Hard Times- tempi duri per Peeta Mellark

di luckily_mellark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno1- odio questo posto! ***
Capitolo 2: *** Giorno1- limonata e succo di mela ***
Capitolo 3: *** Giorno1- Birra e GinTonic ***
Capitolo 4: *** Giorno5- Acqua, farina, e disinfettante ***
Capitolo 6: *** acqua salata ***
Capitolo 7: *** antibiotici e lacrime ***
Capitolo 8: *** acqua fisiologica e radioattività ***
Capitolo 9: *** Brandy e Limonata ***
Capitolo 10: *** sambuca e pioggia ***
Capitolo 11: *** crema e soda ***



Capitolo 1
*** Giorno1- odio questo posto! ***


Scosto la sedia dal lurido tavolo della mensa e mi ci lascio cadere di peso, facendola scricchiolare paurosamente. Butto lo zaino a terra con poca grazia che è presto raggiunto dalla tracolla del mio migliore amico. Sbuffo tappandomi le orecchie per evitare quel fastidiosissimo vociare che invade i corridoi di questa dannatissima scuola tra mezzogiorno e l'una.

"Dio, odio questo posto" brontolo stravaccandomi per bene sulla sedia troppo piccola, allungando le gambe e invadendo il posto di fronte.

"spostati stupido. E poi è solo il primo giorno! Cominci troppo presto a lamentarti sai?" Johanna-la pazza- Mason, nonchè migliore amica del sottoscritto, butta giù i miei piedi dalla sedia e si accomoda scaricando il vassoio con l'hamburger e la coca sul tavolo di plastica

"buon giorno anche a te" replico, mimando il teatrale saluto con un inesistente cappello

"idiota" borbotta, azzannando letteralmente il panino pieno di ogni ben di dio

"voi non mangiate?" chiede, con la bocca piena

"il magnifico Finnick Odair che mangia? E chi l'ha mai visto? " guardo il mio migliore amico deridendolo, al che lui non fa altro che tamburellare il pugno chiuso sui suoi adominali scolpiti

"come credi che mi mantenga così in forma io, zuccherino?" spiattella baci volanti a tutto il vicinato e torna a sedersi, guardandosi intorno alla ricerca di qualcuno

"e tu mentecatto, non mangi?" Johanna torna a rivolgersi a me, indicandomi con un cenno del mento

"ora vado a prendermi qualcosa, stà tranquilla, non ti lascio da sola a mangiare" dico, cercando a mia volta qualcuno con lo sguardo

"ragazzi avete visto Annie?" domanda Finnick continuando a girare il capo a destra e a sinistra come un matto

"certo" ridacchio "ah e mi ha detto che ti molla e che non vuole stare con te perchè sei brutto"

"cosa?!??? ha detto che sono brutto?" rido come un matto alla sua espressione sconvolta e gli faccio una linguaccia

"non preoccuparti idiota sei bellissimo" chiudo gli occhi e sporgo le labbra mimando un bacio a cui Finnick risponde scherzoso da lontano

Annie entra poco dopo in sala mensa, con i fluenti capelli castani che le dondolano sulla schiena. È una ragazza minuta, esile e magra che nonostante tutto è diventata il capo delle cheerleader già al terzo anno. Finnick è pazzo di lei da tempo immemore ma è riuscito ad arrivare in prima base solo quest'estate: è stata l'unica ragazza con un briciolo di carattere a resistere così a lungo alle sue avances. C'è da dire che Finn, con i suoi capelli ramati e il suo fisico da dio greco è l'opposto di tutti gli altri bellocci di questa scuola: lui è gentile con le donne e le rispetta, e l'unico problema è che ha la fila di ammiratrici.

"ciao Annie" la saluto con un cenno della mano, mentre con grazia si appropria di una delle sedie del tavolo vicino e si siede con noi

"ciao ragazzi, ciao Jo. Come state?" la sua vocina delicata è, fortunatamente, un balsamo per le mie orecchie distrutte dal caos che regna in questa mensa già il primo giorno di questo fottutissimo ultimo anno di liceo. Sono arcistufo di starmene tra queste persone.

"Finn mi accompagni?" domando, speranzoso di non essere lasciato solo ad andare a prendere qualcosa da mettere sotto i denti

"certo fratello" sorride, e si alza affiancandomi verso gli enormi espositori di cibo da cui le inservienti prendono mestoli di sbrodaglie e sbobbe che noi poveri studenti dobbiamo ingurgitare. Continuo a guardare verso la porta, sistemandomi più volte la giacca da baseball con le iniziali della mia squadra preferita, faccio scrocchiare il collo e ruoto le spalle

"ehi amico, datti una calmata ok?" la pacca sulla spalla di Finn mi fa voltare verso i banconi, dove la fila di studenti affamati sta facendo scorrere i vassoi mano a mano più pieni.

borbotto un "scusa" verso il mio migliore amico e ordino un hamburger con bacon e formaggio, una limonata e un pezzo di torta.

"sono 10 dollari ragazzo" la voce rauca di Sae, o come la chiamiamo noi, Sae la zozza (perchè è sempre e perennemente macchiata di qualche cosa che ha cucinato poco prima) richiama la mia attenzione, che era tornata a concentrarsi su quella maledetta porta d'ingresso

"certo Sae" rispondo, rovistando nel portafoglio

"vedo che anche quest'anno hai la fila di ragazzine" continua la donna, facendomi notare un gruppetto di gentil fanciulle che mi continuano a fissare da tutto il giorno

"già... peccato che non ho chiesto io di averle" sussurro, sperando che non mi senta. Cosa che invece accade perchè con le sue mani grassocce mi da la seconda pacca sulla spalla della giornata

"non c'è la gallinella senza cervello che ti interessa?" ride, prendendomi in giro

"non è una gallinella senza cervello" rispondo irritato, cacciandole sul ripiano della cassa i soldi e avviandomi con Finnick alle calcagna verso il nostro tavolo, dove Annie e Johanna stanno parlando, alle quali si è aggiunto anche Cato, un ragazzo del terzo anno palestrato e arrogante che cerca di farsi amica Annie solo per riuscire a portarsi a letto Clove, la sua vice.

"Ehi fratello, ma che ti è preso?"

"nulla Finn, assolutamente nulla." rispondo infastidito.

"stammi a sentire un attimo, prima che arriviamo al tavolo. Non mi va che Jo senta quello che sto per dirti, ma da buon amico devo farlo." sospira, mettendomi la mano sulla spalla e guardandomi intensamente negli occhi

"ti prego non dirmi che sei gay e che vuoi baciarmi" faccio la finta faccia scioccata, una di quelle espressioni che metto su quando fingo che tutto vada bene ma nella realtà sto sprofondando in un baratro buio.

"stupido! Io sono serio per una buona volta quindi stammi bene a sentire" ripete

"ok parla" sbuffo

"quest'anno sarà diverso Fratello. All'ultimo anno cambiano sempre le cose! E anche tu riuscirai a parlarle senza che lei ti ringhi contro come un cane rabbioso." annuncia, sicuro di se.

Quanto vorrei avere la sua sicurezza. La mia popolarità in questa scuola è solo una facciata: non permetto a nessuno di conoscermi fino in fondo, non finchè non sono certo di potermi fidare, e per il momento, la storia della mia schifosa vita la sanno solo i miei due migliori amici, Johanna e Finnick. Per gli altri sono solo un ragazzo popolare e a quel che si dice ben dotato, viziato che ottiene sempre ciò che vuole.

Ma non è così.

"l'unica cosa che cambierà è che si metterà insieme a quel ragazzo, Gale o come si chiama, e io la continuerò a guardare da lontano come ho sempre fatto da due anni a questa parte. " arriccio il naso e storco gli angoli della bocca, spostando più volte gli occhi da Finn alla porta

"sei troppo pessimista Fratello, ti fai solo del male così!" sbuffa, avviandosi verso gli altri

"Finnick, Johanna ha ragione, dovrei lasciarla perdere una volta per tutte. Non ho speranze con lei" sconsolato, metto da parte l'orgoglio e mi disegno in faccia il sorriso più finto dell'universo.

Mordo il panino e quasi mi soffoco quando una voce dall'ingresso mi chiama, facendo inevitabilmente girare tutti

"Peetaaaaaaa"

Dimenticavo, c'è un'altra persona che sa tutto di me, ma a lei non ho avuto bisogno di raccontare nulla perchè siamo cresciuti insieme: lei è Delly Cartwright e provo per lei lo stesso amore che si prova per una sorella estremamente petulante.

Si getta tra le mie braccia e solleva i piedi mentre la abbraccio e le faccio fare un giro completo. È più piccola di me di un anno, bionda, riccia, spalle strette e bacino prosperoso, ma non esagerato, insomma è formosa e ha tutte le curve al posto giusto. Il che fa di lei una ragazza desiderabile e desiderata da un sacco di ragazzi male intenzionati che scatenano la mia gelosia da fratello maggiore.

"come stai?" le domando, trattenendola ancora tra le braccia. È da una vita che non la vedo perchè è stata in Europa tutta l'estate.

"io benissimo e tu? Non mi trovi abbronzata?" il suo sorriso smagliante è contagioso e annuisco prendendola sottobraccio per accompagnarla al tavolo dove ero seduto con gli altri.

Non so esattamente cosa, ora che sono con la compagnia perfetta, mi spinga a lanciare un'ultima occhiata alla pesante porta d'ingresso al salone affollato e caotico, eppure lo faccio. E quello che vedo fa sfiorire il sorriso appena nato.

Sta accadendo quello che ho sperato per tutto il giorno, e ora che avviene, succede tutto nel modo sbagliato.

Lei, Katniss Everdeen, entra nella mensa facendo ondeggiare la sua treccia castana sulla spalla esile, coperta da quei vestiti troppo larghi per un corpo così gracile. Quello stesso corpo che fin troppo spesso accende le mie fantasie. Il problema è che attaccato a lei c'è Gale Hawthorne, il ragazzo dal quale non si separa mai.

Deglutisco a fatica, e sento le mani sudare quando i nostri sguardi si incontrano, nel suo consueto giro di perlustrazione della sala.

Ci fissiamo per qualche istante, e non importa se a separarci ci sono trenta o trentacinque metri, saprei riprodurre alla perfezione quegli occhi grigi che ho visto da vicino soltanto una volta. Iridi azzurre in un mare sconfinato di grigio.

E forse mi sono soltanto immaginato il leggero rossore sulle sue guance, perchè mentre io me ne sto li impalato al centro della sala, lei fa una smorfia e passa oltre, prendendo il braccio del suo amico e portandoselo sulle spalle. Mi getta un'ultima occhiata disgustata, con la sua espressione truce, prima di girarsi per raggiungere il tavolo dei suoi amici.

"Mellark, credi di riuscire a muove il culo e venire a mangiare?" Johanna mi richiama alla realtà, che arriva come una secchiata d'acqua gelida in faccia.

Mi siedo di nuovo e faccio scivolare il vassoio lontano da me; mi sento male, davvero. Ho lo stomaco in subbuglio la bile sta salendo incontrollata.

"credo che andrò a vomitare" respiro a fondo, mi tappo le orecchie con le mani e chiudo gli occhi, mentre ogni cosa intorno a me vortica, prendendo una brutta piega. Vorrei tornarmene a casa, stendermi a letto e infilarmi le cuffie, lasciando quella ragazza una volta per tutte fuori dalla mia testa. Ma so che non è possibile.

Intanto tutti gli altri mi stanno a guardare.

 

 

Mi chiamo Peeta Mellark, ho 18 anni e frequento l'ultimo anno di liceo in una sperduta città del nord america. E questa è la mia vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A

nuova ff a capitoli, un pò particolare devo ammetterlo. Come avrete capito, è scritta dal punto di vista di Peeta, un diciottenne in piena crisi adolescenziale, ormonale e quant'altro quest'età comporti, alle prese con degli amici strani e con una vita da "bello e popolare" che non ha fatto nulla per meritarsi. Spero di avervi incuriosito, almeno un pò, spero che questa mia nuova idea vi piaccia. Premetto che ho preso spunto, come avrete notato dal titolo, da una serie tv che si chiama appunto Hard Times, ma che con questa ha veramente poco a che spartire. Si tratta, ovviamente, di un AU ambientata in america, dove esistono quegli apparentemente fighissimi licei (High School) e College, con gli armadietti e tutto il resto.

Detto questo....

Ho apportato un piccolo (o meglio dire ENORME) cambiamento ai personaggi rispetto al libro della Divina Suzanne: ebbene, non ho rispettato le età originali. Con questo vi prego di non uccidermi, ma Katniss ha la stessa età di Delly, Johanna e Cato, sono al terzo anno ( ossia il penultimo) e hanno 17 anni; Peeta, Gale e Finnick e Annie invece ne hanno 18.

 

Fatemi sapere cosa ne pensate, recensite in tanti mi raccomando anche se è solo il primo capitolo.... vorrei tanto sapere quali sono le coppie che shippate di più!

Grazie in anticipo a chi dedicherà tempo a questa storia, anche solo per dirmi che è un'idea orribile, se lo è...

mille bacioni

sempre vostra

Luckily

 

P.s. (per chi mi segue già in altre storie)

tranquilli! Continuerò presto anche con it's a new dawn of fire e Unknown Emotions promesso!

 

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Capitolo 2
*** Giorno1- limonata e succo di mela ***


"credo che andrò a vomitare" respiro a fondo, mi tappo le orecchie con le mani e chiudo gli occhi, mentre ogni cosa intorno a me vortica, prendendo una brutta piega. Vorrei tornarmene a casa, stendermi a letto e infilarmi le cuffie, lasciando quella ragazza una volta per tutte fuori dalla mia testa. Ma so che non è possibile.

Intanto tutti gli altri mi stanno a guardare.

 

 

“Peeta che sta succedendo?” la voce di Delly mi fa aprire pigramente una palpebra, che poi richiudo con un sonoro sbuffo.

“sono solo stanco, non preoccuparti. Non ho dormito molto nelle ultime notti” fingo anche con lei e mi sento un verme, perchè non le ho mai nascosto nulla. Mi riprometto di raccontarle la verità più avanti, quando saremo soli.

“troppo impegnato a darti da fare con le gemelle Leeg, Mellark?” Cato se ne esce con una delle sue infantili e stupide frasi ad effetto con il solo scopo di farmi sentire ancora più male.

“non si stava facendo nessuno, idiota. È stato con me tutte le sere” Finnick interviene in mio soccorso e ringrazio il cielo di avere un amico come lui che mi copre le spalle. Non è vero che sono stato con lui, la realtà è che io e lui non usciamo da troppo tempo: io sono impegnato a lavorare e lui finge per proteggere me. Nessuno qui dentro deve sapere che lavoro, né dove lavoro, né che cavolo faccio per mantenermi. Odio che i miei fatti personali vengano spifferati a tutti e in questo posto, quando sei popolare, la vita privata va tenuta stretta.

Cato tace e io godo nel vedere con la coda dell'occhio la sua espressione amareggiata e delusa per non avermi fatto parlare di nulla di scottante.

Mi alzo dalla sedia e raccatto da terra lo zaino con i pochi libri che ci hanno costretto a portare oggi, la limonata dal vassoio e mi avvio senza salutare nessuno verso i corridoi. Non vedo l'ora di essere fuori di qui.

Dietro di me sento Johanna e Delly chiamarmi a gran voce, ma faccio finta di nulla. Non ho voglia dell'allegria della mia “sorellina” e della spietatezza sprezzante della mia migliore amica. Alzo semplicemente la mano senza voltarmi, in segno di saluto, tanto per avvisarle che le sto deliberatamente ignorando.

Sorseggio la bibita che frizza dolcemente sulle mie papille gustative, lasciandomi il retrogusto acidulo del limone mentre cammino a grandi falcate costeggiando gli armadietti rossi e argento della scuola. Ho tutta l'intenzione di andarmene in palestra a rilassarmi un po' sugli spalti, prima dell'inizio della sessione pomeridiana delle lezioni. Ho ancora tre ore prima di potermene tornare a casa,ma mi resta ancora un'ora di pausa pranzo.

Svolto nel corridoio a sinistra, salgo le scale facendo i gradini a due a due e imbocco il corridoio dove si trovano le aule. In questo momento questa zona della scuola è deserta, perchè tutti gli studenti preferiscono uscire e mettere quanta più distanza tra loro e i banchi. Ma a me piace questa calma e a discapito delle apparenze amo molto di più il silenzio di un corridoio vuoto al frastuono allegro del giardino pieno di miei coetanei. Mi fermo a guardare tutti i manifesti che troneggiano sulle pareti, dai cartelloni dei concorsi ai vecchi manifesti elettorali per eleggere i rappresentanti d'istituto o il re e la regina dei balli. Molte volte ci sono stato anche io la sopra, ma poco mi importava se vincevo o meno, non accompagnavo mai davvero nessuna per il puro piacere di farlo: le prime volte usavo la mia popolarità come qualunque altro adolescente in totale iperattività ormonale avrebbe fatto, ci andavo solo con la speranza di portarmi a letto qualche innamorata donzella. Ora invece, che nella mia testa c'è sempre e solo lei andare a quegli stupidi eventi mi scoccia e mi deprime. Soprattutto perchè lei non viene quasi mai. E alla fine mi ritrovavo a braccetto con una Delly troppo poco vestita per i miei gusti, perennemente attratta da ragazzi più grandi di lei come i miei occhi erano attirati dalle sue scollature esagerate. Ammetto di aver pensato alla mia piccola petulante “sorellina”, come amo definirla anche se non abbiamo alcun legame di sangue, in quel senso, perchè si, è sempre stata una bella ragazza, ma ogni volta che immaginavo qualcosa di più mi disgustavo.

Me ne sto davanti alla targa che porta inciso il mio nome, un trofeo che vinsi un paio d'anni fa in un concorso di matematica, proprio davanti alla porta della palestra. Lo osservo, in tutte le sue sfaccettature dorate e mi convinco ogni volta di più che è stato un bene portarlo qua, perchè a casa, mamma lo avrebbe rovinato.

Mi stringo più forte nella giacca e nemmeno mi accorgo del sibilo acuto che la porta di metallo che fa da accesso agli spalti produce aprendosi. Il colpo secco che ricevo sulla schiena mi informa di essermi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Gemo, massaggiandomi la spina dorsale e flettendomi un po' avanti e un po' indietro per diminuire il dolore

“Ommioddio Scusami!” la vocina angelica di una ragazzina mi fa girare. La sua espressione preoccupata e realmente dispiaciuta è incastonata in un visino piccolo dalla pelle candida, attorniato dai capelli biondi acconciati in due trecce che le ricadono dietro le spalle.

“stai bene?” chiede, ha gli occhi lucidi e temo stia per mettersi a piangere. Deve essere certamente del primo anno

“stavo meglio prima, ma non fa nulla non preoccuparti” rispondo, appoggiandomi al muro per guardarla meglio. Indossa una maglietta semplice, con una stampa carina di una capretta con un cappello, un paio di Jeans non troppo stretti e delle sneakers rosse allacciate fino alla caviglia. È così graziosa che non riesco proprio a pensare che sia una sfigata, nonostante l'abbigliamento la classifichi come tale. Qua, in questa patetica scuola, come ti presenti è tutto. E tu ragazzina non farai un bel successo tra i tuoi compagni, se continui così.

Le sorrido quando si sporge per toccarmi, ma mi ritraggo.

Sono stupito dalla sua audacia, o dalla sua ingenuità, non saprei dire quale delle due, perchè generalmente nessuno ha il coraggio di toccarmi per primo per paura delle voci che potrebbero circolare.

“mi dispiace molto” ripete, mordendosi il labbro.

“non preoccuparti” la rassicuro, notando che mi sta squadrando anche lei da testa ai piedi. Spero con tutto il cuore che non assuma quell'espressione di adorazione che quelle del primo anno di solito mettono su quando io o Finnick passiamo, quando avrà finito. Ma per il momento le faccio fare con comodo.

“come ti chiami?” le chiedo, cercando di far ritornare la sua attenzione sul mio viso e non sul mio corpo

“Primrose” risponde sicura “ma tutti mi chiamano Prim”

“bene” le tendo la mano, nel tentativo di mettere a proprio agio questo angioletto che mi sta di fronte

“allora io ti chiamerò Rose, come la protagonista del Titanic” accenno un sorriso sbilenco quando mi guarda stranita

“non è certo la Rose del cinema che fa la fine migliore” dice, assumendo quel tono da saputella che nessuno mai ha il coraggio di usare con me. E mi piace. Mi piace da impazzire

“uno a zero per te” mi gratto il mento con l'indice, perplesso ” mmm come preferisci che ti chiami allora?” ridacchio

“Prim o Rose, a me non fa differenza. Scegli tu” sorride mostrando la dentatura bianca e perfetta

“uno a zero per te, Rose” le faccio l'occhiolino e entro in palestra voltandole le spalle.

“ehi aspetta un secondo” mi chiama a gran voce dal corridoio, dove l'eco la rende quasi una minaccia. Mi volto per tornare ad osservarla, e noto che si sta torturando le mani

“dimmi Rose” rispondo, cercando di non suonare svogliato

“sapresti dirmi dov'è la sala mensa? Mi sono persa” non mi guarda nemmeno ma posso immaginare il rossore e l'imbarazzo sulle sua guance diafane. Sorrido e mi avvicino a lei posandole una mano sui capelli con fare gentile

“seguimi, ti ci porto io”

sussurra un grazie e cammina lungo il corridoio da dove sono venuto.

“allora Primrose, come sta andando il primo giorno di scuola?” domando, tanto per intavolare una conversazione con la più interessante ragazza del primo anno che abbia mai incontrato, e che non mi sia caduta immediatamente ai piedi, dopo Katniss ovviamente

“oh benissimo!” piega le labbra in un sorriso smagliante che non posso fare a meno di condividere.

Oh cara Primrose, ti accorgerai che la tua vita sarà un inferno qua dentro.

“ho iniziato con la mia materia preferita, biologia, e poi con matematica, che non ci capisco niente, ma la professoressa Seeder è simpatica e poi ho avuto un'ora di educazione civica” saltella al mio fianco e il suo entusiasmo sarebbe palese anche ad un cieco.

“ti sei divertita allora” mi rimetto le mani nelle tasche della giacca e continuo a sorridere.

Non so perchè sto dando tanta confidenza ad una ragazzina di quattro anni più piccola di me durante il suo primo giorno di scuola e che nemmeno mi chiede come mi chiamo, perchè probabilmente lo sa già. Ma i suoi occhi, di un azzurro che assomiglia tanto ad un cielo nuvoloso a discapito della sua solare e snaturata voglia di vivere, mi ricordano un altro paio di occhi, che non so bene a chi attribuire. Forse la loro forma, forse le ciglia lunghe e ricurve mi tengono attaccato a questo angioletto fintanto che non scoprirò a chi somigliano.

Senza nemmeno accorgermene abbiamo raggiunto le scale e mentre io scendo rapidamente i gradini, lei fa una cosa totalmente inaspettata: si siede sul corrimano centrale e dopo aver controllato che non ci siano professori nei dintorni si lascia scivolare fino in fondo, ridendo come una pazza.

“ho sempre voluto farlo!” sospira, mentre io la raggiungo. Poi tornando a fissarmi, fa un aggraziato balzo per scendere e atterra come una ballerina sulle punte. Mi fermo a pensare che le basterebbero un paio d'ali e sarebbe davvero un angelo.

“di qua” le faccio cenno di seguirmi e svoltiamo in un attimo nel corridoio degli armadietti

“quella porta laggiù in fondo è quella della mensa” indico e lei annuisce

“grazie.... ma come hai detto di chiamarti?” aggrotta le sopracciglia e io non potrei essere più felice di questa domanda

“Peeta” rispondo euforico, per la prima volta da mesi.

“allora grazie Peeta. Ma tu non vieni a mangiare?” oltre che intelligente è anche curiosa

“no, non ho fame. Ci vediamo in giro Rose” l'occhiolino mi viene spontaneo,forse per la troppa abitudine a salutare così le ragazze, ma mi pento subito di averlo fatto. Perchè quando la guardo di sfuggita da sopra la spalla, noto con dispiacere che ha messo su quell'odiosa espressione di chi mi ha appena classificato per il mio corpo e non per il mio cervello.

Scuoto la testa sconsolato e torno alla palestra.

Mi siedo sugli spalti e infilo le cuffie, mentre il senso di nausea mi assale di nuovo, prepotente e insistente. Sarà già una conquista se non vomiterò in classe tra mezz'ora. Reclino la testa e i capelli biondi si spargono sul cemento delle gradinate.

Dio, odio questo posto. Odio lei perchè mi attira troppo. E odio essere popolare.

Torno a coprirmi gli occhi con la manica della giacca e cerco di rilassarmi.

 

“hey Peeta! È una vita che ti sto cercando!” la voce di Finnick mi risveglia e mi riporta ancora una volta in questo schifoso mondo

“volevo stare da solo Finn” scocciato lo guardo, sperando che capisca l'antifona e se ne vada

“tempo scaduto bello mio. Ora io e te parliamo un po'. È un vero peccato che non ci siano birre qui dentro ma ti ho portato la cosa che ci assomiglia di più per il colore” mi porge la lattina e la apro, poi guardo l'etichetta

“succo di mela?davvero?” lo canzono e lui fa la faccia da saputello

“certo! È buono, è dolce, è salutare e non fa la schiuma. Tutto l'opposto della nostra amata birra!” sghignazza e io scuoto la testa per l'ennesima volta, tracannando un po' del dolce nettare che il mio migliore amico mi ha portato.

“allora Fratello... Perchè te ne sei andato così di corsa?” chiede, osservando gli striscioni che riempiono il soffitto alto

“cioè ho visto come ti ha guardato, sembrava voler incenerirti, ma non mi sembra il caso di fare un scenata”

“in quanti hanno visto tutto?” domando, prendendomi la testa dolorante tra le mani

“fortunatamente solo io, Johanna e Delly abbiamo capito cosa è successo, ma in molti sono rimasti stupiti dalla tua fuga. Anche Lei.” spiega giocando distrattamente con il bordo della maglia

“lei? E perchè sarebbe dovuta rimanere sorpresa? In fondo mi odia, non gliene frega nulla di me” sbuffo, riprendendo a sorseggiare il succo dalla lattina fredda

“questo non lo amico. Ma ho fatto delle ricerche” dice poi, tutto d'un tratto

“che tipo di ricerche?” chiedo, incerto

“su di lei intendo. Sulla tua misteriosa Katniss Everdeen. Ho indagato un po' in giro senza far trapelare nulla, tranquillo”

“dubito che tu possa dirmi qualcosa di lei che già non so o che non mi farà stare ancora peggio. E comunque sfortunatamente non è mia, perchè se fosse mia me la terrei ben stretta.” alzo le spalle e appoggio i gomiti nel gradone dietro di me, allungando e stiracchiando le gambe “in ogni caso... spara, ti ascolto”

“da dove cominciare, vediamo” si gratta il mento dove è appena accennata la barba chiara “per prima cosa ha una sorella più piccola ma non sono riuscito a capire come si chiama, mi dispiace”

“mmm, interessante.” annuisco, continuando a sorseggiare il succo troppo dolce

“poi ha dei problemi in matematica e geometria ma per il resto è un'ottima studentessa”

non ci guardiamo, io e Finnick, fissiamo a vuoto il soffitto della palestra mentre parliamo come solo due migliori amici sanno fare.

“va avanti” lo sprono

“lei e Gale non stanno assieme” ride, e io questa volta scatto in piedi e sgrano gli occhi

“ne sei sicuro?” quasi urlo

“nessuno li ha mai visti baciarsi e poi sono riuscito a parlare con la Undersee che ha confermato tutto” sorride guardandomi dal basso verso l'alto dietro a quell'intrico di lunghe ciglia chiare che si ritrova

“wow” mi gratto la nuca, visibilmente sollevato “Fratello ti adoro”

“oh ma ho un'altra notizia per te, non essere così felice” mi rimetto seduto e me ne torno zitto

“ha perso suo padre e lavora in un bar per mantenere la sua famiglia”

“oh si” rispondo, tutto d'un tratto cupo

“è proprio in quel bar che ci siamo conosciuti”

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A

 

Hihihihi OPS! Non vi ho ancora detto come si sono conosciuti!

Curiosi?? bhè, visto che sono cattiva ( ma non troppo) vi dirò tutto nel prossimo capitolo!

Suona strano Rose vero? Anche a me all'inizio lo ammetto, ma nessuno sa che è la sorella di Katniss e a Peeta soprattutto piace distinguersi, quindi cosa c'è di meglio di un nuovo accattivante soprannome temporaneo?

 

Ringrazio le meravigliose persone che hanno letto il primo capitolo e lo hanno commentato, ma mille grazie anche ai lettori taciturni ovviamente.

Ammetto che shippo tutte le coppie che mi avete detto, Finnick&Annie, Cato&Clove, Katniss&Peeta ovviamente e soprattutto!

 

Per quanto riguarda le domande che mi sono state poste, ho una sola cosa da dire: abbiate pazienza, nel prossimo capitolo vi verrà svelato il mistero del perchè Katniss sembra essere tanto ostile al nostro bel Peeta... e il prossimo capitolo arriverà presto, promesso!

Un caloroso abbraccio

Luckily

 

P.s.

Vi adoro !!!!!!! 

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Capitolo 3
*** Giorno1- Birra e GinTonic ***


lei e Gale non stanno assieme” ride, e io questa volta scatto in piedi e sgrano gli occhi

ne sei sicuro?” quasi urlo

nessuno li ha mai visti baciarsi e poi sono riuscito a parlare con la Undersee che ha confermato tutto” sorride guardandomi dal basso verso l'alto dietro a quell'intrico di lunghe ciglia chiare che si ritrova

wow” mi gratto la nuca, visibilmente sollevato “Fratello ti adoro”

oh ma ho un'altra notizia per te, non essere così felice” mi rimetto seduto e me ne torno zitto

ha perso suo padre e lavora in un bar per mantenere la sua famiglia”

oh si” rispondo, tutto d'un tratto cupo

è proprio in quel bar che ci siamo conosciuti”

 

 

 

 

“sai Peeta che non mi hai mai raccontato cosa è successo? Cioè, non che me ne freghi fratello ma, bhe insomma, mi mancano argomenti per prenderti per il culo quindi...” torna a farsi vedere quel sorrisetto ironico e storto che Finnick mette quando fa finta di non essere interessato a qualcosa. Il professor Beete dice che c'è sempre una falla nel sistema, e questa è la sua.

“facciamo che te la racconto, ma resta tra noi?” gli allungo la mano, come se fosse un patto

“col cavolo! Io voglio qualcosa per cui sfotterti amico! Però voglio sentire questa storia” ride e incrocia le braccia al petto

“e se ti raccontassi questo, e poi qualcos'altro?” incalzo

“affare fatto amico, ma vedi che sia qualcosa di interessante” stringe la mano con forza e la scuote, sporgendo leggermente il labbro inferiore.

“Ora?” chiedo

“immediatamente. Tra poco la campanella suona e io ho algebra, mi serve un diversivo” sogghigna

“ok... allora, da dove posso cominciare?....mmm” rimugino cercando un modo sensato per raccontare quello che è successo quella sera

“magari comincia dall'inizio e finisci dalla fine Peeta, almeno ci capisco qualcosa”

“grazie per il suggerimento, Genio” lo guardo di sbieco, facendo scoppiare a ridere prima lui e poi me

 

 

“lei lavora in un bar piuttosto squallido, alla fine di Washington Street.Non so hai presente quel locale con le grate alle finestre e la porta girevole di legno, con l'intonaco scrostato di un verde rancido” spiego, gesticolando vagamente con la mano per farmi capire

“davvero? Lavora in quel postaccio?! Ero convinto che nemmeno i topi ci andassero” fa la faccia schifata e si tappa il naso con il pollice e l'indice sventolandosi l'altra mano davanti come a scacciare un fetore immaginario

“e invece, a quanto mi è parso l'unica volta in cui ci sono entrato, è piuttosto popolare tra la brutta gente. Si chiama Hob, e, Cristo santo, non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico, Fratello. Nemmeno al mio peggior nemico. “

torno a poggiare i palmi delle mani davanti agli occhi, perchè, mentre racconto, la scena di quell'orribile giorno mi si para davanti come se fosse successa ieri. I colori, gli odori, i rumori sono talmente reali tra i miei ricordi.

“e tu come cavolo ci sei finito li dentro, Amico?” domanda, e io mi bagno le labbra con il succo prima di continuare

“ fuori stava diluviando, le strade erano allagate e io ero a fare commissioni con mio fratello Rye per conto di mio padre. Era l'unico posto che alle undici di sera fosse aperto per potersi riparare. Così siamo entrati”

“io avrei preferito prendermi la pioggia” scherza Finnick, ma lo liquido con un'occhiataccia e un

“vuoi che continui la storia? Se non la smetti di interrompermi giuro che non ti racconto più nulla”

“okok, sta calmo e continua, sto zitto, lo giuro” fa finta di chiudersi la bocca e gettare via la chiave, al che io lo ringrazio con una potente, forse troppo potente, pacca sulla spalla

“forse avremmo davvero fatto meglio a bagnarci sotto il temporale, o forse no. Comunque sia, quel posto sapeva di fumo, tabacco e sigari, e alcol, tanto tantissimo alcol. Ancora mi vengono i conati a ripensare a quel tanfo. Ci siamo seduti ad un tavolino che dava le spalle all'unica vetrata del locale, un mosaico lugubre e colorato che filtrava la poca luce dei lampioni. Tutti ci guardavano male, e al loro posto, credimi, lo avrei fatto anche io. Fidati di me, quando ti dico che quello non è posto per gente come noi. Avevo i brividi e mi sentivo gli occhi di tutti incollati alla schiena, ero congelato sulla sedia. E quando un omone con i baffi scuri arricciati e il grembiule sporco di grasso e maionese è venuto a chiederci le ordinazioni, con il suo blocchetto per appunti in mano, pensavo di morire, o quantomeno di svenire da un momento all'altro.”

“il grande Mellark che se la fa sotto? Oh questa si che è una notizia Fratello! Una vera bomba cazzo!” esclama alzandosi in piedi e puntandomi il dito contro

“ok ora non ti racconto più nulla, imbecille che non sei altro.” esclamo alzandomi a mia volta e afferrandolo per il colletto della maglia presumibilmente nuova di zecca

“sta calmo Peeta, ti prego non fare così, mi dispiace” lo lascio andare e mi risiedo, prendendo a torturare i ricci biondi che questa mattina ho impiegato tanto tempo a sistemare con il gel a tenuta extra forte.

“Katniss è tornata con il Gin Tonic di Rye e la mia birra. Le portava su un vassoio tondo, con una sola mano, mentre con l'altra cercava di spostare le manacce dei clienti ubriachi del bar che cercavano di toccarla. Ricordo che in un primo momento mi ha fatto pena, una ragazza così minuta in un postaccio come quello. Poi ha cominciato a farsi rispettare, ha alzato la voce. E sembrava spropositata una determinazione di quella portata per un corpo così esile. Mi ha solo incuriosito, all'inizio, devo ammetterlo. Poi però, ancora non so bene come, mentre cercava di scacciare l'ultimo uomo e le sue avances, il vassoio è andato a sbattere sul vetro che si è prima incrinato e poi frantumato in mille pezzi.” rabbrividisco al solo pensiero, perchè vorrei che non fosse mai successo. Se tutto questo non fosse capitato, forse avrei continuato la mia vita da teenager in crisi ormonale, scopandomi ragazze da una notte e continuando ad accompagnare Delly al ballo scolastico. Magari di lei non mi sarei nemmeno mai accorto. E invece, purtroppo, è tutto vero

“ quando ho visto la prima crepa sono corso da lei e l'ho stretta tra le braccia, e il vetro si è frantumato sulla mia schiena e sulle poche sedie vuote attorno a noi. Io non mi sono fatto che qualche graffio, lei per fortuna ne è rimasta indenne, o quasi. Bhe insomma, aveva un piccolo taglio sulla fronte ma nulla di grave o preoccupante. In ogni caso, l'intero locale si è girato a guardarci, ma io non avevo occhi che per lei. Continuavo a tenerla stretta a me, e il suo corpo combaciava con il mio alla perfezione, tanto bene che è quasi doloroso ricordarlo ora. Il suo corpo Finnick è …. è ...” balbetto, sognante e amareggiato al tempo stesso, cercando di ricordare quella sensazione paradisiaca e, cazzo, irripetibile.

“oh il suo corpo,,, mmm si, il suo corpo oh!” mi scimmiotta quell'imbecille del mio migliore amico, facendomi riscoprire le mie recondite tendenze omicide

“idiota. Finnick, sei solo un grande, immenso, incredibile idiota.” ride come come un pazzo ora, facendomi alzare gli occhi al cielo

“anche se fai tanto lo spiritoso lo so che mi capisci. Con Annie è stata la stessa cosa per te, se non sbaglio?” ovviamente so di non sbagliare, perchè le sue moine per quella cheerleader sono durate secoli, e le mie non sono nulla in confronto

“ok Peeta, hai vinto. Lo facevo anche io. Ma sono certo che tu, a differenza mia, non ti ricordi cosa indossava quel giorno” dice

“canottiera scollata nera con profili di pizzo, jeans attillati slavati di un azzurro chiaro” ribatto

“o come era pettinata” insiste

“aveva la treccia che le cadeva spettinata sulla spalla destra, il ciuffo le ricadeva sugli occhi ed era in parte tenuto su da una forcina” rispondo

“o, per esempio, non avrai notato che scarpe indossava” continua, cercando un punto debole che però non trova, perchè mi sono ritrovato a fissare quelle scarpe a lungo, bagnate di birra e Gin Tonic

“nike blazer grigie in camoscio. Erano distrutte.”

“visto che l'hai osservata così bene mi vuoi cortesemente spiegare perchè diavolo ti odia in quel modo visto che gli hai risparmiato di finire al pronto soccorso?” la domanda è lecita, questo è certo, ma se nemmeno io sapessi la risposta?!

“non lo so Finn, non ne ho davvero idea. “ scuoto la testa mentre la campanella di fine pausa pranzo suona insistentemente.

“mentre andiamo in classe mi spieghi che cavolo è successo dopo? Magari ci capiamo qualcosa insieme! Due cervelloni al posto di uno funzionano meglio non credi?” si alza e mi porge la mano per aiutarmi a mettermi su due piedi a mia volta

“forse volevi dire che il mio cervellone e il tuo cervellino possono aiutarsi a vicenda” scherzo e lo scapaccione non tarda ad arrivare sulla mia nuca. Sospetto di avere il collo completamente rosso ora.

“ok me lo sono meritato” ridacchio aprendo la porta della palestra per svoltare nel corridoio ormai affollato di studenti e studentesse in preda a quello che noi dell'ultimo anno chiamiamo PanicoDaPrimoGiornoDiScuola.

“allora biondino mi vuoi mettere al corrente di quello che è successo dopo la frantumazione della povera e innocente vetrata e quel magico contatto corpo a corpo che avete avuto?” immagino stia continuando a prendermi in giro, con quel tono sognante

“il capo, l'uomo baffuto che, tra parentesi, da vicino era ancora più spaventoso, è corso da noi e ha afferrato Katniss per un braccio facendole male. Allora io e Rye siamo intervenuti ma ci ha cacciato via in malo modo promettendo alla ragazza che avrebbe usato i suoi stipendi dei tre mesi successivi per ripagare il danno e poi l'avrebbe licenziata. Fratello, dovevi vedere la sua faccia. È sbiancata, si è morsa un labbro e aveva gli occhi lucidi, ma non ha versato nemmeno una lacrima. Era scioccata. Letteralmente scioccata, sembrava non connettere più.” mi blocco in mezzo all'ala dove ci sono gli armadietti e afferro per le spalle il mio migliore amico, e lo scrollo come se il pazzo fossi io, e forse davvero lo sono, visto e considerato il modo in cui sto raccontando questa storia che mi fa stare male solo al pensiero. Finn non dice nulla, lascia che mi calmi, limitandosi a guardarmi di sbieco

“e che è successo alla fine?” domanda, incuriosito quando, ripresomi, mi appoggio al metallo del mio piccolo ripostiglio personale

“mi sentivo in colpa e siccome l'ordinazione era per me ho pagato il conto della vetrata, in modo che non potesse detrarlo a lei. Non so perchè, ma ho avuto la sensazione che quei soldi che si guadagnava, per lei fossero questione di vita o di morte.”

“non è stata una grande mossa Fratello. Affatto. Ora lei penserà che oltre ad essere popolare e figo, tu sia anche spropositatamente ricco.” afferma, avviandosi verso le aule. Lo seguo dopo aver preso il mio libro di geometria e algebra

“ma non lo sono Finnick! Ho messo tutti i risparmi di una vita per ripagare quel casino!” esclamo, furioso col mondo

“ma lei non lo sa.”

ringhio come un cane rabbioso e prendo posto in classe, come al solito a me e allo scemo del mio compagno di avventure tocca la prima fila.

“in ritardo anche quest'anno signor Odair e signor Mellark?! “ nemmeno mi ero accorto della professoressa Trinket.

“ci scusi professoressa. Abbiamo aiutato una ragazzina del primo anno a trovare l'aula di biologia” invento una scusa ricordandomi di quell'angioletto di Primrose, magari lei non mi tradirà se la Trinket andrà a chiederle conferma, come al suo solito

“e chi sarebbe questa dolce fanciulla, sentiamo?” come immaginavo ha intenzione di indagare e io non ho altre possibilità che mettere in mezzo quella povera ragazzina

“Primrose, ma non so il cognome in realtà. Non me l'ha detto, professoressa. So che frequenta la classe della professoressa Seeder.”

bene. Ho spifferato al mondo tutto quello che so sull'angioletto dalle trecce bionde. E adesso?

“controllerò, signor Mellark, glielo assicuro. E se la sua versione non corrisponderà si aspetti pure delle conseguenze. Chiaro?”

annuisco, digrignando i denti. Ho già il mio bel da fare alla panetteria, quindi meglio per lei che quella bambina mi regga il gioco altrimenti me la pagherà. Non importa quanto piccola e graziosa sia.

Quando la Trinket si gira, dopo aver annunciato la sua “Grande Grande Grande e favolosa lezione” do una pedata a Finnick per farlo girare verso di me e continuare il discorso.

“ehi” sussurro “ehi Finn!”

ma non mi risponde, troppo assorto a disegnare A giganti contorniate da cuori altrettanto giganti sull'angolo del suo libro nuovo di algebra

“Ehiiii” torno a sussurrare “pssss “

finalmente si gira, come risvegliato da una trance secolare

“halleluja. Ti sei girato finalmente!”

parlando così piano durante le lezioni io, Finnick e Johanna abbiamo imparato a leggere il labbiale

“che vuoi?” mima

“pensi che possa riuscire a sistemare le cose con Katniss?” chiedo, forse a voce un po' troppo alta perchè la professoressa mi richiama stizzita

“scusi Mrs Trinket” guardo Finnick di sfuggita e lo vedo sghignazzare.

Ok è definitivo. Io lo uccido.

Per il resto dell'ora seguo la lezione come un bravo studente dovrebbe sempre fare, prendo appunti, ascolto la voce stridula dell'insegnate e memorizzo i passaggi più importanti di questo dannatissimo calcolo integrale.

 

 

 

Quando esco, Finnick mi afferra per le spalle e mi blocca

“Fratello ho un piano per rimettere le cose apposto”

ODDIO NO.

“cioè.... si, bhè, pensandoci ha ragione ad essere arrabbiata con te, non ti pare?”

mi prende in giro.

“se pensassi che avesse ragione non sarei qui a farmi fumare il cervello sul perchè è arrabbiata, non ti pare?” ne imito il tono, prendendolo in giro come lui prima a fatto con me. Peccato che io ora sia molto più serio di quanto lui non fosse poco fa

“ok, un punto per te Mellark. Comunque l'hai umiliata, Peeta! Hai fatto vedere che non sa togliersi dai guai da sola. Insomma, l'hai comprata, cazzo! Ha un debito con te che è nato davanti ad un branco di omaccioni ubriachi! Ora tutti sapranno che il suo punto debole sono i soldi e che potranno comprarla così come hai fatto tu e cosa impedirà loro di andare giù pesante con le richieste?”

sbianco improvvisamente.

È ovvio quello che sta dicendo Finnick! Che le possano davvero chiedere quello?? ti prego, fa che non sia così, che nessuno le chieda il suo corpo. Ti prego ti prego ti prego

“ma non era mia intenzione!” sbraito facendo girare tutti gli studenti

“ancora una volta, lei non lo sa” mormora prendendomi da parte per impedirmi di urlare di nuovo in mezzo al corridoio

“e io ho un piano per dirglielo e mette a posto le cose” oh no, lo sguardo furbo no.

Ancora una volta, chiunque tu sia lassù, dimmi che non è vero

NON UN PIANO DI FINNICK

“lo sai che non seguo i tuoi piani” mormoro

“questa volta lo farai. È geniale” risponde

“non è vero. Lo dici sempre che i tuoi piani sono geniali, cazzo!” socchiudo gli occhi e lo fisso, cercando in qualche modo di incutergli terrore

“e lo sono, ma tu hai la mente troppo bacata per capirli” inizia a fissarmi come io sto facendo con lui

“sai perchè non seguo più i tuoi piani Fratello?” domanda retorica ovviamente, ma lui scuote la testa

“perchè si concludono sempre in grandi, enormi, colossali, epiche, incommensurabili, figure di merda.”

 

 

 

 

N.d.A

 

scusate il ritardo, enormi problemi di Pc. Appena saranno sistemati definitivamente (tra non molto, tranquilli) pubblicherò i capitoli di tutte e 3 le long che sto portando avanti, questa compresa.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto tanto quanto gli altri e credetemi se vi dico che sono commossa dalle splendide recensioni che mi lasciate ogni volta. Continuate vi prego!!!

a presto

sempre vostra

Luckily

 

P.s.

Un abbraccio e mille grazie di cuore a chi ha letto il capitolo, a chi ha messo questa storia tra i preferiti, ricordati, seguiti e a chi la recensirà!

 

P.p.s.

 

Riusciamo a superare le 10 recensioni? Pleaseeee hahahaha voglio sapere quali sono le vostre curiosità riguardo la storia, e come vi state immaginando i personaggi, se vi piacciono o se cambiereste qualcosa!

 

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Capitolo 4
*** Giorno5- Acqua, farina, e disinfettante ***


lo sai che non seguo i tuoi piani” mormoro

questa volta lo farai. È geniale” risponde

non è vero. Lo dici sempre che i tuoi piani sono geniali, cazzo!” socchiudo gli occhi e lo fisso, cercando in qualche modo di incutergli terrore

e lo sono, ma tu hai la mente troppo bacata per capirli” inizia a fissarmi come io sto facendo con lui

sai perchè non seguo più i tuoi piani Fratello?” domanda retorica ovviamente, ma lui scuote la testa

perchè si concludono sempre in grandi, enormi, colossali, epiche, incommensurabili, figure di merda.”

 

 

 

 

 

Mi sto rigirando nel letto da ore ormai, e proprio non riesco a prendere sonno. La sveglia segna le 3 del mattino, il che vuol dire che tra meno di due ore dovrò tirarmi su a forza da questo materasso e scendere in panetteria per mettere a lievitare l'impasto per il pane e per la pizza. Fortuna che è venerdì, così domani non dovrò andare a scuola.

Per essere settembre fa un caldo assurdo, quindi scalcio le coperte e mi tolgo la canottiera alla disperata ricerca di un pizzico di refrigerio. Rye dorme profondamente nel letto accanto al mio, e lo invidio perchè lui non ha nessun problema: non ha ragazze a cui pensare, ha finito la scuola e al college se la sta cavando egregiamente, ha turni in negozio sicuramente migliori dei miei. Io invece continuo a rimuginare sull'assurdo piano di Finnick. E più ci rifletto, meno assurdo mi pare: insomma, posso andare benissimo da lei a parlarle no? Oppure posso tranquillamente andare a cercare Madge. Non mi sbraneranno mica.... bhe forse la Everdeen potrebbe anche farlo, ma tanto vale rischiare. Ma poi realizzo che sono un codardo e non lo faccio, come del resto ho passato gli ultimi 5 giorni, la guardo da lontano cercando il coraggio.

Mi passo una mano tra i capelli e mi alzo, con la vana speranza che un bagno caldo mi aiuti a mettere in ordine le idee. Raccatto dai cassetti la biancheria e un paio di jeans e sgattaiolo nel bagno al piano di sotto, in modo che la mia famiglia non si svegli per lo scroscio dell'acqua nella vasca. Loro almeno si meritano qualche ora di riposo.

Mi spoglio ed entro, godendomi per un momento la sensazione del caldo bollente sulla pelle. Nessuno sano di mente si farebbe un bagno alle tre del mattino con il rischio di prendere sonno, ma io so che non ho proprio speranza di addormentarmi qui dentro perchè quegli occhi grigi vorticano tra i miei pensieri da troppo tempo per essere ignorati. Sistemo il cellulare sul pavimento dove possa raggiungerlo facilmente senza bagnarlo e mi insapono i capelli, per poi risciacquarli sott'acqua.

Gioco con le bolle per qualche tempo, cercando di immaginare come dev'essere avere una conversazione civile con Katniss: potrebbe essere molto più dolce di quello che sembra.

Esco dal bagno un'ora dopo che ci sono entrato. I capelli ancora umidi ricadono in ricci scomposti sulla fronte, i jeans si attaccano alle gambe come una seconda pelle e sono obbligato a tenerli su con una cintura.

Scendo a torso nudo al forno, dove aiutandomi con una fascetta scosto i ricci dal viso. Prendo farina, acqua, lievito di birra e comincio ad impastare alla flebile luce della lampada da tavolo. Devo molto alla panetteria, forse è proprio grazie al duro lavoro di tutti i giorni che mi sto garantendo un futuro, a differenza di molti dei miei coetanei. Ho imparato molto, e ho capito che quello che voglio fare negli anni futuri sarà proprio il fornaio, perchè questo lavoro ti forgia dentro, è disciplina, controllo, creatività e passione.

“Peeta? Che ci fai già sveglio?” mi giro di scatto, con le mani ancora immerse nella poltiglia molle, vedendo papà in piedi sulla porta di servizio del reparto forni.

“ciao papà, non riuscivo a dormire” ammetto accennando un sorriso “e tu che ci fai qui? Non dovresti dormire fino alle nove? È il mio turno questo”

“ragazzo mio, penso di essere troppo vecchio per perdermi anche un solo istante con i miei figli” dice, affiancandomi per lavarsi le mani e ricoprirsele di farina

“che vuoi dire?” non capisco, e smetto di appallottolare l'impasto per guardarlo

“voglio dire che stavo tornando a letto dopo uno spuntino e ho visto le impronte bagnate sul pavimento, e poi il tuo letto vuoto. Così ho pensato che fossi qui e ti ho raggiunto” ricambia sguardo e sorriso, rubandomi letteralmente di mano il pane non ancora lievitato

“tu mettiti a decorare le torte Peeta. Qui ci penso io” ammicca e ricomincia a lavorare sotto la mia faccia sorpresa.

“ma papà.... è il lavoro di questo pomeriggio” biascico cercando i miei strumenti e gli ingredienti per le glasse

“tu fai quello. Sono le tue splendide torte, figliolo, che portano avanti il negozio. Come te non le decora nessuno” noto una punta di orgoglio mal celata nella sua voce che mi rende incredibilmente fiero

“grazie papà. Ti voglio bene” sussurro, forse nella speranza di non essere sentito

“te ne voglio anche io” sorrido sornione dandogli le spalle, un sorriso idiota che non avevo da tanto tempo.

 

Decoro torte da quando avevo sei anni, la concentrazione che mi serve per fare un bel lavoro quindi è ridotta ai minimi termini. Ascolto il rumore del pane che sbatte sul legno duro del bancone e che incorpora aria, annuso il profumo di quello che sta già lievitando sotto i teli di cotone umidi, e inspiro l'aroma di quello che già sta cuocendo nel forno a legna. Gli arabeschi della torta che ci hanno ordinato per un matrimonio che si terrà questo pomeriggio stanno venendo bene, precisi e delicati. Anche i fiori su cui ho passato gran parte degli scorsi pomeriggi stanno alla perfezione sul quarto piano ricoperto di pasta di zucchero bianca. Il pennello trema leggermente nella mano stanca, quindi decido di lasciar perdere per qualche minuto per recuperare le forze.

“papà, come stanno andando le cose tra te e la mamma?” lo affianco, curioso di essere aggiornato sulla condizione del loro complicato rapporto. Litigano sempre, lei se la prende spesso con me, perchè sono l'unico che ancora gira per casa, ma nonostante tutto sono convinto che si vogliano ancora bene. E finchè staranno insieme sono disposto a sopportare qualche strillo.

“ho paura che se le cose continuano così, le nostre strade si divideranno presto” è amareggiato, ma d'altronde chi non lo sarebbe? Sapevo, e ho sempre preso in considerazione l'idea di avere dei genitori separati, ma non riesco proprio ad immaginarmi la mia famiglia spezzata a metà. Mi si spezzerebbe il cuore.

“non c'è nulla che puoi fare? Che posso, fare per aiutarti?” domando, sperando di poter intervenire in qualche modo, qualunque cosa andrebbe bene.

“non lo so Peeta. Forse è perchè non abbiamo più un vero rapporto” all'inizio non capisco, quindi chiedo spiegazioni

“che vuol dire? Che non parlate? A me sembra che vi diciate tutto!” mi sgranchisco le gambe gironzolando attorno al banco

“ehm... non è esattamente questo che intendevo io” si gratta la nuca e abbassa gli occhi... imbarazzato forse?

“e che intendevi? No aspetta...” oh no “ penso di aver capito”

la risata mi sfugge incontrollata, e mi ritrovo a tapparmi la bocca con la paura di aver svegliato qualcuno

“voi due non fate più nulla! Proprio non fate sesso!” sgrano gli occhi e ricomincio a ridere appoggiando i palmi delle mani alla superficie di legno per reggermi

“ragazzo mio! Non ci trovo nulla di divertente!” sembra un rimprovero, ma sta ridacchiando anche lui. Ah quanto adoro il mio vecchio!

“ma scusa, perchè?” la cosa è divertente quanto imbarazzante, ma che cavolo! Ho 18 anni e so benissimo di cosa stiamo parlando, e lui sa che io non sono, come dire, un novellino in questione.

“siamo troppo vecchi, Peeta!” ma che rispostaccia

“non è vero! Avete solo cinquant'anni” aggrotto la fronte, ci deve essere qualche altro motivo

“ok è vero, ma Peeta non prenderla male ok?” mmm, che ho fatto ora?

“spara, nonnino” lo prendo in giro, aspettando la notizia

“la colpa è anche tua ok?! Gironzoli sempre per casa quando io e tua madre abbiamo un momento libero. Noi non siamo così silenziosi come voi ragazzi al giorno d'oggi...”

“alt alt alt! Non voglio sapere altro!! “ che orrore, mi sono pentito di aver chiesto queste cose, assolutamente pentito

“ok me ne andrò, promesso. Ma vedi di sistemare con la mamma ok. Non voglio dover passare da una casa all'altra.” inorridito torno alla mia adorata torta al cioccolato e vaniglia da dipingere a mano

“ma ora basta parlare di me. Dimmi un po' di te figlio mio. È da tanto che non parliamo un po' noi due da uomo a uomo” ora è lui ad affiancarmi mentre intingo la punta del piccolo pennello nel colorante verde

“cosa vuoi sapere papà? Non ho molto da raccontare” alzo le spalle e traccio le linee di un piccolo quadrifoglio

“per esempio come sta andando con i tuoi amici” suggerisce

“bhe, Finnick è il solito idiota ma non potrei mai stare senza di lui, Johanna resta sempre più maschio che femmina e Delly è la solita, rompiscatole, Delly.” le magnolie che sfumo sulla superficie liscia del dolce sembrano quasi tridimensionali e attirano l'attenzione di mio padre

“sono stupende figliolo. Davvero bellissime” dice

“grazie” continuo a diluire i colori con l'acqua per dare loro la giusta intensità

“e Finn ha trovato la ragazza?” domanda poi, tanto per curiosare suppongo

“oh si pà, ci è riuscito eccome. Si chiama Annie. È una tipa tosta ed è una delle poche cheerleader che conosco ad essere anche intelligente” lo guardo per un momento poi torno al mio lavoro

“e tu invece ragazzo mio? Dove sono finite tutte quelle ragazzine che ti giravano attorno?” per poco non faccio uno striscione sulla pasta di zucchero. In realtà non sono sorpreso dalla domanda, sono molto più scioccato dalla mia totale mancanza di risposte. Mi si è seccata la lingua e deglutisco a fatica

“ehi, ho toccato un tasto dolente?” vedo di sfuggita il suo sguardo confuso e davvero, non so se essere sincero o se fingere che vada tutto bene

“no, è che.... è complicato papà. Ma tu non devi raccontarlo a nessuno okey?” opto per la sincerità

“giuro che terrò la bocca cucita” promette e io abbasso il pennello e lo sguardo

“non mi interessano più tutte quelle ragazze perchè ce n'è solo una nella mia testa” mi posa la mano sulla spalla e si siede su uno sgabello accanto a me

“innamorato?”

“non so se sono innamorato. Piuttosto sono, molto interessato, ecco cosa” spiego

“e cosa c'è che non va? Non puoi parlarle come fai di solito?” mi mordo il labbro e gioco con le dita delle mani

“è una storia molto lunga” dico, continuando a guardare a terra

“e io ho molto tempo” mi rassicura.

 

Passiamo l'ora e mezza successiva a preparare i dolci da vendere in panetteria e a parlare, di quello che è successo quella sera al bar, di come ho conosciuto Katniss Everdeen, di come è diventato impossibile anche solo avvicinarla, e che guai ho combinato. Forse non dovrei raccontare tutti i miei problemi a mio padre, eppure adesso mi sento un pochino meglio, come se i consigli di qualcuno più esperto di me, potessero aiutarmi a risolvere nel modo giusto le cose.

“sai che ti dico Peeta? Che oggi vai a scuola e le parli. Senza tirarti indietro. Basta solo che tu la saluti. Fai le cose con calma ok? Un passo alla volta” sorride e io di rimando sorrido e poi sbadiglio.

“vai a prepararti, qui finisco io. Hai lavorato fin troppo e sei stanco. Hai il pomeriggio libero, lo dico io alla mamma.” lo abbraccio e corro in camera a mettermi una maglia blu notte. Guardo la sveglia che segna, purtroppo ora, le 7 e 20 minuti.

“porca miseria, sono in ritardo!” afferro lo zaino e ci catapulto letteralmente dentro i libri, sperando siano quelli giusti, ed esco di casa con in bocca un croissant appena sfornato.

“ciao papà!” saluto dal vialetto di casa, o meglio, urlo dal vialetto per farmi sentire.

Poi salgo in macchina e getto la mia roba sul sedile del passeggero, ingrano la marcia e parto sgommando.

 

Ci vogliono trenta minuti in macchina per raggiungere scuola da casa mia. In linea d'aria non sarebbero nemmeno tanti chilometri, ma le strade sono perennemente trafficate la mattina presto ed è impossibile non restare imbottigliati tra altre vetture. Alzo il volume della radio e tamburello sul volante, in attesa che il semaforo diventi verde. Il cellulare attaccato all'impianto stereo squilla e rispondo mettendo il vivavoce

“pronto”

“ciao Peeta, sono Delly” sorrido automaticamente

“dimmi tutto D” rispondo affondando il piede nell'acceleratore

“ho perso l'autobus, quindi non è che magari...” è titubante, educata, ma so già cosa vuole

“posso venirti a prendere? Certo che si. Arrivo tra pochissimo,fatti trovare già pronta”

“ok, a dopo, e grazie” chiude la chiamata prima che abbia il tempo di salutarla a mia volta.

Pochi minuti dopo sono parcheggiato davanti al vialetto di casa sua, ma di lei nemmeno l'ombra.

Dai D, dove cavolo sei finita?

La porta che si apre alle mie spalle mentre sono girato a guardare fuori dal finestrino dal lato passeggero mi fa fare un infarto

“scherzetto” urla la biondina facendomi venire l'istinto omicida

“D io ti ammazzo. Ho perso vent'anni di vita. Ma ti pare uno scherzo da fare???!!”

“eddai vecchietto! Non ho fatto nulla di male” si certo, come no.

“sali e taci, ragazzina” sbuffo e metto in moto, non appena la portiera sbatte con un tonfo sonoro.

“allora oggi hai intenzione di parlarle finalmente?” cosa cosa cosa? Di chi sta parlando?

“cosa scusa?”

“alla Everdeen. Hai intenzione di rivolgerle la parola o la continuerai a guardare da lontano come uno stalker?” oh santo cielo, e lei come le sa queste cose??

“cosa diavolo ti ha raccontato Finnick?” lui è l'unico che può aver spifferato qualcosa

“in realtà ho origliato la vostra conversazione lunedì. Ero venuta a cercarti, ma poi ho visto che stavate parlando e non ho voluto interrompervi” alza le spalle incurante e io mi ripropongo di stare molto più attento la prossima volta

“D ti prego. Devi tenere il segreto.” lei fa il segno della croce sulle labbra e io tiro un sospiro di sollievo. Lo facciamo da quando eravamo piccoli e lei non ha mai tradito un segreto segnato, mai.

“allora?” incalza lei, “le parlerai oggi?”

“non lo so. Se trovo l'occasione forse.” bofonchio, poco convinto

“senti” mette una mano sopra la mia sulla leva del cambio, in un gesto che sembra così innaturale, fatto da lei

“sono stufa di vederti depresso, quindi oggi risolvi questa cosa, ok?”

“ok “ rispondo, alzando gli occhi al cielo. E comunque non sono depresso.

 

 

Parcheggio nel primo posto libero che trovo alle 7.55 precise. In anticipo, fortunatamente di dieci minuti. Raggiungiamo Finn e Jo in corridoio, davanti ai nostri armadietti.

“ciao ragazzi” saluto tentando di aprire il mio spazio personale per rovesciarci dentro alcuni manuali. Passerò durante la pausa pranzo a prendere quelli per le lezioni pomeridiane

“ciao mentecatto” Johanna oggi è più carina del solito, mi domando perchè

“ciao idiota” scuoto la testa sorridendo

“ciao Finn”

“mi spieghi perchè sei conciato in quel modo Amico? Sei pieno di farina, anche nei capelli, e hai un'assurda fascetta in testa. Cos'è una nuova moda che non conosco?” domanda Johanna, e io non perdo un secondo per osservare la mia immagine che si riflette nello specchio che ha incollato sul fondo del suo armadietto. Sono davvero uno straccio: le occhiaie blu sotto gli occhi, la farina che mi impasticcia i jeans e qualche ciuffo di capelli, e non mi sono nemmeno tolto la fascia dalla testa. Che disastro. Cerco di sistemare alla benemmeglio ciò che posso.

“non ho chiuso occhio questa notte. Ho lavorato al forno dalle quattro di questa mattina” ammetto, specchiandomi

“e tu, Jo, perchè ti sei fatta così carina oggi?” domando, osservandola arrossire attraverso la superficie riflettente

“non mi sono fatta più carina! Stupido” la solita, burbera, Johanna Mason.

“certo certo” ridacchio.

Poi però, mentre continuo a togliermi la farina dai capelli, incrocio nello specchio lo sguardo grigio più bello del mondo.

Mi manca il respiro, ed è un attimo, solo e soltanto un momento fugace di contatto tra le nostre iridi. Il cuore accelera, deglutisco a fatica, e ho caldo, tanto troppo caldo.

Non so che fare, vado? O lascio perdere? Eppure è un'occasione irripetibile. Con lei non ho visto Hawthorne.

Delly, mi da una leggera pacca sul fianco e mi spinge. Poi quando la guardo mi sfila dolcemente la fascia dai capelli e mi sorride

“su, vai!” ammicca e si gira per guardarmi correre tra i corridoi.

 

“Katniss” la chiamo, in un impeto di incredibile coraggio che non pensavo più appartenermi

“Katniss” eppure lei non si gira. Forse mi sta volutamente ignorando. D'altronde l'ha fatto per un sacco di tempo. Perchè cavolo mi sono illuso che potesse andare diversamente oggi? Cretino Peeta. Sei solo un povero Cretino illuso.

“Katniss aspetta un attimo” provo un'ultima volta prima di fermarmi in mezzo al corridoio ad osservare la sua treccia ondeggiarle sulle spalle.

Nel momento stesso però in cui rialzo lo sguardo per voltarmi e tornarmene dai miei amici, i nostri occhi si incrociano di nuovo... e sono preoccupati forse?

Immediatamente, senza nemmeno accorgermene mi ritrovo sbattuto contro gli armadietti di metallo gelido. Qualcosa, o più precisamente qualcuno mi sta soffocando.

“che cazzo vuoi da lei stronzo?!” la voce di Gale Hawthorne mi giunge alle orecchie nitida e forte, sotto il pulsare incessante del sangue nel mio corpo. Boccheggio alla ricerca disperata di aria.

Il coro di “lascialo” e “mettilo giù” o di invocazioni alla rissa sovrasta persino i miei pensieri. Non voglio fare a botte con nessuno io. Non oggi.

“voglio solo parlare con lei” biascico, senza fiato, mentre sento il pavimento mancarmi sotto le scarpe. Mi sta sollevando? Chissenefrega, ora mi ammazza.

“Parlare con lei stronzetto? Dopo quello che le hai fatto? Oh non credo proprio!” più lo guardo scuotere la testa a pochi, pochissimi centimetri dalla mia, più mi rendo conto di quanto assomigli ad un cane rabbioso.

“non le ho “ cerco di prendere aria “fatto nulla”

il gruppo di persone ha formato un cerchio attorno a noi, ma nessuno interviene. Vedo con la coda dell'occhio Finnick fermato da Cato. Meglio così, non voglio che nessuno si metta in mezzo.

Sono solo un'idiota. Come ho fatto a pensare che non ci fosse lui, con lei? Dovevo lasciar perdere prima. Stupido Stupido Stupido! Ora ne pago le conseguenze!

Mi sento male, non riesco più a inghiottire un briciolo d'aria.

“lo stai soffocando! Lascialo Gale!” ho la vista offuscata, ma credo che questa sia la voce di Madge

“GALE” ora credo proprio di essere morto

“LASCIALO IMMEDIATAMENTE” questa è la SUA voce. Katniss? No, non può essere lei.

Eppure l'aria torna nei miei polmoni e la mia gola viene liberata dalla stretta. I miei piedi smettono di penzolare a mezz'aria e tornano a calpestare terra.

Ansimo, immettendo quanto più ossigeno nel mio corpo sia possibile.

Ora che ci vedo di nuovo nitidamente, la osservo. Non è stato un sogno, è proprio lei che viene a pararmi il culo dallo scimmione, altrimenti a quest'ora sarei morto, credo.

“Katniss ho bisogno di parlarti” approfitto della sua presenza e della sua attenzione

“sta zitto tu!” dice Gale, ma prima della sua voce, arriva il suo pugno. Dritto in faccia, sullo zigomo destro.

Sento la schiena sbattere contro il metallo e le gambe cedere. Questo energumeno ha un sinistro micidiale cazzo!

Il fiotto di sangue cola dal naso fino al labbro, poi scivola piano verso il mento. Non capisco cosa si stiano dicendo quei due, ne perchè tutte le persone se ne stiano andando di corsa tranne Finn, Delly, Jo, Katniss, Gale e Madge. Ed io, ovviamente, che sono rimbambito come un babbuino scemo.

So solo che, quando Katniss si inginocchia di fronte a me, io sono intento a passarmi la manica della maglia sul labbro per asciugarmi e pulirmi. Odio il sapore del sangue, sa di salato e di ferro.

“Mellark stai bene?” la sua voce risuona in modo strano nelle mie orecchie, un po' ovattata, a dire la verità.

Mi limito ad annuire guardando in cagnesco Gale.

“potevi parlarmi prima che il bestione cercasse di strozzarmi” dico, cercando di alzarmi senza l'aiuto di nessuno, facendo affidamento solo sulle mie gambe.

Con un fazzoletto mi pulisce gli schizzi di sangue sul mento, e il respiro torna a mancarmi di nuovo. Sentire i suoi polpastrelli sul mio viso è eccitante quanto meraviglioso.

“ho evitato che ti uccidesse. Ma questo non significa che sia disposta a parlare con uno come te.” si allontana per raggiungere Gale, lasciandomi con la schiena al muro, il cuore a mille, e la faccia tumefatta.

“dove credete di andare! Mellark, Hawthorne! Immediatamente nel mio ufficio!” oh no.

La preside Paylor no!

Ci mancava solo questa.

 

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Capitolo 6
*** acqua salata ***


potevi parlarmi prima che il bestione cercasse di strozzarmi” dico, cercando di alzarmi senza l'aiuto di nessuno, facendo affidamento solo sulle mie gambe.

Con un fazzoletto mi pulisce gli schizzi di sangue sul mento, e il respiro torna a mancarmi di nuovo. Sentire i suoi polpastrelli sul mio viso è eccitante quanto meraviglioso.

ho evitato che ti uccidesse. Ma questo non significa che sia disposta a parlare con uno come te.” si allontana per raggiungere Gale, lasciandomi con la schiena al muro, il cuore a mille, e la faccia tumefatta.

dove credete di andare! Mellark, Hawthorne! Immediatamente nel mio ufficio!” oh no.

La preside Paylor no!

Ci mancava solo questa.

 

 

 

 

 

Dio, sono stufo. Stufo marcio di starmene seduto su questo lettino di infermeria, mentre la preside parla con quel deficiente di Hawthorne. L'odore di disinfettante mi sta facendo girare la testa. Lo odio. E non intendo solo il disinfettante: odio anche Gale. Soprattutto Gale. Credo che da oggi in poi odierò un po' anche la Everdeen; non aveva il diritto di trattarmi così.

La faccia mi fa male, e come se non bastasse ho perso ormai due ore buone di lezione. Non che non mi faccia piacere da un certo punto di vista, ma ho bisogno di seguire se voglio quella dannata borsa di studio per il college. Mi tengo una garza premuta sulla faccia che continua a pulsare, e sono fermamente convinto che da un momento all'altro potrebbe esplodere. Il sangue continua a gocciolare copioso dal labbro ai miei Jeans. Mi appoggio con la schiena al muro e lascio dondolare le gambe, la testa abbandonata a guardare il soffitto.

Cazzo, è bastato un fottutissimo pugno per mettermi ko.

“Mellark. Di nuovo qui” nemmeno mi sono accorto che è entrata la Jackson...l'enorme infermiera della scuola. Io e lei, siamo, come dire, in confidenza. Per quanto io sia maschio nel mio DNA l'attitudine per le attività fisiche non è contemplata: sono una schiappa a football, a baseball, a cricket, in atletica. Gli unici due sport in cui me la cavo, per così dire, sono il basket e la lotta (la chiamiamo così perchè non è vero e proprio pugilato, quello che facciamo a scuola). E dell'ultima oramai non sono più nemmeno tanto sicuro.

Mugugno in risposta e non stacco gli occhi dal soffitto, sospirando. Mi sento umiliato da quello che è successo: apparte il fatto che non ho fatto assolutamente niente io, ho dimostrato di essere uno smidollato. E probabilmente lo sono davvero, visto che non ho trovato il coraggio di parlare con una ragazza per tutto questo tempo. Eppure il suo profumo ancora lo sento. È una dolce e soffice carezza alle mie narici doloranti. Chiudo gli occhi e inspiro, cercando di godermi la sensazione il più possibile.

“non mi risulta che la prima settimana di scuola ci sia ginnastica. Cosa hai combinato alla faccia questa volta?” domanda, con una nota di insofferenza nella voce la Jackson. E io non vorrei rispondere, ma visto che sono stato spedito qua direttamente dalla preside in persona non posso certo mentire

“ho preso un pugno in faccia” minimizzo, evitando accuratamente il suo sguardo indagatore per concentrarmi sul tavolino mobile che si è portata appresso e che ora, colmo di strumenti e pomate, giace accanto al mio ginocchio destro.

“oh ma questo è evidente. Non mi pareva però che tu fossi così impedito a difenderti” scherza, lei. Ma io non scherzo affatto; sono a pezzi

“è stato come se un topo affrontasse un elefante. Un incontro tra un peso massimo e un peso piuma” la guardo per la prima volta e la vedo ridere

“e, di grazia, chi sarebbe il peso piuma?”

“mi stai per caso dando del ciccione?!” sorrido, anche se cerco di non farmi vedere

“mingherlino non lo sei di certo” alza le spalle e io vorrei risponderle per le rime, che questi che vede sono tutti muscoli. Ma non faccio in tempo ad aprire bocca che mi afferra la testa senza tanti complimenti (non mi “prende delicatamente la testa” o “ mi fa voltare la testa cercando di farmi meno male possibile”, no. Chissenefrega se fa male a me, lei non lo sente, il dolore) e mi rivolta come un calzino in lavatrice per vedere cosa diavolo io abbia combinato al mio “bel visino” , per usare parole sue.

“ahi” mugolo invece, a riprova della mia mascolinità ora dubbia, cercando di liberarmi dalla sua stretta

“mi sta facendo, leggermente male” in realtà ho gli occhi che lacrimano, ma questo non posso certo ammetterlo, sarebbe troppo imbarazzante anche per uno che è stato appena pestato.

“taci imbranato. E dimmi chi è stato che mi congratulo con lui”

“Hawthorne” mi limito a dire, seccato.

“gran bel cazzotto. Potente direi. Di sinistro se non vado errata, lo vedo dall'inclinazione del livido” e mentre io vorrei solo sotterrarmi, lei fa congetture sul gran bel cazzotto di quel coglione di Gale.

Uccidetemi, vi prego.

“per te, ragazzo mio, non posso fare molto. L'unica cosa che posso dirti ora è di andarti a fare delle radiografie per accertarti che non ci sia nulla di rotto. Ti si sta gonfiando lo zigomo e così non riesco a capire granchè.” alza le spalle e si gira per compilare qualche carta per l'ospedale, in modo che io possa andarci non appena la Paylor avrà finito di interrogarmi sull'accaduto. E considerata la sfiga che mi ha perseguitato oggi, probabilmente ci sarà qualche frattura. Me lo sento.

 

 

 

 

“Per quale assurdo motivo lei, signor Mellark, e il signor Hawthorne siete arrivati alle mani?” so che la voce apparentemente calma della preside non è altro che un indicatore di stizza folle e delusione e non porta mai nulla di buono. Ma fino ad ora l'avevo solo sentito dire da qualcun altro, perchè io, e il mio bel faccino eravamo sempre stati lontani dai guai. Ma ora lo so per esperienza personale.

“vorrei precisare, se mi è permesso e con tutto rispetto, che io non sono arrivato alle mani. Gale mi ha tirato un pugno senza alcun motivo. Al quale io non ho risposto” sospiro, schioccandomi le dita e sistemandomi meglio sulla sedia imbottita dell'ufficio dirigenziale. Il bianco delle pareti è coperto da diplomi in carta di papiro incorniciati e timbrati in cera lacca rossa brillante, e donano a questo posto un non so che di ufficialmente elegante. Il calendario da tavolo e il computer di un nero lucido riempiono la scrivania insieme ad un mucchio di scartoffie in carta intestata e cartelline gialle con numerosi nomi scritti sopra di persone di cui ignoravo l'esistenza.

“sono quasi certa che invece un motivo ci deve essere stato” sospira, passandosi una mano tra i lunghi capelli castani, e sistemandosi gli occhiali stretti sul naso piccolo

“sono disposta ad ascoltare anche la sua versione. Ma, volendo essere onesta con lei, signor Mellark, penso di aver raggiunto una conclusione anche senza.”

Mi domando come può aver preso una conclusione senza aver nemmeno ascoltato cosa ho da dire io. Ho i nervi a fior di pelle mentre cerco di pensare in che modo poter raccontare come sono andati i fatti dal mio punto di vista.

“io volevo solo parlare con una persona, signora preside. Una persona con cui Hawthorne non ha mai voluto permettermi di dialogare. Per questo, visto che ero riuscito ad avvicinarmi di più, mi ha steso.” penso che questo basti a riassumere tutto. Voglio andarmene da qui, il viso è talmente gonfio che l'occhio comincia a chiudersi da solo.

“sa, la sua reputazione di dongiovanni la precede, Peeta. Ed è per questo che non sono convinta che lei volesse solo parlare con la signorina Everdeen. E se si sta domandando perchè so di lei” e lo stavo facendo davvero “ sappia che Gale me ne ha parlato, di quello che è successo quella sera al pub”

sentivo la gola stringersi e lo stomaco sottosopra. Non so se fosse rabbia, frustrazione, indignazione o tutto mescolato assieme.

“lui non c'era! Come può averle parlato di qualcosa che non ha visto! E lei gli crede pure!” mi alzo di scatto e rovescio la sedia, piantando i pugni sulla scrivania di mogano pregiato.

“lui dice di saper abbastanza da quanto gli è stato raccontato dalla signorina Everdeen in persona e confidenzialmente.”

Lei se ne sta stoicamente seduta dietro al tavolo, protetta dal suo inesauribile autocontrollo sviluppato nel corso degli anni. Il mio, di autocontrollo, è svanito nel nulla.

“ora la prego di calmarsi e sedersi. Ho scelto per voi delle punizioni adeguate.”

“lui non può sapere. Lui non ha capito nulla. Lui non c'era.” ripeto come un mantra, una nenia che sta lentamente perdendo senso nella mia testa, come quando si ripete troppe volte una stessa parola e perde di significato, scomponendosi in tante singole lettere.

Lui non può sapere niente per certo. Perchè lui non c'era quando è successo, non sa cosa abbiamo provato, quanto io non so cosa abbia sentito lei nel momento in cui l'ho abbracciata e le ho fatto scudo col mio corpo dalle schegge di vetro. Lui non ha percepito la perfezione con cui i nostri corpi si incastravano l'un con l'altro, non ha sentito la morbidezza del suo seno premuto contro il mio petto. Lui non capisce. Non capisce niente.

Con la testa tra le mani aspetto che la segretaria esegua gli ordini che la Paylor le ha assegnato per telefono e che Hawthorne rientri in questo stramaledetto posto.

 

Quando la porta si riapre scricchiolando, e poi si richiude con un tonfo, alzo lo sguardo. Il cuore che batte a mille vedendo quello stronzo sorridermi compiaciuto come un idiota. Un idiota con un pugno micidiale, sono costretto a ricordare a me stesso. Però la voglia di vendicarmi qui, seduta stante, è così immensa che sono costretto a tenermi ancorato alla sedia con le unghie conficcate nell'imbottitura.

“ebbene, signor Hawthorne, signor Mellark” comincia la preside

“voglio che ora vi chiediate scusa vicendevolmente” con le mani ci invita a fare pace. C'è da dire che ne io ne lui avevamo intenzione di obbedire al nostro superiore. Ma mi stupii ugualmente nel momento in cui le nostre voci risuonarono all'unisono

“non ho nulla di cui scusarmi”

“in tal caso, vista la vostra renitenza alla collaborazione, sarò costretta ad aggiungere una voce alla punizione di entrambi.”

tutto, piuttosto di dover chiedere scusa a lui.

“signor Hawthorne. Cominciamo da lei. Per prima cosa, la condanno a 100 ore di lavori socialmente utili: in particolare sarà affiancato alla bidella Sae per il servizio di dopomensa- lavaggio stoviglie. Andrà dalla signora per farsi dare tutte le informazioni aggiuntive. Questo la aiuterà a superare l'esame finale del corso e a diplomarsi. Se non le farà nella loro interezza, può ritenersi bocciato.” la faccia dell'idiota lasciava trapelare tutto: il rossore che gli imporporava le guance tendeva fiaccamente al violaceo e la sua bocca semiaperta denotava una certa disapprovazione.

Stavo godendo. Godevo come se non ci fosse un domani, alla vista della sua rabbia.

Ma si sa, che ride bene chi ride ultimo.

“signor Mellark. Per lei invece sono previste altrettante ore di doposcuola- ripetizione ad una ragazzina del primo anno che ho già selezionato. Questo la aiuterà a conquistarsi la sua borsa di studio per il college a cui ha fatto domanda.”

 

Volevo morire.

 

Nell'istante in cui quelle parole mi sono giunte alle orecchie ho ripensato alla mia vita: la panetteria, lo studio, i lavoretti saltuari per arrotondare un bilancio familiare quasi disastroso, il divorzio dei miei che incombeva funesto. Per dare ripetizioni, proprio non ho tempo.

Mi alzo ancora una volta e scaravento la sedia lontano. Negli occhi della preside si specchia tutta la mia ira. Lei era l'unica a sapere, oltre ai miei migliori amici, dei reali problemi economici della mia famiglia. Eppure mi condanna a boicottare il lavoro per aiutare una stupida ragazzina di un'ancora più stupido primo anno di liceo a fare degli stupidi compiti.

Oh, si. La mia punizione batte senza dubbio quella di Gale.

“lei non può farlo!” mi ritrovo ad urlare. Sento il sapore acre della bile in gola, il sangue pulsare sulla mia gota livida

“ho la panetteria di papà da portare avanti! Non posso perdere tempo a dare ripetizioni! Come diavolo pago le bollette se non ho il tempo di preparare nulla da vendere?! “

non mi importa se Gale sente. Non mi importa più se giudica. Non ho mai voluto far sapere a nessuno che lavoravo, che mi guadagnavo giusto quel poco che serviva alla mia famiglia per tirare avanti. Non siamo ricchi come tutti pensano. E lo pensava anche lui, lo capisco dalla sua faccia sconvolta e dubbiosa.

“poteva pensarci prima Peeta. Lei farà quelle ore di ripetizione, se vuole la borsa di studio. Altrimenti può scordarsela.” e questo implicherebbe Addio College.

“lei non capisce” so che battendo i pugni non risolvo nulla, ma mi sento frustrato, arrabbiato, feroce.

“io capisco perfettamente invece. Ma non per questo posso esonerarla dalla punizione. Se ha problemi, fa a meno di cacciarsi nei guai. Sono stata chiara?” e per la prima volta, la Paylor ha assunto un tono più alto.

“io non ho fatto niente!” sbotto, irritato.

“e inoltre dovrete andare una volta a settimana, come minimo, dallo psicologo della scuola Haymitch Abernathy.”

'come se non bastasse' È l'unica cosa a cui riesco a pensare.

Ignoro qualsiasi cosa venga detta dopo, troppo concentrato sulla mia seconda sconfitta della giornata. E sinceramente, non so come farò ad andare avanti, e non so come la prenderanno i miei genitori.

Mi riporta alla realtà la voce della preside che congeda Gale

“Gale, può tornare in aula.”

poi, rivolgendosi a me

“lei invece, si fermi un attimo. Devo consegnarle il fascicolo della ragazza che dovrà seguire. E badi bene. Non è affatto stupida. È una studentessa brillante, che necessita di una borsa di studio tanto quanto lei, Peeta. La tratti con il dovuto rispetto.”

annuisco solo per farla contenta, non realmente interessato, e aspetto che dal malloppo di cartelline colorate estragga quella giusta. All'interno del fascicolo una marea di carte da compilare

“desidero che lei le riempia tutte nel modo corretto. Voglio sapere esattamente i progressi della ragazza, e deve comunicarmeli lei, in qualità di suo tutor personale. Le garantisco che maggiori saranno i progressi maggiore sarà la ricompensa che lei, Mellark, otterrà in seguito. Ora può andare a farsi visitare da un esperto in ospedale, avvertiremo immediatamente la sua famiglia” con un gesto della mano mi congeda e senza aggiungere altro, nemmeno un saluto, esco dalla stanza. Infuriato nero.

Solo in macchina, mi prendo il lusso di scrivere un messaggio per tranquillizzare i miei amici.

 

D sto bene, sto andando in ospedale per farmi una radiografia, ma non credo si nulla di preoccupante. Poi ti spiegherò tutto. Promesso. Avverti tu gli altri, ti prego e di loro che non ho voglia di parlare. Dì a Finn che lo obbligo a darti un passaggio a casa. E che se non lo fa gli ficco la testa nel water del bagno dei maschi (lui sa di che parlo,tranquilla ) .

Peeta.

 

 

Ci vuole davvero poco perchè lei mi risponda clandestinamente

 

 

non credere di scamparla così. Voglio vedere come stai quindi passo a trovarti nel pomeriggio. E non sarò io ad impedire a Finn e Jo di venire con me.

VOGLIO SAPERE TUTTO. Intesi?

 

Scrivo un velocissimo OK e inserisco le chiavi.

Poi prendo in mano la cartellina e la apro, il nome in bella mostra con la foto affianco

 

PRIMROSE EVERDEEN

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A

 

OK. lo so. È una vita che non pubblico e mi dispiace da morire. Ma ci sono stati dei problemi che sto risolvendo e cercherò di aggiornare presto, da ora in poi, nonostante tutto. Quello su cui voglio rassicurare chi mi segue ancora ( e spero e prego che ci sia qualcuno che lo faccia) è che non ho la minima intenzione di lasciare le mie storie incomplete. Scrivere è la mia passione e spero di avere più tempo per farlo, prossimamente. E visto che voi, miei cari/mie care, condividete con me la passione per l'arte delle parole vi chiedo perdono e una fiducia che spero di non deludere mai più.

Come sempre, mi piacerebbe sapere da tutti voi se il capitolo vi è piaciuto, se avete suggerimenti, e se la piega che la storia comincia a prendere vi soddisfa o no... ditemi tutto mi raccomando, sarò molto più che lieta di rispondere il prima possibile!

 

Sempre vostra (non vi libererete di me così facilmente :P )

LUCKILY

 

 

P.s.

 

Quelli di Peeta sono davvero muscoli hihihihihihi immaginatelo con me!!!! 

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Capitolo 7
*** antibiotici e lacrime ***


Solo in macchina, mi prendo il lusso di scrivere un messaggio per tranquillizzare i miei amici.

 

D sto bene, sto andando in ospedale per farmi una radiografia, ma non credo si nulla di preoccupante. Poi ti spiegherò tutto. Promesso. Avverti tu gli altri, ti prego e di loro che non ho voglia di parlare. Dì a Finn che lo obbligo a darti un passaggio a casa. E che se non lo fa gli ficco la testa nel water del bagno dei maschi (lui sa di che parlo,tranquilla ) .

Peeta.

 

 

Ci vuole davvero poco perchè lei mi risponda clandestinamente

 

 

non credere di scamparla così. Voglio vedere come stai quindi passo a trovarti nel pomeriggio. E non sarò io ad impedire a Finn e Jo di venire con me.

VOGLIO SAPERE TUTTO. Intesi?

 

Scrivo un velocissimo OK e inserisco le chiavi.

Poi prendo in mano la cartellina e la apro, il nome in bella mostra con la foto affianco

 

PRIMROSE EVERDEEN

 

 

 

 

 

Primrose...

Primrose...

Prim-Rose...

Prim...

Rose...

ROSE!

Maccerto!

Sbatto la mano sul volante per la felicità di aver finalmente capito di chi si tratta. Purtroppo il clacson suona e sono costretto a farmi piccolo piccolo per la vergogna in mezzo al parcheggio dell'ospedale. Sprofondo nel sedile, sorridendo quanto la guancia mi permette. Rose...farò da tutor personale a quella ragazzina bionda che ho incontrato il primo giorno di scuola; a quella creatura a cui mancavano solo le ali per essere un angelo. Quasi quasi mi pento di averle dato della stupida: ingenua forse, ma stupida non mi era sembrata minimamente. Ed ora ho la conferma del fatto che sia spigliata. Ma staremo a vedere quanto.

Appena gli sguardi dei passanti si levano da me per posarsi di qualcosa di più interessante come un'ambulanza in arrivo a sirene spianate, riemergo dalla soffice pelle del sedile, afferro la cartella, i documenti e la giustificazione della scuola e scendo dall'auto nascondendomi nel cappuccio della giacca. Cammino a passo svelto verso le porte automatiche del pronto soccorso, l'occhio che stenta ad aprirsi da tanto è gonfio lo zigomo.

All'interno l'odore asettico di disinfettante e medicinali mi invade le narici e mi fa venire la nausea.

Odio gli ospedali. Ho ricordi terribili qui dentro.

All'accettazione una signora bassa e tarchiata, con una praticamente inutile retina fissata sui pochi e cortissimi capelli bianchi mi guarda accigliata da dietro il plexiglass trasparente che ci divide.

L'espressione impagabile che invade la sua faccia rugosa e informe mi fa venire voglia di risponderle male, anche se non ha ancora detto assolutamente nulla.

“nomecognomedatadinascitacodicefiscalenumerodiassicurazionesanitaria”

….

ok. non posso fingere di aver colto quello che mi ha detto.

“mi scusi ma non ho capito nulla”

“senti ragazzo, non ho tempo da perdere con i tuoi insulsi scherzetti. Compila questo modulo e vatti a sedere.”

sbatto l'unica palpebra ancora mobile che mi rimane più e più volte, incredulo.

“cosa? “

“è una giornata infernale. Vedi di non disturbare più del dovuto. Compila il tuo modulo, firmalo e consegnamelo quando avrai finito. Poi aspetterai che ti chiamino.”

 

“...”

allora. Allora allora allora. Io sono una persona gentile, educata, rispettosa. Ma questa sottospecie di donna mi fa salire l'istinto omicida. E siccome, purtroppo, l'omicidio è severamente punito dalla legge, opto per il sarcasmo e l'ironia

“oh io invece ho passato una splendida giornata. Mi diverte incredibilmente venire a trovarvi al pronto soccorso. Che ne dice se passo più spesso a trovarla?”

l'infermiera non mi guarda nemmeno, eppure la vena sulla sua tempia, grossa e pulsante indica che mi ha sentito benissimo.

Sorrido compiaciuto e vado a sedermi con il mio modulo su una delle scomodissime sedie di plastica della sala d'attesa.

A compilare e consegnare il modulo ci metto meno di due minuti, l'attesa per essere visitato però sembra infinita.

Passo il tempo guardandomi attorno, cercando di contare le piastrelle colorate che ornano i pavimento altrimenti completamente bianco, 53, fin dove il mio sguardo arriva. Le macchinette del caffè e degli snack emettono uno strano ronzio di sottofondo, cupo e persistente, alla lunga quasi quasi rilassante. Mi accascio contro lo schienale e sospiro, cercando di non pensare a quello che è successo questa mattina. Insomma, ho semplicemente cercato di fare un passo avanti verso la riappacificazione con una ragazza che nemmeno mi ha mai rivolto la parola, e in cambio ho guadagnato, non solo una clamorosa figuraccia, ma anche un mega cazzotto in faccia.

La vita alle volte fa proprio schifo.

Mi passo una mano tra i capelli, probabilmente ancora impiastricciati di farina dal lavoro notturno alla pasticceria e li scompiglio un po', giusto per darmi quell'aria da post-colluttazione: perchè se sono finito in ospedale per una rissa, che si pensi almeno che ho combattuto da uomo!

Un bambino dall'altro lato della saletta d'attesa piange, in braccio alla mamma, la quale mi guarda con un misto di disgusto e pena, mentre cerca di calmarlo dandogli piccoli buffetti sulla testolina bruna. Scommetto qualsiasi cosa che sta pregando che da grande, il suo tesorino petulante non diventi un teppista come me. Perchè è proprio questo che sembro ora: un teppistello imbranato che è appena stato picchiato.

Alzo un angolo della bocca per sorriderle, ma lei distoglie subito lo sguardo.

Accanto a lei, un uomo sulla quarantina con un braccio legato al collo sta dormendo con la testa buttata all'indietro e la bocca leggermente aperta. Decido di imitarlo: in fondo questa notte non ho chiuso occhio, e qui non posso fare altro che aspettare, aspettare e aspettare.

 

Ma non appena chiudo gli occhi, sento l'ormai familiare rumore della porta scorrevole che si apre, dei passi veloci che si affrettano verso il banco della reception... poi una brusca virata e il suono delle suole sbattute sul pavimento che diventa sempre più nitido e forte mi fa capire che stanno venendo verso di me.

“PEETA MELLARK! Figlio di una buona donna che sarei io, si può sapere che diavolo è successo?!?!”

l'urlo penetrante, acutissimo di mia madre mi fa gelare il sangue nelle vene. Apro gli occhi lentamente, sperando con tutto il cuore di svegliarmi da questo incubo.

Ma lei è la, davanti a me, con le mani sui fianchi e l'espressione seria, arrabbiata. Dietro di lei, mio padre mi guarda stralunato, una mano a coprirsi la bocca e l'altra in tasca. Nei suoi occhi c'è una luce strana, qualcosa di nuovo e indecifrabile, per me.

L'attenzione degli altri ammalati e della donna grassoccia al banco accettazione sono tutti su di noi. Sprofondo per la vergogna.

“ciao mamma, ciao papà” sussurro.

È come se fossi tornato bambino, piccolo piccolo tra le pieghe del divano a nascondermi dopo aver fatto una marachella innocente finita male, con qualche livido.

“Peeta, ci hai fatto spaventare a morte” la voce di mio padre, preoccupata, non riesce a farmi distogliere lo sguardo da mamma.

“ci ha chiamato la scuola. Ci ha detto che eri al pronto soccorso, che era una questione importante e che era meglio raggiungerti perchè ci eri andato da solo. Ma tu rendi conto che potevi morire?! In macchina da solo?! Potevi chiamarci e ti saremmo venuti a prendere, in qualche modo! Sei un irresponsabile Peeta Mellark!” è praticamente certo che non mi sto solo immaginando la nota di dispiacere e delusione nella voce di lei.

“mamma, mi dispiace” è l'unica cosa che riesco a dire. È sempre stata l'unica cosa che riuscissi a dire di fronte a lei quando puntava su di me quegli occhi esageratamente severi. Abbasso lo sguardo e prendo ad osservarmi le scarpe, una macchia di sangue ne sporca la punta chiara.

La sento sospirare, e poi, sorprendentemente, sedersi accanto a me, in una seggiola blu di plastica. Dall'altro lato, mio padre la imita.

“che cosa è successo?” la sua voce, ora più calma, pretende comunque spiegazioni.

Mi massaggio le tempie, stanco

“ho cercato di parlare con una persona e sono stato picchiato. Non ti preoccupare. Non ho risposto”

so che per mia madre l'educazione è la base di tutto, e che non importa quanto io sia ferito. L'importante è che non abbia ferito altri con il mio comportamento sconsiderato.

“peccato. Avresti potuto”

cosa?!

Alzo gli occhi e incontro quelli divertiti della donna che mi ha messo al mondo. Evidentemente la mia espressione la diverte perchè ridacchia, e mio padre di rimando

“che c'è? Se uno ti picchia senza motivo e ti manda in pronto soccorso allora valeva la pena ricambiare il favore.”

questa non è mia madre.

“dove hai messo la mamma? Chi sei tu? Che ne hai fatto di lei?” mi sforzo di ridere, ma la faccia mi fa male, e così mi limito a piegare gli angoli delle labbra.

Le sue mani screpolate, callose per il duro lavoro al forno mi afferrano delicatamente il mento, cosicché possa esaminare l'ematoma

“oh Peeta, mi dispiace così tanto” mi accarezza la guancia, e il tocco dei suoi polpastrelli mi fa chiudere gli occhi per un istante, beandomi di quell'affetto.

“passerà presto mamma, vedrai che non è niente” borbotto, poco convinto, solo per rassicurarla. E poi, in un impeto che anche io stento a capire, le getto le braccia al collo, cercando un po' di quel calore materno che mi è tanto mancato.

E restiamo così, la mia testa sul suo seno, la sua mano a scompigliarmi i riccioli, con mio padre che ci guarda, intenerito, come una famiglia spensierata, amorevole e perfetta. Ma non lo siamo. E non lo saremo mai.

 

Quando finalmente una donna bionda, in uniforme bianca da medico mi chiama, non ho più nessuna voglia di alzarmi. Il rumore del cuore pulsante di mia madre mi ha cullato per ore, togliendomi dalle grinfie di quell'inquietudine che mi attanaglia e che prepotentemente torna a reclamare il suo posto, ora, mentre cammino a passo lento verso le larghe porte degli ambulatori. La luce che filtra dalle finestre è cambiata e ora ha assunto i colori tipici del pomeriggio, fasci di chiarore entrano ad illuminare le sedie, il lettino e la scrivania della dottoressa, i cui capelli striati da fili grigi le donano un aspetto autorevole.

“allora, Peeta. Ora le faremo qualche radiografia, per accertarci dell'entità del danno. Da uno a dieci, come classificherebbe il suo dolore? Ho visto che nel modulo ha messo 1, ma dubito fortemente che sia vero, altrimenti non sarebbe qui di fronte a me.”

“ok... bhe... diciamo... un 5?” in realtà non saprei nemmeno che voto dare, visto che non sento quasi nulla sulla parte destra del viso: è come se avessi i postumi dell'anestesia del dentista

“ecco, va già molto meglio. Facciamo un patto, le va, signor Mellark?”

il tono dolce e allo stesso tempo molto competente della dottoressa mi fa annuire immediatamente

“non diciamoci bugie. Se lei mente, io farò più fatica ad aiutarla. In cambio io giuro di dirle subito quello che penso della sua ferita. Ok?”

“ok”

“perfetto. Non c'è bisogno di mostrarsi forte o coraggioso con me.” mentre abbassa lo sguardo per scarabocchiare qualche cosa nella mia cartella medica, mi sorprendo a pensare che anche lei, nonostante l'età, assomiglia a qualcuno. Qualcuno che non so associare in questo momento: la curva del naso, gli zigomi alti, le lunghe ciglia bionde e gli occhi chiari.

“penso, Peeta, che il pugno che le hanno tirato le abbia procurato una frattura dello zigomo destro.”

oh. bhe, non avevo preso in considerazione l'idea che potesse essere veramente rotto.

Dio, Hawthorne, te la farò pagare.

“quindi?” domando, ignaro delle conseguenze che questa frattura possa portare

“quindi ora ci accertiamo che sia vero. E poi ne riparleremo”.

 

 

 

 

 

 

 

Ci sono volute altre due ore di attesa, prima che mi richiamassero nello studio della dottoressa, questa volta assieme ai miei genitori, per darmi una risposta chiara su quello che quel coglione di Gale si è divertito a fare con la mia stupida faccia.

“allora, signori, come avevo promesso a vostro figlio, sarò chiara e non farò giri di parole.” la seguo con gli occhi e ne osservo i movimenti sinuosi mentre si avvicina alla lavagna luminosa per appenderci le lastre del mio viso.

Mi attrae il suo modo di fare, come se lo avessi già visto.

 

Io sto davvero dando di matto: sono rincitrullito del tutto. Prima mi attira una ragazzina di 4 anni più piccola e poi una donna di trent'anni più vecchia!

Devo smetterla di bere con Finnick nei weekend; la cosa mi sta rovinando il cervello. È certo.

 

“vedete la linea scura qui, proprio in questo punto?” annuisco, senza prestare troppa attenzione, troppo distratto dalle mie insensate congetture su chi sia la persona a cui questa donna assomiglia tanto.

“bhe, è una frattura bella e buona e, mi dispiace molto, ma necessita di un intervento chirurgico.”

alza le spalle rassegnata, e torna a cadere di peso sulla sedia girevole imbottita.

“e che di che genere di operazione si tratterebbe?” la voce di papà mi giunge ovattata alle orecchie, attutita dalla disperazione di dover perdere altri giorni di lavoro in pasticceria.

“è una cosa semplice. Entreremo dal sopracciglio e dalla bocca per riposizionare le ossa e le fisseremo con placche e microviti in titanio. Non si noterà niente, perchè gli accessi sono assolutamente estetici e nascosti e tutto avverrà in anestesia totale. Se siete d'accordo sarei propensa a tenerlo qua per la notte, giusto per controllare che tutto si sgonfi regolarmente e domani in mattinata procederei con l'operazione. Per la sera dovrebbe già essere a casa, salvo complicazioni che generalmente non ci dovrebbero essere.”

sono quasi convinto che tutte le persone in questa stanza si aspettino una risposta da me, ma non credo di essere mentalmente in grado di accontentarle.

“Peeta, tesoro, tutto ok?”

scuoto la testa con forza, e deglutisco

“è per il suo bene Peeta” so che la dottoressa ha ragione, eppure...

 

e vabbè! Lo ammetto. Le sale operatorie mi mettono una fifa blu. Non che abbia paura degli aghi o dei dottori o dei farmaci. Mi fanno una stramaledetta paura tutte le pinze che hanno li dentro. E se volessero cavarmi un occhio? E se sbagliassero e mi amputassero una gamba? Oh non ci voglio pensare.

 

“lo so” biascico, ma la voce scostante tradisce la mia ansia

“è che siamo sicuri che andrà tutto bene vero?”

“certo. È una cosa di ordinaria amministrazione qui da noi. Abbiamo una equipe di medici professionisti, pronti per rimetterla a nuovo. Se le va potremmo pure rifarle le labbra, mio caro. Che ne dice?” sorridono tutti, ormai.

“no grazie. Le mia labbra sono perfette da baciare così come sono.”

 

 

 

 

 

 

 

“Ehy Peeta” la mia “sorellina” entra nella mia stanza d'ospedale bussando piano, sempre attenta a non disturbare. L'ho avvisata di quello che è successo e lei si è precipitata qui non appena le è stato possibile.

“ciao D” sorrido, vedendola.

“come stai?” domanda, raggiungendo il letto

“potrei stare meglio, ma va bene anche così, tutto sommato. E tu?”

alza le spalle, come se non fosse importante. Però vedo nei suoi lineamenti, nel modo nervoso in cui si muove, e sento nel respiro irregolare che c'è qualcosa che la turba.

“tutto ok... mi sei mancato oggi a pranzo”

“ma davvero? Delly. Cosa c'è che non va? Ti conosco troppo bene “

“non mi piace questo posto” dice, forse tanto per sviare il discorso

“D. non mentirmi per favore. Dimmi cosa succede...” le faccio segno di sedersi accanto a me, e lei obbedisce, prendendo ad accarezzarmi i capelli biondi come una madre con il suo piccolo.

In fondo Delly è sempre stata così: materna, premurosa e gentile.

“sai, oggi a scuola tutti parlavano di come Hawthorne ti avesse steso con un solo pugno”

“fantastico. Reputazione rovinata del tutto... “ guardo le punte dei sui capelli lunghi e biondi come i miei, scivolarle sul seno prosperoso.

“no io non direi del tutto” si acciglia, guardando la parete troppo bianca della stanza

“ok, forse un pochino si, ma si può ancora recuperare”

ridiamo di gusto, come se al mondo fossimo soltanto noi, e non fossimo in un ospedale, e io domani non avessi un'operazione chirurgica ad attendermi con la quale mi faranno diventare bionico.

O meglio... a me piace dire che diventerò bionico.

 

È buio quando decido che è ora che Delly torni a casa. Il sole che prima illuminava le finestre ora lascia spazio al riflesso di noi due, stesi sul letto sotto il fascio di luce giallastra dell'unica lampada a muro della stanza. Il materasso, non propriamente comodo, scricchiola mentre ci alziamo e ci dirigiamo verso le scale che portano all'atrio principale. Fa piuttosto freddo per girarsene in pigiama per l'ospedale, in pantaloncini e maglietta.

La mano di Delly accarezza pigramente la mia, solleticandomene con il pollice sottile, il palmo. Sbadiglio, intontito dagli antibiotici che mi hanno somministrato e la guardo mordersi il labbro distrattamente, immersa in pensieri profondi, che ho una voglia matta di scoprire.

“siamo arrivati D” le stringo la mano, facendola tornare nel mondo reale.

Le gote le si imporporano, e il respiro affannato mi lascia alquanto perplesso...a che diavolo stava pensando?

“si si, scusami. Ora....” sospira, “ ora vado”

c'è qualcosa in lei, in questo preciso momento, che mi fa venire voglia di abbracciarla. E faccio appena in tempo ad afferrarla per un polso prima che se ne vada

“D”

“dimmi Peeta”

“non mi hai ancora detto cosa c'è che non va. Devo preoccuparmi?” cerco di disegnare sul mio viso l'espressione più conciliante e rassicurante possibile, ma credo che il tutto assomigli più ad una smorfia. Scuote la testa con vigore

“c'è di mezzo qualche ragazzo? Perchè giuro che lo uccido” scherzo

ma mi accorgo troppo tardi che il suo viso si è fatto serio, in un modo che mai avevo visto prima d'ora: il combattimento nei suoi occhi è talmente palese, che mi perdo ad osservare quegli strani cambiamenti di intensità, e non mi rendo conto di quello che sta succedendo.

Basta un attimo, e le sue labbra sono sulle mie: delicate, carnose, morbide.

Sento il mio corpo muoversi per rispondere al suo, senza che io possa davvero decidere qualcosa.

Rispondo al bacio, e cerco la sua lingua nello stesso istante in cui le sue mani si intrecciano ai miei capelli, tirandoli, giocandoci con foga, facendomi male.

Ed è in un attimo di lucidità, che capisco che tutto questo non sarebbe mai dovuto succedere.

Che è tutto sbagliato

che lei è e rimarrà sempre la dolce sorellina che non ho mai avuto.

Ricomincio a sentire tutto, tranne la strana pulsione che mi ha spinto a rispondere a questo bacio.

Mi accorgo dei passi attorno a noi, delle porte che si aprono e si chiudono, dell'alito di vento fresco che mi accarezza le gambe scoperte, mentre ancora le sue labbra si muovono sulle mie.

Qualcuno si ferma ad osservarci, poi scappa via, lasciandoci soli.

E io ho bisogno d'aria, devo staccarmi da lei. Devo farla ragionare,

le afferro i fianchi e la spingo via dolcemente. Quando mi guarda, scuoto la testa, e l'espressione sognante nei suoi occhi svanisce, dissolta nel nulla.

“Delly io” non trovo le parole, non so che cosa dire

“D mi dispiace, ma”

“lascia perdere Peeta. Scusami, non so che mi sia preso”

so che sta per piangere, so che presto, in macchina verserà tutte le lacrime che aveva in serbo da tutto il pomeriggio.

E sono stato uno stupido a non capirlo prima. Il problema, oggi, sono sempre stato io.

Mi volta le spalle e se ne va, le braccia strette attorno al corpo e un finto sorriso sbilenco e triste sul volto.

L'unica cosa che vorrei fare ora, è correre da lei ed abbracciarla, per consolarla, come un fratello maggiore farebbe con la piccola e indifesa sorellina. Ma so che non posso.

E me ne sto li, immobile.

 

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Capitolo 8
*** acqua fisiologica e radioattività ***


lascia perdere Peeta. Scusami, non so che mi sia preso”

so che sta per piangere, so che presto, in macchina verserà tutte le lacrime che aveva in serbo da tutto il pomeriggio.

E sono stato uno stupido a non capirlo prima. Il problema, oggi, sono sempre stato io.

Mi volta le spalle e se ne va, le braccia strette attorno al corpo e un finto sorriso sbilenco e triste sul volto.

L'unica cosa che vorrei fare ora, è correre da lei ed abbracciarla, per consolarla, come un fratello maggiore farebbe con la piccola e indifesa sorellina. Ma so che non posso.

E me ne sto li, immobile.

 

 

 

Si dice che non si capisca ciò che si ha davvero finchè non lo si perde.

Bhe, sinceramente l'unica cosa che ho capito io è che sono rimasto indietro. Non sto al passo con tutto quello che mi succede attorno e la cosa mi sta traumatizzando non poco; voglio dire, come diamine ho fatto a non accorgermi di nulla? Insomma, lo capisco quando una ragazza è attratta da me, ma possibile che non mi sono nemmeno reso conto di quello che provava la mia migliore amica?

Dio, sono uno stupido. Spero con tutto il cuore di non averla persa.

 

Sospiro, rigirandomi nel letto, le lenzuola troppo rigide e il materasso che scricchiolano non mi aiutano a rilassarmi. Ho “dormito”, se così si può dire, soltanto sotto anestesia durante l'operazione. Questa notte ho continuato a pensare a lei, a quanto sia dolce, così diversa dalla Everdeen...

in compenso l'operazione è andata bene, i punti sul sopracciglio prudono e tirano un po', ma ho decisamente passato di peggio, quindi non mi sento nemmeno così male... stanco si, ma dolorante relativamente poco.

 

“Ragazzo tutto bene?” papà mi guarda da sopra gli occhiali, alzando lo sguardo dal giornale sportivo

“uhm uhm” pff, questo letto fa proprio pena. Mi giro sul fianco, nel tentativo di trovare una posizione un po' più comoda.

“hai bisogno di qualcosa figliolo?”

“no papà... “ sbuffo svogliato, assonnato e soprattutto pensieroso.

“c'è qualcosa che vuoi dirmi?”

scuoto la testa per l'ennesima volta, con calma in modo da non farmi ancora più male di quello che ha già pensato bene di fare Hawthorne.

“no papà... va tutto bene...” poi abbasso la voce “più o meno”

lui si guarda intorno, lo vedo sgranchirsi il collo e scrocchiarsi le dita delle mani

“è proprio il più o meno che mi fa preoccupare. Ieri pomeriggio non mi sembravi così afflitto, quindi suppongo che tu abbia litigato con Delly”

Dio, quell'uomo deve avere il radar incorporato!

Ho disperatamente voglia di cambiare discorso. Non mi va di farmi dare altri consigli. Anche perchè l'ultima volta che ne ho seguito uno suo... bhe...

sono finito in ospedale.

Diciamo che non è il miglior suggeritore del mondo, su questo non ci piove.

Mi passo le mani tra i capelli e rassegnato mi metto seduto, l'ago della flebo che punge la mano ogni tanto si fa sentire

sono alla disperata ricerca di un argomento quando noto la fede al dito del mio vecchio.

IDEA!

“ma a proposito! Ora che mi ci fai pensare, si può sapere cosa è successo con la mamma ieri?” cerco il mio miglior sorriso furbo e lo guardo scherzosamente di sottecchi

“eravate, bhe, come dire” alzo le sopracciglia, ridendo “piuttosto rilassati no?”

in meno di un decimo di secondo lo vedo letteralmente cambiare colore. Dal rosa pallido, al fucsia, al rosso, al bordeaux, al viola, tossendo come un matto, nel tentativo di non soffocarsi.

Non penso di essermi mai sbellicato tanto come sto facendo ora

“M-MA NIENTE FIGLIOLO! PROPRIO NULLA” la vocina stridula con cui mi risponde fa soffocare me dalle risate

“ammettilo” lo incalzo mordendomi il labbro per trattenermi, almeno mentre cerco di parlare

“ma davvero Peeta, non è su... ehm” deglutisce “si ecco, proprio nulla”

mantiene ancora quella tonalità di rosso fuoco che si addice più ai pomodori che ai pasticceri

“tanto lo so che LO AVETE FATTO” ridacchio, massaggiandomi la faccia indolenzita e pruriginosa

“era da una vita che non vi vedevo così sciolti” lui distoglie lo sguardo

“e poi la mamma che mi dici di picchiare qualcuno? Devi proprio avergli dato alla testa”

“non sono affari tuoi “ ridacchia anche lui adesso

“e questo conferma che A) ho ragione IO e B) sono affari miei eccome perchè la cosa mi ha risparmiato una sgridata pazzesca.”

“tu non hai..”

lo interrompo

“si che ho ragione, quindi, senza tutto il rispetto dovuto, perchè la cosa mi fa parecchio rabbrividire e nella speranza che non abbiate invaso altro ambiente che non sia il vostro caro e vecchio talamo nuziale, alias il vostro letto” prendo fiato, osservando la sua faccia sconvolta e ridendo tra i baffi

“ti ringrazio per aver fatto rilassare la mamma con il vecchio e sano buon sesso matrimoniale, mentre, a causa dei tuoi non collaudati consigli, io finivo in ospedale letteralmente spaccato a pezzetti”

lui mi guarda con gli occhi allucinati, il che mi fa pensare di essere davvero un figlio perfetto. O perfettamente stronzo. Chi lo sa! C'est la vie!

“ah e mi vorrei scusare con voi visto che ho interrotto uno dei vostri più unici che rari momenti”

“PEETA BASTA!” arrossisce ancora di più, ma sta ridendo, quindi mi rilasso, con la schiena poggiata al cuscino le braccia dietro la testa.

Quest'uomo sarà un dispensatore di consigli peggiore di un Finnick ubriaco, ma tutto sommato è un padre grandioso.

 

Il fatto è che quando parli del diavolo spuntano le corna. E un po' come un brutto presagio che si realizza Finnick e Jo di materializzano, facendo casino tra le corsie e nella stanza, spintonandosi a vicenda.

Quei due non cambieranno mai. Non smetteranno mai di farsi i dispetti.

“smettila o ti mordo stupido idiota che non sei altro” la finezza di Johanna Mason non ha limiti... in senso negativo ovviamente. O come direbbe la mia professoressa di matematica “tende a meno infinito”. Davvero, è una ragazza meravigliosamente maleducata. E io la adoro.

“sei tu che devi smetterla Racchia!” Finn è sempre, sempre, sempre, sempre e costantemente pieno di fantasia per gli insulti.

Guardo papà, accigliatosi, mentre si gratta la barba. Penso di riuscire a scorgere gli ingranaggi del suo cervello che lavorano mentre si chiede se la sua teoria su chi sia a fare baccano sia giusta

“si papà” annuisco fintamente esasperato

“sono loro”

lui tace e muove la testa in segno di assenso

“allora sarà meglio che vada. Non ho intenzione di sentire nulla di quelle strane cose che avete voialtri da dirvi”

mi saluta, alzandosi dalla sedia, con un buffetto sulla testa.

“ciao Peeta, io raggiungo la mamma dalla dottoressa, poi passiamo a prenderti appena sono pronte le carte per tornare a casa ok?”

“certo papi. A dopo “

esce dalla stanza con il giornale sottobraccio e mentre mi sistemo meglio sul materasso scomodo lo sento

“Buon giorno ragazzi”

“Salve Signor Mellark!” il coretto a due voci che arriva mi fa pensare ai bambini dell'asilo, quando, rispondendo alla maestra tutti insieme formano una cantilena parecchio stonata.

 

Pochi passi mi separano dai due più grandi stupidi esistenti al mondo, che sono pure due dei miei 3 migliori amici.

Spero davvero di non aver perso la 3...

Delly già mi manca... ho fatto davvero una cazzata immensa. Vorrei poterne parlare con qualcuno ma...

 

“ BUONSALVE signor 'mihannostesoconuncolposolo'!! come ce la passiamo qui dentro?” la zazzera ramata di Finn entra nel mio campo visivo accompagnata da una smorfia sul suo viso abbronzato

“mamma mia che puzza che c'è qua dentro!” si sventola una mano sotto il naso con fare teatrale

“ciao Peeta”

“ciao Jo” alzo la mano in risposta al suo saluto e con la cosa dell'occhio la vedo accomodarsi dove appena qualche minuto prima c'era seduto mio padre.

“ ma... non è che per caso hai fatto una puzzetta?” Finn, alla ricerca di una finestra apribile, tasta il vetro senza risultati evidenti

“eh si bastardo. Ne ho mollate al profumo di detersivo per pavimenti” scherzo, motivo per cui mi becco un'occhiataccia

“eddai brutto stupido! A meno che le mie puzzette, come le chiami tu, non sappiano da disinfettante, allora no. Non ho mollato proprio nulla”

“ecco sarà meglio. Perchè sennò me ne vado prima di subito. Non ho intenzione di

profumarmi con l'eau de toilette ai gas di scarico di Peeta Mellark. Sappilo.”

“guarda che prima o poi te la regalo davvero” lo minaccio

“comunque buon giorno anche a te. E vedi di abbassare la voce che sennò ti cacciano. E se non lo fanno le infermiere, lo faccio io.”

“mamma mia quanto sei antipatico sta mattina” borbotta, incrociando le braccia al petto e poggiandosi al muro

“i dottori ti hanno dato una bella dose di stronzaggine liquida durante l'operazione”

 

Parliamo del più e del meno, di come sia proseguita la giornata a scuola, di come si siano sparse le voci sul mio conto e di quanto ora sia esageratamente popolare Gale Hawthorne dopo avermi menato.

“diciamo pure che ti sei fatto notare ieri” Jo accavalla le gambe, facendo sfregare i jeans strappati

“e diciamo anche che non hai più tantissime chance con la Everdeen adesso” Finn alza le sopracciglia e io, giuro, vorrei ucciderlo all'istante. L'unica cosa che mi viene in mente adesso pensando a Katniss è il bacio con Delly. Il che, ovviamente mi fa stare molto peggio.

“non che le abbia mai avute o che mi interessassero. Volevo soltanto parlarci.” sospiro, e mi stiracchio come un gatto, allungando le braccia per quanto la flebo mi permetta.

“comunque io Gale proprio non lo capisco. Voi maschi siete proprio strani. Vi comportate in modo assurdo alle volte. Come te Peeta, che ti presenti tutto infarinato la mattina a scuola. O te, Idiota del cazzo, che vai dietro a tutte quelle oche sceme ma che alla fine scegli finalmente quella giusta” il tono di Johanna mi impensierisce un pochino, così stralunato eppure così serio e così poco da lei

“tutto bene Jo?” domando, ma mi risponde solo con un'alzata di spalle poco esplicativa

“Senti chi parla. Voi donne siete un casino immenso. Chiedete una cosa aspettandovi da noi poveri ominidi l'esatto contrario. Cosa pretendete? Che vi capiamo? Oppure ci fate le domande trabocchetto e poi finiamo sempre fregati” Finn si schiarisce la voce tossicchiando, poi con voce stridula

 

Oh Finnick come sto con questo vestito rosa? Dici che mi ingrassa?”

no tesoro stai benissimo”

e con quello verde?”

sei bella anche con quello amore”

oh tu non capisci, devo decidere, ma non voglio sembrare incinta e nemmeno troppo magra. Come faccio?”

mettiti quello verde, figurati non ti fa sembrare grassa. Ora basta che ti muovi”

cosa?! MI STAI DICENDO CHE NON MI FA SEMBRARE GRASSA PERCHE' LO SONO GIA' VERO?”

 

rido, perchè so che Annie sarebbe in grado di fare questo e ben altro. Sono contento di non aver a che fare con tutto questo, per il momento. La cosa più simile che mi sia mai stata chiesta in fatto di abbigliamento da una ragazza è dove avesse lasciato il reggiseno dopo aver fatto sesso. Il che non è per nulla la stessa cosa.

 

“io non sono così” ribatte Jo, piccata

“il problema si scatena quando avete le vostre cose poi” Finn alza gli occhi al cielo e io lo imito, dandogli man forte

“esattamente. Siete DEVASTANTI.”

“già... ogni tanto mi immagino cosa fareste in guerra, armate fino ai denti, con il ciclo. Nel giro di una settimana dimezzereste la popolazione mondiale.”

“siete armi di distruzione di massa. Altro che bomba atomica”

 

ridiamo tutti e tre, poi, guardandoci male, la mia amica si alza dalla sedia, afferra la borsa e si dirige verso la porta

“vai via Jo? Che è, ti abbiamo offesa?” la prendo in giro

“no. È arrivato il mio momento di devastare la popolazione mondiale, Cretini che non siete altro” scuote la testa

“a proposito dell'essere donna. Che seccatura” borbotta.

 

 

 

non appena restiamo soli decido che se devo raccontare a qualcuno quello che è successo, questa persona è il mio migliore amico. Finnick.

Lui sa tenere i segreti, ed è un grado di ascoltare senza dare giudizi di troppo peso.

Ok, ammesso che come consigliere fa davvero pena, è una delle persone più belle che io conosca e più degne di fiducia.

“ehi fratello” lo chiamo “devo dirti una cosa”

lui si acciglia,

“una cosa?”

“si..ehm” sospiro “ok una grande cosa”

“una cosa grande quanto esattamente?” indaga, serio

“parecchio grande, dal mio punto di vista” ammetto, stringendo i denti

“devo preoccuparmi non è vero?”

“ehm... probabilmente si”

“oh fantastico” sbuffa

“Amico, sputa il rospo!”

prendo fiato

“Delly mi ha baciato”

 

silenzio.....

 

“allora? Non dici nulla”

è una via di mezzo tra lo sbigottito e il pensieroso, un'espressione rara da vedere sulla faccia da schiaffi del biondo

“dico che... cosa vuol dire ti ha baciato?”

“come cosa vuol dire?! Sai, quella cosa che fate spesso tu ed Annie? Quel contatto bagnato e salivoso di labbra? Le tue sulle sue eccetera eccetera eccetera? Quella cosa in cui spesso ci si infila pure la lingua?”

“Stupido! So cosa vuol dire! E sono serio!” apre le braccia esasperato e si porta le mani ai fianchi

“quello che voglio sapere è cosa vuol dire che ti ha baciato lei? Tu non hai risposto? Ti è saltata addosso? Era ubriaca? Insomma, dimmi come sono andate le cose”

“bhe, in realtà non era ubriaca. E non mi è saltata addosso” mi mordicchio il labbro, rivivendo quelle immagini come se stessero riaccadendo ora

“e io... bhe....si, insomma, io ho risposto”

“e allora non puoi scaricare tutta la colpa su di lei”

“non l'ho fatto!” protesto

“si che l'hai fatto. Hai detto che ti ha baciato lei, non che vi siete baciati. È diverso.” puntualizza, fermamente convinto

“ma io non lo volevo. E poi è stata lei a cominciare”

“non è questione di chi comincia Peeta!”

“ma.. ma.... Finn... il problema è che poi io l'ho respinta e che lei è andata via piangendo. E mi sento in colpa per questo.”

raccontarlo fa male, ma ho disperatamente bisogno di un parere che non venga dalla mia testa. Visto che tutto questo casino è opera mia

“onestamente” aggiunge, grattandosi il mento “onestamente non mi stupisce che ti abbia baciato. Personalmente me lo aspettavo”

“COSA?! È soprattutto. PERCHE?” sgrano gli occhi, esterrefatto. Il cuore a mille.

“ultimamente si comportava in modo strano. Mi sorprende che tu non te ne sia accorto. Pensavo la conoscessi.”

“certo che la conoscevo! Anche se ora penso di non capirla più bene come prima. Ma perchè tu non mi hai avvertito scusa?!”

“perchè avrei dovuto? Pensavo te ne fossi accorto! Insomma ti stava appiccicata tutto il tempo!”

“ma in qualità di mio migliore amico dovevi dirmelo lo stesso!” brontolo, irritato. Avrei potuto evitare tutto questo se solo lui me lo avesse detto.

Si può sapere perchè mi racconta le cose stupide e quelle serie se le tiene per se? Non deve mica essere normale questo qua

 

“io non ero tenuto a fare proprio nulla Bello mio! Ho già le mie rogne da sistemare”

 

non ho voglia di mettermi a litigare anche con lui, quindi lascio cadere la discussione in un nulla di fatto

“vabbè, ormai il danno è fatto. Consigli su come rimediare?”

lui si siede sulla sedia accanto al letto e si massaggia lentamente le tempie, il gomito poggiato sulle ginocchia

“chiamala o mandale un messaggio e digli che non volevi che accadesse e rimettila nella Friendzone. Non se lo merita, ma se per lei non provi nulla, è giusto così. Basta illuderla”

 

annuisco. La Friendzone è un incubo. Lo sanno tutti

“ci ho provato ieri sera, ma non mi risponde”

“dalle tempo un paio di giorni per sbollire. Poi richiamala e vedi come va” alza le spalle tornando a guardarmi con i suoi occhi chiari e penetranti, poi sorride

“io faccio così quando Annie si arrabbia. Le do il tempo di sbollire e poi ci chiariamo”

“già... mi sa che seguirò il tuo consiglio, questa volta”

“alleluja!” ride

“Finnick Odair è il re dei suggerimenti!”

ridacchio con lui, finchè i passi in corridoio, sempre più nitidi e vicini ci informano che Johanna sta tornando

“é un segreto ok? Vedi di stare zitto” lo fulmino con lo sguardo e proprio mentre la ragazza oltrepassa la soglia, le dita del mio migliore amico gli si incrociano sulle labbra.

Starà zitto.

 

 

Almeno spero.

 

 

 

 

 

 

 

Una volta solo decido di risistemare le mie cose nel borsone che i miei hanno portato da casa. Mi rivesto e piego in pigiama, raccatto le cose per la pulizia personale e mi infilo i calzini per mettere via le ciabatte.

Mentre metto via i fogli sul comodino mi ritrovo tra le mani la cartellina che la preside mi ha consegnato ieri, quella con la scheda personale della ragazzina che dovrò aiutare per avere la borsa di studio.

La sfoglio, nella speranza di capire di più su quell'angioletto biondo con le trecce.

Qui dice che nelle materie umanistiche eccelle, che in scienze e biologia non se la cava affatto male, con la media del B+ ma che in matematica ha qualche problemino.

Cambio pagina, scoprendo il suo programma di studi e i suoi obbiettivi, una lettera di raccomandazioni della scuola precedente e una nota piccola, scritta a penna nell'angolo dice vinto trofeo internazionale di spelling anno 2012.

Wow, deve essere davvero sveglia. Sarà uno spasso studiare con quella piccoletta.

 

La terza pagina contiene i dati personali, nome, cognome, numero di telefono, indirizzo..

 

decido di chiamarla. Prima iniziamo con le ripetizioni, prima ognuno di noi avrà il suo premio. E io mi sento perfettamente in grado di aiutare qualcuno anche con un livido enorme sulla faccia.

Tra l'altro ho bisogno di tenermi occupato, non posso permettermi di pensare a Delly o a Katniss.

Devo rimanere concentrato. E nulla me lo impedirà. Forse....

 

compongo il numero sul cellulare e premo il tasto verde.

 

Il classico TU- TU- TU arriva dopo un paio di secondi, quindi prendo un respiro profondo e poi, con calma, espiro

“Pronto?” la risposta titubante dall'altro capo del telefono mi spinge a schiarirmi la voce

“Parlo con Primrose Everdeen?”

“si... ma chi parla?” la sua vocina mi fa quasi tenerezza

“sono Peeta Mellark, la preside mi ha dato il tuo numero perchè ha deciso che sarò il tuo tutor personale” spiego, tornando a distendermi a letto, il braccio piegato dietro la testa

“ah.. oh si si, la signora Paylor mi aveva avvertita” tossisce, e io le lascio il tempo di riprendersi e continuare a parlare

“come posso aiutarti?”

“in realtà sono io che dovrei aiutare te” le faccio notare, sorridendo, anche se lei non può vedermi. Per qualche motivo spero si ricordi di me, come io mi ricordo di lei.

“oh, in effetti...” la sento incerta, quindi mi affretto a mettere in chiaro il motivo della telefonata

“Primrose senti. Volevo chiederti quando avevi intenzione di cominciare con il tutorato così potevamo metterci d'accordo.”

“per me va bene anche subito. Prima cominciamo e prima finiamo no?”

“assolutamente si. Ti va bene dopodomani subito dopo scuola, per un paio d'ore?” in fin dei conti io non ho impegni in pasticceria a quell'ora, quindi sarebbe fantastico.

“per me va benissimo, ti preparo tutti gli esercizi che non riesco a fare va bene?”

muovo la testa su e giù, poi, ricordandomi che sono al telefono e che non mi può certo vedere rispondo

“si bravissima. Dove vuoi che ci mettiamo?”

la sento esitare per qualche frazione di secondo, poi bisbiglia

“in realtà dovrei tornare a casa, perchè sennò non riesco a vedere mia madre per tutto il giorno, sai no? I turni di lavoro ecc... Non è che potresti venire da me?”

ci penso su, guardo l'indirizzo sul foglio. In realtà non è così distante e in macchina è facile arrivarci, anche non conosco bene la zona

“certo, non c'è problema”

“grazie mille Peeta. Siamo d'accordo cosi allora. Ok?”

“ok. Ora ti lascio andare. Buona giornata Rose”

“buona giornata a te”

 

riattacco, felice di aver qualcosa da fare per un bel po' di tempo.

 

Ho come il presentimento che quella ragazza riuscirà a stupirmi ancora, ma staremo a vedere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A

 

OK OK OK OK!

LO SO!

Si, si, lo so cosa state pensando!

“Ma ti pare ora di far uscire il nuovo capitolo?!”

 

eh.

avete ragione, che volete che vi dica.

Me lo dico anche da sola.

 

Quindi. STOP AL LANCIO INDISCRIMINATO DI TUTTO QUELLO CHE AVETE AFFIANCO, (compresi oggetti contundenti e tartarughe ninja e pomodori e carote o ortaggi vari) e lasciatemi spiegare un po'...

a mia difesa, come ho già detto a qualcuno di voi, ho avuto un terribile blocco dello scrittore.

Avevo un sacco di idee e nemmeno una parola per scriverle.... spero non via sia mai capitato. In tal caso però non potreste capirmi fino in fondo... ma vi giuro sullo Stige che è terribile. Riempirsi il telefono di spezzoni di FF e non riuscire a metterle assieme... INCUBO.

 

Comunque. Sembra passato e sono tornata a rompervi l'anima!

 

“CHE PALLE! “ Direte voi “potevi startene nel Tartaro a cacciare Gerbilli”

“CHE GIOIA !” dico io “ma i Gerbilli mi piacciono un sacco e ne voglio adottare uno”

 

 

(per chi non sapesse che diavolo sono i gerbilli, vada a cercarselo su google, perchè sono animaletti adorabilissimi!!! ah, non lo sapevo nemmeno io fino a ieri XD )))

 

 

ma, adesso che mi avrete perdonato (forse) o dimenticato (spero di no, anche se sarebbe comprensibile) e che siete arrivati a leggere fin qui (COMPLIMENTI) è ora di sapere che

 

  1. vi voglio un gran bene

  2. spero continuiate a seguire la storia, che verrà aggiornata

  3. vorrei sapere cosa ne pensate del capitolo!

  4. E per ultimo ma non certo per importanza, è ora di sapere che vi ringrazio per le recensioni precedenti, per tutte le volte che la storia è finita nei preferiti o seguiti di qualcuno di voi.

 

GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!

 

 

Un bacio grande grande,

fatevi sentire,

 

sempre vostra

 

Luckily_ Mellark

 

 

 

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Capitolo 9
*** Brandy e Limonata ***


in realtà dovrei tornare a casa, perchè sennò non riesco a vedere mia madre per tutto il giorno, sai no? I turni di lavoro ecc... Non è che potresti venire da me?”

ci penso su, guardo l'indirizzo sul foglio. In realtà non è così distante e in macchina è facile arrivarci, anche non conosco bene la zona

certo, non c'è problema”

grazie mille Peeta. Siamo d'accordo cosi allora. Ok?”

ok. Ora ti lascio andare. Buona giornata Rose”

buona giornata a te”

 

riattacco, felice di aver qualcosa da fare per un bel po' di tempo.

 

Ho come il presentimento che quella ragazza riuscirà a stupirmi ancora, ma staremo a vedere.

 

 

 

 

 

 

Tornare a casa è stato molto meno piacevole di quanto mi aspettassi. I miei fratelli hanno deciso di divertirsi a mie spese, hanno riempito la mia stanza di stronzate varie in versione finto-ospedale, che a me poi toccherà pulire e cercano in tutti i modi di prendermi in giro, con nomignoli tipo “Peetino fragilino” o “Peetuccio deboluccio”. Sentirli tutto il giorno è estenuante. E si che sono a casa da circa 30 ore!

Un giorno e mezzo e mi hanno già asfaltato le palle come una squadra di bulldozer inferociti.

Sarà forse che mi aspetto qualcosa di molto simile domani a scuola, ma sono terrorizzato all'idea di tornare la dentro e sentirmi deridere.

Insomma, avevo una reputazione da mantenere, prima di finire spiaccicato contro un armadietto. Non che sia la fine del mondo, ma passare da re del ballo a sfigato di turno mi preoccupa parecchio.

So anche che non sarò da solo, che affianco a me avrò Finnick e Johanna, e se succede il miracolo anche Delly.

 

Chissà... forse dovrò subirmi l'ira funesta del tipo a cui ho ammaccato l'armadietto.

 

Sorrido al pensiero e mi sdraio in divano, afferro il telecomando e faccio zapping, cercando in Tv qualcosa di decente da guardare.

Nonostante siano le quattro del pomeriggio di programmi interessanti non c'è nemmeno l'ombra, quindi sistemo meglio i cuscini e mi do alla tv-spazzatura.

Rye mi si siede accanto e si porta le braccia dietro la testa, a mo' di cuscino, mentre sbadiglia sonoramente. Credo che abbia fatto il turno all'alba oggi.

“davvero guardi sta roba, pivello?” accigliato si gira verso di me e afferra il telecomando.

Annuisco e con un alzata di spalle lo lascio fare. Sullo schermo quattro gorilla, si fa per dire ovviamente, cercano di rimuovere un auto da una zona di sosta vietata mentre urlano con il proprietario. Non ho ascoltato nulla di quello che è successo, ma non faccio fatica a capire.

“certo che fai proprio schifo” continua mio fratello, mentre i canali continuano a cambiare velocemente. Ad un tratto si ferma

“guarda qui!” tutto contento si sistema sul proprio posto e con un urletto da quindicenne ormonata chiama papà

“papà! Vieni a vedere un po' chi c'è in tv?!”

“non venire papà! C'è il boss delle torte” replico io, sconvolto dall'atteggiamento adorante di Rye

“come fa a piacere a te questa roba invece!?”

“ma hai visto le sue torte? Sono spettacolari!” gesticola come se la cosa fosse evidente e io fossi troppo scemo per capirlo.

“e sono immangiabili” continuo, cercando di farlo ragionare. Insomma è un pasticcere anche lui! Dovrebbe accorgersi che se uno fa una torta a grandezza naturale con il riso soffiato forse non è del tutto buona da mangiare. Tanto più se la maggior parte del peso è costituito da pan di Spagna spesso come un mattone, crema al burro e tonnellate di legno. eh.. già. VERO LEGNO.

“ma sono fighe!” ma che ragionamento è?!

“e allora? Se non sono buone è tutto tempo sprecato” gli faccio notare, ma lui non vuole starmi a sentire

“e poi a te chi te lo ha detto che non sono buone?” mette su il broncio e incrocia le braccia al petto

“te lo ripeto. Ma le hai viste? Non c'è altro che crema al burro e quattro quarti. Quelle cose enormi non sono buone da mangiare. Poi il resto che fa magari è squisito ma quelle cose megagalattiche NO”

“sei impossibile Peeta. Ora stia zitto e guarda un vero maestro al lavoro” fa le smorfie, e io mi chiedo se sia davvero più grande di me. Visto il suo atteggiamento, avranno sicuramente fatto uno scambio di culla spazio-temporale.

Scuoto la testa, rassegnato

“Papà, diglielo che il boss delle torte è un programma ispiratore!”

“nemmeno dopo morto Rye!” sento il mio vecchio ridere e io lo imito facendo la linguaccia a quel cocciuto di mio fratello

“voi due siete solo invidiosi perchè le tue torte, caro fratellino pivellino, non sono minimamente belle quanto le sue” sbuffa e torna a guardare il programma

“hai ragione figliolo. Le torte di tuo fratello sono molto più belle” papà ci ha raggiunto in salotto, e ora accarezza dolcemente i capelli biondi di Rye mentre guarda accigliato un pasticcere che sega una tavola di legno e dei tubi di plastica da idraulico.

 

 

 

 

La mattina mi sveglio nel panico più totale.

Sono le sei e mezza, evidentemente i miei genitori hanno pensato bene di lasciarmi dormire e hanno affibbiato il turno mattutino a qualcun altro.

Tanto meglio per me.

Mi alzo dal letto e trascino i piedi in bagno, gli occhi mezzi chiusi e la bocca impastata. Mi gratto svogliatamente il mento, constatando che si, dovrei farmi la barba, ma no, non ho ne la voglia ne la forza di farla. Decido che per oggi, radermi sarà l'ultimo dei miei problemi.

Un altro sbadiglio mi fa aprire le fauci più del dovuto e mi salgono le lacrime agli occhi. Porca puttana che male!

Mi appunto mentalmente di ricordarmi di non spalancare la bocca in questo modo per i prossimi vent'anni.

Sento i pantaloni malmessi, l'elastico completamente storto e rivoltato stringe in fianchi fastidiosamente.

Devo essermi rivoltato parecchio nel letto questa notte, per essermi ridotto in questo stato. Purtroppo non ricordo cosa ho sognato, però qualcosa mi dice che non deve essere stato affatto bello.

Senza pensarci due volte affondo letteralmente la faccia sotto il getto d'acqua del rubinetto, con la speranza di svegliarmi una volta per tutte.

 

Quando mi rialzo, l'immagine che lo specchio riflette mi fa rabbrividire. Un ragazzo alto, esageratamente spettinato, con la faccia tumefatta mi sta di fronte. Il livido che fino a ieri si intravedeva sottopelle ora ha deciso di uscire in tutta la sua gloriosa orripilanza violacea, bluastra e a tratti verdognola. Si estende dal naso alla tempia, lungo tutto lo zigomo e parte della guancia. Il gonfiore è praticamente scomparso, ma la mia faccia assomiglia alla tavolozza di un pittore impazzito.

Sento il cuore uscirmi dal petto.

Come miseriaccia posso presentarmi a scuola in questo stato?!! COME??!!

vorrei urlare. Davvero.

Guardo l'orologio alle mie spalle che segna le 6.40. forse faccio ancora in tempo a darmi una sistemata.

Dove cavolo tiene i trucchi la mamma?

Rovisto nei cassetti alla ricerca di qualche prodotto di bellezza, facendo un baccano tremendo, finchè non trovo il flaconcino di crema colorata che cercavo. Ricordo che la mamma se lo mette con il pennello, che io al momento non ho il tempo di cercare.

Decido che spalmarlo direttamente sul viso sia la stessa cosa, quindi procedo.

Questa poltiglia è umida, appiccicosa, colorata e soprattutto liquida. Il che significa che cola. E macchia. E che la mia povera canottiera è andata. Sporca di marroncino.

Che schifo.

 

In più ho la faccia bicolore, il che è abbastanza imbarazzante qua a casa, figuriamoci a scuola.

Non posso prendermi un altro giorno di riposo perchè oggi ho il primo incontro con lo psicologo e il primo turno di ripetizioni con Rose. Cosa che non voglio perdermi.

 

Sento bussare alla porta, l'orologio ora segna le 7.00.

Porcaccia la miseria sono in ritardo. In grossissimo ritardo.

“Peeta ma che fine hai fatto? Qui tutti dobbiamo andare a fare qualcosa. Per la precisione lavorare.”

la voce di mia madre mi fa sobbalzare.

Deglutisco.

Se si accorge che le ho svuotato mezzo vasetto di....., controllo l'etichetta, fondotinta....

Che strano nome FONDOTINTA.... bha....

in ogni caso, se lo scopre, mi ammazza.

Nascondo il macello velocemente, buttando alla rinfusa tutto nei cassetti.

 

“Peeta!” lei insiste e io devo sbrigarmi.

“ho fatto mamma!” mi guardo attorno alla ricerca di un qualche indizio che possa farmi scoprire e fortunatamente non ne trovo. Sospiro ed apro la porta.

La vedo in piedi, i capelli arruffati, poggiata allo stipite della porta nella sua fantasiosa camicia da notte lilla con gli orsetti. Potrei anche dire che è adorabile, se non mi guardasse come si guarda una succulenta bistecca. O peggio, come si guarda un grasso maiale da macello. Insomma, se non avesse quello sguardo omicida.

“giorno mamma” abbozzo un saluto cordiale e timido mentre cerco di superarla e di filarmela in camera mia

“dove pensi di andare, signorinello” il sangue mi si congela nelle vene. Ancora le do le spalle, ma capisco che qualcosa nel mio folle e geniale piano è andato storto.

Mi afferra per lo scollo della canottiera e mi ritrascina in bagno con lei.

“si può sapere cosa diamine pensavi di fare?” alza gli occhi al cielo e apre l'anta del mobiletto, prendendone due dischetti di cotone e una bottiglietta bianca e azzurra.

“non si fa così Peeta! Almeno avresti potuto chiedermelo!” penso si stia riferendo al fatto di aver usato i suoi trucchi, ma poi

“insomma ti pare il modo di stenderlo? Dico io, non è mica calcestruzzo!” prende a strofinare con decisione tutto quello che io, con tanta fatica, mi sono appena letteralmente spalmato in faccia. Fa male, ma decido di stare zitto e limitarmi a fare il muso lungo.

Questa non è mia madre, quella vera, l'hanno rapita gli alieni. Ormai è sicuro.

“odio ripetermi, ma cosa pensavi di fare?”

“non posso andare in giro così” mugugno, mentre mi spappola la faccia a forza di grattare via lo strato di cerone

“e perchè no? È successo e basta.” la fa così facile lei...

“Ma' tu non capisci. Se mi presento così la gente mi riderà dietro. E io non voglio”

“lascia perdere quello che dicono gli altri. Non ha importanza. L'importante è che tu sia fiero di quello che sei, con i lividi o meno. Non ha senso coprire qualcosa che ti ha solo fatto fare esperienza. Prendilo un po' come...” prende una pausa per cambiare il cotone

“ecco, prendila come un trofeo. Un souvenir anzi! Un ricordo del primo momento in cui hai parlato con lei” mi sorride in modo dolce, come solo i genitori sanno fare. E decido di seguire il suo consiglio.

Sgattaiolo via facendole la linguaccia, e prima che lei possa rispondermi sono già in camera mia a vestirmi per uscire e andare a scuola.

 

 

 

 

Gli sguardi di tutti si sono concentrati su di me dal primo momento in cui ho messo un piede fuori dalla macchina. È stato terribile entrare in aula seguito da tutto quel brusio concitato che non faceva altro che ronzare “povero sfigato” o “oh povero Mellark” o ancora peggio “gli sta bene”. Perchè ammettiamolo, non ho fatto nulla per meritarmelo.

 

E ora che sono in mensa è come essere sotto i riflettori mentre tutto attorno è buio pesto. Sono l'unica cosa che si può vedere in questa sala. L'attrazione principale del circo.

Mi infilo il cappuccio in testa e spilucco il panino con le dita, portandomene un po' per volta qualche pezzetto alla bocca. Sento gli occhi dei miei amici puntati su di me, il che mi irrita a dismisura. Almeno loro dovrebbero far finta di nulla.

Sento le panche muovermisi attorno, una specie di piccolo terremoto muove quella su cui sono seduto io quando Finn si sistema più vicino a me prende a sussurrarmi all'orecchio

“Amico, faresti meglio a guardare chi si è appena seduto con noi” alzo appena lo sguardo, e il mio campo visivo viene invaso da una marea di riccioli biondi e da una scollatura esagerata. Sospiro, passandomi una mano tra i capelli e davanti agli occhi. Non posso credere che lei sia qui. E non posso credere che stia cercando di provocarmi.

 

“ciao Delly” la saluto, svogliato, cercando di tener gli occhi fissi su i suoi e non sul suo davanzale in bella mostra. Nonostante le abbia purtroppo dimostrato esplicitamente che lei non mi interessa in quel senso, resto comunque geloso.

Il che suona strano persino a me. Ma è così e non posso farci niente di niente.

“ciao Peeta. Come stai?” la sua vocina sottile non desterebbe alcun sospetto... ma, bhe io so cosa è successo.

“meglio di quanto si possa credere. E tu?” sinceramente non so cosa aspettarmi

“splendidamente” sorride mordendosi il labbro e alzando le sopracciglia. Mi sta sfidando e sta cercando di fare l'arrogante con me.

Non è da lei, e il suo atteggiamento non mi piace... si comporta come se tutto andasse bene, e invece non è così, a me non può nasconderlo. La conosco troppo bene.

“Ragazzi! Allora avete deciso cosa fare sabato prossimo? Ci venite o no, al falò in spiaggia?” fortunatamente Finn interviene in mio soccorso, lanciandomi occhiate preoccupate

“io non penso di esserci” rispondo, portando alle labbra un altro pezzetto di pane

“come non pensi di esserci! Amico è la festa di fine estate! Non puoi mancare!”

“posso mancare eccome! Nessuno sentirà la mia mancanza, te lo assicuro. E stanne certo, tu la sentirai ancora meno, perchè sarai talmente sbronzo che non ti ricorderai più nemmeno il tuo nome” replico, alzandomi dalla sedia con il vassoio ancora pieno in mano.

“ma dove stai andando Peeta?” Johanna mi guarda, la fronte corrugata nel tentativo di capire qualcosa

“vado a scassarmi i cosiddetti dal professor Abernathy.” alzo le spalle rassegnato

“mi tocca pure lo psicologo”

l'ultima cosa che vedo prima di uscire dalla sala mensa è Delly che rabbrividisce, stringendosi nelle spalle, a disagio.

Per l'ennesima volta l'istinto di correre da lei viene sopraffatto dalla ragione.

Se è questo che vuole, se vuole farmi la guerra, se vuole rovinare la nostra amicizia e buttarla via in questo modo, solo perchè non provo per lei quello che lei prova per me, non sono disposto a stare al suo gioco.

 

 

 

L'ufficio del professor/psicologo/signor/tuttomatto Abernathy si trova nel lato opposto della scuola, nell'ala più silenziosa e meno affollata dell'edificio, quindi non mi stupisce affatto non incontrare quasi nessuno per i corridoi. Mi sfilo il cappuccio dalla testa e mi affretto a colpire con il batacchio a forma di grifone. La porta di legno scuro, così come gli stipiti stonano un tantino con il resto dell'ambiente, ma hanno un aria davvero vecchia e importante. Come se quell'ufficio esistesse da molto prima che la scuola fosse costruita.

Busso ripetutamente prima che una voce rauca dall'interno mi inviti ad entrare.

 

Un uomo alto, sulla cinquantina, con i capelli unti e chiari mi guarda da dietro la grande scrivania, il mento poggiato scompostamente sul palmo della mano

“desidera?”

“io sono” mi guardo intorno, le librerie a soffitto, i tappeti elaborati mi intimidiscono “sono Peeta Mellark. La preside Paylor mi aveva fissato un appuntamento”

l'uomo annuisce, e con un gesto della mano mi indica pigramente la poltrona lucida al centro della stanza, affianco alla quale, un tavolino e una sedia anni sessanta riempiono l'ambiente.

Controllo di essermi chiuso la porta alle spalle, mentre con nonchalance il vecchio si avvicina ad un mobiletto bar che prima non avevo notato

“lo vuoi un bicchiere di brandy ragazzo?” Abernathy mi guarda da dietro le piccole lenti degli occhialetti da vista, allungandomi un bicchiere con un paio di dita di liquido ambrato dentro.

“ehm” lo guardo di sbieco, sedendomi sulla poltrona ottomana di pelle nera.

“no grazie” arriccio il naso appena l'odore della bevanda si fa sentire

“perchè 1) non bevo in orario scolastico e 2) devo dare ripetizioni ad una ragazza, dopo “ gli faccio notare.

Lui alza le spalle e con noncuranza comincia a sorseggiare dallo stesso bicchiere che aveva proposto a me, non prima di averlo rimboccato.

“sciocchezze ragazzo. Perchè 1) tecnicamente questo non è orario scolastico” prende un altro sorso, facendomi segno di aspettare, con la mano libera.

Vorrei fargli notare che sono appena le 13 e trenta, ma decido di tacere. Il suo completo giacca- pantalone grigio è stropicciato e la camicia esce in più punti dalla cintura.

“e 2)” riprende, lanciandomi uno sguardo torvo “il brandy schiarisce le idee”

alzo le sopracciglia, allarmato.

Non mi sembra tanto sano quest'uomo

“in realtà, con il dovuto rispetto professore, il brandy le confonde le idee”

lui sospira e si lascia cadere pesantemente sulla poltrona dietro la scrivania, dove poggia le scarpe nere stringate e laccate. Si passa una mano davanti agli occhi con fare melodrammatico

“innanzitutto non chiamarmi professore. Non lo sono e non lo sarò mai. Chiamami signor Abernathy, Haymitch, tizio o Caio, o Sempronio, vedi tu, ma non professore. E in secondo luogo che ne sai tu di alcolici!? Tu Bevi ragazzo?”

ecco. Questa è una di quelle domande che un adulto non dovrebbe mai fare. Cioè, è ovvio che bevo. Esco con gli amici e mi faccio una birra, vado alle feste e mi ubriaco. Non sempre, ma è successo. Tanto che alle volte mi sorprende risvegliarmi la mattina con un cervello che non ha attivato la modalità di autocombustione.

Valuto se dire la verità o mentire.

Se beve anche lui, e per di più in orario di lavoro, posso essere sincero? Bha, credo di si

“si signore. In alcune occasioni bevo”

“bravo, ma allora mi stupisce che tu non lo sappia” fa vorticare il liquido nel bicchiere, concentrandosi per non farlo uscire

“sono fermamente convinto che l'alcol non aiuti a ragionare” mi sistemo meglio sul divanetto

“cosa bevi di preciso ragazzo?” non mi guarda nemmeno, tanto è occupato a riempirsi il bicchiere ancora una volta

“birra per lo più” ci penso, osservando il soffitto bianco con le modanature scure “anche se non disdegno nemmeno la vodka alle volte”

questo ufficio è formale nel mobilio, tutto è di legno scuro, quasi nero, dalla struttura delle poltrone, alle librerie che arrivano fino al soffitto. I pavimenti di parquet sono altrettanto scuri, a spina di pesce. Eppure, nonostante tutto sembri ordinato al primo impatto, osservandolo più a fondo si notano tutti i dettagli disordinati e caotici.

“ voi giovani non sapete più come si beve” storge le labbra sottili in una smorfia e si spettina i capelli chiari

“tra l'altro dopo devo guidare, quindi non bevo” chiarisco, tanto perchè non voglio che mi sia appioppato l'aggettivo di smidollato anche da un adulto

“questa è una saggia decisione da parte tua” sorrido soddisfatto, contento di aver finalmente deviato il discorso

“ma hai mai assaggiato il brandy? “

ecco. Appunto. Come non detto.

“no signore”

“dovresti.” conclusione? Siamo al punto di partenza. Sospiro rassegnato

“magari un'altra volta ok?”

“mmm” sbuffa

“ora immagino di doverti dire sempre la solita solfa vero?” mi guarda con la coda dell'occhio. Io in risposta alzo le spalle

“bene. Cominciamo con questa noia” si sgranchisce il collo e si siede composto, sistemandosi nuovamente gli occhiali sul naso appuntito

“non so proprio a che serve che io me ne stia qui ad ascoltarvi, tanto poi alla fine fate tutto da soli. Prima prendete che io vi entri nel cervello e poi miracolosamente vi arrangiate. No, ma dico io, parlarne a voce alta a casa vostra non sarebbe più semplice?” borbotta, sottovoce, ma io lo sento lo stesso. Alzo gli occhi al cielo e mi mordo impaziente la guancia

“stenditi ragazzo e raccontami per l'ennesima volta cosa è successo”

“bhe” comincio, mettendo i piedi sulla poltrona e poggiando la testa sull'imbottitura “è successo che volevo parlare con..” mi blocco di colpo. Tornando a sedere alla velocità della luce. Che diavolo succede?

“ennesima volta? Che vuol dire?”

“vuol dire che ho già sentito almeno tre versioni di questa cosa. E davvero, comincio ad esserne abbastanza stufo. A me le cose sembrano così chiare che proprio non comprendo come possiate farne un tale dramma”

“a chi lo dice” sospiro, tornando a stendermi. Ora quel bicchiere di brandy ha un aria molto più invitante.

“se non lo sapessi, seguo la signorina Everdeen da qualche anno ormai, e conosco la sua versione dei fatti dalla notte stessa in cui tu la hai incontrata. A mio avviso? Una paranoia inutile che si è fatta nella sua testa. Però in fondo posso capire perchè si sia creata” si avvicina a me con fare svogliato, il bicchiere stretto in pugno e la camicia strapazzata

“quindi lei mi crede. Crede non ho fatto nulla e che sono qui soltanto per un equivoco vero?” chiedo speranzoso. Magari alla fine mi risparmierà questa tortura e mi lascerà andare

“credo che bisognerebbe aprirvi la testa e vedere quanta segatura c'è dentro” sogghigna, si siede e con la cartellina in grembo e prende a scarabocchiare qualcosa su un foglio che non riesco a vedere.

Sento il suo odore fino a qui.

Mamma mia quanto puzza

“allora Mellark, ora, prima di tutto, ho deciso che risponderà alle mie domande.”

il suo alito sa di schifo.

Bleah

“ma non aveva detto che dovevo raccontarle quello che è successo?” indago, dubbioso

“si l'ho detto. Ma sostanzialmente non mi interessa, quindi ho cambiato idea”

oh, bhe.... direi che l'aggettivo giusto non è PROFESSIONALE

“ah... ok” biascico, incerto

“bene. Cominciamo allora. Si può sapere perchè hai pagato tu in quel bar?”

evviva le partenze leggere

“perchè mi sentivo in colpa” ed è vero. La mia mente ritorna automaticamente a quel giorno: i vetri rotti, gli avventori scortesi, il disastro sparso attorno a noi

“e per quale motivo ti saresti dovuto sentire in colpa”

“bhè... non lo so... perchè le ordinazioni erano per me e mio fratello e se non le avessimo chieste, non sarebbe successo nulla di quello che è successo”

“esatto. E allora a quel punto, non saresti dovuto andare al bar, non vi sareste conosciuti, la seconda guerra mondiale non sarebbe scoppiata e i primati non si sarebbero evoluti in Homo Sapiens. Signor Mellark, si rende conto che non ha senso sentirsi in colpa per questa cosa? E che il suo gesto è stato facilmente interpretato male?”

quest'uomo mi da sui nervi.

Altro che Homo Sapiens.... lui è talmente irritante che pensare di appartenere alla sua stessa razza mi fa salire l'orticaria

“questo lo capisco, ma non vedo perchè farmi sbattere addosso ad un armadietto e rifiutarsi di parlare con me”

“oh il signor Hawthorne ha un bel po' di grane da risolversi per conto suo, per cui non mi preoccuperei troppo di questo. Il gesto non penso sia stato premeditato e non è quello di cui voglio occuparmi oggi con lei signor Mellark.” distrattamente si pulisce gli occhiali sul bordo della camicia e si siede sulla poltrona allungando i piedi sul tavolino basso.

“non dovrei preoccuparmene? Se non l'ha notato quel tipo là mi ha spaccato uno zigomo. Come faccio a non preoccuparmene?” sbotto, indicando un punto a caso oltre la porta. Percepisco come la mia voce si sia alzata di qualche ottava.

“ora si calmi. E veda di fare un bel respiro. Urlando contro di me non risolverà assolutamente nulla. Le servirà anche un corso di gestione dell'aggressività. Quasi quasi glielo prescrivo”

improvvisamente mi sento molto meno aggressivo

“no la prego. Un altro corso no” borbotto, a mani giunte

“oh. Ora va molto meglio. Si distenda nuovamente e continuiamo la nostra seduta. Mi racconti Peeta....”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa è stata senza dubbio la giornata di liceo più pesante di tutta la mia intera carriera scolastica. E sono serio, quando dico che uscire dalla seduta con lo psicologo mi ha fatto sentire completamente inadatto al mondo. Non solo perchè quell'uomo è irritante e strano, ma perchè mi ha fatto rimettere in ordine qualche pezzo della mia vita che non pensavo andasse sistemato.

Ovviamente si è fatto anche una bella risata quando gli ho detto che la forma di inchiostro che mi ha mostrato sul cartoncino non sembrava null'altro che un grosso, gigantesco, esorbitante grumo di guano di uccello. Il che gli ha fatto dedurre che io abbia un carattere sostanzialmente pessimistico, cosa che non è per niente vera..... credo...

se tutto va bene, e non andrà bene, posso scommetterci, entro tre ore dovrei essere a letto, in panciolle ad ascoltare musica ad alto volume e a grattarmi il fondoschiena come e dove mi pare.

Che goduria.

Sbuffo, tornando alla realtà, e ingranando la marcia.

Esco dal parcheggio della scuola, diretto verso GreenWoods road #14, o almeno questo è l'indirizzo che ho preso dal fascicolo.

La strada per fortuna in macchina non è lunga, sono circa un paio di quartieri.

La musica suona e lascio finire la canzone prima di spegnere il motore e guardarmi attorno. In fin dei conti sono in abbondante anticipo.

 

 

Il quartiere è fatto di condomini colorati, molto diversi dalle villette a cui sono abituato nella mia zona, che si trova dalla parte opposta della città. Non che questa cittadina sperduta dell'Ameria dimenticata da Dio sia tanto grande, ma non sono stato molte volte in questa zona. I panni stesi tra una finestra e l'altra si muovono nella brezza leggera di settembre, la stessa che mi scompiglia i capelli. Al centro del complesso di case, un parco giochi con delle altalene e un paio di scivoli di altezze diverse è popolato da bambini e bambine sorridenti. Mi incammino per un vialetto alla ricerca del portone giusto.

Sotto il porticato fa capolino qualche negozietto dall'aspetto stantio, le vecchiette sedute su sedie di plastica colorata lavorano ai ferri, spettegolando e tenendo d'occhio i piccoli.

Le lettere dorate di un portone di vetro indicano che ho raggiunto la mia destinazione. Tutto sommato è stato facile.

Scruto i campanelli alla ricerca di quello giusto, e poi

SBAM

eccolo!

EVERDEEN

 

suono un paio di volte, poi attendo pazientemente che qualcuno mi apra

“chi è?” la vocina acuta di Rose mi risponde

“sono Peeta” con un colpo di tosse mi schiarisco la gola e spingo la porta a vetri, non prima di aver sentito un flebile

“vieni al terzo piano”

gli angoli della bocca mi si piegano istintivamente verso l'alto mentre percorro velocemente le poche rampe di scale che mi separano dalla ragazzina.

La trovo sulla soglia di casa, fasciata da un abitino rosa pallido con la gonna a sbuffo e un fiocco sulla schiena, i capelli raccolti in due trecce le incorniciano il viso angelico. I suoi occhi azzurri e penetranti mi fissano, la vedo ragionare, per poi farsi da parte per lasciarmi entrare in casa sua.

L'appartamento non è grande, ma tutto sommato è luminoso e spazioso. L'entrata da sul salotto, dove predomina un grande divano di tela colorata e un tavolo da pranzo quadrato. La Tv è spenta, e il sole filtra attraverso le tende bianche e leggere.

“accomodati pure”

“grazie” mi tolgo la giacca e la borsa “ci mettiamo qui?” le indico il tavolo e lei annuisce facendo su e giù con la testa

“cosa ti sei fatto sulla faccia?” la vedo inclinare la testa di lato, come fanno i cani quando sono curiosi

“come se non lo sapessi già”

“oh. Si bhè, lo so, ma mi sembrava meglio che chiederti come stai” alza le spalle, divertita.

Ridacchio anche io, di rimando

“già, forse è stato meglio. Non sai in quanti me lo hanno già chiesto oggi. Apprezzo la tua magnanimità nel far finta di non sapere il pettegolezzo più in voga del momento. Te ne sono grato”

“oh non c'è di che. Comunque mi dispiace per quello che ha fatto Gale. Ma alle volte è un po'.. come dire... impulsivo?”

“impulsivo... ma davvero?” la guardo di sottecchi, tastandomi il livido che mi ha lasciato come ricordo “ma non mi dire”

apre i libri, e io la seguo, mettendo in bella mostra una decina di esercizi di matematica di livello difficile.

Qualche frazione, qualche sistema lineare, qualche equazione.

Mi mancavano queste cose, lo ammetto. Soprattutto ora che vedo soltanto integrali e derivate, soprattutto ora che la matematica non ha più nemmeno un numero.

 

“ragazzi, volete una limonata?” una voce di donna arriva da quella che intuisco essere la cucina.

Mi volto verso Rose, impegnata in un calcolo.

“si grazie, mamma” la bionda mi sorride, complice

poco dopo, una donna bionda sulla quarantina mi porge un bicchiere stracolmo della bevanda rinfrescante. Quegli zigomi alti, e i fili grigi che le imperlano i capelli non lasciano spazio ad equivoci

“DOTTORESSA!” mi alzo subito dalla sedia, esterreffatto

“Peeta Mellark. Che piacere rivederti. E dammi pure del tu, ti prego. Almeno a casa mia, non voglio essere chiamata dottoressa. Mi chiamo Pauline” mi tende la mano, che accetto più che volentieri.

Caspita quanto è piccolo il mondo.

Nel momento in cui mi giro ad osservare Rose, mi accorgo immediatamente della straordinaria somiglianza delle due. Come ho fatto a non capirlo prima?!

“allora, vedo che stai già meglio. Non è così?” so che si riferisce allo zigomo, quindi lascio la ragazzina, per nulla sorpresa, alle sue equazioni e presto la mia attenzione alla madre

“direi di si”

“posso dare un occhiata?” tende le mani verso di me, e decido di non ritrarmi. Il suo tocco gentile, preme in punti dolenti e non posso fare a meno di trasalire

“scusami tanto Peeta. Non era mia intenzione farti male” guarda fugacemente verso l'orologio, poi torna a guardare me “ mi sembra tutto apposto”

“Prim, sai che fine ha fatto tua sorella? Dovrei parlarle prima di andare al lavoro”

la voce preoccupata di Pauline è quasi contagiosa. Rose invece emana tranquillità da tutti i pori. Torno a sedermi accanto a lei, la faccia a pochi centimetri dalla sua testa, per controllare i suoi progressi.

“è andata al campo, come al solito”

 

pochi istanti dopo, la serratura scatta, seguita dal cigolio della porta sui cardini. Una ragazza mora, i capelli raccolti in una lunga treccia, e un borsone a tracolla, entra in salotto e nel mio campo visivo.

 

La guardo negli occhi solo il tempo che mi basta a deglutire e a soffocare un'imprecazione.

“TU?!!!”

 

 

adesso ne sono convinto.

 

Questa cazzo di sfiga mi perseguita.

 

O forse sono io che sono proprio stupido.

 

Come ho fatto a finire nella tana del lupo?!!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A

 

capitolo lunghissssimooooooooooo!!!!!!!!!!

e con questo ho detto tutto... hahahah no scherzavo!

 

È solo l'inizio vero e proprio della storia! Don't worry and be happy!!!

 

a presto!

 

E.......

 

W i gerbilli!!!!!!!

 

 

ah, a proposito!

 

Se volete sostenermi, non solo qua ma anche su Facebook, passate a trovarmi sulla mia pagina dedicata alla pasticceria, si chiama

 

DOLCI MUSE

 

 

mi raccomando!!

 

 

 

un bacione

 

Luckily

 

 

p.p.s

 

non fraintendetemi. Il boss delle torte mi piace (detto per chi si sentisse offeso).... una via di mezzo tra quanto piace a Rye e quanto piace al nostro amato Peeta...

 

 

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Capitolo 10
*** sambuca e pioggia ***


pochi istanti dopo, la serratura scatta, seguita dal cigolio della porta sui cardini. Una ragazza mora, i capelli raccolti in una lunga treccia, e un borsone a tracolla, entra in salotto e nel mio campo visivo.

 

La guardo negli occhi solo il tempo che mi basta a deglutire e a soffocare un'imprecazione.

TU?!!!”

 

 

adesso ne sono convinto.

 

Questa cazzo di sfiga mi perseguita.

 

O forse sono io che sono proprio stupido.

 

Come ho fatto a finire nella tana del lupo?!!!

 

 

 

 

“Katniss tesoro” Pauline fa oscillare lo sguardo tra me e sua figlia, visibilmente curiosa “ben arrivata”

spero con tutto il cuore che si metta a parlare con sua mamma, ma ovviamente, non lo fa

“lurido verme schifoso” mi ringhia letteralmente contro, riducendo gli occhi grigi ad una fessura e scoprendo i denti.

Deglutisco, sfregandomi le mani sudate sui pantaloni

“Katniss” la madre cerca di attirare la sua attenzione, ma per la prima volta è concentrata su di me, e non nel senso positivo. E come prima conversazione non sta andando affatto bene. Sempre che si possa chiamare conversazione.

“cosa ci fai tu qui?! Ci stai provando anche con mia sorella?! Sei uno stronzo! Un patetico stronzo ricco!” urla, e le si imporpora la faccia.

“ma cosa...” vorrei risponderle, magari con calma, ma sua sorella mi anticipa

“Katniss! Smettila!” si alza in piedi, facendo traballare pericolosamente la limonata nel bicchiere “è qui per aiutarmi”

“Katniss io son..” riprovo, imperterrito a mettermi in mezzo alla discussione, visto e considerato che sembro essere il fulcro della cosa

“stai zitto tu! E non chiamarmi così!” mi fulmina, pietrificandomi sul posto. Sento una gocciolina di sudore scendermi lungo la nuca. Poi torna a rivolgersi a Rose

“ti sta solo prendendo in giro Prim! Lui vuole arrivare a noi. A me!” È un verme.”

“perchè l'ha scelto lui di essere messo in punizione scommetto! E l'ha scelto lui di seguire una ragazzina perdendo il suo tempo prezioso! Smettila di crederti il centro del mondo Katniss! Non ce l'hanno tutti con te” Rose è paonazza, con le mani ben piantate sul tavolo

“senti Katniss. Ti sbagli su tutta la linea. E se per una buona volta mi dessi la possibilità di spiegarmi, capiresti.” cerco di mantenere un tono pacato, nonostante dentro di me senta ribollire fiumi di rabbia. Non ha capito nulla e se continua così non capirà mai.

“ora me ne vado. Non preoccuparti.” con un sospiro recupero le mie cose e guardo la ragazzina bionda che ha preso le mie difese

“continuiamo un altra volta in biblioteca della scuola ok?”

“no Peeta. Resta” anche Pauline mi guarda. Il classico sguardo indagatore da mamma.

“e tu Katniss, siediti e comportati come si deve. E raccontatemi cosa è successo.”

“non ci penso proprio” lei se ne va, chiudendosi la porta della camera alle spalle, con un tonfo

“dottoressa, sul serio. È tutto un malinteso.” cerco di rassicurarla, ma i suoi occhi chiari sono penetranti.

“non sono una persona che si impiccia negli affari degli altri” comincia, facendomi annodare lo stomaco.

“ma se mia figlia entra in casa urlando, deve essere successo qualcosa. E gradirei sentire sia la tua che la sua versione dei fatti”

non dovrei essere preoccupato, ma il cuore prende a battermi alla velocità della luce. Rose mi guarda, il labbro sporto e la matita infilata tra i capelli, dietro l'orecchio. Deglutisco.

Poi comincio a raccontare la mia versione dei fatti.

 

 

Quando finisco, il suo naso si arriccia, lasciandomi intendere che crede alle mie parole solo in parte. Rose dal canto suo si muove inquieta sulla sedia.

“grazie per quello che hai fatto Peeta” Pauline mi tende la mano, alzandosi. La imito, stringendo la sua.

“grazie per avermi ascoltato” con la borsa a tracolla mi avvio verso la porta. Pauline è scomparsa in camera della figlia maggiore

“ciao Rose. Ci vediamo a scuola ok?” le sorrido, piegando pigramente gli angoli della bocca.

“io ti credo” mi sorride in risposta.

Quando mi chiudo la porta alle spalle, realizzo che è stato davvero un pomeriggio di merda.

 

 

Appena salgo in macchina decido di chiamare Finnick, e aggiornarlo sulla situazione. In fondo resta il mio migliore amico e ho bisogno di un parere che non sia di parte o profondamente turbato dalla rabbia e dalla frustrazione.

Fortunatamente risponde dopo i primi tre “TU-TU”

“pronto cazzone. Dimmi che vuoi”

alzo gli occhi al cielo. Ogni tanto ha la tentazione di fregargli il telefono e cancellargli il mio numero, così la prossima volta mi risponderebbe in modo normale

“ciao re degli scemi. Indovina dove sono”

“spero tu non sia a cagare, perchè sto per mandartici”

“idea geniale, ma no. Sono appena uscito da casa della Everdeen”

“cheeeee?!” scoppio a ridere, forse un po' troppo sonoramente “si può sapere come ci sei finito li?! Credo di essermi perso qualcosa. Avete scopato? “

“ehm...no stupido idiota che non sei altro!... hai presente la ragazzina che dovevo aiutare? È sua sorella” spiego, poi mi affretto ad aggiungere “e Katniss appena mi ha visto ha dato in escandescenza e mi ha praticamente buttato fuori di casa”

“quella è fuori di testa” commenta, in ogni caso, completamente allibito

“oh puoi giurarci fratello” scherzo “però devo ammettere che è carina quando è così arrabbiata”

“tu sei malato Peeta. Fatti vedere da uno specialista!” sbotta, fingendosi sconvolto.

Un'idea mi salta in mente alla velocità della luce.

“Finn sei un genio! Grazie! Ora devo riattaccare”

metto giù senza nemmeno aspettare la sua risposta. Conoscendolo avrà detto che sa di esserlo... un genio...

ora però devo chiamare Abernathy.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con uno sbuffo batto un paio di volte le nocche sulla porta di legno dell'ufficio del signor Abernathy, psicologo della scuola nonché ex alcolista anonimo fieramente convinto che nessuno in questa gabbia di matti lo sappia.

Non è che io abbia problemi con questo tipo, ma entrare in questa stanza mi mette a disagio: il fatto di farmi aprire la testa da uno sconosciuto mi crea una certa forma di tensione che sono costretto a provare per colpa di quel demente di Gale Hawthorne. Spero si senta così anche lui, visto che la punizione è stata assegnata ad entrambi.

“entra” biascica la voce dall'interno, così inclino la maniglia e spingo, facendo ruotare l'uscio sui cardini cigolanti

“buongiorno” saluto, portandomi lo zaino su una spalla sola ed avvicinandomi all'ottomana vecchio stile. La giornata a scuola è stata pesante, ma ne sono fortunatamente uscito indenne: cosa che spero di fare anche da questo incontro.

“siediti ragazzo” sbadiglia, storcendo il naso adunco e facendo pericolosamente oscillare l'unto tra i suoi capelli. Obbedisco, continuando ad osservare le ciocche chiare che ondeggiando a destra e sinistra, come ipnotizzato.

“mi hai chiamato tre giorni fa. Quindi vorrei andare subito al dunque. Non avevamo deciso di vederci solo una volta a settimana? O la Paylor ha cambiato idea e non mi ha avvertito?”

“no signore. Ho solo bisogno di un consiglio per chiarirmi le idee su una questione, e pensavo che lei potesse essermi d'aiuto” accavallo le gambe, concentrandomi sui lacci delle scarpe che si stanno allentando dopo l'uso

“mmh” bofonchia, riempiendosi un bicchiere con un liquido chiaro e dall'odore pungente. Assomiglia a sciroppo per la tosse, ma qualcosa mi dice che non è esattamente di quello che si tratta.

Notando il mio sguardo incerto mi rivolge il calice

“vuoi della sambuca ragazzo? È un peccato, ma non ho i chicchi di caffè per berla come si deve”

scuoto la testa, sistemandomi meglio sul posto

“no grazie”

“è già la seconda volta che rifiuti Peeta. Devo preoccuparmi?” si acciglia, squadrandomi dalla testa ai piedi

“no signor Abernathy, sono apposto così.” mi schiarisco la voce tossicchiando “ora se non le dispiace, posso chiederle quella cosa?”

annuisce, trangugiando dal bicchiere, senza distogliere lo sguardo da me. Con la mano libera mi intima di parlare

“bhe vede. Ho scoperto che la ragazza a cui faccio ripetizioni è la sorella minore di Katniss Everdeen.” inizio, per venire prontamente interrotto

“se fossi famoso per l'intuito mi sa che avremmo un grosso problema. Mi domando come tu abbia fatto a non accorgertene prima” arrossisco fino alla punta dei capelli troppo biondi

“ehm, già... quindi...” cerco di sviare il discorso e di riportarlo al punto di partenza, nella speranza di evitare altri insulti gratuiti “come le dicevo ho dato ripetizioni a Primrose, e sono andato a casa sua. Quando abbiamo iniziato, è arrivata sua sorella. Che mi ha cacciato di casa urlandomi degli improperi che non sto qui a ripetere”

“oh questo lo so già” mi guarda dall'alto in basso, poggiando la schiena alla scrivania di mogano. “la signorina Everdeen è già venuta da me a parlarne”

non so se la cosa mi dia più fastidio o se mi lusinga soltanto. Katniss Everdeen ha bisogno di uno psicologo per parlare di me? Wow. Opto per la seconda.

Con un sorrisetto compiaciuto continuo

“siccome la cosa mi ha spiazzato, e siccome ho avuto la possibilità di parlare con il resto della sua famiglia, vorrei provare a parlare anche con lei. Magari è la volta buona che sente le mie ragioni” sospiro, prendendo a mordicchiarmi i polpastrelli.

“sinceramente? Non capisco il tuo bisogno morboso di mettere in chiaro la situazione. Nella peggiore delle ipotesi si accorgerà da sola di aver frainteso tutto tra un paio d'anni, quando avrà la maturità sufficiente per non pensare di avere tutto il mondo ai suoi piedi”

“sinceramente” riprendo le sue parole “ho solo voglia di riscattare il mio nome senza dover finire un'altra volta in ospedale se solo le passo affianco” metto in chiaro, omettendo ovviamente, che la ragazza mia attira in qualche modo. Saranno i suoi occhi grigi e penetranti, o il suo fisico che combacia con il mio, ma sono intenzionato ad avvicinarmi di più a lei. Quantomeno per scoprire cosa mi affascina.

“sono disposto a darti un consiglio in nome del cameratismo maschile” annuncia, umettandosi le labbra screpolate. Così mi preparo ad ascoltare

“trova un interesse comune”

mi acciglio e distinguo chiaramente la mia fronte aggrottarsi e le sopracciglia curvarsi “cioè? Non la seguo... come faccio a trovare un interesse in comune se non la conosco nemmeno?”

“ te lo spiego con un esempio: se lei facesse parte della squadra di Football, tu dovresti trovarti un posto in squadra. In poche parole devi metterla alle strette, chiuderla in un angolo e costringerla a prestarti l'attenzione che meriti”

“non è roba da stalker incalliti? O da maniaci?” indago, dandomi dello stupido per essermi rivolto ad un alcolista per avere consigli su come avvicinare una ragazza. Probabilmente avrei dovuto chiedere al professore di ginnastica. O di letteratura. O di spagnolo. O di qualsiasi altra cosa. O forse avrei risolto tutto con internet.

“no ragazzo! Al contrario! Più le tratti con cura e meno si interessano a te, mentre se le stalkeri alla fine se ne fanno una ragione e ti rivolgono la parola”... o una denuncia... “Devi comportarti come se loro fossero solo un'opportunità, in certi casi.”

ora sono fermamente convinto di aver sbagliato persona a cui chiedere consiglio. Finn per lo meno, le ragazze le rispetta

“lei è sposato Signore?”

“purtroppo no ragazzo, perchè?” mi fissa, sulla difensiva ma abbastanza sconsolato.

questo spiega tutto...

mi alzo, sperando che la mia espressione non tradisca lo stordimento che provo.

Lo zigomo pulsa in sottofondo, ovattandomi la testa

“oh nulla nulla. Solo curiosità” sorrido in modo affettato “la ringrazio Haymitch. Ora penso che andrò a casa”

 

 

 

 

Fuori comincia a piovere, e il calore pomeridiano di Settembre sta cedendo il posto al tempo ballerino dell'autunno di Ottobre. Tremo appena e mi stringo addosso la giacca da baseball per coprirmi dal venticello insistente. La macchina è parcheggiata poco distante dalla scalinata d'ingresso della scuola, per cui ci metto poco a farmi cadere sul sedile anteriore, che sbuffa sotto il mio peso. I ragazzi escono al suono della campanella e io non posso fare a meno di cercare i miei migliori amici con lo sguardo prima di mettere in moto e tornarmene a fare gli straordinari in pasticceria da papà.

Per quanto mi riguarda sarà una lunghissima serata, e se sarò così straordinariamente sfortunato Rye mi farà compagnia. Mi auguro con tutto il cuore che non succeda, perchè se c'è qualcosa di più deprimente che lavorare di venerdì sera, è lavorare di venerdì sera con il fratello più scassapalle dell'intera nazione a stelle e strisce.

Metto in moto e ingrano la retromarcia, uscendo dal parcheggio, non appeno intravedo le chiome ramate di Annie e Finn e la zazzera corvina di Johanna che li segue facendogli le boccacce alle spalle. Sorrido e parto, accorgendomi con la coda dell'occhio dello sguardo di Delly puntato su di me.

 

Il viaggio verso casa è abbastanza breve, e senza intoppi, ma quando scendo la pioggia fattasi sferzante mi intride i vestiti d'acqua. Entro direttamente dal negozio e saluto i clienti fidati con un cenno della mano, la mamma che li sta servendo, con un bacio sulla guancia, per poi sparire nel retrobottega e abbandonare in un angolo la mia roba.

“ciao Pà! Sono tornato!” affondo le mani sotto il lavello dopo essermi messo una maglia vecchia e mi metto la fascetta per tenere indietro i capelli.

“ciao figliolo” mi da le spalle ma percepisco comunque il calore del suo benvenuto

“come è andata a scuola? Chiede, con sincera curiosità

“tutto ok” alzo le spalle anche se so che non può vedermi, tirando fuori dal frigo gli ingredienti per preparare l'ennesima torta nuziale che dovrò consegnare domattina.

“e come ti senti con...” lo vedo indicarsi il volto e non serve che finisca la frase perchè io capisca cosa mi sta domandando

“non mi da particolari problemi” taglio corto, mettendomi al lavoro. Prima finirò questa torta meglio sarà, anche se sicuramente sarò costretto a continuare fino a notte fonda.

Metto insieme gli ingredienti e seriamente, mi domando come qualcuno possa scegliere un dolce tanto complicato e dolce per il proprio matrimonio.

Quando e se mai arriverà il mio momento per convolare a nozze la torta dovrà essere semplicemente elegante. E in sintonia con l'abito di mia moglie. Non una cosa esagerata come quella che devo realizzare ora. Bella si, ma troppo carica di elementi per i miei gusti. Poi la mente comincia a divagare su come dovrebbe essere la sala per il mio banchetto, e su quanto sarà bella e sexy la mia fidanzata. E so che sono troppo giovane per pensare a queste cose, ma ogni tanto pensieri del genere si risvegliano dal loro torpore ed escono dall'angolino dove erano rinchiusi

“sei di poche parole oggi” constata papà, riportandomi alla realtà

“mmm” mi limito a mugugnare in risposta, togliendo le basi dal forno per metterle a raffreddare insieme alla crema. Dò un'occhiata all'orologio appeso di fianco ai forni, che segna le sette. In realtà non ho molta voglia di parlare, e continuo a pensare alle parole di Haymitch. Lo so che sono tutte stronzate e che con molta probabilità era ubriaco marcio e io non me ne sono nemmeno reso conto, ma quella cosa di trovare un interesse comune mi ronza in testa e non riesco a dimenticarmene. Sarà che non è del tutto un'idiozia se si esclude tutto quello che ha detto dopo.

“papà” smetto di lavorare e mi appoggio al bancone con la schiena incrociando le braccia al petto. Aggrotto la fronte e aspetto che si giri, prima di continuare.

“secondo te perchè le ragazze sono più attratte da un uomo che le tratta con freddezza piuttosto che da uno che dimostra loro affetto?”

vedo le rughe formarsi sulla sua fronte mentre poggia la sac a pochè e si lascia cadere stancamente su uno sgabello

“presumo che lo facciano perchè così possono impegnarsi di più ad attirare la sua attenzione. Nel senso che se già hanno chi gli sbava dietro, allora che senso avrebbe fare tutte quelle cose che fanno per farsi belle?”

è una teoria interessante, certo. Ed è anche vero che più io continuo a comportarmi da stronzo più le mie compagne di scuola sono attratte da me.

“non è tipo, che ne so, masochista?”

“probabilmente. Ma valle a capire le donne” alza le spalle ed io lo imito, riprendendo il mio lavoro.

 

 

 

 

Alle otto la pasticceria chiude e papà mi lascia finalmente solo a finire il mio dannatissimo capolavoro di alta arte dolciaria. Mamma mi ha portato giù un paio di hotgog che metto da parte per quando avrò davvero fame. La pioggia batte ritmicamente e con insistenza sulla porta socchiusa del laboratorio, che lascia entrare un po' dell'aria frizzante di questa sera. Il sole sta calando così sono costretto ad accendere le luci aranciate del soffitto per vederci meglio.

Stendo la pasta di zucchero sui tre piani della torta e raccatto le rastrelliere di fiori commestibili dallo scaffale. Il colorante e il pennello sono già pronti, come al solito, così decido di prendermi una pausa.

Mentre scendo dallo sgabello e mi sgranchisco le gambe mi prendo un attimo per osservare come sono ridotti i miei vestiti: lo zucchero mi imbratta i pantaloni e la panna e la crema non hanno risparmiato la maglia. Devo seriamente smetterla di pulirmi le mani sui jeans, altrimenti farò impazzire la mamma.

Stendo le labbra in un sorriso e accendo la radio, tanto perchè possa farmi un po' di compagnia ed esco a prendere una boccata di aria fresca.

Ed è a quel punto che la vedo.

Se ne sta li, seduta sul ciglio del marciapiede, rannicchiata su se stessa, con i cappuccio calcato in testa, sotto la pioggia battente. I capelli castani le stanno appiccicati al viso e la felpa verde ha assunto una sfumatura più scura nei punti in cui è inzuppata. Cioè praticamente ovunque.

Mi fa tenerezza, con il trucco leggermente colato e le braccia attorno alle ginocchia magre.

Così, per qualche moto di compassione che in assoluto non avrei motivo di provare, decido ugualmente di andarla a salvare dal mare d'acqua torbida che le nuvole stanno riversando nelle strade di questa cittadina dimenticata da Dio.

Forse sono uno stupido e dalla vita non ho imparato proprio nulla, se non come si porta a letto un'oca del terzo anno o come si prepara una torta degna di questo nome e non necessariamente in questo ordine.

Con un respiro profondo rientro e rovisto alla ricerca di un ombrello, ma l'unica cosa che trovo è un vecchio pezzo spesso di cartone e decido che andrà bene comunque.

Me lo porto sopra la testa ed esco, senza preoccuparmi di infilarmi qualcosa sopra la maglietta a maniche corte.

Quando la raggiungo sembra non essersi nemmeno accorta di me, così mi faccio sentire

“ciao Katniss”

i suoi occhi grigi ora mi fissano spalancati ed enormi, ma in loro non trovo la solita ostilità.

 

 

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Capitolo 11
*** crema e soda ***


Con un respiro profondo rientro e rovisto alla ricerca di un ombrello, ma l'unica cosa che trovo è un vecchio pezzo spesso di cartone e decido che andrà bene comunque.

Me lo porto sopra la testa ed esco, senza preoccuparmi di infilarmi qualcosa sopra la maglietta a maniche corte.

Quando la raggiungo sembra non essersi nemmeno accorta di me, così mi faccio sentire

ciao Katniss”

i suoi occhi grigi ora mi fissano spalancati ed enormi, ma in loro non trovo la solita ostilità.

 

 

 

 

Mi guarda dal basso, sotto le lunghe ciglia scure su cui scendono fastidiosamente alcune goccioline d'acqua. Il cartone è molliccio e pesante e a stento ci copre entrambi. Non ho nessuna voglia di starmene sotto il diluvio, quindi mi affretto a parlare, prima che lo faccia lei

“non so cosa tu ci faccia qui, ma rischi di prenderti un malanno. Vuoi entrare?” le indico la porta del laboratorio con la mano libera, poi la tendo verso di lei

“Mellark” borbotta, continuando stoicamente a fissarmi, standosene seduta sul marciapiede, senza nemmeno accennare a prendere la mia mano

“sei tutto sporco” mi fa notare, squadrandomi.

Alzo gli occhi al cielo e sbuffo esasperato

“e scommetto che l'acqua è bagnata, il sole è caldo, il cielo è azzurro e gli uccellini cinguettano” il sorriso beffardo sulle mie labbra è più evidente che mai “mi faresti il favore di tenere per te queste ovvietà e venire dentro ad asciugarti? Non mi fa che ti prendi un accidenti quando io ho la possibilità di fare qualcosa al riguardo” torno a tenderle la mano, sventolandogliela sotto il naso

“perchè dovrei? Che diavolo ti importa di me? Non entrerò li dentro per fare i tuoi porci comodi. Quante volte te lo devo spiegare?” grugnisce, poggiando il mento sulle ginocchia e facendo scorrere gli occhi grigi sull'asfalto

“non mi sembra il caso di tirare fuori ancora questa storia. Sto solo cercando di farti un favore. Non vuoi essere aiutata? ok. Me ne vado, sono fatti tuoi” le porgo il cartone che ci copriva e mi avvio verso la pasticceria. Sono a metà strada quando mi chiama

“Mellark” mi giro, la pioggia ha fatto aderire la maglietta al mio corpo come una seconda pelle e i ricci mi coprono il viso. La vedo comunque alzarsi e raggiungermi

“grazie” brontola, mentre le faccio strada “ma non ti devo proprio nulla. Sappilo”

scuoto la testa, ma decido di starmene zitto.

È la prima volta che abbiamo una pseudo-conversazione di durata superiore ai 5 secondi e non mi va proprio di rovinare tutto provocandola.

Mi chiudo la porta alle spalle, e la osservo guardarsi intorno, stringendosi le braccia sotto il seno. È carina, penso, anche da zuppa.

“cos'è questo posto?” si volta a guardarmi, attenta a non toccare nulla

“il forno dei miei genitori” spiego, sistemandomi i capelli per poter riprendere a lavorare.

“e che ci fai qui?”

sono tentato di risponderle che pettinavo i pappagalli, ma non mi pare che sia il tipo di ragazza pronta ad accettare di essere presa in giro. Quindi mi mordo la lingua, e cerco di essere sincero con lei, per questa volta

“stavo lavorando prima di vedere te” non rinuncio ad un pizzico di ironia “e nonostante tu abbia paura che ti salti addosso soltanto perchè sono un uomo, quello che ho intenzione di fare è semplicemente tornarmene a lavorare.”

le porgo una delle mie magliette pulite che tengo per quando aiuto papà. Si morde un labbro e mi guarda, sospettosa

“cosa dovrei farci?”

“sei tutta bagnata, quindi ti sto offrendo la possibilità di metterti almeno qualcosa di asciutto” con il mento le indico il bagno

“di la puoi cambiarti, se ti va”

la sua mano trema appena, ma afferra la t-shirt e se ne va “grazie”

 

quando esce io sono già pronto a mettermi all'opera. Con il pennello tra le dita traccio la prima linea del complicato arabesco che devo completare entro la mattina. I miei vestiti le stanno grandi e l'orlo le arriva quasi a metà coscia

“se ti va puoi mettere la tua roba ad asciugare vicino ai forni, saprà un po' di pane dopo, ma almeno potrai rimettertela”

lei obbedisce senza fiatare questa volta, e io ne sono sollevato. Non ho nessuna voglia di discutere.

“accomodati” le indico lo sgabello dall'altra parte del tavolo su cui sto lavorando e lei si siede, tornando ad incrociare le braccia al petto. Se ne sta zitta, così gli unici suoni che aleggiano per la stanza sono i nostri respiri e la radio che manda dei pezzi che non conosco. Nonostante io apprezzi davvero tanto il silenzio, decido di porre fine a questo imbarazzante momento

“cosa ci facevi la fuori?” le chiedo, prestando attenzione alla torta ma tendendo le orecchie verso di lei

“nulla” dice e io so perfettamente che sta mentendo

“dubito che tu te ne stessi la per divertimento, a meno che tu sia masochista, e non mi pari quel genere di persona” metto giù il pennello e la guardo tamburellare le dita sul piano di legno.

Alla mia sinistra il piatto di hotdog che mamma ha preparato comincia ad avere un aspetto invitante. Lo spingo tra noi, attirando i suoi occhi prima su di me, e poi sul cibo

“hai mangiato?” domando, spezzando a metà un panino. Lei scuote timidamente la testa. I capelli le dondolano sulle spalle mentre si muove

“serviti pure” spingo la mia cena ancora più vicino a lei, cercando di essere gentile.

“grazie” sussurra, afferrando un pezzo di hotdog e cominciando a mangiarlo. Io la imito.

Dopo il primo boccone però mi torna in mente che non ha risposto alla mia domanda

“allora vuoi dirmi che ci facevi la?”

Katniss sospira “ero con Gale. Poi lui ha trovato dei suoi amici ed è andato via con loro. E io sarei dovuta tornare a casa con lui, e invece stavo aspettando un autobus che non passava. E poi sei arrivato tu”

Gale. Possibile che sia sempre in mezzo a tutto ultimamente? Comincio a provare il bruciante desiderio di ucciderlo a mazzate.

“che fidanzato premuroso” ridacchio, evidentemente sarcastico. Ottenendo soltanto un suo sguardo di fuoco

“lui non è il mio fidanzato” ribatte, piccata.

La osservo, divertito, mentre fulminandomi ingolla una altro pezzo di pane

“e tu non sei la persona giusta per parlare di fidanzati premurosi” aggiunge “visto che non ti rendi conto che la tua ragazza ha qualcosa che non va ultimamente”

perdo un po' di tempo per cercare di capire di chi diavolo stia parlando

“io non ho una ragazza” specifico, guardandola con fare sospettoso. Si insomma, fino a poco tempo fa me la spassavo alla grande con il genere femminile, ma non credo che nessuna di quelle ragazze andrebbe seriamente a dire in giro che ci frequentiamo. Di solito metto le cose in chiaro fin dal principio.

“qualcuno la pensa diversamente”

“chi?”

“la bionda” si passa la lingua sulle labbra e si sistema meglio sullo sgabello, accavallando le gambe

“Delly?” chiedo, e lei annuisce

“vi ho visto l'altro giorno in ospedale, e non sembrava che tu avessi qualcosa in contrario ad essere il suo ragazzo”

ah. bhe, questo è buffo. Ricordo vagamente di aver sentito dei passi mentre Delly mi baciava, ma che fosse lei...

“è stato tutto un malinteso” spiego, anche se non so bene perchè lo faccio. Lei non ha diritto a sapere nulla di me, eppure le sto mostrando un sacco di cose. Stupido Mellark. Ti rovinerà la vita.

“siamo amici da una vita e lei ha una cotta per me, ed io non mi sono accorto di nulla finchè non mi ha baciato” le parole escono senza che io abbia modo di filtrarle usando il cervello, quindi tanto vale raccontarle le cose come stanno

“è da un pezzo che lei ti guarda come se fossi il suo” fa una vocina stridula che vorrebbe somigliare a quella della mia forse ex migliore amica “fantastico Peeta”

“già, forse io non me ne sono accorto in tempo.” alzo le spalle e ricomincio a dipingere sulla pasta di zucchero, sotto i suoi enormi occhi grigi

“Hawthorne ti guarda allo stesso modo” sottolineo, prendendo un fiore e sistemandolo sulla torta

“lo so” ammette, rigirandosi tra le mani una briciola di torta. Il viso le si è asciugato e i capelli castani hanno preso una piega spettinata e voluminosa.

Annuisco, lasciando che il silenzio cada di nuovo tra noi. Parlare è stato facile, questa volta. E in realtà non so cosa sia cambiato tra di noi. Sicuramente qualche giorno fa non si sarebbe azzardata nemmeno a rivolgermi lo sguardo, figuriamoci rivolgermi la parola... eppure oggi sembra diversa. Manca quella sfumatura di sfida nelle sue movenze e per un po' ha smesso di sembrare sul punto di volermi picchiare. Cosa che tra l'altro ha già fatto alla grande il suo non-ragazzo.

Il primo piano della torta è pronto, quindi lo sistemo in frigo e tiro fuori il secondo. La cascata di fiori colorati mi attende sul bancone, pronta per essere sistemata

“sono begonie queste?” chiede, continuando a guardare le decorazioni

“dovrebbero perchè?”

“sono molto belle” dice, facendomi sorridere appena e questa volta è il mio turno di ringraziarla

“sei molto bravo” le sorrido e mi rimetto al lavoro, mentre lei si guarda in giro, un po' più rilassata e a suo agio. L'orologio a muro segna le dieci ormai.

“perchè oggi mi parli?” domando, deciso a sfruttare quel momento di loquacità.

Non sono sicuro che sia una buona mossa, ma al diavolo. O la va, o la spacca.

Si passa la lingua sulle labbra carnose per l'ennesima volta e con la mano si ravviva i capelli spettinati

“diciamo che ho deciso di darti la possibilità che volevi. Ti basti sapere che è merito di Prim” mi guarda negli occhi e per un momento vi vedo brillare la solita scintilla di sfida, che nel giro di qualche secondo scema fino a svanire. Qualcosa la sta turbando.

“e tu hai deciso di seguire un suo consiglio?” le domando, alzando un sopracciglio e mordendomi il labbro per non ridere

“se mi tocchi torniamo al punto di partenza. E lei è d'accordo” se un'occhiata potesse incenerire a quest'ora sarei un mucchietto di polvere sparso sul pavimento

“la ragazzina è intelligente” ridacchio

“più di quanto tu creda” il suo tono però è serio.

 

 

 

Per un po' ce ne rimaniamo in silenzio, e non so se sia la sua presenza, ma nel giro di un'ora ho finito anche il secondo piano della torta. Forse averla vicino mi rende più creativo, o forse voglio inconsciamente fare bella figura. Se tutto procede con questo ritmo, per mezzanotte potrei anche aver finito. Sorrido all'idea come un deficiente. In frigo, tra le torte finite e quelle che devono ancora essere decorate, campeggia un vassoio dorato con un post-it appiccicato sopra

 

Peeta. Vedi di non farti venire un indigestione. Mangiale con calma. Mamma”

 

con la coda dell'occhio, vedo Katniss scaldarsi vicino ai forni

“ti va il dolce?” domando, agguantando i pasticcini sistemandoli sul ripiano di legno. Lei li osserva, quasi studiandoli

“li hai fatti tu?”

“non tutti” ammetto “di solito di queste cose se ne occupa mio padre, ma alcuni, come questo” le indico una muosse alla menta e cioccolato “ sono esclusivamente di mia competenza”

lei si acciglia, rigirandosi un bignè al cioccolato tra le dita, sporcandosele di glassa

“tranquilla. Nessuno ci ha messo il cianuro dentro” sogghigno, mentre, ancora poco convinta, da il primo, piccolissimo, morso.

“allora?” domando “ti piace?”

per tutta risposta, lo mette in bocca in un'unica volta, e scuote la testa “no” borbotta, con la bocca piena e l'angolo delle labbra sporco di cioccolato.

Il mio cuore perde, uno, due, tre battiti, e sento i pantaloni stringersi di colpo alla sola, malsana, idea di quello che sto per fare. Una parte non troppo piccola di me vorrebbe fermarsi, ma quella altrettanto non assolutamente piccola comandata dal mio inguine ha la meglio. Spero non si accorga di nulla, continuando a specchiare i suoi occhi grigi nei miei. Con la mano le sollevo delicatamente il mento, avvicinando piano il mio viso al suo. Vorrei toglierle la crema passandoci la lingua, assaggiando piano quelle labbra piene che sembrano così invitanti. L'istinto primordiale mi suggerisce di colmare quella distanza immediatamente, in modo che la nostra pelle possa entrare in contatto, ora, subito. Non respira, ed è tesa, e forse , per un millesimo di secondo, il mio centro di comando si sposta e torna dove dovrebbe stare, ai piani alti. Lei non lo vuole. Me lo ha ripetuto un miliardo di volte.

Baciandola ora farei solo l'ennesimo casino che non posso permettermi. La trovo attraente, con i miei vestiti addosso, sporca e profumata di pane al tempo stesso. Torno a pensare di voler mettere le mani su di lei. Di percorrere il suo corpo con la lingua, di assaggiare la pelle scoperta del collo.

Ma quando deglutisce, il mio cervello da gallina torna a comandare il mio corpo da spudorato idiota. Che diavolo stavo facendo? Lei nemmeno mi interessa!

Cercando di fare come se nulla fosse successo, le passo il pollice sull'angolo della bocca, facendole l'occhiolino.

Mi sento uno stupido. Che diavolo mi è preso?! Era da un pezzo che non cercavo di baciare una ragazza in un modo così dolce. Perchè il mio corpo si è risvegliato proprio con lei? Nella migliore delle ipotesi è solo una crisi di astinenza da sesso e il mio testosterone è fuori controllo. O così spero.

Voltandole le spalle cerco di dare una sistemata al bancone.

Ho bisogno di stare da solo. Ho una folle necessità di sbollire la tensione del momento. Ed è ora che la porti a casa, perchè devo finire il mio lavoro.

“andiamo” sospiro “ti riaccompagno a casa”

per un lungo istante nella pasticceria regna una quiete elettrica. Katniss se ne sta immobile dove l'ho lasciata, le guance rosse e le spalle tese. Spero solo di non aver rovinato troppo la serata.

“devo ridarti la maglia” mormora

“non serve, me la ridarai un'altra volta” frugo alla ricerca delle chiavi dell'auto nella tasca dello zaino e mi infilo il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni. Con un gesto rapido raccatta le sue cose e filiamo fuori dalla porta, dove da poco ha smesso di piovere

“posso andare da sola. Posso prendere un autobus” dice, guardandomi prima di salire in auto. Io mi limito a scuotere la testa

“non lascio che una ragazza se ne vada in giro da sola a quest'ora”

“so cavarmela” mi fa notare, mentre apre la portiera e si tuffa sul sedile del passeggero. Io la imito

“non ne dubito”

 

 

il viaggio in auto non è lungo, ma decido di andare comunque piano, godendomi il silenzio dell'abitacolo e la voce del dejay che fa passare qualche canzone noiosa da piano bar. A quest'ora non fanno molto, ma non ho nessuna voglia di mettere su un cd.

“Mellark”

“Peeta” chiarisco, passando la mano sulla leva del cambio

“Peeta” si corregge, asciugandosi le mani sui jeans stropicciati “grazie per...” sembra pensarci su, così la lascio fare

“bhe, grazie per quello che hai fatto” sul momento sembra riferirsi a questa sera, ma poi l'idea che il ringraziamento sia più esteso mi balugina in mente

“a cosa ti riferisci?” indago, cercando di fugare i miei dubbi

“a tutto” Katniss fissa la strada scorrere veloce davanti a noi, così per un attimo la guardo, di profilo. Il naso piccolo e gli zigomi alti sono men proporzionati tra loro, ma la sua caratteristica migliore sono gli occhi pericolosamente profondi.

Con un respiro profondo torno a concentrarmi sulla strada.

“non c'è di che” borbotto, fermando l'auto all'ennesimo semaforo rosso, e grattandomi la nuca.

“non voglio essere in debito con te però. Quindi chiedi quello che ti pare”

la sua ossessione per i debiti comincia ad irritarmi, ma da stronzo quale sono, cerco di sfruttarla a mio favore. Sbuffo divertito e stringo le dita sul volante, facendolo scricchiolare. L'idea di chiederle qualcosa di personale mi stuzzica parecchio

“bene” annuncio “dimmi perchè Hawthorne ti sta sempre addosso. Perchè sai che lui ti guarda come Delly guarda me?”

per un istante sembra allarmata, ma l'attimo dopo la sua espressione torna quella seria e dura di sempre. Proprio come qualche ora fa. Forse la domanda è troppo intima e personale, ma non mi pento di avergliela posta. E ora aspetto una risposta.

Dopo una lunga pausa, in cui penso si sia studiata cosa dirmi parola per parola, per non svelare ne troppo, ne troppo poco, si decide a darmi spiegazioni

“io gli piaccio”

“questo lo sapevo” affermo, perchè non mi piacciono le ovvietà “ma per prendermi a pugni, il suo deve essere un desiderio morboso” le faccio notare.

Katniss abbassa la testa, trovando improvvisamente interessanti le unghie corte delle mani

“Gale è geloso e pensa che io lo stia rifiutando solo perchè non voglio ammettere a me stessa di amarlo”

“e invece?”

sospira, gettando la testa indietro contro il sedile

“è il mio migliore ed unico amico. Non ho intenzione di mettermi con lui, perchè per lui provo dei sentimenti controversi. Ma ora basta” si acciglia “ti ho già detto abbastanza”

 

una vocina prende a ronzarmi nella testa. Fastidiosa, insistente, strascicata, quasi fosse sbronza : “trova un interesse comune”

 

parcheggio sotto casa sua e spengo la macchina, cogliendola di sorpresa

“vuoi liberarti di lui?” la mia è più una richiesta che una domanda fatta per curiosità .

“vuoi che smetta di insistere perchè vi mettiate assieme?” insisto, trattenendola per un polso. Lei non cerca di liberarsi dalla mia presa, ma sento il suo battito accelerare

“non voglio perdere il mio migliore amico” sottolinea nuovamente, guardandomi con un'intensità tale da farmi sprofondare nel sedile. Ma tutto d'un tratto le parole di Haymitch hanno un senso.

E forse, per quanto malato, perverso e sbagliato sia, ho trovato il nostro interesse in comune. E non posso lasciarmi sfuggire questa occasione.

“mettiti con me”

 

 

 

 

 

è come se avessi sganciato una bomba. Lei si irrigidisce, e cerca con la mano libera la maniglia della portiera. Le mie parole mi rimbombano nelle orecchie, ed è quasi assordante.

Scuote la testa, gli occhi sgranati e il respiro frenetico. Prima che possa aprire la porta, schiaccio la serratura e le blocco l'unica via di fuga

“stammi a sentire Katniss” comincio facendole risalire la mano fino alla spalla

“se noi fingiamo di stare assieme, sia Delly che Gale si daranno per vinti. E la smetteranno di credere che siamo interessati a loro in quel modo. Saranno costretti a starci accanto, essendo i nostri migliori amici, ma capiranno che noi non ricambiamo i loro sentimenti”

si morde il labbro, ma perlomeno smette di cercare di scappare

“non mi metterò con te” snocciola le poche sillabe sottolineandole con cura una ad una

“è solo finzione” chiarisco “nulla sarà vero. Dovremmo solo fare la parte dei due innamorati. Fingeremo di frequentarci, fingeremo di metterci assieme, fingeremo una relazione e fingeremo di lasciarci quando sarà ora. Solo in pubblico. Non sarai costretta a vedermi fuori da scuola, a meno che non saremo invitati da qualche amico, non dovrai baciarmi se non poche volte in pubblico, non dovrai darmi spiegazioni di nulla. Al di fuori della scuola, le nostre vite si separano, come al solito”

“so come vanno a finire queste cose” mi guarda in cagnesco, socchiudendo gli occhi “so dove vuoi arrivare”

scuoto la testa, sconsolato e incazzato “non hai capito. Tu non mi interessi. Voglio solo liberarmi dell'idea sbagliata che la mia migliore amica si è fatta su di me. E tu vuoi la stessa cosa”

è una bugia, lo so io, il mio cervello, e il mio amichetto in subbuglio li sotto. Lei mi interessa eccome. Per il suo corpo, al momento.

Il problema è che ha tutto quello che serve al posto giusto, e faccio fatica a rimanere indifferente a certe cose ormai.

“con queste cose alla fine le ragazze si innamorano sempre dei ragazzi. Ma io non mi innamorerò di te. Il tuo subdolo piano è inutile” mi ringhia contro, così gioco la mia carta migliore

“visto che non ti innamorerai di me allora il piano è perfetto. Non sei il mio tipo Everdeen. Ed io non sono il tuo. Lo hai detto tu”

“non funzionerà. Sappilo” scende dall'auto ed io con lei, poggiandomi al cofano ancora caldo

“il mio piano funzionerà, se ti comporti come previsto. E poi l'hai detto tu, che non ho effetto su di te. Dovresti starci”

forse la sto confondendo, perchè dalla sua fronte corrugata si capisce che ci sta pensando

“ok” mormora, le guance le si sono tinte di rosso acceso. Deve essere imbarazzata perchè l'ho messa alle strette.

“bene”

 

l'idea mi balza alla mente con una perfidia tale da stupire anche me stesso. Ma devo accertarmi che le cose vadano come devono andare. Sia per lei, che per me. Se questo piano fallisce, entrambi passeremo dei guai belli grossi. E le ho promesso che non ci sarebbero state ripercussioni oltre a quelle stabilite.

Allungando il braccio le afferro la mano e la avvicino a me, guardandola negli occhi grigio tempesta. Intorno a noi nelle aiuole friniscono i grilli, immersi nel buio quasi totale. La poca luce proviene dal lampione sopra di noi

A pochi millimetri dal suo viso ancora riesco a parlare “dimostrami che non sei attratta da me” nella mia testa la mia voce ha assunto una nota languida

lei annuisce “non lo sono minimamente” il suo fiato caldo si infrange sulla mia pelle.

questa volta il cervello si spegne definitivamente, dandomi il via libera per premere le mie labbra sulle sue.

Lascio che una parte di me si perda in quel contatto, per cercare di farlo sembrare vero. L'altra parte però, è ben attenta a non esagerare. Io non dovrei provare nulla.

Quando si stacca da me, la mia bocca formicola, come se fosse stata scottata.

Scuoto la testa e lei con me. Alza le spalle

“niente”

incrocio le braccia al petto, dandole l'impressione di soppesare la cosa

“niente” confermo “sabato sera. Vieni al falò in spiaggia con me.”

“scordatelo Mellark” si volta, incamminandosi verso il portone

“ti passo a prendere alle 21” salgo in macchina senza aspettare la risposta e mi permetto di buttarmi di peso sullo schienale soltanto quando Katniss è sparita dalla visuale.

La realtà è che in quel bacio non c'era assolutamente nulla su cui rimuginare.

I pantaloni stretti sull'inguine e il cuore a mille non sono esattamente il mio concetto di nulla.

Sono fottuto. Cazzo.

 

 

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