Stay Together For The Kids

di DomyDeLonge
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dammit ***
Capitolo 2: *** Please take me home ***
Capitolo 3: *** Not Now ***



Capitolo 1
*** Dammit ***


Ero seduta sul dondolo nel portico della mia casa sulla spiaggia. Tante volte ero scappata qui per rifugiarmi da qualcosa, solo che , a differenza delle altre volte, non sapevo da cosa stessi scappando oggi. Era stata una giornata tutto sommato normale, ero stata a scuola e tutto era filato liscio, avevo finito i compiti in pace e avevo fatto un giro su Facebook ; però ero inquieta…forse perché continuavo a pensare alla lite con mio padre, il mio furbo- incosciente-strambo padre, al quale facevo piu da sorella che da figlia. Aveva deciso di partire all’improvviso una settimana prima, lasciandomi sola con Jonas, mio fratello minore, dicendo che sarebbe stato via un mese. La cosa mi scocciava e non poco, non mi piaceva saperlo così lontano e irraggiungibile. Da quando mia madre era andata via con un altro uomo, era toccato a me prendermi cura di mio padre e di mio fratello.

“ Ehi Eli, che ci fai qui fuori? Fa freddo!”, a proposito! Jonas uscì sul portico, avvolto in una felpa azzurra, con i capelli scompigliati e due tazze di cioccolata fumante. Mi sistemò una coperta sulle spalle e si sedette di fianco a me.
“ Niente, pensavo!”, risposi continuando a guardare le onde che si infrangevano sulla battigia.
“ Pensavi a papà?”, mi chiese lui. Per avere 13 anni, Jonas era un ragazzino sveglio, ed era il ritratto di papà alla sua età. Sorrisetto sghembo e irritante compreso!
“ Si pensavo a lui, e a quanto mi manchi essere una famiglia… anche senza la mamma!”, dissi, facendo sprofondare di poco la faccia tra le ginocchia, quasi per non mostrare a Jonas la mia vera espressione. Da quando mia madre aveva confessato di non amare più nostro padre e di amare, invece, un altro uomo, nonché Manager della band di nostro padre, non l’avevamo più vista. L’avevamo sentita per telefono il natale prima, ma aveva saltato la pasqua e il natale prossimo non prometteva nulla di buono.
“ Eli..”, provò a parlare. “No Jo!, lascia perdere… ormai è fatta! La situazione è questa! Amo nostro padre e anche un po’ mamma anche se la odio per averci lasciata”.

Erano le 11 di sera e la spiaggia deserta di San Diego era il posto migliore dove riflettere in silenzio. Jonas si era avvicinato a me, e mi cingeva le spalle. Anche se era 5 anni più piccolo di me, era molto alto, aveva preso da papà, mentre io avevo preso da mamma, bassina, castana e occhi azzurri.. mentre Jonas sarebbe diventato davvero bello, capelli castano dorati e occhi nocciola, profondissimi. L’assomigliare a mia mamma mi aveva sempre reso orgogliosa, lei era molto bella ed era ammirata da tutte…ora invece sentivo il peso di quella somiglianza, premermi sulle spalle. Temevo di ricordarla troppo a papà che già soffriva troppo e così certo non lo avrei aiutato, così avevo deciso, qualche mese prima, di tingermi i capelli di un biondo miele. L’esperimento faceva la sua bella figura, occhi azzurri e capelli biondi avevano sortito il loro effetto e papà aveva smesso di guardarmi con quegli occhi da cucciolo smarrito, lasciando spazio ad un sorrisino. Mi aveva detto che così bionda somigliavo a zia Skye che, prima di essere la moglie di zio Mark , era stata la sua migliore amica per tutta la vita. Si era fatto ormai tardissimo e notai che Jonas si era addormentato sulla mia spalla, così lo sollevai e delicatamente e lo accompagnai dentro per portarlo a letto. Lo lasciai davanti la porta della sua stanza e ci si infilò dentro accasciandosi poi, sul letto. Io mi girai ed entrai nella mia stanza. Mi spogliai, mi misi il pigiama e mi infilai sotto le coperte, fiduciosa che il sonno mi avrebbe accolta di li a poco. Ma così non fu. Continuavo a pensare a mamma e a quello che mi aveva scritto nella lettera prima di lasciare la casa.

“Ciao tesoro, spero che tu possa capirmi, spero che ti prenderai cura di tuo fratello e di tuo padre.
 Sei grande ormai e non hai più bisogno della tua mamma! Ti abbraccio e ti bacio!”


Avevo bisogno di lei eccome, era mia madre ed una ragazza di 18 anni aveva ancora bisogno di una madre con cui parlare e confidarsi. Non ero mai stata una ragazzina con il bisogno di fare grandi confidenze, su ragazzi , amiche o stupide questioni di bali scolastici, ma una mamma è sempre un punto di riferimento. Forse lei pensava davvero che ormai fossi matura abbastanza da potermi lasciare sola con i miei uomini. Certo, I MIEI UOMINI. Mio padre e Jonas erano le persone più importanti della mia vita, quelle che contavano di più. Avevano sofferto tantissimo, Jonas era piccolo ancora per capire il gesto di mamma, mentre papà, beh papà, è stato forte per noi! Sapevo quanto moriva dentro, e quando era a casa, lo avevo spesso sorpreso con la chitarra, che suonava melodie sconosciute e piangeva silenziosamente. Mi si stringeva il cuore ogni volta che ci pensavo. Al di fuori era un uomo spavaldo, sicuro di se, il ghigno strafottente e sghembo che lo aveva reso adorabile e famoso in tutto il mondo, era ormai diventato una maschera. Le sue ultime canzoni erano una lagna d’amore continua, persino i suoi compagni di band non lo riconoscevano più. Da una parte, cioè per una delle due band a cui apparteneva, era quasi una cosa buona: il suo dissidio interiore, lo portava a essere un vero poeta, a racchiudere nelle sue canzoni emozioni intense che toccavano l’anima. Già l’anima. Io ci vedevo solo amore sofferto, e amore per noi e per la sua vita passata. D’altra parte, per la prima band, quella in cui era cresciuto, vederlo così sofferente era una questione di puro dolore : lo zio Mark, bassista di questa band, era sempre preoccupato e sebbene non gli andasse a genio che papà avesse fondato una nuova band nel periodo più buio dei Blink, lo seguiva come supporto morale. Ora, infatti, erano in tour con gli Angels and Airwaves , mentre i progetti musicali dei Blink erano sospesi in attesa che sia mio padre, sia zio Travis, portassero a termine i loro impegni per quel periodo. A zio Mark piaceva seguirlo, erano come due fratelli, papà era importante per lui come sua moglie e Jack.
Sono Ava Elisabeth DeLonge e sono proprio la figlia di Thomas DeLonge e dovrei essere l’adolescente piu felice e spensierata sulla faccia della terra. Appunto, dovrei!

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Capitolo 2
*** Please take me home ***


L’ultimo anno di scuola non era cosa facile. Non vedevo l’ora di finire per poter dedicarmi seriamente a me stessa. Avevo mille passioni: la chitarra, passione ereditata dal mio famoso padre ; la cucina, eredità di mia madre, la quale da bambina mi trascinava con lei per ore a cucinare dolci, torte salate ecc.. ; la pittura, eredità di mia nonna e infine, ma non ultima, la medicina scoperta con tutti i telefilm e i documentari che avevo visto. Non sapevo a quale delle passioni mi sarei dedicata dopo il diploma, non avevo ancora scelto, ma di sicuro non avrei scelto la cucina: anche se mi piaceva non avevo talento e facevo bruciare tutto!

Mi svegliai la mattina dopo con ancora meno voglia di andare a scuola, ma purtroppo il mio dovere di esempio nei confronti di Jonas ebbe la meglio. Scesi in cucina a preparare un caffè per me e una tazza di cereali per il mio fratellino, che di li a poco fece capolino nella cucina, sedendosi di fianco a me.

“Buongiorno Eli!”, disse, ancora assonnato.

“Buongiorno Jo!”, risposi, regalandogli un sorrisino appena accennato. Lui in risposta mi sorrise a sua volta ed accese la tv in cerca di intrattenimento. Io invece, finì il caffè e mi diressi di corsa su per le scale infilandomi in bagno. Mi feci una doccia veloce e dopo, cerai di domare i miei lunghi capelli (finti) biondi. Quando ci riuscì, notai che era già abbastanza tardi e così mi vestì senza badare troppo a cosa stessi indossando. Il risultato fu accettabile: jeans stretti, camicietta nera e le mie fidate all star nere.  Non mi guardai nemmeno allo specchio perché rischiavo di prendermi un bello spavento, consapevole come ero delle mie infinite occhiaie, data la nottataccia passata a pensare a mia madre!

“Jo, sbrigati o faremo tardi a scuola!”, urlai a mio fratello, che uscì subito dalla sua stanza e con fare goffo scese le scale, rischiando di inciampare nei lacci delle sue etnies. 

“ Sei sempre così rumorosa di prima mattina, sorellina?”, mi apostrofò con il ghigno proprio di mio padre.

“No Jo, solo quando non ho dormito e la giornata inizia già male!”, risposi piccata.

Lasciai Jonas all’ingresso della sua scuola e mi diressi frettolosamente al parcheggio della mia, sperando di trovarci posto. Fortunatamente, fu cosi. Almeno qualcosa era andata per il verso giusto. Raccolsi la mia borsa dal sedile posteriore e chiusi l’auto, mi voltai e mi incamminai verso l’entrata, senza intravedere nessun volto familiare.

“ Ehi Ava!”, mi voltai e vidi Jack Hoppus correre verso di me.

“Ehi Jack! Ciao! Ti prego sai che odio essere chiamata Ava… e..”, mi interruppe posandomi un dito sulle labbra e io arrossì. Dopo chinai il capo.

“ Si hai ragione Eli, scusami!”, e chinò il capo anche lui in segno di pentimento.

Jack era il figlio di zio Mark, non eravamo davvero parenti, ma Mark e Skye erano state rispettivamente la terza e la quarta persona a cui avevo rivolto i miei occhioni azzurri appena venuta al mondo, erano la mia seconda famiglia, la cosa più vicina a degli zii. Jack aveva qualche mese in più di me, quindi eravamo allo stesso anno. Era sempre stato un ragazzino strano, proprio come Mark alla sua età ( come diceva mio padre), troppo alto rispetto a me, aveva preso i capelli biondissimi da Skye e gli occhioni da cucciolo, azzurri ,da Mark. La sua espressione negli anni non era cambiata di una virgola, non riusciva a mantenere un aria triste o sopraffatta per più di trenta secondi. Poteva definirsi il mio migliore amico, colui che aveva asciugato le mie lacrime dalla culla, alle ginocchia sbucciate mentre cercavamo di imitare papà e Mark sullo skate, alle volte che ero caduta dall’albero di mele di sua madre, a quando mia madre se ne era andata. Lui mi era sempre stato vicino, e per questo lo consideravo una specie di cugino molto vicino.

“ Ehi ragazzi aspettatemi!”, sentimmo urlare alle nostre spalle. Era Landon Barker questa volta, il figlio di Travis, batterista silenzioso dei Blink. Era più piccolo di noi, solo al secondo anno, ma era solito passare la pausa pranzo con noi o le ore libere, visto che eravamo tutti molto uniti.

Finito con i saluti entrammo in classe, ognuno aveva una materia diversa alla prima ora. Le mie occhiaie dovevano essere davvero molto evidenti perché Karen, mia unica amica, le notò appena varcai la soglia della classe, così mi fece segno di sedermi accanto a lei in ultima fila. Il posto era quello vicino alla finestra, posizione comoda per chi, come me, quel giorno non aveva voglia di ascoltare nulla e desiderava solo aria fresca e libertà. Pensai, che, San Diego era perfetta in autunno, la temperatura non era ne troppo fredda ne troppo calda, i colori si facevano più intensi, gli alberi si coloravano di rosso e il mare aveva un profumo tutto suo. Erano bellissime giornate, troppo belle per sprecarle tra i banchi di scuola ,peccato però che questa frase me la ripetevo ogni giorno da un anno e mezzo. Ero sempre stata bravissima a scuola, ottimi voti e comportamento impeccabile, ma da allora avevo perso lo “ smalto” , come le insegnanti ripetevano in continuazione, e il tutto era un po’ calato.

Ad ora di pranzo non avevo voglia di mangiare, quindi sgattaiolai fuori al cortile, cercando un posticino appartato sotto un albero per godere di un po’ di ombra e finire in santa pace il mio libro. Stavo leggendo beatamente quando vidi un ombra avvicinarmisi: era una stronza della mia classe che odiavo che mi guardava come se fossi un aliena! Papà sarebbe stato fiero di me per questa osservazione!!

“ Ciao Ava”, disse la stronza, che per inciso, si chiamava Claire.

“Cosa vuoi Claire?”, risposi acida, non cercando di essere cortese.

“Voglio conoscere tuo padre, è il mio idolo e poi ora che è libero…beh…sai….potrei..”, disse con un ghigno odioso, lo stesso che mi faceva pensare di riscriverle totalmente i lineamenti del viso da anni.

“ Non ti azzardare a continuare, stronza! Mio padre sarà anche libero, ma tu non pensare nemmeno lontanamente di poterti avvicinare a lui. Non ha bisogno dell’ennesima troia che gli gira intorno e poi potresti essere sua figlia e lui non andrebbe mai con una ragazzina!”, dissi tutto d’un fiato. Come osava anche solo pensare quelle cose su mio padre? Volevo sotterrarla! Sapevo della sua reputazione giovanile, la conoscevano un po’ tutti a San Diego, era li che aveva passato la sua gioventù. Ed erano le ragazze di questa città che si era fatto più e più volte, finchè conobbe mia madre. Era mio padre, ma ero stufa di sentirmi parlare di lui come se fosse un dio, per me era solo l’uomo che vedevo soffrire senza ritegno.

“ Questo lo credi tu biondina, la mia amica Jess non mi sembrava insoddisfatta del loro incontro dopo il concerto dei Blink al Soma, l’estate scorsa dopo il tour europeo! Ha detto che tuo padre è stato così impetuoso che non poteva quasi camminare il giorno dopo! Hahahaha!”.

Quella risata era stata la benzina finale su un fuoco già acceso dalle sue parole. Ero talmente furiosa che non vedevo niente altro che la sua faccia divertita nel prendersi gioco di me, come aveva potuto dirmi quelle cose.

“ Non osare mai piu!”, urlai con tutto il fiato che avevo in gola e mi lanciai verso di lei. In un attimo ero passata dallo stare seduta in terra allo spingerla a terra tenendola per i capelli. La odiavo, per quello che aveva insinuato, per il gusto che ci aveva messo nel dirlo. Stringevo con una mano i suoi capelli e con l’altra le assestavo pugni in piena faccia. La colpivo e la colpivo senza pietà, stavo sfogando su di lei tutta la rabbia che avevo dentro. Lei provava a difendersi, ma non le lasciavo spazio. Quando riaprì gli occhi notai l’effetto che le mie urla, probabilmente disumane, avevano avuto sul resto della scuola : una grande folla di spettatori, si era unita intorno a noi per osservare e incitare al combattimento, ovviamente i ragazzi erano tutti in prima fila. Non riuscivo a riconoscere le facce che mi guardavano mentre davo una lezione a quella stronza, non riuscivo a fermarmi e non riuscivo nemmeno a sentire ciò che dicevano quelle voi urlanti.

“Basta! Ora basta Signorine!”, la voce della preside fu l’unica a farsi strada nel mio cervello annebbiato. Ma io continuavo, non riuscivo a fermarmi, prendevo pugni anche io, mi sentivo tirare i capelli dalla stronza, ma non riuscivo a mollare la presa. Era riuscita, infine, a ribaltare le posizioni e a porsi a cavalcioni su di me.

“ Qualcuno le fermi!”, urlò la preside e due giganteschi giocatori di football vennero a separarci, alzando la stronza dal mio bacino e me da terra. In quel momento ripresi coscienza del mondo che mi circondava e vidi Jack fissarmi dal fondo della fila. I suoi occhioni azzurri, mi chiedevano cosa mi fosse presa, non ero la ragazza che era cresciuta con lui, poi si voltò e andò via. Landon, invece, mi si fiondò di fianco porgendomi il suo aiuto. Mi poggiai su di lui finchè non sentì la voce della preside richiamare la mia attenzione.

“ Signorina DeLonge e Signorina Jefferson, subito nel mio ufficio!”.

Chinammo il capo e annuimmo, non potevamo fare altro. Non ci voleva anche questa!  

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Capitolo 3
*** Not Now ***


 

3

“ Il vostro comportamento è davvero inappropriato, non me lo sarei mai aspettato. Soprattutto da lei, signorina DeLonge, ha sempre avuto un comportamento impeccabile ed ora la sorprendo in queste circostanze sconvenienti!”, ruggì la preside. Ehi un momento, non avevo mica ammazzato nessuno! Avevo solo dato una lezione ad una psicopatica stronza che faceva allusioni un po’ troppo spinte su mio padre.

“ Preside, mi scuso. Ma ho reagito solo d’istinto, dovevo reagire!”, dissi a bassa voce, guardando le milioni di cianfrusaglie che occupavano la scrivania davanti a me.

“ Ava, ma per favore! Ti stavo solo chiedendo gli appunti di storia e tu mi hai aggredita!”, disse Claire, portandosi le mani sul visto e con la voce rotta dal pianto.

Decisi di non rispondere, avrei parlato con la preside da sola, e le avrei spiegato tutto. Mi avrebbe dato di sicuro una chance data la mia impeccabile carriera scolastica.

“Ora basta signorina! Non mi interessa conoscere i motivi della vostra lite. Siete sospese per tre giorni e fate in modo che questi episodi non si ripetano più o dovrò espellervi! Andate a casa per oggi” , continuò la preside, visibilmente alterata e rossa in viso. Sembrava potesse scoppiare da un momento all’altro. Sarebbe stata una scena divertente se non fosse stata totalmente surreale.

Ci alzammo e mi girai andando verso la porta, mentre Claire era già fuori mi sentì richiamare.

“ Non così in fretta DeLonge, io e lei abbiamo ancora quattro chiacchiere da fare!”, ok quella donna mi leggeva nel pensiero. Mi risedetti al mio posto e la guardai negli occhi. Il suo sguardo passò dal truce al comprensivo e materno in meno di un secondo.

“ Ava, ti prego, ora spiegami cosa è successo davvero. Conosco la reputazione di attacca brighe di Claire e conosco la tua di reputazione, non lo avresti fato se non fossi stata provocata!”, disse sedendosi al mio fianco, sulla sedia che era stata occupata prima da Claire.

“Si, mi ha provocata. Ha iniziato a dire un sacco di stronzate su mio padre e io…non ce l’ho fatta!”, risposi mantenendo la testa bassa! 

Finimmo per parlarne ancora, volle sapere nei minimi dettagli tutto ciò che lei mi aveva detto finchè io non scoppiai in lacrime e mi congedò. Ero a pezzi, ma la cosa buona fu che potevo tornarmene a casa. Uscendo nel corridoio vidi Jack appoggiato al suo armadietto. Mi guardò, e nei suoi occhi vidi qualcosa che non avevo mai visto :  ad un tratto erano diventati scuri e celavano stupore, imbarazzo e rabbia per ciò che mi aveva visto fare nemmeno un ora prima. Potevo correre verso di lui, ma c’era qualcosa che mi teneva attaccata al mio armadietto mentre continuavo a guardarlo. Finchè non sentì un peso troppo invadente e ripresi contatto con la realtà, era Landon che mi parlava a dieci centimetri dal naso ma io non riuscivo a sentire nulla perché guardavo ancora Jack. Alla fine, quando ripresi il contatto con la realtà, mi girai a guardarlo e la distanza tra noi diventò quasi nulla. Immersi i miei occhi nei suoi, era come tuffarsi nell’oceano. La vicinanza lo fece smettere di parlare, scavò nei miei occhi e deglutì, io realizzato ciò che stava per succedere mi scostai leggermente per permettermi di aggirarlo e invertire le posizioni, così che potessi allontanarmi. Sapevo della cotta di Landon nei miei confronti, non lo aveva mai nascosto, e ammetto che non mi dispiaceva nemmeno tanto, anche se so che ciò infastidiva un po mio padre. A lui non andava a genio il fatto che potesse piacermi qualcuno la cui vita era uguale alla mia e con cui passavo la maggior parte del mio tempo per forza, dato che passavamo tutta l’estate su un bus per seguire in tour o i Blink o gli AvA. Era alto quanto me per questo non sembrava che fosse tre anni più piccolo di me. Non che non mi piacesse Landon, ma non riuscivo a pensare a lui come a un ragazzo, non so se rendo l’idea. A mio modo sia lui che Jack erano considerati dei parenti. Maledetto cervello!  Nel frattempo avevo dimenticato la faccia brutta e grigia di Jack dall’altra parte del corridoio. Mi voltai ma lui non c’era più. Fui interrotta ancora una volta dalla voce di Landon.

“ ehi Eli, che è successo dalla preside? E perché prendi le tue cose?”, chiese poggiandomi una mano sulla spalla e sporgendosi verso il mio viso ancora una volta.

Senza rispondergli , tirai giù le mie cose dall’armadietto e scappai via. Volevo raggiugere Jack, volevo parlargli, volevo che quell’espressione di dolore lasciasse la sua faccia. Avevo già mio padre con quello sguardo che feriva, mi si spezzava il cuore a sapere che anche Jack stava male.

 

 

Ehilà gente!!! Ringrazio pubblicamente chi ha recensito i primi due capitoli, spero vi piaccia anche questo!! Have some fun!!

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