, poi scendo dalla macchina e prendo la borsa mentre lui prende la valigia dal cofano. Rifiuto il suo aiuto, perché poi dovrei invitarlo ad entrare e potrebbe anche dire di sì, quindi lo saluto e mi infilo nell’ascensore mentre sento il rumore della macchina che si rimette in moto.
Uno zio buono, un tipo a posto. Che però è il responsabile in incognito della Paramount. E tra le carte di Drake c’è la prova inconfutabile del collegamento con le industrie di Richelieu, che se non è il capo è comunque uno dell’Organizzazione al cento per cento.
Ma come posso dirlo a Giulio senza che mi spari un colpo alla testa? E quella storia della metafora sull’uccidere…
Adesso comunque sono troppo stanca per pensarci. Infilo meccanicamente la chiave ed entro nel mio appartamento, che è molto più disordinato dopo la visita della polizia che non dopo quella dei ladri, o meglio degli installatori di telecamere.
Solo a pensarci rabbrividisco fino all’osso. Per tutto questo tempo hanno potuto vedere tutto, forse anche sentire, e io non mi sono accorta di niente. Non mi è nemmeno venuta in mente un’ipotesi simile. Ho come l’impressione di aver sprecato tutti quegli anni di allenamento.
Il pensiero dell’allenamento mi riporta in mente una bella domanda. Parlo con Juno di Nat sì o no? Non lo so proprio. In fondo non è che ormai possa impedirmi più niente ma potrebbe smettere di fidarsi di me e non voglio che succeda, non ora. Però è Juno e forse è l’unica persona che può aiutarmi ad arrivare viva fino all’ultimo atto.
Me lo sto ancora chiedendo quando mi infilo sotto le lenzuola fresche e non ho deciso nemmeno quando gli occhi si chiudono ermeticamente sulla tanto agognata buonanotte.

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Capitolo 20
*** Alleati II ***


La mattina dopo mi sveglio con un pensiero fisso in mente. Devo parlare con Juno di Natalie.
È un suo diritto in fondo visto che mi è stato vicino finora, anche se a modo suo. E voglio sapere perché non mi ha mai accennato a tutto il suo passato. Sapeva chi mi voleva morta e non ha mai fatto niente per avvertirmi. Non mi piace.
Dopo una colazione leggerissima, visto che ultimamente non riesco a tenere nulla nello stomaco per più di mezz’ora, mando un messaggio a Juno per avvertirlo che sto per andare da lui, poi chiamo mia madre e chiacchiero un po’ con lei, tanto per rassicurarla un po’. Le propongo anche la mia idea di un breve viaggio e per fortuna, anche se minimizza come al solito, non mi sembra tanto contraria all’idea di andare via per qualche giorno se serve a farmi stare più tranquilla.
Mentre mi sto vestendo per andare da Juno, il mio computer emette un trillo. Ecco cosa dovevo fare prima di mettermi a letto, spegnerlo! Ormai comunque è tardi e vado a vedere cosa succede.
Sullo schermo compare la finestra di una nuova mail da mittente sconosciuto. La apro, con un leggero tremito, e dal tono freddo e arrogante capisco che è di Yvonne, anche se come al solito non si spreca nemmeno di firmare, come se tutti debbano riconoscerla per forza. Odiosa.
Nella mail mi avverte che ha trovato il modo di incastrare Malone e che lo denuncerà questo pomeriggio e che ha trovato l’indirizzo del nascondiglio per i nostri amici, tra quelli del vescovo che gli avevo chiesto di cercare. La notizia mi fa saltare di gioia e mi ritrovo a pregare a mani giunte come una bambina. Forse mi ero sbagliata su Yvonne. O forse è una trappola. In ogni caso so dov’è ora…
Nella mail sono state allegate anche delle fotografie, sgranate e con qualcosa di strano ai colori, che mostrano alcuni uomini armati alle finestre e Linda e Alex legati a delle sedie, uno di fronte all’altra, mentre altri uomini puntano loro addosso dei grossi fucili.
Come diavolo è riuscita a fare quelle fotografie? Forse qualche arma segreta della CIA, ed ecco perché i colori sono così strani.
In fondo alla pagina trovo anche l’indirizzo preciso, che a sorpresa è vicino Roma, cioè vicino il posto dove Alex aveva rintracciato i computer che hanno violato il mio firewall. Lo sapevo io!
Però la faccenda di Malone mi lascia un po’ perplessa. Avrei scommesso che non centrava niente con questa storia, che era solo una marionetta e invece a quanto pare mi sbagliavo. Di nuovo. Comincia a succedere piuttosto spesso e la cosa non mi piace affatto. Anche perché mi sbaglio sempre sullo stesso argomento, il che mi piace ancora meno. Fino a poco tempo fa, mi consideravo una maestra nel giudicare le persone.
Però il fatto che la impeccabile Yvonne abbia trovato un modo per incastrarlo non vuol dire che mi sia necessariamente sbagliata. Se Malone è la pedina di qualcuno più in alto, può essere stato semplicemente mandato a fare il lavoro sporco e lì Yvonne l’ha beccato.
Mi chiedo se sia il caso di avvertire Yvonne dei miei sospetti. Alla fine decido che non mi riguarda, Malone non mi piace e mi sta comunque troppo addosso. Se è innocente troverà il modo di dimostrarlo e nel frattempo toglierò la pedina al vero infiltrato della CIA. Ora devo pensare a Linda.
Tanto per sicurezza apro la pagina internet su Google Maps e cerco l’indirizzo che Yvonne ha segnato, quindi scelgo la visuale fotografica e confronto le fotografie di Yvonne con la facciata dello stabile che mostra il satellite. È lo stesso. Non ha mentito. Ringrazio il Signore ad alta voce, sentendomi così felice da lacrimare quasi.
Prendo la borsa e vado da Juno, ancora a piedi. Avrei dovuto ricordarmi di prendere una macchina a noleggio, queste scarpinate mi uccideranno tra qualche giorno, sotto il sole.
Quando arrivo Juno è nella sala attrezzi, sento il rumore della catena del peso che cigola. Lo raggiungo e aspetto che abbia finito la serie, meravigliandomi come sempre della sua forza per l’età che ha. Anche se non so bene quale sia, in effetti.
Ha suppergiù una cinquantina d’anni ma non ho mai saputo la sua vera età, quando ho domandato ha sempre evitato la risposta. Non mi sembrava importante allora, ma ora mi fa rendere conto ancora di più di quanto non sappia nulla sull’uomo a cui ho affidato la mia vita per così tanti anni.
Finalmente Juno si solleva e si asciuga il sudore, quindi mi saluta e mi fa cenno di raggiungerlo in cucina.
Mentre si prepara un frullato alla frutta mi domanda del quadro e di nuovo prego tra me e me come non facevo da un sacco di tempo. Prego di fare la cosa giusta, almeno stavolta.
- Ti porto i saluti di Natalie – comincio, esaminando attentamente la sua espressione.
In realtà gliene passano talmente tante sul volto e così in fretta che riesco a coglierne appena qualcuna. Rabbia, curiosità, timore, nostalgia.
- Prima che mi uccidi a colpi di frullatore, sappi che non sono andata da lei perché non mi fidavo di te ma perché speravo che mi aiutasse a trovare Linda – spiego, cercando di mantenere la voce su un tono rilassato. Non voglio che diventi una discussione di urli e rimbrotti, altrimenti non ne usciremo più
- E ti ha aiutato? – domanda lui dopo diversi minuti di silenzio assoluto, in cui vedo i muscoli del suo collo contrarsi e rilassarsi ripetutamente, come se cercasse di impedirsi di colpirmi. Grazie al cielo ci riesce, altrimenti mi avrebbe uccisa, ne sono piuttosto certa.
- Sì. In un certo senso.
Non gli ho ancora detto di Yvonne e della forse-semi-innocenza di Alex. Se lo dicessi ad alta voce mi farebbe rinchiudere, ne sono certa. E forse non avrebbe tutti i torti. Glielo dirò solo se accetta di aiutarmi.
- I documenti che Nat mi ha dato contenevano un altro nome oltre quello di Richelieu, un vescovo che sbriga le faccende losche per conto del Cardinale. Ho cercato tra le sue proprietà e so dove tengono Linda, è una casa proprio vicino a quel gruppo di computer che Alex ha trovato vicino Roma. E volevo sapere se sei disposto ad aiutarmi a tirarla fuori da lì.
È una bugia ma non del tutto alla fine. Se anche Yvonne non mi avesse fornito le foto, avrei certamente cominciato da lì. E avrei scoperto la stessa cosa. Yvonne mi ha solo facilitato le cose.
Di nuovo Juno non mi risponde subito e preferisce frullare la frutta. Poi versa la brodaglia nel bicchiere gigantesco e la sorseggia, evitando di guardarmi mentre io no oso distogliere lo sguardo. Non devo lasciarmi sopraffare stavolta.
- Ti avevo detto di non farlo.
Non so se si riferisce al fatto che ho cercato di salvare Linda o che ho cercato Nat ma m’importa poco. Non avevo scelta.
- Non possiamo lasciarla nelle mani di quei pazzi, Juno. Potrebbe essere già morta in realtà, Alex sa che non so niente di così indispensabile.
Mi mordo un labbro mentre lo dico, per evitare di mettermi a sorridere di sollievo, visto che sono certa del contrario. Ma non posso dirlo a Juno, altrimenti dovrei spiegare come ho avuto quelle foto.
- Visto che ormai sai dove si trova… ma è un suicidio Alexis. Loro saranno almeno il triplo e tutti armati fino ai denti. E sono cattivi, cosa che tu non sembri considerare. Non gliene frega niente di ammazzare la gente.
- Nemmeno a me, ormai, Juno. Ci siamo spinti troppo oltre e devo andare fino in fondo.
Stranamente annuisce e sorseggia di nuovo il frullato. Lo fisso un po’, perplessa. Ero certa che mi sarei dovuta svenare prima di convincerlo, mi sembra quasi troppo facile.
- Quindi verrai con me? Mi aiuterai a salvarla?
- Semmai ti aiuterò a morire ma la decisione è tua e sembri piuttosto convinta – replica in tono acido come il kiwi che ha frullato. Poi però fa un breve sorriso.
- E mi avresti molto deluso se ti fossi comportata diversamente. Solo i mostri abbandonano gli amici.
Rispondo al suo sorriso, sentendomi dieci chili più leggera. È bello sapere che ci sarà Juno a spalleggiarmi. Il che però mi preoccupa anche un po’. Come faccio a fidarmi ancora così ciecamente dopo aver scoperto che mi ha mentito per tutto questo tempo? Ma è Juno. E forse merito davvero di essere rinchiusa.
- Non ho parlato di nascosto con Nat. Non la sento da… da un sacco di tempo. Ma era lei che avrei dovuto chiamare se le cose si mettevano male, perciò mi serviva il suo numero.
Annuisco, perché così mi ha detto anche Nat.
- E perché non mi hai detto di Richelieu?
- Non possiamo semplicemente denunciarlo, non ancora. Stavamo già facendo l’unica cosa che potevamo fare per fermarlo e cercarlo era un ottimo modo per farti trovare.
Annuisco di nuovo ma non sono per niente d’accordo. Anche se la logica del discorso è perfetta, mi sento lo stesso tradita in qualche modo. Credo che sia un mio diritto conoscere il nome della mia nemesi.
- Come stanno… Nat e Jean?
La domanda gli costa molta più fatica di quanto voglia ammettere e capisco all’improvviso perché non mi ha mai parlato di loro. Non era per nascondere qualcosa a me ma a se stesso. Non so cosa sia successo all’epoca, ma di sicuro Juno sta scappando da quei due, o meglio dal suo passato con loro.
E dall’esitazione quando pronuncia il nome di Nat credo che abbia a che fare con i classici problemi di cuore. Credevo che Juno ne fosse immune. Non si finisce mai di imparare.
- Stanno bene, più o meno. Sapevi che Jean è sulla sedia a rotelle?
La sua faccia mi comunica che non lo sapeva ma… forse lo immaginava?
- E’ successo allora… è davvero… è stata la malattia?
- Non lo so, non me l’hanno spiegato e io non ho chiesto.
Non dice altro e devo mordermi la lingua per impedirmi di chiedergli di raccontarmi tutto. Per quanta voglia ho di sapere tutto sul loro passato insieme, mi rendo conto che è troppo doloroso per lui parlarne quindi la mia curiosità dovrà aspettare. Maledizione.
- Credo che sarebbero felici di avere tue notizie… di persona intendo – suggerisco. Forse è la cosa più stupida che potessi dire, magari se di vedono si ammazzano a vicenda, però Nat sembrava sperare davvero di rivederlo.
Lui beve una serie infinita di sorsate di frullato, evitando il mio sguardo.
- Forse, quando sarà tutto finito. Sarebbe stupido salutarli appena prima di morire – decide infine e non me la sento di insistere ancora.
Però devo assolutamente sapere cos’è successo tra loro per ridurre Juno così. Solo ora mi rendo conto che Nat ha abilmente aggirato l’argomento senza dirmi proprio niente sul perché non si parlano praticamente più. Per furbizia o per rispetto verso Juno? Chi lo sa.
- Ora devo procurarmi un sacco di armi, tu vai a… be’, preparati. Soprattutto mentalmente. Potrebbe essere l’ultimo periodo da viva – mi ammonisce.
- Tu sì che sai come consolarmi Juno – lo saluto con un sorriso mentre prendo la borsa e vado via.
Però è un sorriso un po’ forzato perché so che potrebbe avere maledettamente ragione e mentre apro la porta mi ritrovo a pregare silenziosamente.
Quando esco di nuovo in strada il calore del sole che sale dall’asfalto rischia di uccidermi. È come un mantello o meglio un sudario. Dopo qualche istante però riesco a respirare abbastanza da mettermi in cammino verso casa. Juno ha ragione, devo prepararmi.
Arrivata all’incrocio sono costretta a fermarmi perché il semaforo segna il rosso. Anche a piedi queste dannate lucine devono darmi fastidio, accidenti. Mentre aspetto che il semaforo diventi verde, qualcosa mi tocca la spalla.
Mi giro di scatto, pronta a colpire con la mano a taglio come mi è stato insegnato prima ancora di capire che è una mano. Per fortuna però la proprietaria della mano riesce a schivare il colpo e a farsi riconoscere prima che le faccia davvero male.
- L’avevo detto allo sbirro che mi avrebbe fatta ammazzare – strilla Sarita fissandomi per capire se l’avrei colpita ancora.
Avevo quasi del tutto dimenticato Sarita e mai mi sarei aspettata di trovarmela davanti così in pieno giorno. Sarà pure un pregiudizio ma credevo che le possibilità di trovare una prostituta in pieno giorno quasi in centro fossero vicino al nulla.
- Che vuoi? – le domando in tono brusco.
- Lo sbirro mi ha chiesto di mandarti un messaggio – spiega e mi fissa. E secondo lei questo dovrebbe spiegare cosa?
- Di quale sbirro parli? Che messaggio?
- Come sarebbe di quale sbirro? L’unico che poteva costringermi a fare una cosa del genere! Quel bell’imbusto della CIA che mi farà ammazzare uno di questi giorni!
Il tono stridulo e lamentoso mi ha già dato ai nervi. Comunque direi che sta parlando di Alex, visto che è l’unico poliziotto della CIA che potrebbe volermi mandare un messaggio. Il che mi rende improvvisamente molto attenta.
- Andiamo da qualche parte a parlare – le esorto, prendendola per un braccio e quasi trascinandomela dietro, alla ricerca di qualche bar vuoto.
Lo trovo poco distante e mi ci fiondo dentro, ignorando le proteste della mia nuova amica. Per fortuna non mi preoccupo troppo della mia reputazione, altrimenti sapere cosa dirà la gente se mi vede prendere un caffè con questa tipa mi avrebbe di sicuro stroncato. Non perché è una prostituta, nessuno lo saprebbe se lei non si impegnasse tanto a dimostrarlo. È vestita in modo più che ridicolo, con tutti i colori conosciuti addosso, accostati come se cercasse esattamente di dare un pugno visivo a chiunque la noti e il resto di lei non aiuta a passare inosservata, con quei capelli luridi e il trucco da clown. La voce poi è fastidiosa quasi quanto un allarme antincendio.
- Spero che almeno verrò pagata adeguatamente per questo casino. Se qualcuno mi vede qui a cazzeggiare e lo riferisce al boss di sicuro mi ammazza, quello, mica si fa tanti problemi lui…
Interessata ai suoi problemi di sicurezza quanto al riscaldamento interplanetario, le do un altro strattone e le indico un tavolo appartato dove sederci, poi mi siedo in modo da tenere d’occhio sia il bancone che l’entrata.
- Qual è il messaggio che devi darmi?
Mi accorgo che la mia voce ha un tremito ma non riesco a calmarmi più di tanto. Se Alex ha dovuto mandarmi personalmente un messaggio vuol dire che la situazione sta peggiorando di brutto e non a favore di Linda.
Inoltre tremo anche perché questa è la prova definitiva che Alex non è tenuto prigioniero come voleva farmi credere Yvonne, visto che può andare in giro a reclutare messaggeri. Chissà perché la cosa non mi sorprende affatto.
- Che razza di modi! Potresti anche sforzarti di essere gentile sai? L’educazione la impariamo anche per la strada!
Chiudo gli occhi e mi rilasso forzatamente, prima di prenderla a schiaffi. Non devo prendermela con lei e soprattutto non devo attirare l’attenzione, cosa che lei invece sta facendo benissimo con questa vocina odiosa.
- Va bene, mi dispiace, ma il tuo messaggio potrebbe salvare la vita di una persona quindi, mi diresti il messaggio per favore? – chiedo nel tono più calmo che mi riesce, sperando di indurla a fare lo stesso. Contemporaneamente mi appoggio di più alla spalliera, così da non darle l’impressione di starle addosso.
Lei sembra cogliere entrambi i segnali e si rilassa un po’, sempre fissandomi di sottecchi come se temesse uno scatto improvviso, poi si rimpettisce e cerca di assumere un tono serio, forse quello che secondo lei ha un informatore professionale.
- Devo dirti che è un agente della CIA, che sta dalla parte dei buoni e che non devi fidarti di una certa Yvonne qualcosa. Ha detto che questa tipa è la cattiva numero uno e che devi cercare un certo Malone perché lui può aiutarti. Se lo trovi devi dirgli “Dirk è vivo e Johanna lo sa” così lui capirà che ti manda lui.
Per qualche minuto non rispondo, perché il mio cervello è impegnato a memorizzare e correlare troppe informazioni per parlare.
Yvonne è la cattiva, e questo posso crederlo, anzi ero quasi certa che fosse una trappola. Solo che a dirlo sarebbe il suo complice che lei sta cercando e che forse è prigioniero. Quindi qualcosa mi sfugge.
Malone è il buono e anche questo l’avevo intuito, non era abbastanza sveglio per stare coi cattivi, ma come potrebbe aiutarmi? E come fa Alex a sapere di entrambi? O stava con i buoi o con i cattivi… il suo ruolo complica tutto. E come faccio a sapere che invece non ha scoperto che il cattivo Malone stava per essere incastrato dalla buona Yvonne e ha pensato un modo per farmi confondere le idee?
- Quando ti ha dato il messaggio?
Lei mi rivolge un’occhiata offesa, come se questa domanda insinua che non mi fido, ma qualcosa nella mia espressione la induce a rispondere lo stesso. Adoro fare paura alla gente.
- Circa un mese fa, dopo che era tornato da un viaggio all’estero. Mi disse che se non fosse venuto al prossimo appuntamento sarei dovuta venire a dirti queste cose.
- E quale appuntamento ha saltato?
- Quello di due giorni fa – risponde, con l’aria compiaciuta di un’alunna che è riuscita a rispondere al domandone da dieci e lode.
- Sicura che non ha detto altro?
Lei mi fissa per un po’ con un’aria furba che non mi piace affatto.
- Dipende. La mia memoria deve essere aiutata a volte. Quanto mi paghi se ricordo qualcos’altro?
La fisso a mia volta, con un pericoloso istinto omicida che cerca di affiorare. L’idea che qualcuno possa pensare di guadagnare sulla vita di Linda mi fa diventare tremendamente sanguinaria. Ma potrebbe davvero sapere qualcos’altro di utile quindi…
- Se non ti ha detto nient’altro farai meglio a dirlo subito. Ti do lo stesso un sacco di soldi e non ti ammazzo quando scopro che mi hai mentito – la minaccio facendole vedere il grosso mazzo di banconote nel portafogli, ben attenta a non far vedere che sono solo pezzi da mille e duemila lire.
Come previsto le si illuminano gli occhi, mi squadra di nuovo e finalmente esce dalla borsa un piccolo registratore, di quelli che gli universitari utilizzano per registrare le lezioni da sbobinare a casa.
- Mi ha detto che se ti arrabbiavi molto dovevo darti questo. Non ti sei arrabbiata ma non so che farmene di questo coso mentre mi servono i soldi – spiega con aria innocente, come se quello che ha fatto non meritasse una pallottola.
Fisso il registratore senza rispondere, chiedendomi cos’altro ci sia. E anche se devo credere a qualcosa di questa nuova versione. Forse qui è registrata qualche prova o roba simile ma mi sembra improbabile. Come fai a registrare oralmente delle prove?
- Ora posso avere i miei soldi?
Le scocco un’occhiataccia tanto per impedirmi di sorridere pensando alla faccia che farà quando si accorgerà di aver guadagnato più o meno ventimila lire con la sua astuzia e apro di nuovo il borsellino.
Quel semplice gesto di piegare la testa per aprire il portafogli mi salva inconsciamente dal proiettile che centra Sarita tra gli occhi, leggermente a sinistra. Quando rialzo la testa la vedo fissarmi per qualche secondo con gli occhi spalancati e la bocca semi-aperta prima che si accasci sul tavolo.
Soffocando un urlo mi butto per terra, più per istinto che per un pensiero razionale di togliermi dalla traiettoria di mira ma quel riflesso quasi involontario mi salva da un secondo proiettile che si conficca nel muro. Sconnessamente, mentre cerco nella borsa la piccola pistola che ho infilato per sicurezza, penso che non avevo mai visto sparare con il silenziatore, perché solo questo spiega l’assenza della detonazione.
Le dita si chiudono sul metallo freddo appena un secondo prima che il cameriere si accorga di Sarita e cominci a urlare, mentre la stanza comincia a riempirsi di buchi silenziosi.
In preda a una specie di panico controllato, cerco di respirare regolarmente e tenere a mente le lezioni di Juno, così da ricordare che non devo uscire dall’entrata dove certamente mi aspettano altri proiettili, ma cercare il bagno.
I bagni dei locali pubblici hanno sempre piccole finestre non protette che danno sul retro, o almeno così dice Juno.
Cerco con lo sguardo la scritta che indica il bagno e la vedo sopra la porta di fronte a me, quindi conto fino a tre e mi tuffo sulla maniglia, troppo in fretta per avere il tempo di pregare che non mi colpiscano proprio ora. Nell’ultimo spiraglio prima che chiuda del tutto la porta vedo che anche il cameriere è disteso a terra inerte, in una pozza sanguigna.
Non appena dentro corro al finestrino, che per fortuna non ha nessuna rete di protezione come previsto, e lo apro con tanta violenza da far crepare il vetro quando lo sportello sbatte contro il muro, poi lancio la borsa oltre la finestra e cerco di issarmi a mia volta.
Per fortuna il finestrino è abbastanza grande da passare appena, anche se nel farlo mi graffio faccia, mani e schiena.
Inoltre la schiena mi esplode quando, nel cadere dall’altra parte, tocca l’asfalto sottostante piuttosto violentemente. Resto senza fiato qualche minuto, poi riesco ad alzarmi soffocando i gemiti di dolore. Juno non aveva spiegato quanto può far male cadere sulla schiena dai finestrini dei bagni.
Zoppicando più in fretta possibile cerco di tornare da Juno, che è decisamente più vicino di casa, evitando con cura di passare davanti all’entrata del bar. Intanto sento le sirene avvicinarsi, quindi ne deduco che qualcuno ha chiamato la polizia e tiro un sospiro di sollievo. Ci penseranno loro a impedire che mi inseguano.
Quando arrivo davanti al citofono di Juno sto per svenire per il dolore alla schiena. Dal tono di voce soffocato Juno capisce subito che qualcosa non va e corre a prendermi dal cancelletto già armato. Gli spiego tutto mentre mi aiuta a raggiungere il divano in soggiorno, poi mi lascia qualche minuto e torna con un bicchiere d’acqua e degli anti dolorifici quindi mi fa stendere e mi spalma una pomata gelida.
- Dov’è il registratore? Voglio sentire cosa c’è sopra – domanda Juno dopo essersi lavato le mani.
Gli indico la borsa, cercando di muovermi il meno possibile. Lo sento frugare tra le cianfrusaglie, poi torna a sedersi sulla poltrona di fronte a me e fa partire il nastro con un tic.
- Sono Alex Beckett, agente di categoria sette, del quinto ufficio del diciottesimo dipartimento. Sto lavorando all’omicidio dell’agente speciale Dirk Pitt e al caso a cui lavorava l’agente quando è stato ucciso. Ho seguito le tracce dell’agente in accordo con il detective superiore Yvonne Strahovski, fino a quando ho scoperto che la mia indagine non è stata protocollata come previsto, a mia insaputa. Allora ho effettuato indagini personali e intercettazioni fino a raccogliere le prove che il detective è la talpa che sospettavamo essere all’interno del gruppo. Lascio le prove finora raccolte a disposizione esclusiva del detective Jack Malone, del secondo ufficio del diciottesimo dipartimento, incaricato di eliminare la talpa, secondo il protocollo 32847566, previsto agli articoli 123,124,125,126 del regolamento interno del dipartimento. Allego i nastri seguenti.
La voce di Alex sembra stranamente calma mentre pronuncia ad alta voce quello che sembra una specie di ultimo testamento. Sapeva che lo avrebbero preso? O è solo un’altra recita a mio beneficio?
Le registrazioni seguenti mi tolgono ogni dubbio. La voce di Yvonne sembra rimbombare limpida e perfetta mentre ordina di catturare ed eliminare alcuni nomi che io so essere dei professionisti che hanno cercato i quadri di mio padre sotto mio ingaggio, nonché il direttore del museo di Grenoble e la sua segretaria. Con la stessa voce spietata chiede di trovare e distruggere ogni traccia riguardante i libri che ho pubblicato, ogni testimone.
Una strage autorizzata, in pratica, visto che non sapevano nemmeno loro con certezza chi fossero i testimoni.
Poi altre telefonate riguardanti persone che non conosco affatto ma che probabilmente sono altre vittime di altri crimini che qualche agente potrebbe invece facilmente identificare.
La registrazione dura una vita. Quando il nastro finisce sento un altro tic, poi il suono del nastro che si riavvolge.
Cerco di alzare la testa per guardare Juno, che ha un’aria pensosa. Forse lui saprà cavarsela meglio di me tra tutti questi intrighi perché io devo ammettere di essermi persa e non ho idea di cosa credere ormai, tanto meno cosa fare.
- Direi che il tuo amico è scagionato, a questo punto – sentenzia Juno con la stessa espressione pensosa.
Mi fa piacere sentirglielo dire ma sono troppo scioccata per provare vera gioia o qualche altro sentimento. Forse è colpa degli antidolorifici, ma mi sento come ripiena di cotone.
- E conosciamo un nemico che possiamo colpire meglio di Richelieu. Solo che non sappiamo come trovare questa Yvonne.
Con la voce impastata e il nulla nel cervello riesco a rispondere che invece io lo so e gli racconto come ho conosciuto Yvonne. Sono talmente stordita da non riuscire nemmeno a preoccuparmi di come reagirà Juno, il quale infatti reagisce malissimo e prende a sbraitare contro di me per la mia avventatezza e per essere stato imbrogliato.
Quando finalmente si calma un po’ mi fissa qualche minuto in silenzio, con l’aria più torva che gli abbia mai visto, poi si decide a parlare.
- Devi chiamare questa tizia. Raccontale quello che è successo al bar ma fingi che la prostituta sia morta prima di poterti dire qualcosa e chiedile di incontrarvi qui per decidere come liberare Alex e Linda. Quando arriva, io la blocco e la interroghiamo fino a quando decidiamo come muoverci.
Detto così il piano di Juno mi sembra brillante e la fila interminabile di errori che ho commesso mentre giocavo alla spia dilettante mi convince che non posso fare altro che seguire il suo piano.
Anche perché nel frattempo il mio cervello si è sbloccato dallo shock almeno in parte e la morte di Sarita e del cameriere comincia a pesarmi sul petto, impedendomi di respirare.
- Sai come contattarla?
La voce di Juno è poco più che un ringhio ma cerco di ignorarlo. Se lui può mentire a me non vedo perché io non possa fare altrettanto. Non ha il diritto di fare il moralista. E comunque tutte quelle medicine mi hanno intontita fin troppo bene.
- No, non con certezza. Posso provare a chiamarla al comune ma non so quando risponderà.
- Va bene, meglio di niente. Non riesci a rintracciare l’indirizzo da cui ti manda le mail?
- No, mi rimpalla tra un mucchio di server… comunque provo lo stesso a mandarle una mail, magari lei la riceve lo stesso…
Senza dire una parola esce dalla stanza. Per fortuna i medicinali stanno facendo il loro effetto e riesco lentamente a rimettermi seduta, anche se con qualche gemito sommesso.
- Vedi di non peggiorare, devi stare in piedi se vuoi sparare bene – mi ammonisce Juno, rientrando con un portatile che mi sistema sulle gambe.
Lo accendo e mentre aspetto che carichi, penso ad Alex. Alla fine sembra essere davvero innocente. Bugiardo ma innocente. E io stavo per lasciarlo nelle mani di Yvonne, solo perché ha ferito il mio orgoglio. Come potrò guardarlo di nuovo negli occhi? E se fosse troppo tardi? Chissà quando ha scattato quelle foto Yvonne, per attirarmi in trappola al momento giusto…
Finalmente la pagina internet si apre, così mando subito la mail a Yvonne, cercando di essere più laconica possibile, nella speranza di incuriosirla abbastanza da convincerla a contattarmi subito. Ammesso che la legga.
Nel dubbio chiedo di lei anche all’unico ufficio del comune aperto ma mi informano che la signora non è al momento in servizio e che le faranno avere il mio messaggio. Cioè non saprà mai che l’ho cercata lì a meno che non richiami mentre è in servizio.
- E intanto cosa facciamo? – domando a Juno, anche per controllare che non abbia deciso di non rivolgermi più la parola per punirmi dei miei segreti.
- Io trovo armi a sufficienza per portarcene quanti più possibile nella tomba mentre cerchiamo di liberare quei due. Tu trovati qualcosa da fare che non ti faccia muovere troppo la schiena.
Di nuovo esce dalla stanza e mi lascia sul divano, indecisa. Dovrei chiamare Giulio, ma non voglio farlo preoccupare raccontandogli quello che è successo poco fa e non sono sicura che la mia voce suoni abbastanza normale ora. Anche se è un po’ che non lo sento… Decido per una via di mezzo e gli mando un messaggio al quale però non risponde. E ora?
All’improvviso un lampo illumina il mio cervello stanco e medicato. Malone! Mi ero dimenticata che Yvonne sta per  incastrarlo!
Sperando che non sia troppo tardi, cerco nella borsa il portafogli, poi sparpaglio sul divano tutte le carte e i foglietti che ci ho ammassato dentro alla ricerca del biglietto da visita di Malone… sono sicura di averlo preso per controllare il cellulare…
Finalmente trovo un cartoncino sgualcito col nome e un numero di cellulare e provo subito a chiamare. Ovviamente mi risponde la stupida segreteria telefonica. Benedicendo gli americani che ascoltano i messaggi in segreteria, mi presento e gli dico la frase che ha detto Sarita, quindi gli do l’indirizzo.
Riattacco e chiudo gli occhi. Com’è possibile che negli ultimi mesi non abbia avuto un solo giorno tranquillo? E com’è possibile che sia ancora viva? Forse non sono umana… nessun umano può reggere un simile livello di stress così a lungo senza danni permanenti. Poi ripenso a tutte le stupidaggini che ho fatto negli ultimi tempi, compresa quella di credere che io e Alex… ok, forse ho già subito i miei gravi danni permanenti. Chissà perché la cosa non mi consola.
Riapro gli occhi e fisso il cellulare poggiato accanto a me, in mezzo a tutte le carte che ho tirato fuori dal portafogli.
Quanto ci metterà Malone a sentire il messaggio e richiamare? Lo ascolterà prima che sia troppo tardi? O è già troppo tardi? Forse è per questo che il suo telefono è staccato…
Troppo agitata per restare ferma, compongo il numero della centrale di polizia locale. Se è stato arrestato l’avranno esonerato dalle indagini e la polizia dovrebbe saperlo no? Per fortuna il tipo che risponde al centesimo squillo non sembra particolarmente agitato mentre mi risponde che il detective è momentaneamente fuori. O sono abituati a vedere arrestare agenti federali di grosso calibro o l’inferno non si è ancora scatenato.
Potrebbe semplicemente essere anche che la notizia non è ancora arrivata alla centrale ma mi rifiuto di pensarci e strappo mentalmente il pensiero, fissando ancora un po’ il cellulare e mordendomi il labbro.
In fondo se quella strega è riuscita ad incastrarlo non credo di poter fare molto per lui. E comunque cosa potrebbe fare lui per me anche libero? Praticamente niente. Quindi non c’è poi tanta fretta di salvarlo, no? Qualche ora di interrogatorio al massimo ferirà il suo orgoglio e non posso dire che mi dispiaccia.
Però Alex ha detto che avrei dovuto chiedere proprio di Malone per avere aiuto, quindi qualcosa potrà fare….
Suonano alla porta una, due, tre volte, forsennatamente. Il suono mi strappa un grido soffocato e non riesco ad alzarmi né a muovermi fino a quando Juno compare sulla soglia del corridoio, ancora più nero in volto del solito.
Nessuno conosce questo indirizzo tranne Alex e Giulio… Giulio! Forse è in pericolo!
Intanto Juno è andato ad aprire, con una pistola semplicemente enorme nascosta dietro la schiena, infilata nella cintura.
Con estrema lentezza, mentre la persona fuori rischia di fondere il campanello a furia di premere il tasto, Juno apre la porta e contemporaneamente, con una velocità accecante, punta la pistola su chiunque disturbi il nostro silenzio.
La faccia di Malone compare dietro la canna della pistola e urlo a Juno di non sparare. Come diavolo fa a sapere di questa casa? Poi però ricordo: sono io a dargli questo indirizzo nel messaggio che gli ho lasciato nella segreteria. L’ho fatto senza pensarci, perché con Giulio e Alex ormai mi ero abituata a dare anche questo indirizzo. Un errore che avrebbe potuto rivelarsi imperdonabile.
Intanto Malone mi fissa con un misto di odio e timore, mentre Juno lo spinge dentro e chiude la porta, controllando dallo spioncino che sia solo.
- Juno, ti presento il nostro detective in pericolo.
Juno non mi risponde e non fa nessun gesto di saluto o altro. Comunque Malone ha un’aria così scioccata che non credo sia in vena di convenevoli.
- Si può sapere in che cosa mi ha cacciato, dannazione? Sto scappando da quasi un’ora dai miei colleghi!
Con la voce roca e allo stesso tempo stridula, il suo accento peggiora tanto da rendere quasi incomprensibile quello che dice, così chiedo a Juno di portare un po’ d’acqua e qualche goccia di tranquillante mentre faccio segno a Malone di sedersi vicino a me.
Per quanto la situazione sia pericolosa, non posso fare a meno di sorridere nel vedere il grosso e borioso Jack Malone, tanto spavaldo mentre ero bloccata da Jackie Chan quella mattina in albergo, terrorizzato al limite del collasso.
E questi sono i grandi eroi della polizia americana? Il mondo è praticamente spacciato.
- Non appena ho sentito il messaggio sono corso qui… voglio sapere cosa sta succedendo! Perché i miei colleghi pensano che sia una spia? Come faceva a sapere cosa stava succedendo? Chi le ha dato la parola d’ordine?
Man mano che parla, la voce di Malone abbandona il tono isterico per scivolare nel perentorio che gli è familiare e non so se sia un bene.
Intanto cerco di spiegargli del messaggio di Alex, dell’agente Beckett, e lui sembra rilassarsi un po’ a quel nome e riprendere un po’ di sicurezza, anche se non smette di fissarmi con l’aria che immagino si riservi agli assassini.
Juno torna col bicchiere e i tranquillanti e Malone, dopo qualche scetticismo, prende solo l’acqua. Juno non dice una parola e si appoggia al muro, con le braccia conserte e la pistola bene in vista. Ma dove lo teneva quel mostro di acciaio?
Cerco di spiegargli più rapidamente possibile in cosa si è cacciato e quello che ho scoperto sulla nostra simpatica Yvonne, mostrandogli infine il registratore di Alex. Lui ascolta tutto in silenzio, cosa ammirevole, sebbene la sua faccia si riempia man mano di incredulità, scetticismo e altre espressioni dello stesso tipo.
- Una setta romana? Si rende conto di quello che state dicendo?
- Non mi ascolta. Non è una setta romana, ma una nata forse una cinquantina di anni fa, formata da gente che crede di essere i successori di centurioni romani. Non so se per i cognomi o chissà quale altre assurda idea…
- E questa gente vorrebbe distruggere il mondo.
- Una parte di esso, sì. Ma non sappiamo ancora come.
- Siete pazzi.
- E lei è ricercato. Come la mettiamo?
Sono già stufa delle sue obiezioni. Sono legittime, lo so, e normalmente avrei spiegato le cose con un po’ di calma, ma ora non abbiamo tempo. Devo prepararmi a tirare fuori Linda da una trappola che so essere tale. Non posso occuparmi anche di lui.
Finalmente non risponde, incerto e confuso. Bene.
- Che lei mi creda o meno, ora non ha molta scelta. Yvonne le ha messo contro tutti. Come crede di dimostrare la sua innocenza?
Lui non mi risponde di nuovo e si muove, a disagio.
- Se lei mi aiuta a prendere quella strega, potrà dimostrare di essere innocente e riavere il suo posto. Oppure può arrestarmi e portarmi alla centrale, dove ci sbattono in galera entrambi per anni.
Sa che ho ragione, eppure sento le rotelline del suo cervello girare per trovare obiezioni. Di certo non gli va a genio unirsi alla mia banda dopo avermi dato letteralmente la caccia.
- Ora mi dica perché Alex credeva che lei potesse aiutarmi.
- Sono stato assegnato a un caso da codice Gamma. Una talpa nel distretto dell’agente Beckett e tutti i sospetti erano ricaduti proprio su di lui. L’agente Strahovsky mi ha messo personalmente sulle sue tracce. Mi ha promosso lei stessa per potermi assegnare il suo caso, sa?
La sua voce somiglia a quella di un bambino che ha appena scoperto che Babbo Natale non esiste, il che mi spazientisce e devo trattenermi dallo scrollarlo. In fondo se non ha capito prima di che pasta era fatta quella, un po’ è anche colpa sua. Dovrebbe saperlo che gambe e tette insieme fanno o un’idiota o una criminale.
- L’agente Strahovsky non ha imbrogliato solo lei. Molti nella CIA non sospettano di lei. Quindi la pianti con questa lagna, ok?
Lui mi fissa per un po’, incerto se rispondere come è abituato a fare oppure tacere.
Alla fine sembra riprendersi, forse anche per via dei tranquillanti che cominciano a fare effetto, e riprende in tono più controllato.
- Però nelle prove che il capo-dipartimento Strahovsky mi ha fornito, c’era qualcosa che non andava, così ho indagato per conto mio e mi sono imbattuto in una lunga lista di agenti morti in circostanze sospette, tra cui Richard Drake. Da lì sono riuscito a seguire le tracce di Beckett fino a questa città, poi è sparito di nuovo e io credevo che si nascondesse grazie a lei, signorina Blendell.
Fa una pausa e io intanto mi chiedo di nuovo se possa aiutarci. Ormai ha le mani legate anche lui, ma ovviamente Alex non sapeva che Yvonne avrebbe incastrato anche lui quando mi ha lasciato il messaggio.
- Alla fine sono riuscito a mettermi in contatto con l’agente Beckett e lui mi ha fornito la sua versione dei fatti. Ma non aveva accennato alla possibilità che la talpa fosse proprio Strahovsky.
- Forse non lo sapeva ancora. E comunque, tutto questo non risponde alla mia domanda. Perché Alex pensava che potesse aiutarci?
- Perché essendo a capo di un’indagine su una possibile talpa posso imporre a chi mi aiuta un obbligo di riserbo assoluto così che nemmeno i miei superiori possono controllarmi. Posso usare risorse che voi non potete nemmeno immaginare, anche se ancora per poco.
Rifletto un po’ su questa novità. Effettivamente Alex aveva ragione, a questo punto solo così possiamo sottrarci al controllo di Yvonne. Ma quanto tempo abbiamo prima che a Malone vengano tolti i suoi poteri speciali?
Provo a chiederlo a lui stesso.
- Molto poco, forse qualche ora. Per questo dobbiamo metterci subito all’opera e arrestare quella dannata spia.
L’entusiasmo che mette nella sua idea mi ricorda perché non volevo uomini a lavorare con me. Non sanno scegliere le priorità. Sospiro e mi chiedo se ho fatto bene a non lasciarlo nelle mani dei suoi colleghi.
- Ora la priorità è salvare Linda e Alex, poi penseremo al resto. Lei intanto deve stare qui buono e cercare di non farsi ammazzare. Crede di poterlo fare? – cerco di spiegargli.
Chissà perché invece, il mio suggerimento di restare qui sembra risvegliarlo dal torpore cerebrale da shock. Si alza in piedi, abbastanza tranquillo da sembrare il solito vecchio detective arrogante, e mi punta un dito contro.
- Io non sto nascosto da nessuna parte. Voglio prendere quella stronza e sbatterla al fresco per il resto dei suoi giorni per questo casino.
- Anche io ma prima dobbiamo salvare Linda – insisto e quello mi risponde con uno sguardo ostinato.
Per poco non chiedo a Juno di usare la sua mega pistola e mettere fine alla discussione e solo il pensiero che oggi già altre due vite sono state spezzate per colpa mia mi convince a tacere.
Il pensiero di Sarita e del cameriere tuttavia, così all’improvviso, mi toglie il fiato con una fitta. Due vite per colpa della mia testardaggine. Quattro contando i morti al museo. Cinque col signor Bown all’hotel. Cinque morti in pochi mesi. Non so se la mia coscienza mi permetterà mai di riprendermi.
Un’altra fitta ancora più dolorosa, poco sotto lo stomaco. Forse non è solo il senso di colpa che mi fa stare così…
Ahi! Questa volta la fitta è talmente dolorosa che mi costringe a piegarmi in due e un gemito strozzato fuoriesce dalla mia bocca, abbastanza alto da far accorrere Juno e Malone che erano girati a squadrarsi a vicenda.
- Alexis cosa…
Cerco di rimettermi in piedi e parlare ma un’altra fitta mi strappa un gemito lunghissimo e mi cedono le gambe. Sarei caduta di faccia per terra se delle braccia, non riesco a capire se di Malone o di Juno, non mi avessero sorretta.
Dopodiché la mia memoria si oscura, sono appena consapevole di essere in una macchina, che la pancia mi fa un male dell’anima e che mi sembra di non riuscire a respirare. Poi mi rendo conto che ci sono altre persone intorno a me e che qualcosa mi punge il braccio come uno spillo. Di nuovo buio.

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Capitolo 21
*** Nuovi membri ***


Quando riapro gli occhi sono in una stanzetta tipo quella di un ospedale ma non proprio così. È minuscola e c’è solo il lettino dove sono sdraiata io, una scrivania piena di carte e un grosso computer su una specie di carrello.
Poi mi accorgo che il letto ha delle strane strisce di legno in fondo con delle specie di tenaglie di plastica e capisco all’improvviso dove mi trovo. Non è una stanza di ospedale ma quasi, è una stanza da visita ginecologica.
Ma come sono finita qui? Perché qualcuno dovrebbe volermi visitare… be’ ginecologicamente insomma?
Poi un dottore alto e allampanato, senza un solo capello in testa, mi si avvicina e mi punta una lucina negli occhi.
Cerco di allontanare con la mano quella luce fastidiosa e vedo il dottore sorridere tra le macchie che la luce ha lasciato nel mio campo visivo, come tanti soli in miniatura.
- Sono felice che si sia ripresa, signorina Blendell.
Annuisco, non molto sicura che quello che sto vivendo sia reale anche se non sembra proprio un sogno.
- Ricorda perché è venuta qui?
- Avevo delle fitte… alla pancia credo…
Un altro sorriso. Cortese, freddo.
- Esatto signorina. Ha anche un’idea del perché potrebbe averle avute? Cosa può averle causate?
Ci rifletto un po’ su, chiedendomi se la scema sono io o lui. Perché di solito sono i  pazienti che fanno queste domande ai dottori, o mi sbaglio? Alla fine mi limito a scuotere la testa, incerta e ancora più confusa.
- Non ha avuto nelle ultime settimane qualche disturbo, tipo nausee mattutine, debolezza…
Ci penso di  nuovo su. In effetti qualche disturbo c’era ma… dipendeva dallo stress di certo. Scuoto di nuovo la testa.
- Va bene. Lo immaginavo. Questo vuol dire che spetta a me darle la notizia.
Dal tono grave in cui lo dice, mi vengono mille pensieri in mente, nessuno positivo. Cancro alle ovaie. Tumore avanzato alla cervice. Ulcera perforante all’ultimo stadio. No, per quella non c’entra il ginecologo, quindi niente ulcera.
- Lei è incinta, signorina Blendell.
Lo dice come se avesse sganciato una bomba, in tono grave e in fretta, senza un briciolo di espressione.
Non riesco a pensare a niente da replicare e resto un momento in silenzio, poi scoppio a ridere. Incinta? Io?
Invece di rispondere, apparentemente non sorpreso dalla mia reazione, il dottore mi porge una serie di istantanee in bianco e nero. Guardandole meglio mi accorgo che non sono fotografie, ma i risultati di una ecografia, che comunque non so leggere.
- Quello è il suo utero, signorina Blendell e quella macchiolina grigia che vede sulla destra e il suo futuro bambino, o bambina. Ha appena poche settimane. Congratulazioni.
Lo guardo, sul punto di ridere di nuovo, ma la sua faccia seria mi fa morire il sorriso sulle labbra. Guardo di nuovo le diapositive che ho in mano, fisso i numeri che non capisco, parametri incomprensibili, cerco di guardare meglio nel nero che circonda quella pallina minuscola. Poi in alto a destra leggo il mio nome e la data di oggi.
- Non può essere un tumore?
La mia voce suona ovattata e tremendamente stupida alle mie stesse orecchie ma non so che farci. È così che mi sento, ovattata e tremendamente stupida. Non posso essere incinta. Non ho rapporti e prendo la pillola.
Poi, come un flash, mi ricordo la sera che sono andata a letto con Alex. Ma non vuol dire niente, perché io prendo la pillola, appunto.
- Le assicuro che lei sta benissimo. Il suo bambino un po’ meno. Si è stressata troppo negli ultimi giorni e il feto ne ha risentito. Quelle fitte che ha avuto oggi erano una minaccia d’aborto signorina. Sa cosa vuol dire?
Annuisco ma senza ascoltarlo davvero, fissando ancora le istantanee, intontita.
- Bene, allora le obbligo riposo assoluto per almeno le prossime quattro settimane e poi ci rivedremo e le dirò cosa può ricominciare a fare e cosa non deve fare per altri otto mesi almeno.
- Non posso mettermi a riposo – rispondo semplicemente, sentendomi stranamente distaccata. Come se non si parlasse di me.
- Deve farlo necessariamente se non vuole perdere il bambino. Oggi l’abbiamo salvata per un pelo, sono state necessarie diverse flebo per calmare gli spasmi.
Non rispondo, non penso nemmeno una risposta. Continuo a fissare l’immagine nelle mani, incapace di pensare, di credere a quello che mi sta dicendo questo tizio
- Com’è potuto succedere? – domando, in un tono incolore che sorprende anche me.
- Sono sicuro che ne ha un’idea abbastanza precisa, signorina – risponde lui con un sorriso.
Finalmente lo guardo e arrossisco, intuendo che domanda stupida ho fatto.
- Intendevo dire che prendo la pillola, quindi non sarebbe dovuto accadere – spiego, imbarazzata.
Per fortuna, sono ancora capace di imbarazzarmi, quindi non sono improvvisamente catalettica. Buono a sapersi.
- Sì, l’ho visto negli esami del sangue. Tuttavia la concentrazione di ormoni nel suo sangue è lievemente disequilibrata. Sicura di non aver mai dimenticato di prendere la compressa?
Ci penso su per un po’. Non lo so. Sono piuttosto certa di no ma… è stato parecchio tempo fa e lui sembra piuttosto sicuro che io sia davvero incinta.
- Be’ non importa se non ricorda, considerando i fatti non c’è altra spiegazione. Ha dimenticato una sera la compressa e ora deve pensare al nascituro. Quindi riposo assoluto.
Sto per replicare ma richiudo la bocca senza aver detto niente. Pian piano che il mio cervello sembra risvegliarsi pigramente, mi rendo conto che non posso spiegare a questo tizio la mia situazione e che tanto lui non sarà a casa per controllarmi.
- Ci proverò. Non c’è niente che possa darmi nel caso non mi senta di nuovo bene?
Lui mi squadra un po’, sospettoso, poi annuisce e comincia a scarabocchiare qualcosa sul ricettario.
- E’ un composto naturale, può trovarlo in erboristeria. Ma ha un effetto molto lieve, più che altro le eviterà di perdere conoscenza finchè viene in ospedale. Ma se resta a riposo come le ho detto, non sarà necessario.
Annuisco distratta. Finalmente un filo gelido di panico comincia a girare intorno al mio stomaco. Sono incinta.
- Dottore, è normale che io mi senta così… stordita?
In realtà stordita non rende nemmeno lontanamente l’idea ma non riesco a trovare un termine più adatto.
- Sì, le abbiamo dovuto somministrare dei tranquillanti per calmare gli spasmi e ho visto che nel sangue c’erano tracce di antidolorifico. Per la schiena?
Non riesco a rispondere, troppo confusa. Come fa a sapere della schiena?
- Ha dei lividi su tutta la schiena e numerosi graffi. Direi che è stata una brutta caduta, forse la causa della minaccia d’aborto insieme allo stress. Posso chiedere com’è successo?
- Pratico sport estremi – rispondo vaga. È una di quelle risposte pre-pensate per fortuna. Non so se sarei stata in grado di trovarne una altrettanto buona al momento.
- Allora le ordino di smetterla e non solo per nove mesi. Anche dopo nato il bambino avrà bisogno che lei sia viva per essere accudito – mi ammonisce.
Mentre parla mi guarda anche un po’ preoccupato, come se temesse che io ammazzi di proposito il bambino lanciandomi giù da una rupe.
Per un momento in effetti ci penso su. Non ho esattamente una vita adatta a un bambino al momento, figuriamoci a una gravidanza delicata. Forse sarebbe davvero il caso di dimenticare tutta questa storia. Anche perché non voglio essere una ragazza madre, sapendo che il padre è Alex per giunta. E come lo dirò a Giulio? Ultimamente, io e lui siamo diventati piuttosto… intimi. Non andiamo a letto certo, ma di sicuro non siamo più nemmeno solo amici…
Giulio! Anche con lui ho avuto rapporti, anche se ancora non lo ricordo!
Questo vuol dire che il padre potrebbe… no, non può. Con Giulio è successo da troppo poco tempo. Il dottore ha detto che ha poche settimane, quindi ne ha almeno tre. Il padre dev’essere per forza Alex.
Maledizione, maledizione, maledizione, maledizione, maledizione…
- Signorina? Mi sente?
La voce del dottore mi fa sobbalzare.
- Dicevo che deve dirlo al padre ma se vuole posso farlo io. La sta aspettando qua fuori.
Lo fisso confusa. Di che sta parlando? Come può Alex essere qui?
- Non avrete creduto che pensassi davvero che siete cugini spero. Ne ho viste tante in questa stanza, signorina.
Il suo tono però è profondamente intriso di disapprovazione, il che mi fa pensare che in ogni caso non si è abituato a tutto quello che vede. Ma la domanda rimane: chi è che mi sta aspettando fuori alla porta?
Mi chiedo se sia Juno ma mi sembra impossibile. Lui dovrebbe essere morto per tutti quindi non se ne può andare a zonzo per gli ospedali. E non credo che siano riusciti a liberare Alex e Linda mentre ero svenuta. A meno che non sia entrata tipo in coma…
- Io lascio entrare il suo… suo cugino. Decida lei se vuole informarlo e mi faccia chiamare se preferisce che gli parli io. Ma per favore, non si faccia irretire dai discorsi di un uomo frustrato dall’età – mi rimprovera prima di aprire la porta.
Mi sa che hanno esagerato con i tranquillanti, perché non capisco davvero più niente.
Poi nella stanza entra Malone e scoppio a ridere come una matta, fino a che comincio a lacrimare.
Ecco mio “cugino”. Ci credo che il dottore non ci ha creduto! E deve aver pensato che sia lui il padre del bambino!
Certo che come agente segreto è una tragedia quest’uomo. Non poteva proprio inventare niente di meglio?
- Come si sente?
Mi domanda Malone quando smetto di ridere quasi del tutto.
- Stordita ma il dottore ha detto che è normale. Quanto tempo sono rimasta qui?
- Un paio d’ore. Ora sarà meglio andare, il tuo amico ci starà aspettando. Non voglio che venga ad uccidermi pensando che ti abbia ammazzata io.
Annuisco e mi rimetto in piedi con molta lentezza. Non posso uccidere il bambino, non così a sangue freddo. Almeno devo pensarci su per un po’. Non c’è motivo per cui Alex debba sapere di essere il padre e potrei dire a Giulio che il bambino è suo. È orrendamente meschino, lo so, ma lui sarebbe un padre perfetto al contrario di quell’altro idiota. Innocente o no mi ha mentito spudoratamente dal primo istante e io devo fidarmi del padre del mio bambino. Mio marito, nel frattempo, volente o nolente, perché sono una ragazza con dei principi io.
La sola idea di un marito e un marmocchio per casa mi fa venire la nausea e tremare le gambe.
- Sicura di farcela? – domanda preoccupato Malone, che sembra a disagio.
Be’ forse non gli capita spesso di accompagnare donne sconosciute dal ginecologo.
Comunque annuisco e mi sforzo di respirare a fondo. Per ora è meglio non pensare a niente, almeno finchè non sarò a casa mia. O da Juno. E questo mi fa nascere un altro pensiero: devo dirlo a Juno?
Mi lascio condurre docilmente da Malone fino alla macchina, allaccio la cintura di sicurezza e guardo fuori dal finestrino per tutto il tragitto, cercando di pensare tranquilla, di dare un senso e soprattutto un ordine ai pensieri.
Sono incinta. Nessuno lo sa tranne me. Se mi sforzo perdo il bambino. Non posso restare ferma. Dunque perderò il bambino. Dunque non serve dirlo in giro, inutile creare scalpore per una creatura che non vedrà la luce. Dunque devo smetterla di preoccuparmi. Probabilmente tra qualche giorno sarà già morto, povero piccolo. Non sopravviverà al suicidio-salvataggio nella tana del lupo.
Il pensiero di quel minuscolo cerchietto grigio che soffoca nel sangue mi da allo stomaco, tanto che faccio fermare l’auto e mi sporgo per rimettere senza macchiare i sedili. Appena in tempo.
Rassicuro Malone e ripartiamo. Il tragitto dall’ospedale non mi è mai sembrato tanto lungo. E intanto penso che non posso pensare di aver pensato a quello che ho pensato. I cerchietti non affogano e quello non è un bambino, ha solo qualche settimana. È una cellula, alla stregua di una pianta. Nessuno si preoccupa delle piante, tutti strappano i fiori e i fiori non soffrono. È più probabile che soffra io, e molto anche, ma non posso farci niente.
Nel caso in cui invece il bambino, cioè la cellula, sopravvivesse, allora ci penserò su. Devo solo tenere a mente che è una cellula per ora.
Non appena a casa di Juno mi butto sul divano e rimango stesa, appena vagamente consapevole di Juno e Malone che parlano di me. Il dottore ha detto a Malone che era solo intossicazione alimentare e che mi hanno fatto una lavanda gastrica. Ha comunque raccomandato anche a lui di controllare che me ne stia tranquilla.
Al che ho sentito Juno ridere e rispondergli di provare a convincermi lui a restare a letto mentre loro salvano Linda e Alex. Che bello avere qualcuno che mi conosce bene.
Già che sono stesa e ho qualche minuto per me provo a concentrarmi e pensare al bambino. Lo sentivo già dentro di me, pallido inizio di vita come dicono le neomamme in tv? Mi sentivo diversa, migliore?
No, mi sentivo come al solito. Anzi decisamente peggio per via dei medicinali. Niente sensazione esaltante di incubatrice di vita. Forse il tipo si è davvero sbagliato con un tumore.
E poi penso anche ad Alex, alias il padre della cellula. Cosa provo al pensiero che non sia il cattivo che immaginavo che fosse? Al pensiero di rivederlo, di riabbracciarlo?
Niente, il niente più totale. Anzi, una vaga sensazione di disagio.
Sono state dette troppe cose tra me e lui e tra me e Giulio e ora non posso far finta di niente. Mi ha mentito, quale che fosse la ragione e mi ha dimostrato di non potermi fidare di lui.
Comunque non credo che questo basterà a farlo ragionare quando saprà che io e Giulio abbiamo… intensificato i rapporti. E non ho nessun dubbio che Giulio lo farà ben presente, appena arriviamo a casa. Forse anche prima di slegarlo o quello che sarà. Quasi lascio Alex lì e faccio finta di non essere riuscita a liberarlo.
Poi però mi tiro un leggero pizzicotto. Che idiozia, è la stanchezza a farmi parlare, non posso lasciarlo lì solo perché ho paura.
Ma se si accorgesse del… della cellula? No, non può, mica ce l’ho scritto in faccia che sono incinta e ci vorranno mesi prima che si veda dalla pancia.
Scuoto la testa, in modo un po’ goffo visto che sono stesa sul divano. Non devo farmi nessuna immagine mentale. Non arriverò mai ad avere il pancione perché il mio stile di vita ucciderà la cellula prima che abbia raggiunto le dimensioni di un uovo. Non arriverà ad essere nemmeno un feto vero e proprio, quindi inutile cercare già vestiti premaman.
Sento in lontananza il mio cellulare che suona. Allungo il braccio verso la borsa e lo pesco alla cieca.
- Pronto?
- Via Bernardo Sciacca, numero 32b. Dovrebbe essere un grosso palazzo ancora in costruzione, parecchio fuori dalla città – mi informa la voce di Yvonne dall’altra parte della linea.
Io sono ancora talmente intontita che la mia voce suona assolutamente piatta anche dopo aver riconosciuto quella vipera. Lo sapevo io che era troppo bella per essere dei buoni.
- Ci troveremo direttamente lì. Tra quanto arrivi?
Non rispondo subito. Juno ha chiesto di interrogarla qui ma se insisto lei si insospettirà. E di sicuro mi aspetterà da sola fuori dal palazzo prima di entrare, quindi possiamo interrogarla lì fuori, di certo lei non se lo aspetterà.
- Non lo so. Quanti uomini credi che ci siano?
- Abbastanza. Almeno tre o quattro per ostaggio se il tuo vescovo è intelligente. E credo che lo sia.
La sua voce è assolutamente tranquilla, perfetta imitazione di sincerità. Quando la trovo mi faccio spiegare come fa, prima di tagliarle quel chilometro di gambe che si ritrova.
- Come hai fatto a scoprire dove li tengono? – le domando, con la voce più neutrale del mondo. Grazie tranquillanti.
- Ho fatto una ricerca dei supermercati della città. Di certo hanno bisogno di cibo per parecchie persone e di sicuro se lo fanno consegnare a domicilio. Ho scaricato le ordinazioni più grosse e ho seguito il fattorino.
Mi sembra un po’ assurdo ma è decisamente una bugia credibile, perciò tanti complimenti. Io non avrei mai saputo escogitare una scusa così perfetta e verosimile. Mi sento davvero una schiappa al confronto.
- Ora devo andare, mi faccio risentire se ho novità. Tu vedi di non farti ammazzare intanto. E segnati questo numero.
Prima ancora che abbia il tempo di prendere carta e penna, comincia a dettare un numero che in mancanza di altro cerco di visualizzare nella mente per poterlo scrivere dopo.
- Avvertimi anche prima di partire per andare da Alex.
Riattacco senza risponderle. Intanto io vado da Linda e non da Alex. E poi non l’avrei avvertita nemmeno se non avessi sentito la registrazione di Alex, non mi è mai piaciuta questa stangona.
Avverto Juno e Malone delle novità, strappandoli da una discussione di cui non ho capito il motivo, poi sprofondo nel divano ancora una volta, in attesa di avere abbastanza energie per mettermi a sedere. Accidenti, devono avermi sedato come un cavallo per sentirmi ancora così. Si vede che il mio piccolino è tosto come la madre.
Mi mordo il labbro, forte, finchè sento il sapore del sangue. Il piccolino è solo una dannata cellula e io non sono sua madre ma solo la sua scatola. E il fatto che la palla grigia sia tosta non è affatto un bene, sarebbe stato più semplice se fosse già morta dopo la caduta invece.
- Prepariamoci per una ventina di persone. Te la senti, Alexis?
Sussulto nel sentire Juno parlare ma annuisco. Non lascio Linda lì.
Mi dispiace palla grigia, ma Linda la conosco da più tempo e le voglio più bene di te.
Oh mio Dio, sto parlando con una cellula.
- Io posso procurare le armi e qualche uomo di fiducia – interviene Malone in tono grave.
Lo fisso per un po’. Se questa situazione non fosse così assurda, farei una lunga chiacchierata con lui. Com’è che passa dal credermi un’assassina senza scrupoli a vittima della banda di pazzi senza pensarci su due volte?
Come riesce a credere a tutto quello che ho detto, anche se non è stato molto per ora, senza nemmeno preoccuparsi che siamo matti come l’Organizzazione?
Be’ certo, il fatto che sia l’unica alternativa a passare ore, giorni in una stanza che puzza di fumo a farsi interrogare, forse torturare dai suoi colleghi deve essere un bell’incentivo. Eppure è strabiliante la sua fiducia nel prossimo. O preoccupante, visto il mestiere che fa.
- Ce ne serve qualcuno ma non troppi. Non possiamo rischiare colpi di testa – sentenzia Juno.
Anche lui è strano. Ha accettato l’aiuto di Malone senza aprire bocca, proprio lui che non ha fatto altro che urlare per giorni quando ha saputo che avevo raccontato tutta la verità ad Alex e poi a Giulio. Lo ha accettato come se fosse sempre stato uno dei nostri. Forse è intuito da uomini d’arme. O forse da uomini e basta. Però non mi piace. Mi fa sentire esclusa. In effetti se la intendono benissimo questi due mentre cercano di ideare un piano, mentre io non capisco quasi niente di quello che dicono.
- Ci serve una mappa del posto soprattutto – impreca Juno, sbattendo leggermente il pugno sul tavolino.
- Posso provare a trovarne una se avete un portatile oscurato.
Io non so nemmeno cosa sia un portatile oscurato, ma ovviamente Juno va direttamente a prenderlo dalla sua stanza. Avrei dovuto fare il militare, mi sa.
- Sicura di stare bene? Abbiamo bisogno di avere solo gente al cento per cento. Sarà un inferno – mi avverte Malone guardingo.
Per un attimo mi viene in mente di lasciar andare loro a salvare Linda. In fondo io ho il mio bel da fare qui. Potrei pensare a Yvonne mentre loro portano in salvo i nostri e così eviterei un’altra strapazzata al…
- Mi rimetterò in tempo – lo rassicuro. Non devo pensare alla cellula come un bambino, dannazione.
- Grazie per… be’ per non avermi sbattuto fuori a calci. L’avevo giudicata male, signorina Blendell.
Le sue parole mi ammutoliscono forse più della notizia del bambino. Chi l’avrebbe mai detto!
- Diciamo che capisco la sua situazione, più o meno. E comunque mi servono uomini – minimizzo, imbarazzata.
- Mi rendo conto che deve essere stato difficile… vivere la sua vita finora. E capisco perché non si è rivolta a noi. Suo padre aveva ragione, credo.
Questa poi… avrei dovuto registrare la scena, sarebbe stato bello poterla vedere nei momenti di sconforto.
- L’agente Pitt era un brav’uomo e un eccellente agente speciale. E anche l’agente Beckett sarebbe una grave perdita. Non me lo perdonerei mai se per colpa mia perdessimo anche lui.
Non dico niente, perché non so davvero che dire. Però sono felice di non dover dimostrare nient’altro almeno a lui. E sono anche felice che sia dalla nostra. È ancora arrogante e insopportabile ma mentre parlava con Juno ho capito che è anche un professionista e sa cosa fa, il che non guasta affatto in situazioni come la mia.
- E’ una vera sfortuna che l’agente Strahovsky sia bruciata. Avrebbe potuto fare davvero molta strada. Non tutti in fondo arrivano al suo livello ancora così giovani. Ero orgoglioso di essere al suo comando.
L’aria mesta sul suo viso mi fa dimenticare per un momento quanto mi stia antipatico. Non è da tutti essere così boriosi ed ammettere di essere felici di eseguire gli ordini di una donna, molto più giovane per giunta.
Ma non sono brava a consolare le persone, perciò me ne sto in silenzio e penso invece a Giulio. Non mi ha ancora risposto al messaggio ma è troppo presto per cominciare a preoccuparmi.
Cosa gli dirò? Voglio che venga con noi? Forse dovrei lasciarlo qui, al sicuro. Non sopporterei di vederlo fare la stessa fine del povero cameriere. Ma non posso nascondergli il salvataggio…
Juno intanto torna col portatile e Malone comincia a battere rapidissimo sulla tastiera. Se la cava coi computer per essere un vecchietto.
Pochi minuti dopo Malone annuisce e gira il portatile verso di me, così che possa vedere lo schermo.
- Questa è la pianta dello stabile. È di qualche anno fa, potrebbero esserci state delle modifiche ma è un inizio – sentenzia, guardandomi con la solita spavalderia, come a sfidarmi a dire il contrario.
Non raccolgo la sfida e mi avvicino invece ad osservare meglio la pianta. È un palazzo praticamente immenso, con molte finestre. Forse, essendo ancora in costruzione non ci sono nemmeno i vetri ancora, il che non può che essere un vantaggio per noi.
Eppure non sembra un posto adatto a un’imboscata. La pianta è quasi perfettamente rettangolare, pochi muri o angoli dove nascondersi, niente di niente. Solo una specie di grosso stanzone. Sempre che chiaramente i lavori non siano proseguiti diversamente dalla mappa.
- A volte è utile avere uno sbirro dalla nostra, vero Juno? – domando con un sorriso sincero.
In effetti, non potrei essere più felice di avere qualcun altro in grado di sparare dalla nostra. Giulio è un gran bravo ragazzo ma non è proprio un sicario. Ha compassione anche per le bottiglie di vetro.
- Ora io cerco qualche altro uomo da portarci dietro e una scorta di armi… - comincia Malone ma lo blocco con un gesto della mano.
- Un momento detective… quali altri uomini? Non ha capito niente della parte in cui le dicevo segreto, incognito, nascosto…?
Lui mi fissa col sorriso da squalo che aveva quella mattina all’hotel e che mi fa venire una gran voglia di prenderlo a pugni.
- Lei è brava con i quadri e a nascondersi, signorina. Io organizzo recuperi del genere da quando lei era ancora in fasce, perciò se volete il mio aiuto, comando io le operazioni.
- Non se ne parla. Può anche andarsene a… a farsi arrestare – replico ostinata.
Questo arriva e crede di comandare tutto?
- Se vogliamo uscire vivi ci servono uomini. Non mi farò ammazzare per un segreto che non è il mio.
- Nessuno le ha chiesto di partecipare. La porta è aperta.
Ci fissiamo negli occhi per un po’, vedendo chi per primo distoglie lo sguardo ma Juno interviene prima che arriviamo alle mani, sfortunatamente.
- Alexis, non possiamo cavarcela da soli stavolta. Abbiamo bisogno del suo aiuto.
Guardo Juno furiosa, per niente contenta della piega delle cose. È la nostra missione, il mio segreto e questo qui arriva e…
Ma se Juno ammette di non potercela fare, allora di certo non ne sono capace io. La vita di Linda è più importante di qualsiasi altra cosa, compreso il mio orgoglio, quindi mi allontano da Malone con uno scatto rabbioso, mentre lui sorride trionfante.
Mentre Malone si allontana col cellulare, io mi avvicino a Juno.
- Non gli staremo lasciando troppo spazio? Non ha idea di cosa andremo a combattere! – domando con un sussurro.
- Ci servono uomini e armi, Alexis. E scommetto che la tua amichetta non si aspetta i colleghi. Potremmo addirittura fingere di averla smascherata…
Cerco di ribattere ma non ho altri argomenti. Odio ammetterlo ma da soli io e Juno non faremo altro che farci ammazzare. E l’idea di fingere un arresto in forze della CIA potrebbe davvero funzionare.
Annuisco con una smorfia. Non mi piace per niente.
- Ora chiamo Giulio, devo dirgli le novità e convincerlo a restare qui.
Mi allontano da Juno e compongo il numero del cellulare di Giulio. Finalmente questa volta mi risponde quasi subito. Gli spiego le ultime novità, incluso Malone.
- Allora vi raggiungo.
- Ok Giulio, ma non verrai con noi. Resti qui a casa di Juno. Se le cose vanno male, ho bisogno di sapere che qualcun altro cercherà lo stesso gli ultimi quadri.
Lui non risponde, evidentemente indeciso. Non vuole fare la parte del codardo ma sa che ho ragione. Abbiamo poche possibilità di uscire tutti illesi da quel posto e se nessuno continuerà il mio lavoro, sarà stato tutto inutile.
- Ok, ok, come vuoi – risponde alla fine, per niente felice di questa scelta.
Tiro un sospiro di sollievo. Starò molto più tranquilla se lo so qui al sicuro. Poi però mi sento in colpa. Ho davvero il diritto di preoccuparmi per lui come la sua fidanzatina scema mentre sono incinta di un altro?
- E quando saremo tornati da questa cosa, se torniamo, ricordami che dobbiamo parlare – gli dico. Meglio togliermi il pensiero subito, decido all’improvviso. Cellula o bambino che sia, è giusto che lui sappia, anche se la pallina grigia non dovesse sopravvivere a stasera.
Senza nemmeno insistere un po’, mi saluta e attacca. Deve esserci rimasto davvero male per essere stato lasciato qui ma non me ne preoccupo. Lo preferisco imbronciato ma vivo, per ora.
Rimetto il telefono nella borsa, poi comincio a prepararmi mentalmente a quello che stiamo per fare. Malone ha ragione su almeno un punto, sarà un inferno e per quanto mi sia preparata all’eventualità, non sarò mai del tutto pronta a fare una strage. Sempre che non mi uccidano al primo proiettile, si intende.
Finalmente Malone rientra nella stanza annunciando di aver appena formato una squadra di otto agenti. E così arriviamo a undici buoni contro venti, forse anche trenta cattivi. Mi sa che il nostro piano è già fallito.
- Come arriviamo lì? – domanda Juno, già pronto all’azione.
- In elicottero. Ci troveremo all’aeroporto tra venti minuti con i miei uomini e decolleremo su due elicotteri firmati CIA. Porteranno anche armi a sufficienza.
- E come atterriamo dalle parti del palazzo senza che se ne accorgano? – domando. So di sembrare davvero lenta a riguardo ma non riesco a capire come sia possibile che nessuno si accorgerà di due elicotteri.
- Sono elicotteri particolari, fanno un po’ meno rumore del solito e se atterriamo in un campo lì vicino i rumori di un cantiere dovrebbero coprirci quasi del tutto. Poi ci avviciniamo con una macchina che troveremo lì – spiega Malone, con l’aria di chi ha già pensato a tutto.
- Probabilmente loro hanno considerato come unico accesso l’entrata principale e non si aspettano tiratori scelti della CIA. Uccideremo le guardie all’ingresso da distanza di sicurezza e silenziatore, poi ci dividiamo. Un gruppo entra dalla porta e gli altri si calano dal terrazzo ed entrano dalle finestre. Avremo anche qualche munizione a gas, tanto per confondere le idee. Troviamo gli ostaggi e ce la filiamo senza preoccupare che siano morti tutti.
Messo così il piano sembra buono. Ma mi sembra troppo facile, così cerco di pensare a cosa può andare storto.
- Sull’elicottero indosseremo delle tute antiproiettile, più resistenti e molto più coprenti. Saremo immuni alle prime due, tre raffiche di mitra.
Accidenti. Forse portarci dietro Malone potrà risultare più utile del previsto. Ecco perché Alex ha pensato a lui.
- E Yvonne? – domando.
- La incontrate tu e Juno mentre i miei si appostano sul tetto. Con una scusa la fai salire in macchina, quindi io la ammanetto e Juno le punta una bella pistola alla testa. Le facciamo sputare l’anima prima del primo proiettile – spiega Malone. Ha davvero pensato a tutto.
- Tenete presente che dovremo muoverci con estrema cautela e tenere il più stretto silenzio. Potrebbero avere dei sensori che sfuggono ai nostri radar anche se è improbabile.
Io e Juno annuiamo all’unisono, mentre io non posso che ammirare l’efficienza di Malone. Sa davvero il fatto suo, anche se è arrogante e odioso.
- Possiamo stare certi dei suoi uomini, vero capitano? – domando ancora.
Lui mi fissa con aria di sfida ma io sostengo il suo sguardo.
- Anche Yvonne era insospettabile eppure… è assolutamente certo che mentre siamo lì nessuno cambierà bandiera?
- Ho scelto accuratamente queste otto persone, signorina. Si fidi – ringhia offeso.
Non mi importa. Mi sembra di avere ottime ragioni per dubitare della CIA ormai, visto che di certo Yvonne non era l’unica spia tra loro. Purtroppo non ho altra scelta che fidarmi a questo punto.
Improvvisamente il tempo sembra volare mentre ci prepariamo al salvataggio secondo le istruzioni di Malone e finalmente anche il mio senso di torpore comincia a svanire, scacciato brutalmente dall’adrenalina che comincia a scorrermi nella vene come nitro.
Arriviamo all’aeroporto perfettamente puntuali e troviamo già tutto predisposto. Malone ci presenta i nostri nuovi otto compagni, quindi ci consegna due sacchi e ci ordina di infilarli. Mi sento tremendamente in imbarazzo a restare in biancheria in un elicottero pieno di gente estranea ma i tizi sono talmente freddi e compassati che presto comincio a non considerarli del tutto umani. Per fortuna la tuta mi sta a pennello, anche se è dannatamente calda.
Il volo è parecchio lungo e per tutto il tempo mi sforzo di fissare Juno per non guardare dai finestrini. Per fortuna questi elicotteri hanno gli sportelli, non come quelli dei film, altrimenti non credo che sarei sopravvissuta.
Anche se il viaggio è stato lungo, quando arriviamo in un campo immenso e apparentemente abbandonato, una morsa di ansia mi stringe lo stomaco e mi sembra che sia passato troppo poco tempo da quando ero nella sala del dottore.
Improvvisamente mi sento debole e mille dubbi mi assalgono: e se non sono abbastanza convincente con Yvonne? E se mi si inceppa l’arma? Se quando entro nella stanza piena di gas comincio a tossire e non riesco a smettere? E se quelli si accorgono di noi e sparano a Linda ancora prima che entriamo nella stanza?
Lo strattone di Malone però mi riporta alla realtà e per fortuna da quel momento tutto succede troppo in fretta perché possa pensare a cose negative. In pochissimo restiamo solo io, la cellula e lo sforzo di non svenire per il caldo dentro questa stramaledetta tuta.
Quasi all’improvviso mi ritrovo a pochi metri dal palazzo e soprattutto da Yvonne. Ci fermiamo con la macchina dove possiamo tenere bene in vista il palazzo, quindi Malone mi fa segno di chiamare. Compongo il numero di emergenza e non appena sento la voce di Yvonne, le comunico che sono arrivata.
- Ti avevo detto di avvertirmi quando partivi. Va bene, comunque sono già qui, sotto un cartellone pubblicitario. Mi vedi?
Sì, la vedo, è sulla sinistra dell’entrata, probabilmente anche lei ha scelto un posto dal quale si vede facilmente l’entrata del palazzo. Ma perché? Per lasciare qualche segnale quando sarei arrivata?
Comunque cerco di non pensarci e sembrare assolutamente fiduciosa. Devo essere convincente se voglio attirarla in macchina per interrogarla.
- Io sono fuori a una macchina nera, poco più su di te. Raggiungimi così prepariamo un piano.
Riattacco prima di darle la possibilità di replicare, sperando che così si senta costretta a raggiungermi. Infatti poco dopo la vedo spostarsi furtivamente da sotto il cartellone e venire verso di me.
Con un leggero tremito delle mani scendo e mi metto seduta sul sedile anteriore, così da lasciare a Juno tutto lo spazio dietro.
Per mia fortuna Yvonne non pensa nemmeno di dare un’occhiata all’interno della macchina prima di salire e quasi si getta addosso a Juno, che non le lascia il tempo di fare nulla e la immobilizza immediatamente, impedendole anche di urlare.
Intanto Malone scende dal posto di guida e si infila veloce dall’altro la di Yvonne. La saluta con un sorriso più che da squalo, evidentemente felice dell’aria sorpresa della donna immobilizzata tra le grandi mani di Juno.
- Piacere di rivederla agente Strahovsky. Avrebbe dovuto recitare meglio se non voleva essere scoperta.
Lei non risponde per un po’, anche se Juno le ha liberato la bocca, poi riacquista la sua faccia imperturbabile e sorride appena a Malone.
- Avrei anche potuto dirti la verità e non l’avresti capita, idiota. Sei sempre stato uno stupido che gioca a fare il cattivo.
Malone le molla il primo schiaffo sullo zigomo, tanto forte che mi sembra di vedere i suoi denti contro la guancia, ma Yvonne non fa una piega e ride un po’ più forte.
- Che mani forti che hai… – lo sbeffeggia.
Dalla faccia di Malone, direi che la ragazza non arriverà viva a fine quiz. Comunque riesce a controllarsi e ignorarla.
- Non avresti dovuto sottovalutarmi, “capo”. Ora farai meglio a rispondere a qualche domanda – la avverte poi in tono minaccioso.
Io mi mordo la lingua per non ribattere. In realtà ha fatto benissimo a sottovalutarlo visto che è stato Alex a smascherarla e se non fosse stato per lui saremmo ancora tutti convinti della sua innocenza. Tranne me, che già sospettavo di lei. Comunque, non mi sembra il momento per una discussione sui meriti.
- Quanti uomini ci sono davvero lì dentro? – domanda Malone, con la pistola spianata e uno sguardo molto poco amichevole. Devo dire che risulta molto convincente in veste di inquisitore.
- Se sei così intelligente perché non lo scopri da solo? – domanda Yvonne, sempre col tono beffardo che non si addice alla sua situazione. Infatti per tutta risposta Malone la colpisce di nuovo, più forte di prima se possibile, poi ripete la domanda.
- Non lo so di preciso. Come ho detto, immagino che siano quattro o cinque per ogni ostaggio.
Altro colpo, vicino allo stomaco questa volta. Finalmente i lineamenti di Yvonne tradiscono un certo dolore e infatti non risponde subito, a corto di fiato. Malone continua a ripetere la domanda ininterrottamente, quasi urlandogli in faccia.
- Non lo so! Sono fuori da questa storia, altrimenti non avrei contattato questa – risponde Yvonne alla fine, urlando a sua volta, come se parlasse con dei deficienti.
Per tutta risposta Malone le afferra una mano e le rompe il primo dito, poi il secondo e poi ancora il terzo. Alla fine Yvonne cede e spiega almeno in parte il complicato intrigo.
- Non potevo lasciare che uccidesse Alex.
Finalmente Malone le lascia la mano, che la ragazza ritira con estrema cautela, mordendosi il labbro per il dolore. So che è una dei cattivi, ma non riesco a guardare e mi giro verso il finestrino, disgustata dai metodi della CIA.
Con qualche altro schiaffo che rende Yvonne ancora più furiosa, Malone sembra sentirsi soddisfatto e la ammanetta ai poggiatesta dei sedili anteriori, quindi le annuncia con tono trionfante di essere in arresto.
- Mentre noi salviamo il tuo amato tu avrai un po’ di tempo per abituarti a passare il resto dei tuoi giorni in galera. Arrivederci, “capo” – la schernisce Malone, che scende poi dall’auto con l’aria arrogante dell’hotel.
Nonostante sia legata e abbia la faccia completamente rossa per i colpi ricevuti da Malone mentre la convinceva a parlare, io non riesco a convincermi a scendere dall’auto. Mi fa troppa paura. Sembra capace di liberarsi con la sola forza dell’odio che i suoi occhi sprigionano verso di me e Malone.
Alla fine però il pensiero di Linda in pericolo mi scuote e apro lo sportello. Prima che scenda però, Yvonne mi chiama e mi volto a guardarla, sperando che non intuisca quanta paura ho adesso.
- Dì ad Alex che mi dispiace ma che non lo avrei mai lasciato morire. E che ci rivedremo presto. Vale anche per te – mi avverte col tono minaccioso più convincente che abbia mai sentito.
Scendo dall’auto senza risponderle, anche perché non saprei cosa dirle. Non credo che porterò il suo messaggio d’amore e non sono ancora convinta di averla messa K.O., è troppo facile per una come lei. Avevo visto giusto, comunque, quando ho pensato che tra lei e Alex ci fosse del tenero.
E pensare che lo avevo davvero creduto una persona diversa, migliore. È stata Yvonne a suggerirgli l’ispirato discorso sul vero amore, i brividi e tutto il resto? Mi disgusta ancora più dei metodi di interrogatorio.
Scendi dall’auto e raggiungo Malone, che intanto sta parlando in una specie di walkie talkie che emette crepitii tremendi. Non so come si faccia a capire una parola qualsiasi in quel frastuono.
Lui comunque sembra aver capito benissimo il messaggio, risponde, attacca l’aggeggio alla cintura e si volta verso di me.
- Se è pronta, i miei uomini aspettano – mi annuncia.
- Crede che abbia detto la verità? – gli domando, lanciando occhiate nervose alla macchina e al palazzo.
- Sì credo di sì. Ho fatto fare qualche controllo e ha davvero fatto delle ricerche e violato database per scoprire questo palazzo. Forse il suo capo sapeva che aveva un debole per Beckett e ha pensato di tenerla fuori.
Annuisco, perché sono d’accordo con lui. E questo spiega tante cose del suo ruolo in tutta la storia che mi erano incomprensibili.
- Se ha detto la verità allora ci saranno davvero meno uomini del previsto? – domando ancora.
Malone si limita ad annuire e sorridere di nuovo in quel modo poco rassicurante che mi mette i brividi.
- Ora possiamo andare? – mi domanda, col tono di un bambino che sta per aprire i regali di Natale. Non si può certo dire che non gli piaccia il suo lavoro.
Faccio segno di sì e mi volto verso il cofano per prendere le armi, ma soprattutto per nascondere l’espressione di raggelato terrore che sono sicura mi si legge in faccia.
Ora che sto davvero per farlo, sono praticamente certa di non esserne in grado.
Poi Juno compare al mio fianco e mi porge una specie di piccola mitraglietta con fare rassicurante. In realtà è più che altro il suo sguardo, tranquillo, sicuro e fiducioso che mi rassicura.
- Per Linda e per Alex – sussurra e io mi limito a prendere l’arma e annuire, certa che se parlassi adesso la mia voce tremerebbe all’impazzata.
Ci voltiamo entrambi verso Malone che ha magicamente fatto comparire un arma enorme tra le mani e insieme ci incamminiamo verso l’entrata, Malone in testa, io dietro di lui e Juno a chiudere la fila. Mi muovo cercando di imitare il più possibile Malone mi sento un incrocio tra James Bond e una ragazzina che gioca con la fionda.
Quando arriviamo sotto il cartellone dove aspettava Yvonne, Malone ci fa fermare e dice qualcosa nella sua radiolina, quindi aspettiamo. Pochi istanti dopo tutti e tre gli uomini vicino all’entrata si accasciano contemporaneamente per terra e solo allora Malone ci fa segno di proseguire.
A pistole spianate entriamo nell’androne deserto, quindi attendiamo l’ascensore perché a quanto pare le scale sono più facilmente trasformabili in una trappola mortale. Sono così nervosa che il trillo dell’ascensore mi fa sobbalzare e ringrazio mentalmente Juno per avermi insegnato a tenere le mani lontane dal grilletto.
Nella lenta ascesa il silenzio è rotto solo dal mio respiro, pesantissimo in confronto a quello dei due uomini, così cerco di respirare più come un super agente che come un dinosauro ma presto mi gira la testa per il poco ossigeno e torno a respirare come un dinosauro. Non credo che importerà molto come respiro una volta entrati in quella sala.
Poi l’ascensore si apre di nuovo e tutto prende a scorrere troppo veloce perché io possa pensare a qualsiasi cosa che non sia l’arma tra le mani.
Senza nemmeno avvertirci, Malone spalanca la porta con un unico colpo della sua arma, poi comincia a sparare all’interno, non all’impazzata come mi aspettavo ma con colpi rapidi e precisi che comunque non colpiscono molti bersagli ma di certo impediscono ai cattivi di spararci addosso. Anche io e Juno cominciamo a sparare come ci ha indicato Malone in elicottero: colpire le finestre e le armi, evitare le porte. Poi la stanza prende a riempirsi di fumo così denso che non riesco più a vedere nulla, si sentono solo altri spari e qualche urlo.
Infine, come in una scena da film d’azione, dalla porta escono quattro uomini che trascinano Alex e Linda, parecchio malconci ma vivi.
Diversamente dai film i nostri ostaggi tossiscono come se stessero per sputare l’anima, sono imbrattati di sangue in più punti e lo stesso vale per i soldati con loro, che hanno poco di eroico mentre ci fanno segno di correre.
Ci lanciamo tutti giù per le scale, mentre ancora non riesco a pensare lucidamente. Non mi rendo nemmeno conto che siamo riusciti davvero  a liberare Linda per il momento. C’è solo il bisogno di correre verso la macchina che avevamo lasciato e che scopro essere stata affiancata da un’altra auto.
Mi lancio nella macchina su cui siamo arrivati e vedo Juno mettersi al posto di guida. Malone si lancia sul posto del passeggero mentre Linda e un agente si accomodano vicino a me su sedile posteriore, quindi la macchina parte a tutto gas in direzione del campo dove abbiamo lasciato gli elicotteri.
Per qualche istante sono talmente stordita dagli ultimi minuti che mi manca l’aria e il cervello sembra non dare nessun segnale di vita. Poi Linda comincia a dire qualcosa e anche se non capisco cos’ha detto la sua voce sembra attraversare la nebbia di adrenalina e riscuotermi.
Istintivamente mi getto verso di lei e l’abbraccio, mentre mi sforzo con scarsi risultati di non piangere. Non avevo creduto di poterla riabbracciare viva.
- Oh Alexis cominciavo a credere che mi avresti lasciata lì – mi rimprovera bonariamente Linda quando riesce a respirare tra le mie braccia.
Invece di risponderle io scoppio a ridere tra le lacrime e mi stacco almeno un po’ per guardarla meglio e assicurarmi che stia bene. Tranne qualche brutto taglio sul viso e sulle braccia e un bel po’ di lividi non sembra essere messa tanto male. Il che mi fa pensare che la maggior parte del sangue che ha addosso non sia suo.
- Abbiamo ripulito per bene la zona, capo – dice intanto l’agente, che non sembra minimamente interessato al mio slancio d’affetto. Comincio a capire perché molti credano che gli agenti speciali vengano lobotomizzati.
Malone annuisce, poi all’improvviso impreca  e si volta verso di me come una furia. Sulle prime non capisco poi un’illuminazione colpisce anche me e sento come un colpo sordo allo stomaco.
Yvonne non è più nella macchina.
Mi guardo intorno e vedo le manette ultra resistenti buttate sul tappetino sotto il sedile anteriore e un foglietto stropicciato infilato tra i sedili, vicino alla leva del cambio.
“La prossima volta che ci vediamo vi spiego come ho fatto, ispettore. Date un bacio ad Alex” ha scritto col rossetto sulla carta. Lo accartoccio rabbiosamente, poi però mi accorgo che Malone mi fissa e gli porgo la palla biancastra.
- E ora? Non la prenderemo mai… - sussurro scoraggiata.
Ma in realtà mi accorgo che non me ne importa molto, almeno per il momento. L’importante è che Linda sia con noi ora, a lei potremo pensarci in seguito.
- La ritroveremo, non si preoccupi. E credo che i suoi amici mi aiuteranno comunque a dimostrare la mia innocenza – mi rassicura Malone con il suo sorriso da squalo.
Ovviamente Linda annuisce, anche se poco convinta visto che non sa di cosa parliamo, poi si volta verso di me e mi striglia per bene.
- Non appena avrò fatto una doccia mi racconti tutta la storia o ti uccido con queste mani – mi minaccia alla fine in tono serio.
- A questo punto direi che è anche un tuo diritto. Che bella famiglia felice – replico sarcastica. Tra un po’ potrò fondare un nuovo Stato con tutti quelli che conoscono il mio segreto ormai.
- Ora cerca di rilassarti un po’ e mangia qualcosa – la esorto, prendendo da una borsa sotto i miei piedi i panini e le bibite che gli uomini di Malone hanno preparato. Kit di recupero ostaggi l’hanno definito. Pare infatti che gli ostaggi non vengano nutriti bene.
Scendiamo dalla macchina proprio davanti all’elicottero e di corsa ci infiliamo di nuovo nel traballante mezzo. Per un attimo, di sfuggita, vedo Alex in mezzo ad altri agenti che salgono sull’altro elicottero e sento un altro colpo sordo allo stomaco.
Anche Alex non mi aspettavo di rivedere, di certo non così. O forse è solo la mia pallina grigia che riconosce suo padre.
Scuoto la testa vigorosamente. Che assurdità. Non avrei mai detto che diventare madre mi avrebbe fatto diventare così stupida.
Vedo Linda che mi guarda con aria interrogativa e un sorrisetto idiota. Deve aver visto cosa guardavo. Scuoto di nuovo la testa e le faccio segno che le spiegherò dopo, anche perché mi è venuta in mente una cosa.
- Malone, abbiamo ancora abbastanza armi per un altro assalto?
L’ispettore mi guarda incuriosito e gli spiego la mia idea. Visto che siamo nei paraggi del covo con i computer, se abbiamo abbastanza materiale per un’altra operazione rapida…
- Si rende conto che è tremendamente rischioso, visto che non conosciamo il posto e non abbiamo un piano?
Annuisco fermamente. Lo so benissimo, ma a questo punto tanto vale rischiare.
- E sa anche che se quello è davvero territorio sacro nessuno ha il permesso di fare una retata, nemmeno la CIA?
Annuisco di nuovo, sebbene meno convinta. Non lo sapevo, ma questo non mi impedirà di certo di scoprire cosa quei computer nascondono per noi.
- Bene. Allora non prendetevela con me se ci sono dei morti.
Detto questo Malone fa un altro sorriso terribilmente soddisfatto e si gira a dare disposizioni all’agente alla guida dell’elicottero. Comincio ad avere seriamente paura della follia suicida di quest’uomo ma sono felice che non abbia fatto discussioni. Non so perché ma all’improvviso trovare quei computer mi sembra indispensabile.
L’elicottero decolla e mi aggrappo di nuovo a una faccia qualsiasi per non guardare fuori dal finestrino, in preda a un leggero senso di nausea. Eppure in aereo non mi ero sentita così. Forse dipende dal fatto che questi elicotteri sembrano così leggeri… oppure alla pallina grigia non piace l’altezza...
Mi mordo la lingua, dandomi per l’ennesima volta della stupida. Una cellula non può avere paura del vuoto.
Il pensiero della pallina però mi porta a pensare ad Alex nell’altro elicottero.
Prima è successo tutto così in fretta che non ho avuto il tempo di pensare, a mala pena l’ho visto muoversi e ho capito che è vivo. Ma ora stiamo per fermarci e allora dovrò trovarmi faccia a faccia con lui. L’idea non mi piace affatto.
Cosa gli dirò di noi, della pallina, di me e Giulio? Devo dirgli qualcosa o semplicemente cacciarlo su due piedi? In ogni caso mi ha mentito spudoratamente e non so se riuscirò mai più a fidarmi di lui.
Che razza di situazione. Quasi avrei preferito che lo tenessero prigioniero ancora un po’, almeno finchè non decido cosa fare con lui…
Intanto mi accorgo che siamo atterrati sul tetto di un palazzo e che Malone ci fa segno di scendere. Obbedisco lentamente e il sollievo che provo nel mettere piede a terra è indescrivibile. Poi l’elicottero si allontana di nuovo nel cielo che ormai comincia a scurire velocemente e Malone ci fa di nuovo segno di entrare in una porta.
Quando siamo all’interno di un vano scala ci invita a scendere mentre spiega di aver prenotato un paio di camere per due giorni.
- Dobbiamo avere un piano prima di andare a vedere cosa sono questi computer e abbiamo tutti bisogno di riposo.
Anche se mi dispiace aspettare, ora che cominciavo ad abituarmi alla sensazione dell’adrenalina, devo ammettere che sono anche grata a Malone di questa idea. A ben pensarci, mi sento uno schifo, ho proprio bisogno di una doccia.
Scendiamo in silenzio fino alle camere che Malone ci indica, quindi ci dividiamo: le donne in una stanza e gli uomini nell’altra, cosa di cui non posso che essere felice. Saranno i pochi minuti che passerò sola con Linda per chissà quanto e intendo approfittarne.
- Le consiglio di stare attenta che la sua amica riposi, signorina Libuori. Manderò un medico non appena possibile, per essere certi che stia bene – ci avverte Malone, prima di scomparire.
Entriamo in una stanza piuttosto grande, luminosa e confortevole. Niente a che vedere in effetti con l’alberghetto che avevamo prenotato noi in Francia. Devo ammettere che collaborare con la CIA ha i suoi vantaggi.
- Non mi sembra vero di essere finalmente libera. Non potete immaginare quanto puzzassero quegli uomini orrendi – esclama Linda sedendosi sul bordo del letto. Io mi siedo vicino a lei e le sorrido, poi torno seria. È il momento di parlare un po’ tra amiche e anche lei lo sa, visto come si accomoda pronta all’ascolto.
Ancora una volta racconto tutta la storia, partendo dall’incontro di mio padre per arrivare alle ultime novità, compresa Nat e Yvonne. Alla fine del racconto mi sembra di aver parlato per ore, ho la bocca secca e la voce rauca.
- Credo di capire perché non me ne hai mai parlato e credo anche che tu abbia fatto bene – dice infine Linda e la guardo meravigliata. Non credevo che l’avrei mai sentita dire una cosa del genere.
- Sono un bravo avvocato, Alexis, ma non avrei mai saputo fare la donna fantasma e avrei finito col farti trovare molto prima – spiega vedendomi meravigliata.
Di slancio la abbraccio con forza. Non so se crede davvero quello che ha detto o dice così solo per non farmi sentire in colpa ma in ogni caso le voglio un bene dell’anima.
- C’è un’altra cosa che devo dirti prima che mi racconti la tua esperienza di ostaggio – la avverto prima di perdermi d’animo. Le ho già tenute nascoste troppe cose e ho disperatamente bisogno di parlare con qualcuno di questa cosa.
- Sono incinta – le dico tutto d’un fiato.
Linda per qualche momento non mi risponde e mi fissa come se si aspettasse che mi metta a ridere e la rassicuri che scherzo. Quando però vede che non c’è nessuna battuta nascosta spalanca gli occhi e comincia a parlare velocissima.
- Non dovresti darmi una notizia del genere dopo avermi salvata da un rapimento, sai?
- Non credo che avremo molto tempo per parlare tra noi. E nessun altro deve saperlo.
- Ma di chi è dei due fusti? – domanda alla fine di tutta la lista di esclamazioni.
- Di Alex credo. No, certamente è di Alex. I tempi coincidono solo con lui.
- Accidenti. E intendi dirglielo?
- Ancora non lo so. Anzi, di sicuro no. Le probabilità che la cosa duri fino alla settimana prossima sono piuttosto scarse, quindi è inutile creare un casino per niente.
Lei non risponde e ci pensa su a sua volta. Se riesce a zittire anche Linda, la situazione è davvero disperata.
- Io penso invece che dovresti dirglielo. È un suo diritto saperlo e comunque se il bambino muore non potrà farci gran che.
- Anche senza cellula – e sottolineo volutamente il termine, perché non voglio pensare alla pallina come a un bambino per ora – lui si sentirebbe in dovere di appiccicarsi alla mia vita e non mi va.
Faccio una pausa per cercare le parole adatte a spiegare quello che sto per dire.
- Mentre voi eravate scomparsi, io ho capito di amare Giulio, almeno un po’ e non posso amare due persone contemporaneamente no?
- E perché? Ti arrestano nel caso? – mi interrompe. Per tutta risposta la lancio un’occhiataccia, non è il caso di scherzare.
- Alex mi piace, e molto, ma con Giulio sono più serena. Non posso pensare di passare la vita con uno come Alex.
- Credi davvero che l’amore vero ti lasci tranquilla e rilassata? Non ti ricordi tutti i film che abbiamo visto insieme? – insiste e io alzo gli occhi al cielo.
- Questo non è un film, Linda, è la mia vita. E poi tu che parli di amore vero è semplicemente ridicolo – la stuzzico e lei scoppia a ridere.
- Il fatto che abbia deciso di non starmene ad aspettare finchè arriva non vuol dire che non ci credo. E ti assicuro che se arrivasse, e per giunta con un corpo come quello di Alex, non me lo farei scappare di certo.
Le do una leggera spinta per cancellarle quell’aria sognante dalla faccia e ridiamo insieme, poi decido di cambiare discorso e la invito ad andare sotto la doccia per prima. Ovviamente accetta subito, conoscendo la mia passione per l’acqua calda e il rischio che poi non basti per la sua.
E mentre lei cerca di togliersi di dosso il ricordo di quei giorni, io ripenso a quello che ha detto. Anche io non ho mai pensato che l’amore potesse essere tranquillo e rilassante. Mi aspettavo invece che l’amore con la “a” maiuscola arrivasse semmai come una girandola o un fuoco di artificio. Ma quello che provo per Alex non può durare per tutta la vita, non lo sopporterei. Non posso pensare di passare sessant’anni con quel senso di torsione di tutti gli organi che provo quando sono vicina a lui.
Di sicuro però, tutte le certezze che avevo quando credevo che non lo avrei più rivisto non mi sembrano più poi tanto solide. Grazie mille amica mia, il dubbio era giusto quello che mi serviva.
Mentre Linda è ancora sotto la doccia, qualcuno apre la porta, facendomi saltare di circa un metro. Per fortuna non sono armata, altrimenti lo avrei ucciso prima ancora di capire chi fosse. E forse anche dopo.
Zoppicando leggermente per una brutta ferita alla gamba che si vede sotto l’orlo dei bermuda che indossa, Alex si avvicina incerto.
- Ciao – mi saluta. Ha l’aria terribilmente stanca.
Accidenti, non ero preparata a trovarmelo davanti così! Sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontarlo però speravo di avere il tempo di prepararmi mentalmente, magari pensare a cosa dire e invece così non so che fare.
- Ciao – sussurro appena, sentendomi già male, come se mi mancasse l’aria.
- Volevo approfittare prima che comincino i preparativi per il prossimo assalto – spiega. Ha smesso di avvicinarsi e mi fissa fermo al centro della stanza, con l’aria che hanno gli attori che recitano la scena di un addio dopo un divorzio molto sofferto. Vederlo così mi stringe lo stomaco e sono costretta ad abbassare lo sguardo.
Vedendo che non dico niente, cerca le parole per continuare lui.
- Speravo che quando avessi scoperto tutto avremmo potuto fare pace – sussurra e mi strappa un sorriso. Sembriamo due bambini che hanno litigato per la merenda e ora si vergognano.
- Non mi sembra ci sia bisogno di una pace. Tu hai fatto il tuo dovere e io ho sopravvalutato me stessa. Più che altro dovrei chiedere scusa forse, ma è troppo tardi – replico, con una voce piatta che non mi appartiene. Però sono felice di questo tono distaccato, sempre meglio dell’uggiolio disperato che sento nella mia testa.
- Vorrei che non la vedessi così, vorrei che cercassi di capire…
- Capisco infatti – lo interrompo, pregando che la discussione finisca subito.
- Ti hanno affidato un incarico e tu lo hai svolto in maniera eccellente. Congratulazioni. E grazie di avermi avvisato di Yvonne.
Lui non mi risponde e continua a guardarmi con quell’aria da cane bastonato. Non la sopporto questa espressione. E non sopporto la reazione che suscita in me.
- Che altro vuoi che dica? Mi dispiace per Sarita, non ho potuto fare niente per salvarla. Ma non torneremo ad essere amici o quello che eravamo, Alex. Non so chi sei.
Anche la mia voce ha un che di melodrammatico e di nuovo immagino il pubblico a casa che ci osserva con gli occhi grondanti di lacrime, in attesa della prossima battuta. Vorrei tanto conoscerla anch’io in anticipo.
- Non è vero, sai benissimo chi sono. Sono l’agente della CIA Alex Beckett, incaricato di scoprire perché un altro agente è morto e innamorato…
Ora vorrei tanto avere una pistola per centrargli la fronte proprio in mezzo ai suoi occhi chiari. Ma come fa a parlare così dopo che ho scoperto come mi abbia mentito per tutto il tempo?
- Non c’è nient’altro da dire Alex. Non credo a una sola parola di quello che dici ormai, quindi risparmia il fiato.
- Ma cos’altro avrei potuto fare? Se ti avessi detto la verità mi avresti ucciso immediatamente!
- Infatti, l’avrei fatto. Quindi non è colpa tua. Non so nemmeno se ci siano delle colpe. Alla fine ognuno ha avuto quello che voleva no? Tu hai scoperto chi ha ucciso il tuo amico e io so chi comanda l’Organizzazione. Con un po’ di fortuna riusciremo a fermarli prima che facciano altri danni. Tutto in ordine, no?
- No. Non mi basta sapere chi ha ucciso Dirk. Voglio ricominciare da capo con te, Alexis, senza più nessun segreto tra noi.
- Non esiste nessun noi, Alex. Anzi se vuoi saperlo, mentre pensavo che fossi a darmi la caccia, ho capito di amare Giulio. Contento? Mi avevi chiesto di scegliere e ora ho scelto.
Non riesco a trattenere un tremito nella voce e distolgo lo sguardo così che non veda la lacrima che mi scivola vicino al naso. Da quando sono così propensa al pianto? Ah già, da quando sono incinta. Grazie tante pallina.
Ma il pensiero del bambino mi strappa un altro gemito e do definitivamente le spalle ad Alex.
- Per favore Alexis… stammi a sentire… non ero l’agente Beckett quando sono venuto a letto con te quella sera o quando ti ho portato la colazione la mattina dopo. Non era l’agente Beckett ad essere geloso di te e Giulio, non era l’agente Beckett che…
- Basta! – lo interrompo, esasperata ma anche arrabbiata, continuando a dargli le spalle.
- Tu eri, sei, l’agente Beckett e io non l’ho mai saputo, fine della storia. So che l’hai fatto perché credevi di fare la cosa giusta eccetera. Puoi tornare in America con la coscienza a posto, agente. E ora vattene.
- Alexis ti prego…
- Va via! – sbraito di nuovo, voltandomi verso di lui questa volta e qualcosa nel mio viso rigato di lacrime lo convince a girare sui tacchi e andarsene, grazie al cielo.
Non appena la porta si chiude mi siedo sul bordo del letto e piango, con le mani sul viso come una bambina, sentendomi molto stupida ma incapace di smettere. Piango talmente tanto che non sento Linda che esce dal bagno e si siede vicino a me fino a quando l’asciugamani che indossa non mi sfrega la pelle del braccio e le sue braccia non mi stringono le spalle.
- Vedrai che tra un po’ starai meglio e potrai pensare più lucidamente – mi sussurra.
- Non c’è niente a cui pensare Linda. Il fatto che aspetto suo figlio non vuol dire che ora mi fidi di lui. Tra noi non potrà esserci più niente, se mai qualcosa c’è stato – replico, con la voce ancora rotta.
- Va’ a fare la doccia ora. Ti sentirai meglio. E poi ti racconto la mia prigionia – mi esorta, cambiando discorso e io annuisco e vado verso il bagno. Ha ragione, una doccia calda è quello che mi ci vuole.

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Capitolo 22
*** Il vero nemico ***


Istintivamente il mio sguardo si alza dal quaderno alla mensola sopra la cucina, dove c’è la nostra foto di famiglia. Mi sembra impossibile che la donna sorridente nella fotografia sia la stessa che quella sera pianse tutte le sue lacrime. Ricordo come mi sentii stanca dopo tutto quel piangere ma anche pulita, come se le lacrime avessero lavato via una parte delle cose brutte che erano successe in quei giorni.
Ricordo anche che quella stessa sera, prima di addormentarmi, presi diverse decisioni, tutte importanti e difficili, alcune delle quali spiegarono le loro conseguenze solo molto, molto tempo dopo.
Anzi, a ben pensarci, tutta la mia vita attuale è una conseguenza di quelle decisioni e mi viene da sorridere: quante volte prendiamo le decisioni più importanti nel momento peggiore, quando siamo meno lucidi e ragionevoli come feci io quella sera?
Forse quasi tutte le grandi decisioni le prendiamo così, in preda ai momenti meno adatti a scegliere qualcosa di davvero importante e questo spiega perché gli uomini sbagliano con tanta facilità. È chiaro che una decisione presa dopo una lunga crisi di pianto difficilmente sarà quella giusta.
Eppure non sempre è così, a volte quel momento peggiore è invece il migliore per prendere certe decisioni, proprio il dolore ci da quella chiarezza che cercavamo mentre tentennavamo tra un’alternativa e l’altra.
E credo che per me quella sera fu un momento di quelli giusti, non di quelli sbagliati, tant’è che sono ancora felice della vita che vivo ora, delle conseguenze che ho subito. Mi chiedo però se anche gli altri la pensino così, sebbene ormai siano rimasti in pochi a poter rimproverare o approvare quelle scelte e la cosa mi rattrista molto.
Può una decisione che ha portato tanta morte essere quella giusta?
Forse sì. Lo spero, altrimenti tutta quella sofferenza sarà stata inutile e io ne pagherò il prezzo per l’eternità alla fine dei miei giorni. Per fortuna credo che mi manchi ancora molto fino ad allora e spero intanto di riuscire a fare abbastanza buone azioni da cancellare almeno in parte la mia colpa involontaria.
Scuoto la testa e sfogli rapidamente le pagine ancora bianche del quaderno. Quando avevo iniziato a scrivere, credevo che mi sarebbero avanzate molte pagine e invece andrò a finire che dovrò comprare un altro quaderno o aggiungere delle pagine, il che non so perché ma mi sembra che faccia perdere fascino al mio regalo.
Fortuna che sono ormai quasi alla fine. Ancora pochi eventi. Pochi fondamentali eventi.
 
 
 
 
Due giorni dopo siamo riuniti tutti in una sala minuscola fornitaci dal direttore dell’hotel, che aveva l’aria di essere estremamente felice di collaborare a un’operazione della CIA.
Dopo qualche telefonata la sera stessa del salvataggio, infatti, siamo riusciti a dimostrare l’innocenza di Malone ed è stato emesso un mandato di cattura per Yvonne Strahovsky, che è tutt’ora scomparsa nel nulla. Da allora ci siamo dati da fare con gli stessi otto uomini che hanno partecipato al recupero di Linda e Alex per tentare di assaltare la base con i computer, più altri sei “tecnici” come li ha definiti Malone, cioè gli esperti di attrezzature.
Lavorare con la CIA ci ha ovviamente messo a disposizione informazioni e mezzi inimmaginabili con i piccoli computer che aveva programmato Juno, il quale intanto sembra di nuovo felice come non lo vedevo da tempo. Non avrei mai detto che gli mancava così tanto fare il militare.
In poche ore abbiamo avuto una mappa piuttosto precisa dell’area, insieme a molti avvertimenti su come Malone si sarebbe trovato di culo all’aria se qualcuno lo avesse scoperto a ficcanasare nel territorio della Chiesa.
Il nostro bravo detective, infatti, ha deciso di accontentarmi e non ha rivelato nulla del mio segreto alle sue autorità. Si è limitato a spiegare che di certo Yvonne non lavorava sola e che crede di aver trovato una specie di scuola per spie russe o roba simile. Le parole “spie” e “russi” hanno comunque fatto il loro effetto e siamo stati autorizzati ufficiosamente alla missione, a nostro rischio e pericolo. La cosa comunque non sembra turbare Malone, il quale sembra dispiaciuto solo per non aver potuto invitare la stampa ad assistere a quello che secondo lui sarà il trionfo della sua carriera.
Probabilmente ha anche ragione e la cosa mi indispettisce parecchio. Dopo tutti questi anni di sacrifici e pericoli, dovremmo essere io e Juno a goderci gli allori, non Malone. Ma ovviamente lui è autorizzato dalla CIA e noi siamo al limite dell’arresto, visto che Juno è ufficialmente morto e io mi sono appropriata di molte identità false in questi anni, per non parlare del mio piccolo gruzzolo esente dalle tasse.
- Le immagini del satellite non mostrano guardie esterne, quindi la sorveglianza sarà soprattutto strumentale – sta dicendo intanto Malone, mentre indica alcune stampe in bianco e nero. Io non so nemmeno come facciano a decifrare una qualsiasi immagine da quell’insieme di macchie bianche e scure.
- Possiamo disattivare tutte le telecamere e molti sensori ma potrebbero avere tecnologie diverse dalle nostre, quindi tutti con gli occhi aperti.
Lo sguardo di Malone mette più paura del solito mentre prepara gli attacchi. Credo che la stessa espressione ce l’avesse anche Hitler mentre parlava degli ebrei.
Comunque ascolto più per procura che per interesse perché mi è stato vietato di partecipare all’operazione. All’inizio mi sono infuriata e ho discusso con Malone per ore ma alla fine mi sono convinta. Giulio sta per arrivare qui a Roma e c’è bisogno di qualcuno che protegga i miei amici mentre tutti i soldati sono impegnati, l’Organizzazione potrebbe non aver digerito il nostro piccolo salvataggio. E Yvonne è ancora a piede libero.
E poi, non meno importante, devo avere un alibi mentre loro vanno in missione, perché secondo Malone, se l’Organizzazione si trovasse alle strette, potrebbe accusarmi di aver violato lo Stato Vaticano e per me sarebbero grossi guai, mentre la CIA ne uscirà comunque, in un modo o nell’altro.
Alla fine è stata però soprattutto Linda a convincermi. Anche se finora non ha mostrato un minimo segno di cedimento da quando l’abbiamo portata in salvo, la sua faccia era terrorizzata quando Malone ha detto che l’Organizzazione ci avrebbe potuto riprovare e si è aggrappata a me con tanta forza da buttarmi quasi per terra.
E infine la pallina grigia ci ha messo del suo. Mi sento eternamente debole e vomito più spesso che negli ultimi giorni. Non certo le condizioni migliori per un’operazione militare in grande stile.
- Si parte questa sera alle 23.45 in punto. Chi ritarda resta a badare alle fanciulle – li avverte Malone.
Lo fulmino con un’occhiataccia ma lui non se ne accorge nemmeno.
Io una fanciulla? Ha forse dimenticato che è grazie a me se non è finito in galera? Comunque nessuno fa più caso a me e Linda, come se non esistessimo in quanto prive di apparati genitali maschili. Ecco un’altra ottima ragione per cui ho sempre escluso qualsiasi uomo dalla mia vita. Chissà perché sono convinti che intelligenza e coraggio si nascondano solo nello scroto.
Comunque ne approfitto per guardare di nascosto Alex. Sebbene non abbia ricevuto molta più attenzione di noi dai suoi colleghi, non manca di ascoltare tutto attento ogni ordine, come se si aspettasse di essere coinvolto da un momento all’altro, per quanto improbabile sia.
In realtà anche ora si capisce perché sia stato escluso dalle operazioni. È seduto su una sedia ma si potrebbe anche dire accasciato sulla sedia. Da quando siamo arrivati è evidentemente debilitato e crediamo che dipenda dalle dosi esorbitanti di droghe che gli hanno trovato nel sangue.
Linda infatti mi aveva avvertita che l’avevano riempito di iniezioni per fargli dire chissà quali segreti e che Alex era stato semi-incosciente per la maggior parte del tempo. Ecco perché non aveva potuto chiedere a lui spiegazioni o perché non avevano fatto nemmeno un tentativo per fuggire.
E sembra abbattuto e apatico come non l’avevo mai nemmeno immaginato. Spero che l’effetto delle droghe finisca presto perché vederlo così mi fa male al cuore, anche se almeno gli impedisce di insistere nella nostra discussione. Dopo quella sera non ha nemmeno tentato di avvicinarmi, cosa che mi rende felice ma anche un po’ indispettita. Ci tiene ancora così tanto a me che si sta sbracciando per chiarire, poveretto. E poi si meraviglia se non gli credo quando dice che… be’ che vuole fare pace, insomma.
Osservo il suo profilo, la sua espressione assolutamente concentrata sulle immagini sul tavolo e all’improvviso mi chiedo cosa possa avere mio figlio di lui. Avrà il suo naso? La sua bocca? I suoi occhi? La sua espressione fiera? La ruga verticale tra le sopracciglia quando è corrucciato o arrabbiato?
Mi tiro un pizzico, tanto forte da lasciare una grossa chiazza rossa sul braccio. Non è mio figlio e non arriverà ad avere proprio nessuna fattezza, punto. Devo piantarla con questi film mentali o impazzirò del tutto.
Tutta colpa di Linda, devo smetterla di ascoltare le sue farneticazioni. Non fa che ripetere come sarebbe romantico far pace con Alex dopo avergli detto del bambino e immaginarsi quasi - zia. Il fatto che io continui a dire che si tratta di una cellula che resterà tale fino all’ultimo dei suoi pochi giorni non la scoraggia minimamente.
Intanto però comincio a preoccuparmi. Ormai la pallina ha quasi un mese e non sembra intenzionata a mollare per ora. E non sono affatto pronta a pensare a lei come a una vita, è molto più semplice se resta cellula. Dannazione.
La riunione finisce e tutti si dileguano per pensare ai preparativi, compreso Juno che ormai scambia con me appena qualche parola a colazione, troppo preso dai suoi nuovi compagni. Lo capisco, finalmente è libero di interagire con qualcuno che non sia io dopo anni di reclusione, ma la cosa mi infastidisce parecchio anche se cerco di non darlo a vedere.
- Dimmi che non sono l’unico a mangiarmi il fegato per essere stato lasciato qui – sussurra Alex accanto a me, così all’improvviso da farmi sobbalzare. Non mi ero accorta che si fosse avvicinato.
- Ho discusso per ore ma non c’è stato niente da fare – confermo senza guardarlo. È la prima volta che mi rivolge la parola dopo la discussione dell’altra sera e non sono sicura di come andrà a finire.
- Mi fanno sentire un invalido. E credo che lo facciano apposta. Non mi hanno perdonato di aver ucciso Flinn – sentenzia con voce grave, forse per il senso di colpa. Flinn è l’agente a cui ha sparato per tirarmi fuori dalla stanza dove mi aveva chiuso Malone, quella mattina di tre secoli fa.
- Capiranno col tempo. Era una situazione difficile.
Tenere la voce calma mi costa un notevole sforzo, visto il tumulto che sento dentro. Di nuovo mi chiedo se la mia certezza di amare Giulio non fosse più che altro una pia speranza e istintivamente mi porto una mano al ventre. Poi però la tolgo immediatamente, sperando che nessuno se ne sia accorto. Se non la smetto capiranno tutti la verità. Comunque nessuno sembra guardare me, nemmeno Alex che mentre parla fissa ancora il tavolo con le immagini.
- Lo spero, ma non ne sarei troppo convinto. Di sicuro mi spediranno chissà dove ora.
Se prima la sua voce era grave, ora è addirittura tetra e lo guardo per un attimo, frenando la tentazione di prendergli la mano. Ha bisogno di consolazione ma di certo non da me.
- Almeno tu e Giulio sarete felici però. Le nostre strade non si incroceranno più, in ogni caso.
Gli lancio un’occhiataccia. Lo sapevo che avrebbe ricominciato. Lui però non mi guarda nemmeno, lo sguardo ancora sul quel dannato tavolo, e la sua voce non è sarcastica o arrabbiata. Sembra invece sconfitta e io non riesco a trovare nulla da dire, incapace anzi di parlare. Di nuovo quella sensazione tremenda di mancanza d’aria mi comprime il petto.
- Mi dispiace davvero per come è andata, Alexis. Anche se non ci credi, io… tengo davvero molto a te. Ma ho capito che tra noi non potrà funzionare, non era destino. Forse Giulio sarà più bravo di me a tenerti stretta.
E dopo questa ennesima battuta da melodramma di serie c se ne va, lasciandomi sola come un’idiota, col mio groppo in gola e il petto stretto. Vorrei andargli dietro, fermarlo, dirgli qualcosa ma non sarebbe giusto.
Per quanto mi faccia male vederlo così, per la prima volta in vita sua ha detto una cosa giustissima, tra noi non può funzionare.
- Alexis! Grazie a Dio stai bene!
La voce di Giulio mi fa sprofondare letteralmente lo stomaco all’altezza delle ginocchia e ringrazio il cielo per essere di spalle. Non è giusto che mi veda così per Alex.
Quando mi sembra di aver ripreso un minimo di contegno, mi volto verso di lui col sorriso migliore che mi riesce di fingere, giusto in tempo per vedere le sue braccia attorcigliarsi al mio collo e la sua bocca correre verso la mia. Schivo il suo bacio giusto all’ultimo, girando la guancia e sentendomi peggio di prima. Ma non posso baciare lui dopo aver pianto per Alex, mentre porto suo figlio ancora in grembo.
Per fortuna di entrambi, Giulio non si accorge del mio stato d’animo, oppure lo attribuisce a tutta quella situazione, e invece di rimproverarmi si lancia in una dettagliata descrizione delle sue imprese in città.
La pubblicità che hanno fatto con Juno ha avuto un successo strepitoso e la casa editrice ha acconsentito a stringere i tempi di pubblicazione del nuovo libro così che esca in tutte le librerie nazionali entro la fine del mese, a patto che gli dia subito i documenti da inserire nel libro.
Gli sorrido, contenta che almeno quella parte del piano stia riuscendo. Visto che il libro di mio padre rischia di non vedere mai la fine, ora che mi manca il quadro che ha preso l’Organizzazione, voglio dimostrare a quei mentecatti che non mi hanno ancora fermata.
Poi improvvisamente il mio cervello si illumina. L’Organizzazione non ha il quadro! Era Malone ad averlo preso e ora Malone è dei nostri! Finora non ci avevo pensato perché ero troppo preoccupata per Linda ma ora possiamo riprendere da dove avevo lasciato!
Avverto Giulio della mia intuizione e senza aspettarlo corro a cercare Malone e spiego anche a lui la questione. Anche se non sembra molto convinto dell’utilità di continuare la pubblicazione, mi da lo stesso un nome e un codice per poterlo recuperare.
Sono già attaccata al telefono quando Giulio mi raggiunge.
- Che senso ha continuare a pubblicare i capitoli ora che tutto ciò che aveva Nat lo hai tu? – mi domanda perplesso.
- L’Organizzazione non lo sa però, quindi devo continuare a fingere di non avere altre prove che il libro, capisci?
- E’ una perdita di tempo, Alexis. Concentriamoci sul mio libro e sulle prove che abbiamo – insiste.
Sto per ribattere ma sento che qualcuno risponde dall’altra parte e do il nome e il codice che mi ha dato Malone, quindi spiego di cosa ho bisogno. Qualche momento dopo la voce mi conferma che verrà recapitato all’hotel tra qualche ora e riattacco soddisfatta.
Mi volto di nuovo verso Giulio per spiegarmi ma alla fine richiudo la bocca. Il vero problema è che ha paura che mi tiri indietro sul suo libro, probabilmente. E comunque non voglio dirgli quello che ho scoperto sul caro zio vescovo. Sono molto legati e anche se sono piuttosto certa che Giulio non sappia la verità oscuro sullo zio, è probabile che non potrebbe evitare di avvertirlo se dovesse capire che è in pericolo. E io non posso permetterlo.
- Il tuo libro è al sicuro, Giulio, ma devo finire quello di mio padre, anche per non destare sospetti. Cosa dirà la gente quando vedrà che la storia finisce prima della conclusione?
Lui cerca evidentemente qualcosa da ribattere ma alla fine anche lui sta zitto. Per fortuna, perché non ho voglia di discutere stamattina, non su questo punto.
- Ora andiamo a cercare Juno e vediamo cosa inserire nel tuo libro – gli dico prendendogli la mano e non so se per le parole o per la mano, ma sembra decisamente più sollevato.
- Non avvertiamo Malone e i suoi?
Ci penso un po’ su, poi scuoto la testa.
- Non li riguarda, loro si occupano solo della parte militare, la missione è ancora mia. E comunque sentiranno parlare del libro, se tutto va come dovrebbe.
Dopo qualche ora abbiamo stilato una bozza del capitolo che parlerà dell’Organizzazione, deciso quali documenti inserire e quali fonti citare. Voglio che questa volta capiscano tutti che è una storia vera, non come il romanzo di mio padre, che comunque viene citato nell’opera come fonte-rivelazione. Così tutti sapranno la maggior verità possibile.
- Quando rientriamo a casa? – domanda Giulio non appena Juno, e Linda che ha insistito per partecipare come aiuto legale, escono dalla stanza.
- Domani. Voglio essere qui quando gli agenti porteranno i computer, poi torniamo a casa. Mia madre starà impazzendo.
- Sì, ha chiamato diverse volte infatti. E devo cominciare a lavorare subito al libro se vogliamo pubblicarlo subito.
Annuisco distrattamente, mentre la stanchezza comincia a farsi sentire. Non è ancora grosso quanto un uovo, eppure già odio questo bambino, mi fa sentire quasi invalida.
- Qualcosa non va? – domanda Giulio preoccupato.
Scuoto la testa e gli sorrido, cercando di sembrare rassicurante. Non ha senso dirgli del bambino in realtà, non ancora. Per fortuna ha dimenticato che gli avevo detto che avremmo dovuto parlare.
- Solo un po’ di stanchezza. Sono stati giorni molto pesanti – gli spiego vaga.
- Sicura? Non è che ha a che vedere con la cosa di cui volevi parlare quando fossi tornata?
Dannazione! L’avessi finito di pensare! Avrei dovuto immaginarlo comunque che non avrebbe dimenticato così in fretta. Cosa posso dire ora?
- In realtà volevo parlare… di noi – improvviso.
- Ora che Alex è di nuovo nei paraggi volevo chiarire qualche punto, tanto per stare tranquilla.
La sua faccia assume le sembianze di un tifone e mi mordo il labbro. Sto facendo un casino.
- Voglio solo assicurarmi che non ci saranno scenate imbarazzanti. Ho già spiegato la situazione ad Alex e lui ha capito, quindi niente show da super macho, ok?
Mi fissa guardingo, per niente convinto. In effetti anch’io non avrei detto che Alex avrebbe accettato la nuova situazione così facilmente, ma tanto vale godersela, no?
- Anche perché presto tornerà in America, ormai il suo compito qui è finito. Discussione chiusa – spiego, sperando di rassicurarlo e lui sembra sollevato all’idea di sapere il rivale lontano.
Io non so come mi sento al riguardo. Non sento quella disperazione soffocante che dovrei sentire se fossi innamorata di Alex, ma nemmeno quel senso di liberazione che mi aspettavo in quanto innamorata di Giulio.
Comincio a prendere in considerazione l’ipotesi di rinchiudermi in un convento col nascituro e vivere in penitenza per il resto dei miei giorni, così almeno evito questa situazione assurda. Sono passata dal non avere nemmeno una speranza di fidanzato ad averne due, poi a non averne nessuno e poi ancora ad averne due, mentre sono incinta di uno di loro. Alzi la mano chi ha capito qualcosa.
- Andiamo a mangiare qualcosa, ti va? – gli domando, tanto per distrarci. E anche perché sto morendo di fame.
Lui annuisce e io vado a chiamare Linda, che fortunatamente si unisce a noi. Non voglio evitare Giulio ma non sono in vena di un tête-à-tête sdolcinato con lui e sono certa che ne avrebbe approfittato.
Così invece il pranzo diventa una chiacchierata infinita tra lui e Linda sul nuovo libro e sulla mia vita da agente segreto. Linda non si è ancora abituata a vedermi come Occhi di Gatto.
Quando abbiamo terminato di mangiare decido di tornare in camera a riposare un po’, scusandomi con Giulio. Per fortuna Linda viene in mio soccorso inventandosi qualche assurdo bisogno di stare tra donne, intuendo che non voglio rischiare di vomitare davanti a Giulio.
Alla fine non rimetto niente del pranzo che evidentemente la pallina grigia ha gustato, ma apprezzo lo stesso la pace della camera, nonostante il costante chiacchiericcio di Linda.
- Ora credo che vincerò la causa di sicuro, lo studio sarà contento di me – esclama alla fine, buttandosi come una bambina sul letto di fianco a me.
- E chissà quanti talk show mi inviteranno quando sapranno che ero stata rapita da un’organizzazione che voleva distruggere il mondo!
- Non credo che questa informazione arriverà nei talk show, Linda. Potrebbe mettere giusto un filo di paura ai telespettatori, non ti pare?
Lui ci pensa su e poi annuisce imbronciata. Già aveva scelto il vestito per la sua prima tv, probabilmente.
- Hai deciso cosa fare col bambino? – mi domanda poi.
Per tutta risposta afferro il cuscino e me lo premo sulla faccia.
- Andiamo Alexis, prima o poi dovrai decidere. Ti rimane poco tempo per decidere di abortire.
Pronuncia l’ultima parola come un sinonimo di strage-orribilmente-crudele. E non ha tutti i torti, anche io l’ho sempre pensata così a riguardo. Ma far nascere un bambino da me, non sarebbe altrettanto crudele?
Come potrei essere io una buona madre, mentre scappo da tutti e tutto, insieme a un falso deceduto?
- Aspettiamo a quando questa storia sarà finita, ormai manca poco. Allora, se la cellula sarà diventata un uovo abbastanza solido, ci penseremo insieme, ok?
Lei annuisce sorridendo, felice di essere stata inclusa. Lo immaginavo. Quello che invece non so è se sarò più felice se la cellula sopravvive oppure se muore. Se morisse sarebbe più semplice però…
- Come ti senti sapendo che sta per finire tutto? – mi domanda poi Linda, cambiando discorso.
Rifletto un po’ sulla domanda che nessuno aveva ancora posto, nemmeno io. Come mi sento?
- Ancora non ho realizzato, diciamo. Vivo così da talmente tanto che non penso che possa davvero finire. Vedremo quando sarà davvero finita.
Ed è la pura verità. Sono felice che presto avrò raggiunto il mio obiettivo, ma non mi sento come avevo creduto che mi sarei sentita. Invece dell’euforia liberatoria che mi aspettavo, mi sento distaccata, apatica, come se si trattasse di un’eroina dei libri o dei film invece che di me.
Ad un certo punto sento le palpebre diventare pesanti e capisco che stare stesa sul letto non è stata l’idea migliore per battere la stanchezza. Comunque manca ancora molto prima dell’inizio della missione e prevedo una notte insonne e un domani piuttosto stancante, quindi decido di riposare per un po’, che dura fino alle 23.15 della notte, quando Giulio viene a svegliarmi per avvertirmi che ci siamo quasi.
Appena il tempo di sciacquarmi la faccia e volo di sotto, scegliendo le scale per far prima. Mentre passo davanti alla reception per raggiungere gli altri, la donna dietro il bancone richiama la mia attenzione e mi fermi imprecando.
- C’è una comunicazione per lei. Il pacco che aspettava è già stato ritirato – mi avverte.
La fisso confusa. Quale pacco? Poi ricordo. Il quadro, avevo chiesto di spedirmi il quadro. Dannazione.
- Ritirato da chi? – domando, con un’occhiata all’orologio. Sono ancora in tempo per l’inizio dell’operazione ma per poco.
- Non me lo ha detto ma ha lasciato un numero dove può richiamare – mi spiega, porgendomi un bigliettino.
La ringrazio, imprecando di nuovo. Gli imprevisti mi fanno diventare scurrile. Comunque decido che penserò a questo nuovo impiccio quando l’operazione in corso sarà terminata, quindi infilo il biglietto nella tasca e volo di corsa nella saletta, dove Alex e Linda aspettano già davanti a diversi schermi che mandano le immagini di ognuna delle telecamere nascoste nelle visiere degli agenti ormai pronti a partire.
La stanza è piccola e già caldissima quando entro, ingombra di cavi e attrezzature di cui non riesco ad immaginare la funzione, così mi apposto in un angolo un po’ distante da dove però riesco a vedere bene lo schermo principale, che credo essere la telecamera di Malone.
Vicino a me c’è Giulio, che mi abbraccia con un braccio solo e mi stringe la testa sul suo petto. La cosa mi infastidisce un po’ ma non mi lamento, mi sento già abbastanza in colpa con lui. In fondo non sa ancora che sono incinta di un altro. Lancio comunque un’occhiata ad Alex ma lui è troppo concentrato sugli schermi per badare a noi.
Per un po’ la stanza si riempie di frasi senza senso nel tentativo di verificare che tutti i microfoni funzionino alla perfezione, quindi si passa alla prova delle telecamere, al riepilogo del piano, al conteggio delle armi. Alle 23.45 in punto sono tutti su una specie di grosso camper che si mette velocemente in moto.
Per tutto il tragitto gli agenti scherzano in tono teso mentre nella saletta dell’hotel il silenzio è quasi opprimente, rotto solo raramente da qualche respiro, come se stessimo tutti trattenendo il fiato. Io lo sto facendo di sicuro. Mi sembra di essere ancora più agitata di quando sono andata di persona a liberare Alex e Linda.
Per fortuna il tragitto è breve e il camper si ferma in uno spiazzo erboso appena una decina di minuti dopo. Da questo momento anche tra gli agenti nel camper cala un silenzio assoluto mentre tutti imbracciano la propria arma e scendono silenziosi come ninja.
Lo sguardo di tutti si concentra sulla telecamera al centro, quella di Malone, perché è l’unica che non abbia la visuale bloccata da chi lo precede nella fila. Per un momento mi chiedo quale sia la posizione di Juno ma non è importante.
Lo schermo ci mostra una zona di periferia, due strade deserte che si incrociano poco a destra della fila di agenti, un paio si palazzine dall’aria abbandonata, una grossa rete metallica con sopra del filo spinato. Un cartello avverte ogni tre o quattro metri che è vietato l’accesso a non addetti.
Il gruppo si porta nell’ombra della palazzina più vicina e la voce di Malone interrompe il silenzio per dare i primi ordini. Alcuni schermi mostrano gli agenti che si avvicinano alla rete e piazzano per terra un quadrato di ferro pieno di lucine rosse che pian piano diventano verdi. Juno mi ha spiegato che è un disattivatore di sensori e che ogni lucina cambia colore quando la rete elettrica individuata viene sospesa.
Si sente un sospiro generale nella stanzetta dell’hotel quando l’ultima spia diventa verde. Nessun ostacolo per ora.
Senza che Malone dica altro, un altro paio di telecamere si muovono verso la rete e aprono un varco con dei grossi pinzoni, quindi a cominciare da Malone, tutti gli agenti passano la rete in fila indiana fino a che sono tutti all’interno.
Dopodiché tutto diventa molto più veloce. Diverse volte una telecamera cambia inquadratura per fermarsi su un sentinella e si vede la breve scintilla del proiettile, un secondo prima che la sentinella cada per terra, poi tutte le telecamere riprendono a mostrare che la fila avanza.
Ad un certo punto la fila di ferma davanti a un grosso quadrato di cemento, come una stanza piuttosto piccola nel bel mezzo dell’erba rasa. Qualcuno si fa avanti fino alla porta e piazza un piccolo mattoncino vicino alla porta, simile alle bombe che si vedono nei film ma molto più silenzioso perché funziona a radiazioni che sciolgono letteralmente il metallo della porta. Fisso tutto con l’aria incantata, non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse esistere davvero.
Oltre la porta bucata dal mattoncino si intravede solo il buio, finchè una torcia di qualche agente non illumina una scala che scende, poi la fila comincia a scendere, mentre le telecamere scattano a destra e a sinistra, insieme con la testa degli agenti che controllano i dintorni.
Alla fine della scala c’è un corridoio e molte porte e da ora gli schermi sembrano impallarsi, perché mostrano la stessa scena diverse volte. La fila si ferma davanti a una porta, un agente la spalanca, si spara a raffica sui presenti, si prendono le armi e si va avanti con la prossima porta, e ancora, e ancora, fino a una porta che sembra lo sportello di una cassaforte. Solo a vederla, mette paura, sembra così doppia e invalicabile…
Trascorrono diversi minuti prima che gli agenti riescano ad aprirla, ma finalmente oltrepassano anche quell’ostacolo. Ancora un corridoio, questa volta senza porte, tranne quella all’estremità del corridoio che fa ancora più paura della prima, anche se è più piccola, perché proprio accanto c’è un piccolo display. Evidentemente serve un codice o peggio le impronte digitali o peggio ancora un orbita oculare per andare avanti… per fortuna basta un cartellino che gli agenti hanno preso a uno dei morti delle stanze precedenti e un codice che un piccolo aggeggio dei nostri ha svelato.
Mi prende uno strano senso di inquietudine, è tutto troppo facile. Ma cerco di zittire la mia mente, non voglio essere io a tirarmela.
Finalmente, una volta aperta la porta si trovano davanti un’enorme stanzone, pieno di gente e di computer. Gli agenti cominciano a sparare rapidamente, mentre la gente nella stanza crolla una alla volta sulle scrivanie, sulle sedie, per terra, intralciando la fuga degli altri che così non hanno scampo.
Alla fine nella stanza non resta vivo nessuno e mentre gli agenti si avvicinano ai computer per scaricarne il contenuto, chiudo gli occhi e prego per tutte quelle anime. Dal primo colpo devono essere cadute almeno una cinquantina di persone. Tuttavia non arriva nessun angosciante senso di colpa, nessun soffocante rimorso. Mi dispiace per le loro famiglie, forse ignare del loro vero lavoro, ma facevano parte di un gruppo di pazzi che voleva distruggere mezzo mondo e questa è una grossa vittoria a nostro favore. Non c’è posto per la compassione, stasera.
Il tempo che serve per passare tutto il materiale dai computer alle chiavette sembra un’eternità sebbene corrisponda a non più di cinque minuti di orologio, poi finalmente anche l’ultima chiavetta viene staccata dal computer e la fila comincia a tornare da dove era entrata.
Proprio mentre la prima telecamera è a un passo dalla porta nella sala comincia a risuonare un lungo fischio acuto, che stordisce i soldati e anche noi, poi il fischio smette di essere un lungo lamento e si trasforma in una specie di tratteggio acustico, con i tratti sempre più brevi.
- Bomba, bomba, bomba, bomba! – cominciano a urlare i soldati che corrono per il corridoio, senza perdere l’ordine composto.
Quando il rumore dell’esplosione assorda anche noi al sicuro nell’hotel il gruppo aveva appena raggiunto l’imboccatura della scala. Due telecamere inquadrano il muro da un’angolazione storta e capiamo che i due agenti sono morti, gli altri si rialzano in piedi a fatica e riprendono a correre per la scala, trascinando i feriti.
Cerco ansiosamente di capire chi di loro è Juno, pregando con tutto il fervore di cui sono capace che non sia uno dei due morti, anche se molti altri del gruppo non sembrano messi tanto meglio. Solo tre di loro stanno abbastanza bene da trascinare gli altri, che si limitano a sparare a vista.
Con un urlo generale comunque, il gruppo riesce a raggiungere il camper che parte immediatamente, spedito come un jet al nitro. Non appena sulla strada il camper diventa un frenetico pronto soccorso.
I feriti più gravi vengono distesi su minuscole barelle improvvisate, gli altri per terra, mentre i tre agenti ancora in forze cercano di fermare le emorragie peggiori con bendaggi di fortuna, praticano iniezioni e infilano maschere d’ossigeno a due dei feriti. Fortunatamente, per mettere la maschera d’ossigeno tolgono i cappucci protettivi ai feriti, rivelando che tra loro ci sono sia Juno che Malone.
Per quanto malridotti lancio un urlo di felicità mentre Linda mi abbraccia contemporaneamente a Giulio in una specie di mucchio. Alex invece aiuta i tecnici vicino a noi a preparare il necessario per accogliere i feriti e portarli in ospedale.
Presto anche noi tre ci diamo da fare ad eseguire le istruzioni del tecnico robusto, spostando cavi e apparecchiature per fare posto agli strumenti medici.
Prima che il camper parcheggi nei sotterranei dell’hotel la nostra saletta è diventata un ambulatorio quasi perfetto e noi “civili”, compreso Alex, veniamo pregati di fare spazio.
Incapaci di salire in camera, ci fermiamo tutti e quattro in corridoio, mentre Linda non fa che saltellare felice da tutte le parti, ricordando i momenti più esaltanti dell’operazione e Giulio fa numerose ipotesi su quello che troveremo.
Io e Alex ce ne restiamo in silenzio, lontani ma con la stessa espressione in faccia. Un sorriso felice ma che sembra voler dire “non è ancora finita”. E in effetti quasi tutti i soldati sembrano conciati male, in particolare Juno.
Aspettiamo con ansia che uno dei tecnici venga ad avvertirci e quasi lo mangiamo quando esce dalla saletta con l’espressione stanca e tirata.
- Sopravvivranno tutti, tranne l’agente Hallow, che è morto poco fa. Li stanno portando in ospedale, comunque, devono essere tutti operati e ricuciti. Ci vorrà qualche giorno – ci avverte.
- Hallow? Credevo fosse uno di quelli che trascinava gli altri! – esclama Alex. Fissiamo tutti il tecnico.
- Infatti, ma lo sforzo gli ha fatto perdere troppo sangue e il suo cuore non ha retto.
Il tecnico se ne va prima che possiamo fare altre domande, con un’aria terribile. Evidentemente conosceva Hallow. Anche a me dispiace per l’eroico agente ma non posso che essere felice per Juno. E anche per Malone, che sebbene sia ancora odioso fa ormai parte degli amici, quanto meno.
Le ore successive passano rapidamente, divise tra le notizie dall’ospedale ogni mezz’ora circa e i tentativi di decifrare il contenuto delle chiavette. Anche se è stato relativamente facile prendere il materiale, non è detto che lo si possa utilizzare altrettanto facilmente.
All’alba siamo tutti esausti e ci ritiriamo nelle nostre stanze per un po’ di riposo. Io tuttavia non riesco a dormire, sono troppo agitata. Non faccio che pensare a Juno e agli agenti morti e a quello che quelle chiavette possono contenere…
Alla fine non ne posso più di rigirarmi nel letto e decido di alzarmi. Mi infilo un paio di pantaloni e una maglia a caso e mi dirigo verso le scale che portano al terrazzo. È vietato salire lassù ma ho disperatamente bisogno di aria fresca.
Dopo aver bloccato la porta perché non si richiuda alle mie spalle, mi dirigo verso il cornicione per godere il panorama, ma la pallina grigia non gradisce la vista e torno indietro fino ad appoggiarmi a una specie di cisterna. Mi siedo per terra e respiro profondamente, cercando di rilassare la mente. Sono successe troppe cose in due giorni.
- Avrei dovuto immaginare che ti avrei trovata qui – dice Alex alle mie spalle.
Mi volto verso di lui, senza essere spaventata o sorpresa. Non so perché ma anch’io mi aspettavo di trovarlo qui. Eppure lo stesso mi sento sempre più in subbuglio, ad ogni passo che lui fa verso di me.
- Mi sembra uno scenario perfetto per stasera, vero?
Annuisco e lui si siede vicino a me, troppo vicino. Un leggero alito di vento mi investe del suo profumo e mi riporta alla sera in cui l’ho conosciuto, quando abbiamo ballato insieme a casa di zia Ade. Quanto tempo è passato! E ora sono incinta di lui, che buffo il destino.
- Già che ci siamo ne approfitto per ringraziarti. Abbiamo lavorato bene insieme, nonostante tutto, e tu sei stata un buon capo – sentenzia, col lo sguardo rivolto verso le poche stelle che si vedono nel cielo.
Le sue parole mi mettono una strana angoscia addosso, ma cerco lo stesso di sorridere e sembrare serena.
- Sembra un addio – dico, fissandolo spudoratamente e resistendo alla tentazione di appoggiarmi alla sua spalla.
- Infatti. Parto domani per l’America. Devo rispondere di diversi reati.
La notizia è come un colpo dritto nello stomaco. Sapevo che sarebbe successo ma non immaginavo così presto.
Di nuovo non mi sento pronta e la situazione quasi non mi fa scoppiare a ridere. Non sono pronta a stare con lui ma non sono pronta a lasciarlo scomparire per sempre dalla mia vita. Quanto sono ridicola!
- Cosa pensi che succederà? – gli domando, sforzandomi di controllare la voce. Non capirebbe in ogni caso.
- Probabilmente mi degraderanno e mi spediranno in qualche buco dietro una scrivania fino alla pensione. Non credo che finirò in prigione se è questo che ti preoccupa- risponde con un accenno di sorriso.
In realtà non so nemmeno io cosa mi preoccupa. Semplicemente una parte di me non vuole rinunciare a lui, forse quella che contiene suo figlio. O forse è che con Alex, dovrò dire addio a tutta la vecchia Alexis, la sua partenza sarà quasi un momento catartico e non sono pronta alle rivelazioni.
- Sembri dispiaciuta – commenta, guardandomi per la prima volta.
- Un po’ lo sono. Se tu te ne vai, allora è davvero finita. Niente più Alexis figlia di John Blendell. Solo Alexis Libuori, universitaria a tempo perso. L’idea mi spaventa.
Lui ride sommessamente e quel suono mi smuove qualcosa giù nel basso ventre. Cerco di darmi uno schiaffo mentale ma non serve a molto.
- Resterai sempre Alexis Blendell, qualsiasi cosa succeda.
Annuisco, per niente convinta, e per un po’ restiamo in silenzio a guardare il cielo scuro.
- Cosa c’è stato tra te e Yvonne? – domando alla fine, in un sussurro. È da tanto che voglio saperlo e ormai il tempo scarseggia.
Lui non risponde subito, sembra riflettere.
- Lei era la fidanzata di Dirk, il collega che lavorava al tuo caso, e io ero il suo migliore amico. Poi Dirk è morto e lei ha cominciato ad avere un atteggiamento strano con me e alla fine io e lei… poi sono venuto in Italia e per un po’ non ci siamo più sentiti.
Fa una pausa e cerco di immaginare Alex e Yvonne insieme. Mi viene la nausea.
- Un giorno ho scoperto che Malone mi aveva rintracciato e che avevano incaricato lei di trovarmi e bruciarmi, come si dice in gergo. Cioè uccidermi.
Piuttosto diversa dalla versione di Yvonne. Ma a questo punto, direi che posso credere ad Alex. Credo.
- Ma lei mi ha detto che non poteva farlo e ha cercato di aiutarmi. Ci sono cascato e ho accettato il suo aiuto. Poi un giorno ho scoperto che intercettava le mie chiamate, e che mi seguivano. Ho fatto qualche ricerca più approfondita e ho scoperto che il capo della squadra era lei e non Malone. Quanti motivi potevano esserci per mentire su una cosa simile?
Altra pausa, seguita da un moto di rabbia. In effetti anch’io sono arrabbiata con lui. Se non avesse creduto a quella stangona e non mi avesse tradito, ora le cose potrebbero essere molto diverse.
- Ho chiesto in giro e ho scoperto che non c’era nessuno alla CIA che mi cercava, credevano tutti che fossi in terapia. Inoltre, ho scoperto che Malone aveva aperto un’inchiesta su una possibile spia e “qualcuno” aveva fatto il mio nome, così la CIA ha intercettato alcune delle mie mail, tra cui quelle di Dirk, dove mi avvertiva di uccidere Yvonne perché era un’infiltrata.
“Uccidi quella maledetta” diceva la mail, e Alex dice che si riferiva ad Yvonne. Potrebbe darsi, in effetti, ha più senso che non uccidere me, visto che l’agente Pitt voleva parlare con me.
- E Sarita? Perché non lo hai detto direttamente a me?
- Non credevo che sapesse che l’avevo scoperta e se te lo avessi detto avremmo scatenato il finimondo. Così ho contattato Malone, anche se non è stato facile, e intanto ho preso le mie precauzioni nel caso mi fosse successo qualcosa. Ero certo di incastrarla prima che tu scoprissi tutto.
- Ecco perché Malone ha creduto subito a quello che gli ho raccontato. Tu gli avevi già detto tutto ma lui non ti ha creduto fino a quando ha capito che solo Yvonne poteva incastrarlo a quel modo.
Alex annuisce, poi torna a guardare il cielo. Io rifletto un po’, perché ora le cose cominciano ad avere più senso ma continuo a sentirmi imbrogliata.
- E quella storia del protocollo? Nel registratore dicevi…
- Una fesseria, ma dovevo spiegare perché stavo indagando senza autorizzazione, così ho pensato di scaricare la colpa su di lei. Perciò non dirlo a Malone.
Di nuovo una pausa, un po’ tesa, durante la quale lascio che la mia mente salti tra un ricordo e l’altro.
- Ecco cosa intendeva Tuta Nera quel giorno. Disse “America, traditore”, ricordi?
- Sì. Yvonne probabilmente mi seguiva già allora, mi seguiva fin da quando è morto Dirk. Deve aver intercettato le mail che mi aveva mandato e ha capito che mi sarei messo sulle tue tracce, così ha pensato di lasciar fare il lavoro sporco a me. Se solo Dirk non fosse stato così bravo nel suo lavoro…
Annuisco e penso a com’è strana la vita. Chi penserebbe mai di lamentarsi perché qualcuno è bravo nel suo lavoro…
Intanto Alex fa una lunga pausa, lo sguardo perso oltre il parapetto e non ho il coraggio di chiedergli a cosa pensa. O meglio, immagino che stia pensando al suo amico e a tutto ciò che lo ha portato alla morte, forse a tutto quello che lui ha fatto o non ha fatto per salvarlo e non ho il coraggio di confortarlo. Non sono brava in ogni caso in queste cose.
- Mi dispiace di averti mentito. Ma ogni volta che nominavo la CIA tu davi di matto e poi ho cominciato ad… ad affezionarmi a te e non ho più avuto il coraggio di dirti niente. Speravo che alla fine di questa storia avresti capito…
Mi allontano da lui con uno scatto. Non ricominciamo con questa storia, non ora che mi sento così vulnerabile da credergli.
- Ormai è passato. E comunque ho capito, davvero. Ma questo non cambia niente tra noi.
Lui ride sommessamente e di nuovo qualcosa trema dentro di me, però stringo i pugni e mi costringo a fissare una stella, chissà quale.
- Speravo che dicessi questo, ma con un tono diverso – spiega ridendo.
- Sì e poi ci saremmo abbracciati e baciati e sarebbe apparso magicamente qualcuno per sposarci? – lo canzono ridendo anch’io. Quando si dice ridere per non piangere.
- Sarebbe stato così orribile? – domanda lui, fissandomi troppo.
Per un momento penso di dirgli del bambino, o cellula, o quello che è. Sarebbe il momento perfetto. Ma lui sta per tornare in America e io…
Scuoto la testa senza guardarlo, intenta a sciogliere l’ennesimo nodo in gola. Maledetta cellula.
- Puoi davvero dire che non provi niente per me? – domanda, all’improvviso vicinissimo.
Il cuore mi prende a battere all’impazzata e cerco di allontanarmi ancora di più, nel timore che lo senta anche lui, ma mi ritrovo troppo al di là della cisterna e senza un appoggio perdo l’equilibrio. Sarei caduta all’indietro come un’idiota se Alex non mi avesse afferrato il braccio. E sfruttando la mia stessa spinta per rimettermi seduta in equilibrio, mi bacia. Istintivamente lo allontano, infischiandomene se poi cado all’indietro ma lui mi trattiene e mi stringe ancora più forte e poi io non riesco più a trattenermi e rispondo al bacio con trasporto.
Invece del gallo, è il rumore della porta che sbatte al vento che mi salva dal peggior errore della mia vita.
Lo spingo con tutta la forza che ho e mi rimetto in piedi, troppo velocemente perché lui possa afferrarmi di nuovo.
- Non funziona così Alex. Sei stato… grazie di avermi aiutata, a modo tuo. Buon viaggio.
Prima ancora di aver finito di parlare volo giù per le scale, per impedirgli di rispondere.
Che cosa mi ha preso? Comincio a rimproverare a bassa voce la cellula. Non puoi fare così ogni volta che vedi tuo padre, signorina, non esiste. Poi mi rendo conto di parlare con una cellula e mi do della stupida. Non solo per la cellula, in realtà
Torno nella mia stanza, attenta a non svegliare Linda e anche se non ho più nemmeno un briciolo di sonno mi rimetto sotto le lenzuola. Si tratta di aspettare appena un paio d’ore prima di colazione.

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Capitolo 23
*** Il vero nemico II ***


Le due ore trascorrono veloci e così mi ritrovo catapultata nella saletta dove abbiamo seguito l’operazione, circondata da un mare di computer e scatole metalliche di diverse dimensioni, stampanti che vomitano fogli pieni di cubetti e lineette e cornetti e ciambelle ovunque. Di queste ultime ne mangio una quantità abnorme, come mi rendo conto dopo l’ottava, anche se non sono un granché.
Nel frattempo che io mi ingozzo, tutti parlano a gran voce, cercando di decifrare i codici dei computer. Numeri lettere, algoritmi e un mucchio di cose assolutamente oscure per me che però ascolto attenta, pregando che riusciamo presto a capire l’inizio, poi sono sicura che il resto verrà da sé.
Anche io mi sforzo di richiamare alla mente tutte le lezioni di informatica e crittazione che mi ha dato Juno ma senza grossi risultati. Scarsi risultati anche sul fronte relazioni umane: quando sono scesa ero pienamente intenzionata a sembrare normale, fredda con Alex e accogliente con Giulio. Ho finito col sembrare impacciata/imbarazzata/acida con Alex e fredda e insofferente con Giulio.
Intanto l’ospedale ha chiamato per dire che un altro agente dei feriti è morto, mentre gli altri hanno reagito bene ai medicinali e hanno passato una notte tranquilla, per quanto breve. Ad occhio e croce, pare che ci vorranno due o tre giorni sia per Juno che per Malone, prima di essere dimessi. E verranno dimessi non appena avranno raggiunto la soglia minima di sopravvivenza autonoma.
Finalmente, nelle prime ore del pomeriggio, qualcosa sembra cominciare a cambiare. Uno dei tecnici sembra aver scoperto un sistema per decifrare tutto il materiale, anche se molto, molto lentamente.
Da quel momento si formano tanti gruppi quante sono le stampanti in funzione e attendiamo tutti ogni foglio con un ansia che minaccia di uccidermi.
Quattro ore dopo, abbiamo decifrato lo 0,12% del materiale, ma è uno zero molto interessante. Pian piano abbiamo svelato qualcosa in più sul collegamento tra l’Organizzazione, Rofferwaak e la setta Pyrus e capito la relazione tra l’Organizzazione e i ricercatori assassinati.
Sembra infatti, dai documenti decrittati, che Rofferwaak sia stato oltre che un filosofo anche un grande viaggiatore, uno di quelli che poi pubblicava ad ogni ritorno il diario di viaggio, con tutte le sue osservazioni sui luoghi e sui popoli. Già altre volte i suoi libri avevano suscitato un certo scalpore nella società bene, scandalizzata dall’elogio che l’autore faceva delle pratiche più naturali ed “incivili” e dei miti “pagani” delle popolazioni autoctone.
La popolarità di Rofferwaak era precipitata però dopo la pubblicazione dei diari dei suoi viaggi nell’America del Sud, dove aveva raccolto storie e leggende che erano state considerate al limite dell’eresia. In cima a tutta la serie shock, spunta un libro intitolato “Resti di Verità”, proprio come il romanzo di mio padre, che ispirato a un diario che il filosofo ha raccolto durante il suo viaggio, parla dell’arrivo di un gruppo di centurioni romani su quelle coste che avrebbero dovuto restare un mistero ancora per secoli.
Alcuni di questi fogli sono presenti anche tra i documenti che aveva raccolto Drake, quelli che ho preso da Nat, ma qui sono messi in ordine e sono più completi, il che mi fa capire che forse Drake aveva raccolto solo una parte di ciò che aveva trovato. Ma dove li ha presi Drake? Credo che non lo saprò mai.
Continuando a leggere, ritrovo le informazioni che avevo trovato con Giulio, il carcere, la morte e il possibile ritrovamento di una specie di diario di cella. Solo che in questi documenti, ogni attimo della vita di Rofferwaak e di quel libro vengono analizzati in maniera inquietante, che mi porta a chiedermi dove l’Organizzazione abbia trovato quelle informazioni. E quanto sono costate.
Comunque, a quanto pare, all’epoca della prigionia di Rofferwaak c’era un dottore che visitava i prigionieri per spirito di carità, un certo dottor Alexej Volkoff, e i due strinsero un’amicizia abbastanza profonda, tanto da spingere Rofferwaak, poco prima della morte, ad affidare a Volkoff il diario del centurione che aveva ispirato la sua opera e che non aveva mai abbandonato, insieme al compito di cercare delle prove e diffondere nel nome della scienza le sue verità sulla storia di quei centurioni, così da riscattare la sua memoria di scienziato e non di visionario.
Volkoff prese molto seriamente l’impegno e alla morte di Rofferwaak presentò il libro a un gruppo di colleghi scienziati in diversi campi, che già da tempo si riunivano per svolgere ricerche scientifiche vietate dalla Chiesa e dalle autorità, e chiese il loro aiuto. Rendendosi conto del rischio che si correva per quella ricerca insieme alle dissezioni di cadaveri e sperimentazioni di medicinali impensabili, il gruppo decise di stipulare un patto scritto e diventò così una sorta di associazione segreta di nome Pyrus.
Chissà come l’Organizzazione è riuscita a scannerizzare i documenti di Pyrus, il che mi aiuta a capire alcuni punti oscuri delle teorie di mio padre: poiché il codice segreto utilizzato è lo stesso di quello dell’Organizzazione, probabilmente non a caso, mio padre non deve aver capito la differenza e li ha tradotti come documenti dell’Organizzazione, facendo confusione di date e fatti.
Negli anni a venire, l’associazione Pyrus crebbe enormemente e arrivò a contare diverse decine di membri, troppi perché potesse continuare a regnare l’ordine, probabilmente. Infatti, poco dopo gli inizi del ‘900 all’interno dell’associazione ci fu una sorta di scissione in due ali, l’una più estremista ed efferata, intenzionata a portare avanti soprattutto le ricerche di Rofferwaak, e l’altra più moderata e cauta, più interessata a scoperte più propriamente scientifiche.
Il periodo delle guerre vide i due gruppi lavorare separatamente, tanto che l’ala estremista decise di darsi un nuovo nome, la Legione, come mi ha detto Nat, per chiarire meglio quale fosse il suo scopo, e di utilizzare metodi sempre più decisi per arrivare a dimostrare la verità.
Forse troppo decisi, al punto che rapidamente la follia cominciò a dilagare nel nuovo gruppo e ben presto i “legionari” diventarono un gruppo di fanatici con lo scopo di vendicare i loro “antenati”. È a questo punto che, secondo quanto dicono i documenti, i membri di Pyrus, spaventati forse dalla degenerazione della Legione, cominciano a sabotare le loro ricerche senza troppi risultati.
Casualmente, noto che il periodo di formazione della Legione coincide con gli anni della fondazione delle industrie MC. Coincidenza? Ne dubito.
Anche perché durante gli anni di crescita della grossa industria farmaceutica, succede qualcosa che sembra far cessare le ostilità tra Pyrus e la Legione, che cominciano improvvisamente a riprendere i contatti su un misterioso progetto comune, fino a che tutti i membri più importanti di Pyrus vengono assunti rapidamente nello staff di un grosso centro che dispone di tutti i mezzi più avanzati di ricerca e grossi capitali da investire: le industrie MC.
Tà-dà, mi viene da pensare. Ecco come si ricollegano tutti i pezzi che sembravano così scombinati negli appunti di Drake.
Ma il vero tà-dà, che proprio non mi aspettavo, risuona nel file successivo, dove compaiono finalmente decifrati i nomi di questi scienziati assunti dalla MC: Ivan Knightely, Alejandro Palamos, Andrè Delabouche, Nolan Talbott e tanti altri. Gli stessi dei ricercatori che secondo Drake e mio padre sono stati assassinati dall’Organizzazione.
Fisso il foglio tra le mani per diversi minuti, incapaci di capire. Ma allora non è stata l’Organizzazione ad uccidere i ricercatori, visto che lavoravano per loro! E allora chi? Altri membri di Pyrus, contrari alla pace? Oppure c’è stato un ulteriore screzio tra scienziati e Organizzazione, o Legione o quello che è, e quest’ultima ha deciso di eliminarli una volta terminato il lavoro?
Nessuno di noi riesce a dare una risposta a questo interrogativo e i  tecnici di Malone non sembrano particolarmente preoccupati, per due motivi: i ricercatori sono tutti morti ormai, quindi saperlo non può fare differenza, e comunque sono tutti certi di trovare tutte le risposte nei prossimi file, ancora da decifrare.
Credo anch’io che lì troveremo le risposte, ma faremo abbastanza in tempo? E se ci volessero mesi per decifrare tutto?
Decido di uscire dalla stanza per un po’, troppo stordita per assimilare altre informazioni, così esco in un balcone vicino e respiro profondamente.
Non sono mai stata così vicino a scoprire quello che mio padre non aveva potuto svelare e devo ammettere che la sola idea mi fa girare la testa. E mi mette un po’ di paura.
Cosa succederà davvero dopo che avremo smascherato l’Organizzazione? Riuscirò ad avere una vita normale? E se non mi piacesse? E Juno resterà o partirà per fingersi un qualche militare?
Una leggera fitta alla pancia mi ricorda un’altra domanda? Sarò una madre? Un’assassina di neonati?
- Come stai? – domanda all’improvviso Giulio, venendomi accanto.
Gli sorrido stanca, nessuno finora ha pensato a farmi questa domanda.
Scuoto la testa, sincera. Non so davvero come mi sento. O meglio, è come se ci fossero mille persone dentro di me e ognuna si sentisse in modo diverso. Ma come glielo spiego senza sembrare matta da legare?
- Ho saputo che Alex partirà nel pomeriggio – continua, con lo sguardo perso oltre la ringhiera del balcone. Mi preparo a qualche commento caustico o a qualche occhiataccia ma lui resta tranquillo, o almeno si sforza di sembra tale e io mi rilasso.
- Non ti nascondo che la cosa non mi dispiace affatto – continua, vedendo che non rispondo, - ma un po’ mi fa strano. È come se segnasse la fine di tutto.
Il suo tono pensieroso mi stupisce. L’avevo immaginato a festeggiare con lo champagne alla notizia della scomparsa di Alex, non turbato. Così imparo a credere di sapere tutto.
- Credi che potrei piacerti di meno senza quell’idiota a confronto?
La sua voce è così seria mentre fa la domanda più stupida della storia che non posso fare a meno di ridere. Lui ci rimane un po’ male ma la sua espressione offesa non fa che farmi ridere più forte e alla fine anche lui comincia a ridacchiare e quando Juno e Alex ci raggiungono ci trovano a ridere come due deficienti.
- Abbiamo trovato qualcosa che sembra interessante – annuncia Juno quando abbiamo finito di ridere, fissandoci come se stesse decidendo quanto tranquillante mettere nella prossima bevanda.
Mi limito ad annuire mentre mi ricompongo. Credo davvero di non poter sopportare altre grosse informazioni al momento ed ero uscita apposta per questo. Quindi o il messaggio “lasciatemi in pace” non è risultato molto chiaro o l’informazione che abbiamo scoperto è così grossa da chiamarmi ugualmente. E sono venuti in due, brutto segno.
- Forse abbiamo una traccia su quello che intendono per “vendetta” – anticipa invece Alex, con un’aria tesa e preoccupata che non mi piace per niente.
Smetto subito di ridere e li seguo di nuovo nella saletta che sembra sempre più un alveare, dove tutti ronzano tra mille cose da fare.
Ci avviciniamo a un tavolino su cui sono stati appoggiati alcuni fogli stampati che Juno mi porge brusco. Li osservo ma non credo di capire: sono dei grafici e un mare di formule, lettere, numeri che non riconosco. O meglio, che riconosco come qualcosa di chimico, perché vedo un ossigeno qui e idrogeno lì ma le mie conoscenze di chimica sono piuttosto limitate.
Vedendo la mia aria confusa Giulio mi prende i fogli dalle mani e li studia per qualche minuto, durante i quali perde lentamente colore.
- Un arma biologica? – domanda alla fine, con un filo di voce.
Alex e Juno annuisco contemporaneamente, con la stessa espressione grave e io mi sento raggelare. Merda.
- Questi sono test chimici per i principali virus conosciuti al momento – mi spiega, indicandomi alcuni grafici e le relative formule.
- Carbonchio, Ebola… sembra che stiano cercando di metterli insieme a qualcos’altro per creare una sorta di super-virus.
Come dicevo, merda.
- Ma com’è possibile? Esperimenti del genere non possono passare inosservati – faccio notare, ormai allarmata quanto loro. Se sono già arrivati ai test potrebbero già aver preparato tutto ed essere sul punto di attaccare.
Non posso pensare di aver fatto tutta questa fatica per scoprire la verità appena prima dell’attentato o quello che sarà.
- Le industrie MC sono diffuse in tutto il terzo mondo dove le malattie sono troppe per tenerle sotto controllo e la polizia sta dalla parte del più ricco – spiega ancora Giulio, che ora sembra davvero arrabbiato.
- Si capisce a che punto sono degli esperimenti? – domando, non troppo sicura di voler conoscere la risposta.
- Da quello che abbiamo stampato finora, non sono troppo vicini alla soluzione, ma c’è troppo materiale ancora criptato per saperlo con certezza – risponde Juno, che ha un’aria strana.
- A cosa pensi?
Lui non mi risponde subito e quando lo fa, a giudicare dalla faccia, gli costa un notevole sforzo.
- A Jean Luis in Francia. È su una sedia a rotelle per una malattia da esposizione, ma i medici non seppero dire di che tipo. Dissero solo che molto probabilmente avrebbe finito per diventare paralitico ed è successo. Forse è la stessa cosa.
Ci penso un po’ su ma alla fine scuoto la testa.
- Mi sembra di aver capito che sono anni che la sua malattia progredisce, di certo il loro virus colpisce molto più in fretta.
- Se sono arrivati ai test chimici la sperimentazione va avanti da anni. Ecco cosa faceva ammalare la gente, compreso Jean. Avremmo potuto pensarci già da allora. Non era un potenziatore che stava studiando quel verme.
Nessuno di noi gli risponde, non c’è molto da dire. Credo che abbia ragione, Richelieu ha finto di studiare un potenziatore per soldati, per deviare ogni sospetto e forse anche per convincere gli scienziati di Pyrus a collaborare al progetto. Poi quando qualcuno scopriva la verità lo uccidevano. Ma la domanda quindi è: perché gli altri scienziati, man mano che i loro amici venivano uccisi, hanno continuato a lavorare per Richelieu? Perché non sono fuggiti dopo il terzo o quarto incidente sospetto?
- Nessuno poteva immaginare una cosa del genere, Juno. Forse nemmeno Richelieu allora pensava di costruire un arma batteriologica. Magari ha cominciato col creare un potenziatore e poi ha scoperto che era più efficace come arma chimica – cerca di consolarlo Alex e io annuisco, prendendo una delle enormi mani di Juno tra le mie.
- Dobbiamo chiamare Jean Luis, forse lui saprà aiutarci a capire di che virus si tratta. In base alle medicine che prende lui e agli effetti che gli ha provocato… - azzardo. So che forse è inutile ma è una scusa per chiamare i suoi vecchi amici in ballo e forse aiutarli a fare pace.
- Sarebbe inutile e comunque non è il caso che Jean lo sappia. Ha già sofferto abbastanza per suo fratello, non ha bisogno di sapere fin dove potrebbe spingersi la sua cattiveria.
Il suo tono perentorio non ammette repliche, così non insisto. Almeno in pubblico. Li chiamerò io e poi convincerò anche Juno a parlare con loro. Non so perché ma la loro riappacificazione mi sembra fondamentale, prima che questa storia sia finita. E potrebbe davvero aiutarci a capire contro cosa stiamo combattendo.
- Comunque dobbiamo aspettare il resto dei documenti. Forse lì dentro ci sono tutte le risposte che ci servono. Intanto Malone sta già avvertendo le autorità africane e verificheremo se ci sono dei laboratori fuori norma – cerca di rassicurarci, o forse rassicurarsi, Alex.
In realtà il suo tono è di sicuro più tranquillo di tutti noi e la sua faccia seria e fiduciosa mi rincuora un po’. In fondo sono sempre la CIA loro, devono pur avere qualche segreta misura di emergenza per un’evenienza del genere no?
Un agente che non ricordavo interrompe il nostro allegro discorso e avverte Alex che è quasi ora di andare, poi si allontana.
All’improvviso l’idea che non rivedrò mai più Alex mi colpisce come un colpo di maglio allo stomaco. Finora lo sapevo ma è come se non mi sembrasse vero.
L’agente che lo avverte invece, dà quel senso di realtà alla notizia e mi fa girare la testa.
Mi accorgo che tutti guardano me invece che Alex e mi allontano di scatto, avvicinandomi a uno di quei grossi distributori d’acqua come per bere. So che è stupido da parte mia, adesso, ma all’improvviso vorrei che Alex restasse.
Vorrei avvicinarmi e convincerlo a restare, vorrei convincere tutti a fermarsi, a smettere di cercare, perché ho paura di quello che potremmo scoprire. Ma Alex deve prendersi la responsabilità delle sue azioni e io non posso costringerlo a restare solo perché ho paura.
Dopo un po’, quando mi sento abbastanza calma per affrontare le occhiate indagatrici, torno vicino a Juno e Giulio. Alex è già salito in camera per prendere le ultime cose, mi spiega Giulio, con un tono di voce strano, probabilmente perché sta cercando di soffocare il sollievo e io lo adoro per il suo sforzo. Non tutti avrebbero capito così in fretta di cosa ho bisogno ora.
- Credo che dovresti andare a salutarlo, partono tra una decina di minuti dal parcheggio centrale – mi sussurra, e lo sforzo per restare compassato è proprio evidente e io lo amo ancora di più.
- Non ce n’è bisogno. Ci siamo detti tutto.
In realtà vorrei davvero salutarlo un’ultima volta ma non mi sembra giusto nei confronti di Giulio e non mi fido molto di me stessa in questo momento. E comunque non sopporto gli addii.
- Dico davvero, so che… è stato importante negli ultimi tempi per te. E te ne pentirai se non lo saluti ora – insiste.
Gli sorrido, con gli occhi che pizzicano. Stupida cellula, sempre nei momenti meno opportuni. E comunque ha ragione, se non lo saluto ora potrei pentirmene. È stato comunque Alex-Bei-Vestiti e tutto quello che è seguito.
Stringo il braccio di Giulio per un momento, poi vado verso le scale, sperando di trovarlo ancora in camera sua. Passando da una finestra però lo vedo uscire nel parcheggio, trascinandosi dietro le valigie.
Visto che so di non riuscire a raggiungerlo, apro la finestra con l’idea di salutarlo da lì ma proprio prima di gridargli qualcosa mi blocco. Non sopporto gli addii e vederlo lì, vicino alla macchina con la valigia in mano e quell’aria triste sul viso mi toglie il fiato.
Salutarlo per dirgli cosa? Che mi dispiace,che non voglio perderlo così definitivamente, che aspetto suo figlio? Nessuna di queste cose cambierà la situazione. Lui verrà processato per aver ucciso il collega e io combatterò i cattivi dall’altra parte del mondo. Non siamo pronti per essere genitori e non siamo innamorati al punto da passare insieme il resto della vita. E se mi vedesse piangere perché se ne va non me lo perdonerei mai, chissà cosa si metterebbe in testa.
Così alla fine resto qui, a guardarlo dall’alto nascosta dietro il vetro, mentre anche lui guarda verso l’hotel con l’aria di chi sta per andare al patibolo. Il che nel suo caso è vero, sta proprio per andare al patibolo.
Per un momento il suo sguardo viene nella mia direzione e io mi tiro indietro, anche se so che non può vedermi comunque, perché i vetri riflettono l’esterno. Lo stesso però sento un leggero crampo alla pancia, come se la cellula salutasse a sua volta suo padre. Che idiozia, la maternità mi ha davvero rimbambita, una cellula non riconosce nessuno.
Poi il crampo si fa più forte e poi più forte ancora, tanto che mi piego col respiro mozzato per qualche minuto, poi finalmente sembra calmarsi. Guardo di nuovo nel parcheggio ma intanto la macchina è partita e vedo solo una targa allontanarsi veloce.
Addio Alex.
Scendo le scale per tornare nella saletta ma non me la sento di ripiombare in quel mucchio frenetico, tantomeno di fingere con Giulio che non mi importi della partenza di Alex, così cambio strada e torno in camera mia, dove trovo Linda stesa sul letto.
- Alex se n’è appena andato – la informo, lasciandomi cadere sul letto accanto a lei, così che entrambe guardiamo il soffitto.
- Cosa vi siete detti? – domanda lei, improvvisamente interessata, tanto che si solleva su un fianco e appoggia la testa alla mano per guardarmi attentamente, in attesa del grande discorso d’amore tragico.
- Niente. Quando sono arrivata lui era andato via già.
La faccia delusa di Linda meriterebbe un premio e sorrido appena. Sarebbe bello se fosse solo un film.
- Quindi alla fine non gli hai detto del bambino?
Scuoto la testa, senza guardarla.
- Sei sicura che sia la scelta giusta? Crescere un bambino da sola può essere complicato – insiste.
Vorrei rispondergli che infatti l’idea non è di fare la ragazza madre ma di non avere un figlio, ma non riesco a trovare le energie. Non ho voglia di sentire la sua predica soprattutto ora. Anche perché la pancia mi fa ancora male, anche se ora è un dolore sordo e non molto intenso. Voglio solo riposare e dimenticarmi di Alex-Bell’Imbusto una volta per tutte.
- Be’ comunque non è che lo mettono sulla sedia elettrica, almeno è quello che ha detto lui. Dice che lo metteranno in qualche ufficio. Oppure credi che lo abbia detto solo per non farci preoccupare?
L’improvvisa ipotesi la rianima di un’ansia che mi fa venire da ridere. Fino a qualche giorno fa per lei Alex era solo un bel sedere e ora si preoccupa della sua incolumità.
- E’ inutile che ridi tu, sappi che la prigionia ci ha uniti moltissimo. Se non fosse stato tuo a quest’ora avrei potuto essere sull’aereo insieme a lui – mi informa con aria poco convinta.
Per fortuna rido troppo per correggere quel “mio”. Prigionia? Ora è stata addirittura prigioniera? A pranzo di oggi dicevamo com’era stata fortunata ad essere appena reclusa. Anzi, lei stessa ha detto che se ci fosse stato qualcuno a farle la pedicure sarebbe stato come essere dall’estetista seduta per ore sulla stessa sedia.
- Intendi dirlo a Giulio? Del bambino, intendo.
- Ma tu non molli mai? – le domando esasperata e lei scoppia a ridere.
- Se avessi mollato non sarei un avvocato, tesoro.
Anche questo è vero. Ma lei è un caso patologico. Di questo passo la nomineranno papa.
Diciamo qualche altra chiacchiera senza senso e poi decidiamo di scendere a mangiare qualcosa, così da non trovarci insieme a tutta la ressa di militari. Linda non pensa a chiamare Giulio e io non glielo ricordo. Non voglio che mi veda così, non capirebbe e di certo non se lo merita. Andrò in camera sua dopo cena.
Infatti quando penso che abbia finito di mangiare e sia salito in camera, lo raggiungo. Per fortuna ho indovinato i  tempi e lui mi apre la porta. Sembra sorpreso di vedermi ma mi fa segno di entrare con un gran sorriso.
- Mi dispiace di essere sparita ma avevo bisogno di riposare. È stata una giornata lunga – gli spiego, muovendomi impacciata nella stanza.
Solo ora mi sono resa conto che il mio venire in camera sua a quest’ora a spiegare una cosa che era comunque piuttosto chiara potrebbe dare il messaggio sbagliato.
- L’avevo immaginato – dice infatti lui, chiudendo lo schermo del portatile e facendomi segno di sedermi sul letto.
- Anche Linda non è scesa, sta bene? – mi domanda raggiungendomi e sedendosi sul bordo accanto a me.
- Si, voleva solo farmi compagnia. Avete scoperto qualcos’altro di interessante in nostra assenza?
- No, niente che noi non sapessimo già. Ma siamo appena all’inizio del lavoro.
- Inserirai qualcosa di tutto ciò nel tuo nuovo libro? – gli domando. È strano pensare che a casa il mondo continua a girare senza avere idea di tutto quello che sta succedendo qui.
- No, non credo, non ne ho il tempo se voglio pubblicare a fine mese.
- Nessuno ha fatto domande sul perché sparisci proprio ora?
- No. Il gruppo era felice di liberarsi un po’ di me immagino. E comunque è stato facile, ho detto che doveva prendere accordi per i documenti da inserire.
Annuisco, chiedendomi di nuovo se ho fatto bene a creare questo polverone. Volevo distrarre l’attenzione da me e proteggere Giulio attraverso la sua fama ma ora che lavoriamo su altri aspetti, ho paura di aver solo incasinato le cose.
Il che mi porta ad altre domande che mi sono fatta mentre chiacchieravo con Linda.
Non è possibile che Yvonne fosse l’unica spia infiltrata nella CIA. E se Malone ne avesse portato una tra noi? E se fuori da quella stanza tutti i nostri sforzi fossero cancellati da qualcun altro? Mi sembra così strano che abbiamo trovato tutte quelle informazioni nello stesso posto… non erano nemmeno così tanto protetti come mi sarei aspettata visto quello che contengono.
Sto per fare la stessa domanda anche a Giulio quando gli suona il telefono e lui si allontana per parlare. Con una morsa ricordo Alex che parlava con Yvonne e tendo l’orecchio per ascoltare anche se so che non dovrei, ma parlano di libri e diritti di editoria, quindi mi rilasso. Deve essere il suo gruppo di lavoro.
Quando torna lui è eccitatissimo per le notizie che ha appena ricevuto sul libro in uscita, che a quanto pare ha attirato l’attenzione di pezzi davvero molto grossi ed è stato inserito in lista per un prestigioso premio anche se non è ancora stato pubblicato, così io dimentico la mia domanda e mi congratulo con lui.
- E comunque sappi che voglio leggere io la prima copia. Anzi, che ne diresti di darmi un’anteprima, prima di pubblicarlo? – lo stuzzico ma lui è irremovibile.
- Porta male far leggere un libro prima che sia stato pubblicato. E poi perderei il mio fascino se ti svelassi i miei segreti no?
Per fortuna la storia del premio ha rilassato un po’ l’atmosfera, allontanando il ricordo di Alex, che io prontamente ricaccio nel cervello ogni volta che minaccia di venire di nuovo fuori.
Alla fine Giulio ordina da bere in camera una bottiglia di champagne costosissimo per festeggiare il salvataggio riuscito e le nuove buone, così tra un bicchiere e una chiacchiera finisco per passare tutta la serata in camera sua, fino a che mi accorgo che è tardissimo. In realtà anche allora lui insiste perché io resti, con un sacco di scene buffe per convincermi che non approfitterà di me e alla fine mi convince. Mi sento già abbastanza in colpa per quello che ha dovuto passare oggi con la storia di Alex e sono davvero tranquilla che lui non ne approfitterà. E comunque merita un grosso premio per la pazienza e la comprensione che mi dedica da mesi ormai.
Così poco prima dell’alba mi addormento sul suo letto, sopra le coperte e ancora vestita, con Giulio che mi abbraccia teneramente. Un abbraccio che mi godo fino all’ultima goccia, così tenero e accogliente. È tutta un’altra cosa rispetto ad Alex, questo è certo.

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Capitolo 24
*** Il vero nemico III ***


Quando mi sveglio la mattina dopo, Giulio è già andato via e ha lasciato solo un post-it attaccato al cuscino per avvertirmi che è andato ad ordinare la colazione. Torno in camera mia per cambiarmi, preparandomi all’assalto di Linda, che infatti non manca. Tuttavia anche lei non sembra avere passato la notte in camera e infatti mi conferma che ha finito col fare le ore piccole in compagnia di un affascinante soldato della CIA.
Raggiungo Giulio mentre lei va a salutare la sua nuova conquista e lo trovo al bar insieme a Malone.
Saluto entrambi e mi siedo accanto a Giulio, che sorride beato come se avesse vinto la lotteria, il che fa sorridere me. E non abbiamo fatto niente di più che abbracciarci, figuriamoci! Comunque Malone sembra non accorgersene o forse decide di ignorare volutamente un aspetto che in effetti non lo riguarda molto e continua il suo discorso su alcune novità che mi ero persa.
- Stavo usando il suo fidanzato come consulente storico. Nei file abbiamo trovato l’origine di quelle pietre che sono state ritrovate sui luoghi degli incidenti e chiedevo al professore se davvero potrebbero risalire al periodo del fantomatico sbarco romano – mi spiega, addentando la sua brioche.
Non mi prendo la briga di correggere il “fidanzato”, soprattutto perché non mi sembra il caso vista l’espressione di Giulio. Se non siamo fidanzati, allora sono una poco di buono, questo dice la faccia del mio caro prof.
Giulio intanto sorseggia delicatamente la sua tazza, che io so essere the inglese, e scuote la testa.
- E’ una cantonata colossale. Quelle pietre devono avere non più di qualche centinaio di anni.
Intanto io ordino un cappuccino e una brioche e seguo il discorso in silenzio. In realtà è una parte che mi interessa poco ormai, da quando abbiamo scoperto l’idea dell’arma chimica. Non posso pensare di concentrarmi su persone già morte quando tanta altra gente sta per morire. Scusa papà.
E poi devo pensare anche al mio stomaco, per controllare la nausea ormai abituale a prima mattina, segno che la cellula resiste e si vendica dei miei pensieri poco carini.
Vedendo Alex partire ho preso, infatti, la mia decisione, che intendo mettere in atto non appena torno a casa. Questo bambino è stato un errore e gli errori vanno corretti, non cullati e allattati.
Non sono pronta per fare la madre, figuriamoci la madre single. E poi non sarebbe bello nemmeno per lui crescere così, prima o poi scaricherei su di lui le mie frustrazioni da giovinezza rubata. Ne avrò altri di bambini e questa volta starò attenta che vengano concepiti al momento opportuno. Ma a quanto pare alla cellula la mia idea non piace.
Mentre il cameriere mi serve la mia colazione, il mio cellulare prende a squillare nella borsa. È mia madre e come sempre la conversazione dura abbastanza da far ghiacciare il mio latte, ma almeno alla fine mi sembra più tranquilla, soprattutto per Linda. Quando butto di nuovo il telefono in borsa mi accorgo che la conversazione si è spostata su un altro argomento.
- Partirà domani mattina, col volo 833 per Boston. Un gran peccato.
- Chi? – domando, anche se credo di conoscere la risposta.
- L’agente Beckett. Un bravo agente fino a quando ha incontrato lei. Non se la prenda, signorina Blendell se per la CIA sta diventando l’uomo nero. Ogni agente che incontra il suo nome interrompe la sua carriera – mi canzona, non tanto scherzosamente.
Me li vedo in effetti, in quei grandi uffici sotterranei a raccontarsi storie sulla perfida Alexis Blendell, che distrugge ogni agente della CIA che incontra sul suo cammino. Il che fa ridere se si considera che il mio obiettivo prima di Alex e Malone era esattamente quello, eliminare ogni agente della CIA che avessi mai incontrato sulla mia strada.
E alla fine, in un modo un po’ contorto, direi di esserci riuscita. Ah ah.
Un agente interrompe la nostra allegra colazione, perché chiede a Malone di tornare nella stanza, mentre io e Giulio restiamo ancora un po’ seduti.
- Come ti senti stamattina? – mi domanda. A volte mi chiedo come abbia fatto a non capire del bambino visto che nota ogni dettaglio di me. Certe volte è così attento da essere inquietante.
Comunque lo tranquillizzo e finisco in fretta il cappuccino ormai freddo, prima che cominci a parlare di ieri notte o peggio, che cerchi di baciarmi o chissà cosa. Non sono affatto pronta alle effusioni in pubblico. Non con lui. Non finchè c’è il bambino. Non dopo aver parlato di Alex. Non sono pronta, insomma.
Per fortuna però Giulio sembra capire la situazione e non accenna a niente di più che accarezzarmi la mano mentre mi racconta altre piccole novità emerse dall’analisi dei file, niente di grande importanza per me comunque. Molti conti e resoconti che serviranno a incastrare gli affiliati dell’Organizzazione, o Legione, alcuni tabulati telefonici di cui non si è ancora capita l’utilità, molti documenti di vario genere. Un documento che identifica il simbolo inciso sulle pietre ritrovate sui luoghi degli incidenti come il simbolo distintivo di Pyrus, che ogni membro indossava inciso su una medaglietta appesa al collo e indicava l’affiliazione alla setta.
Di nuovo una strana sensazione mi prende il petto, rendendomi difficile respirare. Tipico messaggio del mio istinto quando mi dice che qualcosa non va. Come mai è stato così facile arrivare all’archivio più compromettente della storia? Perché non sono stati protetti con qualcosa di più che qualche crittazione? Sono certa che qualcosa non va in questa storia ma non so cosa e nessuno sembra condividere i miei sospetti.
- Alexis a cosa pensi? – domanda Giulio, notando forse che non lo sto ascoltando.
Scuoto la testa, perché ho già detto anche a lui i miei dubbi su questa manna dal cielo, ma lui è sicuro che abbiamo semplicemente avuto fortuna. Però c’è un’altra cosa che mi assilla…
-  Continuo a pensare a questa strana sostanza chimica… deve esserci una traccia da qualche parte, esperimenti così non possono passare semplicemente inosservati! – rispondo alla fine.
- Lo penso anch’io ma non abbiamo nessun punto di partenza. Se non ci riesce la CIA…
- Non credi che forse è proprio la CIA il problema? Nessuno pensa di potersi mettere contro le industrie MC, perciò nessuno parlerà mai con le autorità, per dire.
- Sono certo che non stanno svolgendo le indagini in veste ufficiale Alexis. Sta tranquilla tesoro, sanno anche loro quanto sia importante, stanno già facendo tutto il possibile – mi rassicura, ma io non sono convinta.
In fondo non sappiamo chi altri agenti della CIA lavorassero con Yvonne, che di certo non era l’unica. E se Malone stesse combinando un casino? Se qualcuno dell’Organizzazione alla CIA fosse riuscito ad assumere il controllo dell’operazione di indagine?
Provo di nuovo a convincere Giulio ma lui sembra davvero convinto di quello che dice e capisco che è inutile continuare a discutere con lui. E comunque mi sono detta spesso in questi giorni che mi sto facendo sfuggire la situazione di mano. Da quando è arrivato Malone, ha preso lui il controllo di quella che è stata la mia vita finora e io non ho fatto niente per impedirlo. Ma questo è il mio lavoro e so farlo meglio di tutti, compresa la CIA.
È ora di tornare a lavoro come la vera Alexis Blendell, ora che non ho più paura per Linda, e questo vuol dire ricominciare dalle mie fonti, che la CIA non conosce. Non conosco forse uno dei primi testimoni degli esperimenti della MC? So che Juno ha detto che Jean non dovrebbe sapere di quest’ultima terribile scoperta su suo fratello, ma al momento è l’unico che può aiutarci a trovare un modo per fermare questa follia.
Con una scusa mi allontano da Giulio col telefono ed esco nel parcheggio, quindi chiamo il numero di Nat.
Dopo qualche squillo finalmente sento la voce della donna rispondere col suo elegante accento francese. Ma è la voce che mi blocca il respiro. È una voce disperata, sull’orlo di una crisi.
- Nat, sono Alexis. Cosa succede?
Lei non risponde e credo che stia piangendo.
- Jean? – le domando, intuendo forse cosa c’è che non va.
- Se n’è andato Alexis. Questa notte. Il mio Jean…
Dopodiché è un pianto ininterrotto, disperato come pochi altri. Si vedeva che lo amava da come si prendeva cura di lui ma questo pianto ne è una prova molto più diretta. Sembra che le abbiamo tolto un pezzo di sé. È un pianto così straziante che anche io comincio lentamente a piangere un uomo che non ho mai realmente conosciuto.
Diversi minuti dopo, senza fiato, sembra che Nat abbia ripreso un po’ il controllo.
- Perché mi hai chiamato, bambina? – mi domanda, con la voce roca per il lungo pianto.
Non mi sembra il caso di dirglielo ora, così. In fondo suo marito è appena morto proprio a causa di questa follia.
- Volevo solo dirvi che abbiamo liberato Linda e che… possiamo prenderli Nat, possiamo prenderli tutti. Compreso Richelieu – le dico, anche se non è affatto detto. Ma ho bisogno di consolarla e anche di consolare me. Non ho conosciuto Jean ma non è accettabile che un amore simile sia finito per colpa della pazzia di un criminale.
- Sì bambina, ora dovete prenderli. Per Jean, per la sua memoria.
La fierezza della voce di Nat, l’assoluta fermezza di quella voce ancora rotta mi commuove più del suo lungo pianto. È la voce di una donna che sta per scendere in battaglia, una guerra senza esclusione di colpi. E non intendo deluderla.
- Se te le senti, Nat, vorrei che ci raggiungessi qui a Roma. Viene a prenderti Juno e partecipi a tutto quello che succederà – le propongo.
Lei sembra dubbiosa.
- Non è giusto, per Juno. Non credo che tu conosca tutta la storia, bambina. Non posso fargli questo.
- Non conosco la storia ma conosco Juno e so che muore dalla voglia di riabbracciarti. Come so che sarà distrutto quando saprà di Jean e solo voi due, insieme, potrete consolarvi per la vostra perdita – insisto.
Ora più che mai mi sembra necessario che Juno e Nat facciano pace, se non altro per la memoria di Jean. Non so se è il bambino che mi ha resa improvvisamente così sentimentale o l’impressione di vivere una fiction ma devo fare qualcosa per loro due, visto che non posso fare più niente per Jean.
- A Juno ci penso io, se tu sei d’accordo. Avremo bisogno di te per trovare Richelieu.
Sento Nat pensarci su per un po’, col respiro grosso e qualche singhiozzo ogni tanto, poi alla fine accetta e la saluto.
Ora devo dirlo a Juno. La sola idea mi fa star male, perché so quanto farà star male lui. Ma devo farlo ora e devo convincerlo a riappacificarsi con Nat, prima che sia troppo tardi.
Lo trovo come sempre negli ultimi giorni attaccato a un monitor, in attesa di vedere quale altra sorpresa ci riservano quei file. Lo stacco quasi di peso e lo porto su in terrazza, anche se è proibito perché so che per certe notizie si ha bisogno di privacy.
Cerco le parole più adatte per dirlo ma alla fine non esiste un modo poco doloroso per comunicare la morte di qualcuno e io so, anche se non so bene tutta la storia, che Jean è stato importante nella vita di Juno, anche se non si parlavano più.
Infatti quando finalmente trovo il coraggio di dire a Juno della sua morte, lo vedo trattenere il respiro come se lo avessi colpito allo stomaco. Lentamente, il grande e indistruttibile Juno si lascia scivolare a terra, fino a sedersi sul pavimento, con un’aria sconvolta e ferita che non gli avevo mai visto.
- Mi ha salvato la vita. Non solo in battaglia ma anche fuori dal campo. Mi ha sempre salvato la vita – biascica, e io mi siedo accanto a lui, senza sapere bene che fare. Non sono brava a consolare la gente, figuriamoci Juno, che credevo invincibile.
- E’ stato un fratello per me. Amavo sua moglie ma lui era come un fratello per me.
L’ultima frase mi strappa un gridolino di sorpresa ma per fortuna non credo che se ne sia accorto. Quindi è questo il problema tra loro? Un triangolo amoroso?
Comunque alla fine Juno comincia a lacrimare, non a piangere ma solo a lacrimare, e io decido che è arrivato il momento di lasciarlo solo. Quando si lacrima, si vuole stare soli, credo.
Scendo perciò in camera mia, in attesa di calmarmi un po’, perché non saprei cosa dire a Malone. Anche se in effetti se davvero Nat deciderà di raggiungerci dovrò dirgli di lei ugualmente e non so come reagirà. E se decidesse che ne ha troppi di “fantasmi” nella squadra? Accidenti, che situazione complicata.
Quando ho ripreso il controllo, scendo nella saletta e mi faccio aggiornare da un’agente con l’allegria di un bradipo in coma, ma non ci sono grosse novità, solo qualche nome di piccolo calibro, comunque Malone ha già provveduto a fermare.
Intanto mi si avvicina Giulio e mi chiede di andare a parlare fuori, così lo seguo fino all’entrata dell’hotel, dove mi fa segno di sedermi su uno dei grossi divani dietro la reception.
- Si tratta del nuovo libro – mi spiega, eccitato come un bambino la mattina di natale.
- Alcuni pezzi grossi hanno cominciato a remarci contro. Avevi ragione Alexis, hanno abboccato!
Mi parte un gesto di trionfo poco elegante per una signora ma non me ne preoccupo. È una sensazione bellissima quella di avere ragione, soprattutto ora che la missione mi stava scivolando dalle mani.
- Hanno fatto pressioni così insistenti che il rettore dell’università mi ha proposto un “trasferimento cautelare”. A Parigi. Avrò una cattedra e un appartamento in centro, a due passi dalla Tour Eiffel. Che ne dici?
Il mio entusiasmo si spegne un po’. Parigi? È lontana anni luce da me! Come può essere tanto felice? E che ne sarà di noi? Dopo tutto quello che è successo, tutti i problemi che mi sono fatta, non posso credere che finisca tutto per un trasferimento di lavoro!
- Alexis perché fai quella faccia? Parigi! E un sacco di soldi, potremo vivere da nababbi per il resto della nostra vita e i nostri figli avranno un meraviglioso accento francese e…
- Aspetta un attimo – lo interrompo, alzando la mano così bruscamente davanti alla sua faccia che per poco non lo colpisco al mento.
- Hai usato il plurale per caso? – domando, sconcertata. Tipica mossa maschile.
Lui annuisce col suo solito sorriso e mi prende entrambe le mani tra le sue.
- Vieni a Parigi con me, Alexis. Lì potrai essere chiunque tu voglia. Aspetteremo la fine di tutto questo e poi saremo liberi di essere noi stessi. Potremo anche stare insieme, perché tu non sarai una mia alunna!
- E tutto quello che ho qui? La mia famiglia, i miei amici…
Come fa a non capire? Come può pensare che salirò su un aereo e volterò le spalle a tutti quelli che hanno rischiato con me in questi lunghi anni?
- Alexis, credo che tu stia dimenticando con chi saresti sposata. Posso permettermi una schiera di jet privati, quando vuoi venire a casa non devi fare altro che schioccare le dita, il volo dura poco più di tre ore.
Giusto, a questo non avevo pensato. Non sarà come trasferirsi con uno qualunque. Ma la cosa non mi fa stare più tranquilla. Anche se Parigi è Parigi… e potrei essere a casa in tre ore…
Ma che diavolo sto dicendo? Lui parla di matrimonio a Parigi e io sono ancora incinta di un altro! Non posso nemmeno pensare a sposare lui finchè c’è questo… problema.
Mi volto verso di lui per cercare di spiegargli il motivo più importante per cui al momento non me la sento di pensare al matrimonio. O mio Dio, parla di matrimonio! Fino a qualche giorno fa non sapevo se ero innamorata di lui o di Alex e ora dovrei pensare di sposarlo!
Tuttavia il mio brillante discorso viene interrotto da Malone che viene a chiamare Giulio per qualcosa che riguarda nuovi file decrittati e lui si allontana scusandosi.
Resto di nuovo da sola, senza il coraggio di alzarmi dal divano. Come farò a dirlo a Giulio? Devo dirglielo? In fondo sarà tutto risolto non appena tornerò a casa… ma posso davvero pensare di sposare Giulio? È un uomo così buono e io non sono affatto certa che i pericoli dello stare con me finiranno. Potremmo non riuscire mai ad incastrare Richelieu.
E poi c’è la questione dello zio vescovo, che non so come assodare. Linda e Alex erano tenuti prigionieri in una delle sue proprietà quindi se non è il capo di Richelieu è il suo braccio destro. Ma come affronto questa storia con Giulio? Lo sa? Non credo, avrebbe protetto meglio suo zio. Devo dirglielo? Quando? Come?
Alla fine mi alzo dal divano con una semi decisione: non andrò in Francia fino a che l’ultimo di quelli che potremo arrestare non sarà dietro le sbarre e intanto vedremo cosa succede. Magari saranno le indagini a portarci da suo zio e allora non sarà un problema mio. E per allora la cellula non sarà più un problema.
Decido di andare a vedere come sta Juno. Come immaginavo, lo trovo ancora in terrazza ma sembra essersi ripreso un po’. Sta appoggiato al parapetto, con lo sguardo perso nel vuoto, ma almeno ha smesso di lacrimare e il suo viso è più sereno di prima.
Mi avvicino a lui e mi appoggio a mia volta sul parapetto.
- Che ne sarà di Nat ora? – mi domanda, senza guardarmi.
Gli spiego la mia idea, cercando di parlare piano per studiare le sue reazioni. Non vorrei causargli un infarto ora.
Lui mi ascolta in silenzio fino alla fine e anche quando smetto di parlare sembra perso nei suoi pensieri.
- Amai Nat dal primo momento che l’ho vista, a casa di Jean. La guerra stava per finire e Nat era venuta per stare qualche giorno col marito, a dispetto di tutti i pericoli. La amai già allora, per il suo coraggio. E per la sua allegria, la sua simpatia, la sua intelligenza. E la sua bellezza. Per noi ragazzi del “sud” era bella come un angelo.
Si interrompe per prendere fiato e io resto in silenzio, provando a immaginare la scena con la mente.
- Jean cominciava già a star male ma nessuno sapeva dire il perché e sua moglie decise di restare fino alla fine della guerra, per assisterlo. Tutti la giudicarono pazza e gli europei cominciarono a scansarla, anche perché nessuno sapeva se la malattia di Jean potesse essere contagiosa. Così la sua unica compagnia eravamo noi, il gruppo di Jean in battaglia.
Juno prende a raccontare delle lunghe sere passate nella casetta di Jean e Nat, a divertirsi e scambiarsi curiosità sul mondo opposto. Gli europei insegnavano i giochi di società e gli africani insegnavano loro a ballare le loro danze tribali, gli insegnavano gli usi e le tradizioni, mentre imparavano la storia di Gesù e le usanze dell’Occidente.
E racconta anche di come, essendo il miglior amico di Jean, era lui che restava fino a molto più tardi degli altri, per aiutare Nat a rimettere in ordine anche se gli altri lo prendevano in giro per quelle gentilezze femminili. E racconta di come era lui ad aiutare Nat quando Jean cominciò ad avere le prime crisi, a svenire o a tossire fino a perdere conoscenza. Doveva essere lui, perché nessuno di loro tre disse ad alcuno di quello che stava succedendo al povero dottore.
- Allora le regole erano diverse e se uno si ammalava di qualcosa che non si conosceva, lo rinchiudevano in una cella e buttavano le chiavi per paura delle epidemie. Ma né io né Nat potevamo permetterlo.
E man mano che Jean peggiorava, Nat e Juno trascorrevano sempre più tempo insieme, da soli, mentre Jean era nel letto, e fu in una di quelle interminabili sere afose che anche Nat capì di amare Juno più di quanto amasse Jean.
Non era una donna facile, né si era stancata della malattia di Jean. Amava ancora il marito, profondamente. Ma lui era molto più vecchio di lei e non aveva saputo darle quella spensieratezza che era così cara a una ragazza di quell’età, mi spiega, e trovo commovente il suo bisogno di difenderla, anche dopo tutto questo tempo lontani. È evidente che Juno l’ha amata con tutto il cuore.
Vedendo che lui non continua lo incito a finire la storia. Come sono arrivati da quelle sere ardenti a non parlarsi più?
- Un giorno Jean venne da me al campo per avvertirmi che lui e Nat stavano per tornare in Francia perché doveva rimediare a una cosa terribile che suo fratello stava facendo e mi raccontò tutto degli esperimenti e di come credeva che fossero la causa anche del suo male.
Juno capì la situazione e promise all’amico il massimo aiuto possibile ma non poteva pensare di perdere Nat e così le fece arrivare un messaggio e si incontrarono al villaggio, dove la convinse a scappare insieme per restare lì, in Africa, ma lontano dalla guerra.
E così, quasi in lutto per la perdita dell’amico e per il dolore che sapeva stava per causargli, Juno aveva aspettato la sera seguente e si era recato all’incontro con Nat, pronto a ricominciare. Ma Nat non era mai arrivata, quella sera, e l’indomani Juno aveva scoperto che la coppia era partita. Da allora non aveva più parlato con Nat e anche con Jean aveva sempre trovato scuse quando non si trattava degli esperimenti.
- Poi all’improvviso mi ritrovo tra le reclute un certo Richard Drake, che mi da una lettera di Jean in cui mi chiede di prendermi cura di quel ragazzo ingenuo. Come potevo rifiutare? L’ho addestrato e l’ho mandato alla morte, povero Richard.
E dopo la morte di Richard, Juno aveva improvvisamente perso le tracce della coppia, così non li aveva più sentiti fino a quando aveva trovato un nome, Millicent Rale e aveva scoperto che era Nat.
- Sembra una storia da romanzo – dico alla fine, prima che ricominci a piangere e mi metta di nuovo in difficoltà.
Ride appena.
- Sì. Una storia tragica e senza lieto fine. Non un gran che come storia, ti pare?
Gli sorrido, perché credo ancora che si possa trovare il modo di scrivere una bella fine per questa storia.
- Valla a prendere Juno. Forse arriva tardi, ma potrebbe essere il momento che aspettavate, per fare pace.
Lui non mi risponde per un lungo momento, poi alla fine si stacca dal parapetto e, con mia enorme sorpresa, annuisce.
- Sì, credo che andrò. Per Jean.
Senza darmi il tempo di dire niente si allontana e lo sento scendere le scale così veloce che temo inciampi e rovini il finale d’amore.
Quando il rumore dei passi di Juno svanisce, mi volto di nuovo verso il panorama e ripenso alla storia di Juno. Che tristezza averlo conosciuto per così tanto tempo e non aver mai saputo niente di questa storia.
Ma soprattutto penso che dovrei trarre insegnamento dalla loro esperienza. Come Nat devo scegliere la soluzione più sicura, il mio Jean alias Giulio? Oppure dovrei dire ad Alex del bambino e vedere che succede? O dovrei lasciar perdere entrambi? Forse l’ultima sarebbe la soluzione migliore.
Alla fine mi decido a scendere di nuovo da basso, per vedere se riesco a concludere qualcosa. Forse potrei chiedere a Linda di indagare sul vescovo, lei di certo non viene controllata a vista dagli uomini di Malone.

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Capitolo 25
*** Sacrificio ***


Una lacrima scende piano sulla mia guancia e lascio la penna per asciugarla, prima che macchi il foglio. Mi chiedevo quando avrei cominciato a piangere. Per quanto tempo sia passato infatti, il groppo in gola quando ripenso a tutte quelle persone, che ormai mi erano tutte diventate care in un modo o nell’altro, non si scioglie ancora e mi chiedo a questo punto se mai lo farà.
Forse non dovrei volerlo sciogliere, forse la mia lacrima è il segno che davvero, ancora adesso, non ho dimenticato l’importanza di quei tristi avvenimenti e di quelle persone e questa è una cosa importante, anche perché l’ho promesso. Ho promesso davanti a tutte quelle fotografie sorridenti che non avrei mai dimenticato il loro sacrificio.
Eppure vorrei lo stesso liberarmi di questo peso una volta per tutte, vorrei finalmente essere capace di guardare indietro con rassegnata serenità, perché mi sembra più giusto onorare la loro memoria con un sorriso, così che sappiano che il loro dolore ha prodotto una felicità immensa.
Mi alzo e vado nel soggiorno, dove ho il nostro album di famiglia. Lo prendo dal suo cassetto e lo poggio sul divano, cominciando a sfogliarlo per la milionesima volta. È il mio scaccia-tristezza. Ogni volta che mi assale l’angoscia del passato, vedere le foto del mio matrimonio e dei miei figli mi ricorda quanti motivi ci sono per sorridere ancora, nonostante la maledizione che mi porterò sempre dietro, in qualche cassetto della mia memoria.
Vedere le foto dei ragazzi però mi ricorda che manca poco perché la mia giornata torni ad essere frenetica come sempre, perciò devo sbrigarmi a continuare se non voglio rischiare di essere scoperta. Già il regalo ha ben poco di professionale, ora che ho dovuto aggiungere altri fogli, se rovino anche l’effetto sorpresa…
Ma in realtà so perché ho improvvisamente rallentato la mia corsa verso la parola fine, l’avevo previsto. È difficile scrivere obiettivamente dei propri errori, col senno di poi. Ed è ancora più difficile scrivere di ricordi che fanno ancora così male, nonostante le foto allegre.
Ma devo portare a termine il mio compito, non fosse altro che per una ragione di principio. E anche perché se mio marito scoprisse che proprio io ho avuto troppa paura di scrivere un libro, mi prenderebbe in giro a vita e non posso assolutamente permetterglielo.
Quindi torno al tavolo e prendo di nuovo la penna in mano, cercando di ricordare al meglio quei difficili giorni di scoperte continue e sempre meno rassicuranti. E soprattutto, di addii.
 

 
 
Fisso stanca i fogli davanti a me, cercando di ignorare il dolore alla schiena e il bruciore agli occhi. Sono ore che sono seduta in questa posizione, nel tentativo di capire il senso di quello che ho davanti.
Stamattina presto infatti, ho tirato fuori tutto ciò che mi ha dato Nat, tutto ciò che Drake era riuscito a raccogliere, nella speranza di integrarlo con ciò che abbiamo trovato nei computer e ricavare qualche informazione in più.
Da qualche giorno ormai, infatti, dai file non riusciamo più a ricavare niente di importante. Non abbiamo decrittato nessun’altra informazione su questa misteriosa arma chimica o su qualche altro assurdo piano di vendetta e non abbiamo trovato altri nomi di spicco. Anzi, in realtà, dopo i primi arresti, ci siamo resi conto che non abbiamo nemmeno un nome di quelli che contano, tranne Yvonne che però è ancora introvabile.
Pare che nessuno dell’Organizzazione conosca gli altri membri direttamente, ognuno si crea una specie di seconda identità dal momento in cui viene a far parte della congrega e perciò alla fine, anche sotto torchio, nessuno è in grado di dare altri nomi. Una misura di sicurezza niente male, non c’è che dire.
Così come il sistema di crittazione dei file. Ci hanno illuso che fosse relativamente semplice scoprire cosa nascondevano e invece si è rivelata una messa in scena, perché le informazioni davvero importanti, restano nascoste da un sistema che sembra impenetrabile. Lo sapevo che era stato troppo facile.
Così con Malone abbiamo deciso di continuare a cercare anche da quello che abbiamo già ed eccomi qui. Finora però si è rivelato un buco nell’acqua, perché non abbiamo scoperto niente che non sapessimo già. Cosa tra l’altro prevedibile visto che i documenti di Drake sono vecchi di almeno vent’anni, come ho fatto notare a Malone che però mi ha semplicemente ignorato. Ora ricordo perché l’ho trovato odioso.
Infine c’è anche un altro problema all’orizzonte. Ho provato a cercare il numero che ha lasciato chiunque abbia ritirato il quadro di mio padre dall’archivio della CIA ma è un numero inesistente, così come sono risultate false tutte le credenziali che ha lasciato all’addetto che ha preparato la consegna. Qualcuno si è spacciato per un agente della stessa agenzia che però è morto due settimane fa, di malattia.
Ma perché qualcuno si sarebbe preso una tale briga? Se hanno ritirato il quadro dall’archivio della CIA vuol dire che sanno ormai della nostra collaborazione, come sanno quindi che non ho più bisogno del quadro per continuare la mia ricerca. A meno che, chiunque l’abbia preso, non ha fatto la mia stessa considerazione. Se smetto di pubblicare prima della fine, la credibilità del mio romanzo crollerà a picco e metterà in dubbio anche quello di Giulio.
Ancora una volta però Malone ha dimostrato di essere un idiota, decidendo che non ha importanza chi o perché abbia preso il quadro visto che le indagini proseguono ora sui file e quindi ha vietato alla squadra qualsiasi ricerca in quel senso, per evitare uno spreco di tempo e risorse. Maledetto borioso incompetente. Non capisce che sono proprio queste piccolezze a contare? Che di certo l’Organizzazione aveva messo in conto la possibilità che i file venissero rubati o sabotati e non avrà lasciato una confessione digitale salvata?
Tanto per distrarmi un po’, prendo il cellulare dalla borsa e chiamo Giulio, per sapere come va. Questa mattina è partito per tornare a casa qualche giorno, così da non far nascere sospetti e rispondere alle incessanti richieste di interviste. Visto che la pista dei file è a un punto morto, forse il libro è di nuovo l’unica speranza che abbiamo per scoprire qualche identità veramente grossa.
Comunque non ci sono novità nemmeno a casa, tranne che mia madre sta per organizzare un altro evento per beneficienza e non fa altro che chiedergli quando posso tornare a darle una mano. Povera mamma, non è abituata a una lontananza così prolungata. Ma è per il loro bene, anche, che resto qui. Se devono cercare di uccidermi, preferisco che succeda lontano dai miei genitori, che comunque sono stati messi sotto scorta della CIA, tanto per precauzione.
Già che ci sono chiamo anche Linda, che è in giro per Roma, scortata dal suo brillante agente, a fare qualche ricerca sul vescovo, zio di Giulio. Gli ultimi eventi mi avevano distratto ma è una cosa che devo assolutamente scoprire, possibilmente senza che Malone ficchi il suo naso.
- Finora ho trovato un sacco di gente a cui non piace ma nessun fatto certo – risponde, ma dal tono ho l’impressione che non possa dire molto altro a causa del bell’imbusto che si porta appresso, così la saluto. Dovrò comunque aspettare il suo ritorno, a quanto pare.
Sto per chiamare anche Juno, che è partito ieri per andare a prendere Nat ma alla fine cambio idea. Non vorrei interrompere la loro tregua, magari chiamo stasera, quando dovrebbero essere già all’aeroporto.
Il pensiero dell’aereo mi fa tornare in mente Alex. Ormai dovrebbe aver cominciato il processo. Come starà andando? Voglio sapere cosa ne sarà di lui ma non voglio chiamarlo. Forse dovrei chiedere a Malone di sapere qualcosa in più.
Torno nella stanza che ormai comincio ad odiare e cerco Malone, che però non sa dirmi molto. Il processo è cominciato ma ci vorrà un po’ prima che si arrivi al verdetto.
Finite le scuse per distrarmi, prendo di nuovo il mio posto vicino al mucchio di fogli ma in realtà li guardo senza vederli.
È da un po’ che mi è venuto un dubbio in mente. Perché hanno rapito Linda?
Alla fine non hanno fatto nessuna richiesta, è stata un’operazione inutile per loro. Che senso aveva perciò? Cosa volevano ottenere con la sua scomparsa? Informazioni? Ma se c’erano tutti quei microfoni in casa dovevano sapere che nessuno tranne Giulio e Alex sapeva di questa faccenda. Eppure ci deve essere una ragione.
Come sempre, Malone ha ignorato il mio dubbio, liquidandomi con un “forse si sono solo sbagliati tra lei e la sua amica”. Ma non appena si sono accorti dell’errore, perché non hanno ucciso Linda e cercato di prendere me?
Sono certa che c’è qualcosa che mi sfugge ma proprio non riesco a capire cosa, anche se un sospetto mi frulla per la testa. Possibile che sia una coincidenza il fatto che l’Organizzazione abbia rapito proprio Linda, che lavorava indirettamente contro di loro? Non i miei genitori, che di certo erano più probabilmente utili a un ricatto, ma la mia amica avvocato che lavora a un caso sulle MC.
Esco di nuovo fuori e chiamo di nuovo Linda, per spiegarle la mia idea. Possibile che nelle sue indagini si sia imbattuta in qualcosa di molto grosso che nemmeno lei ha collegato all’Organizzazione?
Sul momento non le viene niente in mente, però mi assicura che sta per rientrare e che ne parleremo al ritorno.
Rientro dentro, istintivamente certa di aver fatto centro. Ci siamo così tanto preoccupati per il suo salvataggio, che non ho avuto tempo di pensare al perché l’hanno fatto, troppo certa che la causa fossi io. Chiamatemi egocentrica.
Nel frattempo che arriva Linda, vado a mangiare qualcosa alla mensa dell’hotel, il che mi ricorda l’altro mio problema. Avevo pensato di risolvere la faccenda della cellula quando fossi tornata a casa ma per allora questa maledetta sanguisuga mi avrà fatto diventare una balena. Mangia più dell’hotel intero, completo di staff!
Ordino comunque degli spaghetti e un bicchiere di vino e mi siedo al tavolo, in attesa del mio pranzo. Mentre aspetto torno a pensare, cosa a cui sembra non ero più abituata.
Come si collega il vescovo Terenzio all’Organizzazione? Com’è possibile che Giulio non sappia chi è in realtà suo zio? E com’è possibile che sia una coincidenza il fatto che proprio Giulio avesse dei verbali dell’Organizzazione?
In tutto questo tempo non mi ha mai detto di preciso dove li ha trovati e il modo in cui li ha fatti arrivare a me è un po’ forzato, ha ragione Alex. Aveva un’intera squadra di ricercatori al suo fianco e ha chiesto a me di aiutarlo, dandomi gli originali per giunta, di un valore inestimabile per il suo libro.
Che in realtà sapesse dell’Organizzazione molto più di quanto mi abbia fatto credere? Forse ha trovato qualcosa a casa di suo zio che l’ha incuriosito e l’ha messo sulle tracce dell’Organizzazione. Forse proprio quei verbali.
Sì, forse questa ipotesi è la più convincente. Giulio va a far visita a suo zio che magari è in bagno o impegnato in un’altra stanza e mentre aspetta, sfoglia le carte sulla scrivania tanto per passare il tempo. Quindi trova dei fogli scritti in uno strano codice, che lui riconosce subito come un codice antico e per curiosità li legge e capisce che si tratta di una società segreta come quelle del suo libro, così le ruba prima che suo zio arrivi e…
Ma come fa suo zio a non accorgersi che mancano i fogli, una volta che il nipote è andato via?
Accidenti, questa storia è un rebus. Eppure Giulio… come posso pensare che sia un traditore? Giulio!
Finalmente vedo Linda aprire la porta, così la raggiungo e torniamo nella nostra stanza.
Le chiedo subito cos’ha scoperto sul vescovo Terenzio.
- E’ uno facile ai favoritismi e se può guadagnare da qualcosa, lo fa. Alcuni si sono anche fatti qualche domanda sulla sua carriera. Pare che sia stata più rapida e brillante di suo nipote.
- E nessuno sa perché?
- Sembra che conoscesse i fatti giusti sulle persone giuste. E secondo qualcuno la fonte potrebbe essere sua sorella deceduta, cioè la madre di Giulio, che lavorava in qualche importante ufficio tipo polizia.
- Ma niente che possa aiutarci a collegarlo all’Organizzazione – concludo, sconsolata.
Linda scuote le spalle, abbattuta anche lei. Speravamo di trovare qualche informazione in più così vicino alla Chiesa.
- Va bene, proveremo qualcos’altro. Riguardo invece al rapimento…
- Ci ho pensato mentre tornavo ma non so davvero cosa possa esserci sotto, Alexis.
- Prova a pensare, dev’esserci qualcosa che hai visto o sentito… - la incito, sedendomi sul letto.
Lei però scuote la testa incerta.
- Non avevo trovato niente di così eccezionale.
- Però hai trovato qualcosa che ti ha fatto mettere sotto copertura. Prima che ti rapissero stavi per partire.
- Sì ma non ha niente a che vedere con questa storia Alexis. Quello che ho trovato è una sostanza chimica, che viene usata nella produzione dei prodotti delle MC ma non viene menzionata tra gli ingredienti e che è la vera responsabile dei problemi della nostra cliente, tutto qui.
Mi mordo il labbro, rabbiosa. Sono sicura che c’è qualcosa che mi sfugge ma la componente di una crema non mi sembra collegata con l’Organizzazione.
- Forse allora il punto è come hai trovato questa sostanza. Una breccia nel loro sistema, una talpa, una…
- Degli appunti di un ricercatore delle MC, un tirocinante. Ero riuscita a contattarlo e prendere un appuntamento nello stabilimento dove lavorava ma poco prima dell’incontro ha avuto un infarto ed è morto. I familiari non sapevano cosa farsene dei suoi appunti e così…
Maledizione! Mi alzo e comincio a camminare per la stanza, nervosa. Più ne parlo più mi convinco che quello che cerco è proprio sotto i miei occhi ma non riesco a vederlo.
- Era una scoperta così compromettente? Avreste vinto di sicuro se l’aveste presentata in tribunale? – le domando, scoraggiata.
Linda annuisce convinta.
- Era una sostanza sintetica con livelli di tossicità incredibili e gli effetti possono essere devastanti. Era a base di una specie di proteina vegetale… non ricordo il nome scientifico…
Continuo a camminare, cercando di fare mente locale.
Linda scopre una sostanza chimica utilizzata nella composizione di una crema. La scopre da un tirocinante deceduto.
Cosa può aver spaventato l’Organizzazione al punto di rapirla? Forse il tirocinante sapeva più di quello che ha scoperto Linda. Forse voleva dirle qualcosa ma poi è morto e l’Organizzazione temeva che avesse già spifferato tutto a Linda…
Forse mi sto illudendo. Forse l’hanno fatto solo per rallentare la causa per la crema e il fatto che fossimo amiche è solo una coincidenza. Se avessero perso, sono sicura che avrebbero pagato un sacco di soldi.
Però vengono a casa mia, e loro sanno che è casa mia perché ci sono le telecamere da mesi, e non pensano di approfittarne e farmi fuori. La cosa non ha alcun senso.
- Linda, pensaci bene. Cosa voleva dirti all’appuntamento? Sei sicura che fosse solo riguardo quella sostanza?
- No, Alexis, era morto, mica potevo chiederglielo. Non so nemmeno se riguardasse l’utilizzo della sostanza, queste informazioni le ho rubate dai suoi appunti. Mi disse solo che c’era qualcosa di strano negli esperimenti che facevano per testare la crema, che c’erano strani effetti collaterali non previsti e che non voleva lavorare per una cosa che avrebbe potuto provocare danni alla salute di quella portata…
Di nuovo cerco di riflettere.
Lui non voleva causare danni di quella portata, a causa di una sostanza altamente tossica nella reale composizione di una crema. Ma perché parlare con un avvocato? Perché non denunciarli alla polizia? Forse perché quando si fosse saputo che aveva venduto i suoi datori avrebbe perso molte possibilità di lavoro, perché poche aziende sono davvero corrette in questi dettagli. E poi si metteva contro non un’azienda qualunque ma una delle più importanti a livello mondiale. Perché allora non limitarsi a licenziarsi?
Forse perché era una scoperta troppo sconvolgente per potersi licenziare come se niente fosse, forse i danni erano così grossi che era necessario denunciarli ma non voleva esporsi in prima persona. Così quando un avvocato lo contatta per un’altra denuncia già in corso…
All’improvviso un’ombra di idea comincia a strisciare nella mia testa, lentamente.
Una proteina vegetale.
Un elisir di potenza a partire da una pianta del Sud America.
Una scoperta così sconvolgente da aver paura di non potersi solo licenziare.
Altamente tossica, in grado di provocare danni di portata enormi…
E se…
- Linda, ricordi dov’era questo stabilimento?
- Ma certo, non era molto distante dalla città, sulla tangenziale, in direzione…
- Linda, non era la formula di una crema quella che aveva trovato. Non erano esperimenti su una crema. È il veleno, l’arma chimica. Quel tizio aveva scoperto gli esperimenti per l’arma chimica!
Più ci penso e più ha senso. Ecco cosa può spaventare un ricercatore a tal punto da rischiare di compromettere tutta la sua carriera e l’Organizzazione a rapire Linda. Ecco perché mi hanno lasciata in vita, volevano che pensassi che la causa ero io. Così mi sarei concentrata sulla storia dei quadri e nessuno avrebbe pensato al ricercatore morto.
Ne parlo ancora un po’ con Linda, che alla fine è d’accordo con me. È una possibilità piuttosto buona, vale la pena indagare. Ma non possiamo farlo da sole, di nascosto, visto che siamo a Roma. Dobbiamo parlarne a Malone. Lui potrà entrare lì alla luce del sole e farsi consegnare tutta la documentazione.
Scendiamo da Malone e gli spieghiamo tutta la faccenda. Come prevedevo è scettico e cerca di liquidarci per un bel po’ ma poi anche Juno e qualche agente si interessano al discorso e lui non può più ignorarci, perché se si sbagliasse tutti saprebbero che è stato lui a ignorare una buona pista, come gli faccio notare.
Alla fine riusciamo a convincerlo a fare almeno un tentativo.
In poche ore gli agenti hanno pronta sul tavolo una mappa dell’intera zona e, sorpresa sorpresa, il laboratorio dov’è andata Linda non compare sulla mappa ufficiale, è una struttura abusiva. Questo convince un po’ tutti che qualcosa sotto dev’esserci e inizia la procedura di messa a punto di un piano di azione. L’idea è di arrivare lì in forze, senza preavviso e con un mandato federale, quindi sguinzagliare gli agenti a tutti i livelli, anche quelli non autorizzati e vederci chiaro. Se non riguardo alla nostra storia, di certo troveremo qualcosa di interessante.
Alla fine della giornata è stato tutto preparato e l’operazione viene fissata a domani pomeriggio, perciò ne approfittiamo tutti per un po’ di necessario riposo.
Mi sento eccitata come la mattina di Natale, ho proprio bisogno di fare qualcosa di più che fissare qualche monitor.
Anche Linda è al settimo cielo, visto che verrà anche lei. Malone ha infatti ritenuto più sicuro portarcela dietro per essere certi di identificare la struttura giusta e anche per avere dei “testimoni” che è stato svolto tutto secondo le regole, anche se non sarà affatto vero.
Mentre aspetto che Linda esca dal bagno per scender a mangiare qualcosa insieme, chiamo Giulio e gli racconto la novità. Come immaginavo lui è felice quanto me, anche se dispiaciuto di non poter essere dei nostri e tremendamente preoccupato per me. Mi tiene al telefono più del previsto per convincermi a restare in hotel.
- Sei ancora troppo debole, non sappiamo nemmeno perché continui ad avere la nausea e le vertigini – insiste e mi sento una schifezza. Io so benissimo qual è la mia malattia, come so che non interferirà con la missione. Ma non posso dirglielo per telefono, così la butto sul bisogno di fare qualcosa di pratico e alla fine lui si arrende.
Chiudo la comunicazione appena prima che Linda venga fuori e insieme scendiamo verso il ristorante dell’hotel. Abbiamo bisogno di energie per domani.
Dopo aver ordinato mi viene in mente che alla fine non ho più chiamato Juno e che devo assolutamente avvertirlo di questo nuovo sviluppo, così compongo il numero e aspetto che risponda, ma il cellulare suona a vuoto. Imprecando contro la sua mania di lasciarlo in borsa col silenzioso inserito, provo a chiamare al numero di Nat, anche se è difficile che siano ancora a casa, ormai dovrebbero essere all’aeroporto.
A sorpresa invece, sento il clic della cornetta che viene alzata e saluto Nat, felice di poterle dare una bella notizia.
Ma, altra sorpresa, non è la voce di Nat quella dall’altra parte del telefono. È una voce maschile, che parla solo francese e non capisco una parola. Anzi in realtà capisco solo “police” il che mi blocca il respiro. Cosa sta succedendo?
Ignorando Linda che continua a chiedere cosa succede, corro da Malone, col cuore in gola, pregando che non sia successo niente di grave. Finalmente lo trovo e gli passo il telefono, incapace di spiccicare parola.
Senza capire, Malone avvicina il telefono all’orecchio e sentendo la voce francese comincia a parlare, mentre io lo fisso angosciata, di nuovo incapace di capire una sola parola.
Non dovrebbe esserci la polizia a casa sua. Non dovrebbe esserci nessuno a casa sua. Dovrebbero essere all’aeroporto, in attesa di salire sull’aereo. Non deve esserci la polizia!
Alla fine, quando credo che sverrò per mancanza di ossigeno, Malone chiude la comunicazione ma la sua faccia non promette niente di buono.
- Malone, mi dica cosa sta succedendo lì – lo imploro.
Senza rispondermi, Malone chiede ai suoi uomini una sedia e cerca di calmarmi, con un tono accondiscendente che mi fa diventare ancora più isterica.
Pronta al peggio, comincio a urlare a Malone che voglio sapere cosa succede. Intanto anche Linda mi ha raggiunto e a sua volta cerca di capire cosa sta succedendo.
Quando finalmente arriva la sedia Malone, aiutato da Linda, mi fanno sedere di forza, quindi Malone comincia a parlare.
- Era un agente di polizia quello con cui ho parlato.
Improvvisamente non voglio più sentire niente, non voglio che continui perché so cosa sta per dire. Un incidente, un’esplosione, come i miei genitori. Un attacco, li hanno trovati morti entrambi. Non voglio, non posso sentire…
- …un esplosione e… Alexis, non ci sono superstiti – conclude Malone.
Non ho capito niente del suo discorso ma non ci sono superstiti a casa di Nat.
- Ma è normale, loro sono all’aeroporto, sono già lì, l’aereo sta per partire! – gli ricordo e il tono isterico della mia voce non mi piace per niente.
- No Alexis. Non sono mai arrivati all’aeroporto. Mi dispiace.
Voglio fargli capire che non è possibile, voglio spiegargli che di certo, se controllano li trovano lì, sono già sull’aereo e forse è per quello che Juno non risponde ma in realtà non riesco a dire niente perché la testa prende a girarmi troppo forte e mi sento debole, troppo debole per parlare…
Quando mi sveglio sono su un letto dell’hotel, il mio immagino, con una flebo attaccata al braccio e due agenti che mi sorvegliano di fronte a me.
Non appena provo a muovermi uno dei due mi si avvicina e controlla il battito. Idiota, se mi muovo sono viva, no?
L’altro invece dice qualcosa in una specie di radiolina.
- Cos’è successo? – domando all’agente che continua a palparmi qua e là.
- E’ svenuta, signorina. Niente di preoccupante.
Svenuta? Perché? Quando?
Prima che possa fargli anche una sola di queste domande però la mia mente si sveglia del tutto e ricordo. La telefonata. Juno e Nat. Malone che parla con la polizia, poi dice esplosione e nessun superstite.
Juno e Nat. Nessun superstite.
Chiudo gli occhi, cercando di controllare il respiro che si sta facendo di nuovo troppo rapido e superficiale, mentre copiose lacrime prendono a colarmi per le guance.
Non può essere, non è possibile. Non Juno, lui è indistruttibile, è troppo furbo per loro. Non può essergli successo niente. Non a Juno.
- Alexis, tesoro, guardami.
La voce di Linda sembra lontana ma sento la sua mano stringere la mia, perciò dev’essere in realtà vicino al letto. Comunque non apro gli occhi e continuo a concentrarmi sulla respirazione. Non può essere successo niente a Juno. Lui è sempre preparato, è per quello che l’abbiamo mandato da solo a prendere Nat, perché lui non si fa mai cogliere di sorpresa. Tranne quella volta che l’hanno sparato ma era diverso, ora era attento e doveva andare da Nat per fare pace e non possono essere morti.
Intanto qualcuno mi toglie l’ago dal braccio e mi mette un cerotto con l’ovatta, di quelli che fanno malissimo quando devi toglierli.
- Alexis, so che è difficile ma devi cercare di riprenderti. Per favore tesoro, cerca di calmarti…
- Dimmi che Juno sta bene, Linda, dimmi che sono sull’aereo e che arriveranno tra poche ore…
Non mi piace il tono piagnucoloso della mia voce ma non riesco a controllarmi. Anche le mani mi tremano leggermente e il naso mi cola. Non devo essere un bello spettacolo, quando mi vedrà Juno mi sgriderà perché non è così che si comportano i soldati. Juno…
- Mi dispiace tanto, tesoro. C’è stata un’esplosione alla villa… hanno ritrovato tre… tutti e tre erano in casa quando…
Non riesco a trattenere un grido, un grido orribile, straziante, che mi fa bruciare la gola. Non a Juno! Non a lui!
Linda mi abbraccia e io mi aggrappo a lei, piangendo come non ricordo di aver mai fatto, fino a che i singhiozzi mi tagliano il respiro. Non può essere successo a Juno.
- Doveva andare da Nat e fare pace perché loro si amavano però poi lei era sposata con Jean e si erano allontanati e quindi ora che è morto Jean…
Mi rendo conto di parlare a vanvera, senza nessun senso, troppo veloce perché chiunque possa capire qualcosa, ma io devo spiegare perché non possono essere morti. Loro si amavano e ora possono finalmente stare insieme. Non possono essere morti.
Non so per quanto tempo ho pianto, ma di certo Linda non mi ha mollato un attimo e ha pianto anche lei insieme a me, mentre gli agenti guardano altrove, imbarazzati. Loro non piangono perché non hanno conosciuto Juno e non sanno che non doveva morire così… non doveva morire e basta!
Alla fine mi addormento e quando mi sveglio sono sola nella mia stanza, tranne un agente semi addormentato sulla sedia davanti al mio letto. Non appena mi muovo anche lui si riscuote.
- Dove sono tutti? – gli domando, con la voce così roca e flebile da essere irriconoscibile.
- L’operazione è cominciata da un bel po’, ormai, signorina. Se vuole la accompagno nella sala, così potrà seguire dal monitor.
Ci penso un po’ su ma alla fine annuisco e mi metto in piedi. In realtà la cosa è un po’ difficile perché mi sento debole come se le mie ossa fossero diventate di gelatina. Per fortuna l’agente deve accorgersene perché mi sorregge per un braccio per tutto il tragitto fino alla sala e mi fa accomodare su una sedia, davanti a uno dei monitor principali.
Dalle immagini capisco che non sono ancora arrivati al laboratorio perché il gruppo avanza a passo lento ma sicuro verso un gruppo di costruzioni grigie dall’aspetto asettico e scialbo.
- E’ sulla destra, vicino a una specie di vasca puzzolente – dice intanto la voce di Linda da uno degli altoparlanti, e tutto il gruppo si sposta in quella direzione. Nello schermo la vedo camminare lentamente poco dietro Malone, circondata da altri due agenti.
Inconsciamente, cerco tra quei soldati tutti uguali Juno, ricordo la sera in cui abbiamo guardato da questi stessi monitor la missione nel covo con i computer e di nuovo non riesco a fermare le lacrime. Ma sono troppo stanca e stordita per piangere sul serio, così continuo a guardare attraverso le lacrime, senza la forza di asciugarmi gli occhi.
Dopo poco il gruppo arriva davanti a una grande porta a vetri opachi, che non permettono di vedere l’interno e vedo Malone voltarsi verso qualcuno fuori campo e fargli segno di raggiungerlo, poi un tizio allampanato con un camice da dottore gli si affianca e apre la porta con un mazzo di chiavi, quindi si fa di lato per far passare la squadra.
Entrano in un lungo corridoio, largo quanto un’autostrada, con una miriade di porte chiuse sui lati. Malone impartisce agli uomini di aprirle una a una, mentre si mette vicino a Linda e al tizio col camice da dottore.
Ogni volta che uno degli agenti esce da una porta, scuote la testa, per indicare che non ha trovato niente e si prosegue fino all’ultima. Ad ogni testa scossa nella nostra stanza si sente un lieve brusio di delusione, anche se siamo appena all’inizio.
Intanto, le porte vengono controllate una ad una senza nessun risultato, mentre Linda dice qualcosa al tizio col camice. Qualcosa che però non riesco a capire perché nel momento in cui un agente, O’Malley mi pare che si chiami, apre l’ultima porta si sente un fischio acutissimo e poi un boato. Poi gli schermi si riempiono di puntini bianchi e neri.
- Che sta succedendo? Che succede?
Le domande prendono a rimbalzare nella stanza da una voce all’altra, mentre tutto intorno a me pare prendere vita e muoversi freneticamente Anche i computer e le sedie e il boiler dell’acqua sembrano trovare qualcosa da fare per capire cos’è successo.
Tutti tranne me, che resto ferma sulla sedia, continuando a lacrimare immobile, mentre il mio cervello rifiuta di elaborare quello che è successo, di dare un senso a quella frenesia e quei puntini bianchi e neri.
- Deve essere esploso qualcosa! – dice uno.
- Non riesco a ripristinare il segnale – dice un altro.
- Tutte le trasmittenti sono fuori uso – dice un altro ancora.
Ma io li sento appena.
I rumori, le voci degli agenti nella stanza, i crepitii dei microfoni ormai inservibili, tutto mi suona ovattato, come se fossi sott’acqua e anche i miei pensieri sembrano bolle di sapone, prive di reale consistenza. Sono scollegati tra loro, appaiono e scompaiono subito.
Alcuni riguardano Juno. Che è morto. In un’esplosione.
Altri cercano di capire cosa succede nella stanza.
Altri dicono che anche Linda e Malone sono appena morti.

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Capitolo 26
*** Sulla buona strada ***


I giorni a seguire li ricordo come se fossero un vecchio film, o una storia che mi è stata raccontata da bambina. Ricordo che piangevo, piangevo tantissimo, che mangiavo poco e dormivo ancora meno. Ricordo Giulio che cerca di convincermi a fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ricordo la polizia che ci ha interrogati per capire cosa stesse succedendo e i dottori che mi hanno visitato.
Anche loro hanno scoperto del bambino e mi hanno fatto prendere un sacco di medicine per far stare bene il bambino, perché dicono che sono troppo stressata e che il bambino potrebbe avere delle brutte conseguenze. Ho cercato di spiegargli che non è un bambino, che è solo una cellula e che presto non sarà più nemmeno quello ma loro non mi hanno ascoltato e discutere era troppo faticoso così ho fatto come dicevano senza troppa resistenza. Gli ho solo chiesto di non dire niente a Giulio e loro sembrano aver accettato almeno questa richiesta.
Ricordo che mia madre telefonava in continuazione e che ci parlavo per rassicurarla, ricordo che un sacco di gente voleva i video di tutto il lavoro e che gli agenti di Malone hanno coperto tutto con una maestria da oscar.
Ricordo che leggevo i giornali e non trovavo che pochi accenni alla vicenda e anche se sapevo che erano stati gli uomini di Malone a far passare l’intera storia inosservata, io mi arrabbiavo lo stesso e poi scoppiavo di nuovo a piangere.
Juno e Nat erano morti, non avrebbero più potuto amarsi. Linda era morta, non avrebbe più potuto diventare un brillante avvocato, non avrebbe più potuto occuparsi del caso delle MC né di nessun altro caso, anche Malone era morto e non avrebbe più potuto prendersi il merito di quell’operazione, né trovare Yvonne.
Tutti loro erano morti e io non avrei più potuto vederli, salutarli, parlargli, litigare con loro. Non avrei più potuto allenarmi con Juno, non lo avrei più aiutato a pulire le armi, non dovevo più continuare a fingere che Patricia fosse viva per assicurargli una copertura. Non avrei più potuto ascoltare la sua storia con Nat, anche se l’avevo sentita appena una volta. Non avrei più potuto confidarmi con lui, non avrei più potuto cercare di convincerlo a modernizzarsi anche oltre la nostra missione, che ormai era soltanto la mia missione.
Non avrei più sentito le storie assurde di Linda, non le avrei più criticato il nuovo fidanzato stupido, non l’avrei più rimproverata per i suoi commenti osceni sui nostri conoscenti, non avremmo più fatto shopping insieme.
Una serie così lunga di mai più da essere infinita e i giornali parlavano appena di un’esplosione. Quarantotto vittime. Niente nomi, niente elogi commoventi. Solo un numero e una foto deprimente. Linda si sarebbe infuriata come il diavolo se avesse saputo che quello era il comunicato della sua morte.
Ma alla fine mi sono ripresa. Non del tutto, nemmeno lontanamente, ma ho ricominciato a mangiare e passo più tempo con gli occhi asciutti che bagnati. Anche la mia voce è tornata quasi normale.
Mi sono ripresa al punto da scendere di nuovo nella sala dei computer, nonostante starci dentro mi provochi attacchi di panico praticamente continui. Perché il lavoro deve continuare, non possiamo fermarci ora. Dobbiamo continuare per Juno, Nat, Linda e Malone e quelli che prima di loro hanno perso la vita per questa storia assurda.
Così sono scesa e ho parlato con gli agenti di Malone, che al contrario di me hanno continuato a lavorare senza fermarsi un attimo. Mi sono fatta un’idea di quello che hanno fatto in quest’ultima settimana, che comunque non è molto, e ho scoperto che siamo di nuovo sostanzialmente soli. Dopo la morte di Malone, infatti, la CIA ha revocato l’autorizzazione ufficiale all’operazione, permettendoci però di utilizzare le risorse che abbiamo già, cioè i tecnici e i computer.
- Abbiamo trovato alcuni nomi che riteniamo essere quelli veri – mi informa un agente, scartabellando un mucchio di fogli in una cartellina – e credo di aver trovato anche qualcos’altro.
Questa sì che è una buona notizia! Quanto vorrei che anche gli altri potessero averla sentita!
- Abbiamo quindi decrittato…
- No, i file sono ancora crittati. Ho svolto però una ricerca incrociata tra i dati che avevamo già messo in chiaro partendo dalla sostanza che aveva trovato la sua amica e ho scoperto che ci sono molti file su una pianta che cresce nel Sud America e rimandano tutti ad altri documenti, tutti di altissima protezione. Forse è l’origine di quella sostanza.
Mi congratulo con lui e cerco di fare mente locale. È una scoperta enorme, anche se non proprio certa. Almeno è qualcosa, fino a che quei file non saranno leggibili.
- Facciamo qualche ricerca su questa pianta allora, dove se la procurano, a cosa può servire…
Il tipo annuisce e si piazza di nuovo davanti a uno degli schermi dei computer, lasciandomi un po’ stranita. Non sono abituata a vedere eseguire i miei ordini. Di solito era Juno a dare ordini a me e se mi veniva un’idea me la sbrigavo da sola. Quando mi sono occupata di Alex e Giulio poi… be’, non si può certo dire che eseguissero i miei ordini. Ogni mossa era più che altro un dibattito in parlamento, con mille rinvii ed emendamenti.
Mi avvicino a un altro dei ragazzi e mi aggiorno anche sulla questione decrittazione, cercando di seguire il complicato discorso del tecnico, ma è chiaro che siamo piuttosto lontani dalla soluzione. Comunque non mi scoraggio. Ho perso quattro delle persone più importanti, non è che ho molto da perdere ormai.
Mentre parlo ancora con l’agente esperto di codici informatici, un altro agente, un con la faccia da ragazzino di cui proprio non riesco a ricordare il nome e che ho mentalmente ribattezzato Lentiggini, mi si avvicina e mi chiede di parlare. Ci allontaniamo un po’ dagli altri, abbastanza perché nessuno ascolti la conversazione, poi mi porge dei cd con un’aria che definirei imbarazzata.
- Durante l’analisi dei file ho trovato delle immagini, le ho ricomposte e unificate in un filmato e… sono registrazioni di casa sua. Credo che siano i filmati delle telecamere nascoste. Forse vorrebbe vederli per prima.
Prendo i cd e li tengo per un po’ nelle mani, senza dire niente. Se mi fossi accorta prima delle telecamere, se già d allora avessi fatto delle indagini ora forse… ma è inutile piangersi addosso, per ora, Juno lo diceva sempre.
Prima finisci il lavoro e poi rimpiangi le scelte che hai fatto.
Ringrazio Lentiggini e mi allontano per mettere i nastri nella borsa. Non posso guardarli ora, sapendo che ci vedrò Linda dentro e comunque non credo che ci sarà qualcosa di utile. So benissimo cos’è successo a casa mia.
Torno vicino all’agente che ha isolato le varie piante e mi faccio spiegare un po’ come intende muoversi, ma non capisco gran che del suo discorso. Tutto sommato comunque credo che abbia fatto del suo meglio.
- E’ bello rivederti qui intorno. Questa stanza sembrava vuota senza di te – mi saluta Giulio, entrando nella stanza.
Gli sorrido con aria scettica, lanciando uno sguardo eloquente alla stanza ingombra di uomini e apparecchiature.
- Sono davvero ingrassata a tal punto? – lo canzono e lui sorride e mi fa segno di un po’ con la mano, facendomi ridere.
- E’ bello vederti ridere – mi sussurra, abbracciandomi, dopo essersi avvicinato.
- Non cominciare con i discorsi melensi, perché sennò torno in camera – lo avverto rispondendo all’abbraccio. Non voglio ricominciare a piangere come una fontana.
- Come vuoi. Ti hanno già aggiornata?
- Sì, per quel poco che c’era da aggiornarmi – rispondo tetra. L’idea che in una settimana abbiamo fatto così poco mentre loro hanno ucciso quattro dei nostri in una sola giornata è frustrante.
- Consolati, ho delle buone notizie per te. Credo di aver trovato come decrittare i file.
Per poco non mi metto a saltare dalla gioia.
- Dici sul serio?
- Non ne sono certo ma mi è venuta un’idea guardando un programma assolutamente idiota in tv. È così stupido da essere geniale.
Mentre parla mi trascina vicino al computer principale, dove un agente sta digitando sui tasti alla velocità della luce.
- Vedi, Lucas mi ha fatto notare che ogni tentativo di decrittarli fallisce perché il sistema trova sempre caratteri non identificati e non riesce a ricomporre la parola.
Si ferma qualche secondo, forse cercando le parole adatte a spiegarlo anche a me, che non devo avere un’aria molto sveglia, in effetti.
- Hai mai parlato il farfallese? – mi domanda poi, lasciandomi di stucco.
- Che razza di lingua sarebbe?
- Ma come? Che razza di giochi facevi da bambina?
- Imparavo a sparare con gli occhi chiuso, disinfettare ferite senza i prodotti adatti, cose così…
Lui mi fissa disgustato per qualche secondo, poi scuote la testa e cerca di spiegarmi.
- Il farfallese è un linguaggio che usano spesso i bambini. Il trucco è inserire tra una sillaba e l’altra di ogni parola una “f” e l’ultima vocale.
Dalla mia faccia deve capire che sono un po’ confusa perché si guarda intorno alla ricerca di altre parole.
- Per esempio Alexis diventa A-fa-le-fe-xis-fi. Giulio diventa Giu-fu-lio-fo. Capito?
Annuisco più convinta, ho capito il meccanismo.
- Il gioco deriva in realtà da un antico trucco romano per parlare in codice. Veniva usato da società segrete che tramavano contro il regnante di turno. Ti fa pensare a niente?
- Il sistema di crittazione potrebbe usare lo stesso trucco! Inserisce delle lettere a caso e il sistema non riconosce la parola!
Giulio annuisce soddisfatto, col sorriso che gli illumina il viso. Io non sto più nella pelle, vorrei coprirlo di baci. Non ci sarei mai arrivata. Sempre se la soluzione è davvero questa.
Senza perdere tempo cerchiamo un agente in grado di dare istruzioni al sistema e gli spieghiamo l’intuizione di Giulio. L’agente sembra abbastanza convinto ma ci avverte che potrebbe risultare un processo estremamente lungo, visto che non sappiamo che simbolo abbiano intercalato, né se sono più di uno o se è un’altra lingua.
- Prova ugualmente, per favore. Tanto non è che così cambi molto – lo prega Giulio e il ragazzo si mette all’opera.
Ti prego, Dio, fa che abbia indovinato. Deve essere così, non abbiamo più tempo per pensare altre soluzioni.
Restiamo per un po’ a fissare il monitor, sperando in qualche segno di vittoria ma dopo più di un’ora la scritta di processo in corso è ancora identica e sento la schiena stridere, così vado a prendere un po’ d’aria, seguita a ruota da Giulio.
Usciamo all’entrata dell’hotel, dove grosse fontane zampillanti danno un’impressione di fresco nell’afa improvvisa che è calata sulla città, e mi siedo su una delle panchine disseminate nel piccolo giardino che circonda le fontane.
- Ora che siamo solo noi… come ti senti? – mi domanda Giulio, dopo un po’ di silenzio.
Non mi va molto di parlarne ancora, ma non voglio trattarlo male, dopo quello che ha fatto per me in questi giorni.
- Uno schifo. Mi aspetto ancora di vederli rientrare da un momento all’altro. O che chiamino al telefono o che… - non termino la frase, perché la voce si è incrinata e ho bisogno di respirare per impedirmi di piangere ancora.
- E’ normale, ci vorrà un po’ per abituarci. Ma passerà, vedrai.
Gli sorrido appena, sentendomi di nuovo come il personaggio di un film di serie B.
- Il fatto è che non riesco a capire. Come potevano sapere di Nat? È stata nascosta finora, non l’avevano mai trovata!
Lui ci pensa su per qualche minuto.
- Non potrebbe essere a causa del funerale di Jean? Dovranno pure aver celebrato qualche rito, forse l’hanno seguita…
- Questo vuol dire che sapevano che era in quel maledetto paese francese e questo è comunque impossibile. E poi perché adesso? Se sapevano dove abitavano, perché aspettare finora?
Giulio si limita a scuotere le spalle, giustamente ignaro della risposta. Eppure ho bisogno di capire.
- E come facevano a sapere che Malone e Linda sarebbero stati lì? Nessuno sapeva di quell’operazione, tranne noi e la squadra di Malone. C’è una spia, necessariamente. Ma chi? Perché ha aspettato finora? Perché non colpire questo hotel e farci fuori tutti, me compresa?
Lo so che è egoistico da parte mia, forse, pensare che l’intera faccenda ruoti attorno a me ma non riesco a non pensare che comunque io sono la testimone più scomoda in assoluto per l’Organizzazione, quindi non ha senso uccidere Linda per una cosa che forse sapeva e lasciare in vita me che invece so di sicuro.
- Dimentichi che dovevi esserci anche tu in quell’operazione, sei mancata solo per via di Juno. Forse gli è solo andata male.
Sì, è vero, avrei dovuto esserci anch’io. Avrei dovuto morire lì con loro, in fondo questa è la mia storia, la mia missione. Perché loro sono morti al posto mio?
Non riesco più a impedirmi di piangere e Giulio si siede accanto a me e mi abbraccia. Continuo a chiedere anche a lui perché non sono morta insieme a loro ma lui non risponde e mi accarezza la testa, stringendomi fino quasi a togliermi il respiro.
Quando finalmente mi sono calmata un po’ allenta un pochino la presa.
- Ora basta con queste assurdità. Tu non sei morta perché altrimenti sarei morto anche io, che non posso stare senza di te e lo stesso vale per i tuoi genitori e tutti gli altri. Tu sei ancora viva perché sei troppo importante per perderti.
- Anche Linda e Juno lo erano, erano importanti… - piagnucolo, senza staccarmi da lui.
- Da morire, se mi permetti il gioco di parole. Erano importanti perché tu arrivassi a questo punto, perché fossi quella che sei e riuscissi a salvare altre centinaia di migliaia di persone.
Non rispondo e continuo a stringermi a lui. Quello che dice è un po’ senza senso ma mi fa lo stesso piacere sentirlo, è un po’ come un balsamo, non fosse altro che per la sua voce dolce.
- E se la mettiamo così, allora è anche colpa mia, che ho fatto di tutto per convincerti a restare qui, ricordi?
Alzo leggermente la testa per replicare ma alla fine non dico nulla e mi riappoggio alla sua spalla. Ha ragione, inutile commiserarsi. Non è così che Juno vorrebbe che reagissi. E nemmeno Linda.
Però resto lo stesso abbracciata ancora a Giulio, fino a che anche il respiro torna normale, poi mi rialzo lentamente.
- Mi dispiace. Devi pensare che sono una piagnucolona – mi scuso, cercando un fazzoletto pulito nella tasca.
- Un po’ ma sei tremendamente sexy quando piangi – mi canzona, porgendomi il suo fazzoletto.
Mi asciugo le lacrime ridendo. È davvero uno scemo.
- Ti amo, Giulio. So che sono un disastro di innamorata, ma credo davvero di amarti – dico quando ho finito di ripiegare il fazzoletto, d’impulso.
Lui non risponde subito, sorpreso quanto me dalla mia inaspettata dichiarazione e poi sorride, il sorriso che mi piace così tanto, luminoso e contagioso come nessun altro.
- Lo so, tesoro, lo so. E comunque ti conviene, visto che sono rimasto solo io – scherza e io rido di nuovo.
- Potrei sempre partire per l’America, sai? – lo punzecchio e lui mi lancia un’occhiataccia che mi fa sorridere.
- Quindi verrai in Francia con me? – mi domanda poi, dopo qualche momento.
- No, non ancora. Mi dispiace, ma devo prima chiudere questa faccenda e poi vedremo. Puoi aspettare?
Lui annuisce serio.
- Tutto il tempo che vuoi. Ma poi non lamentarti degli acciacchi mentre cerchiamo di avere un figlio.
Scoppio a ridere per quanto mi sembri assurdo in questo momento pensare a un matrimonio e dei figli insieme, a Parigi, ma poi un pensiero mi fa morire il sorriso sulle labbra.
Il bambino, non sa ancora del bambino.
E non posso dirgli che lo amo senza che sappia che sono incinta di un altro.
Cerco di prendere coraggio, visto che non credo che avremo un momento migliore di questo, e mi volto verso di lui per dirgli tutta la verità ma proprio in quel momento il suo cellulare squilla e lui risponde.
- Era Lucas, l’agente del computer. Ci sono delle novità – mi avverte e mi porge una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Maledizione, era un momento perfetto. Ma devo sapere le novità, al momento è più importante. E comunque forse è destino che io non glielo dica, ogni volta ne succede una.
Raggiungiamo a passo svelto la saletta e ci avviciniamo al computer principale. Noto che su molti altri schermi è ancora presente la scritta di “processo in corso” ma su quello centrale c’è qualcos’altro. Richiesta password, dice.
- Dannazione! E questo cosa vuol dire?
- Che non abbiamo la parola d’ordine ma ci stiamo già lavorando. Invece guardate qui.
L’agente ci indica un altro schermo, più piccolo, poco distante da quello principale.
Sullo schermo ci sono diverse finestre verdi aperte, piene di codici e numeri, molto in stile Matrix.
- Che cos’è quello? – domando, visto che lui non sembra intenzionato a parlare.
- Sono alcuni file decrittati. Non sono ancora stati ricomposti, per questo sembrano ancora numeri. Però alcuni di quelli li abbiamo analizzati e…
Porge un foglio a me e uno a Giulio e ci indica alcune righe che ha evidenziato con un colore giallo piuttosto brutto.
- Sono degli indirizzi. A cosa corrispondono?
- A niente, almeno ufficialmente. Ma ho chiesto una mappatura della zona e ci sono delle costruzioni abusive. Il proprietario è un certo…
Controlla tra le altre carte sparse sulla scrivania.
- Massimo Salingeri.
Cerco di pensare se l’ho già sentito ma non mi viene in mente niente. Non mi dice niente.
- E’ un religioso, vero? – domanda Giulio, pensoso.
- Sì, un parroco di paese. Il che ci è parso un po’ strano.
- Come lo conosci? – gli domando, anche se credo di conoscere già la risposta.
- E’ un nome che ho già sentito da mio zio, il vescovo, ricordi?
E come potrei dimenticarlo? Comunque questa è la prova ufficiale che Giulio non sa del coinvolgimento dello zio, altrimenti non lo avrebbe collegato così facilmente, no?
- Ricordo che c’era un periodo che lo nominava sempre perché gli stava dando numerosi problemi. Qualcosa a che fare con dei soldi che sparivano – spiega Giulio, sempre con la stessa aria confusa.
- Non posso credere che… quei soldi finivano nella mani dell’Organizzazione, vero? – domanda a nessuno in particolare.
Gli metto una mano sulla spalla, per confortarlo, ma intanto penso a come reagirà quando scoprirà di suo zio. Se cominciamo a scoprire qualche nome, di certo presto salterà fuori anche il suo. Vorrei tanto risparmiargli questo brutto colpo ma non so come.
- Volevo sapere come pensa di muoversi – mi informa l’agente. Devo assolutamente imparare i loro nomi.
Sulle prime non rispondo. In pratica mi sta chiedendo di prendere il comando dell’operazione. Ma non so se sono pronta per questo. Voglio assolutamente vendicare Juno, Linda e gli altri ma finora non ho fatto un buon lavoro come stratega, mi pare.
Giulio forse comprende il motivo della mia esitazione e mi stringe il braccio.
- Abbiamo bisogno di qualcuno che decida per tutti o non combineremo niente e tu sei la più adatta – mi sussurra.
- Chiedilo a.. – non riesco nemmeno a pronunciare i loro nomi. Sono stata io a coinvolgerli.
- Loro risponderebbero esattamente così. Juno ti ha preparata per questo.
Sentire il suo nome è come una stilettata in pieno cuore ma mi sforzo di rimanere calma. Non so se voglio essere di nuovo il “capo” ma di certo voglio mantenere ancora un briciolo di dignità.
- Andiamo Alexis. Tu sei la persona più adatta e se dovessi fare qualche fesseria, ti avvertiremo noi – insiste.
- Ne abbiamo parlato in questi giorni signorina – interviene l’agente, che finora è stato zitto a guardarci – e abbiamo concluso che è la soluzione più logica. Lei è la persona che conosce meglio l’intera storia e che sa meglio come muoversi. E comunque noi siamo solo dei tecnici, nessuno di noi saprebbe condurre un’operazione.
Li guardo entrambi, indecisa. Ha ragione, io conosco i miei nemici e so meglio di tutti quello che abbiamo raccolto finora e così potrei seguire anche qualche idea che era rimasta un po’ in disparte, non ultimo scoprire cosa centra Terenzio in questa storia.
Alla fine annuisco e Giulio mi sorride felice, mentre l’agente accenna appena un movimento delle labbra che però interpreto ugualmente come un segno di apprezzamento. Fra tutte le capacità speciali, la CIA deve aver dimenticato di insegnare a sorridere a questi poveri ragazzi.
- Bene, ora ripeto, come ci muoviamo?
Ci rifletto un po’ su. Cosa farebbe Juno se fosse al mio posto?
- Possiamo intercettare le sue comunicazioni senza che ci scopra? – domando alla fine.
Lui sorride, un sorriso vero stavolta.
- Siamo la CIA, signorina.
- E io sono Alexis, non signorina. È un ordine.
Lui annuisce con un altro tremolio della bocca.
- Cerchiamo di scoprire per chi fa il prestanome o perché non dichiara di avere degli stabili. E a cosa servono quelle costruzioni. Le costruzioni abusive sono una mania da queste parti – ironizzo.
- Se qualcuno se ne accorge sarà violazione della privacy senza un mandato – mi avverte l’agente.
- Le assicuro che ho fatto di peggio per cui arrestarmi.
- E poi?
- Controlliamo i suoi conti per vedere se riceve dei fondi, scopriamo con chi ha più spesso contatti delle sfere alte. Tutti i membri dell’Organizzazione che ci interessano sono ricchi e potenti, non lo dimenticate.
Lui annuisce e va a dare indicazioni agli altri ragazzi.
- Bravo il mio capitano – mi sorride Giulio, stringendomi la mano e io rispondo al suo sorriso. Non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che ha fatto per me in questi giorni.
- Speriamo di non fare una strage – replico, con un tono un po’ troppo fatalista.
- Comunque, organizza un incontro con tuo zio. Se lo conosce, forse può dirci qualcosa di utile – propongo, improvvisando. In realtà mi interessa di più cogliere l’occasione per vedere questo misterioso vescovo.
- Non sarà facile ma ci proverò – mi assicura Giulio, tranquillo.
Come farò a dirgli la verità sullo zio?
- E se scopriamo qualcosa? Cosa intendi fare? – mi domanda poi in tono serio.
- Seguire a ritroso fino a che non troviamo quello che ci interessa. Ricorda che non sappiamo ancora come incastrare il nostro simpatico Cardinale.
Questo è il problema. Se tutte le prove che Drake ha raccolto portavano a Jean invece che al fratello cattivo, temo che anche tutte quelle che troveremo avranno lo stesso trucchetto. L’unico modo per incastrarlo è coglierlo con le mani nel sacco oppure costringere qualcuno dei suoi a denunciarlo.
- Ora mi allontano per fare qualche telefonata, i miei collaboratori aspettano – mi avverte, mentre mi da un bacio sulla guancia.
Lo guardo uscire dalla stanza, con la gola stretta. Improvvisamente mi è venuto un pensiero orribile.
E se gli succedesse qualcosa? Non posso perdere anche Giulio.
Mi volto verso uno degli agenti e richiamo la sua attenzione.
- Posso chiedervi un favore di cui Giulio non deve sapere niente?
- Certo capo.
Sorrido nel sentirmi chiamare così ma faccio finta di niente.
- Devi cercare tutto quello che puoi su questo nome.
Gli scrivo il nome di Terenzio su un pezzetto di carta che ho preso dal tavolo.
- Credo che sia collegato all’Organizzazione ma è un parente stretto di Giulio e non voglio che cerchi di coprirlo.
Lui annuisce senza fare una piega. Per fortuna non gli sembra strano che io agisca alle spalle della persona che più mi è stata accanto in questi giorno. Dovrei imparare da lui, credo.
- E sarebbe possibile tenerlo d’occhio? So che può sembrare un po’ stupido ma lui è un professore e non spara nemmeno alle bottiglie, se mi capisce…
L’agente annuisce di nuovo, molto professionale. Che bello avere a che fare con gente che non sta a chiedere sempre perché e per come, come dice mio padre. Alex era l’unico rompiscatole della CIA?
E comunque, osservando l’efficiente squadra al lavoro mi domando chi di loro sia la spia. Perché come ho detto a Giulio, nessuno sapeva dell’operazione tranne quelli che sono in questa stanza.
Solo che nessuno ha un segnale che lo identifichi come spia, nessuna scritta al neon sulla testa, nessun cartello sulla schiena… nemmeno qualche tatuaggio come si vede nei film. E sono tutti abituati agli interrogatori. Non sarà affatto facile scoprire chi è la talpa.
- Eccomi qui, lavoro terminato. Che hai da fare stasera? – mi domanda Giulio, di nuovo alle mie spalle.
- Niente di particolare al momento. Perché, hai qualche suggerimento?
- Sì. Ho trovato un localino cinese che cucina da Dio e già che ci siamo potrei farti vedere qualcosa di Roma. Di sera è magnifica.
- Non lo so. Giulio. C’è tutto questo lavoro da fare ancora e poi Juno e Linda…
Come può pensare che possa divertirmi quando i miei migliori amici sono morti da appena una settimana? Per colpa mia?
- Proprio per questo credo che dovresti uscire un po’. Guardati, Alexis, sei uno straccio. Non esci dall’hotel da quanto? Un mese?
Il tono accondiscendente non mi piace per niente ma non replico perché so che in teoria ha ragione. Non metto fuori da questo palazzo da troppo tempo. Ma non posso farlo, non ancora.
- Andiamo… una cena veloce, passeggiatina rapida e torniamo. Prometto di non farti ridere neanche un po’, così non ti senti in colpa.
Ovviamente già l’idea di noi due che ceniamo in un silenzio tetro e con le facce scure adatte a una commemorazione funebre mi fa ridere e gli lancio un’occhiataccia, ma lui ovviamente sta sorridendo in un modo che lo fa sembrare molto mascalzone. E anche molto affascinante.
- Vada per la cena, se mangio ancora spaghetti do di matto. E niente risate – lo avverto, col dito puntato ma ridendo.
- Ogni suo desiderio è un ordine. Sarò una compagnia odiosa stasera.
Per un momento mi chiedo cosa pensino gli agenti che ci stanno ascoltando. Non mi meraviglierei se al nostro ritorno dopo la triste cena trovassimo due psichiatri con la camicia di forza già pronta, il che mi fa vergognare un po’. fino a pochi mesi fa non avrei assolutamente permesso che mi si vedesse come una frignona mentre flirto con il mio professore. Anzi, probabilmente se fosse successo avrei chiesto a Juno di spararmi un colpo in testa.
Per distrarmi da questi pensieri lugubri ed evitare un altro allagamento lacrimoso, decido di salire in camera mia e farmi una bella doccia per rendermi presentabile. È da talmente tanto tempo che non mi depilo che credo ci siano forme di vita sul mio corpo.
Come prevedevo, l’operazione è decisamente necessaria e mi porta via un bel po’ di tempo. Mentre la crema fa il suo effetto sul resto del corpo mi lavo anche i capelli, sforzandomi di non pensare a tutte le volte che ho fatto le stesse operazioni con Linda che chiacchierava ininterrottamente in sottofondo, a sua volta coperta di crema depilatoria fino a sembrare un’aliena.
Alla fine però sembro di nuovo una persona più che un fantasma, e mi sento così rigenerata che decido anche di mettere addosso qualcosa di carino. So che non è un vero e proprio appuntamento perché sarebbe impensabile fare la stupida mentre i miei amici non sono ancora stati sepolti, però sono certa che anche Linda apprezzerebbe lo sforzo. E chissà che non mi riesca di convincere Giulio che non sto per buttarmi dalla finestra. Da come mi segue in questi giorni, sembrerebbe assolutamente convinto che io sia sul punto di fare qualche stupidaggine e voglio rassicurarlo.
Non me ne andrò fino a che i miei amici non saranno stati vendicati.
Quando Giulio viene a bussare alla mia porta sono quasi pronta, mi mancano solo le scarpe. Gli apro la porta e lo invito ad entrare, mentre cerco nella mia valigia le ballerine color grigio perla.
- Sono sicura di averle portate ma non riesco a trovarle da nessuna parte – gli spiego, cercandole anche in bagno. Niente.
- Identifica meglio “ballerine”.
- Delle scarpe senza tacco, chiuse in punta ma aperte sul collo del piede… non lo so, delle ballerine! Come fai a non conoscere le ballerine? – lo punzecchio. È inconcepibile che conosca tutte le lingue al mondo e non sappia riconoscere una ballerina.
- Perdonami, domani farò una ricerca. Magari mi informo sui tacchi la prossima volta.
Ah ah. Ma dove diavolo sono finite?
Poi all’improvviso ricordo. Le aveva indossate Linda la sera prima di… la sera in cui si era intrattenuta con l’agente. Buffo che anche lui sia morto nella stessa operazione, forse avranno tempo di conoscersi nell’aldilà.
Che pensiero orribile.
- Alexis, cosa c’è adesso? – domanda Giulio, vedendomi ferma in mezzo alla stanza a fissare l’armadio.
Glielo spiego, sforzandomi di mantenere la voce ferma, perché mi sono già truccata anche se appena appena e Linda non mi avrebbe mai perdonato di rovinare il trucco con le lacrime.
Comprensivo, Giulio mi si avvicina e mi stringe la mano. Vedendo poi che io non reagisco, va verso l’armadio e comincia a cercare nelle valigie di Linda fino a che tira fuori le mie ballerine.
- Sono queste? – mi domanda, facendole dondolare sulla punta delle dita.
Annuisco, senza avvicinarmi. Non posso mettere quelle scarpe, non farei che pensare a Linda tutta la sera e Giulio non lo merita.
Lo ringrazio e gli spiego di aver cambiato idea, quindi indosso le scarpe con la zeppa che metto tutti i giorni da tipo un mese. Abbastanza comunque perché comincino a sformarsi leggermente ma non importa. È l’unico paio che posso abbinare a questa maglia. Per fortuna lui capisce, credo, e non fa nessuna domanda.
Finalmente scendiamo con l’ascensore e usciamo nella fresca aria della sera, quindi mi lascio guidare da Giulio verso questo favoloso ristorante cinese, che per fortuna si rivela non troppo distante. Come sempre negli ultimi tempi, sto morendo di fame.
Quando ci siamo ormai accomodati e abbiamo scelto un lungo elenco di piatti dai nomi strani, Giulio mi versa un po’ di vino e propone un brindisi.
- Ai nostri, che ci guidano da lassù.
Gli sorrido, sentendo che gli occhi pizzicano di nuovo.
- Ai nostri – rispondo quando ho riacquistato il controllo, facendo tintinnare il bicchiere contro il suo.
Il resto della cena trascorre piacevole, come sempre quando sto con Giulio. Le sue chiacchiere, le sue teorie, i suoi progetti sono sempre un motivo di piacevole dibattito e quando usciamo dal ristorante, che era davvero carino e sapeva come preparare il cibo, mi sento decisamente meglio.
Presa infatti da una nuova energia lo convinco a farmi fare un giro per Roma e insieme ammiriamo il Colosseo illuminato dalle luci, l’Arc de Triomphe, ponte Milvio e tante altre meraviglie della città. Ma nella sua inesauribile saggezza, Giulio mi porta anche nei quartieri meno famosi, in un piccolo bar o una pinacoteca molto caratteristica e tante strade e stradette sconosciute ma particolari. Tutto molto romantico insomma, tanto da farmi sentire come la protagonista di “Vacanze Romane”.
- Prometti che verrai in Francia con me – mi chiede all’improvviso, mentre improvvisiamo ridendo un lento in mezzo a piazza di Spagna.
Mi mordo il labbro, indecisa. Ripensandoci, non sono affatto sicura di poterlo seguire in Francia. Ci saranno sempre troppe cose in sospeso.
Come faccio a spiegargli che non posso prometterglielo? Come faccio a fargli capire tutte le ragioni che mi legano a casa mia, per sempre?
- Te l’ho detto, aspettiamo di vedere il Cardinale dietro le sbarre… ci sono tante cose da considerare…
- Ci siamo solo noi da considerare, Alexis. Non sono bravo con i rapporti a distanza.
Il suo sguardo è acceso come si addice al migliore dei fidanzati ma anche al più ingenuo dei sognatori. Come fa a non capire che non posso semplicemente prendere e partire, come se niente fosse?
- Farà bene anche a te, dopo tutto quello che hai passato in questi giorni. Se non ti trovi bene potrai sempre tornare, giuro che non te lo impedirò. Ma lasciami almeno provare a renderti felice, Alexis, so di poterci riuscire…
Mi dispiace sentire il tono leggermente esasperato della sua voce, ma non rispondo. Nella migliore delle ipotesi c’è la storia della cellula da affrontare, che non è proprio quello che definirei un dettaglio, in qualsiasi modo finisca col risolversi.
- Non stai bene con me? Non sei stata felice stasera? Oppure il ritorno di Alex ti ha fatto cambiare idea? – mi domanda, insistente.
Ormai abbiamo smesso di ondeggiare ma continuiamo a tenerci abbracciati e mi sforzo di non indietreggiare, perché non voglio ferirlo più di quanto stia già facendo.
È questo, è il ritorno di Alex? No, non è questo il motivo. Ne sono piuttosto certa…
- Perché ti assicuro che non lo rivedremo mai più, perciò puoi anche cominciare a dimenticarlo – mi assicura, con un tono così convinto e cupo da farmi venire un brivido.
Detto così ha un che di fatale, come se Alex fosse morto invece che trasferito e dopo tutte le perdite di questi giorni, la cosa mi provoca un moto d’angoscia. E anche la nota fredda e quasi compiaciuta del mio cavaliere non mi piace più di tanto ma lo ignoro e cerco di rassicurarlo.
- Sai che non è questo il punto… Andiamo Giulio, ti rendi conto anche tu che non posso semplicemente sparire così, di punto in bianco! Ci sono ancora persone che contano su di me, che hanno bisogno di me…
- Ti prometto che saprò proteggerti da chiunque, sarò un uomo molto più potente di quanto tu possa immaginare!
Per poco non mi metto a ridere. Comincia a sragionare. Sarà un professore universitario, mica il papa, per quanto famoso possa diventare. Ma non glielo faccio notare, perché non mi sembra il caso in questo momento.
- Per favore, Giulio, non dico che non verrò ma che ho bisogno di pensarci con calma e in questo momento non sono affatto calma. Hai detto che eri disposto ad aspettare… - gli ricordo, sentendomi un po’ meschina.
Ma ho disperatamente bisogno di lasciar perdere questa discussione e tornare a ridere come prima.
- Lo so, e non dicevo tanto per dire… è che con te bisogna sempre aspettare, ragionare…
Accolgo il rimprovero con un moto di stizza ma riesco ad impedirmi di ribattere. In fondo è colpa mia se la pensa così, non ha tutti i torti. Fin dall’inizio non gli ho chiesto altro. Ma speravo che capisse che non posso fare diversamente.
- Ascolta Giulio, ti prometto che ci penserò su e che il giorno che arresteremo il Cardinale avrò una risposta da darti. Ma fino ad allora dovrai accontentarti – taglio corto, stufa della discussione.
Lui non risponde subito ma alla fine, anche se con grande sforzo, mi sorride.
- E sia. Un incentivo in più per stanare quel criminale. Ma non un giorno di più – mi ammonisce, stringendomi di nuovo a sé come se stessimo per ballare un tango.
Io mi limito ad annuire sorridendo, per poi scoppiare a ridere quando comincia a trascinarmi in un vero e proprio tango, o almeno quella che somiglia a una caricatura del sensuale ballo, visto le mie movenze scoordinate e goffe.
- Forse prima di andare in Francia però dovremmo fare qualcosa per il tuo ballo… - mi canzona facendomi ridere ancora più forte.
Di nuovo torniamo sereni come prima e la conversazione riprende torni rilassati e divertiti. Ci spostiamo dalla celebre piazza e facciamo qualche altro giro, sempre lungo stradine sconosciute, fino a che mi rendo conto che siamo usciti dal centro della città.
- Non vorrai mica approfittare di me in qualche vicolo pittoresco, professore? – lo apostrofo ma lui si limita a sorridere a porgermi la mano.
- Da questo momento segui me e cerca di non fare troppo rumore.
Eseguo l’ordine per una decina di minuti, senza riuscire però a trattenere un gridolino di sorpresa quando inaspettatamente scavalca un cancello che protegge un giardino.
- Andiamo, fifona. Nessuno si lamenterà, promesso – mi incita.
Io lo fisso per un po’, indecisa, mi guardo intorno e poi mi decido ad arrampicarmi dietro di lui, in un momento in cui la strada intorno a me sembra deserta. Non mi sembra nemmeno di aver visto telecamere lungo il muro che si spiega ai lati del cancello.
Cercando di fare silenzio ma ridendo come due quindicenni, attraversiamo il giardino alla flebile luce del cellulare, che più di una volta ci porta quasi a sbattere contro alberi e sculture improvvise. Alla fine ci fermiamo dall’altra parte del giardino, poco sopra il cancello del lato opposto a quello che abbiamo scavalcato e capisco perché abbiamo fatto tutta questa fatica per arrivare fin qui.
L’intera casa è costruita su una specie di piccola collina, sulla parte alta della città e dal punto in cui ci troviamo, che è il punto più alto del giardino da quello che posso vedere, oltre il muro di cinta si vede uno squarcio di Roma, illuminata come un albero di Natale, silenziosa e incantevole come solo i film o i libri l’avevano dipinta finora.
- E’ meraviglioso! Come facevi a saperlo? Chi altri hai portato quassù? – lo stuzzico, quasi senza fiato per la salita e la sorpresa.
- Un sacco di ragazze ma tranquilla, nessuna bella come te – mormora, senza staccarmi gli occhi di dosso.
Alla fine mi volto anch’io verso di lui, con un sorriso che sono certa, dal di fuori descriverei come assolutamente idiota.
- Grazie, per tutto, davvero. Non so come avrei fatto senza di te.
Ed è la verità. È probabile che non sarei sopravvissuta agli ultimi giorni se lui non mi fosse stato accanto in ogni minuto.
Per tutta risposta lui si avvicina e mi bacia, uno di quei baci lenti e avvolgenti che si addicono perfettamente a questo posto, a questo momento. Un bacio di quelli che sembrano eterni e che vorresti non finisse mai. Un bacio dolce che si trasforma lentamente in uno molto più ardente e intimo e che accelera di minuto in minuto, fino a che crolliamo entrambi sull’erba, senza staccarci.
Senza fiato interrompo il bacio ma continuo a sfiorargli le labbra con le mie, e le spalle e i fianchi con mani avide, improvvisamente dimentica di tutto tranne che di Giulio sotto di me, che a sua volta mi accarezza sicuro.
Solo un fischio improvviso, una sirena vicinissima a noi, riesce a strapparmi dalla mia improvvisa trance.
Ci guardiamo per qualche minuto intorno, confusi, poi sentiamo il latrato di un cane avvicinarsi e ridendo, Giulio mi afferra la mano e mi aiuta a scavalcare il cancello che ci sta di fronte, poco più sotto.
Riusciamo a trovarci dall’altra parte prima che qualcuno riesca a vederci nel giardino e una volta a terra continuiamo a correre alla cieca, lungo le strade semi buie, senza smettere di ridere.
Alla fine arriviamo in una piazzola con una fontana e qualche panchina e faccio segno a Giulio di sederci. Non ho più il fisico per correre e ridere a questa maniera, contemporaneamente.
- Sei un pessimo professore, sappilo. Mi hai appena portato a commettere un reato e quasi ne commettevamo un altro!
Ancora non riesco a credere a quello che stavamo per fare! Non sapevamo nemmeno di chi fosse quel giardino e io non ho mai… non sono mai uscita dalla mia stanza, ecco.
- Sono un criminale nato, dovresti saperlo – replica lui, con un tono simil-mascalzone che mi fa ridere ancora.
Sfortunatamente, l’ultimo accesso di risa mi procura una fitta alla pancia che mi lascia momentaneamente senza fiato. Mi sa che alla cellula non è piaciuta la mia scorribanda. Al diavolo, pallina, sono ancora io che comando, qui.
- Tutto bene? – domanda Giulio, notando la mia smorfia.
Lo rassicuro con un gesto e lo invito con la mano a rimetterci in cammino. Da parte mia, non ho nemmeno una vaga idea di dove ci troviamo, quindi potrebbe volerci un bel po’ per tornare in albergo ed è già tardissimo.
Per fortuna Giulio sembra avere un orientamento migliore del mio e dopo qualche momento si incammina con fare piuttosto sicuro.
Io mi limito a seguirlo, stando attenta a respirare per bene, in attesa che la tensione alla pancia passi del tutto. Non permetterò a questo guastafeste di far terminare la mia serata di nuovo con una flebo.
D’altra parte però non posso che ringraziare il cane. Presa dal momento, avevo dimenticato di essere incinta e anche se non so cosa sarebbe successo al bambino, se sarebbe successo qualcosa, non voglio che la mia prima volta cosciente con Giulio avvenga mentre la cellula è ancora viva. Sarebbe di pessimo gusto, per lo meno.
Quando l’hotel si profila davanti a noi, il mio orologio segna le cinque del mattino. Incredibile come passa il tempo con Giulio.
Per un momento mi sento in colpa, pensando a cosa avrebbe detto Linda se fosse stata ad aspettarmi nella nostra stanza fino a quest’ora. Quante domande che avrebbe fatto! Me la immagino seduta sul bordo del letto, con quella sua espressione ingorda di pettegolezzi succosi, con tutti i commenti già pronti…
- Loro sarebbero felici, adesso – mi rassicura Giulio, stringendomi la mano.
Per un momento mi chiedo se non ho parlato ad alta voce ma sono certa di non averlo fatto. È solo l’ennesima dimostrazione di cosa vuol dire amare una persona, probabilmente.
- Sai che stavo pensando? Forse non dovresti stare nella stanza dove… che hai diviso con Linda. Potresti dormire nella mia stanotte e domani chiederne un’altra. Sono sicuro che al direttore non dispiacerà.
Lo guardo indecisa per qualche secondo. Non voglio scappare da Linda, dovrò farmene una ragione prima o poi, e non voglio rischiare di trovarmi di nuovo al punto in cui eravamo nel giardino, ora che ricordo di essere incinta.
Tuttavia, una improvvisa stanchezza mi assale pensando di tornare in quella stanza, a quei ricordi che hanno reso le ultime notti quasi del tutto insonni. In fondo se voglio riuscire a vendicare Linda e Juno e tutti gli altri, ho bisogno di riposare.
- Prometto che ti lascio dormire, farò il galantuomo – mi rassicura lui, intuendo in parte la mia indecisione.
Alla fine annuisco con un sorriso e sono felice di vedere che anche lui sorride della mia decisione. Poi, chiedendo mentalmente scusa ai miei amici morti, salgo in camera con Giulio, che si offre gentilmente di andare a prendere il mio pigiama dalla camera e di lasciarmi il bagno per prima.
Così finalmente, dopo una settimana, riesco a godermi una vera notte di sonno, stretta tra le braccia di Giulio, nonostante il caldo.

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Capitolo 27
*** Segreti di famiglia ***


La mattina dopo il direttore non si fa pregare nell’assegnarmi una nuova stanza, assicurando che capisce e che non devo farmi problemi a chiedere se ho bisogno di altro. Mi chiedo se la lauta mancia che la CIA ha donato all’hotel oltre al pagamento delle stanze abbia a che fare con la sua disponibilità.
Dopo aver sistemato le mie valigie nella mia nuova stanza, che è casualmente vicina a quella di Giulio e non per mia richiesta ma nemmeno con mio dispiacere, scendo nella stanza che ormai è diventata la nostra base e mi informo su eventuali novità.
- In effetti qualcosa credo di averlo trovato – mi comunica Riley, uno dei tecnici, sfogliando alcune pagine che ha sparse sulla scrivania.
- Ho fatto delle ricerche su quella pianta che avevo trovato, come mi aveva chiesto.
Mentre parla mi porge dei fogli che studio attentamente. Sono alcune immagini di questa fantomatica pianta, con delle foglie simili a quelle dell’aloe, e informazioni sulle proprietà, la provenienza, il genere, il clima dove cresce…
- E’ una pianta tipica delle zone sudamericane, proprio dove secondo il libro di quel filosofo sarebbero sbarcati i romani. Il collegamento mi sembrava evidente.
Annuisco, sperando tuttavia che abbia qualche altra informazione. Tutto questo non ci aiuta molto, al momento.
- Viene usata soprattutto nella tradizione folcloristica del luogo in quanto pare che abbia delle proprietà rinvigorenti degne di nota. La tradizione vuole, in particolare, che la pianta sia in grado di cancellare il dolore. Il che mi ha fatto pensare…
- Alla sostanza energetica che sperimentava Richelieu in Africa! – lo interrompo, intuendo cosa sta per dire. E ha proprio ragione, non può essere una coincidenza.
- Esattamente.
- Quindi ricapitoliamo. Studiano una specie di potenziatore ma qualche esperimento va male e creano più che altro un veleno, così gli viene l’idea… - ipotizzo. Sì, ha un senso.
- Come può aiutarci questo a fermarli?
Lui riflette per qualche secondo prima di rispondere.
- Se studiano questa pianta da così tanti anni, devono avere qualche fornitore di fiducia e se scopriamo chi è potremmo bloccare il commercio, per rallentare gli esperimenti.
Tuttavia la sua faccia non sembra entusiasta come dovrebbe, quindi capisco che c’è dell’altro.
- Qual è il problema?
- Anche se trovo la ditta di fornitura, non potremo fare niente senza un mandato ufficiale e quindi, senza un motivo valido. E visto che non possiamo parlare di rischio biologico…
- Avremo le mani legate, ho capito.
Ci penso un po’ su ma su due piedi non mi viene nessuna soluzione in mente. Alla fine scuoto la testa, rassegnata.
- Va bene, ottimo lavoro. Parlane con gli altri, per favore, e vediamo di scoprire tutto sul commercio di questa pianta. E se scoprire il fornitore, cercate qualsiasi scheletro nell’armadio che possa produrre un mandato.
- Certo, signora.
Troppo agitata per correggere quel “signora”, mi allontano alla ricerca di Giulio e gli spiego la novità. Anche lui sembra colpito dalla notizia e finalmente, dopo diversi giorni, sembra ritrovare un po’ di ottimismo riguardo questa faccenda.
- E’ un ottimo passo avanti.
- Lo so. Ma non esultiamo, potrebbe essere più difficile di quanto sembri – gli faccio notare.
- Cosa facciamo adesso? Non intenderai davvero stare qui e aspettare quei file? – mi domanda, agitato.
- Certo che no. Ce la fai a organizzare un incontro con tuo zio? Forse questo Salingeri potrà aiutarci in qualche modo.
Per fortuna lui non sembra notare l’assurdità di quello che dico e si allontana per fare qualche telefonata.
Ovviamente le possibilità che Salingeri sappia qualcosa sono pari allo zero, ma credo che invece il caro vecchio zio potrà esserci molto più utile. Devo solo farmi presentare per poterlo avvicinare in un secondo momento, senza che mi faccia sparare a vista.
Poco dopo Giulio torna verso di me.
- Se non hai di meglio da fare, abbiamo una mezz’ora di tempo prima che parta per la toscana – mi avverte e ovviamente non me lo faccio ripetere due volte.
Avverto i ragazzi nella sala e prendo la borsa, quindi ci infiliamo in una delle macchine in dotazione della CIA e ci dirigiamo verso il misterioso vescovo Terenzio. Ammetto di essere nervosa.
Grazie al traffico romano, impieghiamo quasi un quarto d’ora per fare pochi chilometri, il che ci lascia dieci minuti scarsi per parlare con il nostro uomo.
Mi meraviglio di vedere che invece di una cappella o un posto altrettanto austero e religioso, Giulio entra a passo spedito in un palazzo moderno ed elegante, pieno di luce per le numerose vetrate semilucide.
- Questa è la sede di una delle organizzazioni che mio zio gestisce, una comunità per tossicodipendenti, per l’esattezza.
Ascolto la spiegazione di Giulio con una punta di disagio. Sa che tra queste encomiabili organizzazioni, suo zio gestisce anche l’industria a capo di tutti gli esperimenti illegali delle MC? E pensare che proprio lui ha trovato il collegamento con la Paramount Helping.
Quasi correndo lungo i corridoi, seguo Giulio che sembra conoscere bene la strada, fino a che si ferma davanti a una porta di legno con una targhetta dorata sopra. “E. S. Terenzio” dice solamente. Nessuna qualifica.
- A lui piace essere uno tra tutti, non vuole che il suo ruolo impedisca ai ragazzi di parlargli francamente – spiega ancora Giulio, prima di bussare.
Quando una voce ci invita ad entrare, mi ritrovo in una stanza enorme, arredata sui toni caldi del legno, piena di librerie zeppe di volumi enormi e quadri ovunque. Bei quadri, tra l’altro. Qualche pianta fiorita e le enormi finestre rendono tutto molto fresco, senza cadere in quell’atmosfera pesante che tutto questo legno potrebbe dare.
Davanti a noi, leggermente ad angolo, c’è una scrivania grande quanto ingombra, anche questa in legno, e dietro la scrivania c’è lo stesso uomo basso ed elegante che ho visto fuori dall’ufficio di Giulio nonché in hotel insieme a lui, a parlare di omicidi.
Aspetto un po’ defilata che i due familiari si scambino i dovuti saluti affettuosi, anche se Giulio non manca di baciare l’anello che lo zio porta alla mano. Poi Giulio mi fa segno di avvicinarmi e mi presenta al misterioso vescovo Terenzio.
- Una bella stretta, signorina. Non ci siamo già visti, però? – mi domanda quello, dopo che gli ho stretto la mano saltando volutamente la parte del bacio all’anello..
Non intendo baciargli l’anello, perché non sono molto religiosa e perché voglio fargli capire che la sua posizione non mi intimidisce. Spero solo che Giulio non se la prenda.
Gli spiego di esserci incontrati in università da Giulio e lui sembra compiaciuto di aver avuto una così buona memoria. Io mi limito a sorridere fissandolo, cercando di immaginare l’approccio migliore per fargli capire che non scherzo affatto.
- Mio nipote mi diceva che volevate qualche informazione su Salingeri – mi ricorda, dopo averci fatto accomodare.
In realtà avrei preferito restare in piedi, questa scrivania serve apposta a sottolineare chi è il più forte. Però non ha segnato la sua carica sula targhetta. Comincio a capire con che tipo ho a che fare e non mi piace affatto.
- Sì, credo che abbia a che fare con dei delinquenti locali e vorremmo sapere se per caso lei conosce qualche particolare che può aiutarci a rintracciare i suoi contatti. Nomi, riferimenti, orari… - gli spiego, poco attenta a quello che dice e molto più interessata ai suoi movimenti e alla stanza.
Juno mi ha insegnato che da come arrediamo le nostre stanze si può imparare di noi molto più che chiacchierando per anni. E credo di capire cosa intende. La stanza non ha nessun titolo, niente che possa indicare che è un vescovo importante, ma al tempo stesso è piena di oggetti costosi, molti dei quali parecchio vistosi. Un modo sottile per dire “non te lo faccio pesare, ma ricordati che sono grosso e cattivo”. Ci sono molte foto tra i diversi quadri di gruppi di ragazzi e le didascalie spiegano che si tratta di gruppi appartenenti alle diverse associazioni religiose, ma in nessuna compare il vescovo, segno che non è affatto attaccato a quei ragazzi come vuole far sembrare. Vuole solo far notare quanto sia potente, appunto.
Terenzio intanto parla di Salingeri, con finta compassione per i diversi “problemi” che lo hanno afflitto nella sua vita. Il suo tono è elegante e franco, ma per quanto ripeta che bisogna capire, che non è una cattiva persona eccetera, dall’altra sottolinea tutte le magagne di Salingeri con un’aria quasi compiaciuta.
Sembra una di quelle vecchie signore che mentre spettegolano su tutti gli abitanti del paese, continuano a ripetere “non so bene come, perché non mi piace spettegolare sugli altri”.
Purtroppo, le sue parole che ascolto appena mi comunicano anche un’altra cosa. È una persona molto sveglia, colta. Non sarà affatto facile prenderlo in contropiede né sorprenderlo, e di certo non è uno che lascia prove dietro di sé.
Alla fine il vescovo si scusa ma si dice troppo impegnato per continuare la conversazione, così sia io che Giulio ci alziamo e ci avviamo verso la porta, con Terenzio che ci segue.
- Mi ha fatto molto piacere vederti Giulio, ultimamente non passiamo mai del tempo insieme – lo rimprovera Terenzio appena fuori dall’ufficio, e Giulio minimizza con un gesto della mano.
- Sai com’è zio, un sacco di impegni, il libro…
- Ah, già, il nuovo libro. Pare che sarà un altro successo – si complimenta il vescovo con un sorriso.
- Anche se, come sempre, mi sembra che le tue parole non vogliano proprio elogiare la santa Chiesa – lo rimbecca, con un tono un po’ meno scherzoso.
Ancora una volta Giulio liquida lo zio con la mano ma senza rispondere affatto questa volta.
- Se almeno lei signorina fosse un giorno interessata a conoscere meglio la grande Madre che mio nipote cerca sempre di denigrare, non esiti a cercarmi. Le mostrerò le meraviglie della sua fede – mi prega poi, affabile.
- Potrebbe capitare prima di quanto immagina. Giulio può confermare che sono una persona molto curiosa e confesso di conoscere così poco della vita religiosa – rispondo con un sorriso.
Nonostante tutto, non intendo farmi intimidire da lui e voglio parlare chiaro, una volta per tutte.
Finalmente ci accomiatiamo e mentre il vescovo risale il corridoio, noi ci dirigiamo verso l’uscita, facendo la strada di prima al contrario. Devo assolutamente memorizzare il tragitto.
- Non ci è stato molto d’aiuto temo – si rammarica mentre percorriamo i corridoi, ma cerco di consolarlo.
- Considerando che non potevamo dirgli delle costruzioni abusive, credo che i nomi che ci ha fornito siano già un passo avanti.
Il che è comunque in parte vero. Solo perché io devo occuparmi del vescovo, non vuol dire che tralascerò la pista di Salingeri ovviamente.
- Allora, cosa ti sembra lo zio? – mi domanda poi Giulio quando siamo in macchina.
- Una persona di grande… magnetismo, direi.
Lui scoppia a ridere.
- Oh sì, di certo ha magnetismo da vendere. Conosce gente che ucciderebbe per lui – conferma, senza smettere di sorridere.
A me la sua battuta provoca un lungo brivido lungo la schiena che cerco di mascherare. Quanto in senso letterale dovrei interpretare questo “uccidere”? Chi sono queste persone così devote? E soprattutto, Giulio rientra tra queste?
Per evitare quindi di non riuscire a trattenere una risposta che potrebbe creare qualche problema tra noi preferisco cambiare discorso, così gli chiedo della stesura del libro.
Non posso credere che Giulio sia in combutta con suo zio ma di certo farebbe di tutto per proteggerlo, oggi ne ho avuto la riprova. Non posso trascinarlo in una lotta tra me e suo zio, che gli ha fatto da padre, sarebbe una richiesta ingiusta.
- … soltanto delle immagini – sta dicendo intanto Giulio e io annuisco come se avessi capito una sola parola.
- Quando potrò leggere l’anteprima allora? – gli domando, dandogli un leggero buffetto sulla spalla.
- Scordatelo. Il massimo a cui puoi aspirare è la prima copia autografata. Già conosci il contenuto, se poi ti faccio leggere l’anteprima non comprerai mai il mio libro.
- Come sarebbe a dire? Ti ricordo che sono la fonte del tuo ultimo successo, professore. L’anteprima è un mio diritto!
- Infatti io non ho mai creduto nei diritti, secondo me sono sopravvalutati – replica ridendo e io fingo di nuovo di tirargli un pugno. Dovrebbe conoscermi abbastanza per sapere che non mi arrenderò così facilmente. Voglio leggere la sua versione prima che venga pubblicata e credo davvero di averne il diritto.
Comunque siamo arrivati di nuovo all’hotel, perciò non insisto oltre, tanto è ancora presto per discutere di questa cosa, la versione finale non sarà pronta prima della prossima settimana, come mi ha spiegato poco fa.
Dopo aver parcheggiato, ci dirigiamo verso l’entrata dell’hotel. Quanto vorrei non dover rientrare così in fretta!
Comincio ad essere stufa di quella stanzetta ingombra e puzzolente e comunque mi ispira troppi ricordi.
Mi volto verso Giulio, con l’idea di proporre una breve passeggiata a Giulio, magari senza violazione di proprietà private questa volta, ma lo squillo del mio cellulare mi interrompe ancora prima di cominciare a parlare e la voce di uno degli agenti dall’altra parte della cornetta mi toglie ogni illusione.
- Venga signorina, abbiamo trovato qualcosa che dovrebbe vedere. Non credo che sia il caso che venga anche il suo amico.
Chiudo la comunicazione, cercando di nascondere l’aria turbata e penso velocemente a una scusa per allontanare Giulio. Cosa potranno mai aver trovato che lui non debba vedere? Forse riguarda il vescovo. O forse Giulio stesso. Forse le prove che non solo sa cosa fa suo zio nel tempo libero ma gli da anche una mano…
- Ascolta, Giulio, cosa ne pensi se questa sera organizziamo qualcosa per stare insieme? L’altra sera sono stata così bene e dopo tutto quello che è successo… credo di aver bisogno, sai…
Il viso di Giulio si illumina in un sorriso splendido e mi sento terribilmente in colpa. Ma non so proprio cos’altro inventarmi e comunque, qualsiasi cosa sia che hanno scoperto, di certo ci sarà bisogno di parlarne.
- Cos’hai in mente? Un furto in una banca? – propone con il sorriso da canaglia che preferisco.
- Pensavo a qualcosa di tranquillo, magari sul terrazzo… non è che potresti andare a cercare qualcosa da mangiare e parlare con il direttore, non vorrei che qualcuno salisse al momento sbagliato e…
- Certo, ogni tuo desiderio è un ordine, mia signora.
Più lui sembra felice che per una volta sia stata io a proporre di stare insieme, più io mi sento sprofondare ma per fortuna la curiosità di sapere cos’hanno scoperto in quella sala di tanto segreto mi salva un po’ dal senso di colpa.
Ci dividiamo e mi dirigo quasi correndo nella saletta che è ormai la nostra base.
- Cosa c’è di tanto segreto? – domando spalancando la porta.
O’Malley mi si avvicina e mi trascina fino a un computer sulla sinistra, poi mi mostra dei fogli, come sempre d’altronde. Chissà perché ci avviciniamo agli schermi se tanto poi leggiamo dai fogli.
- Abbiamo decrittato altri file e tra loro c’era anche questo.
Mi indica alcuni punti del foglio. Da una prima occhiata sembrano informazioni su due persone, due coniugi per la precisione, identificati con due codici numerici. Capisco che si tratta di altre vittime nella lista dell’Organizzazione perché nella pagina successiva sono riportate le modalità di “esecuzione”. Un piccolo esplosivo collegato ai freni della loro auto, come per tanti altri volti che abbiamo trovato tra quei file. Ormai è una routine. I due sono esplosi mentre attraversavano un ponte e la loro auto è finita nel fiume. Avevano anche un bambino con loro, il figlio di pochi anni.
Faccio un bel respiro, felice che la pallina grigia sembra essersi addormentata per il momento, perché altrimenti l’incidente è così simile a quello dei miei genitori che mi starei sciogliendo in un fiume di lacrime.
- Abbiamo fatto una ricerca, come con tutte le persone per cui non c’è il nome, per identificarli e chiudere il caso, se mi capisce.
Annuisco, felice che il mio contegno rimanga impeccabile. Forse posso ancora sperare di tornare la vecchia, efficiente Alexis, una volta che la palla sarà uscita dalla mia pancia.
- Abbiamo scoperto che si tratta di…
Consulta altri fogli, che poi mi porge, appoggiandoli sugli altri che tengo in mano.
- Margherita Terenzio e Paolo Gagliani – conclude.
Non posso impedire ai miei occhi di sgranarsi. Gagliani? I genitori di Giulio? Era lui il bambino nell’auto?
Forse intuendo le domande che mi aleggiano nella testa, O’Malley mi anticipa.
- Quando sono finiti nel fiume, l’acqua ha spento le fiamme e il bambino, che era piccolo e quindi leggero, è risalito a galla passando per il finestrino, trascinato dalla corrente sulla riva. I suoi genitori non ce l’hanno fatta, avevano le cinture che li hanno bloccati.
Annuisco senza rispondere, ancora in assimilazione di questa nuova scoperta. Ora capisco perché hanno preferito che vedessi i risultati solo io. Così toccherà a me dargli la notizia oppure scoprire perché non me lo ha detto, se era a conoscenza del coinvolgimento dell’Organizzazione.
- Decida lei cosa fare ora.
Mi viene voglia di sorridere. Ecco perché volevano che il capo fossi io. A nessuno piacciono queste rogne. Ma come farò a dirlo a Giulio?
Osservo ancora la foto dei suoi genitori. In effetti, a farci caso, somiglia moltissimo a sua madre che a sua volta somiglia al vescovo. Anche senza cognome, avrei indovinato che la parentela con lo zio derivasse dal lato di madre. Buffo, visto che Giulio e il vescovo, che pure somigliano tanto alla donna seria nella foto, non si somiglino molto tra loro.
- Va bene, gliene parlerò io. C’è altro?
- Sì. Ho controllato il nome che ci ha dato, Terenzio. E la cosa non le piacerà – mi avverte, allontanandosi di qualche passo per sfogliare altre carte sull’altra scrivania. Io intanto non posso che pensare a quello che abbiamo scoperto sui genitori di Giulio.
Dannazione! Questa proprio non ci voleva. Non voglio essere io a dire a Giulio dei suoi genitori e non voglio nemmeno sapere perché non me l’ha detto se ne era a conoscenza.
Tuttavia, questo potrebbe essere il collegamento che mi sfuggiva tra il Cardinale e il vescovo. Se i genitori di Giulio sono stati uccisi dall’Organizzazione con quella pietra vicino, allora facevano parte di Pyrus e forse anche il vescovo ne fa parte. Ecco come si è invischiato in questa faccenda, come ha conosciuto il Cardinale. Eppure qualcosa ancora non quadra. Perché il vescovo dovrebbe far parte di una congrega di scienziati? Per quanto le sue opere di carità siano da ammirare, non le definirei esattamente un contributo alla scienza. Cos’altro mi sfugge?
Scuoto la testa, vedendo che O’Malley si avvicina di nuovo con altri fogli da mostrarmi. Per qualsiasi dubbio, non mi servirà che chiedere a Giulio stasera, quando gli avrò detto quello che abbiamo scoperto.
- Ho fatto una ricerca a partire dalle sue proprietà e ho scoperto che la maggior parte le ha acquistate dopo il decesso dei membri Pyrus o gli sono state donate dalle loro famiglie.
Do un’occhiata veloce ai fogli. Un elenco di proprietà di vario genere lungo quattro pagine, con i relativi indirizzi e i nomi dei precedenti proprietari. Noto che le proprietà sono sparse un po’ per tutto Italia e mi chiedo come facessero a comunicare i membri della setta, o a riunirsi, abitando in posti così lontani. Questo però potrei chiederlo al vescovo.
- Ho scoperto anche che ha parecchi contatti con la piccola criminalità di periferia, anche se non è collegato a nessuna attività in particolare, e che molti dei suoi collaboratori hanno avuto problemi con la giustizia.
Mi passa un altro lungo elenco, con nomi, reati e date. Non posso dire che questo mi meravigli, ma essendo un vescovo che si occupa di beneficienza non è così strano che lavori con gente fuori dalla società, mi pare un po’ poco per incastrarlo.
- Possiamo collegarlo al Cardinale? – domando quando ho finito di leggere i nomi sul foglio. Come immaginavo, nessuno di loro mi dice niente.
- Non in maniera certa, non ancora.
- E su quel Salingeri? Qualche novità?
- Niente per adesso ma continuiamo a seguirlo tramite il segnale del cellulare.
Ancora una volta me lo aspettavo. Sarebbe stato troppo facile e comunque non credo che ci possa essere molto utile questo  tizio, se davvero i membri non si conoscono tra loro, almeno non in un tempo abbastanza breve. E il nostro tempo scarseggia decisamente.
- Va bene, continuate a scoprire cosa c’è in quei file. Non possiamo usare qualche trucchetto e scoprire le comunicazioni della segretaria di Terenzio?
O’Malley mi guarda confuso. Ma possibile che devo essere io a insegnare ai tecnici della CIA il modo per pedinare davvero una persona?
- Di certo se Terenzio è coinvolto in qualcosa di grosso non avrà lasciato modo di intercettare le sue comunicazioni, ma nessuna segretaria prende queste precauzioni ed essendo il vescovo sempre in giro, sono certa che la maggior parte delle telefonate la ragazza le farà dal suo cellulare personale.
O’Malley annuisce e si mette subito all’opera, lasciandomi con i miei pensieri.
Devo pensare a come dire a Giulio dei suoi genitori. E comunque credo che questa possa essere considerata una prova della sua innocenza. Chi è che lavorerebbe per quello che ti ha ammazzato i genitori?
Ma in fondo il problema vale anche per il vescovo Terenzio. Come può lavorare con colui che ha ucciso sua sorella e quasi ucciso suo nipote?
Certo però che se per Terenzio è strano, per Giulio è impossibile. Deve essere impossibile. Non puoi semplicemente lavorare per l’uomo che ha ucciso i tuoi genitori e rovinato la vita, no?
Persa nei miei dubbi, esco fuori dalla stanza e salgo in camera mia. Ho bisogno di stare sola e preparare un discorso, e soprattutto di respirare un po’ d’aria fresca.
Salgo con l’ascensore ed entro nella stanza. Per un momento mi chiedo se non sarebbe stato meglio stabilirmi nella stanza con Giulio, per poter controllare meglio…
Subito dopo però mi rendo conto che è un’idea stupida. Abbiamo vissuto per una vita tutti insieme a casa di Juno, fianco a fianco per ventiquattr’ore al giorno, e non mi sono mai accorta che Alex era un agente della CIA. O almeno, non ho saputo interpretare i segnali, diciamo. Cosa mi fa credere che ora, con Giulio, sarebbe diverso?
Vado nel bagno e apro l’acqua della doccia per farla riscaldare mentre mi spoglio. Anche se mi sono finita di lavare appena qualche ora fa, sento il disperato bisogno di una lunga, rilassante doccia calda. Anzi, non so cosa darei per aver portato con me anche qualche cd, da ascoltare mentre sono sotto l’acqua. Enya magari.
Forse però potrei lo stesso provare a chiedere a Giulio se lui ha qualche cd che fa al caso mio e usare il suo portatile come lettore. Se lo metto lontano dalla doccia e lo copro con una asciugamani non correrà rischi. La doccia col sottofondo è tutta un’altra cosa.
Mi infilo l’accappatoio e vado a bussare alla sua porta, sperando di trovarlo in stanza. Per fortuna lui apre la porta quasi subito. Non avevo pensato a cosa potrebbe dire chi mi vede in accappatoio fuori alla porta di una stanza d’albergo. Io penserei molto male, se vedessi una donna in queste condizioni.
- Mi servirebbe della buona musica e il tuo portatile per ascoltarla – gli spiego, prima di accorgermi che è al telefono.
Lui si scusa con il suo interlocutore e copre il microfono con la mano, così ripeto la mia richiesta e lui mi indica un tavolo che ha utilizzato come scrivania, ingombro di mille cianfrusaglie.
- Prova a cercare tu stessa, sto parlando con l’editore del libro.
Detto questo si allontana nel corridoio, forse per non essere disturbato dal rumore di me che frugo tra le sue cose, e riprende a parlare di date e scadenze. Ok, non dovrei origliare le sue conversazioni ma se l’avessi fatto con Alex le cose sarebbero potute andare molto diversamente.
Tranquillizzata dalla telefonata innocua, comincio a rovistare tra tutto ciò che Giulio ha lasciato sul tavolo. Fogli, carte, qualche libro, diverse penne e matite, una piantina di Roma, un’agenda e chi più ne ha più ne metta. Sembra un campo di battaglia e sorrido, ricordando qualcuno che diceva che è possibile scoprire molto sul conto di qualcuno osservando la sua scrivania. Non ricordo esattamente le conclusioni del tipo, ma di certo non diceva niente di lusinghiero sulle persone disordinate, a che ricordi.
Mentre sollevo questo e sposto quell’altro alla ricerca di qualche cd, all’improvviso vedo l’angolo di una copertina di carta per cd, di quelle in cui trovi i cd nelle merendine per esempio, spuntare tra le pagine di un libro, come fosse un segnalibro. Sorridendo, poche persone penserebbero di usare un cd come segnalibro, sollevo il libro e recupero il cd, che non è proprio il genere rilassante che cercavo ma non è malaccio, quindi mi guardo intorno alla ricerca del portatile, che vedo abbandonato sul letto, semi-nascosto dal cuscino. Come ha fatto a farlo finire lì?
Comunque prendo il mio bottino, faccio uscendo un gesto di saluto/ringraziamento a Giulio e torno nel mio bagno.
Appoggio il portatile sulla sedia che ho portato per poggiare i vestiti e cerco un asciugamani abbastanza grande per proteggere tutto il computer da eventuali schizzi, anche se è nell’angolo più lontano dalla doccia e non dovrebbe essere necessario, quindi lo apro e premo sul bottone di accensione.
Invece di aprirsi la solita schermata azzurrina di Windows, lo schermo mi mostra direttamente una pagina internet. Giulio deve aver chiuso il portatile senza spegnerlo, forse per rispondere al telefono.
Sposto il cursore verso l’alto per ridurre la pagina a icona e procedere con la mia doccia ma il mio sguardo viene catturato da un’intestazione familiare della pagina. È l’intestazione di una banca, che riconosco perché è quella che usa Juno col nome di Patricia.
Prima di cominciare a sentirmi troppo in colpa, riapro la pagina e do un’occhiata veloce. Come immaginavo, è la pagina che presenta i suoi estratti conto. So che è orribile da parte mia spiare, dopo tutto quello che Giulio ha fatto per me, ma non posso dimenticare che è il parente più stretto di un pazzo e che mi ha comunque tenuto nascoste parecchie cose, tra cui una bella sommetta di debiti.
Al momento tuttavia, pare che il suo conto sia in positivo, anche se non di molto, grazie a un deposito semplicemente esorbitante. Diverse decine di migliaia di euro versate in un’unica soluzione poche settimane fa.
Come ha fatto a guadagnare una cifra simile tutta insieme? In fondo da quando stiamo insieme ha trascurato tutti i convegni che gli hanno proposto, il suo libro non è ancora uscito e non credo che un professore universitario guadagni tanto, anche se del suo calibro. Sarà un regalo del caro zio? Probabile, anche se mi sembra strano. Se fosse solito ricevere certi regali, non avrebbe mai dovuto contrarre dei debiti, no?
Incuriosita guardo più attentamente anche le altre operazioni e noto che sembra l’estratto conto di un imprenditore a livello mondiale o un capo di Stato. Qualsiasi operazione è di una certa importanza, prelievo o deposito che sia. Come mai uno scrittore o professore che sia, si ritrova a gestire così tanti soldi in entrata e uscita?
E inoltre noto anche un’altra cosa, piuttosto strana. Il prelievo più grosso, per un ammontare di alcune migliaia di euro, viene effettuato con una cadenza quasi perfetta, sempre intorno al 20 del mese. Considerando che difficilmente paga un affitto simile o l’assicurazione per la macchina, l’unica ipotesi che la mia lunga esperienza di truffatrice e spettatrice dei più seguiti polizieschi in tv è: ricatto.
Solo una persona ricattata può aver bisogno di un prelievo tanto cospicuo con una cadenza così serrata. Ma chi potrebbe ricattare una persona tanto in vista? Perché Giulio si lascerebbe ricattare tanto facilmente?
Tuttavia l’ipotesi del ricatto spiegherebbe come ha fatto ad indebitarsi con tutti i soldi che guadagna tra università, libri eccetera, e anche il suo nervosismo quando gli ho proibito di uscire quando eravamo nascosti da Juno. Forse aveva paura di una ritorsione se non fosse riuscito a pagare. E potrebbe anche spiegare un altro mistero, quello della sua carriera così fulminante. Forse chi lo ricatta ha scoperto il motivo per cui gli riesce tanto facile ottenere nuovi successi. In tutto questo tempo non mi ha mai dato una risposta convincente, quando ho provato a domandarglielo.
Ma di nuovo, chi potrebbe ricattarlo? Di sicuro è qualcuno abbastanza potente, tanto da ottenere delle prove così schiaccianti da far cedere uno con la fama di Giulio a cedere.
Osservo lo schermo del computer come se potesse darmi le risposte che cerco, fino a che, infatti, i miei occhi notano un dettaglio fondamentale che mi è finora sfuggito.
La richiesta di prelievo più recente per il sospettato ricatto è stata accettata meno di un’ora fa, il che vuol dire che presto Giulio utilizzerà quei soldi. Non mi resta che seguirlo e scoprire cosa mi sta nascondendo di preciso.
All’improvviso di fretta, decido che la doccia può aspettare, così mi cambio velocemente tanto per non destare sospetti se Giulio mi vedesse e scendo nella saletta a chiedere le chiavi per l’auto “di servizio” che la CIA ci ha gentilmente concesso, nel caso Giulio decidesse di muoversi troppo velocemente per le mie gambe, quindi gli restituisco il portatile e il cd, con l’aria più innocente che conosco.
- Esci? – gli domando poi, attenta, vedendo che si è vestito e prepara una ventiquattrore, infilandoci qualche libro e diversi fogli.
- Sì, uno dei miei collaboratori, Torrisi, mi ha chiesto di spedirgli alcuni appunti per il libro, così faccio delle fotocopie e gliele mando per posta, visto che non ho con me lo scanner.
- Vuoi compagnia durante il tragitto? – domando ancora, col fiato sospeso. Il vecchio, tranquillo Giulio non rifiuterebbe mai una passeggiata insieme, se non avesse qualcosa da nascondere.
- Perdonami ma ho parecchie cose da sbrigare già che esco e mi sentirei in colpa a trascurarti. Se vuoi ti passo a prendere quando ho finito, non dovrei metterci molto – si scusa.
Come immaginavo. Credo di aver davvero scoperto uno dei tasselli che compongono il mistero del professor Gagliani.
Eppure, la cosa non mi fa affatto piacere, sebbene ne abbia passate troppe in questi ultimi giorni per sentirmi davvero delusa da qualcosa.
Non insisto oltre e torno in camera mia, attenta a sentire Giulio chiudere la porta della stanza quando esce, quindi aspetto qualche minuto e comincio il mio inseguimento.

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Capitolo 28
*** Segreti di famiglia II ***


Per fortuna il caotico traffico di Roma mi facilita il compito, perché spesso Giulio è costretto a fermarsi per un semaforo o a rallentare per evitare la folla e così non faccio nemmeno molta fatica fino a quando raggiungiamo una zona un po’ in periferia, piena di case malandate e gente con un’aria stranamente minacciosa.
Sempre attenta a mantenere la distanza, lo osservo girare a destra o a sinistra con aria incerta, evidentemente nemmeno lui è pratico della zona, e fermarsi qualche volta a chiedere informazioni ai passanti. Per fortuna che io devo solo seguire lui, perché non so se avrei avuto il coraggio di domandare a queste anziane con l’aria psicotica.
Alla fine, vedo Giulio entrare in una specie di grosso capannone infilato tra due palazzine fatiscenti e mi guardo intorno, alla ricerca di un punto che mi permetta almeno di vedere con chi parlerà, visto che si è chiuso la porta alle spalle. Per fortuna, vedo un finestrino piuttosto lercio ma ad altezza uomo bucare la parete di destra, così mi avvicino, prendendo in prestito una sedia con lo schienale sfasciato da un cassonetto poco distante.
Non so se essere felice o meno del fatto che nessuna delle persone intorno a me sembri fare una piega vedendomi prendere una sedia dall’immondizia.
Attenta a non toccare più del dovuto né la sedia né la parete del capannone, mi allungo per dare una sbirciata dentro. A giudicare dal numero di casse e scatole accatastate un po’ ovunque direi che è un magazzino di qualche genere, anche se da qui non riesco a leggere nessuna delle scritte, ma niente di eccessivamente pericoloso perché le persone che riesco a vedere da qui lavorano tranquillamente spostando le casse da una parte all’altra e non ci sono armi in giro. Almeno posso escludere cose tipo mafia internazionale o roba simile.
Finalmente la figura di Giulio entra nel mio campo visivo, accompagnato da un uomo magro e con un naso esorbitante sul viso scarno. Anche lui, da quello che riesco a vedere, non sembra armato e Giulio si muove piuttosto rilassato per uno che sta pagando un ricattatore. La cosa diventa sempre più strana.
Comunque, visto che non posso sentire cosa dicono, osservo attentamente le mani di entrambi, maledicendomi di non aver portato nessuna pistola con me. Ho pensato che il coltello sarebbe passato più inosservato se qualcuno mi avesse fermato, ma non avevo considerato che sarei stata fuori portata dal bersaglio. Anche se in effetti da questa posizione e con lo scarso equilibrio su cui mi sto poggiando, sarei riuscita al massimo a ferire me stessa, probabilmente.
Giulio stringe ancora la valigetta che gli ho visto preparare in camera e chiacchiera amabilmente col tizio di fronte a lui, con quello che sembra un sorriso. Perché sorride al suo ricattatore?
Ok, a questo punto credo di poter escludere l’ipotesi. Ma forse semplicemente quello è il tipo sbagliato. Forse ha fatto visita ad un amico prima di raggiungere il destinatario dei soldi.
Sempre più confusa, li osservo chiacchierare per qualche minuto, poi vedo Giulio poggiare la ventiquattrore per terra ed aprirla, quindi estrarre un elegante borsello tipo Luis Vuitton che sembra vuoto visto da qui. Il tizio col naso enorme comunque sorride e apre il borsello, tirando fuori un sottile rettangolo di carta. Ma certo, ha staccato un assegno, che stupida. Di certo è molto più pratico che girare con decine di migliaia di euro in contanti.
Qualche altra chiacchiera rilassata, poi Giulio e Nasone si stringono la mano e si allontanano dalla mia visuale, probabilmente per raggiungere la porta, lasciandomi più confusa di prima.
Non mi sembrava proprio uno scambio forzato, tra ricattatore e vittima. Però gli ha lo stesso dato un assegno. Che sta succedendo? Se non lo sta ricattando, per cosa lo sta pagando?
Intanto scendo dalla sedia con un sospiro di sollievo, attenta a non ferirmi allo schienale spezzato, quindi ritorno verso l’uscita e mi fermo nascosta dietro l’angolo dello stesso capannone.
Giulio è ancora davanti all’entrata, e sta dicendo qualcosa a Nasone. Sfortunatamente parlano a bassa voce e il vento non è dalla mia parte, così capisco solo qualche parola ogni tanto. Riesco ad intercettare “libro”, “scrivere”, “scadenza”, “patto”, “segreto” e “vescovo” e per quanto non mi meravigli affatto sentir parlare del nostro caro Terenzio, non riesco a dare un senso al discorso, anche perché non sono riuscita a capire quando parlava Giulio e quando Nasone.
Ad un certo punto una macchina grossa, tipo SUV, con i vetri oscurati, si ferma proprio davanti al capannone e, sorpresa sorpresa, il vescovo Terenzio scende dal sedile posteriore e si avvicina ai due. Li vedo salutarsi e chiacchierare di qualcosa, poi Giulio saluta di nuovo tutti e si allontana di nuovo, lungo la strada da cui siamo arrivati.
Maledizione! Dal punto in cui mi trovo non posso seguirlo, perché dovrei passare davanti al vescovo e Nasone, quindi lo osservo scomparire dal campo visivo appena dietro il SUV. Comunque, già che mi trovo, torno ad osservare Terenzio e Nasone che continuano a discutere, piuttosto animatamente. Anzi, in realtà Nasone sembra agitarsi parecchio mentre Terenzio continua a sorridere nella sua posa elegante e distaccata, con quel sorriso condiscendente che si vede in faccia al super cattivo dei film. Com’è possibile che nessuno capisca che è cattivo dentro questo tizio? È evidente!
Comunque ancora una volta capisco solo qualche sporadica parola tipo “soldi”, “ordini”, “superiore”, “pagare” e di nuovo non riesco a capire il senso generale del discorso. Forse Nasone è scontento? Voleva più soldi?
Forse non è un ricattatore ma uno che lavora per loro, o solo per Giulio o solo per Terenzio, e vuole essere pagato di più. Ecco perché Giulio era tanto affabile e anche lo zio resta tranquillo davanti alle discussioni dell’uomo. Ma allora cosa fa Nasone per loro? Perché Giulio ha nascosto tutto?
Mentre cerco di interpretare il senso di quello che sta succedendo, il vescovo e Nasone si avvicinano all’auto e Terenzio apro lo sportello posteriore, coprendomi così la visuale per qualche minuto, poi lo sportello si richiude e Nasone se ne torna nel capannone, dopo aver sputato con grazie ed eleganza nel punto in cui prima c’era l’auto del vescovo.
Resto qualche minuto ferma, indecisa se provare a cercare di trovare di nuovo Giulio, anche se ormai è improbabile, oppure parlare con Nasone, ammesso che decida di dirmi qualcosa.
Alla fine mi sembra più logico tentare di scoprire qualcosa da Nasone, così cerco di riassettarmi e pulirmi sui jeans le mani sporche, prendo una penna e un blocchetto che tengo sempre in borsa per le emergenze e mi affaccio all’interno del capannone.
Avvicino un tizio alla guida di un muletto con diverse scatole impilate sopra e chiedo del proprietario, presentandomi come una giornalista e lui mi indica con aria scocciata un punto imprecisato sul retro.
- Nell’ufficio a cercare come rubarci altri soldi – aggiunge in tono acido.
Ringrazio e cerco di vedere un ufficio tra le pile di scatole e casse, fino a che vedo che in un angolo qualcuno ha utilizzato quei separé di legno che si usano nei monolocali per nascondere alla bell’e meglio una scrivania e uno scaffale pieno di carte e creare una specie di zona ufficio.
Mi avvicino a passo spedito, sperando che sia uno di quei tipi loquaci a cui piace avere un po’ di fama e soprattutto che non sia uno sveglio, perché se mi chiede qualche documento sono fregata.
Busso decisa sul separé, poi mi affaccio col migliore dei miei sorrisi e mi presento.
- Mi chiamo Amanda e lavoro per un piccolo giornale in provincia. Vorrei qualche informazione sul vescovo che si è allontanato di qui.
Lui mi squadra per un lungo momento, valutando ogni centimetro della mia figura ma non con lo sguardo di chi cerca di capire se caccio balle. Piuttosto sembra che stia valutando a quanto potrebbe vendermi e la cosa mi fa sentire un po’ più sicura. Non sembra un tipo dalla forte morale, con un po’ di fortuna potrebbe non essere nemmeno leale con il suo datore di lavoro.
Quando ha deciso che sono innocua mi fa un cenno con la testa per invitarmi ad avvicinarmi.
- Tolga qualche carta se vuole sedersi – aggiunge in tono scorbutico.
Sposto le carte per terra in una colonna più ordinata possibile e mi siedo proprio davanti a lui, cercando di mettere in mostra la scollatura. Di solito con tipi del genere è un diversivo perfetto per ottenere informazioni.
- Sto scrivendo un articolo sul signor Terenzio ma vorrei qualcosa di veramente scottante, se mi capisce – spiego, andando dritta al dunque ma senza smettere di sorridere.
Lui mi squadra ancora un po’, attratto come previsto dalla scollatura di fronte a lui.
- E cosa le fa pensare che io abbia qualcosa che fa per lei?
- Lei mi sembra uno sveglio e vi ho ascoltati discutere poco fa.
- Era solo una chiacchierata e lei non ha il diritto di ascoltare – replica, un po’ sulle spine.
- E lei non dovrebbe ricattare la gente, signor…
Lui si rizza sulla sedia e mi agita un dito grosso e sporco davanti alla faccia.
- Stia attenta a come parla, ragazzina. Io non ricatto proprio nessuno, chi le ha detto queste fesserie?
- Voci di corridoio – rispondo, continuando a fissarlo sorridente e imperturbabile.
- Be’ ha preso una cantonata. Sono un uomo d’affari, io, e i miei rapporti con Terenzio sono perfettamente legali.
Sorrido in silenzio per qualche momento, osservandolo agitarsi sulla sedia, nervoso.
- Alla polizia dicono che lei sta ricattando il nipote del vescovo e che Terenzio si è stancato di pagare…
- La polizia? E chi ha parlato di polizia? – sbraita Nasone, incapace di stare fermo sulla sedia. Proprio la reazione che speravo. Forse è davvero la mia giornata fortunata.
- Ho un amico alla centrale e lui mi ha detto che è stata aperta un’indagine. Per questo ho deciso di scrivere il pezzo prima di tutti gli altri e le sto dando la possibilità di dire la sua prima che Terenzio censuri tutto – lo avverto continuando a sorridere serafica.
Lui mi fissa per un po’ in cagnesco, indeciso se credermi o meno, o forse cercando di capire se gli conviene più parlare o stare zitto.
- Sono disposta anche a pagarla per la sua versione. Duecento rotti adesso, in contanti. Il prezzo della verità – lo stuzzico, allungandomi verso di lui, con i gomiti sulla scrivania.
Lui mi fissa ancora per un po’, sempre più nervoso. Il sudore ormai gli cola lungo le tempie in tante piccole goccioline.
- E va bene, mi stia a sentire. Non sto ricattando proprio nessuno io, sono pulito da anni ormai. È stato quel moccioso a chiedermi di occuparmi della… transazione per un sacco di soldi, a patto che nessuno lo sapesse.
- Transazione? Se scrivo così sembrerà un traffico di droga o armi o…
- No no no no, quali droga o armi! Le ho detto che sono pulito adesso. Riguarda dei libri, ok? Io prendo i libri dal tipo con le cicatrici e lo porto al moccioso, poi lui lo legge e se va bene mi da i soldi e io divido a metà con quell’altro!
Dei libri? Questa davvero non me l’aspettavo. Perché pagare per dei libri? Perché visto che Giulio non ha cicatrici direi che lui è quello che paga. Forse sono dei libri che gli servono a scrivere i suoi ma… di nuovo, perché tenere tutto nascosto? Perché questo alone di mistero?
- Proviamo a capire… il moccioso sarebbe il nipote del vescovo?
- Sì, quello con la puzza sotto al naso… tale e quale a quel vecchio tirchio! Non mi stupisce che vogliano scaricare tutto su di me. Ma non mi farò incastrare come un fesso!
- E perché doveva rimanere segreto questo… affare? – insisto.
- Gliel’ho detto, faccio solo da tramite. Lo scriva su quel foglio. Solo da T-R-A-M-I-T-E. Per il resto non m’impiccio.
- E perché vorrebbero denunciarla se il vostro è un affare?
- Ma che ne so… questi ricconi sono matti! Forse perché ultimamente ho chiesto qualche spicciolo di più e al quel vecchio bacucco la proposta non è piaciuta… ma dico io, con tutti i rischi del mestiere, uno si deve pur tutelare…
Annuisco, come se fossi d’accordo. Intanto cerco di immaginare quale sia la verità in fondo a questa storia. Sembra non avere nessun senso.
- E perché crede che vogliano scaricare tutto su di lei? – domando dopo qualche secondo.
- Non lo so. Forse perché sono quello con i precedenti.
Faccio una breve pausa, indecisa. Che genere di libri possono creare tutti questi sotterfugi?
- Secondo me invece vogliono assicurarsi che lei non tradisca il vostro… segreto. E per arrivare a una denuncia solo per chiuderle la bocca si tratta di qualcosa di grosso… -
Lui però non abbocca e si limita a scuotere la testa nervoso come un cavallo.
- Gliel’ho già detto. Non m’impiccio io. Sono un uomo onesto ora, non ho niente a che fare con la frode…
Frode! Ecco di cosa si tratta! C’è una frode di mezzo! Ma frode di che tipo?
Cerco di pensare velocemente e intanto trascrivo sul foglio per dare credito alla mia copertura, mentre Nasone continua ad agitarsi nervoso sulla sedia.
Insisto ancora un po’, girando intorno all’argomento e infilando qua e là nel discorso le possibili conseguenze legali di una denuncia per ricatto e complicità in una frode, anche se completamente inventate e deliberatamente esagerate, fino a che Nasone cede.
- Va bene, va bene, la pianti – mi interrompe mentre descrivo la vita in carcere per uno che si mette contro qualcuno potente come il vescovo Terenzio.
- Forse potrei sapere di cosa si tratta. Ma le dirò qualcosa solo se promette di farmi aiutare dal suo amico poliziotto. Non posso permettermi altri problemi con la legge.
Trattenendo un moto di soddisfazione, annuisco compitamente e per convincerlo, scarabocchio sul foglio una specie di raccomandazione per il detective Jack Malone, chiedendo mentalmente scusa al defunto.
Gli passo la raccomandazione e lui sembra prendere un po’ di coraggio, quindi si appoggia a sua volta con i gomiti sulla scrivania.
- Credo che il moccioso stia guadagnando un sacco di soldi con i libri di Cicatrici. Potrei aver letto qualche titolo dei libri che ho consegnato e poi aver notato che gli stessi titoli si vendono in libreria con la faccia del moccioso stampata sopra.
Non so se esultare o spararmi in testa. Se ho capito bene, questo tizio mi sta dicendo che Giulio è il miglior bugiardo di tutti noi, visto che ha ingannato diversi milioni di fan spacciandosi per autore dei libri più acquistati del momento.
Credo che sto per vomitare. E anche per svenire.
Scrivo freneticamente sul blocchetto, tanto per avere una scusa per nascondere la mia espressione, e solo quando ho riacquistato un po’ di controllo rialzo la testa e sorrido a Nasone.
- E già che ci siamo, non è che saprebbe anche il nome di questo tizio con le cicatrici, vero? – gli domando con la bocca improvvisamente asciutta, senza sapere se voglio davvero conoscere la risposta. Perché se non mi risponde, sarà la parola di un losco sconosciuto contro quella di Giulio ma se invece risponde…
- Vittoriano Paolinelli. Ma è un tipo strano, molto più strano di quei due ricconi. Certo non muoverà un dito per salvarmi, forse nemmeno per salvare se stesso – aggiunge, con una risata nervosa.
- Questo non la mette esattamente nei guai con la legge – gli faccio notare dopo qualche minuto di silenzio, sperando di sembrare abbastanza impassibile nonostante la conversazione mi abbia letteralmente sconvolto.
Lui si agita nervoso sulla sedia, forse indeciso se rispondere sinceramente, poi fa un lungo sospiro e si mette a fissare un punto imprecisato sulla sua scrivania.
- Diciamo che potrei aver… dimenticato di registrare le commesse fatte al nome del moccioso, per intascare i soldi delle tasse – ammette in tono leggermente infastidito, come se non gli piaccia l’idea di raccontarmi questi piccoli dettagli.
- Sono certa che Jack potrà chiudere un occhio su questo particolare, se la sua testimonianza sarà sufficientemente utile – lo rassicuro, sentendomi ancora sul punto di svenire.
Lui sembra rianimarsi un po’ a questa notizia e riacquistare un po’ di colorito e anche di loquacità.
- In effetti potrei sapere qualche altra cosina su quei due bei tipi. Anzi, sono certo che se ci penso un po’ su, ricorderò qualcos’altro. Per ora è tutto.
Anche per quanto mi riguarda, quello che è detto è più che sufficiente quindi lo saluto e lo rassicuro che insisterò col mio amico poliziotto, poi esco da quel capannone soffocante e mi ritrovo sul marciapiede, all’aria fresca al confronto dell’interno.
Maledizione, cosa dovrei fare ora? Credere a Nasone sulla fiducia mi sembra eccessivo ma è evidente che Giulio non è stato affatto sincero. Dovrei affrontarlo di persona, domandare direttamente a lui di tutta questa brutta faccenda? Ma sarebbe un idiota a confessare le sue colpe così, solo perché glielo chiedo io.
Potrei chiamarlo, farlo venire qui e metterli a confronto… ma non appena Nasone capisce che gli ho mentito mi butterà fuori a calci.
Maledizione, maledizione, maledizione! Perché nessuno di quelli che mi conosce può semplicemente dirmi la verità?
Comunque mentre penso mi rimetto in cammino, considerando che l’ora di pranzo è passata e io non so se ricorderò la strada per il ritorno. Forse avrei dovuto segnarmela.
Mentre attraverso distrattamente strade e viottoli, mi sforzo di immaginare una spiegazione non colpevole per quello che ha detto Nasone. Forse non sono proprio gli stessi libri che pubblica Giulio, forse qualche volta ha ripreso il titolo e altre qualche parte. In fondo lavora con dei collaboratori dannazione! Qualcuno si sarebbe pure accorto che non sapeva quello che aveva scritto, o…
Forse è questa la soluzione. Forse dovrei rintracciare uno dei collaboratori di Giulio e chiedere a lui se ha notato qualcosa di strano nella… preparazione di Giulio. Se pubblica dei libri che non sono suoi, avrà pur commesso qualche errore ogni tanto e chi se non i suoi colleghi più stretti può essersene accorto?
E intanto potrò ancora aggrapparmi alla speranza che Nasone abbia frainteso tutto e che tutta questa storia della frode sia una sua fantasia. Anche se, nel caso la verità fosse un'altra, non capisco perché tenere tutto segreto. In effetti, la versione della frode letteraria è l’unica al momento a rispondere a tutti gli interrogativi. Ma se il tizio con le cicatrici è d’accordo, si può comunque parlare di frode? Dannazione! Mi servirebbe Linda!
Per fortuna, prima che possa farmi prendere da un’altra crisi da ricordo dell’amica scomparsa, trovo un taxi fermo poco più avanti e lo raggiungo di corsa, quindi mi faccio accompagnare all’hotel. Fortuna che ho preso qualche spicciolo. E anche che Nasone fosse troppo spaventato per ricordarsi dei soldi promessi.
Quando scendo dal taxi, mi sento un po’ più calma. In fondo, che Giulio non mi stesse dicendo tutta la verità lo avevo capito anche prima ed è comunque troppo presto per giudicarlo. Dopo quello che ha fatto per me da quando ci conosciamo, il minimo che posso fare e concedergli il beneficio del dubbio fino a che non avrò parlato con qualche suo collaboratore. E comunque devo già dargli un brutto colpo stasera, quando gli parlerò dei suoi genitori, inutile aggiungere altra carne al fuoco finchè non ne sarò sicura.
Mi dirigo subito nella saletta-base, per controllare se ci sono novità e anche un po’ per evitare di parlare a quattrocchi con Giulio, ma scopro che non c’è niente di nuovo e che Giulio è già anche lui nella saletta, intento a studiare alcuni fogli insieme a uno dei tecnici.
Mi avvicino a loro, sforzandomi di sembrare impassibile, e domando qual è il problema.
- Il computer centrale è ancora fermo. Non riusciamo a scoprire la password – mi spiega Giulio, frustrato.
- Sono giorni che ci lavoriamo, abbiamo programmi e software di tutti i tipi e ancora non abbiamo indovinato nemmeno una cifra!
Vederlo così genuinamente disperato mi fa più rabbia che compassione, ora come ora, ma non voglio dire qualcosa e fargli capire che c’è qualcosa che non va, perciò resto zitta, evitando il suo sguardo.
- Di questo passo non li fermeremo mai in tempo! Maledette password! – ruggisce, picchiando col pungo sul tavolo.
Per un momento nessuno dice niente, anche perché è di certo il pensiero che domina un po’ tutti nella stanza, e così mi ritrovo a cercare ugualmente qualcosa da dire, più per consolare quelli che ci ascoltano che il mio infido amico.
- Credo che abbiamo ancora un po’ di tempo, di sicuro non perderanno l’occasione di farci sapere che hanno vinto. E  il fatto che finalmente non è così semplice mi rassicura un po’.
Mi guardano tutti come se fossi impazzita e mi affretto a spiegare.
- Ho sempre avuto l’impressione che fosse stato troppo facile e temevo che fosse tutto un trucco. Questo dimostra invece che hanno solo peccato di presunzione.
- Magra consolazione – risponde Giulio in tono amaro, fissando lo schermo bloccato con aria truce.
- Per ora è l’unica che abbiamo. E se siamo fortunati, troveremo qualcosa anche negli altri file. Abbiamo già trovato qualcosa, no? – gli ricordo brusca, poi mi allontano, prima di non potermi più trattenere dal chiedergli spiegazioni. Anche se non ha a che fare con l’Organizzazione, perché mi ha mentito? Dopo quello che ho detto, quello che abbiamo passato, dopo che ho scoperto i suoi debiti, perché continua a nascondermi le cose?
Il resto del pomeriggio trascorre lento, quasi sonnacchioso come avrebbe detto Linda, e senza grandi risultati, tranne quello di riuscire a controllarmi ancora un po’ meglio. Per stasera devo essere assolutamente padrona di me o verrà fuori un disastro e perderò forse l’unica occasione di scoprire tutte le carte.
Alla fine, mentre il sole tramonta dietro a una finestra semi oscurata perché nessuno veda i computer e decida di ficcanasare, mi alzo dalla sedia con uno sbadiglio, mentre Giulio mi si avvicina.
- Sei ancora dell’idea di cenare insieme stasera?
Annuisco, mentre mi stiracchio con una soddisfazione immensa. Credo di capire perché lo yoga piace così tanto.
- Allora il tempo di una doccia e ci vediamo in terrazzo ok? Ho preso qualcosa da asporto se per te va bene.
- Certo. Dammi un’oretta e sono da te.            
Ci dividiamo, perché lui preferisce sempre usare le scale se può e io non riesco a fare due gradini senza crollare da quando sono incinta, perciò torno in camera da sola, cercando di scegliere le parole da usare per comunicare la mia bella notizia e poi chiarire la questione dei libri. Forse avrei dovuto avvertirlo che non era proprio una cena romantica. Comunque ora è troppo tardi e anche se è cattivo da parte mia, da un certo punto di vista sono contenta di rovinargli i progetti. Diciamo che è una minuscola parte di vendetta per tutte le bugie che mi ha raccontato.
Invece di farmi la doccia, considerando che ne ho già fatte due, mi do solo una sciacquata veloce e mi cambio per la terza volta nella giornata, quindi mi stendo sul letto, o meglio mi ci lascio cadere sopra, con gli occhi chiusi.
Incredibilmente, vorrei che Alex fosse qui ora. Per quanto abbia cercato di liberarmene finchè mi è stato vicino, ora non so cosa darei perché ci fosse lui ad aiutarmi ad affrontare tutto questo. La morte di Juno e Linda, le bugie di Giulio, un’arma chimica da scovare e distruggere…
Eppure, la sua partenza ha dimostrato ancora una volta come avessi ragione sulla sua fantomatica cotta. Da quando è partito, non mi ha nemmeno telefonato, almeno per sapere come stanno andando le cose qui. Probabilmente non sa ancora delle perdite che abbiamo subito in questi ultimi giorni e delle scoperte che abbiamo fatto, ma a lui non importa più di quanto gli importi sentire la mia voce.
Ancora una volta, mi chiedo come ho potuto credere di essere un bravo giudice. Ho creduto a tutte le bugie che mi hanno rifilato, ho creduto ad Alex che diceva di amarmi e a Giulio che dice di essere uno scrittore e a Yvonne che fingeva di aiutarmi…
Eppure ad Alex e Giulio ho creduto davvero, ci sono cascata come la più sprovveduta delle imbecilli. Gli ho creduto nonostante i rischi e la valanga di indizi che avrebbero dovuto farmi intuire la verità. Che stupida. E arrogante anche.
Ho sempre pensato di potermela cavare da sola, di essere pronta, di avere le qualità giuste, non solo per vendicare mio padre ma anche per continuare la mia vita una volta che tutto questo sia finito. E invece, sono un’idiota.
Lo dimostra anche il fatto che sono incinta di uno che mi ha solo usata per svolgere le sue indagini, per aver dimenticato una pillola una qualche sera. Di nuovo, che idiota.
E il bello è che ho capito di essere una sprovveduta proprio nel momento in cui tutte le persone che avrebbero potuto proteggermi e guidarmi sono scomparse. Linda e Juno non potranno più cercare di insegnarmi niente perché per colpa delle mie convinzioni ora sono morti. Come posso convivere con questo dolore e, soprattutto, con questa consapevolezza?
Alla fine mi decido ad alzarmi per raggiungere Giulio e affrontare quest’altra prova. Forse alla fine sarò io quella che non sopravvivrà invece che il mio bambino.
In realtà un’occhiata all’orologio mi avverte di essere parecchio in anticipo ma non importa. Se resto qui un altro minuto sprofonderò in un coma da ricordo e non è certo il momento.
Prendo una giacca dalla valigia, nel caso in terrazzo faccia freddo sul tardi, e controllo di non aver lasciato niente acceso, quindi esco, chiudo la porta a chiave e mi avvicino alla porta di Giulio.
Provo a bussare un paio di volte ma non mi arriva nessuna risposta. Strano, è presto perché sia già salito sul terrazzo. Provo a girare la maniglia, certa che se è già salito, magari per preparare l’atmosfera, abbia chiuso a chiave e invece la porta si apre.
Con un sussulto, visto che gli avrò ripetuto un milione di volte di chiudere a chiave anche quando è in camera per scongiurare qualche visita a sorpresa dell’Organizzazione, apro la porta e do una sbirciata dentro, per controllare che ci sia effettivamente Giulio nella stanza e che non sia nudo, e per fortuna lo vedo tranquillamente seduto sul letto, di spalle alla porta, concentrato su un piccolo televisore portatile che non sapevo nemmeno che avesse portato.
Quante volte devo ricordargli di non dare le spalle alle porte e alle finestre? Tanto vale che se ne vada in giro con un bersaglio sulla schiena, non potrebbe rendere più facile il suo assassinio se l’Organizzazione volesse.
Tanto per spaventarlo un po’, chissà che non impari una volta per tutte la lezione, mi avvicino furtivamente alla scrivania e afferro un bicchiere di vetro ancora pieno d’acqua che vi ha lasciato sopra. Scommetto che una piccola doccia imprevista gli resterà più impressa di qualsiasi predica.
Sempre furtivamente, e senza che lui si accorga del minimo movimento alle sue spalle, e tanti saluti ai riflessi felini dei super agenti, mi avvicino alle sue spalle, col bicchiere alzato pronto per versarglielo in testa. Ma qualcosa mi blocca il movimento, il respiro, il battito del cuore.
Sullo schermo del televisore c’è l’immagine dei resti di un aereo precipitato in mare e la voce fuori campo annuncia, proprio quando sono a pochi passi da Giulio:
- Ancora dispersi i resti dell’ultimo passeggero del volo 833 diretto a Boston e precipitato più di una settimana fa a poche miglia dalla costa. Nonostante le insistenze dei genitori di Alex Beckett, il ragazzo scomparso, le autorità hanno deciso di interrompere le ricerche, certi che il ragazzo non possa essere sopravvissuto in mare per tutto questo tempo.
A quel punto Giulio, che ancora non si è accorto di me, spegne il televisore e per un breve, minuscolo momento, lo schermo nero, per un effetto della luce, riflette il viso di Giulio come uno specchio e io vedo che lui sorride, ma non il solito sorriso di Giulio, che conosco e amo. È un sorriso orribile quello che vedo.
Un sorriso sadico e soddisfatto.
Prima che me ne accorga il bicchiere mi è scivolato dalle mani e si infrange per terra in una esplosione di schegge di vetro e gocce d’acqua.
Finalmente Giulio si accorge della mia presenza ma io non lo guardo. Non riesco a staccare gli occhi dal piccolo schermo, ormai nero.
- Alexis, io… - comincia Giulio ma si interrompe subito, restando a fissarmi in silenzio, mentre io resto immobile in piedi intanto che il mio cervello elabora la notizia.
Alex Beckett, il ragazzo disperso. Sospendere le ricerche. Non può essere sopravvissuto. Alex Beckett.
- Da quanto tempo lo sapevi? – gli domando dopo un po’, con la voce sorprendentemente atona.
Anche dentro mi sento stranamente atona. Non c’è proprio un vero sentimento, quanto più il nulla. Un vuoto assoluto e spaventoso, che sembra assorbirmi completamente.
Giulio ci mette un po’ a rispondere, forse indeciso se dirmi la verità oppure no.
- Un agente ha chiamato al cellulare di Malone, poco dopo l’incidente. Ma Malone e Linda erano morti il giorno prima e tu non reagivi a niente e nessuno… temevo che se te lo avessi detto…
Dice qualcos’altro ma io non lo ascolto più. Vorrei parlare, dire qualcosa, ma non riesco a fare nemmeno quello.
Come non riesco a piangere o andarmene. Riesco solo a fissare quello schermo spento e ricordare le parole della giornalista, come un disco rotto che ripete la stessa frase all’infinito. “hanno interrotto le ricerche… non può essere sopravvissuto”
- Alexis ti prego. Cerca di capire…
Senza che abbia proprio pensato di farlo, lo interrompo con un gesto della mano. Non mi interessa ascoltarlo.
Che buffo il destino. Pochi minuti fa, per la prima volta da quando è partito, ho pensato ad Alex, mi sono chiesta perché non mi avesse mai chiamato se gli interessavo davvero… e ora lo so. Perché, se anche mai gli sono interessata davvero, era già morto.
Sento che finalmente le lacrime cominciano a scivolare lungo le guance e lentamente il vuoto che mi ha inghiottita si modella, si trasforma, per cominciare a sembrare qualcosa di più simile a un’arena di sentimenti.
Dispiacere. Immenso, insormontabile dispiacere. Angoscia, terribile e soffocante. E rabbia. Una marea gigantesca di rabbia che minaccia di paralizzarmi.
Tutte le cose dette e quelle che non ho potuto dire, le possibilità che avevo segretamente tenuto aperte nella mia testa e che ora sono state cancellate di forza…
- Per favore Alexis, sediamoci e parliamone, devi calmarti un po’, sei sconvolta… - mi prega Giulio, titubante.
E quel sorriso. Il sorriso di Giulio riflesso sul televisore. Quel sorriso crudele e compiaciuto.
- Sono incinta. Di Alex – lo informo con voce atona, appena tremolante, mentre invece le mani prendono a tremare visibilmente.
Lui non dice nulla, mi fissa per qualche istante finalmente sconvolto a sua volta. Poi lascia ricadere le braccia lungo i fianchi e distoglie lo sguardo, come se fosse arrabbiato. Ma non ne ha il diritto, non dopo avermi nascosto che Alex…
- Da quanto lo sai? – mi domanda, con voce roca, ma io non rispondo, mi limito a stare ferma, in mezzo alla stanza, con i piedi graffiati dalle schegge del bicchiere ancora per terra, mentre le lacrime mi scendono sempre più copiose, inondandomi la faccia.
- Devo andare a stendermi – dico dopo un po’, sentendo la mia stessa voce arrivare da un altro pianeta.
Più per istinto che per un pensiero vero e proprio, scanso le schegge più grosse ed esco dalla stanza senza che Giulio faccia niente per fermarmi, quindi torno nella mia stanza e mi lascio cadere sul letto a pancia in giù, mentre i primi singhiozzi cominciano a squassarmi.
Non so per quanto tempo sono rimasta lì a piangere, senza fiato, mordendo e strappando i cuscini e le lenzuola, disperata.
Perché anche Alex? Non bastavano Linda e Juno? Perché doveva morire anche lui?
Ad ogni domanda però, l’unica risposta che mi giunge è un ricordo di Alex, che la mia mente ripesca dal passato con precisione cristallina, crudele come il sorriso di Giulio.
Ricordo la prima volta che l’ho visto a casa di zia Ade, appoggiato nella mia stessa posizione, con quell’aria sofisticata e sexy. Ricordo di quando alla serata di gala organizzata da mia madre mi ha baciato all’ombra dell’albero, con una passione struggente che credevo si provasse solo nei libri. Ricordo quando è venuto a casa mia e abbiamo parlato per un po’, cercando di dissipare quell’aria sperduta e incerta che aveva mentre si guardava intorno nella mia cucina.
Ricordo quando ho inserito il primo cd a caso ed è partita una sigla dei cartoni animati, ricordo le ore che ci siamo allenati insieme a casa di Juno. Ricordo quando abbiamo litigato per colpa di Giulio…
E ogni ricordo è una pugnalata, una fucilata, un colpo mortale inferto al mio cuore dal mio stesso cervello.
Come può essere morto, dopo tutto quello che abbiamo passato?
Come può essere morto quando io porto ancora suo figlio in grembo?
Scossa dai singhiozzi mi stringo le mani sul ventre, accarezzandomi la pancia, per niente sorpresa dalle fitte che gareggiano coi i singhiozzi nel togliermi il fiato. Credo che la pallina abbia capito la verità.
Come può essere morto?
Dopo quella che sembra un’eternità, riesco a calmarmi un po’, almeno abbastanza per rendermi conto che mi serve un’industria di fazzoletti, così mi tiro su meglio che posso e apro il tiretto del comodino, alla ricerca di qualche pacchetto aperto. Mentre rovisto però le mie dita si impigliano in una cordicella che non riconosco fino a che viene fuori il fischietto che mi ha regalato Giulio prima di andare in Francia. Lo sollevo per liberarmi le dita, quindi lo tengo per qualche minuto nella mia mano.
“Se c’è qualche problema, non devi che fischiare” mi aveva detto Giulio, mentre me lo infilava al collo, quello che sembra un secolo fa.
Per un momento mi viene la folle idea di fischiare sul serio. Ma poi? Cosa dovrebbe fare dopo essere entrato qui?
Di nuovo, come se la mia mente fosse un rubinetto guasto, i ricordi prendono a scorrere senza sosta e rivedo Alex e Giulio litigare a casa mia, a casa di Juno, in Francia. Ricordo quando sono tornata dalla mia passeggiata alla serata di gala e ho scoperto che si erano presi a pugni, ricordo quando nella stanza d’albergo in Francia si sono presi a pugni davanti a me… quante cose non ho detto ad Alex per colpa di Giulio, per rispetto nei suoi confronti? A quanti baci, a quante battute ho dovuto rinunciare per non ferirlo? Se non ci fosse stato lui tra noi, avrei almeno potuto vivere davvero il poco tempo con Alex. Forse non lo avrei lasciato partire per l’America e ora il padre di mio figlio sarebbe ancora vivo…
Presa da un altro attacco di rabbia e disperazione, torno a piangere come una fontana e in un moto di frustrazione, butto con violenza il fischietto per terra, come se potessi buttare con quello anche il mio dolore, e dopo una breve curva, il fischietto si schianta per terra e si distrugge in mille pezzi, proprio come il bicchiere qualche ora fa, ma non mi curo di raccogliere i cocci, perché sono molto più occupata a piangere urlando tutte le imprecazioni che conosco.
Piango e impreco per me e per il mio bambino, piango per Alex e Linda e Juno e Nat e Malone, ma anche per Sarita, il barista, il signor Bown, l’agente che Alex ha ucciso per tirarmi fuori da quell’hotel, per i miei genitori. Piango per tutto quello che è andato storto da quando il Cardinale Richelieu ha deciso di voltare le spalle al mondo.
Alla fine però, come sempre, anche le lacrime sono finite e lentamente i miei gemiti si sono trasformati nel respiro profondo degli addormentati, anche se al mio risveglio sono certa di aver fatto degli incubi terribili.

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Capitolo 29
*** Serpe in seno ***


Stringo più forte la penna tra le dita, con gli occhi chiusi. Quelli furono di certo i giorni che più mi dimostrarono quanto il destino sappia essere sadico nel sottoporci alle sue prove, durante i quali la mia fede fu messa più a dura prova.
La morte di una persona cara è sempre una tragedia, non importa quanto annunciata o prevista possa essere, ma quando è un incidente a spezzare una vita, quando è il puro caso, una stupida coincidenza a separarvi per sempre, allora la morte è molto più di quello e ha un potere di distruzione ancora più forte.
Una volta ho sentito in un film che quando muore un amico, muore anche un pezzo di noi insieme a lui e credo che non esistano parole più adatte a descrivere certi momenti.
Forse è per questo che molta gente sembra cambiata dopo un lutto. Una parte di noi muore e all’improvviso, c’è un posto vuoto nella nostra anima che deve essere urgentemente riempito e che diventa la casa del sentimento più forte in quel momento. Sfortunatamente, di solito il sentimento più forte in quei frangenti è la disperazione.
Solo dopo molto tempo ho capito quanto sia stata fortunata allora ad essere molto più arrabbiata che disperata.
Se non fosse stata la rabbia a sorreggermi, credo che le cose sarebbero potute andare molto diversamente per tutti noi e, nonostante i numerosi rimpianti, credo di potermi ritenere soddisfatta del risultato finale, anche se non è il classico lieto fine.
Ma in fondo, chi di noi può mai dire di aver vissuto realmente felice e contento?
Nessuno credo, perché altrimenti il destino morirebbe di noia. Lui preferisce osservare le nostre battaglie quotidiane e scommettere su chi sarà il vincitore. Per questo penso di potermi ritenere ad ogni modo soddisfatta. Nonostante le statistiche non fossero dalla mia, sono riuscita a collegare tutti i pezzi che ero finalmente riuscita a raccogliere e che se ne stavano lì, in attesa di essere riuniti in un’unica, terribile immagine di odio e vendetta, a cogliere i segreti più profondi delle anime dannate che il destino mi aveva messo di fronte.
Di certo, ho combattuto una grande guerra. Credo che sia stato un bello spettacolo anche per uno spettatore allenato come il destino.

 
 
 
Scendo nella nostra piccola base con un terribile senso d’ansia a farmi compagnia, stringendo nella mano il piccolo oggetto che ho nascosto nella tasca.
Sono due giorni, da quando ho scoperto di Alex, che non parlo con Giulio, che nemmeno lo vedo per caso. Entrambi abbiamo concluso che era meglio non avere a che fare tra noi e avrei volentieri continuato così per qualche altro anno, se non ci fossero cose più importanti a cui pensare al momento. Tra cui anche la cosa che stringo tra le dita.
Ma come dovrei comportarmi d’ora in poi con lui? Dovrei fingere che non mi importa se mi ha nascosto la morte di Alex? Dovrei far finta di non volerlo uccidere con le mie stesse mani ogni volta che penso a lui ormai? Dovrei fingere che non lo abbia visto sorridere sadico sapendo che non c’erano più speranze per Alex?
Dovrei fingere che quel sorriso non mi abbia fatto tornare in mente la conversazione che ho origliato tra Giulio e suo zio?
“Devi farlo fuori. Il Cardinale ci ucciderà” aveva detto Terenzio al nipote.
“Un Cardinale vero e proprio. Per il mio libro. Mi ucciderà in senso metaforico” aveva spiegato Giulio.
E invece suo zio è il braccio destro di un Cardinale che uccide in senso letterale. E Alex e Juno sono morti.
E il vescovo aveva parlato di documenti. “Se arrivano a quei documenti prima di noi il Cardinale ci ucciderà tutti”.
Ma questa frase non si lega molto bene al finanziatore di un libro. Si lega molto meglio ai miei documenti su un’organizzazione di pazzi a cui, guarda caso, il caro vescovo è collegato.
E non si lega bene al finanziatore di un libro anche perché in realtà Giulio non scrive proprio un bel niente, si limita a pubblicare l’opera di qualcun altro, secondo Nasone.
Infine c’è la cosa che ho in tasca, quella che ho trovato tra i resti del fischietto anche se non sembra affatto appartenere al fischietto. Che assomiglia invece molto di più a un microchip, di quelli che si usano per seguire qualcosa. O qualcuno.
Alla fine mi faccio coraggio ed entro nella stanza, cercando di vedere con discrezione se Giulio è dentro, ma non lo vedo. Perfetto.
Prima che abbia il tempo di aprire bocca e chiedere a uno qualsiasi dei ragazzi le due cose che ho in mente da stamattina, un fiume di parole mi sommerge, praticamente ancora sull’uscio.
- Abbiamo scoperto il nome di due aziende che esportano piante, compresa la nostra, tra i continenti. Entrambe commerciano regolarmente da una ventina d’anni con diverse società sospette, tra cui la Paramount Helping  – mi avverte Riley, riempiendomi le mani di un mucchio di carte che non provo nemmeno a leggere. Mi fido di quanto dice lui.
- Stiamo cercando di contattare i pezzi grossi per un mandato ma ci vorrà del tempo – mi spiega, avvicinandosi intanto a una delle scrivanie.
- Nel frattempo ho anche fatto analizzare da un esperto questi dati chimici. Stando a questi dati non sono proprio vicini alla soluzione… ma nemmeno lontani. Probabilmente stanno pensando a qualcosa da diffondere via aerea – aggiunge con l’aria più tetra che si possa immaginare e credo di avere la sua stessa faccia.
Se davvero diffonderanno questa cosa, qualsiasi cosa sia, per via aerea, sarà impossibile fare qualcosa una volta immessa nell’aria, non si potrà proteggere nessuno.
- Un motivo in più per sbrigarci allora – rispondo laconica, quando mi accorgo che lui sembra in attesa di una mia mossa ma lui continua a fissarmi in silenzio, innervosendomi più di quanto non lo sia già.
- Abbiamo altro? – domando alla fine, incapace di sopportare quello sguardo impassibile per un altro secondo.
- Sì. Abbiamo decrittato un registro con tutti i partecipanti ad alcune riunioni.
Questa volta il tono è quasi trionfante e anche io soffoco a stento un gesto vittorioso poco signorile. Questa sì che è una bella notizia!
- Importanti? – arrischio, cercando di frenare l’entusiasmo.
- Direttori di grosse banche, imprenditori di catene milionarie, politici, grandi azionari… ce n’è per mesi.
Questa volta non riesco a trattenere un moto di felicità e non mi preoccupo di nascondere il sorriso, che sembra finalmente contagiare anche Riley, che ne accenna uno timido a sua volta.
- Splendido lavoro ragazzi. Avrei dovuto incontrarvi prima – lo ringrazio, di slancio.
- Abbiamo già comunicato tutto ai nostri vertici e dovremmo avere i primi mandati entro qualche giorno, poi potremo interrogarli tutti – mi avverte poi.
Accidenti! Qualche giorno! E perché non qualche anno?
Cerco però di non farmi demoralizzare. Abbiamo fatto un grosso passo avanti ed è molto in questi giorni. Per il momento dovrò accontentarmi.
- Ottimo. Avvertitemi quando avremo qualche novità.
Lui annuisce e fa per tornare al lavoro ma io lo blocco.
- Il professor Gagliani è in giro? – domando, in tono casuale.
- No. Ha avvertito questa mattina presto che sarebbe mancato per tutto il giorno.
Ma davvero… che strana coincidenza. Io comunque non posso che esserne felice.
- Per caso abbiamo scoperto qualcosa su Terenzio? – chiedo a Riley.
- Poco e niente. E di certo niente che possa costituire una vera e propria prova.
Annuisco distratta. In fondo mi aspettavo che non sarebbe stato così facile e comunque i ragazzi hanno ben altro a cui pensare. Il vescovo è compito mio.
- Già che ci sei non è che potresti rintracciarmi un altro numero di telefono intanto? A nome del professor Ignazio Torrisi. Con estrema discrezione, soprattutto vicino al professor Gagliani – aggiungo, sperando che non mi faccia altre domande. Per fortuna alla CIA non sembrano peccare di curiosità e Riley si limita ad annuire.
- Grazie. Un’ultima cosa.
Gli porgo il piccolo rettangolino elettronico che ho trovato tra i cocci del fischietto.
- Puoi dirmi cos’è e a cosa serve? – gli domando, con un tremito nella voce che non riesco a nascondere.
Da questa risposta dipende il futuro di Giulio. Perché se è quello che penso, non potrò più fingere di credere che stia dalla mia parte.
La sola idea che quel coso sia davvero un microchip mi fa girare la testa. Se fosse così…
- Non ne sono certo ma credo che sia un localizzatore. Sa, come quelli dei GPS – mi spiega Riley, girandoselo tra le mani.
Il mio cuore ha uno schianto tanto forte che mi guardo intorno per accertarmi che nessun altro abbia sentito.
Come immaginavo. Un localizzatore. Avevo un localizzatore appeso al collo mentre andavo da Nat. Dovrei credere che è una coincidenza? Che lui non lo sapesse?
- Comunque mi serve qualche ora per esserne certo.
Annuisco di nuovo, sforzandomi di restare impassibile. Non voglio seminare il panico tra la mia nuova squadra.
- Nel caso fosse quello che pensi, possiamo scoprire da quanto è attivo? E che percorso ha tracciato?
- Credo di sì, ma non ne sono certo. Non abbiamo tutte le attrezzature.
- Fai il possibile per favore, è importante. E non dite nulla al professore. Potrebbe riguardare ancora suo zio – spiego.
- E comunque cerca di scoprire chi potrebbe averlo acquistato. Se può aiutarti era nascosto in un fischietto artigianale.
Riley annuisce e si allontana di qualche passo, lasciandomi sola con le mie riflessioni.
Possibile che sia stata davvero così cieca?
Sì, possibile, come dimostra la vicenda di Alex e Yvonne. E non posso più credere che si tratti di coincidenze. Non può avermi regalato ignaro un localizzatore. Cosa gli avrebbe detto suo zio per convincerlo senza che lui sapesse a cosa serviva in realtà quel piccolo dono? “Un regalo per la pazza che continua a tenerti sulle spine e che ancora non conosco”. Certo, molto convincente.
Faccio un giro tra gli altri, chiedendo anche a loro le novità, più che altro per fare anche agli altri qualche complimento. Non vorrei che si pensasse che apprezzo solo Riley solo perché è lui a darmi le buone notizie di solito.
Comunque nessuno mi dice niente di nuovo, né riguardo la temibile arma di vendetta né riguardo la misteriosa password e alla fine mi allontano per mangiare qualcosa, prima che il bambino muoia di fame lì dentro.
Da quando ho saputo della morte di Alex ho infatti deciso di tenere il bambino. Non posso uccidere anche l’ultima traccia della vita di Alex, non ne ho la forza. Anche perché la pallina ha dimostrato di essere molto più resistente di quanto avessi immaginato. È un lottatore, come me, e non sarebbe giusto negargli questo diritto.
E poi, se riuscirò a salvarlo, potrò sempre immaginare di aver salvato almeno una parte di coloro che hanno perso la vita per questa storia assurda. Una specie di equilibrio mistico. Perciò piccolino, ti conviene essere brillante viste le vite che sei costato a questo mondo, penso con un sorriso amaro.
Mi avvicino al bancone del bar dell’hotel e aspetto che mi venga servito il mio cappuccino. Se è sopravvissuto a tre morti e una decina di shock non sarà certo un po’ di caffè a far fuori il mio piccolo lottatore.
Intanto che aspetto cerco di pensare più lucidamente possibile.
Può essere stato Giulio la spia fin dall’inizio?
Sì, almeno in parte. In fondo Alex mi aveva fatto notare un mucchio di cose che avrei dovuto approfondire, e che avrei approfondito se le cose non avessero preso una piega così brutta.
Oltre al mistero della sua età troppo giovane per tutte le cose che fa, mistero che a quanto pare può essere risolto con la storia di uno sconosciuto con le cicatrici che scrive al posto suo e un mucchio di soldi che pagano tutto il resto, ci sono ancora tanti interrogativi.
Perché mi è venuto a cercare? Perché mi ha dato gli originali dei documenti? Perché esporsi in prima persona se potevano spiarmi già grazie alle telecamere?
Di certo è l’unico che sapeva dell’operazione dove sono morti Malone e Linda e che conosce uno dei pezzi più grossi dell’Organizzazione. E sapeva che Juno sarebbe andato a prendere Nat. Forse non è stato solo un tragico caso che si siano trovati insieme in quel momento.
Ma perché non ha avvertito i suoi quando abbiamo preso i file dai computer? Non posso credere che volessero che li prendessimo. A che scopo? E perché mi ha fornito tutti quegli indizi proprio su suo zio? Va bene distogliere i sospetti, ma lui mi ha detto cose che nemmeno avrei immaginato esistere da sola…
Per un momento, mi torna in mente l’immagine del suo sorriso sadico riflesso nello schermo buio e un brivido mi percuote tutto il corpo. Come ho potuto pensare di amare una persona del genere? Come ho potuto passare con lui tutto questo tempo e non accorgermi che la sua era solo una finzione?
Improvvisamente il mio cellulare suona dalla mia tasca. È il numero di Riley.
- Si?
- Ho il numero che cercava.
Me lo detta e io lo memorizzo ad alta voce, quindi lo ringrazio e chiudo la chiamata per poter comporre il numero prima di dimenticarlo.
Dopo essermi accertata di parlare proprio con Torrisi ed essermi presentata come la responsabile dei contatti stampa di Giulio, sperando che una figura simile sia mai esistita, gli faccio qualche domanda generale su Giulio, fingendo che ne ho bisogno per un piccolo video di presentazione.
- Avete lavorato ad altre opere insieme?
- No, è la prima opera che Gagliani scrive in collaborazione con altri.
L’effetto della sua risposta è simile a una doccia fredda. Non fa che confermare quello che mi ha detto Nasone, visto che invece Giulio mi ha detto di averli scritti tutti in collaborazione con un team di altri professionisti.
- E come mai questa volta ha deciso di avere dei collaboratori? – domando ancora, sforzandomi di sembrare impassibile. Per fortuna che al telefono è molto più facile fare l’indifferente.
- Dovrebbe chiederlo a lui, signorina. Comunque credo che sia una mossa… cautelare. Dopo lo scalpore delle ultime opere, gli conviene avere qualche altro nome importante accanto a suo – aggiunge in tono secco.
Chissà perché ho l’impressione che questo Torrisi non sia un fan sfegatato di Giulio. Ma perché allora lavora con lui?
- Quindi non mi saprebbe dire da dove ha tratto l’ispirazione e le informazioni fino ad ora?
Dall’altra parte della linea, Torrisi sembra tossicchiare per nascondere una battuta, poi evade la domanda.
A me comunque sembra di aver capito “dalla follia”, il che sarebbe molto interessante.
- Potrebbe fare qualche previsione su questo libro? Crede che avrà lo stesso successo degli altri? Le sembra altrettanto valido?
Torrisi ci mette un po’ per rispondere, come se gli costasse una gran fatica. Che strano tipo.
- Diciamo che lo ritengo molto più… spettacolare, ecco. Di certo farà scalpore, che è la cosa che importa di più al giorno d’oggi anche in ambito accademico, no?
C’è per caso un leggera nota polemica nella sua risposta? Sta per caso insinuando che Giulio vende aria fritta per fare soldi?
- Saprebbe indicarmi qualche altro nome dei vostri collaboratori? Il professore mi ha lasciato una lista ma è piuttosto confusa… - butto lì, sperando che non mi mandi a quel paese.
Lui però si limita a fornirmi qualche altro nome e poi, su mia richiesta, i loro recapiti telefonici.
- La ringrazio di cuore, professore. Solo un’ultima cosa… - e gli faccio la mia ultima richiesta.
- Mi ci vorrà una vita! Perché il professore non viene a prendersela di persona? – domanda quello, seccato.
Per fortuna sembra aver creduto alla mia presentazione.
- Al momento è molto occupato e io ne ho bisogno subito per… un evento web che stiamo programmando – spiego, ricordando che Giulio mi aveva parlato di una cosa simile.
- A sì, me ne ha parlato. Proprio adesso? – insiste Torrisi, con un tono di voce stizzito.
- In giornata al massimo.
Torrisi resta un po’ in silenzio.
- E’ una bozza lunga più di seicento pagine – mi informa, sperando che desista. In effetti, sono tentata di farmi spedire solo la parte che mi interessa ma potrebbe suonare sospetto e non voglio che ne parli con Giulio, quindi resto in attesa.
- E va bene, aspetti. Vedrò di fargliela avere tra un paio d’ore.
Chiude la comunicazione senza nemmeno salutare. O l’ho interrotto in qualcosa di molto urgente, oppure odia Giulio.
Comunque non sono problemi miei, l’importante è avere quella bozza.
All’improvviso ho realizzato quanto sia stato avventato da parte mia fidarmi al punto da autorizzare questo maledetto libro. Se davvero non è quello che credo, io gli ho dato l’occasione di screditare tutto il materiale che ho raccolto finora su un vassoio d’argento. Lui è decisamente famoso e non c’è niente di più facile per lui che usare le parole dei suoi libri per far sì che nessuno creda mai alla mia storia.
Forse è proprio per questo che gli è stato tanto facile fare carriera. Una volta diventato famoso grazie ai libri, nessuno aveva avuto il coraggio di metterselo contro e quindi deve essere stato facile passare gli esami. E quando qualcuno non si lasciava intimorire dalla fama, ecco che intervenivano i soldi. Ecco perché ha delle uscite così cospicue, probabilmente. I viaggi che ha fatto tra un esame e l’altro gli hanno poi permesso di toccare con mano quello che raccontava e dare un aspetto molto più realistico alle sue teorie, per quanto stravaganti.
Ripenso al giorno in cui lo conosciuto, quando abbiamo discusso in aula su Vega e Tula. Anche allora mi era sembrato un po’ strano, aveva costruito una teoria originale ma senza nessuna prova evidente, basandosi su un misero trucchetto di linee. Che stupida!
Se non fosse stato il mio professore, forse già quel giorno avrei potuto smascherarlo.
Scuoto la testa, cercando di non correre troppo con la fantasia. È riuscito comunque ad ottenere una cattedra universitaria e molto spesso le sue osservazioni erano davvero brillanti. Forse è stato solo un po’… aiutato a sfondare, ecco. Per ora, ad ogni modo, l’importante è controllare che non stia vanificando tutti i miei sforzi con un solo libro e mi basterà la bozza per saperlo.
Pago il cappuccino e torno nella saletta, cercando di rendermi più utile possibile e di non pensare né a Giulio e né ad Alex fino a quando non avrò letto quella bozza. Per fortuna, il lavoro ancora da fare è così tanto che a mala pena riesco a seguire quello che ho davanti e infatti, quando alla reception arriva la mia bozza, sono talmente presa che non vado subito ma finisco prima di esaminare i file che mi hanno assegnato e solo dopo, poco prima di mezzogiorno, mi allontano con discrezione e vado a recuperare il mio pacco.
Per poter stare tranquilla mentre leggo, decido di salire in terrazza e così prendo un grosso cuscino dalla mia stanza e salgo fino all’ultimo piano, accertandomi che nessuno, soprattutto Giulio, mi veda.
Fortunatamente il terrazzo è deserto come mi aspettavo, così dopo aver posizionato il cuscino in un punto non troppo esposto al vento, apro il libro direttamente al capitolo di Giulio.
Non mi sorprendo nel vedere che le mani mi tremano nello sfogliare le pagine. In questo libro potrebbero esserci delle risposte spaventose che non sono proprio certa di voler conoscere e solo il pensiero del mio bambino ormai orfano di padre mi spinge a continuare la mia folle ricerca.
Con sgomento, conto le pagine del capitolo che mi interessa: ottantadue. Non ce la farò mai a leggerlo tutto.
Tuttavia, mi armo di pazienza e comincio a leggere le prime pagine, sforzandomi di non correre troppo per evitare di travisare qualcosa.
L’inizio non dice nulla di nuovo, almeno per me. Fa un breve excursus della storia delle associazioni segrete nella cultura occidentale europea, infilando nomi conosciuti e non e illustrandone grosso modo le caratteristiche.
Devo arrivare intorno a pagina quaranta per arrivare al punto cruciale. Il paragrafo è infatti intitolato “Società segrete a cavallo dei due mondi: chi scoprì l’America?”.
Prima di procedere faccio un bel respiro e prego anche sommessamente per qualche secondo, anche se non so nemmeno io per cosa prego. Che Giulio sia innocente? Che non abbia tradito la mia missione? Che questo libro mi dia davvero le risposte che cerco?
Alla fine non posso più tergiversare e mi immergo, cautamente, in quel fiume di parole che comincia dall’incontro tra Volkoff e Rofferwaak nelle prigioni per poi raccontare chi era davvero Rofferwaak e dove avesse preso spunto per il suo soprannome. Mi ritrovo così a rileggere di come quello sciagurato diario sia finito nelle mani del filosofo, di come sia diventato un’opera di scandalo, di come Rofferwaak l’abbia affidato a Volkoff prima di essere giustiziato.
A questo punto però, qualcosa comincia a cambiare rispetto alla storia che conosco e mi faccio ancora più attenta. Se fino ad ora infatti, il racconto era evidentemente un pochino romanzato per scarsità di documenti ufficiali e per necessità forse di rendere meno pesante tutta la storia, da pagina quarantotto il racconto si fa molto più preciso e pieno di riferimenti.
Solo che si riferisce a documenti di cui non ho mai saputo fino ad ora l’esistenza.
Con uno strano senso di disagio, come se stessi leggendo il diario segreto di un serial killer invece che una bozza letteraria, cerco di districarmi tra le numerose note a piè pagina che rimandano ai misteriosi documenti e libri per descrivere tutto quello che so e molto che non sapevo sulla segretissima società di Pyrus, la sua formazione, i suoi progressi nascosti al resto del mondo e infine la scissione dalla quale nascerà poi l’Organizzazione.
In queste pagine questa spaccatura interna viene descritta con una ricchezza di particolari che non riesco nemmeno a immaginare da dove possa essere saltata fuori, anche sulle persone che furono protagoniste di quel particolare momento della storia di Pyrus e in particolare su un nome familiare: Richelieu.
Certo non ha scoperto queste cose dai documenti di cui io sono in possesso.
Senza riuscire a fermarmi nemmeno per sbattere le palpebre, continuo a scorrere rigo per rigo, inorridendo sempre di più ad ogni parola mentre la rabbia, una furia cieca e assoluta, mi sommerge lentamente.
Dove ha appreso tutti questi dettagli, il mio caro professore? Come fa a sapere queste cose se non erano nei documenti che abbiamo letto insieme? Chi gli ha dato tutti questi riferimenti bibliografici di cui parla, se non l’unica persona che ha accesso a tutti i documenti dell’Organizzazione cioè il suo capo?
Eppure qualcosa non torna, un qualcosa che smonta in parte la mia rabbia.
Nonostante la presenza di dettagli che può aver preso solo dall’archivio personale di Richelieu, le pagine che sto leggendo non sono affatto una celebrazione dell’Organizzazione, anzi. Parola dopo parola, tutta l’Organizzazione e in particolare Richelieu vengono additati come spietati e folli, ogni loro azione viene criticata con precisione quasi chirurgica per dare il quadro peggiore possibile su quella congrega di mentecatti.
Ma la cosa non ha senso. Se Giulio lavora con l’Organizzazione, perché dipingerli per i pazzi che sono effettivamente? Perché non usare queste pagine per screditare definitivamente l’opera di mio padre?
Forse la verità è più semplice di quello che la mia paranoia mi ha fatto credere. Forse il professore si è semplicemente tenuto per sé altri documenti che aveva raccolto, forse prima ancora di conoscermi e che già lo avevano indirizzato nella direzione giusta. Poi, forse, ha deciso che alla sua storia mancava ancora qualcosa e ha deciso di rintracciare l’unica che poteva aggiungere quell’ultimo pezzo che avrebbe reso la sua storia sensazionale.
Non un membro dell’Organizzazione, dunque, ma solo un bugiardo.
Ma nemmeno questa versione mi convince del tutto. Forse sono ancora troppo scossa dalla morte di Alex, dal sorriso crudele che ho visto riflesso nello schermo, ma qualcosa dentro di me è ormai convinta che Giulio non è solo un semplice approfittatore col dono della recitazione. Una parte di me è assolutamente certa che ci sia ancora un mistero da risolvere, un pezzo mancante dal puzzle generale che mi impedisce di dare un senso a tutta la faccenda, un pezzo fondamentale che non posso più trascurare.
Ma come posso fare a scoprire se è davvero così? E dove posso trovare, nel caso, il pezzo mancante?
Devo affrontare Giulio. Lui è l’unico che può spiegarmi tutta la faccenda e non mi importa se non vuole dirmi la verità, lo costringerò anche con la forza. Ho già perso troppe persone per poter aspettare ancora.
Velocemente, senza nemmeno raccogliere il cuscino, scendo di sotto, direttamente nella saletta, e chiedo di Giulio ma Riley mi risponde che ancora non si è visto. Mi rivolgo allora alla ragazza della reception e le chiedo se lo ha visto rientrare ma lei mi assicura che non è tornato nella sua stanza dall’ora di pranzo. Mi decido allora a chiamarlo al cellulare, rinunciando così all’effetto sorpresa, ma anche quello risulta staccato.
Imprecando, mi sforzo di calmarmi. In fondo non è niente che non possa aspettare ancora qualche ora. Mi piazzerò davanti alla sua porta e aspetterò che rientri.
Tuttavia, la sola idea mi fa venire il voltastomaco. Sono troppo arrabbiata per aspettare e voglio sfruttare la massimo la determinazione di questo momento, prima di perdere il coraggio di affrontarlo.
Ho deciso che risolverò il mistero in questo preciso istante, una volta per tutte, e conosco solo una persona, a parte Giulio, che può avere le risposte che cerco.

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Capitolo 30
*** Serpe in seno II ***


Torno nella saletta per chiedere di rintracciarmi tutti i recapiti del vescovo che riescono ed esco una mezz’ora dopo con una lista lunga cinque pagine, quindi mi armo si santa pazienza e comincio a telefonare a tutti i numeri che ho davanti, parlando con ogni segretaria e cercando di rintracciare il vescovo, per fissare un incontro, stando bene attenta a specificare chi sono e che conosco Giulio.
Intorno a metà della quarta pagina, finalmente una segretaria miracolosamente gentile mi avverte che al momento il vescovo è fuori ma che rientrerà tra un’oretta e che potrebbe avere un buco per me, se mi va di aspettare senza garanzie. Ovviamente la ringrazio di cuore e accetto la possibilità, quindi vado in camera a cambiarmi.
Dopo una rapidissima doccia, mi siedo sul bordo del letto, cercando di immaginare cosa dire una volta lì. Dalle parole, dal tono che userò, si deciderà il resto di questa storia, me lo sento. O almeno per quanto riguarda Giulio e suo zio.
Alla fine decido però che è meglio affidarsi al mio istinto e alla mia capacità di improvvisazione, come mi ha sempre insegnato Juno. Inutile cercare di prevedere le reazioni di un uomo che non conosco.
Decido di incamminarmi direttamente, anche se sono in largo anticipo, e magari studiare un po’ l’ambiente prima di parlare con Terenzio. Non vorrei piazzare una scenata in uno studio pieno di uomini probabilmente armati, quindi avverto Riley e mi inoltro nelle complicate strade di Roma.
In realtà il mio largo anticipo è stata la mia fortuna perché sbaglio strada per due volte prima di riuscire a trovare il grosso palazzo in mattoni che cerco e alla fine arrivo davanti alla segretaria con cui ho parlato al telefono appena qualche minuto prima del mio forse-appuntamento.
- Il vescovo la riceverà a minuti. Se vuole può accomodarsi lì – mi avverte la donna, terribilmente giovane e carina, indicandomi dei divanetti poco lontani. Chissà se la scelta della segretaria dovrebbe dirmi qualcosa sul nostro vescovo.
Accetto comunque di sedermi, sia perché di solito le segretarie hanno un concetto molto relativo dei pochi minuti, sia perché ho bisogno di calmarmi un po’.
Forse la mia non è stata una grande idea. Sono venuta sola e disarmata per affrontare a carte scoperte il braccio destro del capo dell’organizzazione più potente che conosco, che da anni cerca di uccidermi.
Il minimo che possa fare è farmi vedere sicura di me, cattiva e dura a morire. Un po’ come Yvonne insomma.
Dopo quasi un quarto d’ora di attesa e preparazione mentale, due uomini escono dall’ufficio del vescovo e poco dopo la segretaria mi invita con un sorriso ad entrare.
Prendo un bel respiro profondo e cerco di visualizzare la negatività scivolare via o quella roba hippie ed entro nella stanza.
Se l’altro ufficio dove ho incontrato Terenzio quando ero con Giulio non aveva molto l’aspetto di un ufficio, questo sembra davvero più un salotto che uno studio o un ufficio. È una stanza grande il doppio dell’altro studio ed è arredata in maniera molto più sontuosa. Piena zeppa di quadri e mensole stracolme di oggettini dall’aria costosa, la stanza sembra appena uscita da qualche rivista di arredamento per ricchi imprenditori, nonostante lo stile più austero della precedente.
- Signorina Libuori, è un piacere rivederla – mi saluta Terenzio alzandosi dalla poltrona e venendomi incontro.
Mi limito a sorridere e chiudermi la porta alle spalle, certa che tra poco non sarà più così felice di avermi visto.
- Cosa la porta sulle mie tracce? – mi domanda curioso, forse un po’ sorpreso dalla mia mancanza di reverenza.
Per principio infatti, non ho baciato la sua mano e invece di guardarmi attorno spaurita come forse si aspettava, fisso subito lo sguardo su di lui.
- Volevo farle qualche domanda a proposito di Giulio. Sembra conoscerlo molto bene.
Il sorriso del vescovo sembra tremolargli sulle labbra per poi farsi più convinto.
- Siamo molto legati, è vero.
Mentre risponde si risiede sulla poltrona e mi fa cenno di imitarlo, così mi accomodo a mia volta su quello che sembra essere velluto vero, non quella pseudo imitazione che si trovano nei negozi “comuni”.
- La sua segretaria mia ha fatto capire che ha poco tempo da dedicarmi, quindi se permette andrei subito al dunque – taglio corto, guardandolo dritto negli occhi e studiando ogni mossa.
- Anche Giulio è un legionario?
Nonostante lo sforzo per restare impassibile, il vescovo sembra congelarsi per qualche istante, per poi assumere un’aria fintamente confusa.
- Non so di cosa parla, signorina.
Mi lascio andare a una breve risata secca, imitando il più possibile Yvonne. E devo dire che il numero mi riesce bene.
- Come ho detto, lei non ha tempo da perdere e nemmeno io, signor Terenzio – gli faccio notare, omettendo di proposito il suo titolo religioso.
- So della Legione, so che la comanda Richelieu e so come provarlo, quindi saltiamo la fase della recita, per favore.
Lui mi fissa in silenzio, così a lungo che mi domando se non abbia nascosto tra le pieghe della lunga tunica qualcosa per mandare un segnale a qualche sicario fuori dalla porta. Ma alla fine nessuno entra a disturbare la nostra chiacchierata e il vescovo si sforza di apparire compiacente, sfoggiando il suo sorriso più educato.
- Visto che è così informata, signorina Libuori, dovrebbe conoscere da sé le risposte alle sue domande – replica con nonchalance, appoggiando entrambe le mani sui braccioli, come il Papa che riceve udienza. E forse è così che si vede.
- Il fatto è che sono troppo sana di mente per comprendere le vostre folli convinzioni. Perciò risponda solo alla domanda: Giulio fa parte della vostra congrega oppure no?
Terenzio si limita a fissarmi come interdetto ma riesco a sentire il rumore dei suoi neuroni che confabulano per decidere una risposta, così decido di dargli una mano.
- Quello che le sto chiedendo è se devo trascinare Giulio al fondo con lei oppure no, signore.
Lui mi fissa ancora qualche istante, in silenzio, ma io vedo una scintilla in fondo a quegli occhi scuri.
- Io e mio nipote siamo molto legati ma non condividiamo ogni aspetto delle nostre vite, signorina Libuori – risponde alla fine, più cauto.
- Mi chiami Blendell per favore. Non mi vergogno del mio vero nome. Lei invece non si vergogna di lavorare per l’uomo che ha assassinato sua sorella e quasi ucciso il suo amato nipote?
La calma compassata scompare dal viso di Terenzio così all’improvviso da farmi sussultare, sostituita da un’espressione furente che poco si addice alla sua figura elegante.
- Lei non sa nulla dei miei affari personali – mi accusa, trattenendo a stento il furore nella voce.
- So che un uomo ha ucciso la sua unica sorella e che Giulio si è salvato solo per miracolo. So che Margherita le avrebbe chiesto di proteggere il suo bambino da chi l’aveva uccisa. E invece lei è diventato il suo più fido alleato.
- Lei non ha nessun diritto di parlare, visto che nessuno dei suoi familiari l’ha voluta con sé. Io mi sono preso cura di mio nipote come meglio potevo!
Non era vero che i miei familiari non mi avevano voluta, era stato mio padre ad affidarmi in segreto a degli estranei per proteggermi. Ma questo Terenzio non può saperlo e io non mi prendo la briga di spiegarglielo, tanto non capirebbe.
- Lei ha solo rovinato la vita di Giulio, gli ha riempito la testa di idiozie e ha firmato la sua condanna. Ha tradito non solo la fiducia di sua sorella ma anche di un bambino che aveva solo lei al mondo!
Terenzio fa un risolino nervoso, riacquistando parte del suo autocontrollo. È evidente che non è la prima volta che fa il discorso di giustificazioni. Mi chiedo solo se lo ha fatto a se stesso, alla tomba della sorella morta o a Giulio.
- L’ho portato più in alto di quanto avrebbe mai sognato di poter fare, gli ho permesso di avere tutto ciò che un uomo può desiderare e gli ho dato il potere più grande che si possa immaginare. Mio nipote può solo ringraziarmi.
Questa volta sono io a ridere nervosamente.
- Ringraziarla? Di aver aiutato l’assassino dei suoi genitori a farla franca? Di averlo reso complice del più assurdo e disumano incubo della storia?
- Di avergli dato la possibilità di realizzare il sogno più ambizioso che un uomo possa mai concepire… ma questo lei non può capirlo ancora. Ma ormai manca poco e poi finalmente tutti capiranno di cosa parlo!
Di nuovo la sua espressione si trasforma in una grottesca imitazione degli esaltati che si vedono nei film e per un momento il suo ghigno è così simile a quello di Giulio mentre ascoltava la telecronista annunciare la fine delle ricerche del corpo di Alex che devo ricacciare indietro la nausea.
- Tra poco tutti sapranno la verità e io potrò finalmente vendicare Margherita. E non sarà lei a fermarmi.
Per un momento mi viene voglia di tirarmi un pizzico per essere certa di non sognare di essere sul set di un film. È una battuta così patetica!
- Lei è pazzo Terenzio e sì, sarò io a fermarla. Ormai è questione di tempo prima che…
Il suono secco della sua risata sprezzante mi interrompe prima che possa finire la mia minaccia.
- Crede davvero che una sciocca ragazzina possa fermarmi? Lei non ha nemmeno idea di chi sia io!
Il suo tono è così melodrammatico che mi fa sorridere di pietà.
- Io credo che sia lei a non sapere chi è. Forse crede di essere la reincarnazione di un centurione o quello che è ma in realtà è solo un prete mentalmente disturbato che finirà sulla sedia elettrica – gli spiego, trattenendo la rabbia.
Se c’è una cosa che mi fa incazzare sono gli psicotici megalomani e questo è il re degli psicotici megalomani.
Per tutta risposta tuttavia Terenzio si limita a ridere di nuovo, con quel suono secco e irritante
- Una reincarnazione? Come dicevo, lei non ha idea di chi io sia. Ma presto lo scoprirà. Tutto il mondo lo saprà e il nome di Pyrus sarà finalmente conosciuto da tutti!
La foga con cui pronuncia il nome dell’antica setta mi fa all’improvviso scattare qualcosa nella testa. All’improvviso è tutto chiaro, so perché Giulio è dovuto entrare nella mia vita anche se c’erano decine di telecamere in casa mia, so perché mi ha dato gli originali e so perché mi ha aiutato a scovare Richelieu.
- Lei non fa parte dell’Organizzazione. Lei è un membro di Pyrus.
Più che una domanda la mia è un’affermazione. Ecco perché tanto impegno per aiutarmi a distruggere l’Organizzazione. Non sono i centurioni che questo pazzo vuole vendicare ma gli scienziati di Pyrus.
Terenzio mi fissa sorridendo per un lungo momento, compiaciuto forse di essere stato “riconosciuto”.
- Non un semplice membro, mia cara. Io sono Pyrus e lei mi aiuterà a far sì che il mondo intero mi conosca.
Mentre parla sul suo volto si disegna quell’inquietante espressione di fervore religioso che è sempre stato per me sinonimo di pazzia. Gli occhi spalancati, la vena del collo pulsante… tutto in Terenzio dimostra quanto abbia bisogno di cure.
- Per anni ho dovuto rinunciare al potere che era mio di diritto, ho dovuto guardare i miei confratelli cadere e rinunciare alla loro vendetta. Ora finalmente la Guida degli illuminati è di nuovo pronta a guidare la sua famiglia al comando!
Parla estatico, come se prospettasse la fine della fame nel mondo e forse, nella sua testa malata, la similitudine è anche azzeccata. Io invece non posso che sentirmi schifata da tutta questa megalomania dilagante e anche il mio bambino mi invia un colpo di nausea come protesta per tutte le fesserie che lo costringo ad ascoltare.
- Lei non lo sa ma il suo aiuto è stato decisivo per la nostra vendetta e tutti noi la ringraziamo vivamente, signorina Blendell. Potrebbe addirittura unirsi a noi, se lo volesse. Se l’è meritato e mio nipote tiene molto a lei – continua serafico.
Questa volta sono io a scoppiare a ridere, sinceramente divertita.
- Crede davvero che potrei mai essere… no lasciamo stare, lei rende l’arte di offenderla troppo facile. Non sarei mai così stupida da unirmi ai leccapiedi del Cardinale. E temo che anche Giulio abbia bisogno di aiuto, purtroppo.
Per un momento temo che Terenzio mi salti al collo in preda a un attacco, ma alla fine la sua espressione si fa fredda anche se furente e il suo corpo sembra rilassarsi.
- Ben presto potrebbe cambiare idea. Presto anche quel dannato Cardinale dovrà inchinarsi a noi e allora vedremo chi riderà, mia cara.
Sto per fargli notare le spiacevoli conseguenze in cui potrebbe incorrere se mi chiama un’altra volta “cara” ma lo squillo del telefono mi interrompe.
Con una calma impressionante, come se fino al minuto prima decidessimo cosa preparare per cena, Terenzio ascolta la voce nella cornetta e risponde amabile, poi riattacca e si rassetta il colletto.
- Mi spiace che la nostra conversazione debba terminare così bruscamente, ma come vede la mia presenza è riposta altrove. Porti i miei saluti a Giulio e si chieda se non le piacerebbe guardare insieme a me il Cardinale sprofondare nel fango.
Senza aspettare una mia risposta, esce dalla stanza e si incammina lungo il corridoio, lasciandomi come un’idiota.
Se solo penso che questo è l’uomo che ha cresciuto ed educato Giulio mi vengono i brividi. Come posso aspettarmi che siano tanto diversi? Terenzio è un folle, un fanatico votato a una causa mortale e Giulio è inevitabilmente legato a lui.
Prima di andarmene, anche se so che è una cosa stupida, do un’occhiata alle carte sparse sulla scrivania e ai libri ordinati sulle mensole, per essere certa di non farmi scappare la prova schiacciante mentre l’avevo sotto il naso.
Ovviamente nessuna delle cose che vedo intorno a me potrebbe far incriminare il vescovo per un qualunque motivo ma lo stesso, mentre mi aggiro per tutti gli angoli della stanza, vedo una cosa che toglie momentaneamente il respiro: il quadro che Malone aveva preso nel bar dell’hotel, quello che era misteriosamente scomparso, è appoggiato su una specie di comò, in piedi contro la parete, appena dietro l’angolo che lo copriva insieme alla porta di un bagno.
Mi avvicino e lo sfioro con le dita, riconoscendo immediatamente la mano di mio padre su quella tela e cercando di ingoiare il sapore amaro che sento in bocca. Come fa il vescovo ad averlo? Come può abbandonarlo qui, alla vista di tutti come se niente fosse, come se non valesse nulla? Come se non fosse una prova terribile delle sue colpe?
Improvvisamente, la vista di quel quadro sembra far scattare un interruttore nella mia testa e tutto il peso della conversazione con il vescovo mi crolla improvvisamente sulle spalle come un colpo di machete. Tutte le rivelazioni del vescovo, le implicazioni di quello che ha detto, mi piombano addosso come un treno, lasciandomi ansimante e scossa dai brividi. Il senso di colpa per essere stata così cieca mi si stringe intorno alla gola come un cappio mentre continuo a fissare la tela davanti a me, ben consapevole che c’è una sola persona che può aver portato qui questo quadro.
Esco quasi correndo dallo studio e dal palazzo, senza degnare di uno sguardo la segretaria che sembra volermi dire qualcosa. Improvvisamente ho bisogno di stendermi.
Chiamo un taxi e mi ci fiondo dentro, dando l’indirizzo al conducente con la voce di una tossica in crisi di astinenza. Per fortuna Roma è ben fornita di taxi, non so se sarei stata in grado di tornare all’hotel a piedi.
E pensare che tutto sommato la mia visita è andata esattamente come me l’aspettavo. Ho trovato tutte le risposte che cercavo e la maggior parte erano anche quelle che mi aspettavo. Eppure mi sento devastata.
Dopo aver pagato il tassista, salgo direttamente nella mia camera. Non voglio, non posso vedere nessuno in questo stato. Devo prima digerire le notizie e decidere come comportarmi.
Non appena nella mia stanza, mi infilo in bagno senza nemmeno preoccuparmi di prendere dei vestiti puliti. Ho solo bisogno di un potente getto di acqua bollente che mi massaggi il collo, sperando che così il sangue torni a circolare nel cervello e torni ad essere in grado di pensare.
Come è potuto succedere? Come ho fatto ad arrivare a un punto simile, io, Alexis Blendell, allieva modello di Juno, degna figlia di mio padre?
Mentre l’acqua comincia a bruciarmi la schiena non riesco più a trattenere le lacrime, che si mescolano bollenti all’acqua bollente della doccia, e resto così, in piedi nella doccia, sotto l’acqua troppo calda, a piangere come un bambina con le mani abbandonate lungo il corpo.
Solo oggi riesco davvero a capire il significato più profondo dell’avvertimento preferito di Juno. Me lo diceva sempre, attenta a ciò che chiedi, perché potresti ottenerlo.
Oggi ho finalmente ottenuto le risposte che volevo e mi sento annientata.
Quando l’acqua comincia a diventare fredda, probabilmente sono rimasta sotto la doccia abbastanza da consumare tutta l’acqua calda dell’hotel, mi decido ad uscire. Mi copro con l’asciugamano e ne cerco un altro per i capelli, poi mi siedo sul bordo del letto, tirando su col naso come una scema.
È colpa mia se sono morti tutti. Finora ho cercato di dare la colpa a chiunque, al vescovo, al Cardinale, a Dio, ma la verità è che l’unica responsabile di questo massacro sono io e adesso è così evidente che non posso fingere di non saperlo. Io sono stata la stupida che ha aperto la porta al diavolo, io l’idiota che si è fatta baciare da Giuda, io la cieca che non ha saputo leggere i segni che erano lì, davanti a me, evidenti come il sole a mezzogiorno.
Io la stupida che si è innamorata del nemico, come nei più melensi romanzi rosa. Ma questo non è un libro e il bel finale non esiste. Mi sono innamorata del nemico mentre lui uccideva tutte le persone che avevo intorno e io non ho fatto niente per impedirlo.
Di nuovo sento le lacrime scendermi sulle guance mentre mi porto le mani sul ventre, a proteggere la traccia più evidente della mia stupidità. Avevo la vittoria tra le mani e ho preferito chiudere gli occhi e lasciare che la vita di tutti quelli a cui tenevo di più fosse spezzata da…
Non riesco a trattenere un lamento che è tremendo alle mie stesse orecchie. Sembra il verso di un’anima dannata. Probabilmente posso togliere il “sembra”, ho le vite di tutti che mi pendono sulle spalle, prove innegabili della mia colpa. Solo pensare a Linda, a Juno e Nat, a Malone… ad Alex…
Improvvisamente il nome di Alex sembra dividermi a metà dall’interno, con la forza di un’esplosione nucleare. Come se solo ora mi rendessi conto di cosa vuol dire davvero il servizio al telegiornale, come se solo ora mi rendessi davvero conto di cosa significherà da ora in poi vivere senza di lui al mio fianco, senza la sua voce a prendermi in giro, senza le sue mani che mi stringono come quella sera a casa di Juno…
Improvvisamente il vuoto lasciato da Alex sembra inghiottirmi in una marea nera e mi ritrovo a dover lottare tra le lacrime per riuscire a respirare, a combattere contro i singhiozzi che mi assordano, stringendo ancora di più le mani intorno al mio bambino, come se così potessi proteggerlo dal dolore che strazia me in questo momento.
Solo ora che è troppo tardi, ora che non potrò mai più rimediare al mio errore, mi rendo conto che ho preso la più grossa cantonata della storia pensando che non mi importasse di Alex, che quello che mi legava a lui fosse solo attrazione fisica. Solo ora che la sua mancanza è una presenza fisica, tangibile e dolorosa dentro di me capisco quanto invece ogni cosa di lui mi fosse entrata dentro fin da quando abbiamo ballato insieme a casa di zia Ade.
Ora che di lui non mi resta che una traccia invisibile sotto la pelle della mia pancia, mi rendo conto che l’unica cosa che potrebbe farmi stare bene è l’immagine del suo viso, dei suoi occhi, del suo sorriso… e invece non ho nulla di lui, non una foto, né un messaggio sul cellulare, niente che mi leghi a lui ovunque sia, che dimostri il legame che c’è stato fra noi…
All’improvviso però smetto di piangere e mi guardo intorno alla ricerca della borsa. Non è vero che non ho nulla di lui, qualcosa mi è rimasta, salvata su un cd che ho infilato distrattamente nella borsa. Le registrazioni delle telecamere nascoste. Lì di certo Alex compare spesso.
Finalmente trovo la borsa sulla sedia della scrivania e ci frugo dentro come una disperata finchè non trovo quello che cerco, poi li stringo tra le mani mentre accendo il portatile, che sembra stranamente lento.
Non appena compare lo schermo colorato, senza nemmeno aspettare che finisca di caricare i programmi di avvio, apro lo sportellino del lettore e infilo il primo cd, continuando a tirare su col naso e sforzandomi di non pensare a come devo sembrare vista da fuori. Una pazza con gli occhi rossi e gonfi in preda a una crisi isterica.
Finalmente si apre la schermata del lettore video e l’immagine del mio salotto riempie la scena. Persino vedere semplicemente la casa vuota mi fa sobbalzare il cuore per i ricordi. Visto che non sembra succedere niente sposto avanti il cursore, saltando di scena in scena fino a che vedo la figura di Alex riempire lo schermo.
Riconosco subito il momento che sto guardando. È il filmato di quando siamo tornati a casa dopo che Tuta Nera ci ha sparato addosso nel suo appartamento. Infatti poco più avanti, nello scorcio di corridoio che si intravede, ci sono io sporca di sangue che mi dirigo verso il bagno.
Con gli occhi velati di nuove lacrime osservo Alex che in mia assenza si sciacqua a sua volta il viso nel lavandino della cucina, si siede e incrocia le braccia sul tavolo prima di poggiarci la testa, a mo’ di cuscino. Vederlo lì, evidentemente stanco, nella mia cucina, per poco non mi uccide ma non riesco a staccare gli occhi e fisso ogni dettagli della sua figura china fino a che la me del video torna in cucina, pulita e vestita e comincia a raccontare tutta la verità.
È stato quello il momento in cui ho firmato la sua condanna a morte e lo sapevo. Sapevo che sarebbe andata a finire così anche se ignoravo la vera identità di Alex. E allora perché mai l’ho coinvolto? Perché ho lasciato che entrasse nel casino che era la mia vita?
Comunque nemmeno il senso di colpa riesce a staccare i miei occhi dal video né ad impedire alla mia mano di muovere di nuovo il cursore alla ricerca di un altro momento insieme, di un’altra immagine di Alex e così mi ritrovo a rivivere gli ultimi mesi della mia vita, a ricordare ogni dettaglio e ben presto smetto di saltare le scena alla ricerca di Alex e guardo tutto quello che scorre sotto i miei occhi, cd dopo cd.
Rivedo Linda raccontarmi del suo nuovo lavoro, rivedo Juno assicurarmi che quel numero è un ripetitore croato, mi vedo parlare al telefono con mia madre e parlare con Giulio, la sera che è venuto a cucinare a casa mia perché ero ferita. Rivedo quando hanno rapito Linda e Alex e rivedo Juno e Giulio soccorrermi.
Rivedo tutti quei momenti e lentamente smetto di piangere, troppo stanca per continuare. Smetto di collegare le immagini a pensieri coerenti, mi limito ad assorbire ogni immagine senza giudicarla, né provare un qualsiasi sentimento che non sia questa soffocante apatia che si è impossessata di me tra un cd e l’altro.
E forse è per questo che niente in me reagisce quando nello schermo, rivedendo la sera in cui Giulio è venuto da me subito dopo che avevo scoperto di Nat e delle bugie di Juno, vedo Giulio, l’unico che poteva sapere che il quadro ce l’aveva la CIA e che lo avevo richiesto dal deposito e come prenderlo senza che nessuno se ne accorgesse e darlo a suo zio, drogare la mia tisana.
Lo vedo preparare la mia tisana preferita, con gesti lenti e rilassati, togliere l’acqua dal fuoco e versarla nella tazza, zuccherare la bevanda e infine far cadere nella tazza tre grosse pillole bianche e mescolare il tutto col cucchiaino. Le vedo venire da me sul divano e osservami mentre sorseggio il liquido caldo, lo vedo sorridermi calmo, in attesa dell’effetto. Lo vedo afferrarmi quando svengo e distendermi sul divano, poi sparire nel bagno e tornare in salotto, lo vedo spogliarsi e poi spogliarmi e buttare i vestiti qua e là ad arte e poi stendersi al mio fianco e abbracciarmi come se niente fosse.
Come un automa, rimando indietro fino al momento in cui Giulio suona alla porta e rivedo tutta la scena fino a che si stende accanto a me e mi abbraccia e poi di nuovo e poi di nuovo e ancora e ancora, mentre lentamente il mio cervello ricomincia a mettersi in moto.
Ecco perché non ricordavo niente di quella sera. Non mi ero drogata, mia aveva drogata lui.
Ecco perché non ricordavo di aver preso quei tranquillanti, non lo avevo mai fatto.
Sono stata drogata e raggirata dalla persona di cui credevo di potermi fidare di più dopo Juno.
Sono stata usata, tradita, sconfitta dall’uomo che si è spacciato per il mio salvatore…
Mi ha drogata e poi mi ha fatto credere di essere andata a letto con lui. Mi ha fatto allontanare da Alex, il padre del mio bambino. E ha usato i miei mezzi e il mio nome per realizzare il sogno di un pazzo, anche se non Richelieu.
Eppure nello schermo continuo a rivedere la sua faccia sinceramente ferita quando ammetto di non ricordare niente, lo vedo dipingersi il disprezzo sul volto e insultarmi, lo vedo andarsene furioso come un amante respinto. Lo vedo recitare la più magistrale delle interpretazioni e ricordo tutte le volte che l’ho visto così ferito o che è stato gentile, che mi ha sorpreso con qualcosa di dolce e… finalmente qualcosa si muove di nuovo dentro di me.
Lentamente, una rabbia assoluta, cieca, totale, indomabile mi assale, riempie le vene al posto del sangue e si riversa in ogni angolo del mio corpo, così enorme da farmi bruciare la gola. Finalmente, dopo ore passate in un limbo di angoscia e disperazione, l’apatia viene dissolta da un’emozione così potente da cancellare tutto il resto, da annebbiarmi la mente e prendere possesso del mio corpo.
Solo un pensiero riesce a sopravvivere all’onda devastante di furore: non sono stata io ad uccidere i miei amici. È stato Giulio, con le sue bugie e i suoi inganni, col suo tradimento, a portarmi sulla strada della dannazione. Sono stata cieca ai segnali che pure c’erano, è vero, ma l’ho fatto anche perché lui mi ha raggirata e confusa per poter realizzare il suo progetto di vendetta, senza nessun riguardo per me e per gli innocenti che ne sono andati di mezzo. E pagherà per questo.
Senza preoccuparmi di spegnere il computer e nemmeno di chiudere la schermata del video, esco dalla stanza e mi dirigo nella saletta con gli altri agenti, camminando a testa bassa, incurante di tutto quello che mi succede intorno, come se mi muovessi in una mia speciale bolla di furore puro e maligno.
- Dov’è Gagliani? – domando entrando, a voce abbastanza alta da azzittire tutti. La sola idea di pronunciare il suo nome mi fa venire il voltastomaco.
- E’ andato via un’ora fa più o meno – risponde Riley dopo qualche minuto di silenzio.
- Ha detto dove andava?
- No.
Rifletto qualche istante, sotto lo sguardo attento di tutti i presenti. Intendo affrontarlo ora, sfogare su di lui tutta la mia rabbia prima che cominci di nuovo a ragionare e mi faccia venire degli scrupoli.
- Possiamo rintracciare il vescovo Terenzio? – domando direttamente al ragazzo con le lentiggini a cui ho chiesto la prima volta di tenere d’occhio il vescovo. Se qualcuno sa dov’è Giulio, quello è di sicuro suo zio ma non ho il tempo di fare di nuovo tutto il giro delle telefonate alle segretarie e comunque ormai è inutile nascondere alla squadra il mio interesse per il vescovo. E visto che ci siamo, direi che anche Terenzio merita un invito alla festa.
Lentiggini si gira e digita veloce sulla tastiera, poi aspetta mentre il programma cerca la risposta che ci interessa tra chissà quali tipi di dati.
- È alla sede di uno dei suoi enti privati, in via Dei Carpazi 67 – mi informa poco dopo.
Annuisco soddisfatta. È l’indirizzo dell’ufficio dove mi ha portata Giulio, lo ricordo perfettamente.
- Ho le prove che il professor Gagliani è dalla parte dell’Organizzazione. Voglio che chiamate tutte le autorità possibili e fate bloccare immediatamente qualsiasi attività che lo riguarda. E se vedete Gagliani arrestatelo e chiamatemi al cellulare.
Consapevole dei loro sguardi confusi ma assolutamente indifferente a quello che possono pensare, esco di nuovo dall’hotel e fermo il primo taxi che vedo, quindi gli do le indicazioni e mi costringo ad aspettare.
Durante il tragitto mi meraviglio di vedere che è scesa la sera senza che me ne accorgessi, il che vuol dire che ho passato diverse ore a vedere i filmati della mia vita. Forse è per quello che il collo e la schiena mi fanno così male, devo essere rimasta tesa e nella stessa posizione per troppo tempo.
Quando finalmente il taxi si ferma davanti al palazzo moderno dell’altra volta, la mia rabbia sembra essere cresciuta, sia nel senso della misura e sia nel senso della qualità. Ora non è più il cieco furore che mi ha assalito nella mia camera d’albergo ma una rabbia gelida e distaccata, molto più spietata e determinata e non posso che felicitarmi del cambiamento.
Entro nel palazzo sfiorando il coltello sotto la manica, dove l’ho assicurato prima di uscire. Questa sera vendicherò il padre del mio bambino insieme al mio e a tutti quelli che hanno perso la vita per una assurda follia e non mi importa delle conseguenze.
Senza badare alla segretaria che cerca di corrermi dietro per fermarmi, rifaccio lo stesso tragitto che ho fatto con Giulio e che avevo memorizzato proprio per poterci tornare da sola. Anche se non credevo che sarei tornata per uccidere.
Quando sono a pochi metri dalla porta dell’ufficio, con la segretaria che cerca ancora di corrermi goffamente dietro strillando e facendo un buffo rumore con quei tacchetti che le impediscono di accelerare abbastanza da raggiungermi, Terenzio esce dallo studio sorridendo, insieme a un’altra persona, probabilmente attirato dal chiasso della sua segretaria.
Non appena mi vede il sorriso gli si congela sulla faccia ma riesce con destrezza a recuperare quasi subito un’aria impassibile.
- Signorina Blendell, che piacere vederla di nuovo nella stessa giornata. Ha deciso di unirci a noi?
Per tutta risposta mi limito a fissarlo furente mentre finisco di coprire la distanza che ci separa e qualcosa nel mio sguardo deve metterlo in guardia, perché cerca subito di liberarsi dell’altro uomo che gli sta vicino.
- Ti chiamo tra qualche minuto, comincia ad andare. Signora Vera per favore, si calmi e la smetta di fare questo baccano. La signorina e io facciamo due chiacchiere nel mio ufficio, controlli che nessuno disturbi – aggiunge poi rivolto alla segretaria, che non sembra felice di aver fatto fatica inutile.
Comunque, ignoro tutto il resto e mi limito ad entrare nell’ufficio prima ancora che Terenzio mi inviti per poi piazzarmi al centro della stanza e aspettare che entri a sua volta, continuando a fissarlo con un leggero sorriso che probabilmente deve sembrare disturbato quanto la sua aria da invasato.
Finalmente Vera si allontana e il vescovo entra nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
- Allora signorina, ha cambiato idea e vuole unirsi a noi? – mi sbeffeggia, cercando di fingere un tono tranquillo ma non riuscendo a nascondere del tutto la tensione negli occhi.
Evidentemente la mia espressione deve essere molto meno pacifica di quanto credessi, per spaventarlo così facilmente.
- Usi il telefono per chiamare Giulio e gli dica di raggiungerci immediatamente. Devo parlare a entrambi – gli ordino e non mi dispiace di sentire che la mia voce ha lo stesso suono freddo e distaccato di quello di Yvonne.
Lui fa una risatina nervosa.
- E per quale…
Prima che finisca la frase, estraggo il coltello dal suo fodero nascosto sotto la manica e glielo punto a qualche millimetro dal collo.
- Perché sennò ti ammazzo – spiego, assolutamente atona. Ora so di cosa parlava Juno quando cercava di spiegarmi come ci si sente ad uccidere qualcuno, la fredda calma che tanto temeva. È il primo indizio che ci si sta trasformando in mostri, diceva. E a quanto pare, mi piace essere un mostro.
Visibilmente agitato adesso, Terenzio tenta ancora di sorridere ma senza muovere altro che la bocca.
- Forse le interessa sapere che non siamo soli – mi avverte e come se non aspettasse altro che queste parole, da dietro l’angolo di una delle grosse librerie esce Yvonne, con la pistola stretta nella mano sinistra.

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Capitolo 31
*** Serpe in seno III ***


Di sicuro è l’ultima persona che mi aspettavo di vedere qui e adesso ma nemmeno la sua ricomparsa mi turba. Forse perché in un certo qual modo, è come se la sua presenza qui fosse assolutamente logica, un pezzo necessario del puzzle e in effetti in fin dei conti non mi dispiace affatto. Anche lei si è guadagnata un biglietto per l’inferno e prima o dopo non importa.
E non importa nemmeno se sarà lei ad uccidere me, anche io ho acquistato il mio biglietto.
- Ma che brava, non ho nemmeno dovuto venirti a cercare – mi complimento, sorridendole ma senza perdere di vista il vescovo. Anzi, mentre Yvonne mi osserva rigida, pronta a scattare, io avvicino ancora di più la punta della lama alla gola di Terenzio.
- Ora che ci siamo tutti, deve proprio chiamare anche Giulio, non vorrà di certo perdersi il divertimento – ribadisco indicando il telefono e chiedendomi perché Yvonne non mi spara. Da questa distanza non mi potrei certo salvare né tanto meno ferirla a mia volta.
- Be’ visto che siamo in due a chiederlo, non può proprio più aspettare – dice finalmente Yvonne in tono frivolo, abbassando la pistola.
Per poco non mi metto a ridere. Quindi anche lei è qui per cercare Giulio? Proprio adesso? Che strano senso dell’umorismo che ha il destino!
Perché a questo punto non c’è più dubbio. Il destino aveva programmato tutto e stranamente, per me che ho sempre odiato il destino come un genitore troppo prepotente, la cosa mi sembra consolante stasera.
Finalmente Terenzio si decide ad allungarsi lentamente e con cautela verso la cornetta e compone i primi numeri, alternando lo sguardo spaurito tra me e Yvonne. Tuttavia, prima ancora che abbia finito di comporre il numero, la porta si apre ed entra Giulio, trafelato come se fosse arrivato di corsa.
- Alexis cosa sta succedendo? Mi ha chiamato la segretaria e…
La voce gli muore in gola quando si rende conto che ho un coltello puntato alla gola di suo zio e probabilmente anche di Yvonne armata alla mia destra.
- Alexis, per favore, abbassa quel coltello e spiegami cosa sta succedendo. Perché c’è l’agente Strahovsky? - mi domanda con voce tesa, come quella che usano gli agenti nei film quando parlano con lo psicopatico che ha rapito gli ostaggi, cercando di farlo ragionare.
Yvonne ride, una risata secca e cattiva.
- Devo farti qualche domanda ma sembra che non sia l’unica – spiega in tono calmo, perfettamente sicura di sé, stringendo l’arma tra le mani ma continuando a puntarla per terra.
- Entra e chiudi la porta. Ti stavamo giusto chiamando – ordino a Giulio, senza smettere di sorridere amabile.
Lui obbedisce lentamente e si ferma a pochi passi da me e il vescovo, così vicino che posso vedere grossi goccioloni di sudore nervoso colargli lungo la tempia mentre alterna anche lui lo sguardo tra me e Yvonne.
- Perché stai minacciando mio zio? Per favore, cerca di ragionare… - mi implora, con l’aria più innocente e spaventata che si possa immaginare.
Non posso impedirmi di ridere.
- Ammetto che sei davvero sprecato come professore, il cinema di avrebbe dato molte più soddisfazioni Giulio. Ma anche il miglior attore a un certo punto comincia a sembrare ridicolo.
Lui mi guarda come se non capisse ma ora che ho scoperto la sua maschera nemmeno lui riesce più a sembrare davvero genuino. Come il trucco del prestigiatore che una volta scoperto si dimostra in tutta la sua stupida evidenza.
- Alexis ti prego, spiegami cosa sta succedendo… insieme sono certo che troveremo una soluzione…
Questa volta è Yvonne che ride interrompendolo.
- Siete davvero un bel gruppo voi. Peccato avervi conosciuti tardi.
Le lancio un’occhiata rapida, poi torno a guardare verso Giulio. Al momento, Yvonne non mi interessa. Non ha nessuna delle risposte che voglio e a questo punto, credo che non sia che una pedina nel complesso disegno del vescovo, come me. Con lei farò i conti dopo, ammesso che non mi abbia ammazzato nel frattempo. Ma in quel caso sarò morta e non mi importerà.
- Spiegami perché non mi hai uccisa subito, quando ne hai avuto l’occasione – domando a Giulio, rivedendo con gli occhi della mente il suo sorriso crudele e soddisfatto mentre la cronista annunciava la fine delle ricerche del cadavere di Alex. Rivedendolo drogare la mia tisana.
- Alexis io ti amo, non potrei mai…
- Smettila!
Solo un immenso sforzo di autocontrollo mi impedisce di lasciare il vescovo per piantare il coltello direttamente nella gola di Giulio. Come può solo osare di dire una cosa simile? Come può anche solo pronunciare una parola come amore, lui che non prova nient’altro che odio e rancore?
- Ti ho seguito in quel capannone e so tutto. So dei libri, so dei debiti e so anche che cosa hai realmente scritto nel capitolo, quindi piantala di prendermi in giro.
Giulio mi fissa addolorato e per poco non mi metto a urlare. Che motivo ha lui di fare quella faccia? Sono io quella che è stata tradita e ha permesso che i suoi amici morissero. Sono io che dovrei essere addolorata.
- Ascolta Alexis… è vero, non ti ho detto tutta la verità. Ma io sono dalla tua parte e non ti ho mentito. Ho solo omesso una parte della mia storia perché non eri pronta per ascoltarla, te ne avrei parlato quando fosse arrivato il momento…
- Basta con le stronzate! – gli intimo, alzando la voce ma senza mettermi propriamente ad urlare e provocando un sorriso di Yvonne. Deve proprio godersi la scena.
- So anche che sei un membro di Pyrus e questo non è omettere qualcosa. So che mi hai drogata per farmi credere di essere venuta a letto con te, lurido verme.
La mia voce torna ad essere bassa e controllata, anche se dentro mi sento come se stessi bruciando all’interno.
Lui sembra esitare, indeciso se mentire ancora o scoprire le carte, e alla fine sceglie per la seconda, senza abbandonare quell’aria mesta del martire che non aveva altra scelta.
- Dovevo farlo, altrimenti tu saresti sempre stata più legata ad Alex che a me e non potevo sopportarlo… non potevo lasciare che facessi uno sbaglio simile, che buttassi all’aria la nostra possibilità solo per quell’unica notte…
- Quell’unica notte sono rimasta incinta di Alex – gli ricordo e finalmente Yvonne smette di sorridere per qualche secondo. Evidentemente la cosa non la fa divertire così tanto.
- Avremmo potuto combattere insieme, volevamo la stessa cosa… - comincio, ma senza finire. È inutile ormai.
Lui resta zitto qualche secondo, poi sembra come rilassarsi e mi sorride, lo stesso sorriso freddo e cinico che aveva davanti al televisore, mentre guardava il pezzo di mare dove avrebbe dovuto trovarsi il corpo di Alex.
- Stiamo combattendo insieme Alexis, non lo capisci? Siamo la coppia vincitrice!
Fa una pausa e si avvicina ancora di un passo, tornando ad avere l’espressione addolorata e triste del mio Giulio.
- So che avrei dovuto dirti tutto ma Alex e Juno ti avrebbero messa contro di me e invece io avevo bisogno di te come tu ne avevi di me. Sono stato io a disattivare gli allarmi per rubare i computer, sono stato io a convincerli che nei quadri c’era nascosto qualcosa in più dei fogli di tuo padre così che non ti uccidessero subito… ho combattuto dalla tua parte anche prima di conoscerti se è per questo..
Incapace di rispondere, mi limito a fissarlo con disprezzo anche se so che in realtà quella che merita disprezzo sono io. Avrei dovuto capire che era stato troppo facile, avrei dovuto capire che c’era lui sotto fin dall’inizio. Avrei dovuto dare ascolto ad Alex ma ormai è troppo tardi.
- Il destino ci ha permesso di unire le nostre forze e uccidere quel criminale! Potremo vendicare i nostri genitori e passare la vita insieme a onorare la loro memoria! Qualche vita è un prezzo accettabile, no? – insiste, avvicinandosi ancora un po’ e tendendomi la mano.
La serenità con cui ha appena ammesso di essere lui l’assassino delle persone a cui tenevo di più manda in pezzi la mia freddezza e mi ritrovo ad urlare come un’isterica.
- Linda, Juno e Nat, Malone! Loro non erano qualche vita!
Giulio assume un’espressione ancora più compassionevole e desolata, che mi irrita ancora di più.
- Mi dispiace molto per i tuoi amici Alexis, ma sono stato costretto. Tu non immagini nemmeno quanto è pazzo Richelieu, devo fermarlo a tutti i costi. Dobbiamo fermarlo!
Assume quasi la stessa aria da invasato che aveva suo zio appena qualche ora fa e di nuovo mi assale il disprezzo di me stessa, per aver potuto credere di essere innamorata di lui, per essermi sentita attratta da una persona così disturbata.
- Come i nostri genitori, erano un sacrificio necessario perché fermassimo la follia del Cardinale! In questi anni al suo servizio ho scoperto alcune cose… il mondo intero è in pericolo Alexis! Il sacrificio di uno per il bene di tutti!
Sentire nella sua bocca le parole che spesso aveva usato Juno per convincermi a sacrificare la mia vita da adolescente per mantenere la massima segretezza, mi riempie di odio allo stato puro, un sentimento così devastante che non credevo che potesse esistere all’interno di una sola persona.
- Tutto quello che ho fatto è stato per il bene del mondo, Alexis, e per la memoria dei miei genitori. Già sapevo che Richelieu voleva distruggere l’occidente, anche se non sapevo come, e non potevo restare a guardare…
Fa una pausa, aspettandosi una qualche risposta ma io mi limito a fissarlo, stringendo i denti. Il braccio è stato teso troppo a lungo e comincia a farmi male.
- Ho dovuto prendere decisioni difficili nella mia vita e fare cose di cui non vado fiero. Tu per prima dovresti capire…
- Capire? Hai ucciso Linda che non centrava niente. Hai ucciso Juno e Nat…
- I piccioncini li ho uccisi io, a dire il vero – si intromette Yvonne, che intanto ha smesso di tenere la pistola puntata e si è appoggiata contro il muro alle sue spalle, osservando la scena con aria divertita.
Ignoro il suo commento perché tanto non fa differenza. Con lei farò i conti dopo.
- Mi dispiace davvero, amore, ma avevo bisogno di dimostrare al Cardinale che stavo ancora dalla sua parte perché si stava insospettendo e Linda e Malone erano perfetti. E poi avevo bisogno di Yvonne e in cambio ho dovuto dirgli dov’era Juno…
Si interrompe senza finire, probabilmente colpito dalla mia espressione inorridita. Come può parlare del loro assassinio con tanta leggerezza?
- Erano i miei amici! – riesco solo a dire, con la voce incrinata. Dietro di me Yvonne fa un verso sarcastico ma di nuovo la ignoro.
- Noi non possiamo avere amici, Alexis, l’hai detto tu stessa. Non siamo fatti per essere persone normali e avere amici che non siano come noi, pronti a tutto. Solo io e te possiamo sperare di stare insieme per sempre.
Questa volta tutto quello che riesco ad emettere è un verso strozzato. Non posso credere che questo sia Giulio, il mio Giulio, con cui ho riso e chiacchierato, che mi ha fatta sentire così al sicuro…
- Posso capire la tua sofferenza, Alexis. Ma arriverà il momento in cui anche tu capirai e mi ringrazierai, perché ti sarà chiaro che non potevo fare altrimenti…
Fa una pausa melodrammatica, con l’aria sinceramente contrita, e all’improvviso capisco. Non è un bravo attore, lui crede davvero in quello che dice, crede davvero di essere il paladino del mondo. È completamente pazzo, più di suo zio e del Cardinale. E io non l’ho mai capito finora.
- Quando saremo insieme a Parigi e ti avrò mostrato tutto quello che ho fatto in questi anni Alexis, capirai perché ho dovuto fare quelle scelte. Lascia andare mio zio e ti mostrerò il lavoro che abbiamo ancora da fare…
Scuoto la testa, incredula oltre ogni limite. Davvero crede ancora che lo seguirò a Parigi? Come può pensare che potrei mai vivere con lui, sapendo che ha ucciso Linda, Juno e Alex?
- Sei pazzo Giulio. Anzi no, peggio. Sei un mostro.
Lui sembra riflettere qualche momento sulle mie parole, serio, poi scuote la testa.
- Tutti gli eroi sono costretti a pagare un prezzo con la propria coscienza, Alexis, e io e te siamo gli eroi del secolo. Non abbiamo scelto di esserlo e tuttavia il destino ci ha affidato le sorti del mondo. Come possiamo rifiutare?
Mi rendo conto che sto piangendo solo quando sento le lacrime scivolarmi lungo le guance e gocciolare fino al pavimento. Ho amato davvero Giulio e capire quanto sia malato mi strazia quasi quanto capire che Alex è davvero morto.
Mi fa male vedergli quest’aria trasognata, sentire questa voce estatica, come se parlasse della grazia divina mentre ammette di essere un assassino. E allo stesso tempo piango per me stessa, di felicità e gratitudine.
Perché se non avessi visto Giulio, se non avessi capito quanto ci sia di sbagliato in lui, avrei davvero ucciso lui e il vescovo e anche Yvonne se mi fosse riuscito, sarei davvero diventata come lui.
Lentamente tolgo il coltello dalla gola di Terenzio, che si getta sulla scrivania tossendo e massaggiandosi la gola, e lascio che il braccio mi ricada lungo il corpo. Improvvisamente mi sento stanca, svuotata, come se lottassi da mille anni e mi fossi finalmente resa conto di aver perso. E forse è così.
Morirò in questa stanza, per mano dei miei nemici che io ho lasciato avvicinare, e non sono riuscita a finire il compito che mio padre mia aveva lasciato. Spero solo che i ragazzi di Malone siano più in gamba di me.
- Tu sei pazzo Giulio. Il destino non ci ha affidato proprio niente e noi non siamo eroi, siamo solo delle pedine. Tu sei la pedina di tuo zio per tornare ad essere il capo di una setta di morti, e io la tua. Non capisci? Non appena avrà ripristinato Pyrus lui ti toglierà di mezzo perché non gli servirai più…
- Non darle ascolto Giulio! Uccidila! – sibila Terenzio, ora che si è ripreso abbastanza per parlare, continuando a massaggiarsi la gola.
- Non dire assurdità zio, Alexis è una dei nostri! Sarà mia moglie! – replica lui condiscendente, come se fosse la mamma che divide i figli che litigano.
Sentirmi definire una dei loro mi fa venire i brividi. A ben vedere, in effetti, dal momento in cui ho permesso a Giulio di entrare nella mia vita non ho fatto altro che assecondare i loro comandi come una complice perfetta. Che imbecille!
- Mi dispiace Alexis per mio zio, ma sai, l’hai un po’ spaventato. In realtà è stato lui a farci incontrare, mi ha fatto avere quel posto all’università così che ci potessimo conoscere.
Lo dice con un tale affetto e una tale gratitudine nella voce che mi viene voglia di urlare.
- E’ solo grazie a lui che ho potuto guadagnare tutti quei soldi dai libri e che sono arrivato dove sono ora. Sono sicura che quando vi conoscerete meglio andrete d’accordo, è molto più simile a Juno di quanto pensi…
Sentir paragonare Juno a questo viscido psicopatico è la goccia che fa traboccare il vaso.
Stringo il coltello come se fosse un pugnale e mi avvento su Giulio, decisa a fargli rimangiare tutte le fesserie che ha detto finora, ma con una velocità sorprendente lui estrae una pistola e me la punta contro.
- Alexis, amore, capisco che tutto questo possa essere sconvolgente per te ma non fare stupidaggini. Non puoi davvero volermi fare del male – mi rimprovera, puntandomi addosso l’arma.
- Se mi chiami un’altra volta amore, giuro che prima di ucciderti ti strappo la lingua con le unghie – lo avverto, allentando però la presa sul coltello. Un proiettile è sempre più veloce di una lama, questo l’ho imparato bene.
- Ora sei scioccata e confusa e lo capisco, ma vedrai che quando avremo parlato un po’ tutto ti sarà più chiaro. Uccideremo Richelieu e ce ne andremo a Parigi e vivremo per sempre insieme…
- Voleva uccidermi! Muoviti e spara! – gli intima di nuovo Terenzio con la voce stridula per la rabbia. Ormai si è ripreso del tutto e gesticola verso il nipote senza più preoccuparsi di indossare una qualsiasi maschera a coprire la sua follia.
- Zio ti ho detto di smetterla. È anche colpa tua se siamo arrivati a questa situazione assurda… - ripete stizzito Giulio.
Mi sembra davvero impossibile tutta questa situazione.
Terenzio risponde con un verso strozzato, poi troppe cose succedono troppo velocemente perché il mio cervello ne abbia una chiara impressione.
Terenzio si butta verso di me, probabilmente con l’idea di strapparmi il coltello dalle mani e usarlo lui, ma prima che riesca a raggiungermi tre spari risuonano nella stanza, assordandoci tutti, e subito dopo il mio braccio prende a sanguinare copiosamente mentre Terenzio si accascia sul pavimento sanguinando a sua volta, da due fori nel petto.
Sia Yvonne che Giulio restano qualche istante con le pistole spianate, ancora fumanti, poi Giulio si rende conto di quello che ha fatto e getta l’arma per terra prima di inginocchiarsi accanto allo zio.
- Zio, oh no, zio rispondimi, ti prego… mi dispiace, non volevo, mi hai preso alla sprovvista... – farfuglia, stringendosi il corpo esanime di Terenzio al petto e cominciando a piangere copiosamente.
Nel frattempo Yvonne abbassa l’arma e corre a chiudere a chiave la porta, prima che qualcuno venga a vedere cos’è successo. Io invece non sono capace di muovere un muscolo e resto in piedi, tremante, a guardare Giulio piangere sul corpo di Terenzio, vagamente consapevole di Yvonne che blocca la porta con una delle poltrone e si apposta vicino alla finestra.
- Mi dispiace non vedere la fine di questo simpatico dramma ma ora devo proprio scappare – annuncia alla fine, spiando fuori dalla finestra e puntando intanto la pistola contro Giulio.
- Credo che prenderò i miei soldi e lascerò a voi il piacere di chiacchierare con la polizia. Dov’è la mia borsa? – domanda in tono tranquillo, come se non avesse appena ucciso un uomo.
Giulio però non risponde, non si accorge nemmeno di Yvonne e della sua pistola. Continua a dondolarsi stringendosi al petto il corpo di Terenzio, mormorando qualcosa di incomprensibile, come una litania.
- Ho chiesto dove sono i miei soldi – ripete Yvonne a voce un po’ più alta e avvicinando la pistola alla testa di Giulio ma quello continua ad ignorarla, mentre da oltre la porta chiusa a chiave cominciano ad arrivare i primi rumori. Evidentemente la diligente segretaria deve aver chiamato i rinforzi prima di venire a vedere di che si tratta.
- Ti ho detto di darmi quei maledetti soldi! – urla Yvonne a un centimetro ormai dall’orecchio di Giulio, appoggiando la canna direttamente sulla tempia. Intanto qualcuno fuori, un uomo, prende a bussare furiosamente ordinando di aprire.
Con l’aria assente di chi è in un profondo stato di shock, Giulio smette finalmente di mormorare e si gira a guardare Yvonne, o meglio il nero della canna che gli sta a pochi centimetri dal viso, e poi, così velocemente che nemmeno Yvonne riesce a schivarlo, raccoglie il coltello che sta proprio davanti al suo ginocchio e con un movimento rapido e quasi elegante, lo pianta nello stomaco di Yvonne, nello stesso momento in cui lei preme il grilletto.
Di nuovo assordata dallo sparo, vedo Giulio accasciarsi sul corpo di suo zio, esanime come lui, mentre il sangue cola copioso e si raccoglie in una pozza scura sotto i due corpi.
L’odore del sangue mi colpisce le narici come qualcosa di fisico e sembra riattivare qualcosa nel mio cervello. Finalmente riesco a muovermi di nuovo, abbastanza da raccogliere la pistola che Giulio ha lasciato cadere e avvicinarmi ad Yvonne, che si è intanto accasciata per terra e cerca di estrarsi il coltello senza molti risultati. Mi inginocchio cautamente vicino a lei e cerco di ricordare quello che mi ha insegnato Juno su ferite del genere, troppo scossa per notare l’ironia dell’usare quegli insegnamenti per salvare la persona che avrebbe dovuto procurarle a me, quelle ferite.
- Alla fine hai vinto tu, ragazzina – mormora Yvonne, cominciando a sudare freddo e rinunciando ad estrarre il coltello.
Stranamente, un sorrisetto le aleggia sul viso contratto per il dolore, come se in fondo non le dispiacesse più di tanto che finisse a questo modo.
Invece di risponderle, provo a tirare delicatamente l’arma ma Yvonne emette un gemito strozzato, mentre un rivolo di sangue le esce dalla bocca, segno che è ormai inutile insistere, perché ha lo stomaco perforato.
Così, ricominciando a piangere, resto inginocchiata accanto a lei, senza sapere cosa fare, dimentica che tonfi contro la porta che risuonano sempre più forti.
- Dì ad Alex che l’ho amato con tutto il cuore… e che aveva ragione… - mormora di nuovo, senza fiato, prima di chiudere gli occhi e perdere conoscenza. So che non è morta perché vedo il petto gonfiarsi impercettibilmente ma so anche che non le manca molto, perché la pozza di sangue sotto di noi è ormai enorme. Non ho il coraggio né il tempo di dirle che Alex è morto e che non posso dirgli proprio niente.
Lentamente, attenta a non scivolare sul sangue raggrumato sotto di me, cerco di mettermi in piedi. Ormai oltre la porta hanno smesso di bussare e hanno preso a forzare la serratura a giudicare dai rumori e per un momento mi chiedo se non sarebbe meglio farmi trovare qui quando apriranno e lasciare che siano loro ad occuparsi di me d’ora in poi, visto che non sono capace di farlo da sola.
- Alexis…
La voce di Giulio, flebile come il vento, mi strappa ai miei pensieri e mi fa correre a inginocchiarmi di nuovo, accanto a lui questa volta, per aiutarlo a stendersi per quanto possibile tra le mie braccia.
- Non piangere amore… è quasi finita… il tuo nome è la chiave, scrivi il tuo nome completo… - biascica, a sua volta senza fiato, ma io non lo ascolto, riesco solo a piangere e fissare il buco rosso nel suo collo, dove comincia la spalla. Evidentemente Yvonne deve aver sparato dopo essere stata colpita e ha mancato la testa per centrare il collo.
- Il tuo… nome… è la… chiave – mormora di nuovo, incomprensibilmente, mentre io continuo a piangere su di lui come poco fa lui piangeva su Terenzio.
Me lo stringo al petto come ha fatto lui con lo zio, e come lui continuo a chiedergli scusa tra le lacrime e i singhiozzi.
Non doveva finire così, non volevo che finisse così. Non volevo che morisse anche lui.
- Alex…
È la sua ultima parola e non riesce nemmeno a finire il mio nome, poi uno spasmo contrae tutto il suo corpo per un secondo, prima che si rilassi nel peso della morte.
Urlando senza nemmeno sapere cosa dico, mi stringo ancora più forte a lui, inzuppandomi del suo sangue, incurante dei rumori intorno a me, incurante di ogni cosa tranne il corpo ancora caldo di Giulio tra le mie braccia, che continua a fissarmi con i suoi occhi vitrei.
Piango come non ho mai fatto in vita mia, piango tanto che sembra debba uscirmi l’anima dagli occhi e non m’importa se quelli dietro la porta riusciranno ad entrare, non mi importa cosa succederà adesso. Giulio è morto, sono morti tutti, non mi resta più nessuno…
- Alexis ti prego, dobbiamo andarcene…
All’improvviso la voce riesce a superare il frastuono del mio pianto, ma non alzo la testa. Non mi importa se mi arresteranno o se mi uccidono, tanto sono tutti morti…
- Alexis, dobbiamo andare, Alexis…
Continuo a stringermi ancora di più al corpo di Giulio, mentre per un momento la voce accanto a me sembra essere proprio quella di Alex e la cosa mi scatena un’altra marea di lacrime e singhiozzi.
Poi delle braccia mi stringono e mi staccano di forza dal mio abbraccio mortale mentre delle mani mi stringono il mento e mi costringono a girarmi.
- Alexis, dobbiamo andare, devi lasciarlo andare…
Apro gli occhi e per un momento credo di essere morta anch’io. La ferita al braccio deve essere stata più grave di quanto pensassi e devo essere morta dissanguata senza accorgermene, perché le braccia che mi stringono e le mani sul viso appartengono al fantasma di Alex, che mi sorride sfuocato per le lacrime che mi riempiono gli occhi.
Poi il fantasma mi aiuta ad alzarmi e io, troppo affascinata dagli scherzi della mia mente ormai alla deriva, non oppongo resistenza e mi lascio guidare come una bambola.
Il fantasma mi fa scavalcare la finestra rotta, anche se non mi ero accorta che si fosse rotta, e poi si gira a lanciare qualcosa di nuovo nella stanza, prima di tirarmi lungo una specie di stretto corridoio esterno fino a che infiliamo una porta, proprio nel momento in cui mi sembra di veder uscire dalla finestra rotta dell’ufficio di Terenzio delle fiamme.
Dalla porta infiliamo un altro corridoio, poi entriamo in una stanza e scavalchiamo un’altra finestra, non rotta questa volta, per trovarci finalmente in strada. Soltanto allora il fantasma mi permette di riprendere un po’ fiato, rallentando la nostra corsa a un passo svelto finchè saliamo su una macchina parcheggiata poco lontano.
- Temevo di essere arrivato troppo tardi… quando ho sentito gli spari… - dice il fantasma dopo che la macchina si è messa in moto. Cioè il mio e di Alex, quando era ancora vivo.
Non riesco a dire nulla, stordita e confusa e soprattutto ancora affascinata dal fantasma. È così identico ad Alex e sembra così vero…
- Alexis, per favore, dì qualcosa – mi prega il fantasma accarezzandomi il viso per spostarmi una ciocca che si è appiccicata alla guancia per via delle lacrime.
Quel tocco sembra rompere l’incantesimo. Se posso sentire il suo tocco, non può essere un fantasma. E in effetti mi ha guidata finora e parlato con l’autista…
- Alex!
Non riesco a dire altro, solo quel breve sussurro. Non può essere lui, Alex è morto, la giornalista ha detto che non…
- Mi dispiace, Alexis, ma non potevo avvisarti – si scusa il fantasma-forse-vero-Alex.
- Come… ho visto il telegiornale… l’aereo… il mare… - sono così stordita che la mia voce mi arriva estremamente flebile e lontana, quasi impercettibile, mentre Alex storce il viso come se mi fossi messa ad urlare.
- Alexis abbassa la voce. Non senti per via degli spari ma stai urlando.
Più che sentire in effetti mi limito a leggere le sue labbra, perché la sua voce è ancora più bassa della mia. Non appena lo dice però capisco di cosa parla. Yvonne mi ha sparato quasi nell’orecchio, il che deve avermi assordata per un po’. il che mi riporta alla mente il braccio che brucia e pulsa.
Abbasso lo sguardo verso la ferita ma lo distolgo subito. Sono completamente inzuppata di sangue, mio, di Yvonne e di Giulio. Giulio…
- Credevo fossi morto – ripeto al fantasma, sforzandomi di non pensare a Giulio adesso, non mentre ho il suo sangue ancora addosso.
- Non mi sono mai imbarcato su quell’aereo. Poco prima di salire ho risposto a una chiamata e così ho visto Yvonne allontanarsi travestita da hostess. Ho capito subito che qualcosa non andava.
Sono troppo scioccata per dire qualcosa, così mi limito ad abbracciarlo, incurante del sangue che ho addosso e del fatto che non sono ancora sicura di non stare ancora immaginando tutto, mentre il mio corpo naviga tra la vita e la morte ancora nello studio...
Quando però mi allontano e vedo la sua maglia sporca mi mordo il labbro pentita. Non avrei dovuto macchiarlo col sangue. Il sangue di Giulio…
- Sei ferita! – esclama, notando solo allora un rivolo fresco scendere lungo il mio braccio.
Si avvicina il più possibile e cerca delicatamente di spostare il tessuto ma il gesto mi strappa lo stesso un gemito di dolore. Ora che lo shock comincia a passare, il dolore diventa sempre più forte.
- Tranquilla, tra poco saremo all’hotel e ti medicheranno. Stringi i denti ancora un po’ – mi rassicura.
- Come facevi a sapere che ero lì? – gli domando, cominciando lentamente a riprendere l’uso del cervello. Anche se questo vuol dire sentire più dolore al braccio, non mi dispiace affatto. Devo capire se è davvero Alex…
- Stavo seguendo Yvonne da quando l’ho vista all’aeroporto.
- E le guardie che erano sul volo con te?
- Loro erano sull’aereo quando è esploso. Prima di decollare le ho addormentate e sono sceso… non sapevo come altro fare…
La pena negli occhi e nella voce mi stringe il cuore e lo abbraccio di nuovo, brevemente perché il braccio comincia a farmi davvero male. So cosa vuol dire sentirsi responsabili.
- Linda e Juno… - comincio, pensando che è andato via prima che succedesse tutto.
- Lo so, me l’hanno detto i ragazzi quando ho chiesto un autista – mi spiega, allungando una pacca sulla spalla di O’Malley che annuisce appena, concentrato alla guida.
Finalmente la macchina si ferma nel parcheggio dell’hotel e Alex mi aiuta a scendere. Improvvisamente, mi rendo conto che il senso di debolezza non dipende solo dallo shock ma soprattutto dal sangue che ho perso finora dalla ferita al braccio.
A fatica riesco a raggiungere la saletta, dove uno dei ragazzi prende subito a medicarmi la ferita, strappandomi ogni tanto gemiti di dolore, mentre tutti gli altri salutano Alex e chiedono il racconto di quello che è appena successo.
- Non dovremmo avere problemi, ho bruciato tutto. Quando spegneranno le fiamme, non ci sarà quasi niente da analizzare – spiega Alex in tono pratico.
Non posso fare a mano di notare che il mio cuore manca un battito.
Giulio… è di Giulio che non resterà niente da analizzare…
Evidentemente Alex si accorge della cosa, perché mi lancia un’occhiata colpevole, poi prosegue e racconta di come sia riuscito ad addormentare gli agenti che viaggiavano con lui e scappare appena prima del decollo corrompendo una delle steward, che quindi da morta non ha potuto spiegare alle autorità che lui mancava all’appello.
Da allora ha seguito Yvonne ogni momento, restando nascosto in una macchina che aveva rubato nel parcheggio dell’aeroporto fino a quando ha sentito la mia voce urlare qualcosa contro Giulio. Allora ha capito che c’ero anch’io nella stanza e si era avvicinato, poi ha sentito gli spari e ha deciso di intervenire.
Quando è arrivato ha rotto la finestra per entrare ma io non me ne sono accorta probabilmente perché assordata dalle detonazioni, e mentre io cullavo Giulio lui ha riempito la stanza di fogli di carta e ha buttato un accendino prima di scappare insieme a me.
- Mi dispiace tanto per Giulio – mi sussurra, inginocchiandosi davanti a me. E sembra davvero dispiaciuto. Ma io non sono ancora pronta per parlare della sua morte, non con Alex…
- Che ne sarà di… mi staranno cercando. La segretaria mi ha vista entrare… - gli faccio notare, cambiando argomento.
- Nessuno sa che c’era un’altra donna nella stanza. Farò in modo che tutti credano che Yvonne sia tu, così sarai finalmente libera da tutti e tutto.
Lo fisso senza sapere cosa dire. L’idea non mi sarebbe mai passata per la testa.
Libera? Come posso essere libera? Tutti quelli che conoscevo e che amavo sono morti. E poi non è ancora finita. Il Cardinale è ancora a piede libero e finchè sarà libero lui, non sarò libera io.
- Ora devi andare a riposare, il proiettile ti ha preso di striscio ma hai perso molto sangue. Ci vediamo quando stai meglio – mi saluta.
Per un momento vorrei solo pregarlo di non lasciarmi mai più, di non allontanarsi da me, spiegargli che deve prendersi cura non solo di me ma anche del bambino… ma mi limito ad annuire e a seguire i due agenti perché in effetti mi sento ad un passo dallo svenimento e nonostante tutto, sono felice quando mi aiutano a stendermi sul letto della mia stanza, così che possa riposare un po’.

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Capitolo 32
*** Un passo avanti ***


Mi alzo per bere un sorso d’acqua, che mi ero diligentemente preparata. Avevo immaginato che ricordare quel momento mi avrebbe fatto bruciare la gola proprio come sta facendo ora. Come fa sempre, da anni.
Ormai comincio a credere che niente potrà mai cancellare questo bruciore, quasi che qualcosa o qualcuno abbia deciso di farmi assaporare le fiamme che vidi da quella finestra.
In fondo, anche allora temevo che quei fantasmi sarebbero tornati a tormentarmi, certa che quello che stavo facendo era profondamente sbagliato e forse, non avevo tutti i torti. Forse, nonostante le cose belle che mi siano successe da allora, un piccolo prezzo dovrò continuare a pagarlo per sempre per quegli ultimi, tragici atti della mia vecchia vita.
Ma non ne sono pentita. Tutto quello che ho fatto, giusto o sbagliato che fosse, è servito a proteggere le persone che amo e se per questo dovrò sentire la gola bruciare come se avessi respirato quelle fiamme del passato, ebbene così sia.
Di quello che ho fatto prima di allora invece, di quello sì che sono pentita e questo è il secondo grande prezzo che dovrò pagare per sempre. Ogni scelta riguardo Giulio, ogni pensiero che ho speso per lui prima di scoprire il suo vero volto, mi pesano sul cuore nei punti che prima occupava l’affetto per tutti quelli che ho lasciato che morissero perché non riuscivo a vedere al di là delle apparenze.
Continuando a sorseggiare l’acqua fresca senza che mi dia però sollievo, cerco di chiedermi, come sempre, cosa pensa mio marito di allora, di tutte le scelte che ho fatto in quel periodo. Quando ne abbiamo parlato, all’inizio, ha cercato in tutti i modi di consolarmi, di aiutarmi a dimenticare e a perdonarmi, ma ancora oggi non so quanto di quello che ha detto o fatto per me in quei giorni fosse davvero ciò che pensava, oppure se abbia parlato e agito solo per il mio bene, ignorando le enormi colpe che anche lui mi attribuiva.
In ogni caso, non posso che amarlo ed essergli grata, per essersi preso cura di me in quei giorni e nei mesi a venire, per avermi aiutata a rimettere insieme i miei cocci per ritrovare un equilibrio da cui ripartire, per me e per la mia bimba.
Spero che questo diario serva allo scopo, che possa trasmettergli tutta la mia gratitudine, facendogli davvero capire in quale grandiosa impresa è riuscito riportandomi alla vita, quale terribile fardello è riuscito a cancellare dal mio cuore e quale penosa croce abbia deciso di condividere in questi lunghi anni di matrimonio.
 

 
 
 
La notizia della morte di Giulio è su tutti i giornali. Ovunque posi lo sguardo, non faccio che trovare fogli con la sua faccia sorridente stampata in versione gigante, accompagnata da tragiche parole di commiato.
Ad un grande uomo. L’addio di una stella. Lutto per un uomo straordinario. Questi i titoli più accreditati e poi tanti, tanti altri dello stesso tipo.
Tuttavia continuo a camminare, stringendomi addosso il trench leggero perché il vento non lo faccia svolazzare e calcandomi ancora di più sul naso gli occhiali da sole, che poco hanno a che fare con la fioca luce del sole nascosto dietro spessi nuvoloni. Sembra che a qualcuno lassù sia sfuggito che è estate.
Lo sapevo, ma avevo bisogno lo stesso di vederlo con i miei occhi, di respirare quest’aria triste e addolorata. Avevo bisogno di condividere almeno in parte il mio dolore per la tragica perdita di Giulio, avevo bisogno di ignorare per un po’ le reali circostanze della sua morte e abbandonarmi semplicemente alla pena della sua mancanza, consolata appena dalla consapevolezza che nessuno sospetterà mai quello che ho scoperto io.
Mi fa male leggere il suo nome ovunque, ma è bello vedere che la gente lo ricorderà come il Giulio che ho amato e che mi ha amata, e non come il pazzo che credeva di essere un eroe. Sapere che qualcuno potrà piangere senza sentirsi in colpa la sua scomparsa mi fa stare un po’ meglio. Anche se io, al contrario, devo sopportare il doppio senso di colpa: per non averlo salvato e per provare ancora dolore per colui che ha distrutto indirettamente la mia vita…
Il suono del cellulare nella tasca mi strappa ai miei pensieri.
- Signorina Blendell, dovrebbe venire qui immediatamente. Abbiamo delle novità – mi avverte Riley dall’altra parte della linea.
Senza discutere, avverto che arrivo tra dieci minuti e mi incammino verso l’hotel. Per quanto sia doloroso restare a Roma dopo tutto quello che è successo, Giulio aveva ragione. Non è ancora finita. Quasi, ma non del tutto.
Cammino a testa bassa, senza parlare con nessuno, fino a che arrivo nella ormai troppo familiare stanzetta ingombra.
Non appena entro, tutti gli agenti mi fanno segno di avvicinarmi a Lentiggini, che è seduto davanti al monitor centrale e mi fissa con ansia.
- Possiamo salvare il mondo – mi annuncia lentiggini non appena mi fermo accanto a lui.
In effetti lui, ma anche tutti gli altri, hanno un’aria tesa ma soddisfatta, che è la cosa più simile alla felicità che si possa sperare di vedere sui loro volti da marines.
- Abbiamo scoperto la password che ci mancava. Li abbiamo tutti – mi spiega, mentre con dita veloci digita il mio nome competo nello spazio bianco che ci ha fatto dannare per settimane.
All’improvviso, il muro nero intorno a quella striscia bianca si dissolve e un’altra lunga lista di file appare alla nostra vista, dopo essere stati nascosti troppo a lungo.
Consapevole che tutti mi fissano, non riesco a dire né a fare niente. Tutto quello per cui ho lavorato è qui, in questo computer e ora finalmente è a portata di mano. So cosa vuol dire questa schermata finalmente colorata e cosa intendeva lentiggini con “li abbiamo tutti”.
Abbiamo tutti i file a disposizione. Dopo settimane, dopo cinque tragiche morti, abbiamo completo accesso al computer dell’Organizzazione. Abbiamo vinto.
All’improvviso le gambe sembrano diventare di gelatina e sarei caduta se qualcuno non avesse prontamente allungato la sedia sotto di me.
- Abbiamo vinto signorina Blendell. Le mi congratulazioni – si felicita Riley battendomi la mano sulla spalla, finalmente davvero sorridente da quando lo conosco.
Come se non aspettassero che il via, tutti all’improvviso prendono a parlare velocemente, congratulandosi a vicenda e battendomi mani sulle spalle, mentre io non riesco a fare altro che sorridere come un’ebete, senza staccare gli occhi da quei file.
- E sono già…
- Sono chiari e leggibili per tutti, già esaminati per un terzo. È solo questione di tempo prima che finiscano tutti sulla sedia elettrica – mi rassicura Lentiggini e sorrido ancora di più.
Linda, Juno, Nat, Malone, ecco quello per cui siete morti. Al costo delle vostre vite, ci siamo riusciti, abbiamo raggiunto l’obiettivo e abbiamo vinto. Sono così felice che non riesco a respirare.
- Come avete fatto a scoprire la password? – domando, con la voce strozzata dall’emozione.
- L’aveva scoperto Giulio poco prima di… te lo stava dicendo mentre piangevi – mi spiega la voce di Alex.
Finalmente riesco a sbloccarmi e mi volto a guardarlo, ancora incredula che sia qui, vivo e salvo, accanto a me.
Allungo una mano verso di lui, che la prende e la stringe tra le sue, poi mi giro di nuovo verso il monitor e una lacrima comincia a scendere lungo la mia guancia.
Il tuo nome è la chiave, mi ha detto in punto di morte. Nei suoi ultimi attimi, mi ha dato la carta vincente, mi ha permesso di arrivare al Cardinale. Hai davvero lottato con noi, Giulio, e hai ottenuto più risultati di tutti. È anche merito tuo se siamo a questo punto e nonostante tutto, grazie. Grazie povero, sfortunato Giulio.
- Aspetti a commuoversi signorina. Non sa ancora la parte migliore – mi avverte di nuovo Lentiggini, felice come una pasqua, poi si rimette a battere qualcosa velocemente sulla tastiera e sullo schermo i file prendono a scorrere e spostarsi veloci, fino a che si apre una finestra con una targa, un orario e un indirizzo.
- Questi sono i dati che ci permetteranno di impedire che il Cardinale abbia la materia prima che gli serve per la sua arma biologica – spiega Lentiggini.
- Abbiamo trovato file che facevano riferimento a un carico di sostanze base che sarebbe servito a produrre la prima cellula del virus completato. Se prendiamo questo camion, avremo sventato appena in tempo il più grosso attacco al pianeta della storia, signorina Blendell – aggiunge Riley, con un sorriso tanto grande che sembra che la sua faccia di debba aprire a metà.
- E cosa aspettiamo? – domando tra le lacrime, che ormai scendono copiose ma non mi preoccupo di nasconderle.
Dopo tutte le lacrime che mi hanno visto versare in questa stanza, finalmente piango di felicità e non me ne vergogno.
Quanto vorrei che Juno fosse qui a condividere la mia gioia.
Una risata generale aleggia nella stanza, poi ognuno smette di fissare il video e torna al suo lavoro. È evidente che tutti avevano già cominciato ad organizzare le cose.
Mentre la folla intorno a me si dissolve con un chiacchiericcio spensierato, vedo Alex andare contro corrente e raggiungermi fino ad abbracciarmi.
Mi stringo a lui con tutta la forza che ho, aggrappandomi quasi a lui, come temendo che possa sparire di nuovo.
Dopo qualche minuto mi allontana leggermente, con delicatezza e mi guarda negli occhi.
- Le mie congratulazioni, Alexis. Hai vinto.
Il suo sorriso mi sembra la cosa più bella del mondo, dopo aver creduto di averlo perso per sempre.
Di slancio, lo bacio. Lui sembra sorpreso ma non si allontana e quando mi stacco per abbracciarlo di nuovo sorride.
Non vedo l’ora di poter parlare tranquilla con lui, dirgli tutto del bambino. Da quando mi ha tirata fuori dallo studio del vescovo, è stato troppo impegnato a confondere le mie tracce e “pilotare” la stampa per accertarsi che dica esattamente quello che vuole e così non abbiamo avuto tempo di parlare. Inoltre per due giorni non ero in grado di parlare con nessuno, ancora troppo scossa (e sorda per via degli spari) per parlare.
L’unica cosa importante è che è vivo e al mio fianco.
- Se l’avessi saputo, avrei finto di morire molto prima. Pare che ti faccia bene credermi morto – mi canzona quando lo lascio andare ma io mi limito a sorridere. Lui non può nemmeno immaginare cosa significhi per me averlo di nuovo vicino. Per noi.
- Cosa facciamo con Richelieu? Prendere quel camion non lo fermerà per sempre – faccio notare, cambiando discorso. Non possiamo permettere che quel verme la faccia ancora franca. Dopotutto è in qualche modo colpa sua quello che è successo a Giulio, la sua “malattia”.
Nessuno mi risponde per qualche momento e l’aria festosa si spegne un po’. Tutti sanno che il camion è un gran risultato ma non la vittoria decisiva, solo che nessuno sa come chiudere questa storia.
- Io avrei un’idea – propongo d’impulso, già sapendo che non sarà affatto facile convincerli.
Tutti si girano a guardarmi, mentre Alex fa una smorfia, immaginando come me che la mia idea non gli piacerà.
- Giulio aveva in programma un comunicato web sul nuovo libro e ora che la pubblicazione è stata fermata sarà ancora più seguito – sottolineo, cercando di far notare prima di tutto i lati positivi.
- Io penso che potremmo usare quello spazio per mandare un messaggio direttamente al Cardinale – butto lì, in tono deciso, pronta alle critiche, che però non arrivano. Dopo qualche istante di silenzio, perciò, decido di continuare.
- Potremmo rilasciare una specie di intervista e lanciargli una sfida, farlo sentire in trappola. Magari lo costringiamo a venire allo scoperto, a fare qualche mossa falsa.
Il coro di proteste che mi ero immaginata non arriva, solo Alex comincia con la sua lunga litania di contro, come prevedevo.
- Non puoi esporti un’altra volta e lui non abboccherà a nessun’altro che a te.
- Questo lo so.
- Abbiamo la possibilità di far credere al mondo intero che tu sia morta, potrai ricominciare una nuova vita! Se comunichi col Cardinale, la tua unica possibilità sarà inutile e dovrai scappare per sempre da altri seguaci di questa follia!
- Lo so ma non sarò libera comunque fino a che quello andrà in giro e non potremo intercettare tutti i camion per sempre. Se non lo fermiamo, riuscirà a produrre il suo veleno!
Alex scuote la testa, nervoso, simile a un cavallo che scalpita e per un momento l’antico astio tra noi torna a colorarmi le guance. Quando non c’era almeno potevo decidere io!
- Non esiste. Non abbiamo i mezzi per fermarlo, anche se fosse – mi fa notare, battagliero.
Dannazione a lui! Spero proprio che nostro figlio non sia cocciuto come il padre!
- Ma se lo prendiamo in trappola, se lo costringiamo a venire con pochi uomini…
- Ti rendo conto che solo due giorni fa sei quasi morta? E hai quasi ucciso nostro figlio? – mi accusa esasperato.
Qualsiasi risposta mi muore in gola, mentre un silenzio imbarazzato impregna la stanza.
Come fa a saperlo? La pancia non è ancora così visibile e sono stata attenta a non farmi notare in preda alle nausee.
Accorgendosi del mio sgomento, e approfittando della tregua, Alex mi prende delicatamente per un braccio e mi porta fuori, nel balconcino accanto.
- Come… come lo sai? – riesco a balbettare dopo un po’.
- Linda. Mi ha chiamato prima che partissi. Era la sua chiamata quella che mi ha fatto notare Yvonne che si allontanava.
- Linda…
Avrei dovuto immaginarlo che non avrebbe mollato tanto facilmente. Era assolutamente convinta che Alex dovesse sapere la verità e quando ha saputo che non avevo avuto il coraggio di dirglielo, deve aver provveduto lei stessa, salvando Alex e probabilmente anche me e il mio bambino. La mia splendida, vulcanica, inarrestabile amica, a cui ho sempre nascosto il lato segreto della mia vita, ha salvato me e la mia strana quasi-famiglia. Oh Linda!
- Per favore, Alexis. Ora è arrivato il momento di farti da parte. Sei ferita e incinta, quindi tocca a noi – mi supplica Alex, in tono più tranquillo, venendomi incontro e poggiandomi le mani sulle spalle.
Questa volta non rispondo subito. Non riesco a pensare ad altro che a Linda e al bambino… ma è anche per loro che devo tener duro ancora per un po’.
- Non posso farlo, Alex. Linda era mia amica e anche Juno ed è mio padre che ha ucciso.
E amavo Giulio, vorrei aggiungere ma non è il caso. Comunque, il nome di Giulio aleggia ugualmente nel silenzio.
- Devo essere io a fermarlo, insieme a tutti voi. Io e la pallina siamo molto più resistenti di quanto immagini.
- La pallina? – domanda lui, perplesso ma lo zittisco con un gesto della mano.
- Intendo davvero ricominciare, almeno per il mio bambino, ma non posso farlo se il Cardinale sarà libero. Devo chiudere i conti di questa vita prima di cominciarne un’altra.
Per qualche momento Alex non risponde, si limita a fissarmi dolorosamente, poi scuote la testa e abbassa le mani, sconfitto.
- Ho temuto di averti persa per sempre e… non posso lasciarti andare – dice dopo un po’, col tono più grave che gli abbia mai sentito.
- E non intendo scappare. Ma devo chiudere questa cosa una volta per tutte. Lo devo a Linda e Juno e tutti gli altri. Lo devo a me stessa, Alex.
Lui resta in silenzio per un po’, evitando il mio sguardo. Alla fine mi abbraccia con un sospiro di sconfitta e non posso che rispondere al suo abbraccio, sospirando a mia volta. Vorrei che le cose potessero essere più facili, vorrei non aver ceduto all’inganno di Giulio…
Dopo un po’ Alex scioglie l’abbraccio e rientriamo nella sala senza dire nulla, anche se è un silenzio carico di cose non dette. Ma non è il momento di affrontare il “noi” e devo dire che non mi dispiace più di tanto, per ora.
- Faremo in modo che la sua sia solo una voce, capo – rassicura Riley non appena rientriamo. Da quando Alex è tornato ha deciso di affibbiare a lui questo titolo. Non posso dirmi dispiaciuta di essere stata esonerata dal comando, visto il disastro che sono riuscita a combinare finora.
- Potremmo fare in modo che sembri una registrazione. Se il Cardinale abbocca è bene, altrimenti faremo sembrare tutto risalente a qualche giorno fa, così la sua finta morte sarà credibile in ogni caso – aggiunge Lentiggini e io sorrido soddisfatta. Che bella squadra mi ha lasciato Malone.
Improvvisamente la stanza prende a ronzare mentre tutti si trovano qualcosa da fare per preparare la nostra ultima sfida al Cardinale. Bisogna preparare un sacco di cose, pensare a cosa dire con esattezza, mettere a punto una trappola perfetta, a cui nemmeno Richelieu può sfuggire, e allo stesso tempo dobbiamo prepararci a intercettare quel camion.
Un ultimo atto in grande stile, non c’è che dire.
Comunque anche io la smetto di cincischiare e mi do da fare, cercando di aiutare O’Malley con il video. Deve essere un discorso breve ma eccezionale, un invito a cui il Cardinale non potrà sottrarsi.
E poi almeno così mi tengo occupata e la smetto di pensare. Se mi fermo, le immagini di Giulio e di tutto quello che è successo da quando lo conosco non fanno che scorrere nella mia mente come un disco spezzato, e credo che questo sia l’inizio della follia. Se vedo ancora una volta l’immagine dell’esplosione che ha ucciso Linda, se rivedo un’altra volta Giulio morente sussurrarmi l’ultimo pezzo per la vittoria, uscirò di senno e avrò perso comunque.
Così non faccio che saltare da una parte all’altra della stanza, rendendomi utile il più possibile anche solo per preparare i caffè, mentre Alex lavora su come intercettare il camion ma continua a tenermi d’occhio ovunque vada, con l’espressione corrucciata. Fosse per lui non alzerei nemmeno un dito perchè sono incinta. Allocco.
Alla fine della giornata però sono costretta a fermarmi, per la stanchezza e per il dolore al braccio, che ha ripreso a sanguinare sotto la manica. Mi faccio medicare, stringendo i denti per il dolore ma rifiutando troppe medicine che potrebbero far male al bambino, e poi mi faccio accompagnare da Alex in camera, sperando che la stanchezza mi faccia addormentare subito.
- Sicura di stare bene? – mi domanda Alex sulla soglia, prima di andarsene.
Annuisco mentre mi infilo sotto le lenzuola, trattenendo un gemito. Ok, forse avrei dovuto usare meno il braccio ferito.
- Perché non mi hai detto subito… del bambino? – mi domanda finalmente, restando però sulla soglia, come pronto a scappare. Era da quando è tornato probabilmente che voleva chiedermelo e comunque, da quando ha ammesso di saperlo, la domanda aleggiava tra noi.
Non rispondo subito, indecisa sulle parole da usare. Non è affatto facile parlarne e preferirei evitare l’argomento ancora per un po’, tipo un milione di anni.
- Non voglio che tu rimanga con me solo per il bambino. E all’inizio non volevo tenerlo – rispondo poi, esitante.
Dirlo ora, ad alta voce, mi fa sentire una persona orribile solo per averlo pensato.
Lui assorbe la risposta in silenzio, poi annuisce serio, come per approvare e mi ritrovo a sospirare di sollievo.
- E come mai hai cambiato idea?
Accidenti! Non lo sa che è maleducazione fare domande così intime? Come faccio a spiegargli che avevo un bisogno così disperato di lui che non potevo rinunciare all’unica traccia che avevo ancora del nostro tempo insieme? Se glielo dico così sembrerò un matta sdolcinata e lui si monterà la testa.
- Visto che nonostante tutti gli shock resisteva, mi sembrava un ingiusto assassinio – rispondo alla fine, senza mentire del tutto.
In effetti, non lo volevo quando ancora non sapevo quanto poteva essere forte il mio piccolino. Invece ha resistito a tutti gli sconvolgimenti più assurdi molto meglio della madre, quindi chi sono io per ucciderlo a tradimento?
Alex sorride, appoggiandosi con la spalla allo stipite e fissandomi con aria indagatrice, come se avesse capito che non è tutta la verità. Per tutta risposta, mi stendo sotto le lenzuola, così che non possa vedermi in faccia e leggere quello che ho preferito nascondere. Vederlo di nuovo sorridere è così bello che potrei anche uccidere per lui.
- E se ti dicessi che non resto solo per il bambino? Se ti dicessi che l’unica cosa che ho voluto da quando abbiamo ballato insieme è ballare con te tutte le sere?
Anche se mi rendo conto che non è esattamente la reazione che si aspetta, non posso fare a meno di scoppiare a ridere di gusto, trasalendo ogni tanto per il dolore al braccio.
- Per favore, se rido mi fa più male. E comunque, dovevi dirlo a Linda, così l’avrebbe smessa di prendermi in giro per il mio modo di ballare…
Di nuovo la mancanza di Linda mi colpisce al cuore, anche se meno forte di prima. Non so se è la vicinanza di Alex o l’effetto degli antidolorifici che mi ha dato il nostro tecnico-dottore ma negli ultimi due giorni mi sembra di poter sopportare meglio la loro scomparsa.
- Mi dispiace di non esserci stato quando ne avevi bisogno – si scusa Alex venendomi finalmente vicino, dopo aver chiuso la porta. Mi sa che la mia idea di nascondergli la mia espressione non gli è piaciuta.
- C’eri quando ne avevo più bisogno invece. Se non mi avessi portato via da quella stanza, ora sarei in prigione per il resto della vita – lo consolo, leggendo una pena profonda e sincera nei suoi occhi chiari.
- Almeno lì te ne staresti buona e fuori dai guai – mi rimprovera e io rido di nuovo. Pensa davvero che basti tenermi in una stanza perché stia lontana dai guai?
- Se dovessimo sopravvivere entrambi all'atto finale, cosa intendi fare? – mi domanda però lui, facendomi subito tornare seria.
E cosa vuole che ne sappia? Stare senza di lui mi ha quasi ucciso, la sola idea che fosse davvero morto, per sempre, mi toglieva il fiato e non volevo altro che poter stare di nuovo con lui e dirgli quanto era importante per me…
Ma adesso che la mia preghiera è stata ascoltata, vengono fuori tutti i problemi che c’erano prima che “morisse”. Intanto siamo di due continenti diversi e probabilmente lui vorrà tornare in America quando tutto sarà finito. E poi è un agente della CIA, sarà sempre in giro e di fatto sarà come essere una madre single, solo con uno stipendio da paura. E il fatto che possa morire davvero da un momento all’altro, in chissà quale missione segreta.
E poi c’è Giulio… come posso tornare semplicemente da Alex, dopo quello che c’è stato tra noi, dopo che ho detto a Giulio che lo amavo? Come posso voler stare con Alex se amavo Giulio? È assurdo, dovrei andare in terapia solo per questo. Non posso amare due persone contemporaneamente e soprattutto due persone così diverse…
Tuttavia mi accorgo che Alex mi fissa, in attesa di una risposta e mi metto a sedere con una smorfia di dolore, cercando qualcosa da dirgli. Non posso lasciarlo in attesa di nuovo, aspettando che muoia sul serio questa volta.
- Ci sono così tante cose da considerare… - comincio, inquieta.
Gli sembra il momento di farmi domande del genere? Dovrei dormire, riposare per quello che mi aspetta, non stare a spiegare quello che nemmeno io capisco all’essere più ottuso della Terra!
- Per adesso so solo che voglio prendere Richelieu e poi pensare al bambino. Voglio tenerlo e vederlo crescere ma… non chiedermi i dettagli per ora… - lo imploro, sentendomi una vigliacca. In pratica lo sto mettendo di nuovo in attesa.
Lui sospira, ma non riesco a capire se di delusione o solo di stanchezza, poi alza lo sguardo verso di me e sorride.
- Ne riparleremo quando sarà davvero finta. Ma ricordati che non potrò resuscitare in eterno – mi ammonisce sorridendo e in questo momento credo che potrei morire.
Il suo sorriso è così bello! E l’idea di perderlo di nuovo così devastante! Devo essere schizofrenica…
- Ora devo andare e tu devi dormire. Ti vengo a svegliare domani mattina. E sta attenta alla mia bambina – raccomanda, avviandosi verso la porta.
Una bambina? No, sono sicura che è un maschietto. Un maschietto bellissimo, con i capelli come quelli di Alex e il suo naso perfetto e la mia intelligenza…
- Alex! Resta con me stanotte – gli chiedo, d’impulso.
Lui mi guarda confuso, perfettamente a ragione visto che anche io sono confusa da me stessa. Ma l’unica cosa che voglio adesso è stendermi tra le sue braccia e sentire la sua mano calda sulla pancia, per proteggere il nostro maschietto mentre dormo. Di certo se c’è lui accanto a me non avrò incubi orrendi su Giulio…
Dopo qualche momento di incertezza, con un sorriso Alex ritorna vicino al letto, si toglie le scarpe e si infila sotto il lenzuolo accanto a me, avvolgendomi nel più tenero degli abbracci.
Mi stringo a lui il più possibile, rannicchiandomi nel calore che emana e respirando a pieni polmoni il suo profumo, mentre Alex mi accarezza delicatamente i capelli, mormorando qualcosa che all’inizio non capisco.
Solo mentre scivolo verso il sonno, mi rendo conto che sta elencando dei nomi da femmina…

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Capitolo 33
*** Stretta finale ***


La mattina dopo quando mi sveglio Alex non c’è già più. Al suo posto trovo un biglietto che mi avverte che mi ha lasciato la colazione sul tavolo ed è sceso nella saletta.
Sorridendo, mi stiracchio pigramente, poi mi avvicino al tavolino su cui c’è il mio vassoio. In effetti è da un po’ che non mangio e ho una fame pazzesca. E questi cornetti hanno un aspetto così buono che se il piccolo mi costringe a rimetterli mi incavolo sul serio. Sarà la sua prima sgridata.
Mentre mangio di gusto però, tutti i miei ormai soliti dubbi tornano ad affollarmi la mente.
Davvero avrei il coraggio di fare questo ad Alex? Davvero potrei stare con lui tutta la vita, sapendo che amavo un altro, uno pazzo assassino? O forse in realtà ho sempre amato Alex e Giulio era qualcos’altro? Senza dubbio il sentimento che provavo per Giulio era completamente diverso a quello che provo per Alex.
Se penso ad Alex mi manca l’aria, mi sento tesa, insicura. Quando pensavo a Giulio invece… Maledizione!
Tuttavia non devo pensare solo a me. C’è anche il bambino ormai, e lui ha bisogno di suo padre. Forse dovrei semplicemente essere sincera con Alex, dirgli che mentre non c’era ho capito che amavo Giulio e lasciar decidere a lui.
Ma se dovesse decidere di andarsene? Se dovesse decidere, come farebbe ogni persona normale sul pianeta, che l’idea di passare la sua vita con una che amava un pazzo come Giulio gli fa ribrezzo? Non so se potrei sopportare di perderlo.
Lo squillo del telefono della stanza mi strappa ai miei angoscianti pensieri.
- Si? – domando, stranita. Chi è che mi chiama dal telefono interno dell’hotel quando ho un cellulare?
- Signorina – mi avverte una voce sconosciuta che deve appartenere alla ragazza della reception – qui sotto ci sono visite per lei. Ma preferiscono che sia una sorpresa.
La ringrazio e attacco, confusa. Che significa?
Per un momento mi viene il panico pensando che il Cardinale mi ha trovata comunque, anche senza il mio messaggio. A questo punto, visto che gli ho ucciso tutti gli scagnozzi migliori, deve aver deciso di tagliare la testa al toro…
Subito mi do però della stupida. Sono certa che la ragazza non mi avrebbe chiamato felice e sorridente se avesse visto degli uomini armati e dall’aria cattiva, no? Invece nella sua voce non c’era traccia di paura, quindi non può essere niente di pericoloso, spero.
Alla fine mi decido a vestirmi e scendere, attrezzata di coltello sotto la manica tanto per andare sul sicuro. Uso l’ascensore, sperando che le porte si chiudano abbastanza in fretta se qualcuno cerca di uccidermi non appena si aprono ma per fortuna, quando il trillo avverte che sono arrivata al piano terra, nessuno sparo rompe il silenzio, solo un gridolino felice…
- Mamma! Papà! – esclamo, riconoscendo subito la voce di mia madre.
Gli corro incontro e li abbraccio forte, entrambi.
- Che ci fate voi due qui? – domando, felice però della visita. Era proprio quello che ci voleva per me.
- Alex ci ha avvisati che avremmo potuto leggere cose non vere e così ci ha proposto di stare qui qualche giorno. Mi ha detto anche che ti sei ferita – sottolinea subito arrabbiata, come quando da bambina entravo con le scarpe sporche in casa.
Rido contenta e cerco di rassicurare entrambi sulle mie condizioni di salute, rimandando a quando saremo soli e tranquilli la notizia del nipotino in arrivo. Non è una cosa che si può dire nella hall di un albergo.
Li aiuto a sistemarsi nella stanza che Alex ha prenotato, segnandomi nella mente di ringraziarlo di cuore per aver pensato ai miei. Avevo detto che li avrei mandati in crociera, per saperli al sicuro, ma di certo preferisco averli sott’occhio…
Mentre saliamo racconto loro le ultime novità, prima che comincino a chiedermi di Giulio. Subito la mamma mi abbraccia per ore, continuando a ripetere quanto gli dispiaccia ma in realtà non mi sembra proprio affranta. Ha sempre fatto parte del fun club di Alex.
Quando hanno sistemato tutte le valigie, che come al solito sono un’infinità anche se si fermano solo qualche giorno, li faccio sedere sul letto e gli racconto la vera grande novità, cioè del bambino. In realtà parlo con molta lentezza, chiedendomi solo ora come la prenderanno. Hanno sempre accettato i lati strani della mia vita, ma restare incinta senza avere nemmeno un fidanzato…
Al contrario invece, non appena capiscono quello che sto confusamente cercando di dire, la mamma batte le mani felice e anche papà si illumina in viso.
- Lo sapevo io! Cosa ti avevo detto? Ne ero certa! Non ti avevo detto che quei malesseri non potevano essere altro che un bambino? Ora pagherai la scommessa – sentenzia la mamma a papà, estasiata, facendomi scoppiare a ridere.
Quindi l’unica fessa a non aver avuto nemmeno il sospetto prima di svenire, sono io? E poi che razza di madre si mette a scommettere sulla probabile gravidanza indesiderata della figlia?
- Quando sposerai Alex? – domanda poi mia madre, pratica come sempre. Credo che abbia sopportato tutti questi anni le mie stramberie, solo per organizzarmi il matrimonio.
Distolgo lo sguardo imbarazzata. Come faccio a spiegargli che non so nemmeno se lo sposerò?
- Prima vediamo di chiudere questa faccenda con Richelieu, mamma – replico alla fine, eludendo la domanda.
Lei mi guarda sospettosa, intuendo probabilmente che è solo un modo per prendere tempo ma per fortuna non insiste oltre, per il momento.
- Ora devo andare nella saletta, voi cercate di non fare danni e soprattutto non allontanatevi mai da soli – gli raccomando, già sapendo che è un avvertimento inutile. Se non sapessi di essere stata adottata, penserei che la mia passione per i guai l’ho ereditata da mia madre.
Nella saletta come sempre l’aria è frenetica. Sembra che tutto si muova, compresi gli oggetti, e tutti i volti che vedo sono concentrati e professionali. Solo a vederli, ti fanno sentire che non puoi perdere.
Raggiungo Alex vicino al monitor sulla destra e lo ringrazio di cuore per aver chiamato i miei genitori, poi mi faccio aggiornare sull’operazione camion, che sembra a buon punto. Il problema è che nessuno sa quanti uomini ci saranno sopra, né quanto saranno pericolosi, quindi è necessario un armamento enorme che noi non abbiamo.
- Non si può fare proprio niente per convincere i grandi capi a darci una mano? È questione di sicurezza nazionale! – sbotto, esasperata, dopo un’ora di inutili tentativi di farci bastare le risorse che abbiamo.
- Non si esporrebbero mai così direttamente contro un colosso come le MC – mi spiega Alex, frustrato quanto me.
Considerando che io sono fuori uso per via del braccio (e del bambino secondo Alex) e che almeno uno di loro deve restare qui per monitorare la squadra, ci sono solo dieci uomini disponibili, cinque dei quali solo tecnici senza alcuna esperienza sul campo. E le probabilità che un camion con un carico così pericoloso viaggi senza una scorta di almeno cinque persone sono sostanzialmente nulle. Per non parlare della scarsità di armi a nostra disposizione, visto quanti proiettili abbiamo usato nelle missioni precedenti e considerato che la CIA non ce ne fornirà altri.
- Non abbiamo altra scelta, dobbiamo arrangiarci. L’unica cosa che possiamo fare è decidere già da ora il punto in cui fermeremo il camion e fare un sopralluogo. Conoscere il posto e sapere dove nascondersi può essere fondamentale – sentenzia alla fine Alex, anche se gli si legge in faccia che non è affatto convinto della soluzione.
Mi allontano irritata ed esco a prendere una boccata d’aria sul minuscolo balcone alla fine del corridoio.
Come possono pensare di mettere la politica davanti alla vita di centinaia, forse migliaia di persone? Nessuno di noi sa quanto può essere letale il virus che stanno creando e loro stanno lì a chiedersi che figura ci farebbero!
Dei rumori alle mie spalle però mi strappano alla mia rabbia e mi avvertono che Lentiggini è uscito in balcone per fumare la sua solita sigaretta. Credo che l’industria delle sigarette gli deva almeno il settanta per cento delle azioni per quanti soldi spende in Camel light.
- Riusciremo a fermarli – mi rincuora, forse notando la mia espressione.
- Se così sarà, disperderò personalmente il virus nelle case di tutti quelli che ci stanno negando l’aiuto necessario – replico acida, desiderando anch’io una sigaretta ma ricordando che le donne incinta non possono fumare.
Lentiggini ride di gusto, forse immaginandomi nel disperdere un virus letale nella casa dei grandi capi, ma è un riso un po’ amaro.
- Ci siamo passati tutti, chi più chi meno. Abbiamo lavorato mesi a un’operazione e quando bisogna solo arrestare il colpevole, qualcuno ai piani alti decide che è intoccabile e manda tutto all’aria. È la CIA – spiega lui calmo, ormai rassegnato.
Io non potrei mai rassegnarmi a una cosa simile e per questo ho sempre preferito lavorare da sola, nonostante i rischi. Se sei da sola, nessuno tranne te ha il diritto di decidere quanto in basso puoi sprofondare prima di decidere che qualcuno è intoccabile.
- Si consoli però, credo di aver trovato un buon modo di spaventare il nostro Cardinale – mi comunica sorridendo, tra una boccata e l’altra.
Non riesco a trattenere un gridolino di felicità e per poco non gli stampo un bacio sulla guancia. Mi trattengo solo perché ricordo quanto è stato difficile insegnargli a sorridere, un bacio d’affetto potrebbe stroncarlo.
- Voglio parlarne prima con lei perché è molto rischioso e temo che Beckett non darà mai il suo consenso. Ma credo
che sia l’unico modo – spiega, tornando serissimo.
- Di che si tratta?
Lui riflette un po’, scegliendo le parole per spiegarsi meglio, probabilmente.
- Il Cardinale si sente intoccabile, perciò non abbiamo niente che possa spaventarlo. Tranne i suoi uomini.
La mia faccia perplessa gli strappa un sorrisino, poi butta la sigaretta e comincia a spiegarmi con cura i dettagli.
- Se nel comunicato mostriamo tutte le prove che abbiamo contro i suoi uomini più potenti, saranno loro a costringere il Cardinale a prendere provvedimenti e lui non potrà rifiutarsi di aiutarli, altrimenti lo denunceranno.
- Ma se lui non abboccasse, intanto potrebbero trovare come annullare ogni prova e perderemmo tutto – concludo, intuendo qual è il rischio. L’enorme rischio.
Una scarica di adrenalina mi provoca un brivido. Ha ragione, è un’idea perfetta. Ma anche pericolosa.
Lui intanto annuisce, visibilmente combattuto ma anche euforico per aver avuto l’idea che potrebbe far archiviare un caso aperto da circa trent’anni ormai.
Cerco di riflettere lucidamente. Il Cardinale è di sicuro il nostro obiettivo principale ma così rischiamo il tutto per tutto. O li prendiamo tutti, Cardinale compreso, oppure li perdiamo tutti e la seconda ipotesi ci macchierebbe di un crimine immenso contro l’umanità, perché l’Organizzazione potrebbe finire il lavoro che abbiamo interrotto.
Maledizione. Ci vorrebbe Juno adesso, era lui l’esperto delle decisioni tattiche. Che farebbe ora?
- Non possiamo mostrare solo alcune delle prove? In fondo lui conosce i suoi documenti, se gli mostriamo qualche esempio, capirà che abbiamo accesso a tutto il computer – suggerisco. Non è proprio un gran che come soluzione ma è l’unica cosa che mi viene in mente ora.
Lui ci pensa un po’ su, grattandosi il mento. Riesco quasi a vedere i calcoli che fa attraverso i suoi occhi.
- Di certo l’impatto cala ma potrebbe funzionare ugualmente. Se gli mostriamo quelli giusti…
Finalmente, anche Lentiggini sembra rilassarsi, superato il terribile dubbio, e mi sorride. Rispondo al suo sorriso e gli batto la mano sulla spalla, invitandolo a rientrare e comunicare la sua idea agli altri, notando come sembra felice di poterla comunicare lui e assumersene il merito. Direi che glielo devo, dopo tutto il lavoro di questo ultimo mese.
- Con Beckett ci parla lei però – mi chiede, evidentemente nervoso all’idea di dover contraddire quello che ritiene comunque il suo capo, anche se temporaneamente.
Annuisco e gli sorrido, rassicurandolo, anche se in realtà sono dubbiosa quanto lui. Convincere Alex non è mai facile e questa volta ha dalla sua una ragione più che ottima per replicare e in fondo, negli ultimi tempi le mie capacità di decisione autonoma si sono rivelate letteralmente letali per tutti quelli a cui tenevo…
Cerco di scacciare il groppo alla bocca dello stomaco e mi costringo a rientrare per aiutare Lentiggini. Non posso passare la vita a rimpiangere le scelte passate, Juno me lo ripeteva sempre. E ora i miei amici hanno bisogno di me per ottenere giustizia.
La discussione nella sala, non appena Lentiggini ha terminato la sua dettagliata spiegazione, si fa immediatamente accesa, come prevedibile. Da una parte, coloro che vogliono “tagliare la testa al toro”, dall’altra quelli del partito “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Ovviamente, Alex è il leader della seconda coalizione.
- Alexis per favore, cerca di ragionare. Rischiamo di mandare all’aria il lavoro di tutta la vita – mi fa notare esasperato, come se non l’avessi notato da sola.
Il lato positivo della faccenda del bambino, noto con soddisfazione, è che invece di sbraitare e agitarsi come un dannato cerca di controllarsi e farmi ragionare, mentre io non ho nessun problema a sbraitare, il che rende le mie ragioni molto più convincenti.
- Il lavoro di tutta la mia vita, Alex, serve a mettere fine alla gloria del Cardinale.
Faccio una pausa ad effetto, sentendomi un po’ meschina ma rendendomi conto che è l’unico argomento che può aiutarmi ad ottenere una solida maggioranza.
- Glielo devo a Linda, a Juno, a Nat e a Malone.
Nomino di proposito Malone per ultimo, così che la pausa di silenzio sottolinei il peso di quel nome, che è in fondo l’unico a cui i ragazzi si sentano legati, visto che gli altri erano appena dei conoscenti per loro. Se c’è una cosa che i ragazzi della CIA imparano bene è il senso del dovere, quindi vediamo se si sentivano abbastanza in dovere verso il loro ex capo da rischiare per vendicarne l’onore.
Per mia fortuna, vedo alcune facce scettiche annuire lentamente, incapaci di sottrarsi a quel legame di lavoro che per tanto tempo li ha legati a Jack Malone. Alex invece mi guarda scuro in volto, molto somigliante a un tifone pronto a scatenarsi. Probabilmente ha intuito il mio gioco ed è arrabbiato perché ha già capito che funzionerà. Comunque io distolgo lo sguardo da lui e mi concentro su una carrellata dei volti di tutti gli altri presenti, per catturare la loro attenzione.
- Jack Malone, come tutti gli altri, è stato assassinato e il suo assassino ha un nome: Richelieu. Ma se non facciamo qualcosa noi, Jack Malone sarà morto inutilmente e il suo assassino avrà vinto la legge.
Noto con piacere che un silenzio assoluto regna adesso nella stanza, mentre tutti ascoltano il mio discorso trionfale, facendomi sentire molto come la protagonista di un film all’ultimo atto, quando ormai tutto sembra disperato e solo il suo coraggio e la sua ostinazione possono far continuare la battaglia. O forse la sua stupidità.
- Anche se arresteremo tutti i membri tranne Richelieu, lui ha ormai abbastanza soldi per reclutare qualcun altro per finire il lavoro sporco e noi saremo talmente impegnati in scartoffie e burocrazia per dimostrare la colpevolezza degli altri, che non potremo che restare a guardare mentre mezzo mondo viene annientato.
Faccio un’altra pausa, lasciando che le immagini delle conseguenze di un virus letale liberato in tutta Europa e parte dell’America prendano forma nelle loro menti.
- Questa è la nostra sola possibilità di prendere il diretto responsabile di decine di omicidi negli ultimi trent’anni prima che ne commetta altre migliaia, di mettere fine alla vita di un uomo che ha messo fine a quella di tanti altri con la sua sola firma.
A questo punto non vedo nemmeno un volto contrario, se escludiamo Alex che al momento non sembra nemmeno uno dei nostri. Ha piuttosto la stessa faccia che immagino avrà il Cardinale quando vedrà il nostro video sul web.
Spero che il fatto di essere incinta di suo figlio mi salvi dalla evidente discussione distruttiva che avverrà non appena lasceremo questa stanza.
Quando tutti capiscono che non ho altre parole per rendere l’idea, la stanza comincia a riempirsi lentamente di parole di auto-incoraggiamento da parte di ognuno e alla fine, tutti annuiscono nella mia direzione, strappandomi un sorriso. Per fortuna che ho visto tutti quei film col discorso d’incoraggiamento finale.
- Bene, allora mettiamoci al lavoro. Due di voi lavorano al montaggio del video insieme a me ed Alex mentre gli altri mettono a punto l’operazione di intercettazione e questa sera ci aggiorniamo a vicenda.
Sorrido in direzione di Alex, sperando che sapere di far parte del gruppo video lo tranquillizzi un po’ ma le mie speranze si rivelano vane. È ancora più tetro di prima. Credo di aver capito perché Lentiggini ha scaricato a me il compito di lavorarmi “Beckett”.
Non appena tutti si mettono a lavoro e sgombrano per quanto possibile il passaggio, Alex viene verso di me, minaccioso come una tempesta di neve o un’eruzione vulcanica.
Per un momento mi viene voglia di scappare dalla stanza con una scusa ma mi costringo a restare ferma e apparentemente calma, tanto prima o poi questa discussione dovrà essere affrontata e probabilmente, se lo conosco come credo, lasciarlo a macerare nella sua rabbia peggiorerebbe solo le cose perché troverebbe nuove ragioni per darmi addosso.
- Si può sapere dove hai lasciato il cervello stamattina? – mi sussurra, anche se la definizione più corretta sarebbe “ringhia”. Per un momento mi dispiace non avere già il pancione, magari avrei potuto usarlo come scudo…
- Quello che ho detto a quei ragazzi è la pura verità Alex e lo sai anche tu. Se non fermiamo il Cardinale sarà come non aver fatto niente – spiego di nuovo, sforzandomi di mantenere un tono di voce impassibile e di non pensare che, a dispetto di quanto mi mancasse quando credevo che fosse morto, è resuscitato da appena tre giorni ed è probabile che solo uno di noi due uscirà vivo da questa discussione.
- Quello che hai detto a quei ragazzi sono un mucchio di psico-fesserie per convincerli a stare dalla tua parte perché sai che se qualcuno di quei poveretti usasse il cervello, si renderebbero conto di qual è la posta in gioco – mi rimprovera lui, sempre in tono ringhioso. Accidenti se fa paura quando si arrabbia davvero e oggi sembra anche più arrabbiato di quando mi aspettò alzato a casa di Juno perché aveva capito che ero uscita con Giulio.
La pace fu interessante quella sera però…
- Puoi almeno far finta di ascoltare quello che dico? – mi richiama, stizzito adesso oltre che arrabbiato.
- Senti Alex, non sprecherò la mia unica possibilità di far uscire Richelieu allo scoperto solo perché tu hai paura. So che hai ragione e che è rischioso, ma non possiamo fare diversamente. E comunque giuro che lascio decidere a te i documenti da inserire…
Se speravo di rabbonirlo, sembra invece che sia riuscita a peggiorare la situazione. Più nero in volto di Juno, mi afferra per un braccio e mi trascina fuori dalla saletta, per fermarsi a pochi passi dalla porta-finestra che dà sul balcone.
- So che vuoi vendicare i tuoi amici e tuo padre, ma adesso siamo a un livello che va ben oltre le vendette personali. Se perdiamo tutto quello che abbiamo, avrai condannato a morte migliaia di persone. Te la senti di vivere con questo peso sulla coscienza?
Il tono stavolta è talmente accusatorio che mi libero il braccio con uno strattone, frenando la voglia di prenderlo a ceffoni. Davvero crede che stia parlando per puro egoismo? Davvero crede che sia così insensibile?
- E se Richelieu non fosse il grande capo, ma solo l’ultimo scalino che conosciamo? Ci hai pensato? Il Cardinale potrebbe nascondere qualcuno di ancora più irraggiungibile…
- Non è così, è Richelieu il capo di questi pazzi – replico ostinatamente. È assurdo che pur di avere ragione si inventi di sana pianta delle motivazioni, considerando quante ne ha dalla sua già nella realtà.
- E come fai ad esserne sicura? Ti ha mandato una mail? – ironizza acido, incrociando le braccia come un mulo cocciuto. Di nuovo, penso per un momento che non mi dispiaceva saperlo lontano. Morto magari no, ma lontano sarebbe perfetto.
- Me l’ha detto Giulio, prima che Yvonne cominciasse a sparare.
Il nome di Giulio mi sfugge prima di rendermi conto che è un terreno pericolosamente minato.
- Giulio? Lo stesso che ti ha mentito e imbrogliato per mesi, fino a drogarti per fingere di essere stato a letto con te? quel Giulio?
Per evitare di rispondere con un pungo al suo tono fintamente scioccato, mi giro così da dargli le spalle. Ormai è certo, non posso amare Alex. Non è possibile amare qualcuno che mi ispira allo stesso tempo un sentimento di odio così profondo.
- Alexis, ti prego, prova a mettere da parte il cuore e ragionare per un momento…
- Piantala di dirmi di ragionare, Alex! Io sto ragionando, e solo perché non sono d’accordo con te non vuol dire che hai il diritto di startene qui a trattarmi come un’idiota! – sbraito, incapace ormai di trattenermi e chi se ne importa se ci sente tutto l’hotel.
- Giulio mi ha mentito ma tu non sei stato certo da meno e mentre tu eri chissà dove a fingerti morto, infischiandotene delle persone che hai lasciato a piangerti, lui lavorava con me.
L’espressione ferita e arrabbiata di Alex è quasi insopportabile da guardare, così distolgo lo sguardo.
- Ho dovuto fingere di essere morto perché il tuo amato Giulio mi ha venduto a una pazza omicida – mi ricorda, senza più ringhiare. Ma forse era meglio quando ringhiava, perché il suo tono addolorato mi rende difficile essere in collera con lui.
- Resta il fatto che mi è stato d’aiuto più di tutti gli altri ed è stato lui a darci la password – insisto, sentendomi però estremamente stupida. Come posso difendere Giulio dopo quello che ha fatto a Linda e Juno?
- Come puoi difenderlo dopo che ha ammesso di aver ucciso i tuoi amici? – mi domanda appunto Alex, come leggendomi nel pensiero.
Incapace di trattenermi oltre, sento che le lacrime ricominciano a scendermi lungo le guance e le asciugo con un gesto rabbioso. Maledetto bambino e la tua stupida emotività!
- Lo difendo perché lo amavo, Alex – confesso alla fine, sentendo che ogni parola mi esce dalla bocca come vetro frantumato che mi brucia la gola ma allo stesso tempo sentendomi come se avessi tolto un macigno dal cuore.
Dietro di me, Alex non risponde. Si limita a respirare profondamente, probabilmente scioccato dalla mia ammissione. Per questo non glielo avevo ancora detto, sapevo che la reazione sarebbe stata questa, come so anche che ha ragione.
Come posso dire di amare una persona come Giulio? Un assassino, un bugiardo, uno psicopatico con manie di vendetta?
Eppure è così, ormai non posso fingere il contrario. Nonostante tutto, nonostante mi abbia portato via le persone più care, ho amato Giulio e probabilmente una parte di me continuerà ad amarlo per sempre, a ricordare con un sorriso malinconico i bei momenti che abbiamo condiviso, le serate a casa mia e la notte in giro per Roma…
- Aspetti mia figlia – dice soltanto Alex, dopo un lungo momento di silenzio, e sento di odiarlo profondamente per questo.
- Se credi che questo basti a farmi innamorare di te, ti sbagli di grosso. L’amore non è un incidente banale come dimenticarsi la pillola un giorno, è rispetto, fiducia, condivisione. Due persone che si amano dovrebbero andare d’accordo quasi su tutto e non litigare ogni volta che si scambiano più di tre parole!
Ora sono io ad avere un tono lamentoso ed esasperato ma non mi importa. Forse anzi, è meglio che anche lui capisca come mi sento, in quali difficili acque sto navigando per colpa sua e delle sue stupide dichiarazioni inutili.
Mi giro finalmente di nuovo verso di lui, pronta a vedere la sua espressione ferita, ma in realtà il dolore nei suoi occhi mi ferisce lo stesso come uno stiletto al cuore. O come il coltello nello stomaco del vescovo.
- Mi dispiace Alex, volevo parlarne quando ci fosse stata un po’ di calma ma… mentre tu non c’eri, Giulio mi è stato vicino e nonostante tutto ho capito di amarlo e…
Sforzandomi di evitare il suo sguardo prima di perdere il coraggio per dire tutto esattamente come sta, cerco di trovare le parole giuste per spiegargli quello che sento.
- Non voglio dire che non mi sento legata a te ma ho amato Giulio e se vuoi restare accanto al bambino, dovrai accettare questa parte di me perché altrimenti è inutile pensare di poter stare…
Senza lasciarmi finire, Alex se ne va in silenzio ed esce dall’hotel, lasciandomi a guardarlo allontanarsi, col cuore a pezzi quasi quanto il suo, probabilmente. Mi fa un male terribile vederlo così e sapere che la causa sono io, ma sono contenta di essere riuscita a dirgli la verità, non potevo far finta di niente.
Lentamente, dopo un’eternità passata a guardare il corridoio ormai vuoto, mi decido a salire nella mia camera, sentendomi improvvisamente stanchissima, come se fossi appena tornata da una guerra. Come dicevo, uno di noi due non sarebbe sopravvissuto alla discussione. Quello che non immaginavo è che nessuno di noi sarebbe rimasto in vita.
Non appena nella stanza, mi lascio cadere sul letto, troppo stanca perfino per piangere, così me ne sto stesa, con gli occhi chiusi, pregando senza nemmeno sapere per cosa.
Per innamorarmi di Alex? Per dimenticare Giulio? Per avere il coraggio di andarmene e lasciare tutto alle spalle?
Dei colpi leggeri alla porta mi strappano ai miei pensieri e trascinandomi, vado ad aprire.
- Alexis, tesoro, tutto bene? – domanda mia madre entrando nella stanza con delle buste, che però lascia cadere per terra quando vede la mia espressione distrutta.
Per un momento penso di rispondere che sto bene, che sono solo stanca, come sempre, ma poi cambio idea. Mia madre non mi ha mai deluso quando cercavo un conforto e in questo momento ho bisogno di conforto come di ossigeno.
Stufa di affrontare tutto da sola, mi siedo sul bordo del letto e comincio a raccontarle tutta la complicata storia tra me, Alex e Giulio, senza omettere nulla, nemmeno il fortuito concepimento del mio bambino, cosa che finora mi sono vergognata di spiegare.
Alla fine del mio complicato racconto, mia madre si siede accanto a me e mi abbraccia, facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla come quando, da ragazzina, Juno mi impediva di fare qualcosa con le mie amiche per la mia sicurezza e io me ne stavo giorni a piangere perché volevo solo una vita come tutte le sedicenni del mondo.
- Tesoro… la vita è difficile come sai, ma l’amore lo è molto di più… – mi consiglia accarezzandomi la testa.
- A volte le persone con un gran cuore hanno posto anche per due amori per volta e allora bisogna lasciare che sia il destino a indicarci la strada giusta. Pensa alla tua amica francese. Lei amava Juno ma amava anche suo marito, al punto che ha deciso di restare con lui anche se Juno la rendeva più felice.
L’esempio di Nat mi smuove qualcosa dentro. Anche io a volte ho collegato la mia situazione alla sua ma non è ho ricavato niente. In fondo nessuno dei suoi due uomini era un pazzo criminale e non era incinta di nessuno dei due…
- Natalie non è rimasta accanto al marito perché una convenzione glielo ha imposto ma perché nel suo cuore c’era abbastanza spazio per entrambi e ha scelto non quello che amava di più ma quello che aveva più bisogno di lei, forse.
Le parole di mia madre agiscono come un balsamo sulla mia anima affranta e mi restituiscono un po’ di equilibrio. Forse ha ragione lei, devo solo trovare il tempo di fermarmi e pensare lucidamente. Ma…
- Il problema è che non so se amo Alex. Con Giulio era tutto facile, tutto semplice, era chiaro che stavamo bene insieme e che saremmo potuti essere felici negli anni. Con Alex invece… ogni discussione diventa una guerra…
Sento mia madre ridere sommessamente, senza smettere di accarezzarmi.
- Tesoro, l’amore non è mai semplice. L’amicizia lo è a volte, ma l’amore mai. Altrimenti non avrebbe lo stesso potere nella nostra vita. E non sempre l’amore vuol dire felicità, spesso anzi l’amore è la parte dolorosa di un rapporto. Sono  la fiducia, la complicità, la considerazione reciproche a rendere un rapporto felice negli anni. L’amore porta gelosia, incomprensioni, cecità, ma se impari ad essere complice del tuo compagno ogni giorno e considerare le cose dal suo punto di vista, allora quel legame può durare anche per sempre…
È il discorso più lungo e sincero che abbia mai fatto con mia madre e forse per questo finalmente due grosse gocciolone mi scendono dagli occhi mentre la abbraccio più forte che posso.
- Ti voglio bene mamma – le dico alla fine, sorridendo anche se non ho capito ugualmente cosa fare della mia vita sentimentale.
Lei risponde al sorriso, con gli occhi lucidi ma le guance asciutte.
- Anche io tesoro. E ricorda sempre che io e tuo padre litighiamo per ogni dettaglio della giornata ma che nessuno di noi due desidererebbe mai una vita più pacifica – mi ricorda, prima di ricordarsi che papà la aspetta di sotto.
- Ti ho portato dei regali! – mi comunica, andando a recuperare le buste che aveva lasciato cadere per terra.
Le apriamo in tutta fretta e per poco non scoppio a ridere. Sono tutte cose premaman!
- Abbiamo pensato che tu non avresti avuto il tempo di andare a cercare dei vestiti comodi per i prossimi mesi – spiega lei tutta soddisfatta.
La ringrazio con un altro abbraccio, poi mi do una sciacquata alla faccia e scendiamo insieme a ringraziare anche papà, che come al suo solito ha preferito evitare un momento così strettamente femminile.
Visto l’orario, decidiamo anche di pranzare insieme, così posso spiegargli cosa sta succedendo nella saletta in queste ore e fargli tutte le raccomandazioni del caso, del tutto inutili visto che gli avevo detto di restare in albergo e invece se ne sono andati a comprare vestiti premaman.
- Sono certa che andrà tutto per il meglio tesoro – mi rassicura la mamma, dopo che ho spiegato loro qual è il rischio della decisione che ho preso. Perché anche Alex non può semplicemente pensare positivo come mia madre?
- Lo spero mamma. In ogni caso la tensione sarà al massimo, quindi per favore non fatemi sprecare uomini a cercarvi.
Lei mi zittisce con un gesto della mano, senza specificare se intende “certo ho capito” oppure “inutile che sprechi fiato tanto faccio di testa mia”. Con un sorriso, penso che di certo posso leggere per vera la seconda. Se non ci fosse il testamento di mio padre a dimostrare il contrario, sarei certa di essere sua figlia, visto quante cose ho in comune con loro. Forse non è del tutto falso che a volte l’educazione conta molto più del patrimonio genetico.
Finito il pranzo li rispedisco entrambi nella loro stanza, mentre mi faccio coraggio per tornare nella saletta. Non posso fare quel bel discorso e poi scappare davanti alla furia di Alex, anche se preferirei cento volte affrontare il Cardinale che una sola volta Alex e le sue gelosie.
Per fortuna, nella saletta ci pensa lui a evitarmi molto meglio di quanto potrei fare io, anche se la cosa mi provoca lo stesso un moto di tristezza e rabbia insieme. Di certo per essere uno che mi ama e vuole passare la vita accanto a me e al nostro bambino, non è che si sia proprio sprecato a cercare un compromesso per venirmi incontro. Non mi ha nemmeno salutato da quando sono entrata.
Comunque, tiro un sospiro e mi concentro sulla preparazione del video, per cui scopro dagli altri che Alex mi ha lasciato carta bianca. Se vuole affondare, pare che abbia detto, che lo faccia da sola, tanto non ha problemi di coscienza. Caro bambino mio, tuo padre è un idiota.
Mettere a punto il video richiede tutto il pomeriggio e gran parte della sera, visto che nonostante tutto, Alex è riuscito a trasmettermi parte dei suoi dubbi e ci ho messo una vita per decidere quali documenti e prove inserire. Alla fine però il risultato è abbastanza convincente secondo me e di certo, per qualcuno con la coda di paglia, suonerà ancora più minaccioso.
Lascio che Lentiggini finisca di rifinire la qualità dell’audio e del video e mi avvicino al gruppo che lavora all’intercettazione del camion, ben attenta a mettermi dalla parte opposta a quella di Alex.
- Qui davanti metteremo dei fari e dei filari di chiodi, così dovranno fermarsi per forza e non sprechiamo uomini. Voi vi posizionate qui, qui, qui e qui – ordina, indicando dei punti su una stampa digitale di quella che sembra una mappa di Google versione gigante. Probabilmente è esattamente quello che è, solo che l’immagine è stata scattata da satelliti mille volte più potenti di quelli di Google.
- Non appena si fermano se ci sono uomini armati scenderanno tutti, forse rimarranno nel camion due o tre, se li hanno chiusi nel rimorchio. Quindi cominciamo a sparare intorno a loro, senza ucciderne nessuno, così da fargli credere che non uccidiamo di proposito.
Per quanto mi sia difficile ammetterlo, mi piace il modo che ha trovato per non far capire ai nostri nemici che in realtà in tutto il gruppo solo sei persone sono in grado di mirare come si deve, mentre gli altri servono solo a fare numero.
- Metteremo dei fucili a laser, comunque, qui, qui e qui, così se qualcuno si muove troppo, ci pensano loro…
Anche se non sono un asso in quanto a strategie militari, mi sembra che il piano sia ben fatto e mi allontano un po’. In fondo, non ho dubbi che Alex saprà trovare il modo di usare tutte le risorse nel miglior modo possibile. Il che mi porta a chiedermi perché mi riesce così difficile fidarmi del suo giudizio anche per quanto riguarda il video. Finora di certo si è dimostrato molto più capace di me e non ha fatto ammazzare nessuno dei suoi amici.
- Tutto chiaro? – domanda alla fine Alex, col tono più pratico e seducente che si possa immaginare.
Immediatamente mi do una sberla mentale. Ti sembra questo il momento di pensare a quanto è sexy, Alexis?!?
Comunque sembra che nessuno si accorga dei miei pensieri inopportuni e tutti annuiscono, continuando a fissare con aria nervosa la foto-piantina stesa sul tavolo. Nonostante gli agenti operativi abbiano di certo un’aria più sicura, anche sulle loro facce si legge la tensione che è dovuta all’incertezza del risultato e di nuovo lancio invettive di fuoco contro tutti gli stupidi politici che ci impediscono di disporre di più uomini.
- Se avete finito, il video è pronto – li avverto, cercando di avere un tono imperioso e distaccato come quello di Alex, con scarsi risultati.
Per fortuna nessuno si fa pregare di avvicinarsi al monitor dove sta lavorando Lentiggini, tranne Alex che resta indietro, con un’espressione così cocciutamente contrariata da risultare quasi comica. Sembra un bambino che fa i capricci. E allora, però, visto che è comica, perché il mio corpo vorrebbe fare tutto tranne che ridere?
Scaccio ostinatamente gli stupidi pensieri che mi frullano in testa e mi costringo a guardare il monitor invece che Alex, la cui presenza però è sempre dannatamente evidente appena ai bordi del mio campo visivo e mi distoglie dal video che tanto ho già visto decine di volte.
Come faccio a mettere in pratica i consigli di mia madre? Non posso semplicemente decidere di amare Alex perché sono incinta di suo figlio e perché Giulio è morto. Accidentaccio anche a Giulio, anzi. Doveva proprio morire in maniera così tragica? Non poteva aspettare di discutere con me, così che potessi odiarlo in santa pace?
Se solo potessi ancora parlare con Nat! Lei ci è passata in una situazione simile, forse saprebbe come aiutarmi!
- Signorina Blendell? – mi richiama Riley.
Dalle facce di tutti, credo che non sia la prima volta che mi chiamano.
- Scusami, ero sovrappensiero. Dicevate?
- Se ci dà l’ok, pubblichiamo il video.
Per qualche momento rimango in silenzio. Questo è il momento della verità. Posso ancora fermarmi, tornare indietro, spiegare a tutti che ci ho riflettuto e che ha ragione Alex. Forse così lui sarebbe anche meno arrabbiato con me…
- Procedi – dico alla fine, a voce alta e, sorprendentemente, ferma.
Solo allora mi rendo conto del moto di stizza di Alex, che probabilmente mi ha fissata in attesa di sentire che avevo cambiato idea. Gli rivolgo un’occhiata dispiaciuta ma lui sta già guardando da un’altra parte.
Come fa a non capire? Dov’è la comprensione reciproca con lui? Dannazione!
Mi sforzo di ignorare la sua presenza e di concentrarmi sulle operazioni in atto sul monitor. La mia ultima sfida è quasi visibile a tutti, l’ultima decisione che prendo in questa faccenda. Il resto, comunque vada, non dipende più da me.
- Fatto – annuncia Lentiggini mentre lo schermo ci mostra delle nuove scritte.
Ok, è andata. Ora non posso più tornare indietro. Speriamo che vada bene.
Cerco di nuovo lo sguardo di Alex e questa volta noto che anche lui sta guardando me, ma la sua espressione è così piena di ira e disprezzo che distolgo subito lo sguardo. Forse mia madre ha preso una cantonata e tra me e lui non potrà mai esserci niente. Non c’è un briciolo di considerazione reciproca.
- E ora? – domando ai ragazzi, tanto per distogliere l’attenzione dalla rabbia di Alex.
- Ora aspettiamo e pensiamo al camion – mi risponde O’Malley, secco. La risposta peggiore che si possa dare, a mio parere.
Così tutti tornano a rivedere il piano per intercettare il maledetto camion e io me ne torno in camera. Ho bisogno di una doccia calda, non di altra tensione guardando Alex che mi ignora o mi disprezza.
Come sempre, ringrazio il cielo che sia esistito colui che ha inventato l’acqua calda, mentre i miei polmoni si riempiono di vapore acqueo. Sembra che la doccia calda sia l’unica consolazione che mi è rimasta.
Ma ovviamente, non basta ottenebrarmi di vapore per impedire al mio cervello di pensare.
E se avesse ragione Alex e avessi messo a repentaglio la vita di tutte le persone solo per la mia vendetta personale? Per quanto mi sforzi di credere il contrario, in fondo, è solo il pensiero di vendicare Linda e Juno che mi dà la forza di insistere in questa storia invece di andarmi a rinchiudere in qualche clinica in attesa del parto.
Anche se fosse come dice lui però, non è detto che stia sbagliando, no? Anche se agisco solo per vendetta, quello che ho detto ai ragazzi per convincerli è la pura verità. Se non fermiamo Richelieu, lui troverà sempre il modo per continuare il suo assurdo progetto di vendetta.
Con un brivido nonostante l’acqua bollente, mi rendo conto di quello che significa però questa considerazione. Richelieu ha ucciso per vendetta come ha fatto anche Giulio. E io, se la mia decisione sarà sbagliata, avrò fatto la stessa cosa.
Improvvisamente, capisco perché per Alex sia tanto sbagliato decidere per inseguire la mia vendetta e non posso che trovarmi d’accordo con lui: finchè sarà la vendetta a muovermi, non sarò diversa da Giulio e dal Cardinale. E se solo ripenso all’espressione invasata di Giulio mentre pregustava la nostra vittoria insieme…
Esco dalla doccia e mi asciugo vigorosamente i capelli, scossa da questo nuovo pensiero. Forse è proprio questo che mi ha fatto subito sentire così legata a Giulio. In fondo, anche lui era certo di agire per una specie di bene superiore e riteneva le persone che ha ucciso semplicemente un passaggio necessario. Anche io ritengo le persone un semplice passaggio per la mia vendetta?
Senza sapere esattamente cosa faccio, mi avvolgo in un asciugamano enorme e vado a bussare alla porta della stanza di Alex, in preda ad un febbrile bisogno di sentirmi rassicurata dalla fonte di tutti i miei dubbi.
Quando mi apre mi accorgo che è al telefono ma non mi importa e mi infilo ugualmente nella stanza prima che abbia il tempo di scacciarmi. Senza sembrare molto felice della mi visita ma rassegnato comunque alla mia intrusione, saluta la persona dall’altra parte della linea e chiude la porta.
- Se pensi che basti presentarti qui in… - comincia ma lo interrompo.
- Non voglio essere come Giulio.
Il tono che voleva essere calmo e dispiaciuto suona invece come tremolante e disperato.
- Non voglio pensare che le persone siano un passaggio della mia vendetta, non voglio rischiare vite innocenti più di quanto non abbia fatto.
Lui mi guarda, indeciso su come rispondere e io lo fisso a mia volta, sperando che intuisca il mio bisogno di essere consolata da lui, dal calore delle sue braccia…
- E’ quello che cercavo di dirti questo pomeriggio ma ormai il danno è fatto. Spero che tu abbia preso la decisione giusta.
Il suo tono è duro e distaccato, completamente diverso dalla voce dolce di cui avrei bisogno e probabilmente intuisce che non è quello che volevo sentire dalla mia espressione, perché allarga le braccia in un gesto di esasperazione.
- Che cosa ti aspetti che ti dica Alexis? Qualsiasi cosa faccio o dico non è mai all’altezza del tuo Giulio e sono stanco di giocare a fare la tua marionetta!
Non rispondo, confusa dal suo sfogo inaspettato. Non ho mai voluto che fosse la mia marionetta!
- In questi ultimi mesi ho distrutto la mia carriera e rischiato continuamente la vita per proteggere te e il tuo segreto! Mi sono messo in gioco in continuazione per te, ti ho dimostrato in tutti i modi quello che significhi per me, ma tu dici di essere innamorata di Giulio e io non sarò mai come lui, Alexis.
Ora non ha più un tono duro e composto, ma la rassegnazione nella sua voce mi ferisce ugualmente e mi incatena nel mezzo della stanza, incapace di replicare qualsiasi cosa.
- Tu sei innamorata di qualcuno che ti dia sempre ragione, con cui parlare di libri e di storia, che ti possa offrire soldi e amicizie famose… io non posso accontentarti in nessuna di queste cose e quello che ti ho offerto evidentemente non ti basta, quindi cosa vuoi che ti dica?
Per la prima volta mi rendo conto del dolore nel suo sguardo e capisco quello che ha provato per causa mia. Per la prima volta capisco che non era gelosia la sua, né ostinazione. Lui mi ha aperto il cuore e io l’ho distrutto, come ha fatto lui col mio adesso. E capisco anche che, anche se mette in guardia me dalla vendetta, ora è il suo turno di restituirmi il male che gli ho fatto.
- Non mi importa dei soldi e della fama. Io vorrei solo…
Che cosa voglio? Solo adesso mi rendo conto di non averne idea. Non so nemmeno io cosa voglio, come posso chiedere ad Alex di indovinarlo?
- Mi dispiace, Alex, mi dispiace davvero, per tutto. Perdonami.
Esco in fretta dalla stanza, turbata ben oltre le lacrime, e mi nascondo di nuovo in camera mia, senza il coraggio di voltarmi a vedere la sua espressione.
Tremante, resto seduta sul bordo del letto a fissarmi allo specchio per un’eternità, cercando di capire cosa sono diventata.
Qualche mese fa, sapevo chi ero e cos’ero. Sapevo qual’era lo scopo della mia vita ed ero certa di non volere nessun uomo accanto a me a limitare la mia indipendenza.
Ma ora? Ora che ho raggiunto l’obiettivo di una vita e che sono incinta di Alex, cosa sono? Cosa voglio? Voglio ancora la mia indipendenza? Oppure voglio un marito che si prenda cura di me? Oppure voglio solo un uomo che si adatti alle mie esigenze, dimentico delle sue?
Nessuna di queste cose. Non voglio passare la vita da sola, a prendermi cura solo di me stessa ma non voglio nemmeno un marito che comandi su tutto o che non comandi affatto. E allora cosa voglio?
Non lo so e il passare del tempo, mentre mi rivesto e mi asciugo i capelli, non mi suggerisce la risposta, così alla fine mi infilo sotto le lenzuola ancora in preda a un dubbio terribile, apparentemente senza soluzione.
E se non sapessi più chi sono e cosa voglio nella vita?

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Capitolo 34
*** Stretta finale II ***


Sto cercando di mandare giù un panino nonostante la nausea quando Riley arriva a passo svelto verso di me.
- Il camion si muove. Arriverà al punto scelto entro questa sera – mi comunica, nervoso come non l’ho mai visto.
Maledizione! Credevamo di avere almeno un altro paio di giorni, secondo i file!
Lascio il panino a metà sul bancone, insieme agli spiccioli, e corro insieme a Riley nella saletta, dove la tensione potrebbe benissimo tagliarsi con un coltello.
- Qualcuno ha dato nuovi ordini e il carico arriva questa sera alle nove in uno stabilimento qui intorno – mi aggiorna O’Malley quando riesco a raggiungerlo. Nessuno di noi riesce a staccare gli occhi dal grosso pallino rosso che si muove lentamente sulla mappa che riempie il monitor. Maledizione!
- Riusciamo a prenderli lo stesso? – domando quando credo di poter tenere una voce abbastanza ferma.
Perché anche se nessuno lo dice, il dubbio che questa sia la diretta conseguenza del video impregna il silenzio. Se così fosse, la mia idea ha appena mandato a monte l’operazione principale.
- Se ci muoviamo adesso – risponde il tecnico dopo qualche angosciante minuto di silenzio, scuro in volto.
Istintivamente, guardo verso Alex che ci fissa tutti dall’angolo della macchinetta del caffè, con l’aria di chi l’aveva detto. Lo odio per questa espressione saccente e inutile.
- Forza allora, mettiamoci al lavoro. Adesso – intima alla fine, distogliendo lo sguardo da me e gettando il bicchiere di carta nel cestino con rabbia.
Tutti prendono a scattare e si riuniscono intorno al tavolo con la mappa del punto dove intendiamo intercettare il camion. Solo O’Malley resta incollato al monitor, passandosi una mano sugli occhi come a voler cancellare quel lentissimo movimento rosso.
- E riguardo al video, nessuna novità? – azzardo, approfittando del fatto che nessun altro pensa a noi.
Lui si limita a scuotere la testa, sconsolato. Lui è stato uno dei primi a dirsi d’accordo con l’idea del video.
Cerco di rincuorarlo con una pacca sulla spalla e un timido sorriso, al quale il ragazzo non risponde.
- Vai a sentire quello che dice Alex, resto io qui davanti – gli propongo, immaginando che avere qualcosa da fare riguardo al camion gli solleverà un po’ il morale.
Lui sembra riluttante all’idea di lasciare la sua postazione, poi però annuisce e si alza dalla sedia. Mi mostra i tasti per controllare il mouse, completamente diverso da quello del mio portatile, e si allontana per andare con gli altri, dall’altra parte della stanza, lasciandomi sola davanti alla prova della mia cocciutaggine.
Ti prego, fa che non significhi che perdiamo il camion!
Incapace di guardare nella direzione di Alex e sentire addosso il suo giustificato disprezzo, resto per non so quante ore a fissare il monitor, appena vagamente coscia della voce di Alex che alla mia sinistra impartisce ordini con aria seria e concentrata. Mi concentro invece molto di più sul suo tono pratico e sicuro, perfettamente controllato. Basta sentire la sua voce per convincersi che andrà tutto bene.
Alla fine il dolore dei crampi alla schiena mi costringe ad alzarmi e stiracchiarmi con un gemito, soffocato dal rumore dei ragazzi che parlano concitatamente per definire i dettagli, poi uno ad uno agenti e tecnici escono dalla stanza, probabilmente diretti ognuno alle proprie camere, dove prepararsi per l’imminente operazione.
Solo Alex resta nella stanza e si avvicina lentamente a me, come se temesse che lo aggredisca.
- Noi partiamo tra un’ora e mezza. Ho bisogno di tutti gli uomini possibili, quindi non ci sarà nessuno a proteggere te e i tuoi genitori. Non farmi stare in pensiero – mi raccomanda, con una tale tenerezza mischiata a tale risentimento nella voce da bloccarmi la voce in gola.
Alla fine, vedendo che non rispondo, si allontana a sua volta, scuotendo la testa.
Ma che diavolo mi prende? Perché ora non sono più capace di rispondere qualsiasi cosa ad Alex? È il padre del mio bambino, in ogni caso, non posso restarmene muta e spaurita ogni volta che mi rivolge la parola!
E poi perché, se non sono innamorata di lui, la sua vicinanza come la sua lontananza, mi fanno sentire così… come ora?
Anche se nessuno me l’ha chiesto, probabilmente perché è totalmente inutile, decido di restare nella saletta per tenere d’occhio il grande monitor col pallino rosso che striscia lungo linee verdi che vorrebbero essere strade, saltellando dalla macchina del caffè al tavolo con la mappa e ritorno, troppo nervosa per fare qualsiasi cosa costruttiva.
Mentre mi preparo l’ennesimo insipido caffè solubile, un suono alle mie spalle attira la mia attenzione. È il monitor, quello più piccolo, accanto a quello che mostra il pallino del camion. Una finestra si è aperta sul piccolo schermo blu.
Non posso chiamare il tecnico, magari è solo un avviso tipo antivirus, così mi avvicino e cerco di capire il funzionamento della strana tastiera. Alla fine rinuncio però a capire e schiaccio timidamente tasti a casaccio, fino a che riesco a capire quale sarebbe la freccia del mouse.
Clicco sulla finestra, indecisa su come usare un computer così strano rispetto a quelli che uso di solito e temendo di bruciare una delle poche risorse che abbiamo, ma per fortuna invece del nero colore del black out da macchina bruciata per sempre, mi esce una finestra più grande che fa partire un video.
L’immagine è quella di uno studio che non riconosco con un uomo seduto sulla sua sedia, dietro l’imponente scrivania, che invece riconosco immediatamente. È direttamente il Cardinale Richelieu che mi parla dall’altra parte dello schermo, facendomi sussultare.
- Devo farle i miei complimenti, signorina Libuori, avevo sottovalutato le sue capacità. E adesso che è riuscita a scoprire tutti i miei uomini non mi resta che affrontarla di persona. In fondo, come si dice dalle vostre parti, chi fa da sé fa per tre, giusto?
Sentire la sua voce elegante e melliflua mi procura un brivido di disgusto lungo la schiena e per un terribile momento mi chiedo se non sia una videochiamata e se lui non possa vedermi. Per fortuna, la barra dello scorrimento sotto il video e i tasti di pausa e stop mi indicano che è solo una registrazione che posso fermare quando voglio.
Saperlo, mi rilassa enormemente, anche se vedere quegli occhi che guardano nella mia direzione, mi fa sentire lo stesso a disagio.
- Credo che a questo punto la cosa migliore per entrambi sia una chiacchierata tra persone civili, senza tutte queste volgari armi intorno, che ne pensa? Lei mi espone le sue ragioni, io le mie, e vediamo chi di noi ha più diritto di portare avanti la sua opera. Se la cosa le interessa, la aspetterò nella mia umile casa sul lago di Nemi. Quale posto migliore? Non occorre che mi faccia sapere se viene, se fino a mezzanotte non sarà arrivata capirò che non le interessa.
Ascolto tutto trattenendo il fiato, quasi stordita. Avevamo ragione! Il video l’ha costretto a venire allo scoperto! E ha ragione. Quale posto migliore di un lago caro ai romani, che la leggenda vuole depositaria di due delle più belle navi romane di tutti i tempi?
Come mi dovrei muovere però adesso? Se lo dico agli altri scatenerò il finimondo e li renderò ancora più agitati poco prima di un’importantissima operazione.
Ma non posso davvero pensare di andare lì da sola, le probabilità che sia una trappola sono del… 99,99%?
E se lo dicessi solo ad Alex? Mi farebbe rinchiudere in camera con guardie di sicurezza a vista.
Ma il Cardinale sarà lì! Non posso lasciarmi scappare quest’occasione!
Dannazione! Devo trovare un modo. Probabilmente è per questo motivo che il Cardinale ha anticipato la consegna del carico, costringermi a scegliere è esattamente quello che voleva. Ma per andare a parare dove? Vuole che rinunci al carico o è solo una beffa, sapendo che non posso lasciare che quel camion giunga a destinazione?
Forse vuole solo confondermi e ci sta riuscendo benissimo. Ma non abbiamo abbastanza uomini per dividerci e quella casa sarà piena come un uovo di sicari armati e cattivi…
Dei rumori mi avvertono che qualcun altro sta arrivando nella saletta, così chiudo frettolosamente la finestra, ancora indecisa e scombussolata, tanto che mi fischiano le orecchie e i battiti del cuore mi rimbombano nello stomaco.
Il Cardinale in persona!
Mentre Lentiggini entra nella stanza, all’improvviso prendo una decisione.
- Chi sarà il tecnico che resterà qui per il monitoraggio? – gli domando, sperando di sembrare solo curiosa.
- Io – risponde lui tetro. Chissà perché ho l’impressione che non sia felice del suo ruolo. Ma forse si sente solo in colpa per aver proposto l’idea che ha scombinato tutti i nostri piani. Quindi non sollevargli il morale sarebbe una grave mancanza da parte mia, no?
Gli faccio segno di avvicinarsi con aria cospiratrice e lui intuisce subito e si avvicina furtivamente.
- Il nostro video ha funzionato. Abbiamo un appuntamento col Cardinale in persona questa sera sul lago di Nemi – gli spiego velocemente, impedendogli di rispondere. Il suo sorriso è una risposta sufficiente.
- Se lo diciamo agli altri aumenteremo la loro agitazione e il Cardinale avrà vinto, quindi dobbiamo sbrigarcela noi. Possiamo spiare quella casa e capire quanti uomini ci sono?
Lui afferra una sedia e si siede accanto a me, facendo calcoli con la mente.
- Credo di sì – risponde alla fine, in un sussurro timoroso.
Il mio stomaco reagisce con una capriola, mentre il cuore prende a battere più forte.
- Ok, non appena gli altri partono, vediamo cosa riusciamo a fare. Se riusciamo ad avere un coefficiente di sicurezza del 30% dovrai monitorare due missioni contemporaneamente. Credi di potercela fare?
Lui esita qualche minuto e io aspetto pazientemente. Mi rendo conto di quanto sia difficile quello che gli sto chiedendo, ma è l’unico modo per affrontare il Cardinale.
- Posso farcela, se programmo in anticipo i computer. Ma come farà da sola…
- Non devo fare tutto da sola, partirò all’ultimo minuto, così mi basterà intrattenere la compagnia fino a quando la squadra potrà raggiungermi. Loro non si aspettano che vada in compagnia. Possiamo usare qualcosa che faccia credere che ho dei rinforzi già al mio arrivo?
Lui di nuovo riflette per qualche momento.
- Potrei usare un simulatore al computer. Riprodurrebbe i suoi di una task-force e un buon microfono dovrebbe fare il resto. Ma è un inganno che può durare qualche minuto al massimo – mi avverte, con una piccola goccia di sudore che gli scende sulla tempia, a dimostrazione di quanto gli sto chiedendo.
- Bravo ragazzo, sei il migliore – mi complimento, cercando di frenare l’euforia. Potrebbe anche essere un suicidio a quanto ne so. Anzi, molto probabilmente lo sarà e tanti saluti ai vecchi problemi di cuore.
- Mi metto subito al lavoro – replica semplicemente lui, nervoso quanto me.
Io intanto mi apposto vicino alla porta, come se volessi prendere un po’ d’aria, per assicurarmi di vedere chiunque stia per arrivare e ci resto fino a quando i primi agenti non escono dall’ascensore. Avverto Lentiggini che prontamente apre un’altra finestra e salgo in camera, spiegando che è meglio se tengo d’occhio i miei genitori.
In realtà ho bisogno di prepararmi mentalmente. La sensazione è simile a quando andai a conoscere Nat ma centinaia, migliaia di volte amplificata. Sono così agitata che il suono dei miei stessi battiti quasi mi assorda del tutto ma se voglio avere una qualche speranza, devo arrivare lì perfettamente controllata.
Anche se Alex mi ha mostrato quanto possa essere sbagliato, attingo la forza necessaria ad affrontare tutto questo dal ricordo di Linda, Juno, Giulio, Malone, Nat, mio padre, Sarita, il barista, il signor Bown, l’agente a cui Alex ha sparato per mantenere la copertura. Li penso tutti, compresi i membri di Pyrus assassinati e traggo dal loro bisogno di vendetta la calma necessaria a recitare l’ultima parte del nostro dramma. È probabile che finirà alla Shakespeare, come Otello o roba simile, ma in fondo ho sempre trovato una splendida eleganza in quei finali tristi.
Mentre il resto della squadra si prepara di sotto, quindi, io mi preparo di sopra, facendomi una doccia fredda e indossando gli abiti più comodi che ho con me, passando ore a studiare i punti giusti per ogni arma, così che sia difficile da individuare ma facile da afferrare in caso di emergenza.
Nella mente, mi concentro su tutte le lezioni che Juno mi ha impartito in questi lunghi anni, per prepararmi a questo momento. Ripasso ogni posizione, ogni dettaglio, ogni parola di quelle lunghe ore in palestra tra coltelli e pistole. Questa sera, in un modo o nell’altro, dimostrerò tutto il mio valore sul campo, come l’esame di laurea.
Ogni combattimento precedente è stato un esame e adesso mi manca solo la tesi finale, l’ultimo grande sforzo per ricevere i meritati allori oppure il disonore, che nel mio caso sarebbe la morte. Così cerco di entrare nello spirito con cui ho affrontato ogni esame della mia vita, sforzandomi di costruire un equilibrio abbastanza solido.
Ripenso alle movenze di Yvonne, al suo tono di voce, ai suoi atteggiamenti così come ripenso a Juno e ai suoi di atteggiamenti e tono di voce. Loro sono probabilmente le persone più vicine a tutte le qualità di cui avrò bisogno stasera.
Cerco di immaginare cosa dire, cosa ascolterò, di preparare le espressioni giuste, le risposte giuste e i tempi giusti. Cerco di prepararmi a trovarmi col male allo stato puro senza fare una piega, senza perdere di vista il mio filo dell’equilibrio e per farlo chiedo aiuto non solo a tutti quelli che hanno dato la loro vita ma anche alla vita che sta ancora nascendo, cioè al mio bambino.
Chiedo anche a lui di donarmi parte della sua calma perfetta nel liquido sicuro della mia pancia e di stringere i denti, qualsiasi cosa succeda stasera. Sarebbe terribile averlo visto resistere a tanti brutti colpi e poi perderlo all’ultimo atto, quando ormai mi sono affezionata a lui.
Quindi mi sento abbastanza pronta per scendere di nuovo nella sala e aspettare il mio turno di giocare. Come prevedevo, la stanza è così in fermento che nessuno, tranne Lentiggini ovviamente, si accorge del mio arrivo. Lentamente, mi siedo davanti al monitor col pallino rosso e mi faccio aggiornare da uno degli agenti sulle ultime modifiche e intanto osservo tutti, soprattutto Alex, prepararsi alla battaglia. Sembrano invincibili vestiti nella loro tute antiproiettili nere e spesse, piene di tasche e ganci per le armi. Mi soffermo sul viso di Alex, sulle sue mani agili e sul suo sguardo fiero e concentrato e prego Dio, con tutta l’anima, che me lo restituisca sano e salvo ancora una volta.
Alla fine tutti gli uomini vestiti di nero, chi con la faccia concentrata chi con l’aria di un bambino il primo giorno di scuola, si dicono pronti e l’intera squadra esce silenziosamente dalla stanza.
- Fa’ attenzione – mormoro ad Alex quando mi passa vicino.
Mi guarda ma continua a camminare senza dire nulla e non capisco se abbia sentito o meno. Spero di sì, perché potrebbe essere l’ultima cosa che gli dico. La sola idea mi riempie di tristezza, al punto da spingermi a corrergli dietro.
- Alex…
Lui si gira, con una strana espressione in volto, che però ignoro. Ma cosa dovrei dirgli adesso?
- Volevo solo… insomma… non sparire un’altra volta. Non lo sopporterei… - balbetto, sentendomi un po’ stupida. In effetti, vista dall’esterno, devo sembrare molto, molto stupida.
Lui annuisce distrattamente e resta qualche altro momento a guardarmi, come in attesa che dica qualcos’altro ma io resto zitta e alla fine lui si gira e segue il resto della squadra, deluso. Un’espressione che mi lascia perplessa.
Cosa si aspettava che gli dicessi? E poi saremmo noi donne quelle complicate?
Torno nella stanza con un sospiro. È arrivato il momento di mettersi all’opera.
- Pronto? – domando infatti a Lentiggini, sentendomi un po’ in colpa. Non posso condividere con lui un momento simile e continuarlo a chiamarlo Lentiggini.
Lui comunque annuisce, al massimo della concentrazione e apre un’altra finestra su uno degli schermi più piccoli, accanto al monitor grande che mostra sempre il pallino rosso.
- Io devo programmare alcune cose se vogliamo una task-force in grande stile. Lei intanto controlli questi indicatori e mi dica se cambia qualcosa – mi spiega, indicandomi alcune serie di numeri ai bordi dello schermo.
Annuisco e fisso ogni numerino come se ne andasse della mia vita, mentre lui si dedica all’altro schermo. Ci manca solo che faccio ammazzare Alex perché non mi sono accorta che un numero è cambiato.
Dopo una decina di minuti in cui per fortuna nessun numero accenna a cambiare, Lentiggini comincia a dettarmi i primi dettagli della nostra personale operazione.
- Arriverà lì in macchina, che è più discreto e meno costoso. La strada dovrebbe essere semplice. Una volta lì, deve piazzare queste telecamere…
- Per favore, se mi dai del lei mi fai sentire terribilmente vecchia e inadatta – lo imploro, incapace di affidarmi a uno che continua a darmi del lei. E anche perché così posso scoprire il suo nome.
- Io sono Alexis, tua amica e coetanea, perciò dammi del tu e chiamami per nome. E io farò lo stesso…
- Lucas – specifica con un sorrisetto. Ecco, molto meglio di Lentiggini.
- Bene Lucas, andiamo avanti. Dove metto le telecamere?
- Qui, qui e qui e questa è la parte più difficile, perché non sappiamo quanti uomini ci sono nei dintorni – mi spiega, segnandomi sulla mappa sul monitor dei punti con un pennarello rosso, di quelli che si cancellano con un panno umido.
- Le telecamere sono termiche, ci indicheranno quanti uomini ci sono più o meno ma restano dei punti ciechi qui e qui. Quando ti avvicini a quei punti dovrai stare attenta perché potrebbero esserci delle persone.
Seguo attentamente i segni rossi sullo schermo, cercando di memorizzare ogni dettaglio. Non sarà facile quando non avrò una mappa davanti ma il terreno vero e proprio.
- Una volta piazzate quelle, ci sentiamo via radio e ti dirò il percorso più sicuro per entrare. Sto già scaricando le immagini satellitari della zona – mi avverte, terribilmente serio.
- Considerato che se tutto fila liscio la squadra tornerà qui verso mezzanotte e tre quarti e che con l’elicottero dovrebbero impiegare un quarto d’ora circa per venire da te, dovrai intrattenere tutti per circa un’ora. Sicura?
Annuisco, perché non mi fido della mia voce. In effetti, più ci penso e più mi sembra una delle mie solite idee kamikaze ma ormai non posso tirarmi indietro. E resta comunque la nostra unica possibilità.
- Ho creato un programma che simulerà i rumori più tipici di un assedio. Elicotteri, gente che si muove tra le foglie, scariche elettrostatiche da ricetrasmittente… ho anche fatto una ricerca e inserito i versi degli animali più comuni della zona, ma se ci sono troppi uomini intorno, non potremo usarlo perché ti scopriranno subito.
Annuisco di nuovo, sperando di non avere un’espressione troppo spaurita mentre comincio ad immaginare il mio funerale.
- Ho preso dagli altri una piccola arma segreta comunque. Mentre ti avvicini alla casa, lascerai cadere delle piccole palline e se le cose si mettono male, io le faccio saltare e creo un diversivo per coprire la ritirata.
Gli batto una pacca leggera sulla spalla, con un gran sorriso. Questa sì che è una bella notizia.
- Oltre al microfono comunque avrai addosso diversi segnali, così che sapremo sempre dove sei se… le cose andassero male – conclude con aria nervosa e cerco di sorridergli per incoraggiarlo.
Se la cose “andassero male” di certo non sarebbe colpa sua.
- Ce la fai a seguire due missioni contemporaneamente? – mi assicuro. Se proprio devo morire, voglio essere almeno tranquilla che non sto intanto uccidendo un’altra quindicina di persone.
Lucas si limita ad annuire con una leggerissima esitazione. Credo che sia il meglio in cui posso sperare.
- Ok, comunque ti mando qui mia madre e mio padre, così li tieni d’occhio e magari possono darti una mano. Papà se la cava con la tecnologia e mamma potrà farti caffè e cibo in quantità – lo avverto, cercando di smorzare la tensione.
Non è che ci riesca benissimo, ma almeno lui sembra felice di non essere solo in quella stanza.
- Bene, vado a prendere e addestrare i miei a farti compagnia. Poi mi mostri il mio arsenale.
In realtà volevo aspettare all’ultimo minuto per portare i miei nella saletta, che deve mettere non poca agitazione, ma ho un bisogno disperato di uscire da questa stanza, così mi fiondo nell’ascensore.
Come facevano i soldati di una volta ad andare in battaglia? Io me la sto facendo sotto e sono armata il più possibile. Loro potevano contare solo su una spada, nella migliore delle ipotesi.
Busso alla porta dei miei e li faccio sedere.
- Quello che sto per dirvi è della massima importanza, quindi ho bisogno che mi ascoltiate per bene – sottolineo, guardando soprattutto mia madre. Se loro si mettono a distrarre Lucas, sono spacciata.
Cerco di spiegare al meglio possibile quello che sta per succedere senza fargli venire un infarto, ma come sempre i miei meravigliosi genitori non mi deludono e capiscono subito l’importanza del loro appoggio, a differenza di un certo idiota di mia conoscenza.
- Ora andremo di sotto e Lucas vi spiegherà come potete aiutarlo, anche se in realtà papà sarà quasi tutta per te la spiegazione. A te mamma, lascio il compito di fornire cibo e caffè in quantità e impedire che la tensione uccida quel poveretto ma senza distrarlo. Credi di potercela fare?
La mamma annuisce, terrea in volta di paura ma con una luce fiera e determinata negli occhi che mi rincuora. Se c’è una cosa che posso dire di mia madre, è che lei non cede mai al panico, nemmeno quando il nostro salotto ha preso fuoco. E anche a papà affiderei la mia vita. Che poi è esattamente quello che sto facendo.
- Non potevo chiedere genitori migliori – li ringrazio, sorridendogli e cercando di dominare il groppo in gola. Non vedo l’ora di partorire, così la smetterò di piangere per qualsiasi cosa.
Loro rispondono al sorriso e poi tutti insieme scendiamo nella saletta, per gli ultimi dettagli.
Lucas ci mette poco più di un’ora per spiegare a papà i suoi compiti e intanto la mamma si applica con estrema precisione ai panini e a rendere le sedie più comode possibili, facendo sorridere Lucas di tanto in tanto. Proprio quello che volevo da mia madre.
Dopo aver istruito i miei genitori, Lucas si concentra su di me, mostrandomi le mie nuove armi e il loro funzionamento, nonché come nascondere meglio le armi che già indossavo. Sostituiamo inoltre le mie pistole con altre che la squadra “alfa” ha scartato perché poco precise ma a me non serve la precisione, visto che gli starò a pochi metri di distanza. Sono piccole e leggere, molto più delle mie, ma hanno una potenza di fuoco tre volte superiore per via di proiettili speciali di cui non ho capito il funzionamento. Tanto a me basta che questi affari sparino al momento giusto.
Un’altra oretta la trascorriamo a mettere a punto i microfoni e i segnalatori, così che funzionino alla perfezione e che si vedano il meno possibile, poi facciamo alcune prove (durante le quali mi sembra di girare un film o partecipare a qualche gioco di ruolo) per testare la qualità dell’audio e alla fine non ho più scuse per rimandare la partenza.
- Mamma per favore, non distrarre Lucas in nessun modo e assicurati che non prenda sonno davanti al monitor – raccomando, più che altro per strappare un sorriso al mio unico e solo collaboratore.
- E non appena esco, barricatevi dentro e attivate tutti gli allarmi. Se hanno trovato il modo di comunicare con noi, probabilmente sanno dove siamo e potrebbero aver organizzato tutto per venire a distruggere i computer.
- A proposito, prendi questi e valli a consegnare alla reception, loro sapranno cosa fare – mi dice Lucas, porgendomi degli strani dischetti.
- E’ una copia backup di tutti i file dei computer, nel caso…
- Le cose dovessero andare storte – termino per lui, sforzandomi di sorridere. Se lui controlla la missione dai computer, io controllo il loro stato d’animo, perciò devo mostrarmi calma molto più di quanto mi senta in realtà.

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Capitolo 35
*** La tana del lupo ***


Poco più di un’ora prima del mio appuntamento quindi, mi infilo la cintura dell’auto CIA super attrezzata e rigorosamente antiproiettili e comincio il mio viaggio.
Per fortuna ho memorizzato attentamente la breve strada fino al lago Nemi. Avrei dovuto immaginarlo che la tana preferita del Cardinale fosse quel lago. Come ha detto lui, quale posto migliore?
Durante il tragitto cerco di respirare a fondo e ripetere velocemente tutti i consigli di Lucas, nonché tenere bene a mente i punti dove piazzare le telecamere, anche se alla fine, per sicurezza, mi sono fatta stampare in scala una mappa con tutte le crocette, come una piccola girl-scout. Mi sento un po’ scema, ma almeno sto più sicura.
Ci metto appena un quarto d’ora per raggiungere la piazzola che Lucas mi ha indicato come parcheggio. Non troppo lontana ma nemmeno troppo vicina. Se dovessi scappare, molto probabilmente mi ammazzeranno prima ancora che il profilo dell’auto appaia al mio orizzonte.
Con un paio di enormi sospiri, mi slaccio la cinta e scendo dall’auto. Ho poco tempo per sistemare per bene le telecamere e voglio sfruttarlo al massimo, così sforzandomi di non pensare affatto, prendo la borsa dal portabagagli e mi avvio lungo il sentiero che Lucas mi ha segnato, strizzando gli occhi per abituarli al buio.
In realtà il mio fantastico tecnico mi ha fornito anche di occhiali per la visione notturna, ma finchè posso preferisco evitare di usare quegli strumenti. Non so perché ma mi sento come se ognuno di questi gingilli emani delle sorta di radiazioni che i miei nemici possono captare. E comunque, se dovessi fuggire non avrei tempo di indossare gli occhiali, quindi meglio essere abituate a vedere anche al buio, prima di andare nella tana del lupo.
Per mia fortuna, una qualche festa dall’altra parte del lago, da dove arrivano milioni di luci e il sussurro di musiche da festa di paese, deve aver intrattenuto gli abitanti del posto e perciò posso muovermi nel deserto più assoluto, ben attenta a sentire qualsiasi rumore, anche se tranne qualche rana e un sibilo di qualche serpente non sento nient’altro.
Anche il montaggio delle telecamere è molto più rapido di quanto mi sarei aspettata. Be’ non a caso sono della CIA, esperta in operazioni rapide e silenziose. Nonostante tutto, sono felice di aver potuto unire i miei sforzi a quelli di Malone. Da sola non sarei mai arrivata a questo punto. Mi dispiace papà.
Non appena piazzata e accesa la prima telecamera, accendo il minuscolo microfono auricolare che Lucas ha appiccicato al mio orecchio. Immediatamente sento un fruscio che segna linea libera, anche se non credo che quella dei microfoni si definisca “linea”:
- La prima dovrebbe funzionare – sussurro appena, senza avvicinare le mani come nelle prove in saletta o urlare più del necessario. Come Lucas mi ha dimostrato, questi aggeggi sono perfetti e captano anche un minuscolo respiro, perciò non serve che sussurrare appena per essere sentiti forte e chiaro. Durante il collaudo, mi sono quasi distrutta un timpano, parlando appena appena più forte.
- Perfetto – mi risponde Lucas dall’altra parte, splendidamente nitido.
Senza accorgermene tiro un enorme sospiro di sollievo. Inconsciamente, avevo temuto di non saper far funzionare la mia unica arma vincente, cioè le telecamere individua-tizi-armati.
Spengo l’auricolare e mi dirigo verso la seconda postazione telecamere, cercando di muovermi più furtivamente possibile. Ancora una volta, il destino è stato buono con me e la vegetazione è decisamente meno folta di quello che sembrava dalle immagini, perciò non faccio molto rumore anche muovendomi piuttosto agilmente.
Comincio a credere che potrei anche sopravvivere, stasera.
Accendo anche la seconda, verifico di nuovo il funzionamento con Lucas, sospiro di nuovo e mi dirigo verso la postazione telecamera numero tre. Solo mentre monto l’ultima telecamera mi rendo conto che fino non ho visto né sentito nessuno nei dintorni. Dove sono tutte le guardi di un Cardinale come Richelieu? Non posso credere che sia davvero venuto da solo e questo silenzio mi inquieta.
Comunque anche la terza telecamera funziona alla perfezione e questa volta non spengo l’auricolare, come mi ha spiegato Lucas. Da questo momento, ho bisogno che la sua voce mi guidi nel buio.
- Alexis, è strano. Non vedo nessun uomo – mi avverte Lucas, con la voce così tesa che immagino le goccioline di sudore imperlargli la fronte.
Maledizione. Non può essere così facile. Dov’è il trucco?
- Nemmeno io – rispondo però al tecnico, con un tono più tranquillo di quanto mi sarei aspettata da me stessa.
- Forse qualcuno lassù crede che sia il nostro compleanno – ironizzo e sento mio padre ridacchiare in sottofondo. È la sua battuta più conosciuta. Lucas invece continua a respirare teso e io spero che mia madre sappia tranquillizzare lui come sa fare con me.
- Procedo – sussurro, così che si concentri di nuovo sulla missione invece che sui suoi dubbi. Come me, meno pensa e meglio agisce. Juno me l’ha ripetuto fino alla nausea: la tua memoria latente è più in gamba di te. Cioè spegni il cervello e lascia fare all’istinto.
Avanzo lentamente, scrutando attentamente le ombre intorno a me ora che gli occhi si sono abituati, ma non vedo niente di minaccioso. Anche se mi sembra di aver visto una volpe. Ci sono le volpi in riva al lago?
Dopo qualche decina di metri comincio ad intravedere il profilo di una casa. Ovviamente da quello che riesco a vedere non c’è niente di umile nei dintorni, eppure non è nemmeno molto sfarzoso come mi sarei aspettata da un megalomane come lui.
- Vedi qualcuno? – domando a Lucas, nervosa fino alla punta dei capelli. Tutta questa calma non mi piace per niente.
- Si vedono solo due figure, una seduta a una ventina di metri davanti a te, sulla destra e l’altra in piedi, credo davanti alla porta.
Cerco di sforzarmi per vedere qualcosa ma intorno alla casa sembra tutto deserto. Probabilmente sono all’interno.
- Potrebbero avere delle tute termiche o roba simile che inganna i nostri sensori?
- No, non esiste una tecnologia simile. Almeno che io sappia.
Quell’aggiunta non mi piace, ma è qualcosa. Se non le conosce la CIA le tecniche per lo spionaggio…
- Allora mi avvicino.
Mi alzo in piedi e cerco di assumere un’aria da Yvonne, quindi faccio un bel respiro e, imprecando contro la mia stupidaggine che mi ha condotta qui da sola, cammino incerta verso il portone. Inutile indugiare ancora.
Nonostante i passi fino all’ingresso siano pochi, mi sembra di camminare per ore in quell’immobilità generale e sento qualche goccia di sudore scendere lungo la schiena ma nessuna arma mi accarezza la pelle né delle voci mi fermano.
Alla fine mi ritrovo incolume davanti alla porta d’ingresso e ingoio rumorosamente a vuoto, prima di farmi coraggio e suonare esitante il campanello. Mi sento sempre più simile a quella mosca invitata per cena dal ragno.
Il campanello suona appena ma io sono così agitata che mi sembra di aver suonato una cornamusa, così ritiro la mano dal campanello come se potesse mordermi, trasalendo.
Pochi istanti dopo, troppo in fretta perché abbia il tempo di estrarre qualche arma, una donna in carne, dai lineamenti sudamericani apre la porta. È evidente che mi stava aspettando appena dietro la porta ma non sembra armata né intenzionata a farmi del male.
- Fai accomodare la nostra ospite, Rosita – dice una voce maschile alla mia destra, facendomi sussultare.
Anche se l’ho già sentita al museo e via web, sembra che dal vivo la sua voce sia diversa, viscida e sibilante, anche se ovviamente dubito che se avesse una voce simile sarebbe diventato quello che è. Anzi ricordo di aver pensato, al museo, che la sua voce era sexy.
Mentre Rosita mi precede lungo un corridoio senza porte, porto la mano alla pistola che ho nascosto dietro la schiena, dove Lucas mi ha fissato la fondina. Molto più comoda che nella cinta, questo è sicuro. Tuttavia, arriviamo in una sala da pranzo deserta, non molto grande ma arredata con cura ed eleganza, dove il Cardinale ci aspetta seduto a capotavola.
- Bene, benvenuta mia cara. Gradisce qualcosa da bere o mangiare? Stavo per ordinare un the.
Mentre parla, Richelieu si alza e mi sorride cordiale, come se non volesse uccidermi in questo preciso momento, ma io resto più stordita dal suo aspetto che dalla sua ridicola cordialità. È la fotocopia esatta del fratello, solo più giovane, una somiglianza così evidente che mi chiedo come ho fatto a non notarla subito. E somiglia anche a qualcun altro, che però non riesco ad identificare…
Sorprendendo me stessa, riesco a rispondere al sorriso viscido del mio avversario in quello che credo essere un modo abbastanza naturale, quindi mi siedo dall’altro capo del tavolo prima che la tensione mi faccia cedere le gambe.
- Sinceramente, odio la cucina francese – replico intanto che mi siedo, senza che la mia voce tremi nemmeno un po’. Quasi mi dispiace che quelle telecamere non possano riprendere la scena, sono un’attrice fenomenale!
Speriamo però che la mia interpretazione riesca fino all’ultimo.
Richelieu ride appena, mentre si risiede e chiede a Rosita un soufflé al limone. Esistono per tutti oppure è un privilegio solo suo il soufflé al limone? Peccato non poterlo assaggiare per paura che sia avvelenato.
- Alla fine è venuta a trovarmi anche senza la scusa del quadro – comincia in tono frivolo lui, appoggiato con eleganza alla sedia, perfettamente padrone di sé. La sua calma imperturbabile è peggio di quella di Terenzio.
- Sarei venuta prima se si fosse presentato come lo psicopatico che ha ucciso mio padre. Quella mattina non l’ho riconosciuta – ironizzo e mi applaudirei da sola. Sembro una perfetta riproduzione di Yvonne.
Lui ride di nuovo.
- Touchè, perdoni la mia mancanza. Il fatto è che non mi piace la fama.
Per un momento mi viene l’insano pensiero di estrarre il coltello e ficcarglielo tra quei due occhi gelidi ma cerco di controllarmi. Devo prima capire perché non ci sono guardie qui intorno e assicurarmi che il progetto del virus non prosegua anche senza il suo creatore.
- Dove sono tutti i suoi… amici? Anche contando Giulio, non credo di averli uccisi tutti – domando poi per tagliare corto, felice della mia inspiegabile maschera da Yvonne. Non potevo chiedere di meglio al momento.
- Ho preferito avere un po’ di privacy se non le dispiace, di questi tempi è così difficile. E non mi sembrava educato farla venire sola in una casa piena di estranei.
Ma che galante. E ora cosa dovrei fare? Credere che davvero è venuto qui da solo?
- Oh, che pensiero carino ma non preoccuparti per. Non mi presento mai a una festa da sola, suscita fastidiosi commenti negli altri invitati.
Spero solo che non mi chieda delle prove o che, nel caso, Lucas sia pronto col suo simulatore. In effetti il silenzio dall’altra parte dell’auricolare mi preoccupa un po’, anche se probabilmente è solo concentrato sull’altra operazione in corso. Speriamo che da quella parte tutto fili liscio.
- Che peccato, se me l’avesse detto, avrei indossato una bomba più potente, così che potessero divertirsi anche loro.
Non so se a farmi rabbrividire è la frase o il gelo nella sua voce mentre la pronuncia. O forse è la vista della scatolina che Richelieu mi mostra sollevando la giacca costosa, attaccata alla sua camicia, appena sopra il cuore.
E una scatolina grande poco più di un pacchetto di liquirizie, quelli con la confezione di metallo, e ha solo due lucine che brillano a interrompere la superficie liscia, una verde fissa e una rossa lampeggiante. La cosa buffa, è che la lucina rossa, che immagino essere quella più pericolosa, batte allo stesso ritmo del mio cuore, scandendo i secondi tra una goccia di sudore freddo e l’altra. Se avessi immaginato di sudare così tanto, avrei messo qualcosa di più leggero.
- Visto che era un incontro galante, ho pensato che se lei dovesse spezzarmi il cuore o uccidermi, la festa potrebbe anche finire. In fondo non è educato deludere il padrone di casa.
Mi sforzo di sorridere anche se sento la mascella contrarsi.
Maledizione! Potrebbe anche essere un bluff ma…
- Le posso assicurare che non sto bluffando, signorina. Oramai, sia io che lei siamo a un punto in cui non abbiamo più niente da perdere, non trova?
Non rispondo niente, anche se mi vengono due o tre commenti caustici sul fatto che io e lui possiamo avere qualcosa in comune. Non mi riesco a spiegare perché un uomo come lui debba decidere di farsi saltare per aria solo per uccidere me quando avrebbe potuto semplicemente farmi sparare a vista, ma la sua espressione è così distesa che sembra assolutamente sincero. E fuori come un balcone, ovviamente.
Potrebbe anche essere davvero una bomba. Il che vuol dire che qualunque cosa succeda non posso ucciderlo, a meno che non scopra che il suo sia solo un imbroglio.
- Se proprio non mi crede posso darle una dimostrazione, ma poi moriremmo entrambi e non sarebbe più divertente secondo me – continua, senza smettere di sorridere amabile.
Ma come fa la Chiesa a non notare i segni della pazzia? Richelieu è anche più folle di Terenzio e si vede!
- Perché crede che io non abbia più niente da perdere? – lo stuzzico, con la voce leggermente meno da Yvonne. Alle pistole sono ormai abituata ma alle bombe…
Per tutta risposta, Richelieu si mette a ridere come se avessi detto la cosa più buffa della storia, come un bambino che chiede perché non si stampano semplicemente più soldi per eliminare la povertà.
- Perché come avrà immaginato, non uscirà viva da questa casa. Ho deciso di riceverla da solo perché i miei uomini erano… occupati, ma tra poco saranno qui e si occuperanno di lei, oppure lei cercherà di uccidermi e moriremo entrambi. Non ha scampo.
Anche se lo immaginavo, sentirlo dire mi fa lo stesso tremare ogni singolo muscolo ma cerco di non darlo a vedere.
- E lei perché non ha più niente da perdere? È un uomo potente e ricchissimo… - gli faccio notare, sperando di scoprire il suo bluff.
- Lei non può saperlo ma tra pochi giorni tutto il mondo conoscerà una nuova era e noi tutti moriremo. Quindi morire ora o tra qualche giorno, che differenza può fare?
Lo shock mi paralizza la lingua per qualche momento e non riesco a replicare nulla.
Nonostante tutto, sono sempre stata sicura che il Cardinale avesse previsto una via di fuga, per se stesso se non altro, dall’inferno che sta per scatenare. Invece sapere che non ha nemmeno pensato di salvarsi mi fa capire che la sua vendetta sarà più letale di quanto abbia mai immaginato, tanto che nemmeno lui potrà sfuggire.
Addio mondo, è stato bello finchè è durato.
Tuttavia, stranamente, la notizia non mi manda in paranoia come mi sarei aspettata. Sembra invece donarmi nuova calma. Improvvisamente, la paura allenta la morsa allo stomaco e la mente sembra snebbiarsi.
Qualsiasi cosa succeda, non uscirò viva da qui quindi posso giocare fino in fondo. E se nel frattempo riesco a fargli dire come intende liberare il virus, magari Lucas potrebbe sentirlo nel microfono e prendere provvedimenti, se le cose dovessero mettersi male anche per Alex…
- La sincerità prima di tutto. Ora mi dice perché siamo qui? Avrei un altro appuntamento – mi sento dire, più padrona di me stessa da quando mi conosco. Avevano ragione quelli che dicevano che la prospettiva della morte ci fa paradossalmente tirare fuori un coraggio insospettabile.
- Se permette, vorrei fare le cose con calma. Tanto non credo che riuscirà ad andare al suo appuntamento – aggiunge con lo stesso calore nella voce di una cripta per vampiri, che mi provoca una serie di brividi tra il sudore della paura.
L’entrata di Rosita che porta il soufflé lo interrompe e per qualche minuto restiamo in silenzio, mentre cerco di pensare a cosa dire per prendere tempo. Forse io morirò comunque, ma se riuscissi a trattenere qui il Cardinale fino a che Alex e gli altri vengano qui…
Poco prima che la domestica scompaia di nuovo il corridoio, però, le chiedo anche io un soufflé. Se sto per morire, almeno voglio assaggiare un soufflé al limone.
- Perché non comincia lei ad esporre le sue ragioni per continuare a mettermi i bastoni tra le ruote? – propone Richelieu, aspettando ad assaggiare il suo dessert, forse per educazione. E chi l’ha detto che i cattivi di una volta non esistono più?
In realtà preferirei che fosse lui il primo a parlare, ma poi ci ripenso e annuisco.
- Ha ucciso i miei genitori, ed è un buon inizio. Poi ha ucciso il mio mentore, la mia migliore amica e decine di innocenti che mi hanno reso la vita impossibile con la loro voglia di vendetta. Inoltre vuole distruggere mezzo mondo e io invece sono una convinta ambientalista, anche se dimentico spesso la raccolta differenziata.
Sorrido mentre parlo, rendendomi conto di quanto sia triste che tutte le mie ragioni siano così poche.
- Ah, dimenticavo. Per colpa sua ora sono incinta e la mia vita sentimentale è un disastro visto che mi sono innamorato del pazzo che lei ha gentilmente mandato a conoscermi quando avrei potuto sposare un meraviglioso e sexy agente della CIA – aggiungo.
Ecco, ora l’elenco sembra molto più completo, quindi mi rilasso sulla sedia soddisfatta. Niente di meglio che togliersi tutte le spine dal cuore. Anche se l’allusione al cuore mi provoca un sussulto, ricordando la scatolina.
- Spiacente per la sua vita privata, non era mia intenzione. E comunque non dovrebbe disprezzare una vita solo perché arriva in modo inatteso, è comunque un dono del Signore.
Sentirlo parlare di vita e di doni divini mi fa venire leggermente la nausea e mi sfioro la pancia. Di certo è il modo del mio bambino per fargli un gestaccio.
Mi spiace, piccolo, che tu abbia scelto il ventre sbagliato e non vedrai mai la luce del sole. Avresti potuto essere un bel tipo.
- Per quanto riguarda gli altri punti… lei ha ucciso mia figlia e questo paga suo padre, mentre tutti i miei uomini pareggiano le vite degli innocenti che lei ritiene sua responsabilità. Infine, il suo mentore l’ha ucciso mia figlia, non io e la sua migliore amica… be’, ammetterà che se l’è cercata.
Sorprendendo anche Richelieu, scoppio a ridere per diversi minuti. Esilarante!
Lui mi guarda perplesso, senza smettere però di sorridere, e aspetta educatamente che io spieghi il motivo della mia ilarità. Di certo deve suonargli strano che io mi diverta in una situazione simile.
Ma come posso non ridere di me stessa?
- Yvonne era sua figlia! Come ho fatto a non capirlo prima?
Come ho fatto a non notare la somiglianza? Hanno la stessa aria odiosa e solo la cucina francese prolungata per anni avrebbe potuto fare quella strage di neuroni che ha portato a Yvonne!
Il cardinale resta per qualche secondo in silenzio, fissandomi forse per capire se dico sul serio o meno, poi sembra rilassarsi.
- Davvero non lo sapevate? Che buffo il destino – commenta Richelieu, sorridendo a sua volta. Di certo non si può dire che fossero legati, padre e figlia, visto quanto lo addolora la sua morte.
- E comunque lei mi ha ucciso due genitori e io una figlia sola e nemmeno una gran perdita, se permette.
Stranamente, una strana espressione passa per un istante sul viso imperturbabile del Cardinale e mi chiedo se non fosse legato a quella strega più di quanto voglia ammettere.
- Potrei dire lo stesso dei suoi genitori, signorina. Due impiccioni falliti – replica quello, ma io sorrido lo stesso.
A giudicare da come la vena sulla tempia del cardinale ha cominciato a pulsare, direi che in realtà il paparino soffre molto più di quanto vuole far vedere e questo non può che essere un vantaggio. Lui ha cresciuto sua figlia mentre io non ho mai conosciuto i miei genitori.
- Dipende dai punti di vista. Di certo i miei non mi hanno mai tradito come ha fatto sua figlia. Sapeva che è stata lei ad aiutarmi a liberare l’agente Beckett? – insinuo, immaginando che lui lo sapesse già ma desiderosa di ricordargli le mancanze della nostra amica di ghiaccio.
Lui si rabbuia per qualche istante e mi lancia un’occhiata che in un’altra occasione mi avrebbe fatto rabbrividire. Ma ormai tutta la mia paura è stata assorbita dal costante pensiero della bomba attaccata alla camicia di Richelieu.
- Quello è stato solo un piccolo intoppo lungo il percorso. E poi sa come si dice, il figliol prodigo è quello che noi genitori amiamo di più. L’importante è che si sia fatta perdonare, facendo saltare quello stupido aereo.
Per un momento la mia mente perde un giro, poi intuisco quello che forse è successo e mi sforzo di nascondere un sorriso soddisfatto. Richelieu non sa che Alex è sopravvissuto all’attentato!
Yvonne non deve aver capito di aver fallito oppure non ha avuto il coraggio di dirlo al padre e così ora il perfido cardinale è convinto che Alex sia davvero morto!
Questo vuol dire anche che evidentemente non deve aver avuto nessun altro dei suoi infiltrato nella mia squadra, altrimenti glielo avrebbero già riferito, e questo non può che essere splendido.
Forse abbiamo davvero qualche speranza di fermare questa follia.
Abbasso la testa come per nascondere l’espressione addolorata per la morte di Alex e intanto ne approfitto per concentrarmi qualche secondo sul microfono che mi collega alla stanza dell’hotel, per capire come vanno le cose. Tuttavia dall’altra parte il silenzio è assoluto, né un alito, né un fruscio e per qualche attimo mi si blocca il respiro in gola. Che sta succedendo? Possibile che li abbiano trovati? Se il problema fosse solo l’altra missione, non dovrei sentire gli ordini di Lucas per gli altri? O qualche commento dei miei genitori? E invece il nulla più assoluto.
Lentamente, maledicendomi per aver ascoltato permettendo a quel silenzio di fiaccare la mia concentrazione, rialzo la testa e guardo il Cardinale, per non insospettirlo.
- Deve essere stato pesante per lei, scoprire di averlo ucciso. Se lei gli avesse dato retta e non lo avesse scacciato…
Il sorriso soddisfatto su quel volto affascinante, distorto dalla crudeltà del suo sguardo, mi fa per un momento perdere la calma e quasi scatto davvero per estrarre una delle mie armi.
Di nuovo però, a fatica, mi ricordo che sono io quella in vantaggio perché in realtà Alex non è morto e anzi, se gioco bene le mie carte, potrebbe arrivare qui in tempo per vendicare personalmente la sua quasi morte. Sempre se almeno loro stanno vincendo. In caso contrario saranno gli uomini di Richelieu ad arrivare e finire il lavoro uccidendomi ma a quel punto non potrò fare più nulla.
Con un sforzo enorme, mi rilasso di nuovo sulla sedia e tento un sorriso forzato. Comincio ad essere stanca di recitare, mi fanno male tutti i muscoli per la tensione e il silenzio nel microfono mi ha ulteriormente allarmata.
- Comunque l’agente Beckett non è l’unica cosa che Yvonne mi ha aiutato a trovare. Lo sapeva che è stata lei a permettermi di collegare Terenzio a voi? – insinuo, con la ferma intenzione di far agitare il cardinale quanto me, così almeno in qualcosa saremo pari.
Lui invece fa un altro mezzo sorriso, inaspettato.
- Non è stato un torto intenzionale, quindi non me la posso prendere con lei. È uno dei rischi che sapevo di correre.
Vedendo la mia espressione perplessa, il cardinale cambia posizione sulla sedia, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo e mi fissa intensamente mentre comincia a spiegarmi meglio cosa intendesse con quelle parole.
- Vede, signorina Blendell, la mia è un’organizzazione perfetta, ecco perché è destinata a vincere. Io non solo ho dato la giusta importanza al messaggio di Rofferwaak, ma ho anche migliorato la sicurezza all’interno del gruppo.
Fa una breve pausa, come scegliendo le parole per essere più chiaro e io mi ritrovo ad attendere curiosa il seguito. Credo che sia proprio la voce del Cardinale la sua vera arma. Al di là della follia e della crudeltà, il fascino magnetico della sua voce suadente ti costringe ad ascoltare come un incantesimo e io devo fare un grosso sforzo per restare impassibile.
- Uno dei peggiori mali di Pyrus era che tutti conoscevano tutti. Questo poteva essere utile in alcuni casi, ma di solito era un punto debole, perché bastava trovare un membro per poter scoprire tutti gli altri. Nella mia organizzazione invece, solo io conosco i membri più importanti e ogni mio sottoposto conosce solo una parte dei membri meno importanti e così i loro sottoposti e così via. Chi non conosce non può tradire.
Comincio a capire cosa vuole dire e mi sento una stupida per non averlo capito prima, anche se in realtà capirlo non avrebbe fatto alcuna differenza per me.
Quello che mi sta dicendo è che Yvonne non l’ha tradito rivelandomi il collegamento con il vescovo, semplicemente perché lei non sapeva che il vescovo era uno dei loro e lo stesso vale per Giulio. Ecco perché sembravano così genuini quando dicevano di non conoscersi, era la pura verità!
Anche se ad un certo punto Giulio ha capito, o forse è stato suo zio a capire, e hanno contattato Yvonne per agire insieme, intuendo che poteva essere la loro arma migliore, chissà per quale compito.
Non hanno capito in tempo però che era un’arma a doppio taglio.
- In pratica il suo trucco è diventato il suo tallone di Achille, mio caro cardinale. Un modo davvero stupido di chiudere la questione. Se sua figlia non mi avesse aiutato a scoprire Terenzio, non sarei mai arrivata a… questo punto.
Per un momento sono stata sul punto di dire “a scoprire il suo progetto” ma per fortuna mi sono fermata in tempo. Se Richelieu non sa di Alex, forse non sa nemmeno che Giulio mi ha dato la password per scoprire tutta la verità e questo potrebbe essere un ottimo elemento sorpresa. Ringrazio mentalmente Alex per avermi convinto, con tutte le sue paranoie, a inserire nel video solo documenti minori, presi dagli altri computer.
- Grazie a sua figlia sono riuscita ad arrivare ai vostri computer e presto tutto il mondo saprà della vostra vendetta.
Questa volta invece che limitarsi a sorridere, il cardinale scoppia in una risata profonda, di cui non posso negare il fascino.
- Crede davvero che i suoi amici avranno il tempo di trovare tutte le risposte prima che il mio piano sia concluso? Ho sempre saputo che quel professore da quattro soldi mi avrebbe tradito e ho preso le mie debite misure di sicurezza. Non riuscirete mai a scoprire tutta la verità prima che sia troppo tardi per il vostro prezioso mondo.
Fa una pausa, con l’espressione più crudele e allucinata che io abbia mai visto, poi mi fissa dritta negli occhi.
- Ma questo non è più un suo problema, signorina Blendell. Il suo futuro ha una scadenza molto, molto imminente.
Nonostante ne fossi già consapevole, sentire la sua minaccia mi provoca un ulteriore sussulto ma cerco di controllarmi.
Più parla e più mi convinco che non sappia che grazie a Giulio abbiamo violato le sue ultime difese e scoperto tutto riguardo al progetto. In fondo, quando ha parlato dei suoi uomini non mi ha detto del camion, ha detto solo “occupati”. Magari perché non sa che sappiamo già di quella spedizione e questo vuol dire che non si aspettano l’agguato di Alex e questo vuol dire che, forse, i ragazzi hanno davvero una speranza di riuscire. Mi aggrappo a questa speranza per mantenere un briciolo di calma.
Devo farlo parlare prima che decida di stufarsi e uccidermi semplicemente.
- Be’, in questo caso cosa ne dice di darmi qualche anticipazione? Visto che sappiamo entrambi che non uscirò viva da qui, non crede che sarebbe scortese da parte sua farmi morire con la curiosità addosso?
La sua risposta viene cancellata da Rosita che entra con l’altro soufflé e me lo serve davanti, insieme a un bicchiere di un liquido simile allo spumante. Anche se difficilmente uno come Richelieu beve spumante, è molto più probabile che sia champagne o vino bianco di altissima qualità. Un bel modo di andarsene, tutto sommato.
Finalmente, Richelieu prende il primo boccone di dolce e lo assapora platealmente, mentre io lo fisso sospettosa. Va bene che morirò comunque, ma forse farmi avvelenare così è proprio una morte stupida.
Lui comunque non sembra curarsi di me e si concentra avidamente sul suo cibo e alla fine mi convinco. Cosa può farmi di peggio che uccidermi?
Titubante, stacco un pezzetto col cucchiaino (sicuramente d’argento) che mi è stato servito insieme al dolce e lentamente lo porto alla bocca.
Se non stessi per morire, credo che avrei un orgasmo gustativo. Questo è di sicuro il miglior dessert che io abbia mai assaggiato e da come stanno le cose, direi anche l’ultimo. Ma come il cornetto del Benny’s, è una di quelle cose che ti fanno pensare “potrei morire adesso e morirei felice”. Nel mio caso è solo più letterale.
- Sono felice che sia di suo gradimento la mia terribile cucina francese, signorina Blendell. Un uomo del mio rango ha così poche occasioni di far apprezzare un buon dolce!
Non mi prendo la briga di rispondere e cerco di concentrare invece la mia attenzione sui suoni nel microfono senza che il cardinale se ne accorga, ma ancora una volta il silenzio nell’auricolare è assoluto, come se il collegamento fosse saltato del tutto. Non si sente nemmeno il tipico fruscio di una linea aperta anche se muta.
Lentamente, questa consapevolezza però mi rincuora un po’. Non è solo silenzio, è come se il collegamento fosse saltato! Evidentemente, all’interno della casa deve esserci qualche sistema che interferisce con le trasmissioni radio, ecco perché nessuno si è preso la briga di controllare che avessi qualche microfono addosso!
In realtà potrebbe anche esserci un’altra spiegazione, e cioè che effettivamente li hanno proprio trovati e hanno chiuso il collegamento dall’altra parte. Ma se così fosse, non avrei dovuto sentire qualche strillo di mia madre o qualche imprecazione di Lucas? Non possono aver chiuso il collegamento prima di entrare nella stanza e non posso credere che nessuno di loro abbia emesso un suono vedendo la porta spalancarsi.
Dev’essere la casa, è sicuramente così. Deve essere così.
Se da un lato però la cosa mi rassicura, dall’altro mi provoca un senso assoluto di sconforto. Se la casa impedisce le connessioni radio, vuol dire che qualsiasi cosa io riesca a far rivelare al Cardinale, rimarrà tra me e lui e io non vivrò abbastanza per riferirle agli altri. Quindi non ho modo, anche se dovessi scoprirlo, di far sapere anche agli altri come il Cardinale intende liberare il virus.
Stranamente, questo più dell’idea di morire mi fa bruciare per qualche momento gli occhi. È così ingiusto che finisca tutto così, per colpa di un aggeggio tecnologico!
Tuttavia cerco di riprendermi e darmi un contegno. Intanto, finchè resta in casa, nemmeno Richelieu può comunicare con i suoi e questo potrebbe già essere un piccolo aiuto per Alex e gli altri. E poi magari, potrebbe esserci un altro modo per comunicare quello che riuscirò a scoprire.
Se riesco a far confessare a Richelieu qualche dettaglio utile per sventare il suo progetto, mi basterà scappare fuori dalla casa per qualche minuto, giusto il tempo di parlare nel microfono prima che mi trovi e mi uccida…

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Capitolo 36
*** La tana del lupo II ***


- E io sono felice di aver avuto l’opportunità di assaggiare questa prelibatezza prima di morire. Ma credo che non potrei morire davvero soddisfatta prima di sapere quello che avrei potuto scoprire, quindi cosa ne pensa di spiegarmi tutta la faccenda e poi farla finita? Visto che dovrò saltare il mio appuntamento, inutile tergiversare – lo prego alla fine, pregando di avere il tempo e la forza per compiere la mia ultima missione.
Lui sorride tra un boccone e l’altro e si accomoda meglio sulla sedia, forse pensando a come cominciare.
- Da giovane, mi sono sempre chiesto perché Dio permettesse tutte le ingiustizie del mondo. Perché tanti bambini morivano di fame mentre i criminali si crogiolavano nell’oro? Perché delle persone potevano spendere i loro soldi per rifarsi il viso mentre altre non potevano permettersi un’operazione vitale?
Immaginare un giovane Richelieu che si fa queste domande mi suscita una risata inconsulta, che mi sforzo di trattenere per non fargli perdere il filo. Proprio lui parla, che ora è diventato uno di quei mostri pieni di soldi? Lui che a detta di Jean Luis è sempre stato avido e calcolatore?
- Poi un giorno, il mio confessore del seminario mi da una risposta. Non è Dio che lo permette, ma gli uomini.
Continua la sua spiegazione in tono serio e accalorato che mi fa pensare con una stretta al cuore a Giulio, il primo giorno che l’ho conosciuto a lezione. Anche lui aveva spiegato le sue idee con la stessa foga, lo stesso convincimento assoluto che finiva col contagiare tutti quelli che ascoltavano e instillava il dubbio solo per riflesso all’entusiasmo che potevi leggergli negli occhi. Il paragone mi fa rabbrividire.
Dio, continua lui intanto, aveva creato un mondo giusto ed uguale ma gli uomini volevano una vita più semplice e lo pregavano in continuazione. Allora Dio decise di accontentarli e permise che un piccolo popolo che più degli altri aveva dimostrato di avere a cuore la giustizia, cioè i romani, diventasse il più potente della terra conosciuta, nella speranza che questi diffondessero il suo messaggio.
Quelli, invece, non solo non capirono il dono di Dio e continuarono nella loro scempia via pagana ma più conquistavano, più cercavano altri popoli da assoggettare, fino a quando ebbero conquistato tutto il mondo che già conoscevano. Anche allora però la loro ingordigia non gli permise di fermarsi e così due squadre, formate dai migliori centurioni di ogni dove, vennero formate e inviate a scoprire nuove terre da conquistare, una attraverso gli insormontabili monti che separavano Europa e Asia e una a solcare il mare infinito dell’oceano Atlantico.
La squadra che cercò di conquistare l’Asia fallì ma venne comunque ricordata, mentre la squadra che venne inviata per mare compì la sua opera, scoprì una nuova, enorme e ricchissima terra da conquistare ma scomparve alla memoria del mondo.
- Riesce a capire, signorina Blendell? Mesi e mesi di mare aperto e di stenti perché i viaggi in mare dell’epoca erano pieni di tormenti, e quando finalmente l’obiettivo è raggiunto, nessuna traccia ricorda quegli eroi.
Il tono di Richelieu è decisamente più tranquillo di quello di Terenzio ma anche nella sua voce si percepisce la rabbia e lo sdegno, quasi fosse stato lui tra quelli abbandonati su quella costa.
Prima di potermi fermare, faccio la domanda che da troppo tempo mi faccio senza riuscire a trovare una risposta, ormai assorbita nel racconto che è l’origine di tutti i miei mali.
- Ma perché tanto scalpore? In fondo sono stati lasciati in una terra ricca, avrebbero potuto vivere una bella vita sulle coste americane. Perché la vendetta?
Richelieu ride sommessamente e sorride, come il maestro che si sente fare la solita domanda scema ma risponde ogni volta con pazienza, comprendendo la difficoltà del piccolo alunno. E il magnetismo di Richelieu è talmente tanto, che quasi mi sento davvero l’alunna sveglia che per prima ha il coraggio di fare la domanda scontata.
- Lei non deve pensare in termini moderni, dove ognuno è il proprio re. Quegli uomini hanno sacrificato tutta la loro esistenza a un uomo che non hanno mai visto ma che amavano come un amante folle solo perché è l’imperatore. A quegli uomini era stato insegnato fin da quando erano in fasce che l’unica cosa che contava era la considerazione del più alto sovrano, che una sola parola dell’imperatore doveva spingerli a sacrificare la propria vita. Per quegli uomini Roma era la vita stessa.
Fa una piccola pausa per riprendere fiato, parlando lentamente, come a una bambina piccola e il suo tono, insieme alla banalità della risposta, mi fa vergognare di non averlo capito prima. Per me è così inconcepibile adorare un uomo sconosciuto, che non ho mai provato ad immaginare cosa volesse dire per quei centurioni essere lasciati lì. Non che capire mi faccia desiderare di distruggere il resto del mondo però.
- Come si sentirebbe se sua madre la mandasse in qualche buco sperduto dell’universo con la promessa di raggiungerla e poi sparisse lasciandola lì per sempre, sola e lontana da tutto quello che ha sempre conosciuto e amato, dalla sua famiglia, dalla sua sposa, dai suoi figli, dalla sua casa? Lei non odierebbe quella madre, non spenderebbe ogni minuto restante della sua vita per vendicarsi di quel torto?
L’esempio mi rende perfettamente l’idea e annuisco senza accorgermene, finalmente comprendendo quella sete di vendetta. Ma troppe cose ancora non sono chiare.
- Perché i romani preferirono dimenticare quella terra così piena di risorse?
Mi sento un po’ stupida a fare altre domande, come a una lezione di storia, ma ormai la curiosità ha preso il sopravvento. In fondo questa è la storia che cercava mio padre e volente o nolente, questa storia è diventata parte integrante della mia vita. Mi sento come un orfana che finalmente trova un vecchio amico dei suoi genitori. E devo prendere più tempo possibile, per dare la possibilità ad Alex di raggiungermi.
- Immagini cosa deve aver suscitato nei romani scoprire che un popolo molto più antico di loro aveva costruito opere maestose come le ziggurat. Che un popolo che viveva della sola terra aveva oro a non finire. Tutto questo i centurioni lo avevano descritto nella lettera che inviarono con la loro unica nave, nonché unica via di fuga, di nuovo a Roma e così si condannarono a morte.
- Quindi la scoperta sensazionale non era un’erba dal potere miracoloso? – insisto, quasi dimentica ormai anche della minaccia della bomba nascosta sotto la giacca. Quasi.
- No, anche se quell’erba non fece che aumentare l’agitazione dei romani, che decisero di nascondere ogni traccia di quelle sventurato viaggio e raccontarono della pianta velenosa a quei pochi che sapevano troppo e che non si potevano eliminare. Capisce? Non solo il tradimento di essere dimenticati lì a morire, ma anche quello di essere dimenticati dalla storia, l’unica gloria che avrebbe potuto essere di conforto a quei poveri soldati.
Mi astengo dal far notare che comunque dall’America i centurioni non avrebbero mai saputo di essere diventati famosi o meno, perché temo che un’obiezione possa far perdere quest’aria di fervore che si irradia dal cardinale e riempie la stanza. Forse mentre è in questa specie di trance riesco a farlo parlare dell’arma chimica.
- Quindi anche i suoi uomini hanno saputo delle informazioni distorte… - insinuo, sperando di non forzare troppo le cose.
Per fortuna il cardinale sorride e non sembra agitarsi per quel cambio di argomento.
- Se si riferisce ad alcuni documenti che ho redatto, ebbene sì. Il potere della leggenda è molto più grande di quanto si immagini e se erano convinti che la scoperta miracolosa fosse stata quella pianta l’avrebbero cercata con più impegno. E comunque era una bugia parziale e a buon fine.
- Buon fine? – domando, scettica. Quest’uomo è completamente cieco all’evidenza ma addirittura dire che il suo è un buon fine…
- Certo, mia cara. Il nostro obiettivo è quello di ripulire il mondo dal peccato dei romani. Quando Dio vide cosa avevano fatto i romani a quegli uomini capì che l’umanità non era capace di agire secondo giustizia e decise di punirli con la stessa moneta.
Vedendo che non capisco, perché proprio non capisco di che cavolo sta parlando, cerca di spiegarsi meglio.
- Se lei fa un torto a qualcuno qui, domani un bambino innocente morirà lì. Capisce cosa hanno fatto?
Io però resto perplessa. Insomma questo pazzo si è convinto che Dio sia un bambino capriccioso e che segua la legge “occhio per occhio, dente per dente”? E’ questo che un cardinale della Chiesa cattolica predica? È la cosa più ridicola che abbia mai sentito.
Visto che non rispondo, il Cardinale riprende la sua spiegazione, sempre con lo stesso tono impettito del gran professore.
- Fu lo stesso centurione Rofferwaak a scrivere nel suo diario che il suo più grande desiderio sarebbe stato annientare i romani con quell’erba che Roma aveva volutamente ignorato, nonostante la sua forza. Io mi sono limitato ad eseguire gli ordini.
Per un momento l’orrore sostituisce la curiosità. Come può un uomo colto e di religione come un cardinale, convincersi di dover eseguire gli ordini di un altro povero diavolo? Quel centurione deve aver raggiunto il delirio mentre scriveva, affranto dal tradimento che Richelieu mi ha spiegato così bene, e posso anche capirlo.
Ma tutti questi uomini che si sono convinti di esserne gli eredi, che scusa hanno? Come può una sola mente umana distorta riuscire a portare alla sua causa un numero così grande di adepti?
- In che modo? – domando comunque, trattenendo un moto di esultanza. Finalmente siamo arrivati al punto.
Lui non risponde subito, si crogiola qualche istante nell’autocompiacimento e io ne approfitto per provare a fare qualche passo nella stanza, per capire quante possibilità ho di avvicinarmi alla porta. Il cardinale però non sembra nemmeno accorgersi che mi sono spostata e questo mi fa tirare un enorme sospiro di sollievo, anche se dall’altra parte il silenzio è ancora assoluto.
- Vede, signorina, in questi anni le mie industrie hanno portato un sacco di medicine in giro per il mondo. Ma hanno anche contribuito a un altro scopo, cioè fare degli esperimenti sull’erba che Rofferwaak aveva scoperto. La pianta dei centurioni era infatti un allucinogeno che eliminava la percezione del dolore e donava un’apparente forza fisica. Quell’erba era infatti straordinaria per l’epoca ma col progresso il suo potere distruttivo era simile alla marijuana. Niente che oggi potrebbe distruggere più di qualche neurone.
Forse ispirato dai miei pochi passi di prova, anche Richelieu comincia a camminare lentamente per la stanza, sorseggiando il suo bicchiere di champagne, o forse vino pregiato, che io non ho ancora assaggiato.
- Se volevo accontentare il nostro antenato, dovevo fare in modo che quella pianta diventasse un’arma e per molti anni ho speso tempo ed energie a trovare la maniera perfetta, grazie anche all’aiuto di un gruppo estremamente ferrato in fatto di scienza…
- Pyrus. Gli uomini di Pyrus, giusto? Li ha fatti lavorare per lei per sfruttare le loro conoscenze e quando non le servivano più…
- Précisément, signorina. Il loro scopo in fondo era servire la scienza, oltre quello non avevano altro, quindi erano inutili. E poi dovevano pagare a loro volta il tradimento. Proprio come i romani, quando hanno capito l’importanza di quello che Rofferwaak aveva lasciato, hanno cercato di cancellarlo, addirittura distruggerlo. Erano il primo passo per la vendetta finale.
Ora il suo sguardo è più esaltato di quegli assassini che raccontano di aver mangiato la madre perché il peluche gli ha detto che era cattiva. Ma più della follia nascosta in quegli occhi intensi, è la tranquillità e la fermezza con cui afferma le sue manie che mi fa rabbrividire ancora una volta, simbolo della sua depravazione forse più dell’espressione invasata dei predicatori per le strade dell’America.
- Adesso finalmente, grazie anche al loro aiuto, quella pianta è pronta per uccidere lo scempio prodotto dei romani e ricreare un mondo uguale e giusto come lo aveva inteso Dio.
Si ferma per un altro sorso di liquido ambrato e io ne approfitto per lanciare un’occhiata veloce alla porta. Oltre quella porta il corridoio è breve e poi solo la porta d’ingresso mi separano dall’aria aperta, dove so che la radio funziona. Sempre se il problema è un blocco delle frequenze.
Comunque, ad occhio e croce sono una quindicina di passi da qui alla porta e le probabilità che Rosita sia fuori appostata sono poche, non aveva l’aria dell’agente segreto. Mi basterebbe un minuto per precipitarmi fuori… ma potrebbe essere troppo. E la porta di ingresso sarà probabilmente sprangata.
Forse invece quella portafinestra… sarà molto più pericoloso lanciarmi attraverso i vetri ma di certo più veloce.
Oppure potrei spingere il Cardinale stesso nella portafinestra, così si taglierebbe lui al posto mio e mentre si toglie i vetri di dosso, io avrei il tempo di nascondermi nel buio dei cespugli il tempo sufficiente per ripetere quello che scoprirò nel microfono…
- E’ stato un lavoro lungo e penoso, ma ammetto di essere molto soddisfatto del risultato. Ormai è questione di giorni e tutto il mondo conoscerà gli eroici centurioni e l’origine dei nostri mali, prima di perire per quella colpa – continua intanto Richelieu, girandosi verso il camino spento e mettendosi così di profilo a me.
Mentre lui parla, cerco di decidere il modo migliore per sorprenderlo e usarlo per rompere la portafinestra. Dovrei riuscire a fare in modo che si piazzi proprio davanti e poi colpirlo di sorpresa. Forse potrei fingere un tentativo di fuga. Lui mi si parerebbe davanti e di certo non si aspetterà che lo spinga di lato invece che indietro…
- Tra meno di una settimana, lo speciale veleno che ho preparato si diffonderà attraverso tutte le tubature di ogni casa grazie alle reti fognarie. Nessuno si accorgerà della differenza dell’acqua perché i primi effetti sono quelli originari della pianta, allucinogeni, con un senso di benessere generale. Quando cominceranno ad avvertire i primi sintomi sarà troppo tardi, perché non esiste un antidoto e non ci sarà il tempo di sperimentarne uno efficace…
La risata di Richelieu non ha più niente di magnetico e sembra invece lo squittio di un folle. Mi sembra di sentirla sulla pelle come una sciame di insetti e istintivamente mi strofino le braccia, per allontanare quest’impressione disgustosa. Persino il mio bambino si rivolta nella pancia per il disgusto.
- Quindi è questa la vostra vendetta. Un veleno sciolto nell’acqua – riassumo, cercando le parole più brevi adatte a spiegare il punto quando sarò fuori da qui.
- Sì, proprio come si usava all’epoca dei romani. Lo sapeva? Per diffondere le malattie si lasciavano i cadaveri o i loro abiti nelle acque dei pozzi e dei fiumi per appestare l’acqua. Rofferwaak sarebbe orgoglioso del piano.
Per fortuna non devo nemmeno incalzarlo con altre domande perché Richelieu è ormai in preda alla foga del suo stesso racconto e si accorge a mala pena che mi sposto lentamente nella stanza, di modo da lasciare il cardinale tra me e la portafinestra. Ora devo solo aspettare il momento…
- Uno speciale container elettronico che ho fatto piazzare in ogni città con un diga che affluisce nel sistema fognario aprirà la valvola direttamente nelle acque. Sarà questione di giorni prima che tutte le tubature si riempiano di veleno.
- Quindi i container sono già al loro posto. Chi ha il controllo del sistema?
Richelieu ride di nuovo.
- Ma io, naturalmente. Dopo tutti i miei sacrifici, mi sembra di meritarmi questo onore. Custodisco il sensore personalmente da quasi un mese e non vedo l’ora di utilizzarlo. Sarà il più grande spettacolo che l’umanità abbia mai visto, solo i più poveri sopravvivranno, perché non hanno le fognature. Capisce? Si salveranno proprio perché arretrati!
- E se io la uccidessi proprio adesso? – lo minaccio, prima di riflettere davvero, estraendo la pistola dalla fondina sulla schiena così velocemente da sorprendere anche me.
La tengo puntata dritto di fronte a me e cerco di sorridere fredda  come Yvonne per risultare più minacciosa possibile. In realtà non voglio davvero ucciderlo ora ma voglio sapere come ha previsto che il suo progetto prosegua nel caso in cui… be’ gli fosse successo qualcosa. Deve pur aver considerato, se non altro, la possibilità di un incidente o di un malore. Anche se, sfortunatamente, di rado Dio interviene a rendere le cose più facili in casi come questi.
Richelieu infatti si limita a guardarmi e sorridermi, con aria accondiscendente.
- Suvvia signorina, dovrebbe sapere che non le basterà uccidermi per salvare il suo prezioso mondo. Ci sono molti uomini addestrati a completare qualsiasi operazione senza di me e il sensore è programmato per dare il segnale automaticamente tra due settimane e le assicuro che non riuscirebbe mai a trovarlo in questo breve tempo. Perciò da brava, metta via quell’orribile arnese.
La sufficienza con cui tratta la mia minaccia mi fa quasi venire voglia di sparargli ugualmente. Al diavolo la bomba e al diavolo il sensore, tanto moriremo tutti ugualmente.
Ma poi la voce di Juno mi arriva da qualche zona recondita del cervello e mi impone la calma.
Devo condurre il gioco, sapere in anticipo le prossime mosse, il che vuol dire seguire fedelmente il piano. E il piano prevede che riesca ad uscire da questa maledetta stanza almeno il tempo necessario a ripetere tutto quello che ho scoperto nel microfono, nella speranza che forse Lucas possa sentirmi di nuovo…
- In realtà, cardinale, come mi ha appena fatto notare, che lei viva o muoia è indifferente, tanto il mondo salta lo stesso. Quindi perché non dovrei prendermi almeno la soddisfazione di toglierla di mezzo con le mie mani?
Mentre parlo tuttavia non penso alla sua risposta ma cerco di calcolare l’angolazione necessaria per poter usare il corpo di Richelieu come ariete per la portafinestra. È più grosso di me e di certo più pesante, quindi per buttarlo all’indietro mi servirebbe una rincorsa e così svelerei il mio piano. Quindi devo trovare un altro modo.
Devo riuscire a far sì che sia io a trovarmi tra lui e la portafinestra e poi istigarlo fino a che mi si lanci addosso per aggredirmi. Così se riesco a spostarmi al momento giusto, lui finirà dritto nella portafinestra e la romperà col suo peso mentre io potrò uscire scavalcandolo…
Lentamente, mentre lui risponde alla mia domanda, mi avvicino, sforzandomi di non tremare col braccio che impugna la pistola e ringraziando di aver estratto una di quelle che mi ha dato Lucas, che pesano circa un decimo della mia. Se avessi avuto la mia pistola in mano, ora dovrei già massaggiarmi il braccio e la cosa non farebbe molta paura.
- Vista così, in effetti, non sembrano esserci molte ragioni per lasciarmi in vita. Avanti allora mi spari, così si sarà tolta la sua soddisfazione e il mondo potrà andare avanti. O tornare indietro, a seconda dei punti di vista.
Il sorriso gelido che accompagna quest’ultima frase lo fa sembrare così simile a sua figlia, quella strega rifatta, che per poco non mi metto a ridere. Chissà cosa avrebbe detto Yvonne se si fosse resa conto di non essere altro che una pallida imitazione di suo padre.
Con passo morbido per quanto me lo permetta la tensione, mi avvicino fino a sfiorargli la tempia con la canna della pistola, quindi gli giro intorno come per intimorirlo, arrivando in realtà a raggiungere il mio punto “X” tra Richelieu e la portafinestra, pregando con tutto il cuore che funzioni.
- Prima mi tolga un’ultima curiosità. Quale abominio di donna ha mai acconsentito a diffondere la sua progenie maledetta?
Mentre lui è distratto per rispondere, lo colpisco più forte che posso con il calcio della pistola, senza molte speranze di colpirlo davvero. Infatti Richelieu schiva il colpo con dei riflessi inimmaginabili per la sua stazza e, come previsto, si lancia istintivamente contro di me, per restituire il colpo.
Cercando di non pensare e lasciar fare all’istinto come mi ha insegnato Juno, mi butto a un lato, con gli occhi chiusi per evitare, nel caso, qualche scheggia, e solo il suono secco del vetro che si frantuma sotto il peso del cardinale mi conferma che almeno la prima parte del mio piano è riuscita.
Prima di dare il tempo al mio avversario di riprendersi, mi lancio fuori, saltando sul corpo di Richelieu che cerca di proteggersi il viso mentre si toglie i frammenti di vetro di dosso, e mi fiondo, quasi rotolando, nel più vicino cespuglio in ombra.
Quello che non avevo calcolato è che dopo tutto quel tempo nella stanza illuminata anche io, come il mio avversario, sarei stata momentaneamente cieca, così per qualche istante resto stesa immobile a pancia in giù, riprendendo fiato e ringraziando il Signore, in attesa di riuscire di nuovo a distinguere le forme. Almeno una parte è riuscita. Ora devo solo riuscire ad allontanarmi abbastanza nel buio per avere il tempo di riferire tutto prima che mi spari a vista.
Quando l’ombra dei rametti comincia ad acquistare una forma un po’ più nitida, comincio a strisciare molto lentamente all’indietro, muovendo appena la testa per individuare il cardinale, fino a quando lo trovo ancora davanti all’ex portafinestra, intento a scrutare il buio alla mia ricerca.
Mi blocco, temendo che qualche rametto possa rivelare la mia posizione, ma lui sembra concentrarsi su un altro punto, poco alla mia destra.
- Non sia ridicola signorina Blendell, sappiamo entrambi che la troverò e la ucciderò. Non le piacerebbe morire almeno con un po’ di dignità? – mi sbeffeggia Richelieu, scrutando tra le ombre.
Io però avverto la tensione nella sua voce e sorrido, rispondendogli mentalmente a tono. Davvero crede di uccidermi facilmente come ha fatto con i miei genitori?
Vedendo che non intendo rispondere, Richelieu comincia a muovere qualche passo incerto verso i cespugli, continuando a guardarsi a destra e a sinistra mentre probabilmente anche i suoi occhi si abituano al buio, più lentamente dei miei a causa dell’età.
Cerco di appiattirmi ancora di più al suolo e intanto mi sforzo di ricordare la piantina della zona, per cercare di farmi un’idea di come muovermi. Non vorrei indietreggiare fino a finire nel lago, oppure girare intorno alla casa per ritrovarmi più vicina di ora al cardinale.
Fortunatamente, anche da questa posizione riesco a scorgere il bagliore fioco dei lampioni intorno al lago, a un centinaio di metri da me, e riesco quindi a orientarmi con maggior precisione. Se riesco a indietreggiare un po’ sulla sinistra, diciamo un ventina di metri, dovrei riuscire a comunicare nuovamente con Lucas, perché è la direzione da cui sono arrivata e ricordo di averci parlato chiaramente.
Lancio un’altra occhiata alla figura allampanata a pochi metri da me, che si guarda ancora intorno con aria irritata, restia ad allontanarsi dal breve fascio di luce che arriva dall’interno della stanza. Come mai ci mette tanto per venirmi a cercare?
Mi chiedo se per caso, mentre io ero dentro a parlare con Richelieu, i suoi uomini sono tornati e si sono appostati intorno alla villa,  ma scarto questa idea quasi subito perché se ci fosse stato qualcuno armato qui intorno, avrebbe di certo fatto fuoco mentre saltavo il cardinale alle prese con le schegge di vetro.
Ma allora perché non si allontana dal muro? Perché se ne resta lì a scrutare nel buio, ben sapendo che basterebbe qualche passo per vedere dove mi sono nascosta?
- Alexis, venga fuori prima di farsi male. Tutto il giardino intorno è pieno di trappole – mi avverte Richelieu intanto, con un tono quasi premuroso, sempre attento a non uscire dal cono di luce.
Per un momento il sangue mi si gela nelle vene. Che stupida! Delle trappole!
Subito dopo però mi rilasso appena, ricordando di aver visto quella che mi è sembrata una volpe saltellare tra l’erba. Evidentemente non ce ne sono poi così tante.
Questo però non mi aiuta a decidere come muovermi adesso. Maledizione, avrei dovuto immaginare una cosa del genere! Come faccio ora a muovermi?
Improvvisamente, una goccia fredda mi cola lungo il naso, facendomi trasalire. Solo per un pelo riesco a non emettere nessun suono. Mi tocco la scia bagnata ed ecco che un’altra goccia mi bagna il mignolo e poi un’altra la guancia. Finalmente mi rilasso e riprendo a respirare. È solo pioggia. Si è messo a piovere.
- Suvvia, Alexis, non vorrà bagnasi! – la voce di Richelieu vorrebbe suonare canzonatoria ma è anche terribilmente tesa e di nuovo mi chiedo cosa c’è che non va. Sembra quasi che abbia paura del buio…
All’improvviso un’intuizione mi illumina il cervello e quasi mi metto a ridere. Probabilmente il cardinale è convinto che il suo giardino sia letteralmente disseminato di trappole per animali perché ha ordinato a qualcuno di piazzarle, ma non sa esattamente quante ce ne sono, come non immagina che, ammesso che il giardiniere si sia davvero preso la briga di metterne quante ne immagina lui considerando quanto sia faticoso piazzare le trappole, il passaggio degli animali le ha ormai messe fuori uso. Ecco perché ormai gli animali passeggiano indisturbati e io sono arrivata qui incolume.
Inoltre, finchè resta nel cono di luce della stanza alle sue spalle, i suoi occhi non si abituano al buio e lui non riesce a vedere né me, né la mancanza delle temute trappole.
Pregando il Cielo con tutto il cuore che sia così, prendo a strisciare di nuovo lentamente all’indietro, mentre la pioggia comincia a cadere sempre più insistente e crea il tipico fruscio che copre i miei piccoli rumori. Infatti, Richelieu continua a guardare davanti a sé, cioè alla mia destra, senza accorgersi che mi sto muovendo.
Se riesco ad evitare di finire in qualche trappola ancora per pochi metri…
Quando finalmente riesco ad arrivare incolume a una distanza che mi sembra sufficiente, provo a sentire qualcosa nel microfono ma intanto la pioggia ha preso a scrosciare violentemente e copre un eventuale fruscio nel microfono.
A questo punto quindi, ormai bagnata fino al midollo e distesa in quello che ormai sta diventando un pantano, devo prendere una decisione. Se parlo nel microfono, dovrò usare un tono abbastanza alto da coprire il rumore della pioggia e Richelieu individuerà la mia posizione. Ma non posso restare qui per sempre, prima o poi starnutirò sotto quest’acqua gelida…
Un bagliore improvviso nella direzione del mio avversario mi distoglie momentaneamente dal dilemma e sporgo la testa per capire cosa l’abbia causato, poi mi appiattisco ancora di più nel fango, soffocando un’imprecazione.
Il bagliore che ho visto era il riflesso della luce nella stanza sulla canna di un fucile semplicemente enorme, che Richelieu deve aver imbracciato mentre io ero attenta ad indietreggiare senza incappare in qualche trappola.
Dannazione! Se mi prende anche solo di striscio con quel mostro, mi amputa un arto di sicuro. E non c’è niente qui intorno dietro al quale posso ripararmi anche solo un po’.
Col cuore in gola e i brividi di freddo che mi scuotono dalla testa ai piedi, cerco di valutare le possibilità di riuscire a girare intorno alla casa strisciando nell’erba ma scuoto subito la testa. Con tutta quest’acqua non riuscirei mai a coprire tutta quella distanza strisciando prima che sorga il sole.
Ma che alternative ho?
Uno sparo improvviso, più simile al decollo di un aereo, mi strappa un gemito.
- Non crede che sia scortese, signorina, lasciare un uomo della mia età a bagnarsi intanto che lei esce? – mi urla il cardinale, continuando a scrutare le ombre davanti a lui.
Anche se non riesco a vederlo bene a causa dell’erba e della pioggia fitta, non mi sembra che sia riuscito ad individuarmi, perciò credo che stia sparando a casaccio, sperando di strapparmi almeno un suono che possa aiutarlo. Il che mi porta a credere che davvero non ha intenzione di avvicinarsi a quello che pensa essere un campo minato, per mia fortuna.
Un altro sparo sovrasta intanto il rumore della pioggia, che pure cresce costantemente di volume.
Di questo passo tra mezz’ora, se un proiettile vagante non mi avrà perforato qualche organo vitale, dovrò alzarmi per non affogare nel fango. Maledizione!
Possibile che una cosa che mi era amica fino a poco fa si sia trasformata in un’arma a doppio taglio così velocemente?
Ancora uno sparo, questa volta molto più vicino a me.
Non posso continuare a reggere questo stallo. Devo distrarlo e mettermi a correre in una qualche direzione. Oppure potrei sparargli, senza ucciderlo ma ferendolo abbastanza perché non sia più una minaccia.
E poi potrei torturarlo fino a che parlerà e mi rivelerà dov’è il sensore.
Ok, non ho mai torturato nessuno e non sono sicura di riuscire a farlo. Però questo essere ha ucciso tutti quelli a cui tenevo e ha distrutto tutta la mia vita, almeno un tentativo sono sicura di riuscire a farlo. Ma come faccio a distrarlo? Se parlo non avrò tempo di spostarmi…
All’improvviso il mio cellulare si mette a suonare, strappandomi un grido e facendo saltare all’aria tutte le mie precauzioni.
Richelieu, avendomi finalmente individuata, si mette a sparare nella mia direzione una, due, tre volte e solo un miracolo mi consente di restare illesa a quei colpi. Il rumore della pioggia deve aver distorto un po’ la provenienza del suono.
Comunque, prima che la mia dose giornaliera di fortuna si esaurisca, estraggo in fretta il cellulare dalla tasca, sorridendo ironicamente al pensiero che per lo meno ora posso essere certa che nemmeno acqua e fango mettono lo fuori uso, e lo lancio il più basso possibile verso destra. Poi, prima ancora di scoprire se il mio stratagemma funziona, mi metto a strisciare più velocemente possibile verso sinistra, coperta dal frastuono degli spari del bazooka del cardinale e solo dopo qualche metro mi alzo ancora un po’ e cerco di correre carponi.
Quello che non avevo considerato, di nuovo, è che dopo tutto quel tempo distesa rigida sotto l’acqua gelida, il mio corpo sarebbe stato troppo intorpidito per reagire prontamente e così mi ritrovo a zoppicare, più che correre, soffocando i gemiti e il rumore dei miei detti che sbattono per il freddo.
Ovviamente non appena mi sollevo per correre Richelieu riesce finalmente a vedermi e comincia a sparare nella mia direzione ma di nuovo non riesce a colpirmi, tranne una volta e solo di striscio, poco sopra il gomito, e io continuo a correre più veloce possibile verso l’altro fianco della casa così da metterla tra me e il pazzo armato mentre io estraggo l’arma e prendo la mira.
Non appena dietro l’angolo infatti, estraggo la pistola, la punto davanti a me armando il cane e quando la figura di Richelieu supera lo spigolo faccio fuoco. Solo che, a differenza delle detonazioni del suo bazooka, la mia pistola non fa nessun frastuono assordante, né tantomeno “bang” come nei fumetti. Emetto solo un click sordo.
Solo click anche nel senso che a quel buffo rumore, appena udibile sotto l’acquazzone che ci investe sempre più violento, non fa seguito nemmeno la fiammata che mi aspettavo, né l’urlo di dolore di Richelieu.
Solo click e la risata isterica del cardinale.
Questa stupida pistola deve essersi bagnata nel fango e ora non spara più. Evidentemente non ha la stessa resistenza all’acqua del mio cellulare e nemmeno delle pistole dei film, che sparano anche sott’acqua. Dannazione!
La mia unica consolazione è che la situazione è così comica agli occhi del cardinale che, invece di spararmi subito, quello si mette a ridere come un forsennato, sparando un paio di colpi a casaccio col suo mostro perfettamente funzionante e colpendomi ancora una volta di striscio sotto l’anca destra e facendomi perdere l’equilibrio.
Se c’è una cosa buona nel fatto di essere bagnata di acqua gelida fino al midollo è che sono talmente intorpidita che la ferita non mi brucia quanto mi aspettavo e mi da anzi il tempo per avere un’idea.
Invece di rialzarmi e correre, sapendo di non avere più speranze contro quel mostro di acciaio che Richelieu continua a stringere tra le mani, mi stendo nel fango e mi stringo la zona colpita, cercando di impedire che il fango entri troppo a contatto con la ferita e fingendomi molto più dolorante di quanto sia in realtà.
Come speravo, Richelieu è ormai troppo oltre il limite della ragione per riflettere e quando smette di ridere tanto di gusto, punta l’arma nella mi direzione e mi si avvicina, con l’intenzione di finirmi una volta per tutte. Io invece, appena prima che spari il colpo decisivo, afferro con tutta la forza che mi rimane la canna del fucile con una mano e uso lo slancio per colpirlo con un pugno dell’altra mano sui genitali.
Sorpreso e dolorante, Richelieu si accascia su se stesso ma meno di quanto mi aspettassi e soprattutto senza mollare la presa sull’arma, così non mi resta che colpirlo di nuovo, più forte che posso, sulla gola col taglio della mano e poi sulla schiena con i gomiti.
Di nuovo però Richelieu dimostra una resistenza che non immaginavo e invece di crollare per terra, usa il fucile come un bastone e mi afferra con l’altra mano. Di riflesso, più che per un pensiero vero e proprio, gli conficco il pollice libero nell’occhio per liberarmi e, di nuovo più per istinto che per altro, corro alla cieca nella direzione opposta, verso il lago, più veloce che posso.
Solo quando arrivo sul molo di legno mi rendo conto di quanto sia stata stupida la mia idea ma ormai è troppo tardi.
Scendendo verso il lago non ho pensato che la riva è illuminata dai lampioni e ho perso il mio unico vantaggio, il buio.
Per un momento la delusione e la rabbia contro il mio stesso stupido istinto mi annebbia la vista e mi domando se a questo punto non sia meglio buttarmi in acqua e togliere a Richelieu almeno la soddisfazione di uccidermi.
Ma guardando l’acqua scura martellata dalla pioggia, una parte di me si ribella a un destino tanto misero. Non sono arrivata fino a qui per poi suicidarmi nelle acque di un lago, senza combattere.
Se è vero che stasera morirò, è anche vero che farò tutto il possibile per portarmi dietro Richelieu. In fondo, quante sono davvero le possibilità che Alex, ammesso che sia ancora vivo, riesca a rintracciare Richelieu e farlo parlare prima di due settimane?
Spinta da questa nuova ondata di risolutezza kamikaze, mi posiziono meglio che posso sul pavimento di legno, reso terribilmente scivoloso dalla pioggia e tremolante dal moto del lago, scosso a sua volta dalla tempesta.
Con lo sguardo fisso davanti a me per individuare il cardinale, estraggo i coltelli dal loro nascondiglio sotto la manica, sforzandomi di trovare la calma necessaria ad utilizzarli. I coltelli non sono come le pistole, non basta prendere la mira. È questione di calma, di lucidità e soprattutto di riflessi, cosa difficile per chi come me è rimasta quasi un’ora sotto la pioggia gelida che non accenna a smettere e offusca tutto intorno a me. Anzi, un tuono improvviso squarcia la notte, come a  voler affermare di forza la ferma intenzione di continuare a piovere ancora per un bel po’.
Ma visto che la prima pistola ha dimostrato di non essere resistente all’acqua, non posso rischiare che anche le altre due abbiano fatto la stessa fine, perciò non ho altra scelta che servirmi dei pugnali o portare il Cardinale al fondo del lago insieme a me, nella più teatrale delle conclusioni.
- Allora, signorina, credo che i giochi siano terminati. Ha pensato a cosa dire ai suoi genitori? – mi sbeffeggia la voce del cardinale, finalmente arrivato a pochi passi da me.
A vederlo ora, anche lui bagnato fino al midollo e col respiro grosso, non ha più niente di affascinante o magnetico. Sembra solo un vecchio pazzo, con il sorriso leggermente storto, gli occhi allucinati e una ferita sanguinante alla gamba che lo costringe a zoppicare a sua volta.
Non posso fare a meno di ridere. Considerando che io non l’ho ferito, l’unica spiegazione è che sia incappato in una delle sue temute trappole. Troppo divertente!
Lui risponde alla mia risata (che a dire il vero sembra alquanto invasata a mia volta) con un sorriso gelido e inquietante e quella luce folle negli occhi. Come ho fatto a non notarla prima?
- A dire il vero non ho molto da dirgli, non li ho mai conosciuti. Lei invece, non vorrebbe lasciarmi qualche messaggio di scuse? O una parola per sua figlia?
Questa volta è lui a ridere, alzando la testa al cielo, incurante della pioggia. Sembra così artificiosamente fuori di testa, in questa posa melodrammatica, che per un momento mi sembra di essere sul set di un film.
Lentamente Richelieu si ricompone e torna a fissarmi sorridente ma al tempo stesso serio. Crudele, è l’aggettivo giusto per descrivere la sua espressione mentre mi punta il fucile contro e si avvicina lentamente a me, costringendomi ad indietreggiare, più che altro per riflesso.
- Sono un uomo di chiesa, signorina, sono convinto che la morte risponda a tutte le nostre domande. Mia figlia sa perché l’ho fatto.
- E come la mettiamo col Grande Capo lassù? Non ha delle scuse nemmeno per lui? Non ha paura dell’inferno?
Lui mi osserva in silenzio per un po’, senza accennare ad abbassare l’arma, e intanto cerco di pensare a come colmare la distanza che ci separa per poterlo colpire col coltello. Un’altra differenza tra armi a lama e pistole è che con i coltelli devi per forza essere vicino per colpire.
- E’ stato Dio stesso a permettermi di compiere la mia opera, come potrebbe punirmi per aver seguito la sua volontà?
- Se Dio volesse uccidere qualcuno, perché servirsi di un misero uomo quando può farlo da sé? – gli faccio notare mentre libero il coltello dalla sua custodia sotto la manica, così che possa scivolarmi tra le dita.
- Mi delude signorina, credevo che comprendendo la verità avrebbe anche capito il disegno di Dio. La salvezza va meritata e come Noè dovette costruire l’immensa arca per salvarsi, io ho dovuto costruire un impero per dimostrare di essere degno.
- E come fa a sapere che lei non è invece la marea nel disegno divino e io sono Noè? Come può essere certo che sarà lei quello che si salverà?
Stranamente, il cardinale non mi risponde con la sua risata aspra come mi aspettavo. Diventa al contrario terribilmente serio, sgrana gli occhi e punta meglio il fucile contro di me, che intanto smetto di indietreggiare per paura di finire nel lago non potendo vedere dove finisce il molo.
- La smetta di mentire a se stesso, Richelieu. Lei è solo un pazzo e un assassino che passerà il resto dell’eternità all’inferno – gli urlo per sovrastare l’ennesimo tuono, mentre la pioggia diventa ancora più fitta. Ormai riesco a malapena a vedere il Cardinale, che intanto si fa il segno della croce con la mano sbagliata, strappandomi un risolino.
- Non ha solo ucciso uomini innocenti, lei ha condannato alla dannazione centinaia di anime e questo è un peccato che nemmeno Dio perdona – insisto, gioendo nel vederlo fremere di rabbia.
- Lo sa cosa vuol dire passare l’eternità all’inferno? Riesce a immaginare cosa può voler significare perdere la grazia di Dio e conoscere solo l’odio delle fiamme? – lo stuzzico, prendendo meglio i pugnali, pronta a sferrare l’ultimo attacco.
Avrei dovuto immaginare che l’unico punto debole di un fanatico come lui era la paura dell’inferno. È così scontato da sembrare una caricatura. L’uomo di Dio che teme solo l’inferno per gli innocenti che ha assassinato!
- La smetta! Una stupida ignorante come lei non ne sa nulla dell’inferno e del volere di Dio! Si goda lo spettacolo dall’altro mondo! – sbraita lui intanto, facendo finalmente fuoco.
Nello stesso momento in cui mi spara e mi colpisce vicino alla clavicola però, io mi butto verso di lui e gli infilo buona parte delle due lame nel petto, poco sopra lo stomaco. Così avvinghiati e spinti dal mio stesso slancio, finiamo entrambi nell’acqua gelida sotto di noi, molto più profonda di quanto immaginassi.
Solo allora mollo la presa sui manici dei coltelli e cerco di liberarmi dal peso del cardinale per risalire a galla ma Richelieu mi stringe il braccio in una morsa ferrea e la ferita nella spalla mi impedisce di usare la forza dell’altro braccio, così lottiamo sott’acqua per qualche minuto, lentamente a causa dell’acqua e delle ferite, mentre l’aria che mi resta nei polmoni si trasforma rapidamente in napalm e mi brucia dall’interno.
Solo all’ultimo secondo prima che non riesca più a trattenere il fiato, il cardinale allenta appena la presa e mi da la possibilità di liberarmi dalla sua stretta per risalire in cerca di ossigeno. Sfortunatamente, nella lotta ci siamo allontanati troppo dal molo per potermi issare e le ferite, il freddo, il peso dei vestiti e la fatica mi impediscono di nuotare per i pochi metri che mi separano dalle assi di legno.
Di nuovo l’acqua mi risucchia verso il fondo e cerco disperatamente di togliermi almeno le scarpe e le armi per essere più leggera, appena consapevole di quanto la mia fatica sia inutile ormai. Sono troppo stanca per nuotare…
Improvvisamente, qualcosa di immensamente forte mi afferra per la spalla ferita, facendo esplodere mille ordigni sotto la pelle, e mi tira fuori dall’acqua per qualche momento, appena il tempo di respirare una boccata d’aria prima che qualcos’altro mi tiri di nuovo verso il fondo.
Poi di nuovo vengo strattonata verso l’alto e finalmente riesco a vedere il viso di Alex emergere oltre l’acqua.
Alex! Allora abbiamo vinto!
Non faccio nemmeno in tempo a dire qualcosa però che di nuovo mi sento trascinare verso il basso. Solo ora abbasso la testa per vedere cosa mi tira giù e vedo la faccia del cardinale spuntare appena sotto il pelo dell’acqua, avvinghiato alla mia gamba come un anemone di mare.
- Maledetta! Finirai all’inferno con tutti i tuoi amici! – cerca di urlare il Cardinale tra la tosse.
Debolmente, cerco di dargli un calcio ma sono troppo esausta perché il colpo abbia efficacia e lui continua a ghermire la mia gamba per restare a galla, mentre Alex e un altro paio di braccia cercano di tirarmi su, troppo distanti per colpire a loro volta il Cardinale.
Ora che riesco a restare col viso oltre il pelo dell’acqua abbastanza a lungo per respirare senza tossire però, sento di nuovo un briciolo di energia tornare a circolare insieme al sangue gelato nelle vene e cerco di dare una mano ai due salvatori, tirandomi verso di loro e allo stesso tempo scalciando via l’odioso e pesantissimo Richelieu, senza nessun risultato. Per un momento anzi, a causa della pioggia che rende tutto viscido, anche il ragazzo che cerca di salvarmi insieme ad Alex scivola verso il bordo del molo e solo i pronti riflessi di Alex riescono a trattenerlo ad un pelo dal cadere anche lui.
- E’ troppo… pesante! – sento esclamare al ragazzo, che effettivamente è così rosso per lo sforzo che sembra sul punto di esplodere.
Mi rendo conto che ha ragione. Anche in due, non riusciranno mai a tirare fuori dall’acqua sia me che il Cardinale, perché ormai siamo entrambi due pesi morti e la pioggia rende tutto più difficile. L’unica speranza è riuscire a liberarmi del peso di Richelieu ma solo la morte potrebbe staccarlo dalla mia gamba al momento e non sono sicura che smetterà di respirare prima di me e non ho abbastanza forze per colpirlo con la gamba.
- Non mollare Alexis, ti prego non mollare! – mi urla Alex, forse leggendo sul mio viso che è esattamente quello che sto per fare. Non posso rischiare di trascinare anche loro nell’acqua e sono troppo stanca per lottare ancora…
- Non puoi lasciarmi adesso, Alexis, non te lo permetto! Aggrappati alla cinta! – mi ordina, strattonandomi di nuovo la mano, e la spalla ferita che protesta con un’altra fitta lancinante, e portandosela alla cinta.
Invece di stringere come si aspetta, gli sorrido per l’ultima volta, chiedendogli mentalmente scusa per tutti i miei errori, per tutto quello che gli ho fatto passare, ma senza la forza di parlare e smetto di lottare contro il Cardinale e di aggrapparmi a lui, che però non molla la presa.
- Non ti azzardare ad uccidere la mia bambina! – mi urla di nuovo, disperato, anche lui al limite delle forze.
Come se sentirsi nominare lo abbia risvegliato, o forse per protesta ad essere definito una femmina quando è chiaramente un maschio, il mio bambino scalcia potentemente dentro di me, provocandomi un dolore tanto forte da farmi contrarre tutta farmi istintivamente stringere la mano sulla pistola di Alex, che dopo una leggera resistenza si stacca dalla cinta e mi resta in mano, dandomi l’ultimo barlume di energia insieme ad un’idea.
Con uno sforzo che mi sembra immane e lottando contro la forza di Alex, che non avendo capito cosa intendo fare cerca di trattenermi e mi rende difficile girarmi, mi volto verso il cardinale e gli sorrido per l’ultima volta prima di premere il grilletto.
Finalmente, questa volta l’arma fa il giusto rumore e la giusta fiammata, spruzzando anche un po’ di acqua intorno mentre il proiettile colpisce Richelieu al braccio, costringendolo ad allentare leggermente la presa, ma non del tutto, perciò sparo di nuovo e poi di nuovo e di nuovo ancora, incapace ormai di fermarmi, e lentamente il Cardinale allenta la presa mortale sulla mia gamba e Alex e il ragazzo riescono finalmente a issarmi di nuovo sul molo.
Mentre Alex mi stringe a sé e l’altro ragazzo mi copre alla bell’e meglio con una coperta mentre esamina la ferita alla gamba, volto la testa verso Richelieu per capire se è morto.
Il Cardinale invece, non è affatto morto e continua strenuamente a dimenarsi per restare a galla anche se evidente che i suoi sforzi sono inutili, ormai troppo debole e ferito. Tuttavia sembra che abbia ancora energia sufficiente per inveire contro di noi e lo vedo urlare mentre si dimena, senza riuscire a capire cosa stia dicendo con esattezza.
Solo l’ultima frase riesco a capire in mezzo a quel fiume di parole velenose e disperate, una frase che mi gela più del lago e della pioggia e che sarebbe venuta a tormentare i miei sonni negli anni a venire.
- Le colpe dei padri ricadono sui figli, brucerete tutti all’inferno! – sono le sue ultime parole, prima che un’onda lo sommerga definitivamente.
Per alcuni minuti, mentre il ragazzo traffica con la ferita alla spalla e Alex mi sorregge e cerca di asciugarmi meglio che può, continuo a fissare il punto dove fino al minuto prima c’era il Cardinale e mi chiedo se la sua minaccia possa avverarsi. Anche se per buone ragioni, ho ucciso, mentito, a volte rubato. Le mie colpe ricadranno sui miei figli?
Mi porto istintivamente la mano alla pancia, per proteggere il piccolo che mi ha salvato la vita col suo calcio e solo allora mi rendo conto di stringere ancora la pistola tra le mani, come se dovessi ancora proteggermi. Ma la minaccia è ormai morta e non potrà più far del male a nessuno.
Stremata oltre l’immaginabile, lascio cadere la pistola e mi abbandono tra le braccia di Alex, che intanto mi abbraccia forte quasi quanto Richelieu, dicendo qualcosa di incomprensibile per me.
- Sei una pazza, ecco cosa sei, avrei dovuto lasciarti morire insieme al tuo maledetto Cardinale, invece di farmi venire un infarto per colpa tua, ringrazia solo di aspettare la mia bambina… - riesco a capire dopo un po’, quando i miei timpani tornano a funzionare dopo l’ennesimo sparo troppo ravvicinato.
Vorrei dirgli un milione di cose, spiegargli, chiedergli scusa, ma non ho la forza di fare nulla e continuo a sorridere appena, mentre lui continua ad inveire contro di me e rimproverarmi. Comincio a credere che avrò ancora tempo per dirgli tutto, visto che non sono più saltata in aria…
- La bomba! – esclamo con un filo di voce, ricordando all’improvviso l’avvertimento del cardinale.
Tuttavia il ricordo mi è giunto troppo tardi e faccio appena in tempo a vedere la faccia perplessa di Alex prima che un boato sommesso rompa il silenzio e un’onda d’acqua scuota violentemente il molto, facendoci quasi cadere di nuovo in acqua.
- Richelieu… una bomba… - mormoro appena, sospirando di sollievo.
Adesso è davvero finita.
Di nuovo Alex riprende il suo fiume di rimproveri e imprecazioni ma non lo ascolto più, sentendomi troppo debole anche solo per pensare.
Chiudo gli occhi e mi lascio andare alla stanchezza, godendo del calore che emana Alex in confronto a me che sono gelida…

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Capitolo 37
*** Epilogo ***


Con un sospiro, smetto di scrivere e mi avvicino alla finestra, stringendomi le braccia e fissando il mare davanti a me.
Chissà se davvero scriverlo e testimoniare, bianco su nero, il terrore che quella minaccia mi ha ispirato anche a distanza di anni, riuscirà ad allentare un po’ la morsa del suo potere, meglio di quanto abbia fatto vedere i miei figli crescere sani e felici.
In tutti questi anni sia io che mio marito ci siamo dannati per potergli assicurare tutta la felicità che potevamo dargli, per proteggerli dal male che abbiamo conosciuto. Da buona madre ho fatto tutto ciò che era in mio potere per assicurare loro quella serenità e quella fiducia nella vita che a me è stata negata per troppo tempo.
E tuttavia nessuna di queste cose è riuscita a scacciare quell’ombra che il Cardinale, con le sue ultime parole di odio, è riuscito a buttare sul mio futuro e soprattutto su quello dei miei figli.
A differenza di Richelieu, non sono mai riuscita a liberarmi del peso di quelle che comunque considererò sempre come mie colpe, nonostante le rassicurazioni di mio marito e dei miei genitori, e ho sempre temuto il giorno in cui sarò chiamata a rispondere di tutte le decisioni che ho preso e gli errori che ho fatto.
Spero davvero con tutto il cuore che la misericordia di Dio sia più grande di quella degli uomini, più grande di quella che io stesso ho saputo accordarmi ma non per me, per i miei figli. Perché loro non debbano conoscere quello che ho conosciuto io, perché non debbano pagare per colpe che non hanno commesso, come ho fatto io invece, sacrificando la mia vita e i miei affetti per quello che Richelieu e altri intorno a me avevano fatto, prima ancora che io nascessi. Ma spero che ci vorrà ancora molto tempo fino a quando arriverà il momento dell’ultimo giudizio e intanto non posso che sperare e pregare.
La mia consolazione per il momento, è che da quando Richelieu è morto e il mondo è salvo, le cose sono sempre andate bene per me e la mia famiglia e la vita burrascosa che avevo condotto come Alexis Bledell si è trasformata in una pacifica esistenza, circondata dall’affetto della famiglia e dalle tranquille soddisfazioni della vita di una cercatrice di opere d’arte. Non potrebbe essere un segno della benevolenza divina? Il segno che i miei errori sono stati perdonati, almeno in parte, e che la maledizione è stata cancellata dalla sofferenza e dal pentimento per quelle morti e quei peccati?
Forse anche Dio segue un principio molto terrestre che ripete spesso mio marito: quando la persona è zero, l’offesa è nulla. Varrà anche per le maledizioni?
Alla fine mi strappo dai miei pensieri bui e decido di tornare a scrivere prima di cominciare a preparare il pranzo. Ormai manca poco, tanto vale togliersi il pensiero. Il problema è che parlare dei funerali mi angoscia sempre tanto, troppo, forse anche perché avevo dovuto aspettare così tanto per dare una degna sepoltura a tutti i miei amici che quella breve, semplice funzione religiosa mi sembrò un modo triste per dare l’addio definitivo. Forse per questo pensare a quei riti arrivati troppo tardi mi sconvolge ancora adesso.
E il funerale di Alex poi…
 

 
 
Do un’occhiata in giro per la stanza per essere certa di non aver dimenticato nulla, quindi mi chiudo la porta alle spalle e mi siedo in macchina, sul sedile posteriore accanto alla mamma.
Mentre papà mette in moto mi aggiusto gli occhiali da sole sul viso. L’ho detto io che erano troppo grandi per il mio viso. Speriamo almeno che nascondano la mia espressione alla folla, perché non mi è mai piaciuto farmi vedere mentre piango e questo la mamma lo sa.
- Sono molte le persone? – domando per spezzare un po’ l’innaturale silenzio.
So che lo fanno per rispetto al mio dolore, soprattutto, ma il silenzio è l’ultima cosa di cui ho bisogno ora.
- Più di quante ce ne aspettavamo – mi risponde la mamma, senza sostanzialmente dire nulla.
Che vorrebbe dire? Quante ce ne aspettavamo?
Per fortuna comunque il tragitto fino alla chiesa è breve e posso constatare direttamente con i miei occhi cosa intendesse dire con “più”.
Decine di più. Ci saranno almeno un centinaio di persone fuori dall’immensa cattedrale e questo mi fa solo immaginare quanta gente deve essere assiepata all’interno.
Per un momento mi viene l’insano pensiero di voltarmi e scappare, fuggire da quella massa soffocante di corpi che piangeranno solo per convenzione, senza capire minimamente il sacrificio che si concluderà con questa cerimonia.
Ma poi prendo un bel respiro e scendo dall’auto, decisa ad affrontare quell’ultimo atto della mia vecchia vita.
Aspetto che anche la mamma sia arrivata al mio fianco, poi insieme ci avviamo verso l’enorme portone spalancato, facendoci largo a fatica tra la gente che si ostina a restare sul piazzale anche se non vedrà nulla della funzione.
Solo dopo quasi un quarto d’ora raggiungiamo i nostri posti quasi davanti all’altare, dove Riley e Lucas ci hanno tenuto il posto. Era importante per me guardare le scatole di legno per convincermi che è davvero finita.
Ora che siamo certe di non perdere l’inizio della cerimonia, mi concedo qualche rapida occhiata intorno a me.
La cattedrale è enorme, gremita e scandalosamente sfarzosa. Di certo non si accorda affatto al dolore e al rimpianto, con tutto questo dorato e marmo e legno pregiato intorno a noi. Però è anche vero che sembra il posto perfetto per tutti questi uomini in divisa ufficiale, tutti tirati a lucido, stipati a forza nelle camicie inamidate e nelle giacche ricamate, a mettere in bella mostra gradi e onori.
Chi può aver avuto l’idea di trasformare un triste funerale in una parata di agenti della CIA? Di sicuro non Alex. Lui ha sempre odiato l’etichetta, me lo ha ripetuto spesso nei lunghi giorni a casa di Juno…
Eppure qualcuno deve aver mandato un comunicato proprio a tutti. Perfino da qui riesco a vedere le uniformi dei generali e dei capi maggiori. Credo di aver visto anche il Direttore Generale della CIA in persona, ma potrei essermi sbagliata, l’ho visto solo una volta in vita mia.
Pensare al generale però mi fa pensare alle brevi ore subito dopo la sconfitta del Cardinale, quando siamo tornati all’hotel e i dottori mi hanno rimesso in sesto il più possibile. C’erano volute quasi quattro ore per estrarre il proiettile dal punto poco sotto la clavicola dove mi aveva colpita, a un soffio dal cuore. E poi altro tempo per far tornare normale la mia temperatura, dopo tutto quel tempo sotto la pioggia e poi nel lago, e per ricucire le altre ferite.
Anche il mio bambino aveva subito qualche shock di troppo e i medici lo avevano costantemente monitorato mentre mi ripulivano ma alla fine si è dimostrato tenace come la madre ed ora è al sicuro, nella mia pancia che ormai comincia a vedersi appena sotto i vestiti ma non al punto che si capisce che sono incinta. Sembro appena un po’ ingrossata per ora, ma il medico ha detto che non durerà per molto e che probabilmente alla fine sembrerò un dirigibile se il bambino continua a crescere così in fretta.
È stato così bello ascoltare il racconto di come avevano intercettato a fatica il camion con la spedizione dell’erba, di come avevano affrontato le decine di uomini armati che costituivano la scorta. Il Cardinale sapeva che non poteva permettersi di perdere quella consegna e aveva usato tutti gli uomini disponibili per assicurarsi che il camion arrivasse a destinazione. Ma grazie alla bravura di Alex e Riley, non era riuscito nel suo intento e non abbiamo avuto bisogno di cercare il detonatore automatico, perché le cariche non hanno mai raggiunto le cisterne.
È stato anche bello crogiolarsi nel calore di tutti i complimenti dei ragazzi quando Alex e l’altro ragazzo che mi aveva salvata hanno raccontato della mia impresa. Lucas li aveva avvertiti non appena possibile ma ormai era tardi, più del previsto e non erano riusciti ad arrivare prima che cadessi in acqua.
Ricordo con un sorriso tutti i rimproveri e le discussioni tra me e Alex, quando i medici gli avevano assicurato che sia io sia il bambino eravamo salvi. Me ne ha dette di tutti i colori in quei giorni, facendomi sentire a volte in colpa, a volte fortunata, altre terribilmente irritata con lui. Madre snaturata, diceva. Incosciente senza cuore, mi ripeteva.
Ma alla fine non me la sono mai presa più di tanto, perché sapevo che a farlo parlare era solo la paura di perderci entrambi, me lo aveva confidato proprio lui nei brevi momenti in cui la smetteva di rimproverarmi e mi teneva semplicemente stretta tra le braccia.
Il suono dell’argano mi strappa ai miei pensieri e mi rendo conto che la funzione sta cominciando.
Lentamente, i feretri attraversano l’immensa navata fino all’altare, poi vengono posati uno accanto all’altro. Ce ne sono diversi, di diverso tipo, tutti della stessa dimensione. Mi sembra anche giusto, visto che sono stati tutti ugualmente coraggiosi fino alla fine.
Su ogni bara c’è inciso, sul bordo, il nome del corpo celato all’interno. In realtà, la maggior parte di quelle bare sono vuote, solo un simbolo che possa dar pace alle famiglie, perché dei corpi materiali è rimasto poco o niente da mettere nella bara e il pensiero che fossero quelle orribili tracce dei ragazzi che erano stati a rappresentarli oltre la morte, aveva fatto inorridire tutti, così si è raggiunto un compromesso.
Mentre il sacerdote sullo sfondo dei miei pensieri comincia la sua litania, io leggo i vari nomi incisi nel legno e cerco di ricordare i volti e le persone che quelle scatole simboleggiano. Marcus Heller, Richard “Charlie” Monk, Elbert Fifer, Anthony Palmer, Alex Beckett…
Ovviamente non devo sforzarmi per ricordare Alex. Anzi, il suo ricordo è così vivo dentro di me, ad ogni respiro, che spesso mi sono chiesta come ho potuto pensare di non amarlo. Certo, un amore diverso da quello che mi ha legata a Giulio, ma intenso allo stesso modo, solo più devastante.
Estraniandomi ancora di più dalla messa monotona, ritorno con la mente a quando abbiamo fatto la fatidica telefonata ai “piani alti” della CIA per comunicare la fine della minaccia del Cardinale, quando alcuni dei “capi” erano venuti al nostro hotel e tutti insieme abbiamo deciso la strategia da adottare. Cosa dire alla stampa? Cosa dire della morte del Cardinale? Cercare ugualmente il detonatore? Come procedere con tutti gli altri arresti?
Ma soprattutto, cosa fare per i morti?
Ce n’erano stati tanti, purtroppo, e fino a quel momento non avevano potuto avere nemmeno un riconoscimento. Giulio e Terenzio sì, loro erano stati celebrati e osannati dalla stampa e da chi si diceva loro amico, per giorni e giorni. Il loro funerale si era tenuto nella città natale di Terenzio e le loro tombe erano state scavate accanto a quella di Margherita, nel piccolo cimitero cittadino, con tutti gli onori e gli allori riservati ai grandi uomini, perché nessuno, su mia richiesta, conosceva la verità.
Ma tutti gli altri, tutti i ragazzi della squadra di Malone e lo stesso Jack, Linda, Juno, Natalie… per loro nessuno aveva scritto un articolo, nessuno aveva ricordato le gesta. I genitori di Linda erano stati avvertiti ma non avevano ricevuto il corpo per giorni e giorni, con la scusa dei tempi necessari all’autopsia e al trasferimento e lo stesso era accaduto alle famiglie di quei poveri soldati e di Malone, informati della morte ma senza nulla che la provasse, nessuna traccia a cui attaccarsi.  Per Juno e Nat poi, nemmeno c’era stato bisogno di avvertire nessuno, nessuno aveva per lo meno pianto alla loro memoria.
Be’, nessuno a parte me, ovviamente. Io avevo pianto fino allo stremo nei giorni successivi alla loro scomparsa e ancora adesso, a volte, mi sorprendo a ricordare qualcosa di Juno che mi strappa qualche lacrima e un sommesso lamento. Per fortuna anzi, le loro bare non sono qui insieme alle altre oggi.
Per loro, già morti per il mondo da molto tempo, nessuna chiesa, tantomeno una cattedrale, è stata addobbata. Solo una breve messa in loro onore è stata recitata da un amico di mio padre, nel giardino della casa di Juno e lì sono state scavate anche le loro tombe, una accanto all’altra per farli stare uniti almeno nella morte.
Quel giorno non sono riuscita a dire nemmeno una parola in loro memoria perché non riuscivo a smettere di piangere. È stata l’unica volta per cui non mi sono vergognata di farmi vedere in quello stato da qualcun altro, perché non potevo farne a meno. Juno che mi ha dato così tanto, per tutta la sua vita… Nat, che aveva lottato così a lungo per la felicità del marito, col coraggio e la forza di una martire…
Quasi quasi però mi è piaciuto più quel funerale che questo. Quello è stato semplice e adatto al dolore composto e sincero che provavo in quel momento, mi ha permesso di piangere e sfogarmi. Questo è invece solo una parata di maschere, tutte infilate nei loro galloni dorati per mascherare il fatto che non sanno nemmeno come sono morti, o che chi lo sa non ha fatto niente per evitare le loro morti.
A volte sono felice di aver partecipato a tutta la faccenda. Almeno io so perché i miei cari non ci sono più. Mi è capitato di incrociare lo sguardo, durante questa interminabile litania, di alcuni dei parenti dei soldati ed è terribile la pena e la confusione che ho letto nei loro occhi.
Perché sono qui? Come ci è finito mio figlio in quella scatola? Come può non esserci più il suo corpo? Che tipo di morte lo ha sorpreso? Oppure non lo ha sorpreso affatto?
Mi sono sentita terribilmente in colpa con quelle persone e ho distolto lo sguardo. Vorrei tanto potergli spiegare con quale orgoglio dovrebbero pensare ai loro figli, mariti, fratelli eccetera, che significato ha avuto la loro morte per tutto il mondo. Ma non è questo che la CIA ha deciso, perciò ho dovuto restare in silenzio, mentre vuote frasi di circostanza cercano di riempire quel vuoto senza dare nessuna risposta vera.
- Sono stati angeli in terra e da angeli verranno accolti – dice intanto la voce monotona del sacerdote e io spero che sia vero, perché se lo meritano.
Lancio un’occhiata alla bara di Linda, alla fine della fila perché non faceva parte della CIA.
Sono stata io a insistere perché venisse celebrata insieme agli altri, oggi. Per lei sarebbe stato bello sapere di essere ricordata insieme a valorosi agenti, insieme alle parole coraggio, importanza, valore. Non come quel trafiletto sul giornale che qualcuno aveva scritto dopo l’esplosione. Mi è sembrato giusto salutarla con tutti gli onori, perché lei più degli altri mi ha aiutato a scovare il vescovo, facendomi intuire la verità sul progetto chimico.
E soprattutto, è grazie a lei che Alex non è salito sull’aereo che è precipitato ed è potuto essere al mio fianco per combattere il Cardinale. Senza di lui non ce l’avrei mai fatta e di questo non posso che ringraziare Linda. Anche lei è stata un angelo, il più bello e se è vero che un angelo veglia su ogni bambino, spero proprio che sia lei a vegliare sul mio. Sarà una custode formidabile.
- Gli ultimi saranno i primi, ha detto nostro Signore – continua il sacerdote. E cosa centra ora? Devo essermi persa un bel pezzo.
Comunque lo spero proprio anche in questo caso. Ovviamente, dopo la comunicazione della morte del Cardinale, che per il mondo è avvenuta per un malore mentre era nella casa al lago senza che nessuno sappia perché si trovasse nel lago con quel tempo, per quasi una settimana ho dovuto ascoltare i messaggi di cordoglio di tutte le principali autorità, della gente che lui avrebbe aiutato, dei giornali che ne ricordavano le imprese generose.
Non so come ci siano riusciti, ma alla CIA avevano deciso che era molto meglio tenere il Cardinale fuori dall’immenso scandalo che ha colpito decine e decine di importanti uomini della scena politica ed economica su scala mondiale.
In effetti, ognuno di quegli arresti è la mia più grande soddisfazione ed è a quelli che penso quando lo sconforto mi assale, pensando alla triste fine che hanno fatto i miei amici. Ogni volta che mi viene in mente che il Cardinale verrà ricordato da tutti come un santo, ripenso alle facce distorte di tutti quegli altri esaltati che avevano prestato il loro denaro a Richelieu in favore di una causa assurda e insensata, e che ora marciranno per sempre sul fondo di una cella.
L’organo riprende a suonare e, come un automa, mi metto a cantare le parole che leggo dal foglio davanti a me, come tutti intorno a me. Osservo il sacerdote avvicinarsi al microfono e prepararsi per la sua lettura e mi chiedo quale passo sceglieranno. In realtà non so bene che genere di passi si scelgano ai funerali perché non ho mai partecipato ad altri funerali in vita mia. La persona più anziana che conosco è zia Ade ma gode ancora di ottima salute ed è anzi migliorata da quando ha saputo che grazie alla sua festa ho conosciuto il mio futuro marito.
Continuando distrattamente a cantare, mi osservo per la milionesima volta il piccolo diamante che mi brilla al dito. Non riesco ancora a credere di indossare davvero un anello di fidanzamento, ero certa che non sarebbe stata una delle tappe della mia vita.
Invece, quando siamo riusciti a lasciare Roma e tornare finalmente nella mia casa, Alex ha deciso che voleva fare le cose per bene e un pomeriggio è uscito a comprarmi delle medicine ed è tornato con la scatolina rossa di velluto.
L’anello non è per niente spettacolare, anzi è una semplice fascia d’argento con un minuscolo diamante incastonato sopra ma mi ha ugualmente tolto il fiato per diversi secondi, mentre lo osservavo ammutolita, tanto che Alex ha temuto che stessi per svenire.
- Non so se posso accettarlo – gli avevo detto alla fine, sfiorando appena la scatolina, come se potesse mordere.
- Lo accetterai invece. Non mi importa se mi ami o no, ti amo io ed è sufficiente – aveva replicato, serio e tranquillo come se davvero la mia opinione non contasse nulla.
- Ma non puoi semplicemente… - avevo cercato di protestare ma lui mi aveva zittito.
- Ti ho salvato la vita, diverse volte, quindi mi appartieni. E porti in grembo mia figlia, quindi non posso lasciarti andare in giro a cercare di ammazzare entrambe come se niente fosse.
Erano seguite ore e ore di discussione, in cui avevo cercato di fargli notare tutti i problemi che quello stupido anello ci avrebbe portato. Dove avremmo vissuto? Non sapevamo scegliere in quale continente vivere, figuriamoci una casa insieme! E di cosa saremmo vissuti? Io ero ufficialmente morta e lui non stava messo meglio…
Per tutto il tempo lui aveva risposto con una calma irritante, sminuendo ogni mio dubbio fino a farmi esasperare. Alla fine si era limitato e baciarmi e stuzzicarmi fino a che non avevo capitolato, furiosa con lui e col bambino che si schierava sempre dalla parte del padre.
- Sei mia, Alexis, mettitelo in testa. Quell’anello serve solo a ricordartelo – mi aveva sussurrato, mentre eravamo abbracciati sul divano. Per tutta risposta io gli ho tirato un morso.
Poi serafico aveva chiamato mia madre per darle la notizia e questo aveva segnato la mia resa, come lui sapeva benissimo. Niente e nessuno avrebbe tolto a mia madre il piacere del matrimonio.
Solo che poi sono successe tante di quelle cose, le indagini, gli arresti, le ultime missioni di Alex…
- Ora ascolteremo il saluto degli amici e dei parenti che vogliono ricordare i defunti – avverte con aria flemmatica e mi riassetto. Tra poco tocca a me, anche io ho qualcosa da dire in loro memoria.
Comincia la lunga sfilata di madri e sorelle, di cui si capisce ben poco a causa della voce rotta dal pianto.
Poi è la volta dei colleghi. Uno alla volta, una decina di ragazzoni enormi che sembrano stare a fatica dentro i loro completi formali, parlano della vita da soldato, dei sacrifici che richiede e di come ognuno degli agenti che celebriamo oggi sia un modello esemplare.
- Senza il suo impegno molte vite ora sarebbero diverse – dice uno dei ragazzi, che faceva parte della mia squadra all’hotel e che saluto con un sorriso mentre guarda nella mia direzione.
- E’ stata la sua tenacia, la sua forza di volontà a portare avanti compiti che nessuno si sarebbe mai sognato di cominciare. Era il migliore e i premi che ha ricevuto nella  sua carriera  ne sono la dimostrazione – sottolinea con voce rotta, girandosi verso le bare e salutando alla maniera militare.
Anche io guardo le bare, soprattutto quella di Alex, quasi completamente coperta di premi. Al valore, al coraggio, alla tenacia… gliene hanno dati una marea e io mi sono chiesta che senso abbia. Perché ricoprire un soldato d’onore solo quando muore? Cosa dovrebbe farsene una moglie o una madre di un pezzo di ferro laccato in oro quando il suo amato è scomparso per sempre?
Un altro agente prende il posto del precedente sul podio.
- L’agente Beckett è stato il mio… insegnante per molto tempo. Non ho mai incontrato nessuno come lui, così preparato, così dedito al suo lavoro. Bastava guardarlo per sapere che tutto sarebbe finito bene – ricorda, con voce ferma ma commossa.
È la verità. La tenacia di Alex è la cosa che mi ha attirata a lui fin dall’inizio, la sua qualità migliore. Stare vicino ad Alex voleva dire sentirsi completamente sicuri.
Un altro agente, altre parole commosse, poi il mio turno. In silenzio mi dirigo verso il microfono e riordino le parole per qualche momento, sforzandomi di avere una voce più ferma possibile, mentre invece le inevitabili lacrime scendono a rigarmi le guance dietro gli occhiali da sole.
- Linda era un fenomeno. Era il mio angelo e la sorella che non ho mai avuto. Era inarrestabile, sempre energica, sempre sorridente, sempre pronta a dimostrare quanto valeva. Niente e nessuno poteva intimorirla, lei sapeva di essere la più forte e più la sfida era difficile, più lei si entusiasmava. Per questo voleva fare l’avvocato, diceva, per convincere sempre nuove giurie. E ci riusciva alla grande. Nessuno resisteva a Linda…
Continuo a leggere dai bigliettini che mi sono preparata a casa, sentendomi un po’ come il presidente, e mi sforzo di non guardare la bara di Alex poco distante. Ad un certo punto del mio discorso, un pianto rompe il silenzio della platea e vedo la sorella di Linda uscire dalla chiesa, seguita da suo marito. Linda aveva sempre invidiato il matrimonio di Adriana, sua sorella.
Alla fine termino e torno al mio posto, lasciando che altri prendano la parola per parlare di altre vite spezzate, altri grandiosi eroi, altri indimenticabili angeli, come li ha chiamati il prete.
Poco dopo la funzione religiosa è terminata. Prima di dare la benedizione il sacerdote fa un breve elenco di tutti i nomi dei defunti che ricordiamo oggi e la folla prorompe in un fragoroso applauso che sembra durare all’infinito, poi la fanfara comincia a suonare e la prima bara scende di nuovo la navata, a capofila come Jack Malone merita, seguita poi dalle altre.
Fortunatamente, durante la processione fino al cimitero la maggior parte della gente scompare lentamente e una volta davanti al pesante cancello di ferro siamo quasi la metà di quelli che erano in chiesa.
Anche il rituale della sepoltura è molto più rapido dei lunghi giri di parole del sacerdote e in meno di un’ora tutte le bare sono state calate nelle loro fosse.
A questo punto, incapace di sostenere oltre l’atmosfera cupa e anche piuttosto stanca dopo il lungo percorso fino al cimitero, faccio segno ai miei che me ne vado e mi dirigo pesantemente alla macchina, che per fortuna papà ha pensato di avvicinare. Mi dispiace solo che loro dovranno tornare a piedi ma io aspetto un bambino, perciò ho la precedenza.
Invece di tornare direttamente a casa però, svolto in direzione di casa di Juno. Dopo questo lungo rito funebre per gli altri, mi sembra giusto salutare anche loro. Lo faccio spesso da quando siamo a casa.
Parcheggio e vado direttamente nel giardino, dove per tanti anni mi sono allenata con Juno.
Quando sono davanti alle croci, mi inginocchio a fatica e tolgo con la mano alcune foglie che sono cadute nel poso sbagliato, poi mi rialzo e racconto loro com’è andata.
- Ti saresti sparato piuttosto che assistere a quel monologo – dico a Juno, guardando una delle rarissime foto che ho trovato di lui. Le foto sono l’unica cosa che mi è stato permetto di fissare vicino alla croce, visto che le lapidi non possono essere messe fuori dal cimitero. Per lo meno la foto era di Juno, scattata quand’era giovane, ed è abbracciato a Nat, sorridente e bellissima. L’ho trovata in una scatola nascosta nello stanzino e mi è sembrato un buon segno, poter mettere la foto di loro due insieme.
- Nemmeno a te sarebbe piaciuta, Nat. Era tutto così pomposo… però già che c’ero ho pregato anche per Jean – la rassicuro con un sorriso triste.
Mi zittisco per un momento, sentendomi un po’ stupida a parlare con una fotografia ma ho scoperto che mi calma ed è importante per me da quando Alex non c’è.
- Ci conoscevamo poco io e te – continuo parlando con Natalie – ma credo di averti conosciuta abbastanza per capire chi eri. E credo anche di avere molto in comune con te.
Mi fermo per prendere il biglietto dalla borsa e mostrarlo alla fotografia, chiedendomi se davvero possono vederlo.
- Tra quattro giorni parto per l’America – li avviso con un sorriso tirato. Non sono per niente convinta ancora di questa decisione ma tutti me lo hanno consigliato e forse è davvero la cosa giusta da fare per me.
- Alla fine Alex mi ha convinto. Mi dispiace moltissimo non poter venire a fare visita a voi e Linda, ma credo che sia la cosa migliore per il bambino, vivere dove nessuno ci conosce…
Mi sforzo di cacciare il groppo che si è formato in gola. Se avessi immaginato di partire, li avrei fatti seppellire vicino a me ma è stata una decisione presa all’ultimo.
- Verranno con me anche mamma e papà, così non sarò troppo sola. Sono entusiasti di cominciare una nuova vita loro, soprattutto la mamma. Io credo che mi sentirò troppo strana ma penso che ci farò l’abitudine.
Come previsto, il fatto stesso di dire i miei dubbi ad alta voce mi fa sentire via via più tranquilla e anche meno scema.
- Ho anche deciso di sposare Alex, prima che partisse per quella maledetta missione – gli racconto, scacciando di nuovo le lacrime. È stato così orribile da quando se n’è andato… e pensare che non credevo di amarlo…
- E’ stato questo a farmi capire che lo amo, credo – spiego a Nat, sperando che almeno lei possa capirmi.
- Non è possibile sentirsi così annientati dalla mancanza di qualcuno se non lo si ama, no? E poi la mamma l’ha ripetuto talmente tante volte che comincio a convincermi anch’io. Forse si possono amare due persone così diverse.
Anche se non c’è nessuno intorno a me, mi ritrovo ad abbassare comunque la voce nel pronunciare l’ultima frase. Non sono ancora abituata a dirlo ad alta voce. Ora so di amare Alex, ma ammetterlo…
- Da quando Richelieu è morto abbiamo passato un sacco di tempo insieme e ho capito che non posso fare a meno di lui. E poi forse non è così diverso da Giulio. Entrambi avrebbero dato la vita per quello in cui credono e tutti e due hanno fatto la stupidaggine di innamorarsi di me…
È una conclusione a cui sono giunta nelle ultime settimane. Parlando, decidendo, discutendo riguardo a tutta questa storia, ho capito come la verità e la giustizia siano due concetti estremamente relativi e non so come, questo mi ha convinta che nel suo modo folle e snaturato, Giulio mi ha amata davvero. Forse è stato proprio questo a portarlo alla morte.
Ma riguardo a Giulio mi sono messa l’anima in pace, non mi sento responsabile della sua morte. Richelieu e il vescovo lo sono e Yvonne in parte, perché anche lei non era che una pedina dell’immensa scacchiera del Cardinale. Ho scoperto da alcuni agenti della CIA che è stata lei a cambiare la password per Giulio, così che potessimo accedere ai file senza che nessuno degli uomini di Richelieu potesse accedervi e modificarli nel frattempo. Forse era questa la cosa fondamentale per cui si sono rivolti a Yvonne. Cosa abbia chiesto lei in cambio e perché abbia accettato credo che non lo sapremo mai. Forse voleva solo scappare da suo padre, alla fine. Forse davvero amava Alex e questo le ha fatto capire che faceva parte di una follia.
- In fondo anche Juno e Jean era diversissimi, vero? Juno era sempre così teso, così deciso… Jean non mi sembrava affatto così. E come te ho dovuto aspettare che uno dei due morisse per trovare una parvenza di pace. Spero tanto di aver fatto la scelta giusta.
- Quindi lo ami? – chiede una voce.
- Sì, lo amo. Non so perché né se faccio bene, ma lo amo profondamente. Solo che lui…
Mi interrompo, rendendomi conto di una cosa. Visto che sto parlando con due tombe… di chi è la voce che mi ha fatto la domanda?
Non ho il tempo di mettermi a gridare in preda al terrore dei fantasmi, che Alex mi afferra da dietro e mi ricopre di baci fino a farmi quasi soffocare.
- Piantala! Solo perché ti amo non vuol dire che siamo carini e appiccicosi noi due, chiaro? – lo aggredisco quando finalmente mi lascia respirare.
Ma in realtà non mi dispiace averlo al mio fianco ed essere coperta di baci, reagisco solo alla sorpresa di trovarmelo qui a tradimento, a spiare le mie conversazioni private.
- Non dovresti essere in America? – gli chiedo brusca.
- Sono tornato poco fa ma non mi sembrava il caso di chiamarti durante il mio funerale – risponde lui, senza badare al mio tono burbero e anzi, sorridendo come un ebete.
- Piantala di sorridere. Mi hai quasi fatto venire un colpo – gli faccio notare, mentre il mio cuore rallenta di nuovo i battiti.
Lui al contrario sorride ancora di più e mi abbraccia di nuovo.
- Anche io ho una confessione da farti. Non sono più un agente della CIA.
Lo fisso per un po’, indecisa se crederci o meno. Perché mai avrebbe lasciato il suo lavoro? Certo, gli ho fatto notare spesso quanto quella vita sia incompatibile con l’essere marito e padre ma…
- Non sono andato in missione, sono andato a dare le dimissioni – continua, vedendomi dubbiosa, senza smettere di sorridere.
- Vuoi dire niente più armi e segreti?
Lui si limita ad annuire.
- Niente più bugie, misteri, pericoli di vita?
Di nuovo lui annuisce senza dire niente.
- Vuoi dire niente più cose sexy e fascino della divisa? – lo prendo in giro, ma solo per avere una scusa per sorridere. So che è un bravo agente, ma il pensiero di saperlo continuamente chissà dove, a rischiare la vita…
- Se tu sei mia, allora mi sa che io sono tuo – risponde semplicemente, come se questo spiegasse tutto.
In realtà invece non spiega un accidente e ci lascia senza un soldo per crescere il bambino, ma al momento non mi importa. Al momento sono troppo impegnata a immaginarci come una coppia normale, mentre facciamo la spesa e guardiamo la tv dopo che i bambini sono a letto…
- E se poi ci annoiamo? – gli domando, in preda al dubbio.
Ci siamo sempre conosciuti solo come l’agente segreto e la versione femminile di James Bond, il nostro rapporto è sempre stato fatto di passione e adrenalina. Come ci abitueremo alla tranquilla vita coniugale?
Per tutta risposta Alex scoppia a ridere e mi abbracci di nuovo, così che entrambi guardiamo verso le tombe di Juno e Nat, che ci sorridono dalla fotografia.
- Annoiarsi con te vicino? Impossibile. E nel caso ti rammollisca, tua madre mi ha inviato una mail con una lunga lista di eventi a cui dobbiamo assolutamente partecipare…
Conoscendo il tipo di eventi imperdibili di mia madre mi scappa un gemito, poi entrambi ridiamo di nuovo.
In effetti, le possibilità di noia sono remote in una coppia come la nostra e se il bambino ha preso anche solo un po’ dai genitori, se ne vedranno delle belle.
- Ora sarà meglio andare, non vorrei che i tuoi si convincano che sono davvero morto – mi ricorda, sciogliendo l’abbraccio.
- Era una cerimonia molto convincente – gli faccio sapere, strappandogli un sorriso.
- Allora devo proprio dimostrarti quanto so essere vivo…
Mentre parla mi cinge i fianchi e mi bacia appena sotto l’orecchio, facendomi rabbrividire.
- Sei odioso…
Ma non è quello che penso. Quello che penso davvero è che non merito di essere così felice come ora.
 
Da allora il tempo è passato veloce come un treno. Due mesi dopo mi sono sposata su una spiaggia assolata della Florida. Non è dove abbiamo comprato casa, ma a Linda piaceva immaginare che sarebbe stata la testimone del mio matrimonio sulla spiaggia e visto che non ho potuto accontentarla sul primo punto…
È stata la sorella di Linda, Adriana a farmi da testimone, in ricordo della sorella ed è stato bello averla accanto quel giorno, perché si somiglia talmente tanto a Linda, sia dal punto di vista fisico che caratteriale, che è stato quasi come se ci fosse Linda in persona. E poi abbiamo parlato tanto della mi migliore amica, che era quasi un’invitata.
Al matrimonio ho anche conosciuto la famiglia di Alex. Come sapevo, sua madre non c’era perché è morta alcuni anni fa, ma sia il padre, un tipo duro e inflessibile con cui ammetto di non andare troppo d’accordo, sia i fratelli, due e entrambi molto simpatici, erano presenti e mi hanno accolta con calore, nonostante fossi già incinta (be’ se calore si può definire un cenno di assenso con la testa da parte di suo padre ma almeno non mi presa a male parole).
È stata una cerimonia semplice ma bellissima, piena di affetto e di lacrime, soprattutto quando Alex ha insistito per farmi la promessa all’americana e mi ha sorpreso con un fiume di assurdità dolcissime, e alla fine mi sono sentita perfettamente a casa, anche se ero a migliaia di chilometri da tutto quello che ho sempre chiamato casa.
La nuova casa poi si è dimostrata molto meglio di qualunque sogno mio e di mia madre, con le sue stanze enormi e luminose, piena di vetrate per poter godere della spettacolare vista sul mare, e con un bel giardino curato che di inverno si riempie di neve e sembra un’immagine da cartolina.
Non appena l’ho vista, ho capito subito che era perfetta per riempirla di bei ricordi di famiglia e non mi sono affatto sbagliata, anche se quelle vetrate negli anni ne hanno passati di brutti momenti, e poi è anche abbastanza vicina a un cottage che Alex ha regalato ai miei, così che non dovessi sentire la loro mancanza. Di fatto però mia madre si è praticamente dimenticata di me nel momento in cui ha scoperto di poter sfruttare al meglio la sua capacità di organizzare eventi perché gli americani ne organizzano in continuazione ed è sempre in giro a casa di questa o quella vicina a dare ordini e consigli.
Lentamente, mi sono fatta delle nuove amicizie, scoprendo anche se tardi, il piacere di un’esistenza normale in cui andare a prendere un caffè a casa di un’amica, chiacchierare con le altre future mamme nella sala d’aspetto del ginecologo e fare tutte quelle cose normali che non ho mai potuto realizzare perché dovevo nascondermi.
Ho addirittura potuto avere  delle carte di credito tutte mie e non devo travestirmi mai e nemmeno stare attenta alla forma… per un po’ me la sono proprio spassata, insomma.
Ho potuto farlo anche perché, per fortuna, Alex ha sì lasciato la CIA ma non ha deciso di fare il nullafacente e si è messo invece a fare lo scrittore. I risparmi che ha accumulato lavorando per la CIA ci permettono di non avere la fretta da stipendio e lui ha scoperto che gli piace raccontare delle sue missioni come se fossero romanzi. Lui dice che si è ispirato al libro di mio padre, io dico che gli ha rubato l’idea.
Per quanto mi riguarda invece, ho chiuso con i libri, i capitoli e le fonti. Da quando è nata Natalie mi sono letteralmente innamorata della mia bambina e per un po’ ho fatto la mamma a tempo pieno, poi ho deciso di sfruttare l’esperienza che mi ero fatta cercando i quadri di papà e sono diventata una vera cercatrice di opere d’arte, un lavoro perfetto per conciliare i tempi della famiglia, perché mi permette di lavorare quando posso.
E per fortuna ho scelto un mestiere tanto flessibile, perché a far compagnia a Natalie sono presto arrivati anche Jon e Amanda, come la madre di Alex. Avrei voluto chiamare una delle mie figlie Linda, ma Natalie ha di certo avuto un peso enorme nella mia scoperta dei sentimenti che provavo per Alex e volevo renderle omaggio per aver sacrificato la sua felicità con tanta naturalezza per uno degli uomini che amava. Mi è sembrato anche un bel modo di ricordare Juno.
Soprattutto però, l’aspetto che mi ha dato una felicità assoluta e pari solo alla gioia della maternità, è stato creare il mio rapporto con Alex.
All’inizio in effetti, non è stato affatto facile e come avevo previsto ogni discussione era battaglia. È ancora così, per carità, ma col tempo abbiamo imparato a non discutere se non per cose strettamente necessarie, a fidarci l’uno dell’altro e a saper leggere ogni dettagli dell’altro.
Ogni espressione, ogni gesto, ogni pensiero non detto sono diventati chiari e questo ci ha permesso di scoprire il lato più tenero di noi, di me soprattutto.
Non avrei mai pensato che mi sarebbe piaciuto così tanto restare a guardare un film sul divano o fare colazione insieme o fare i pupazzi di neve per i bambini, che mi sarei abituata così ai suoi baci e alle sue carezze.
La diffidenza che avevo imparato ad avere con Juno mi ha causato non pochi guai nella mia relazione, ma col tempo ho imparato a dimenticare Alexis Blendell e ad abituarmi alla nuova Debora Blendell, come ho deciso di chiamarmi in memoria di mia madre, dopo che Alexis Blendell è morta insieme a Giulio e Terenzio.
La cosa più difficile è stato abituarmi a pensare di essere la signora Hawthorne, dopo che anche Alex ha dovuto cambiare identità a causa della sua morte nell’incidente aereo, che la CIA ha preferito non smentire per evitare un mare di scartoffie, ma alla fine credo che non esista nome più bello di Debora Hawthorne, madre orgogliosa e moglie affettuosa.
Ogni tanto anche noi abbiamo avuto i nostri guai, come quella volta che Amanda giocando è caduta nella vetrata e si è tagliata dappertutto, o quando mio padre ha avuto un male alla gola che ci ha fatto temere il peggio e poi ancora quando la moglie di uno dei fratelli di Alex è morta in un incidente sul lavoro. Abbiamo avuto i nostri screzi e le nostre battaglie, ma ne siamo sempre usciti più forti di prima e non abbiamo mai dimenticato la fatica che ci è costato arrivare a questa felicità.
Ogni tanto, la vecchia Alexis Blendell riemerge da quel lago maledetto e spara di nuovo in sogno al perfido Richelieu, che ormai sconfitto la maledice insieme ai suoi figli… ma al risveglio la vita mi ricorda che per il momento, ho vinto io e intendo godermi la vittoria fino in fondo. Quegli incubi non sono che un prezzo irrisorio in cambio di tutto quello che Debora Hawthorne ha oggi.

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