Vivere

di Diamante93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 e 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


“Syrya, la direttrice ti vuole nel suo ufficio immediatamente!”, la solita vecchia suora venne a chiamarmi in camerata. Lascia lì i compiti e la segui. Ero sicura di non aver fatto nulla di sbagliato questa volta, perché mai voleva vedermi? Entrai titubante. “Syrya, siediti.” La direttrice stava bevendo del the, fumante e non sperai neanche che me ne offrisse un po’. “Mi..ha fatto chiamare?” “Si esattamente. Ormai ai 18 anni ed essendo maggiorenne nulla e nessuno può tenerti ancora in questo collegio contro la tua volontà. Non avendo i genitori sei libera di fare ciò che vuoi.” Sgranai gli occhi, allora quella tortura era finita davvero. Mi alzai di scatto. “Quando posso preparare le valige?”, ero decisamente euforica. “Quando vuoi, anche subito. Ah, avrai un tutore per un periodo, ti seguirà per un periodo poi potrai anche mandarlo via.”. Annui e corsi fuori per paura che mi dicesse, che fosse tutto uno scherzo e che in realtà dovevo restare lì. Andai in camerata , raccolsi la poca roba che avevo e uscì da quella “prigione”. Diciotto anni senza un amica, senza qualcuno con cui parlare, un vero e proprio inferno. Chissà se sarei stata capace di vivere da sola… I miei pensieri furono interrotti da un uomo che mi si avvicinò. “Signorina Syrya Kehana Leonild Lee?”, lo guardai per un momento, forse era il mio tutore. “Si…sono io.. lei invece?” “Piacere Hector Portman, sono il suo, diciamo… accompagnatore. Ho un contratto di minimo sei mesi, dopo vedremo il da farsi.”. Mi prese le valige guidandomi fino ad un piccolo appartamento al settimo piano di un palazzo in una via di Londra. Appena entrai mi diede l’idea di un posto abbastanza lugubre, Hector aprì una minuscola finestrella che dava sulla strada. La luce che entrò andò a proiettarsi su un divanetto verde smeraldo, che poi diventava un letto. Un muretto separava la sala dalla cucina, anch’essa piccola e una porta nascondeva un piccolo bagnetto. Come abitazione era davvero molto piccina, ma immaginavo, fosse una sistemazione temporanea. C’era di buono che era assolutamente tutta pulita. “Questa sono le chiavi di casa.. io abito nell’appartamento accanto. Se hai bisogno bussa la muro o suona al campanello. Non uscire e chiuditi dentro, mi raccomando.” Mi sorrise amichevolmente uscendo e lasciandomi sola. Dovevo fare mente locale su ciò che avrei dovuto fare. Guardai l’orologio che segnava le 18.00, avevo il tempo di sciacquarmi e riorganizzarmi le idee. Aprì l’acqua della vasca e mi ci immersi. Non so dire bene quando rimasi dentro, forse due ore. Il collegio c’erano le docce e dovevi aver finito di lavarti entro 20 minuti altrimenti erano guai. Quando mi misi davanti allo specchio per asciugarmi i capelli, rimasi a riflettere sulla mia immagine, cosa che mai ebbi il tempo di fare. I cambiamenti fatti da quando ero piccola non erano stati molti. Avevo sempre gli stessi capelli castani, sempre portati corti perché altrimenti uscivano dalla cuffia e non doveva succedere, gli occhi sfumati dal verde scuro al castano molto chiaro, la mia altezza era soddisfacente, 1.70. Assomigliavo ad una qualsiasi ragazza normale, credo. Lo avrei scoperto con il tempo. Indossai l’unico pigiama che avevo, tirai giù il mio letto e mi misi sotto le coperte. Sonno non ne avevo. iniziai a pensare. Non avevo nessuno in questa città e penso neanche in altre, altrimenti sarebbero venuti a prendermi prima. Da quel che ne sapevo i miei genitori erano morti, ed ero figlia unica, non ero del tutto convinta però. Nessuno mi disse mai i miei genitori di cosa morirono, avevo tutte le ragioni per credere che esistessero ancora e si fossero scordati di me. La mia domanda però era sempre una. Sempre la stessa. Perché mi avevano abbandonato in quel postaccio? Sapevano cosa pativo là dentro? E… perché si sono dimenticati di me? Non piansi. Le lacrime le avevo finite da un pezzo, come l’odio che provavo verso di loro. A dir la verità avevo smesso di sentire ogni forma di sentimento, a volte credevo che mi fosse stato messo un cuore artificiale incapace di provare alcun tipo di sentimento. Ma forse, stavo solo diventando apatica verso il mondo. Bella vita che mi attendeva.

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Capitolo 2
*** 2 e 3 ***


Un battere sulla porta insistente mi fece svegliare con la luna abbastanza storta. La sveglia proiettava sul muro le ore 8.00.
Non avevo da lamentarmi di solito venivo svegliata alle 6.00. Aprì la porta sbadigliando.
“Salve Syrya, dormivi?”
“Mhh.. lei che ne pensa?”, lo feci entrare e preparai il caffè, che però bevvi solo io perché Hector aveva già fatto colazione.
“Vestiti, ti ho trovato un lavoro e..” guardò i miei abiti sulla sedia “..sceglieremo vestiti più adatti.”
Annuì e andai in bagno a cambiarmi. Dieci minuti dopo eravamo fuori casa nel centro di Londra.
Mi guardavo intorno abbastanza meravigliata, in fondo io in diciotto anni non avevo quasi mai messo il naso fuori dal collegio e, quelle poche volte che lo facevo non venivo di certo in centro.
“Ehm…signor Portman..io ho solo…tre sterline… non credo bastino”.
Portman scoppiò in una fragorosa risata.
“Non basteranno di certo, ma di questo non devi preoccuparti hai ancora gli averi di famiglia.”
Non ci avevo mai pensato, che stupida.. tutto quello che era appartenuto alla mia famiglia ora era tutto mio.. buono a sapersi!
Prima di entrare in una via piena di negozi Hector mi squadrò da capo a piedi socchiudendo appena gli occhi.
“Qualcosa.. non va?” mi guardai per vedere che cosa avessi di strano e a mio parere, assolutamente nulla.
“Stavo solo pensando a cosa ti manca e quale tipo di abbigliamento potrebbe andarti bene….”
Entrammo in una specie di centro commerciale, dove vendevano di tutto e di più.
Avrei voluto compare un sacco di roba ma Hectori camminava spedito, quasi avesse paura che scappasse ciò che cercava.
Di scatto si fermo e io inevitabilmente gli sbattei addosso.
“Ecco… vieni”.
Una commessa mi accolse dandomi un calice con dello champagne da bere, mentre visitavo il negozio.
Capì che doveva essere un posto importante e parecchio costoso. Hector mi mandò nel reparto femminile.
“Scegli pure quello che più gradisci io sarò di là.”
Incominciai a guardarmi intorno. Afferrai un bel po’ di vestiti e con la mia montagnetta di cose mi diressi a provarle in camerino.
Il primo completo che mi provai fu un paio di jeans, una maglietta lunga verde con una spalla scoperta, la felpa aperta sopra e un cappellino con i lustrini, le scarpe erano alte color fucsia con il tacco. Sorrisi guardandomi allo specchio, stavo benissimo. Aggiudicato.
Passai, al secondo, al terzo…. Alla fine di tutto ero andata da Hector mostrandogli magliette, gonne, pantaloni e completi. Tutti di suo gradimento. Mi fece rimanere vestita con i jeans e la maglietta, dicendo che mi sarebbe servito essere vestita così.
“Era essenziale che tu cambiassi vestiti, sai per il colloquio di lavoro…che si terrà proprio lì”.
Davanti a me c’era un bar. Io barista? Ma non ero capace.
Un uomo appoggiato alla porta, finì di fumare il suo sigaro poi ci guardò.
“Desiderate?”
“Lei è Syrya Lee” disse indicandomi “siamo qua, per il posto di lavoro di cui avevamo parlato.”
L’uomo si ricordò e sorridendo ci invitò ad entrare per illustrarci quale sarebbe stato il mio lavoro
Ci sedemmo ascoltando.
“Bene. Allora iniziamo con il dire che io mi chiamo Mark Wolfgan.”.
Quel nome mi ricordò qualcosa, ma ancora non ricordavo cosa. Che strano.
“Bhe, come puoi vedere siamo in un bar, quindi il lavoro che dovrai fare è scontato. Hector mi ha detto che non hai mai fatto un lavoro di questo tipo,vero?”
Annui vigorosamente.
“Tranquilla non è un problema, ci saranno altri due ragazzi qua che ti aiuteranno e ti spiegheranno anche come stare alla cassa.”
Io non ero abituata a rapporti con la gente.. come avrei fatto?
Guardai Wolfgan per dire qualcosa, ma appena incrociai il suo sguardo sentì la pelle bruciare e tutto intorno a me divenne nero.

Fu solo per un momento, poi tutto tornò come prima. Pensai ad un calo di zuccheri dato che non avevo mangiato nulla ed ero abituata a farlo invece.
“Pensa di potercela fare?”
“Bhe.. si. In fondo apprendo le cose in fretta. Non ci sarà alcun problema.”, sorrisi appena.
Mi girava la testa e non riuscivo più a respirare. Volevo andarmene da quell’ufficio, immediatamente.
Corsi fuori facendo cadere la sedia a terra con un tonfo, mi portai le mani alla gola sentendo che l’aria non passava più, era come se qualcosa lo impedisse.
Hector mi raggiunse quasi subito.
“Ma che succede?”, lo guardai ed inizia a sentirmi meglio.
“Io.. niente, mi era mancata l’aria per qualche secondo.”, sorrisi cercando di essere convincente.
“Sarà stato per via del caldo, andiamo.”
Mentre ci dirigevamo a casa, passano in una via un po’ buia ma che portava alla nostra strada molto più in fretta.
Nascosto in un angolino vidi un micio color nero con gli occhi verdi. Era davvero bello, ma quando mi avvicinai per accarezzarlo scappò via. I soliti gatti randagi…
Quando arrivammo a casa, Hectori uscì nuovamente e io non sapevo cosa fare.
Mi voltai e vidi che sul divano c’era esattamente lo stesso gatto visto per strada. Come aveva fatto ad arrivare lì?
Feci per avvicinarmi e prenderlo, ma questo sparì. Guardai il divano. Iniziavo ad avere le allucinazioni?
Senti un miagolio alle mie spalle, voltandomi vidi di nuovo il gatto in un angolino. Ma che accidenti c’era questo gatto o no?
Cercai di riavvicinarmi per prenderlo e lui non oppose storie, si fece accarezzare per un po’ ma poi sparì nuovamente.
C’era qualcosa che non mi quadrava.

Il preside camminava per i corridoi sorridente e tutti i ragazzi appena lo vedevano si mettevano sull’attenti, ma di certo a lui non importava più di tanto.
Minerva lo raggiunse correndo.
“Albus! Finalmente ti trovo!”, aveva quasi il fiatone.
“Calma, calma, che devi dirmi di così urgente da farti perdere il fiato?”
“Ho trovato la ragazza.”
Silente divenne serio e fece cenno alla donna si seguirlo nel suo ufficio.
“Ebbene?”.
Minerva si sedette iniziando a parlare.
“La ho osservata e senza dubbio è lei la ragazza che cerchiamo…ma lei sai qualcosa di tutto questo?”
“Non credo, e penso che neanche si aspetti tutto questo, dobbiamo essere cauti e non provocarle nessun tipo di shock.”
“Si.. ma allora come saprà?”
“Ora di settembre c’è tempo, un modo si troverà tranquilla.”
Silente appariva pensieroso mentre guardava l’immagine di Kehana in una sfera di cristallo.

Alle 7.00 puntuale la sveglia di Kehana suonò. Era giunto il momento di andare al lavoro.
Si vestì come al colloquio ed uscì. Quando arrivò erano le 8.15, era arrivata con circa 15 minuti di anticipo, meglio così.
Entrò nel bar ma non vide nessuno in un primo momento, poi una ragazza sbucò da sotto il bancone.
“Ciao! Tu sei Kehana vero?”, ma com’era che tutta la gente che incontrava sapeva già chi era lei?
“Piacere io sono Emma. Wolfgan mi ha detto che dovrò insegnarti un po’ il mestiere giusto?”
“Si io non sono pratica.” Ammisi imbarazzata.
La ragazza mi sorrise.
“Non preoccuparti, è tutto molto semplice.”
Mi fece mettere il grembiule ed iniziò ad illustrarmi i vari drink, stuzzichini e altro.
Quello era il pezzo più semplice, anche perché avevo una tabella con scritto i significati dei nomi.
Dopo un oretta e i primi danni iniziali, avevo anche capito come funzionava la cassa, mi divertiva tantissimo!
La parte più difficile arrivò quando feci le prove per portare il vassoio con i bicchieri. Puntualmente lì rovesciavo.
Alla decima volta riuscì a tenere in equilibrio tutti i bicchieri facendo cadere solo un po’ del loro contenuto.
“Sei stata brava!” disse Emma.
“Bhe.. come inizio non c’è male, vedremo quando ci sarà gente.”
Essendo quella una prova, salutai Emma ed uscì. Ero davvero brava non c’era che dire, la modestia non fa parte di me.
Quando uscì dal bar la mia attenzione fu catturata da una collanina luccicante a terra.

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