La corte dei demoni

di _Sherazade_
(/viewuser.php?uid=243036)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


- Capitolo Primo -



L’ufficio era vuoto quando Apodis entrò.
Sulla sua scrivania c’era il documento da compilare. Ancora una volta era riuscito a portare a termine l’incarico senza dover impiegare troppo tempo.
Non era da molto che era diventato un demone della morte, solo un secolo, giorno più, giorno meno. Si era già distinto fra i suoi colleghi per efficienza e nel giro di poco aveva portato a termine oltre mille missioni.
Era relativamente giovane, aveva solo millecentocinquanta anni. Solitamente per diventare demoni della morte, oltre che distinguersi nella comunità, bisognava essere molto più anziani, e avere maturato una maggiore esperienza.
Ora lavorava nella provincia di Bergamo, si era ambientato abbastanza in fretta, nonostante il fatto che precedentemente coprisse un’area molto più vasta, tuttavia era di una piccola zona che aveva bisogno. Il lavoro era comunque molto impegnativo, tuttavia molto meno stressante del precedente.
I demoni della morte svolgevano un lavoro della massima importanza, per questo era un lavoro pesante e concesso solo ai migliori. Il loro compito era quello di accompagnare le anime dei mortali verso il varco della vita ultraterrena. Questo li avrebbe condotti vero la loro destinazione finale, il Paradiso, o in una dimensione di passaggio, dove le anime avrebbero atteso di reincarnarsi, per poter tentare ancora di accedere al piano di purificazione.
Apodis era orgoglioso del suo lavoro, sapeva bene quanto il suo ruolo fosse importante. Le anime dei mortali erano fragili una volta lasciati i loro corpi e potevano perdersi molto facilmente, o peggio, essere catturate da spiriti malvagi;il compito dei demoni della morte era proprio quello di protegger queste anime, di difenderle a qualunque costo.
Una delle parti certamente più ingrate dell’essere demone della morte era il dover prendere le anime dei bambini.
Apodis aveva detestato quella parte del suo addestramento, tutti devono passarci, e non devono farsi intenerire. Essere demoni della morte richiedeva un certo distacco dagli altri, e non c’era spazio per tenerezze o altro. La sola consolazione in tutto questo era quella di sapere che tutte quelle anime, comprese le più fragili e piccole, sarebbero finite in un posto migliore, privo di pericoli o sofferenze.
Ora Apodis si occupava del secondo settore, il primo era appunto quello dei bambini, che partiva appunto dai bambini in fasce fino al compimento del quindicesimo anno. Il secondo, il suo, prendeva i ragazzi di sedici anni, fino agli adulti sulla quarantina.
“Per fortuna che non devo più farlo” pensava ogni tanto quando vedeva i colleghi del primo reparto.
Oltre al lavoro Apodis non aveva altro, si faceva voler bene, ma rimaneva sempre troppo sulle sue. Ael, il suo migliore amico, lo definiva un brontolone, un pignolo e un rompiscatole, ma dal cuore d’oro, lato che non mostrava sempre.
Ael e Apodis non si somigliavano molto, sia fisicamente che caratterialmente, e per questo molti si chiedevano come potessero essere tanto amici. La verità era che nessuno conosceva i due demoni veramente, nel profondo.
Apodis si mise alla scrivania cominciando a compilare il documento, ma non passò molto tempo che nel piccolo ufficio entrò Elar, un suo collega.
- Hey, ciao. Com’è andato l’incarico? Hai avuto problemi? – chiese il demone biondo.
- No, tutto ok. Stavo giusto compilando il modulo. A te invece come è andata? – ogni incarico doveva essere registrato. I demoni avevano costruito, nel corso dei secoli una vera società, molto ben organizzata.
Per meglio mescolarsi agli uomini i demoni li avevano studiati per secoli, capendo qual’era il modo migliore per stare loro vicini, senza però dover necessariamente svelare la propria identità. La maggior parte dei demoni sperava che un giorno tutto potesse tornare come in antichità, dove uomini e creature magiche convivevano insieme e in armonia.
Come detto prima i demoni si erano mescolati fra gli uomini, strutturando i loro lavori in maniera simile a quella umana, celando però quali che fossero i loro reali ruoli. Apparentemente svolgevano lavori di amministrazione, affittavano gli uffici, o li comperavano, e da lì svolgevano i loro lavori.
Ognuno di loro aveva un ruolo ben preciso, e ogni categoria aveva le sue specialità che potremmo definire innate. Queste si rivelavano ad un certo punto della loro vita.
I demoni della morte ad esempio potevano teletrasportarsi per seguire meglio i loro protetti, i demoni della guardia invece, il cui compito era quello di aiutare le creature magiche in difficoltà ed evitare che cadessero nelle mani sbagliate, potevano manipolare il tempo per brevissimi istanti; alcuni demoni potevano mutare forma, ad esempio  i demoni vedetta, meglio noti come demoni drago, potevano trasformarsi in quelle creature tanto affascinanti quanto pericolose…
Insomma, ognuno si dava da fare nel suo piccolo per la comunità.
In antichità gli uomini e tutte quelle creature che si crede facciano parte solo dell’immaginario collettivo, vivevano insieme in armonia, poi qualcosa era cambiato; così demoni, fate, elfi e tutti gli altri dovettero nascondersi all’occhio umano senza però smettere di sperare.
Era ancora troppo presto, e lo sapevano, ma un giorno le cose sarebbero cambiate. Barock, il saggio re dei demoni, aveva notato dei piccoli cambiamenti nell’uomo, e questo lo portava a sperare in bene. Esisteva un gruppo di demoni, non molto grande, che avrebbe voluto sottomettere l’uomo, e prendere il comando con la forza, ma per fortuna Barock riusciva a tenerli a bada.
Non esistevano particolari regole o codici di comportamento, ma solo una in particolare era da tenere a mente, e da non violare: nessuno avrebbe mai dovuto rivelare la sua vera natura ad un essere umano. Pena la morte.
Molti purtroppo perdettero la vita a causa di quella orribile legge, creata per difendere entrambe le parti. Uno degli ultimi a trasgredire fu Ael, il quale venne miracolosamente graziato.
Si era innamorato di una ragazza umana che lo aveva aiutato dopo che aveva avuto un piccolo incidente di volo. Grazie ad Apodis, e a un piccolo aiuto “divino”, i due innamorati vennero lasciati liberi, e la ragazza venne trasformata in demone. Anche se non era di sangue puro, le venne comunque concesso di vivere.
Inizialmente Apodis era contrario, e aveva cercato di dividere la coppia, ma vedendo l’amico tanto determinato e innamorato cercò di conoscere la ragazza. E capì. Instaurarono una bella amicizia, che oramai durava da oltre ottocento anni.
La coppia venne allontanata dalla comunità, esiliata, perché comunque era stata infranta le regola più sacra dei demoni e agli occhi della maggior parte della comunità non poteva essere perdonata questa cosa. Apodis, che era l’unico a sapere dove vivevano, di tanto in tanto passava a trovarli.
Aldilà di tutto per lui l’amicizia era sacra, più di qualsiasi veto importo dalla corte dei demoni. Così veniva chiamata la comunità intera dei demoni riunita sotto il re Barock.
 
Elar finì di compilare il suo modulo e lo lasciò sulla scrivania del loro capo, Alan.
Elar era un demone non molto più vecchio di Apodis, leggermente più basso, alto circa un metro e settanta, contro il metro e ottantacinque dell’amico. Biondo, occhi verdi, carnagione non troppo chiara, e non molto muscoloso. Riscuoteva un discreto successo tra le donne, ma la situazione di single gli si addiceva molto di più.
Anche Apodis era decisamente un bel demone, capelli scuri, un nero cobalto, che al sole diventavano blu, gli occhi color del ghiaccio e, una bella struttura fisica muscolosa,non eccessiva. Il carattere di Apodis alcuni lo avrebbero definito chiuso,non era tipo da uscire spesso e fare baldoria, ma aldilà di questo aveva una gentilezza che in pochi avrebbero potuto mai immaginare. Il suo alone di mistero attraeva molto il genere femminile, ma a lui questo non importava molto. Non certo perché sperava così di diventare ancora più appetibile, semplicemente non si era mai innamorato in vita sua. Diceva sempre ad Ael: “Mi innamorerò quando vedrò un ippopotamo e un coccodrillo prendere insieme il tè, e in abiti ottocenteschi”.
Ael, nonostante conoscesse molto bene questa battuta, ogni volta scoppiava in una fragorosa risata, mentre Amber, la moglie di Ael, lo sgridava. Voleva che anche lui fosse felice, e che non si chiudesse all’amore. Era una ragazza molto romantica, ed indubbiamente molto innamorata del suo Ael. Erano passati più di ottocento anni e stavano ancora insieme, si amavano come il primo giorno. “Questo è amore” pensava Apodis ogni volta che li vedeva insieme, chiedendosi se mai anche lui l’avrebbe provato. Vedendo però come andavano le cose ne dubitava e si accontentava di vivere la sua vita così  come andava.
 
Alan entrò nell’ufficio, e trovandovi i due ragazzi chiese loro dei rispettivi incarichi. Apodis consegnò subito il suo modulo appena finito di compilare, mentre Elar gli indicò la scrivania.
Alan era il fratello maggiore di Elar; erano molto simili fisicamente, mentre caratterialmente erano l’esatto contrario, mentre Elar aveva un carattere allegro, dinamico e spensierato, Alan era un po’ più chiuso, riflessivo e riservato.
Alan si occupava del lato amministrativo essendo a capo di quel distretto, raccoglieva i dati, smistava fra i  demoni i  vari incarichi, si preoccupava di tenere  informati i superiori e si occupava di ogni singolo aspetto del loro lavoro. Dopo una brevissima esperienza nel reparto infantile capì che  non sarebbe mai riuscito a sopportare quel lavoro, perché come Apodis aveva il cuore tenero. Amava molto i bambini, e doverli “strappare” alla vita lo straziava. Essendo anche padre rivedeva in quei piccoli i suoi stessi figli. Era tuttavia un predestinato nel campo dei demoni della morte, per questo lo spostarono, dandogli un incarico di tipo amministrativo.
 
Nel mondo dei demoni non esistevano dei grossi misteri, ma uno in particolare aveva sempre dato adito a voci, dicerie e piccole leggende metropolitane.
Nessuno sapeva come Barock venisse a conoscenza dei nomi degli uomini da tenere d’occhio, quelli affidati ai demoni della morte. Era Barock infatti  a dare le direttive a tutti i demoni del mondo. Nessuno tuttavia sapeva come lui lo scoprisse, se usasse qualche amuleto, o se era qualcun altro dall’alto ad avvisarlo. Lui faceva da tramite e dava le direttive a tutti gli altri demoni.
 
- Ragazzi, ho i nuovi incarichi, come sempre avete un mese. Mi raccomando, agite con prudenza, ultimamente gli spiriti sono parecchio inquieti, e molti agenti sono stati aggrediti.
Che spiriti e demoni litigassero fra loro non era una novità, ma questo accadeva solo nelle fasi di recupero delle anime. Il fatto che gli spiriti fossero tanto inquieti da attaccare senza che un’anima venga contesa dava di che pensare.
 
Si vociferava che Ivor, uno dei maggiori sostenitori del gruppo “anti-umani”, fosse riuscito a tirare dalla sua molti spiriti e che volesse detronizzare ed eliminare Barock. Molti dubitavano, sia perché non è così facile uccidere i demoni, sia perché le guardie del re erano molto ben preparate e disposte a tutto per il sovrano.
 
Apodis prese la cartelletta che Alan gli stava porgendo, la aprì e ne esaminò il contenuto.
“Ventuno anni, troppo giovane” pensò leggendo i dati della ragazza. Non si poteva dire che la ragazza fosse bellissima, ma rimase catturato dallo sguardo. Non aveva niente di particolare, ma quegli occhi color nocciola lo colpirono. Una strana sensazione lo prese allo stomaco, ma non gli diede molta importanza. Non aveva ancora pranzato, così pensò si trattasse di fame.
- Tutto bene amico? – gli chiese Elar scuotendolo dai suoi pensieri.
- No, niente. Ho solo un po’ di fame, tutto qua. – lo tranquillizzò Apodis.
- Avevi un’espressione strana. Non è che la conosci per caso? – chiese sorridendo.
- No, non la conosco. Mi spiace solo per lei. È molto giovane. – leggendo ancora la cartella scoprì che aveva perso i genitori e il fratello tre anni prima, a causa di un incidente stradale. Anche Elar lesse il documento e cambiò espressione dopo poco.
- Io c’ero. Ho visto questa ragazza tre anni fa. Io ero uno degli agenti sul campo quella sera. E ho accompagnato la famiglia dall’altra parte. Ha sofferto molto poverina, non so come stia ora, ma all’epoca dei fatti era a pezzi. – ne avevano visti molti di casi simili, e ogni volta stavano male a pensarci. Il loro lavoro era importante, ma sapere quello che si lasciavano dietro ogni volta li straziava. Un unico desiderio viene concesso alle anime: poter dare un ultimo saluto ai propri cari, senza però poter entrare in contatto con loro.
- Ragazzi, fa parte del nostro lavoro, lo sapete. Coraggio, dall’altra parte staranno meglio. – disse Alan ai due demoni.
Elar sospirò, - Va bene. Su andiamo, abbiamo un mese davanti a noi. Non abbiamo altri incarichi? – potevano avere più di un incarico alla volta. Questo a volte riusciva a farli sentire meno in colpa, spesso capitava che i demoni si affezionassero un po’ ai protetti, dato che vegliavano su di loro tutto il giorno. Entravano silenziosamente nelle loro vite senza che questi lo sapessero.
Alan scosse la testa e prese la giacca per uscire con loro.
- Che ne dite di fermarci al bar dell’angolo? Ho un certo languorino! – disse Elar sorridendo.
 
“La prossima sei tu, Ayla Eyre” pensò Apodis dando un’ultima occhiata alla cartella prima di chiuderla. “Mi dispiace”
Prese la giacca e assieme agli altri due uscì.



 
L'angolo di Cendri/Shera ^_^

Salve a tutti, sebbene avessi già pubblicato in passato questo racconto, ho deciso di cancellarlo e di ri-pubblicarlo.
Per quale ragione? Semplice: la prima versione faceva schifo O_O.

Questa è la versione rivista e corretta, anche se son certa che abbia comunque altre cose da rivedere.
Spero che ancora word non mi abbia fatto lo scherzo di sostituirmi gli apostrofi con gli accenti T_T, è una vera seccatura pubblicare racconti non del tutto corretti.

Di sicuro ci sarà ancora molto da rivedere, però intanto ecco questa nuova versione; un filino più lunga, e secondo me meglio descritta XD. "Chi si loda si imbroda", lo so, però è vero.
Rispetto alla prima versione ritengo di aver aggiunto il necessario per rendere la storia più fluente e completa.

Spero che vi piaccia.
Ogni commento è ben accetto, sia di critica che altro ;)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


- Capitolo Secondo -



Mi trovavo all’interno di un grande castello, le cui pareti sembravano di ghiaccio, stavo correndo, verso una meta ignota. Capii che stavo scappando da qualcosa, ero spaventata e gli occhi mi stavano diventando lucidi per via delle lacrime. La paura si stava impossessando di me. Senza perdere troppo tempo a pensare continua a correre fino a che arrivai alla fine del corridoio, trovandomi su una grande balconata.
 
Mi affacciai, e vidi sotto di me un immenso salone gremito di persone. Fin lì nulla di strano, eccetto che per una cosa.
Alcuni di loro erano avvolti da uno strano bagliore: alcune persone erano avvolte da una luce rossastra, e altre da una violacea.
 
La stanza intera era avvolta da una luce rossa, come se fossimo stati in discoteca coi i fari colorati che illuminavano la pista
Le persone non ci facevano caso, ma non appena la luce, da rossa passò a blu, gli uomini e le donne che emanavano il bagliore rossastro si bloccarono.
Era come se il tempo per loro si fosse fermato.
Le persone che prima erano avvolte dal bagliore violaceo invece continuavano a comportarsi come se nulla fosse successo, e ora la loro luce era cambiata: emanavano il bagliore bluastro.
 
Cosa stava capitando? Dove ero finita?
Non riuscivo a capire niente, la testa cominciava a dolermi, quando dal nulla apparve un ragazzo. Mi venne incontro, tutto affaticato, aveva il volto coperto da un cappuccio scuro e la luce che emanava il suo corpo era blu.
Mi prese per mano e mi disse che dovevamo scappare, che era pericoloso rimanere lì.
Non dovevo, non potevo farmi trovare da “loro”.
Non sapevo nemmeno chi fossero queste persone che non mi dolevano trovare. Non sapevo chi fosse quell’uomo, ma in cuor mio sentivo che potevo fidarmi.
Mi trascinò via, verso un nuovo corridoio.
Non so da quanto stessimo correndo, ma all’improvviso sentii delle voci che ci chiamavano.
L’uomo incappucciato mi spinse verso una porta, la aprì e mi buttò dentro. Lo sentii parlare con qualcuno, le persone che ci avevano chiamato, supposi. e poi niente.
La porta finalmente si aprì e vidi quell’uomo con altre due figure avvolte che mi fissavano.
- Su andiamo, la strada è sgombra. – aveva una bella voce.
La luce che illuminava tutto di blu era cambiata nuovamente, tornando al rosso acceso di prima.
 
Continuavamo a scappare e notai che continuavamo a girare in tondo. Quel castello sembrava un labirinto, era così immenso.
- Non preoccuparti, e fidati di me!  Fidati di noi Ayla – era sicuro, e lo ero anche io. Riuscii ad intravvedere degli occhi chiari che riuscirono a trasmettermi una gran fiducia.
Una delle altre figure si trasformò in un drago argentato.
- Presto saliamo! Non abbiamo più molto tempo. – era però troppo tardi: ci avevano trovati.
Sentii una risata dalla quale trapelava una grande malvagità, e davanti a noi si materializzò un grande mostro, alto almeno cinque metri.
Avevo paura, ero terrorizzata e mi aggrappai forte al braccio dell’uomo che aveva cercato di aiutarmi. Era forse la fine?
- Non preoccuparti, andrà tutto bene. – mi disse lui con voce suadente.
Il mostro allungò la mano verso di noi, mi prese e urlai con tutta la forza che avevo, allungando il braccio verso l’uomo che aveva cercato in tutti i modi di salvarmi.
 
 
- Noooooo! – urlai svegliandomi, sbattendo così la testa contro il mobile del letto. Era un sogno, solo un sogno! Quel dannato sogno che mi perseguitava oramai da ben due settimane. Ogni notte lo facevo, e ogni notte era sempre più chiaro, più dettagliato.
- E no, adesso basta. Non ce la faccio più. – protestai verso il soffitto.
- So che lassù vi divertite, ma io sono una povera mortale, almeno nei sogni lasciatemi fantasticare. Datemi dei bei sogni. Sto forse chiedendo troppo? – dovevo assolutamente tradurre il significato di quel maledettissimo sogno. Troppe notti rovinate.
Cerby, il mio cane, e Morphy, il gatto, mi guardarono con aria stranita. Erano abituati ai miei scatti, ma ultimamente avvenivano un po’ troppo spesso.
Non era certo colpa mia, ero emotivamente in crisi per colpa di quel sogno.
Oggi era anche il giorno della bilancia! Mi ero impegnata davvero molto con la cyclette e altri piccoli attrezzi che mi ero procurata. Non potevo non avere perso almeno un po’ di peso. Non pretendevo tanto, mi piacevo un po’ in carne. Tuttavia un po’ dovevo dimagrire: ero leggermente sovrappeso. Senza contare che non riuscivo più a mettermi quei jeans che avevo da cinque anni. Erano i miei preferiti in assoluto con tutte quelle pailette.
- Io rimetterò quei jeans, a qualunque costo! – dissi alzandomi e correndo in bagno.
 
Mi feci una doccia veloce, tralasciando i capelli che avevo già lavato la sera prima, e con molto coraggio salii sulla bilancia.
Lanciai un grido e Cerby e Morphy mi raggiunsero.
Canticchiando e saltellando presi in braccio il gatto e, muovendomi a passo di valzer, li informai della mia piccola conquista: nelle ultime due settimane avevo perso tre chili. Non era moltissimo, ma era già una piccola conquista.
Volevo fare una prova, anche se sapevo che sarebbe andata male.
Dovevo provarci: presi quei pantaloni e li provai. Come previsto però non riuscii ad infilarmeli.
Me li tolsi e li riposi nell’armadio, avrei dovuto aspettare ancora un po’, ma non mi sarei certo arresa davanti al primo ostacolo
Non mi sarei lasciata scoraggiare da una prima sconfitta, ora sapevo che avrei potuto farcela. Dovevo solo continuare così e non arrendermi!
 
Mi vestii in fretta e furia, fiondandomi, coi pantaloni ancora a mezza gamba, in salotto per fare colazione. In passato non ero mai stata una da dieta, non riuscivo mai a portarle avanti. E con  la ginnastica non è che andasse molto meglio, dopo un po’ mi stancavo.
In effetti parlare di diete non è proprio corretto, mi son sempre limitata a rinunciare ai dolci e alle schifezze varie.
Sarò sincera, in realtà mi trattenevo semplicemente dal mangiarne troppi. Non riuscivo a staccarmene completamente e se devo parlare di sport... l’unico vero sport che riuscissi a praticare seriamente ero lo zapping con la tv.
Ogni tanto mi cimentavo coi pesi oppure prendevo la mia fedele mountain bike per fare un giro, di più non facevo.
 
Il mio corpo era strano, alle volte mi capitava di perdere appetito, di non avere più molta fame; lì calavo un po’ e senza nemmeno impegnarmi nell’impresa. Succedeva un paio di volte all’anno, o poco più.
 
Layla, o meglio Ly, mi aveva convinta a comprare la cyclette, e devo dire che non mi sono pentita dell’acquisto fatto. Era la mia migliore amica, ed era sempre ben disposta a darmi una mano per qualsiasi progetto mi passasse per la testa.
Inizialmente non riuscivo a essere costante, ma una volta presa confidenza ho continuato, anche per soli venti minuti al giorno. I risultati non hanno tardato a mostrarsi.
Oramai era il mio appuntamento fisso, ogni giorno un poco.
Per una come me che non era mai riuscita in questo genere di cose è stata una grandissima conquista.
 
Presi la brioche dal fornetto elettrico e me la gustai con calma. Vicino a casa mia c’era una piccola fabbrica che produceva paste, brioche, pizzette e ogni genere di prelibatezza.
Una volta all’anno andavo da loro e facevo un po’ di scorta. Non c’è niente di più buono di un bel cornetto caldo per la colazione.
Per quella giornata avevo scelto un pain au chocolat, dovevo pur festeggiare un po’ la mia conquista.
Avrei bruciato le calorie prese con la camminata che dalla stazione portava al negozio.
Era una bella giornata, e dato che eravamo in autunno era oramai una questione di tempo prima che arrivasse il brutto tempo. Potevo sfruttare il tram e farmi poi quelle breve camminata per arrivare alla libreria presso cui lavoravo.
Era deciso: avrei lasciato la mia vecchia Betsy, una lancia Ypsilon, in garage e avrei sfruttato il tram.
Per carità, anche col brutto tempo avrei potuto approfittare del mezzo pubblico, ma ero comunque sempre un po’ pigra. L’idea poi di beccarmi un acquazzone non è che mi avesse mai esaltata più di tanto.
 
Assaporare quella pasta  mi riportava con la mente a quando la mia famiglia era ancora unita, a quando eravamo tutti insieme.
Erano già passati tre anni da quel dannato incidente, e non passava giorno che non maledissi quel pirata della strada.
Il classico ragazzotto, strafatto di alcool e droga, che inconsciamente s’era messo al volante; e come al solito era quello che alla fine di tutto si salvava.
Mi chiedevo ancora perché non avessero preso la sua vita invece che quella dei miei cari.
 
Ogni anno, quando arrivava la fiera del paese, io e mio padre andavamo a prendere queste paste. Era diventata un po’ come una tradizione e io volevo portarla avanti.
Ammetto che era una cosa un po’ sciocca, ma mi faceva stare immensamente bene. Meno sola.
Non credo si riesca mai a superare del tutto la morte della propria famiglia, specie se questa morte è provocata dalla stupidità umana.
Loro faranno sempre parte di noi, e non li sui può cancellare.
Ci sarà sempre un piccolo posticino nel nostro cuore per tutti coloro che ci hanno lasciati. Il vuoto che lasciano è incolmabile perché le persone non le si può sostituire.
L’unica cosa che uno può fare è di andare avanti e cercare di continuare a vivere. Questa è la soluzione migliore, soprattutto per chi non c’è più e non ha avuto la possibilità di continuare la propria esistenza.
 
Avevo solo ventuno anni, ed ero decisamente troppo giovane per arrendermi e lasciarmi andare. Inoltre se mi fossi lasciata andare troppo Ly sarebbe stata capace di prendermi a schiaffi per farmi riprendere.
Sapevo che mi voleva un bene dell’anima, e sapevo anche che avrebbe fatto di tutto per non lasciarmi cadere nel baratro nero della depressione.
Se non ci fosse stata lei non so come avrei fatto a superare tutto questo.
Il lavoro mi aveva aiutato molto e mi ci ero buttata a capofitto per evitare di pensare troppo. Negli ultimi tre anni quasi non avevo preso le ferie: stare a casa mi deprimeva.
Dopo tutto quel tempo però cominciavo finalmente a respirare un po’ e ad essere più tranquilla e rilassata.
Più volte mi avevano proposto di prendermi un mese, anche due di aspettativa, ma avevo sempre rifiutato perché non me la sentivo.
“Forse tra qualche anno.” mi dicevo pur sapendo che era solo una banale scusa per gli altri.
 
Cominciava a farsi un po’ troppo tardi, così preparai il pranzo per Cerby e Morphy e mi fiondai in strada.
Amavo molto il mio lavoro, e sebbene per molti fare la commessa in una libreria non sia esaltante, io mi divertivo. Amavo con tutto il cuore leggere, era una delle mie più grandi passioni. Forse era la più grande in assoluto.
Leggere ti fa scoprire cose nuove, mondi meravigliosi e fantastici. Leggendo ti si apre un mondo incantato.
Negli anni dell’adolescenza infausta la lettura era stata la mia scappatoia ad un mondo che sentivo non essere il mio. Certo, avevo Ly, ma non potevamo stare proprio sempre insieme.
Ero la classica adolescente un po’ emarginata, e i libri erano stati i miei più cari e fedeli amici per un lunghissimo periodo.
Poi arrivò Ly, e la vita non fu più così grigia.
Non mi dimenticai di loro comunque, continuai a coltivare questa mia passione e anche a vivere nel mondo esterno.
Trovai il mio equilibrio tra un mondo di fantasia e quello più duro, ma vero.
 
Non appena salii sul tram accesi il lettore mp3; era un po’ scassato e a volte i tasti non funzionavano del tutto, a volte mi cancellava le canzoni e a volte dovevo tenere il cavo delle cuffie leggermente staccato perché altrimenti andava solo un’auricolare.
Io però lo adoravo comunque, per quanto fosse rovinato.
Certo avrei potuto cambiarlo, ma ci ero molto affezionata, era uno degli ultimi regali dei miei e non potevo certo abbandonarlo.
Inoltre l’altoparlante funzionava alla perfezione, e mai e poi mai avrei potuto gettarlo via.
 
Preferivo il pullman al tram, ma sfortunatamente il sistema di trasporti era cambiato, e quindi mi toccava prendere l’altro mezzo. Sotto un certo punto di vista era più comodo il tram, c’erano più posti, erano più comodi e passava con maggiore frequenza. Purtroppo però dovevo fare un sacco di strada in più per arrivare alla fermata, quando invece quella del pullman era quasi sotto casa.
 
Il tram si fermava alla stazione e dovevo fare un bel pezzo per arrivare a Porta Nuova, il centro, e poi c’era il pezzo per arrivare al negozio; col pullman scendevo direttamente a Porta Nuova, e arrivavo subito.
Una delle cose buone del tram era che non mi trovavo più schiacciata, negli orari in cui lo prendevo non c’era troppa gente. Coi pullman era una cosa totalmente diversa dato che dovevamo affidarci anche alla clemenza del traffico. Col tram c’erano solo dei passaggi sulle strade principali, e lì avevamo comunque sempre noi la precedenza.
Mentre invece, una delle cose che più odiavo erano le donne con le carrozzine dei neonati, quando queste entravano sul pullman o sul tram e non si degnavano di chiudere quei dannatissimi affari.
Non che avessi qualcosa contro i bambini o i genitori, semplicemente c’è un regolamento che invita a chiudere quei trabiccoli. Cosa mai costa seguire poche e semplici regole per una pacifica convivenza? Ho sempre pensato che la gente fosse stupida sotto molti aspetti, ed ero assolutamente convinta che avrei continuato a pensarlo fino alla fine dei miei giorni. Alla gente frega poco di creare fastidi agli altri. L’importante è starsene tranquilli col proprio bell’orticello.
 
Una volta, ricordo, erano salite in tre, tutte con la carrozzina, ed il pullman era pieno, stracolmo. Fu anche grazie a loro se dovetti scendere ben due fermate dopo la mia, arrivando praticamente al confine del paese.
Due chilometri a piedi e carica di  cartella e borsone. Un’esperienza che auguro a pochi. La mia fortuna fu nel fatto che era bel tempo e non faceva freddo.
Un altro ricordo molto poco piacevole, risale al mio secondo anno delle superiori.
Era una mattina come tante, il mezzo era pieno, ma ero comunque riuscita a trovare posto vicino all’entrata.
Pensavo ai fatti miei, quando salirono due signore che si accomodarono nei sedili dietro al mio. Cominciarono a chiacchierare del più e del meno, le solite discussioni fra amiche. Peccato solo che anche non volendo riuscivo a sentire tutti i loro discorsi: parlavano a voce fin troppo alta.
Quando presero ad entrare nel discorso sesso, scendendo nei minimi dettagli, mi vennero i brividi lungo la schiena.
Certo fa piacere sapere che si rimane attivi anche dopo una certa età, ma per molti di quei  particolari che arrivarono alle mie povere orecchie ne avrei fatto volentieri a meno.
Per fortuna la scuola era vicina.
 
Il tram si arrestò: eravamo arrivati in stazione finalmente.
Non vedevo l’ora di raggiungere Ly per informarla del mio piccolo successo.
Mi attendeva una bella camminata, ma ero di buon umore e la presi con allegria. Muovermi un po’ non poteva farmi che bene.
 
Avevo superato Porta Nuova, e dopo poco vidi l’insegna della libreria, ed intravidi una Ly sorridente che mi stava venendo incontro.
Come al solito era vestita in modo impeccabile.
 
Ammetto che un po’ la invidiavo.
Eravamo molto diverse, lei alta, bionda, un fisico invidiabile e molto ben proporzionato. Senza contare che era molto carina, a differenza mia che ero relativamente bassa, castana e... formosa diciamo.
Ly era anche molto spigliata, una ragazza brillante, estroversa, a differenza mia che ero l’esatto opposto.
Nonostante le tante differenze però ci trovavamo e ci volevamo un gran bene.
Ogni tanto mi azzardavo a dirle come la pensavo riguardo il nostro rispettivo aspetto, e di come mi sentissi in difetto paragonata a una come lei. Inutile dire che si arrabbiava moltissimo.
- Non c’è niente che non vada in te, e sfido chiunque a dirlo. – mi diceva. Quando si arrabbiava, perché se la prendeva quando dicevo queste cose, era meglio non contraddirla troppo.
Non le credevo molto, specie a causa dei miei chiletti in più, ma sapevo che lei ciò che diceva lo pensava seriamente.
Io e Ly ci eravamo conosciute alle superiori, e da allora non ci eravamo praticamente mai separate. Stavamo sempre insieme, due amiche veramente inseparabili.
Di fronte al mio disagio fisico mi aveva proposto di andare insieme in palestra, ma la vergogna me lo aveva impedito.
Un paio di volte avevamo provato a fare jogging, ma non faceva per me dato che dopo poco mi accasciavo sulla prima panchina libera.
È stato dopo tutti questi fallimenti che siamo arrivati a qualche piccolo attrezzo, tipo i pesi, e in seguito alla cyclette.
Finalmente avevo trovato il mio sistema per fare un po’ di esercizio.
 
- Allora Ayla, pronta per un nuovo giorno di lavoro? – chiese Ly con il sorriso.
- Certo che sì mia cara. Dai, indovina?
- Cosa?
- Mi sono pesata stamattina, e… ho perso tre chili. – Dissi soffocando un gridolino.
Alla bella notizia Ly gridò all’unisono con me. Mi prese per mano e cominciò a saltellare sul posto, non potei fare a meno di imitarla.
Eravamo un po’ pazzerelle e i colleghi oramai non ci facevano neanche più caso.
George, il fidanzato di Layla e responsabile della libreria, ci fece cenno di avvicinarci: bisognava aprire il negozio.
Ly rise e mi trascinò verso l’entrata.
- Su bella, si comincia! – disse lei ridendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


"Capitolo Terzo"



Era pomeriggio e stavo sistemando gli ultimi arrivi quando vidi con un misto di stupore e disgusto le solite ragazzine fermarsi davanti ai libri “spazzatura”, come li definivo io.
Stavano sfogliando dei libri di un, ahimè, noto scrittore, che con storielle banali e orride era riuscito a conquistare un vasto pubblico. Non vi parlerò oltre di lui, già il solo pensarlo mi irrita.
Borbottai ad alta voce, non altissima, ma quanto bastava per farmi sentire. Certo nessuno riuscì a capirne il senso, ma non importava: io lo avevo capito.
Sentii lo sguardo rabbioso di George su di me; sapevo che stava per farmi una ramanzina. Abbassai la testa grave e tornai al mio lavoro.
 
Parte dei miei compiti era anche quello di controllare che ogni volume fosse al posto giusto. Spesso e volentieri capitava che la gente sfogliasse i libri e poi li riponesse nel settore sbagliato.
Perlomeno era un lavoro che amavo fare, e questa era la cosa bella. Inoltre, era un modo come un altro per scoprire nuove storie.
Del resto, una delle migliori clienti della libreria, ero proprio io.
Non mi concedevo molti lussi, ma ai libri non sapevo proprio rinunciare.
 
Mia madre me lo diceva sempre: “Prima o poi con tutti i libri che mi portate a casa finiremo noi fuori”.
Sì, perché non ero l’unica amante dei libri in casa.
L’amore per la letteratura mi era stata trasmessa da mio padre, anche lui gran lettore. Molte volte tornava a casa con dei libri che quasi sicuramente non avrebbe mai letto, ma lui era una sorta di collezionista, e difficilmente riusciva a sottrarsi al richiamo della carta stampata.
Solo in corridoio avevamo tre librerie stracolme: cinque ripiani erano occupati da videocassette e dvd; tutto il resto invece erano i libri che avevamo raccolto nel corso degli anni. Storia, geografia, sport, enciclopedie, romanzi… avremmo potuto aprire una nostra libreria se solo l’avessimo voluto.
Arrivai davanti al mio settore preferito e il mio sguardo si posò sui romanzi che adoravo: Ragione e Sentimento di Jane Austen e Jane Eyre di Charlotte Brontë.
- Amori miei, - dissi riferendomi ai libri, - prima o poi quei… cosi, - pensavo ancora a quelle ragazzine e a quello che stavano sfogliando: definirli libri era per me un affronto, - verranno accantonati, e voi troverete il giusto posto nella libreria di ogni ragazza.
Ero solita fare discorsi simili, per passare poi per una pazza di fronte ai clienti. La cosa non mi toccava tanto. Perché essere “normali”? Cosa è normale?
La gente si è dimenticata dell’importanza della cultura. In questo nostro mondo oggi è l’apparenza a farla da padrone.
Se una persona ama la lettura è un emarginato secondo molti, uno che non riesce a divertirsi e si chiude in un mondo di fantasie.
Normale è colui che segue il gregge.
Beh, io non ero “normale”, ero me stessa, con le mie passioni, i miei difetti e i miei pregi.
Amavo leggere. Perché mi sarei mai dovuta privare di uno dei più grandi piaceri della vita, per poter essere accettata dal “branco”?
 
Non ero una semplice divoratrice di libri, no, io vivevo per le storie d’amore e avevo sempre sognato di trovare un uomo come il colonnello Brandon di Ragione e Sentimento, il signor Darcy di Orgoglio e Pregiudizio, il capitano Wentworth di Persuasione, Mr. Knightley di Emma, o anche il caro Mr. Rochester di Jane Eyre.
Spesso mi dicevo che ero nata nell’epoca sbagliata, ma nonostante tutto c’erano molte cose che amavo e alle quali non avrei mai potuto rinunciare. Meglio non lamentarsi troppo, la fortuna gira, e ancora di più la sfortuna.
 
Presi in mano il libro di Jane Eyre e la mia mente cominciò a vagare, “Chissà come mi sarei comportata se fossi stata Jane?” mi chiedevo. Avevo registrato la miniserie basata sul romanzo dalla tv, e avevo perso il conto di tutte le volte che l’avevo guardata.
Ero totalmente innamorata della sua storia, e il libro era oramai logoro e ingiallito, nonostante l’avessi acquistato solo cinque anni prima.
E che dire di Ragione e Sentimento? Il primo libro della Austen che lessi fu Orgoglio e Pregiudizio, ma Elinor e Marianne riuscirono a colpirmi molto più di Elisabeth. Senza contare poi il colonnello Brandon. Qui ha giocato molto il film, nel farmi apprezzare ancora di più il suo personaggio. Eh già, quell’uomo era davvero unico.
 
Sentii un brivido corrermi giù per la schiena, come un soffio di vento leggero, ma gelido. Una sensazione particolare, come quando qualcuno ti osserva insistentemente, magari un cliente che non sapeva se chiedere o meno.
Mi voltai ma non c’era nessuno.
Pensai allora che forse era il condizionatore. Però non ero sotto il getto diretto… Stavo forse per ammalarmi?
- Tutto bene Ayla? – mi chiese Ly avvicinandosi.
- Sì tutto ok. Ho sentito un brivido e temevo fosse influenza, ma non mi sento male. Sarà stato un caso, boh. – dissi facendo spallucce e sorridendole.
- Uhm, dopo allora ti prendi qualcosa di caldo. Sai, le temperature si stano abbassando bene. Non puoi certo ammalarti, devi essere in forma: abbiamo diverse uscite in programma. – disse lei solenne.
Le nostre uscite erano importanti per lei, sia perché ci divertivamo, sia perché era un modo per tenermi un po’ su di morale.
Ly mi conosceva bene, e sapeva che, anche se mi piaceva un po’ di solitudine, mi deprimevo a stare sempre in casa da sola. La sua missione era quella di riportarmi a vivere e a godermi la mia giovinezza.
- Certo mammina, dopo allora mi prenderò un tè caldo alla macchinetta. Per i medicinali è ancora presto. – io scherzavo, ma non ero poi così lontana dalla verità quando la chiamavo scherzosamente “mammina”.
Dopo la mia grave perdita erano stati Ly e George la mia seconda famiglia. Senza di loro non so come avrei superato il tutto.
È proprio vero che chi trova un amico trova un tesoro. E Ly era il tesoro più grande e prezioso della mia intera esistenza.
 
Ultimamente, avevo notato, mi sentivo più stanca e fiacca. Non triste, solo svuotata dalle forze. Fin da piccola avevo avuto dei problemi col sonno, facevo fatica ad addormentarmi, e quindi dormivo meno delle otto ore previste.
Si vede che tutto quel sonno arretrato mi aveva un po’ scombussolata, e per questo mi sentivo così fiacca.
Dovevo cercare di rifarmi, “Domenica” mi dissi “giornata in totale relax, una bella dormita come non ne facevo da secoli.”
Sbadigliai e continuai a sbrigare il mio lavoro. Presto il mio turno sarebbe finito.
 
Noi non facevamo orario continuato, e di solito avevo circa due ore e mezza di libertà, che sfruttavo per la pausa pranzo e per le piccole commissioni, specie quando avevo con me Betsy.
Con la macchina ero più comoda: a volte sceglievo di tornare a casa per la pausa così da non spendere troppi soldi fuori. E se serviva mi fermavo a fare spesa al supermercato che si trovava sulla strada che mi portava a casa.
Col tram non ero particolarmente invogliata a fermarmi per fare spesa. Girare con le borse cariche di roba pesante non era il massimo.
Quando sfruttavo i mezzi mi potevo concedere altri lussi.
Ad esempio, col bel tempo potevo concedermi delle passeggiate all’aria aperta. Guidare è anche stressante, specie quando si rimane bloccati nel traffico.
 
Il turno era finalmente finito e Ly, che faceva i miei stessi orari, mi chiese di uscire.
- Uhm, fammi pensare, è venerdì, ma non dovrebbe esserci tanta gente in giro.  – Ci pensai su un attimo e infine acconsentii: -Va bene, solito posto e solita ora?
- Come sempre. E poi ho già prenotato. – la solita Ly.
Il solito posto altri non era che un locale, il “Jump”.
Rimaneva aperto tutto il giorno, tutti i giorni dalle sette e mezza fino alle quattro circa. Il Jump era molto più di un semplice locale, era l’ideale per la colazione, il pranzo, la cena e per una serata in allegria.
Molto spesso consumavamo le pause pranzo lì dentro e oramai conoscevamo tutti i clienti abituali. Si può dire che eravamo diventati di famiglia, avendo instaurato un ottimo rapporto sia col gestore che con l’intero Staff del locale.
Il proprietario, Ivan, era un nostro vecchio amico. L’avevamo conosciuto quando ancora andavamo alle superiori. All’epoca lavorava nell’edicola accanto alla scuola, ma aveva sempre avuto in mente l’idea di aprire un suo locale.
Nonostante la differenza d’età –  lui aveva ben quindici anni più di noi – riuscimmo ad instaurare un ottimo rapporto, e da allora non ci siamo più persi di vista. Senza di lui, George e Ly non si sarebbero mai messi insieme, dato che è stato proprio Ivan a presentarli.
 
Il Jump era un locale su tre piani. La parte centrale, piano terra, era l’unica che rimaneva aperta sempre. Sebbene ci fossero sempre tanti clienti, la mattina non era mai sovraffollato.
Il piano superiore veniva aperto per l’ora di pranzo e per la cena: era l’area ristorante.
Quello inferiore invece, una specie di taverna, serviva per le serate a tema karaoke, quizzettoni e quant’altro… In genere veniva aperta solo la sera quando avevano appunto qualcosa in programma.
I prezzi erano più che abbordabili, il cibo squisito e il servizio impeccabile.
Certo, il tema del locale all’inizio non era riuscito ad attirare più di tanto,  ma una volta sparsa la voce era diventato quasi impossibile trovare un tavolo libero senza avere prima prenotato.
Ovviamente per me e Ly c’era sempre un tavolo disponibile, dato che molti clienti glieli avevamo trovati noi. Ci eravamo date un gran da fare per pubblicizzarlo come si deve.
 
Ivan era di origini russe, ma amava talmente tanto il nostro paese e la sua tradizione culinaria da voler incentrare il proprio locale proprio su questo tema.
Ogni singolo piatto o cocktail aveva un nome legato a qualche città, o a qualche evento o personaggio importante della nostra storia.
Io non ero una ragazza a cui piaceva particolarmente uscire. In inverno poi non se ne parlava proprio. Se si trattava però di andare al Jump mi facevo forza e uscivo. Non ero sempre così impossibile, ma qualche volta mi facevo un po’ pregare.
 
Tornai a casa per cambiarmi. Cerby e Morphy mi travolsero per farmi le feste.
Gli preparai la cena e corsi a prepararmi: avevamo appuntamento per le otto e avevo qualche ora per fare tutto. Lo stomaco mi brontolava, ma dovevo resistere fino all’ora in cui avrei potuto gustare le prelibatezze del Jump. Per spezzare un po’ la fame però mi presi una bella tazza di tè fumante e accesi la tv per distrarmi fino al momento di uscire.
 
 
Parcheggiai Betsy e mi diressi verso il locale. Ly era già davanti al’ingresso in evidente stato d’impazienza.
Non appena varcammo la soglia Karen, una delle cameriere, ci accolse calorosamente.
- Ciao ragazze come va? Siete sole o aspettate qualcun altro stasera?
- No, solo noi. Ly aveva già prenotato. – dissi io in fretta. Karen annuì e ci portò al nostro solito tavolo. Rimaneva nascosto rispetto agli altri tavoli, e a me piaceva proprio per quello: adoravo un po’ di intimità.
- Cosa vi porto? – a me e a Ly bastò un’occhiata per capirci: pizza.
Le chiesi di portarci il menù anche se lo conoscevamo a memoria.
Ogni volta mi dicevo di cambiare, ma nove volte su dieci la mia scelta ricadeva sempre sulla caprese. Anche in questo io e Ly eravamo simili: avevamo gli stessi gusti e di rado cambiavamo abitudini.
 
Karen tornò per prendere gli ordini, portandoci immediatamente il beveraggio. Fu allora che Ly cominciò con i suoi terzi gradi: Gabriel, suo cugino, aveva preso a tartassarmi per uscire e Ly era una sua complice!
Da anni tentava di farmi mettere con dei suoi amici, ma io ero sempre stata irremovibile.
Gabriel non era semplicemente suo cugino, ma uno dei suoi più cari confidenti: erano grandi amici, e lei voleva vederci entrambi sistemati. Dopo l’ennesimo incontro andato male mi propose di mettermi con lui. Questa storia si trascinava oramai da un anno.
All’inizio Gabriel non era convinto, era reticente tanto quanto me, ma dopo essere usciti insieme una volta si innamorò.
Io invece rimasi sempre ferma sul mio no, per loro sfortuna.
Ly non faceva che decantarmi le sue doti e qualità.
Non potevo evitare di riconoscere le tante qualità del ragazzo, ma era spesso insopportabilmente appiccicaticcio, e un po’ troppo esagerato. Mi aveva inviato, anzi, mi aveva riempita di rose. A me le rose non erano mai piaciute molto. Avrebbe potuto inviarmi dei barattoli di Nutella. Quelli li avrei certamente apprezzati.
 
- Dai Ayla, è il suo modo di corteggiarti, altre ragazze al tuo posto sarebbero felicissime.
- E allora che Gabriel si concentri su quelle ragazze! Dai, poi lo sai bene anche te che non mi piacciono le piazzate fuori dal lavoro. Sarà carino, dolce e amabile quanto vuoi; so che lo adori, ma a me non piace. Non ci posso fare niente. –dissi sospirando e grattandomi la testa distolsi lo sguardo. - Inoltre sai bene che io amo i gigli, non le rose. Potevi anche istruirlo meglio dato che mi conosci bene Ly. – lei con aria sognante mi disse semplicemente: - Ma la rosa è il fiore del’amore. Come puoi non apprezzarlo?
- Sarà il fiore dell’amore, ma a me non piace. È troppo scontato. – dissi mentre torturavo un pacchetto di grissini nel vano tentativo di aprirlo.
- A me non dispiacerebbe se George fosse così scontato. Di rado mi fa dei pensierini. Farei volentieri a cambio. – disse mettendomi il broncio e ponendo fine alla tortura che stavo infliggendo al pacchetto. Me lo aprì e ci dividemmo il contenuto in attesa delle pizze.
Sapevo che scherzava, ma volevo farle capire il mio punto di vista. Lei adorava Gabriel con tutto il cuore. Erano cresciuti insieme come se fossero stati fratello e sorella, e voleva semplicemente che le due persone per lei più care stessero insieme e che fossero felici tanto quanto lei con la sua anima gemella.
Purtroppo però l’amore non lo si può comandare. Certe cose succedono e basta.
 
Arrivarono le pizze, e io divorai la mia con gusto. Ero più affamata del solito, e proprio per quello mi sembrava più gustosa.
Venerdì era la serata del karaoke e stavano per cominciare.
Io non avevo mai partecipato, ma mi piaceva ascoltare gli altri. Era divertente, e anche emozionante.
Notai che Ly si guardava intorno mordicchiandosi il labbro. Lo faceva anche da ragazzina, e non era mai un buon segno. Che cosa aveva combinato?
- Ly, mi nascondi qualcosa? – la scrutai torva.
- No, perché? Cosa te lo fa credere? – si era già tradita, stava cominciando a sudare. La fissai intensamente fino a che non crollò. – Ok, ok, ma ti prego non arrabbiarti e non fare scenate. Lo sai che mi piacciono le belle storie d’amore, e che amo i lieti fini, no? – Ora quella che aveva i sudori freddi ero io. Che diavolo aveva preparato?
Quando finalmente realizzai divenni più pallida d’un cadavere: la serata karaoke! “Se due più due fa quattro sono fregata” pensai inorridita.
- Ly, dimmi, ti prego, dimmi, che non è come penso.
 
Lei continuò a scusarsi e a campare scuse ridicole: quella era una prova. Ero in trappola. Lei e suo cugino me l’avevano fatta un’altra volta.
Rabbia e terrore puro cominciarono ad annebbiarmi i pensieri.
Sperai fino all’ultimo di essermi sbagliata, anche quando Ivan salì sul palco per annunciare il nome del primo cantante.
Speravo ma invano. Quando lo vidi salire sul palco, impacciato e imbarazzato come sempre, mi girai verso Ly per guardarla malissimo e inveire peggio d’un camionista.
- Buonasera a tutti, mi chiamo Gabriel, e questa canzone la voglio dedicare a una ragazza speciale. Ayla, mi hai rapito il cuore, e questo è per te. – tutti applaudirono, ma non appena capii quale canzone stesse per cantare mi fiondai sul palchetto e gli rubai il microfono.
- Tutto ma questo no. Canti bene, lo so, e sei molto dolce nel voler fare tutto questo per me…  ma non posso accettarlo. E tra l’altro potevi anche sceglier una canzone migliore! Tutto questo non era necessario. – Ero furiosa. Bastava solo guardarmi dritto in faccia per capirlo, ma Gabriel non c’era ancora arrivato.
- Tesoro mio…
- Tesoro mio? Tesoro mio un corno! Passino i cioccolatini, passino le rose che non mi piacciono, sono stanca di ripetertelo, passino tutti gli inviti che mi fai e che puntualmente rifiuto… Questa buffonata però non la posso tollerare. Quando è troppo è troppo! – dissi tutto d’un fiato, con la voce che mi tremava.
- Gabriel, sei un ragazzo stupendo, gentile e premuroso, ma non mi piaci, e adesso hai esaurito la mia pazienza. Te l’ho detto in mille modi, ho cercato di fartelo capire nella maniera più pacata possibile, ma niente. Da quell’orecchio tu non ci senti. Ho detto no mille volte ma hai continuato. Meriti una ragazza che ti apprezzi. Apri gli occhi e cerca qualcuno che ti voglia perché da me non potrai mai avere niente di tutto questo. Mi dispiace. – e dopo la sfuriata scesi dal palco, deponendo i soldi per la consumazione sul bancone davanti alla povera Karen che mi fissava imbarazzata.
Tornai al tavolo arraffando le mie cose e lasciai il locale.
 
Ero molto arrabbiata con Ly, ero delusa e amareggiata… sapevo però che l’avrei perdonata.
Gabriel non era poi così male, ma non riuscivo ad amarlo. Non puoi innamorarti a forza di una persona. L’amore o c’è o non c’è.
Lui era anche un bel ragazzo, biondo, molto alto, un gran bel fisico, occhi scuri… però non riusciva a colpirmi più di tanto.
Forse c’era qualcosa di sbagliato in me… Non sapevo che pensare. Una cosa era certa però: non volevo prenderlo in giro.
- Ayla, aspetta. – ero quasi arrivata alla macchina, quando Ly mi raggiunse tutta affannata.
- Ly non ho voglia di parlarne, per favore.
- Lo so, volevo scusarmi. Ma lo sai, io non l’ho fatto…
- Per cattiveria, lo so, e nemmeno Gabriel, - dissi stringendo i pugni e dando un calcio alla ruota della povera Betsy. - Mi spiace per la sfuriata, ma mi ci avete spinta voi.
- Lo so. – disse lei con aria colpevole. -  Forse abbiamo forzato un tantino troppo le cose. Avremmo dovuto optare per qualcosa di più semplice forse…– le lanciai uno sguardo che parlava da sé – Ok, non dovevamo fare niente. Ma adesso credo che Gabi abbia capito. – io sospirai e vedendo la sua aria infranta mi sentii un pochino meglio.
Ly aveva capito che aveva esagerato, e che mi aveva ferita con questo suo atteggiamento. Anche se aveva agito in buona fede, quella era stata un’azione a dir poco disdicevole.
Lei fece per abbracciarmi ma mi tirai indietro. Ero ancora un po’ su di giri per tutta quella faccenda.
- Vuoi che ti accompagni a casa? – declinai l’offerta e salii in macchina lanciandole uno sguardo misto di tristezza e rabbia.
L’avevo perdonata, ma in quel momento l’unica cosa che volevo era starmene per conto mio.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


"Capitolo Quarto"


Non riuscii a dormire bene quella notte: i sensi di colpa mi stavano consumando. Ero ancora un po’ arrabbiata con Ly e Gabriel, ammettendo però che la maniera con cui avevo agito era decisamente esagerata.
Decisi di prendere la macchina: non avevo alcuna voglia di camminare. Volevo solo la mia Betsy e isolarmi un po’ dal resto del mondo. Sapevo fin troppo bene cosa mi avrebbe aspettata al lavoro:  una Ly preoccupatissima con gli occhioni da cane bastonato.
Per la prima volta da quando avevo cominciato, non avevo voglia di andare al lavoro. Perlomeno l’indomani sarebbe stata domenica, così non avrei potuto essere disturbata. Me ne sarei stata tranquilla in casetta ad oziare.
 
Cerby si avvicinò e mi fissò coi suoi occhi azzurrissimi.
- Tranquillo, - gli dissi, - non ce l’ho con te. Sei fortunato a non aver alcun problema. – lo presi e lo abbracciai. In quel momento avevo una gran voglia di coccole. Mi accorsi così che il cagnolino era ingrassato. - Qualcuno qua deve perdere qualche chiletto. Vedremo di organizzarci in tal senso, eh? – sorrisi.
Dopo aver preparato il pranzo per Cerby e Morphy, uscii. Non c’era un grande traffico, e nel giro di breve arrivai ai parcheggi del centro.
Risi pensando a mio padre. Di certo lui mi avrebbe detto scherzando che le strade erano sgombre perché tutti già sapevano della mia sfuriata della sera precedente.
La paura di farmi arrabbiare ulteriormente aveva fatto mobilitare l’intera città in modo da lasciarmi tranquilla e per questo si erano barricati in casa in attesa di un segnale che li avvisasse del cessato pericolo.
Ripensai a tutta la faccenda mentre mi dirigevo alla libreria, e realizzai che almeno delle scuse le dovevo al povero Gabriel.
 
Una volta tanto mi ero lasciata trasportare dall’istinto e avevo sbagliato. Nei modi ovviamente, perché comunque ero stata trascinata in quella situazione tutt’altro che piacevole per me.
Non ero perfetta, era assolutamente normale che avessi commesso un errore.
Forse me lo dicevo perché mi sentivo terribilmente in colpa: non era da me reagire in una maniera tanto spropositata.
 
Respirai profondamente e mi sedetti su una panchina.
Non avevo voglia di proseguire, mi appoggiai completamente allo schienale e chiusi gli occhi. Avrei voluto prendere e scappare lontano. Forse non era troppo tardi, avrei potuto poi chiamare e darmi per malata… “Ma cosa vado a pensare… non posso comportarmi così!”.
 
Cominciai così a pensare alla mia vita, ai miei progetti e al mio futuro. Io e Ly passavamo spesso del tempo ad immaginarci nel futuro. Entro dieci anni ci vedevamo entrambe sposate e con dei figli.
Certamente Ly aveva qualche possibilità in più di realizzare il suo sogno. Lei e George formavano una coppia splendida, e non ero l’unica a pensarlo.
Certe volte litigavano, come tutte le coppie del mondo. Secondo me i litigi possono anche aiutare a far crescere la coppia e aiutarla a superare poi dei problemi più seri.
George, a differenza di Ly, era un po’ più freddo, ma questo solo in apparenza. Conoscendolo meglio si scopre il suo lato tenero, che mostra solo alle poche persone di cui lui si fidava.
 
Era ottobre inoltrato e le foglie degli alberi si stavano colorando dei colori caldi autunnali. Era una delle cose che più amavo della stagione di passaggio.
Mi piaceva passeggiare nei vialoni alberati e sentire sotto di me le foglie secche scricchiolare. E che dire di tutte le prelibatezze di stagione come le caldarroste?
Se proprio dovevo trovare un inconveniente della stagione, l’unico che mi veniva in mente erano i malanni. Tosse, raffreddore e le prime influenze, quelle proprio non mi piacevano.
Non ero il tipo che quando si ammalava si comportava come se la morte fosse prossima, ma logicamente quando ero stesa dalla febbre non ero assolutamente in grado di fare alcunché.
Per questo quelle rare volte in cui mi ammalavo dovevo fare per forza affidamento sugli altri. Non che Ly se ne dispiacesse troppo: le piaceva prendersi cura degli altri.
Ripensai con nostalgia a quando mia madre si prendeva cura di me. Era davvero bello, perché mi riempiva di tante coccole e attenzioni, mi preparava deliziose spremute e si preoccupava di tutto il resto.
Era bello quando erano vivi.
Era bello quando c’erano ancora.
Era bello quando non ero sola e c’era qualcuno che si preoccupava di me.
 
Nella vita bisogna diventare indipendenti, ma avevo ancora la necessità di sentirmi un po’ coccolata. Invece che donna tutta d’un pezzo avrei voluto sentirmi ancora figlia.
 
Quando ero più piccola e andavo ancora alle elementari ricordo che mio padre, durante le mie piccole malattie, ogni tanto tornava a casa con quelle buste da diecimila lire che si trovavano in edicola.
Erano quelle buste in plastica che contenevano un sacco di riviste e album da colorare.
Con quel poco riuscivo a divertirmi. Non si trattava di niente di particolare o costoso: semplicemente condividevo quel qualcosa con mio padre fino alla fine della malattia.
All’epoca non avevamo grandi possibilità economiche, ma per me e mio fratello i nostri genitori c’erano sempre. Non ci avevano mai fatto mancare nulla di essenziale, e anzi, se potevano concederci qualche svago erano disposti a togliere a loro qualcosa.
Tutto quello che la mia famiglia aveva fatto per me non avrei mai potuto scordarlo.
Il mio caro fratellino era di cinque anni più giovane di me.
Fu l’ultimo a lasciarmi, morendo nell’ospedale poco dopo esservi arrivato.
 
Il ricordo di quel giorno sapevo che mi sarebbe per sempre rimasto stampato nella mente.
 
Avevo iniziato da poco a lavorare nella libreria. George era riuscito a far entrare sia me che Ly come apprendiste ed io ero al settimo cielo per questa cosa.
I miei avevano in programma una gita al lago. Era da settimane che ne parlavamo, ma a causa della malattia di una mia collega, non potei far altro che coprire anche il suo turno.
Così, sebbene a malincuore rinunciai a quell’uscita, e dissi loro di andare a divertirsi. La volta successiva sarei andata con loro e ci saremmo divertiti tutti insieme.
Salutai la mia famiglia con un po’ di malinconia: avevo proprio voglia di andare con loro. Ma  mi recai comunque al lavoro, con un sorriso stampato sul volto.
Anche se ero bloccata in città d’estate col gran caldo, finalmente potevo lavorare e guadagnarmi un po’ di soldini.
Non avevo un moroso e uscivo poco la sera.
Avrei potuto mettere da parte soldi a sufficienza per potermi presto permettere di andare a vivere per conto mio.
Quello doveva essere l’inizio di una bella carriera e della mia nuova vita. Ero una ragazzina di diciotto anni con ancora tutta una vita davanti, fatta di gioie e soddisfazioni.
Ma la vita prese quella strana piega e tutto il mio mondo crollò su sé stesso mandandomi nell’oblio.
Tante volte mi dicevo che sarei dovuta salire anche io sull’auto quel giorno. Che non sarebbero mai dovuti morire soli.
Mi davo anche colpe che sapevo di non avere, ma che quando non ero tanto lucida mi addossavo, sprofondando in un baratro oscuro e infinito, dal quale uscirne era quasi impossibile.
Non tornarono mai più a casa da quella gita.
Non potei mai più rivedere i loro sorrisi o sentire le loro voci.
 
Stavo sistemando dei pacchi con Ly quando entrarono degli uomini a cercarmi. All’inizio non capii perché fossero lì e cosa volessero da me. Quando, un po’ a disagio, mi spiegarono la situazione mi accasciai a terra priva di sensi.
“Non può essere vero” continuavo a ripetermi in testa.
La dura verità purtroppo era quella.
Mio padre morì subito nell’impatto con l’altra auto, mentre mia madre se ne andò poco dopo l’arrivo dei soccorsi.
Mio fratello però era ancora vivo! Almeno lui ce l’aveva fatta anche se la situazione era critica.
Mi accompagnarono personalmente all’ospedale, ma appena arrivati ci comunicarono che anche lui non ce l’aveva fatta: avevano appena fatto a tempo a portarlo in sala operatoria che il suo fisico cedette e a nulla servirono le tecniche di rianimazione.
Non volevo crederci, non potevo credere che le persone che più amavo al mondo non ci fossero più.
Quello era un tipo di dolore che ti straziava l’anima, dilaniandola, riducendola in mille pezzettini.
Tutti noi sappiamo come vanno le cose: si nasce, si cresce, si vivono tante esperienze e poi si muore.
Pur sapendo tutto questo però non siamo mai davvero pronti ad affrontare la perdita della nostra famiglia.
La diamo troppo spesso per scontata, pensando che quelle persone che ci hanno visto e fatto crescere, saranno sempre lì per noi.
 
Il dolore più grande era il non avergli detto abbastanza spesso quanto gli volessi bene e quanto tenessi a loro.
A volte diamo gli affetti per scontati, pensando che quelle persone ci saranno sempre. Purtroppo però non è così che stanno le cose.
La vita è dura, e non parlo solo di sacrifici, o di quanto certe situazioni possano essere complicate e difficili. Ci sono cose che vanno ben oltre noi e le nostre concezioni, ben oltre il nostro potere.
Cose sulle quali non abbiamo alcun controllo. Sono proprio quelle che ti fregano, perché ti lasciano addosso un senso d’impotenza, ti fanno sentire inutile e fragile.
 
Quando realizzai che da quel momento sarei stata sola e che non li avrei più rivisti, ebbi un crollo. Tutto quello era troppo per me. Troppo!
La verità era che avrei tanto voluto morire, e se non fosse stato per Ly probabilmente avrei commesso qualche pazzia.
Dicono che il tempo guarisce ogni ferita, e a volte è vero.
Col tempo certi dolori si superano; certo, rimane il ricordo di quanto si ha sofferto, ma ciò non va ad incidere più di tanto sulla propria vita.
Certe ferite però non guariscono mai del tutto: rimangono marchiate sulla nostra pelle fino alla fine dei nostri giorni, e niente potrà mai cancellarle.
Soprattutto i primi mesi dopo l’incidente, capitava che mi mettessi a piangere nella mia solitaria casa, di urlare tutto il mio dolore.
Mi sfogavo in quella maniera, lontana dallo sguardo delle altre persone. Trovavo molto di cattivo gusto tutte quelle persone mai viste, o con le quali avevo sempre e solo scambiato quattro parole in croce, che venivano da me a consolarmi con le solite frasi fatte.
Loro non sapevano nulla di me, e poco della mia famiglia. Come potevano permettersi di venirmi a dire tutte quelle cose?
Se avessi avuto veramente bisogno di loro poi, ne ero certa, questi si sarebbero dati alla fuga. Perché un conto è essere gentili di facciata, un altro conto è essere davvero disponibili verso chi ha davvero bisogno di noi.
 
Non è che andassi al lavoro con un sorriso a trentadue denti, ma cercavo comunque di essere carina e disponibile con tutti, aldilà di quello che stavo vivendo.
Ly aveva visto oltre quella maschera di vetro che portavo ogni giorno.
Se la sera prima ero stata male Ly lo sapeva e trovava sempre il modo di rincuorarmi, di starmi vicina senza però mettermi addosso dell’ansia. Anche senza dirmi, lei sapeva cosa fare e come comportarsi con me. Lei c’era, e questo era tutto quello che mi interessava sapere.
Per un mesetto e mezzo restò a casa mia, e poi pian piano dovette comunque lasciare che io mi riprendessi per conto mio, e fu così che nelle mia vita entrarono Cerby e Morphy.
Grazie a loro si può dire che ripresi a vivere.
Fu Ly a portarmeli a casa, a circa tre mesi dal’accaduto.
Diceva che non potevo restare sola, che ero troppo depressa, e dato che continuavo imperterrita a rifiutarmi di parlare con qualche psicologo, la cura migliore era la compagnia.
 
La compagnia che quei due cuccioli mi diedero riuscì pian piano a lenire le ferite del mio cuore, e i miei sorrisi non erano più di circostanza, ma erano sinceri.
Rimanevano ancora dei limiti in tutto quello che facevo, e non riuscivo a staccarmi dal lavoro.
Salvo qualche uscita domenicale, non avevo passato più di una sera fuori dalla mia abitazione negli ultimi tre anni.
Non è che facessi la vita da reclusa. Semplicemente mi era diventato impossibile lasciare la sicurezza della mia casa.
Era come se il mondo là fuori, grande e cattivo, fosse una continua sfida, un pericolo costante per la mia esistenza.
Se all’inizio avevo anche bramato la morte, in seguito ne fui invece spaventata.
Non ero ancora riuscita a lasciare casa per più di un giorno, massimo un giorno e mezzo. Quello per ora era il mio limite. Lo so che è passato del tempo, ma è dura.
Cerby, Morphy, Ly e George erano tutta la mia famiglia, e coi primi due ero molto più che protettiva. Avevo paura di abbandonarli o di perderli.
Volevo passare con tutti loro ancora tanti bei momenti, e volevo comunque ripagarli per tutto il bene che mi avevano fatto.
Grazie al loro sostegno mi ero sentita meno sola, e un po’ più sollevata dal peso di tutto il resto.
 
Ogni giorno mi alzavo e cercavo di vivere al meglio, secondo le mie possibilità. Era un modo come un altro per dare prova a chi mi era stato vicino, che io c’ero e in qualche maniera ce la stavo facendo.
Certo era alla mia maniera, ma avevo ripreso in mano le redini della mia vita.
Non sapevo se ci fosse o meno un aldilà, non potevo avere prove… volevo crederci e basta, perché speravo che là ci fossero i miei cari e che stessero bene.
Dopo un periodo iniziale nero, in cui non capivo più nulla, finalmente avevo capito: non dovevo mollare.
Non importava come, ma io avrei dovuto continuare a vivere e cercare la mia felicità. Lo dovevo non solo a me stessa, ma anche a loro.
 
 
Persa in questi pensieri non mi accorsi della persona che mi stava vicino da un pezzo: era Ly che mi fissava con aria preoccupata.
- Tutto ok Ayla? Stai forse male? – le feci cenno di no e mi alzai dicendole che ero semplicemente stanca.
Era perfettamente normale, data la terribile notte che avevo passato. Sospirando, e con un po’ d’imbarazzo, la informai della mia decisione di chiamare Gabriel per scusarmi.
Mi sarei scusata per i modi, ma non per il concetto, quello rimaneva inalterato: io non l’amavo.
A Ly si illuminarono gli occhi.
- Lo sapevo che in fondo al tuo cuore eri attratta da lui? – Sbuffai e la riportai coi piedi per terra.
- No Ly, ho sbagliato e chiedo scusa per come l’ha trattato. È solo per questo che voglio sentirlo, non c’è dell’altro. Lo sai poi, mi innamorerò solo quando vedrò un corvo e un gatto nero ballare il tip tap. – risi da sola ritrovando un po’ d’allegria.
Era una frase che mi era uscita per caso un giorno, e da allora era diventato come un motto. Il mio motto personale.
 
Nel corso degli anni avevo avuto qualche storia, ma non avevo mai trovato il grande amore. Per me non esistevano storielle, ma solo storie basate sul trasporto e l’affetto reciproco.
Quando iniziavo una storia tendevo a lasciarmi andare anche troppo, e a correre con la fantasia. Poi però l’impatto con la dura realtà mi aveva sempre distrutta. Perlomeno capivo da me che quelle persone non erano giuste, e quindi, dopo la delusione iniziale, potevo finalmente voltare pagina.
 
Dopo l’incidente non mi interessai più di tanto ai ragazzi, anche perché ero presa da altre cose, ben più serie. Non è che non volessi avere qualcuno accanto: semplicemente non mi sentivo ancora pronta e quindi non ero nemmeno in cerca.
Mi accontentavo di viaggiare con la fantasia grazie ai romanzi o ai film.
Non c’era nulla di male a pensare prima a me stessa, invece che buttarmi in un relazione a casaccio.
 
Layla era della ferma convinzione che la mia fosse semplicemente paura di innamorarmi veramente e di perdere il controllo.
Ed ecco svelato un altro mio grande difetto: pur essendo un tipo piuttosto esuberante, amavo avere il controllo di tutto e tutti. Detestavo che le cose mi sfuggissero di mano, e per questo non riuscivo mai a rilassarmi come volevo.
Ly pensava che per ovviare a questo mio problema, l’unica soluzione fosse quella di trovarmi un ragazzo.
Almeno su una cosa eravamo concordi: non avevo trovato quello giusto. Non avevo perso il mio cuore romantico, ma semplicemente non avevo ancora trovato il principe azzurro dei miei sogni.
 
Ci eravamo avviate verso l’ingresso della libreria. George, facendoci segno dell’orologio, ci intimò di sbrigarci e di lasciare a dopo i pettegolezzi.
Sorrisi. A conti fatti questa era la nostra routine: George borbottava perché io e Ly ci perdevamo in chiacchiere, noi ci scambiavamo uno sguardo d’intesa divertite e poi cominciavamo il turno.
 
Anche se un po’ imbarazzate tornammo al Jump per la pausa pranzo assieme a George. Colsi così l’occasione per scusarmi con il povero Ivan.
Avevo dato proprio uno splendido spettacolo la sera prima. Speravo solo di non avergli causato noie con gli altri clienti.
- Ma di cosa? – disse lui ridendo, - Chiunque ti conosca un po’ sa che questo genere di sorprese non le gradisci. Solo un folle avrebbe potuto credere che tu l’accogliessi a braccia aperte. Se lo avessi saputo prima glielo avrei anche detto. Mi spiace – si scusò lui nonostante questo spettacolo, a conti fatti, si era svolto nel suo locale.
- Non devi proprio scusarti. È stata colpa loro. – dissi squadrando Ly, e George a sua volta la guardò un po’ male. Anche lui, una volta saputo quanto successo, l’aveva ripresa a dovere, ricordandole di farsi gli affari propri ogni tanto. Specie per cose di questo tipo.
- Avrebbero comunque dovuto pensarci prima. Credo, in tanti anni, di non averti mai vista perdere così tanto la calma. – disse Ivan pensieroso, e poi tornò a fare il solito burlone della situazione – Devo dire però che in compenso hai regalato ai miei clienti uno spettacolo senza pari. Non mi divertivo così da tanto sai? - disse ridacchiando.
- Non prendermi in giro, - piagnucolai, - sappi che non ci ho dormito la notte. I sensi di colpa mi stanno uccidendo! – lui mi consolò, e mentre io a Ly ci accomodammo, lui scambiò qualche chiacchiera con George.
Quando arrivò Karen mi scusai anche con lei, che prontamente mi disse che non ce ne era affatto bisogno.
 
Avevo il cuore che mi stava andando in tilt: dovevo fare quella chiamata e togliermi al più presto il pensiero!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


"Capitolo Quinto"


Uscii dal locale per chiamarlo, sperando che la codardia non avesse la meglio su di me e che mi facesse desistere dal mio buon proposito.
Da una parte speravo di non trovarlo o che il cellulare fosse spento, dall’altra speravo di togliermi quel peso il più presto possibile.
Ero ancora in tempo per chiudere quando Gabriel accettò la chiamata.
- Non ci posso credere Ayla, sei… sei proprio tu?
- Sì, ma non saltare subito alle conclusioni sbagliate, ti prego. Ascoltami fino alla fine e dopo potrai anche mandarmi a quel paese. – inspirai profondamente prima di continuare. - Se ti sto chiamando è perché so di non essermi comportata bene la scorsa sera, e che meriti le mie più sincere scuse. Tu sei un bravo ragazzo, sei carino, intelligente e premuroso. Io purtroppo non sono innamorata di te, e non riesco a vederti se non come un semplice amico. Nulla di meno e nulla di più. Non c’è nulla che non vada in te, il problema sono io. Io non sono ancora pronta per una storia, e non so se lo sarò mai, mi dispiace. Ti auguro davvero che tu possa trovare una persona che ti meriti, e che sappia renderti felice. – ciò che avevo detto lo pensavo davvero: anche se mi aveva fatta incavolare, Gabriel rimaneva un ottimo ragazzo e una persona splendida.
Lui meritava davvero di trovare una brava ragazza che potesse renderlo felice. Non avevo mai avuto intenzione di ferirlo, ma la sua insistenza mi aveva portata a quel punto, e io non avevo potuto fare altrimenti.
Dopo qualche istante di silenzio finalmente parlò.
Nonostante il tono deluso, disse che capiva, ma che non poteva fare a meno di provare quello che provava per me.
- Non posso smettere di amarti, ma perlomeno posso prometterti che non ti creerò più imbarazzi. – la sua voce tremava, e io mi sentivo un vero mostro per averlo fatto stare tanto male.
- Sono certa che presto ti passerà questa cotta, e che troverai una ragazza che meriti tante attenzioni. Ti auguro sinceramente ogni felicità, Gabriel. – dissi con voce tremante.
Credo che Gabriel avesse capito che stavo crollando. Lui sapeva che, aldilà di tutto, ero abbastanza timida e che certe situazioni per me erano difficili da sostenere. Fece una cosa che non mi sarei mai aspettata.
- Grazie di tutto Ayla, forse ora è meglio chiuderla. Ti auguro di trovare l’uomo che avrei voluto essere per te. Chissà, forse un giorno ci troveremo e rideremo di tutta questa storia. – lui rise, e nonostante il retrogusto amaro di quelle parole, sapevo che era sincero e che un giorno davvero ne avremmo riso.
Non appena chiusi la chiamata tirai un sospiro di sollievo.
Temevo sarebbe stata molto più dura… Invece Gabriel l’aveva resa molto più semplice del previsto.
 
Credevo nell’amore, ma le delusioni provate nel corso degli anni mi avevano resa piuttosto diffidente nei confronti dei ragazzi. Ero giovane, e questo avrebbe dovuto spingermi a buttarmi a capofitto alla ricerca di un nuovo amore, ma io non volevo.
Perché gettarsi da un burrone, quando sulla terraferma si stava tanto bene?
Non volevo più rischiare di soffrire inutilmente per colpa dell’ennesima storia sbagliata. Non mi potevo più mettere in gioco  lasciando il mio cuore in balia di persone che mi avrebbero fatto solo del male.
Volevo di più, e se non potevo ottenerlo rinunciavo. O tutto o niente, delle briciole non sapevo che farmene.
Non potevo rischiare ancora di innamorarmi seriamente per poi perdere di nuovo contro il destino crudele: non avrei superato ancora un dolore simile.
La mia frase “Mi innamorerò quando vedrò un corvo e un gatto nero ballare il tip tap” era una sorta di difesa.
Non sarebbe mai accaduta una cosa del genere, e quindi io non avrei mai perso la testa per nessuno.
 
Rientrai sedendomi di fronte a Ly che era tutta presa dal suo George.
Quando si accorse che ero tornata cominciò a farmi un discorso dei suoi.
- Sai, - cominciò Ly seria, - io credevo davvero che foste fatti l’uno per l’altra, e il mio interesse per voi era di sincera voglia di vedervi entrambi felici. – disse allungano una mano per stringere la mia. Continuò a parlarmi con uno sguardo misto a tenerezza e malinconia – Io volevo solo vedere la mia migliore amica e il mio caro cugino insieme perché vi credevo davvero una splendida coppia. Capita a tutti di sbagliarsi, e stavolta io ho preso un granchio bello grosso. Ti chiedo scusa Ayla. – mi disse con le lacrime agli occhi.
- Con lui, ne sono davvero certa, saresti stata però sicura della sua fedeltà, e del suo sincero amore. – mi disse asciugandosi le lacrime che le avevano rigato il viso. –Non posso costringerti però a provare qualcosa che non si è acceso da solo. E sì, non ti darò più fastidio con questa storia… L’importante è che poi tu non te ne penta.
La guardai con gratitudine e le strinsi forte la mano.
- Sono sicurissima Ly. Grazie per queste tue parole. – presi un fazzoletto dalla borsa dato che mi ero emozionata a mia volta. Cercando di ritrovare il mio spirito, la buttai sul ridere - Inoltre con me è una causa persa perché…
- Oh lo so, perché ti innamorerai solo il giorno in cui un bla bla bla. Lo so Ayla, la conosco questa tiritera. – disse lei ridacchiando. - Io spero con tutta me stessa che un giorno quel dannato corvo, e quel gatto ti passino davanti. Poi vedrai come me la riderò.- scoppiò a ridere, e io con lei. Ly, semplicemente, era innamorata dell’amore. Non riusciva a comprendere chi non riusciva a innamorarsi. Purtroppo non tutti hanno la gran fortuna di trovare la persona giusta per la vita. Non capita a tutti, ahimè.
George, che fino a quel momento era stato distaccato da noi e dalla nostra conversazione, decise di dire la sua.
In genere quando lo faceva, ci lasciava sempre a bocca aperta per la profondità delle sue parole, o per la dolcezza che riusciva a far trasparire.
- Sai Ayla, da una parte ti capisco… hai perso le persone a cui più hai voluto bene. È un dolore che io non ho ancora conosciuto, e non oso pensare la mia vita senza la mia famiglia.
Capisco quindi perché tu abbia una sorta di paura dell’amore: se la cosa andasse male tu saresti quella che ci soffrirebbe di più, e l’altro probabilmente non lo capirebbe nemmeno. – io e Ly seguimmo il suo discorso silenziosamente. Aveva perfettamente capito quale fosse il mio problema.
- Di una cosa però puoi starne sempre certa: ci son tante persone nella tua vita che ci tengono a te, per cui non disperare.
Io sono convinto che un giorno troverai la persona giusta per te, e soprattutto, arriverà quando arriverà. Non è una cosa che puoi scegliere. Succede e basta. – lui sorrise e alzò il bicchiere per un cincin.
- Ad un nuovo inizio. – io e Ly lo imitammo, augurandoci che quello potesse essere davvero un nuovo inizio per noi.
 
Ci gustammo i panini portati da Karen e finalmente arrivarono anche i dolci. Io e George avevamo ordinato un tiramisù, mentre Ly un tartufo.
Avevo una sorta di adorazione per il tiramisù. Spesso, in estate, preparavo teglie su teglie di quel dolce. Non a caso era sì il mio preferito, ma anche quello che mi usciva meglio.
 
Mancava ancora un po’ prima della riapertura del negozio, e io e Ly ne approfittammo per oziare ancora un po’ al Jump, George invece ne approfittò per andare al negozio sportivo davanti alla nostra libreria.
Approfittai della sua assenza per raccontare a Ly del mio sogno. Oramai era tanto tempo che lo facevo, e la cosa cominciava a preoccuparmi. Non credevo certo ai mostri, ero troppo cresciuta per perdermi ancora dietro a quelle favole. Non riuscivo però a cancellare il ricordo di quel sogno dalla mia mente.
Sospettavo ci fosse un significato dietro, al quale non ero ancora riuscita a risalire. Per questo avevo bisogno di consultarmi con Ly: da grande appassionata qual’era, ero certa che con lei ne sarei venuta a capo.
La cosa che più di ogni altra mi aveva lasciata perplessa erano le sensazioni: mi sentivo legata all’uomo incappucciato.
 
Ly mi ascoltò attentamente, ed infine mi diede la sua interpretazione: secondo lei era una sorta di avvertimento. Presto avrei incontrato un uomo misterioso del quale mi sarei poi innamorata.
Secondo Ly mi avrebbe salvato anche la vita, in un modo o nell’altro. Probabilmente strappandomi alla monotonia e alla solitudine, questo sempre secondo Ly.
 
Amore, amore, amore, sempre quella parola in bocca!
Possibile che non ci sia nient’altro al mondo? È davvero così fantastico come lo descrivono? È forse indispensabile per vivere?
C’è chi dice di sì, e c’è chi dice di no. A chi dar retta?
Nei momenti più cupi e di maggior cinismo mi dicevo che non esisteva, e che l’unico posto dove si poteva trovare l’amore era nelle storie. Nei bei romanzi che spesso leggevo.
 
A pensarci bene forse l’amore esisteva. Quello che lega un genitore al proprio figlio: eccolo l’amore puro e autentico.
Certo non sempre tutte le famiglie vanno d’accordo, ma credo che nel profondo del cuore possa esistere sempre anche una flebile fiammella di quel’amore che ci lega a chi ci ha donato la vita.
 
Ly sosteneva che ragionavo in quella maniera perché troppo ferita dalla vita e dagli eventi che avevano messo a dura prova la mia pazienza e il mio cuore. Io ero però una romantica che credeva all’amore. Non avrei letto tanti romanzi romantici senza credere all’amore.
 
Esiste una sola verità: viviamo di esperienze, e le mie mi avevano resa più chiusa nei confronti degli altri.
Nessuno di noi ha le risposte sulle grandi domande dell’esistenza. Solo vivendo, solo provando nuove esperienza potremo meglio capire i meccanismi del mondo.
Quindi solo il tempo mi avrebbe insegnato il significato dell’amore. Il tempo, ma anche molta fortuna: se trovi le persone sbagliate, beh, quelle ti fanno maturare un’idea tutt’altro che felice sull’amore.
 
 
Passarono così dieci giorni. Oramai anche la storia di Gabriel l’avevo superata, e tutto sembrava essere tornato alla normalità. Eccetto che per una cosa.
Paranoia a parte, da giorni avevo addosso una strana sensazione: come se qualcuno mi seguisse costantemente.
Dato che la cosa continuava anche dentro casa pensai che fosse tutto frutto della mia immaginazione e decisi di non dargli troppo peso. “Sarà lo stress, niente di che” pensai, “Colpa dei troppi libri letti, e dei troppi film”.
Infatti, oltre ad avere una smodata passione per la letteratura, ero anche un’appassionata di cinema.
In entrambi i casi mi piaceva variare: pur avendo dei gusti ben precisi, mi piaceva provare cose diverse.
 
Io e Ly avevamo già un bel programma in mente per la serata: film horror.
Non era il mio genere preferito, ma alcuni film erano riusciti a catturarmi e, di tanto in tanto, mi piaceva rivederli.
Ly era parecchio impressionabile, e per certe scene mi mettevo a strillare pure io, cosa che faceva divertire parecchio George.
Le serate horror però erano le più divertenti a conti fatti, nonostante le grida di terrore lanciate da me e Ly.
 
Quella mattina erano arrivati un sacco di libri. Avremmo speso quindi l’intera giornata per poter sistemare tutto quanto.
Per quanto faticoso potesse essere il lavoro, mi aveva sempre aiutata a staccare un po’ da tutto il resto. Inoltre avevo sempre occasione di imparare qualcosa di nuovo.
 
Ly mi passò accanto e le rammentai della serata. Ogni volta lei sperava di spuntarla.
- Come, di già? Ma non è passato un mese, ti starai sbagliando. – disse lei cercando di sviare la cosa.
- No mia cara. Giusto George? – stava passando lì proprio in quel momento.
- Sì, ma non perdetevi in chiacchiere, dovete lavorare. – disse squadrandoci serio: il solito George!
- Dannazione! Ok avete vinto, ma mettiamo su qualcosa di più leggero, niente cose esasperanti.
- Ok, cercherò un film non troppo spaventoso. Ci vedremo a casa per le nove. – dissi io per andare incontro anche a Ly. Alcuni horror riescono ad essere anche piacevoli. -Ho già in mente qualcosa, dalla trama sembra anche che nonostante tutto finisca bene.
- È quel “nonostante tutto” che mi preoccupa. Mi raccomando eh.
 
Ripresi il mio lavoro e continuai fino alla fine del turno.
Oltre al piccolo problema dei sogni strani e del sentirmi costantemente seguita, si aggiunse anche una strana sensazione di fiacchezza.
A volte era come se mi venissero risucchiate via tutte le energie. Forse stavo raggiungendo il mio limite massimo di lavoro.
Da anni mi tormentavano perché prendessi le ferie, ma io proprio non me la sentivo, e se ne avessi parlato con Ly, ero certa, che in una maniera, o nell’altra, mi avrebbe convinta a staccare finalmente dal lavoro.
Avevo voglia di sfogarmi e parlare con qualcuno di quella sensazione strana, ma Ly era la persona meno indicata.
Salutai la coppia e salii sulla fedele Betsy.
Stavo per arrivare a casa quando, facendo mente locale, mi ricordai del frigo mezzo vuoto che mi aspettava a casa in attesa di essere riempito a dovere.
Feci inversione, imprecando come quando mi capitava di urtare il mignolino del piede contro un qualsivoglia ostacolo.
Arrivai in fretta e furia al supermercato e feci una piccola spesa: non avendo moltissimo tempo a disposizione non potevo certo perdermi via. Ne approfittai per prendere anche qualche schifezzuola da cinema: senza pop-corn o patatine, non potevamo gustarci il film.
 
Per fare la spesa mi affidavo più alla mia voglia di spostarmi che neanche alle offerte. Se avevo voglia prendevo e andavo al discount più fornito della zona… peccato solo che fosse un po’ lontano dalla mia abitazione.
- La prossima volta mi organizzerò diversamente. – borbottai una volta risalita in macchina.
Fui comunque estremamente fortunata: nonostante l’orario il negozio era semi vuoto.
 
Non feci tempo ad aprire la porta che Cerby e Morphy mi accolsero calorosamente.
Mi rilassai un attimo sul divano e accesi la tv in tempo per vedere l’inizio del telegiornale,.
- Sempre le solite pallose notizie. – borbottai, e tirandomi su a fatica, cominciai a preparare la cena per me e i miei cuccioli.
Dopo un pasto frugale dovevo preoccuparmi delle condizioni in cui versava la mia povera casa.
Cercai di rassettarla il più velocemente possibile. Per mia fortuna, nonostante il fatto che fossi una disordinata cronica, la casa non era particolarmente disastrata.
Il salotto era anche a posto, ma camera mia era un campo di battaglia: vestiti sparsi ovunque. Presi tutto quello che mi capitava a tiro e lo gettai nel cesto della biancheria sporca: temevo che potesse scoppiare da un momento all’altro.
Poco prima che Ly e George si annunciassero con una bella scampanellata, potei finire di sistemare pure il bagno.
Ce l’avevo fatta a tempi da record, potevo essere fiera di me stessa.
 
Il film piacque a tutti non faceva molta paura, e trovò quindi anche l’apprezzamento di Ly.
“Il mostro della foresta” non lo avevo mai sentito e inizialmente  non ero molto convinta di prenderlo al video noleggio. Ma trama e copertina mi convinsero a tentarla. Avevo comprato film peggiori in passato, e a conti fatti io ero lì unicamente per noleggiare il film.
A fine serata Ly e George non vollero sentire ragioni, ed insistettero per fermarsi ad aiutarmi nel sistemare il salotto.
Per quanto avessi cercato di declinare l’offerta, alla fine gli lasciai carta bianca, lieta di ricevere una mano. Non ero proprio una casalinga doc.
Per spezzare un po’ la monotonia del periodo autunnale o di quello invernale, organizzavamo delle serate, o a casa mia o a casa loro. Se non la serata del cinema, una bella cena in compagnia.
 
Ly e George convivevano oramai da quasi due anni, e sembravano reggere la dura prova. Anche se non sembra, convivere può mettere a rischio il rapporto di due persone, se queste ovviamente non sono fatte per stare insieme.
È sicuramente un passo necessario per conoscere meglio l’altra persona, perché solo stando a stretto contatto con l’altro possiamo dire di cominciare a conoscerlo seriamente.
Certo non si smetterà mai di conoscere qualcuno, ma vivendoci assieme vengono fuori tutte quelle cose che, stando ognuno a casa propria, non si potevano vedere
Son sempre stata una “promotrice” della convivenza. Se mai mi  fossi sposata, avrei voluto prima convivere, per poter capire se quello sarebbe stato davvero l’uomo giusto per me.
Non volevo rischiare di ritrovarmi poi con una persona totalmente diversa da quella conosciuta.
 
Una volta salutati mi buttai sul letto e accesi il piccolo televisore della camera. Non era bello quanto il plasma del salotto e non c’era il decoder satellitare, ma per quel che lo usavo bastava e avanzava.
Avevo preso da anni la pessima abitudine di addormentarmi con la tv accesa, per questo non era una semplice compagnia.
Vivendo da sola saltavo su per ogni minimo rumore.
Il quartiere era abbastanza tranquillo ma non mancavano i ladri, quindi avere quel minimo di compagnia mi dava sollievo. Capitava anche che la lasciassi accesa quando uscivo, in modo da creare l’illusione che ci fosse qualcun altro in casa. Era una cosa sciocca, ma mi permetteva di essere più tranquilla.
Cerby e Morphy, per quanto protettivi potessero essere, non avrebbero potuto fare nulla contro un malintenzionato.
Erano molto tranquilli in genere, ma di fronte agli sconosciuti tendevano ad essere spesso aggressivi, specie con gli uomini.
Dormivano sempre con me nel mio letto da una piazza e mezza, Morphy sul cuscino, e Cerby in fondo al letto.
- Con voi al mio fianco non avrò mai nulla da temere. Inoltre non credo mi servirà mai un fidanzato: ci siete voi a proteggermi dalle brutture del mondo. In certe cose non potrete arrivare, ma non si può avere tutto, meglio accontentarsi. – dissi baciando loro la testolina.
Cerby abbaiò e mi fissò come per dirmi che loro erano tutto quello di cui avevo bisogno e che mai nessuno sarebbe entrato per portarmi via da loro. Risi e li coccolai fino ad addormentarmi.
 
Feci ancora il sogno dell’uomo incappucciato e del castello dei mostri. Notai diversi nuovi dettagli che prima mi erano sfuggiti. Per prima cosa notai che l’altro che mi accompagnava aveva i capelli argentati. Non era comune vedere un uomo giovane coi capelli di quella tonalità, almeno nel mio paese.
La seconda cosa, vidi delle ombre che si accanivano sulle persone avvolte dalla luce rossa, le avvolgevano interamente. Quando se ne andavano per prendere possesso di un nuovo corpo, il precedente si accasciava a terra privo di forze.
Una di quelle ombre si avvicinò a me, e mi sentii debole, fino a che l’uomo incappucciato non intervenne e scacciò via l’ombra.
Al mio risveglio sentivo ancora quella sensazione di vuoto e di debolezza. Era davvero orribile sentirsi in quella maniera.
 
 
Passarono altri dieci giorni, durante i quali George decise che era giunto il momento per me di recuperare le ferie accumulate.
Non avrei potuto recuperarle tutte, ma due settimane almeno le dovevo fare. Mi avrebbero concesso anche un mese se l’avessi voluto.
Io ero parecchio incerta sul da farsi: andare in ferie? Non ero particolarmente entusiasta all’idea, però sentivo che ne avrei giovato parecchio se avessi accettato la loro proposta.
Non ne avevo parlato con Ly, ma lei stessa, senza che le dicessi alcunché, aveva avvertito in me una certa stanchezza. Il che era strano da parte mia. Aldilà di tutto ero sempre stata piuttosto attiva.
George mi disse che potevo dargli una risposta anche l’indomani, mi avrebbe lasciato quel po’ di tempo per pensarci bene. Dovevo solo scegliere entro quando andare in ferie e quanti giorni.
Una cosa era certa: io dovevo sfruttare quei giorni, erano degli ordini che provenivano dall’alto.
Ly cercò invano di convincermi, non solo a prendermi un intero mese, ma di partire proprio per qualche meta esotica e staccare completamente lasciandomi tutto alle spalle.
Ci teneva così tanto che si offrì di ospitare Morphy e Cerby durante la mia assenza.
- Dovresti prenderti più cura di te, è mesi che te lo ripeto. Inoltre è da un pezzo che ti vedo giù, stanca e debole. Tu hai davvero bisogno di staccare. – borbottò mentre stava aprendo una scatola.
- Sapevo che te ne saresti accorta prima o poi, ma speravo di essere stata abbastanza brava da nascondertelo ancora per un po’. – dissi tristemente.
- Non puoi nascondermi nulla cara la mia Ayla. Potresti approfittarne: prenditi un mese, e fatti una vacanza come si deve. È da una vita che mi parli delle bellezze della Russia, complice anche Ivan. Potresti farti un bel viaggetto, e Ivan ti sarebbe certamente d’aiuto nele ricerche dei posti, e anche per affidarti a qualche bell’amico. – disse facendomi l’occhiolino mentre io diventavo paonazza.
- Ma Ly, come ti vengono in mente idee simili. Ok la vacanza, ma non son sicura di volermi prendere così tanto tempo, inoltre non puoi chiedermi di prendere l’aereo. Lo sai che ho paura. – Sarebbe stato il mio primo volo. Da sola per giunta.
Un conto era prendermi una settimana o due di ferie, standomene tranquilla a casa. Un altro conto era intraprendere un lungo viaggio per uno stato straniero e lontano.
Io ero una tipa da routine, non da cose avventurose o viaggi particolari.
Mi era già difficile cambiare menù al Jump e provare cose nuove, figuriamoci stravolgere completamente i miei soliti ritmi.
 
Una volta finito il turno me ne tornai a casa con quel pensiero che mi martellava in testa.
Giunsi alla fine alla conclusione che le ferie le dovevo prendere.
Non sapevo però né per quanto, né quando farle partire.
Con il calendario in mano caddi in un sonno profondo, sognando il mio bel sconosciuto incappucciato.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


"Capitolo Sesto"


Mi sarei presa un mese o due settimane? Questo era il dilemma sul quale mi stavo struggendo.
Da una parte sentivo anche io il bisogno di un lungo stacco dalla mia vita di tutti i giorni: tra i miei sogni e quell’orribile sensazione che mi accompagnava da giorni ero quasi giunta al mio limite.
Strano che non fossi ancora esplosa.
C’era però l’altra parte di me che ancora non si sentiva pronta a lasciare casa.
 
Ero risoluta nel prendermi le ferie, ma l’idea della scampagnata lontana dai miei luoghi e dalle mie solite abitudini, era forse troppo.
Non che non mi piacesse viaggiare, ma da sola non sarebbe stato poi così divertente.
Pensandoci e rimuginandoci sopra ancora e ancora capii che quella non sarebbe stata solo la mia vacanza, che non la dovevo solo a me stessa. La dovevo anche a Ly e George che mi avevano risollevata nel momento in cui avevo avuto bisogno.
A Ly soprattutto, che si era data da fare per me prima ancora che io provassi a chiederle una qualsiasi cosa.
Accettare quella vacanza sarebbe stato un modo per dirle ancora una volta grazie.
Quello inoltre sarebbe stato un altro passo verso la riconquista della mia vita e della mia indipendenza.
Non che dipendessi da loro in tutto e per tutto, però… mi ero come creata un’invisibile fortezza tutta attorno a me, una barriera protettiva.
La mia casa e la mia routine erano la mia certezza, la mia sicurezza… ma non è così che si dovrebbe vivere.
Una vita nella paura non è davvero vita. Bisogna tirare fuori il coraggio e prendere il toro per le corna.
C’è differenza fra sopravvivere e vivere.
Io fino a quel momento, nonostante avessi comunque ritagliato dei momenti felici da ricordare, avevo cercato di sopravvivere.
Era giunto per me il momento di ricominciare da capo, e scoprire una nuova vita.
Sorrisi fra me e me pensando che forse Ly non aveva tutti i torti.
 
Il mio appartamento non era enorme, ma senza i miei cari sembrava immenso. Staccare per un po’ dai miei fantasmi non mi avrebbe fatto del male, e forse avrebbe aperto la strada a una nuova Ayla. Più sicura di sé e più libera. Avrei potuto convivere con i miei fantasmi senza però essere messa sotto.
 
Mentre mi muovevo con l’auto verso la libreria pensai non tanto a quanto tempo prendermi ma a come sfruttare il tutto.
Non potevo di punto in bianco fare una vacanza di un mese ai tropici, aldilà del fatto che non avevo chissà quali grandi risorse economiche.
Avrei potuto farmi una bella settimana a casa, fra ozi e lavoretti vari.
 
Durante la settimana non riuscivo a dedicarmi alle faccende come invece avrei dovuto. Così facendo avrei potuto sistemare tutte quelle cose che col tempo si erano accumulate.
Ogni tanto mi affidavo alle mani esperte di George, che era ben lieto di darmi una mano. Per le piccole cose ci pensavo da sola, ma i lavori di idraulica erano fuori dalla mia portata.
Nella seconda settimana, per il momento, mi figuravo di dedicarmi  a piccole gitarelle di un giorno o due, in modo da staccare, ma non troppo.
Mi sarei organizzata per bene, perché detestavo la disorganizzazione in queste faccende, e forse avrei pure permesso a Ly di consigliarmi.
 
Subito mi venne in mente un posto dove sarei tornata con piacere dopo anni di assenza: Livigno. C’ero stata molto tempo prima assieme alla mia famiglia. Ricordavo con piacere quel ferragosto.
 
Cominciai quindi a pensare a tutti quei  luoghi che, dopo tanto tempo, avrei voluto rivisitare e cominciai a pensare che forse un mese non sarebbe stato poi così male.
 
Parcheggiai e andai incontro a Ly che mi aspettava con evidente impazienza.
- Allora, hai deciso Ayla? – neanche un “Ciao, come va?”.
- Sì, prenderò le ferie! Ma sono parecchio indecisa su quanti giorni fare. Il mese mi tenta ma non ne sono del tutto convinta. – Ly a stento soppresse un gridolino di gioia.
- Beh, calmati Ly, non ho detto che lo prenderò, solo che mi tenta…
- Ti farò fare la scelta giusta mia cara. – disse lei con un sorriso sornione.
La fissai spaventata fino a che George non ci raggiunse, solo che mi sorprese. Invece che sgridarci per il nostro modo di fare e per il ritardo, ci invitò ad entrare e disse a me di pensarci ancora un po’, entro sera di fargli sapere.
Quel giorno avrei fatto solo una mezza giornata dato che avevo fatto un bel po’ di straordinari, e quindi dovevo riposare un po’.
 
Una bella camminata mi avrebbe fatto schiarire le idee; così, una volta finito il turno, avrei potuto uscire, e cercare di riflettere ancora per un po’ prima di comunicare a George la mia scelta.
Mi disse comunque che era contento per il solo fatto che mi fossi decisa a prendere le beneamate ferie, aldilà di quanto tempo mi sarei presa.
 
Lavorai con maggior lena del solito. Non ero una scansafatiche in genere, ma la voglia di finire presto il turno non mi era mai venuta.
Questa volta avevo le mie buone ragioni per essere così allegra e sprizzante d’energia.
La fiacchezza che mi aveva preso nelle ultime settimane si era acquietata, mi sentivo bene e il mio bel sconosciuto incappucciato mi aveva fatto visita ancora la notte prima.
Quando ci toccavamo le mani sentivo sempre come se tutto il dolore per la perdita dei miei familiari, mi fosse portata via.
Con lui trovavo sempre la pace… e poi arrivava il mostro che  mi spaventava a morte.
 
Era arrivata la fine del mio turno e staccai per vedere di arrivare a capo della benedetta faccenda.
Ly mi guardò uscire dalla libreria come faceva ogni tanto Cerby quando salutavo prima di andare al lavoro.
- Ti prenderai un mese, vero?!? – mi chiese lei con gli occhioni da cucciolo smarrito.
Prima però che le rispondessi, George la trascinò via facendomi l’occhiolino.
Camminai a lungo, andando prima nei parchi, e poi dirigendomi verso le mura di città alta. Non ero una grande camminatrice per i percorsi in salita, ma questo riuscii a farlo senza troppo sforzo, anche perché sapevo che la mia ricompensa sarebbe stata adeguata allo sforzo. Anzi, addirittura migliore.
La mia città poteva anche avere moltissimi difetti, ma la vista da lassù era un qualcosa di indescrivibile e magnifico.
Nessuno posto è come casa, dicono alcuni.
Per me era vero, per quanti problemi e disguidi potessero esserci, io avrei per sempre amato la mia terra natia.
 
Si stava facendo tardi, e il sole in lontananza cominciava a tramontare, colorando il cielo di tonalità calde, in contrasto con l’aria fresca della sera.
Poter assaporare il tramonto da quella postazione riusciva a scatenare in me moltissime emozioni, che solo in rare occasioni riuscivo a provare. Sentivo in me una serenità e una leggerezza che era da tanto che non riuscivo più a sentire.
Era come se il vuoto del cuore venisse colmato da quella bellezza, come se tutti i problemi venissero spazzati via dalla brezza.
Ammirando quel bellissimo spettacolo presi la mia decisione: amavo la mia città, ma vedere dei posti nuovi non mi avrebbe fatto male.
Avrei staccato per un mese per tornare poi rinvigorita e più serena.
 
Respirai profondamente e mi sporsi leggermente per sentire meglio l’aria che di lì a poco sarebbe diventata gelida.
Novembre era oramai alle porte, e forse sarebbe arrivata anche la prima nevicata.
Mi sedetti su una panchina e chiusi gli occhi, chiedendo al cielo che quella piccola serenità trovata non svanisse troppo in fretta, e soprattutto, di non cambiare idea all’ultimo.
Mi conoscevo bene, a volte ero un po’ vigliacca, e il coraggio che mostravo in un primo momento, svaniva poi al momento di dimostrarlo.
 
- Tutto ok? – una voce vicina mi destò e si riferiva per forza a me: era troppo vicina per essere rivolta ad altri.
Aprii gli occhi e mi trovai di fronte a un bel ragazzo dai capelli lunghi e scuri raccolti in una coda e dagli occhi color del ghiaccio.
- Uhm… ehm… no, tutto ok, grazie. Stavo solo… rilassandomi un attimo, ecco. – gli risposi imbarazzata.
- Sembravi preoccupata e giù di corda. Sicura che sia tutto ok? – sapeva forse leggermi nel pensiero? Non pensavo di avere addosso un’aria tanto sconsolata.
- Beh si, ho qualche problemino, ma ora è più o meno tutto risolto. Problemi col lavoro diciamo. - Qualcosa nel suo sguardo mi spinse ad aprirmi un pochino
- E anche con la vita privata. -  disse lui sedendosi accanto a me.
Ok, se non sapeva leggermi nel pensiero dovevo avere stampati in faccia i miei problemi.
- Un pochino, ma niente di che. Grazie. – cercai di tagliare corto io. Stare accanto ad un ragazzo tanto attraente mi metteva soggezione.
- Lo so che non sono fatti miei, - cominciò lui, - ma a volte parlare con gli sconosciuti aiuta. Avresti così dei pareri del tutto sinceri. – disse sfoderando un caldo sorriso. Non so come ma decisi di parlargli di me e della mia vita.
Non gli raccontai ogni singolo dettaglio: mi concentrai semplicemente sugli ultimi accadimenti. Non so come ma mi ritrovai persino a raccontargli del mio sogno ricorrente. Quella fu l’unica parte in cui lo vidi più… coinvolto ecco. Oserei dire perfino preoccupato. In effetti era un sogno strano, e probabilmente lui mi reputava strana o un po’ pazza.
- Fai bene a prenderti un mese. Del resto la vita è molto breve e sai, meglio godersela con intelligenza. – disse guardando fisso verso il sole che stava scomparendo all’orizzonte. - Mi sembri molto stressata e stanca. Un po’ di tempo tutto per te non potrà certo farti male. – lo dicevo spesso anche io, e per questo gli sorrisi.
- Lo penso anche io. Forse è giunto davvero il tempo per me di applicarmi.
- Il problema sarà poi riprendere la routine. – rise, e mi fece sorridere.
Aveva avuto ragione: parlare con lui era stato utile, mi aveva aiutata e cominciavo a sentirmi meglio e sicura di me e della mia scelta.
Non avrei più cambiato idea.
 
Cominciava a farsi buio e tardi. Dovevo scendere prima che la libreria chiudesse e comunicare a George la mia scelta.
Di sicuro Ly avrebbe fatto i salti di gioia, manco le avessi detto che avevo vinto alla lotteria.
 
Feci per alzarmi dalla panchina, ma il ragazzo si alzò in piedi e mi porse la mano per aiutarmi a tirarmi su.
Lo ringraziai e mi avviai verso la strada che portava verso la città bassa. Ero già a buon punto quando lui mi raggiunse.
- Non posso certo permetterti di girare da sola a quest’ora! – decise che mi avrebbe scortata fino alla mia destinazione e a nulla valsero le mie proteste.
Purtroppo, come spesso accadeva nelle grandi città, le strade non erano sicure per le donne, specie col buio e se sole.
- Ma sei proprio sicuro di volermi accompagnare? – gli ero grata, ma non volevo rubargli troppo tempo.
Si era dimostrato essere un ragazzo a modo e gentile, per questo non mi andava di approfittarne troppo.
Mi resi conto poi che avevo parlato solo io, e che di lui non sapevo nulla, se non che con lui accanto non stavo affatto male.
Era come stare con l’uomo incappucciato del mio sogno.
Pensando a quello spalancai gli occhi per la sorpresa e lui, accorgendosene, mi chiese se stessi male.
- No affatto, ho solo pensato a una cosa. Ed era una cosa bella. – dissi sorridendogli.
Provai a fargli delle domande, ma lui fu molto evasivo, e quindi non riuscii a scoprire nulla sul mio “bodyguard”.
 
Arrivammo infine davanti alla libreria.
- Grazie davvero per tutto, chiacchierare con te è stato fantastico, mi hai aiutata molto. Non so come ripagarti.
- Anche a me ha fatto piacere. Inoltre, anche se non posso spiegarti come, anche tu mi sei stata d’aiuto. – disse di rimando.
- Allora, quando dovresti cominciare?
- Da lunedì, il primo novembre, fino al trenta, un mese esatto. Ammesso che George me lo conceda subito. – sarà stata un’impressione, ma mi sembrò di vederlo sbiancare.
Lo ringraziai ancora e lui mi voltò le spalle prendendo la propria strada. C’era però ancora una domanda che volevo fargli.
- Aspetta. – gridai, e lui si voltò immediatamente.
- Dimmi.
- Non so neanche il tuo nome.
- Non è importante. Auguri Ayla, ci rivedremo presto. – l’idea di poterlo rivedere mi rendeva davvero molto, molto, felice.
 
Appena entrata nella libreria cercai subito George per comunicargli la mia decisione.
Sia lui che Ly accolsero con gioia la mia scelta, anche se Ly ebbe un po’ da ridire sul fatto che passassi la prima settimana a casa
Ma se ne fece però presto una ragione.
Eravamo giunti al weekend,e l’indomani avrei comunque avuto il giorno libero; quindi avrei cominciato le ferie il lunedì. Si poteva dire che le mie ferie sarebbero cominciate proprio la giornata successiva.
Erano oramai arrivati alla fine del loro turno e ne approfittai per parlare con Ly del mio incontro con quel bel giovane e realizzai una cosa: io non gli avevo mai detto il mio nome.
Come diavolo faceva a saperlo allora?
- Per me è un tuo ammiratore segreto. Magari viene spesso in libreria, ma non l’hai mai notato, oppure è un cliente del Jump. – Ly sospirò. – È un colpo di fulmine. E da quanto mi hai detto… - sorrise maliziosamente, - è davvero carino.
- Beh, ma che c’entra? Per me non è interessato a me in quel senso… È impossibile! – “Non sarei mai alla sua altezza…” pensai tristemente. Era davvero un gran bel ragazzo, per questo non c’era assolutamente verso che potesse davvero essersi interessato a me come donna.
Stranamente serena e rilassata mi avviai verso l’auto con un sorriso a trentadue denti.
 
Apodis tornò in ufficio più confuso e sconvolto che mai.
Lui non era mai, e dico proprio mai, entrato in contatto coi suoi incarichi prima del tempo.
In genere si presentava solo al momento di prendere l’anima. Sebbene fosse loro permesso di avere dei contatti con i loro incarichi, Apodis l’aveva sempre evitato per non affezionarsi troppo a loro.
Qualcosa in lei lo aveva spinto a cercare un confronto.
Cosa gli stesse accadendo ancora non lo sapeva, o meglio, intuiva cosa potesse essere, ma lo rifiutava.
Nella sua breve carriera di demone della morte aveva prelevato anime anche più giovani di quella di Ayla, eppure… eppure non si era mai lasciato coinvolgere così tanto. Nessuno lo aveva intenerito a tal punto.
Dover prendere le anime non era un compito facile e non amava strappare la vita... ma era il suo dovere, e lo aveva sempre svolto con la massima dedizione.
Già il suo era un caso particolare: a quelli come lui in genere non davano compiti così importanti, ma il buon Barock aveva detto che quella di demone della morte era la sua vocazione.
Nessuno volle contraddire il re, perché non si era mai sbagliato.
 
Apodis sentiva un qualcosa dentro di sé, qualcosa mai provato prima che gli diceva che non poteva prelevare quell’anima: non era ancora giunta l’ora per Ayla Eyre.
Avrebbe voluto poter chiamare Ael per avere un parere dall’unico che poteva capirlo e forse aiutarlo. Purtroppo però non c’era modo di mettersi in contatto con lui se non raggiungendolo nel suo rifugio.
 
Elar entrò in ufficio e vedendo l’amico e collega in difficoltà cercò di scoprire il motivo di tanto disagio. I risultati furono però piuttosto scarsi.
Dopo molte insistenze riuscì finalmente a farlo parlare e a farsi spiegare la situazione.
- Non è che la ragazza ti piace e quindi ti senti un po’ frenato? – Apodis gli lanciò uno sguardo di fuoco. Impossibile!
- So che è capitato di incarichi sospesi all’ultimo, ma son casi estremamente rari. In genere poi è Barock in persona a sospendere tutto. Non credo sia mai successo che un demone della morte abbia bloccato tutto senza nemmeno l’ok dei piani alti.
- Lo so Elar! – l’amico alzò gli occhi al cielo come in cerca di risposte  e sorrise
- Forse lei è una di quelle ragazze fortunate, solo che finché non arrivano ordini noi dobbiamo attenerci a quelli di partenza. Dovrai prelevare la sua anima nel giorno e nelle circostanze descritte nella scheda. – Apodis sospirò poggiando la testa sulla scrivania, ed Elar continuò col suo discorso.
- Chissà… forse tu sei uno di quei rari demoni che riescono a percepire i mutamenti del destino… forse Iris stessa si è messa in contatto con te facendoti percepire che non è giunto il momento per la tua protetta… chi può dirlo? – sorrise e scosse le spalle dell’amico.
- Lo so che senza un documento ufficiale non puoi fare di testa tua… ma se la tua sensazione è tanto forte dovresti per me sentire i piani alti. – Apodis scosse la testa.
- Sai che non mi ascolterebbero mai. È già un miracolo che non sia più sotto sorveglianza. Lo sai che all’inizio si fidavano poco di me. – all’inizio della sua carriera, diversi supervisori controllarono il lavoro di Apodis, Lui non era un demone come tutti gli altri, e questo un po’ preoccupava alcuni alti demoni della corte.
- Lo sai che non puoi agire diversamente senza le disposizioni della corte…
- Ma Elar, io ho questa certezza assoluta, non è giunto il momento per lei,  deve vivere ancora. Non posso sbagliare,  sai quanto me che una volta presa l’anima non può essere rimessa nel corpo. Se l’ordine arrivasse troppo tardi avrei tolto la vita a chi ancora doveva vivere. – disse Apodis col cuore in gola.
Voleva aiutare Ayla, ma non sapeva come. Conosceva fin troppo bene il trattamento che veniva riservato ai disertori, ma che fare?
- Conosco quello sguardo amico mio. E non posso fare altro che augurarti buona fortuna. Cercherò di aiutarti da lontano. – disse Elar dandogli una pacca sulla spalla e prendendo la strada di casa. - Miracoli non ne posso fare, ma quel poco che posso lo farò! – disse esibendo il migliore dei suoi sorrisi. - Fai attenzione a Sylas: lui non ti ha mai visto bene, e questo potrebbe essere un buon pretesto per farti fuori – Sylas… il fratello di Barock, e maggiore esponente del gruppo dei demoni che avrebbero voluto schiavizzare gli uomini.
Mentre Elar lasciava l’ufficio, Apodis decise di seguire il proprio istinto e di andare incontro a quello che il destino gli avrebbe presto riservato.
 
 
Finalmente imbucai la via di casa: purtroppo i parcheggi erano tutti occupati e non avevo voglia di mettere Betsy in garage.
Ero decisa a fare un po’ di spesa: avendo la macchina sottomano sarebbe stato più semplice e rapido uscire.
La fortuna, una volta tanto, volle assistermi, e trovai parcheggio poco distante dal mio condominio.
Prima di chiudere l’auto estrassi dal baule un regalino di Ly, un libro che da anni volevo prendere ma che per una cosa o per l’altra avevo sempre rimandato.
“Memorie di una geisha” mi aveva sempre affascinato, e il film era riuscito a trasmettermi molto; tuttavia, volevo assolutamente leggere il libro e ora avrei avuto tutto il tempo per gustarmelo.
Contenta per il regalo mi incamminai verso il mio appartamento.
Faceva freschino ma oramai eravamo in Novembre, sarebbe stato strano il contrario.
Sentii ansimare, dei forti lamenti. La cosa mi preoccupò e affrettai il passo: il quartiere era sì tranquillo, ma non troppo.
“Meglio non rischiare brutte sorprese” pensai.
Cercai di individuare da dove venissero i rumori, e scoprii con sorpresa che non provenivano da dietro le mie spalle, ma sembravano riecheggiare nella via.
Era come trovarsi in uno di quei film horror dove senti che tutto è distorto e l’assassino ti sbuca fuori dai posti più impensati.
 
Sorpassando un piccolo incrocio notai un uomo disteso a terra che ansimava dolorante.
Con forse estrema leggerezza mi avvicinai: non potevo certo lasciarlo lì agonizzante..
- Tranquillo, ti aiuto io, credi di riuscire ad alzarti? – chiesi, ma la sola risposta che ricevetti fu un borbottio.
Riuscii a farlo prima sedere, e poi far alzare per raggiungere al più presto casa. Era la prima volta che mi dimostravo tanto incauta, ma il poverino era talmente debole che se anche fosse stato un malintenzionato, non sarebbe riuscito a farmi nulla.
Una volta illuminato dalla luce dei lampioni però lo sgomento fu tale che stavo per perdere la presa e far cadere entrambi.
- Tu?!? Ma cosa ci fai qua? – era il ragazzo che avevo conosciuto poche ore prima.
- Senti è una lunga storia, non preoccuparti. – disse lui reggendosi a malapena. - Lasciami pure qua e vai a casa: non è un posto tranquillo questo, e ora potresti essere in pericolo. Scappa! – mi ordinò. E che ero? Una bambina forse?
- Non posso lasciarti qui da solo, e in questo stato. – gli urlai contro, stringendolo maggiormente. - Casa mia è qua dietro l’angolo, vieni e chiamiamo un’ambulanza. – feci per incamminarmi sperando che non mostrasse ulteriore resistenza.
- Fidati che non ce n’è bisogno, scappa e non preoccuparti per me. – lui cercò di allontanarmi, facendoci quasi cadere.
- Non avrei mai dovuto farmi vedere da te. È stato un enorme sbaglio. – borbottò quasi più a sé stesso che a me. io ero più confusa che mai.
- Ma di che stai parlando? Coraggio, ora andiamo, chiamerò un medico e… - sentii come un ruggito e, il tempo di battere le ciglia, mi ritrovai a casa mia, in piedi in salotto.
Ero forse diventata matta? Era stato tutto un sogno?
Sbattei freneticamente le palpebre, come se potesse accadere qualcosa di nuovo e sconcertante.
E allora notai che lui era lì accanto a me e delle ferite non v’era più alcuna traccia.
- Forse è il caso di sederci, noi dobbiamo parlare Ayla!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


"Capitolo Settimo"


Feci come mi disse e mi accomodai su una delle sedie del salotto e lo fissai mentre anche lui prendeva posto.
Era lì silenzioso e con gli occhi socchiusi,  la fronte corrucciata.
Il salotto non era mai stato enorme, ma in quel momento mi sembrava davvero minuscolo,  tanto che quasi mi mancava l’aria.
 
Non passò molto che Cerby e Morphy vennero ad accoglierci. Stranamente non assalirono il ragazzo; in genere non erano ben disposti nei confronti degli estranei.
Con lui era diverso e non capivo il perché.
Che mai poteva avere di tanto speciale? Certo avevo capito che in lui c’era ben poco di normale ma…
Cominciai così a farmi domande su domande, e avrei voluto tanto chiedergli che cosa stesse accadendo, che cosa lui fosse in realtà…
Mi feci coraggio e gli posi la mia prima domanda “Chi sei?”.
- Forse volevi chiedermi “Cosa sei”, sbaglio forse? – mi guardò fisso negli occhi. - Chi sei, cosa sei e, soprattutto, che vuoi da me? – lui sospirò, forse non era così facile rispondere alle mie domande, o forse la mia reazione non sarebbe stata buona di fronte alle sue risposte.
I segreti, i misteri… mi piacevano, ma ero forse pronta per quelli che di lì a poco sarei andata a scoprire? Perché me lo sentivo: quanto lui avrebbe avuto da dirmi mi avrebbe sicuramente sconvolto l’esistenza.
- Va bene, credo che ora tanto valga dirti tutto, tanto sono stato scoperto, anche se ancora non sai cosa sono. Mi chiamo Apodis e sono un demone della morte. – disse lui accarezzando Morphy che si era accomodato sulle sue gambe, lasciandomi qualche attimo per assimilare la notizia.
Non avevo motivo di dubitare della sua parola, ma mi ero sempre immaginata i demoni in maniera diversa.
Spaventosi giganti che divoravano gli uomini, o cose del genere.
“Un momento” pensai, “Demone della morte?” stavo forse per morire? Era dunque giunta la mia fine? Non ero pronta per questo, c’erano ancora tante cose che volevo fare.
Volevo sposarmi, crearmi una famiglia e magari aprire una mia libreria con Ly e George.
Mi rabbuiai. Da una parte fremevo per chiederglielo, ma dall’altra volevo solo fuggire il più lontano possibile.
- Se te lo stai chiedendo sì, ero qua per te, – in quel momento il mio cuore si fermò, ma per fortuna lui proseguì il discorso, -  qualcosa però è cambiato. Non so spiegartelo, ma so che la tua anima non è ancora pronta.
Subito sorrisi per la bella notizia, ma questo apriva comunque la porta ad altri interrogativi.
Se io non dovevo più morire, che cosa ci faceva lui ancora lì?
Fissai Apodis che era intento nel dare attenzioni a Cerby e Morphy.
Come sulle mura mi pareva bello, ma quell’espressione triste lo rendeva ancora più interessante e misterioso.
Non ero certo insensibile al suo fascino. “Non sarò bella, ma gli occhi per guardare li ho eccome!” mi dicevo spesso.
Ero divisa fra il voler venire a capo a quella situazione e il riserbo nel porgli domande. A tratti mi sembrava quasi di divenire scortese nella mia curiosità.
“Chissà se tutti i demoni sono così belli” mi chiesi stupidamente, dandomi subito dopo della cretina per averci pensato.
Con tutto quello che stava accadendo c’erano cose ben più importanti che dovevano interessarmi. Quel ragazzo, quel demone, mi aveva appena detto che in teoria sarei dovuta morire, ma che lui aveva impedito che ciò accadesse.
 
- Chi sono davvero i demoni? Che cosa fate? Influite sulle nostre vite? Volete forse qualcosa da noi? – chiesi ad un tratto, dopo aver preso un profondo respiro. Fui come un fiume in piena, tanto che non ero certa che lui avesse capito tutte le mie domande.
- Scusa le tante domande ma le tue vaghe risposte di prima mi hanno lasciata con più dubbi che mai. – dissi mentre arrossivo.
Lui inspirò profondamente e mi fissò per un istante; pochi secondi che però mi parvero un’eternità.
- Vedi non è facile risponderti. Sarebbe proibito parlarne con voi, ma tanto quel che è fatto è fatto. Ho interferito col destino e mi sono esposto. – mi parve quasi vulnerabile. Mi aveva dato l’idea di essere un uomo tutto d’un pezzo, ma le sue espressioni mentre mi spiegava quanto era accaduto lasciarono intravvedere il suo lato più… fragile. - Di sicuro non appena ti ho detto di essere un demone avrai pensato a quadri e racconti, dove i demoni sono esseri mostruosi, bestie, o comunque creature dalla natura malvagia. – arrossii, ed annuii. – Quella è un’immagine che non piace molto nemmeno a noi, ma almeno così possiamo agire indisturbati. Dimentica tutte quelle cose, sono per la maggior parte delle fesserie. Certo, ci sono demoni cattivi, ma anche nel vostro mondo esistono uomini malvagi.
- Ovviamente. Ti prego Apodis, continua. – ero come ammaliata da lui, affascinata dalla sua voce calda.
Apodis però non sembrava al massimo della forma. Mi ricordai così di quanto avevo visto pochi minuti prima in strada. Non sembrava messo così male, però…
- Tu però prima, in strada voglio dire… cosa è successo? Sembravi ferito ma ora…
- I demoni guariscono in fretta dalle ferite, e le mie si son già rimarginate. Sono solo un po’ stanco.
– Posso forse offrirti qualcosa?
- Magari un bicchiere d’acqua. Grazie. – mi diressi in cucina e tornai in fretta con acqua e bicchieri: ero anche io un po’ assetata.
- Grazie. – mi disse lui con un tenero sorriso.
Ero sempre stata affascinata dal genere fantasy, e di libri su fate, elfi, vampiri o creature misteriose ne avevo letti a bizzeffe.
Non riuscii a frenarmi dal porgli quella semplice domanda, che di sicuro per lui era stupida, ma non potevo lasciarmi sfuggire quell’opportunità.
- Avete qualche potere particolare? Sono un’accanita lettrice, e storie di magia, vampiri, licantropi e simili mi sono sempre piaciute. Probabilmente risulterò una sciocca, ma sono davvero curiosa. – lui rise, quasi sollevato. Prima c’era un po’ di tensione e con quella semplice domanda l’avevo un pochino attenuata.
- Sì tutti noi abbiamo dei poteri, ma non tutti sono uguali. Abbiamo delle abilità comuni a tutti i demoni: rispetto a voi uomini siamo molto più forti, agili, e veloci, e siamo in grado appunto di guarire rapidamente. I nostri sensi inoltre sono decisamente più sviluppati. Poi, in base a quelle che sono le nostre caratteristiche individuali, verremo smistati per le varie mansioni o lavori. È in base a queste caratteristiche particolari che capiamo per quale lavoro siamo meglio indicati. Una delle caratteristiche dei demoni della morte è il teletrasporto, di cui hai già avuto una dimostrazione poco fa – cominciò così a parlarmi della corte dei demoni e di come fosse strutturata la loro comunità.
- Devi sapere che la nostra è una società molto complessa e articolata. La chiamiamo “Corte dei Demoni”. Ogni creatura contribuisce nel suo piccolo al buon andamento della vita e ognuno ha il suo compito. Ognuno di noi è a suo modo un pezzo insostituibile.
È come un grande orologio, basta che salti un pezzo per fermare tutto il resto. Certo, siamo in tanti, e divisi per le nostre capacità, come ti ho accennato prima, ma è importante che tutti collaborino.
Siamo simili a voi per un certo senso, anche se più efficienti. Non te la prendere, non è un fatto personale. – concluse lui.
Non potevo certo prendermela per una tale affermazione.
- Ci mancherebbe… Piuttosto, chi ti ha ferito e perché?
- Era uno spirito maligno. Purtroppo esistono anche quelli. Come sai, non c’è bene senza male. Il mio compito di demone della morte è quello di seguirti durante il tuo ultimo mese di vita e, assicurarmi che la tua anima possa raggiungere l’aldilà.
Solo i demoni della morte possono svolgere questo compito; è uno dei più importanti della nostra società. Noi abbiamo la capacità di percepire il momento preciso della vostra morte, e dobbiamo difendervi dagli spiriti che altrimenti prenderebbero la vostra anima per cibarsene e prolungare la loro vita. – Era dunque questo quello che accadeva in realtà. Spalancai gli occhi pensando ai miei cari. Loro erano riusciti a passare oltre senza che quegli spiriti li prendessero?
- Penso di sapere a che pensi, anzi a chi. – disse Apodis afferrando la mia mano e stringendola forte. - Non ti preoccupare, la tua famiglia è passata oltre. – mi disse sorridendo. Mi sentii subito meglio… ma lui come faceva a saperlo? - Il mio amico Elar era là sul posto quando è successo, è stato lui ad accompagnarli. – continuò subito prima che glielo chiedessi io.
- E tu come facevi a sapere di me e della mia famiglia?
- Beh, ho letto il fascicolo, e poi Elar ha visto la tua foto e ti ha riconosciuta spiegandomi dell’incidente dei tuoi. Mi spiace. – disse lui con concerno.
- Non preoccuparti… - era davvero molto gentile, e mi piaceva il modo in cui mi trattava: mi faceva stare bene. – Un momento, fascicolo? Siamo anche schedati? – se prima ero triste, ora ero alquanto perplessa.
- Te l’ho detto che era lunga da spiegare! – sospirò lui. - Il modo migliore per starvi vicini nell’ultimo mese è cercare di conoscervi anche senza entrare in contatto diretto con voi.
Io è vero che l’ho fatto, ma è stata un’eccezione, almeno per me. Ci è concesso di farlo solo una volta, prima della vostra morte. Io in genere preferisco osservarvi a distanza. – disse lui, e mi parve di vederlo arrossire.
- Ma tu l’hai fatto due volte. – realizzai io.
- E infatti ho trasgredito - c’era però ancora qualcosa che non mi diceva, me lo sentivo.
- Hai detto che ci aiutate a passare oltre, ad andare nell’aldilà. Quindi siete una sorta di angeli protettori se vogliamo. Dei cavalieri.
- È un modo romantico di vedere la cosa, comunque sì. Diciamo che potremmo vederla in questa maniera.
I demoni esistevano ma non erano cattivi, erano buoni. Anzi, erano i nostri angeli protettori, ci guidavano nel nostro ultimo viaggio, ci proteggevano. Non potevano impedire la nostra morte, ma potevano aiutarci in qualche modo.
 
Tutto quello che avevo appena sentito aveva dell’incredibile, eppure io ci credevo. C’era quel qualcosa in lui che mi faceva avere una totale e piena fiducia. Sì, lui era sincero.
Ripensai a quando da bambina leggevo i libri sulla mitologia, le storie su fate, dei, creature mistiche… tutte cose che mi avevano affascinato, e che nel tempo mi erano rimaste nel cuore. Io, a dispetto di tutto e tutti, credevo in quei racconti. Non potevano essere tutto frutto della fantasia umana.
Lui aveva detto che era lì per me, che doveva prendere la mia anima. Qualcosa però era cambiato.
Avevo forse cambiato il mio destino?
Io avevo sempre creduto che fosse tutto già scritto e che non lo si potesse cambiare.
Apodis mi aveva salvata dalla morte, ma ora lui avrebbe passato dei guai a causa mia?
- Apodis? – gli chiesi senza guardarlo negli occhi.
- Sì Ayla?
- Tu ora avrai dei problemi con la corte?
- Sì, e purtroppo non solo io. Anche tu sei in pericolo.
Noi vi prendiamo sotto la nostra ala protettiva nel vostro ultimo mese. Trascorso quel tempo, dobbiamo prendere la vostra anima in base alle circostanze descritte. Noi non andremo ad interferire col vostro destino. Gli ordini possono essere revocati, ma solo dall’alto. – sembrava che volesse dire altro, ma sì fermò mordendosi il labbro.
- Io non ho posto fine alla tua vita perché sentivo che non dovevo, non potevo. Sappi che non sono uno di quelli che si lascia trascinare, ho sempre svolto il mio compito con diligenza. Nessuno prima di me ha mai disubbidito, nessuno ha mai risparmiato uomo, donna, bambino o anziano. Se arriva l’ordine, bisogna eseguirlo! – batté un pugno sul tavolo, esprimendo così la sua impotenza di fronte al grande potere della corte.
- Presto manderanno qualcuno a cercarci, il termine sarebbe scaduto dopodomani, e presto scopriranno quanto è successo.
Sai Ayla, esistono tante creature a questo mondo, buone e cattive.
Anche nel mondo dei demoni c’è qualche problema, sebbene la nostra società sia meglio impostata rispetto alla vostra.
Non tutti sono ben disposti verso il mondo degli uomini e un fatto come questo farà gola a molti di quelli che vogliono spodestare il nostro re per far ascendere il proprio leader e schiavizzare gli uomini. – sussultai di fronte a quell’affermazione.
- La maggior parte dei demoni non vuole il vostro male, ma altri… - Apodis si fermò, e io cominciai a ragionare. Se molti demoni ci odiavano, poteva essere forse colpa nostra?
- Apodis, quei demoni che odiano gli uomini… lo fanno perché noi uomini abbiamo delle colpe verso di voi? – lui mi fissò con sguardo sorpreso, e mi spiegò di come gli uomini “esiliarono” non solo i demoni, ma anche tutte le altre creature che un tempo popolavano la Terra.
Non c’era da sorprendersi se allora ci detestavano.
Mi vergognai non soltanto perché Apodis avrebbe pagato per aver deciso di salvare un’umana, ma anche per quello che la mia razza aveva fatto passare a tutti i demoni.
- Mi spiace che per colpa mia tu ora abbia delle grane. Non ti faranno niente di grave, vero? – Apodis non mi rispose.
Lui aveva fatto tanto per me, c’era niente che io potevo ora fare per lui? come se lui avesse intuito quello a cui stavo pensando cominciò di nuovo a parlarmi.
- Anche se tu provassi a parlare con loro, giurando di non rivelare niente sui demoni, molti ti ostacolerebbero, e temo che alla fine anche il povero Barock cederebbe alle pressioni. Pur contro la propria volontà.
- Che tipo è? – gli chiesi senza pensarci su troppo.
- Barock è un re saggio e di buon cuore. Sai, è lui che fornisce i dati a tutti i demoni della morte sparsi per il mondo. Nessuno sa come venga a conoscenza dei nomi, delle circostanze della morte, e di tutto il resto. Lui lo sa e basta, ci affida i compiti e noi cerchiamo di svolgere al meglio il nostro incarico. Ma non si preoccupa solo di noi: dà le direttive anche agli altri demoni… lui sa sempre cosa fare, e non ho mai dubitato, una sola volta, delle sue scelte. – continuò quindi a parlarmi di lui, e io cominciai a farmi una gran buona opinione di questo sovrano dei demoni. Lo dipingeva come un demone attento ai bisogni di tutti, molto buono e saggio.
Un sovrano giusto e pronto a sacrificarsi per il suo stesso regno.
Si capiva da come gli brillavano gli occhi che Apodis lo ammirava dal profondo.
 
Apodis cominciò a narrarmi  quindi del tempo in cui uomini, demoni e creature magiche vivevano insieme in pace e armonia.
A quei tempi, nonostante le diversità, riuscivano a convivere assieme: i demoni erano sì i padroni, ma non lo facevano pesare.
Loro governavano sul mondo, rendendolo un posto migliore in cui vivere, nel quale qualsiasi creatura si sentiva al sicuro.
Purtroppo però un giorno l’uomo cambiò, invidioso del potere dei demoni, e decise di cacciare e perseguitare tutte quelle creature a lui superiori. Gli uomini di quei tempi non riuscivano a sopportare il fatto di non avere quelle doti particolari che altri invece avevano.
Quando anche alcuni degli uomini, quei pochi, dimostravano di avere delle particolari abilità, questi venivano perseguitati, cacciati o, nella peggiore delle ipotesi, uccisi.
Fu grazie al tempestivo intervento di Barock che si riuscì a trovare una soluzione prima della catastrofe: riuscì a creare una sorta di dimensione parallela in cui tutte le altre creature potevano vivere serenamente.
Non era certo quello che avrebbe voluto fare, ma date le circostanze non poté fare altro.
L’uomo non avrebbe più visto nessuna creatura, se non per volere delle stesse, e se non perché dotato di capacità o di una sensibilità tali da poter percepire le altre creature.
I demoni, che erano assai potenti, riuscivano a mimetizzarsi senza troppi problemi fra gli uomini. Non che avessero un aspetto particolare: l’unica cosa che li differenziava dagli uomini erano le orecchie leggermente appuntite.
Chiesi ad Apodis di mostrarmele, e sospirando lui lo fece. Effettivamente non erano esageratamente a punta, però si notavano.
I demoni non erano i soli che riuscivano a mimetizzarsi. Creature come fate e folletti in genere però preferivano la vita ritirata nei boschi.
 
Apodis mi spiegò che la maggior parte della corte desiderava riavvicinarsi e ricreare un ponte tra i nostri due mondi, ma sapevano che sfortunatamente era ancora troppo presto.
L’uomo purtroppo aveva dimostrato che non era ancora pronto ad accettare quella realtà così diversa e lontana da quelli che erano le proprie convinzioni.
Così come c’erano demoni desiderosi di un riavvicinamento, c’erano anche quelli contrari, e io potevo capire il loro punto di vista.
L’uomo in passato si era comportato male, ma noi, diretti discendenti di quell’umanità ottusa e priva di cuore, non ne avevamo colpa.
Per fortuna il buon re riusciva a tenere a bada i demoni più feroci.
 
Apodis prese un altro sorso d’acqua, e con uno sguardo serio mi disse: - Dobbiamo scappare al più presto. Scegliendo di farti vivere ho rotto un patto che dura da secoli e secoli: ho infranto una delle leggi sacre a cui ho prestato giuramento. Se ci prenderanno dovremo pagare insieme. Questo non è più un posto sicuro, lo capisci? –  lo capivo, però quella era la casa. Come poteva non essere più un posto sicuro? In tre anni non mi ero allontanata per più di un paio di giorni e ora mi si chiedeva di lasciarla per un tempo ancora sconosciuto, forse per sempre?
Era vero che avevo in programma di andarmene per una vacanza, ma appunto: di vacanza si trattava. In quel momento non sapevo se mai avrei potuto farvi ritorno.
Come una bambina m’impuntai, alzandomi in piedi e alzando la voce.
- Apodis io non posso andarmene, questa è casa mia! E poi i miei piccoli, non posso abbandonarli, - dissi indicando Cerby e Morphy.
- Sono certa che non mi permetteresti di portarmeli dietro. Io non posso… - volevo fidarmi di lui, ma la paura stava prendendo il sopravvento.
Apodis per darmi forza, anzi, una scossa per meglio dire, mi afferrò per le spalle e mi fissò dritto negli occhi.
- Vuoi morire? Vuoi che ti uccidano senza neanche avere la possibilità di difenderti? – il suo sguardo era completamente diverso. Un misto di rabbia e di paura che traspariva da quanto mi stava dicendo. - Perché ricordati che è vero che io non ti ho uccisa, ma ci sono altri demoni della morte pronti a sostituirmi. – cominciò a ribattermi forte il cuore. Apodis allentò la presa, avevo le gambe molli e mi dovetti appoggiare alla sedia.
Troppe cose in un solo giorno, anzi, in poche ore.
Non ero pronta a lasciarmi tutto alle spalle. Morphy e Cerby mi si avvicinarono per cercare di darmi conforto.
 Ma purtroppo nemmeno loro potevano aiutarmi, e li fissai impaurita.
- Ayla, so che è difficile per te capire tutto questo, ma devi fidarti di me. Ti porterò via in un posto sicuro. – mi disse Apodis avvicinando la sedia e sedendosi di fronte a me. I suoi occhi tornarono calmi e dolci come lo erano stati sulle mura.
Per qualche oscura ragione scelsi di fidarmi di lui, ma avevo una sola condizione.
- Va bene Apodis, ma concedimi di partire domattina, ti prego. – lui era un po’ riluttante, ma acconsentì. “Abbiamo abbastanza tempo” borbottò lui. Aveva una strana personalità, oscillava fra la dolcezza e il borbottio… ma tutto sommato mi piaceva.
- C’è ancora una domanda che voglio farti. – ero imbarazzata, ma dovevo sapere. Prima aveva accettato il bicchiere d’acqua, e fin lì tutto ok, ma qual’era la “dieta” dei demoni”?
- Spara.
- Beh, di cosa vi nutrite? – lui rise vedendo la mia espressione.
- Demoni e uomini non sono tanto diversi. Ognuno di noi ha i propri gusti, io ad esempio amo la pasta col ragù, ma mi piace molto anche la frutta. Elar vivrebbe di sola pizza invece. – avevo pensato a qualcosa in stile “vampiresco”. Sentendo che non eravamo poi così diversi potei rilassarmi definitivamente. -Come vedi la nostra “dieta” è identica alla vostra. Altre domande? – sorrisi e risposi di no.
 
Gli ero grata per quelle poche ore che ancora mi aveva concesso, così chiamai Layla.
Non potevo dirle come stavano le cose, così optai per una piccola bugia: le avrei affidato i miei cuccioli per quella famosa vacanza.
Lei fu molto sorpresa nel sentire che sarei partita subito e in compagnia. Non mi fece troppe domande, anche perché cercai di tagliare corto, dato che l’indomani saremmo partiti prestissimo.
 
Preparai la ex camera dei miei per Apodis.
In genere le davo una rassettata una volta alla settimana, nonostante nessuno l’avesse più usata, tranne me in qualche rara occasione.
 
C’erano ancora tante domande che avrei voluto porre ad Apodis, ma lo avevo già tartassato abbastanza.
Ma un tarlo non riuscivo proprio a togliermi dalla testa: perché si dava tanto da fare per me? Perché aveva rischiato tanto per una persona che nemmeno conosceva?
Ero talmente distrutta che, nonostante la marea di quesiti che continuavano a moltiplicarsi nella mia mente, non appena toccai il letto mi addormentai.
Il bell’uomo incappucciato mi fece visita anche quella notte, e per la prima volta riuscii a vederlo senza cappuccio.
Anche se era lontano da me, anche se era girato, riconobbi subito quei bei capelli dai riflessi nero cobalto.
 

L'angolo di Cendri/Shera ^o^

Non mi sono dimenticata della corte, scusate la latitanza, ultimamente ero più nella mia fase di lettura/disegno.
Oggi addirittura due storie... uhm, spero allora di non sparire di nuovo XD
Sono terribile, lo so :(
Spero che vi piaccia, se avete commenti, critiche o suggerimenti, sono sempre ben lieta di riceverne.

Una piccola cosa, non ricordo se l'ho già detto, comunque anche a ripetermi nulla di male, ringrazio il mio ragazzo che mi ha fatto da Beta, indicandomi dove sbagliavo e sostenendomi sempre e comunque <3

Ringrazio anche coloro che hanno aggiunto questa storia fra le preferite e le seguite ^^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


"Capitolo Ottavo"


Quando mi svegliai pensai a tutto quello che era accaduto il giorno prima come ad un sogno, a un brutto sogno o a un bell’incubo.
Ma entrando in salotto, e vedendo Apodis tornai a quella strana realtà.
Con gran sorpresa notai che la  tavola era già pronta con la colazione. Nulla di troppo elaborato, giusto quello che serviva per partire.
- Sapevo avresti gradito. – disse lui senza troppe cerimonie. Rispetto a quando lo avevo visto sulle mura, mi sembrava ora più chiuso. Sicuramente era preoccupato, per tutto quello che stava per accadere.
Lo ero anche io a conti fatti, ma cercavo di non pensarci troppo.
 
Mangiai con poca convinzione; quei pochi sogni che avevo conservato li avevo visti prendere fuoco e lasciare posto alla cenere.
Tutto il mio mondo era crollato, non esisteva più alcuna certezza. Certo, ora sapevo tante cose, e sapere dicono sia potere, ma troppo sapere a volte distrugge.
Tra le tante cose che avevo appreso, quella che più mi faceva stare bene era il fatto di sapere che la mia famiglia era comunque al sicuro. Non che prima ci pensassi, ma avevo sempre un po’ il pensiero che vagava verso di loro e verso la loro nuova vita.
- Io so chi ci potrebbe aiutare, ma non possiamo correre diretti da loro: con le guardie alle calcagna è meglio trovare il modo per depistarli. – disse Apodis mentre addentava una fetta biscottata.
- Guardie? Perché non me ne hai parlato?
- Oh ma io ne ho parlato ieri, ho detto che presto qualcuno sarebbe venuto a cercarci. – disse lui serio.
- Sì, ma non avevi parlato di guardie!
- Fa qualche differenza?
- Certo che sì! – mi immaginavo dei servizi segreti molto ben organizzati e degli assassini spietati. La fantasia a volte faceva brutti scherzi. Mentre mi stavo immaginando gli scenari peggiori Apodis sparecchiò la tavola, diretto in cucina per lavare quello che avevamo utilizzato.
- Lascia, ci penso io. – mi offrii, ma lui subito declinò, e in un batter d’occhio sistemò tutto quanto.
- Ora sbrighiamoci però, abbiamo solo qualche ora prima che vengano a cercarci qua in cerca di una pista. Ho molte conoscenze, e alcuni amici potranno aiutarci nella prima fase.
Ora si trattava pure di fasi.
In che razza di guaio mi ero andata a ficcare? Purtroppo non avevo molta scelta: dovevo fidarmi. Lo avrei seguito senza fare troppe storie e tutto sarebbe andato per il meglio.
Apodis mi invitò a preparare un piccolo bagaglio: dovevamo viaggiare leggeri. Per l’occasione aveva anche noleggiato un’auto, una piccola Clio verde. Ci sarebbe servita per una parte del nostro tragitto. Mi chiesi se non aveva in progetto anche di prendere l’aereo.
Mentre mettevo via i pochi abiti che Apodis mi aveva consigliato di portarmi dietro, con la coda dell’occhio lo osservai mentre giocava con Cerby e Morphy.
Se loro due si erano fidati di lui, perché io non dovevo fare altrimenti?
“Spero di tornare presto” pensai dopo avere tolto la chiave dalla toppa. “ Non abbandonateci vi prego”, lanciai una preghiera verso i miei cari.
 
Cerby e Morphy erano tranquilli e furono ben felici di vedere Ly che era già pronta sulla soglia della loro villetta.
Lei e George l’avevano ereditata dai nonni di lui. Anche se non erano spostati, l’anziana coppia aveva fatto loro quel bel dono sapendo che presto quei due sarebbero convolati a nozze.
Ly mi abbracciò raccomandandomi di divertirmi e ricordandomi che avevo un lungo mese tutto per me e per il mio lui.
Non dovevo assolutamente sprecare tempo prezioso: dovevo divertirmi. Lanciò uno sguardo verso la macchina e Apodis.
- È davvero carino… Dove lo hai trovato e perché non me lo hai presentato?  – Certo! Avrei dovuto dirle che lo avevo conosciuto solo il giorno prima, che era un demone che doveva prendere la mia anima e che per non averlo fatto ora eravamo braccati come prede. No, non era il caso.
- Non ci vediamo spesso, e ci siamo visti ieri per caso. Se vado in vacanza prima del tempo è per merito suo. – non mi piaceva mentirle ma non potevo fare altrimenti.
George gli lanciò un’aria sospettosa ma mi incoraggiò anche lui: me la meritavo quella vacanza.
Senza farsi sentire da Ly però si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio “Mi raccomando, se c’è qualcosa, se hai bisogno, chiama!”. Gli sorrisi dicendogli che me ne sarei ricordata, ma che Apodis si sarebbe preso cura di me. Ero in buone mani.
Lo pensavo davvero, non era una semplice scusa per tranquillizzarlo, Apodis era una brava persona.
 
Salutai Ly e i miei piccoli tesori e, temendo che il cuore mi potesse scoppiare da un momento all’altro, salii in macchina pronta a partire per il nostro lungo viaggio.
La paura e le incertezze non tardarono a farsi risentire.
Avevo fatto la cosa giusta? Potevo fidarmi di Apodis? Cosa sapevo di lui? Niente, eppure, per una ragione a me totalmente sconosciuta, mi fidavo.
Nei suoi occhi di ghiaccio avevo visto qualcosa, non so bene che cosa, ma un qualcosa di speciale.
Non era cattivo, tutt’altro, altrimenti non avrebbe rischiato tanto per me.
Mi diedi della stupida, ancora una volta, per tutti quei strani pensieri che uno dopo l’altro cominciavano a formarmisi in testa.
Dovevo essergli semplicemente riconoscente per tutto quello che aveva fatto per me, e non continuare a rimuginarci sopra.
Se anche fossi stata in pericolo mi sarei inventata qualcosa.
Lui era tranquillo alla guida, fresco e riposato, a differenza mia che avevo dormito un po’ pesantemente.
Ero ridotta in un pessimo stato, ma non potevamo certo fermarci per quel motivo.
Sbadigliai e lui allora mi consigliò di riposarmi un po’ dato che il viaggio sarebbe stato ancora lungo. Non sapevo dove eravamo diretti, né quanto il viaggio sarebbe stato lungo. Era davvero opportuno che io mi addormentassi?
- Tranquilla, io ho un’ottima resistenza, quindi posso fare una tirata unica. Per sera dovremmo arrivare a destinazione. – disse lui calmo, aggiungendo poi: - Se serve comunque posso fare qualche sosta.
- È lecito chiedere quale sia la nostra meta?
- Per ora no, ma quando arriveremo credo che gradirai. Ora riposati, anche io devo fare una sosta da un amico. Lui ci aiuterà per depistare le guardie. – sospirò. Mentre diceva quelle cose mi sembrava un po’ teso, ma subito riacquistò la sua calma. - Ci potrà far ottenere un buon vantaggio, o almeno spero – si addolcì e per questo riuscii a rilassarmi un po’.
- Va bene, ma niente scherzi, eh. – lui rise, e sorrisi anche io, anche se non era quello il mio intento. Ero stanca ma al contempo curiosa di vedere un altro demone.
 
 
“Dove diavolo sarà finito? Eppure ieri sera sono stato chiaro” pensò Apodis fissando l’orologio della macchina con un nervosismo tale da impensierire la povera Ayla che finalmente si era riuscita a rilassare.
Con lei non riusciva a mantenere il suo solito fare, non riusciva ad essere distaccato abbastanza. Oscillava fra una calma dolcezza, e la preoccupazione dura che traspariva con il suo solito fare brusco.
Non voleva che lei avesse paura di lui, ma ogni tanto non riusciva a trattenersi.
Finalmente vide arrivare Elar e scese dalla macchina.
Si erano dati appuntamento in un parco non molto distante da Bergamo.
- Scusa se ci ho messo un po’, ma c’era un po’ di caos. Nonostante tutto però ce l’ho fatta e te li ho portati. – disse il giovane demone porgendogli una sacchetta di velluto.
Apodis ne estrasse il contenuto mostrando i cristalli dell’invisibilità.
Erano dei particolari cristalli di un materiale sconosciuto e violaceo. Non rendevano veramente invisibili, ma nascondevano le presenze dei demoni alle altre creature magiche.
Se un demone, che non conosceva Apodis, lo avesse incontrato, non avrebbe percepito la sua vera natura e lo avrebbe scambiato per un umano. Questo avrebbe permesso loro di guadagnare abbastanza tempo e far perdere alle guardie le loro tracce.
 
- Questi non dureranno molto a lungo. – lo ragguagliò Elar. - Avete cinque ore per allontanarvi quanto basta. Ho parlato anche con Wolf, sarà felice di rivederti. – Apodis gli aveva chiesto la sera prima di contattare il vecchio demone austriaco.
Dopo avere dato tutte le informazioni ad Apodis, Elar  si avvicinò curioso alla macchina per conoscere la ragazza responsabile di tanto trambusto.
- Certo che potresti anche presentarci. - disse rivolgendo ad Apodis una piccola smorfia. Si rivolse allora ad Ayla. - Piacere di conoscerla signorina. - Ayla sembrava spaventata.
- Piacere mio signore.
- Non chiamarmi signore. Devi averla terrorizzata Apodis. Non so che ti abbia raccontato, ma non tutti i demoni sono brontoloni come lui. Io ad esempio sono un tipo allegro e simpatico – disse col suo solito fare da simpaticone che aveva fatto cadere molte ragazze ai suoi piedi. Ayla però sembrava essere immune al suo fascino. Era forse timida di natura, pensò Apodis. – Eh,  non ti invidio: avete un lungo viaggio da fare e Apodis sa essere molto noioso quando ci si mette. – disse lanciandogli un’altra occhiataccia. – Ma non preoccuparti, avete la radio funzionante almeno.–
Strappò un sorriso alla ragazza, che ora uscì dalla macchina per stiracchiarsi un attimo prima del viaggio.
Nonostante sentisse il timore di lei, Apodis si rasserenò grazie all’intervento dell’amico. Capiva che il suo carattere poteva mettere Ayla in imbarazzo, ma con l’intervento di Elar forse sarebbe riuscito a non farla spaventare troppo.
Finché si trattava del loro incontro “fortuito” sulle mura, era anche lui più rilassato dato che non doveva dirle la verità.
Ora però che lei sapeva più o meno tutto, le cose erano più complicate. E anche lui non era poi così gioviale.
Fondamentalmente Apodis era timido con le ragazze, e questa sua timidezza spesso si tramutava in quel carattere chiuso e un po’ duro che tutti conoscevano.
Elar gli fece compagnia per un po’ e poi li invitò ad affrettarsi.
Apodis mise in moto la macchina e con un sorriso salutò quell’amico tanto caro, nella speranza di poterlo presto rivedere.
Il suo viaggio con Ayla stava per cominciare.
 
- Simpatico il tuo amico. Siete colleghi? - che strano, parlare di “colleghi”. Ancora mi era difficile capire che per loro era un lavoro. Era strano, ecco.
- Sì. Ci ha fatto davvero un grosso favore, spero non gli succeda nulla. – disse Apodis sospirando tristemente.
Elar era un simpatico demone, sembrava molto più giovane rispetto ad Apodis, ma immaginavo anche che per loro l’età fosse un dato molto relativo. Chissà quanti anni aveva Apodis in realtà…
Con lo sguardo fisso davanti a me pian piano scivolai nel sonno e, non mi risvegliai che nel tardo pomeriggio.
Guardando fuori dal finestrino mi accorsi che eravamo in un paesino a me sconosciuto. A giudicare dall’architettura dovevamo essere in Austria.
E io che credevo di svegliarmi ancora in autostrada! Invece ora scoprivo di essere addirittura in un’altra nazione.
Apodis stava guidando tranquillamente nel traffico cittadino; sembrava pratico del luogo.
- Ben svegliata! Sono le quattro e mezza, sai. Siamo in Austria se vuoi saperlo. – me lo sentivo! Tra tutte le mete possibili però l’Austria era proprio l’ultima nei miei pensieri.
Ero però contenta di quella bella sorpresa.
Da piccola l’avevo visitata molto spesso, e mi era rimasta nel cuore. Trovarmi lì era come essere tornata di nuovo bambina.
- Ah, puoi spiegarmi una cosa? “Gli usignoli cantano bene”?
- Eh? – di che parlava? La troppa guida lo aveva mandato fuori di testa?
- Lo hai detto nel sonno. Nel tuo fascicolo non c’era scritto che parlavi nel sonno. – colpita e affondata. Pensavo di avere passato quella fase, dannazione!
- Non ricordo di avere sognato usignoli. – mi scusai io. – Spesso nel sonno dico cose insensate. – “E non solo nel sonno”, aggiunsi fra me e me.
 
Apodis mi informò del fatto che, grazie anche all’aiuto di Elar, era riuscito a mettersi in contatto con uno dei suoi amici, il quale si era detto ben felice di accoglierci in casa sua e darci rifugio.
Da quanto mi aveva spiegato, avevo appreso che l’amico non vedeva di buon occhio la corte dei demoni: il figlio era stato giustiziato perché innamorato di una mortale e a nulla erano valsi i suoi tentavi per aiutarlo. Venne ucciso assieme all’amata sotto agli occhi di tutta la corte. Barock e molti altri demoni erano contrari, ma la legge era estremamente rigida su questo argomento.
A sentire quelle cose avvertii una fitta al petto.
Capivo che non si potesse approvare un’unione, ma da qui ad arrivare ad un’esecuzione… No, era per me inaccettabile.
Non ero mai stata fanatica delle tragedie alla “Romeo e Giulietta”, ma non potevo non difendere l’amore, specie se vero.
- Ora dove siamo di preciso? – chiesi impaziente di potermi stiracchiare un po’ e uscire dalla macchina per sentire l’aria fresca della sera.
- Siamo a Salisburgo. Poco lontano da qua vive Wolf, il mio amico. Lui vive con gli uomini, sa mimetizzarsi molto bene, conducendo comunque una vita ritirata. Ama la vita tranquilla. – sembrava un tipo a posto. La sofferenza per la perdita del figlio doveva averlo messo a dura prova.
Usciti dalla strada principale imboccò una stradina che, nel giro di pochi minuti, ci portò davanti ad un’immensa villa nella periferia della bella città austriaca.
Si fermò davanti a un cancello in ferro battuto.
- Eccoci arrivati. – scese dall’auto e si stiracchiò. Io non riuscivo a muovermi, nonostante avessi bisogno anche io di scendere.
Ero rimasta imbambolata a contemplare la stupenda abitazione.
Apodis si avvicinò al citofono, ma non sentii cosa disse, presa com’ero dallo studio della villa e dell’ambiente circostante.
Il cancello si aprì e lui tornò in macchina per riavviarla e per poter entrare. Avanzammo di qualche metro, fino a piazzare la macchina nel piccolo parcheggio della villa.
Lui scese subito guardandosi attorno, in attesa dell’amico che prontamente uscì dalla villa venendoci incontro.
Non appena vide Apodis lo abbracciò scompigliandogli i capelli come fosse un ragazzino.
“Deve essere lui” pensai, felice di constatare quanto demoni e uomini, in fatto di sentimenti e affetti, fossero simili.
Vedendoli così affettuosi fra loro mi venne da sorridere, ma non con fare canzonatorio: ero felice e basta.
Apodis mi piaceva, mi ispirava fiducia, nonostante sapessi poco o niente di lui. Vederlo sotto quella luce mi permise di abbassare definitivamente ogni difesa e dimenticare ogni dubbio.
Avevo ancora qualche remora sul fatto di farmi guidare da un demone, reduce comunque dai racconti e dalle leggende popolari. Quel tipo di demone di cui avevo sentito parlare per anni era solo frutto di una distorsione creata dall’uomo.
Quei demoni invece erano delle brave persone, non molto diverse dalle tante persone che avevo conosciuto negli anni.
Un po’ come Gabriel, Ivan o George.
- Vecchio mio, allora come stai? – chiese ad Apodis.
Anche il padrone di casa, Wolf, era molto carino.
Non avevo chiesto ad Apodis se i demoni fossero immortali o longevi. Di sicuro potevano vivere più a lungo di noi uomini.
Ripensando ai discorsi su Barock e sull’esilio dei demoni e delle altre creature, come minimo, si parlava del periodo dell’inquisizione.
 
Una volta distolta da quei pensieri mi riconcentrai sui demoni, e osservai meglio Wolf. Lui era un poco più alto di Apodis, capelli corti color mogano e gli occhi ambrati.
Aveva un’espressione simpatica, e dall’atteggiamento che mostrava con Apodis ero abbastanza sicura del fatto che fosse una persona davvero gradevole.
 Non riuscivo però a schiodarmi dalla macchina. Non avevo paura di Wolf, ma non sapevo come comportarmi.
Apodis, che forse intuì il mio imbarazzo, mi si avvicinò, bussando al finestrino ed invitandomi ad uscire.
 Nonostante il fatto che stessi arrossendo fino alla punta delle orecchie, non potevo certo passare tutta la giornata lì dentro, così riuscii a vincere sulla mia timidezza e ad uscire.
- Ehm, salve. Molto piacere. – non sapevo che altro dire e in che altro modo presentarmi. Optai per qualcosa di semplice, la buona educazione paga sempre.
- Così è questa la ragazza di cui mi hai parlato al telefono. Molto lieto signorina, devo farle i miei complimenti. In pochi riescono a far muovere tutta la corte, ma voi ci siete riusciti. Tanto di cappello. – sembrava divertito dalla situazione. L’intera corte era già sulle nostre tracce? C’era qualcosa che Apodis non mi aveva ancora detto per caso? Capivo che la sua fosse stata una grave mancanza, ma addirittura muovere l’intera comunità mi sembrava esagerato.
Forse c’era in ballo qualcosa di molto più grande di me e di Apodis.
- Wolf non cominciare per favore. – tagliò corto il demone dai capelli color cobalto.
- Andiamo, lo sai come la penso. – scherzò Wolf. – Era ora che qualcuno si muovesse, il sistema non ha mai funzionato, da quando…- si rabbuiò per un istante, - Beh lo sai. La rivoluzione è alle porte e la corte è piuttosto divisa. Serve qualcuno da fuori per sistemare le cose, e voi siete adatti per lo scopo. – riprese il suo fare dolce e simpatico. – Posso sapere il nome di questa incantevole fanciulla? – era fin troppo galante per una come me. Non potevo però negare che tanta cortesia mi aveva colpita.
- Mi chiamo Ayla, signore.
- Non chiamarmi signore che mi fa sentire vecchio. Solo Wolf! Devo complimentarmi anche per un’altra cosa. – e lanciò un’occhiata ad Apodis, afferrandolo per una spalla, – questo vecchio brontolone non si era mai innamorato, e borbottava cose del tipo “Mi innamorerò solo quando vedrò un ippopotamo e un coccodrillo prendere insieme il tè con abiti ottocenteschi.” – fissai Apodis stupefatta: usava espressioni simili alle mie.
- E non sono innamorato tutt’ora. – tagliò corto Apodis. - Faccio solo quello che ritengo giusto, Wolf. – ribadì lui imbarazzato e lanciandogli occhiate di fuoco.
- Certo, certo, come vuoi te. – Wolf si riconcentrò allora su di me. - Comunque Ayla, non preoccuparti per le frasi particolari che usa. È strano, ma è un bravo ragazzo. – i suoi modi mi piacevano sempre di più. Decisi però di andare incontro ad Apodis che sembrava decisamente in difficoltà.
- Oh, ma anche io uso frasi simili. Alla mia amica dico sempre che mi innamorerò solo quando vedrò un corvo e un gatto nero ballare il tip tap. – io e Wolf scoppiammo a ridere.
Mi piaceva, era divertente e simpatico, una persona gioviale e carismatica.
Era a dir poco fantastico, e io non avevo dimenticato il racconto di Apodis su Wolf e sulla grave perdita da lui subita.
Conoscendolo non potevi fare a meno di apprezzarlo e di diventare subito suo amico. Aldilà del suo bel sorriso però sapevo che dolore immenso si celava.
Apodis era rimasto un po’ sulle sue, ma lo vidi abbozzare un sorriso e, non appena notò che lo stavo guardando sorridendo, tornò serio.
- Almeno avrai una simpatica compagna di viaggio. – disse Wolf all’amico ritrovato. - Non lamentarti troppo, poteva andarti peggio. – e gli strizzò l’occhio di nuovo, come se avessero qualcosa in mente che io non dovevo sapere.
Apodis borbottò qualcosa che non capii, ma decisi di non indagare oltre, e lasciarli coi loro segreti.
Wolf ci fece fare un giro della tenuta, prima nel giardino e poi, dato che stava calando il buio e il freddo, all’interno.
La villa era in uno splendido stato. Definirla rustica era riduttivo. Lo stile che aveva scelto per l’arredamento era comunque classico, pur non mancando oggetti appartenenti all’era moderna.
Wolf era riuscito a creare la perfetta armonia fra il vecchio e il nuovo. Anche se quella non era la mia casa non mi sentivo fuori luogo. C’era una certa aria di familiarità che subito metteva a proprio agio anche la persona più timida.
Wolf ci fece accomodare nel salotto principale in attesa della cena. Il caminetto era acceso, e io rimasi estasiata a guardarlo.
Ero un’amante degli arredamenti particolari e che richiamavano un po’ ai tempi antichi.
Se avessi potuto vivere in una villa del genere non sarebbe mai mancato il caminetto e, cosa che amavo e che era al centro delle mie più romantiche fantasie, il letto a baldacchino.
Ci servì del tè, e intorno alle sei, dopo una lunga chiacchierata, ci invitò a salire nelle nostre stanze per darci una rinfrescata e per cambiarci prima della cena.
Uno dei domestici di Wolf aveva portato il mio bagaglio nella bellissima camera che mi era stata destinata.
Era grande il doppio della mia stanza a casa, e c’era un favoloso letto a baldacchino, le cui coperte e lenzuola erano di un chiarissimo azzurro. Il mio colore preferito, uno dei tanti.
No sapevo se Wolf sapesse leggere nel pensiero, ma aveva comunque azzeccato i miei gusti.
Per coronare i miei gusti poi, c’era un caminetto acceso, più piccolo di quello del salotto.
Anche se era evidente che il caminetto era stato acceso da poco, la stanza era piacevolmente tiepida.
Di fronte al letto matrimoniale c’era un grande armadio, e vicino all’entrata un bel comò.
Decisi però di non sfruttarli dato che Apodis mi aveva lasciato intendere che la nostra sosta lì non sarebbe stata molto lunga.
Estrassi dalla valigia tutto l’occorrente per il cambio e andai nel bagno adiacente alla mia camera.
Era davvero grande, ma del resto, con una villa del genere, non potevo aspettarmi altro.
Il bagno mi tentava, ma temevo che mi sarei addormentata, e non sarebbe stato molto carino nei confronti del padrone di casa; così optai per una doccia veloce.
Infatti, non appena finii di vestirmi, Apodis venne a chiamarmi.
Mi presentai con un maglioncino e una gonna lunga; niente di particolare, qualcosa di semplice e pratico.
Wolf era un’ottima compagnia, e i cuochi erano davvero eccezionali. Non avevo mai mangiato così bene, ci presentarono varie specialità, e per finire un delizioso strudel, dolce che adoravo.
 
Passammo una serata piacevolissima, molto diversa dalla precedente. Dimenticai del tutto i problemi che, presto o tardi, sarebbero venuti a cercarmi.
Apodis era stato molto chiaro: non avevamo molto tempo a disposizione per depistarli, e la sosta in Austria sarebbe stato un ottimo espediente per riuscire nello scopo iniziale.
Conoscevo solo questa fase. Le altre mi erano ancora celate, ma sapevo che dovevo fidarmi di lui.
Ero un po’ dispiaciuta del fatto che Apodis non mi rendesse partecipe delle sue scelte: mi sentivo un po’ inutile.
Cercai comunque di capire il suo punto di vista, il perché lui agisse in quella maniera.
Non la vedevo come una mancanza di fiducia, però avrei comunque desiderato che lui si aprisse maggiormente con me.
Restammo in piedi a parlare fino a tardi e allora cominciai a sbadigliare con le lacrime di sonno agli occhi.
Wolf sorrise. Forse mi credeva ancora un po’ bambina, e, con fare paterno, mi accompagnò fino alla mia stanza augurandomi la buonanotte.
Prima di congedarsi da me mi sussurrò all’orecchio che aveva in serbo per me una bella sorpresa.
- Che genere di sorpresa? – chiesi con voce impastata.
- Lo scoprirai solo domani. – disse lui ammiccando.
Io sorrisi di rimando e salutai lui e Apodis.
Immaginai che quei due avessero cose importanti da dirsi. Cose che non volevano che io sapessi… non ancora almeno.
Ero però così stanca che non ebbi il tempo di fare nient’altro che spogliarmi ed infilarmi nel letto.
Quella notte non sognai ancora i mostri e la grande sala da ballo.
Sognai semplicemente Apodis.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


"Capitolo Nono"


La sorpresa di Wolf non consisteva in altro che in una visita guidata della città, dalla Getreidegasse, la casa di Mozart, ai musei e i castelli.
Per proteggerci dalle guardie, Wolf ci consegnò dei bracciali fatti con la pietra dell’invisibilità.
Il bracciale era impregnato di quel potere, tanto da poterci garantire protezione per qualche giorno. Wolf ne aveva in casa alcuni, quindi avremmo potuto approfittare della sua ospitalità per parecchio tempo.
Da una parte non volevo abusare della sua cortesia, ma era una compagnia talmente piacevole che già sapevo che il momento del distacco sarebbe stato molto triste.
Scoprii con piacere che Wolf era un ottimo cuoco, nonostante avesse degli esperti che cucinavano per lui.
Nei giorni di riposo del suo personale ci pensava lui alla cucina.
Durante il breve periodo che passammo a casa sua ci fece preparare ottimi piatti della tradizione austriaca.
“Beh, li perderò poi i chili persi. Non posso certo rifiutare simili leccornie” pensai.
 Ne approfittai anche per farmi spiegare qualche trucco. Non ero un asso ai fornelli, ma i dolci, modestia a parte, mi venivano davvero deliziosi.
“Quando tornerò a casa sorprenderò Ly con questa ricetta” e mentre formulavo quel pensiero, mi chiesi se mai avrei potuto farvi ritorno.
In quel momento ero seduta in giardino, a respirare la fresca aria della sera.
- Ti vedo pensierosa Ayla, c’è qualcosa che ti turba? – Wolf sbucò fuori dal nulla facendomi sussultare per la sorpresa. Stava reggendo un vassoio con due tazze di tè.
- No, niente di che, Wolf. Grazie.
- Sai, durante l’autunno non c’è niente di più bello che prendere il tè in giardino. Almeno per me. Mi piace il contrasto caldo-freddo. – disse lui avvicinandomi il vassoio e invitandomi a prendere una delle tazze.
- Grazie. – era un po’ che non vedevo Apodis. Chissà che fine aveva fatto…
- Lui è in giro, ma tornerà presto. – disse Wolf sorseggiando il tè come se nulla fosse.
- È così semplice capire a cosa sto pensando? – presi anche io un sorso della calda bevanda ambrata.
- Né sì né no. Semplicemente era scontato, del resto tu e lui avete cominciato insieme questa vostra avventura. No?
- Sì, e mi chiedo se mai avrà una fine. Una fine positiva. – sospirai, lasciandomi così andare ed esponendo i miei pensieri, le mie preoccupazioni. – Per colpa mia molte persone rischiano di passare dei seri guai. E non è giusto. Anche tu stai rischiando grosso ospitandoci, non è vero? – non riuscivo nemmeno a guardarlo.
- Non è colpa tua, Ayla. – disse mettendomi una mano sulla spalla. – Apodis ha agito di sua spontanea volontà, e così anche io. – Wolf prese un’aria seria, che gli avevo visto prendere solo quando aveva accennato alla sua famiglia.
- La corte ha un grande potere, su tutti noi. Barock, ai tempi della sua creazione, l’aveva impostata davvero bene. Ciò che lui desiderava sopra ogni cosa era l’armonia fra tutti noi. Poi però le cose sono cambiate…
- …per colpa degli uomini - aggiunsi io, ma Wolf scosse la testa.
- Non solo. Molti sostengono che ad avvelenare il cuore degli uomini fossero stati alcuni demoni. Solo che la cosa gli si è ritorta contro.
- Cioè? Perché fare una cosa del genere? – gli chiesi sbalordita.
- Apodis ti ha spiegato che esistono demoni, come Barock e noi altri, che confidano nell’uomo e in una riappacificazione. Giusto? – annuii. – E ti ha anche detto che esistono demoni che invece preferirebbero mettere voi altri al bando, o schiavizzarvi, o comunque trovare un modo come un altro per farvela pagare per aver dovuto ricorrere a una dimensione parallela o alla mimetizzazione al fine di vivere serenamente? – annuii, ancora non capendo dove volesse andare a parare.
- Vedi, Ayla, secondo alcuni demoni il primo uomo che cominciò a sollevare polemiche e a fomentare l’odio verso noi altri, era stato “infettato” da alcuni demoni che volevano maggior potere e rendere l’uomo una propria marionetta. A quei tempi, nonostante fossero i demoni a gestire gran parte delle attività di questo pianeta, erano comunque gli uomini che in una certa maniera la facevano da padroni. Non erano cattivi: solo mettevano le loro credenze davanti a tutto e a tutti. Anche all’evidenza. – Wolf finì di sorseggiare il suo tè e riprese. – Nonostante esistessero persone capaci di interagire con le creature più antiche in perfetta parità, altri uomini ci fissavano dall’alto in basso, mal celando la propria paura. Questo però non aveva mai interferito in maniera tale da rendere la nostra convivenza quasi impossibile.
- E poi arrivò quel giorno. Cominciò uno, con una bella parlantina, e la piaga si diffuse: noi venimmo cacciati o uccisi, portando così il nostro re a prendere la decisione che già sai.
- L’altra dimensione.
- Esatto. Oggi ci viene più naturale mimetizzarci, ma ai tempi non era così semplice. In antichità non era nemmeno proibita l’unione fra noi altri e gli uomini, ma dopo quel fatto vennero vietati i contatti, pena…
- … la morte. – dissi io con il fiato mozzato.
- Immagino che Apodis ti abbia accennato alla triste sorte del mio povero figlio Byron.
 - Sì, giusto un accenno.
- Lui era giovane, e lei una brava ragazza, come te. Purtroppo però era da neanche un secolo che era stata creata l’altra dimensione, e la maggior parte di noi temeva gli umani. Lina era davvero cara, e io l’avevo accettata in casa nostra come una figlia.
- Quando però Sylas lo scoprì, imprigionò sia lei che mio figlio. Ai tempi ero una persona influente alla corte, e Barock fece di tutto, assieme ad altri esponenti, per evitare la condanna.
- Sfortunatamente però eravamo troppo pochi… e Sylas vinse. – disse con una voce priva di emozioni.
- Mia moglie morì di crepacuore. Mentre io, come vedi, sono ancora qua, a piangere la loro scomparsa. – disse lui sorridendo. Sapevo però che dietro a quel sorriso si celava il più grande dei dolori.
- Mio figlio non fu l’unico a subire questo trattamento. Molti altri finirono per cadere vittime della corte. Io da allora mi sono allontanato perché questo atteggiamento non lo potevo, e non lo posso tuttora concepire. Però qualcosa è cambiato.
- Una delle antiche dee una volta intervenne, e riuscì a salvare una coppia. Lasciando però per sempre questo nostro mondo.
- Davvero?
- Sì. Da allora non si sono registrati altri casi. O meglio, quando capitavano intervenivano le forze speciali per cancellare la memoria degli umani, e ai demoni malcapitati venivano applicati gli “arresti domiciliari”, come li chiamate voi. Il divieto assoluto di lasciare la corte. Se malauguratamente nascevano mezzi demoni, questi venivano presi dalla corte. – anche se ancora quel genere di rapporti era considerato proibito, una piccola apertura c’era stata.
- Quello che però ha fatto Apodis, a sentire voi, è di gran lunga peggiore, o sbaglio? – Wolf sorrise e in quel momento apparve proprio Apodis.
- Di che stavate parlando voi due? – chiese lui squadrandoci. Prima che potessi rispondere Wolf prese la parola.
- Oh niente… stavo dicendo ad Ayla che la sua compagnia è stata davvero un toccasana per me. Potreste anche rimanere qua con me per sempre. – disse lui ridendo. – O meglio, Ayla resta, e tu puoi andartene in giro con quell’aria da cane bastonato che ti ritrovi. – Apodis sembrò prendersela parecchio.
- Non fai ridere, Wolf! – lo fulminò con lo sguardo.
- Comincia a fare fresco, che ne dite di entrare? – chiesi io cambiando discorso.
- Mi sembra un’ottima idea. Il freddo mette appetito; per stasera ho in serbo per voi delle vere delizie. Ah, Ayla, - sospirò, - la cucina austriaca e anche quella tedesca vengono spesso sottovalutate, ma non hai idea di quante sorprese celino in realtà. – mi trascinò all’ingresso.
Non ne ero certa, ma mi parve di vedere Apodis sorridere con un calore che negli ultimi giorni non ero riuscita più a scorgere in lui.
 
Era quasi una settimana che eravamo ospiti di Wolf e oramai non volevo più abbandonare quella casa e il suo eccellente ospite.
Apodis però non era dello stesso avviso.
Spesso mi lasciava sola con Wolf, che si era dimostrato ben lieto di scortarmi in giro. Una delle rare occasioni in cui potemmo passare un po’ di tempo assieme fu il giorno in cui Apodis mi portò a visitare l’Hohensalzburg.
- Quel giorno l’avete scampata, ma non so per quanto ancora potremo ingannarli – mi disse ad un tratto Wolf nella pasticceria dove ci eravamo fermati per fare merenda.
- Uhm?!? Come?
- Sai quando Apodis ti ha trascinata via per portarti a visitare il castello? – cominciai quindi meglio a capire le dinamiche di quel pomeriggio.
 
Eravamo in giardino da Wolf quando uno dei domestici arrivò annunciando l’arrivo di due strani tizi.
Wolf fece qualche domanda in tedesco al ragazzo, e dopo parlò con Apodis che subito si affrettò a portarmi via dalla villa per farmi visitare il castello.
Non che la visita mi fosse dispiaciuta, anzi, finalmente potei approfittare dell’occasione per stare un po’ sola con Apodis dato che dal nostro arrivo in Austria non avevamo avuto molte possibilità per parlare.
Purtroppo però lui fu teso tutto il tempo, così non ebbi nemmeno il coraggio di chiedergli qualcosa sul nostro viaggio.
L’unica cosa che sapevo era che non saremmo rimasti per sempre ospiti di Wolf.
 
- Quindi quei due signori che sono passati a casa tua erano…
- Sì, hai intuito bene. Si trattava di alcune guardie della corte. Quei bracciali sono stati la vostra salvezza. – c’era una cosa che non mi tornava però con tutta quella storia.
- Wolf, perché anche io devo indossarli? Non sono una demone, quindi perché? – Wolf mi prese il braccio e toccò il bracciale.
- Questa pietra su voi uomini ha un effetto particolare. A noi demoni toglie la nostra “aura”, che viene percepita da tutti i demoni, o da altre creature superiori. A voi uomini invece cambia i connotati. – lo fissai perplessa. Lui, vedendo la mia espressione sorrise e mi spiegò meglio. – Cambia le vostre caratteristiche fisiche agli occhi di noi altri. Per gli altri umani tu apparirai sempre e comunque come sei sempre stata. Per me e Apodis che sappiamo chi sei però, tu non hai cambiato aspetto. Questa cosa si è resa necessaria perché, prima di tutto, stando a contatto con noi demoni, lasci ora anche te una “scia”; secondariamente, avendo una copia del tuo fascicolo, possono riconoscerti.
- Capisco. – dissi sospirando.
- Elar l’altro giorno ci ha contattati. La corte è sul piede di guerra per quanto accaduto. Presto dovrete lasciare anche casa mia… non so per quanto ancora potrò nascondervi. – sembrava che si sentisse in colpa dal tono della sua voce.
- Hai fatto anche fin troppo Wolf. – gli dissi sorridendo.
Ritornammo a casa e ad aspettarci c’era Apodis con un’espressione che non prometteva nulla di buono.
- Ayla, prepara i bagagli! – io e Wolf ci scambiammo uno sguardo che diceva molto più di mille parole.
 
Salutammo Wolf ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto per noi. Avevamo passato dei giorni felici in sua compagnia e congedarsi dopo essere stati tanto bene ci rendeva tutti tristi.
- Mi spiace che ve ne dobbiate andare, spero che riusciate a sistemare tutto. Fosse per Barock non credo ci sarebbero problemi. No, il nostro re è buono. È la stramaledettissima corte che crea un problema dopo l’altro. – lo sentii imprecare sottovoce. Lo vidi rovistare nella tasca della sua giacca e poi ne estrasse un piccolo cofanetto – Ayla ho un piccolo regalo per te. Apparteneva a mia moglie. Me la ricordi molto. – disse con uno dei suoi caldi sorrisi. - Spero possa portarvi fortuna. – Era una catenina con un ciondolo a forma di fiocco di neve. Il ciondolo sembrava fatto di cristallo, ma poco mi importava del materiale: lo trovavo un regalo fantastico.
Subito abbracciai Wolf con le lacrime agli occhi.
- Non dovevi.
- Lo so. Tratta bene questa ragazza Apodis. – disse guardandolo con fare paterno. Apodis annuì e mi invitò a seguirlo.
Lasciavo una parte del mio cuore in quella città che anche in passato mi aveva regalato tanto.
Ci salutammo e lui rimase al cancello  finché non sparimmo all’orizzonte.
- Spero di rivederlo un giorno. – dissi mentre superavamo il cancello della villa.
 
Viaggiammo per tre giorni, facendo quelle poche soste necessarie: si trovava un albergo, ci si coricava presto e la mattina si partiva non appena si poteva.
Arrivammo in un paesino della Germania meridionale, e lì incontrammo un amico di Apodis: Balzer.
Balzer era un demone alto quanto me. Sembrava un ragazzino di massimo sedici anni. Capelli corti e nerissimi, occhi chiari e un volto sorridente.
- Eccovi finalmente, cominciavo a temere che vi avessero presi. – disse lui porgendomi la mano. – Piacere, io sono Balzer.
- Ayla, piacere mio. – Apodis aveva contattato Balzer per poterci scortare fino all’ingresso della foresta, e per lasciargli la macchina di Apodis noleggiata in Italia. Lasciare in giro quell’auto avrebbe fornito alle guardie una pista.
Balzer ci informò del fatto che due giorni prima le guardie lo avevano contattato. Probabilmente lo avevano fatto con tutti gli amici di Apodis, pensando che lui li avrebbe contattati.
- Non escludo il fatto che possano avermi anche messo sotto sorveglianza, però per il momento non ho percepito nessuno. – Apodis e Balzer parlarono poi in una lingua a me sconosciuta.
- Sarà meglio quindi sbrigarci. Grazie per l’aiuto Balzer.
- Figurati amico. – Balzer accese l’auto e partimmo.
Arrivammo dopo neanche venti minuti all’ingresso della foresta.
- Avrete una bella camminata da fare, ma almeno riuscirete a tenere nascosta la vostra presenza alle guardie. Quei bracciali hanno poco potere. Credo che fra mezz’ora saranno inutili. – disse indicandoli.
- Questa foresta ha un potere tutto suo, Ayla. – cominciò Balzer. – Dicono che una volta fosse la dimora di Iris, e che per questo i poteri di tutte le creature vengano come annullati. Iris non amava la confusione.
- Chi è Iris? – Balzer mi fissò a bocca aperta.
- Ma come, non sai chi è Iris? – io scossi la testa.
- È incredibile! – era tanto grave che non conoscessi questa Iris?
- Iris è una delle grandi dee. Molti secoli fa viveva in questo mondo; poi, in seguito ad alcuni fatti incresciosi ha abbandonato questa terra. – tagliò corto Apodis. Balzer stava ancora borbottando su quanto gli umani non sapessero niente della vita e cose del genere.
- Perché se la prende tanto? – sussurrai ad Apodis.
- Balzer è una specie di professore, e per lui la storia è tutto. Voi umani lo mettete sempre un po’ in crisi con la manipolazione della storia. Anche i vostri “miti” per lui sono una terribile offesa. Non farci troppo caso. – anche se non capivo fino in fondo il punto di vista di Balzer mi sentivo comunque parzialmente colpevole.
- Mi spiace Balzer, non sapevo queste cose. Magari la prossima volta che ci vedremo potresti spiegarmi… - prima che finissi il discorso Balzer mi afferrò le mani con gli occhi che brillavano.
- Sarà un vero piacere Ayla. Ti aprirò gli occhi su tutto quello che gli umani hanno manomesso. – cominciò così a parlare a vanvera di cose che non riuscii ad afferrare.
Apodis prese il nostro bagaglio dal baule. Dato che avevamo preso poca roba, Wolf ci aveva regalato uno zaino da escursione per mettere tutta la nostra biancheria assieme. Apodis insistette per volerlo portare lui, e decisi di non discutere.
- Buona fortuna, e non fatevi catturare! – “Come se ne avessimo l’intenzione” pensai mentre lo vidi andare via.
- Coraggio Ayla, andiamo.
 
La foresta sembrava immensa e, guardandomi intorno, notai che quello che avevamo preso non era un percorso molto battuto.
Mi piaceva camminare, ma non ero un’atleta.
Per fortuna Apodis aveva a che fare con una ragazza non fanatica del tacco: con quelle scarpe non sarei certo riuscita a seguirlo.
- Apodis? – Apodis si girò per guardarmi.
- Cosa c’è Ayla?
- In tutti questi giorni mi hai trascinata a destra e manca, senza mai darmi qualche informazione in merito. Potresti stavolta dirmi almeno dove stiamo andando? Questa foresta sembra disabitata e io non credo sia il caso di accamparci qua fuori per la notte.
Lui mi fissò e con calma mi spiegò che in quella foresta vivevano dei suoi amici.
- Sei certo che avranno voglia di ospitarci? Non sono nemmeno al corrente del nostro arrivo.
- Non avrei avuto modo di avvisarli anche volendo. Stai tranquilla e seguimi, la strada è ancora lunga.
 
Mi sembrava di girare in tondo: il paesaggio pareva rimanere sempre lo stesso. L’ansia e la paura cominciarono a farsi risentire.
E se tutta quella fosse un’illusione creata da qualche demone per fregarci?
Apodis mi aveva detto che esistevano tanti demoni con diversi poteri; poteva tranquillamente esistere un tipo di demone capace di creare illusioni!
- Ayla, ce la fai?
- Sì sì, certo che ce la faccio. – per fortuna ero abituata anche ai percorsi di montagna, e anzi, ero anche affascinata dai sentieri dei boschi. Da piccola, spesso e volentieri ero solita fare escursioni con la mia famiglia.
Ero un po’ fuori allenamento, ma, come si dice “una volta che impari ad andare in bici non lo scordi più”.
Se da bambina adoravo questo genere di gite, nel periodo adolescenziale l’amavo un po’ meno, presa da altro.
A distanza di tempo potevo riconoscere la bellezza di quelle esperienze, e anzi, con la giusta età sarei stata meglio in grado di apprezzarle.
Non potevo certo scordarmi però che quella non era una gita di piacere, ma una fuga in piena regola.
 
Oramai erano passate tre ore da quando avevamo cominciato a camminare nella foresta, e non avevamo visto neanche un qualcosa che dimostrasse la presenza di qualcuno che vi abitasse.
Apodis non mi aveva detto niente, ma avevo supposto che i suoi amici abitassero nel fitto del bosco.
Io non ce la facevo più e mi accasciai sopra a un masso.
- Ti prego, concedimi cinque minuti di pausa. – implorai col fiatone. Lui ci ragionò su un attimo, si tolse lo zaino dalla schiena e poi si accovacciò. Io lo guardai basita.
- Su, salta in groppa.
- Che? Stai scherzando vero? – con tutto il mio peso lo avrei schiacciato, poverino.
- Salta su e non discutere. Te l’ho già detto che noi demoni siamo più forti di voi. Il mio fisico regge molti più sforzi di quanto tu non possa pensare, quindi non protestare e lascia che ti trasporti io. – mi guardò con un’espressione seria. - Non abbiamo tempo da perdere! Fra poco calerà la notte e sappi che non ho la minima intenzione di starmene fuori al freddo.
Ci pensai su un attimo e poi risposi: - Stai dicendo che sono grassa? – lui sbuffò e riuscì in qualche modo a caricarmi sulla schiena.
- Ma… e lo zaino? – Apodis lo nascose.
- Tornerò poi a prenderlo, tanto di qua non passa nessuno. Reggiti ora, mi raccomando. – avevo forse scelta? Era uno zuccone che aveva già preso la propria decisione a dispetto del mio parere in merito.
 
Apodis aveva due facce, una seria e l’altra più allegra e premurosa. Non riuscivo ad inquadrarlo ancora del tutto, ma sapevo che aldilà di tutto, avrei sempre potuto fidarmi di lui.
Anche nella cattiva sorte riuscivo a trovare qualcosa di buono. Non era il caso di lamentarsi: poteva andarmi molto peggio in fondo.
Un pensiero mi attraversò la mente, e subito mi detti della cretina. Io che pesavo a cose simili? Non era certo una cosa accettabile, nossignore!
Mi appoggiai a lui. Aveva un buon profumo e i suoi capelli avevano proprio un bel colore; io avevo sempre preferito il castano, ma anche così, nero cobalto, non erano male.
Mi sarebbe piaciuto vedergli gli occhi. Avevano una tonalità molto chiara, e il suo sguardo era di ghiaccio; ma con questo sole, il sole del tramonto, per me erano addolciti, anzi, sarebbero sembrati più… caldi, ecco.
Rabbrividii, ma non capii il perché.
Diedi la colpa al freddo che cominciava a farsi sentire.
Apodis mi chiese d’un tratto se stessi bene.
Avevo un semplice giacchino addosso che per fortuna mi riparava piuttosto bene e riusciva a trattenere abbastanza calore.
L’autunno mi piaceva moltissimo, e, in altre circostanze, avrei trovato la cosa molto romantica.
Cosa c’è di più bello del passeggiare insieme al proprio amato in un bosco pieno di fogliame, un tappeto dai mille colori sotto di noi e il tramonto? Forse solo la neve avrebbe potuto battere tale momento… dico forse. In effetti una dichiarazione sotto la neve non sarebbe stata male.
- Se non fosse che così potrebbero rintracciarci prima userei il teletrasporto. – disse forse più a sé che a me.
Giusto, il teletrasporto! Avevo dimenticato che Apodis avesse quell’abilità.
- Perché ci rintraccerebbero?
- Quando usiamo il teletrasporto lasciamo come una scia. E il potere protettivo del bracciale e della foresta verrebbe comunque meno. Ogni demone lascia una scia diversa, e i cacciatori, le guardie che ci stanno inseguendo insomma, riescono a vederla e a sfruttarla. – sembrava infastidito da questo. - Quindi non posso sfruttare questo potere, mi spiace. Per ora credo che il nostro piano abbia funzionato, ma meglio non adagiarsi troppo sugli allori. Siamo quasi arrivati. Questi amici si sono trovati in una situazione simile a quella del figlio di Wolf, e come noi avevano la corte col fiato sul collo. Rispetto a Byron e alla sua ragazza umana, loro furono molto fortunati: si sono beccati “solo” l’isolamento da tutta la comunità. – Wolf mi aveva accennato il fatto che una coppia si era, in una qualche maniera, salvata dalle grinfie della corte.
- Solo io so dove loro si trovano, e il padre di Ael, questo mio amico.
- Credo saranno felici di vederci, non ricevendo molte visite. Quelle poche volte che passo mi accolgono con tutti gli onori, sono molto ospitali. – dopo aver conosciuto diversi amici di Apodis ero piuttosto sicura del fatto che anche loro sarebbero stati simpatici.
 
Intravidi in lontananza una piccola casetta su due piani. Mi ricordava le belle baite che avevo visto spesso nei viaggi in montagna.
Notai subito che dal camino usciva del fumo, quindi doveva esserci qualcuno in casa.
- Quella è casa loro. Siamo arrivati finalmente. – io ammirai la bella dimora, senza lasciare Apodis, il quale poi mi chiese di scendere.
- Oh sì, hai ragione, scusa, è che ero davvero comoda. Scusa per il disagio.
- Non importa, tanto siamo arrivati, no? – sorrise, ed io arrossii, pensando che Apodis avesse il più bel sorriso che avessi mai visto.
- Ael, Amber? Dove siete, sono io! – chiamò a gran voce, ma non giunse alcuna risposta.
Provò di nuovo a chiamare, e da dietro la casa spuntò una ragazza che dall’aspetto sembrava non avesse molti anni più di me.
Apodis aveva detto che questi suoi amici avevano avuto una storia simile a quella del figlio di Wolf, quindi uno dei due doveva essere umano.
Lasciai cadere momentaneamente le domande e mi soffermai sulla ragazza: era carina, castana, non più alta di un metro e sessantacinque, occhi chiari e una figura equilibrata. Non magra ma proporzionata, ecco.
Ci corse incontro sorridendo, e subito dopo avere abbracciato Apodis accolse me nel medesimo modo facendomi sentire un po’ in imbarazzo. Del resto non c’eravamo mai viste.
- Piacere di conoscerti, Ayla. Io sono Amber. Sai che è la prima volta che quel vecchio brontolone Apodis ci presenta una ragazza? Devi essere davvero molto speciale. – disse strizzandomi l’occhio.
Risi nervosamente mentre lei cercava di strappare ad Apodis un sorriso. Dalla foresta sbucò un ragazzone che non appena vide Apodis lasciò cadere il fascio di legna che si portava appresso per raggiungerci. Vedendolo da vicino ne rimasi subito affascinata. Molto alto, di sicuro sfiorava il metro e novanta, spalle larghe, fisico statuario, capelli argentati lunghi fino alle spalle e occhi ambrati: impossibile non sciogliersi.
In genere, quando vedevo dei ragazzi e delle ragazze tanto belli, mi sentivo a disagio; eppure Amber mi aveva messa a mio agio, tanto da non prestare più caso a quelle cose.
Mi sentivo al sicuro, come se fossi stata a casa: non c’erano imbarazzi di alcun tipo.
- Bello il mio Ael, vero? – mi sussurrò Amber, e non potei fare a meno di annuire.
- Sì, formate davvero una bella coppia.
 – Eh eh, grazie. Ho fatto un’ottima scelta, e vedrai, non appena lo conoscerai, vedrai che è un uomo d’oro. Sono davvero fortunata ad averlo. – mi sorrise e continuò, - Anche tu però con Apodis hai vinto alla lotteria! – imbarazzata mi affrettai a spiegarle che fra me e Apodis non c’era quel tipo di rapporto.
- Ah no? Strano, a me sembrava il contrario. – sorrise come faceva Ly quando assumeva la sua aria materna - Apodis ha un carattere particolare, ma quando lo conosci meglio lo apprezzi come merita. All’inizio tra me e Ael non è stato facile… Sai, i rapporti tra umani e demoni erano, e sono tutt’ora, vietati.
- Quindi, fra i due, tu sei l’umana?
- Solo per metà… non lo sapevi? Pensavo che Apodis… - lo fissò arrabbiata. Si aspettava forse che Apodis mi avesse raccontato tutto? Ma tutto cosa? Mentre Amber stava scuotendo Apodis per farsi dare delle spiegazioni, Ael si rivolse a me per la prima volta.
- Ayla, giusto? Com’è stato il viaggio? – aveva una voce dolcissima.
- Tutto bene, grazie. Apodis mi ha scarrozzata fino da voi. Spero solo di non avergli procurato il mal di schiena. – risi spiegandogli quanto accaduto nel bosco.
- Mi ricorda qualcosa… in effetti mi ricordi la vecchia Amber. Non che ora sia tanto diversa. – Ael mi spiegò che molti anni prima Amber era umana, ma che grazie a un particolare patto era diventata mezza demone.
- Ora che ne direste di entrare, il sole è calato quasi del tutto e qua viene freddo la sera. Sarete stanchi dopo un così lungo viaggio. – disse Ael indicandoci la porta.
Mentre Ael tornò a prendere la legna che aveva lasciato per strada, Amber ci fece entrare in casa. Era proprio come me la ero immaginata: molto rustica. Aveva un misto di antico e moderno, che però si accostavano bene.
La prima cosa che vidi varcata la soglia furono le scale che portavano al piano superiore. Sembrava come se un libro delle fiabe avesse preso vita. Mi sembrava di essere la piccola Riccioli d’oro nella casa dei tre orsi.
Amber ci disse di accomodarci nell’ampio salotto sapientemente arredato. La stanza era bella calda, e si sentiva il fuoco scoppiettare dal bel camino. Mi avvicinai per osservarlo meglio con gli occhi che brillavano. Quello nella villa di Wolf era più elegante, ma questo dava più l’idea di “casa”.
Un divano e due comode poltrone stavano al centro della sala e tra questi vi era un piccolo tavolinetto in legno e vetro.
Con la bella tavola rettangolare la sala era davvero completa di tutto.
Riuscii a intravvedere la cucina e notai il passavivande. Avevo sempre sognato di avere una casa simile.
- Vado fuori a dare una mano ad Ael, – disse Amber –  voi fate pure come se foste a casa vostra. – Mi accomodai sul divano, rimanendo immobile a fissare il caminetto. Eravamo rimasti soli in quella splendida baita degna di un bel romanzo d’amore.
- Apodis, volevo ringraziarti per tutto quello che stai facendo per me. Anche se non sembra, lo apprezzo moltissimo e ti sono immensamente riconoscente. – dissi senza smettere di guardare davanti a me. Apodis si sedette sulla poltrona a me più distante.
- Non ci pensare. – disse lui, ma dal tono sembrava quasi imbarazzato. Lo sapevo! Non aveva il cuore di ghiaccio, era un timidone nonostante tutto. Lo dimostrava anche il fatto che non si era seduto accanto a me.
- Toglimi una curiosità, - dissi voltandomi per fissarlo negli occhi, - perché lo fai? Mi hai già detto che lo fai perché lo ritieni giusto, ma non c’è dell’altro per caso? Hai rischiato tutto per me, non posso certo scordarlo, e non so se potrò mai ripagarti per tutto quello che stai facendo.
Apodis cominciò a balbettare, non sapendo bene come rispondermi. Quando sembrava avesse trovato il coraggio di darmi delle risposte Ael ed Amber rientrarono.
- Sembra superfluo chiederlo, ma… in che guaio vi siete cacciati di preciso?


 
L'angolo di Shera ^^

Siamo quasi al decimo capitolo, spero che questi capitoli vi stiano piacendo.
Grazie di cuore a Drachen per tutti i bei commenti che mi ha lasciato.
Basta davvero poco per farmi contenta.
Il primo capitolo dedicato ad Amber e Ael mi ha sempre fatto battere il cuore, soprattutto per la scena in cui Apodis porta Ayla sulle spalle. Questa scena è piaciuta talmente tanto al mio ragazzo che l'ha spinto a farne una fan art.

http://antivsartlesspage.deviantart.com/art/Autumn-wood-452888108
 
È stata la sua prima illustrazione completa, e ne sono rimasta immediatamente affascinata. È riuscito a dare ad Ayla e Apodis l'aspetto che volevo e, soprattutto, a rendere perfettamente la scena così come me l'ero immaginata 6 anni fa.
Spero che possiate gradire il suo disegno tanto quanto l'ho fatto io ^^

Grazie Amore mio per questo e per tutto il resto <3

E grazie anche a voi che mi avete seguita fino a questo punto ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


"Capitolo Decimo"


La coppia ci fissò in attesa di risposte, così Apodis cominciò a raccontare tutto quello che ci era capitato.
- Tutto questo ha dell’incredibile amico mio. Non avrei mai immaginato che tu avresti spezzato la catena. Ti sei intenerito col passare degli anni. – scherzò Ael.
- Lo so, è successo, ma non mi sono intenerito. Sentivo semplicemente che dovevo farlo, o meglio, che non potevo farlo. – Amber sorrideva e io mi sentivo un po’ fuori posto. C’erano ancora molte cose che non sapevo sul loro mondo, e fremevo dalla voglia di capire e conoscere, ma non potevo fare altro che rimanere al mio posto, almeno per ora.
- C’è un’unica soluzione: dobbiamo andare da Iris, lei è l’unica in grado d aiutarci. – disse Ael dopo averci riflettuto a lungo.
- Iris? Ma è scomparsa da secoli oramai, da quella volta che vi ha aiutati. È impossibile rintracciarla!
- Scusate, - li interruppi, - potreste rendermi partecipe della conversazione? Vorrei capirci qualcosa anche io. – Amber mi prese per mano e mi trascinò in un angolo del salotto dove avremo potuto parlare indisturbate.
- Non preoccuparti, andrà tutto bene. Adesso sediamoci, ti spiegherò tutto io, lasciamo gli uomini conversare tra loro in cerca di una soluzione. Ho preparato il tè, ti andrebbe una tazza? – mi chiese infine dolcemente. Le dissi di sì e dopo essere sparita in cucina tornò con un vassoio, le due tazze e un piattino colmo di biscotti.
Riuscivo a vedere bene dentro la cucina: era davvero enorme, spaziosa e comoda. Mi ci sarei vista bene in un ambiente simile, a preparare deliziosi manicaretti per… Subito mi passò davanti l’immagine di Apodis. Cacciai via quei pensieri e mi concentrai su Amber che si accomodò davanti a me.
- Sarà una cosa lunga, credi di essere pronta? – io dovevo assolutamente capirci qualcosa, quindi annuii.
- Non so più cosa aspettarmi. Fino ad ora siamo fuggiti, trovando riparo dagli amici di Apodis. Ora però cosa capiterà? – diedi voce ai pensieri che da qualche giorno continuavano a martellarmi il cervello.
- Questo per me significa che sei pronta. – disse sorridendo.
- Prima di cominciare devo chiederti assolutamente una cosa.
- Dimmi pure.
- Da quanto ho capito tu sei una mezza demone, ma prima eri umana e… - mi interruppe subito capendo immediatamente quali fossero i miei interrogativi.
- È una storia lunga, ma cercherò di essere breve. Ael ha detto che sono demone solo per metà, ed è vero. Come hai detto te stessa io sono nata umana, ma per stargli vicina e seguirlo nei secoli ho deciso di diventare come lui. Sai, uno sentendo parlare di demoni pensa subito a mostri, non solo nell’aspetto, ma anche nell’anima, ed è qua che si sbagliano. – non potei fare a meno di convenire con Amber. Ael, Apodis e Wolf mi avevano fatto subito un’ottima impressione.
- Direi che ora possiamo cominciare. Ora dimmi, cosa sai dei demoni?
- Non molto a dire il vero. Apodis mi ha giusto accennato qualcosa, su come i nostri fisici e le nostre abilità siano diverse, e mi ha parlato della corte.
- Ti ha parlato anche delle loro abilità speciali? – ancora una volta annuii.
- Sì, Apodis mi ha spiegato queste cose. So che lui come demone della morte può teletrasportarsi a proprio piacimento. Mi ha anche spiegato che, in base alla caratteristiche del singolo, i demoni vengono assegnati a una precisa occupazione. Non si è dilungato troppo. – Amber annuì guardandomi sorridendo.
- Lo immaginavo. Ti sarai magari chiesta quanti anni possono vivere i demoni. Se sono immortali o cose così. Giusto?
- In effetti sì. Non abbiamo affrontato questo discorso, ma la cosa mi interessa parecchio.
- Devi sapere che i demoni fino ai venti o trent’anni crescono. È una cosa soggettiva, e ad alcuni la crescita si blocca anche prima. Hai conosciuto Balzer, giusto? – il demone mi sembrava giovanissimo, e questo spiegava tante cose.
- Quando hanno raggiunto il loro “top” si bloccano e fino al compimento del millenovecentesimo anno non invecchiano. Da lì in poi, ogni anno, e molto lentamente cominciano ad invecchiare nell’aspetto. E sai un’altra cosa? Non sono immortali, a dispetto di quello che uno possa credere.
- Davvero non sono immortali? – la cosa un po’ mi stupiva.
- Già. Sono solo longevi, riescono a vivere per circa duemila anni, dopodiché possono scegliere se continuare a vivere in questo mondo o se andare nella dimora degli avi. Passare oltre insomma.
- Passare oltre? Come noi? Finiranno poi in una sorta di paradiso?
- Sì. Sai, esiste un mondo dopo questo, dove si incontrano tutte le anime buone. Una dimensione eterea e pura. – doveva essere di certo un luogo meraviglioso.
- L’uomo è obbligato a trapassare, ed è in base al comportamento tenuto in vita che finirà in questo mondo perfetto o tornerà invece nel nostro per espiare le proprie colpe e purificarsi. I demoni possono scegliere se reincarnarsi o passare oltre. Se scelgono di passare oltre, ma la loro non è stata una vita retta, non potranno accedere a quel mondo meraviglioso, non si reincarneranno e perderanno per sempre la loro anima vagando in un limbo per tutta l’eternità. – l’eterna dannazione, insomma.
Apodis mi aveva dato già moltissime informazioni a riguardo, ma con questa ulteriore spiegazione di Amber molti altri miei dubbi vennero messi a tacere. Amber, intuendo quello che stavo pensando mi disse che anche lei, dopo avere scoperto queste cose, si era sentita molto meglio.
- Quando è successo?
- Intendi quando sono diventata demone? – feci cenno di sì con la testa.
- Io ero una specie di medico all’epoca. Curavo con le erbe e spesso e volentieri aiutavo anche le creature del bosco. E non parlo di animali, no. Parlo di fate, elfi e creature “magiche”. – disse quell’ultima parola un po’ di disprezzo. Forse perché era un modo che usavamo noi umani per definire ciò che non capivamo. - Ovviamente i clienti umani non lo sapevano, credevano solo che io e mia nonna fossimo un po’ eccentriche. Ah giusto, non te l’ho detto. – si batté la testa con la mano. - Io vivevo con mia nonna. I miei genitori erano morti quando ero piccolissima, e ricordo poco di loro. Mia nonna si chiamava Ines, ed è stata lei ad istruirmi e ad insegnarmi tutto sulle erbe e le piante curative. – notai una piccola lacrima che le scese sulla guancia. Doveva mancarle moltissimo sua nonna.
- Scusa, mi emoziono sempre quando ne parlo. Non farci caso. – dopo una breve pausa riprese il discorso. – Fu poco tempo dopo la morte della nonna che lo incontrai: ero in giro per il bosco con una fatina, Beryl; preparavo per le fate delle scorte di medicinali, così, nel caso in cui non fossi potuta intervenire, avrebbero avuto l’occorrente.
Mi disse che aveva capito, dal parlottio delle altre creature del bosco, che qualcuno era ferito. Dovevamo intervenire. Dopo aver camminato a lungo nel bosco giungemmo nei pressi di un lago e vidi questo grande drago color del ghiaccio che si leccava una ferita. Mi avvicinai con calma ma mi ringhiò contro. Beryl cercò di parlargli ma lui non voleva proprio farsi curare; era cocciuto, ma io lo ero più di lui. Così mi avvicinai noncurante del fatto che avrebbe potuto incenerirmi e gli medicai la ferita. – sorrise dolcemente e arrossì. Mi chiesi se quel drago non fosse proprio…
- Quel drago mi era grato, e ogni giorno passava a farmi visita senza però avvicinarsi mai troppo, rimanendosene in disparte. Mi sorvegliava come se aspettasse il momento per ripagarmi del favore. Un giorno, non molto tempo dopo, venni aggredita da dei briganti e lui mi salvò, ma rimasi comunque ferita. Con l’aiuto delle fate riuscì a caricarmi in groppa e a portarmi a casa mia, prendendosi cura di me fino alla mia completa guarigione. Lì vidi per la prima volta il suo vero volto. – la mia intuizione era forse giusta?
- Era Ael, vero?
- Proprio lui. Allora non sapevo che i demoni potevano trasformarsi in draghi. Lui era uno di quei rari demoni capaci di farlo. Anche dopo che mi rimisi in sesto, lui continuò a passare a trovarmi e, senza accorgercene, ci innamorammo l’uno dell’altra. Il nostro però era un amore proibito, e sembrava non ci fosse speranza per noi. Riuscimmo, al colmo della disperazione e grazie anche all’intervento di Apodis, a trovare Iris, e lei ci aiutò. Iris era la massima autorità, una delle grandi dee, una grande veggente e maga: i suoi poteri non conoscevano limiti. Lei ci spiegò cosa fare e così ci recammo davanti alla corte dei demoni interamente riunita. Abbiamo dichiarato le nostre intenzioni e le disposizioni date da Iris. Nessuno l’ha mai contestata, e quindi accettarono la nostra relazione, ma non senza qualche remora. Iris ci diede una pergamena sulla quale c’era la formula per rendere me una demone. Non sarei stata completa, ma almeno avrei potuto vivere per sempre al fianco del mio amato. La pergamena la aprì il re in persona, poiché solo lui era in grado di compiere il rito.
Non siamo stati accolti all’interno della comunità. Siamo stati esiliati, come ben saprai, ma almeno ora siamo vivi e liberi. – che grande amore! Sembrava di stare a sentire la trama di un bel film, ma invece era tutto reale. L’amore nato fra Ael e Amber era così bello e puro che stavo per mettermi a piangere dalla commozione.
- Non abbiamo più avuto contatti col mondo dei demoni, se non tramite Apodis, e abbiamo cercato di limitare il più possibile il contatto anche con gli umani. Non volevamo rischiare di avere problemi. Abbiamo imparato a vivere con quello che ci offriva la terra e ti dirò: come soluzione non è affatto male. Essere una mezza demone ha i suoi pro e contro. La mia vita è legata a quella di Ael. Come per lui anche la mia crescita si è bloccata: quando lui comincerà ad invecchiare, lo farò anche io, e quando lui se ne andrà, io lo seguirò. Viviamo in simbiosi praticamente. Tra noi c’è sempre stata un’intesa particolare. Bastava uno sguardo per capirsi: anche senza parole ce la intendevamo. – era impossibile non notare quanto l’una fosse innamorata dell’altro e viceversa. L’avevo notato anche prima: mentre Amber parlava, ogni tanto Ael si girava per vedere sua moglie, e si capiva da quello sguardo quanto amore lui provasse per lei. Dopo tutti quegli anni erano ancora follemente innamorati, e la cosa mi aveva davvero toccato il cuore. Che bella cosa poter vivere insieme a lungo, vivere una lunghissima giovinezza insieme: per noi comuni mortali il tempo passava in fretta, troppo velocemente.
- Certo, però devo dire che se non potessi vivere l’eternità col mio Ael preferirei tornare e reincarnarmi in un insetto e morire un milione di volte. Non riesco ad immaginare un solo istante della mia vita senza di lui, è più forte di me. Ora, prima di cominciare ad invecchiare abbiamo ancora circa ottocento anni davanti. Un po’ mi sono stufata di sembrare tanto giovane, ma non posso certo scordare tutti i benefici. Tutto questo ti sembrerà sorprendente, immagino.
- Dire che mi sorprende è dire poco. Fino a pochi giorni fa io non sapevo niente di tutto questo, e ora… - ora ero dentro fino al collo in una situazione che non avevo cercato, ma che altro potevo fare? Mi rabbuiai pensando a quelle cose che mi ero lasciata alle spalle.
Stare con Apodis mi piaceva, ma mi chiedevo se mai avrei riabbracciato Ly, George, Cerby, Morphy e Ivan.
Nonostante quel viaggio mi stesse riservando molte gradite sorprese, non avevo certo scordato gli affetti che mi ero lasciata alle spalle.
- Vedrai, presto non ci farai più caso. So che può essere difficile all’inizio, ma dopo un po’ ci s fa l’abitudine. Ora, manca ancora un po’ per la cena, che ne diresti di fare un bel bagno caldo? Vedrai che ti rimetterà in sesto e dopo starai molto meglio. – forse aveva ragione lei, un bagno mi avrebbe aiutata a sgomberare la mente.
- Se anche riuscissimo a placare la corte, come avete fatto tu ed Ael… la mia vita non sarà più la stessa, vero? – Amber ci pensò su un attimo prima di rispondermi, e con un sorriso mi disse: - La tua vita cambierà per sempre, questa è sicuro. Ma il cambiamento non è sempre negativo. Ci sono passata anche io molti secoli fa, anche se le nostre sono storie un po’ differenti. Con Iris troveremo la soluzione. – Ancora con questa Iris. Cercai di farle notare che Apodis prima aveva detto che la suddetta Iris era scomparsa ormai da molti, molti anni. Anche Balzer mi aveva accennato qualcosina su questa fantomatica dea. Ma ora era troppo lontana per essere raggiunta.
- Questo è quello che credono tutti. Ti spiegherò poi. Seguimi ora, ti darò tutto l’occorrente per il bagno. La vasca ha l’idromassaggio, e se non l’hai mai provato ora avrai l’occasione della tua vita: con quello, tutte le preoccupazioni vengono momentaneamente cancellate e lasciate alle spalle. – finalmente potei ammirare il piano superiore. Non che stessi vedendo molto oltre al corridoio. Quando aprì la porta del bagno rimasi stupefatta: oltre ad essere enorme, era anche bellissimo e moderno. - Troverai anche degli ottimi sali da bagno, tutta roba che preparo io, quindi puoi andare sul sicuro. Gli effetti sono garantiti. Su ogni barattolo troverai le informazioni.
L’energia elettrica in quella casa veniva alimentata dal loro impianto ad energia solare ed eolica. Avevano saputo sfruttare al meglio quello che potevano, e una fitta di gelosia mi attraversò il cuore.
Amber mi lasciò sola nel bagno per qualche minuto e quando tornò mi porse un accappatoio e degli asciugamani.
Mi spiegò anche che la porta di fronte al bagno era quella della mia stanza.
- Finalmente la sfrutterà qualcun altro. Oltre ad Apodis non ci fa mai visita nessuno, salvo il padre di Ael quelle rare volte che può venire da noi. È un demone estremamente impegnato. – mi chiedevo che tipo di demone fosse il padre di Ael. Se era come il figlio doveva essere una gran brava persona.
- Bene, il mio compito è finito. Fai pure con comodo, e nel caso verrò io a chiamarti se ti dovessi addormentare. Ah, dimenticavo. - disse prima di scendere al piano inferiore - Ael ha già preso il vostro bagaglio. È andato prima a recuperarlo, dopo che Apodis gli ha spiegato dove l’avevate lasciato. Avete fatto bene a mettere tutta la vostra roba insieme, avete risparmiato tempo e spazio. Immagino che Apodis al momento della partenza avrà fatto un po’ di storie.
- In verità neanche tanto. Non è poi così brontolone. È solo un po’ sulle sue. – dissi io in sua difesa.
- Ma è anche molto premuroso e dolce… Questo però non serve che te lo dica, vero? – mi fece l’occhiolino e mi lasciò sola nel bagno.


Mentre mi immergevo nella grande vasca pensai a quanto carina fosse stata Amber con me. Era davvero una persona squisita, come del resto tutte le persone in cui ci eravamo imbattuti durante questo nostro breve viaggio.
Apodis stava facendo moltissimo per me, e ogni istante che passavo con lui sentivo che il momento del distacco mi avrebbe fatto davvero male. Perché più il tempo passava, e più mi accorgevo di quanto lui stesse diventando importante per me.
“Anche se alla fine non riusciremo a salvarci,” pensai, “in questo poco tempo accanto a lui ho ricominciato non so come a vivere.”
Non ero triste all’idea che la mia vita potesse finire, ma non ero nemmeno rassegnata a un destino tanto triste. Avevo valutato che sarebbe potuta non finire bene. Ero comunque felice. Certo, avevo qualche rimpianto, ma forse sarei riuscita a morire più felice in quel modo.
Sentii una fitta allo stomaco e poi un brontolio.
- Taci tu, - dissi al mio stomaco, - è presto, mangerai tra un po’. – non sembrava però il solito brontolio da fame; non riuscivo a identificarlo bene. Non mi ero mai sentita così, era come avere le farfalle nello stomaco.
Associai comunque il tutto alla fame. Non intendevo perdermi in pensieri che forse non ero in grado di gestire e giustificare.
Ora dovevo solo capire che cosa avesse in mente Apodis.
All’inizio del nostro viaggio aveva parlato di fasi. Non ero certa al cento per cento, ma la prima fase doveva essersi conclusa.
Di sicuro, dopo cena, i ragazzi mi avrebbero spiegato cosa avremmo dovuto fare in seguito.


Come previsto da Amber, mi appisolai nella vasca, e fu lei a svegliarmi per informarmi che era quasi pronto.
- Presto Ayla, tra poco è pronto. – disse Amber bussando alla porta. Mi disse che avevo un quarto d’ora per prepararmi.
- Grazie per avermi chiamata. Sono proprio crollata, i tuoi sali da bagno son fantastici.
- Oh grazie, mi fa molto piacere sentirtelo dire.
- Grazie anche per tutto il resto, sei un’ospite meravigliosa.
- Oh, non dirlo neppure. Non ho spesso l’occasione di mostrare le mie doti e le mie abilità culinarie. Mi avete offerto una ghiotta occasione. Ora torno da basso a finire di preparare.
- A dopo. – dissi io. L’acqua era oramai tiepida, anzi, quasi fredda, ma non me ne accorsi subito.
Agguantai l’accappatoio e mi fiondai in camera per vestirmi. Amber aveva già messo via tutti i miei vestiti nei cassetti e nell’armadio. Non che ci fosse molto da sistemare, ma quel poco ora era in ordine.
Avevo una gran fame e non vedevo l’ora di mettermi a tavola.
Prima di scendere passai quasi cinque minuti davanti allo specchio chiedendomi se con quella maglia sarei piaciuta ad Apodis.
“ Basta con la vanità sciocca!” mi dissi “ Credi davvero che uno come lui si interesserebbe a te in quel senso?”.
Forse quella vocina interiore non aveva tutti i torti. Lasciai comunque la stanza col batticuore.
Che Apodis ne fosse o meno consapevole, oramai nella mia testa e nel mio cuore c’era soltanto lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


"Capitolo Undicesimo"


La tavola era già apparecchiata, avevo dinanzi un vero e proprio banchetto. Subito mi vennero in mente i cenoni che preparavamo per le feste in famiglia.
Ly e George mi avevano invitata spesso per le grandi feste comandate. Preferivano non lasciarmi sola, ma io avevo sempre declinato i loro inviti proprio perché quelle erano le festività da passare in famiglia. Non avrei mai potuto partecipare a un evento così intimo, nonostante frequentassi le loro famiglie da anni.
Mi ero sempre sentita una di famiglia, ma nonostante tutto, in quelle particolari occasioni, mi sentivo al posto sbagliato.
Vedere tutti loro riuniti faceva crescere in me un senso di inadeguatezza e solitudine tali da farmi stare male.
Mi sentivo sola, pur essendo circondata da tante persone che mi volevano bene e che cercavano di tirarmi su il morale.
Il senso di vuoto che sentivo nascere nel mio cuore sembrava impossibile da reprimere, per questo preferivo passare quelle giornate a casa con Cerby e Morphy.


A volte tutto quel malessere che mi infliggevo da sola era proprio quello di cui avevo bisogno.
Certe persone trovano nell’autocommiserazione la propria strada e il proprio benessere.
Io non mi ritenevo essere una persona di quel tipo, ma in alcune occasioni riuscivo a trovare una sorta di equilibrio nel deprimermi da sola a casa.
Sapevo di partenza che vedere i loro abbracci, i loro baci, la loro serenità famigliare mi avrebbe fatto pensare a chi avevo perso ingiustamente. Non sarei riuscita a rilassarmi, anzi, mi sarei sentita di troppo.
Mi mancavano gli abbracci di mamma e papà, mi mancava il mio fratellino col quale ero solita scherzare e giocare alla play, mi mancavano le sorprese di mamma, o il ritorno a casa di papà… Sono cose che non si possono sostituire, sono uniche, e una volta perse niente e nessuno potrà restituircele.
Una volta perse le persone, è difficile, se non impossibile, ritrovarle.


Vedendo Apodis, Ael ed Amber scherzare pensai a quando, da bambina, mi divertivo coi miei cugini e mio fratello.
Adoravo le feste, sia per i pranzi sontuosi a cui avrei preso parte, sia per la compagnia dei miei cari. Crescendo, nacque in me la voglia di cucinare e darmi da fare per far di quelle feste dei grandi eventi.
Le festività in sé non mi interessavano. Amavo piuttosto i preparativi, l’attesa, l’escogitare nuove decorazioni fai da te, trovare un menù nuovo da sperimentare e la ricerca del regalo giusto.
Dopo quanto accaduto però non ne volli più sapere nulla e mi chiusi in me stessa. Di tanto in tanto cucinavo piatti particolari, ma solo se ero in compagnia di Ly, George o Ivan.


Presto sarebbe arrivato Dicembre, mese per il quale avevo una certa predilezione, detto in tutta onestà. Era un mese particolare, quasi magico, pieno di feste e vita. C’era un qualcosa nell’aria davvero unico per me.
Adoravo vedere le decorazioni in paese, tutte quelle luci conferivano alle città tutta un’altra aria.
E che dire della neve? Come non poterla amare! Certo, in città quando nevica tanto si creano casini, ma non potevo evitare di amarla comunque.
Tuttavia, se mi avessero chiesto “Ayla, qual è la tua stagione preferita?”, probabilmente avrei risposto “Nessuna, perché mi piacciono tutte”. Stesso discorso valeva per i mesi.


Quel misto di emozioni agrodolci cominciarono a farmi pizzicare gli occhi per le lacrime che sentivo si stavano formando. Ricacciai però indietro le lacrime non volendo guastare loro la serata.
Avevamo già troppi problemi a cui dover pensare, non serviva certo che ne aggiungessi altri alla già lunga lista.
- Finalmente sei scesa. – disse Apodis scuotendomi dai miei pensieri.
– Su, non stare lì e raggiungici, - disse Amber indicandomi una sedia, - dai che poi si fredda tutto.
Non mi feci pregare troppo e li raggiunsi sedendomi accanto ad Apodis. Da una parte speravo che mi rivolgesse anche solo un piccolo complimento per come mi ero preparata per la cena, ma non ebbi tale soddisfazione con mia somma tristezza.


Già Wolf mi aveva deliziata con le sue eccellenti doti di cuoco, ma Amber lo aveva nettamente superato.
Con tutte quelle attenzioni e con tutti quei buoni piatti mi sentivo davvero come una regina. Mi bastava davvero poco per farmi contenta: con un buon piatto di pasta si andava sul sicuro.
Ero un’anima molto semplice sotto questo punto di vista.
Tra un ragazzo che mi offriva un gioiello, e uno che mi offriva una cenetta sfiziosa avrei senza alcun dubbio scelto il secondo.
Non ero così frivola da preferire cose così sciocche.


“La vita è troppo breve per lasciare che siano gli altri a deciderne la direzione. Non lasciare che siano gli altri a prendere le decisioni che spettano solo a te, Ayla.”
Mio padre sosteneva sempre che spesso avremmo potuto incontrare persone incapaci di comprendere le nostre scelte, e che per una visione distorta del mondo avrebbero potuto imporci le proprie idee. L’importante era che ognuno di noi avesse ben chiare le proprie priorità. “Sii forte e sicura di te, vedrai che tutto quanto poi sarà sempre più facile”. Sembrava facile a dirsi, ma la realtà era tutta un’altra cosa.


Perché, perché mi chiedevo, non riuscivo ad essere davvero così forte come volevo far credere? Ero brava a sembrare forte agli occhi degli altri, ma in realtà ero molto più fragile di quanto non si potesse pensare.
Solo Ly conosceva il mio lato più fragile, assieme a George ovviamente. Preferivo apparire come una ragazza tutta d’un pezzo che non aveva paura di nulla.
In negozio e da Ivan tutti conoscevano le mie personali vicende, ma avevo sempre cercato di dare l’impressione che tutto andasse bene.
All’inizio ovviamente ero ridotta peggio di uno straccio, ma col tempo mi ero risollevata.
Una parte di me si era davvero risollevata dal dolore, ma dall’altra parte c’era ancora una ragazzina insicura e spaventata che piangeva da sola in un angolo in attesa che qualcuno l’aiutasse a risollevarsi.
“ Un giorno non avrò più bisogno di tutte queste maschere ” pensai mentre il mio sguardo si posava su Apodis. “Ho solo bisogno di qualcuno che mi risollevi…”.


Avevamo appena finito di gustare il dolce quando Ael ci chiese se gradivamo una buona tazza di caffè.
Non ero solita bere il caffè la sera, ma quella era un’occasione particolare, non sapevo quanto saremmo rimasti in piedi a parlare. Dopo pasti come quello appena avuto, in genere avevo l’abbiocco, e quella non era esattamente l’occasione ideale in cui appisolarsi.
Ael stava già dirigendosi verso il fornello quando Amber lo bloccò.
- Eh no! Il caffè lo preparo io.
- Perché non dovrei prepararlo? Non ci vuole tanto.
- Sì, anche per fare il bucato, vero? – lo fissò lei con rimprovero.
- Ricordi cos’è successo l’ultima volta o te lo devo rammentare? – Ael alzò gli occhi al cielo. Con la coda dell’occhio vidi Apodis trattenere un risolino. “Fanno sempre così” mi sussurrò.
- È stato un incidente. – si giustificò lui. Anche se stavano bisticciando erano carini.
- Incidente? È riduttivo chiamarlo incidente! Sapete che ha combinato? – io e Apodis ci guardammo e dopo esserci girati verso di lei facemmo cenno di no con la testa. Apodis aggiunge anche – No, ma qualcosa mi dice che presto lo scopriremo. – sorrise e mi strizzò l’occhio.
- Dopo avere insistito a lungo per poter fare anche lui il bucato che mi combina? Non solo sbaglia temperatura, ma ha mischiato bianchi e colorati. Tutto quello che era in lavatrice si è ristretto, roba che sarebbe entrata solo alle bambole. – Apodis non riuscì a trattenersi dal ridere. Vederlo sotto quella luce mi scaldava il cuore. Quello era il vero Apodis, e la sua risata era la più bella che avessi mai sentito. - E non ridete, è tragica la cosa. – vedendola gesticolare animatamente nel tentativo di spiegarci le proprie ragioni, la risata mi uscì spontaneamente.
- Visto, anche Ayla trova ridicolo tutto questo, ti fai problemi per niente! Pensa al lato positivo: abbiamo colto l’occasione per fare nuove compere. – minimizzò Ael.
- Adesso non vorrai farmi credere che era tutta una mossa studiata per fare shopping! – lui alzò le mani come per difendersi e guardò altrove dicendo “Non dico questo, ma non lo nego nemmeno”.
- Quella era tutta biancheria nuova… la tua tesi non sta in piedi, mio caro.
- Dettagli insignificanti, amore mio. E poi potresti anche evitare di ricordarmelo, sono passati venti anni.
- Sei te che mi hai fatto tirare in ballo questa storia!
Ael le mostrò la faccia triste, anche se stava reprimendo a fatica una risata.
- Uffa, va bene, ma il caffè lo preparo io comunque. – gli mostrò la lingua come fosse stata una bambina prima di tornarsene in cucina. Notai però che gli sorrideva. Aldilà di qualche piccolo battibecco, si vedeva quanto ci tenessero l’uno all’altra e viceversa. Erano davvero una gran bella coppia.
- Non ti preoccupare, Ayla. Per chi non ci conosce questo nostro modo di fare potrebbe sembrare strano, ma ti assicuro che non c’è donna al mondo che io possa amare di più. – disse Ael senza distogliere lo sguardo dalla moglie.
Lui non vedeva altro che lei, e lei non vedeva altri che lui.
L’amore che riempiva quella casa era quasi palpabile. Una coppia splendida e veramente affiatata, ai pari di George e Ly.
Mi chiedevo solo come mai non avessero ancora avuto figli dato che ero certa sarebbero stati dei genitori perfetti.
- È un peccato che non abbiate figli. – il pensiero mi sfuggì dalle labbra e subito dopo mi diedi della stupida. Magari non potevano averne e con quella mia uscita potevo aver sollevato una questione spinosa e dolorosa. La reazione composta e calma di Ael però mi fece subito tranquillizzare.
- Aspettiamo solo il momento giusto. Come sai, mia moglie è demone solo a metà, e la questione sarebbe complessa nel caso in cui avessimo dei figli: loro sarebbero completamente umani. Sarebbe un dolore troppo grande perdere i nostri figli, vederli morire, e vedere morire anche i nostri nipoti. Discorso diverso sarebbe stato se Amber fosse rimasta umana, in quel caso i nostri figli avrebbero potuto scegliere cosa diventare… ma è una storia lunga. – si bloccò sul più bello. Ero tentata dal chiedergli maggiori informazioni, ma il mio sesto senso mi diceva di non indagare. Almeno per il momento.
- Tra qualche secolo potremo pensare a farci una famiglia anche noi. Amber ti ha spiegato un po’ la nostra situazione oggi pomeriggio, giusto? – rammentai tutta la nostra discussione.
I demoni crescevano fino alla maturità, dopodiché il loro sviluppo si bloccava, permettendo loro di mantenere un aspetto giovane.
Arrivati a una certa età cominciavano ad invecchiare molto lentamente, fino ad arrivare alla loro morte. Avrebbero potuto scegliere quindi di reincarnarsi, o di passare oltre e in base a come si erano comportati in vita sarebbero stati, o meno, “premiati”.
Quindi loro stavano aspettando di arrivare al loro “invecchiamento” per avere una vita “normale”. Poter seguire i figli, vederli crescere come se fossero una normale coppia.
Capivo perfettamente ora quali fossero le loro intenzioni, e le condividevo pienamente.


Amber arrivò con il caffè e dopo averlo sorseggiato potemmo finalmente cominciare a parlare in maniera seria di tutta quella strana situazione che si era venuta a creare.
Ael cominciò a fare il punto della situazione. Apodis nel pomeriggio lo aveva aggiornato su tutto quanto.
A sentirli parlare sembrava quasi che non fosse successo a me, a noi. Sembrava come la trama di un film, non la vita reale.
Eppure tutto quello di cui stavano parlando era successo proprio a me, una semplice ragazza di ventuno anni.
L’agitazione stava per prendere il sopravvento. In quel periodo avevo la testa piena di paure, anche per via della corte. Sapevo fin troppo bene a cosa andavamo incontro, la corte non avrebbe avuto pietà di noi se ci avessero presi.
Le mani cominciarono a tremarmi lievemente e a sudarmi. Amber notò il mio disagio e mi prese la mano per tranquillizzarmi – Non preoccuparti, non permetteremo a nessuno di fare del male a te o ad Apodis. Ci siamo noi alle vostre spalle.
Mi fidavo di loro, ma la paura era una brutta bestia da combattere.


Ancora una volta venne fatto il nome della dea Iris.
Avevo notato che quando ne parlavano tutti avevano una tale deferenza nei suoi riguardi da farmi sentire a disagio.
Eppure c’era anche un senso di familiarità tale che non potevo avere poi questo gran timore nei confronti della dea.
Ael mi ripeté quindi quello che già sapevo, aggiungendo anche altri piccoli dettagli che ancora non conoscevo.
Sapevo che la dea Iris aveva aiutato lui ed Amber a coronare il loro sogno d’amore, e che anche in passato era intervenuta in altre questioni spinose che avevano visto protagonisti sia demoni che uomini.
In passato era vista come un punto di riferimento, e nei gravi momenti di crisi ci si era sempre affidati a lei. Anche al momento della creazione dell’altra dimensione Iris intervenne, anche se a malincuore. Ael mi spiegò che la dea aveva cercato di spingere sia demoni che uomini a cercare una più pacifica convivenza, ma fu tutto vano purtroppo.
Già allora si distaccò dal mondo dell’uomo, cercando comunque di vegliare su questa creatura fragile e invidiosa e mantenendo i contatti con le altre creature. Ma già allora si era spezzato qualcosa.
Qualcosa che giorno dopo giorno si incrinò sempre di più.
Raramente Iris interveniva per le faccende interne: Ael ed Amber furono una di quelle rare eccezioni.
Lei non amava il modo in cui il cuore di molti demoni si era oscurato, e tutte le povere vittime di quella guerra agli uomini le erano pesate sul cuore molto più di quanto non si fosse immaginato.
Dopo aver aiutato la coppia decise di lasciare il nostro mondo, senza però designare una sua erede.
Iris non era semplicemente una dea, ma una veggente, una guida per tutti. Barock era quello che più le si avvicinava, ma non aveva i suoi stessi immensi poteri.
Lei e Barock avevano sempre avuto un buon rapporto e la vedevano ala stessa maniera. Anche Barock aveva sopportato le decisioni della corte solo perché in minoranza, ma aveva sempre cercato di trovare una nuova via da percorrere assieme all’uomo.
- Apodis quindi aveva ragione. Se Iris ha lasciato questo mondo non v’è modo per rintracciarla… Dovremo trovare qualcun altro che possa intercedere per noi.
- Diciamo, Ayla, che non è proprio così che stanno le cose. Iris può davvero darci una mano – mi rispose Ael con un grande sorriso.
- Tutti credevano, e credono tutt’ora che non ci sia modo di raggiungerla, la credono passata oltre. Per lei però queste cose non contano. È pur sempre una dea. – Iris era antica tanto quanto l’universo, per lei spazio e tempo non esistevano. Lei poteva essere il tutto e il niente. Non esistevano qui o là, lei poteva vivere in entrambi i luoghi, sdoppiarsi, vivere in più dimensioni e cambiare aspetto come più le aggradava. Lei era al di sopra di ogni regola fisica. La dimensione in cui ora regnava era semplicemente a diversi anni luce lontana da noi. Non era irraggiungibile, era semplicemente lontana.


La spiegazione di Ael non faceva una piega, ma appunto, Iris era lontanissima da noi. Non saremmo mai stati in grado di viaggiare per lo spazio, a meno che non avessero avuto un’astronave pronta per l’uso.
- Per viva che sia non ci sarà modo di contattarla però, siamo comunque condannati. – ero in preda all’ansia e allo sconforto. Ael ed Amber si scambiarono una dolce occhiata e Amber allora mi parlò col suo tono dolce e materno.
- Non buttarti giù, Ayla, sappiamo che sei preoccupata, ma noi abbiamo comunque un asso nella manica. Sbagli quando dici che non possiamo contattarla, perché c’è un modo. Noi, sappiamo come raggiungerla. – la fissai sbalordita. Se c’era un modo per raggiungerla allora loro…
- Avete un’astronave?!? – chiesi scioccamente. Loro scoppiarono a ridere, e anche Apodis. Arrossii imbarazzata fino alla punta delle orecchie.
- Una specie. Noi non abbiamo mai interrotto i contatti con Iris. Dopo quello che aveva fatto per noi abbiamo instaurato una bella amicizia, e abbiamo deciso di rimanere in contatto. Anche se in effetti non ci sentiamo poi così spesso. Esiste un portale, del quale siamo gli unici a conoscenza. È a soli due giorni di volo da qui. – disse Amber indicando Ael che annuì. Amber mi aveva detto che Ael era un demone drago, questo significava che lui ci avrebbe portati?
- Anche se siete in tre riuscirò a portarvi senza troppi problemi. – mi anticipò Ael prima ancora che potessi formulare una qualsiasi domanda. - Non dovremmo incontrare molte difficoltà nel percorso anche se abbiamo gli occhi puntati addosso. Ci avete fornito la scusa per andare a trovare Iris. – Ael, Amber e Apodis sembravano tranquilli, per me era incomprensibile. Eravamo comunque in pericolo e loro sembravano non capacitarsene del tutto.
Certo, starsene col cuore in gola a pensare a cosa sarebbe potuto capitarci non avrebbe certo aiutato, ma anche stare lì a scherzare e ridere non era l’atteggiamento migliore.
Era vero che con Wolf avevamo passato dei giorni stupendi, ma eravamo anche protetti dal potere dei bracciali che ci aveva dato. La foresta era una barriera naturale, ma presto l’avremmo lasciata, tornando quindi facili prede per quelli della corte.


La dea Iris li aveva aiutati molti secoli prima ed erano anche diventati amici. Questo però non significava nulla.
Non avevamo alcuna certezza riguardo un suo possibile aiuto.
E se anche ci avesse aiutati, noi cosa avremmo potuto fare per contraccambiare? Di certo non ci avrebbe aiutati senza ricevere un qualcosa in cambio.
Quello che sapevo era che quella era la nostra unica chance. Il re Barock ci avrebbe anche potuti aiutare, a sentire i vari resoconti, ma di certo la corte avrebbe fatto di tutto per ostacolarci.
Solo l’intervento di Iris avrebbe potuto cambiare qualcosa, e io non potevo perdere quell’occasione. Non volevo morire, e non potevo permettere che altri soffrissero a causa mia.
Non c’era spazio per i tentennamenti, qualunque cosa mi avrebbe chiesto Iris io l’avrei fatta.
Mi voltai ed incrociai lo sguardo di Apodis, che mi stava fissando intensamente.
- Che c’è? – chiesi.
- Nulla, è che mi sembravi spaventata. Non devi avere paura di Iris, lei ci aiuterà, come ha sempre fatto. Non nega mai l’aiuto a chi ne ha davvero bisogno. Sii semplicemente onesta, e lei ti darà tutto il supporto necessario. – sentii le guance arrossire, e guardai Amber ed Ael che annuirono confermando quanto mi aveva detto Apodis.
Tutto quello che dovevo fare era credere in loro e in me stessa, non avere paura ed affrontare semplicemente quel viaggio con loro.


Il vecchio orologio a pendolo risuonò, avvisandoci che erano le dieci. Sebbene non fosse tardi Amber ci invitò a salire per riposarci dato che l’indomani saremmo partito per la Groenlandia.
- Groenlandia? Ma io credevo che dovessimo raggiungere Iris tramite un portale.
- Esatto, e questo portale si trova proprio in Groenlandia. Dovrete vestirvi pesante, sia perché in volo si sente fresco, sia perché lassù fa davvero freddo. – Ael mi sorrise. Amber mi disse che aveva messo il cambio di vestiario nel comò della mia stanza e mi spiegò che una volta arrivati a destinazione ci saremmo diretti verso nord dove avremmo trovato una piccola baita di loro proprietà.
Dato che il viaggio era lungo e che per Ael sarebbe stato molto stancante, ci saremmo fermati nella baita per la notte, muovendoci a piedi la mattina seguente. Ci sarebbe stato da camminare un po’, ma prima del mezzogiorno avremmo potuto raggiungere la terra di Iris.


Una sensazione di malessere mi attanagliò lo stomaco. Già li avevamo messi in pericolo con la nostra sola presenza, e ora questo lungo viaggio faticoso.
Cominciai a pensare che forse era meglio che mi consegnassi io stessa alla corte. Li stavo esponendo a troppi rischi e pericoli, e non se lo meritavano. La mia vita non era poi così importante per mettere a repentaglio la loro.
Amber doveva aver capito cosa mi ronzasse in testa perché mi afferrò per le spalle e mi scosse violentemente.
- Non ci pensare nemmeno. – mi fissò con rabbia. - Guarda che se oserai pensarlo di nuovo non risponderò delle mie azioni. –mi abbracciò subito dopo, riassumendo l’aria materna che aveva di solito.
- Scusa Amber, è più forte di me, è tutta colpa… - lei mi pose un dito sulle labbra e mi sussurrò all’orecchio: - Anche io prima di te… non preoccuparti, è una nostra scelta. Siamo amici ora, no? – mi strizzò l’occhio senza aggiungere altro. Io annuii guardandola con gratitudine.
Anche loro, prima di me, avevano vissuto momenti simili, avevano corso molti rischi per poter vivere la loro storia. Probabilmente anche lei aveva attraversato un momento di crisi pensando di lasciar andare Ael per salvargli la vita.
Amici… Eravamo diventati amici.
Non era mai stato semplice per me fare nuove amicizie, e tutta questa storia mi aveva portata a viaggiare, a fare nuove conoscenze, e a crescere. Fino a poche settimane prima non mi sarei nemmeno azzardata ad uscire di casa per più di un giorno… come potevano cambiare le cose in poche settimane.
Dovevo a quelle persone molto più di quanto potessero loro immaginare. Non mi avevano semplicemente salvata dalla morte, ma mi avevano permesso di costruire una nuova vita.
Era vero che avevo in progetto le ferie, ma non avrei mai pensato di poter davvero cambiare così tanto.
La paura mi accompagnava sempre, come un’ombra, ma stavo comunque imparando a fidarmi e a lasciarmi andare quel tanto che bastava.
Ripesai a Layla, George, Cerby e Morphy: mi mancavano da morire. Non vedevo l’ora di rivederli, e cominciavo davvero a credere che non era poi così lontano quel giorno.
Sì, noi ce l’avremmo fatta: avremmo raggiunto Iris e poi saremmo andati dalla corte. Ci avrebbero ascoltati e ci avrebbero lasciati di nuovo liberi. Ne ero certa.


Dopo questa ritrovata risolutezza Ael ci invitò a sbrigarci per andare a dormire.
Quando io ed Apodis raggiungemmo il piano superiore, Ael ed Amber si erano già chiusi in camera.
- Beh, buonanotte Apodis. – stavo per chiudere la porta quando lui la bloccò.
-Sì, cosa c’è? – chiesi sorpresa. Aveva altro da dirmi forse? Lui aveva assunto di nuovo quell’aria preoccupata e turbata.
Era strano, anche perché da quando eravamo giunti a casa dei suoi amici sembrava aver riacquistato non solo in giovinezza, ma anche in spensieratezza. Era più rilassato. Ora invece era di nuovo come a Bergamo.
Scosse la testa, come se avesse cambiato idea, mi augurò la buonanotte mi disse solo di non rimuginare troppo e di non preoccuparmi più del dovuto. Avrei potuto giurare di vederlo arrossire. Il suo lato tenero, per quanto fosse difficile da vedere, esisteva eccome.
Sia Amber che Wolf me l’avevano detto: Apodis era davvero un bravo ragazzo che semplicemente non amava mettersi troppo in mostra. Giorno dopo giorno sentivo crescere in me un sentimento che non credevo d poter riuscire a provare, non per un demone.
Il mio cavaliere era un demone dal cuore d’oro, e nonostante mi avesse trascinato in quella pericolosa avventura, io non potevo che essergli pienamente grata.
Chiusi la porta e mi buttai sul letto, sognando ancora quello strano luogo, quei mostri e quelle persone incappucciate.
Da tempo avevo capito che l’uomo che mi aveva sempre salvata era Apodis, ma ora ero riuscita finalmente a distinguere anche le altre figure incappucciate: erano Ael ed Amber.
Questo significava una cosa sola: durante tutto quel tempo io non avevo fatto altro che sognare la corte dei demoni!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


"Capitolo Dodicesimo"


La notte di Apodis era stata un lungo tormento. Il demone non riusciva a smettere di pensare alla ragazza e alla conversazione avuta con Ael la sera prima.
Dopo che aveva lasciato andare a letto Ayla aveva provato ad addormentarsi, ma gli era stato impossibile.
Un tarlo continuava a tormentarlo, e l’aria pungente della notte era certo che gli avrebbe dato il giusto conforto.
- Chissà perché ma ero convinto che ti avrei trovato sveglio e in giro come uno zombie. – disse Ael sbucando fuori dal nulla.
- Pensavo di aver fatto piano, mi spiace di avervi svegliati. – si scusò Apodis.
- Tranquillo, ero solo sceso a prendere un bicchiere d’acqua, e ti ho visto. Amber dorme della grossa. Lo sai che non la svegliano nemmeno le cannonate una volta che è partita. – gli si avvicinò mettendogli un braccio attorno alle spalle. Subito Apodis si ritrasse, non perché ritenesse quel gesto d’affetto dell’amico troppo invadente, ma per il semplice fatto che aveva bisogno di buttare fuori quello che lo angosciava. Peccato solo che il suo carattere gli stesse rendendo l’impresa molto più che ardua.
- Sì? Apodis lo so che ne vuoi parlare, ma non ho ancora sviluppato la dote di leggerti nel pensiero. Ti conosco abbastanza per sapere cosa possa frullarti nella testa in questo momento. Ma devi darmi una mano anche te. – rise, e gli diede un pizzicotto sul braccio.
- Ahia! – si lamentò Apodis. – Era proprio necessario Ael?
- Volevo essere sicuro che fossi presente. – scherzò lui aggiungendo che su di lui poteva sempre contare.
- Amico mio, io ti conosco da così tanti anni che ho perso il conto di tutte le cose che abbiamo passato assieme. Non sei mai stato avventato a differenza mia. Sei sempre stato tu la voce della ragione, non hai mai fatto nulla senza prima averci pensato su a lungo. So bene che non rischieresti mai così tanto per una ragazza qualsiasi o comunque senza una forte motivazione. Però a muoverti stavolta non è stata solo la tua “sensazione”. – concluse Ael.
- Lo so.
- Hai solo questo da dire, “lo so”? – disse Ael con tono sarcastico.
- Ael, non è facile per me. - si giustificò. Ammettere che ci era cascato anche lui non era facile.
- Oh andiamo. È tutta una vita che aspetto che anche te ti innamori, ed è questo tutto quello che hai da dirmi? - scherzò Ael. Conosceva fin troppo bene l’amico per sapere come farlo parlare. Conoscendo il suo passato non era difficile capire il perché fosse tanto preoccupato.
- Qual è il vero problema? Perché non glielo dici? Credo che ti contraccambi e Amber ne è assolutamente certa. Mi fido di mia moglie che in queste cose è più pratica di me. – rise, ma subito dopo si fece serio – Pensi ai tuoi vero? – quello era sempre stato un argomento non facile da trattare, e meno ne parlavano meglio era, per Apodis.
Il demone dai capelli nero cobalto annuì fissando dritto davanti a sé, mentre l’amico si limitò a sospirare.
Il problema principale della corte era il fatto di essere rimasta scottata in passato, non riuscendo a cogliere il cambiamento che effettivamente era avvenuto al proprio esterno.
Per lui, Ael, era stato relativamente semplice riuscire a sollevarsi da una brutta situazione: aveva avuto l’appoggio di molti. Non gli era pesato il fatto di dover rinunciare a molto di quello che aveva prima in nome dell’amore; in tanti anni non si era mai pentito della scelta fatta.
Per Apodis però questa cosa sarebbe stata leggermente diversa. Apodis si era impegnato costantemente per raggiungere una certa posizione, ed essere diventato demone della morte era comunque un grande onore. Era una cosa innata, ma per quelli come lui era sempre stato negato tale compito.
A distanza di secoli non era ancora del tutto ben visto al’interno della comunità demoniaca.
- Apodis, tu mi conosci abbastanza bene da sapere che hai il mio appoggio. Non sarà facile, lo so io e lo sai te, ma ce la farai. Ce la farete insieme. Non precluderti la felicità per paura degli altri, rischi di rimpiangerlo per il resto della tua vita. – si alzò per tornare a letto, ma prima di chiudersi la porta d’ingresso alle spalle, disse un’ultima cosa al’amico: - Non perdere più tempo e parla con lei.
Apodis rimase a lungo nella veranda a pensare. Non era solo dei sentimenti che parlava Ael, ma anche di determinate cose del suo passato che in genere teneva per sé. Ad Apodis non era mai piaciuto confidarsi con gli altri, nemmeno da bambino, quando era ancora più fragile.
Aveva imparato molto presto che non poteva fare affidamento sugli altri, e che l’unica persona su cui potesse realmente contare era solo sé stesso. Il giorno in cui conobbe Ael cambiarono molte cose, e Apodis cominciò ad aprirsi maggiormente agli altri, anche se non interamente. Con gli anni, con un certo sforzo da parte sua, riuscì a smussare un po’ quei lati spigolosi del proprio carattere, rimanendo comunque un uomo molto riservato.
Lui ad Ayla ci teneva davvero, l’aveva capito molto presto. Si accorse quasi immediatamente che c’era qualcosa che non quadrava in quell’incarico, ma non fu quello a portarlo a proteggere la ragazza.
Per la prima volta in vita sua riuscì a capire pienamente cosa avesse spinto Ael a sfidare l’intera corte.
Non era però giunto ancora il momento d rivelare ad Ayla la verità. A volte era un po’ scostante nei modi che teneva con lei, ma questo avveniva perché era la sua prima esperienza e non sapeva ancora come gestirla. Nonostante la sua età, si sentiva come un ragazzino alla prima cotta… e a conti fatti era proprio quella la situazione.
ma decise che almeno per il momento avrebbe tenuto quei sentimenti per sé.
Non c’era tempo da perdere via per questioni romantiche. Dovevano trovare Iris per escogitare un modo per indurre la corte a lasciarli liberi, per l’amore ci sarebbe stato tempo poi.




Non sapevo che ore fossero quando Amber venne a chiamarmi, di certo era prestissimo, dato che fuori era ancora buio.
- So che è ancora presto, ma i preparativi richiedono tempo. Intanto che noi prepariamo la colazione tu puoi farti la doccia. I vestiti, come ti avevo accennato ieri, sono nel comò. Dovrebbero essere della taglia giusta, quindi non preoccuparti. Spero siano di tuo gradimento – la ringraziai e lei mi lasciò sola per sistemarmi.
Anche se intontita per il sonno riuscii in una qualche maniera a trascinarmi nel bagno. Avrei voluto rientrare nel caldo letto, ma se avessi tentennato sapevo che sarei presto ripiombata nel sonno.
Nonostante sapevo che l’impatto sarebbe stato traumatico, lasciai correre l’acqua fredda: era il modo migliore per svegliarmi.
Dopo quella breve parentesi di doccia andai in camera e cercai nel comò il cambio d’abito: pantaloni in velluto e un bel maglione caldo di lana.
Ael e Apodis erano già a tavola e stavano discutendo piuttosto animatamente, sfortunatamente non riuscii a capire nulla di quanto stessero dicendo.
- Buongiorno. – subito loro smisero di parlare per ricambiare il saluto. – C’è qualcosa che non va?
- No, niente – tagliò corto Apodis lanciando ad Ael un’occhiata della serie: “parla e sei morto”.
- Dormito bene? – chiese Ael.
- Benissimo, il piumone mi ha tenuto caldo e il letto era davvero comodo: non mi sarei più alzata stamattina. – mi guardai attorno e non vedendo Amber chiesi loro dove fosse andata per darle una mano qualsiasi cosa stesse facendo.
- Sta finendo di preparare la colazione, o almeno credo. – Ael si girò verso la cucina che sembrava vuota e gridò: - Amber, sei in cucina?
- Non c’è bisogno di gridare, - disse lei alzandosi e facendo capolino da dietro il bancone, - stavo cercando la padella per le cialde. – mi fece cenno di sedermi accanto ai ragazzi - Ayla, accomodati pure, non stare in piedi e non fare caso a loro. Era da tanto che non si vedevano, e quando due uomini si vedono dopo molto tempo, diventano peggio di noi donne.
Risi e mi sedetti accanto ad Apodis. Lui era preso dai suoi discorsi con l’amico, e non riuscendo a seguirli non potei fare altro che seguire a distanza le azioni di Amber. In realtà non ero davvero interessata a quanto stava facendo, ma non potevo fare molto altro.
Vedendomi un po’ assorta, Ael, per distrarmi, cominciò a parlarmi della loro infanzia, sua e di Apodis.
Erano cresciuti assieme e aldilà di qualche piccola baruffa, erano sempre stati uniti, salvo un’unica eccezione.
Quando Ael conobbe Amber, Apodis era contrario alla loro relazione, non la capiva e, soprattutto, non l’accettava. Aveva provato con ogni mezzo a separare i due, temendo per la sorte dell’amico.
Ai tempi si era rifiutato anche di conoscerla, nonostante le insistenze dell’amico. Ael però riuscì nel suo intento con una piccola bugia, e pian piano anche Apodis sposò la loro causa affezionandosi ad Amber come fosse una sorella.


Anche in quella occasione si era dato tanto da fare per gli altri mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Ael però era un suo vecchio e carissimo amico, quindi perché rischiare tanto per me? Per il solo principio? Non potevo credere che lui facesse tanto per me solo per una questione di principio. Mi chiesi che altro potesse spingere Apodis a darsi tanto da fare per me dato che prima del nostro incontro sulle mura non eravamo mai entrati in contatto.
Apodis aveva un gran cuore, anche se lo celava coi modi bruschi e a volte un po’ distaccati.
Quello che avevano vissuto assieme li aveva resi ancora più unite, e nonostante Ael e Amber fossero una coppia, Apodis non dava l’idea di essere la classica “ruota di scorta” della situazione.


Amber ci raggiunse con un vassoio colmo di ogni leccornia possibile e immaginabile. Avevo l’acquolina in bocca per via di quella vista, avrei mangiato a sazietà.
- Il pasto più importante della giornata va fatto al meglio. Non farti scrupolo e mangia quanto vuoi. – mi sorrise Amber mentre afferrava una brioche al cioccolato.
Cominciammo a mangiare quando Amber sollevò una questione che mi fece chiudere momentaneamente lo stomaco: - Spero che tu non abbia paura di volare. La mia prima volta è stata, come dire, tragica.
All’epoca non esistevano aerei, e, per quanto l’uomo fosse sempre stato affascinato dal volo, volare era, ed è, davvero tutta un’altra cosa. Un conto è il sogno, un altro conto la realtà. – scambiò uno sguardo dolce con Ael, - Però è stato bellissimo, vero amore?
- Come no. All’inizio eri più propensa a tirarmi calci e pugni che altro. Mi hai pure fatto male… - fece il finto offeso.
- Dovevi capirmi. Era la mia prima volta ti ricordo, e non era proprio come andare a cavallo, non riuscivo ad aggrapparmi bene e avevo paura di cadere. – sembrava imbarazzata nel dover ammettere questa sua vecchia debolezza. - Comunque poi mi sono calmata e mi son goduta il volo. – disse tornando a rivolgersi a me, - è stata una delle più belle esperienze della mia vita. Potei vedere inoltre, per la prima volta in vita mia, l’oceano. – sospirò e mi indicò un piccolo quadro vicino al caminetto.
- Siamo stati lì. – il quadro ritraeva una bellissima baia al tramonto; riuscivo solo ad immaginare quanto potesse essere stato bello quel luogo. Senza smettere di mirare il quadro, divorai la brioche e buttai giù la spremuta.
- Pronti? – Chiese Ael.
- Pronti! – risposi con un sospiro.


Vedere la trasformazione di Ael mi aveva lasciata di sasso.
Avevo visto tante immagini sui draghi e di film dove comparivano ne avevo visti a bizzeffe. Trovarsene uno davanti però era una cosa ben diversa.
Senza esagerare, l’altezza della bestia si aggirava sui tre metri, la lunghezza non mi azzardavo a indovinarla: solo la coda misurava almeno 4 metri. La pelle era di un azzurro chiarissimo, quasi bianco.
Amber e Apodis mi invitarono a sbrigarmi, ma ero parecchio intimorita dalla sua imponenza.
- Tranquilla, non morde. - disse Amber per sdrammatizzare.
Ael si accovacciò in modo da permetterci di salire sula sua schiena e Amber fu la prima.
- Coraggio Ayla, tocca a te. – disse facendomi cenno di avvicinarmi e di sedermi dietro di lei. Mi allungò la mano, ma io non sapevo bene come issarmi sul drago. Avevo una gran paura di cadere e fare figuracce. Apodis allora si avvicinò e mi strinse i fianchi. Prima ancora che potessi dirgli qualcosa mi sollevò quanto bastava per poggiarmi sulla schiena di Ael.
- Grazie. - dissi arrossendo. Lui mi disse di sistemarmi e poi di fargli un po’ di spazio, in modo che potesse mettersi davanti a me.
Feci quanto mi aveva detto e cercai dove appoggiarmi, ma non c’erano briglie o qualcosa di vagamente simile. Come avrei potuto superare il volo senza potermi aggrappare da qualche parte?
- Ehm, c’è un piccolo problema. – Amber si voltò e mi chiese quale fosse, e quando esposi le mie perplessità lei e il marito risero lasciandomi inebetita. Non vedevo cosa ci fosse di tanto divertente nel cadere da chissà quanti metri dal suolo.
- Tranquilla, ti aggrapperai a me. – disse Apodis. – Ora mi faresti un po’ di spazio? Dovremmo partire!
- Come mi aggrapperò a te? – dovevo abbracciare Apodis?
- Pensa di essere in moto e vedrai che non ci farai più caso. Del resto se non ricordo male ti ho portata sulle spalle fino a qua, non è molto diversa come cosa. – non avendo modo di replicare mi spostai abbastanza per lasciare che Apodis ci raggiunse sulla groppa di Ael.
- Siamo sicuri che possa reggerci tutti e tre? Io ho il mio bel peso.
- Tranquilla. Mio marito è il demone più forte del mondo. – disse Amber con una nota di orgoglio in quanto aveva appena affermato.
- Esagerata.
- Beh, per me lo sei amore. - disse la ragazza baciandogli il collo. Ael si schiarì la voce.
- Siete pronti là dietro? – “no” pensai. Io non potevo volare. Io avevo una paura folle del volo, dovevo scendere assolutamente! Preferivo affrontare una delle guardie della corte che affrontare una delle mie più grandi paure di sempre.
Oramai ero già pronta a scendere quando Apodis mi afferrò le mani portandosele sui fianchi.
- Stavi per cadere da fermi Ayla? Se non mi stringi farai un bel capitombolo! – che avesse capito le mie vere intenzioni?
- Fai attenzione Ayla, e non preoccuparti troppo, stringi forte questo ragazzone e vedrai che il viaggio non sarà poi così brutto. – mi era sembrato di sentire Ael soffocare una risata. – Dico bene Apodis? – ma il demone tossì dicendole di piantarla e di non prenderlo in giro.


Eravamo finalmente pronti: il drago spiegò le ali e ci sollevammo lentamente da terra. Per la paura chiusi gli occhi e mi strinsi ad Apodis con tutta la mia forza.
Dopo un po’ lo sentii tossire e allentai la presa avendo cura di non guardare in basso e di non mollarlo. Oramai non potevo più scendere.
- Che stretta. - biascicò il povero demone.
- Scusa, ho paura. – piagnucolai come una bambina.
- Stai tranquilla Ayla. - mi disse Ael, - Vedrai che ti abituerai.
Ael era molto calmo e lento, ma sospettavo che fosse molto più veloce.
“Di sicuro” pensai, “si sta trattenendo per farmi prendere confidenza col volo”.Apodis mi invitò a guardare sotto di noi, e riuscii ad intravvedere la bella e grande villa dei due ragazzi. Vista da lassù sembrava una piccolissima miniatura.
- Ayla, come va ora? Ancora paura? – mi chiese Ael.
- Per il momento sono tranquilla. Non fa così paura, lo ammetto.
- Adesso però aumenteremo la velocità o non arriveremo più a destinazione per i tempi che avevamo preventivato. Non mollare mai Apodis. - non c’era nemmeno bisogno di dirlo, mi aggrappai al demone cercando di non soffocarlo.
E Ael partì non appena gli dissi che ero pronta. Non aspettavano altro.
Era davvero come andare in moto, col vento freddo che scompigliava i capelli.
Ci sarebbe stato bene un casco, ma se lo avessi avuto non sarebbe stato lo stesso. In quella maniera potevo appoggiare di nuovo la testa sulla schiena di Apodis e sentirne il tepore.


Il viaggio fu lungo e quando atterrammo quel poverino di Ael era completamente stremato.
Non ero un asso in geografia, ma sapevo che eravamo nel sud della Groenlandia.
Nella mia mente il paesaggio tipico che si poteva ammirare in quella regione era formato unicamente da ghiacci.
Scoprire invece che quella terra era molto diversa mi stupì piacevolmente. Ovviamente non avremmo trovato vasti campi fioriti, ma la vista di quei bei alberi e di quei graziosi villaggi era stata una bella sorpresa.
- Non hai viaggiato molto, sbaglio Ayla? - chiese Ael dopo aver ripreso la forma umana e essersi riposato un po’.
- Ho avuto la fortuna di viaggiare un po’ da piccola, senza però spingermi troppo lontano. Paesi come Austria, Svizzera e Francia erano per noi a portata di mano. – sorrisi ricordando alcuni vecchi episodi della mia infanzia. - Essendo troppo giovane però non ho potuto apprezzare quei paesi come avrei dovuto. Ho comunque dei bei ricordi di quei viaggi. – dissi con una forte nota di nostalgia nella voce. Rispetto al solito però ero più ferma nel dirlo.
Non mi tremava la voce.
- Amo viaggiare, ma per me non c’è posto migliore di casa. – continuai. - Spero comunque un giorno di poter visitare molti altri paesi: sono delle esperienze che non intendo negarmi. Ammesso che ne abbia la possibilità chiaramente. Se tutto andrà bene mi piacerebbe tornare anche qua, ma da vera turista. - Amber rise.
- Concordo con te Ayla, viaggiare è una cosa stupenda, ma dopo un po’ si sente la mancanza della propria casa. Anche noi abbiamo visitato molti paesi pur essendo stati esiliati dalla corte. Ma appunto: solo dalla corte, non avevamo divieti riguardo il contatto con il resto del mondo. – ci incamminammo verso il loro rifugio e Amber cominciò a raccontarmi dei tanti viaggi che avevano fatto e di tutte le conoscenze che avevano fatto.
La foresta che ave vano scelto come dimora era un ricordo di Iris, dato che la dea prima vi abitava. Con il giusto tempo e tanto impegno riuscirono ad ergere la bella casa che avevo visto.
Arrivammo nel villaggio vicino alla loro abitazione, e Amber stilò il quadro della situazione: non essendo tornati nella casa per molti anni c’erano da fare un po’ di cose e per questo ci saremmo divisi.
Io e Amber ci saremmo occupate della spesa, Ael si sarebbe preoccupato di sistemare la casa mentre Apodis avrebbe procurato la legna per il camino.
Dopo aver salutato i ragazzi che si avviarono verso il rifugio, io e Amber procedemmo per le viuzze del piccolo villaggio.
Nonostante tutto c’erano diversi negozietti carini, sembrava che quelle fosse una meta turistica dato che notai svariati negozi di souvenir e diversi stranieri.
Avrei voluto fermarmi e fare un po’ di shopping, giusto per portare qualcosa a Ly e George, ma purtroppo non avevamo molto tempo a disposizione. Amber mi disse che il freddo lassù non era affatto uno scherzo e che era meglio raggiungere al più presto la casa.
Riuscimmo a fare tutte le spese e a raggiungere i ragazzi in meno di un’ora. Il rifugio non era molto grande, ma lo trovai comunque grazioso e accogliente, Si vedeva il tocco di Amber nella scelta della mobilia: la ragazza aveva davvero gran gusto per queste cose. Grazie anche al lavoro effettuato da Ael la casa splendeva letteralmente.
Sospettavo che al suo ingresso avesse trovato una coltre di polvere tale da spingerlo poi a farsi una bela doccia: aveva ancora i capelli bagnati a dimostrazione della mia teoria.
- Amber, mi son limitato a sistemare salotto e cucina, è inutile sfruttare le stanze dato che comunque ripartiremo domattina presto. È inutile riscaldare tre stanze, possiamo sfruttare i divano letto. – Amber concordò con lui e gli chiese del bagno. Lui disse che aveva già sistemato lo scaldabagno, e funzionava alla perfezione. Tuttavia bisognava dargli una pulita.
- Posso pensarci io. – dissi energicamente. – Ditemi solo dove sono gli attrezzi del mestiere e mi metto subito al lavoro.
Amber inizialmente si rifiutò di farmi lavorare, anche perché sospettava in quali condizioni gravasse il bagno, ma alla fine riuscii a convincerla. Io mi sarei occupata del bagno, e lei di sistemare la spesa e le ultime cose in salotto.
Sebbene fossi curiosa, non ficcanasai nelle altre stanze, mi fiondai nel bagno, e rimasi sconvolta per il duro lavoro che mi attendeva: era davvero ridotto male.


Ero a buon punto con il lavoro quando Amber mi chiamò dalla cucina.
- È successo qualcosa? - chiesi raggiungendola.
- No nulla di che. Mi sono accorta di aver dimenticato degli ingredienti. Tornerò al villaggio e starò via per un po’. È un problema per te continuare a lavorare qua da sola?
- No, affatto. Sono a buon punto comunque. Nel caso finissi prima del tuo arrivo, c’è qualcosa che devo fare? – Amber mi spiegò che voleva preparare una minestra alle verdure per cena, così mi lasciò l’incarico di sbucciare e tagliare le verdure che aveva lasciato sul tavolo. Prese una borsa di tela e chiamò Ael che era di fuori con Apodis per via della legna da recuperare.


Dopo un’ora abbondante di lavoro, riuscii finalmente a far splendere quella stanza, rendendole giustizia. Pur essendo in un villaggio, anzi, ai limiti dello stesso, era una casa di tutto rispetto, e il bagno non faceva eccezioni.
Non volendo perdere ulteriore tempo, raggiunsi la cucina e cominciai a preparare le verdure, mettendo anche a bollire l’acqua, proprio come mi aveva detto di fare Amber.
La ragazza rientrò quando avevo quasi finito la consegna, seguita dai due ragazzi che si portavano appresso delle cassette piene di legna.
- Non credi di averne tagliata troppa Apodis? – chiese Ael sopprimendo a mala pena una risata.
- No, affatto. – rispose lui arrossendo lievemente.
- Avresti potuto dare una mano ad Ayla con le verdure almeno. – lo riprese Amber. Apodis lanciò delle occhiatacce ad entrambi, ma la coppia non sembrò curarsene più di tanto, e anzi, risero assieme di qualcosa che solo io non riuscivo a capire.
Amber si accostò a me e dispose sul tavolo gli ultimi ingredienti, mentre Ael e Apodis prepararono il camino che, una volta acceso, riscaldò immediatamente la stanza.
Riuscimmo a fare tutto appena in tempo, perché il sole era oramai quasi del tutto calato, e il freddo cominciava a farsi sentire.
Se avessimo aspettato anche solo cinque minuti in più, sarebbe stato più faticoso riscaldare il tutto.


Oramai non ci restava altro da fare che aspettare che la cena fosse pronta. Volendomi rendere utile, e soprattutto, evitare di pensare a qualsiasi cosa, chiesi ad Amber se potevo fare altro.
Dato che comunque non c’era più nulla da sistemare, mi chiese di andare in soffitta assieme ad Apodis per recuperare i sacchi a pelo.
Avremmo sì usato i adivano letto, ma per fare più in fretta quella era la soluzione migliore.
Avrei potuto anche cercare da sola, ma in due avremmo fatto prima, e in un unico viaggio.
- Sono dentro lo scatolone grande. – mi disse lei.
Apodis mi precedette: aveva già fatto scendere la scaletta e acceso la luce per la soffitta.
Mi lasciò salire per prima, ma una volta saliti entrambi non sapevamo dove cercare: era pieno di scatoloni.
Ci scambiammo uno sguardo sconsolato della serie: “E ora che facciamo?”. Purtroppo l’unica era ispezionare scatolone dopo scatolone. Speravo di sbrigarmi in fretta, ma la cosa si sarebbe rivelata più lunga di quanto avevamo previsto. La soffitta, tra le altre cose, non era riscaldata e faceva davvero freddo.
Dopo tanto cercare mi imbattei nelle decorazioni natalizie, c’erano festoni, palline colorate, candele, diversi puntali, luci e ghirlande.
Era uno spettacolo per gli occhi, perché le palline erano tutte molto ben lavorate, sembravano fragili a vedersi, ma erano più dure del marmo. Apodis era immerso nella ricerca, ma quel silenzio era davvero opprimente. Cercai di spezzarlo con domande “stupide”, giusto per parlare un po’.
- Ti piace il Natale Apodis?
- Mi piace come periodo per via delle decorazioni che si vedono in città. La festività vera e propria in realtà non m’interessa.
- Capisco…
Calò di nuovo il silenzio, fino a che Apodis esultò.
- Finalmente li ho trovati.
- Meno male, sto congelando. – Apodis insistette per portare lui lo scatolone da basso, così io non potei fare altro che seguirlo senza, di fatto fare nulla di che.


- Bentornati, come mai ci avete messo tanto? – chiese Amber.
- Se ci avessi detto in quale scatolone cercare avremmo finito prima. - si lamentò Apodis. Ma non era un vero e proprio lamentarsi, era il loro modo di scherzare.
- Oh, andiamo, almeno avete passato un po’ il tempo fintanto che la cena non era ancora pronta. Ah, non preoccuparti Ayla: la tavola è già sistemata a dovere. – nonostante mi fossi data da fare per il bagno, avrei voluto poter fare qualcosina in più.
Mi sembrava sempre di approfittare della loro gentilezza, e di non riuscire a darmi da fare abbastanza per ripagarli per quanto avevano fatto per noi.


La minestra fu un vero toccasana, buttare giù qualcosa di caldo con tutto quel freddo era la cosa migliore.
Non sapevo se era per la bontà del piatto o per la fame, ma Ael ne divorò ben tre piatti, senza contare l’insalata e il dolce.
Rimanemmo a parlare di cose stupide e futili, giusto per passare il tempo e per non pensare costantemente ai nostri problemi.
A un certo punto Ael, guardando l’orologio, ci invitò a coricarci, dato che l’indomani dovevamo, ancora una volta, prepararci presto per partire.
- Apodis, ravviva un po’ il fuoco per favore. Non ne serve tanto, giusto quel po’ per tenere la calda la stanza fino a domattina. - gli chiese Ael.
Amber e io aprimmo i due divani letto e sistemammo sopra i sacchi a pelo. Chiaramente ero certa che avrei dormito con lei accanto, anche quando andammo in bagno per infilarci il pigiama non mi passò neanche per l’anticamera del cervello l’idea di chiederle come ci saremmo divisi.
Quando tornammo in salotto i due demoni ci fissarono e scoppiarono a ridere. Io e Amber ci guardammo senza capire il motivo di tanta ilarità.
- Che c’è? - chiesi con voce stridula.
- Niente. - mi risposero senza riuscire a contenersi.
- Oh, lo so io Ayla. Mio marito, che tanto si diverte a farmi scherzi, ogni anno mi prende pigiami di questo tipo, - disse indicando i nostri pigiami in pile, - per poi prendermi in giro e dirmi che sembro o una nonnina o una bambina. – i pigiami io li trovavo adorabili. Il suo, rosa confetto, aveva dei gufetti ricamati al centro con un cuoricino rosso, mentre sul mio, azzurro, c’era un pinguino grassoccio.
- Dai tesoro, non te la prendere. Io ti trovo comunque adorabile.- le disse Ael prendendola in braccio e posandola sul divano letto.
Realizzai quindi che quei due avrebbero dormito assieme. Non era poi una cosa così strana, ma questo significava che io avrei dovuto dormire con Apodis!
- Scusate, ma di divani letto ce ne sono solo due…
- Sì. – disse Amber con l’espressione di una che non aveva capito bene la situazione. Anche se io sospettavo che lei sapesse benissimo quale fosse il mio problema. Mi schiarii la voce sperando di farmi capire senza bisogno di dover aggiungere altro.
Avevo come l’impressione che Amber stesse cercando in ogni modo possibile di farmi stare da sola con Apodis, o comunque il più vicina possibile.
- Ayla, non avrai paura di dormire con Apodis? – mi studiò Amber. Non si poteva chiamare paura la mia, ma certamente non morivo dalla voglia di dormire con un uomo.
- No. Chi, io? – feci una pausa sentendo lo sguardo dei tre demoni puntato su di me. – Beh ecco, non sono abituata a fare del campeggio misto. – non sapendo come dirlo, puntai alla scusa meno banale possibile. Conoscendo Ael e Amber, sapevo che se avessi detto che mi imbarazzava l’idea di dormire accanto ad Apodis, loro sarebbero scoppiati a ridere. Soprattutto perché Amber aveva capito qualcosa… ne ero certa.
- Oh, ma tranquilla, tanto starete dentro i sacchi. Solo uno è matrimoniale, e quello è il nostro. - disse Amber abbracciando Ael.
- Ok. - ero imbarazzatissima, ma non potevo più sollevare questioni.
Oramai non potevo fare altro che infilarmi nel sacco a pelo e buttarmi giù a dormire, sperando che Apodis facesse lo stesso.
Ero abbastanza sicura del fatto che non mi avrebbe tirato qualche brutto scherzo, lui era comunque un gentiluomo.
Più che altro mi preoccupavano i miei movimenti: avevo sempre avuto il sonno agitato, fin da bambina, e temevo di fargli male involontariamente.
“Oh beh, se è davvero così forte potrà sopportare qualche calcio!” pensai mentre mi giravo su un fianco, dandogli le spalle.
- Buonanotte. - gridai.
Sentii che Apodis si era seduto e che si stava sistemando. Tremai un attimo ma decisi che non avrei permesso al panico di fare di me una preda. Dovevo solo addormentarmi, niente di più facile.
Avevo già dormito nella stessa stanza con lui, mentre ci dirigevamo in Germania ci eravamo fermati in qualche Zimmer, dato che dormire in auto non era proprio comodo.
- Buonanotte. - disse lui.
- Notte ragazzi, e non fate cose strane eh!
- Amber! - gridammo insieme io e Apodis, rossi in volto.
- Su,su, non sapete neanche stare più agli scherzi? Buonanotte.
Io e Apodis ci guardammo, arrossendo ancora di più e ci coricammo entrambi di fianco, schiena contro schiena.
Anche se non c’era un vero e proprio contatto, stargli così vicina mi rendeva molto più felice di quanto non sarebbe stato consono.
Scivolai così nel sonno, col cuore che batteva a mille.


Sentii una mano scuotermi: era Ael che ci chiamava per prepararci.
Mi ci volle qualche secondo per realizzare che Apodis mi stava abbracciando e che avevo dormito con la testa appoggiata al suo petto per chissà quanto tempo. Entrambi facemmo finta di nulla, ma sentimmo lo sguardo soddisfatto di Ael ed Amber su di noi.
Grazie alla legna che Apodis aveva messo a bruciare la sera prima, la stanza, anche se il fuoco era spento da un po’, era ancora tiepida.
Corsi in bagno e mi preparai velocemente. La colazione era già in tavola, anche se a dispetto della precedente mattina era meno abbondante.
Dopo aver sistemato tutto quanto, chiuso i divano letto e riposto i sacchi a pelo eravamo tutti pronti per partire.
Ael si trasformò immediatamente e io non persi tempo, gli salii in groppa subito dopo che lo fece Amber.
- Vedo che siamo ansiosi, eh?
- Hai perfettamente ragione. Non vedo l’ora di arrivare. Tanto il portale non è molto distante, giusto?
- Esatto. Coraggio Apodis, Sali che partiamo. – lo richiamò Amber. Rispetto alla prima volta sembrava che quello titubante fosse lui.
- Che aspettiamo allora. Su ragazzi: si parte.


Sorvolammo tutta la Groenlandia, fino ad arrivare al punto più a nord: c’erano dei ghiacciai e Amber mi indicò una grotta.
Pur essendo ben nascosta riuscimmo subito ad individuarla: là dentro avremmo trovato il nostro portale.
Un semplice essere umano non avrebbe potuto raggiungere quei luoghi, e anche se ci fosse riuscito non sarebbe stato in grado di vedere la grotta. Io che avevo passato diverso tempo a contatto coi demoni, portando anche il bracciale che mi aveva dato, prima Elar, e poi Wolf, ero come portata a vedere aldilà delle cose.
Cominciò a nevicare, e noi ci infilammo subito nella cavità.
Più ci addentravamo, e più diventava buio. L’oscurità mi piaceva, ma solo nei luoghi che conoscevo bene. In quel caso la cosa mi spaventava dato che non sapevo dove girarmi e da che parte mettere i piedi.
- Non avere paura, se non fosse un posto sicuro non ti ci avremmo mai condotta. Per farti stare più tranquilla ti terrò la mano, e ti prometto che non la lascerò fino alla fine. – mi disse Apodis, che era stato sempre dietro di me come “chiudi-fila”.
- Mi stai trattando come una bambina, uffa! – borbottai risenta. - Però… accetto la tua offerta.
Anche se era buio capii che mi stava sorridendo, mi prese la mano e mi condusse per la grotta. Eravamo rimasti un po’ indietro: Ael ed Amber avevano proseguito da soli conoscendo bene la strada.
Quando li raggiungemmo l’oscurità sparì, lasciando lo spazio a una luminosa stanza ghiacciata.
- Questo è il portale ragazzi. - disse Amber indicando una delle pareti. Era come se fosse stato intagliato il profilo di un grande specchio, uno di quelli dei grandi palazzi nobiliari.
- Ma non c’è niente lì, solo ghiaccio. E quella specie di disegno, il profilo di uno specchio.
- Attenta Ayla, non lasciarti ingannare. - Ael poggiò la mano sulla parete e pronunciò frasi per me incomprensibili, il ghiaccio si sciolse, ma non cadde per terra l’acqua rimase là dov’era, turbinando vorticosamente.
- Coraggio. Andiamo avanti prima noi, voi non aspettate troppo per seguirci, perché il portale si richiuderà a breve.
Prima ancora che potessi proferire parola, Amber e Ael lo attraversarono, sparendo nel nulla.
Ora sarebbe toccato a noi, e io avrei solo voluto girare i tacchi e tornarmene a casa!
Era il mio primo viaggio dimensionale, e le gambe mi tremavano in maniera convulsa.
- Non ricordi? – Apodis era ancora accanto a me, e mi stringeva forte la mano. - Ti terrò la mano fino alla fine. Se non te la senti chiudi gli occhi, però lascia che ti guidi.
- Va bene. - mi andava bene qualsiasi cosa, purché ci fosse lui. Lo fissai dritto negli occhi e gli feci cenno che ero pronta.
Ci avvicinammo al portale e chiusi gli occhi, lasciandomi guidare dalle sue mosse.
Sentii qualcosa di viscido e freddo passarmi addosso, poi sentii una moltitudine di suoni e profumi, infine un’esplosione.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo Tredicesimo ***


"Capitolo Tredicesimo"


Non avevo ancora lasciato la sua mano, sentivo caldo e un intenso profumo di fiori mi colpì portandomi a spalancare gli occhi.
Davanti a noi c’era una immensa distesa fiorita: fiori diversissimi fra loro che però creavano un effetto fantastico.
Non avevo mai amato particolarmente i fiori, ma quella vista mi aveva lasciata senza parole.
- Possiamo andare? – la voce di Ael mi ridestò. Lasciai che Apodis mi aiutasse a rialzarmi e lasciai andare la sua mano.
- Ehi, ma che è successo ai vostri vestiti? – chiesi notando lo stile greco del loro abbigliamento.
Amber ridacchiò indicandomi. Mi guardai e anche io vestivo alla stessa maniera. Mi spiegò che in quella dimensione tutti vestivano a quella maniera, era una sorta di cambio obbligato per non alterare un proprio equilibrio.
Non ci capii molto, ma apprezzavo comunque quello stile.
Inoltre Ael e Apodis erano ancora più affascinanti sotto quelle vesti.
Ael e Amber ci indicarono il cammino, e noi li seguimmo silenziosamente.
Superammo il grande prato, camminando lungo il sentiero, fino a che non vedemmo in lontananza un piccolo tempio sulla sommità di una collina.
- È là che dobbiamo dirigerci. – mi disse Amber. Ci volle un po’ per raggiungerlo, e quando finalmente arrivammo io mi bloccai davanti all’ingresso.
- Non avere paura. – cercò di tranquillizzarmi Apodis. Ael ed Amber erano, ancora una volta, avanzati lasciandoci indietro.
Non capivo se era una scelta mirata di Amber o se semplicemente non si rendevano conto del fatto che io mi bloccassi.
- Paura? Io non ho mica paura.
- Però stai tremando, e hai di nuovo stretto la mia mano! – non me ne ero nemmeno accorta. La rilasciasi subito e mi scusai con lui.
Rise, come faceva quando stava con Ael, mi prese lui la mano e mi condusse per i corridoi del tempio per raggiungere in fretta i nostri amici.
Il tempio dall’esterno sembrava piccolo, ma in realtà si stava rivelando molto più ampio del previsto. Seguimmo ilo corridoio fino a che non giungemmo davanti a una porta.
Fu Ael ad aprirla, e notai subito che la stanza cui dava accesso era grande, con una piccola fontana al centro e più in fondo un trono di cristallo.
Mi ci volle di qualche secondo per notare la presenza di altre due persone: un ragazzo e una ragazza, anche loro portavano le nostre stesse tuniche di fattezza greca.
Osservando la ragazza mi chiesi subito se fosse lei la famosa Iris.
Guardai Amber e Ael: dalla loro espressione mi sembrò di capire che non conoscessero i due ragazzi, quindi quella non poteva essere Iris.
Ael ci fece cenno di seguire e quando arrivammo a pochi passi di loro, essi si voltarono sorpresi per la nostra presenza.
Lui era un bel ragazzo, alto all’incirca un metro e ottantacinque con la stessa pelle scura dei nativi americani, ma non così evidente, leggermente più basso di Ael, e come lui aveva i capelli argentati.
A colpirmi furono gli occhi: erano di un’insolita tonalità vermiglia. La ragazza era poco più alta di me, carina di viso, ben piazzata, ma proporzionata, capelli castano chiaro dai riflessi ramati lunghi e una bella ciocca sul lato destro raccolta in una piccola treccia che le cadeva morbida sul davanti. Gli occhi di lei … beh avevano un colore a dir poco straordinario: erano lilla.
- Scusate, per caso voi… - chiese lei timidamente.
- Noi siamo qua per “lei”. – inutile dire chi. Chiunque arrivasse in questa dimensione ci arrivava per un motivo. Lo capii ben presto dal loro atteggiamento e anche da quello di Ael.
-Io sono Alex, piacere. E lui è Aidan – lo presentò con una certa malavoglia che mi indusse a pensare che quei due non andassero molto d’accordo.
– Da dove venite? – chiese il ragazzo. Ael ci presentò, e gli spiegò del portale che ci aveva condotto fino al prato. Parlò della Groenlandia e gli chiese da quale dimensione provenissero.
- Un momento, - interruppi Ael, - stai dicendo che non vengono dalla nostra stessa dimensione?
Mi avevano già spiegato il fatto che esistessero moltissime dimensioni, ma non immaginavo che qualcuno proveniente da un’altra realtà potesse conoscere e interessarsi a Iris.
- Anche noi proveniamo dalla Terra, ma della dimensione X-2. Conoscete Iris? – chiese Aidan.
- Noi sì, siamo vecchi amici. Voi invece? - La ragazza scosse la testa.
- Io no, Aidan invece sì. Anzi, è lei che ci ha mandati a chiamare per una certa questione. – Aveva un modo di fare strano, continuava a guardare lo spazio vuoto che lasciava fra lei e il compagno.
Non sembrava molto felice di stare lì, e a volte passava da espressioni rilassate, a quelle di sgomento, seguite poi da espressione rabbiose volte sempre verso Aidan o verso il nulla.
Quindi loro li aveva mandati a chiamare la dea stessa… Di sicuro anche loro stavano attraversando un momento difficile.
Avrei voluto chiedergli quale fosse il loro problema, ma non conoscendoli bene mi sembrava scortese impicciarmi così impunemente dei loro affari.


Guardandomi intorno notai che su ogni lunga parete vi era una porta: fu proprio in quel momento che se due di esse si spalancarono.
Non era però Iris a fare il suo ingresso nella bella sala: ma altri ragazzi come noi.
Arrivarono quindi altre tre persone: da una porta uscì una coppia formata da un bel ragazzo e una ragazza alta, mentre dall’altra uscì solo una ragazza.
Si guardarono attorno, e non appena ci notarono si avvicinarono per chiederci di Iris.
Sembrava che nessuno sapesse dove fosse, vedendo però lo sguardo che si scambiarono Amber e Ael capii che oramai doveva mancare davvero poco al suo arrivo.


Facemmo quindi la conoscenza di Akylina, Kane e Alina.
Alex fece gli onori di casa. Pur non essendoci mai stata cercò di farci sentire tutti a nostro agio. Mi sembrava una ragazza decisamente matura e anche materna a tratti.
Era gentile, e ero abbastanza sicura che il suo modo di fare fosse anche utile per tagliare un po’ la tensione: non solo quella che c’era fra tutti noi che aspettavamo l’arrivo di Iris, ma anche per quella che si era creata col suo compagno di viaggio.
Con lui era decisamente più fredda, ma in più d’un occasione l’avevo vista arrossire subito prima di scansare il ragazzo.
Nonostante il suo modo di fare lui sembrava non voler demordere, e sembrava anche lui irritato; ma non per lei.
Così come già avevo notato lei guardare nel vuoto, vidi anche lui fare lo stesso.
Capii che c’era qualcosa di più, qualcosa che io non potevo vedere o percepire.


Alina proveniva da una dimensione simile alla nostra, così come Alex del resto, mentre Akylina e Kane sembrava provenissero da una dimensione leggermente diversa.
Appresi così che Kane era una specie di pirata. Le sue orecchie leggermente a punta mi fecero pensare ad Apodis, con l’unica differenza che lui, Apodis, era decisamente più carino.
Alina ci spiegò che era originaria del pianeta Terra, ma che da tempo si trovava a viaggiare fra diversi mondi.
La trovai molto graziosa e simpatica, leggermente più alta di me e dalla corporatura media, i lunghi capelli castani dorati avevano un bellissimo hime-cut, e gli occhi tendenti al verde si incastonavano alla perfezione sul suo bel viso.


Come avevo notato per Alex e Aidan, anche fra la nuova coppia sembravano esserci dei dissapori, ma parevano essere più radicati. I due infatti continuavano a battibeccare senza sosta e per i motivi più futili.
Erano molto rumorosi, ma aldilà di tutto sembravano simpatici.
Lei, alta un metro e settanta circa, forse anche qualche centimetro in più, occhi color dell’oceano e capelli castano scuri, dai riflessi però che tendevano al viola. Solo guardandola si capiva che fosse una persona energica, decisa e solare. Difficilmente il tipo di persona che si faceva mettere i piedi in testa.
Lui era invece sul metro e ottanta, capelli biondi e lunghi che si dividevano in tre lunghe ciocche lungo la schiena, occhi azzurri, un bel fisico atletico. Dal carattere allegro e chiacchierone. Mi venne in mente Gabriel, anche se Kane sembrava avere molto più carisma.


Nell’attesa della dea cominciammo a parlare più di cose futili, che sui motivi che avevano spinto, ognuno di noi, a raggiungere quel luogo.


Ael quindi si girò e ci disse di avvicinarci al trono perché Iris stava per arrivare.
Una leggera nebbiolina avvolse il trono, e quando questa svanì lasciò lo spazio a una bellissima pantera nera alata.
Tutti si inchinarono al suo cospetto, tranne me, paralizzata da stupore. La pantera sorrise e mi disse che non dovevo avere paura. La sua voce sembrava come miele.
Chiuse gli occhi e la pantera scomparve lasciando il posto a una donna meravigliosa.
Dire che fosse stupenda era riduttivo. Una donna alta quasi un metro e ottanta, capelli lunghi e color del miele, riccioluti, occhi del color degli zaffiri e forme giunoniche.
Come noi indossava la tipica tunica greca, di un candido bianco e portava una specie di scialle trasparente azzurro.


- Però questo aspetto non mi piace, - disse guardandosi attorno, -ci vuole più aria. – e con un semplice gesto le mura che circondavano la stanza svanirono nel nulla, lasciandoci tutti, eccetto Ael ed Amber, a bocca aperta.
Vedevo, dalla zona da cui eravamo arrivati, in lontananza il prato in cui ci eravamo materializzati.
Se provavo a guardare invece verso gli altri lati il paesaggio cambiava drasticamente.
Sembrava che quel mondo fosse diviso in quattro: una parte per ogni stagione, infatti da uno dei lati potevo scorgere in lontananza un viale alberato, simile a quello che avevo percorso assieme ad Apodis per arrivare da Ael e Amber. Le foglie erano gialle, arancioni, rosse e marroncine: il tipico paesaggio autunnale.
Dal lato da cui era arrivata Alina si poteva ammirare un ambiente costiero, mentre dal lato da cui erano arrivati Akylina e Kane potevamo ammirare un paesaggio invernale.


- Questo è il mio piccolo mondo ragazzi, dove tutto è possibile. – ci disse Iris sfoggiando un caldo sorriso. - Ora posso aiutarvi. So che siete arrivati prima voi, - disse rivolgendosi ad Aidan e Alex, - ma ci sono vecchi amici che devo assolutamente riabbracciare. – si stava riferendo ad Ael e Amber.
Li prese in disparte e cominciò a parlare con loro, sembrano divertirsi parecchio.
Non conoscevo bene tutti i dettagli riguardanti la loro conoscenza, ma sapevo che in seguito a quanto era successo, avevano stretto un forte legame.
- Non mi avevate detto che era così bella. – dissi sottovoce ad Apodis.
- Questione di punti di vista, e poi non credo che l’aspetto sia una cosa poi così rivelante.


Dopo aver finito di parlare con loro Iris rivolse le sue attenzioni a me e ad Apodis invitandoci a fare una breve passeggiata in spiaggia.
- Sapevo del vostro arrivo prima ancora che Apodis avesse preso la sua decisione. – era pur sempre una dea, e in quanto tale non mi sorprendeva troppo il fatto che sapesse già molte cose su di noi. Voi cosa vi aspettate da me di preciso? – chiese senza mezzi termini. Decisi di prendere la parola prima ancora che Apodis potesse aprire bocca. Lui aveva già fatto molto, non potevo lasciare a lui tutti gli oneri.
- Solo dei consigli sul da farsi signora. Sapere cosa dobbiamo fare, come comportarci nei confronti della corte. Non voglio chiederle dei sacrifici, già troppe persone stanno rischiando la vita per me. Non voglio che qualcuno… - lei mi bloccò, come una madre, desiderosa di aiutare uno dei figli in difficoltà, mi abbracciò.
Un abbraccio può rivelarsi più utile di mille parole.
Basta davvero poco per renderci vicini, per far capire a chi è in difficoltà che gli siamo vicini.
Anche se non c’è molto che possiamo fare per gli altri, la nostra sola presenza e il nostro appoggio può fare molto di più di quanto non potremmo aspettarci.
Un semplice abbraccio o un piccolo bacio, possono arrivare laddove le parole risultano inutili. Anzi, un qualsiasi gesto dato davvero con tutto il cuore può cambiare la giornata se non la vita a una persona.
Pur non conoscendo Iris, non avendola mai vissuta o senza aver scambiato quattro chiacchiere, la sentivo vicina come se fosse stata Ly. Quel piccolo gesto d’affetto mi aveva scaldato il cuore.
- Coraggio bambina, tutto andrà per il meglio. Prendi questo. – disse porgendomi un piccolo anello. Non era molto elaborato, sembrava della stessa lega della collana e del ciondolo regalatomi da Wolf.
Era tutto intrecciato, ricordava i motivi degli anelli celtici.
Me lo infilai subito all’anulare destro: calzava alla perfezione.
- È meraviglioso, grazie mille. – dissi ammirando il piccolo gioiello. Ma non vedevo come un anello potesse salvarmi la vita. – Perdonatemi signora, non vorrei sembrarle ingrata, ma non vedo come un piccolo anello possa aiutarci per la situazione che si è venuta a creare. – speravo con tutto il cuore che la dea non si indispettisse per le mie remore.
- Non preoccuparti, al momento opportuno scoprirai il suo potere. È stato forgiato dalle fate, puoi fidarti. Piuttosto… i tuoi sogni? Son tornati ad essere normali? – e lei come poteva sapere dei miei sogni? Il sorriso che le si dipinse sul volto era quello di una che la sapeva lunga. Io ne avevo parlato solo con Ly, George ed Apodis.
-Ma, voi…
- Come faccio a saperlo? Semplice, diciamo che quei sogni non sono cominciati per puro caso.
- Ricordi quando hai cominciato ad averli? – feci qualche conto, e notai che avevo cominciato a fare il sogno del palazzo e dei mostri non molto tempo prima di incontrare Apodis.
Quando realizzai che era tutto collegato, che non era un caso se le tre figure incappucciate dopo poco tempo presero i volti di Apodis, Ael ed Amber, lei mi mise una mano sulla spalla.
- Non posso proprio definirlo un sogno premonitore, ma in quel sogno c’è molto più di quanto tu non pensi Ayla. Molte delle risposte e degli aiuti che cerchi, son lì dentro.
- Ma ultimamente non sogno più…
- Non preoccuparti, presto torneranno, manca poco. – cosa volesse dire con quello per me rimaneva un mistero. Apodis era rimasto silenzioso ad ascoltare i nostri discorsi. Non era intervenuto neanche una volta, anche solo per chiedere qualcosa.
Se ne stava lì, immobile a fissarci in attesa che finissimo.
- Ora è il momento per voi di tornarvene a casa, recatevi alla corte e spiegate la situazione. Il re capirà e tutto andrà per il verso giusto. – riusciva a trasmettere serenità e sicurezza con un solo sguardo.
Nonostante mi sentissi incerta all’inizio, una sua sola parola mi bastava non solo per fidarmi di lei, ma per avere fiducia anche nel fatto che tutto si sarebbe risolto.
Le rivolsi uno sguardo di gratitudine, perché le parole non sarebbero bastate per esprimerle tutto quello che mi stava passando per la testa.
- Per favore, aspetta un attimo qua, devo parlare con Apodis. Nulla di grave, non preoccuparti.
Feci cenno di sì con la testa e li vidi allontanarsi lungo la spiaggia. Il mio umore era tale che non mi preoccupai di quale fosse l’oggetto della loro conversazione.


Fissai il mare, che sempre mi aveva affascinata e tranquillizzata. Vedere le onde infrangersi sugli scogli mi faceva venire voglia di tuffarmi. Provavo nostalgia per i bei giorni estivi, per le lunghe nuotate e le risate in compagnia.
L’estate era una stagione meravigliosa, come tutte le altre del resto.
Ero talmente assorta nei miei pensieri e nella contemplazione del mare che non mi accorsi del tempo che passava.
Iris e Apodis fecero ritorno. Lui però mi sembrava scosso, aveva la stessa espressione di quando stava per accadere qualcosa di brutto.
- Tutto bene?
- Sì, tutto bene. Ho solo spiegato ad Apodis cosa fare in caso di pericolo. Giusto?
- Sì, sta pure tranquilla Ayla. – disse lui tornando ad avere la solita espressione.
Iris ci riaccompagnò al tempio, prendendo in disparte ognuno dei suoi ospiti, e pregandoci di non rivelare agli altri il motivo delle rispettive visite, e le nostre storie.
Non capivo il motivo di tanta segretezza, ma avevo fiducia in Iris, per questo seguii le sue indicazioni.
Alina venne lasciata per ultima, pensavamo che avremmo aspettato che Iris parlasse con lei per poi congedarci tutti. Invece fu diverso.
- Potete tornare nei vostri mondi, io e Alina abbiamo molto di cui parlare. – a quelle parole Akylina si fece avanti.
- Vogliamo aspettare tutti. Almeno, io sì. Siamo arrivati qua insieme e insieme ce ne andremo. – anche se avevamo passato poco tempo assieme sembrava già essersi creato un certo affiatamento.
- Non è per fare un torto a voi che ho preso questa decisione, ma il percorso che deve fare Alina è diverso dal vostro, per lei la storia è diversa. Ma non preoccupatevi: tra molti anni saprete com’è andata, vi rincontrerete. Non posso rivelarvi il futuro, ma fidatevi e riprendete il vostro cammino da dove lo avete lasciato. – non ero del tutto convinta. Del resto era stata proprio Iris a chiederci inizialmente di aspettare che parlasse anche con gli altri prima di tornarcene a casa. Perché con Alina il comportamento era diverso?
La ragazza ci disse di non preoccuparci, e che se Iris aveva detto di fare così noi dovevamo fare quanto ci aveva chiesto.
- Starò bene, grazie a tutti, ci rivedremo in un prossimo futuro. – disse stringendoci le mani uno a da uno.
Dopo esserci salutati, ognuno di noi prese il sentiero usato per arrivare al tempio.
Nessuno di noi conosceva le vicende degli altri, ma ci sentivamo uniti nelle nostre rispettive sventure.
Ognuno di noi era giunto lì in cerca di risposte, ognuno di noi non voleva cedere nonostante le avversità.
Non importava quanto il cammino fosse stato difficile, volevamo tutti lottare per la nostra vita, per il nostro futuro.


Ripercorremmo il prato fiorito, giungendo davanti allo stesso specchio d’acqua che era comparso anche nella caverna.
Dopo avere goduto del calore estivo, tornare al freddo invernale sarebbe stato uno strazio. Ma non potevamo più restare in quella bella dimensione.
- Preparatevi al freddo. – disse Ael.
Attraversammo lo specchio, e ci ritrovammo di nuovo in Groenlandia.
I begli abiti che avevamo indossato fino a pochi istanti prima avevano lasciato lo spazio alle tenute invernali. Ora ci aspettava la parte più dura del viaggio.
La corte, per lontana che fosse posizionata, non mi era mai parsa così vicina.



 
L'angolo di Shera ^^

Di tanto in tanto ritorno a pubblicare XD.
Ultimamente, causa corso professionale, ho avuto davvero poco tempo per stare al pc, nonostante trovassi sempre il tempo per leggere e commentare.
Sì, la storia è completa da mesi, ma ultimamente sto accedenso più col tablet che col mio amato portatile.
Che dire, questo capitolo è parecchio importante per la saga di Iris. È il capitolo in comune con le quattro opere che compongono la tetralogia che avevo ideato, formata da: La nuova torre (gli dei soli sanno quando mi deciderò a riprenderne la stesura), In bilico fra i mondi (che necessita una doverosa revisione), la corte dei demoni (appunto XD), e l'ultima storia della quale il titolo ancora non è stato deciso.
All'universo di Iris è stata aggiunta anche la storia del principe Scorpione, il mio adorato Antares. Sebbene la figura di Iris compaia a mo' di cameo, penso che il racconto possa rientrare nell'universo della Dea.
Magari farò una nuova raccolta.
Attualmente, oltre alle revisioni previste di storie vecchi già pubblicate, e al continuo della "nuova torre", avrei in ballo anche delle storie nuove.
La prima sarà una revisione di una storia che non ho mai pubblicato, e che era nata per puro gioco. Non ero soddisfatta, tanto da voler ripudiare tale racconto, ma ultimamente mi sono venute nuove idee ^^.
Ci sarebbero poi due miti che vorrei rivedere: Ade e Persefone per primo. Da mesi mi sto letteralmente arrovellando su una mia versione del mito. Credo di avere letto quasi tutte le versioni presenti su EFP XD. Ognuno ha la propria visione, no?
Il secondo mito è una cosa molto più  recente, di tipo... tre giorni credo.
Il mio ragazzo mi ha chiesto, vedendo dei nuovi schizzi sui lupi, di fargli una commissione su un mito che sinceramente conoscevo molto poco: il mito di Scilla.
Ebbene, ho cominciato a cercare le versioni sul mito, e quindi, una cosa tira l'altra e... perchè non scrivere una mia versione?
Raramente riesco a disegnare senza avere in mente un particolare "disegno", inteso come trama. 
A parte forse la fanciulla e le tre fate (cosa che forse riuscirò a sfruttare per Sel, il racconto ripudiato).

Insomma, vedremo che cosa riuscirò a combinare.
Era da secoli che non lasciavo il mio angolo autrice per la corte, ebbene, stavolta credo di essermi rifatta.
Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che mi hanno aggiunt
a. Ringrazio natalyesonny per aver aggiunto la storia fra le preferite, jessfa34 per averla aggiunta nelle preferite e nelle ricordate, e Chiara99MooN, DarkAngelMax452DrachenNikita_pura forza e silvia_arena per averla aggiunta fra le seguite.
Grazie infinite a tutti.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se volete e avete tempo, lasciatemi pure un commento.
Alla prossima <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo Quattordicesimo ***


- Capitolo Quattordicesimo -





Ael si ritrasformò in drago per riportarci in tutta fretta alla baita. Sarebbe stato senz’altro meglio viaggiare alla volta della corte, ma quel viaggio ci aveva tolto parecchie energie: avevamo bisogno di starcene tranquilli e di riposare.
In pochi giorni saremmo finalmente giunti alla corte e posto fine a quel lungo viaggio.
Amber mi spiegò che la corte che era situata vicino al polo Nord e invisibile per chi non conosceva la loro realtà.
Solo un umano adeguatamente preparato avrebbe potuto scorgerla sapendo dove guardare.
- In che senso Amber? – le chiesi non riuscendo a capire di cosa stesse parlando.
- Non basta credere all’esistenza degli elfi, delle fate o di altre creature dotate di poteri magici. Un umano che crede davvero in noi, che conosce il nostro passato e la nostra storia, dovrà cercare prima una pietra brillare nella neve.
Quella pietra è una protezione per la corte stessa, ma in pochi uomini riescono a vederla, io ero una delle poche dei miei tempi ad esempio. C’è stato anche un tempo in cui gli uomini che si macchiavano dei crimini peggiori verso noi, o verso altri, venivano portati qua per essere processati ed in seguito puniti. – Amber sospirò, e sentii la tensione sia di Ael che di Apodis. – Io sono una delle pochissime donne uscite vive da là. Era raro che gli uomini potessero capire e collaborare, così… - non ci fu bisogno di aggiungere altro. Avevo capito già cosa era successo agli sventurati che avevano osato troppo.


I demoni in passato avevano scelto di ribellarsi agli uomini, punendo chi di loro avrebbe osato ancora recare offesa alla comunità dei demoni e degli altri esseri viventi.
Avevano tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiati e per pretendere, in un qualche modo non tanto vendetta quanto una sorta di riscatto morale.
A furia di subire le angherie da parte dei prepotenti uno, presto o tardi, decide finalmente di riprendere tutto in mano e di darsi una svegliata.
Forse però anche i demoni erano passati dalla parte del torto con questo atteggiamento.


Il fine giustifica i mezzi?


Forse, o forse l’unica cosa da fare era solo aspettare che i tempi fossero più maturi.


Arrivati alla baita aiutai Amber in cucina mentre Apodis e Ael erano fuori, l’uno a tagliare la legna, l’altro a comprare ciò che Amber aveva ordinato il giorno precedente.
Amber mi parlava, ma io ero un po’ distratta e rispondevo per inerzia. Non mi sentivo fiacca o giù di morale, tutt’altro.
Con l’incontro avuto con Iris avevo trovato, una volta per tutte, quella risolutezza e quel carattere che da tempo non avevo più.
Non pensavo certo di arrivare alla corte e fare un macello, quello no.
Però volevo davvero sistemare le cose, salvare Apodis, Ael ed Amber che avevano fatto moltissimo per me, e anche far capire a quelli che volevano spodestare chi aveva un cuore grande, che non tutti gli uomini erano malvagi.
Che chi in passato aveva sbagliato in una qualche maniera aveva già pagato, e che non dovevano essere i discendenti di tale razza a pagarne il prezzo.
Io ero stata graziata, ma non senza un vero motivo, dato che in una qualche maniera era stato l’intervento a distanza di Iris a far capire ad Apodis che io non ero ancora pronta.


Il mio più grande desiderio? Vivere, vivere per me stessa e per tutti quelli che mi avevano portata fino a quel punto.
La mia famiglia, i miei amici e tutti coloro che avevo incontrato lungo quello strano cammino che la vita mi aveva messo di fronte.
Arrivai alla conclusione che la mia vita non era solo mia, ma che indirettamente un pochino apparteneva anche a quelli che mi avevano aiutato a plasmarla.
Di giorno in giorno, superando insieme ogni ostacolo.
Dovevo ringraziare anche chi mi aveva messo i bastoni fra le ruote, perché anche quella era una parte necessaria. Senza difficoltà uno non può imparare a reagire, e io, nonostante tutta la fatica, potevo dire di avercela fatta.


- Ti vedo pensierosa cara… qualcosa non va? – Amber riuscì a riportarmi sulla terra, dato che la mia mente vagava parecchi chilometri lontani da quella casa.
- Per andare bene va bene. – giocherellai con l’anello che mi aveva regalato la dea. – Ho solo qualche perplessità sull’uso di questo oggetto. – lei mi ripetè le stesse parole di Iris.
- Vi siete messe d’accordo? Non è che sai già cosa devo fare ma non vuoi dirmelo, vero?
- No, è che conosco Iris, a conti fatti io ci son già passata. Ricordi? – mi sorrise mentre lasciava cadere le verdure in padella.
Cercò di tranquillizzarmi dicendo l’unica cosa certa: avremmo dovuto aspettare il momento in cui l’oggetto si sarebbe reso utile per conto proprio. Nel momento del bisogno ci avrebbe dato una mano, come del resto ci aveva già suggerito Iris.


Quando i ragazzi rientrarono fuori era già tutto buio, e, una volta assemblati gli ultimi ingredienti, potemmo finalmente gustarci un lauto pasto.
Eravamo rimasti a digiuno per svariate ore, ma nonostante ciò non avevo un grande appetito.
Parlavamo e scherzavamo come al solito, sembrava che il viaggio ci avesse lasciato abbastanza energie per stare svegli ancora un po’ per giocare a carte.
Ael diceva che era meglio divertirsi ogni qual volta se ne aveva l’occasione. E non potei che dargli ragione.
Ci preparammo per la notte infilandoci i pigiami e aprimmo uno dei divani letto. Al tavolo saremmo stati senz’altro più comodi per giocare, ma sul letto sarebbe stato più divertente.
Peccato solo che il mio corpo cominciava a risentire della stanchezza, tanto da crollare nel bel mezzo della partita.
Amber mi scosse nella speranza di risvegliarmi, ma i miei occhi proprio non ne volevano sapere di rimanere aperti, e rimasi raggomitolata nel mio angolo di letto.
- Datemi cinque minuti, solo cinque minuti per riposare gli occhi e poi prometto che mi rimetto a giocare. – borbottai con voce impastata. La mia mente la sentivo anche sveglia, ma il mio corpo non riusciva più a rispondere ai miei comandi purtroppo.
Sentii Amber borbottare qualcosa, ma anche l’udito era compromesso, sentivo come se avessi avuto un sacco di ovatta nell’orecchio.
Mi sentii poi girare e sollevare, la cosa mi spaventò abbastanza da riuscire ad aprire gli occhi quel tanto che bastava per capire cosa stesse accadendo.
Apodis mi aveva sollevata per portarmi nel nostro divano letto e infilarmi nel mio sacco a pelo.
- Ma no, ce la faccio da sola. – cercai di dirgli, ma lui non mi ascoltò e mi depose gentilmente sul divano.
Ero troppo stanca per obiettare, il tempo di avvolgermi bene nel sacco, e di essere coperta dal trapuntino che Amber ci aveva dato, ed ero già nel mondo dei sogni.


Feci un sogno stranissimo, non il solito che avevo fatto negli ultimi tempi, un che mi lasciò con l’amaro in bocca.
Vidi una donna, molto bella, e che quasi sicuramente era una demone. Sorrideva, e sorrideva ad un uomo che aveva in braccio un bambino.
Quell’uomo era la copia sputata di Apodis.
Mi risvegliai di soprassalto nel cuore della notte col fiatone, Ael ed Amber dormivano, Apodis invece era sveglio e mi prese la mano.
- Hai avuto un incubo?
- Una specie… Mi spiace averti svegliato.
- Ero già sveglio, non riuscivo a dormire. Cerca ora di tranquillizzarti e di buttarti giù, sono certo che ti riaddormenterai subito e farai una bella tirata fino al mattino. Tanto non abbiamo orari da rispettare. – lui sorrise, e il mio cuore riprese a battere ancora più forte.
Non sapevo da cosa fosse scaturito quel sogno, ma la gelosia si stava facendo largo in me in una maniera tale da farmi sempre più male, volevo cancellare quella brutta sensazione.
- Apodis, posso chiederti un favore per conciliare il sonno?
- Certo.
- Potresti abbracciarmi un pochino? Almeno finchè non riesco di nuovo a riaddormentarmi. – dissi timidamente.
Apodis era stupito per la mia richiesta, ma mi accontentò volentieri. Non feci più brutti sogni quella notte, il calore di Apodis sembrava avvolgermi in una dolce carezza.


Apodis fu l’ultima cosa che vidi prima di riaddormentarmi, e l’indomani la prima. Doveva già essere sveglio da molto, venne da me e mi scostò i capelli con dolcezza, sussurrandomi che era ora di alzarsi, senza mettermi alcuna fretta.
Mettendo il muso fuori dal calore e dalla protezione della trapunta sentivo fresco, e la voglia di alzarsi non c’era, ma il buon profumo della cioccolata appena preparata da Amber riuscì a farmi schiodare dal letto.
In bagno mi rivestii in fretta e furia, senza accorgermi della luce che filtrava dalla finestra, una volta tornata in salotto però non potei fare a meno di accorgermene.
- Uhm, ma è già chiaro. Che ore sono? Di sicuro è tardi, perché non mi avete chiamata prima?
- Eri molto stanca e Apodis ci ha detto che hai avuto una notte un po’ sofferta, così abbiamo pensato di lasciarti riposare un po’ di più.
- Si è trattato solo di un banale incubo, nulla di che. – dissi come per scusarmi.
- Ad ogni modo eri comunque un po’ provata per il viaggio di ieri. Non te lo avevamo detto, ma i viaggi dimensionali consumano parecchie energie, tanto che persino noi demoni ne soffriamo un po’. Per te deve essere stato peggio, ora come ti senti? Volevamo farti recuperare le forze, e ora sei a posto. No?
- Sì, adesso mi sento molto meglio. Grazie. Avete già fatto colazione voi?
- No, ti abbiamo aspettata come puoi vedere. – Amber indicò la tavola imbandita. Di certo tutto quel cibo non poteva essere solo per me. Non avevo un appetito tale da far fuori così tanto cibo.
- Avreste anche potuto cominciare. Mi fate sentire in colpa quasi.
- Non devi. - disse Amber trascinandomi a tavola.
- Eri stanca e avevi bisogno di riposarti, per questo ti abbiamo aspettata. Non ci sembrava giusto mangiare senza di te. - disse Ael. – Non sarebbe stata la stessa cosa. – aggiunse con un sorriso mentre si versava del tè nella tazza.
Li ringraziai e presi il mio posto al tavolo studiando le tante leccornie disposte sopra. Avevo solo l’imbarazzo della scelta e di certo non mi sarei lasciata sfuggire cioccolata e brioche calde.


Mi spiegarono che la nostra prossima destinazione sarebbe stata la Finlandia, giusto per sviare un po' gli agenti che ci stavano cercando.
Sicuramente erano pronti ad accoglierci all'ingresso della corte, e noi dovevamo trovare un altro passaggio per raggiungerla.
Ael sosteneva che i suoi amici Finlandesi conoscevano una specie di passaggio segreto, che alla maggior parte dei demoni era sconosciuto.
Senza le tante conoscenze di Ael ed Apodis di certo non saremmo arrivati fino in fondo, senza tutto l'aiuto ricevuto io ed Apodis saremmo caduti già da tempo.
Mentre lasciavamo la piccola baita in groppa ad Ael, sentivo come un piccolo morso allo stomaco. Benché dovessi preoccuparmi per cose più importanti non riuscivo a scordare il volto della donna con Apodis nel mio sogno.


Dopo ore di volo giungemmo infine in Finlandia, dove fummo accolti con tutti gli onori.
Superata una barriera magica che proteggeva il passaggio nella dimensione destinata appunto a loro.
Dal freddo e dalle neve tornammo in un ambiente abbastanza caldo, caldo abbastanza da farci levare in fretta i giacconi invernali, ma non abbastanza da levarci anche i maglioni.
Gli amici di Ael non erano demoni come avevo supposto, erano delle fate. Avevo sempre pensato che le fate fossero piccoline, alte poco più di venti centimetri.
Mi dovetti ricredere, dato che se mai mi fosse capitato di incontrarle per la strada non avrei saputo distinguerle da una qualsiasi persona.
Nel nostro mondo l'unica cosa che avrebbero dovuto nascondere sarebbero state le ali, che già di loro non erano grandissime, ma molto colorate.
Uno dei ruoli principali delle fate nel mondo era quello di aiutare la natura nei cambi stagionali: loro avevano il potere sui cambi climatici e la natura stessa.
La neve, la rugiada, l’ingiallirsi delle foglie… tutta opera loro.
Non avevano pieno controllo sulla natura, erano semplicemente delle aiutanti, e erano molto fiere del loro lavoro.


Le fate erano creature nobili, e, soprattutto, riconoscenti.
Amber ben prima di conoscere Ael aveva fatto amicizia con quello che noi umani chiamavamo piccolo popolo, per questo era già apprezzata dalle fate nonostante fosse donna.
Le sue conoscenze di erbe medicinali le avevano permesso non solo di avvicinarsi alle fate, ma anche, grazie a loro, di estendere la sua conoscenza dove un semplice umano difficilmente sarebbe giunto dato che molte piante erano sconosciute per quest’ ultimo.
Fate e demoni avevano compiti e poteri diversi; inoltre le fate potevano nascondersi dai “radar” dei demoni.
Chiedendo il loro aiuto ci saremmo garantiti, almeno per qualche ora una buona copertura.
Purtroppo anche le ultime pietre che nascondevano la nostra presenza al resto dei demoni stavano per esaurire il loro potere, e presto ci avrebbero potuti rintracciare.


Le fate furono tanto contente della nostra visita che organizzarono una piccola festa in nostro onore, fatta di danze, canti, e un sontuoso banchetto.
Il cibo che ci venne offerto per me era completamente nuovo e sconosciuto, ma la fame era tanta che non mi soffermai troppo sull’aspetto tutt’altro che invitante.
Nonostante l’aspetto il sapore era squisito, Amber mi dissuase però dall’indagare sulla natura dello stesso.
Ebbi così modo di conoscere moltissime fate, e di chiarire alcuni dubbi che avevo fin da bambina.
Vedevo degli uomini fra loro, ma certo non erano fate.
Mi spiegarono che quelli erano umani come me, a cui era stato fatto dono della longevità da parte dell’albero della vita, protetto appunto dalle fate. Quando una fata si innamorava era per sempre, ma purtroppo la vita degli uomini era assai breve, così l’albero intenerito dalla tristezza delle fate che da sempre si erano prese cura di lui, aveva deciso di elargire il dono ai loro amati. Ma solo se avesse ritenuto che il loro cuore fosse pure, e i loro sentimenti sinceri.
Gli uomini che non avevano superato il test fatto dall’albero perdevano la memoria e venivano allontanati dalle fate loro amate, per riprendere entrambi le proprie vite.
La trovai una cosa triste perché nessuno dovrebbe poter decidere per altri, però mi spiegarono che una fata poteva anche rinunciare ai propri poteri per avere una vita da umana, come i demoni ad esempio.
Di rado però l’albero sbagliava a giudicare, e le povere fate sventurate che rinunciavano alla loro essenza magica, non restava altro che tenersi la vita che avevano scelto, anche se la storia d’amore tanto difesa si dimostrava un vicolo cieco.


Mi stavo divertendo moltissimo, quando una fata mi prese in disparte. Si chiamava Kalina
- Sei stanca, non è vero?
- Un po’ in effetti. – dissi stropicciandomi gli occhi come una bambina. – Forse è il caso che vada a coricarmi. Mi stavo divertendo, ma ora comincio a sentire il peso della giornata.
- Ti accompagno io se vuoi. – si offrì gentilmente indicandomi la via da seguire.
- Grazie, accetto con piacere.


Le case delle fate erano poste su degli alberi dotati di una solida struttura un tronco molto largo, che permetteva loro di poter costruirvi le abitazioni.
Non mastodontici come le sequoie, dato che non era quello il luogo, ma grandi il giusto.
Kalina mi spiegò che quelli erano alberi speciali, creati da loro proprio per quello scopo, mi disse anche che nonostante in autunno il fogliame cambiasse colore, non appena cadeva l’ultima foglia, subito l’albero produceva le nuove foglie.
Come per la corte, l’occhio umano non riusciva a vederli, anche se si trovava nella zona della barriera, l’uomo comune non avrebbe mai potuto oltrepassare il passaggio e giungere nella terra delle fate.
Kalina mi precedette, salendo per le scale a chiocciola che portavano agli alloggi. Una volta entrata in uno di essi vidi che si trattava di semplici stanze semi circolari che avevano tutto quello che poteva servire. Lungo la parete dietro al letto c’era il bagno che divideva la mia parte di stanza con quella attigua, e ovviamente il bagno aveva una doppia entrata, sarei appunto andata a dividere la stanza con qualcun altro.
Kalina mi spiegò che quella era l’area destinata agli ospiti, quindi, molto probabilmente, nella stanza accanto ci sarebbero stati o Ael ed Amber oppure Apodis.
- Spero ti piaccia. – mi disse lei.
- È una camera a dir poco graziosa, mi sento a mio agio. Grazie. – dissi affacciandomi alla finestra per ammirare dall’alto i festeggiamenti delle fate.
- Ne sono lieta. Volevo parlarti prima di lasciarti riposare. – disse sedendosi sulla cassapanca ai piedi del mio letto. - Lo sai quello che ti attende, lo immagini almeno, vero?
- Sì, e ammetto che un po’ ne sono spaventata. – dissi giocherellando col ciondolo che mi aveva donato Wolf. - Mi sento più sicura adesso, grazie anche ad Iris. Credo di essere pronta e di poter finalmente affrontare tutto quello che ci attenderà.
- Ne sono convinta anche io – sorrise e cambiò tono di voce. - Una volta che sarà tutto finito che farai?
- In che senso? – non capivo cosa volesse davvero chiedermi. Le risposi di getto: -Quando sarò libera tornerò a casa e riprenderò la mia vita cercando di non ricadere nei soliti vecchi errori. Riprenderò il mio lavoro prima di tutto e cercherò di mantenere i contatti con tutti voi, se mi verrà concesso.
- E Apodis? – chiese con sguardo fisso su di me.
- Apodis?
- Sì, Apodis. Ho visto come lo guardi… e come ti guarda. Non serve avere poteri particolari per capire quello che c’è fra voi.
- Tra me e Apodis non c’è nulla. – risposi imbarazzata.
- Forse puoi negare a lui, puoi provare a negare agli altri anche davanti all’evidenza, ma credi di poter mentire a te stessa? Magari non te ne sei resa conto del tutto, anche se ne dubito, ma il fatto è che tu ti sei innamorata, e lui lo è di te.
Io ero innamorata di Apodis? Se l’avessi pensato, no, se l’avessi detto sarebbe stato reale. Non potevo ammetterlo seriamente, perché lui non lo era di me.
- Alt, alt, alt. Fermiamoci un secondo. Io non sono innamorata di Apodis, gli sono grata, gli sono molto riconoscente e gli voglio bene. Non ne sono innamorata però, anche se lo fossi lui non è certo innamorato di me, quindi non fa alcuna differenza.
- Ne sei sicura?
- Sì, ne sono certa. – bugiarda.
- Pensaci bene. – si alzò in piedi e cominciò a camminare per la stanza, mentre io ancora impietrita per il discorso me ne stavo lì alla finestra a fissarla con sguardo inebetito. - Secondo me stareste bene insieme. L’amore è un dono, e quando si ha la fortuna di trovarlo non bisogna sprecarlo, bisogna viverlo e donarsi completamente all’altro. Io la vedo così, e sono convinta che lo pensi anche tu, anche se ora stai indossando una corazza, per evitare di soffrire. Ammettere di amare non è una cosa grave, di cui vergognarsi.
- Io non mi vergogno mica. Io… - la mia voce si fece lieve, quasi come un sussurro, - io non sono innamorata. Punto.
- Contenta te, ma attenta. Mentire a sé stessi non porta ad altro che a rogne. Non è tanto meglio mentire agli altri per auto convincersi, ma sicuramente è meglio che mentire a noi stessi. Sogni d’oro Ayla.


Kalina se ne era andata dalla stanza, ma nella mia testa riecheggiava l’eco delle sue parole.
Mi buttai sul letto e chiusi gli occhi.
Io non dovevo amare Apodis, e Apodis non amava me, fine della faccenda. Dovevo fare davvero mio quel pensiero.
Mi stiracchiai e notai una veste da fata per la notte leggera ma al contempo calda mi cambiai.
Continuavo a pensarci e ripensarci senza riuscire a togliermi le sue parole dalla testa.
- Oh perché diavolo devo pensare ad Apodis? Non sono innamorata di lui, sono solo delle supposizioni senza senso!
- Non so se esserne deluso, perché in genere piaccio, o se esserne contento. – disse qualcuno sulla porta ridacchiando. Non poteva essere lui, dopo che avevo detto quelle cose non doveva assolutamente essere lui!
- Apodis… che ci fai qui? Quello che ho detto, non aveva senso, non badarci. - dissi sorridendo imbarazzata. Avrei voluto sprofondare.
- Ti ha parlato Kalina, lo so, e non devi farci caso. Cerca sempre di formare nuove coppie, e ci prova insinuando relazioni inesistenti. – disse ma senza reale convinzione nella voce, tuttavia presi per buono quanto mi aveva appena detto.
- Allora ci ha provato anche con te? – tirai un sospiro di sollievo, ma non ero del tutto contenta.
- Sì. Deve averci fatto lo stesso discorso. Non badarci e cerca di dormire perché domani sarà una giornata davvero lunga e difficile. Speriamo che con le dritte di Iris riusciremo per davvero a vincere e a far capire alla corte l’immenso sbaglio che stavamo per compiere.
Mi pentii non appena glielo chiesi, la mia bocca si mosse da sola e mi azzardai a chiedergli di restare con me fino a che non mi fossi addormentata.
- Va bene. – lui rimase inizialmente stupito, ma subito acconsentì sedendosi a bordo del letto e invitandomi a mettermi sotto le lenzuola.
- Apodis?
- Sì?
- Grazie davvero di tutto. Sono contenta di averti conosciuto, sei una persona fantastica, e sono fortunata. – gli strinsi la mano grata alla penombra per avergli nascosto il mio rossore sulle guance.
- Non dirlo nemmeno, ho fatto ciò che sentivo di fare.


Apodis fissò Ayla che velocemente si era addormentata.
- Se fosse facile te lo direi, ma non posso, almeno per ora. Vorrei dirti che Kalina ha ragione, che ha visto giusto. Ma non posso. Io non posso chiedertelo, non posso dirti tutta la verità.
Non preoccuparti, ci sarò sempre per te.” Le sussurrò all’orecchio prima di avviarsi verso l’ingresso della stanza.
Ael entrò in quel momento nella stanza.
- Non scendete? – Ael si trovò faccia a faccia con Apodis dato che era praticamente arrivato alla porta. - Ah, non sapevo dormisse.
- Si è addormentata da poco, e ha parlato con Kalina.- disse Apodis sospirando rassegnato. - Per fortuna non le ha dato retta.
- Uhm, però non mi sembri tanto felice. – osservò l’amico.
Apodis sospirò.
- E come potrei essere felice Ael? Nonostante abbia visto relazioni ben più difficili fiorire, come ad esempio la tua e quella di Amber, la nostra sarebbe a dire poco complicata.
- È complicata perché sei tu a volerlo, a non essere sincero in primis. – Ael trascinò Apodis per un braccio fino al banchetto dove Amber li stava aspettando. - Dovresti dirglielo secondo me. In fin dei conti anche lei prova lo stesso, perché aspettare?
- Sai bene cosa ho vissuto da piccolo. Non posso proprio Ael, sarà meglio per entrambi.
- Proprio per tutto quello che è stato nel passato dovresti parlargliene. Per me potrebbe non solo capirti ma volerti ancora più bene. - sentenziò il demone prendendo posto accanto alla moglie.
-Di che state parlando? – Chiese Amber che aveva colto solo le ultime parole del marito. – Dov’è Ayla?
- Ayla è crollata. – le disse Ael, ma Amber non sembrava soddisfatta della risposta.
- Ah, capisco. Ma voi di che parlavate?
- Della cocciutaggine di Apodis, mi pare ovvio.
- Quindi non glielo hai detto? – lei lo fissò corrucciata. – E scusa, fino a quando non è arrivato Ael, che avete fatto?
Apodis si affrettò a risponderle che prima Ayla era stata prelevata da Kalina, e che loro avevano poi passato pochissimo tempo assieme.
- Avresti dovuto prendere la palla al balzo dato che Kalina ti aveva già spianato la strada.
- Anche se ora ho ammesso ciò che provo, nulla toglie al fatto che sarebbe complicato avere una relazione.
- E chi lo dice?
- Non sappiamo nemmeno se domani riusciremo a far valere le nostre ragioni… Iris ci ha assicurato il suo sostegno e ha detto che le cose andranno per il verso giusto, ma sarà comunque complicato, e potrebbe anche essere dura per lei. Potrebbe anche non accettare questa vita…
- Finché non la metti alla prova non lo potrai mai sapere.
- Sarebbe comunque difficile, inoltre io ci son già passato, so che significa. – lo sguardo di Amber allora si addolcì, così come la sua voce.
- Lo sappiamo, però dovreste almeno provare. Provare ad essere felici. Non sempre si ha la fortuna di trovare un’anima affine con cui passare il resto della propria esistenza. Voi che avete avuto questa fortuna avreste perlomeno il dovere di tentare. – Amber poi prese sottobraccio il marito e si diresse verso la loro camera trascinandolo.
- Riflettici almeno Apodis, il passato è passato oramai, ma il futuro, almeno su quello, un minimo di potere lo abbiamo.


Continuai a fare il sogno della sera precedente, quello con la bella donna ed Apodis. Traspariva una gran felicità dalle loro espressioni.
Mi svegliai parecchie volte con gli occhi pieni di lacrime e la tachicardia.


La mattina venne Amber a chiamarmi, avevo passato una brutta nottata, e a lei non sfuggì.
Dovetti mentirle, certo non potevo ammettere che mi ero ridotta in quello stato solo per dei brutti sogni.
Raggiunsi il resto del gruppo, ad aspettarci c’era anche Kalina.
- Pronti per partire?
- Bisogna andare avanti no? Oramai siamo quasi giunti alla fine, non possiamo certo fermarci. - dissi a Kalina sorridendole.
- Posso solo augurarvi buon viaggio e buona fortuna. Ho dato ad Ael un oggetto che vi tornerà utile. – lanciò uno sguardo strano a me e ad Apodis, come se cercasse di capire qualcosa. Dalla sua espressione però sembrava che non avesse trovato quello che cercava.
- Grazie per tutto. – le dissi tendendole la mano, lei me la strinse calorosamente.
- A voi, spero di rivedervi un giorno. – mi abbracciò, e prima di lasciarmi andare mi sussurrò all’orecchio: “Il modo migliore che hai per ringraziarmi è essere felice con chi ami.”
Arrossii, ma grazie anche alle altre fate giunte per salutarci, riuscii a non pensare al fatto che il mio era un sogno premonitore.
Nel futuro di Apodis c’era già qualcun'altra, e io dovevo farmi da parte.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo Quindicesimo ***


 Capitolo Quindicesimo 




Il vento era gelido, ma dato l’avvicinarsi dell’inverno non mi sembrava una cosa così insolita.
Mi guardavo attorno senza vedere ancora la corte. Eppure avremmo già dovuto vederla.
- Manca ancora molto? – chiesi ad Apodis che come sempre stava alle mie spalle.
- No, ma cercheremo un’altra entrata per poterci meglio introdurre nella corte senza essere presi d’assalto. Se dovessimo cadere nelle mani sbagliate potremmo non avere affatto l’occasione di mostrarci a Barock e quindi di provare almeno a difendere la nostra posizione. – gli strinsi la mano che aveva tenuto poggiata sulla mia vita fino ad allora.
- Hai freddo? – mi chiese, mentre cominciava a nevicare.
- Un po’, ma posso resistere, grazie. – non disse altro, fino a che non cominciai a notare una figura che si stagliava fra la neve. Sembrava avvolta quasi dalla nebbia, non era distinta, sembrava quasi uno spettro anche se tutto il paesaggio attorno a noi era piuttosto nitido.
- Quella è la corte Ayla. – mi disse Amber indicandola.
Pian piano il palazzo cominciava a parermi più chiaro, sebbene sempre avvolto dalla nebbiolina. Era davvero enorme e non era semplicemente un edificio imponente, no.
Quella era un’intera cittadina, il classico palazzo delle fiabe, tante torri, e anche dei bei giardini tutt’intorno.
Non eravamo abbastanza vicini per vedere meglio i dettagli, ma Amber mi spiegò che i demoni, grazie ai loro poteri, avevano ricreato un ambiente tipico europeo, così che, nonostante fossimo al polo, si potesse godere del ciclo delle stagioni come di norma.
Essendo arrivati oramai in inverno, una parte del freddo polare superava la barriera magica e portava la neve sul castello creando uno splendido scenario.
Mi ritrovai a pensare a quanto sarebbe stato bello essere una principessa e vivere lì a palazzo.
Poter avere quei bei abiti lunghi ed eleganti, andare a cavallo, partecipare a tante feste e a dei balli.
Sì, mi sarebbe piaciuto essere una principessa.


- Noi adesso dovremo dirigerci ad ovest, là troveremo un passaggio che le fate ci hanno indicato. Lo conoscono solo loro, quindi se anche gli altri demoni dovessero trovarci non potrebbero seguirci fino in fondo. – mi spiegò Ael riportandomi alla realtà.
- Questo non toglie nulla al fatto che dobbiamo prestare attenzione, non siamo ancora invisibili.
- Stai tranquillo Apodis, lo sai che sono prudente… - ma quelle furono le ultime parole famose.
Delle guardie e dei demoni drago ci avevano scoperti e accerchiati.
- Alla fine avete abbassato abbastanza la guardia da non accorgervi di noi. – disse uno di loro. Non riuscivo a scorgere il suo volto dato che era semicoperto, ma riuscii a cogliere l’espressione di scherno che vi si era dipinta.
Sentii Ael imprecare.
Il piano prevedeva che ci dirigessimo verso il passaggio segreto indicatoci dalle fate, e proseguire nel castello fino a raggiungere la grande sale dove i potenti si riunivano.
Dovevamo giungervi lì con le nostre forze, e non come prigionieri. Se ora ci avessero preso non ci avrebbero mai permesso di arrivare a tanto, molto probabilmente ci avrebbero portati in qualche segreta del castello senza permetterci di parlare col re e col resto della corte.
Uno dei demoni provò a venirci contro, ma Ael si divincolò in fretta cercando di volare verso est.
- Ma non dovevamo andare ad ovest? – chiesi ad Amber con la voce che mi tremava.
- Sì, è l’unico modo per permettere alla chiave delle fate di attivarsi, ma con quelli alle calcagna rischieremmo di attivare sì il portale, ma anche di portarceli dietro. – eravamo quindi in trappola se non riuscivamo a seminarli.
- Tenetevi stretti, cercherò di fare qualche manovra per disorientarli. Il tempo sta anche cambiando, e la cosa potrebbe tornare a nostro vantaggio! – Ael aveva ragione. Pian piano la nebbia stava avvolgendo tutto, noi compresi, e la neve che cadeva avrebbe reso molto difficile il volo per gli agenti.
Riflettendoci però giunsi alla conclusione che questo avrebbe potuto rallentare anche noi.
Apodis mi precedette e chiese lui stesso ad Ael cosa fare, notando per primo che l’amico cominciava a risentire delle sferzate di vento e del freddo che si stava facendo sempre più pungente.
- Ayla? – mi chiese allora Ael. – Hai ancora l’anello di Iris? – anche se coperto dai guanti me lo sentivo ancorato all’anulare.
- Sì Ael, perché?
- Ho capito io. Voi cosa farete? – Apodis aveva risposto prima che io potessi chiedere loro qualsiasi cosa.
- Ci troveremo dove tu sai. – Apodis annuì, ma io ancora brancolavo nel buio non sapendo cosa stesse accadendo fra i due demoni.
- Ci vedremo dopo Ayla. – mi disse Amber sorridendo. – Affidati ad Apodis, come hai sempre fatto, e vedrai che andrà tutto per il verso giusto. – Apodis mi costrinse a guardarlo.
- Fai scivolare anche l’altra gamba su questo fianco. – mi disse toccando il fianco destro di Ael.
- Ma rischierei di cadere. – protestai, ma Apodis mi fissò scuro in volto.
– Tu fai quanto ti ho detto, abbiamo poco tempo, quelli stanno per tornare all’attacco! – feci quanto mi ordinò, anche se non capivo bene cosa stessero architettando lui ed Ael.
Apodis guardò sotto di noi, e mi tolse il guanto che proteggeva la mano destra, quella dove portavo l’anello di Iris.
- Bene, siamo pronti allora.
- Come sarebbe a dire che siamo pronti? – chiesi alzando di un’ottava il tono della mia voce.
- Ci vediamo dopo ragazzi, non fatevi prendere. – fu l’ultima cosa che Apodis disse prima di buttarsi nel vuoto, trascinandomi con sé.
Gridai con quanto fiato avevo in gola, saremmo certamente morti prima ancora di toccare il suolo.
- Calmati. Non hai fiducia in me?
- In questo momento direi proprio di no. – dissi con le lacrime agli occhi.
Sentii in lontananza qualcuno gridare, erano gli agenti che ci avevano scorto fra le nebbie che tutto avvolgevano.
- Ora rilassati e pensa solo a qualcosa di bello, Ayla. – Apodis aveva la voce calma e dolce.


Qualcosa di bello”


Casa, famiglia, amici… e Apodis.


Un bagliore venne emanato dall’anello, ma non solo da quello.
Sentii un calore fortissimo sul petto: proveniva dal ciondolo che mi aveva donato Wolf.
Io e Apodis sparimmo sotto gli occhi delle attonite guardie.


Eravamo dentro ormai, non si poteva più tornare indietro.
Ci guardammo intorno: era la corte, su quello non v’era alcun dubbio. Il ciondolo di Wolf e l’anello di Iris erano intrisi di magia, quello lo sapevo. Di certo però non potevo immaginare che potessero creare dei portali. La grande sorpresa fu proprio per il ciondolo di Wolf, e mi venne subito da chiedermi se lui non lo sapesse. Se lui me l’avesse donato proprio perché ne conosceva i poteri nascosti e immaginava che avrebbe potuto tornarci utile nel momento in cui ci saremmo avvicinati sempre più alla corte.
Ci trovavamo in un corridoio molto largo, non molto lontani da una balconata. Mi allontanai da Apodis, che si stava guardando attorno per capire anche lui che direzione prendere, per vedere cosa ci fosse oltre quella balconata.
Eravamo al secondo piano, e sotto di noi c’era una bella sala addobbata. Sembrava che stessero preparando una festa.
- Tutta la corte è riunita, per questo è tutto ornato. Quando i demoni più importanti si riuniscono è sempre un grande evento. Inoltre questo è un periodo di festeggiamenti anche per noi. Domani cade la data in cui gli antichi dei offrirono a noi demoni i poteri di cui disponiamo. – Apodis mi aveva raggiunta, e mi indicò anche la via che avremmo dovuto seguire.
Il corridoio all’altezza della balconata infatti, continuava verso nord. Apodis mi spiegò che avremmo potuto raggiungere facilmente una stanza oramai andata in disuso da anni. Là avremmo poi trovato Ael ed Amber, o al massimo avremmo dovuto attendere fino al loro arrivo.


Ci incamminammo, ed io potei ammirare la bellezza di quel palazzo tanto decantato, ma che data la nostra situazione, temevo anche di vedere. Apodis andava a passo spedito, ed io cercai di non rallentarlo eccessivamente, dato anche il fatto che molto probabilmente le guardie del palazzo erano state messe al corrente del nostro arrivo.
Di certo immaginavano una nostra incursione nel palazzo, per questo non potevamo né perdere tempo, né permettere loro di trovarci.
Sentimmo dei passi in lontananza, e Apodis si guardò attorno fino a che non la trovò: la porta della stanza che stavamo cercando.
Mi fece cenno di stare zitta, il rumore dei passi e le voci dei demoni si fecero sempre più vicine, per poi, pian piano, allontanarsi.
Quando finalmente fummo al sicuro potei finalmente rilassarmi e guardarmi attorno.
Quella stanza era piena di scatoloni, pareva quasi un ripostiglio per il casino che vi regnava.
Facendomi largo fra di essi potei trovare il letto, e notai anche dei quadri sparsi per la stanza.
Nulla che potesse indicare molto sul precedente proprietario della camera. Pensai che potesse essere di Ael.
Se entrambi la conoscevano così bene non poteva che essere così!
- Dici che sono salvi?
Apodis liberò una poltroncina dagli scatoloni che fino a un momento prima l’avevano nascosta, e, una volta seduto, mi rispose che non dovevo preoccuparmi. Ael era in gamba e presto ci avrebbero raggiunti.
- Qua, almeno per ora, saremo al sicuro.
Guardandomi attorno potei scorgere un pianoforte a muro che se ne stava lì in un angolo, tutto impolverato.
Io amavo la musica, e soprattutto il pianoforte. Certo quello non aveva il fascino del modello a coda, ma la voglia di far scorrere le dita su quei tasti era forte.
Musica per me era la massima espressione dei sentimenti più puri.
Purtroppo non ero dotata del genio musicale, sapevo a malapena suonare il flauto a scuola, e considerati tutti gli anni passati senza nemmeno sfiorarlo di certo avevo scordato quel poco che avevo imparato.


Anche se mi aveva rassicurata, Apodis era distratto e assente. Un po’ come me nella radura.
Doveva essere preoccupato per tutta la situazione, anche se non voleva darlo a vedere per non turbarmi.
Vedendo che non era dell’umore per scambiare quattro chiacchiere mi misi a curiosare fino a che non trovai un piccolo ritratto e un diario.
Mi bastò un attimo per riconoscerlo, quegli occhi potevano appartenere solo a una persona.
Aprii il diario e subito mi fu tutto chiaro.
- Questa, questa era la tua stanza.
- Sì. – ero sicura fosse stata di Ael, invece mi ero sbagliata.
- Scusa, so che non dovrei curiosare, ma è stato più forte di me. Non sapevo che tu avessi vissuto qua a palazzo. – gli restituii anche il diario. Non avrei potuto leggerlo, anche se l’avrei fatto volentieri. Chissà quali pensieri del giovane Apodis vi erano racchiusi…
- Sai, all’inizio pensavo che questa fosse la stanza di Ael. Non potevo certo immaginare che tu avessi vissuto in un palazzo bello come questo.- Calò il silenzio, ma continuai, - Sei stato felice qua? – ci riflettei un attimo e poi la mia mente cominciò a viaggiare fin troppo: e se Apodis fosse stato un principe?
- Ho vissuto dei bei momenti da ragazzo. – si schiarì la voce -Sono stato accolto qua dal re che mi trattò come un figlio. Nonostante molti non mi vedessero di buon occhio non posso dire di essere trattato particolarmente male. – rispose con una lieve nota d’imbarazzo. Sentivo che mi teneva nascosto dell’altro, ma non capivo cosa? Era come se io sapessi che c’era qualcosa di grosso del suo passato che lo teneva in scacco. Una parte di lui voleva dirmela, ma l’altra… che temesse qualcosa?
- Capisco, purtroppo la vita ci mette spesso di fronte a delle difficoltà che sono spesso più grandi di noi. Ma, i tuoi genitori?
- Morti, entrambi. – me lo disse con un filo di voce. - Mio padre è stato giustiziato mentre mia madre si è tolta la vita per la disperazione. – anche se il tono con cui si esprimeva sembrava freddo, ero certa che dentro di sé soffrisse ancora per quella perdita.
- Non ho avuto modo di conoscerli davvero perché ero troppo piccolo per capire, ho proprio un vago ricordo di loro. – disse sospirando e aprì il diario per mostrarmi un altro ritratto che raffiguravano lui da bambino e una donna più anziana che mi ricordava la bella donna del sogno che avevo fatto. - Avevo solo un anno quando accadde la disgrazia, per mia fortuna mi accolse in casa mia zia. Con lei riuscii a passare degli anni felici, dieci anni sereni e, soprattutto, lontano da tutto e tutti.
Iris intervenne subito dopo che la zia morì, e fu così che questa divenne la mia nuova casa. In seguito diventai un vero demone. - un vero demone? Cosa significava tutto questo? Apodis mi fissò con gli occhi lucidi. Sembrava sul punto di piangere ed io sentii una fortissima stretta al cuore. Gli presi la mano e la strinsi forte senza aggiungere altro, non mi aspettavo che lui mi raccontasse dettagli della sua infanzia che sembravano procurargli ancora così tanto dolore, ma lui, forse incoraggiato dal mio gesto, cominciò a raccontarmi la sua storia.


- A questo punto tanto vale parlare. Io non ho sempre vissuto coi demoni, anzi, venni nascosto dal loro sguardo per il mio primo anno di vita. La mia famiglia non era ben vista perché mia madre aveva commesso uno dei reati peggiori mettendomi al mondo. Io non ero un demone puro dato che mio padre era solo un uomo. Un essere umano. – lo fissai con la bocca spalancata. Apodis era un mezzo demone… Lui certamente si aspettava il mio stupore, e continuò col suo racconto
- Mia madre era una demone guaritrice e soccorse un giorno mio padre che si era ferito in un bosco. – Apodis sorrise divertito.
- A pensarci bene sembra che questa sia una caratteristica di famiglia, del resto il nostro incontro è stato molto simile, non trovi? – sorrisi annuendo.
- È vero che ancora oggi c’è diffidenza verso gli umani, ma all’epoca eravamo da poco stati celati agli occhi degli uomini, per questo i rapporti misti erano fortemente vietati, al punto da condannare a morte tutti quelli che avessero mai trattenuto relazioni illecite.
I miei genitori si erano amati talmente tanto che avevano provato in ogni maniera a stare insieme, e per un po’ ci riuscirono. Purtroppo però vennero comunque rintracciati, e la corte prese dei drastici provvedimenti.
Mio padre non aveva la semplice colpa di essere umano, avere amato mia madre, che era una demone di una famiglia potente, e di avere generato un figlio con lei.
La zia mi raccontò di come loro si innamorarono subito, in quel loro primo incontro. Quando lei gli rivelò la sua natura non molto tempo dopo, lui non fuggì e anzi, decise di sposarla il più in fretta possibile. Si dovettero nascondere, partirono, viaggiarono a lungo fino a trovare un posto che ritennero ideale per nascondersi e formare la loro famiglia.
Il posto in questione era la foresta in cui oggi vivono Ael ed Amber. - Apodis prese fiato e riprese a raccontarmi la storia della sua famiglia. Io ascoltavo rapita, apprendendo tutte le difficoltà che i suoi genitori avevano affronto mi sentii molto triste per loro.
- Come ti dicevo avevo solo un anno quando loro morirono. Ci trovarono dopo lunghe ricerche, strappandoci dalla nostra casa portandoci qua, alla corte per processarli.
Al termine di un lungo consiglio giunsero a quel triste verdetto, nonostante qualche demone fosse contrario: mia madre decisero di esiliarla assieme a me, privandola dei poteri, mentre mio padre lo condannarono a morte.
Mia madre era davvero innamorata di mio padre, tanto da non riuscire a superare il dolore per la loro separazione. Nemmeno l’amore per me, il loro unico figlio, riuscì a farla desistere dal togliersi la vita.
Ero rimasto solo, così la corte decise di affidarmi alla mia zia umana, sorella di mio padre, che fu ben lieta di accogliermi in casa, essendo rimasta sola anche lei. Aveva praticamente cresciuto mio padre e prendersi cura di me era come stare vicina al suo fratellino.
Non mi crebbe nell’odio verso la corte. Mi spiegò chi ero e chi erano i miei genitori, evitandomi i dettagli cruenti di questa storia.
Voleva aspettare che fossi più maturo per rendermi partecipe di quella parte di storia che da piccolo non sarei riuscito ad interiorizzare. Non posso giustificare chi ha ucciso la mia famiglia, chi me l’h distrutta, ma capisco anche che questo popolo era colpito nel profondo dall’odio e dalla sofferenza. Provato Da una guerra messa in atto da chi non li capiva, e che gli attribuiva le cose peggiori. – annuii capendo cosa intendeva. I demoni avevano sofferto moltissimo a causa della stupidità dell’uomo. In quel periodo erano ancora reduci da una grave spaccatura che si era fra loro venuta a creare. La loro reazione, per quanto violenta e ingiusta, dato che a pagarne il prezzo erano stati i discendenti di quella stirpe dannata, era comprensibile.
Mia zia non era giovane, ma mi allevò con amore e gioia fino a che non compii dieci anni, dopodiché mi lasciò anche lei. Durante quei nove anni mi insegnò molte cose, anche se lei non aveva poteri magici, mi aiutò a tenere sotto controllo i miei quando cominciarono a manifestarsi. Non mi proibiva di usarli, ma mi invitava ad usarli il meno possibile per paura che altri demoni, mossi da cattive intenzioni, potessero trovarmi.
Quando morì fu Iris a trovarmi e a darmi conforto, non potevo restare da solo, per questo mi portò con sé qua per affidarmi alla corte. Grazie al suo intervento venni accolto con calore dal re e dai suoi fedeli servitori, ebbi così modo di conoscere e di far sviluppare i miei poteri, di studiare e creare qualche amicizia. Qua conobbi Ael, Wolf e altri demoni, fate o elfi. Non fu un inizio facile, ma pian piano mi abituai e venni accettato. – sorrise malinconico. Chissà quante ne aveva passate da bambino. Di certo molti demoni gli avevano reso la vita difficile, dicendogli cose orribili. Anche se Apodis non me ne fece menzione ne ero sicura.
- Devi sapere che i mezzi demoni rimangono tali fino al compimento del diciottesimo anno, dopo il quale dovranno scegliere, essere demoni completi o umani.
Non ho mai rimpianto questa scelta.


Nel suo discorso, nella sua storia io vidi un altro Apodis, potei capire fino in fondo i suoi comportamenti, capire il perché si comportasse in quella maniera.
- Mi spiace molto Apodis, devi avere sofferto moltissimo. Perdonami se puoi, non volevo farti ripensare a queste brutte cose del tuo passato. L’ultima cosa che volevo era crearti dispiacere o dolore.
- Lo so Ayla e non sono arrabbiato, anzi, mi sento liberato di un peso. - mi sorrise, e si avvicinò al comodino accanto al letto per aprire il comodino e mostrarmi un altro ritratto.
- Zia Marge diceva che ero la perfetta fusione fra mia madre e mio padre. Te che ne pensi?
Guardai la foto e poco ci mancò che non svenissi: la donna della foto era la stessa del mio sogno.
Scoppia a ridere lasciando Apodis perplesso.
- Che sciocca sono stata…
- Cosa?
- Ecco, qualche notte fa ho sognato te e tua madre, solo che non sapevo chi lei fosse… non è strano? – Apodis sorrise.
- Forse voleva darti un messaggio, anche se non so bene quale. – sorrise e sentii che forse quello era il momento giusto sentimenti.
Quella sarebbe stata la prova più dura della nostra vita, e l’unica cosa che davvero volevo era stare al suo fianco.
Non riuscivo a staccare gli occhi da lui, Kalina aveva ragione: mi ero innamorata. Io mi ero innamorata di Apodis. Anche se probabilmente non ero ricambiata dovevo almeno tentarla.
- Apodis, io… - fui sfortunatamente interrotta da Ael ed Amber che irruppero nella stanza.
- La via è libera e il consiglio è riunito. Dobbiamo sbrigarci, sarà presente anche il re, è la nostra occasione. Presto!


Corremmo come nel mio vecchio sogno, là per i corridoi con la paura che da un momento all’altro potessero prenderci.
Noi però avevamo una missione, e saremmo riusciti a portarla a termine.
Non solo per noi stessi, ma anche per ringraziare tutte quelle persone che ci avevano aiutato fino a quel momento.
Strinsi forte il ciondolo che mi aveva donato Wolf, come se potesse donarmi più forza. Avevo bisogno di tutto l’aiuto possibile, una bella dose di coraggio in più non avrebbe fatto male.
- Non manca molto. – disse Ael che era in testa alla fila, - però dovremo sfruttare questa piccola scorciatoia. – lo vidi frugare in tasca e poi lanciare fuori qualcosa che luccicava.
Un fortissimo bagliore venne sprigionato da quella piccola pietruzza, ma non ci fermammo, e continuammo a correre alla cieca, fino a che anche quella luce non svanì.
Eravamo passati così nella sala del trono.
Era gremita di gente, doveva essere il gran consiglio, e tutti ci fissavano come se fossimo stati alieni.
- Bene, bene, bene, chi abbiamo qua? - non avevo ancora trovato la persona, ma il tono già me lo rendeva odioso.
- Sylas, che piacere vederti. Vedo che gli anni non sono stati particolarmente clementi con te.
- È questo il modo di parlare al tuo caro zio che non vedi da secoli? - il demone lanciò un’occhiata sprezzante dietro di sè. - Fratello, te l’ho sempre detto che la tua bontà avrebbe fatto sì che tuo figlio crescesse come un selvaggio. Ma... ora che ci penso, - disse squadrando Ael ed Amber, questi due sono stati banditi dalla corte, molto tempo fa. E sappiamo tutti che significa il fatto che loro siano qua. Non è che io voglia fare il guastafeste, ma qualcuno potrebbe ora chiedere le regole vengano seguite, anche se questo significa giustiziarli. - sentii i demoni parlottare fra loro. C’erano tanti uomini e tante donne, ma quello che cercavo era il padre di Ael. Se aveva cresciuto un figlio così, doveva essere una gran brava persona.
Purtroppo però per quanto cercassi nessuno si avvicinava, e il mio sguardo si rivolse verso il trono e da lì vidi partire il re verso di noi, incurante del borbottio generale e delle parole di scherno mosse dall’altro demone.
- Non può essere. - dissi portandomi la mano alla bocca.
- Bentornato a casa figliolo.


 
L'angolo di Shera ^^

Hello, salve a tutti. Come potete notare non ho scordato di pubblicare, e oramai siamo agli sgoccioli, anche "La corte dei demoni" è quasi giunta all'Epilogo.
Ringrazio vero2000 per aver aggiunto la mia storia alle ricordate ♥

Oramai sono concentrata tutta su Averni Lux, che ok, è un nome latino, e trattando di un mito legato alla mitologia greca forse stona... ma a me piace :D... Oh beh, pace!


Spero che il capitolo vi piaccia e... alla prossima <3

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo Sedicesimo ***


 
- Capitolo sedicesimo -




Fissai i due demoni con la bocca spalancata. Quel demone, il re, aveva chiamato “figliolo” Ael. Certamente dovevo aver capito male, perché non poteva essere possibile tutto ciò.
Vedendo che Apodis aveva vissuto in un palazzo avevo supposto che fosse nobile, forse un principe, ma non ci ero andata lontana, dato che il principe era il suo migliore amico.
Perché però nessuno mi aveva resa partecipe della cosa?
Amber mi diede una pacchetta sulla spalla e mi sussurrò di non preoccuparmi e di chiudere la bocca dato che li stavo ancora fissando inebetita.


Accanto a me c’era sempre stato un principe, come quello delle favole, e io non lo sapevo. Non lo avevo mai nemmeno sospettato.
Certo i miei interessi erano rivolti ad Apodis, però ero comunque esterrefatta ed incredula. Tutto questo era molto più di un’avventura simile ad una fiaba. Era… era… qualcosa che non sarei mai stata in grado di descrivere nella giusta maniera.


Il re abbracciò caldamente il figlio e, a giudicare da quanto calore i due si scambiavano doveva essere davvero passata un’eternità dal loro ultimo incontro.
Per quanto ne sapevo Ael ed Amber erano stati banditi dalla comunità, ma sospettavo che in una maniera o nell’altra potessero incontrarsi, anche se molto sporadicamente.
Leggevo gioia negli occhi dell’anziano demone, e anche una certa tristezza. Di certo l’allontanamento del figlio doveva essere stato tremendamente doloroso, ed ero altresì certa del fatto che avesse fatto quanto in suo potere per evitare il peggio.
Riguardo quell’aspetto della vita dei miei amici sapevo ancora poco. Sì, me ne avevano parlato, ma di certo avevano evitato i dettagli più spiacevoli. Avrei voluto chiedere ad Apodis o a Amber qualcosa, ma non volevo rompere quel momento. La ragazza osservando la scena non riuscì a contenere le lacrime.
La consolai, e ce ne restammo lì in disparte, senza dire o fare niente, solo ad osservare padre e figlio che finalmente, alla luce del “sole” avevano potuto incontrarsi di nuovo.


Avremmo voluto starcene lì in silenzio col cuore colmo d’emozione, ma la nostra presenza non venne ignorata da Sylas.
Realizzai quindi che se Barock era il padre di Ael, Sylas ne era lo zio. Non potevano essere più diversi come caratteri, gli opposti.
Il demone ci fissò con superiorità, quasi a volerci far sentire come delle formiche.
- Vedo che qua abbiamo anche i fuggitivi. Erano secoli che gli umani non varcavano quella soglia e da allora le cose non sono cambiate. – Disse rivolgendosi poi al resto della corte - Vogliamo o no evitare spiacevoli avvenimenti come quelli capitati al nostro principe? Il mezzosangue ha violato le nostre leggi, mettendoci tutti in pericolo. – disse con disprezzo. – Dovevamo pur sempre aspettarcelo. Lui non è come noi, e non lo sarà mai, avrà sentito il richiamo della specie inferiore a cui appartiene. – Apodis lo fissò con sguardo freddo e allo stesso tempo fiero. Le sue parole non potevano scalfire il suo spirito, perché lui era migliore di tutte le cose di cui veniva accusato. - L’ho sempre detto io che non dovevamo fidarci di lui. Ha tradito la nostra fiducia, - indicò poi anche noi, - tutti loro, compreso il re. – finì il suo discorso puntando il dito verso Barock.
Fu dopo quelle parole che vidi in Apodis una reazione. Finchè era lui l’oggetto dell’astio del demone la cosa sembrava scivolargli addosso, ma nel momento in cui era stato attaccato il re la sua espressione mutò irrimediabilmente.
Non disse nulla, fissò solo con odio Sylas.


Nella sala gremita l’unica cosa che si percepiva era la netta divisione: chi sosteneva e difendeva Barock e le sue ragioni, e chi invece sosteneva caldamente Sylas e le sue idee anti-umano.
Barock sembrava però non curarsi troppo di queste sottigliezze, prese la parola con calma e azzittendo la folla.
- È vero fratello, sono stati commessi degli errori, in passato come oggi, - cominciò Barock, - ma in tutto ciò che è stato, questi ragazzi non c’entrano. – prese fiato e lanciò uno sguardo molto significativo a tutta la corte. – Non possiamo scordare gli affronti del passato, ma appunto: sono cose relegate ad un tempo remoto che nulla ha più a che vedere con quanto sta accadendo oggi. Le nostre leggi sono sbagliate, molti di noi hanno subìto delle ingiustizie, - la voce si abbassò e si sentiva quasi un senso di colpa in quanto stava dicendo, - molti hanno sofferto, me compreso. Dobbiamo cambiare per non ripetere più gli stessi errori. Già in troppi hanno pagato per colpe mai commesse. Colpe che noi abbiamo reputato tali ingiustamente.


Molti abbassarono il capo a quelle parole dense di significato. Vidi alcuni annuire e parlottare, riuscivo a percepire solo qualche parola sconnessa.
Era chiaro che molti avevo perso dei cari a cause di alcune leggi forse un po’ troppo rigide.
I demoni erano così presi dai loro discorsi, dal ripescare vecchie storie e cercare di trovare una soluzione, che io potei finalmente porre qualche domanda ad Amber.
- Scusa se non te lo abbiamo detto prima, ma non era un dettaglio poi così importante. Barock è un buon re e ha fatto di tutto per aiutare noi come altri. Grazie anche all’intervento di Iris abbiamo potuto scamparla. Gran parte dei meriti vanno a lei, purtroppo però non è stato possibile avvalersi così spesso del suo aiuto. Molte vite sarebbero state risparmiate da un’ingiusta condanna, ma a conti fatti quelli erano fatti che dovevano risolvere quelli della corte. Iris aveva già tante altre cose a cui badare senza doversi prendere carico anche dei demoni. – Iris aveva provato in più di un’occasione a far ragionare i demoni più arrabbiati verso la comunità umana, e nonostante i suoi più accaniti sostenitori, fra cui Barock stesso, non fu in grado di far ragionare e placare quei demoni tanto arrabbiati.
- Il re ha sempre cercato di cambiare certe leggi, avvalendosi anche del sostegno di molti uomini fidati che appoggiavano in toto le sue idee, ma come sai le ferite erano, e sono, difficili da cancellare. Credo che oggi però i tempi siano diversi. Forse tutta questa storia che è partita con te e Apodis potrà davvero cambiare qualcosa. – il suo sguardo si addolcì mentre mi raccontava di come Barock era stato molto felice della loro unione vedendo quanto fossero felici insieme, ma al contempo molto triste perché sapeva quante difficoltà avrebbero dovuto superare per poter stare insieme.
- Allora? Che intendiamo fare? La legge è legge, e solo perché tra loro c’è tuo figlio non possiamo elargire sconti, spero che tutti se ne rendano conto. - intimò Sylas ottenendo l’assenso dai suoi molti sostenitori che cercavano, inutilmente, di fomentare la folla contro Barock e contro di noi.


L’aiuto venne inaspettatamente da una voce a me familiare: Balzer.
- Le leggi non sono fatte per rimanere immutate, l’umanità è cambiata da quei tempi bui, e qui ne abbiamo addirittura due di prove viventi. Se cambiassimo quelle leggi che erano state fatte per proteggerci da un’umanità che all’epoca non era pronta, dove starebbe il problema? I tempi cambiano, i tempi sono cambiati, - accentuò molto il fatto che la mia razza fosse diversa, - quelle leggi ora non sono più necessarie. Sono anni che ne parliamo e forse è giunto il momento di agire e fare qualcosa.
Accanto a Balzer comparve anche un altro viso a me noto e che temevo non avrei mai più rivisto.
Si levò un gran vociare dato che per secoli aveva evitato la corte peggio della peste.
- Largo ai giovani signori. Appoggio anche io queste idee, non potrebbe essere altrimenti. – sentii una stretta al cuore vedendolo e sentendo la sua voce. – È inutile che rivanghi cose passate che non farebbero altro che accentuare un dolore mai cessato, ma lasciate che vi dica una cosa. Che senso ha privare questi giovani delle loro vite quando non hanno fatto del male a nessuno. Non stiamo parlando di venire fuori allo scoperto così di punto in bianco, ma di fare una cosa molto graduale e perlomeno di non fare fuori gli sventurati giovani che entrano in contatto con degli umani. Inoltre, in un caso come questo, direi che non abbiamo proprio nulla di cui temere. – Wolf mi lanciò uno sguardo carico di affetto. Non era passato molto dal nostro ultimo incontro, ma sembrava essere trascorsa un’eternità.
- In fin dei conti abbiamo scoperto in fretta l’errore da noi commesso, Apodis si è fatto guidare dall’istinto e ha fatto il suo dovere non prelevando l’anima della ragazza prima del suo tempo. – rincarò Barock, e sembrò che tutti questi discorsi fossero riusciti ad arrivare a colpire anche alcuni dei sostenitori di Sylas.


I due fratelli fisicamente si somigliavano molto, avevano l’aspetto di uomini sulla quarantina, alti all’incirca un metro e novanta, pizzetto, fisico robusto, muscoloso e la pelle leggermente abbronzata.
Sylas aveva i capelli color del rame, mentre Barock neri con riflessi blu; gli occhi del primo erano color dell’oro, mentre quelli del secondo argentati.
I caratteri, per quel poco che avevo visto e sentito, erano uno l’opposto dell’altro.
Barock pensava davvero al bene della loro comunità, mentre Sylas, sospettavo, mosso dall’invidia e dalla brama di potere, voleva solo ottenere il comando.


Non ci voleva un genio per capire che uno come Sylas era meglio evitarlo il più possibile. Aveva la faccia di uno che non appena ne aveva l’occasione ti pugnalava alle spalle senza troppi problemi o ripensamenti. Aveva un che di viscido e di maligno in sé che non mi preoccupai troppo del fatto che “non bisogna giudicare un libro dalla copertina”, le sue parole legavano perfettamente con quanto vedevo. Sylas era decisamente un soggetto oscuro.


Apodis si avvicinò a me, quasi come se avesse percepito un qualche pericolo imminente e volesse intervenire subito per proteggermi. Non conoscevo i retroscena, ma da quel poco che mi aveva anche accennato in camera sua, all’epoca non era ben visto e di certo Sylas aveva cercato di gettare fango anche su di lui.
Avevo come l’impressione che Apodis conoscesse fin troppo bene lo zio dell’amico da capire che era meglio non abbassare la guardia, neanche per un istante.
Anche Ael cercò di prendere la parola, esponendo alla comunità quanto lui e Amber si volessero bene e di come il loro amore, nonostante l’esilio e le difficoltà iniziali, fosse continuato. Di come i reciproci sforzi li avessero portati ad amarsi di più nonostante le differenze che tutti gli altri potevano aver visto, ma che per loro non esistevano. Esistevano umani nobili, come i demoni se non di più, così come anche umani e demoni indegni.


Tutte le persone che fino a quel momento avevo conosciuto e che mi avevano, in una qualche maniera, condotta, fino a questo punto, cercavano di darsi da fare per riuscire a portare gran parte, se non tutta, la corte a capire e ad apprezzare quanto stavano dicendo. Ad accettare un cambiamento nelle leggi dei demoni.
Mi sentii immediatamente inutile, loro, Ael, Apodis, e perfino Amber, potevano difendersi, io invece non potevo fare nulla. Mi sentivo impotente.


- Belle parole fratello e anche tutti voi, però con le belle parole non si guida un popolo. Il punto è che dobbiamo prendere dei provvedimenti, e prima lo faremo, meglio sarà. È vero che l’ordine poi si è rivelato errato, ma questo mezzosangue ha agito di testa propria rischiando di mettere tutti noi nei guai. – molte voci si levarono nella stanza. “Ha ragione”, “Se non fosse arrivato il comando di annullare l’incarico cosa sarebbe accaduto?”, “Poteva condannarci tutti”. Sylas sapeva bene come aizzare la folla con questo argomento, e non si fermò, sorrise maligno e rincarò la dose.
- Volete lasciare degli sconti a qualcuno? Potremmo alleggerire la pena dei nostri fratelli, ma l’umana deve essere giustiziata, sa troppo. – alcuni gridarono che aveva ragione, altri che avrebbero dovuto prima processarmi.
Ma processarmi per cosa? Per essermi trovata in una situazione che nemmeno io avevo cercato?
- Posso avere la parola? - scattai senza nemmeno pensarci. Non sapevo da dove veniva quel fervore, quel coraggio che sentivo farsi avanti prepotentemente dentro di me, ma sentivo che niente e nessuno mi avrebbe fermata dal difendere perlomeno la mia posizione. Anche se non avessi avuto il successo sperato non potevo lasciare che decidessero gli altri per me senza nemmeno fare qualcosa.
Notai che alcuni demoni della sala avevano assunto delle espressioni simili al ribrezzo. Credevano forse che perché umana non avessi diritto alla parola? Di certo per loro ero una creatura inferiore, che nulla aveva a che fare con la corte, ma ero lì. Avrei avuto di certo una sola occasione e non me la sarei lasciata sfuggire per nulla al mondo.
Aldilà delle facce sorprese e schifate riuscii a scorgere anche demoni ansiosi di sentire quanto avevo da dire, gli stessi a cui avevo visto chinare il capo al discorso di Barock.
Non avrei atteso la mia fine senza prima avere combattuto, perché in molti mi avevano permesso di arrivare a tanto e se non mi fossi mossa sarebbe stato come prenderli a calci nel di dietro.
Non lo dovevo solo a me o alla mia famiglia che mi aveva cresciuta con amore, ma anche a chi aveva rischiato la propria vita per permettermi di arrivare a quel punto.
- Parla pure, noi ti ascolteremo. - mi disse il re.
- So che, secondo le vostre leggi non solo non dovrei essere qui, ma non dovrei nemmeno sapere della vostra esistenza. Da quello che ho saputo c’è stato un errore, non era ancora giunta la mia ora, e io ho una gran voglia di vivere. Grazie anche a chi mi ha portato fino a voi. Voi che però adesso esigete la mia fine per cosa? Perché so che a questo mondo non esistono solo gli esseri umani e gli animali? Mi sembra un motivo un po’ futile per una condanna a morte. – dissi loro con fermezza.
Sylas si avvicinò a me ridacchiando.
- Il ragazzo ti ha rivelato della nostra esistenza quando le nostre leggi vietano contatti con gli umani. È vero che in quanto demone della morte poteva avere un contatto con te, ma non certo la facoltà di rivelarti tutto del nostro mondo. – con aria trionfante mi sputò addosso il suo veleno sottoforma di parole taglienti. -Lui ha sbagliato prima di tutto agendo senza avere ricevuto ordini, mettendoti a conoscenza del nostro mondo ha firmato la sua stessa condanna. Entrambi meritate la morte: lui per tradimento, te solo per il fatto di essere qui. – sentii il sangue ribollirmi nelle vene. Una rabbia che di rado in vita mia avevo provato.
- Avete così poco rispetto per la vita? Eppure, fino ad ora, non ho sentito che tessere lodi su di voi e sulla vostra comunità, su tutto quello che fate. Col vostro operato proteggete tutti noi umani, rendete la nostra esistenza migliore e non potete neanche prendervene il merito. – non sapevo da dove venisse fuori quel discorso ma parola dopo parola prendeva forma un qualcosa che mai avrei pensato di poter dire. - Il nostro è un mondo migliore grazie a voi, e capisco la vostra rabbia. La mia razza purtroppo tende ad imbrattare quanto voi ci avete donato senza mostrare il minimo rispetto o un po’ di riconoscenza verso tutto questo. Però non tutti sono delle bestie ingrate. Molti uomini si stanno battendo per preservare la bellezza del mondo che ci ospita. – alcuni demoni annuirono e molti notai che chiedevano spiegazioni e quei pochi che già sapevano di cosa io parlassi.
- Mi è stato raccontato di quanto vi è capitato in passato, su quello che avete dovuto fare a causa nostra. Avete subito delle forti ingiustizie ma gli uomini malvagi che vi hanno arrecato sofferenze non ci sono più. – io capivo, anche se non fino in fondo, la grande sofferenza che tutti loro avevano patito, ma volevo far capire loro che non era colpa di chi è venuto dopo. - Vorrei poter cancellare tutti gli sbagli commessi, ma non è in mio potere. Gli uomini di oggi sono diversi da quelli di ieri ed io spero che possiate rendervene conto.
Posso solo immaginare tutto il dolore e tutte le sofferenze da voi subite. So che non è molto, ma vi chiedo scusa a nome della mia razza ingrata per tutto quanto vi è stato fatto. – feci un piccolo inchino rivolto a tutti i demoni presenti. Sentii Amber dietro di me singhiozzare, e con la coda dell’occhio vidi un Ael commosso che annuiva.
- Niente e nessuno potrà mai cancellare gli avvenimenti del passato, però, forse, potremo costruire un futuro insieme. Non oggi, e neanche domani, sono passi che vanno fatti lentamente, ma potremo cominciare almeno. – dissi con tutta la mia convinzione. Non stavo cercando di convincerli a credere in quanto dicevo solo per salvare le nostre vite: io ci credevo realmente.


Sentii applaudire, ma era uno di quei applausi stanchi, fatti tanto per fare. Sapeva di falso, ed infatti era Sylas.
- Oh ma che brava. - disse schernendomi. - Per curiosità chi credi di incantare con queste parole? Non crederai davvero che bastano due paroline messe a casaccio per incantarci. – ridacchiò seguito a ruota dai suoi più fedeli sostenitori. Ero certa nel non volermi far mettere i piedi in testa da quell’essere. Non dovevo mostrare incertezze.
- Io non volevo incantare nessuno, ho detto solo quello che pensavo e sentivo. Siete liberi di credermi o meno, se la mia vita vale davvero così poco allora prendetevela, tanto c’è ben poco che io possa fare se voi prendere tale decisione. – Apodis fece per intervenire ma gli feci cenno di tacere. - Un favore però mi urge di chiedervi, consideratelo l’ultimo desiderio del condannato a morte: risparmiate i miei amici, loro hanno rischiato tutto per me e non meritano questa fine. Io sono solo un’umile commessa che si è trovata in mezzo a qualcosa di molto più grande. Sono comunque felice perché per la prima volta dopo tanto mi è tornata la voglia di vivere e di stare con gli altri. Pochi giorni son bastati per tirare fuori la parte migliore di me che stava letteralmente morendo soffocata dalle colpe e dalla tristezza.
Abbassai lo sguardo cercando di soffocare le lacrime e sentii alcuni discorsi che sembravano addirittura appoggiarmi. Tirai un sospiro di sollievo sorretta dalle braccia di Amber che mi aveva abbracciata – Sciocchina. – fu l’unica cosa che riuscì a dirmi. Anche Ael e Apodis si avvicinarono a me volendomi infondere il loro sostegno, seguiti da Wolf e da Balzer.
Per ultimo il re si fece largo fra i demoni della corte e mi prese le mani fra le sue lanciandomi uno sguardo paterno e colmo d’amore. Ero esterrefatta per il suo gesto, tanto da cominciare a balbettare per l’imbarazo.
- Non ci sarà bisogno di sacrificarti. Chi è disposto a dare la propria vita per chi ama non può avere un cuore malvagio. Questo vale molto di più di tante altre cose. Nessuno dovrà morire per una giusta causa e d’ora in poi sarete nostri ospiti. – Nonostante le voci di alcuni demoni si fossero levati in protesta, altri approvarono il discorso del re, e questi continuò: - Credo anche che questo sia il momento buono per cambiare le nostre leggi, come hanno anche sostenuto i nostri Balzer e Wolf. Bisogna cambiare aria, e sistemare quanto in passato di sbagliato è stato fatto, a cominciare da tutti gli esili elargiti. Da ora sono tutti annullati. Con effetto immediato. – il re si rabbuiò, perché il pensiero correva in fretta a tutte quelle vittime che non potevano essere in una qualche maniera sollevate dalle vecchi ingiustizie subite. - Per alcuni atti da noi commessi sfortunatamente non c’è soluzione, ma per alcuni casi potremo ancora intervenire e porvi rimedio. Non dobbiamo scordare ciò che è stato, ma da oggi potremo costruire pian piano le basi per un futuro migliore per tutti quanti noi. – dalle sue parole e dai modi si capiva che era una cosa su cui aveva riflettuto a lungo, ma che non aveva mai avuto l’occasione, o la scusa giusta, per poter veramente esporre fino in fondo il proprio pensiero e le proprie idee. Forse in passato i sostenitori di Sylas avrebbero potuto facilmente ribaltare la situazione in loro favore, ma il caso mio e di Apodis aveva offerto delle valide motivazioni per ricercare un progresso.
- Non hanno commesso errori solo gli umani, anche noi abbiamo la nostra bella dose di colpe. Ricostruiremo le nostre vite, la nostra società, tutto quanto per un futuro migliore e… chissà che non si possa recuperare vecchi rapporti e tornare a girare per il mondo senza doverci celare dietro a delle maschere. – mi mise un braccio attorno alle spalle e mi mise in mostra davanti alla comunità ringraziandomi pubblicamente per le mie belle parole e per aver smosso le loro acque.
- Fratello mio, tu hai un cuore fin troppo tenero. Sei un debole che si lascia incantare troppo facilmente. – lo vidi gesticolare in maniera strana verso alcuni dei suoi sottoposti. - Tu non sei degno del ruolo che ricopri. - non fece a tempo a finire la frase che alcune guardie e alcuni membri del consiglio estrassero le armi pronte a rivolgerle verso il loro sovrano.
- Lo sapevo che era in atto una sorta di rivolta, ma non volevo credevo che partisse tutto da te Sylas. – disse con una nota di tristezza il buon Barock.
- E ne sei sorpreso fratello? Chi meglio di me potrebbe governare? Tu non hai abbastanza fegato per fare scelte scomode ma che porterebbero alla nostra grandezza. – disse mostrando un disprezzo per me privo di senso, verso il fratello.
- Sylas, chi governa col cuore fa sempre la scelta migliore. Tu sei mosso dall’odio e questo non ti porterà altro che dolore e sofferenza. Ricordati che con la violenza non otterrai mai nulla di buono.
- Tu dici? - disse esaminando la sua sciabola. - Sono stanco di seguire i tuoi ordini, stanco di essere sempre il secondo, di stare sempre dietro a te. Ripeto mio caro, dato che sei duro di comprendonio: tu non sei degno, né tantomeno capace, di governarci. Abbiamo bisogno di un vero leader, e chi meglio di me? Io sono quello di cui i demoni hanno bisogno, sotto il tuo comando siamo prigionieri, ma, sotto al mio, saremo i signori di questo mondo. Io porterò il nostro popolo di nuovo alla luce e a governare chi rispetto a noi e davvero inferiore. – mi lanciò un’occhiata sprezzante. – Gli umani sono feccia buona solo per servirci, null’altro.
Non dissi una parola, ero amareggiata per quanto quel demone stava affermando, ma non mi sentivo di dire nulla.


Molti demoni rimasero a bocca aperta, ma non tanto per le dichiarazioni, ero certa che tutti bene o male, conoscessero l’indole di Sylas e la sua sete di potere. Il vero motivo di tanto stupore per me era il fatto che mai si sarebbero sognati di vederlo sfidare il re così apertamente.
Le guardie fedeli a Barock e gli stessi membri della corte cercarono di raggiungere il re per proteggerlo, ma i seguaci di Sylas erano armati e pronti a battersi. Barock fece cenno ai suoi di starsene tranquilli e rifletté per qualche secondo, voleva a tutti i costi trovare una soluzione che non facesse male a nessuno, e finalmente la trovò.
- E sia, fratello mio. Ti propongo un patto, perché se ora tu mi uccidessi e prendessi il potere con la forza nessuno ti rispetterebbe veramente.
- Sarebbe? – Sylas parve incuriosito dalle parole del fratello.
- Un duello. Un semplice duello. Chi vince diviene re, e lo sarà per merito. Una vittoria pulita, nessuno, nel caso in cui tu vincessi, avrebbe qualcosa da ridire. – nonostante le voci dei demoni si dicessero contrari a questo sistema a dir poco barbarico, Sylas parve soddisfatto. Infatti non dovette pensarci su a lungo: la cosa era assolutamente perfetta per lui.
Sarebbe diventato re a tutti gli effetti e avrebbe dato una sonora sconfitta al fratello tanto detestato, liberandosene una volta per tutte. Chiese ai suoi seguaci di riporre le armi dato che tanto non gli servivano più.
- Perfetto, ma, voglio un duello all’ultimo sangue. – feci per intervenire ma Ael mi fermò. Non potevo dire nulla a riguardo, era una faccenda aldilà della mia comprensione.
- Non è quello che vorrei io, ma se tu dovessi vincere… - Barock sospirò ed infine accettò il patto scellerato.


Le guardie ci fecero spostare, lasciando il centro della sala libero per il combattimento dei due fratelli.
I due cominciarono a prepararsi, Barock era tornato sul trono per recuperare l’arma. Amber mi spiegò che quella era la spada che era sempre appartenuta a tutti i re dei demoni. Un oggetto sacro e venerato da tutti. Chi lo impugnava aveva poteri inimmaginabili e il dominio sul mondo dei demoni.
Sylas se ne stava tranquillo ad aspettare il momento in cui avrebbe potuto affondare l’arma nel fratello, mentre Barock aveva l’espressione di chi stava per crollare. Prese in disparte il figlio e vidi Amber tremare. Era chiaramente in ansia per il suocero e per Ael stesso. Finalmente sembrava che potessero tornare a vedersi senza che la corte potesse interferire ed ecco che Sylas rischiava di separare padre e figlio in maniera definitiva. Mi si lacerava il cuore, tutto quello che stava accadendo era sbagliato.
- Apodis…
- Purtroppo non possiamo fare nulla Ayla. – nella sua voce c’era una rassegnazione che di rado gli avevo sentito.
Cominciai a sentirmi colpevole, perché ero io la causa, anche se indiretta, di tutto.
Il mio sguardo incrociò allora quello di Sylas, e mi fu chiaro che a prescindere da me ed Apodis, da tutto quello che ne era venuto fuori, quel demone avrebbe prima o poi mosso le sue pedine per arrivare a quel punto.
In quella circostanza il pretesto ero stata io per muovere tutto quel casino, ma se non ci fossi stata, qualcun altro avrebbe preso il mio posto.


Barock avrebbe dovuto uccidere il fratello per difendere le sue idee e anche me.
Sapevo che per uccidere un demone bisognava usare dei veleni o tecniche molto particolari
I due demoni erano ora al centro del salone.
- Pronto Sylas?
- Non aspettavo altro. – disse il demone lanciandosi all’attacco.
Cominciarono così a combattere, ma erano talmente veloci che io non riuscivo a seguirli. Per tutti gli altri però non sembrava poi questo grosso problema seguire le mosse dei due contendenti.
Tutto quello che stava accadendo mi aveva messo in un forte stato di agitazione dato che non riuscivo a seguire quanto stava accadendo e dato anche il fatto che avevo paura.
Quel re aveva gli occhi talmente buoni che mi si stringeva il cuore sapendo cosa si stesse scatenando in lui. Doveva battersi contro il suo fratello, di certo questa era l’ultima delle cosa cui lui auspicasse. E poi era il padre di Ael.
L’unica cosa che riusciva ad arrivare al mio orecchio era il rumore delle spade che si scontravano, finché l’avessi sentito potevo tirare un sospiro di sollievo perché era la prova che entrambi erano vivi.
Il tempo sembrava quasi essersi fermato, ma ad un tratto furono di nuovo nitide le figure dei due fratelli: Sylas giaceva a terra con la spada di Barock puntata sul suo petto.
Il re aveva vinto e questo significava che potevamo finalmente auspicare alla pace e alla nostra libertà.
- Hai vinto. Ora uccidimi, non sopporterei la vergogna! - ordinò Sylas. Barock era troppo buono e davvero affezionato al fratello, fin dall’inizio aveva scelto di non giustiziarlo in caso di vittoria. Di certo il fratello non avrebbe usato la sua stessa nobiltà d’animo, ma a Barock non importava, agiva semplicemente guidato dai propri sentimenti e dalla propria indole.
Chiamò le guardie dicendo loro di portare Sylas in cella: lì avrebbe vissuto in isolamento finchè la corte lo avesse ritenuto necessario.


Tutti quelli che fino a pochi momenti prima erano dalla parte di Sylas ora erano tornati fedeli sudditi pronti a seguire le idee del sovrano. Probabilmente quel repentino cambio di bandiera era dovuto al fatto che temevano di poter far la stessa fine dell’ormai ex leader.
Barock si voltò per raggiungerci, incurante dell’odio del fratello. Le guardie lo stavano ancora per ammanettare, e lui trovò così il momento ideale per liberarsi e lanciarsi verso il fratello per un ultimo disperato tentativo di sopraffarlo.
Sylas sentendosi umiliato, decise che non importava se in quell’ultimo suo gesto avrebbe perso la vita, l’importante era trascinare con sé la causa della sua rovina. Riuscì a gettarlo a terra ed era pronto a trafiggerlo quando Apodis gli si gettò addosso per difendere il proprio sovrano.
Riuscì a ripagare Sylas con la stessa moneta: scagliandolo lontano con un fortissimo colpo dato allo stomaco.
- Hai perso Sylas. Ritrova la tua dignità. – gli gridò.
- Non accetto lezioni da un vile mezzosangue. Ricordati che io sono il tuo futuro sovrano, mostrami più rispetto.
- Non rispondo alle provocazioni. - gli rispose secco Apodis intanto che aiutava Barock a rialzarsi.
Sylas, recuperò in fretta le forze, prima che le guardie potessero fare qualsiasi cosa per fermarlo definitivamente e, riversò tutta la sua furia verso Apodis.


Fu un gesto meccanico. Non potevo permettergli di fare loro del male, di spezzare così le persone che amavo, l’uomo, o il demone per meglio dire, che mi era entrato nel cuore.
- Basta vi prego. - urlai piangendo correndo verso Apodis. Non mi importava cosa mi sarebbe accaduto, li avrei protetti anche a costo della mia vita.
Il ciondolo di Wolf e l’anello di Iris cominciarono ad emanare una luce, tanto forte da stordirmi e farmi cadere a terra. Ma non era certo questo il loro potere, davanti a Barock e ad Apodis si formò una barriera di luce, grazie alla quale l’attacco di Sylas venne respinto e lì apparve Iris, bellissima come sempre.
Il demone incredulo si accasciò a terra come se le energie gli fossero state tolte.
Io fissai la dea e gli oggetti che portavo con grandissimo stupore, passando dall’una agli altri rapidamente.
- Vedo che il tempo non ti ha ancora fatto capire come funzionano le cose Sylas. E dire che ci avevo sperato tanto. – disse Iris con una nota di delusione nella bella voce.
Barock si avvicinò alla dea inchinandosi e baciandole la mano.
- Son passati secoli dall’ultima volta…
- E tu non sei cambiato affatto, sempre molto galante Barock. – gli disse sorridendo.
Le lacrime avevano cominciato a sgorgarmi, ma non ne capivo il senso, Amber mi soccorse asciugandomi in fretta le lacrime. “È tutto finito Ayla, stai tranquilla”.
Mi asciugai le lacrime e fissai la dea che alla fine era venuta in nostro soccorso. Era vero quanto mi aveva detto, alla fine anche quel piccolo anello era servito a qualcosa.
Barock, accompagnato da Iris, mi raggiunse ed esaminò i due oggetti che avevano richiamato Iris.
- Te l’avevo detto, no Ayla? – annuii senza riuscire a proferire parola.
- Sono entrambi dei potenti amuleti che se usati adeguatamente possono sprigionare grandi poteri. Sei fortunata ad averli, ma la verità è che solo i sentimenti d’amore e giustizia possono attivarli. - -Barock lanciò un ultimo sguardo al fratello. – Se Sylas li avesse avuti non sarebbe mai stato in grado di usarli perché a smuoverlo sono solo sentimenti egoistici. – tornò a guardarmi e con la dolcezza di un padre mi abbracciò e disse: - Dobbiamo quindi ringraziarti, senza di te probabilmente l’attacco di Sylas avrebbe avuto successo.


- Credo che Sylas debba venire con me Barock. Qua non può più restare, la sua anima è troppo corrotta da neri poteri, e con me riuscirà a ritrovare quello che ha perso per la strada tanto tempo fa. – Barock rimase in silenzio, e Amber mi sussurrò all’orecchio che quanto Iris aveva detto significava semplicemente che Sylas sarebbe dovuto rinascere. Compiere la purificazione dell’anima.
Sylas era sì privo di forze, ma aveva ancora abbastanza fiato per prendersela ancora con me.
- Sconfitto da un’umana. – sbuffò, - Non c’è sconfitta peggiore.
- No, sbagli. Non è la ragazza in sé ad averti sconfitto, ma il suo cuore. Te l’avevo detto, il male non porta mai a nulla di buono. - Sylas sembrava sul punto di esplodere dopo le ultime parole di Barock.
- Tu, tu manderai tutta la nostra gente, tutto il nostro popolo, alla rovina. Renditene conto, rendetevene conto tutti quanti! – guardò in cagnesco anche Iris che lo fissava impassibile. - Provi troppa compassione per queste creature inferiori. Svegliati, dobbiamo schiacciarli finché siamo in tempo.
- Sylas, l’umanità da allora è cambiata molto. Forse deve ancora migliorare, ma per me non è una causa persa. Un giorno torneremo a vivere in armonia come in passato.
Sylas però non voleva sentire ragioni, per lui io e la mia intera specie altro non eravamo che spazzatura.
Il demone rise amaramente, notai che aveva gli occhi lucidi. Iris lo fissò, e fu come se un’ombra di paura le attraversasse lo sguardo.
- Questo non è più il mio mondo, sbagli fratello, e sarà troppo tardi quando te ne accorgerai. - estrasse una boccetta dalla tasca dell’abito. Era piccola e il liquido in essa contenuta era color porpora.
Non capii subito, ma quello era uno di quei rarissimi e potenti veleni in grado di uccidere un demone.
Barock invece lo capì immediatamente, ma non fece in tempo a fermare il fratello dall’ingerirne l’intero contenuto della boccetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo Diciassettesimo ***


" Capitolo Diciassettesimo "




Nel salone era piombato un silenzio di tomba.
Nessuno osava proferir parola, il gesto ultimo di Sylas aveva gettato un’ombra pesante su tutti i presenti.
Iris si avvicinò a Barock che si era seduto al corpo del fratello che giaceva inerme per terra.
- Mi spiace Barock. – disse lei sedendogli accanto.
- Non è certo colpa tua… - disse lui sospirando. Sylas era sempre stato diverso, fin da piccolo. Aveva idee pericolose, e raramente era disposto ad accettare idee che contrastavano in maniera eccessiva con le sue.
- Se solo mi avesse seguita, la sua anima… - le intenzioni di Iris erano quelle di purificare l’anima del demone e di farlo ripartire da zero per poter vivere un’esistenza più serena. Ora, con quel suo gesto estremo, di lui non esisteva più che il ricordo.
Mi ricordai di quanto mi aveva detto Amber il giorno del nostro incontro.


I demoni possono scegliere se reincarnarsi o passare oltre. Se scelgono di passare oltre, ma la loro non è stata una vita retta, non potranno accedere a quel mondo meraviglioso, non si reincarneranno e perderanno per sempre la loro anima vagando in un limbo per tutta l’eternità.


Era davvero così terribile per Sylas, vedere un mondo in cui umani e demoni tornavano a frequentarsi?
La testa mi pulsava, sentivo il cuore e le membra farsi pesanti… se Iris aveva già programmato di tornare da noi, lì, in quel preciso istante, perché ne ero assolutamente certa, perché non ci aveva detto nulla durante il nostro incontro?
- Perché altrimenti non ci avresti messo il cuore. – sentii la voce di Iris forte e chiara, ma non poteva certo rivolgersi a me dato che non avevo detto nulla.
- Dimentichi che sono una dea Ayla. – mi vergognai come una ladra , ma gli interrogativi restavano. Perché non dire le cose come stavano fin dal principio?
- Perdonatemi Iris ma, davvero, perché non metterci a parte del vostro piano, del tuo piano, se tanto tutto era già stato deciso? – chiesi con la stessa determinazione con cui mi ero posta davanti al resto della corte.
- Te l’ho detto, perché se avessi saputo cosa avevo intenzione di fare quasi sicuramente non ci avresti messo il cuore, ma solo la paura. – la dea si alzò e pian piano mi si avvicinò, prendendo in mano il ciondolo che mi aveva donato Wolf. – Questo, come l’anello che ti ho donato, sono oggetti magici che vivono, in un certo senso, e vengono alimentati dalle emozioni. Solo l’affetto avrebbe potuto farli attivare e richiamarmi quaggiù.
Iris mi abbracciò dicendomi che non c’era nulla da temere e che presto tutto sarebbe andato a posto.
- Bene, il mio compito qua è finito. Finalmente l’avete capita e posso cominciare a volgere lo sguardo più serena altrove. – disse Iris rivolta a tutti i presenti.
- Sylas non ha sbagliato nell’avere idee diverse, anche se certamente i mezzi con cui voleva portarle a compimento erano parecchio discutibili. Ricordatevi che voi siete e sarete sempre una guida per questi uomini che da voi hanno molto da imparare. Trovate insieme il modo per mettere le basi per un nuovo futuro. Insieme, e non divisi… - molti demoni annuirono alle parole della bella dea che da molto tempo aveva lasciato quei luoghi, ma che era rimasta indelebile nei cuori.
Si voltò verso di me e mi sorrise, quasi come se volesse incoraggiarmi a fare qualcosa. Qualcosa che non riuscivo a capire.
- Iris…?
- Dimmi bambina.
- Io… - volevo ringraziarla, volevo dirle tante cose, anche perché temevo che quello potesse essere un addio, ma l’unica cosa che mi riuscì di fare fu piangere silenziosamente e portarmi le mani in volto per poterle scacciare.
- Vieni qua piccola mia. – disse non appena riuscii un poco a calmarmi, e spalancando le braccia le corsi incontro per abbracciarla.
Forse era sconveniente, forse era poco rispettoso per i presenti, ma per me non c’era nulla di male. Ero grata ad Iris, perché sapevo che c’era molto di più di quanto non avessi visto. Perché anche se non sembrava, alcuni di quei passi li avevo fatti grazie a lei.
A Iris che silenziosamente mi aveva indicato il cammino.
A lei che senza dire niente, senza far capire nulla, già aveva trovato il modo per porre fine ad un’inutile lotta priva di senso.
- Ora spetta a te… - disse sciogliendo l’abbraccio e lanciando un ultimo saluto ai presenti prima di essere avvolta da una fortissima luce.
Non capii a cosa si riferisse, e fissai persa il vuoto da lei lasciato.


La gente parlottava, un po’ di Iris e un po’ di Sylas, la questione delle riforme e di me, un’umana alla corte dei demoni era passata in secondo piano. Non mi accorsi nemmeno dell’arrivo di Elar, corso ad abbracciare il suo vecchio amico Apodis, che mostrò di essere felice quasi quanto l’amico.
Persa com’ero nei miei pensieri non notai Barock che inaspettatamente mi si avvicinò e mi prese la mano.
- Immagino tu sia parecchio stanca. – disse con voce dolce facendomi come risvegliare dal torpore in cui ero scivolata. Annuii debolmente, anche se non era solo quello a farmi apparire in quello stato pietoso. - La ragazza è nostra ospite, preparatele una stanza per favore. – disse al personale del castello che fu lieto di darsi da fare.
Capii così ben presto, aiutata anche dai racconti dei demoni con cui entrai in contatto, che aldilà delle regole restrittive nei confronti degli umani, molti demoni avevano una sorta di doppia vita che cercavano di tenere ben celata.
Il cambio di rotta che presto la corte sarebbe andato a subire avrebbe reso la vita di molti più semplice e serena.
La ragazza che mi condusse nelle mie stanze era demone solo per metà, e solo Barock lo sapeva. Era la figlia del suo più fedele maggiordomo, e da anni serviva anche lui.
Lina, così si chiamava, mi raccontò di come il padre e la madre vennero aiutati da Barcok per poter vivere la loro storia e anche se la madre era morta da molto essendo rimasta umana, erano riusciti a condurre una vita serena.
Non sarebbe stato facile far capire a tutti come collaborare con gli esseri umani, e la cosa sarebbe stata difficile anche per la controparte, ma di certo ci sarebbero riusciti portando molta pazienza.


La stanza che mi assegnarono nell’ala degli ospiti era degna di una regina.
Lina mi illustrò la camera partendo dal grande bagno annesso, in cui la faceva da padrone il lilla, colore che avevo sempre trovato molto elegante. C’erano sia una grande vasca da bagno, piena d’acqua calda, che un bel box doccia.
Un grande specchio ovale davanti al lavandino incorniciato da decorazioni floreali in vetro e per finire c’era una porta finestra che sia priva sul piccolo terrazzo che dava sul cortile interno.
- Come vedi la vasca è pronta, ti lascio sola per il bagno. – stava per andarsene quando si ricordò di dirmi che avevo una mezzoretta di tempo prima che lei tornasse con la cena. Per Barock era meglio che io non mi mettessi a dormire senza prima aver cenato.


Approfittai della vasca ricolma d’acqua calda per lavarmi via tutta la stanchezza e tutta la tensione accumulata.
Anche se tutto si era risolto nel migliore dei modi, eccetto che per Sylas, c’erano ancora molti pensieri che non riuscivo a scacciare, a cominciare da lui. da Apodis.


Potevo dire, in un certo senso che lo avevo salvato. Anche se a farlo effettivamente era stata Iris, ero però stata io a frappormi fra lui e Sylas. Io, una inutile, sciocca e banale ragazzina.
Io avevo salvato un demone della morte, il mio demone della morte, il mio amore. Capire di amare qualcuno che non potrà mai essere tuo nonostante quanto passato assieme era un orribile tarlo che mi stava avvelenando l’anima.
Ci avevo impiegato parecchio, nonostante il fatto che io ed Apodis ci conoscessimo da una manciata di tempo, ne ero già presa. Eppure non era stato facile realizzare quanto nel mio cuore era già stato chiaro fin dal nostro primo incontro.
Avrei dovuto capirlo molto prima, come avevo fatto a non accorgermene quando era tutto così semplice e chiaro?
Lo avevo sempre avuto lì, sempre al mio fianco, sempre vicino, sempre attento a me e sempre gentile… beh, non sempre.
Ma lui a me ci teneva, aveva rischiato tutto per me e mi aveva sempre dimostrato quanto il suo affetto fosse sincero.
Io non avevo cercato di salvargli la vita per ripagare il mio debito, perché mi sentivo in dovere di farlo o quant’altro.
Lo avevo fatto perché era ciò che sentivo di fare dal profondo del mio cuore.


Amore è una parola davvero strana, ed ancora di più lo è il suo significato. Tutti o quasi nella vita ricerchiamo l’amore, ma chi davvero riesce a trovarlo?
Nei momenti più tristi e bui avevo creduto che il vero amore fosse quello dei genitori verso i figli e viceversa, quella era la forma d’amore più pura e vera per me che non avevo mai conosciuto l’amore vero per un uomo. Solo qualche cotta priva di futuro.


“Può però un uomo amare davvero una donna? E può una donna amare davvero un uomo?” Domande alle quali non avevo mai saputo rispondere con piena sicurezza.
Amore è un qualcosa di diverso per ognuno di noi, per questo è difficile poter trovare la persona giusta che riesca a capire i nostri modi di fare e accettarli pienamente.


Io avevo salvato Apodis, ed la mia vita, le nostre vite, erano salve… Ma cosa sarebbe accaduto ora che il nostro viaggio si era concluso?
Avevo fatto la mia parte, ma ne ero stata io, seppur senza volerlo o cercarlo, la causa di tanti casini. Era stata colpa mia, anche se nessuno avrebbe avuto nulla da rimproverarmi.
La nostalgia di casa cominciava a farsi sentire prepotente.
Mi mancava la mia vecchia vita, ma c’era ancora tanto che volevo scoprire di quel mondo. Un mondo che era sempre stato sotto i nostri occhi, ma che non eravamo mai riusciti a vedere.
Ma soprattutto non volevo lasciare Apodis, volevo stare con lui, avere una possibilità, anche solo per potergli dire quanto provavo seppur non ricambiata.
Avevo di fronte a me una scelta, la vecchia Ayla o la nuova?
La vecchia Ayla era morta, e tornare interamente alla vita di prima sarebbe stato impossibile, ma la tranquillità di quel mondo, nonostante i ritmi frenetici, mi mancava.
Il mondo dei demoni non avrebbe mai fatto al caso, non mi sarei mai riuscita ad inserire in un contesto che in cuore mio sentivo che non mi apparteneva.
Il viaggio che avevo compiuto mi aveva cambiata, in meglio ovviamente. Certi aspetti del mio carattere sarebbero rimasti immutati fino alla morte, ne ero certa, ma avevo avuto modo di maturare e pian piano superare, o mitigare certi aspetti del mio carattere che nel rapportarmi con gli altri mi avevano sempre limitata.
Dopo anni e anni di una quasi totale reclusione, eccezion fatta per lavoro o piccole commissioni, finalmente mi ero mossa, compiendo un viaggio di tutto rispetto.
Tutta la mia vita era stata messa in discussione, e per fortuna che era successo. Pur avendo accanto persone che amavo e che mi amavano a loro volta, impegnate in ogni modo a spronarmi, io non riuscivo a spostarmi dalla mia posizione.
C’erano voluti dei demoni per farmi cambiare vita.


Niente resta immutabile, tutto cambia… ma non è detto che cambiare sia un male.
Avevo trovato molto più di quello che immaginavo, avevo scoperto la vera Ayla e l’avevo liberata dalla prigione in cui io stessa l’avevo rinchiusa per paura.
Con il concludersi del nostro viaggio si sarebbe conclusa anche un’era triste nel diario della corte dei demoni.
Presto sarebbe iniziata una nuova era, un’era in cui i muri eretti in passato sarebbero crollati per lasciare il posto a una nuova unione fra l’antico e il nuovo popolo.


Uscii dalla vasca rigenerata, più serena e rilassata. Bastava darmi un’occhiata per capire che stavo già meglio.
L’accappatoio era morbidissimo e profumava di lavanda; trovai anche un grazioso vestito, ma dato che sarei rimasta nella stanza optai per la camicia da notte e la vestaglia.
Bussarono alla porta: era Lina con la cena, che una volta sistemata la stanza e il tavolino, mi lasciò sola. Gustai con calma, ero un po’ giù perché comunque ero sola, ma immaginavo che Ael volesse passare del tempo con il padre, e Apodis gli avrebbe fatto da spalla.
Mi portarono dei piatti molto semplici, e sospettavo ci fosse lo zampino di Wolf dietro. Aveva imparato in fretta i miei gusti, e tutto quello che mi era stato servito era stato molto apprezzato.
Per fortuna le porzioni erano poco abbondanti, non avevo molta fame, in effetti ero più stanca che affamata.
Volevo passeggiare un po’ per smaltire il cibo, e, quasi come se mi avessero letto nel pensiero, Lina rientrò nella stanza invitandomi a fare un breve giro nel parco sottostante. Mi scortò fino al piano inferiore, e lì incontrai Amber. Forse non mi avevano letto nel pensiero, forse era stata Amber a mandarmi a chiamare.
- Ciao, ben arrivata. – mi disse sorridendo.
- Mi aspettavi forse?
- Sì, come va ora, ti senti meglio? – mi osservò e prima che potessi risponderle si soffermò sul fatto che ero scesa in vestaglia. Del resto io stavo anche per coricarmi, e quella passeggiata serviva solo per distendermi quel tanto per permettermi di scivolare più facilmente nel sonno.
- Non soffermiamoci su questi dettagli inutili. Comunque, per il resto mi sento solo un poco frastornata. Sono stanca, ma volevo camminare un attimo prima di coricarmi. Voi invece?
- Capisco… Noi bene, ma se ti ho fatta chiamare è per una ragione precisa, non ci girerò troppo attorno. Quando intendi dirglielo? –feci una faccia come per dire: “Dire cosa e a chi?” – Non guardarmi così, sai bene a chi e a cosa mi riferisco. – sorrise maliziosamente. Apodis.
- Su, sto aspettando Ayla, finché non mi risponderai io non ti lascerò tornare nelle tue stanze. – sapevo che avrebbe tenuto fede a quanto appena detto. Deglutii e pensai bene a cosa dirle.
- A tempo debito, e comunque non è detto che debba farlo ora. – i dubbi sul da farsi non mi erano mancati. Lottare per chi si ama, sempre o no? A volte è meglio lasciare libero l’oggetto del nostro amore. Permettergli di essere felice se lui non è innamorato di noi. Una parte di me moriva dalla voglia di potergli dire quanto ardentemente l’amassi, ma una parte di me, forse più coscienziosa, mi frenava dal farlo per evitare ad entrambi inutili sofferenze o imbarazzi.
- Apodis è innamorato di te, tu sei innamorata di lui. Dove sta il problema?
- Uff… abbiamo già fatto questo discorso mi pare. Apodis non mi ama… Inoltre credo che questo debba essere un discorso che io e lui dovremmo fare, non io e te.
- Su questo hai ragione, ma da amica sono semplicemente preoccupata… - glielo lessi negli occhi e a voce bassa le dissi che lo sapevo, e che la ringraziavo per quanto aveva sempre provato a fare per noi.
- Mi raccomando non sprecare l’occasione della tua vita per essere davvero felice.
Quelle parole mi lasciarono un po’ lì, volevo replicare ma Amber mi salutò non appena intravide Ael, lasciandomi sola nel piccolo parco. Li salutai e rimasi per qualche minuto da sola a contemplare la luna come se potesse parlarmi e indicarmi la strada.


La mia notte trascorse tranquilla, gli incubi che per oltre un mese avevano riempito le mie nottate se ne erano andati. Oramai quel cammino si era concluso, e non avevo più bisogno di essere guidata. Ero di nuovo padrona dei miei sogni.


La mattina seguente venne ancora Lina a chiamarmi portandosi con sé una ricca colazione che spazzolai in fretta dato che il re aveva chiesto di potermi incontrare.
Benché mi avesse fatto un’ottima impressione di un uomo, o demone se vogliamo, alla mano, non potevo certo permettermi di commettere errori in sua presenza.
Io ero spesso goffa, e di sicuro avrei fatto qualche sciocchezza rendendomi ridicola ai suoi occhi.
Intanto che percorrevo le scale per scendere nel grande salone mi ripetevo in continuazione tutte le regole del “Bon ton”, e soprattutto mi dicevo “non fare cavolate Ayla”.
Riuscivo già a sentire un bel vociare e non appena entrai nella sala tutti i presenti si voltarono per fissarmi.
Avevo la paura folle di inciampare per la tensione, aumentando così il mio disagio all’infinito.
Prima però che potessi rovinarmi con le mie stesse mani, il re stesso si alzò e mi venne incontro per abbracciarmi come era successo il giorno prima nei confronti del figlio.
- Benvenuta mia cara, spero che tu abbia dormito bene. Vieni con me ora, c’è una cosa che devo mostrarti. – i membri della corte ci fecero spazio per poter passare, e con la coda dell’occhio potei vedere i miei amici, le persone che stimavo e che mi erano state di supporto, direttamente o meno. Vidi anche Apodis che mi fece un bel sorriso come a dirmi “Vai tranquilla”, e con un augurio del genere potei rilassarmi e lasciarmi condurre fin dietro al trono.
Ci fermammo di fronte ad un enorme portone che sembrava fatto di ghiaccio. Notai una rientranza strana e Barock vi infilò la mano; quando sentii un roumore come di serratura fatta scattare la porta si aprì.
Barock mi fece segno di precederlo e quando anche lui varcò la soglia la porta si richiuse a scatto.
- Stai tranquilla. Questo luogo è chiuso a tutti, solo io posso entrare. Io e chiunque decida di portare con me. – davanti a noi si estendeva un lunghissimo corridoio dalle pareti color avorio che brillavano per via di tutte le candele che rischiarivano l’ambiente privo di finestre.
- Tu sei un’eccezione sai?
- Come prego? – ero troppo intenta a non perdermi, che per un attimo non ascoltai quanto il re mi stava dicendo. Lui sorrise e continuando a guardare dritto verso di sé notai che finalmente eravamo alla fine.
- Come ti dicevo in pochi possono varcare quella soglia, e io non ho mai permesso a nessuno di accompagnarmi. Certo, Iris poteva entrare a piacimento, ma per lei è un discorso diverso… - sorrise divertito, probabilmente perché con Iris aveva un bel rapporto di amicizia che andava avanti da chissà quanto tempo - Tu sei la prima ad entrare in pratica.
- Mi onorate signore ma, non voglio sembrare ingrata, posso sapere il perché avete scelto me e perché sono qui?
- Dammi pure del tu. – disse prima di aprire la porta davanti alla quale ci eravamo fermati. - Perché mi chiedi? Lo capirai presto. Dietro questa porta c’è la stanza degli specchi. Sai che significa?
- No. È una stanza segreta?
- Diciamo di sì. È la stanza dove arrivano i dati per i demoni della morte, e che da qua verranno inviati alle varie stazioni. Ma non è solo questo. – il re spalancò la porta e continuò a parlarmi fino a condurmi al centro della stanza, cercai di seguire il discorso di Barock, ma la magnificenza della sala lo rendeva assai arduo.
Come suggeriva il nome della stessa, era una stanza adornata quasi interamente da specchi, di ogni forma e dimensione, e si capiva che da ognuno di essi derivava un grande potere, le cornici erano vive, da alcune arrivavano piccoli spruzzi d’acqua, altre erano fiamme vive, altre ancora adornate di edere rigogliose.
- Questi specchi hanno poteri immensi e servono per comunicare con chiunque lo si desideri, ma solo se davvero motivati.
Ora ne sapevo qualcosina in più, ma rimanevano ancora tante domande. Sapevo dove arrivavano i dati per i demoni della morte, ma non chi li consegnava a Barock. E lui capì quello che stavo per chiedere anticipandomi: era la terra stessa a dirglielo: la natura, la nostra stessa terra. Essa conosceva inizio e fine di tutto, si avvaleva semplicemente dell’aiuto dei demoni per mantenere l’equilibrio.


Mi guardai attorno, camminando e osservando ogni singolo specchio, fino a che, passando davanti a uno di essi, cominciò a sputare fuori moltissimi fogli che, una volta finiti, sparirono nel nulla.
Barock mi spiegò che quelli altri non erano che i dati degli incarichi. Erano tutte le informazioni che sarebbero state date al demone della morte che avrebbe preso l’incarico di sorvegliare e proteggere l’umano la cui vita da lì ad un mese si sarebbe spenta.
Era una cosa che non riuscivo a definire e comprendere interamente. Era tutto così straordinario, bello e affascinante.
Io però ancora non comprendevo la ragione per cui mi trovavo in quella stanza a cui solo il re aveva potuto da sempre accedere.
Perché rivelarmi tutte quelle cose che nemmeno i suoi sudditi conoscevano?
- Ho una cosa da proporti, non sei obbligata ad accettare. Vorrei solo che ci pensassi su. – feci cenno di continuare e il re mi fece una proposta che non mi sarei mai aspettata: unirmi a loro, diventare demone così come Amber prima di me, e il demone al quale la mia vita sarebbe stata legata sarebbe stato Apodis ovviamente.
- Io una demone? – avrei potuto restare accanto ad Apodis così, e rimanere in contatto con Amber e Ael..
Però, Layla, Cerby, Morphy… non li avrei più rivisti probabilmente. Era vero che volevano cambiare le cose, ma di certo i primi tempi sarebbe stato estremamente difficile. Che cosa dovevo fare?
- Perché no? Perché esitare? Una parte di te lo vuole, lo so io e lo sai te. Non affannarti a negarlo o a cercare scuse. – il re mi studiò e sospirò pesantemente. – Vedo però anche che hai degli affetti che non vuoi lasciare. Certamente se tu riprendessi ora i contatti non ci sarebbero problemi, ma una volta demone, non invecchieresti più per un pezzo e la gente se ne renderebbe conto. Come avrai capito noi vogliamo riavvicinare i nostri mondi, ma non sarà una cosa immediata.
Barock aveva saputo leggere molto bene quanto stava accadendo nella mia testa. Fosse stato per me avrei vissuto costantemente in bilico fra quei due mondi, ma mi rendevo conto che non era possibile. Non avrei mai potuto condurre la mia vita di sempre se fossi diventata un demone.
Volevo tornare a casa, ma volevo anche restare.
- È difficile scegliere… inoltre, credo che questo riguardi anche Apodis. - arrossii pronunciando il suo nome. Noi non avevamo mai parlato di un possibile coinvolgimento amoroso fra di noi, figuriamoci parlare di una cosa di questo tipo.
- Non credo avrebbe chissà quali problemi, anzi. Credo che se solo trovasse il coraggio, te lo chiederebbe lui stesso, ma… è un ragazzo un po’ sulle sue. Capisco che tu abbia bisogno di tempo, ed è per questo che siamo venuti qua. Potrai riflettere sulla tua scelta in totale tranquillità, e qualsiasi cosa tu scelga noi la rispetteremo. Molte cose stanno per cambiare nella corte, e lo dobbiamo a te.
Grazie Ayla. – e fu così che il re mi lasciò sola nella stanza degli specchi per poter compiere forse la più grande delle decisioni della mia vita.


Ognuna delle scelte mi portava a una rinuncia, perché se sceglievo la vecchia vita, difficilmente sarei stata in grado di mantenere i rapporti con loro così facilmente, e se avessi scelto quella nuova vita, mantenere i rapporti coi vecchi amici non sarebbe stato facile e probabilmente avrei dovuto rinunciarvi forse anche per sempre.
Se avessi scelto la vita da demone, la mia vita e quella di Apodis sarebbero state legate indissolubilmente, e, dati i miei sentimenti per lui, la cosa mi avrebbe anche fatto piacere.
Però io stavo guardando la cosa solo dal punto di vista dei miei sentimenti, e non dei suoi. Se lui non mi avesse ricambiata mi sarei ritrovata a vivere una vita longeva nel rimpianto della vita perduta.
Come sarebbe cambiata la mia esistenza e quanti vantaggi avrei avuto nell’essere demone? Valeva davvero la pena cambiare? Era la scelta giusta da fare?
Pro e contro sembravano bilanciarsi alla perfezione, e più cercavo una soluzione, e più nuovi pezzi si aggiungevano all’uno o all’altro piatto.


“Cosa posso fare?” chiesi a voce alta accasciandomi sul divanetto pronta a sciogliermi in un pianto inconsolabile.
- Ayla, Ayla vieni qui. – quella voce mi fece sobbalzare.
Chi era? Io quella voce la conoscevo bene, ma non riuscivo ancora ad attribuirle un volto. Ancora mi chiamò, e spalancai gli occhi.
- Mamma. – dissi con gli occhi colmi di lacrime.
Saltai giù dal divano e mi guardai freneticamente intorno in cerca della sua figura.
Mi chiamò ancora e finalmente la vidi dentro uno degli specchi. La cosa migliore era che accanto a lei c’erano anche mio padre e mio fratello.
Non pensavo che avrei mai più avuto l’occasione di rivederli.
Mi ricordai quanto detto da Barock: gli specchi fungevano da tramite fra le varie dimensioni.
Piangevo e sorridevo contemporaneamente. Ero felice di poterli vedere ancora una volta.
- Mi siete mancati così tanto, mi sono sentita tanto sola e terribilmente in colpa. Mi son detta milioni di volte che avrei dovuto essere con voi quel giorno. – mi bloccai per i singhiozzi, ma non avevo finito. I sensi di colpa mi avevano distrutta in passato.
Sapevo che non dovevo farmi una colpa della loro morte, e che era un bene che non fossi stata con loro ma, il fatto di essere viva io e loro morti mi aveva fatta sentire uno schifo.
- Non piangere, non è stata colpa tua. Non sentirti colpevole per qualcosa che non hai fatto. – mi disse mia madre con quella dolce voce che in quegli anni mi era mancata. - Devi vivere e cercare di essere felice.
-Il modo migliore, l’unico, per renderci felici e orgogliosi di te è il vederti vivere davvero. Sappiamo quanto è stata dura per te, ma ora devi lasciarti tutto alle spalle. – mi disse il mio amato fratellino - Non possiamo cambiare il passato, ora devi costruire il tuo futuro.
- Ma io non so più cosa fare. Aiutatemi vi prego.
Mi guardarono, con quello sguardo che solo i genitori ti possono rivolgere e che in quegli anni avevo pregato di poter vedere ancora.
- Ayla, tu sei diventata una grande donna ed ora devi cercare di scegliere quello che è meglio per te, non possiamo più dirti cosa fare. Sappi che non ti abbiamo mai lasciata sola in questi tre anni, e che siamo davvero fieri di te. Non abbiamo mai smesso di volerti bene.
- Ve ne voglio tanto anche io. – dissi con gli occhi umidi. Ringraziai col pensiero chiunque mi avesse concesso questo enorme regalo, anche se avevo già i miei sospetti…
Quella volta non avevo potuto dire loro addio. Ora potevo salutarli.
- Prendi con cura la decisione, bambina, perché non si torna indietro. Qualunque cosa tu scelga noi ti saremo accanto per sempre.
Vidi con quanto orgoglio e amore mi parlavano, e anche se non era facile capii che quello era il momento che avevo anch’io per passare oltre finalmente.
- Addio, ricordati di vivere Ayla.
- Non lo scorderò. Addio.
Svanirono, e lo specchio rifletté solo la mia immagine.
L’immagine di una ragazza in lacrime, ma più sicura e serena.
Tolsi dalla tasca un fazzoletto per potermi asciugare le lacrime: ero pronta per tornare da Barock.
Avevo fatto la mia scelta, e non sarei mai più tornata sui miei passi.
Una nuova Ayla era finalmente nata. 



 
L'angolo di Shera ^_^

Il prossimo capitolo sarà quello finale. Spero che fino ad ora la storia vi sia piaciuta.
Lo ammetto, come stile, e soprattutto, come storia, è piuttosto infantile. Non ci sono grossi colpi di scena, non c'è pathos, ma ci sono comunque affezionata. È stata la prima long "seria" che abbia mai scritto. Avrà sempre un posto di riguardo nel mio cuore <3
Se avete voglia lasciatemi un commentino, nel bene e nel male. Se avete suggerimenti o altro, sarò ben lieta di accoglierli ^^.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Epilogo ***


Epilogo 


Era il ventuno dicembre, ed erano già passate tre settimane dall’ultima volta che li avevo visti.
Tre settimane dall’ultima volta che avevo visto Ael, Amber e Apodis.
La scelta fatta era davvero la più ovvia: tornare a casa, mantenere la mia identità umana.
Avevo anche scelto di non dire nulla ad Apodis riguardo i miei sentimenti per lui, con grande disappunto da parte di Amber. Mi era sembrata la scelta giusta da prendere, era inutile dirgli quello che provavo dato che mi sarei resa ridicola inutilmente.
Mi sarei anche accontentata di passare la vita al suo fianco anche solo come amica. Tutto pur di stare al suo fianco, avrei potuto scegliere di cambiare, avere una vita migliore, eppure… non mi sembrava giusto dato che per cambiare le nostre vite sarebbero state legate. La cosa a me non sarebbe dispiaciuta ma potevo dire lo stesso per lui? Aveva già sacrificato molto per aiutarmi e chiedergli ancora dell’altro mi sembrava troppo, troppo davvero.


I miei sentimenti per lui, nonostante la lontananza, non si erano affievoliti e anzi, erano diventati più forti. Non sapevo come gestirli perché non mi ero mai innamorata così di qualcuno.
Probabilmente uno dei motivi che mi avevano portata a tacere i miei sentimenti per Apodis era la paura delle ripercussioni.
La corte stava sì cambiando, ma sapevamo che molti demoni avrebbero faticato a capire e ad accettare.
Se lui mi avesse mai ricambiata e fossimo andati fino in fondo, quante altre difficoltà avremmo dovuto affrontare?
Inoltre… ammiravo moltissimo Amber e Ael, invidiavo un po’ il loro grande amore, e li rispettavo. La loro scelta di non avere subito figli mi aveva lasciata spiazzata all’inizio, ma era la cosa migliore. Io però non volevo la stessa cosa per me, l’impazienza mi avrebbe spinta a fregarmene di tutto e ad agire senza alcuna considerazione.
Avrei così visto i miei figli crescere e morire. Nessun genitore vorrebbe vedere morire i propri figli. Non avevo mai provato una simile perdita, ma avendo perso i genitori potevo immaginare quanto dolore si potesse provare.


Come ogni sera alle cinque, misi il collare a Cerby e mi preparai per uscire: una passeggiata mi avrebbe fatta sentire meglio.
Mi preparai per bene indossando quanta più roba per coprirmi dal freddo pungente che mi attendeva oltre il portone di casa. Guardandomi allo specchio pensai subito all’omino della Michelin. Risi di gusto, era da tanto che non mi capitava.


Tornare alla normalità era stato più semplice del previsto, ma qualcosa in me era cambiato, in meglio.
Però non potevo evitare di pensare ad Apodis e al fatto che una parte di me rimpiangeva di non essergli restata accanto.
Affondando gli scarponi nella neve ripensai subito a quella volta in cui Apodis mi aveva presa sulle spalle per arrivare prima alla casa di Ael ed Amber. Una lacrima scese a rigarmi il viso, e Cerby, per distrarmi, cominciò a correre affannosamente per tutto il parchetto.
Appena tornata a casa lui e Morphy mi fecero un sacco di feste, ma ben presto capirono che qualcosa non andava, io ero diversa in qualcosa.
Mi avevano vista spesso piangere nel letto prima di allora, ma dopo la mia lunga vacanza era scattato qualcosa, e loro provavano in tutti i modi ad aiutarmi.
Loro erano gli unici a cui avevo affidato il mio segreto. La storia di come una semplice ragazza si era ritrovata a vivere una grande avventura affiancata da grandi amici e il più grande amore che mai potesse sognare di avere.
- Dai Cerby, non ti rotolare nella neve. – in genere Cerby non amava la neve, ma quella sera sembrava divertirsi parecchio nel tuffarsi di peso. Nei giorni precedenti aveva nevicato parecchio e, avendo attaccato al terreno, si era formato un bello strato in cui poter affondare.


Incredibile pensare che poco più di un mese prima ero un’altra persona. Se riguardavo al passato vedevo un’altra me stessa.
Certo non potevo dire di essere cambiata totalmente, ma avevo fatto dei passi enormi.
Per la prima volta, dopo tante richieste, avevo accettato l’invito di Layla e della sua famiglia per festeggiare insieme il giorno di Santo Stefano. Natale era ancora troppo per me ma, l’avere accettato il loro invito anche solo per l’altra festività, era già un passo in avanti.
Layla me lo aveva proposto senza troppa convinzione, sapeva che difficilmente avrei accettato ma, quando invece acconsentii, lei rimase a bocca aperta. Lei era sconcertata, ma George fu ancora più sorpreso di lei. Riuscire a lasciare senza parole uno come George non era per niente una cosa da poco.
Mi fece il terzo grado per il viaggio, voleva sapere tutto, ogni singolo dettaglio della mia vacanza.
Nonostante la voglia di cambiamento che permeava nella corte e le nuove leggi in fase di approvazione, i demoni non erano ancora del tutto pronti a venire alla luce.
Così la mia storia doveva rimanere segreta, ad eccezione fatta per Cerby e Morphy; a Ly dovetti raccontare qualche piccola bugia, cambiando alcuni dettagli del mio viaggio.


Quando ero ancora piccolina i miei genitori mi portavano spesso in quel piccolo parchetto. Non c’erano tanti giochi, ma trovavo sempre altri bambini con cui giocare e con cui divertirmi.
Cerby tirava talmente tanto il guinzaglio che per poco non scivolai nella neve così, poco prima di varcare l’ingresso, lo lasciai libero.
Di certo non appena tornati a casa avrebbe avuto bisogno di una bella ripulita, e la cosa non sarebbe piaciuta a nessuno dei due.
Lo avremmo fatto comunque e poi… di corsa sotto al piumino.
Mi piaceva il freddo, mi piaceva l’inverno. Era una stagione che aveva tanto da offrire e io ogni anno trovavo qualcosa di nuovo che mi faceva amare la stagione fredda.
Ogni volta che cominciava a nevicare nel mio cuore si facevano largo tanti bei ricordi di un passato più o meno lontano.
Mi passavano così davanti scene che temevo di aver scordato, ma che in certi momenti rivivevano sotto i miei occhi. Alcune mi facevano sorridere, con altre ridevo di gusto e di fronte ad altre ancora il mio cuore un poco soffriva.
Vedendomi un po’ triste Cerby si metteva ad abbaiare per attirare l’attenzione su di sé, così poteva distogliermi ciò che mi faceva ancora un po’ male.
Tutta l’esperienza vissuta con Apodis mi aveva aiutata ad affrontare le cose. Essere forti, avevo capito, non significava non soffrire mai di fronte alle avversità che la vita ci seminava sulla strada.
Essere forti significava riuscire a rimettersi in piedi nonostante tutto quanto. Riuscire a riaffrontare la vita anche se questo significava affrontare le proprie paure e debolezze.


Non senza una certa fatica potei ammettere che mi sentivo terribilmente sola.
Cerby e Morphy facevano di tutto per colmare quel vuoto lasciato dalla mia famiglia e poi da Apodis, ma non sempre ci riuscivano.
Più il tempo passava e più mi accorgevo di quanto i miei sentimenti per lui fossero profondi.
Lo amavo, lo amavo con tutta me stessa e sentivo il cuore spezzarsi perché avrei voluto tanto poter tornare da lui per non lasciarlo più. Egoisticamente volevo riaverlo con me, ma amare significa lasciare andare, e per il bene di Apodis dovevo farmi da parte e lasciarlo libero da me.
Apodis si era già dato da fare fin troppo per me, ed ora toccava alla sottoscritta fare qualcosa di buono per lui.
In una maniera o nell’altra sarei riuscita ad andare avanti e a sopportare il peso della mia scelta.
Avevo imparato ad essere forte, io non sarei caduta o, perlomeno, se fossi caduta mi sarei rialzata. Non potevo smettere di vivere, altrimenti tutto quello che avevamo fatto non sarebbe servito a niente.
Non potevo evitare di pensare ad Ael e a Amber, ma la loro era stata una situazione diversa; i tempi erano diversi.
Lei aveva fatto la sua scelta, ed era nonostante tutto felice.
Ogni scelta comporta delle conseguenze, belle e brutte.
Lei non si era pentita, ma io?
Io sarei stata felice? Una parte di me si era già pentita di non aver scelto l’amore, ma più ci riflettevo sopra e più mi pareva la decisione migliore che potevo prendere. Perché dovevo ancora soffrire se avevo agito nel migliore dei modi?
Domande alle quali non potevo rispondere, non avevo le risposte.


Se pensavo a lui e a me insieme la prima cosa che mi saltava alla mente era: perché lui dovrebbe voler stare con una così?
Io non ero certo il massimo, mentre lui… lui era così bello, anzi, dire bello era poco, perché non era solo l’aspetto fisico ad attrarmi.
La sua intera persona, pregi e difetti, mi avevano fatta innamorare di lui. Mi accorsi di cominciare a provare qualcosa di più della semplice attrazione nella baita di Ael e Amber.
Nella foresta lo avevo apprezzato per le sue premure e attenzioni, così come nella casa di Wolf. Pian piano ho notato tante piccole cose che facevano parte del suo essere.
A dispetto del primo impatto una volta scoperta la sua vera natura, avevo trovato un Apodis dolce e sensibile, forte e protettivo.
Lo amavo, e non potevo farci assolutamente nulla.


Cerby era dall’altra parte del parchetto e cominciò ad abbaiare freneticamente; sembrava avesse trovato qualcosa.
Corsi verso di lui per calmarlo, ma non appena lo raggiunsi lui smise di abbaiare ma cominciò a camminare avanti e indietro davanti a un piccolo mazzo di fiori.
Riconobbi subito quei fiori: erano delle rose cappuccine, delle verbene, dei fiori di pesco e dei fiori d’arancio.
Conoscevo abbastanza bene il linguaggio dei fiori per non farmi venire la tachicardia. Le lacrime non tardarono a scendere perché sapevo chi era il mittente. Se non avessi parlato con Gabriel qualche settimana prima, il mio primo pensiero sarebbe andato a lui.
Dopo il ritorno a casa lo incontrai scoprendo che si era fidanzato.
Si scusò ancora per tutte quelle volte che si era dimostrato troppo insistente con me.
Altro motivo per cui lo avevo scartato era il fatto che lui mi avrebbe regalato delle rose rosse, nonostante gli avessi detto più di una volta che non mi piacessero.
Ero felice per Gabriel e felice per quei fiori.
Tanto felice da non riuscire a smettere di piangere.
- Non credevo che i fiori ti facessero piangere. Speravo invece di farti un bel regalo, di farti felice. – sentii una voce fin troppo familiare provenirmi da dietro le spalle.
Mi voltai di scatto, e vedendolo mi fiondai fra le sue braccia.
- Mi sei mancato tanto. – dissi tra i singhiozzi e affondando il viso nel giubbotto.
- Anche tu mi sei mancata. – mi disse cominciando ad accarezzarmi la testa. Dopo la felicità la paura mi avvolse. Non appena comunicai a Barock della mia decisione, mi disse che per un lungo periodo sarebbe stato bene interrompere i rapporti con tutti i demoni che avevo conosciuto.
Incluso quindi anche Apodis.
La ragione di tale divieto era legata al fatto che avrebbero potuto esserci problemi con chi non avrebbe approvato le nuove scelte fatte da Barock e dalla corte riguardo il riavvicinamento col mondo degli uomini.
- Non dovresti essere qua. Rischi troppo, non voglio che ti accada qualcosa per colpa mia. – dissi mentre il panico mi stava assalendo.
- Ora non rischio più. Non sono più un demone, sai? – disse come se fosse stata una cosa normale.
Dovevo anche avere un’espressione molto buffa perché scoppiò a ridermi in faccia.
- Come sarebbe a dire? Non puoi non essere più un demone! – sbraitai.
- Parla a voce bassa. – mi sgridò lui. Mi tappai la bocca rendendomi conto che non era proprio una cosa da gridare quella.
- Merito almeno un spiegazione.
- Sì, forse la meriti. – lui mi trascinò verso una delle panchine, la liberò dalla neve e mi invitò a sedermicisi. - Ricordi quando incontrammo Iris? Ci fu un momento in cui mi prese in disparte.
- Sì lo ricordo, e allora? – detestavo il fatto che mi tenesse così sulle spine. Non poteva dirlo e basta, senza troppe cerimonie?
- Beh, parlammo di molte cose e mi spiegò anche come diventare mortale. Sempre nel caso in cui avessi scelto di cambiare vita. – Rimasi spiazzata. Come poteva dirmi una cosa del genere così dal nulla?
- Tutto qua? – ero stizzita. Una cosa del genere avrebbe dovuto dirmela molto prima, e comunque non così.
- Tutto qua. – sorrise. Ma non mi incantava. Perché avrebbe dovuto rinunciare a quella fantastica vita? Per me? No, non poteva essere.
- Perché lo hai fatto?
- Davvero non lo sai? – arrossii violentemente per il modo in cui mi guardò.
- I-io non… Insomma, io non ho accettato di diventare demone, perché tu avresti dovuto rinunciare? Per cosa poi?
- Tu lo sai perfettamente. Lo avrai anche ammesso con te stessa e anzi, - disse guardandomi e costringendomi a guardarlo negli occhi, -lo hai fatto. Ma hai paura, hai il terrore di dirlo, di gridarlo al mondo. Non per codardia, lo so. Non è nemmeno la paura di un rifiuto, è per ragioni un po’ più sensate, ma che non hanno motivo d’esistere. – perché il cuore mi doleva tanto. Stava infilando il dito nella piaga, e non era giusto. Perché mi voleva ferire, perché? Mi alzai in piedi pronta per tornarmene a casa. Lo amavo ed ero contenta che fosse lì, però non mi piaceva quello che mi stava dicendo.
- Cosa credi di ottenere dicendomi tutto questo? - Un conto era capire ciò che provavo e ammetterlo con me stessa, altro era dirglielo.
Lui inoltre non mi aveva detto che mi… insomma, non aveva detto che provava qualcosa per me.
Forse voleva solo prendersi gioco di me, se fosse stata quella la ragione non l’avrei mai perdonato.
- Andiamo Cerby. – dissi al piccolo cagnolino che però non sembrava volermi dare retta. – Oh beh, io mi avvio, se tu vuoi restare qual al gelo fai pure. – sapevo che così dicendo mi sarebbe venuto dietro, ma una volta arrivata all’ingresso notai che Cerby era ancora accanto ad Apodis.
- Sei una zuccona! – disse lui sospirando. Mi voltai di scatto verso di lui con le fiamme negli occhi. Nessuno poteva darmi della zuccona.
- Ma senti chi parla. – Non volevo farmi prendere in giro da lui. A grandi passi mi avvicinai a lui ma presi male un sasso e caddi in avanti. Per fortuna Apodis mi prese prima dell’impatto con la neve.
- Grazie, – borbottai rincuorata, ma presto ripresi il mio tono di sfida – questo non cambia niente però. Tu non devi darmi della zuccona perché anche te… Che c’è? Perché mi guardi così? – mi scrutava in modo strano, che gli prendeva? Aveva un sorrisetto che non gli avevo mai visto.
- Non credi sia il caso di dirmelo? – Sapevo a cosa alludeva, ma cosa si aspettava? Mi conosceva fin troppo bene per non sapere che cose del genere mi mandavano in crisi.
Il cuore sembrava che stesse per balzarmi fuori dal petto.
Lui era così vicino, così bello e così reale.
Avevo pensato tante volte a come sarebbe andata, se avessi avuto una nuova chance di parlargli e di dirgli quello che provavo e ora che quel desiderio sembrava essersi realizzato era come se la lingua fosse stata presa in una morsa che non voleva più lasciarla.
Dissi debolmente “Non ci riesco. Scusami”. Non ce la facevo, e copn grande imbarazzo me ne andai sul serio raccogliendo in braccio il povero Cerby che non ne voleva sapere.


Ripensai a tutto quello che era successo negli ultimi mesi.
Ero diventata più forte, ma non mi riusciva di dire all’uomo che amavo quanto ardentemente il mio cuore bruciasse per lui.
Avevo paura che una volta rivelato il mio amore lo avrei perso, così come avevo perso tutte le persone che amavo.
Avevo paura di aprirmi e di rimanere nuovamente sola.
Lui lo sapeva, eppure… Eppure voleva che io lo dicessi, per quanta paura avessi dovevo dirlo secondo lui.
Lui mi spingeva a dirgli quello che provavo, però lui non si esponeva. Perché?
All’improvviso tutto mi fu chiaro, misi Cerby a terra e con coraggio mi voltai per fargli una domanda.
- Se ti dicessi che ho visto un corvo e un gatto nero ballare il tip tap, tu che mi risponderesti? – lui rise e mi si avvicinò, fino a che non mi fu di fronte.
- Ti direi che ho visto un ippopotamo e un coccodrillo prendere insieme il te con vestiti ottocenteschi. – rise e mi baciò. In quel momento prese a nevicare.
- È il modo migliore per iniziare. – disse riprendendo il bacio.
Non riuscivo più a staccarmi da lui, volevo che il tempo si fermasse, che nulla potesse cambiare.
- Sai, ho cominciato a lavorare in un ufficio vicino a dove lavori te, così almeno ci potremo vedere nelle pause. – disse lui facendomi strada verso casa. Cerby ci seguiva abbaiando contento.
Sembrava quasi che non aspettasse altro, del resto si sa che gli animali capiscono certe cose molto prima di noi.
- Un momento… questo significa che sei diventato umano da un po’.
- Esatto.
- E cosa aspettavi a dirmelo?
- Il momento giusto, mi pare ovvio. – e ancora comparve quel sorriso che mi aveva conquistata fin dall’inizio.
- Ma come hai fatto a integrarti e a trovare lavoro?
- Barock… - non c’era bisogno di aggiungere altro. Apodis mi prese per mano e mi costrinse a guardarlo.
- Vuoi cominciare una nuova vita con me?
- Lo voglio. – dissi prima di baciarlo.
La nostra vita insieme cominciò quel giorno, fatta di alti e bassi, ma sempre assieme.
La vita è un percorso lungo e non privo di ostacoli. Bisogna viverla la vita e non subirla. A volte basta anche solo lasciarsi trascinare, e poi trovare il modo per risalire.
Non esiste alcuna ricetta segreta per vivere bene, l’importante è trovare qualcuno con cui condividerla, nel bene e nel male.




 

Fine

 
L'angolo di Shera ^_^

E con questo si conclude anche il mio primo lavoro originale.
Son passati sei anni da quando nella mia testa i personaggi di Ael, Ayla e Apodis hanno cominciato a girarmi nella testa, vorticosi e sempre più coinvolgenti. Di questa storia ne ho preparate di versioni, credo per un totale di sei, non sapendo mai quale scegliere. Eppure eccoci qua, con questa versione finale, riveduta e corretta. Di certo meritebbe un'ulteriore revisione, e mi rendo conto che come storia possa risultare non solo ricca dei soliti cliché, ma anche piuttosto banale. Eppure io ne vado fiera. Ne vado fiera e l'amo, perché è stato il mio vero primo inizio.
Prima di allora mi ero buttata unicamente nelle Fanfiction per eccellenza, e solo poi ho provato a sfruttare personaggi del tutto originali. I primi tentativi, per quanto io possa essermici affezionata, dimostravano tutto il mio lato più infantile e inesperto. non che ora sia esperta, ma di certo ho maturato un po' d'espereienza rispetto a quei primi goffi tentativi.

Ho fatto un bel repulisti fra i miei lavori, e credo che finirò col rimuoverne ancora degli altri, fra cui "In bilico fra i mondi", ma non perché non ami quella storia. Per me è stata molto importante, e lo è tutt'ora, voglio semplicemente darle una giusta revisione per rendere ancora più credibili i miei personaggi. Ne hanno bisogno loro e ne ho bisogno anche io!

Oggi, se il tempo me lo permetterà, continuerò con la stesura dell'ottavo capitolo di Lux Averni. La fine non è poi così lontana, ma di certo, come aveva già annunciato il mio insostituibile amore, saranno almeno dodici capitoli :). Questa storia mi sta prendendo e sono felice di vedere come le cose si stiano evolvendo.
Anche solo per le splendide persone che ultimamente ho avuto modo di conoscere e con le quali ho avuto modo di confrontarmi.
Grazie a voi che avete seguito la storia fino a questo punto, commentando o anche solo leggendo il mio lavoro.
So di avere ancora molto da imparare, ma via via, mi sento sempre più sicura di me.

Grazie di cuore e a presto ♥

Shera

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2714115