Someone save us

di ElfoMikey
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Run Away ***
Capitolo 2: *** Here I am… just you and me. ***
Capitolo 3: *** Chocolate Ice-cream ***
Capitolo 4: *** Early sunsets over monroeville ***
Capitolo 5: *** capitolo cinque ***



Capitolo 1
*** 1. Run Away ***





Il freddo vento fa bruciare le mie ferite. Distesa su questo prato.
Mia mamma a pochi passi da me, prona e con gli occhi sbarrati ,con un rivolo di sangue che le percorre la guancia. Striscio il mio corpo verso di lei. Non sento il suo cuore. anche a distanza, so che lei è lontana da me.
Cerco papà.
Lo trovo poco lontano, appoggiato a un tronco di un albero.
La macchina prende fuoco accanto a lui.
Questo è l’inferno.
Chiudo gli occhi.
Non sento più niente…
Ne la mia vita,
ne le urla disperate.
Solo il mio cuore che batte lento, come una dolce musica…

Apro gli occhi.
Guardo la stanza vuota.
Sento delle piccole goccioline di sudore scendere lungo il mio viso.
Il respiro corto e affannato.
Era solo un sogno Claire. Era solo un sogno.
Ma per quanto voglia convincermi che quelle immagini sono solo frutto della mia immaginazione, non ci riesco.
Ricordi che ogni notte si fanno avanti, che ogni notte tornano a farmi compagnia. E per quanto mi sforzi di sorridere alla vita, non ci riesco.
La luna filtra dalla finestra di questo squallido appartamento illuminando il mio viso.
Chiudo gli occhi sperando che tutto passi, che quei ricordi, che quell’episodio, venga rimosso dalla mia mente, ma so, che non accadrà mai.
E nel silenzio della notte, poggio le testa sul cuscino mentre il caldo estivo mi avvolge.
Il mio cuore piange e il sonno si impossessa ancora di me.
Chiudo gli occhi… poi il buio.


L'aria di New York scompiglia i miei capelli in modo fastidioso.
Il fumo si alza in spirali sopra di me. Mi perdo nelle figure che esso forma.
Il silenzio mi circonda.
Un altro concerto è finito ed io invece di essere lì dentro a firmare autografi, sono qui, in un parcheggio, accanto al tour bus a fumare.
Penso alla mia vita, ai miei trent’anni che si avvicinano, mentre la mia vita sembra andare a rotoli.
Una sera come tante quella di oggi.
La solitudine che ormai è diventata parte di me.
Il caldo mi avvolge mentre la luna illumina la mia figura. Il silenzio ecco cosa sento, lo stesso silenzio in cui il mio cuore è caduto, dopo che lei, lo ha calpestato. Annegato in un dolore che sembra ormai quasi fisico.
Un ultimo tiro alla mia sigaretta prima di buttarla.
Mi passo una mano dietro la nuca mentre sento la stanchezza farsi avanti. Le gambe oramai a fatica mi reggono in piedi.
Chiudo gli occhi dimenticano il mondo circostante, dimenticato il vuoto che da tempo sento dentro me, dimenticando tutto, dimenticando felicità e dolore sospiro, prima di rinchiudermi nel tour bus e gettarmi a peso morto sulla sgangherata branda. lascio fuggire una lacrima.
non mi importa se gli altri mi chiederanno il perchè.
Non ha importanza, visto che l'ultimo briciolo di importanza lei, me l'ha rubato, come una ladra, una stupenda ladra di cuori.. che non lascia in cambio nulla se non le mie profonde ferite...
Penso a New York, la città che per anni ho odiato, ora è diventata la mia casa.
Il tanto odiato appartamento, nel centro, è diventata la mia dimora.
Staccare la spina ecco di cui ho bisogno.
Staccare la spina da questo mondo che mi sta recando dolore.
Andare via.
Ma la verità, è che non ne ho il coraggio.


Cammino sola per le strade di New York. Non amo molto le grandi città, ma questa ha sempre avuto un qualcosa che mi ha incuriosito, affascinato. Una città ricca di particolari, ricca di gente. Ogni persona ha la sua storia, un suo particolare che la rende unica e inconfondibile.
Osservo i loro visi, i loro gesti, i loro movimenti e anche se tutti corrono e vanno di fretta, perché in ritardo al lavoro, il mondo sembra scorrere lento intorno a me.
Fa caldo, siamo a luglio.
Siamo già a luglio.
Esattamente un mese fa mi sono trasferita qui.
In un monolocale squallido. Non potevo di certo essere ospitata nella stanza universitaria di Jane, l’unica amica che mi sia rimasta al mondo.
Il sole sembra quasi bruciarmi la pelle.
Diventata da poco maggiorenne, costretta a cambiare casa, famiglia, ogni anno, per non dire di più.
La gente mi urta le spalle nude. Tutto scorre ancora lentamente, mentre lo dolci note della mia canzone preferita, emanate dal mio fedele lettore, si impossessano di me… tutto troppo lento.
E mi ritrovo ancora una volta a camminare per le strade di questa città, sola, già, sola, perché è così che mi sento, perché è così che sono.
I capelli legati lasciano respirare il mio collo sudato.
Anche io, come il resto della gente intorno a me, vado a lavoro. Un lavoro come tanti, avuto così per caso o per fortuna, ovviamente dipende dai punti di vista.
Una piccola libreria sperduta in una strada poco distante dal centro di questa metropoli.
Una piccolo posto non molto visitato che però, se devo essere sincera, adoro.
Piccolo e accogliente, pieno di cd e libri. Cd che mai credevi di poter trovare in giro. Libri di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza di autori mai sentiti e mai visti.
Varco la porta e sento il campanello suonare.
"Ciao Mich.."
"Ehi Claire! Finalmente! Arriva un'altra volta in ritardo e sta sicura che ti licenzio!" che bel modo si salutarsi.
"Si si..." rispondo roteando gli occhi. Poggio la borsa sul bancone.
Dio come fa caldo qui. Un condizionatore, ecco cosa ci vorrebbe, ma lui, no! 'Non ce lo possiamo permettere!' . E cos' mi devo accontentare di uno stupido e vecchio ventilatore al centro della stanza che fa ben poco.
"Hey ragazzetta! Sistema quella pila di libri!" lo sento gridare dal suo ufficio.
Dio quanto odio quell'essere. Dio quanto odio quando le persone devono dirmi cosa devo e non devo fare. Odio quando mi grida, lo odio e basta.
Mi avvio verso l'angolo dove c'è lo scaffale dei libri per bambini, che come al solito, dopo averli sfogliati li lasciano sul pavimento. Ecco, odio anche i bambini, quei bambini.
Mi siedo sul legno rovinato dagli anni incrociando le gambe.
Nell'aria si diffondono le note del primissimo album dei Misfits. Una cosa positiva quel Coso chiamato comunemente Mich c'è: è un patito di musica Rock. Almeno in questo andiamo d'accordo.
Ancora una volta mi ritrovo a pensare a quel sogno, quel ricordo impossibile da cancellare. Ogni sera sempre la stessa tortura, rinchiusa in qualche squallido bar con l'alcool e quella sostanza candida come lo zucchero a farmi compagnia. Ogni notte sempre la stessa tortura. Ogni giorno sempre lo stesso dolore. Ed è la cosa più triste per una ragazza di soli diciotto anni.
L'ultima volta che mi sono sentita a casa, che mi sono sentita amata, nemmeno me la ricordo. E' passato troppo tempo.
Quel giorno ha segnato la mia vita, come la lama lucida incide la mia pelle bianca e morbida. Un segno che mai potrà essere cancellato, che mia potrà essere dimenticato. Sola, sola al mondo.
Mai nessuno potrà... salvarmi.
Sento il campanello dell'entrata suonare quando essa viene mossa dal primo cliente della giornata. Ma non poteva starsene a casa?
Non guardo nemmeno chi è colui che è venuto a disturbare la quiete di questo piccolo luogo.
Sento il legno scricchiolare ad ogni suo passo. Si aggira tra gli scaffali. Passano una decina di minuti prima che mi alzi dal pavimento e vada al bancone, la mia fedele postazione.
Mich e li che mi guarda torvo.
Alzo gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto e mi avvicino, costretta, al ragazzo.
Sta leggendo il retro di un libro per bambini.
Ha i capelli neri, la pelle chiara ed è vestito completamente di nero.
Ha un'aria familiare.
"Salve! Posso aiutarla?" mi sento una fottuta barbie. Voce allegra, sorriso a trentadue denti, il sorriso più finto del mondo. Ma è questo che vuole Mich, devo essere cordiale e affettuosa con ogni cliente.
"Si,ecco, io cerc-" non finisce la frase. Mi guarda con occhi sgranati e subito lo riconosco.
"Tu..." sibilo a denti stretti.
"Tu..." mi risponde con lo stesso tono di voce.


Flashback:

4 mesi prima….


Il mattino si fa avanti, insinuandosi tra le tende della mia camera.
La porta che si apre violentemente e un voce aggressiva, mi fa capire che è ora di alzarmi.
Apro gli occhi e guardo assonnata la figura di fronte a me. Una figura rude, grassa e rivoltante tramuta la mia espressione in qualcosa di sconvolgente.
È mio padre.
O meglio, il mio padre adottivo.
L’uomo più violento a questo mondo. Mi fa alzare strattonandomi per il mio braccio esile.
Mi guarda prima di uscire dalla porta.
Giuro che scapperò da questa merda di posto.
Scapperò lontano, così lontano che non mi troverà nessuno.
Saremo solo io e il mondo.
Chiudo la porta con un calcio e mi accendo una sigaretta, aspirando per bene quel fumo che ha il potere di calmarmi.
Apro il cassetto della mia scrivania, tirando fuori una busta trasparente.
Ho bisogno di volare.
Osservo la polvere bianca all’interno di essa e con un sorriso tirato mi preparo una dose, su in pezzetto di stagnola.
Tirò su la droga.
Ora va meglio.
Sto bene ora, davvero.
Mi tocco la pelle pallida del viso.
Sto piangendo.
Perché?
Io sto bene.
Cerco di convincermi, mentre cado a terra.
La vita è una merda.
Mi asciugo le lacrime con il palmo della mano, poi decisa, faccio un’altra dose.
Ora c’è lo sballo.
È come volare.
“Ora come stai Claire?” chiede una vocina dentro di me, dentro la mia testa, dentro il mio cuore e sembra tanto la voce dolce della mamma.
“io…io sto…” sussurrò queste parole, mentre mi guardo al piccolo specchio che sta vicino alla finestra.
“sto bene mamma.” Sorrido.
Passano minuti interminabili, poi esco di casa senza salutare la settima famiglia che ospita me, una drogata, ribelle bastarda.
Cammino per le strade di Charleston, una città del Sud Carolina. Non è la mia vera città. Sono nata a New York, bellissima città di qui vedrò per il resto della mia vita solo attraverso riviste o televisione.
Non ho speranze.
Non ho futuro, tutto è come una grande nebbia scura e non mi fa guardare avanti, mi fa solo rivedere i momenti del passato, qui momenti che vorrei dimenticare.
Mancano due mesi al mio compleanno.
Al raggiungimento della maggiore età. Questo mi conforta. Potrei scappare, potrei rifarmi una vita.
Sono solo stupida.
Una ragazzina che sogna una vita.
È forse strano?


Il mare.
Mi ha sempre dato quel senso di grandezza, di immenso.
Starei ore a fissarlo. Amo le onde che si muovono lente in una dolce danza, quel profumo di salsedine che ti riempie le narici e il vento che trascina piccole gocce verso l’alto. Cammino nella sabbia, lasciando che le mie scarpe si sporchino di essa.
Il cielo di questa città è meraviglioso. Si confonde con il mare, con il suo perenne azzurro. Sembra quasi una cartolina, l’orizzonte.
“Gerard!!” mi volto verso mio fratello, che sbracciandosi mi chiama.
“dobbiamo ripartire!!” grida, per poi tornare dentro il tour bus.
Ripartire.. già.
Non ho mai goduto appieno un luogo, soprattutto se magico, proprio come questo. Mi lascio alle spalle il perenne scroscio delle onde, portandomi dietro la malinconia.
“potremmo fermarci a Charleston!” popone Mikey, sbucando dalla porta del bagno.
“Mikey, no. Lo sai che dobbiamo tornare a New York il prima possibile!!” mio fratello assunse un piccolo broncio alle parole di Brian.
“eddai.. Bri… che ti costa?! Un piccolo giretto.. piccino piccino...” supplica Mikey con le mani unite.
“forse Frank e Bob saranno stupidi, ma io no. Lo so che non vuoi tornare a casa perché hai litigato con Alicia e non vuoi vederla perché sai di avere torto marcio!!” sbotta Brian, girando violentemente le pagine di un libro. Mikey brontola qualcosa con le braccia conserte, guardando il nostro manager con gli occhi ridotti a fessure.
Sorrido dolce al mio fratellino per poi girarmi e guardare fuori dal finestrino, la città scorre veloce, mentre io mi soffermo ancora sul mare indossando di nuovo il mio sorriso amaro, quello che mi fa compagnia da quando lei, perfetta creatura, ha lasciato me, uomo pieno di difetti.
Soffro come un disperato lasciato nella sua agonia, senza risalita, senza luce.
Non vedo l’ora di rintanarmi nel mio appartamento e stare solo, senza rumori, senza l’allegria che ora mi infastidisce come una mosca.
Frank si siede al mio fianco, poggiando gli occhiali da sole sul tavolo.
Mi guarda.
Mi accarezza la spalla cercando di condividere il mio dolore.
“sono patetico Frank.”
“no Gee, non lo sei.” Dice scuotendo la testa.
“amare non vuol dire essere patetici.” Dice il mio chitarrista.
“non essere ricambiati e aspettare che cambi idea è da patetici.” Ribatto giocherellando con la zip della mia felpa nera. Frank ride e mi abbraccia.
“so che arriverà il momento in cui una persona speciale ti farà ritornare il vecchio Gee, che a noi manca tanto. Abbi fiducia, lei è qui intorno, ora ti fa i dispetti e non si vuole mostrare, ma tu dagli tempo e vedrai Gee che tutto sarà perfetto.” Mi dice. Molte persone definirebbero Frank come un bambino troppo cresciuto, invece lui ha una sua filosofia sul mondo, sulla gente. Una filosofia positiva che ti fa tornare il sorriso. Gli bacio una guancia, sorridendogli sincero.
Non ho mai desiderato un migliore amico più in gamba di Frank, perché credetemi lui è il solo che mi riesce a far tornare il sorriso.
A un certo punto il bus rallenta emettendo uno strano rumore, poi il fumo.
Ci siamo fermati.
Brian ci raggiunge con un espressione sconvolta in viso.
“C’è un guasto al motore.” Esclama, con le mani nei capelli. Usciamo tutti dal tour bus.
L’unico contento di questo è Mikey.
“ragazzi! Guardate che coincidenza, siamo a Charleston!!” urla saltellando, indicando un cartello con su scritto:
“welcome to Charleston” Guardo mio fratello che saltella, tutto allegro.
Rido, imitato subito da Frank.
“bisogna trovare assolutamente un meccanico!!” urla Brian con la testa china sul motore del bus.
“provo a controllare col navigatore satellitare se qua vicino c’è un meccanico.” Dice Ray, con tono professionale, per poi sparire nel bus.
Concordato che, io di motori non ci capisco nulla comincio a camminare lungo la strada deserta.
Una fottuta strada deserta che mi allontana sempre di più da casa mia. In lontananza noto che il mare non mi a abbandonato. Come un amico mi segue fedele.
Torno indietro dopo qualche minuto e davanti a me, trovo il carro attrezzi.
“e adesso come raggiungiamo il paese?” chiede Bob
“semplice: a piedi.” Rispondo, come se la domanda posta avesse la risposta più ovvia del mondo.
“tu sei matto!” dice Frank.
“ma dai il paese è ha cinque minuti da qui!!” ribatto e senza altro da aggiungere,mi seguono.
Ci ritroviamo in una allegra cittadina in un soleggiato pomeriggio di primavera. Tutta questa allegria mi da alla nausea. Voglio tornare a casa.
Odio Charleston.
La mia decisione arriva improvvisa al mio cervello.
“dobbiamo trovare un albergo.” Suggerisce Bob, guardandosi in giro.
No.
Dovremmo restare qui?!?!
Tutti i miei piani di solitudine vengono frantumati con l’ennesima uscita di Brian.
“non sarà facile, siamo capitati durante il festival che preannuncia la primavera…” annuncia Mikey, sfogliando un itinerario sul festival.
“certo che tu ti sei proprio organizzato eh!” dice Brian guardando Mikey in cagnesco.
“va bene ho capito, dividiamoci: Frank tu vieni con me alla ricerca di un albergo, voi altri potete girare per la città.” Dice Brian prendendo un contrariato Frank per un braccio. Resto fermo, indeciso sul da farsi, mentre Ray e Bob si allontanano. Vedo bambini in festa e fiori da tutte le parti. Mi passo una mano sul volto, innervosito cominciando a camminare.
Fottuto tour bus!
Fottuto tour!
Fottuta band!
Fottuto South Carolina!
Fottuta Charleston!
Mi ritrovo in questa cittadina di qui non conoscevo nemmeno l'esistenza. In questa strada desolata e piena di bancarelle dell'usato. Molte di esse sono occupate da ragazzini che cercano di liberarsi dei giochi che gli hanno accompagnati per tutta l'infanzia o libri e fumetti del quale poco ora gli importa, probabilmente per ricavare soldi per potersi comprare l'ultimo videogioco uscito.
Gioventù sprecata. I fumetti, sono questi il bello della vita. Cosa c'è di più bello dei fumetti? Perdersi fra le figure e immedesimarsi in ogni personaggio. Un fumetto di x-man magari. Sentirti per un momento Wolverine... nessuno potrebbe farti del male.
Mi aggiro fra i piccoli stand e si sentono voci allegre.
Ci sono signore che parlano dei loro merletti e dei loro tavolini da the, signori anziani che cercano di vendere oggetti d'antiquariato alle poche turiste che magari sono qui solo per caso come me.
Siamo a Marzo e devo dire che fa caldo qui. Il sole illumina ogni cosa mentre la primavera si avvicina.
Butto la mia sigaretta e mi porto le mani nella tasche della mia felpa nera. Mi avvicino ad un piccolo tavolo di fumetti e mi tolgo gli occhiali per vedere cosa c'è.
Rovisto un po’ fra le pile di libricini sotto gli occhi vigili di un ragazzino che avrà appena dodici anni. Ce ne sono tanti, spider-man, superman… un momento, qui c'è anche x-man!
Quanti ricordi legati a quelle immagini. Ricordo ancora la delusione che da bambino ricevetti, come una bastonata dietro il collo. Un pezzo raro della mia collezione bruciato da quel pezzo di cretino di Mikey.
Sento il sole riscaldarmi. Le mie mani scorrono fra i vari piccoli volumi fino a fermarsi su quella copertina colorata e ancora intatta e perfetta.
E' lui! Il mio volume! Quello che mi mancava! Quello andato distrutto! Non mi sembra vero!
Lo sto per prendere, mi sto avvicinando alla felicità suprema. Mi sto avvicinando al mio mondo. Credo di sentire le campane. Si eccole… din don..
"Hei molla l'osso!" cosa? Mi sono perso qualcosa?
"Hei bambina lascialo! Lo stavo prendendo io!" dico togliendoglielo dalle mani.
"No! L'ho visto prima io!" dice riprendendoselo. E' una ragazzina che avrà al massimo diciassette anni. Capelli neri e pelle bianca. Ha due grandi occhi celesti che al sole sembrano dare sul verde. Piccola e magra, sarà all' incirca un metro e sessanta.
"No!" dico ancora rimpossessandomene.
"Si invece vecchio! L'ho visto prima io!"
"Io non sono vecchio bambina!" rispondo mettendomi sulla difensiva.
"E io no sono una bambina!E ora dammi quel coso, lo cerco da mesi!"
"Beh io da anni!" me lo riprendo stringendolo fra le braccia.
"Tanto sei vecchio, non credo ti servirà a molto!" cerca di strapparmelo ma lo alzo su con un braccio e lei non ci arriva.
"Lo porterò nella tomba con me allora!" saletta cercando di prenderlo.
"Dammelo!"
"Ehi Gerard! Mi mancava questo volume! Grazie amico!" ecco, ciliegina sulla torta. Maledetto Ray e la sua altezza. Me lo toglie dalle mani e si avvicina verso il bambino che divertito guarda la scena.
"Ray! Quello è mio!" mi volto verso il mio caro chitarrista che mai e poi mai mi regalerà quel volume.
"Bravo, sei contento ora? Per colpa tua ora la mia collezione non potrà essere completata!" mi dice puntandomi un dito sul petto per poi incrociare le braccia.
"E' colpa tua!" le dico mettendomi nella stessa posizione.
"Ehi Gee, andiamo! Gli altri ci aspettano!" la voce di Ray mi riporta alla realtà.
"Si arrivo! Addio bambina!" dico mettendomi gli occhiali e camminando verso il mio chitarrista.
"Addio vecchio! Cosa porterai ora nella tomba?" mi volto e la fulmino con gli occhi e in tutta risposta mi fa una linguaccia. Impertinente ragazzetta.
Mi volto cominciando a camminare, pensando che questa cittadina è davvero un grande schifezza e che per mia grande fortuna non vedrò mai più quella ragazza.


Questa città è patetica.
Non ho mai amato la mania della gente di festeggiare ogni piccola cosa.
La primavera non è un motivo per festeggiare.
È una stagione, nulla di più.
Arriccio il naso, disgustata dall’odore dei fiori.
C’è un solo fiore che non mi disgusta.
Il giglio.
Mi ricordo che papà regalava sempre un mazzo di gigli alla mamma per il suo compleanno.
Mi ricordo anche che mi nascondevo dietro la porta della cucina, per vedere la mia mamma che, con ancora in mano il mazzo di fiori, si metteva sulle punte e dava un dolce bacio di ringraziamento a papà e le risate, quando uscivo fuori dal mio nascondiglio e mi gettavo tra le loro braccia.
Sorrido amara, mentre da terra raccolgo quel giglio che ha catturato la mia attenzione.
Lo annuso.
I ricordi mi inebriano, facendomi sentire per un breve istante felice.
Appunto, un breve istante.
Butto il fiore nel cestino del pattume e mi accendo una sigaretta, perdendomi nelle strade piene di bancarelle.
Mi guardo intorno e visto che non ho un motivo per tornare a casa, comincio a curiosare tra i piccoli stand sorvegliati da mancini annoiati e da vecchiette che lavorano a maglia. Mi soffermo su una bancarella guardando la grande pila di dischi in vinile. Ne trovo alcuni molto vecchi, come Sex Pistols, Pink Floyd, The Doors e Ramones. Sorrido riconoscendo alcune canzoni che facevano e fanno parte della mia orrenda vita, dei miei inutili diciassette anni, come la mia colonna sonora. Mi ricordo che Nick, un mio vecchio amico, me ne regalò tantissimi.
Passo ad un’altra bancarella notando dei fumetti. Cosa c’è di meglio di un fumetto? Beh, nulla.
Se poi questi fumetti sono da collezione, ancora meglio. Comincio a cercare famelica un numero vecchissimo di X-man. Uno di quei numeri che mi mancano per finire la mia collezione.
Lo cerco guadagnandomi occhiate divertite da ragazzini di dieci anni.
Fottuti bambini.
Poi lo vedo.
È li, sotto tutta quella pila di fumetti americani.
Mi avvicino per prenderlo, ma un uomo, vestito di scuro e con gli occhiali da sole sopra la testa si avvicina alla mia preda, col mio stesso desiderio, posso vedere i suoi occhi verdi spalancati e desiderosi.
“Hei molla l'osso!" urlo puntandogli un dito contro. L’uomo alza lo sguardo e mi osserva, sorpreso, poi con uno scatto famelico lo predo, stringendomelo al petto.
"Hei bambina lascialo! Lo stavo prendendo io!" come? Come? Come? Come ha osato chiamarmi?! Me lo prende dalle mani, guardandomi innervosito.
"No! L'ho visto prima io!" me lo riprendo facendo comparire un sorriso soddisfatto sulle mie labbra.
"No!" se lo riprende combattivo.
"Si invece vecchio! L'ho visto prima io!" Facciamo un tiro e molla per un po’, lui continua a chiamarmi bambina, mentre io gli rispondo a tono. Poi lui, riesce a prenderlo e a sollevarlo in aria. Comincio a saltellare come una scema cercando di prenderlo, ma dato la mia bassezza non ci riesco.
"Dammelo!" impreco fra i denti, mentre lui sembra goderci.
Accadde l’inevitabile: un uomo, alto con i capelli più voluminosi che abbia mai visto, strappa di mano il fumetto di X-man. all’uomo con cui sto litigando.
"Ehi Gerard! Mi mancava questo volume! Grazie amico!" dice allegro, per poi dirigersi verso il proprietario della bancarella, un dodicenne che se la ride con qualche suo amico. Stringo i denti, innervosita, molto innervosita.
"Bravo, sei contento ora? Per colpa tua ora la mia collezione non potrà essere completata!" gli urlo in faccia, incrociando le braccia al petto. Lui mi imita, contrariato.
"E' colpa tua!" esclama. Il suo amico lo chiama e Gerard, così mi è parso sentire che si chiamasse, se ne va.
Odio i turisti.
Presuntuosi, che non capiscono niente.
Spero solo che, quando me ne andrò da questa città non incontrerò uomini così altezzosi e bambini.

Respiro affannata, appoggiata al letto e seduta malamente sul pavimento.
Gli occhi vitrei che si chiudono.
Le mie labbra sono distese in un sorriso.
Sto bene.
Anche se le lacrime mi solcano il viso.
Mi pulisco il naso con il dorso della mano, togliendo la polvere bianca su di esso.
Questa volta ho esagerato.
Non mi interessa.
È il mio compleanno.
Diciotto anni.
Buttati nella merda.
Rido, mentre con fatica mi alzo barcollando verso la porta.
Fuori c’è il vento che si alza maligno verso di me.
Mi scosto i cappelli dagli occhi.
Mi incammino verso il primo bar che noto.
Chiamo il barrista con un cenno della mano e ordino una birra, posando sul bancone cinque dollari rubati dal portafogli della mia madre adottiva,
sorseggio piano mentre il chiacchiericcio invade la mia testa.
Rimango nella mia tranquillità e del mio crescente senso di nausea.
“Claire? Sei proprio tu?” una ragazza bionda mi guarda sorpresa. Jane.
Lei faceva parte di una delle famiglie che in passato mi hanno ospitato.
Jane è stata l’unica con cui avevo un dialogo.
Mi ricordo che un giorno, mentre stavamo tornando a casa da scuola, ci eravamo promesse di fuggire a New York e ricominciare tutto.
“Jane! Tu che ci fai qui?” mi abbraccia, stringendomi nella sua morsa allegra per qualche minuto.
“sono qui per il festival con alcuni amici. Come stai?” la guardai, così bella, così allegra, vestita bene.
“bene...” cercai di sorriderle sincera. “tu?”
“benissimo! Sono al primo anno di medicina all’università di New York.” Cercò di essere felice, ma per quando possa sorridere, la mia vergogna sale.
Io cosa le dico?
Che sono drogata?
Che vita patetica, la mia.
“ancora col sogno della grande mela?” chiede appoggiando i gomiti al bancone. Sorrido annuendo. Jane si avvicina al mio orecchio.
“perché non vieni con me?” mi chiede.
“come scusa?”
“si, vieni con me. Potresti stare nella mia camera al campus, oppure un mio caro amico affitta dei monolocali in centro. Vieni via da questa merda di mondo. Era il nostro sogno New York, no?”
Mi daresti questa opportunità Jane?
Le sorrido, il sorriso più sincero che riesco a farle.
“quando parti?”
“tra due giorni.” Ci penso un po’ su.
“mi servono massimo quattro giorni per trovare i soldi.” Dico. So come fare.
Basta spacciare.
Posso fare a meno della mia droga per qualche giorno.
Venderò la mia scorta personale.
“ora devo andare, ti lascio il mio numero.” Tira fuori una penna mangiucchiata dalla sua borsa e mi scrive il numero sul dorso della mano., poi se ne va baciandomi la guancia.
Dopo pochi minuti esco dal locale fissando con un sorriso la calligrafia confusa di Jane..
È strano come la mia vita possa cambiare con un semplice incontro.
Sento la testa girarmi e il vomito salirmi in gola.
Rigetto sul marciapiede immaginandomi una esistenza migliore di questa.

“Vendi tutto?” un uomo alto e coperto da un capello fissa la roba che gli offro.
Annuisco nella penombra..
Osserva bene il sacchetto trasparente, poi tira fuori dalla tasca un mazzetto di dollari, uniti da un laccio.
Me li rende.
“è stato bello fare affari con te.” La sua voce rude si allontana, sparendo dentro una macchina grigia.
Conto i soldi con un sorriso e me li metto nelle tasche dei jeans.
Sarà fantastico ricominciare, come se nulla fosse successo in questi orrendi anni.
Mi incammino verso la stazione con la borsa sulle spalle.
Mi avvicino al telefono a gettoni che c’è in stazione e compongo un numero.
Sono le dieci di sera e il cielo è pieno di stelle.
“Jane? Sono io, Claire.”
“ehi, stai partendo ora?” mi chiede ansiosa.
“il treno parte fra cinque minuti, ora è meglio che mi sbrighi.”
“ci vediamo a New York. Sto arrivando. Stai attenta Claire.”
“tranquilla a dopo.” Aggancio il telefono e salgo sul treno. Il treno che mi porterà verso la vita.
Una vita tutta mia.

Fine Flashback


"Bambina..." dico incrociando le braccia.
"Vecchio..."
"Che ci fai tu qui?"
"La vecchiaia deve averti davvero dato alle testa. Ci lavoro! Cosa altrimenti?" mi dice mettendosi le mani sui fianchi.
"Non saprei... Comprare un libro? 'Alla ricerca della penna magica?"
"Ah, intendi dire quello che hai in mano?"
"Che vuoi da me?" dico rimettendolo al suo posto.
"Io? Assolutamente niente! Sei tu che hai invaso il mio territorio!" dice andando verso dei cd. Bhe, effettivamente, sono io l'intruso. Comincia a sfogliare delicatamente alcuni Lp. Se fosse stata più grande sarebbe stata carina. Già, se fosse stata più grande.
In silenzio vado ancora un po’ per la stanza osservandola. Osservo ogni suo minimo movimento, ogni suo minimo particolare. Non so perchè, ma ho questa mania, osservare. Dopo aver guardato, un po’ di libri, prendo quello che mi sembra il più interessante e mi avvicino al bancone.
Un ragazzo o uomo, dipende dai punti di visita, mi guarda a bocca aperta.
"Ma ma ma ma ma, tu sei... Gerard Way?" ecco.
"Ehm... si sono io..." rispondo sorridendo e porgendogli una mano.
"Wow, sei un mito! Tu e il tuo gruppo siete fantastici!"
"Quale gruppo?" ancora quella voce irritante.
"Claire! Lui è Gerard Way! Il cantante dei My Chemical Romance!"
"Eh? Chi?" risponde guardandolo non capendo.
"Claire... mi fai schifo!"
"Ehy Mich! Bada a come parli!" Claire, si chiama Claire la bambina.
"Quindi vuoi dire che lui è una sottospecie di artista?" dice puntandomi il dito contro.
"Certo!" dice il ragazzo sgranando gli occhi.
"Ah, mi fa piacere." e senza dire altro ritorna ai suoi cd.




Ciao!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Siamo mcr_girl e ElfoMikey… Abbiamo avuto la pazza idea di unirci per creare questa fan fiction!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Speriamo vi piaccia!!!!!!!!!!! >_< Grazie tantissimo a chi leggerà e soprattutto a chi recensirà questo capitolo!! Grandi baci!!!<3

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Capitolo 2
*** Here I am… just you and me. ***


Here I am… just you and me.



Claire POV


Entro nel solito bar. Il solito squallido bar. Ormai qui sono diventata di famiglia. Non c'è nemmeno bisogno di ordinare da bere perchè appena mi siedo mi ritrovo dinanzi un bicchiere d'alcool.
E' tutto così triste, così deprimente, è tutto... una grande merda.
Via con il primo. Il secondo. Il terzo. Il quarto.
So già che domani ricorderò ben poco di questa serata.
Mi risveglierò su qualche marciapiede o, se sarò fortunata, riuscirò a tornare nel luogo, che comunemente viene chiamato casa, con le mie forze.
Quella non è casa mia. Casa mia è tutt'altro. Essere a casa significa vivere con chi ami. Significa sentirti protetta, sentirti al sicuro.
Una volta avevo una casa. Una volta.
Conoscere la felicità e poi vedersela portare via, come il vento porta via le foglie autunnali. Sapere che significa essere amati e vedere la fonte del tuo amore spegnersi, morire, quando ancora sei troppo piccola.
Conoscere, avere ciò che al mon c'è di bello e poi vederselo portare via, ti... uccide.
Il quinto.
"Hey piccina, vacci piano." una voce mi allontana dalla fitta rete di pensieri nel quale stavo cadendo, o meglio, nel quale sono caduta.
"Fatti un pacco di cazzi tuoi!" gli grido con al testa che sembra scoppiarmi.
"Vedi di calmarti o qui per te finisce male!" mi alzo buttando giù lo sgabello sul quale ero seduta.
Mi dirigo verso il bagno.
Sbatto la porta dietro le mie spalle.
Chiudo a chiave.
Guardo la mia immagine riflessa nello specchio. La matita sbavata, la pelle bianca, i capelli neri davanti al viso.
Sei tu Claire? Sei tu? Di chi è quell'immagina riflessa?
Sei tu cazzo... sei tu.
Mi poggio al muro freddo e mi lascio scivolare lungo di esso sedendomi sul pavimento sporco.
Dalla tasca dei miei jeans scoloriti estraggo ancora una volta quella piccola bustina, quella polvere diventata ormai la mia migliore amica.
Tutto questo è fottutamente... sbagliato.

Mezz'ora su questo pavimento a fissare il soffitto. A fissare il soffitto bianco.
Non sento più nulla. E' come se avessi abbandonato il mio corpo temporaneamente. Come se stessi guardando me stessa da fuori.
Lo sguardo perso. Gli occhi vuoti. Tristi, malinconici, pieni di dolore.
La luce bianca e fredda illumina il mio volto stanco, il mio volto bianco.
Muovo le dita. Si posso ancora muovermi, si, ci riesco.
Qualcuno bussa violentemente alla porta. Non la smette. Vorrei rispondere, non ci riesco.
"Hey qui c'è qualcuno che ha bisogno del bagno!" una voce femminile, rude, graffiata.
Mi alzo lentamente.
"Ho finito." riesco a dire debolmente.
Mi guardo ancora allo specchio. Il naso sporco. Lo pulisco.
Mi gira la testa, non mi reggo in piedi. Devi Claire, non cedere ora.
Barcollando mi avvio verso la porta che sembra terribilmente lontana. Troppo lontana.
Mi poggio al muro. Sto per cadere.
Ce la fai Claire, ancora pochi passi.
Apro.
"Cazzo finalmente! Spostati!" prendendomi per un braccio la donna mi scaraventa oltre al soglia.
Tutto gira. Tutto è sfocato. Ogni rumore è ovattato.
Mi avvicino al bancone.
Chiedo un'altro bicchiere.
Non mi viene dato.
"Dammi da bere." ripento sperando che questa volta si muova.
"No."
"Ho.Detto.Dammi.Da.Bere.CAZZO!" urlo. Alzo la voce.
"Hey tu vedi se ti dai una calmata ed esci fuori di qui!"
"No! Io voglio bere!" mi alzo facendo cadere ancora una volta lo sgabello.
Sento le gambe che stanno per cedere.
Devo resistere.
Lancio il bicchiere per terra.
"Oh! Che cazzo fai esci di qui!" gli mollo un pugno.
"Brutta stronzetta!" mi molla uno schiaffo.
La vista mi si annebbia.
Arretro di qualche passo.
Le gambe...
Sento la rabbia salire.
"Brutto bastardo!" mi avvicino ma sento qualcuno prendermi per i fianchi. Sento della braccia circondarmi la vita sottile.
La testa comincia a girarmi troppo forte.
Mi volto.
Due occhi verdi.
Poi, il buio



Gerard POV


Continuo a pensare alla mia vita. Un periodo no in cui penso troppo, non che già non lo faccia, cioè sono uno che come dire, si fa troppe seghe mentali, ma da quando lei è uscita di scena i miei pensieri sono aumentati, troppo.
Odio tutto questo perchè finalmente avevo cominciato a guardar la vita con occhi diversi, con il sorriso. Cerco di stare lontano da qualsiasi bevanda contenga dell'alcol, perché sono sicuro, che potrei ricaderci. Un po’ per la solitudine, un po’ per il dolore, un po’ per la malinconia.
Questa sera ci doveva essere una sottospecie di riunione a casa di Frank, tutti insieme prima di ripartire alla volta di Boston.
Non ci sono andato.
Sono sceso di casa, ma le gambe mi hanno condotto in strade che non sono quelle che portano a casa del mio chitarrista.
Cammino per le strade buie di New York fumando una sigaretta.
E' tardi, ma non mi fermo, non torno a casa.
Ho bisogno di stare solo con me stesso, di farmi quasi del male perdendomi nei ricordi , nel pensiero di una vita felice.
Un bar.
Uno di quei bar dove la gente va per bere, per dimenticare, per farsi del male.
Un bar piuttosto mal ridotto.
L'insegna rossa è scolorita. Riesco a sentire le note di una vecchia canzone anche fuori esso.
Guardo dentro.
Poche persone, seduta al bancone bevono le loro birre, i loro wisky. Persone sole, come me.
Solo che io ho deciso di non ricaderci. Di non cadere ancora in quel mondo fatto di dolore e distruzione.
Guardo ogni loro minimo movimento mentre butto la mia sigaretta ormai finita.
Una figura piuttosto piccola attira la mia attenzione.
Una ragazza, appena uscita dal bagno. Una ragazza dai lunghi capelli neri è appena uscita dal bagno
Metto a fuoco ciò che sta accadendo dentro. uno sgabello sul pavimento. un bicchiere rotto.
E' lei ne sono sicuro. E' lei.
Entro dentro perché ho come l'impressione che stia per succedere qualcosa di spiacevole.
Tutti sono voltati a guardarli, ma nessuno muove un dito. Nessuno sia alza per fermare il suo pugno sul viso di quel barista alto e robusto.
Nessuno ferma la mano che si scaglia contro il suo viso, quel viso delicato e pallido.
Sta per cadere e riesca a prenderla appena in tempo.
Guarda i miei occhi, punta i suoi occhi blu nel verde dei miei.
Poi, chiude gli occhi abbandonandosi nelle mie braccia.
Apre gli occhi.
Siamo fuori.
L'ho presa in braccio e l'ho portata via di li. Siamo seduti su una panchina e cerco di rianimarla.
Così giovane, con ancora una vita davanti, non può rovinarsi così.
Si riprende, guarda incerta il piccolo parco in cui l'ho condotta. Solo dopo pochi secondi riesce a capire che l'uomo che ha davanti è quello che le ha portato via il suo fumetto.



Claire POV


“Dove abiti?” Gerard, che cosa vuoi da me? Vai via non vedi che sto male?
Mi aggrappo alla sua maglietta, passandomi una mano sulla fronte umida. Gerard mi passa un braccio intorno alla vita, cercando di sorreggermi.
“ehi, Claire!” pronuncia il mio nome, con voce disperata e impaurita. Ansimando sussurro parole che fatica a capire. Non pensavo si ricordasse il mio nome.
“Saint James, al quattrocentosessanta…” lo vedo annuire e chiamare un taxi, sbracciandosi, finchè un taxi inchioda davanti a noi.
Gerard fatica a mettermi stesa sui sedili posteriori, così in aiuto viene il taxista. Sento dei rumori sconnessi e la voce calda e preoccupata di lui dare indicazioni confuse. Mi accarezza i capelli, cercando di farmi rilassare, visto che ho preso ad ansimare forte. Mi manca il respiro.
“andrà tutto bene, stai tranquilla.” Mi cerca nelle tasche le chiavi di casa, le trova poco dopo nella tasca posteriore dei Jeans.
Mi prende in braccio, appena scesi dal taxi. Lo sento imprecare mentre cerca di infilare la chiave nella serratura. Appena entrati, Gerard si scontra con alcune bottiglie di gin e whisky vuote sparse sul pavimento.
Accende la luce per cerare di orientarsi e quando trova il letto mi fa stendere su di esso con lenta premura.
“la luce…no…” sussurro, infastidita. Gli occhi lacrimanti e rossi, pieni di vergogna, dispiacere e senza più un briciolo di vitalità.
Quella vitalità che mi è stata rubata otto anni fa.
Gerard abbassa l’interruttore e nella penombra cerca di portarmi un bicchiere d’acqua.
Lo bevo con foga, come se non bevessi da anni.
Gerard poco dopo mi passa un panno bagnato sulla fronte scendendo fino al collo e dandomi sollievo.
Lo passa sulle mie braccia nude, fino alle mani.
Apre la piccola finestra sopra al mio letto cercando di fare entrare un po’ d’aria.
Mi piacciono le sue attenzioni.
E lo so che lo fa solo perché ho ingerito troppa droga, ma mi fanno sentire importante.
Ritorna al mio fianco sendendosi sul pavimento scricchiolante.
Gli cerco la mano, lui se ne accorge e me la stringe fra le sue, accarezzandomi il dorso con i pollici.
Lo guardo negli occhi.
Sono bellissimi.
Verdi, grandi, intensi.
Mi fanno battere forte il cuore.
“resta qui con me…” supplico, senza rendermene conto.
“sono qui bambina, non ti lascio sola.” Mi sussurra all’orecchio. Rassicurata da queste parole chiudo gli occhi.
Perdendomi in questo beato silenzio, ma non blocco Gerard, quando con filo di voce intona una melodia a me sconosciuta, che mi incanta e mi fa sorridere…
“late dawn and early sunset. Just like my favourite scenes. Then holding hands and life was perfect. Just like up on the screen…”
Quanto vorrei che fosse vero.
Quanto vorrei che la mia vita fosse perfetta.
“but does anyone notice there’s a corpse in this bed…?”
Già… chi se ne è accorto che qui giace il mio corpo?
Che è stanco di vivere,
stanco di star male.
Continua a cantare e illudimi con le tue parole meravigliose e perfette Gerard.



Gerard POV


Le accarezzo i capelli morbidi cercando di calmarla.
Intonando quella canzone che per anni ha avuto il potere di calmarmi.
So come si sente.
Lo so fin troppo bene.
La sua vita appesa a un filo e questo filo è così fragile e lo sarà finchè qualcuno non riuscirà a sostituirlo con qualcosa di più forte.
Non ho mai visto i suoi occhi sorridere, anche se l’ho vista poche volte.
Non ho mai avuto la possibilità di guardarla ridere. Mi piacerebbe vedere le sue labbra incresparsi in un sorriso, anche se piccolo.
Aspetto che il suo respiro si regoli, prima di alzarmi e cominciare a sgombrare la stanza da tutte quelle bottiglie vuote e cicche di sigarette consumate.
Vigilo sul suo sonno agitato, finchè le sue belle iridi blu non si aprono di scatto.
Si guarda intorno, non sapendo dove si trova.
Ha lo sguardo confuso, ma appena lo scontra col mio, si ricorda di tutto.
Piange, si dispera portandosi le mani agli occhi. È scossa da singhiozzi che rimbombano in tutto il silenzio del monolocale. Si solleva a sedere portandosi le ginocchia al petto, poi frenetica apre il cassetto del comodino vicino al suo letto. Ne tira fuori una busta. Si rilassa mentre decisa la apre, le lacrime che ancore le scendono dagli occhi senza tregua.
Prendo quel sacchetto dalle sue mani lanciandolo lontano, lasciandola sorpresa e arrabbiata.
“calmati.” Sussurro. Lei mi guarda, so che mi odia adesso. Le ho privato della sua fonte di benessere.
“va a farti fottere.” Sibila, con gli occhi ridotti a due fessure.
La trattengo mentre cerca di alzarsi con le poche forze che ha in corpo.
“stai ferma.” Niente. Mi urla che sono un bastardo, che non voglio farla star bene. Continua a dimenarsi lanciando pugni alla cieca. Con il risultato di trovarsi stanca e piangente fra le mie braccia.
“lasciami morire.. ti prego…” spalanco gli occhi a queste parole, mentre dondolo cercando di farla calmare, con la sua testa appoggiata alla mia spalla. Le bacio i capelli, mentre sento il suo dolore penetrarmi nella pelle, nell’anima.
“no, bambina, non ti lascio morire. Non sarebbe giusto.” Le sussurro. Un altro singhiozzo esce dalle sue belle labbra.
Quando l’ho incontrata avevo la profonda convinzione che fosse una di quelle patetiche ragazzine diciassettenni viziate. Quelle che vogliono ciò che vedono per forza, proprio come il fumetto di X-man.
Non avrei mai pensato che questa persona un giorno sarebbe arrivata, quasi suicida fra le mie braccia, ma più di tutti, non avrei mai immaginato di avere la forza e la convinzione di volerla aiutare.
Sussurra nomi sconnessi, mentre si copre il viso nel mio petto.
Quanti orrori avrà passato?
Quanti tentativi di volersi uccidere?
La mia risposta arriva lenta.
Stendo Claire sul letto, sdraiandomi al suo fianco.
Si rilassa, respirando lentamente.
Passano i minuti e le ore, ma il mattino non vuole fare capolino e il buio ci ricopre ancora, facendoci da perenne coperta.
“è da tre anni che va avanti…” sussurra, guardando il soffitto, dove alcune macchie di umidità ne fanno da padrone.
“pensavo che mi avrebbe fatto dimenticare ogni cosa brutta del mio passato, ma loro sono ancora qui e mi perseguitano.” Singhiozza ancora un po’ prima di tornare a parlare.
“da quando sono morti i miei genitori non ho fatto altro che cambiare famiglie su famiglie, ma queste mi andavano troppo strette, proprio come un vestito che non è della mia taglia. Sono otto anni che non vivo più. Sono un vegetale che striscia e si nutre di stupida polvere bianca che è l’unico motivo che mi fa vivere.”
C’è rabbia nelle sua confessione.
“mi odio. Non riesco neanche a guardarmi allo specchio.” Si copre la faccia con le mani, cancellando alcune lacrime.
“e sono patetica, neanche mi conosci e stai qui ad ascoltarmi mentre ti parlo delle mie disgrazie.”
“ti aiuterò io Claire.” Dico solenne. Ci credo in quel che dico, ma a quanto pare Claire non è della mia stessa opinione. La ragazza Soffoca una risata.
“ va via.” Sussurra questa frase, sollevandosi in piedi. La imito. Confuso.
“ti prego vai via.” Mi indica con un dito tremolante l’uscio. Io resto fermo aggrottando le sopraciglia.
“non voglio la compassione di nessuno.” Sibila, crudele.
“voglio solo aiutarti.” Le spiego, con le braccia conserte.
“ti ho detto che non voglio la compassione di nessuno. Io come una stupida mi sono anche lasciata andare a pensieri e parole che non dovevano neanche uscire dalla mia bocca!”
“ come credi di andare avanti allora?” chiedo pungente.
“non sono affari tuoi. Esci dalla mia vita, ora.” Faccio qualche passo verso l’uscita, chinandomi poi per prendere il sacchetto che avevo buttato a terra poco tempo prima. Me lo metto in tasca. Non le darò questa soddisfazione.
Esco da quel monolocale facendo qualche passo, poi butto il contenuto del sacchetto in un pattume vicino a me.
Il destino sa che la rincontrerò. Lo sento e questo presentimento mi preoccupa.



Claire POV


Sono passati tre giorni e non ho più rivisto Gerard. E' meglio così.
Vago per queste strade sola e triste.
Sola come forse non lo sono mai stata.
Cammino.
Senza meta.
O forse una meta ce l'ho.
Verso ciò che riesce a farmi dimenticare il mondo, il dolore, le lacrime. Quelle stesse lacrime che ora stanno bagnando il mio viso. Quelle lacrime che sembrano solcarmi la guance, che sembrano bruciare la mia pelle.
Mi dirigo verso colui che può farmi volare.
Mi dirigo verso quel quartiere, quel luogo buio e oscuro, tetro e che incute quasi terrore.
Cammino lentamente nel silenzio della notte.
L'aria umida mi sembra attaccarsi con forza alla mie braccia scoperte.
Forse avrei dovuto seguire il consiglio di Gerard, forse dovrei fermarmi ora, ora che ne ho ancora il tempo
Però, è solo un forse.
La verità è che non voglio. non ci riesco più ormai, non voglio più ormai. E' diventata la mia unica valvola di sfogo, l'unica cosa che riesce a darmi forza e a farmi stringere i pugni, a farmi stringere i denti.
Mi dirigo verso l'uomo seduto in fondo ad un cunicolo.
Quell'uomo che da tempo è diventato il mio rifornitore.

Torno a casa.
Ho bisogno di quella roba. introdurla nel mio corpo con tranquillità, lì dove nessuno può darmi fastidio, dove per tutta la notte posso crogiolarmi nel mio dolore.
Cammino per le stesse strade percorse poco fa.
"And there's no room in this hell, there's no room in the next, but does anyone notice there's a corpse in this bed?" non so perché mi ritrovo a cantare quello che lui quella notte ha sussurrato al mio orecchio. Parole lacerate dal dolore, parole che ti arrivano al cuore come una pugnalata, parole che contengono tutto il mio dolore, parole così vere, così... vive.
"Hey bella bambina... che ci fai qui tutta sola?" una voce rude e scura di quelle che ti fanno trasalire all'istante. Mi volto un uomo basso e sui sessanta.
"Non ti riguarda nonno." dico voltandomi e continuando a camminare.
"Hey!" dice pendendomi per un braccio.
"Lasciami andare." dico con calma e freddezza. Una cosa che mi ha sempre caratterizzato è il mio sangue freddo. La mia mancanza di raziocinio in certe situazioni.
Spavalderia e mancanza di responsabilità.
"No."
"Cazzo togli quelle mani sudice dal mio braccio!" grido cercando di liberarmi.
Gli mollo un pugno.
Con prepotenza mi riprende il braccio scaraventandomi sulla strada.
Si avvicina.
Sento qualcuno gridare e l'uomo finisce di fianco a me.
Si rialza e si scaraventa sul nonnetto.
Non chiedetemi perchè, non chiedetemi come mi ritrovo fra i due fra calci e pugni.
Nel giro di pochi secondi mi ritrovo con altre cinque persone.
Sento qualcuno colpire il mio viso con forza. Sento del sangue scendere dalla mia bocca.
Rumori troppo forti.
Qualcuno che mi afferra per la vita e mi porta in un macchina.

"Ti portiamo in centrale ragazzina." no, la polizia no.
Mi ritrovo in una stupida cella.
Sola.
Immersa nel silenzio più totale guardo le sbarre di ferro.
Una mano mi fa tremendamente male e un taglio vicino la bocca mi brucia.
Scosto i capelli che ho davanti al viso e piego le gambe portandomele al petto. Ci poggio al testa sopra.
Non una lacrima, non una lamento, non questa volta.
Non riesco a piangere, vorrei, ma non ci riesco. vorrei gridare ma non posso.
Una notte, una notte qui dentro. Non ci riesco. Chiamerei qualcuno, ma non ho nessuno.
Mi alzo avvicinandomi alle sbarre.
Tocco il freddo metallo e rabbrividisco a quel contatto. Due uomini sono seduti infondo a un lungo corridoio e bevono un caffè, cosa di cui ora avrei bisogno.
Mi manca la mia famiglia.
Ecco dove sono arrivata. Venendo a New York non era ciò che desideravo. Il pensiero di ricominciare una vita nuova senza essere sballottata de una famiglia all'altra è andata in fumo.
E ricordo il suo sorriso, ricordo i pomeriggi spesi nel dirmi che mai avrei dovuto smettere di sorride perchè qualunque cosa sarebbe potuta succedere lei era lì con me, nel mio cuore.
Non ci sono riuscita mamma, non ci sono riuscita. Perdonami.
Mi avvicino ad un angolo portandomi le mani in tasca. Mi fermo un momento. Estraggo un bigliettino. lo osservo sorpresa, tingendo il mio volto di un sorriso.
"Hey gente! Non ho diritto ad una chiamata?"
"No."
"Si invece. Mio padre lavorava in questo campo. Esigo una chiamata!" vedo uno degli uomini alzarsi. Avrà all'incirca quarant'anni. Alto e con una pancia vigorosa.
"Il telefono è lì." dice indicandomi un angolo. Bene, come al solito le mie bugie hanno funzionato. Papà non ha mai lavorato in un posto così. Lui aveva un negozio di fiori dove ogni domenica mi divertivo a giocare con la mamma.
Rimango per qualche secondo a fissare il bigliettino prima di inserire una moneta e digitare il numero.



Gerard POV


"Ve l'ho detto, non mi va!" dico andando verso la cucina.
"Dai è solo una piccola partita!" prendo una tazza e mi verso del caffè.
"Dio Jam, aiutami tu. Questi sono pazzi." la sento ridacchiare e poggiarmi una mano sulla spalla.
"Dai Gee, accontentali. Almeno così staranno zitti e io non dovrò sorbirmi Frank che si lamenta. Lo fa per te, è preoccupato. Tutti siamo preoccupati per te. " dice abbassando il tono di voce sul finire della frase.
"Io sto bene, non dovete preoccuparvi, Davvero." le sorrido e l'abbraccio.
"Hey toglile le mani di dosso. Lei è la mia donna." dice andando verso di lei e posando un bacio delicato sulle sue labbra.
"Andiamo Frankie, giocherò."
"Si!" comincia a saltellare.
"Hai una compagna davvero speciale. Tienitela stretta."
"Lo so." mi chiedo se mai riuscirò anch'io ad essere così, innamorato. Il modo in cui si guardano, il modo in cui si parlano è straordinario. Gli occhi di uno si illuminano quando incontrano quegli dell'altro.
Credo di non aver mai visto Frank così felice.
"Allora andiamo?" dice riportandomi alla realtà.
"Si si. Arrivo." lo seguo in salotto.
Il cellulare mi squilla.
Ma io voglio sapere chi è quel genio che mi chiama a quest'ora.
"Chiunque tu sia spero che sia una cosa importante."
"Ehm... ciao sono Claire."
"Claire?" perchè ho un brutto presentimento?
"No, Babbo Natale. Certo che sono io!" okay, già mi irrita.
"Hai trovato il biglietto? Ti è successo qualcosa?"
"Bhe, ecco... ero in giro e mi sono ritrovata casualmente in una rissa, Ma casualmente eh. Poi è arrivata la polizia e mi hanno portata in centrale. Dovrei passare tutta la notte qui, io... bhe non riesco a stare qui dentro e non fosse davvero impossibile non ti avrei chiamato. Io non o che fare ora. Ma se non vuoi non importa, io non voglio essere un peso è solo..."
"Scendo. Sarò lì tra poco." dico prendendo la giacca.
"Grazie..." sorrido.
"Arrivo." chiudo al chiamata e mia avvio verso la porta.
"Dove vai?" mi chiede Ray.
"Vi spiegherò dopo."

Mezz'ora d'auto e mi ritrovo davanti alla centrale.
Butto la sigaretta e mi avvio all'ingresso.
Mi guardo un po’ intorno.
Mi avvio verso un una porta.
"Hey tu, dove credi di andare?" un uomo alto sicuramente sui quaranta.
"Bhe ecco, ceravo una ragazza."
"Ce ne sono molte qui." dice scrutandomi.
"é stata portata qui questa sera. Piccola, occhi blu, capelli neri..."
"Lei chi è?"
"Io, io... sono il fratello. Mi ha chiamato prima." mi guarda un ancora per un po'.
"Venga." mi conduce per i corridoi fino ad arrivare ad una piccola stanza.
E' tutto così triste qui. Il grigio predomina tutto. Si possono sentire delle voce, dei lamenti. gente che vuole uscire, gente che chiede un avvocato.
"Ce da pagare una cauzione." ecco.
"Si..." cosa mi tocca fare per quella bambina.

Poco dopo una porta si apre e una ragazzina dai capelli neri, piccola e magra esce da essa lanciando una brutta occhiata al poliziotto che sbuffa e borbotta qualcosa.
Mi guarda e poi abbassa lo sguardo.
"Dai sorellina andiamo." dico avvicinandomi e circondandole con un braccio le spalle.
La conduco fuori e mi allontano da lei.
"Gerard io... ti ripagherò di tutto davvero...."
"Hey Claire, non importa, dai vieni..." le faccio segno di seguirmi.
"Dove?" mi chiede restando ferma.
"in un posto sicuro!così non farai più danni!" dico dicendo come se fosse al cosa più ovvia del mondo.
"No, voglio andare a casa mia." dice incrociando le gambe e assumendo un'espressione seria, molto seria.
"Per farti ancora? No cara, non te lo permetterò. Tu ora vieni con me e non si discute. Se non lo farai con le tue gambe lo farò io con la forza, puoi starne certa." dico guardandola dritto meglio.
Rimane qualche secondo a fissarmi, a pensare alla fine senza dire nulla, senza fare alcun gesto, senza dare alcun segno mi viene incontro.
Salgo in macchina e lei mi imita.
Per tutto il viaggio in silenzio. Un silenzio voluto da entrambi perché le parole in questo momento sarebbero solo inutile, parole perse nell'aria.
Mi volto di tanto in tanto a guardarla, a guardare qual viso dolce e delicato, quegli occhi grandi blu, le labbra sottili, la pelle bianca quasi come la mia.
Varie domande il mio cervello si pone, domande a cui solo lei può dare un risposta. Domande che per il momento rimangono lì, nella mia testa.
Finché Claire non parla.



Claire POV


Le mille luci di New York corrono veloci, mentre le osservo chiusa in questa macchina. Mi appoggio allo schienale morbido e mi volto a guardare Gerard, concentrato nella guida. È affascinate il modo in qui lo fa.
Sorrido, perdendomi in quei movimenti.
Ha un leggero sorriso soddisfatto sulle labbra.
“perché sorridi?” chiedo, guardandolo con un sopraciglio inarcato.
“lo sapevo…” dice solamente, continuando a esporre quel fastidioso sorrisetto.
“sapevi cosa?” odio i giochi di parole.
“che avresti chiesto il mio aiuto.” Dice. Offesa mi giro dall’altra parte.
“dove mi stai portando?” cambio discorso, nel tentativo di riuscire a togliergli quell’odioso sorriso.
Gerard scuote la testa, rassegnato.
“a casa mia.” Dice. Resto in silenzio. So che non ha cattive intenzioni. È come se lo conoscessi da sempre. Dopo una mezz’oretta Gerard parcheggia l’auto davanti ad un alto edificio. Ne rimango allibita.
“ a quanto vedo, i soldi sono l’ultima cosa che ti manca…” sussurro, provocandogli una risata. Mi guida all’interno dell’edificio. Quasi mi vergogno, vedendo la bellezza e la ricchezza dell’ingresso in confronto a me, con i vestiti stropicciati e sporchi e i capelli scompigliati. Ci dirigiamo in ascensore, dove cade un profondo silenzio, rotto solo dal famigliare suono del campanello dell’ascensore che ci avvisa che siamo arrivati.
Settimo piano.
Seguo Gerard e lo osservo attentamente nel momento in cui si ferma davanti a una grande porta grigia e armeggia con un mazzo di chiavi.
Pochi secondi dopo entriamo nell’appartamento. Restiamo nell’oscurità mentre Gerard si chiude la porta alle spalle.
Sento il suo profumo, così buono, così rassicurante, passarmi accanto, un attimo dopo Gerard ha acceso l’interruttore della luce, illuminando il grande appartamento. A bocca aperta comincio a percorre la casa in lungo e in largo. Affascinata da ogni cosa di essa.
Non avevo mai visto un appartamento del genere. Mi fermo in salotto, dove Gerard si avvicina e si gode la mia espressione esterrefatta.
C’è una grandissima vetrata, che ti permette di vedere New York nella sua veste più bella, la notte.
“Wow…” esclamo, senza riuscire a dire altro. Mi avvicino alla grande finestra, osservando meglio le luci che giocano fra loro in questa calda serata.
“bello vero? Sai, non ho mai amato New York, ma da quando ho avuto la possibilità e il privilegio di venire a vivere qua, mi sono innamorato della notte che questa città riesce a regalarmi.”sorrido, concordando appieno con le sue parole.
È uno dei motivi per qui sono tornata qui.
La notte, così magica e perversa, così dolce e piena di sorprese.
“a ogni modo se vuoi farti una doccia, fai pure. Puoi prendere dei vestiti puliti dal mio armadio.” Dice Gerard sparendo in cucina.
“si, grazie…” sussurro, prima di inoltrarmi in camera da letto. La camera di Gerard non è molto ampia, al contrario è buia e ha un non so che di tenebroso. Accendo la luce, osservando ogni minimo particolare, poi comincio a frugare nel suo armadio, tirandone fuori un paio di jeans e una maglietta a mezze maniche.
In bagno guardo la mia immagine riflessa su un grande specchio. Mi tolgo di dosso i vestiti, come se bruciassero. Mi viene in mente quel giorno a casa mia, dove senza un motivo Gerard mi aveva preso per mano e mi aveva accarezzato i capelli, facendomi sentire finalmente qualcuno. Lascio cadere l’ennesima lacrima dai miei occhi segnati da pesanti occhiaie.
Patetica.
Lo sono sempre stata, cercando di apparire come non sono.
Patetica Claire.
Mi passo una mano fra i capelli per poi infilarmi nell’ampia e bianca doccia.
Il dolore si mischia all’acqua e al bagnoschiuma. quel profumo che accompagna Gerard ogni giorno.
È come se fosse qua e mi abbracciasse stretta, stretta a lui.
Posso sentire il mio dolore diminuire e lasciarmi fuggire un largo sorriso.
Ma quando può durare?
Gerard è la cura più efficace per le mie ferite, ma sono sicura che presto o tardi, tutto finirà e io sarò di nuovo sola in compagnia di chissà quale droga.



Gerard POV


Lascio il caffè salire lentamente, sotto il mio sguardo attento.
L’aroma del caffè mi rilassa e così lo assaporo lentamente ad occhi chiusi.
Sono perso nelle mie più totali convinzioni.
Ho il dovere di aiutare quella ragazza. Mi sento troppo coinvolto per lasciarla sola in una situazione come questa.
So di che cosa ha bisogno.
Di qualcuno che l’ascolti.
Di qualcuno che la consoli.
E io più di ogni altra cosa voglio essere questo qualcuno.
Sento lo scroscio dell’acqua e lento mi accompagna mentre sorseggio il caffè.
Passati una ventina di minuti, Claire fa capolino dalla porta della cucina, con i capelli bagnati e racchiusa nei miei abiti.
Sembra così dolce e ignara delle cattiverie del mondo, quando lei le ha vissute in prima persona e non si potrà mai fare nulla per farle dimenticare tutto quello che ha passato.
Sorrido dolcemente, notando che fatica a camminare per via del jeans troppo lungo.
“aspetta…” sussurro, chinandomi e prendendo il piede suo nudo fra le mani, facendo vari risvolti prima ad uno poi all’altro. Mi rialzo, regalandole una carezza sui capelli umidi.
“Grazie, ora va meglio…” è imbarazzata e si tortura la mano con le unghie.
“vuoi del caffè?” chiedo, indicando la macchinetta dietro di me. Claire annuisce e io le porgo una tazza con del buon caffè fumante.
Senza dire altro ci avviamo in salotto, sedendoci entrambi sul divano. Mi levo le scarpe sistemandomi con le gambe incrociate sul sofà. Mi rialzo quasi subito, per dirigermi in bagno e prendere il disinfettante e un cerotto. Lei segue il mio percorso con lo sguardo, poi mi risiedo di fronte a lei, prendendole il viso fra le mani, passo delicatamente il pollice sulla sua piccola ferita sotto il labbro. Fa una smorfia poi comincio a passarle un batuffolo di cotone imbevuto nel disinfettante.
“ahi, brucia…” si lamenta. Io le sorrido.
“ho quasi finito…” mi osserva e sento uno strano senso di benessere. Sento già di dipendere da quei occhi così blu e belli. Non so se definirla una cosa giusta, una cosa positiva.
Le applico il cerotto in una carezza delicata e mi sorride, grata, poi si accoccola sul divano, guardando le luci della Grande Mela.
“ti ringrazio.” Un sussurro, venuto dalle sue belle labbra sottili. La guardo.
“non… pensavo che mi avresti aiutato… io sono così sbagliata, così egoista….e ho avuto la fortuna di incontrarti… mi chiedo il perché tu faccia questo. Ho cercato tante volte di cambiare, di cercare una via di uscita, ma non ci sono mai riuscita, mi perdevo sempre nelle mie convinzioni. Nelle convinzioni che la vita è una merda e che da sola non ce l’avrei mai fatta. Poi è arrivata Jane, una mia vecchia amica e mi ha dato l’opportunità di migliorare. Ne ero convinta, ma sono sempre caduta e ogni volta sempre più in basso, poi sei venuto tu. Non mi conosci minimamente ma mi hai aiutato a superare una notte di inferno quando da sola non ci sarei mai riuscita e sarei inevitabilmente crollata. E ora sei qui e so che se ti chiederei un abbraccio tu saresti disposto a darmelo…” senza proferir parola l’abbraccio, facendole posare la testa sul mio petto.
Piange, senza tregua e spero che queste saranno le sue ultime lacrime.
Vorrei farle dimenticare ogni cosa.
Non sarà un obbiettivo,
ne uno scopo, solo un motivo per rendermi vivo.
Perché per quanto la vita possa andare avanti non puoi sperare di vivere bene se non dai a questa vita un motivo.
Avevo tanti motivi, ma questi si sono trasformati in cenere in un freddo giorno di febbraio.
“non avrei mai pensato di trovare un amico e di aver avuto il coraggio di fidarmi ancora.” Sussurra poco dopo, appoggiata al mio petto.
“puoi fidarti, non aver paura.” Lentamente mi sdraio sul divano, portandola con me, con la testa perennemente sul mio torace.
La cullo, finchè non cade fra le braccia di Morfeo e con lei, anche io.




Holaaaaaaaaa!!! mcr_girl ed ElfoMikey sono ancora qui!!!!!! abbiamo inserito i POV per rendere la storia il tutto più facile!! Ci abbiamo messo un po’ per farlo… tutta colpa di ElfoMikey che non riusciva a scrivere un pezzo!!!(sono scema che ci volete fare!! N.d.ElfoMikey)(Don't worry Grè, sono con te! N.d.mcr_girl) (oh, grazie rò!! sigh!! n.d.ElfoMikey) speriamo vivamente che vi sia piaciuto e attendiamo commenti!! <3

Grazie a chi legge, davvero grazie dai nostri cuoricini!!

Un grande ringraziamento a:

MiKeYwAy4EvEr: ecco a te un altro capitolo!!! Spiamo tanto che ti piacciaa!!!! Baci!!

Luinil: grazie cara!!! Speriamo ti piaccia anche questo Luinil!!! Facci sapere okay? Abbracci!

Byeeeeeee!!!!!!!!!

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Capitolo 3
*** Chocolate Ice-cream ***


Gerard POV

Apro gli occhi, disturbato dalla luce del sole che batte su di essi.
Claire dorme su di me, ignara del mio risveglio.
È buffa, con la bocca mezza aperta e quell’aria da eterna bambina.
Le scosto da me lentamente, cercando di non svegliarla. Mugugna qualcosa rigirandosi sul divano.
Rido leggermente, poi mi dirigo nella mia camera, osservando il disordine, scoraggiato. La mia camera sembra un campo minato dopo l’esplosione.
Comincio a raccogliere i vestiti sporchi e gettarli in un angolo della stanza, poi il mio sguardo verde cade su una foto, posata sul comodino vicino al grande letto.
Lentamente percorro la distanza che mi divide da quella dannata foto e da lei.
La prendo fra le mani e accarezzo la cornice d’argento con le dita.
Guardo me, ragazzo innamorato, felice, con quel sorriso allegro che mi è stato tolto così velocemente, così malignamente.
Guardo lei, ragazza bellissima, dagli occhi neri che ti rubano l’anima, con quel sorriso così dolce, con quei capelli così lunghi e morbidi.
Cerco di togliermi la sua immagine dalla testa,
chiudo gli occhi, ma lei è ancora li, con le sue parole, la sua voce, il suo sguardo, il suo corpo… cose che non riesco a dimenticare, cose che vorrei dimenticare, per essere libero, per vivere.
Rivedo lei sul quel letto, abbracciata ad un uomo che non sono io, nuda, bellissima e macchiata di tradimento.
Mi mordo le labbra fino a farle sanguinare.
Sto male.
Perché ogni singolo giorno è un cammino doloroso, così difficile, così lento e straziante.
Staremo insieme per sempre Gee…” la sua voce che mi accarezzava l’anima stretta fra le mie braccia.
È così che voglio ricordarla.
Ogni giorno spero che quella porta si apra e che entri lei, e abbracciandomi mi dice che le dispiace.
Stupido Gerard.
Vivo in quella meravigliosa illusione che mi accompagna ogni minuto, ogni ora, ogni giorno.
Si, l’amo ancora. Sempre.
Nonostante tutto.
Vorrei non farlo, ma è inutile
Accarezzo la sua immagine, sperando di toccare realmente il suo viso angelico.
Dovrei odiarla.
Non ce la faccio.
Non chiedetemi il perché,
chiedetelo al mio cuore che ha deciso di soffrire e di lasciarmi in questa assurda agonia.
Poggio la fotografia sul comodino ed esco da quella stanza, sperando di lasciarci i ricordi, ma questi mi seguono come la mia ombra.

Guardo Claire che dorme ancora beata.
Mi fa ridere.
Con quel viso da bambina così dolce.
Sarà che è speciale,
sarà che è così simile a me,
sarà che ha passato le mie stesse esperienze,
ma la sua presenza mi aiuta a non pensare ad altro.
Le regalo una carezza sui capelli sparsi sul cuscino, poi mi dirigo verso la finestra, attirato dalle macchine che sfrecciano sotto di me. sobbalzo quando la figura mezza addormentata di Claire compare al mio fianco. mi osserva con gli occhi mezzi aperti e i capelli tutti scompigliati.
"buon giorno." sussurra, grattandosi il fianco svogliata.
"ben svegliata" dico, tornando a guardare i grandi grattacieli e le macchine veloci.
Claire mi osserva, cercando di capire il mio stato d'animo.
Non mi piace quando la gente cerca di leggermi dentro, come se fossi un libro. lei però, è diversa.
"ti va di parlarne?" chiede con tatto.
“come fai ha sapere che c'è qualcosa che non va?” lei sorride e mi accarezza la guancia con fare dolce.
"sono i tuoi occhi che dicono ogni cosa... senza bisogno che tu faccia nulla." è sincera, come il suo sguardo.
poso la testa sul vetro della finestra, per lasciarmi andare alle parole...

Claire POV

La flebile luce del sole illumina il mio viso.
Non voglio svegliarmi ora, non ne ho voglia. Voglio dormire, dormire e dormire, per… per non pensare.
Inutile.
Mi rigiro sul divano cercando di coprirmi dalla luce del sole.
Nella mia mente il suo viso. Il mio corpo poggiato sul suo mentre dolcemente mi accarezzava i capelli facendomi sentire anche se solo per una volta… protetta. Facendomi sentire quasi importante, come se la mia vita fosse contasse davvero qualcosa. Qualcuno che non si è tirando indietro quando ho toccato il fondo, qualcuno che mi ha soccorso come nessuno ha fatto fino ad’ora. Qualcuno che per la prima volta ha asciugato le mie lacrime.
Mi alzo a sedere, ormai è impossibile riaddormentarsi.
Apro gli occhi passandomi una mano sul viso.
Sbadiglio prima di decidere di scendere dal divano.
Mi volto verso la grande vetrata da cui il sole entra timido illuminando fastidiosamente il mio viso.
Lo vedo, è li, davanti quel grande vetro a guardare la città che a differenza di noi non ha dormito.
Sento il suo respiro diffondersi nella stanza silenziosa. Vedo il suo torace muoversi con ritmo regolare.
Mi avvicino cercando di non fare rumore.
Mi metto di fianco a lui guardando oltre il vetro.
La città si muove lenta.
Solo ora si rende conto che io sono qui accanto a lui. Me ne rendo conto perché lo vedo sobbalzare appena voltandosi incontra il mio viso.
“Buon giorno…” mi gratto un fianco sbadigliando.
“Ben svegliata…” dice tornando a guardare i grattaceli.
Lo osservo per un momento cercando di capire a cosa stia pensando, cosa lo tormenti. Si, perché c’è qualcosa che lo preoccupa, che lo affligge e, io, non ho idea di cosa sia.
“Ti va di parlarne?” chiedo senza nemmeno pensarci.
“Come fai a sapere che c’è qualcosa che non va?” sorrido e lentamente avvicino la mia mano al suo viso accarezzandogli una guancia.
“Sono i tuoi occhi che dicono ogni cosa… senza bisogno che tu faccia nulla.”
Posa lentamente la testa sul vetro chiudendo gli occhi.
“La mia vita è stata tutto un casino, ci sono cosa che vorrei tener per sempre nel cuore, altre vorrei dimenticarle. Ma credo sia una cosa di tutti. Sai Claire, anche io ero come te. Anche io per anni lunghi anni dalla mia vita mi sono nascosto dietro il dolore,dietro tutto ciò che sembrava farmi star bene, che non mi faceva provare ne dolore ne gioia. Mi sono ripreso un girono, mesi dopo la morte della persona a cui volevo più bene al mondo, per cui avrei dato al mia stessa vita, colei che mi rendeva vivo, mia nonna. Mi sono innamorato di una ragazza che sembrava amarmi, al quale ho donato tutto me stesso. Ho aperto per la prima volta le porte del mio cuore. Ho fatto vedere chi era Gerard Way. Mi sono esposto Claire e lei ha trafitto quel mio organo scoperto. Mi ha fatto male. E ora ogni volta che vedo un qualsiasi segno d’affetto, d’amore, rivedo lei. Rivedo il suo viso, i suoi lunghi capelli scuri, quegli occhi che avevano da sempre catturato i miei. E rivedo il giorno in cui avevo deciso di chiederle di sposarmi, il giorno in cui con fiatone entrai in quella che era al nostra camera da letto, quando mi fu rubata la speranza di un futuro con lei. La vidi lì, stesa accanto a un uomo che non ero io. Il suo corpo nudo stretto a un uomo che mai in vita mia avevo visto. E da lì è ricominciata la mia agonia. Ancora il sentirmi solo e abbandonato. La bottiglie che mi sono state tolte dalla mani, dal pavimento, da quello che è il mio migliore amico. Il mio cuore ancora piange e non posso fare a meno di fermare quelle lacrime che molte sere tornano a farmi compagnia…” apre gli occhi e incontra i miei occhi lucidi che fissano i suoi ora.
“Hey…” mia accarezza il viso.
Mi avvicino a lui stringendolo forte, cercando di fargli capire quanto io gli sia vicino ora, proprio come lui ha fatto con me.

Gerard POV

Le ho chiesto se voleva passar da casa sua per dei vistimi, mi ha risposto di no.
La capisco, non voglio che stia ancora male.
Così dal mio armadio ho cercato qualcosa che le stesse meno grande e un pantalone corto, che tempo fa tagliai per il troppo caldo.
La mattinata è passata velocemente fra parole e sorrisi, fra tv e musica, fra disegni e giochi.
Le ho preparato il pranzo. Certo non è un gran che, dietro i fornelli non sono mai stato bravo, però sono riuscito a far qualcosa di decente, senza avvelenarla.
Ripongo i piatti nel lavabo e voltando la testa la vedo ancora guardare oltre quelle grande vetrata, oltre quel vetro freddo.
La vedo perdersi nei suoi pensieri, viaggiare con lo sguardo oltre ciò che vede, oltre l’ orizzonte, oltre i palazzi.
Guardo i suoi lineamenti dolci, le sue labbra sottili, la sua pelle rosea, i suoi capelli neri.
Sospira i quel movimento mi riporta sulle terra.
“Ti va un gelato?” chiedo facendola quasi spaventare.
Annuisce con la testa.
Mi avvicino al frigo e dal suo interno esco del gelato al cioccolato. Per via di Frank c’è solo quello in casa.
Lo porgo un cucchiaio che tiro fuori da uno dei cassetti della cucina.
Mi siedo accanto a lei e in silenzio cominciamo a mangiarlo.
Non un rumore in questa casa, non un suono.
“Gerard?” mi volto verso Claire.
Merda!
Non chiedetemi perchè, mi ritrovo spalmato sulla faccia il gelato.
“Com’è?” mi chiede sorridendo a trentadue denti.
“Direi… Freddo! Ma aspetta hai qualcosa sul viso.” dico avvicinandomi a lei riducendo i miei occhi a fessure.
“Dove?”
Lancia un urlo e in pochi secondi si ritrova anche lei ricoperta di gelato al cioccolato.
Sorrido compiaciuto del mio lavoro mentre lei mi guarda, bocca aperta, occhi sgranati, espressione scioccata.
Mi guarda poi con aria di sfida mentre come me cerca di togliersi il gelato dalla faccia.
Si alza senza staccare il suo sguardo dai miei occhi.
Si avvicina.
“Ben ti sta!” dice dopo avermi spalmato dell’altro gelato in faccia. Mi alzo di scatto afferrando la ciotola mentre lei comincia a correre per tutta la casa, ridendo. La sua risata, così dolce e sincera, allegra.
Sorride ed è bella quando lo fa, ancora di più.
Corriamo per tutta la casa sporcando di gelato ogni cosa. Ne cade un po’ sul pavimento ed è proprio questo il motivo per cui ora mi ritrovo con lei a terra mentre le faccio il solletico, mentre le risate si impadroniscono di lei. Una risata contagiosa la sua.
Riesce a svincolarsi dalla mia presa ma subito la riprendo.
“Ora ti faccio vedere di cosa il signor Way è capace!” dico ridendo.
Me la carico su una spalla, fortunatamente è piccola e leggera, e vado verso il bagno.
Sbatte per scende, si dimena come un’anguilla, ma io non ho nessuna intenzione di mollarla.
Apro l’acqua e la ficco nella vasca dove comincio a bagnarla con acqua fredda.
“Merda!” grida fra le risate.
Spengo l’acqua.
Sorrido.
“Potresti anche aiutarmi…” dice senza staccare i suoi occhi dai miei.
Le porgo una mano ma con forza mi trascina nella vasca e mi ritrovo sopra di lei.
La fisso negli occhi.
Mi perdo un quegli occhi blu, come il mare che da bambino sognavo ogni sera, e non so perché ma tutto ciò che mi circonda sembra essere sparito.
Il mio sorriso scompare.
Cosa ti prende Gerard?
Non sento più nemmeno l’acqua che bagna il mio viso, l’odore del cioccolato. Sento solamente il suo respiro corto e affannato.
Le scosto delicatamente una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi così da osservarla meglio.
Il sorriso ritorna sul mio volto e mi sento un ragazzino.
Osservo la sua pelle rosea e accarezzandole le gote mi rendo conto che è morbida e liscia, piacevole al tatto come seta. E’ fredda. Chiudo gli occhi per imprimere questo momento, per assaporare fino in fondo l’odoro che la sua pelle bagnata emana.
La sento tremare sotto me, infreddolita a causa mia.
Le passo un braccio dietro la schiena cercando di trasmetterle quel poco calore che nel mio corpo è rimasto.
Nulla ora, per me, ha importanza.
Il mio sorriso non può fare a meno di allargarsi sentendo il suo respiro sul mio volto.
Sfioro il suo naso con il mio.
Cosa fai Gerard Way? Cosa ti prende?
E anche se so che dovrei allontanarmi all’istante, non ci riesco. Non ci riesco perché con lei, qui, mi sento felice, sereno, sto bene, mi sento… me stesso.
Ma è qualcun altro a fermarmi.
Qualcuno che fastidiosamente e insistentemente suona il campanello.
Apro gli occhi, mi alzo e senza smettere di sorride vado a uccidere chi ha messo fine a quel momento quasi magico.
“Arrivo!” grido cercando di togliere il gelato sul pavimento. Mi sfilo la maglia mettendone una pulita e mi.
Il campanello non smette di suonare.
“Gerard io mi faccio una doccia!” sento gridare dal bagno.
“Okay! Cavolo sto arrivando!” grido avvicinandomi alla porta.
Apro. Cazzo i ragazzi! La riunione band! Me ne ero totalmente scordato!
“Cavolo Gee!” con molta delicatezza Frank entra dirigendosi in cucina. A ruota lo seguono gli altri.
“Certo fate come se foste a casa vostra.” dico ironico.
“Bhè… ovvio.” risponde Ray stendendosi sul divano.
“Gerard! Hai finito il gelato!” roteo gli occhi sedendomi sulla poltrona.
“Frank dopo lo ricompro!” grido accendendo la tv.
“Gee?? Dov’è la mia tazza?” grida mio fratello dalla cucina.
“Nel pensile!”
“Quale?”
“Quello sopra il lavabo idiota!” ogni volta sempre la stessa storia. Ogni volta devono sempre mettermi a soqquadro la casa.
Cambio un po’ di canali mente Ray e Bob mi parlano di cosa hanno in mente per il nuovo album. Annuisco ogni di tanto i tanto con la testa, ma in realtà non sento nulla di quello che dicono. Con la mente ritorno a poco fa, a quando in quella vasca…
“GERARD!” sento la voce di Frank chiamarmi dall’altro lato della casa.
“Gee? Cosa sono questi?” dice Ray porgendomi un po’ sconcertato i vestiti di Claire.
“Dove…” sgrano gli occhi e sto per rispondere ma Frank, sempre con tanta delicatezza, spinge Ray mettendosi davanti a me.
“C’è una ragazza con un asciugamano striminzito addosso, nel tuo bagno! Mi ha lanciato una spazzola in faccia!era una furia Gerard! Qualcuno abusa del tuo bagno e tu non sai niente!” dice tutto d’un fiato sconvolto.
“Gerard! Chi è quel nano?!” la voce di Claire, sottile e squillante, si diffonde nella stanza.
Si guarda un attimo intorno notando i ragazzi che la guardano ad occhi sgranati.
“Mi sono perso qualcosa?” dice Mikey con in mano il suo caffè.



Claire POV

Non ride più ora.
Mi fissa solamente.
Mi fissa con quei suoi occhi verdi, così belli e dolci.
Scosta leggermente una ciocca bagnata che mi è caduta sugli occhi e che gli impedisce di osservarmi.
Mi sorride.
E mi ritrovo a pensare che il suo sorriso sia la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la mia squallida e orribile vita.
Allunga una mano umida e accarezza le mie gote bagnate, facendomi sorridere e chiudere gli occhi, per ritrovare la stessa immagine di lui che mi sorride.
Le sue dita sono calde a contatto con la mia pelle, resa fredda dall’acqua.
E sto bene qui, tanto bene.
Anche se sono in una vasca, infreddolita e tremo da capo a piedi, non importa.
Davvero, niente ora ha importanza.
Sento il suo respiro sul mio volto, farsi più vicino, sento l’odore del suo respiro e sa di cioccolato.
Sorride sempre di più mentre entrambi stiamo per compiere un gesto che va fuori dalla nostra portata, dai nostri sentimenti.
O almeno penso.
Mi accarezza il naso con il suo e sorrido intenerita dai suoi gesti così stupendi e lenti.
Sussurra il mio nome, come una poesia, come se fosse qualcosa di unico.
Hai questa capacità Gerard Way?
Hai la capacità di mandarmi fuori di testa così, con una sola parola?
Chiudo gli occhi, ma qualcosa stona con tutto il resto.
Il disgustoso, orribile, antipatico, suono del campanello.
Riapro gli occhi ed osservo Gerard alzarsi e senza smettere di sorridere esce dal bagno, dopo aver grido in direzione della porta, lasciandomi sola con i miei soliti pensieri.
Sospirando mi alzo a fatica dalla vasca, cercando di non scivolare. Mi rimetto in piedi e osservo la mia immagine bagnata, allo specchio. Sbuffo, passando una mano fra i capelli umidi.
“Gerard, io mi faccio una doccia!” urlo, ottenendo la sua risposta d’assenso.
Penso seriamente di aver bisogno di una doccia bollente.
Lentamente mi spoglio dei vestiti bagnati, cercando di dimenticare ogni emozione,
perché so che se ripenso a noi, tutte le mie difese da ragazza dura, crolleranno e mi ritroverò innamorata.
Ancora una volta della persona sbagliata.
Mi infilo nella doccia, lasciandomi trasportare dallo scorrere dell’acqua bollente sulla mia pelle.
Sospiro più volte, passandomi le mani nei lunghi capelli corvini, per levare il sapone delle shampoo.
Levo il tuo odore Gerard.
Che anche se per poco, ha catturato la mia pelle e il mio cuore.
Solo perché non vorrei che ci ritrovassimo a soffrire.
O forse sono solo io che formulo pensieri senza senso.
Sono solo una ragazzina.
No?
Infondo me l’hanno sempre detto
E ora sento nitide le voci di quelle persone che crudelmente mi rinfacciavano ogni cosa, anche la più piccola.
Chiudo il getto dell’acqua violentemente.
È solo con me stessa che devo arrabbiarmi.
Per questa cazzo di vita che sono costretta a vivere ogni giorno
E sembra che ad ogni passo che faccio, tutto diventa sempre più sbagliato.
Esco dalla doccia e battendo i denti cerco un accappatoio, ma l’unica cosa che trovo è un asciugamano, forse troppo piccolo, ma non importa.
Me lo avvolgo intorno al corpo, passandomi le mani attraverso i capelli bagnati.
Subito dopo, comincio a pettinarmi, con una spazzola trovata nel porta oggetti.
Nella stanza a affianco si sento delle voci agitate.
Chissà chi sarà?
Non ho intenzione di uscire da questo bagno, neanche se mi regalano oro
Mi giro di scatto,
la porta del bagno si è aperta violentemente e un ragazzo basso, pieno di tatuaggi, fa il suo ingresso.
Mi fissa.
Lo fisso.
Chi cazzo…?
“AAAH!” urlo, impaurita.
“AAAH!” Il ragazzo mi guarda spaventato, imitando il mio urlo.
“esci di qui pervertito!” urlo, lanciando la spazzola che tenevo in mano e che lo colpisce direttamente in fronte.
“Cazz..che male!” esce dal bagno sbattendo la porta e urlando il nome di Gerard
Lo seguo, fregandomene di essere mezza nuda.
“Gerard! Chi è quel nano?!” urlo, percorrendo a grandi passi il corridoio, fino a trovarmi davanti a cinque ragazzi, che mi guardano sconvolti.
“mi sono perso qualcosa?” chiede un alto ragazzo entrando in salotto con in mano una orrenda tazza.
Mi guarda anche lui, sconvolto arrossendo di botto.
“ehmmm….” Gerard rompe il silenzio.
“lei è…ehm..” si gratta il capo, imbarazzato e non posso fare a meno di ridacchiare.
La situazione è divertente.
Molto divertente.
“tu sei..?” mi chiede, guardandomi disperato, in cerca d’aiuto.
“beh, non c’è molto da spiegare. È ovvio.” Dice un ragazzo con una massa gigantesca di capelli castani.
“ecco perché ieri sei fuggito così in fretta!” dice il nano pervertito, sbattendosi una mano tatuata sulla fronte, imprecando subito dopo per il livido violaceo che sta prendendo forma sul suo viso.
“no no! Ragazzi fermate le vostre menti contorte! Non è come sembra!”esclama Gerard, agitato.
I ragazzi mi osservano ancora, maliziosi.
Arrossisco.
Ora si che mi vergogno.
“è chiaro che vi abbiamo interrotti.” Il ragazzo con l’orribile tazza,mi fissa annuendo alle sue stesse parole.
Gerard arrossisce e non sa che dire.
Così tocca a me prendere in mano le redini di questa stramba conversazione.
“sono Claire e sono un’amica di Gerard.” Dico per poi aggiungere:
“non andiamo a letto insieme, sia chiaro.”dico risoluta. Tenendomi sempre più stretto al petto l’asciugamano.
Gerard annuisce.
“si vedete, la sua lavatrice si è rotta e le ha allagato tutta casa così ha chiesto aiuto a me, che l’ho ospitata qui per un paio di giorni.” Dice sicuro di se e serio, sorridendo subito dopo.
E bravo Gerard Way, non ti facevo un così bravo attore.
Restiamo in silenzio, aspettando che i ragazzi si convincano della situazione.
“come mai sei sporco di gelato Gee?” chiede un ragazzo biondo, con due enormi e bellissimi occhi azzurri
Gerard ride.
“lunga storia Bob!”
“allora ragazzi lei è Claire, come vi ha spiegato. Claire, loro sono Mikey, mio fratello, la grossa palla di pelo si chiama Bob, il ragazzo con i capelli abnormi Ray e il nano pervertito è Frank. Questa è la mia band.” Mi presenta con quel enorme sorriso che sto imparando a conoscere e forse…ad amare.
Allungo una mano umidiccia e la stringo ai ragazzi sorridendo vergognosa, ma contenta.
“bene, claire, vieni ti do qualcosa di asciutto da indossare.” Gerard mi mette una mano sulla spalla e io rabbrividisco, sentendo mille scariche elettriche dentro di me.
In camera, lo osservo mentre si accanisce nell’armadio.
Mi siedo sul letto e sorrido.
“ecco a te, li avevo messi da parte.” Mi porge una vecchia camicia e un pantalone.
“Gerard?
“si?” mi guarda, spostandomi una ciocca di cappelli, oramai quasi asciutti, dietro l’orecchio.
“Grazie per non aver detto ai ragazzi come stanno realmente le cose…” mi sorride e nega con il capo.
“tranquilla, non ringraziarmi…” lo abbraccio e lui mi stringe a se, baciandomi affettuosamente una spalla.
“su e ora vestiti, prima che ti salti addosso!” rido, diventando di un bel rosso acceso.
È sulla porta e io non posso fare a meno di ringraziarlo ancora, perché quello che sta facendo per me è straordinario.
Gerard continua a sorridermi.
“ti aspetto in salotto…” e se ne va lasciandomi con un sorriso.






Rieccoci quaaaaaaaaaaaa!!!!!!
Scusate il lungo e terribile ritardo! Ehm.. colpevoli…. Ehm ehm…
Questo capitolo è un pochetto più leggero degli altri due… speriamo che sia piaciuto!!!
Ringraziamo chi legge solamente, grazie mille
Un grazie speciale a chi ha recensito il secondo capitolo:

Anna94_17: waaa grazie infinite per i complimentiiiiiiiiiii!!! Noi onorateeee!!!! E stai tranquilla! Ecco a te il seguito, speriamo tantissimo sia di tuo gradimento! Bacioniiiiiiiii

Chemical Lady: JEEEEEE(ndElfoMikey) ci fa tanto piacere che la storia ti piaccia e speriamo che continuerai a seguirci!sisi! facci sapere eh? Baciiii

Un saluto speciale alla mia cuginetta! Il mio more prediletto! Ti voglio bene e spero che questo capitolo ti piaccia! Baci, Mcr_girl.(aaah che carina che sei.. saluto la cuginetta anche ioooooooo! ndElfoMikey)


Da ElfoMikey e da mcr_girl è tutto….
A voi la parola!!
Vi adoriamoooo<3

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Capitolo 4
*** Early sunsets over monroeville ***


rò e grèè

Claire Pov



Ne ho sentito il bisogno, cazzo, se ne ho sentito. Volevo mollar tutto, andar via di qui, ma qualcosa, una forza a me sconosciuta mi ha trattenuto all’interno di queste mura.
Cosa? Non ne ho idea.
E’ sera. Mi avvicino alla grande vetrata guardando le luci sotto di me. Le macchine si muovono caoticamente. La gente cammina sui marciapiedi. Mille vite si intrecciando in quelle strade, mille volti, tutti diversi e ognuno di essi racconta una storia. Un piccolo pezzo di vita sul volto di una persona.
Mi tormento la maglietta con le mani.
Sta tranquilla Claire, è semplice no?
No che non è semplice.
Sento una gamba tremarmi.
Non pensarci, è li il segreto, no?
“Hey.” la sua voce. Quella voce che, chissà come, riesce sempre a tranquillizzarmi.
Mi volto puntando i miei occhi in quel verde. Un sorrido tirato, il mio,se ne accorge. La sua espressione cambia assumendo una punta preoccupata.
“Hey Claire.” si avvicina di più accarezzandomi una spalla. Il contatto della sua pelle, calda e morbida, mi causa un brivido. Mi accarezza la guancia con l’altra mano costringendomi a guardarlo.
“Honey, sta tranquilla. Ci sono ora.” Il suo viso tremendamente vicino, non so come, non so per quale motivo, mi fa sentire al sicuro. Saranno i suoi occhi, il suo respiro, il suo profumo, la sua espressione o… Il battito del suo cuore.
Sorrido abbandonandomi al suo abbraccio. Mi circonda le spalle con le braccia, accarezzandomi i capelli.
“Di, sta tranquilla.” mi stacco guardandolo ancora negli occhi, quegli splendidi occhi verdi.
“Perché lo fai?” dico con voce tremante, pari a un sussurro.
Sorride e alza le spalle. Posa un bacio sulla mia fronte e poi sparisce in cucina.
Sospiro passandomi una mano sul viso.
Sento la stanchezza farsi avanti.
Mi dirigo verso la camera di Gerard e mi butto sul letto.
Chiudo gli occhi. Sento il sonno farsi avanti.
“Lo sai che quello è il mio letto, vero?” apro gli occhi e guardando verso la porta vedo Gerard che mi guarda con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.
“Certo che lo so.”
“E sai anche che è off-limits?”
“Certo che lo so.” dico ad occhi chiusi.
“Claire, non puoi dormire.”
“Lo sto già facendo.”
“Claire. Smamma.”
“No.” Sospiro e… Mi arriva un cuscino in faccia. Sgrano gli occhi mettendomi a sedere. Riduco gli occhi a due fessure mentre lui mi guarda tutto soddisfatto. Prenod lo stesso cuscino e glielo lancio colpendolo in pieno naso.
Si avvina con in mano il cuscino. Mi metto in piedi sul letto afferrando quello che avevo sotto la testa.
Posizione lotta con i cuscini. Alzo le braccia pronta a colpire. Sgrana gli occhi.
“No Claire, quel cusci-“ troppo tardi sugar.
Un rumore troppo forte.
Si massaggia il naso, poi, mi guarda in cagnesco.
“Li dentro c’era il quinto libro di Harry Potter.” dice a denti stretti.
“Tu leggi Harry Potter?” chiedo poi alzando un sopracciglio.
“Assolutamente no! Me lo ha prestato Frank.”
“Quindi lo leggi?” dico facendola sembrare la cosa più ovvia.
“Ho detto di no.”
“Scusa ma se Frank te lo ha prestato vuol dire che ti interessa. No?”
“Cavolo Claire! Gli faccio credere che lo stai leggendo!”
“Ah.” gli lancio il cuscino e mi rimetto stesa.
Mi afferra una gamba e mi trascina giù dal letto. Fortuna che una è libera o adesso mi ritrovavo col i sedere sul pavimento.
“GERARD!” grido mettendomi in piedi.
“Si?” mi guardo con aria innocente.
Brutto…
“Allora, il letto è abbastanza grande. Ci possiamo dormire insieme, no? Tu u lato, io l’altro.





Gerard pov


Vedo Claire assorta in mille pensieri, mentre si fa strada verso la grande finestra del salotto, quella che gli piace tanto. So a cosa sta pensando. E mai come ora gli posso star accanto. È difficile lasciarsi andare al passato, se esso è così doloroso e oscuro.
Sospira e il suo imminente bisogno la distrugge.
Lo so.
Lo sento.
Mi avvicino a lei, chiamandola dolcemente,
“ehy..” mi guarda, sul suo bel volto un sorriso tirato e finto. Troppo finto perché io non me ne accorga. Distoglie lo sguardo dal mio e non sa quanto mi fa male. Le accarezzo una spalla.
“ehy Claire…” con l’altra mano mi attento ad accarezzarle la guancia. Io ci sono.
“Honey, sta tranquilla. Ci sono io ora” l’abbraccio e la sento sospirare rilassata.
“dai stai tranquilla.” Si stacca da me.
No Claire resta ancora fra le mie braccia.
“perché lo fai?” sussurra lenta, forse ha paura. Io sorrido e scuoto le spalle.
Ci deve essere per forza una risposta a tutto
Le bacio la fronte e sparisco in cucina con un sorriso
Appena so di non essere alla sua portata, sbuffo e mi lascio appoggiare al frigorifero.
Mi porto una mano al petto.
Sento il cuore.
Perché?
Dimmi perchè batti così forte?
Sospirando mi dirigo in camera, passandomi una mano fra i capelli. Trovo Claire spaparanzata sul MIO letto adorato.
“Lo sai che quello è il mio letto, vero?” Claire si gira e mi guarda, per poi ignorarmi se non per dire:
“Certo che lo so.” Ed è ancora lì
“E sai anche che è off-limits?” lei sospira chiudendo gli occhi.
“Certo che lo so.” Ripete.
“Claire, non puoi dormire.”
“Lo sto già facendo.” Eh no bella, così non si fa.
“Claire. Smamma.”
“no…” Prendo il cuscino al suo fianco e glielo sbatto in testa.
Si mette a sedere, con uno sguardo oltraggiato. Mi guarda in cagnesco, ma niente da fare, neanche il suo sguardo può piegarmi.
In breve ci troviamo a fare la lotta con i cuscini.
Finchè Claire non prende il cuscino che poco prima aveva sotto la testa e…
“No Claire, quel cusci-“
…me lo sbatte ripetutamente su naso.
MA PORCA! Il mio povero delicato e bellissimo naso no!!!
“Li dentro c’era il quinto libro di Harry Potter!” Mi guarda allibita.
Ebbene si, tengo i libri nelle fodere dei cuscini e allora
“Tu leggi Harry Potte?” chiede poi alzando un sopracciglio, assumendo un odiosa faccia di superiorità.
“Assolutamente no! Me lo ha prestato Frank.”
Mi guarda, so che non ci crede e dopo fari tentativi di persuasione per farmi ammettere che amo Harry Potter alla follia, si arrende e mi tira ancora il cuscino in faccia, questa volta senza libro ad accompagnarlo. Si stende ancora sul letto e così opto per il piano B.
Le afferro una gamba e la trascino giù dal letto.
“GERARD!”
“Si?” sbatto le ciglia innocente e la sento sbuffare irritata.
Si rimette in piedi aggiustandosi la maglia che le si era leggermente alzata.
Il cuore ricomincia la sua corsa, ancora più forte, ancora più intensa.
E sembra non voler smettere ora.
E il perché di ciò ancora non lo so.
Ma l’hai detto tu stesso Gerard, non c’è una risposta a tutto.
“Allora, il letto è abbastanza grande. Ci possiamo dormire insieme, no Tu un lato, io l’altro.” Le rido in faccia.
“lo sai che sei a raccontare barzellette?” le dico.
Lei mi incenerisce con lo sguardo stanco.
“non fare il cretino.” Dice, mettendosi in ginocchio sul letto oramai sfatto.
“io russo di notte.” Dico.
“ho il sonno pesante. Puoi stare tranquillo.” Prima speranza svanita.
“ma deliro, sembro un pazzo.” Scuote le spalle.
“ti lego, qual è il problema?” ha la risposta pronta questa ragazzina.
“ mi puzzano i piedi!”
“ quest’anno l’allergia primaverile mi fa respirare poco col naso, quindi non sento nulla.”
E ora ?
“va bene ai vinto…” sorride alle mie parole e si porta la trapunta fino al naso, muovendo i piccoli piedi, contenta.
Mi fa sorridere e desiderare di abbracciarla.
“Sei una piccola peste!” dico, con il sorriso, chi mi vedrebbe, forse non riconoscerebbe neanche.
Mi fa la linguaccia, per poi ridere come una bambina. Mi infilo nel letto, almeno Claire mi ha risparmiato la mia parte del letto.
Spengo la luce, lasciando che la luna rifletta sulla coperta rossa.
Siamo entrambi supini, con le mani giunte sulla pancia.
È così imbarazzante questo silenzio.
Così ingiusto averla a pochi centimetri e…non poterla toccare
Perché questi pensieri
Devo essere impazzito.
O forse sono solo stanco.
Domani non mi ricorderò nemmeno di tutto questo pensare.
“ehm…buona notte Claire.” Dico, in un suono appena udibile. Sento che si rigira fra le coperte, forse per guardarmi.
“buona notte anche a te…” sospira. Chiudo gli occhi cercando di calmarmi. Cercando di levare questa assurda emozione.
Poi un rumore.
Proviene dalla stanza accanto.
I miei vicini.
Il rumore si ripete. Cerco di trattenermi da ridere.
“uhmp…” mi volto verso Claire che ha la mano sulla bocca, cercando i qualunque modo di reprimere le risate.
Ci guardiamo e allora non ce la facciamo più,mentre un altro rumore acuto accompagna le nostre risate.
Risate che sembrano non voler terminare.
Poi ci lasciamo cadere in sospiri e piccoli accessi di risata.
“ma dai l’hai sentita? Sembrava una gallina sul procinto di essere sgozzata!!!” esclama, guardandomi con quella luce birichina.
“già, nemmeno mia zia Murriel saprebbe fare di meglio!!! E ti assicuro che è così!” ribatto, con un ghigno. La vedo ridere e buttare il capo all’indietro sul cuscino.
Dio quant’è bella.
Sorrido e nemmeno me ne accorgo.
Ancora il silenzio.
Così estenuante, così inappropriato.
Vorrei parlarti Claire e dirti ciò che mi tormenta.
Ma tu già dormi, lo so.
Lo sento dal tuo respiro regolare.
Sospiro e chiudo gli occhi.


Mi sveglio di soprasalto.
Che ore sono?
Le tre…
Ma chi cazzo si è buttato addosso a me?
Tocco quella che dovrebbe essere una gamba, che è arrivata dritta sul collo.
Mi volto, e trovo Claire in una posizione al quanto discutibile, che dorme.
Senza pensarci troppo scosto la gamba da me e poi con un movimento di mani la scaravento giù dal letto.
Annuisco al mio ottimo operato e con un sorriso maligno ritorno sotto le coperte, senza accorgermi che la malcapitata si è svegliata.




Claire POV

Sento una mano sulla gamba. Sento qualcuno sfiorarmi. Sento un grande e allucinante dolore al fondoschiena.
Merda!
Apro gli occhi e mi ritrovo stesa sul pavimento.
Mi alzo lentamente spiando Gerard che dorme beato con un delizioso sorriso sul viso.
Stronzo.
Mi metto a sedere sul letto con violenza tanto che traballa. Nulla, non si muove.
Riduco i miei occhi a due fessure.
Me la paghi.
Mi stendo e lo guardo. E’ così… Non saprei spiegarlo. Ha l’aria serena e rilassata. I capelli gli ricadono delicatamente sul viso e l’unica cosa che vorrei ora è accarezzargli le gote bianche come la neve.
Cosa ti salta in ente Claire? Perché questi pensieri?
Scuoto la testa ridicolizzando ciò che al mia testolina appena ha appena pensato.
E ora, Claire, vendetta.
Poggio le gambe sui suoi fianchi e… Giù!
“Claire!” ops.
Lo vedo rialzarsi con gli occhi ridotti a due fessure e i capelli arruffati. Ridacchio appena mi punta un dito contro.
“Ti odio.” dice poi salendo sul letto.
“Vendetta dolcezza, vendetta.” chiudo gli occhi mettendomi in posizione supina. Lo sento sospirare e vedo il suo viso.
Cavolo Claire, basta!
“Adesso, vorrei dormire.” dice poi.
“E non sarò certo io ad impedirtelo.” dico sempre restano ad occhi chiusi.
“Buona notte.”
“Buona notte.” sorrido. Il motivo? Non lo so nemmeno io.

Il sole illumina il mio viso. Apro lentamente gli occhi. La luce è troppo forte e mi impedisce di vedere chiaramente la stanza.
La mia testa è poggiata sul suo petto che si muovo lentamente ad ogni suo respiro.
Un su braccio circonda la mia vita mentre una mano è…. Poggiata sulla mia.
Guardo il suo viso, così maledettamente vicino al mio, tanto che posso sentire il suo respiro caldo sul viso. I capelli gli ricadono leggeri sul viso. Gli sposto così da poter veder meglio il suo volto, ormai così familiare.
Gli accarezzo una guancia, accarezzo la pelle morbida e bianca. Mugugna qualcosa infastidito.
Sorrido divertita mentre poso un piccolo bacio sul suo mento.
Mi alzo lentamente senza che lui se ne accorga.
Cosa ho fatto di bello per incontrare una persona come lui?
Assolutamente nulla.
Lui che mi ha aiutata, che mi sta aiutando, pur non conoscendo nulla di me.
Un angelo caduto dal cielo.
Ed io, non merito tutto questo.
Entro in cucina per mettere a fare un po’ di caffè e penso a lui.
Perché Claire? Cosa ti sta succedendo?
Credevi che i pensieri con la notte sarebbero andati via e invece?
Apro un pensile della cucine cercando il caffè. In questo non c’è. Qui nemmeno. Eccolo.
Metto a fare il caffè mentre prendo due tazze.
Mi siedo al tavolo ancora pensando a lui.
Sembri un ragazzina innamorata Claire. E non sei nessuna della due. Forse ragazzina, bhe, un pochetto.

Prendo il caffè e lo verso nelle due tazze.
Ecco fatto.
Le afferro e mi volto per andare in camera di Gerard, ma… Cazzo!
Sbatto il piede contro al sedia! Dio, che male! Mi porto automaticamente una mano al piede non ricordando della tazza, che cade sul pavimento frantumandosi in mille pezzi. Merda!
Prendo una salvietta e… Bang! Cado sul pavimento scivolando a causa del caffè, che è anche bollente!
L’altra tazza cade rompendosi anch’essa, cerco di tirarmi su ma cado nuovamente tirandomi una sedia.
Merda, merda… Merda!
“Claire! Che cazzo sati facendo?” lo sento gridare mentre dei passi si fanno sempre più chiari e svelti.
Entra in cucina e sgrana gli occhi. E io? Sono qui, piena di caffè che gli faccio ciao con una mano accompagnato dal solito sorriso che si assume quando si è colti con le mani nel sacco.
Si poggia allo stipite della porta e… Mi sorride.



Gerard POV

Sorrido strafottente mentre la osservo.
È piena di caffè e rossa in viso.
“Claire quella sedia è sempre stata lì…” dico, indicando la sedia rovesciata a terra.
“si, ma non l’ho vista e…” si interrompe e mi guarda storto. “potresti anche darmi una mano sai?”
Rido a labbra chiuse, mentre mi avvio a tirare su la sedia.
Claire si tira su con i gomiti.
E mi guarda.
“non è la sedia che ha bisogno d’aiuto, sai?” dice sarcastica.
Sbuffo divertito e l’aiuto a tirarsi su.
La tiro forte e me la ritrovo schiacciata contro il mio petto.
È una bella sensazione.
Restiamo così per un attimo, finchè lentamente e come in un sogno, il mio viso si avvicina al suo.
Ma cosa sto facendo?
cos'è questa strana sensazione che mi brucia dentro?
Desiderio?
Passione?
Non lo so, so solo che vorrei stringermi a lei e farci l’amore.
Quando mi piacerebbe dimenticare.
Dimenticare lei, la donna che mi ha reso vulnerabile.
Chissà, forse Claire può aiutarmi.
forse è lei la persona giusta.
Quella che può veramente alleviare questo dolore atroce che mi porto nel petto.
Mi avvicino ancora di più, fino a sentire il suo naso contro il mio e accarezzarlo piano, sorridendole.
Una mano si posa sulla sua guancia fresca e la sfioro mentre la distanza si fa minima.
“ehm ehm…” la voce inconfondibile di Frank ci fa staccare all’istante.
Claire resta voltata, con la testa china.
“Frankie, che ci fai qui?” chiedo, fingendomi disinvolto.
“ieri mi hai detto tu di passare a prenderti.” Dice con una alzata di spalle.
“ed è da un casino che suono il campanello, così ho aperto con le chiavi che mi hai dato tu e ho trovato voi due intenti a pomiciare…” dice. Poi sussulta, portandosi una mano davanti alla bocca.
“oh cazzo, ho interrotto qualcosa vero?”
“prima di tutto non stavamo pomiciando, secondo non hai interrotto nulla e terzo, ora mi preparo e possiamo andare.” Dico risoluto e convinto, almeno cerco di esserlo.
Mi volto verso Claire, che è intenta a raccogliere i cocci delle tazze.
“baby, che fai vuoi venire anche tu?” si alza e mi guarda negli occhi.
“dove?” chiede continuando il suo operato.
“all’auditorium dove suoneremo questa sera. Prima ci saranno delle prove e qualche intervista.” Risponde Frank trafficando intorno al frigo.
“allora ti va?” aggiungo sorridendole.
“si perché no? Non ho ancora avuto modo di sentire qualche vostra canzone!” dice prima di scomparire dietro la porta del bagno, che sbatte violentemente.
Restiamo solo io e Frank.
In silenzio.
Mentre lui mangia con accanimento un barattolino di yogurt.
“quindi tu e lei…” dice con la bocca impastata di yogurt ai frutti di bosco.
“io e lei nulla. Era solo un momento così…” dico, cercando di essere convincente.
“si..certo… non ti credo neanche se me lo dici sotto tortura!” esclama. mi sorride felice e mi scocca un bacio sulle labbra.
“sono contento per te. Anche se ovviamente mi sembri un pedofilo.” Dice con un sorriso enorme.
“pedofilo?” Frank scuote le spalle.
“quanti anni può avere? Sedici? Diciassette?” Frank non ha tutti i torti. Posso essere suo zio!
“ne ho diciotto e comunque sono pronta.” Claire fa il suo ingresso, raggiante.
“bene, possiamo andare?” dice Frank non curante.
Mentre il mio sguardo cade sulla sua esile figura.
I capelli legati in una coda alta mettono ancora di più in mostra il suo bel viso.
Mi sorride.
Semplicemente.


È sera, la calda brezza è stata sostituita da un leggere venticello fresco.
Tra pochi minuti saliremo su palco.
Dio solo sa come mi sento vivo quando impugno quel microfono.
Ho chiesto ai ragazzi un piccolo cambio di scaletta.
“ma perché Gee?” ha chiesto Mikey, bevendo il suo ottavo caffè.
“Gerard sono anni che non facciamo quella canzone!” rincara la dose Bob.
“ragazzi!!! Il capo ha deciso così quindi niente palle!” esclama Frank pimpante. Gli altri annuiscono, non capendo che cosa mi passi per la testa.
Tranquilli ragazzi, non lo so nemmeno io.
Rimaniamo in silenzio, finchè Ray non dice:
“si può sapere perché la vuoi mettere in scaletta proprio sta sera?” non dico nulla, mi limito a sorridere.
Ci fissiamo ancora per un po’, finchè non ci chiamano.
Sento già le urla della folla.
Passo accanto a Claire che emozionata mi concede un enorme sorriso.
“in bocca al lupo!” mi sussurra.
La ringrazio con un buffetto sulla guancia.
Tutti e cinque entriamo sul palco buio.
Si sentono già le prime urla isteriche che mi fanno sorridere.
Le luci si accendono appena i miei compagni cominciano a suonare, creando una stupenda magia.
“To un-explain the unforgivable drain all the blood and give the kids a show…”
Mi volto per un attimo ad osservare Claire, che sorpresa, batte le mani.
Le canzoni si susseguono, fa caldo.
Mi porto i cappelli bagnati all’indietro e guardo Frank che ha preso a strusciarsi contro di me.
Il bastardo mi concede solo un bacio a fior di labbra, prima di saltare sull’amplificatore.
Lo raggiungo e gli palpo il sedere in modo esplicito.
Sembra gradire, tanto che si fionda su di me, chitarra compresa e mi bacia come si deve.
“I’ll kiss your lips again!!”
La canzone finisce e il palco ritorna nell’ombra.
Questa è l’ultima canzone.
“shhht…” il pubblico ci mette un po’ per stare in silenzio e quando l’ottengo le uniche parole che mi escono prima di cantare sono:
“Per te…”
Il suono dolce della chitarra pervade l’auditorium, facendo scoppiare i fan i un boato.

“Late dawns and early sunsets, just like my favorite scenes
Then holding hands and life was perfect, just like up on the screen. And the whole time while always giving .Counting your face among the living…”


Ti guardo di sbieco e noto la tua espressione.
Hai gli occhi chiusi e ti godi questo momento.

“…Up and down escalators, pennies and colder fountains. Elevators and half price sales, trapped in by all these mountains. Running away and hiding with you . I never thought they'd get me here. Not knowing you changed from just one bite. I fought them all off just to hold you close and tight…”

Spero che I tuoi pensieri non siano rivolti a quei giorni oscuri.
Spero che queste parole ti riporta al nostro primo incontro.
Spero che alla fine di tutto ti farà sorridere, come sto facendo era io e come non facevo da tanto tempo.

“But does anyone notice? But does anyone care? And if I had the guts to put this to your head... But would anything matter if you're already dead? And should I be shocked now by the last thing you said? Before I pull this trigger, your eyes vacant and stained...”

Sussulto.
Dopo aver incontrato i miei occhi con quelli di Claire il mio sguardo si è rivolto alla folla.
E lì, sotto gli spalti una figura attira la mia attenzione.
Stento a riconoscerla.
Per un attimo mi sembra un’impressione.
La guardo meglio accorgendomi che il suo sguardo non la lasciato la mia immagine neanche un minuto.
Ma guardandola con insistenza posso riconoscere quella figura annebbiata dalla stanchezza che si fa sentire.
Ma come non ricordare quei capelli color miele?
Come dimenticare quelle labbra rosse e piene?
Lei è lì.
E mi fissa con gli occhi pieni di lacrime.
Ogni lacrima, un dolore al cuore che credevo di non poter provare più.
Chiudo gli occhi per un momento, ma appena li riapro mi accorgo che non è sparita la sua bellissima immagine di Dea.
Continuo a cantare, come se nulla fosse.
E prego con tutto me stesso che se ne vada.
Prego di riavere quel sorriso che tanto mi mancava e che come allora mi è stato tolto con forza e brutalità.
Spero che non si accorga del mio sguardo che l’accarezza, ma lei sa che la sto guardando e mi sorride, triste, malinconica.

“…And there's no room in this hell, there's no room in the next ,but does anyone notice there's a corpse in this bed?”

Chiudo gli occhi, godendomi appieno Il grande applauso dei fan, accompagnato da assordanti, quando gratificanti urla.
Lei è ancora lì e applaude con gli altri.
Un piccolo sorriso triste si apre sulle mie labbra.
E non mi accorgo di sussurrare il suo nome, che come un eco, si espande per l’auditorium.

“Sarah…”



Salveeee!!! Dopo due mesi e diciamo due mesi(o forse di più?) siamo tornate.
Speriamo ci perdoniate per la grossa assenza, ma fra esami e recuperi finali di materie non siamo riuscite a fare nulla insieme.
Però eccoci qui e speriamo vivamente che questo vi sia piaciuto.
Ecco dal prossimo capitolo le cose precipiteranno un pochino…. Forse saremo ancora più sadiche di quanto non lo siamo ora…muhahahahaha!!
Okay, ringraziamo tantissimissimo le persone che hanno letto, le 10 persone che hanno messo la storia fra i preferiti,(ci farebbe veramente piacere se ci dite che cosa ne pensate) e le due commentatrici:


ioamolacocacola: ehmmmmmmmmmmmmmmmmm Fre, scusaci per il tremendo ritardo…. Non

ci uccidere e dicci cosa ne pensi che noi aspettiamo con ansia!!! Mille baci da Grè&Rò

Sweet_Revange: MARTYYYYYYYYYYYYYY!!!!! Ci fa un casino piacere che ti piaccia davvero!!! Qui ci vuole Silly per festeggiare!!! Coomunqueeeeeeeee amore nostra, ti vogliamo tanto ma tanto bene!!!!!<3(non mi trattare male Lò eh?? =)n.d.ElfoMikey) bacioni!!!!

Aspettiamo tanti commentini!=)

Baci,
Rò&Grè!!!

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Capitolo 5
*** capitolo cinque ***


ghghghtgfthjgk

 





Gerard Pov


 
Esco dal palco diretto al mio camerino.
L'ho vista.
Era lì, era lei.
 E' tornata.
"Gee! Aspetta! Tutto okay?" Mi grida Frank seguendomi.
"No. Non che non è tutto okay! E' tornata Frank. Era lì, l'hai vista anche tu!" Apro la porta del camerino diretto in bagno.
Apro il rubinetto dell’acqua bagnandomi il viso.
"Sei sicuro che fosse lei?" Mi guarda preoccupato. Lui sa quando ho sofferto, quanto male lei mie ha fatto.
"Si, era lei. Riconoscerei il suo viso fra mille. I suoi occhi, le sua labbra. Frank, era lei. E' tornata." Lo guardo serio e lui fa lo stesso.
Proprio quando tutto sembra andare per il verso giusto lei torna, torna per sconvolgere la mia vita.
Mi poggio al muro.
"Gerard?" Alzo lo sguardo e sorrido.
"Hey Claire."
"Io vado dagli altri. A dopo." Dice Frank scompigliando i capelli della ragazza. Esce lasciandoci soli, qui nel bagno.
Cerco di sorriderle, di non farle capire, ma sembra tutto inutile.
Lei, mi legge dentro.
"C'era lei, vero?" Mi chiede sedendosi accanto a me.
Annuisco col capo. Oh, Claire, vorrei tanto fosse stato un sogno, vorrei tanto che fosse frutto della mia immaginazione, ma Sarah, era lì.
Sospiro chiedendo gli occhi e poggiando la testa al muro.
"La ami ancora vero?" Mi chiede con voce pari a un sussurro.
La guardo e i suoi occhi sono tristi e malinconici.
Non rispondo.
Perché non rispondi Gerard Way?
Perché non le dici che cosa senti quando sei accanto a lei?
Forse perché per Sarah, provi ancora qualcosa...
"Sta a te decidere cosa è più giusto. Sta a te decidere se perdonarla o no. Sei tu  che devi capire cosa dice il tuo cuore."
La guardo con occhi lucidi e un magone mi si forma in gola quando vedo una lacrima solcare il suo viso.
Si avvina al mio viso baciandomi una guancia.
Chiudo gli occhi lasciando che la sua mano accarezzi la mia.
"Ascolta il tuo cuore, Gerard. Ti indicherà a retta via." Sussurra al mio orecchio. Chiudo gli occhi per pochi secondi.
"Grazie." Sussurra prima di alzarsi. Si avvicina alla porta regalandomi un sorriso.
"Ci vediamo dopo?" Le dico con voce tremante.
Ma lei, non risponde, si limita sorridermi.
Guarda il pavimento e  poi scompare oltre quel pezzo di legno.
 
 


 
 
Claire Pov
 
 
"Ascolta il tuo cuore, Gerard. Ti indicherà la retta via."
Quando ero piccola mamma diceva che gli errori che si compiono per vedere felice la persona che ami sono i più dolorosi da sopportare. Diceva che niente e nessuno, se non la persona amata, poteva alleviare quel dolore immenso che si allargava nel petto, si proprio lì, vicino al cuore. Ero sempre stata scettica su quelle parole.
Non ho mai dato importanza a questo ragionamento e anche se l’ascoltavo attentamente, nella mia testa da bambina non pensavo che prima o poi anche a me sarebbe successo.
La verità mi arrivava lenta e inesorabilmente crudele.
Ero innamorata di Gerard.
La verità era quella.
Lui non era quell’uomo irritante che voleva a tutti i costi un fumetto,trovato al mercatino dell’usato.
Lui non era la mitica star, così fredda, così dura.
Lui era quel ragazzo che faceva a botte per avere la parte del letto migliore, quello che ti sporca la faccia di gelato al cioccolato, per poi ridere come un matto, il ragazzo dai modi gentili che con una carezza sapeva regalarti il mondo.
Era di quel Gerard che stavo parlando.
Quel Gerard disposto a farsi in quattro pur di salvarmi dal quel orrendo circolo vizioso, ma che può farmi tornare lì in mezzo in un secondo, senza accorgersene.
 
Il cancello cigola un poco, mentre entro dentro il piccolo giardino, spoglio e secco del mio monolocale. Non so se ho fatto la cosa giusta.
Non so se l’ho fatto per me o per lui.
Appena la porta di legno, oramai marcio, si apre,un senso di oppressione mi assale, tanto da far crollare ciò che in pochi giorni ero riuscita a creare. Con passo strisciante a ansimando mi dirigo verso il cassetto.
Quel cassetto accanto al letto sfatto.
Mi viene in mente l’immagine di me stanca e dolorante e Gerard accanto a me, che mi sussurra dolci parole.
Il cassetto è vuoto, solo un accendino e un pacco di sigarette lo fanno da padrone.
Chiudo gli occhi mentre, alla cieca esco da quella casa infernale e so che non dovrei farlo, ma mi dirigo a casa di Gerard e corro, mentre il sudore mi scende dalla fronte.
Arrivo ansimante e il portiere preoccupato mi dice se va tutto bene.
“si, non si preoccupi.” E mi sento abbastanza convincente tanto che il signore con un sorriso mi porge una chiave.
“il signor Way non è ancora tornato.” Gli sorrido grata e sparisco. Diretta verso l’ascensore.
Le mani mi sudano e ho paura che possa tornare prima del previsto. Entro in casa e il buio mi ricopre e senza accendere la luce mi guardo intorno, guidata delle luci accecanti di New York.
Ieri ho visto Gerard trafficare in un cassetto e prelevare un mazzetto di soldi.
Quei soldi mi farebbero comodo ora.
Apro il cassetto, che si trova in salotto e lì, sotto un panno rosso ci stanno vari mazzetti da cento. Ne prendo uno e con mani tremanti richiudo il cassetto. Mi guardo intorno, ma la casa è ancora pervasa dal silenzio più assoluto. Mi volto verso la grande vetrata, quella vetrata che cattura il mio sguardo e lo porta fuori, in quella città che di sera diventa magica. Il riflesso delle mille luci fanno scorgere la mia immagine.
Mi fa male ciò che vedo.
I capelli in disordine e la coda alta oramai cadente, la pelle sudata dalla grande corsa e indosso i suoi abiti che sanno interamente di lui e che non riesco ad abbandonare. Assaporo l’odore muschiato e mascolino della maglia a righe che indosso e penso che va bene così. Sarà il suo ricordo.
Esco di casa e con un sorriso porgo le chiavi al portiere.
“per favore, non dica al signor Way che sono passata.” Dico, guardandolo negli occhi e lui con un sorriso sincero annuisce.
Do un ultimo sguardo, prima di uscire e inoltrarmi nelle strade di New York alla disperata ricerca di un bar.
Mi scontro con le persone in questo viale malfamato. Sono persone come me. Persone alla ricerca di divertimenti e svago, persone che girano con la rivoltella nascosta nei pantaloni o con un coltello sotto la giacca.
Entro in un vecchio locale, dove una mia vecchia conoscenza lo gestisce. Lui saprà darmi ciò che voglio.
Il locale è affollato e la gente si accanisce su un bicchiere di birra o di vodka.
Con fatica mi aggrappo al bancone dove una ragazza, bionda mezza svestita sorride provocante alle battute sporche dei clienti. La richiamo con fatica e quando posa il suo sguardo su di me, ride beffarda dei miei vestiti maschili e grandi.
“dove posso trovare il Boss?” chiedo, alzando la voce per superare quella degli altri.
“cosa vuoi ragazzina dal Boss?” risponde masticando a bocca aperta la gomma.
“digli che Claire ha della grana.” Mi osserva, prima di sparire dietro a una porta. Riappare dopo poco, facendomi segno di passare.
La stanza del Boss è buia e una sola lampadina traballante giace appesa sul soffitto.
“bene, Little Claire…” ho sempre odiato la sua voce nasale, mi mette sempre agitazione.
“ho cento dollari.” Dico, arrivando direttamente al sodo.
“è sempre un piacere fare affari con te piccina.”  Dice, congiungendo le mani. “ma non è mai abbastanza…” mi guarda e so già che non uscirò da questa stanza tanto presto ed è per questo che  chiudo la porta alle mie spalle.
 
 


 
 
Gerard Pov
 
 
"Cosa ci fai qui?" La vedo sulla soglia del camerino e mi sorride.
Un sorriso che da tanto tempo non vedevo, un sorriso che mi abbandonò come, forse, nessun'altro ha mai fatto.
"Non sei contento di vedermi?" 
"No." Ma è la verità Gerard Way? Per davvero tu non sei contento di vederla?
"Mi manchi." Rido isterico scuotendo il capo. Abbandonato e tradito, come dovrei stare?
"Bugiarda." Sussurro serio sentendomi preso in giro, sentendomi ferito.
"No, Gee, io... ti prego non mandarmi via." La sua voce trema, è incrinata. Forse dovrei darle la possibilità di parlare? Forse non dovrei essere così duro, o forse non dovrei e non so nemmeno perchè ora le dico di venire con me a prendere un caffè. Non so perchè e cosa mi abbai spinto a farlo. Lei è stata una parte fondamentale della mia vita e ancora lei occupa quella parte del mio cuore che le avevo donato tutto, ma che egoisticamente lei ha calpestato.
Camminiamo lentamente lungo il corridoio in silenzio. Cosa dovrei dirle?
"La canzone..." Sussurra guardando il pavimento.
"Non era per te." Sussurro freddo. Non era per lei, lei che è andata via senza tener conto dei miei sentimenti lei che mi ha ferito, che mi ha ucciso l'anima.
"Capisco. Tua nuova fiamma?" Chiede quasi temendo la risposta.
"No." Ancora più freddo. Non le voglio parlare di Claire, lei non è nessuno per sapere di lei. Quella ragazzina che come nessuno in questi mesi è riuscita ad aiutarmi senza pretendere nulla in cambio. E io l'ho aiutata, le ho regalato sorriso e lei ha fatto lo stesso, involontariamente a  sua volta, ma lo ha fatto. Claire, quella dolce ragazza, che dolcemente prima mi ha sorriso, facendomi capire che è con me, che mi appoggia.
Sorrido ricordandola seduta sul pavimento tutta sporca di caffè.
"Cosa c'è?" Mi volto a guardarla.
"No, nulla." Ritorno a guardare il pavimento continuando a camminare
Arriviamo alle macchinette e prendo due caffè. Le faccio segno con la mano di seguirmi e usciamo nel parcheggio.
L'aria fresca ci circonda mentre sorseggiamo il caffè. E' un po’ strano, da tempo non stavo solo con lei. Una miriade di sensazioni si impossessano del mio corpo, lo stomaco mi si stringe in una morsa e una strano senza di nausea si unisce ad essa. Il cuore accelera i battiti.
Ma... perchè?
"Come va con la band?" Mi chiede interropmpendo il lungo silenzio imbarazzante.
"Bene. Dovremmo partire in tour, a breve." Altro sorso. Mi appoggio ad un macchina e lei mi si para davanti.
"Mi spiace Gee, davvero, non volevo. Non so cosa mi sia preso. Sono stata una stupida."
"Puoi dirlo forte." Sussurro bevendo altro caffè. Abbassa lo sguardo.
"Credevo che ti avrei dimenticato, credevo che tutto sarebbe passato, ma ogni giorno sempre la stessa agonia. Faceva male. Se chiudevo gli occhi vedevo il tuo viso e mi mancava la tua voce, i tuoi occhi, il tuo sorriso. Mi manchi Gerard. E non so come andare a vanti senza te, te che sei oramai parte di me. Perdonami Gee, perdonami." E mille lacrime bagnano ora il suo viso. E non posso fare a meno di alzare la mano per asciugarle.
 La stringo a me.
Da una parte voglio farlo, dall'altra no.
Chiudo gli occhi inebriandomi del suo profumo.
Dio, quanto mi è mancata.
Forse io... l'amo ancora.
Nulla può essere dimenticato così in fretta.
Le accarezzo i capelli dicendole di tranquillizzarsi.
Mi guarda negli occhi.
 I suoi sono pieni di lacrime e arrossati.
Le asciugo il viso e asciugo la sua ultima lacrima con un bacio.
Con la mani mi accarezza una guancia e poi l'inevitabile.
Prepotentemente cattura le mie labbra facendo aderire violentemente i nostri corpi.
Con foga mi bacia, con foga cerca la mia lingua, con foga mi spinge contro l'auto e non posso fare a meno di assecondare i suoi movimenti, perchè ho voglia di lei, perchè mi manca, perchè è...  Sarah.
Ma qualcosa infondo al mio cuore cambia, e non so bene dire cosa.
So solo che presto mi pentirò di tutto.
 
 
Infilo le chiavi nella serrature che scatta un paio di volte prima che la porta si apra.
La casa è immersa ne buio. In giro, c'è il profumo di Claire, quel strano profumo alla frutta che sembra caratterizzarla.
Mi dirigo in camera da letto ma li non c'è.
"Claire?" Chiedo bussando alla porta del bagno. Apro e la stanza è vuota.
Chiamo ripetutamente il suo nome ma nulla, lei non c'è.
Dove sei Claire?
Non un biglietto, non un messaggio.
Corro in camera con il cuore in gola e il respiro mi si mozza quando vedo che la sua roba non c'è.
Indietreggio di qualche passo e non so perchè è come se il mondo mi fosse crollato sulle spalle.
Così fragile, così vulnerabile, ora è in un mondo che non le appartiene.
Dove sei Claire?
Il fiato corto.
Poi il telefono squilla.
 
 
 
 

Claire Pov
 

Osservo le macchie di umidità che il soffitto regala ai miei occhi pieni di lacrime di vergogna.  Le sue mani si muovono frenetiche sul mio e sul suo corpo.
È questo che devo fare per vivere.
Mi sfila veloce la maglia di Gerard e la butta a terra, senza riguardo, mentre il mio cuore piange.
Perdonami.
Non so per chi lo sto facendo.
Non sono sicura neanche di farlo per me stessa.
Prima di conoscerti, Gee non mi era difficile fare la puttana, ma ora… ora sento di volere ancora per me le tue calde mani sulla testa e le tue braccia pronte a stringermi forte.
Sento di volere lasciare questo corpo massiccio e freddo e tornare da te, dimenticandomi della droga.
Sei con lei ora?
Gli stai riservando i tuoi caldi abbracci, vero Gerard?
Sussulto quando sento che quest’uomo, di cui non conosco neanche il nome, si prepara per entrare dentro di me, sconvolgendo il mio essere e uccidendo la persona che grazie a Gerard ero diventata. Quella persona che era stata ricoperta da una maschera dopo la morte dei genitori, ma come diceva la mia amica Jane, nulla è perfetto se non riesce a tenerti stretta quella perfezione che sei riuscita a crearti.
Piango, tremo e invoco il tuo nome, ricoperta dagli affanni dell’uomo.
“Gee…”
 
 
Il Boss mi da il tempo di vestirmi e prima di uscire da quella porta si avvicina e baciandomi mi infila la busta trasparente, nelle larghe tasche del jeans.
“a presto..” sussurra, sorridendo malizioso. Io distolgo lo sguardo dai suoi occhi neri sussurrando un “si…” per poi sparire da lui e dal quel locale.
In questa città ci sono moltissimi parchi incustoditi e bui, dove i tossici e i drogati  si riunisco in isolate panchine per riempirsi di strane sostanze.
 Entro in un tetro parco, sedendomi vicino a un vecchio lampione che produce una leggera luce a intermittenza.
Prendo la busta e osservo il contenuto.
Questa volta la merce è aumentata rispetto alle altre volte.
Dovrei sentirmi felice, onorata, ma la tristezza che mi porto sulle spalle mentre preparo e sniffo energicamente le dosi, è inesorabilmente aumentata.
Sembrano non bastarmi le tre dosi di cocaina e così ne preparo altre, fino a ridurre il contenuto della bustina al minimo.
Mi alzo a fatica, sorreggendomi sul palo del lampione, anch’esso traballante.
Esco dal parco, affannando ritrovandomi in poco tempo nel caos di New York, dove la gente mi sorpassa veloce, oppure osserva il mio andamento traballante, borbottando qualcosa con le mano davanti alla bocca.
Ho sempre odiato le persone che entrano negli affari degli altri senza nessun consenso.
“Claire?” un voce, non tanto sconosciuta esclama sorpresa il mio nome.
È un ragazzo, che mi osserva preoccupato, stringendo la sua mano tatuata in quella di una bella ragazza.
“Claire?!” non riesco a parlare, la gola è secca e sudo freddo.
“vieni , ti porto a casa.” Non faccio in tempo a ribattere che un auto nera mi porta via da quella strada trafficata di gente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Eccoci tornate con il solito fastidioso ritardo!!! Ringraziamo tantissimo le due ragazze che ci seguono e che ci commentano sempre! Grazie ragazze, ci donate sempre la voglia di scrivere!!!
 La storia a noi piace molto e a breve dovrebbe terminare(non sappiamo fra quanti capitoli però, ma comunque non tanti!) ci dispiace solo che fra tante letture e preferiti, solo due persone ci dicono la loro. Comunque noi continueremo fino alla fine!!!!
 
Vi ringraziamo tantissimo.
 
 
Rò&Grè<3

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