Alcohol and cigarettes.

di Yanothing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 03 (Day one) ***
Capitolo 5: *** Capitolo 03 (Day two) ***
Capitolo 6: *** Capitolo 03 (Day three) ***
Capitolo 7: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 09 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Il silenzio aleggiava attorno a lei, nella sua testa scorrevano ancora le fresche parole dell'uomo che l'aveva rovinata.
Si era ridotta ad essere una figura invisibile, nessuno la notava nonostante i suoi polsi sanguinassero e il suo viso presentasse scure tumefazioni.
Sentiva il vento passarle tra i capelli, sentiva l'odore dei pini bagnati dalla pioggia che era caduta per tutto il giorno, ma che ora era cessata, almeno così credeva poiché non riusciva più a sentire nulla sulla sua pelle consumata dalla pazzia e dalla violenza. Correva stringendosi un polso con la mano, cercando di fermare quel fiume di sangue color cremisi, denso, scuro, ma senza tanto successo, l'acqua sporca delle pozzanghere schizzava da tutte le parti ogni volta che ci metteva il piede dentro con i suoi pesanti anfibi neri. Era scappata, ce l'aveva fatta e ora stava correndo senza una meta ben precisa da raggiungere, forse avrebbe semplicemente corso fino a quando non sarebbe stata abbastanza lontana e finché le poche forze che le stavano gocciolando fuori dai polsi gliel'avrebbero permesso.
La luna alta in cielo e il rumore delle macchine che sfrecciavano sulle strade lontane da quelle piccole vie periferiche che stava percorrendo erano le uniche cose che facevano da cornice a quella scena così cinematografica da sembrare quasi irreale pure ai suoi occhi, delle volte si convinceva di star sognando, si convinceva che quella non era la sua vera vita, che fosse crollata in un sonno profondo e che quello era solo un mondo parallelo dove il suo cervello l'aveva scaraventata, invece poi arrivava il dolore carnale a convincerla che quella era la triste realtà, quella era la sua vita, quella era la merda che portava avanti ogni giorno.
Si guardò alle spalle, la paura che la scintillante lama del coltello con la quale si era ferita ai polsi la seguisse era ancora presente, aveva paura che lui la potesse trovare, aveva paura che non c'era via di scampo da quella prigione, se non con l'ultimo dei rimedi che, se sarebbe rimasta lì per qualche altro giorno, avrebbe di sicuro sperimentato. Sentiva di non avere più le forze per andare avanti, sentiva che l'asfalto accidentato del parcheggio del Tric, il pub più rinomato di Oakland, le stava crollando sotto i piedi, sentiva che il buio la inghiottiva, sentiva che non c'era più speranza per andare avanti, e a quel punto le sue ginocchia cedettero, abbandonandola nel momento peggiore, il sangue aveva smesso di uscire a fiotti, ma ancora scorreva, imperlandole i polsi di gocce purpuree, mischiandosi alle particelle acide che produceva la pelle della ragazza.
Cadde, ai piedi di una macchina, un'alta jeep nera dai finestrini neri, impossibile da scrutare nell'ombra della notte, arrancò nel fango di una pozzanghera cercando di tirarsi fuori da quella stradina desolata che non prometteva nulla di buono, cercava di piantare le unghia nell'asfalto che semplicemente si sgretolava mentre i polpastrelli della ragazza, già sporchi di sangue, si riempivano di graffi. Era ormai a pochi metri dall'angolo quando la portiera della jeep si aprì, la ragazza si girò a guardare due scarpe da uomo scendere da quello che si immaginava essere un confortevole abitacolo dai sedili in pelle, si passò velocemente la lingua sulle labbra gonfie e sentii il ferruginoso sapore del sangue invaderle le papille gustative, sentiva le palpebre cominciare a diventare pesanti mentre piccoli ruscelli di sangue si mischiavano alla pioggia battente che, ora che era ferma, riusciva a notare mentre batteva incessante sul nero asfalto, l'uomo scattò verso di lei e si inginocchiò al suo fianco, muoveva le labbra, ma non sentiva più alcun rumore, se non la pioggia che si andava affievolendo fino a scomparire anch'essa, serrò le palpebre e lasciò cadere malamente la testa.

Al suo risveglio non ricordava nulla di ciò che successe dopo che la sua nuca aveva sbattuto contro l'asfalto, sentiva un forte dolore all'occhio sinistro ed ebbe difficoltà ad aprirlo, aveva anche un forte mal di testa che le premeva contro le tempie, fece per poggiarsi una mano in fronte, ma qualcosa glielo impedì, deglutì a fatica, la gola era secca e asciutta e le labbra incollate tra loro, alzò un po' la testa e finalmente capì cosa le impediva di portarsi le mani alla fronte.
Grosse manette imbottite di gomma piuma le tenevano i polsi ben saldi ad un letto d'ospedale, attorno ad essi c'erano spesse e morbide fasciature che in alcuni punti sembravano più rosee per via del sangue che cominciava ad impregnarsi nelle garze.
Si era salvata di nuovo, era di nuovo salva e forse, per la prima volta da mesi, al sicuro.

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Capitolo 2
*** Capitolo 01 ***


 Il sole riluceva sulla superficie di una lattina dall'etichetta sbiadita, che era stata abbandonata tra le sterpaglie di un vecchio palazzo in costruzione che ormai non vedeva più un operaio da anni.
Lì ai limiti della periferia di Suburbia c'era la varietà più eccentrica di ragazzi, ragazzi di età diverse, voglie diverse, idee diverse, sogni diversi, vite e storie diverse. Volevano rispecchiare le vecchie comunità punk della East Bay, ma col risultato di apparire come un gruppo di ragazzi troppo diversi dai restanti abitanti della cittadina di Suburbia, che venivano emarginati ai limiti di quello squallido sobborgo, quello squallido sobborgo che viveva di criminalità, droga, musica graffiante, tra un palazzo abbandonato e il posteggio di un supermercato.
Nessuno sembrava averlo notato o forse tutti avevano fatto finta di essere troppo impegnati per alzare lo sguardo al suo passaggio, ma infondo lui era più che abituato ad essere invisibile, insignificante, per chiunque, pure per se stesso. Diede un calcio alla vecchia lattina, spingendola ancora di più tra le sterpaglie, il cielo cominciava a farsi pesante, il sole calava lentamente sui profili delle vecchie case di periferia.
Camminò a lungo, senza dar conto a niente e a nessuno, non ricambiò i saluti dei suo amici, o almeno di quelli che si ritenevano tali, il rientro a casa non era mai piacevole, odiava quelle quattro mura che da diciotto anni lo tenevano confinato ad una vita che non voleva, con una convivenza che non voleva.
Aprì la cigolante porta sul retro di uno squallido giardino dal viale in pietra, ricoperto da foglie secche e vecchie cartine di gomme da masticare o pacchetti di sigarette appallottolati malamente e con poca attenzione, entrò in quello che sembrava uno scenario desolato, immerso nella flebile luce del sole che passava da qualche persiana rotta, posò le chiavi su un tavolino in legno scheggiato e si diresse verso il frigo, conscio del fatto che sua madre non sarebbe tornata per cena, decise di prendere un tramezzino al tacchino e di passare il resto della serata davanti la TV. Addentato il primo pezzo di pane e tacchino si diresse verso quello che doveva essere un salotto, ma che ospitava un sacco di oggetti che c'entravano ben poco.
A dirla tutta la casa non era così malandata, qualche briciola sul divano e sul tappetto, una ragnatela tra le travi del soffitto, un basso tavolinetto leggermente impolverato, di sicuro lui aveva visto case in condizioni peggiori. Infondo voleva anche bene a quella casa, ci era cresciuto, tutta la sua vita poteva essere raccontata da quelle mura, tutti i dissapori con la madre, tutti i dissapori con la vita, tutti gli ideali infranti troppo presto, tutte le opinioni cambiate e le parole cancellate, tutti gli sbagli fatti fin ora, tutte le giuste decisioni, o meglio la giusta decisione, l'unica che abbia mai preso, quella di lasciare la scuola. Era stata la cosa giusta da fare, una bocciatura dietro l'altra non avrebbe portato a nulla, una vita di cultura e studi non era quello che gli interessava, anche se lui stesso ammetteva di non sapere cosa realmente gli interessasse, non era un ragazzo stupido, anzi, era uno dei più brillanti del suo corso, gli piaceva leggere ed era un'enciclopedia musicale vivente, aveva sete di sapere, ma una filosofia di vita troppo complicata per farsi piacere la vita scolastica; vedeva la scuola solo come una prigione, l'ennesima prigione dopo casa sua, aveva pensato e ripensato finché la scelta, magicamente, non gli risultò essere quella giusta, ma che ne fosse sicuro o meno non potremo mai saperlo.
Non sapeva cosa fare di se, non sapeva come costruirsi un futuro che non fosse al fianco di sua madre, voleva vivere con la donna che amava, quella donna che però non provava i suoi stessi sentimenti, voleva andare lontano da quel piccolo sobborgo, ma era come se non avesse il coraggio, come se fosse un passo troppo grande, come se qualcosa lo tenesse legato a quella terra di polvere e lattine ammaccate dai troppi calci di gente nervosa.
Si alzò dal divano, si diresse in camera sua, l'unica stanza di quel piccolo appartamento che sembrava realmente abitata da qualcuno; le pareti rosso cremisi donavano all'ambiente un tocco tetro, nel senso positivo della parola, anche se l'ultima cosa di cui aveva bisogno quel posto era risultare tetro, sua madre aveva insistito più volte per convincerlo a cambiare colore, “non quel colore radente al porpora” gli aveva detto, forse per la sua, al figlio inspiegata, emofobia. Non c'era molto nella stanza, una grande finestra che dava sul cortile era coperta per metà da pesanti tende grigie, c'era un materasso poggiato su una vecchia rete cigolante, le lenzuola disordinate e i vari indumenti sparsi per la stanza mostravano l'effettivo disagio della famiglia di vivere nel disordine, alcuni poster dagli angoli curvi erano attaccati alle pareti e ad una porta che dava sul bagno, la moquette sul pavimento era appiccicaticcia al tatto con la pianta del piede nudo di Jimmy che si era precedentemente levato le scarpe, davanti il letto c'era un vecchio televisore che trasmetteva immagini in bianco e nero, poggiata accanto ad esso una Stratocaster rosso rubino rubata dalla casa di un vecchio cugino di Will, uno dei più cari amici di Jimmy insieme a Tunny.
La vita era così, un monologo noioso, una routine ripetitiva, le aspettative di un diciassettenne si limitavano a riuscire a mettere da parte i soldi per un pacchetto di sigarette ogni tre giorni, quella città opprimeva la vita, opprimeva il bisogno di svago che ogni ragazzo a quell'età abitualmente ha, era un piccolo paesino di campagna, era un posto isolato dal mondo, e così i ragazzi passavano le giornate nel cantiere abbandonato all'incrocio tra Almena St e Suburbia Avenue, con in mano bombolette spray e bottiglie di birra.
Jimmy rimase in piedi nella stanza ormai buia, per via del sole che era calato dietro le colline, guardandosi attorno con sguardo assente, i soliti pensieri gli volteggiavano nella testa, lo rendevano vulnerabile, lo facevano sentire solo, incompreso, facente parte di un mondo che sarebbe potuto esplodere da un momento all'altro, era un po' come un animale fuori dal suo habitat naturale, imprigionato in una vita cupa, tetra, ostile, fondamentalmente sbagliata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 02 ***


 Passarono i giorni, i mesi, gli anni, passarono le litigate sempre più frequenti con la madre, passarono le apatie e le voglie incondizionate degli adolescenti, passarono le notti insonni e le birre scolate, le sigarette consumate e gli amori non ricambiati.
Quella volta aveva esagerato, la rabbia lo sormontava, quella volta le urla nella piccola casa impolverata avevano fatto da colonna sonora ad una mattinata fresca e dal cielo sereno. Le voci dei due si sovrastavano a vicenda, riempendo l'aria di lamentele e accuse che, anche se nessuno dei due voleva ammetterlo, ferivano e restavano impresse nella pelle come cicatrici che si sarebbero portati dietro a vita.
“E' tutta colpa tua! Se siamo dove siamo ora, se siamo ciò che siamo ora, la colpa è solo tua! Ora capisco perché mio padre ti ha abbandonata!”
Lo sguardo della madre si fece cupo e intriso di una tristezza accumulata in decine di anni, aveva preferito raccontare una menzogna al figlio, aveva preferito proteggerlo dalla dura realtà che la portò a scappare una notte di 22 anni fa.
Jimmy, indifferente degli occhi lucidi della madre le diede le spalle e uscì di casa sbattendo la porta, non curante dei sentimenti della madre, non curante del dolore che quelle parole avevano causato. Uscì in strada e si avviò verso il vecchio edificio abbandonato dove lo aspettavano i suoi amici.
Amici. A quella parola un angolo delle labbra si piegò all'insù in un risolino malinconico. Amici. Quali amici? Quelli che il giorno prima lo veneravano e il giorno dopo si facevano la ragazza di cui era innamorato? Gli amici che lo pugnalavano alle spalle? Tutto d'un tratto si pentì della sua scelta, ma era troppo tardi, Tunny l'aveva visto arrivare e agitava la mano, pronto a raccontargli una delle sue stronzate, ma Jimmy non aveva alcuna intenzione di sentire ancora parole, gli passò accanto e gli fece un mezzo sorriso seguito da un cenno della mano, proseguendo poi per la sua strada, facendo intuire a Tunny che non era la giornata adatta per dargli noia. Jimmy cacciò fuori dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di Malboro che aveva comprato durante il tragitto per arrivare all'edificio, si portò una sigaretta alla bocca e si buttò su una logora poltrona che chissà chi aveva portato in quel posto altrettanto logoro, accese la sigaretta e chiuse gli occhi cercando di dimenticare dove fosse, cercando di dimenticare chi fosse, cercando di dimenticare tutto. Ad un certo punto avvertì una presenza al suo fianco, aprì gli occhi e una sagoma scura e ancora sfocata gli si presentò davanti.
“Hey amico, questa è la mia poltrona.”
Lui poco interessato richiuse gli occhi e fece l'ennesimo tiro dalla sua sigaretta. Il tipo del quale non ricordava il nome era il bulletto della situazione, sempre in mezzo ai piedi, sempre pronto a rompere le scatole, sempre pronto a rovinare le già guaste giornate.
“Mi hai sentito? Devi alzarti.”
'Si alzati. Dai moccioso è la sua poltrona quella.'
Gli fecero eco i ragazzini leccaculo che gli andavano dietro più per cercare di stare alla larga dai guai, visto che quel tipo stesso era un guaio ambulante, che per stima di quest ultimo. Jimmy ormai al limite della sopportazione si alzò e, con grande stupore di tutti coloro che si aspettavano una delle solite risse che vedevano Jimmy protagonista, si alzò, buttò la sigaretta ai piedi di Troy, ecco qual'era il nome, la spense con la punta del piede e se ne andò seguendo il sentiero che portava al supermarket della Stuart Avenue.
La giornata si era ingrigita e nemmeno i colori dei graffiti sul muro del posteggio adiacente al supermarket avevano la stessa vivacità dei soliti giorni, si sedette sull'orlo del marciapiede e prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e i suoi pensieri cominciarono a vagare.

La vidi poggiata al davanzale, mentre portava alle labbra quella bottiglia di birra ghiacciata, mi scappò un sorriso, mai nessuna era stata così bella, le sue gambe e i suoi fianchi, tutto ciò mi mandava in estasi, più delle pasticche che mi ero ingoiato. Ad interrompere quel mio sogno di libidine e passione arrivò una voce fin troppo conoscente, dall'altro capo della stanza vidi mia madre intenta a scolarsi l'ennesima birra, la raggiunsi, cercando di tirarla su, ma come tutte le volte che era ubriaca cominciò a urlarmi contro che non facevo più parte della sua vita. Me ne infischiai, la lasciai lì, poteva anche inciampare nella pozza del suo stesso vomito, ero stanco, stanco di quella vita, stanco di quella donna, stanco di tutto, perfino di me stesso. Tornai con lo sguardo rivolto alla splendida ragazza dai lunghi capelli biondi, mi incamminai verso di lei e l'adrenalina fece il resto.
Quella notte non potrei mai dimenticarla.

Scosse la testa e riportò i pensieri al presente, proprio in quel momento la vide, mano nella mano con Will, uno dei suoi più cari amici, anche se i due non si parlavano da settimane ormai. Lei si girò a guardarlo con aria di sufficienza e Jimmy abbassò lo sguardo, fissando le nocche tatuate e l'asfalto rovente. I due entrarono al supermarket, di sicuro per sparire nel bagno sul retro.
Jimmy prese l'ennesima sigaretta della giornata e la accese, cominciandola a fumare nervosamente, quasi in preda al panico, non capiva cosa gli stesse succedendo, cos'era quella strana sensazione che gli divorava le viscere? Forse gelosia? O forse invidia. O un mix di rabbia e amore che da sempre avevano fatto da cornice alla sua vita, due sentimenti che lo accompagnavano fedeli come il diavolo e l'angelo sulle spalle di un personaggio dei cartoni animati.
Sentiva qualcosa strisciargli tra le viscere, qualcosa che lo spingeva a sospirare per rabbia e per dolore, qualcosa che si addentrava sempre più dentro di se, che percorreva le sagome dei suoi organi fino a raggiungere la carotide, quasi come per soffocarlo, per bloccarglisi in gola e liberarlo dal dolore della vita, ma non fu così. In quel momento Will e Jane (?) uscirono dal supermarket e Jimmy, scosso da quel qualcosa che gli si muoveva tra le viscere, si scaraventò contro l'amico e tutto successe in una frazione di secondo. Gli amici dei due si schierarono alcuni da una parte altri dall'altra e cercarono di dividerli, la sabbia volava dando fastidio ad altre anime poco interessate che restavano dei semplici spettatori, le braccia di Jimmy si allungavano verso Will, non riusciva ad arrendersi, voleva prenderlo, voleva prenderlo e fargli del male, proprio come lui gli aveva fatto portandosi a letto la ragazza di cui sapeva essere innamorato.
Ad un certo punto tra i due si mise Jane, guardò Will che continuava ad imprecare contro Jimmy e gli urlò di smetterla, con tutta la forza che aveva in corpo, con tutta la voce che riuscì a raccogliere nei polmoni. Per un istante, per un singolo istante tutto tacque, in quel singolo istante Jimmy cedette e indietreggiò per liberarsi dalle mani che gli impedivano di raggiungere Will, guardò la ragazza e quella rabbia risalì.
“Jimmy..”
“Lascia stare.. Non mi interessa.” scosse la testa e si allontanò, ma nemmeno qualche passo e si girò a guardare nuovamente tutti.
“Non mi vedrete più.” tornò sui suoi passi, dirigendosi verso casa sua. Non lo avrebbero più visto, questo era certo, sarebbe partito la notte stessa, non poteva più sopportare quel posto, quella vita, quelle persone, quella rabbia, quelle strade impolverate, quei lampioni fulminati, quelle case cadenti, quelle urla ricorrenti.
Arrivò a casa, sua madre appena lo vide entrare scattò in piedi, lui non la degnò di uno sguardo e con le mani che gli tremavano corse in camera sua. Una volta tirato fuori un vecchio borsone, risalente ad un viaggio che aveva fatto all'età di 8 anni, cominciò a svuotare i cassetti, trasferendo il contenuto nella sacca, il più velocemente possibile. Prese qualche banconota dall'armadio, il resto lo lasciò a sua madre, consapevole del fatto che non avrebbe tirato avanti senza i suoi risparmi, si mise il borsone in spalle e si avviò verso la porta sul retro, uscì sul vialetto di sabbia dove aveva lasciato la sua macchina, quel vecchio ferro arrugginito, chissà dove lo avrebbe portato, buttò sul sedile posteriore il borsone e salì in macchina mentre sua madre si affrettava ad aggrapparsi alla portiera.
“Che stai facendo!? Non puoi andartene!” Jimmy, in preda all'ennesimo attacco d'ira scese dalla macchina e le si avvicinò minacciosamente.
“Che sto facendo? Me ne vado! Vuoi impedirmelo? Sai meglio di me che non puoi!”
“Tu me lo ricordi così tanto..” la donna sospirò, erano giorni se non mesi che aspettava che accadesse, si passò una mano sul viso stanco ed indietreggiò.
“Addio.”

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Capitolo 4
*** Capitolo 03 (Day one) ***


L'asfalto tremolava e sbiadiva l'orizzonte che Jimmy si ritrovò davanti appena uscito da Suburbia, le strade dell'entroterra californiano erano polverose e secche, coloravano tutto con una strana tonalità arancione che a Jimmy ricordava i tramonti guardati dal tetto del supermarket, ma fermò subito quel pensiero, non era il momento adatto per farsi prendere dalla nostalgia, troppo presto per farsi rincorrere dai rimorsi. Di fatti era in macchina solo da un paio di minuti, anche se a lui stava sembrando un eternità. Pochi soldi, nulla da mangiare e nemmeno una meta ad attenderlo, pensò di spostarsi in un altro stato, di provare la brezza di varcare un confine, cosa che non era mai riuscito a comprendere, perché era una cosa che eccitava tutti in una maniera incondizionata? Passare dalla California al Nevada era veramente così emozionante? Oltrepassare un segnale stradale che segnava la fine di uno stato veramente rendeva felici le persone? Scartò l'idea di oltrepassare il confine poiché immaginava significare dispendio di denaro e tempo che lui non aveva. Pensò ai posti che meglio conosceva, San Diego, Berkeley, San Francisco, Santa Barbara, Santa Clara, Mendocino, Monterey, Los Angeles. Ecco. Los Angeles. Il posto perfetto, non troppo lontano, non troppo tranquillo, quello che gli ci voleva.
Le labbra gli si incresparono in un timido sorriso, il fatto di aver trovato una meta da raggiungere in un certo senso lo rincuorava.
Alzò il finestrino della macchina per via della leggera brezza che stava scendendo sull'Interstate 5, cominciava anche a farsi buio, l'arancione scompariva dalla vista di Jimmy dando spazio al grigio della sera, sapeva che non ce l'avrebbe fatta in tempo ad arrivare a Los Angeles e che sarebbe stata notte inoltrata, così la miglior occasione che un' interstatale potesse offrirgli gli si presentò davanti agli occhi. A meno di cento metri vide l'insegna lampeggiante di un Motel, la 'L' completamente spenta e in procinto di cadere non prometteva nulla di buono, ma dalle poche luci accese nelle varie stanze Jimmy poté intuire che la struttura era aperta e funzionante.
Prese l'uscita che portava al posteggio del motel e una volta fermata la macchina, prese qualche banconota dal cruscotto, il borsone e scese, avviandosi verso la portineria.
“Mi serve una camera, si paga giornalmente giusto?” poggiò malamente il pesante borsone e il tipo dietro una sottile lastra di vetro lo guardò col solito sguardo che si stampavano tutti sulla faccia appena vedevano Jimmy per la prima volta.
I folti capelli neri tirati insù con chissà quale quantitativo industriale di lacca, una catena al collo, jeans strappati e converse logore, tutto questo faceva da cornice a due profondi, ma intrisi di rabbia, occhi azzurri, contornati da una linea di matita nera.
“Allora?” sbottò in attesa.
“Si ragazzo, si paga giornalmente, fanno 30$ a notte, hai un documento? Sei almeno maggiorenne?”
Jimmy gli porse il documento e i soldi per una notte, il custode dalle forme tonde e gli aloni di sudore sotto le ascelle prese la chiave di una stanza e gliela passò, scrisse i dati del ragazzo su un agenda e gli ridiede il documento, si sedette pesantemente sulla fragile sedia da ufficio e riprese tra le mani il panino unto che aveva lasciato sul tavolo per servire Jimmy.
Lui lo lasciò perdere, provando per un istante ad immaginare la vita triste che poteva avere quell'uomo. Portiere notturno in uno squallido motel, cibi trasbordanti di grasso, magliette intrise di sudore, nessuna casa, nessuna famiglia, nessuno ad attenderlo al cambio del turno. Jimmy scosse la testa non appena arrivò davanti la camera che gli aveva assegnato, la 127, infilò la chiave e aprì la porta scricchiolante che a metà apertura cominciò a diventare pesante per via dei cardini arrugginiti. Trascinò dentro il borsone, abbandonandolo davanti la porta, si sedette sul letto e si prese il viso tra le mani. Non sapeva quale vita lo aspettasse, stava cominciando a convincersi che forse non era stata la scelta migliore, come avrebbe campato? Spacciando per i viali di Los Angeles, e quello veramente gli sarebbe bastato per vivere? Cosa avrebbe fatto? Alcool e sesso per il resto dei suoi giorni? In fondo aveva solo 21 anni, cosa gli impediva di divertirsi un po? Di lasciarsi alle spalle quella vita che lo aveva solamente riempito di rabbia? Nulla glielo impediva, non c'era nessun amore che lo spingeva a tornare a Suburbia, non c'era nessun tipo di affetto che lo convinceva che non fosse la scelta giusta, era solo lui, seduto su uno scialbo letto dalle lenzuola bianche, in una stanza tappezzata da carta di parati intrisa di chissà quali odori, lui e il suo passato, quello che stava cercando di lasciarsi alle spalle, quello che avrebbe volentieri dimenticato, lui e la sua vita incasinata, senza un padre, senza risposte, senza amore, solo tanta rabbia, solo tanta delusione, solo tanti quesiti, tanti dubbi, tante paure.
Sospirò e si accese una sigaretta.
Che fine aveva fatto suo padre? Perché li aveva abbandonati? Perché era andato via una notte? Era forse veramente colpa di sua madre? O forse la colpa era di Jimmy? Quando avrebbe trovato quelle risposte? Quando avrebbe smesso sua madre di riempirlo di menzogne? Quando sarebbe finito tutto quello? Solo con la morte? Solo con l'arresto del battito cardiaco? Quando?



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Il terzo capitolo è diviso in tre giornate significative, per rendervi la lettura meno pesante, poiché si sarebbe rivelata molto lunga ed impegnativa, su EFP ho preferito pubblicarli separatamente.
Rage and love.

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Capitolo 5
*** Capitolo 03 (Day two) ***


 Erano appena le sette del mattino quando Jimmy si rimise in macchina diretto verso Los Angeles. Il sole non era ancora alto nel cielo e c'era ancora l'aria fresca della notte a far da compagna di viaggio a Jimmy. Accese la radio ma, per via dell'antenna mancante, non riusciva a sintonizzarsi su nessuna stazione, lasciò perdere e mise un braccio fuori dal finestrino, assaporando l'aria che gli passava tra le dita, sbadigliò e si passò una mano sugli occhi, pregando di incontrare un distributore di benzina dove potersi fermare per prendere un caffè.
Le ruote continuavano a girare indisturbate sull'asfalto che cominciava a riscaldarsi, un po' per il sole che cominciava a farsi sentire, un po' per il via vai di macchine che cominciava ad accogliere. La notte insonne che aveva passato Jimmy cominciò a farsi sentire e il ragazzo ebbe paura che da un momento all'altro le palpebre gli si sarebbero chiuse da sole, causandogli non pochi problemi. Fortunatamente, poco prima che accostasse al bordo della strada vide un cartello che indicava una pompa di benzina con annesso bar a meno di 500 metri, così decise di proseguire.
Arrivato alla pompa di benzina posteggiò la macchina e come prima cosa si avviò verso la decadente struttura che doveva ospitare il bar, la cameriera dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda gli sorrise non appena lui entrò, era forse la prima volta che qualcuno gli sorrideva immediatamente, senza prima giudicare il suo aspetto, senza prima preoccuparsi di cosa potessero significare quelle catene e quei tatuaggi. Per un attimo il cuore di Jimmy si colmò di un sentimento a lui quasi sconosciuto e sentì il bisogno di ricambiare il sorriso, non sapeva quale smorfia ne uscì fuori, ma sperò che la ragazza avrebbe gradito.
Si avvicinò al bancone e si sedette su uno sgabello in pelle rossa.
“Cosa posso darti?” lei gli si rivolse col sorriso nuovamente stampato sul volto, talmente ampio che Jimmy si chiese se forse non aveva una qualche strana paralisi.
“Un caffè, nella tazza più grande che avete..”
“Sei in viaggio?”
“Diciamo così..” solitamente le domande di gente estranea lo infastidivano e non poco, ma quella volta non si creò alcun problema a risponderle e sperò addirittura di poter chiacchierare con lei.
“Dove sei diretto? Se posso chiedere..” chiese lei mentre gli porgeva la tazza di caffè.
“Sto andando a Los Angeles..” prese la tazza bollente tra le mani e la portò alle labbra, ingurgitando un sostanzioso sorso di caffè.
“Bella Los Angeles..ci abitavo da bambina.. E come mai vai a Los Angeles?”
“A questo non posso risponderti..” lei ne sembrò quasi delusa “Non lo so nemmeno io cosa sto andando a fare lì..” disse Jimmy per cercare di rimediare.
“Sei un tipo strano..”
“Non lo pensi veramente..”
“Come fai a dirlo?”
“Non mi guardi come tutti quelli che credono che io sia un tipo strano..” lei sorrise di ricambio e la conversazione cessò lì.
Una volta pagato il caffè, un pacco di sigarette e il pieno di carburante tornò in macchina, riempì il serbatoio e si rimise in strada.
Durante il tragitto ripensò alla conversazione che aveva avuto con la ragazza del bar, la più piacevole che riuscisse a ricordare. Lo faceva sentire quasi felice, solo quasi però, lui era consapevole che non era felice, era consapevole anche del fatto che forse non lo sarebbe mai stato veramente felice e di sicuro non bastava una banale chiacchierata con una cameriera di un bare sull'interstatale.
Verso le tre del pomeriggio arrivò finalmente a Los Angeles, l'Interstate 5 era già più affollata e in lontananza riusciva a scorgere gli alti grattacieli della metropoli, il cielo si era annuvolato e questo rendeva la temperatura particolarmente gradevole. Jimmy sorrise, guardando sia a destra che a sinistra, era intrappolato in un tappeto di macchine, ma non gli importava, la prima meta era raggiunta, ora doveva solo trovare un posto dove stare in alternativa alla vita sotto i ponti. Pensò a quello che lo aspettava per le strade affollate di Los Angeles, i pub, le ragazze, il mare, divertimento e tranquillità in un ambiente totalmente diverso da Suburbia, un ambiente colorato, vivo, forse perfino allegro. Il lento avanzare delle auto continuò per almeno un'altra ora, finché Jimmy non vide davanti i suoi occhi un'uscita che, da quanto diceva il cartello, portava verso il sobborgo di Los Angeles noto come North LA. Essendo consapevole del fatto che non poteva permettersi di prendere una stanza in un qualche albergo a Beverly Hills, imboccò l'uscita, anche perché il fatto che il resto delle macchine erano tutte dirette verso il centro della città lo allettava parecchio.
In poco meno di un'ora raggiunse North LA, non pensò nemmeno a chiedere informazioni per qualche albergo, decise solo di fermarsi nel primo posto decente che avrebbe incontrato. Continuò a camminare per un paio di minuti tra le strade di Los Angeles, sentiva di stare già meglio, l'aria diversa di quella città lo aveva come fatto rinascere. Finalmente si ritrovò davanti un hotel, la classica struttura di periferia che se non era per l'insegna sembrava un qualsiasi normalissimo palazzo, cominciò a fare il giro dell'isolato per trovare dove posteggiare la macchina e una volta trovato posto si fermò, prese nuovamente il pesante borsone e si avviò verso l'ingresso.
L'insegna recitava “Royal Luxury Hotel”, Jimmy alzò un sopracciglio ed entrò. La hall era abbastanza accogliente, di sicuro lo era più di quanto lui si fosse immaginato, senza perdere troppo tempo chiese una camera, diede il documento al tipo smilzo dietro il bancone e, una volta ricevuta la chiave della camera, si avviò verso l'ascensore, trascinando il borsone sulla moquette rossa dell'ingresso, rifiutando l'aiuto del facchino. La camera si trovava al terzo piano e Jimmy pregava si affacciasse sulla strada, intanto in ascensore stava soffocando per via di una strana puzza che gli pervadeva le narici, finalmente arrivato al terzo piano prese una boccata “d'aria fresca” e si mise alla ricerca della camera.
302, 303, 304, 305..306. Eccola, la 306, si trovava sul lato destro del corridoio, quindi se aveva ben intuito com'era strutturato l'albergo in quella camera doveva esserci almeno una finestra. Forzò la chiave nella serratura ed entrò sempre col suo fedele borsone al seguito, si guardò attorno una volta chiusa la porta, l'orrida tappezzeria alle pareti almeno non puzzava e la moquette grigia non era poi così male, posò il borsone su un tavolino e diede un'occhiata al bagno, nulla di eccezionale certo, ma almeno non sembravano esserci scarafaggi o preservativi buttati sul pavimento, cosa che si era ritrovato davanti agli occhi nel motel della notte precedente. Ne approfittò per sciacquarsi le mani sudaticce, poi uscì dal bagno e andò a controllare il letto, era uno dal sonno difficile e l'ultima cosa che ci voleva era uno di quei letti duri come i sacchi di farina. Ci poggiò una mano e schiacciò il materasso, si sorprese di quanto sembrasse comodo, le lenzuola inoltre profumavano di ammorbidente e c'erano almeno cinque cuscini.
Si sedette sul letto e si guardò allo specchio che si trovava su un'anta dell'armadio al suo fianco, aveva il viso stanco e la pelle gli sembrava incredibilmente pallida, a quel punto si ricordò di non aver mangiato nulla per pranzo a parte un pacco di patatine al formaggio durante il tragitto sull'interstatale, si stropicciò gli occhi dimenticandosi del trucco già abbastanza sbavato e decise di fare una doccia. Si spogliò e si infilò in doccia, un brivido gli percorse la schiena sentendo la fredda ceramica a contatto con la pianta del piede, ma l'acqua tiepida ben presto lo fece sentire meglio, si insaponò più volte per cercare di liberarsi del fetido odore che si portava dietro dallo squallido motel, restò un paio di minuti col viso rivolto verso il getto d'acqua e si sentì anche meno stanco.
Uscì dalla doccia e si vestì, perse i suoi soliti dieci minuti ad asciugare e sistemare i capelli, anzi erano pochi, prese qualche banconota, la giacca jeans e uscì dalla camera per andare a fare un giro in città. Dopo quella giornata una birra era la cosa che più ci voleva.


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Il terzo capitolo è diviso in tre giornate significative, per rendervi la lettura meno pesante, poiché si sarebbe rivelata molto lunga ed impegnativa, su EFP ho preferito pubblicarli separatamente.
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Capitolo 6
*** Capitolo 03 (Day three) ***


 Sedeva al bancone con l'ennesima birra tra le mani, questa volta aveva deciso di prendere la birra locale che servivano al Lighthouse Café nei pressi di Hermosa Beach, di tutti i pub che aveva visitato in soli cinque giorni di soggiorno a Los Angeles quello era di gran lunga il suo preferito. L'atmosfera calda ed accogliente che ti offriva per via delle pareti in mattoni rossi e degli interni in legno di noce, era accentuata dagli artisti che ogni sera, sin dal 1949 si esibivano lì, di sicuro non era la musica che Jimmy preferiva, ma restava comunque un pub modesto dove come vicino di bevute potevi trovare un vecchio dalle mille rughe che di cose nella vita ne aveva viste a bizzeffe invece che una ragazza dalla minigonna troppo corta per permetterle anche solo di sedersi su uno sgabello.
Jimmy portò il boccale alle labbra, sorseggiando rilassato la birra bionda, si passò la lingue sulle labbra, col vano tentativo di asciugarle, si diede una spinta col piede per far girare lo sgabello e restò qualche minuto a guardare un uomo sul palco che suonava il sassofono. Solo a quel punto Jimmy avvertì una strana sensazione lungo la spina dorsale, si morse il labbro e senza farsi notare si guardò attorno con lo sguardo per capire se i suoi presentimenti erano fondati, si passò una mano tra i capelli una volta notato che nessuno lo stava osservando e tornò ai suoi pensieri, fece per girarsi nuovamente verso il bancone e la vide.
Era appena entrata, la campanella sopra la porta ancora risuonava flebile tra le mura del Lighthouse, Jimmy rimase a guardarla come impossibilitato a fare altro. Lei gli si avvicinò con passo deciso e si sedette nello sgabello al suo fianco, indifferente dello sguardo incantato di quel ragazzo, ordinò da bere e nell'attesa che il barman le portasse la sua birra si girò a guardare Jimmy.
“Che hai da guardare?” Jimmy scosse la testa appena sentì la sua voce autoritaria.
“Nulla, perdonami..” tornò a far finta di nulla riprendendo a bere, in quei pochi istanti che l'aveva guardata in viso aveva notato ogni singolo particolare. L'incarnato pallido faceva da cornice a due grandi occhi azzurri, di quell'azzurro glaciale, e alle labbra più belle che Jimmy avesse mai visto. La guardò nuovamente e notò i suoi voluminosi capelli ricci, erano molto scuri, non era sicuro fossero neri, ma decisamente scuri, e a spezzare quella monotonia c'erano due ciocche blu.
“Sei qui solo soletto?” chiese lei con lo stesso timbro autoritario che aveva usato per rimproverarlo.
“Già..e tu?”
“Si..vengo spesso qui sola, è rilassante..”
“Si, sembra tutto molto tranquillo” Jimmy continuava a guardare di fronte a se, era come se non avesse il coraggio di voltarsi nuovamente ad osservarla, non si era mai sentito così, quella ragazza lo metteva in soggezione, lo faceva quasi sentire a disagio.
“Lo è..tutti uomini che vengono qui ad ascoltare un po' di jazz con le loro moglie..tutto molto monotono e noioso..”
“Allora perché ci vieni?”
“Perché almeno qui non c'è nessuno che ti rompe le scatole, si fanno tutti i cazzi loro..” Jimmy accennò un sorriso, trovando una qualche somiglianza con se stesso.
“Già..”
“Tu sei il primo tipo..diciamo strano, che vedo qui.” finalmente Jimmy si girò a guardarla e si sorprese quando si ci ritrovò faccia a faccia.
“Strano?”
“Non strano, diverso..” bevve un sorso di birra, finendola “..mi piace.”
“Interessante..” bevve anche lui un altro sorso di birra, finendo anche io la sua, guardò il barman dall'aria assente e gli chiese altre due birre, appena gliele porse ne diede una a lei.
“Grazie..”
“Ma figurati.”
Continuarono a chiacchierare, raccontandosi del più e del meno, lei gli chiese come mai si trovava a Los Angeles e lui le spiegò a grandi linee cosa era successo, lui le disse che aveva degli occhi bellissimi, restando sul vago, anche se di complimenti da farle ne aveva a palate, anche di quelli meno carini, quei complimenti da tenersi per se.
Passate le due di notte il barman gli chiese se potevano finire l'ennesima birra ed uscire poiché dovevano chiudere, così i due, prendendosela abbastanza con comodo, finirono la birra ed uscirono, finendosi addosso a vicenda per l'alcool che gli pervadeva le vene.
“Allora ci si vede?” chiese lui, nonostante le sue intenzioni fossero altre.
“Vuoi già andare andiamo a fare un giro al pontile!” rise lei afferrandogli un braccio.
“Okay, andiamo al pontile allora!” rise a sua volta seguendola verso la strada ormai buia che portava verso il pontile su Hermosa Beach.
Lo raggiunsero dopo dieci minuti e cominciarono a percorrerlo tutto, non c'era alcun rumore se non quello del mare che avanzava verso la spiaggia, il cielo era trapuntato di stelle e l'aria piacevolmente frizzante. Arrivati alla fine del pontile la ragazza si poggiò alla ringhiera umida con la schiena, in modo da guardare Jimmy dritto negli occhi, lui le si avvicinò finché non sentì le proprie gambe poggiarsi contro quelle magre della ragazza, le passò le mani sui fianchi infischiandosene del fatto che nel farlo le aveva sollevato la maglietta e, non appena lei gli mise le braccia attorno al collo, lui si avvicinò al suo viso, non riuscendo a mettere bene a fuoco i suoi lineamenti per colpa dell'alcol che gli aveva offuscato la vista, le labbra di entrambi si piegarono all'insù e finalmente, dopo l'attesa di alcuni secondi che sembravano ore, le loro labbra si sfiorarono. Jimmy, che non riusciva più a resistere agli istinti, la baciò, poggiando le labbra contro quelle della ragazza, schioccandole un bacio che fu solo il primo di una lunga serie. Lei si strinse al ragazzo facendo aderire i loro bacini e intanto la lingua di Jimmy cercava di farsi strada tra le labbra di lei, ben presto le mani di lui scivolarono sul sedere della ragazza, stringendolo per avvicinarla a se. Continuarono a vivere in quel vortice di passione finché Jimmy, un po' per l'alcol, un po' per l'eccitazione, cadde quasi di lato, lei rise di cuore e lo aiutò a sedersi per terra con la schiena poggiata alla ringhiera, si sedette accanto a lui e lo guardò, sorrideva come un ebete e continuava a fissarle le labbra, desideroso di impossessarsene nuovamente, lei gli carezzò i capelli e questo lo mandò in paradiso, socchiuse gli occhi e si morse il labbro, forse per placare una qualche voglia che di certo non poteva consumare su quel pontile, ma per farle capire quali fossero le sue intenzioni, le mise una mano su una coscia, carezzandola, tenendo sempre gli occhi chiusi. Lei frenò le sue carezze e la mano di Jimmy si spinse verso l'interno coscia, salendo nel contempo verso l'intimità della ragazza che, combattuta tra il fermarlo e farlo continuare rimase ferma con le braccia lungo i fianchi, mentre i suoi muscoli si irrigidivano involontariamente.
Per la felicità di lei Jimmy non continuò quell'eccitante tortura, buttò indietro la testa e sorrise nuovamente.
“Sei la miglior ragazza che abbia mai conosciuto..” si passò una mano tra i capelli sempre senza aprire gli occhi, non ce n'era bisogno, aveva l'immagine di lei ben stampata in mente, non si sarebbe mai dimenticato quel volto anche perché sperava che non sarebbe mai stato costretto a dimenticarlo.
“Anche tu sei il miglior ragazzo che abbia mai conosciuto..” la sua voce autoritaria venne spezzata da un tono quasi malinconico, lo guardò, studiando i lineamenti del suo profilo, forse per colpa dell'alcol, che la portava sempre ad essere particolarmente dolce, desiderò restare lì con quel ragazzo per sempre, dimenticandosi del mondo, si poggiò alla spalla di Jimmy e anche lei chiuse gli occhi.
Una manciata di minuti dopo sentì il ronfare di Jimmy, si era addormentato già da qualche minuto, ma lei non se la sentiva ancora di alzarsi, così restò ancora lì, sperando che quel vento fresco non l'avrebbe fatta addormentare. Ad un certo punto decise che era passato abbastanza tempo per non svegliarlo, anche perché con tutto l'alcol che aveva in corpo era una cosa abbastanza improbabile.
Alzò la testa, che teneva ancora poggiata alla spalla di lui, e restò a guardare la sua reazione, prese la borsa poggiata al suo fianco e si alzò cercando di fare meno rumore possibile, si chinò e gli baciò delicatamente la guancia, poi cercando di non far rimbombare i suoi passi sul freddo cemento del pontile cominciò ad allontanarsi, ripetendosi di non guardare indietro.  


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Capitolo 7
*** Capitolo 04 ***


 Jimmy si era svegliato la mattina seguente, lei non era lì, si chiese se non fosse stato un sogno, ma ricordava quel viso per come si era ripromesso di fare la sera prima, si guardò attorno, era ancora nel pontile, i primi turisti mattinieri riempivano già la spiaggia, si alzò e lo colpì una forte fitta alla testa, si massaggiò la tempia e cominciò ad incamminarsi, chiedendosi che ore fossero e che fine avesse fatto lei.

Passò qualche giorno e anche la vita a Los Angeles stava cominciando a diventare monotona, non aveva amici, non aveva molti soldi, viveva in quella squallida camera d'albergo e girava ogni notte in cerca di alcol.
Si ostinava a voler rivedere quella ragazza, tornava al Lighthouse ogni volta che poteva, sperando di trovarla lì con la sua birra tra le mani, ma questo non accadde, non la vide più per tutta l'intera settimana, pensò di arrendersi, pensò che non ne valeva la pena, in fondo avevano passato insieme solo una sera, cosa poteva significare solo una sera? Provò a pensare ad altro, provò a guardare le altre ragazze e, nonostante certune erano veramente belle non riusciva a provarci, qualcosa lo bloccava, e quel qualcosa era il ricordo di quegli occhi azzurri, di quelle labbra carnose e di quel corpo perfetto.
Stava camminando lungo la Florence Avenue quando davanti a se vide una chioma di capelli neri e ricci, muoversi a ritmo con i passi della minuta ragazza, non era sicuro fosse lei, ma lo sperava, così appena la vide fermarsi ad un bar le passò accanto, girandosi poi a guardarla. Era proprio lei, gli occhi azzurri rilucevano grazie alla luce del sole che le illuminava il pallido viso, a Jimmy scappò un sorriso e non resistette ad avvicinarlesi.
“Hey!” lei si girò a guardarlo e il suo sguardo tramutò per qualche strano motivo, accennò un sorriso, ma lui avvertiva tutta la freddezza che aveva in corpo.
“Ciao..come mai qui?”
“Ero in giro..l'altr..” Jimmy non finì la frase.
Un ragazzo decisamente più alto di lui, dalle spalle larghe e i capelli lunghi mise un braccio sulle spalle di lei che si morse il labbro.
“Lui è Jack..il mio ragazzo..” lui sorrise, aveva dei denti bianchissimi, non sembrava proprio il suo tipo.
“Piacere..” Jimmy con un nodo alla gola gli porse la mano che lui, amichevolmente, gli strinse.
“Tesoro andresti a comprarmi le sigarette?” lei continuava a guardarmi e lui le baciò la tempia.
“Te le vado a comprare anche se quella roba ti fa male..” Jimmy fece una specie di smorfia che sperò nessuno avesse notato, Jack si allontanò e i due restarono soli, a quel punto Jimmy capì che era stata una scusa per farlo allontanare.
“Brava..i miei complimenti.”
“Senti devo darti delle scuse, ma in fondo non è significato nulla per nessuno dei due..voglio dire, avevamo bevuto è stato solo qualche bacio..”
“Qualche bacio? Siamo rimasti su quel pontile per delle ore! Sono uno che non dimentica, nemmeno con l'alcol purtroppo. Tu, sei stata tu a dirmi di venire con te al pontile, io cosa ne potevo sapere? Mi hai lasciato lì per terra a dormire come un barbone. Te ne sei andata. Se volevi farti una sana scopata per rifarti un po' di quel coglione bastava dirlo, io preferivo sapere che sarebbe finita lì, preferivo essere consapevole che non ti avrei mai potuta avere per me, ma no, non mi hai detto nulla.”
“Lo so..So di aver sbagliato e sto male da quel giorno se penso che ti ho lasciato lì da solo, in quelle condizioni. Non me lo perdonerò mai, ma cosa avrei dovuto fare? Saresti diventato una bestia se il giorno dopo ti avessi detto che ero fidanzata, o sbaglio?”
“Ah certo, perché ora non lo sono invece. Però ascolta, non preoccuparti, non è significato nulla, tanto a questo sono destinato a non avere niente e nessuno, va bene così, ci ho fatto il callo.”
“Jimmy per favore..”
“Senti..lascia stare..non mi interessa.” ebbe come un flashback, ricordava di aver detto quell'identica frase qualche settimana fa, sempre ad una ragazza, cominciò a chiedersi se non si intrufolava nei vicoli che portavano solo ai guai, se non se le cercasse lui per una strana forma di masochismo. Lei lo guardava con gli occhi tristi, lui cercò di non guardarla a lungo, per non imprimersi quell'immagine in mente, preferiva la ragazza che aveva baciato quella notte, preferiva ricordare quei lineamenti allegri, quegli occhi carichi di eccitazione e quelle labbra inumidite dalla birra, così, come ormai era abituato a fare dopo ogni delusione le diede le spalle e si allontanò, sentiva il suo sguardo puntato addosso, ma non gli interessava, il dolore l'aveva reso ormai incapace di provare qualsivoglia genere di sentimenti.
Passò la giornata a vagare per Los Angeles, il giorno calò, lasciando posto ad una notte particolarmente turbolenta, le nuvole si impossessarono del cielo californiano e le strade ben presto cominciarono ad essere bagnate da una leggera pioggerellina estiva. Dopo aver camminato sotto la pioggia fino ad infradiciarsi anche le scarpe, Jimmy decise di entrare nel primo pub che gli capitò sotto mano, non era un bel posto quello che cercava, era un posto dove avevano semplicemente dell'alcol e il piccolo locale che trovò ad un angolo con un vicoletto buio gli sembrò la cosa migliore della giornata.
Entrò senza pensarci due volte, restò qualche secondo a lasciar gocciolare i vestiti sul tappetino all'ingresso e dopo essersi scombinato i capelli, un po' per asciugarli, un po' per ridargli una forma, si avvicinò al bancone, fece un cenno al barman e gli chiese un Jack Daniel's. Non aveva senso che fingesse, voleva bere, voleva bere fino a perdere i sensi, fino a dimenticare, non aveva alcun senso che si prendesse una birra per far credere a tutti, a se stesso in primis, che non cercava la sbronza, era ciò che più desiderava in quel momento. Riempirsi le vene d'alcol, sentirlo scendere lungo la gola, caldo e pungente, giungere allo stomaco, di bicchiere in bicchiere, come una coltellata sempre più profonda, avere la vista offuscata, la testa pesante, le gambe molli, voleva bere talmente tanto da perdere i sensi e cadere in una pozza di acqua sui marciapiedi di Los Angeles, risvegliarsi due giorni dopo e non ricordare più nulla, ecco cosa voleva, dimenticare tutto.
Il barista gli versò un bicchiere di Jack Daniel's e rimise apposto la bottiglia.
“Hey amico, lascia pure la bottiglia..” lui lo guardò e, dopo aver indagato per qualche minuto sulla figura di Jimmy, gli lasciò la bottiglia sul bancone, lui ricambiò con un gesto della mano e buttò giù il primo bicchiere, lasciando che l'alcol gli scorresse lentamente nel corpo.
Un bicchiere dopo l'altro di Jack Daniel's, alternato a qualche cicchetto di Tequila, tutto molto rilassante, talmente rilassante che cominciò a sentirsi bene, cominciò a sorridere, finalmente poteva essere felice, l'alcol era il suo unico compagno di vita, l'unico fedele per lo meno. Se ne andavano tutti, tutti lo usavano, tutti lo prendevano in giro, tutti lo tradivano. L'alcol no, l'alcol era solo un dolce rifugio da tutte le sue sventure, bastava aprire una bottiglia e lui si sentiva protetto, bastava il solo odore e Jimmy sentiva di stare finalmente bene.
“Hey amico! Ma dimmi..non hai voglia di scolarti tutte le bottiglie eh?” chiese Jimmy al barman indicando le moltitudini di bottiglie alle spalle di quest ultimo “E' veramente bello questo posto cazzo! Bello come casa mia! Sai che casa ho? Non ce l'ho!” scoppiò a ridere, ma tornò subito serio “No scusa, ho una camera al Royal Luxury Hotel che hotel di merda oh! Dovresti venire a trovarmi cazzo. Dovresti amico mio. Siamo amici vero?” Jimmy lo guardò ridendo, senza ricevere risposta dal barman già stufo “Senti questa..sen..”
“Ascolta, perché non ti porti la bottiglia a un tavolo e cerchi di non rompere le palle a nessuno?” sbottò il barman indicandogli un tavolo libero vicino alla porta del bagno.
“Okay amico, okay, non c'è bisogno di alterarsi tanto cazzo!” scoppiò a ridere nuovamente e si alzò dallo sgabello barcollando sul posto, prese la bottiglia e la strinse a se, consapevole che da un momento all'altro gli sarebbe potuta scivolare di mano, si avviò al tavolino sempre barcollando e si lasciò cadere sulla sedia.
“E tu che cazzo ci guardi sfigato!?” si rivolse ad un uomo che lo guardava col classico sguardo compassionevole che si dipingevano tutti quando vedevano Jimmy.
“Niente bello, proprio niente.” l'uomo distolse lo sguardo e tornò a scolarsi la sua birra.
Jimmy tornò a ridere e a bere senza sosta, raggiungendo lentamente il fondo della bottiglia, a quel punto sentiva un peso premergli sulla vescica e le gambe ormai pesanti, fece cenno alla cameriera di avvicinarsi e le chiese qualche altro bicchiere, ma non appena la ragazza tornò aveva sul vassoio solo una misera birra.
“Dov'è il mio alcol dolcezza?!”
“Mi..mi dispiace..” disse la ragazza con voce spaventata “mi è stato detto che questa è l'ultima della serata..”
“Chi è questo bastardo!? Lo ammazzo con le mie stesse mani!” Jimmy si alzò di scatto facendo indietreggiare velocemente la cameriera, si avvicinò a grandi passi al bancone col viso rosso, un po' per il caldo, un po' per l'alcol e un po' per la rabbia, e sbatté un pugno sul pesante legno di noce.
“Senti amico” disse il barman sbeffeggiando “se vuoi ti bevi quella birra ed esci di qui senza fare casino, oppure ti sbatto fuori a calci in culo e non ti bevi nemmeno la tua ultima birra.”
Jimmy lo guardò senza rispondergli, una vena sulla sua tempia lentamente cominciava a gonfiarsi, le narici si allargavano ad un ritmo sempre più frenetico, strinse una mano a pugno e cercò di mettere il tipo dietro il bancone bene a fuoco, nonostante la vista gli causasse non pochi problemi. Fu a quel momento che sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla, incitandolo a sedersi.
“Dai, bevi quest'ultima birra e poi torna in albergo..” Jimmy lo guardò, non riusciva a capirne i lineamenti, riuscì appena a notare i suoi occhi, gli sembrarono verdi.
Accettò la proposta dello sconosciuto e cominciò a bersi la birra, forse anche per cercare di placare la rabbia, la bevve velocemente, talmente velocemente che nello stesso istante in cui la finì se ne pentì di averla bevuta così, senza godersela, nonostante sapeva che non avrebbe più toccato alcol quella sera. Non gli sembrava abbastanza, sentiva ancora le voci attorno a se, non voleva, voleva che tutto diventasse buio, voleva precipitare sul pavimento e restare lì ore, senza che nessuno parlasse, senza che nessuno lo toccasse, voleva cadere.
“Dai ora vai via.” il barman gli indicò la porta.
“Quanto devo pagare?” chiese Jimmy biascicando senza rendersi conto che la sua voce suonava più come un sussurro.
“Ha pagato il signore per te, ora esci e non tornare per favore.” Jimmy si girò a guardare nella direzione dove prima si trovava lo sconosciuto, ma non vide nessuno, scosse la testa e lentamente si alzò, dirigendosi verso l'uscita.
Raggiunse la porta e dopo qualche tentativo per riuscire almeno a poggiare la mano sulla maniglia uscì, lasciandosi gli sguardi della gente ancora dentro il pub alle spalle.
Cominciò a camminare, non aveva idea di dove l'avrebbero portato le gambe, sempre che le gambe lo avrebbero portato da qualche parte. Continuava ad avanzare poggiandosi alle pareti, la vera difficoltà arrivò quando dovette superare la stradina all'angolo del pub, difatti le gambe cedettero e lui cadde.
In quel momento scoppiò a piangere, finalmente era crollato, finalmente stava cadendo nel baratro, lì sull'asfalto bagnato poteva trovare la sua felicità. Decise di lasciarsi andare e si girò di schiena, sentendo la maglietta infradiciarsi nuovamente, sorrise e chiuse gli occhi, voleva che l'oscurità lo inghiottisse, voleva che la notte lo portasse lontano, cullandolo dolcemente.
Appena cinque minuti dopo una figura minuta e decisamente non troppo alta gli si avvicinò, per un attimo Jimmy riuscì ad aprire gli occhi, ma era come in uno stato di incoscienza e non si rese conto che due braccia lo stavano sollevando dall'asfalto.
L'uomo prese in braccio il ragazzo, avviandosi verso la sua macchina, aprì con qualche difficoltà la portiera del sedile posteriore e, con altrettanta difficoltà lo fece entrare in macchina. Ricordò che il ragazzo aveva detto di alloggiare al Royal Luxury Hotel e fu proprio lì che si diresse. Arrivati all'hotel riprese in braccio Jimmy e arrancò, a causa del peso 'morto' del ragazzo, su per le scale che portavano alla hall. Parò col portiere del turno notturno e gli disse che lo lasciava lui in camera, così salì al terzo piano, arrivò alla camera e non appena entrò lo distese sul letto, si guardò attorno e si morse un labbro, poi tornò con lo sguardo sulla figura mingherlina distesa sul letto, si era raggomitolato e il suo corpo era percorso da spasmi causati dall'eccesso dell'alcol, si ricordò che anche a lui succedeva all'inizio.
“Mi ricordi così tanto tua madre..” sospirò e si avviò verso la porta, gli diede un'ultima occhiata ed uscì, cercando di lasciarsi per l'ennesima volta quella storia alle spalle.

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Capitolo 8
*** Capitolo 05 ***


Si svegliò il giorno seguente in una pozza di sudore, non ricordava nulla se non l'ingresso ad un pub in qualche via sperduta di Los Angeles e la bottiglia di Jack Daniel's davanti a se, apparentemente quelli erano gli unici ricordi rimasti nella mente di Jimmy, c'era riuscito, aveva ripulito la testa da tutti i pensieri e da tutti i ricordi, almeno così pensava e sperava. Non aveva idea di come fosse arrivato in albergo o chi ce lo avesse portato, ma in fondo era contento di ritrovarsi tra quelle lenzuola madide di sudore.
Girò il viso per controllare la sveglia sul comodino e gli sembrò terribilmente presto per le quantità di alcol che aveva ingerito. Si mise seduto, facendo il più lentamente possibile, anche se questo servì a ben poco perché una fitta lancinante alla testa lo colpì nel momento esatto in cui la alzò dal morbido cuscino, cercò di resistere e si mise finalmente seduto, facendo perno sui gomiti per non cadere nuovamente disteso. Si stropicciò gli occhi, sentiva le palpebre pesanti e gli occhi gonfi, appiccicaticci per via della sostanza che secernerono durante la notte. Si spostò sul bordo del letto, facendo scivolare le gambe giù da esso, poggiando i piedi sul ruvido scendiletto, si alzò con la stessa lentezza con cui si era messo seduto, senza staccare le mani dal materasso, gli girò la testa, ma riuscì a restare in piedi. Sentì il bisogno di fare una doccia, così si avviò a piccoli passi verso il bagno, aggrappandosi a qualsiasi cosa, una volta dentro si guardò allo specchio, provò compassione per la figura che gli si rifletteva, la stessa compassione che provavano tutti quando lo vedevano.
Aprì l'acqua del rubinetto e bagnò le mani, passò i polpastrelli sotto le scure occhiaie e lasciò che la matita già sbavata gli colasse lungo le guance, chiuse l'acqua e si levò la maglietta, lasciandola cadere malamente sul pavimento, sbottonò i pantaloni e si liberò pure di quelli, sfilò i boxer aderenti ed entrò nella doccia, abbandonando il corpo contro la fredda parete ammattonata di blu, aprì l'acqua e lasciò che gli scorresse addosso, fredda, pura, limpida e delicata.
L'acqua stava lavando via gli ultimi residui di alcol che sentiva in corpo, cominciava a sentirsi meglio, cominciava a sentire il corpo più vivo e non pesante o senza forze. Chiuse gli occhi e si staccò dalla parete per permettere al getto di finirgli direttamente in faccia, quello fu come lo squillare di una sveglia in pieno sonno, lo svegliò completamente facendogli riacquisire i sensi, liberò il suo volto dai residui neri di matita e lo ripulì del sudore della notte precedente.
Appena decise di averne abbastanza uscì dalla doccia, non sentiva più la testa così pesante, ma continuava a girargli imperterrita, costringendolo ad appoggiarsi al lavabo una volta poggiati i piedi sul tappetino bianco. Avvolse un asciugamano al bacino e tornò in camera per cercare qualcosa da mettersi addosso, ma principalmente qualcosa da prendersi per salutare del tutto i postumi della sbornia.
Aprì il borsone e tirò fuori un paio di boxer puliti, almeno credeva che lo fossero, se li mise, liberandosi dell'asciugamano e continuò a cercare sul fondo del borsone finché non trovò un flacone di aspirine che, fortunatamente, si era portato dietro da Suburbia, lo strinse in una mano e si avvicinò al telefono in camera, chiamò il bar dell'hotel e ordinò un caffè bollente, cosa c'era di meglio della caffeina in quello stato? Si sedette sul letto e nell'attesa che arrivasse il caffè ingoiò due pasticche, non ebbe nemmeno il tempo di posare nuovamente il flacone nella sacca che bussarono alla porta, si incamminò lentamente ed aprì, prese il caffè, biascicò un grazie e chiuse la porta in faccia al cameriere, noncurante del fatto che probabilmente aspettava la mancia.
Si sedette nuovamente sul letto ed ebbe una strana sensazione alla bocca dello stomaco, seguita da un brivido lungo la colonna vertebrale, poiché nello stesso istante aveva ingerito il primo sorso di caffè, lasciò perdere, dando la colpa alla bevanda calda. Finito il caffè si stese a letto, chiudendo gli occhi, lasciando che gli ultimi effetti dell'alcool lo lasciassero in pace, nel momento stesso in cui chiuse gli occhi si addormentò, immaginando davanti a se due grandi occhi azzurri, azzurri come le stalattiti ghiacciate che pendono dalle grotte.

Si svegliò nel tardo pomeriggio e il primo pensiero che gli passò per la testa era quel viso. La sbronza non era servita proprio a nulla, non l'aveva dimenticato, l'aveva stampato nella mente, era un ricordo indelebile, lo opprimeva, gli provocava un senso di nausea e soffocamento, nonostante era consapevole che l'alcool non cancellasse veramente i ricordi ci aveva sperato, ingenuamente forse, ma l'aveva fatto, per tutta la giornata, e prima che si addormentasse sembrava anche che stesse funzionando, ma il sonno gli giocava sempre brutti scherzi.
Andò alla finestra e notò che il sole stava già per tramontare, colorava il cielo d'arancio e faceva sembrare le montagne delle fiamme roventi che si avvicinavano al panorama di Los Angeles, il cielo conservava ancora qualche batuffolo di nuvole dalla precedente notte piovosa. Si morse il labbro e si avvicinò alla sedia, prese un paio di pantaloni, una maglietta e li indossò, mise anche le scarpe e per la prima volta da quando era lì non si curò del trucco, come se avesse fretta di uscire, di camminare, di respirare aria pulita o quantomeno diversa dall'aria stantia che c'era ormai in quella stanza.
Lasciò la camera e velocemente anche l'albergo, si sentì subito meglio appena mise piede fuori dalle porte scorrevoli, si incamminò al suo solito verso una meta sconosciuta, a passo lento e regolare, strisciando di tanto in tanto la suola delle converse sui marciapiedi sporchi di mozziconi di sigaretta e vecchie gomme da masticare ormai nemmeno più appiccicose.
Vagò in lungo e in largo, in cerca di qualcosa da fare, un posto da visitare o semplicemente di gente da incontrare, ma era completamente solo, senza nulla da fare, nessun posto dove andare. Questo lo sconfortò per qualche minuto, ma subito dopo fu pervaso da un nuovo senso di euforia che lo portò a continuare a camminare, si sentiva instancabile e continuava a proseguire, senza sosta, finché non arrivò in un parco, uno dei verdi parchi che spezzavano l'equilibrio dei grattacieli e dei palazzi in vetro di Los Angeles, il cartello davanti il cancello in ferro battuto riportava la scritta in rilievo Griffith Park.
Entrò spinto da chissà quale impulso e si andò a sedere in una panchina, poco distante c'era un laghetto e l'area bambini, dove le ultime voci schiamazzanti cominciavano a disperdersi per via delle madri che li richiamavano per tornare a casa.
Jimmy sorrise, si sentiva bene e soprattutto cominciò a sentirsi meno solo, chiuse gli occhi e portò lentamente la testa indietro, sentiva il sole caldo riscaldargli i lineamenti e questo lo faceva sentire ulteriormente bene, era sparito tutto lo sconforto, era sparita tutta la malinconia, continuava a pensare a quella ragazza, ma ora non faceva più male, era quasi piacevole pensarci, così piacevole che se si sarebbe concentrato per qualche minuto sul suo ricordo sarebbe potuto perfino eccitarsi, ma una nuova sensazione gli pervase lo stomaco, quella sensazione che si prova quando hai l'impressione che qualcuno ti stia osservando o seguendo. Aprì gli occhi e rimise la testa dritta, il tempo di riabituare la vista alla luce del sole e mise a fuoco una sagoma che gli sedeva accanto.
Aveva i capelli neri, occhi chiari, ma Jimmy non riuscì a distinguere se fossero azzurri o verdi, le labbra incredibilmente pallide, come il resto della pelle, indossava una canottiera nera in contrasto con le braccia bianche, non aveva alcuna espressione particolare, ma quando Jimmy assunse un'aria interrogativa sul volto dello sconosciuto si dipinse un ghigno beffardo, gli porse la mano e aspettò che Jimmy la stringesse per presentarsi.
“Piacere, sono Johnny..”
“Piacere io so..”
“Jimmy.”
“Come fai a saperlo?”
“Ti conosco. Più di quel che puoi immaginare.”
“Che vuoi dire?”
“Ci siamo già visti Jimmy, tanto tempo fa, quando ancora eri a Suburbia, eri un ragazzino di appena quattordici anni, che tenerezza che mi facevi..”
“Non ricordo.”
“Non fa nulla, ricorderai col tempo..Allora che avevi in mente di fare? Non mi sembra il caso che stai qui seduto senza far nulla, d'altra parte sei a Los Angeles no? Dovresti divertirti ragazzo mio!” Johnny gli mise un braccio attorno alle spalle stringendolo leggermente a se “Ascolta a me ragazzo, dovresti girovagare per la città in cerca di qualche vero divertimento, non un po' di alcool, vero divertimento, capisci che intendo amico? E non struggerti per una tipa che nemmeno te l'ha data nonostante fosse ubriaca”
“Tu come fai..” lo interruppe Jimmy.
“Te l'ho detto ragazzo, so più di quel che puoi immaginare, forse so pure più di quel che sai tu. Però ti dicevo e questo è importante, quindi ascoltami bene ragazzo. Devi divertirti, la vita è uno spasso! Non pensi? Io penso di si, penso che la vita sia uno spasso, però se hai bisogno di tirarti su puoi trovare come divertirti, lo sai cosa intendo ragazzo, lo sai! Ecco, se vuoi, e ripeto, solo se vuoi, posso guidarti io, ti porterò nei posti giusti, ti farò stringere le giuste amicizie, ti farò divertire ragazzo. Ma solo se vuoi, non sei costretto, però, dal momento che io so un mucchio di cose, non per modestia eh, ma io so veramente tante cose ragazzo mio, so pure che tu lo vuoi, non è vero?”
Jimmy stordito da quel monologo effettivamente si ritrovò ad annuire, non sapeva bene perché e quel tipo parlava talmente in fretta che non era nemmeno sicuro di cosa gli avesse detto, ma questo non lo fermò, si alzò dalla panchina in contemporanea a Johnny e lo seguì verso l'uscita del parco, restando poco più dietro di lui.
Camminarono per diversi chilometri, girando in vicoli a Jimmy sconosciuti, ma si sentiva protetto in compagnia di quello strano tipo che aveva conosciuto solo qualche ora fa, la sera stava calando sulla città e le insegne dei locali si accendevano illuminando i volti della gente che passeggiava allegra e spensierata, Jimmy li guardava di tanto in tanto dai vicoli nascosti dove continuava ad inoltrarsi Johnny e pensava fossero delle persone tristi, senza un vero scopo nella vita, ma in fondo lui che ne poteva sapere? Nemmeno lui aveva uno scopo, ne nella vita e nemmeno a Los Angeles, l'unico scopo da settimane di soggiorno gli venne offerto da un perfetto sconosciuto.
Jimmy sentiva la testa pesante, non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo, non accusava la stanchezza nonostante fossero già ore che camminavano a zonzo, eppure sentiva le palpebre farsi pesanti di passo in passo, chiuderglisi lentamente come se qualcuno le tirasse da una cordicella invisibile, però non smetteva di camminare, nemmeno gli passava per la testa di fermarsi o di chiedere a Johnny di fare una pausa, sapeva che dove sarebbero andati era il posto che cercava fin dal suo arrivo, sapeva che Johnny l'avrebbe fatto stare veramente bene, come nemmeno il suo vecchio amico alcool era riuscito a fare, così bene che forse finalmente sarebbe riuscito a dimenticarsi di tutta la sua intera esistenza tediosa.
Finalmente, per grande sollievo di Jimmy arrivarono in uno spiazzo e fu proprio lì, nel bel mezzo di quello che sembrava un vecchio parcheggio che Johnny si fermò, si girò a guardare il ragazzo che lo stava seguendo col passo sempre più lento e solo a quel punto parlò.
“Sai dove siamo?”
“Che cazzo ovvio che no. Sono ore che mi fai camminare come potrei avere solo la minima idea di dove siamo?”
“Nervosetto? Tranquillo ora arriva qualcosa che ti rilasserà.”
Pochi istanti dopo quell'affermazione spuntò da uno stretto vicolo una ford rosso fiammante, con la vernice talmente lucida che sembrava appena uscita dal carrozziere, inoltre a Jimmy sembrò decisamente silenziosa rispetto alle altre macchine che rombavano per le strade della città. La macchina gli si avvicinò lentamente dopo che Johnny gli fece un cenno con la mano, si avvicinò al finestrino e cominciò a chiacchierare animatamente con i due tipi che riempivano l'abitacolo dell'auto, Jimmy non riusciva a sentire cosa stessero dicendo, ma poteva intuire, poteva avere tutte le intuizioni di questo mondo, in fondo era bravo a lavorare di fantasia e nulla glielo impediva. Mentre il ragazzo era perso tra i suoi pensieri, la macchina gli passò accanto sempre in modo lento e solenne, come se le ruote dovessero perlustrare ogni centimetro quadrato d'asfalto sul loro tragitto. Johnny si avvicinò a Jimmy e, dopo un caloroso sorriso che scaldò l'atmosfera che improvvisamente si era fatta tesa e fredda, gli porse una bustina trasparente con dentro una finissima polverina bianca, dai granelli così fini che sarebbero spariti perfino al microscopio, Jimmy la prese senza pensarci più di un minuto e la infilò velocemente nella tasca della felpa che si era infilato mentre lui e Johnny camminavano per i vicoli bui. Il tipo, che ormai per qualche strana ragione sentiva di poter definire amico, gli diede una pacca sulla spalla e cominciò nuovamente a camminare, Jimmy lo guardò, indeciso sul da farsi, non sapeva se si stesse congedando o se aspettasse che lo seguisse per condurlo in qualche altro posto sconosciuto, ma la risposta gli arrivò di li a breve, l'amico si girò a guardarlo proprio quando raggiunse l'angolo di un vicolo che però sembrava tornare verso la strada principale, e con un abile gesto della mano lo incitò a seguirlo, così Jimmy, come attratto da una forza esterna che lo costringesse misteriosamente a seguirlo, si incamminò, tornando a seguire Johnny, con lo stesso passo svelto dell'andata, però questa volta sapeva o forse aveva solo un presentimento di dove stessero andando. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 06 ***


Stava lì da almeno mezz'ora, intento a fissare la bustina di finissima polvere bianca che aveva poggiato sul letto, proprio di fronte a se. Stava seduto in quella strana posizione che lo faceva sentire al sicuro, la schiena poggiata contro la testiera in ferro battuto del letto, le ginocchia al petto, strette tra le braccia che le tenevano ferme, il viso assente, gli occhi fissi in un unico punto, sembravano essere senza vita, spenti, e non poteva mancare il labbro inferiore stretto tra gli incisivi leggermente ingialliti per via del tabacco. Chiuse gli occhi per un istante che gli sembrò eterno e gli bastò per convincersi che era tutto un errore, che non doveva spingersi a tanto, che forse la vera ed unica soluzione era tornare a casa sua, tornare a quella vita ridondante, rivedere le solite facce, dimenticare quell'esperienza a Los Angeles.
“Cosa credi di fare?” solo quando quella voce graffiante e da tono pacato irruppe nella stanza Jimmy alzò lo sguardo, distogliendolo dalla bustina, non si ricordava della presenza di J., non si era nemmeno accorto che era lì, non riuscì a rispondere per la sorpresa, com'era possibile che fino a qualche secondo prima non aveva avvertito nemmeno il respiro di un'altra persona in quella camera? Jimmy scosse la testa cercando di snebbiare la mente dai vari pensieri su J. che stavano cominciando a prendere strada.
“Cosa credo di fare? Dimmelo tu visto che sai tutto di me”.
J., leggermente scosso dalla sua risposta, si mise dritto sulla poltrona e si ricompose per cercare di riottenere il suo tipico tono pacato, sorrise debolmente e fece un cenno con la mano al ragazzo dal viso impaurito che dondolava impercettibilmente sul letto.
“Credo che tu voglio tirarti indietro e tornare a casa, credo che dopo tutti i soldi spesi per quella roba dovresti essere più rispettoso e cercare di andare fino in fondo, credo che tu in verità lo voglia fare veramente, anche se continui a ripeterti di no, vuoi arrivare in fondo, però credo anche che tu sia troppo codardo per andare realmente fino in fondo, quindi chi lo sa, magari ora prenderai la siringa che hai comprato in farmacia proprio a due isolati da quest'hotel e farai quello che devi fare, oppure chiuderai tutto nel cassettino del comò, butterai tutto di fianco alla bibbia e andrai via da questa camera, la decisione spetta a te, non sono nella tua testa, non posso decidere io al posto tuo.”
“E' che non riesco a capire cosa mi abbia spinto a questo, ho come un vuoto, non so come ci sono arrivato, io ho seguito te, ricordo solo questo, ho dei vuoti immensi su quello che è successo prima di ritrovarmi qui seduto a fissare quella busta d'eroina, è una dose sola, è lo stesso quantitativo che si iniettava quel decerebrato di James, non so perché quella dose sta sul mio letto, sembra lei che fissa me e non il contrario, io non ci sto capendo più nulla J., è tutto così confuso..”
J. si alzò dalla poltrona, senza risparmiarsi uno sbuffo, si sedette ai piedi del letto e guardò prima l'eroina e poi Jimmy, dritto negli occhi, così intensamente che il ragazzo, dopo solo pochi istanti, fu costretto ad abbassare lo sguardo.
“Senti Jimmy, tutto quello che hai fatto nell'arco della giornata lo hai fatto di tua spontanea volontà, sei stato tu a chiedermi di accompagnarti da qualche spacciatore, sei stato tu a dirmi che volevi iniettartela invece che sniffarla e ti sei fermato in farmacia, tu hai chiesto il limone al cameriere della sala e mentre era distratto hai preso un cucchiaio da un tavolo, hai fatto tutto tu, ora ricordi?”
“Io..Si, credo di si..” sospirò, era andava veramente così, inutile che si raccontasse storie, inutile farsi prendere dal panico, era ciò che voleva fare, e chissà da quanto tempo voleva farlo, l'incontro con J. era stato, per così dire, una fortuna, l'aveva finalmente convinto, finalmente aveva trovato il coraggio per dire addio una volta e per tutte alla parte più debole della sua anima, con quella sola dose sapeva, pur non essendone certo, che avrebbe dato inizio ad una nuova vita che lo avrebbe reso una persona migliore, non era in cerca di un cammino di autodistruzione, voleva solo iniziare del tutto la sua nuova vita, i primi passi li aveva già fatti, ora restava quello che forse sarebbe stato definitivo, e tutto grazie a J.
Lentamente e con quel saporaccio, che da tutta la giornata lo accompagnava, in bocca prese il limone tagliato a metà, guardò i filamenti della polpa gialla, ogni movimento sembrava rallentato, ogni piccolo gesto sembrava durare secoli, avrebbe voluto che fosse durato poco, avrebbe voluto che in un batter di ciglia si sarebbe ritrovato steso nel letto, con finalmente entrambi i piedi al di là della soglia della sua nuova vita, ma il tempo, tiranno come sempre, gli giocava brutti scherzi. Tirò fuori dalla tasca della felpa il cucchiaio rubato dalla sala pranzo dell'hotel e ci spremette due, tre gocce massimo, di limone, in quelle poche gocce fece scivolare, dalla bustina che aveva appena preso, quella finissima polverina bianca, lasciando che si mischiasse col liquido, infine, preso l'accendino dal comodino, cominciò a scaldare il composto che cominciò ad assumere un colore marmoreo, di un bianco pallido, opaco, candido. Jimmy, con un nodo alla gola e una sensazione che gli attanagliava lo stomaco, prese la siringa e, una volta lasciato cadere l'accendino sul letto, risucchiò tutto il liquido nel piccolo tubicino di plastica trasparente, cercando di non perdersi per strada nemmeno la minima goccia di eroina, cercando di racimolare ogni misero grammo di quell'unica dose.
Poggiò temporaneamente la siringa sul letto, dopo essersi accorto di non avere nulla a portata di mano per prendersi la vena, si alzò e cominciò a frugare tra i vestiti sparsi, in ogni angolo della camera, col cuore che batteva sempre più veloce e la mente che continuava a ripetergli 'sbrigati o perderai la tua occasione', quasi come un mantra. In quel momento si ricordò di indossare la vecchia cintura in cuoio marrone, non era certo un laccio emostatico e stringerla attorno al braccio abbastanza da far gonfiare le vene non era certo un gioco da pivellini, era una cosa più adatta ad esperti, ai padri dell'eroina, ai capi di quel mondo, robe da duri insomma, ma il nervosismo per l'attesa infinita gli fece buttare all'aria ogni principio morale di quel mondo che conosceva a mala pena e, dopo essersi seduto nuovamente sul comodo materasso scricchiolante, si avvolse la cintura attorno al braccio, poco più su del gomito, continuando a stringere più che potesse per riuscire a gonfiare le vene il più possibile.
Lentamente il suo braccio cominciò ad essere solcato da nitide vene che coloravano la pallida pelle di Jimmy di un appena visibile verde-blu, a quel punto prese la siringa e solo in quel momento qualcosa nel suo cervello si inceppò. Era lì, immobile con la siringa in mano, il braccio che cominciava a dare fastidio per via della cintura stretta, la lingua secca, gli occhi semi chiusi, lo stomaco in subbuglio, fissava il suo braccio incessantemente, così intensamente che riusciva a vedere il pulsare delle vene e lo scorrere del sangue all'interno di esse, era consapevole del fatto che voleva darsi una mossa, ma non ci riusciva, non sarebbe mai riuscito a bucare la sua stessa pelle, a tirare quella goccia di sangue dalla vena per capire se l'aveva trovata, ad iniettarsi l'eroina in corpo, non ce l'avrebbe mai fatta, era troppo debole, con un piede ancora troppo ben piantato nella sua vecchia vita, con quel briciolo di coscienza che gli era rimasto che lo pregava di tornare indietro, di cambiare la sua vita nel modo giusto, non scegliendo scorciatoie su scorciatoie.
“Ho capito..” J. gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, Jimmy alzò lo sguardo sull'amico, uno sguardo misto tra lo spaventato e l'impaziente, così J. gli prese la siringa dalla mano, afferrandola saldamente, con una maestria che lo faceva sembrare un infermiere esperto, gli passò una mano sul braccio alla ricerca della vena migliore da bucare e alzò lo sguardo sul ragazzo.
“Fidati di me, non devi aver paura, quel mondo è meglio di qui..”
“Liberami, non lo sopporto più, liberami J...” e così, come in un esplosione di una qualche canzone pop punk che dalla melodia tranquilla e armoniosa passa ad una melodia struggente e graffiante, J. gli bucò la vena, spingendo il freddo ago all'interno del braccio di Jimmy, tirando qualche goccia di sangue per assicurarsi di averla presa, iniettando poi il liquido biancastro, ne troppo lentamente ne troppo velocemente, ma quel tanto che bastava a Jimmy per sentire il liquido che si mischiava col sangue, ma non di provare dolore. Una volta estratta la siringa, Jimmy istintivamente poggiò un dito sul piccolo buco gonfio, esercitando una leggera pressione col pollice della mano destra, J. lo guardava con uno sguardo quasi soddisfatto, lo stesso sguardo che potrebbe avere un padre nel vedere il proprio figlio vincere una partita di baseball, uno sguardo d'orgoglio che nessuno prima d'allora aveva mai rivolto a Jimmy.
“Mi sento strano..ma sto anche bene, è piacevolmente sopraffacente..”
Il ragazzo si distese, lasciando che l'eroina circolasse liberamente nel suo organismo, chiuse gli occhi, ma si ritrovò un'immagine che conosceva fin troppo bene davanti, quegli occhi azzurro cielo lo fissavano sorridenti, pronti ad accompagnare la sua notte di sogni, ricordandogli che lo avrebbero seguito ovunque, pure in quel nuovo mondo, pure lontano miglia di distanza, non importava il tempo, non importava il luogo, quell'ultima visione prima di crollare in un sonno profondo o forse in una specie di stato di trance, gli ricordò che quei grandi occhi acquamarina l'avrebbero accompagnato per sempre, per tutta la sua vita, sarebbero stati li presenti, pronti a fargli passare una notte tra le braccia della donna che amava, l'unica che aveva mai realmente amato, l'unica per cui si era spinto così oltre da oltrepassare una volta per tutte la soglia di divisione tra il vecchio e il nuovo mondo di Jimmy.

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Capitolo 10
*** Capitolo 07 ***


Erano seduti al bancone da ormai quasi due ore, parlavano del più e del meno, scambiandosi di tanto in tanto effusioni che non sfuggirono allo sguardo attento di J. che li guardava da un tavolino in fondo alla sala, e più vedeva Jimmy fare passi avanti, più esultava stringendo il pugno sotto il tavolo.
“Mi sei quasi mancato in questi giorni..”
“Quasi?..”
“Si.. Quasi..” Jimmy vide quei due grandi occhi azzurri, che questa volta erano realmente di fronte a lui, avvicinarsi lentamente, sempre di più, a pochi millimetri, riusciva a scorgerne ogni sfumatura, ogni sfaccettatura, se si concentrava abbastanza perfino i minuscoli capillari che sferzavano il bianco, i nasi dei due si sfiorarono e le labbra dei due erano talmente vicine che fremevano già per il desiderio, Jimmy le mise una mano sul ginocchio, cercando di essere più cauto possibile, lei gli sorrise e questo lo incoraggiò, non solo ad avvicinare il viso al suo finché non sentì le sue labbra toccare leggermente quelle di lei, ma anche a stringerle delicatamente la mano che teneva sulla sua coscia.
“Vieni con me..” Jimmy si alzò, porgendole la mano che lei prese, si alzò anche lei e insieme uscirono dall'angusto locale che ormai si era riempito di gente.
Uscirono e Jimmy la guidò proprio sul retro del locale, in una stradina abbastanza tranquilla per continuare quello che avevano lasciato in sospeso davanti a troppi occhi indiscreti, ma lei lo fermò tirandolo leggermente dal polso.
“Non qui..può uscire chiunque dal retro..”
“Voglio solo le tue labbra.. Una seconda volta.. Come quella prima sera..” lei quasi sorrise, lasciandosi incantare per un attimo dalle parole del ragazzo, ma tornò subito sulle sue, riassumendo quell'aria quasi altezzosa di cui Jimmy pareva essersi innamorato.
La prese dai fianchi dopo essersi poggiato con la schiena al muro del Lighthouse, ignorando le proteste della ragazza, l'avvicinò a se e a lei scappò un risolino, le accarezzava i fianchi morbidi, perfetti secondo il suo parere, i due cominciarono a mangiare la distanza tra di loro avvicinandosi sempre di più, cancellando, millimetro dopo millimetro, l'aria che li separava, finché le loro labbra non furono nuovamente abbastanza vicine da toccarsi leggermente, Jimmy passò una mano dal fianco della ragazza alla sua nuca, intrecciando i capelli tra i ricci neri, il contatto tra le labbra dei due divenne costante, finché lei, stufa dell'attesa, prese l'iniziativa e dischiuse le carnose labbra rosee, lasciando spazio alla lingua di Jimmy di venire in contro alla sua, così si baciarono, come quella prima sera, con la stessa passione, con gli stessi desideri di spingersi oltre quel caldo bacio alla luce di un lampione.
Qualche secondo dopo Jimmy sentì la mano della ragazza scivolare sul suo inguine, soffermandosi sul cavallo dei suoi pantaloni, curiosa di scoprire cosa nascondesse quella stoffa nera, a quel gesto non resistette e dopo averle morso il labbro, due volte di seguito, le prese la mano, bloccando quelle che stavano diventando delle quasi fastidiose carezze, e incrociò le dita.
“Facciamolo per bene..” le sorrise e senza nemmeno darle il tempo di rispondere decise di avviarsi verso la strada di ritorno al suo albergo.
Raggiunsero una fermata dell'autobus e aspettarono pazientemente quello che li avrebbe portati all'albergo, per risparmiare tempo che entrambi sapevano essere prezioso, in quel frangente, mentre erano seduti su una logora panchina leggermente bagnata per via dell'umidità della sera, lasciarono che la passione li travolgesse di nuovo, ricominciando a baciarsi, lasciando che i propri corpi si riempissero di desiderio, carezzando a vicenda le poche parti scoperte dei loro corpi, braccia, guance, lui perfino le cosce di lei, ma ben presto furono costretti ad interrompere per l'ennesima volta quella danza sontuosa:
L'autobus si fermò davanti la fermata e i due si affrettarono a salire, nonostante la tarda ora della sera tutti i posti erano occupati e i due restarono in piedi. Jimmy allungò un braccio e si aggrappò al poggiamano logoro, mentre lei si aggrappò a lui, reggendosi al suo braccio, il tragitto fu abbastanza breve e dopo qualche minuto l'autobus si fermò di fronte la fermata vicino l'albergo di Jimmy, così i due scesero e si affrettarono a percorrere gli ultimi metri che li dividevano da un posto tranquillo.
Raggiunto l'albergo salirono in camera, e appena fuori dalla porta le loro labbra tornarono a fremere, desiderare, toccarsi, mentre Jimmy indietreggiava nella stanza dopo essersi chiuso la porta alle spalle, poggiò le mani sui fianchi leggermente accentuati della ragazza e li carezzò, alzandole lentamente la maglietta, scoprendo la sua pelle candida, lei lo fermò, prendendogli entrambi i polsi, lo guardò negli occhi e gli fece cenno di stendersi a letto, lui, come un serpente ipnotizzato da un incantatore si stese senza batter ciglio, lasciando il gioco in mano alla ragazza.
“Mi piaci..”
“Non sprecare fiato, ne avrai bisogno questa notte..” rise lei mentre si metteva a cavalcioni su Jimmy, lo guardò con un ghigno beffardo sul viso, si sfilò la maglietta lasciando scoperto il seno prosperoso, lui la guardò con desiderio crescente, gli bastò così poco per risvegliare quell'istinto che da un paio di settimane aveva tenuto a bada, gli bastò la vista del seno, solo quello, ma l'uomo, ingordo per natura, desidera di più, Jimmy voleva averla per se, quella notte e le altre mille a seguire, voleva carezzare ogni angolo della sua pelle, desideroso di scoprire ogni millimetro quadrato di quell'epidermide pallida.
Mentre i pensieri di Jimmy vagavano svegliando in lui una passione tutta nuova, le mani della ragazza armeggiavano con la cinghia della sua cintura borchiata, della quale si liberò pochi istanti dopo. Tra le loro labbra c'era un tocco continuo e focoso che si ripercuoteva su tutto il corpo di entrambi, liberando scariche di adrenalina ed eccitazione ad ogni minuto che passavano intenti a liberarsi dell'inutile stoffa che intralciava la coronazione di una passione carnale che li aveva incendiati fin dal primo istante in cui si guardarono negli occhi.
“Ti ho aspettata così a lungo..”
“Parli troppo sai?..” cominciò a scendere le dita affusolate sull'inguine di Jimmy, percorrendo lentamente il suo petto e successivamente il suo ventre, non staccava gli occhi dai suoi, volendosi godere ogni reazione del ragazzo, un brivido gli percorse la schiena quando i polpastrelli di lei giunsero nel punto più delicato del suo corpo e finalmente anche Jimmy si decise a fare la prima mossa, carezzandole e palpandole i seni.
Sembrava quasi un dilettante, un ragazzino alle prime armi, era imbambolato dalla visione di quel corpo perfetto sopra di lui, era completamente in estasi, mentre lei, lei era la donna più passionale che avesse mai conosciuto.
Continuarono a stuzzicarsi a vicenda, lei prevaricava sul corpo esile di Jimmy, completamente abbandonato al suo volere, l'aveva rapito, l'aveva in pugno e non sembrava intenzionata a demordere, così andò avanti per qualche minuto, mentre il sudore cominciava ad imperlare le loro fronti e il respiro di entrambi si faceva lento ed irregolare, così come il battito cardiaco, che però, al contrario del respiro, accelerava, e accelerava, e accelerava sempre di più, continuavano a danzare quella danza instancabile, finché la passione non li travolse del tutto, lasciando che il corpo dell'uno si abbandonasse al corpo dell'altra, tra movimenti di bacino lenti ed eleganti e colpi più decisi e frastornanti.
Così i minuti passarono, mentre i due si avvicinavano sempre di più all'apice della loro passione, lasciandosene completamente inondare.
Si ridussero ad essere due corpi deboli e sudati stesi l'uno di fianco all'altro, a guardare il soffitto bianco e anonimo della camera 306, mentre le luci della città si spegnevano e così anche le abat-jour sui comodini delle altre camere.
Jimmy fece strisciare una mano tra le lenzuola, alla ricerca della mano di lei, la strinse, incrociando le dita, lasciandosi scappare un sorriso soddisfatto, si sentiva come se la vita fosse ricominciata veramente, come se stesse scrivendo un nuovo capitolo di quell'avventura che sembrava avergli portato solo tanti guai, ma ora era lì, su un materasso scricchiolante, al fianco della ragazza che amava, con una vita di delusioni alle spalle e una vita di sogni e speranze davanti, e tutto questo grazie a J.
Fu proprio quando il pensiero di Jimmy si soffermò sulla figura misteriosa dell'amico che ricordò cosa doveva fare, cosa sarebbe servito per permettergli di passare tutta la sua vita in compagnia di lei. Le lasciò la mano, delicatamente, mettendosi poi seduto sul bordo del letto, tutto d'un tratto si sentiva combattuto e cominciò a chiedersi se era proprio necessario farle attraversare la soglia del nuovo mondo, quasi come la volesse proteggere.
“Che fai Jimmy?” la ragazza aprì gli occhi e rivolse lo sguardo alla figura ricurva del ragazzo.
“Nulla, fa caldo distesi non trovi?..” deglutì a fatica, un peso alla bocca dello stomaco stava cominciando a tormentarlo.
“No, si sta bene! Dai torna a letto..” Jimmy come rapito dalle sue parole indietreggiò tornando vicino a lei, poggiando la schiena alla spalliera del letto e guardando dritto di fronte a se.
“Contenta?..”
“Abbastanza..” sorrise lei poggiando la testa sulle sue cosce e alzando lo sguardo verso lui “..sicuro di stare bene? Sei più pallido di quanto tu non sia di solito..”
Jimmy senza aggiungere altro lasciò che lentamente la testa della ragazza ricadesse sul letto e si avvicinò alla sedia dove aveva appoggiato i suoi pantaloni, li prese dandogli una sistemata e cercò qualcosa nelle tasche, sapeva che non sarebbe mai riuscito ad arrivare fino in fondo, ma sperava che la sua idea bastasse.
“Che cerchi?” cercò di sbirciare curiosa.
“Penso sia ottimo per un post sesso coi fiocchi..” si girò di nuovo verso di lei e le mostrò la bustina contenente quell'invitante e sottilissima polvere bianca, le sorrise beffardo, di punto in bianco aveva acquisito una sicurezza che fino a qualche minuto prima non avrebbe mai detto far parte di se, si accese una scintilla nei suoi occhi cristallini che cancellò ogni traccia del Jimmy spaesato, le vene del collo gli si gonfiarono leggermente e il respiro si fece pacato, il tempo sembrava essere rimasto in sospeso tra loro e quella bustina di pura eroina.

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Capitolo 11
*** Capitolo 08 ***


Rivolse lo sguardo fuori dalla finestra, il sorriso aveva preso in affitto le sue labbra e sembrava averlo costretto in una paralisi, la giornata era piacevolmente fresca, senza troppi raggi a riscaldare l'asfalto di Los Angeles, ma nemmeno troppe nuvole a coprire l'azzurro cielo.
Jimmy si alzò dal letto e decise di fare una doccia veloce per poi uscire a godersi quella giornata d'autunno, si sentiva particolarmente bene da un paio di giorni e aveva sempre più voglia di passare le giornate in giro per la città, su uno dei tanti pontili sulla baia, o addirittura al parco, lo stesso parco dove conobbe J.
Finita la doccia, con i capelli ancora gocciolanti e la pelle rossa per il calore dell'acqua, si vestì, aveva voglia di parlare col suo unico amico, con l'unica persona che gli aveva fatto ottenere ciò che da sempre stava cercando, lei, la donna per la quale aveva perso la testa, la donna che gli aveva ridato il sorriso, la stessa donna che gli aveva ridato la forza per combattere, per non arrendersi nuovamente, per non arrendersi come aveva sempre fatto, così, allacciata l'ultima scarpa, preso il portafogli e il pacchetto già rovinato di Malboro rosse, uscì dall'hotel, non sapeva dov'era diretto, ma sapeva che se avesse cominciato a camminare a zonzo per le strade di Los Angeles quello strano legame che già altre volte l'aveva portato a J. glielo avrebbe fatto ritrovare.
Tanta fretta aveva in corpo, si sentiva come in astinenza, che fosse solo la rota mattutina o che fosse solo il desiderio ardente che aveva preso dimora nel suo stomaco? Ad ogni modo il suo passo era più affrettato di quanto non fosse di solito e le dita così frenetiche dentro le tasche dei suoi pantaloni che ad un certo punto cominciarono a tirare piccoli fili di cotone dalla fodera.
In quello che potrebbe essere considerato un tempo record, Jimmy raggiunse lo stesso molo dove si era baciato quella prima volta con la causa dei suoi sorrisi e dei suoi disordini psichici. Come ben sapeva, J. era lì che lo aspettava già da chissà quanto, d'altronde non si vedevano da quella meravigliosa notte.
“Hey..”
“Ciao ragazzo..” J. lo guardò, sul suo volto un'espressione un po' amara e cupa, i suoi occhi bassi, ma le labbra sempre increspate in un sorriso.
“Oh J. mi sei mancato, devo raccontarti così tante cose..”
“Immagino Jimmy.. Vieni con me..” J. si avvicinò ad una panchina, e vi si sedette in attesa del fiume di parole di Jimmy “..raccontami tutto.”
“Beh, lei è fantastica.. I suoi occhi sono colore del cielo.. J. è speciale, lo so, mai nessuna mi aveva trattato come mi tratta lei, è gentile, è simpatica, è intelligente.. Ed è tutto merito tuo se adesso lei è al mio fianco..”
“Jimmy, Jimmy, Jimmy.. parli come un ragazzino innamorato..” sorrise appena, guardando il ragazzo negli occhi.
“Beh.. Forse lo sono.. Si.. Voglio dire.. lei è una ragazza straordinaria e il mio mondo è sempre stato così inutile e la mia vita così piatta e ora lei sta sconvolgendo tutto..” J. gli mise un braccio attorno alle spalle e guardò il cielo.
“Sono fiero di te, sei riuscito ad uscire da quel tunnel di noia e monotonia che ti stavi portando dietro da Suburbia..”
“Cosa?” Jimmy lo guardò, con sguardo interrogativo.
“Cosa?”
“Non ti ho mai detto da dove vengo..”
“Hey..” J. rise nervosamente “Io so tutto ricordi?..” sorrise amaramente, cercando di aggrapparsi dietro quella menzogna.
La verità era che ne sapeva tanto quanto Jimmy, della vita, sapeva quelle poche cose che qualsiasi persona sa, l'unica differenza dal ragazzo era la sua spigliatezza e spontaneità, J. era riuscito a farsi strada in un mondo dal quale Jimmy si stava solo facendo risucchiare e non ha fatto altro che impedirglielo, ma J., della vita, sapeva poco e niente.

Guardava il soffitto della camera, la siringa gocciolante poggiata sul piumone azzurro dell'hotel, macchiato da qualsivoglia liquido, corporeo e non, chiuse gli occhi, era particolarmente nervoso quella sera e il fatto che il cellulare ancora non squillasse lo innervosiva ancora di più, si alzò per controllare il buio scendere su Los Angeles, con le gambe leggermente tremolanti per il lungo riposo al quale erano state sottoposte, proprio quando decise che sarebbe uscito a vedere se fosse al pub il telefono della camera squillò e si affrettò a rispondere, la conversazione fu breve e concisa e il risultato di essa fu una visita non molto inaspettata.
Jimmy l'aspettò davanti la porta, con un sorriso ebete stampato sul volto, già desideroso più che mai, non appena lei arrivò sul pianerottolo gli sorrise da lontano e lo raggiunse con pochi, lunghi passi.
“Scusa se ho fatto tardi, ho dovuto recuperare quel teppista di mio cugino da un pub..” si sporse in avanti per baciargli la guancia e Jimmy, ricambiò uno sguardo fugace, entrando poi in camera.
“Come ti senti?” chiese lei dando un'occhiata in giro, finché il suo sguardo non si posò sulla siringa ingiallita dai troppi usi.
“Dovresti smetterla di usare quella siringa o ti verrà qualche infezione idiota..” lo abbracciò da dietro, cingendogli la vita con le sue esili braccia.
“Mi sei mancata..” fu l'unica cosa che disse, con lo sguardo perso nel vuoto e la mente da tutt'altra parte, la ragazza a quel punto sciolse l'abbraccio e si avvicinò al letto, prese la siringa e la buttò nel cestino.
“Domani ne vado a comprare una nuova, rischi già tanto anche senza siringa infetta..” si morse il labbro, cominciava a preoccuparla quel suo abuso, ma si sentiva incapace di impedirgli di bucarsi, “Ti va di riposare un po?”
“No.. Ho riposato tutto il giorno..” la sua voce era pacata e flebile, si girò a guardarla e le sorrise, i denti leggermente ingialliti per l'igene che trascurava da due giorni, lei si distese a letto, dopo aver scostato il piumone logoro, gli fece cenno di stendersi accanto a lei, così Jimmy, senza troppe storie, si distese, poggiando la testa al petto della ragazza, sentendosi per la prima volta dopo tante ore al sicuro e realmente protetto.
“Sei strano da un paio di giorni Jimmy..”
“Due per la precisione..”
“Già.. Due.. Che ti succede?”
“Ho fatto un sogno..”
“Che sogno?”
“Non voglio parlarne..” a quelle parole il silenzio calò e così anche il buio che prese il sopravvento sull'ultimo bagliore pomeridiano.
“Jimmy non mi hai mai detto nulla di tua madre..” lo sentì irrigidirsi.
“Non c'è molto da dire, è una stronza che ha deciso di buttare la sua vita.. Senza alcun rispetto nei miei confronti.. Una grande urlatrice..” sbuffò, già stufo della conversazione sui parenti.
“E..” tentennò lei mordendosi il labbro.
“Cosa?”
“E tuo padre?” a quel punto Jimmy si alzò, mettendosi seduto con la schiena ben dritta.
“Che ti interessa di mio padre?” digrignò i denti.
“Nulla.. Io.. Non l'hai mai nominato..”
“Perché non ho mai avuto un padre chiaro!? Perché non ti fai i cazzi tuoi!? Mio padre non esiste, per quanto mi riguarda potrei essere figlio del primo che passa e non mi importa nemmeno chiaro? Sto bene così come sto, non ho bisogno di nessuna verità, non ho bisogno di nessun padre, non ho bisogno di affetto, ho bisogno solo di un'altra pera cazzo!” si alzò di scatto dal letto, il volto rosso per la rabbia e le vene della gola gonfie per lo sforzo, cominciò a frugare nervosamente nella valigia, in cerca di una dose, ma non trovò nulla, passò ai vestiti sporchi e usati sparsi per tutta camera, anche lì nulla, i cassetti dei comodini e anche quelli dell'armadio, nulla, la rabbia continuava a crescere e stava quasi per trasformarsi in panico, cadde in ginocchio di fronte all'armadio, mentre le lacrime cominciavano a rigargli il volto e la ragazza, sconvolta da quanto accaduto in soli trenta secondi, si alzò titubante per cercare di farlo calmare.
“Jimmy..”
“Non ho bisogno di nessuno! Io posso vivere da solo! Io sono forte.. Io sono forte.. Io non ho bisogno di nessuno..” si piegò in avanti, lasciando che le lacrime bagnassero la moquette impolverata, nascose il viso tra le mani e lei lo abbracciò mettendogli un braccio attorno le spalle, si morse il labbro poggiando la testa sulla sua schiena e cercò di provare tutto quel dolore che quel corpo minuto conteneva, ma nemmeno la sua fervida immaginazione poteva riuscire a farglielo provare, non poteva lontanamente sapere cosa succedeva in quel cuore spezzato, in quelle ossa fradice di lacrime, in quel cervello tormentato da troppi dolori per una vita sola.
“Lasciami.. Vai via.. Io posso stare solo.. Non ho bisogno di nessuno..” continuava a ripetere quelle ultime parole, ma lei non lo lasciava, nonostante il nodo alla gola, nonostante la leggera paura per una qualche reazione violenta, nonostante la dovuta confusione.
Si alzò cercando di tirarlo su, lo accompagnò vicino al letto e lo fece sedere, guardandolo triste, lui ricambiò il suo sguardo con gli occhi ancora gonfi di lacrime, allungò una mano verso di lei per carezzarle il volto, ma lei si tirò leggermente indietro.
“Lo capisco se vorrai andare.. Se non vorrai più vedermi.. Sto diventando uno schifo..”
“Dopo quello che hai fatto per avermi non vado da nessuna parte..” sorrise poggiando la guancia contro la sua mano ancora protratta verso il suo viso, piccole gocce cristalline cominciarono a scorrere lungo le guance della ragazza, così stanca di tutto quel male nel mondo.
Jimmy socchiuse gli occhi, cercando di scacciare nuovamente il ricordo di suo padre, ricordo riaffiorato proprio due giorni prima, proprio dopo quel sogno, non voleva parlarne, non sapeva nemmeno lui cosa dire, non sapeva se suo padre era morto, se era vivo, non lo sapeva, non aveva risposte su una che è una delle certezze dei figli, non aveva risposte sulla figura paterna della sua vita, non l'aveva mai avuta quella figura paterna, mai due ceffoni da mani di un uomo che gli volesse veramente bene, solo fidanzati di poco conto della madre sempre più frustrata e depressa; mai un abbraccio dalle braccia di un uomo maturo che non fossero quelle del suo professore di arte, l'unico che l'aveva sempre apprezzato, l'unico che aveva creduto in lui, l'unico che lo salutò quando decise di lasciare la scuola; mai un sorriso da un viso conosciuto, da un viso che si è visto invecchiare nel corso degli anni; mai nulla di tutto questo, non aveva mai avuto un padre e nemmeno era sicuro di volerlo un padre, voleva solo essere felice, ma come poteva la sua felicità dipendere da un uomo che non era mai esistito? Il suo universo era sempre e solo ruotato attorno la mancanza di quest'uomo? O forse la sua vita era semplicemente avvolta in un mistero che nessuno, oltre sua madre, poteva svelare?

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Capitolo 12
*** Capitolo 09 ***


Riaprì gli occhi dopo qualche ora, non sapeva di preciso quanto tempo fosse passato da quando, con un bacio appassionato, avevano fatto pace, il soffitto bianco fu come un pugno nell'occhio per i suoi occhi ancora stanchi e addormentati, ma a dargli sollievo arrivarono gli occhi solari della ragazza.
“Come ti senti?”
“Meglio..” deglutì lui socchiudendo nuovamente gli occhi.
“E' l'una di notte.. ti sei fatto una bella dormita..” gli diede un bacio in fronte dopo avergli spostato una ciocca di capelli, socchiuse anche lei gli occhi e le scappò un sorriso.
“E ora non ho sonno..” ridacchiò lui abbracciandola.
“Non metterti nulla in testa carino, sono stanca io che ho fatto la veglia ad un ragazzo tanto stupido..” riaprì gli occhi stringendosi tra le sue braccia.
“Uffa non avevo proprio nulla che passava per la mia testa..” cominciò a cullarla dolcemente “Un giorno di questi devo farti conoscere J..”
“Chi?”
“J., è un mio amico, il mio migliore amico..”
“Ma non mi avevi detto che avevi lasciato tutti i tuoi amici a Suburbia?” lo guardò lei di sottecchi.
“Si, ma lui l'ho conosciuto qui, è il mio unico vero amico.. L'altra sera è rimasto qui a dormire..”
“L'altra sera quando?”
“L'altro ieri..”
“Ma se l'altro ieri c'ero io Jimmy..” alzò la testa per guardarlo bene negli occhi.
“Si ma tu già dormivi quando lui è arrivato..”
“Ma che dici Jimmy?..”
“Si, ha dormito sulla poltrona.. Su quella poltrona lì..”
“Jimmy sicuro non fosse un sogno?..”
“Sicuro come la morte!” rise lui guardandola dritto negli occhi “Pensi che mi stia inventando tutto? Lui era lì, lui esiste, sono andato ovunque in città con lui.. E' il mio migliore amico, sa tutto di me..”
“Hey, hey Jimmy non penso che te lo sia inventato.. Solo magari l'hai sognato e sei convinto fosse lì..”
“Ma ti dico di no, c'era.. C'era anche quando ci siamo rivisti al pub..”
“Ma.. Okay.. Ti credo Jimmy, e non vedo l'ora di conoscerlo..”
“Penso ti piacerà sai? L'ho conosciuto poco dopo che scoprissi che tu eri fidanzata e mi ha aiutato tantissimo.. Sai no, ci siamo incontrati al parco, sapeva già tutto di me, è bello quando la gente ti conosce senza che tu le dica nemmeno una parola, di solito è il contrario, la gente non ti conosce nemmeno se stai delle ore a parlare di te stesso, invece lui era lì, seduto accanto a me che sapeva tutto, mi disse che eravamo due persone sulla stessa lunghezza d'onda, insomma è strano no?” lei si limitava a guardarlo, con le labbra appena piegate all'insù, ascoltando quelle parole con in petto un mix di confusione e sgomento.
“Sai è stato lui che mi ha trovato la prima dose, devo tutto a lui, oh si, senza di lui e senza quella prima dose non saremmo qui, insieme.. J. è un po come quel fratello che perdi di vista per anni, ma poi lo ritrovi e sembra che non vi vediate solo dal giorno prima, mi capisci no?” lei annuì, mentre quel discorso portava i muscoli del suo copro ad irrigidirsi sempre di più per gli impulsi del cervello che gli dicevano di stare in allerta.
“Certo ogni tanto è un po' stronzo o meglio cattivo, anch'io sono stronzo però lui lo fa in un modo diverso, lui delle volte ha la cattiveria negli occhi.. ma è così, che colpa posso dargli? Il resto delle volte d'altronde mi aiuta sempre.. Siamo ai poli opposti, per questo siamo così affiatati..”
“Sarò felice di conoscerlo Jimmy..” accennò un sorriso, mordendosi subito dopo il labbro, Jimmy soddisfatto le diede un bacio sulla guancia e si stese, poggiando la testa sul suo cuscino per nulla morbido.
La luce della notte filtrava dal sottile vetro della finestra, era una notte tranquilla, una di quelle che non ti toglie il fiato per quanto è bella, ma nemmeno una di quelle che avresti voglia di chiudere gli occhi e dormire solo per risvegliarti il giorno dopo, ma la ragazza cominciava a sentirsi veramente stanca e si lasciò trasportare da una melodia che risuonava nelle sue orecchie, una melodia che non sapeva da dove provenisse, ma che in pochi minuti la condusse fino al sonno profondo, fino alle braccia di Morfeo.
Ma la notte, cupa e tentatrice, le giocò il brutto scherzo di farla svegliare appena mezz'ora dopo, i suoi occhi scintillavano nell'oscurità della stanza, insieme al rosso rubino della sveglia, liberò un braccio schiacciato dall'esile corpo di Jimmy e andò alla finestra, guardò al di fuori le poche macchine che passavano, gli ultimi pendolari che arrivavano in città, i primi ragazzi che uscivano a divertirsi, la poca vita che restava per le strade di Los Angeles. La sua testa si colmò di pensieri, ripensò alla sua storia con Jimmy, ripensò a quel primo bacio sul pontile, ripensò a quella prima notte, ripensò alle ultime parole di Jimmy, il suo sguardo aveva qualcosa di strano, le sue parole erano strane, quel suo mettersi sulla difensiva, e poi era sicura che Jimmy quella sera fosse solo e anche abbastanza sicura che nessuno l'altra notte aveva dormito su quella stessa poltrona a pochi centimetri da lei, come ultima cosa ripensò all'eroina, ripenso ai suoi denti sempre più ingialliti, ripensò alla pelle pallida sempre più opaca e giallastra, ripensò ai suoi occhi sempre più spenti, si girò a guardarlo e ripensò a quello che l'eroina lo stava facendo diventare, e fu a quel punto che si convinse, e ci vollero solo pochi istanti perché ciò accadesse, che tutte quelle storie, che quegli scleri, quel suo amico, quegli strani atteggiamenti fossero solo cause dirette dell'eroina, che l'eroina gli stesse mandando in pappa il cervello, e in quello stesso momento si sentì come strappata fuori dalla sua vita, come se un vortice la trascinasse al di fuori di questa e le mostrasse, da un punto di vista esterno, come aveva deciso di passare le sue giornate: una squallida camera d'albergo, un eroinomane con fantasmi del passato che non esitavano a farsi vivi, l'eroina, le scopate pessime, i problemi in famiglia, la città dei suoi sogni che ancora non le aveva offerto nulla oltre un lavoro in un super market; e sempre in quello stesso momento, prese la decisione più avventata della sua vita, scappare, ricominciare, andare lontano, tutto da zero.
Si morse il labbro per l'ennesima volta, si avvicinò allo scrittoio pieno di vestiti ed estrasse dal piccolo cassettino sottostante un foglio bianco, con l'intestazione dell'albergo in alto, il classico foglio che mettevano a disposizione di quei turisti un po' nostalgici che passavano molto tempo fuori casa e che ad una semplice chiamata vocale preferivano ancora il fascino della carta macchiata da inchiostro, le aveva sempre trovate alquanto inutili perché non pensava che avrebbe mai conosciuto qualcuno che si sarebbe fermato così a lungo nello stesso albergo, o almeno non così tanto a lungo da poter scrivere un'intera lettera, ma in quel momento le sembrò la cosa migliore da fare, finalmente si sedette e con la schiena ricurva al chiaro di luna cominciò a scrivere con una penna che aveva trovato nello stesso cassettino.
Una volta soddisfatta di quello che aveva scritto, ripiegò la lettera in tre e ci posò sopra un bacio carico d'amore, d'altronde era consapevole del fatto che realmente amasse quel ragazzo, ma la testa le aveva detto di scappare ed era quello che stava facendo, scappava da tutto, da ogni impegno, da ogni responsabilità, dalla vita. Prese la lettera e la poggiò sul comodino di fianco a Jimmy, lo guardò con uno strano nodo allo stomaco, non era il classico nodo che si forma quando ci si sente in colpa per qualcosa o quando si resta male per qualcosa, era un dolore sordo, uno di quei dolori che erano talmente forti da essere quasi impercepibili, si chinò e baciò delicatamente le labbra di quel bel ragazzo dalla pelle chiara e i capelli corvini, lo guardò nuovamente, per l'ultima volta e con quell'ultima occhiata, quell'ultima immagine che sarebbe rimasta per sempre impressa nella sua mente, si dileguò dalla stanza, con la delicatezza di un ninja per evitare di farsi sentire.

Caro Jimmy,
le cose non sono andate come mi aspettavo, forse mi sono buttata in qualcosa che non potevo o non volevo affrontare, forse la vita che mi offrivi tu non era ciò che volevo veramente e mi pento di essermene resa conto solo adesso.
Vivi la tua vita in un modo così estremo che io non riesco a starti dietro, il mondo ruota in modo diverso e questo dovresti cominciare a capirlo, so quanto per te sia stato difficile tutto, ma lasciarsi andare nell'oblio della vita come hai fatto tu non è una buona soluzione, so che ragazzo sei, ho avuto la fortuna di conoscerti veramente, di conoscere chi è il vero Jimmy e sarò per sempre grata a quest'occasione che mi ha dato la vita, ma non posso.. non posso sopportare tutto questo..
Non posso più sopportare di vivere in una stanza d'albergo, di passare le serate chiusa tra queste quattro mura, non posso più sopportare questo disordine, questi vestiti sporchi, queste lenzuola che impedisci che vengano cambiate, di vedere quella siringa in giro per la camera, sempre più sporca, di giorno in giorno, non posso più sopportare i tuoi malumori e i tuoi scleri, non posso più farlo..
Ho paura a lasciarti.. vorrei farlo solo quando avrei la certezza che tu stia veramente bene e che possa cavartela da solo, ma non ce la faccio più ad aspettare.. oggi parlavi di strane cose, mi hai raccontato di un tipo che non esiste, perché quella sera non c'era nessuno con te Jimmy.. quella roba ti sta fottendo il cervello, ti sta mandando in pappa tutti i neuroni, non sei più il ragazzo del quale mi ero innamorata, o almeno del quale credevo di essermi innamorata, i tuoi occhi non sono più gli stessi ed è tutta colpa dell'eroina e non puoi continuare così e ho paura che non ce la farai.. Avrò paura a leggere il giornale perché avrò paura di leggere qualche brutto articolo sul tuo conto, ma prima di lasciarti, prima di lasciare questa stanza, prima di lasciare questo breve, ma intenso, squarcio di vita, voglio dirti che non è mai troppo tardi per tornare sulle proprie orme, non è mai troppo tardi per rimettere a posto la propria vita, basta volerlo, basta lottare, basta non abbandonarsi dall'ozio e alla droga, basta poco Jimmy.. e io mi auguro che potrò rincontrarti tra dieci anni, sorriderti, vederti sorridere, abbracciarti, raccontarti la mia vita e sentire la tua, vorrò sapere tutto quello che succederà dal momento in cui metterò il piede fuori da questa stanza, vorrò sapere che sei vivo e non che la droga ha preso il possesso della tua vita.. la droga non può essere la tua migliore amica Jimmy..
Non posso stare ancora qui.. e non dovresti starci nemmeno tu.. questo posto ti succhia l'anima.. torna da tua madre, parlale, cerca aiuto, non per forza devi abbandonarti a te stesso, butta giù quel muro che ti sei costruito..
Promettimi che cercherai una via d'uscita, promettimi che non ti arrenderai, non è mai troppo tardi..
Grazie per le tante emozioni che in pochi momenti sei riuscito a farmi provare, grazie per l'affetto che mi hai dato, grazie per aver aperto tu gli occhi a me.. ti voglio bene Jimmy, forse ti ho amato, forse ti amo ancora, ma so che non mi dimenticherò mai di te..

Tua per sempre..

Questo fu il risveglio di Jimmy, queste furono le ultime parole che sentì, o meglio lesse, dalla donna che amava, quelle poche righe, che in fondo non sarebbero mai state abbastanza, nemmeno se fossero state centinaia, perché lo stava lasciando, perché era l'ennesima persona che lo abbandonava, perché non c'è un numero esatto di righe da scrivere per lasciare una persona, non ci sono parole giuste per dirle addio, e per Jimmy non c'era modo di incassare quel colpo e restare a testa alta, la vita era una delusione, la vita fotte tutti.
"
Sapessi quante volte quel muro che dovrei abbattere mi ha salvato..” sussurrò lui nella camera appena illuminata dalla chiara luce mattutina.

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