Infera Panormus

di Ornyl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A strapiombo sul mare ***
Capitolo 2: *** Tra le rocce ***
Capitolo 3: *** La casa. ***
Capitolo 4: *** Ave Maria ***



Capitolo 1
*** A strapiombo sul mare ***


A strapiombo sul mare
 Mi appoggio alle grate bollenti di sole,nere come non mai,confini di ferro tra me e la terra e poi il mare e poi altra terra lontana. Quando appoggio le guance però non sento il loro calore,ho il viso fin troppo bagnato di lacrime e sudore per sentirlo bruciare al contatto col ferro.
Guardo fisso davanti a me e il maestrale mi colpisce il naso,la bocca,gli occhi e questi tremano,umidi di lacrime come sono sempre. Guardo fisso in quello spazio tra una sbarra e l'altra:mai è stata così bella quella distesa caotica e bluastra che mi circonda,schiumante e urlante al vento,pullulante di ali di gabbiani e dormiente sotto la nebbia,ma talvolta rabbiosa sugli scogli neri contro cui si scaglia. Ha sempre freddo la mia distesa,unica compagna con cui condividere il dolore,e vuole sempre la sua coperta grigiastra di schiuma e brina: non le basta che questo,sia nei giorni di piatta calma sia nei giorni in cui tremenda s'adira sotto un cielo di lapislazzuli o di cristallo.
Guardo fisso la mia distesa,non mi rimane che lei. E poi torno sui miei passi,girandomi alle spalle.
Non mi ha fatto mancare niente,ha detto Lui: la mia cella è così bella e ricca,con l'alto materasso dalle coperte di broccato,i mobili in legni esotici,i bauli pieni di bei tessuti pregiati e la mia specchiera piena di creme e profumi; Lui dice che il materasso ha lo stesso colore dell'oro e dei fiori del mio giardino,che i mobili vengono da terre lontane che un giorno visiteremo insieme quando mi sposerà,che i bei tessuti e le creme servono a farmi bella per lui appena tornerà a prendermi. Non mi ha fatto mancare niente nella mia cella-odia quando chiamo questo piccolo baluardo,questa piccola torre circondata dalle acque in questo modo: lo so bene perchè me lo ricorda sempre con un ceffone-e  mi ha dato pure un arcolaio e un telaio con cui confezionare il mio abito da sposa per quando tornerà.
Mi ama,Lui dice. E'per questo motivo che mi ha chiusa qui,nella piccola torre dell'isolotto: nessuno mi ucciderà,nessuno mi toccherà,nessuno mi vedrà.
Vuole proteggermi,Lui dice.
Vuole proteggermi per se stesso.
Vuole vedermi con l'abito da sposa quando tornerà,ha detto Lui. Vuole vedermi ferma davanti allo specchio con la mia veste addosso,pronta per andare dall'officiante,candida e pura come mi ha rinchiusa qui dentro e lasciata per mesi. Lui ride quando pronuncia queste parole,sa che nessuno può toccarmi e salvarmi da qui,che nessuno sa che sono qui. Forse nemmeno mamma lo sa,forse mamma pensa che sia morta travolta dai flutti e forse mamma incolpa la distesa,la mia amata distesa del mio rapimento e omicidio!
Sei una donna,ha detto Lui.
Mi ringrazierai con l'amore eterno per tutte i ninnoli che t'ho procurato durante il tuo piacevole ritiro alla torre,per tutte le belle stoffe che t'ho dato per farti apparire più bella.
Ed io appaio più bella allo specchio,senza sentirmi tale.
E gioisce,gioisce ancora.
Sei una donna,mi dice sempre. Non hai la forza di scappare da qui nemmeno se volessi.
Peccato non riesca a vedermi mentre scaravento a terra le sue creme e i suoi profumi,mando in mille pezzi lo specchio ricoprendomi le mani di vetro e sangue,calcio via il suo arcolaio e vi butto sopra il suo telaio. I frammenti di specchio dispersi a terra riflettono i miei occhi-così arrossati! Sarà una tragedia appena mi vedrà!-e la maschera di sudore e,appena mi sfioro le guance con le mani,e sangue.
E magari se divento brutta non mi sposerà più.
E magari se divento brutta mi lascerà libera.
E magari se divento brutta mi ucciderà per averlo ingannato.
Perchè sono donna,Lui dice. E troverà sempre un motivo per uccidermi.
Mi inginocchio dinanzi alle grate,dinanzi al mio altare di mattoni e sbarre di ferro bollente. Stringo con foga le mani intorno ad esse,quasi affondando le unghie nella mia carne.
Il cielo si fa grigiastro e il maestrale spira urlante sull'acqua,increspandola. Le onde crescono sempre più alte,sempre più violente contro gli scogli,contro i confini della mia prigione.
Distesa,mia amata distesa! Io piango e distruggo la mia stanza,tu urli incalzata dal cielo e cerchi di raggiungermi abbattendoti sugli scogli! Mia distesa,mia distesa schiumante e urlante di dolore nel tentativo di salvarmi! Smettila di ferirti,mia compagna di lacrime,smettila di tentare di oltrepassare i confini della mia prigione,sorella mia d'acqua e senza gambe!
Attendimi,mia urlante compagna!
Attendimi mentre tiro fuori dal cassetto la chiave della piccola porta della mia torre,unico mezzo per evadere dalla cella!
Attendimi mentre infilo la chiave nella toppa,la giro in fretta e oltrepasso l'uscio.
Investimi,fratello maestrale! Investi il mio volto con il tuo possente soffiare,unica voce della distesa,mia sorella d'acqua che mi collega alla terra! Investimi,fratello d'aria,mentre il cielo si rannuvola e il sole si nasconde,quasi temesse le mie intenzioni! Guidami con la tua forza,mio amatissimo maestrale,spingimi fino al confine dove posso,con la punta del piede,toccare la mia amata sorella irata per la mia lontananza! Guidami tra le punte degli scogli,tra le insidie dell'erba alta,tra le buche che posso incontrare! Guidami fino allo scoglio più alto,quello da cui sarà più facile ricongiungermi a mia sorella!
Tremanti sono i miei piedi sulla cima dello scoglio biancastro,ultimo baluardo a strapiombo sul mare. Mia sorella urla dagli abissi,urla per mio fratello che tanto la istiga a pregare il cielo per farmi ricongiungere a lei.
Tremanti sono i miei piedi nel salto,e le mie braccia sono immobilizzate e i miei occhi si chiudono.
Tutta m'avvolge mia sorella nel suo umido,schiumante abbraccio. La chiave mi scivola dalla tasca mentre io scivolo via,portata sul dorso dalla mia amata sorella.
Non ho paura di sbattere la testa,non ho paura d'annegare se mia sorella è con me.

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Capitolo 2
*** Tra le rocce ***


Tra le rocce
(si ringrazia FedaTheKiller per l'ispirazione! <3)
Ho addosso le mie scarpe da passeggio e i jeans spessi e lunghi,senza strappi;in spalla ho lo zaino con l'acqua,la macchina fotografica,carta e penna e qualche spicciolo,il mio cellulare invece farà anche da torcia e ho avuto la premura di mettere anche un piccolo set di pronto soccorso. Ho detto a mamma e a papà che andavo a fare un giro per i dintorni,pieni di piccoli boschetti e case abbandonate vicino al mare,e mi hanno dato il permesso a patto che avessi portato tutta 'sta roba.
-Le persone normali vanno a Mondello,al Politeama .. Tu a girare intorno alle case diroccate!-
-Non ci vado oggi,tranquilla ma'-
-E si può sapere dove vai?-
-Lungomare,tra le rocce-
-E se cadi?-
-Non cado,te lo prometto-
Mi hanno fatto andare via sbuffando,facendomi giurare quasi sul mio nome di tornare prima delle sei. Ma guardo l'orologio,sono appena le quattro e mezza: fa caldo ma soffia un fresco venticello dal mare,quindi la temperatura non sarà un problema. Nemmeno il tempo a disposizione lo sarà,due ore bastano e avanzano,soprattutto se mi sussurrano all'orecchio e mi danno una mano.
-Ma vai da sola?-
-E allora? Esco,ciao!-
Perchè appena ho messo piede qui li ho sentiti subito. Appena la macchina di papà ha imboccato il vialetto del molo,spedita verso la nostra casa delle vacanze,si sono fatti subito vivi come magari non lo erano da tempo.
Brividi,sussurri e piccoli lampi nella mente,nel buio dei miei occhi. Mamma e papà non lo sanno ed è meglio che non lo sappiano mai,sennò oltre ad avere una figlia complessata l'avrebbero pure pazza ed invasata. Solo  nonna lo sapeva,ma lo sapeva proprio perchè era come me,perchè aveva intuito che le mie conversazioni sulle battute della settimana enigmistica davanti alla foto del nonno non erano di certo usuali in una bambina di sei anni e mezzo.
Il vialetto davanti casa mia è deserto. A quest'ora,in un giorno qualsiasi dell'estate palermitana,le persone sono immerse nella loro siesta o sono a mare,non qui ovviamente: qui troppe rocce,qui il mare è nero,qui l'acqua è sporca.
Stringo una bretella del mio zaino e cammino a passi veloci. Niente cuffie nelle orecchie,sguardo vigile e capelli in disordine: l'asfalto è più nero che mai,bollente sotto il sole,ricoperto ogni tanto da foglie secche e cartacce. Da lontano vedo il piccolo rettangolo azzurro del lungomare con i suoi lampioni e la ringhiera
una macchina d'epoca forse primi del novecento sfreccia sull'asfalto,lucida e nera come non mai e colma di gente vestita di bianco
e corro per raggiungerla. I miei passi scattanti rimbombano per tutto il vialetto,poi  mi fermo all'incrocio,controllo a destra e a sinistra se ci siano macchine e poi attraverso finchè non raggiungo l'altra sponda del marciapiede.
Sono ferma appoggiata alla ringhiera,con gli occhi fissi sul mare: una tavola color turchese,splendente di verdino e blu scuro talvolta,si stende davanti a me e bacia tranquilla gli scogli che va a lambire,un tutt'uno con l'orizzonte. Qualche piccola barca colorata si spinge un po' più in là appena metto gli occhi sul porticciolo-poco distante ormai-allontanandosi placidamente da esso.
Bevo un sorso d'acqua e riprendo a camminare a passi veloci mentre l'odore di salsedine mi pizzica le narici. Procedo rasente la ringhiera con lo sguardo sempre fisso verso il mare e le orecchie ben tese.
Ogni sussurro,ogni alito,ogni soffio può anche non essere ciò che sembra. Nonna diceva sempre così.
Ho ormai percorso circa cinquanta metri,mi manca un altro po' e il moletto è ancora vuoto,dormiente sotto il sole. Nemmeno le macchine vogliono camminare sotto questo sole fattosi ormai troppo caldo e ho necessità di
non ti fermare,non fermarti,continua a correre ragazzina
fermarmi a bere. Ma è un secondo,non posso fermarmi. Non devo fermarmi.
Ogni ombra può anche non essere ciò che sembra,a' nonna.
Vedo il moletto vicino e accelero la mia corsa,stringendo bene la bretella del mio zaino. Il sudore inizia a colarmi sulle guance e sulla fronte ma poco mi importa,cerco di farmi coraggio ripetendomi che a destinazione finalmente mi fermerò.
Il molo giallino stende il suo braccio di cemento verso il mare,che lo lambisce delicatamente. Qualche barca è ferma a terra,ricoperta dalle reti arancioni e azzurre tutte intrecciate,alcune invece oscillano lentamente sull'acqua,e quel cullare mi arriva all'orecchie insieme agli stridii dei gabbiani in cielo.
Mi siedo incrociando le gambe,appoggiandomi prima sull'asfalto e poi trovando la mia posizione. Prendo fuori la macchina fotografica,carta e penna.
"Giugno,pomeriggio. Il molo sonnecchia e nessuno vi è intorno"poi accendo la mia Nikon e scatto qualche foto davanti a me,tra i pietroni e tra le barche. Click,click,click.
Tutto tace come in un normale pomeriggio d'estate. Non una persona,non un gatto tra le barche e i pescatori son tutti lontani. E' tempo di alzarsi.
Tengo con entrambe le mani le bretelle dello zaino e raggiungo i pietroni. Faccio attenzione a non scivolare e provo a tenere l'equilibrio aprendo le braccia,quasi ridendo di me stessa mentre nessuno è nei paraggi. Finalmente ci riesco e la piccola equilibrista che c'è in me crolla immediatamente,spinta da chissà quale forza che la colpisce alle spalle.
Guarda giù,guarda giù,ai tuoi piedi.
Guardo giù,ai miei piedi. Porto avanti le mani per evitare di distruggermi il naso,poi i miei occhi mettono a fuoco un oggetto tra un roccione e l'altro. Allungo lentamente la mano e lo tiro fuori. poi lo porto davanti al naso per vederlo meglio.
E' una fotografia in bianco e nero,ingiallita e coperta da una patina grigiastra,datata 1916 e bruciata sul lato sinistro. Vi è raffigurata una coppia,marito e moglie nel giorno delle nozze a quanto capisco dai loro abiti,entrambi sorridenti e felici; ma sul ventre di lei v'è una macchia rossa e spessa,dall'aspetto simile alla cera ,
o forse al sangue raggrumato pensaci bene ragazzina,mio Dio cosa hai combinato,metti giù questa diavoleria
a cui vi è incollato un ciuffo di capelli ora grigiastri,ma molto probabilmente un tempo biondi. Forse gli stessi della donnina raffigurata in foto.
Ogni sussurro,ogni alito,ogni soffio può anche non essere ciò che sembra. Nonna diceva sempre così. Peccato che quelli che adesso riesco a sentire,ferma in quella posizione scomodissima,sono urla femminili. Urla di dolore.
Ogni ombra può anche non essere ciò che sembra,a' nonna. Nonna diceva sempre così. Peccato che ciò che riesco a vedere,immobile e madida di sudore freddo con le dita strette intorno a quella piccola foto,è più che un'ombra.
stanza in stile vittoriano pareti gialline e finestra marrone un letto sporco di sangue donne intorno al letto sposa urlante e madida di sudore bacinelle insanguinate lenzuolo insanguinato asciugamano insanguinato dottore al capezzale madre al capezzale marito al capezzale mio Dio cos'ha mia moglie parlate parlate tutti la signora ha abortito non passerà la notte la febbre ormai l'ha presa totalmente qualcuno chiami il parroco per l'estrema unzione ci dispiace signore abbiamo fatto di tutto per salvarla PERCHE' DIO PERCHE'
Fisso un'ultima volta la sposina,o almeno provo a cercarne gli occhi senza alcun successo,solo paura. E' come se qualcuno avesse bruciato il suo volto mentre ero in trace.
Guardo a bocca aperta quel buco dai bordi ramati e una fortissima folata di vento mi investe in pieno,facendomi vacillare sulle mie ginocchia. La fotografia scivola via dalla mia presa e vola lontana,verso il mare adesso leggermente increspato e scuro. Una nuvola sottile ha coperto il sole e il porticciolo dorme ancora sotto una luce adesso grigiastra.
Osservo la fotografia mentre tocca il pelo dell'acqua e si fa cullare dal mare,allontanandosi man mano,e mi faccio il segno della croce. Nonna diceva che allontanasse gli spiriti malvagi e desse a quelli buoni la tanto desiderata pace.
Mi alzo in piedi e guardo lontano,verso i pietroni e verso il mare.
Una brezza fredda mi accarezza la pelle e mi gira la testa.
Io stringo il piccolo rosario di madreperla che ho al polso. Sarà un pomeriggio molto intenso tra le rocce.

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Capitolo 3
*** La casa. ***


La casa
Una volta ho detto a papà di raccontarmi qualcosa di spaventoso accaduto nella sua adolescenza. Era una serena serata estiva rinfrescata dalla brezza che veniva dalla spiaggia e papà fumava placido in veranda. Avevo circa dodici anni e mi annoiavo,stanco persino della PlayStation e di Harry Potter visto per la decima volta. Quando mi vide papà spense la sigaretta nel suo portacenere personale a forma di stella,comprato a Panarea durante il viaggio di nozze.
- Qualcosa di spaventoso,dici? Beh,accomodati sulla sdraio ..-
Mi accomodai e papà schiarì la voce.
- Avevo circa la tua età,forse qualche annetto in più,ed ero in villeggiatura qua a Mondello nella nostra vecchia casa estiva. Io ed alcuni miei amici avevamo deciso di fare una passeggiata in bicicletta,dopo un giretto,c'eravamo fermati davanti al Charleston;uno di loro propose una scommessa:"A chi riesce ad entrare nella Casa,giuro sulla mia bici,offro pizza,patatine,coppa gelato e un goccio di birra,di quella buona eh..! La proposta era allettante,così ci armammo di coraggio e di torce elettriche e verso le otto di sera scendemmo di nuovo da casa per andare alla nostra meta;c'era ancora luce a quell'ora,anche se il sole era tramontato da un pezzo ..Hai presente la villa di cui parlo,giusto Nico? quella davanti al Palace,c'è ancora,quella con il recinto giallo circondata dagli alberi..-
Annuii e riprese a parlare.
- Bene,il mio amico ci indicò un piccolo passaggio per entrare nella villa e lasciammo le bici davanti all'ingresso. Per entrare avevamo stabilito un turno,ed io ero ovviamente il primo. Io avevo un po' di paura,devo dirti,ma la pizza e il gelato promessi mi facevano venire l'acquolina in bocca. Accesi la torcia ed entrai. La scommessa prevedeva una permanenza alla villa di circa cinque minuti e quindi mi buttai ..C'era un freddo terribile lì,da morire,e sudavo freddo. Gettai lo sguardo nell'atrio e oltrepassai una porta davanti a me. A poco a poco la fame e la paura crescevano. Stringevo la torcia come se non volessi farmela scappare e buttai la sua luce in ogni angolo delle stanze attraversate. Finalmente,quando i minuti erano finiti,mi avviai all'uscita,finchè vidi un'ombra attraversarmi e sentii una fitta al braccio. Poco dopo,me lo ritrovai rosso di sangue-
Deglutii. Papà aveva un certo talento nel raccontare storie del genere e mamma non lo sopportava quando si metteva a raccontarle.
-Basta raccontare queste brutte storie a Nico! Non ti lamentare se poi ci raggiunge in camera da letto perchè ha fatto un brutto sogno ..-
 
A distanza di qualche anno ci penso e ripenso,cazzeggiando e annoiandomi. Ricordo quella cicatrice terribile che papà ha ancora sul braccio vicino la spalla,una cicatrice che qualcuno potrebbe procurarsi solo con del vetro rotto. A volte penso se papà mi abbia raccontato la verità su quella casa e su quella sera,ma la mia curiosità di sapere con i miei stessi occhi cosa ci sia lì vince sui miei dubbi. Di anni ne ho quindici e,come dicono parenti e amici,una fervida immaginazione da dodicenne. Per mamma e papà è un pregio,dicono loro. Ma ogni tanto Manfrè e Dario mi prendono per il culo.
- Nico,davvero credi che là dentro ci siano i fantasmi? Sei proprio un bambino! -
Lilli ogni tanto ci scherza,ma apprezza la mia dote. - Eh dai,Dario,è solo la sua opinione! Ad essere sincera però quella casa mi affascina alquanto!
 - Ma almeno sapete di preciso cosa si dica su quella casa?-
Ecco Manfrè,sapientone insopportabile del cazzo e allo stesso tempo il fratello che mi son scelto. No,non le sapevamo,come non sapevamo mai nulla di ciò che invece lui sapesse.
- Dicono sia stata un bordello in cui i soldati americani hanno ucciso prostitute ed i loro clienti,soldati tedeschi,oppure che sia stato un covo di mafiosi ..-
- Che ne dite di entrare,qualche volta?-
 La mia curiosità si  trasforma in parole e quelle parole formulano una proposta. E la proposta viene accolta dal silenzio e dalle loro facce stranite.
- Scherzi? Se poi ciscoprono,che ne so,qualcuno passa e vede che siamo là dentro ..-
- Potremmo andarci di notte,non trovate?-
Lilli sbianca. Conosoo la vecchia Lilli,la piccola romantica Lilli,mia cugina,la cagasotto a detta di Dario.
- Di notte? Tu sei pazzo-
- E ci andiamo noi,sticazzi. Stasera ci troviamo davanti al Charleston e ci andiamo con la bici ..-
Lilli mi guarda storto e soffia col naso.
-Va bene,vi seguo .. E se vi dovesse succedere qualcosa?-
Il pomeriggio di quel giorno  passa davanti al pc a cercare su Google notizie al riguardo,ma le pagine internet che riusciamo ad aprire non dicono nient'altro che già Manfrè non ci avesse anticipato.
Al tramonto ci mettiamo in spalla,zaino in spalla e pance piene.
-Andiamo a fare una gita,pà-
-Dove andate?-
-In giro,verso l'Addaura-
 
La Casa è una villa di un solo piano circondata da alberi e da un cancello giallo,proprio all'hotel Palace come ha detto papà. Gli autobus vanno e vengono alle nostre spalle e la brezza fa ondeggiare gli alberi intorno alla villa. Immobili davanti ad essa,riceviamo la sua ombra grigiastra per i lampioni appena accesi. Sono circa le otto e un quarto di sera. Ci appoggiamo al cancello e aspettiamo che cali ancora il buio per entrare. Poi,quando le auto cominciano ad essere più rade,la gente in strada e i suoi schiamazzi meno presenti,iniziamo a girare intorno alla casa.
- Ragazzi! Ho trovato un passaggio!-esclama ad un certo punto Lilli- Ci entriamo?-
Io e gli altri diamo un'occhiata poco convinta al passaggio- un buco abbastanza largo dietro un albero che sbuca fuori dal marciapiede intorno alla villa- ma quella svista basta a convincerci. Il primo ad entrare è Manfrè,più robusto di spalle,ma scivola piano e senza alcun graffio.
-Se riesco ad entrare io figuriamoci voi! Coraggio,avanti!-
Segue Lilli,poi io e Dario; ci mettiamo a cavalcioni e finalmente,facendo attenzione a non pestare vetro o pietre,sbuchiamoin giardino.
Non sento più il rumore delle auto,ma soltanto la brezza che fa danzare le foglie. L'ombra della casa e del giardino,adesso,sembra più nera e quasi più minacciosa. Grandi alberi circondano la casa e attorno a noi ci sono erbacce e cespugli incolti vicino al vialetto d'ingresso;la villetta è gialla,con le finestre aperte e nere come occhi vigili e cattivi,e l'entrata è in uno sfarzoso stile neoclassico,con due pesanti e imponenti colonne doriche davanti la porta. Sentiamo il cinguettio allegro di alcuni uccelli per un po',poi tutto improvvisamente tace. Sono,anzi siamo sbucati in un mondo a parte. 
Lilli si avvicina alle mie spalle e Dario,Manfrè ed io prendiamo delle torce.
-Io e Nico entriamo-esordisce Dario -tu bada a Lilli,la cagasotto.-
 Lilli poveretta non parla,ma in faccia è più morta che viva. 
- Come entriamo in casa,Nico?-
- Mio padre da ragazzo è entrato qui,è arrivato persino in un'altra stanza ..-
- Ok,ma ti ha informato su qualche entrata o no?-
- No,mi ha raccontato la sua avventura anni fa ...-
Dario mi lancia un'occhiata di disappunto e iniziamo a cercare qualche passaggio finchè un cigolio lento e sospetto ci fa voltare di nuovo verso la facciata della casa: la porta improvvisamente si apre di poco. Un brivido mi percorre la schiena fino alla testa e qualcosa mi spinge a ricordare a Dario la nostra avventura appena iniziata.
-Dà .. Guarda lì. La porta si è aperta-
Dario stringe con forza la torcia e l'accende,puntando un fascio di luce biancastro verso l'entrata che fa illuminare la porta di pulviscolo argentato e terra.
-Gli spiragli in case del genere non sono molto rari,la corrente sarà entrata e l'avrà aperta da dentro. Sei pronto,Nico?-
Annuisce e ci facciamo strada lungo il vialetto d'ingresso,mentre un vento caldo e pesante soffia sopra le nostre teste.
 
L'atrio in cui sbuchiamo è una stanza quadrata abbastanza grande,immersa nel buio. Accendamo le nostre torce e i colori della stanza ci saltano subito all'occhio: bianco alle pareti con qualche disegno floreale e un pavimento di marmo con al centro il disegno di un fiore,ma sporco e pieno di siringhe,bottiglie di birra,preservativi usati e materassi sporchi di merda e piscio; le pareti sono imbrattate da scritte blu,rosse e nere. Più in là,notiamo un murales verdastro con strani disegni e mi pare di vedere addirittura un pentacolo.
Il silenzio e il buio,sciolto da un lievissimo raggio di luna che filtra da fuori,sono spettrali e solenni,quasi fossimo entrati in chissà quale mausoleo o chiesa abbandonata.
-Occhi aperti,Nico-mi sussurra-Non si sa mai cosa si può trovare in posti del genere-
Conto appena tre secondi.
Uno.
Due.
Tre.La mia vista si appanna
Forse è la fame,ma il mio stomaco non brontola. Sento uno strano ronzio,lieve all'inizio,ma sempre più forte e una strana sensazione mi spinfe ad oltrepassare la porta che faceva accedere alla stanza del murales verdastro.
-Che cazzo fai Nico,aspettami!-
La voce di Dario,prima forte e tuonante tra quelle quattro pareti,si affievolisce sempre di più fino a unirsi al ronzio.
Il ronzio si trasforma  in un vociare allegro,umano,straniero.
Sento una musichetta allegra suonata al pianoforte. La mia vista torna normale e vedo sotto i miei piedi un tappeto persiano rosso. E sento,temo che quello che vedo non potrà mai essere frutto dei miei sensi.
Mi ritrovo circondato da ghirlande di fiori e sento sulla mia testa il luccicare di un lampadario di cristallo. Il murales non c'è più,ma al suo posto una bella carta da parati rossa. Intorno a me,su tre divani rossi e vistosi,stanno stese cinque giovani donne profumate e agghindate in maniera strana,due delle quali mezze nude.
E' un'illusione. Mera illusione. Tieni occhi e orecchie aperti anche se non ti serviranno contro chi agisce sulla tua testa.
 Due sono bionde,una rossa e due brune e scure,e sopra ognuna di esse stanno spaparanzati giovani uomini di carnagione chiara e capelli biondicci,con un'uniforme.
Son soldati.
Svastiche sulle braccia,elmi lucidi e neri poco lontani.
Soldati tedeschi.
Soldati tedeschi che accarezzano e si inebriano della pelle delle cinque strane fanciulle,sorridendo e canticchiando,con i volti rossi per l'alcol.
La musica si fa sempre più forte,suonata da un altro soldato che nel frattempo guarda due gemelle rosse che alzano la gonnella di piume blu mostrando gambe bianche e perfette. Altre donne,mentre fumano poco più in là,si fanno baciare le gambe da altri.
Contieniti,è una mera illusione,contieniti,contieniti,limitati a vedere,magari non sei visto.
Un soldato,il più anziano e ubriaco,che si trova tra le braccia della bruna,alza un bicchiere e,imitando con il suo accento a stento l'italiano e in particolare il siciliano,comincia a sbraitare qualcosa di incomprensibile.
E' ubriaco marcio e fissa con gli occhi stanchi,vuoti e biechi verso di me.
Sta' fermo,non ti muovere. Non sei visto,non sei visto.
-Uè giovanoto,non piacerti festa?-
Merda. Le tue stesse illusioni riescono a vederti dall'esterno. Sei nella merda,amico.
I suoi bianchi occhi si poggiano su di me,bianchi occhi da ubriacone e bianchi occhi da morto.
E quegli occhi da pesce diventano chiazze confuse e grigiastre.
La vista si annebbia di nuovo,mentre la musica cresce e cresce ancora. Le risate,gli schiocchi di baci,i gridi delle giovani donne,insieme al ronzio,occupano la mia mente e le mie orecchie,confondendomi. Il tedesco urla una seconda volta.
-Uè giovanoto,non piacerti festa? Andare via allora,andare via!- è minacciosa la sua voce nell'ultima parte della frase e quasi fa cenno di alzarsi visibilmente innervosito,ma la sua donnina lo frena  e ridacchiano di me.
Il mio sguardo ruota attorno a quella frenesia,a quelle donne che mi salutano con la mano,a quanti soldati che mi invitano al piacere,al fumo che va e viene  sopra i miei capelli;labbra rosse e occhi bianchi per l'ubriachezza mi circondano,mi ubriacano senza piacere e mi confondono.
Poi un botto e delle urla. 
Spari,tantissimi spari.
Urla di donna e gemiti dei soldati,ubriachi e senza possibilità di difendersi.
Le pareti si fanno ancor più rosse di sangue.
All'alcool si sostituiscono il sangue e il sudore.
Il pavimento viene coperto dai corpi che si accasciano e dai capelli che formano un macabro tappeto.
Non puoi fare niente per salvarli. Sono morti.
La musica cessa e la luce si spegne.
 
Corro di nuovo verso l'atrio,spaventato e madido di sudore.
Ecco cosa c'era stato lì,anzi,cosa continuava ad esserci.
Nella mia mente invoco il nome di Dario e inizio a chiamarlo,ma ritrovatomi nella stanza mi blocco.
Le illusioni hanno mutato scenario,Nico.
L'atrio adesso è ammobiliato semplicemente,quasi fosse l'interno di una piccola capanna o casa di contadini. Davanti ai miei occhi c'è una fanciulla dall'aspetto dolce e calmo,vestita umilmente,che stringe tra le sue mani una rosa appassita. I suoi occhioni scuri e tristi si posano su di me e riesco a vedere il suo pallido e scavato viso.
- Oh,straniero ..-mi sussurra con voce ferma e triste,quasi rauca,mostrando quegli occhi da povero animale ferito - Mi ha promesso di venire,ma ho tanto sonno,quindi dormirò ..-
Illusioni,illusioni,non puoi salvare nessuno,nessuno.
La mia vista si appanna di nuovo ma il mio olfatto si attiva misteriosamente: le mie narici vengono pizzicate da un odore di bruciato.
 Porgo l'orecchio e sento un crepitare di fiamme molto vicino mentre il forte odore va crescendo sempre più forte.
Mi avvicino alla finestra a passi veloci e mi sporgo in cerca dei ragazzi.
Ma non c'è nessuno intorno,solo fuoco e sterpaglia. La casa è circondata dalle fiamme.
La ragazza si inginocchia davanti ad una piccola immagine della Madonna e,giungendo le mani bianche e facendosi il segno della croce,sussurra una lieve frase che conteneva le parole il suo amore ed il mio. I suoi occhi sono gonfi di lacrime e i miei mi tradiscono di nuovo.
Sono sul punto di svenire ma i miei sensi non vogliono tradirmi proprio in questo istante.
Sento la casa crollare da fuori e una trave cade tra me e la ragazza,separandoci.
Urlo a gran voce i nomi dei ragazzi,ma la mia voce sembra soffocata dal crepitare stesso delle fiamme o assente di per sè.
Sento una fitta alla testa e le mie forze vengono meno,finchè le mie gambe e poi le mie ginocchia e poi tutto me stesso crollo a terra e mi appallottolo su me stesso.
I rumori vecchi e nuovi si fanno vivi e mescolati,una caotica massa di voci e di urla e di musica giocosa e di spari e sussurri sommessi di preghiera.
Vedo la timida ragazza ancora inginocchiata e intenta nella sua sommessa preghiera,mentre tutto si affievolisce intorno a me finchè il buio cala sulle mie palpebre.

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Capitolo 4
*** Ave Maria ***


Ave Maria
Ave Maria,gratia plena
Il vespro splende di colori aranciati e il vento fa ondeggiare le tende della cappella e le fiammelle delle candele.
Mamma sta in ginocchio,la prima davanti all'altare. Ha il cappellino nero con la veletta di pizzo in tinta che le arriva sotto il mento e ha messo il vestito blu notte,quello di mussola ben abbottonato sul petto. C'è anche papà,con la giacca scura ben abbottonata e inginocchiato accanto al piccolo prete di casa,interamente vestito di nero;anche papà è in ginocchio e come mamma tiene tra le mani il proprio messale,ben dritto e chino sul proprio fazzoletto bianco con le iniziali ricamate in filo color oro.
Dominus tecum
Anche le mie sorelline ci sono,inginocchiate composte come donne adulte e col loro messale accanto a mamma,così come i miei fratelli grandi accanto a papà. Ormai sanno la preghiera a memoria e si limitano a stringere i loro rosari perlacei. Poi c'è anche nonna accanto a mamma e,accanto la porta,il maggiordomo del nostro piano.
L'aria è colma di preghiere e odore di incenso e raggi di sole. L'aria pesa,pesa come non mai sulle nostre teste,quasi fosse carica di strane energie o si fosse appesantita per le nostre parole e per i nostri pensieri carichi delle nostre colpe.
L'aria pesa sulla mia testa come un'incudine e le fa male. Scuoto il collo e papà mi vede da lontano,lanciandomi un'occhiata contrariata che mi fa quasi tremare di più,poi però vedo il suo sguardo-fiero,perennemente accigliato-farsi più docile e torna a voltarsi verso l'altare. Anche mamma si gira con un'occhiata indagatoria,ma  le faccio un cenno per dirle a modo mio che va tutto bene ed ella si volta di nuovo.
benedicta tu in mulieribus
Non va tutto bene.
L'aria pesa come se il soffitto mi stesse crollando addosso e mi chiedo se questa sensazione sia avvertita da me sola. L'aria pesa come se stia per accadere qualcosa di tremendo che mi fa vacillare le ginocchia.  L'aria pesa di paura.
et benedictus fructus ventris tui, Iesus.
Un vociare mi raggiunge le orecchie e quasi mi fa tremare gli orecchini. E' un vociare tremendo e profondo,tuonante più della voce di papà,e l'aria si riempie anche di quest'ultimo,e di conseguenza anche la mia testa unendosi alla litania dell'Ave Maria. Nonna dice che bisogna pregare per scacciare i diavoli e scacciare le paure,e questa volta prego che la mia povera testa si alleggerisca. La mia testa,il mio collo e le mie spalle pesano come se un'ascia fosse sul punto di sferrar loro un secco colpo mortale.
Sancta Maria,mater Dei
Stringo con forza intorno al mio rosario e fisso i miei occhi sulle pagine del mio messale. Le dita scivolano sui cristallini e pallidi grani e la mia vista s'annebbia mentre il mio capo continua a dolorare e l'aria s'appesantisce.
Alla voce se ne aggiungono altre e varie e più stridule e più basse e più miti e più vivaci e più calme e più strillanti e più tuonanti e più sussurranti e maschili e femminili e di adulti e di bambini.
ora pro nobis peccatoribus
Legioni infernali si danno battaglia nella mia testa appesantita da un'ascia fatta d'aria. Vergognati,ragazzina svergognata,fingere uno svenimento e pensare alle diavolerie mentre tutta la tua famiglia è riunita per il rosario!
Legioni infernali si danno battaglia nella mia testa tuonante di nuove voci e nuovi passi inaspettati.
 nunc et in hora mortis nostrae
Perdonatemi,Madonna,per le mie mancanze.
Perdonatemi,Madonna,per la mia sfacciataggine.
Perdonatemi,Madonna,per la mia debolezza inaspettata e inattesa e umana,mortale e condannabile.
Amen.
L'ascia d'aria inizia ad oscillare sulla stanza nel momento in cui l'uscio inizia ad aprirsi lentamente sulla stanza,facendo spegnere le candele e ondeggiare le incensiere accanto all'altare.
L'ascia d'aria inizia ad oscillare sulle nostre teste appena la folla oltrepassa l'uscio. Uomini,donne,bambini intorno ad una figura girata di spalle.
-E questa era la cappella della famiglia .. Brutte leggende circolano su questa stanza -
E' solo l'Uomo Strano,lo strambo maggiordomo che tiene in ordine casa nostra e la fa vedere ai visitatori.
Uomo Strano forse nemmeno ci vede.
-Che genere di leggende,signore?- una ragazzina- in pantaloni?! -si fa avanti vicino a lui.
-Brutte storie,mia piccola amica .. La famiglia nobiliare che l'abitava è stata uccisa dai contadini ribelli proprio mentre pregava,in questo preciso momento-
L'ascia d'aria oscilla sulle nostre teste e s'abbatte su un colpo secco su tutti noi,facendoci evaporare per lasciar spazio ai vivi. Uomo Strano fa girare gli ospiti per tutta la stanza e la ragazzina in pantaloni mi attraversa il busto.
-Potete notare gli arazzi alle pareti con i simboli della famiglia,rimessi in ottimo stato dopo un lungo lavoro di restauro .. Anche gli arredi,notate ragazzi,hanno subito gli stessi trattamenti per riottenere l'antico splendore ..-
Uomo Strano continua a parlare e la gente continua a camminarci intorno e addosso.
La testa però non mi fa male,anzi è leggera,quasi lievitasse.
Tutto il mio corpo sembra lievitare,quasi fosse oltrepassato da continue correnti d'aria.
Forse perchè ormai il mio corpo e l'aria son la stessa cosa.
Nemmeno oggi abbiamo finito di pregare per salvare le nostre anime.
E domani si ripeterà di nuovo se qualcuno entrerà in questa stanza e il giorno dopo ancora e il giorno ancor poi nuovamente.
Nemmeno oggi abbiamo finito di pregare per salvare le nostre anime.
Forse il cielo ha voluto così,d'altronde.
Sia dunque fatta la volontà di Dio.

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