Where Can I Find You?

di Tom Kaulitz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***




1.


Era una giornata di pioggia, Tom stava passeggiando infreddolito per le vie di Magdeburgo abbracciandosi per cercare di bagnarsi meno possibile. Il cielo era di un grigio insignificante, quel colore che Tom tanto amava. Gli trasmetteva calma e la magnifica sensazione di avere tutto sotto controllo e l'immagine di sua madre davanti al fuoco. Alzò gli occhi al cielo. «Mamma» sussurrò fra sè e sè «Perchè ti ricordo sempre nei momenti in cui non vorrei anche se sei morta?»
A volte, circa una o due volte al mese la vedeva sorridente e serena passeggiare accanto a lui.

E poi, dopo pochi minuti a volte secondi di apparizione spariva, in un fumo pieno di strani glitter. Tom non ne aveva mai parlato con nessuno all'infuori di Andreas, neanche con Gustav o con Georg, i suoi migliori amici: si limitava a preoccuparsi da solo per la sua stabilità mentale. Andreas era il solo che aveva il privilegio di entrare completamente in Tom e di poter vedere tutte le crepe che portava dentro, l'unico che riusciva persino a sanarle a volte.

Però, la prima volta che vide LUI fu solo per una manciata di secondi.
Un'ombra. Un ragazzo dai lunghi capelli neri. Anzi, a pensarci bene era tutto nero, niente escluso: i vestiti, le scarpe, i bracciali e le collane che portava. Aveva la pelle bianchissima, e, quando Tom guardò meglio, aveva alcune meches bianche. Era un ragazzo dai lineamenti abbastanza femminili, come Tom del resto, glielo dicevano tutti. Tutti dicevano però anche che Tom fosse anche molto bello, la stessa cosa si poteva dire di quel ragazzo, pur avendo gli occhi truccati di nero. Lo guardava, da dietro un albero distante almeno cento metri da lui.

Tom appena lo vide rabbrividì e non capì subito che non era del tutto vivo. Pensava semplicemente al ragazzo timido a cui piaceva spaventare la gente, che non aveva un cazzo da fare a parte stare nel parco a girarsi i pollici. Invece quando l'ombra notò che il rasta lo aveva visto, esibì un sorriso. Ma un sorriso diabolico, quasi un ghigno malefico, che poi si dissolse, insieme a tutta la figura, nella classica polvere nera. Allora Tom capì che era uno spirito, o qualcosa del genere. Rabbrividì ripensando al sorriso che gli aveva fatto. Raccapricciante. Passò oltre e riprese a camminare rendendosi solo ora conto che si era fermato.

Fu in quel momento che, girandosi, vide sua madre. Aveva visto la scena e aveva una faccia a dir poco turbata. Lanciò un'ultima occhiata a Tom prima di sparire. Come tutte le volte. Lo lasciava lì con troppe domande per la testa. "Perchè tutte oggi?" pensò Tom deluso avvicinandosi al portone di casa e cercando le chiavi in tasca. Aprì la porta e sparì alla vista del ragazzo moro che lo stava di nuovo fissando, stavolta dal mezzo della piazza. Tom non si era accorto di lui. Ghignò come prima e scomparve nella polvere.

*

Tom ripose il quaderno nello zaino. La campanella era suonata, gli studenti stavano uscendo dalla classe. «Ei Tom» lo salutò Andreas «Come va?» lo guardò inquisitorio notando la faccia seria che aveva dal giorno prima. Tom alzò le spalle e sorrise tristemente, un sorriso forzato. L'aveva rifatto. Si era di nuovo procurato dei tagli sull'avambraccio, meno male era inverno e poteva mettersi una delle sue felpone a coprire tutto. Andreas, giustamente, non parve convinto.

«Non l'hai rifatto, vero?» A Tom venne una fitta al cuore, non si era ricordato che Andreas era l'unico che SAPEVA.
Sbuffò e disse con voce nervosa e rotta «Senti, non credo siano...» Il biondo lo interruppe. «...Fatti tuoi? Cristo, certo che sono fatti miei! Sei il mio migliore amico, voglio che tu stia bene! Io voglio aiutarti, Tom, come fai a non capire?» Si fissarono negli occhi. Il rasta credette di vedere tutto l'affetto che provava il suo amico, solo guardando in quegli occhi azzurri, tanto espressivi. Cedette e chiuse lo zaino abbassando gli occhi. Sospirarono entrambi.
«Almeno per le visioni» accompagnò l'ultima parola con un gesto come per disegnare virgolette in aria «come va?»
Tom alzò le spalle di nuovo e rispose mentre si incamminava verso la porta. «Mia madre resta lì. Ah, poi una settimana fa circa ho visto -tieniti forte- un ragazzo dark coi capelli lunghi neri che mi fissava. Poi è sparito dopo aver fatto un sorriso piuttosto raccapricciante. Era malefico, aveva un qualcosa di cattivo..» fece una smorfia e rabbrividì. Andreas alzò le sopracciglia stupito. «Hai un'idea..?» Il rasta scosse la testa energicamente. «No» disse infine.
In silenzio si avviarono verso la mensa. Durante il tragitto molte ragazze guardarono -come al solito- Tom, che era visto come uno dei più belli della scuola. Tom però in quel momento era troppo occupato a guardare se Lise lo degnasse di uno sgaurdo, cosa che puntualmente capitò. Lei sorrise e lui ricambiò.
Tom pensava che Lise fosse l'unica su cui avrebbe fatto un pensierino. Capelli neri lunghi, alta e dalla carnagione chiarissima, solo ora si rese conto che assomigliava al ragazzo moro. Strabuzzò gli occhi e fissò il terreno. Iniziava a perseguitarlo quell'essere, nei pensieri come nel concreto.

Infatti eccolo, appoggiato al muro della mensa: guardava con aria assente fuori da una delle enormi finestre. Tom alzò gli occhi al cielo, infastidito, e cercò di ignorarlo, ma quello, contro ogni aspettativa, sparì per poi ricomparire proprio davanti al rasta, ad un metro da lui.
Ghignò come la prima volta facendo rizzare i peli sulle braccia a Tom e poi sparì de tutto, lasciandolo lì, boccheggiante.

«Tom? Tom!? TOM MI SENTI??» chissà quante volte glielo aveva ripetuto Andreas prima che finalmente si girasse e con un «Eh?» non proprio aggraziato tornasse in sè.
«Che succede? Cosa hai visto?» si preoccupò l'amico. Tom disse piano, ancora incantato nel punto in cui era il moro «Era di nuovo lui. Non so cosa voglia da me. Stavolta si è avvicinato, e mi ha di nuovo sorriso in quel modo strano..»
Andreas fece una smorfia, preoccupato. «Ma secondo te può toccarti? Potrebbe farti male?» Tom reagì un pò stizzito per tutte quelle domande esasperanti a cui non aveva nessuna risposta. «Cazzo Andreas non lo so!» poi, vedendo la faccia del biondo si rese conto di essere stato duro e chiese scusa a bassa voce, turbato. Si sedettero ad un tavolo, poggiando i vassoi col cibo immangiabile, come in ogni mensa che si rispetti. Il rasta stava giocherellando con i suoi spaghetti quando Georg e Gustav li raggiunsero. Alzò il capo e li salutò con un sorriso mentre si sedevano e stavano per iniziare la sessione di discorsi senza senso. Tom scosse la testa divertito; mai che cambiassero.

«Come va con Lise, Tom?» chiese curioso Georg intanto sogghignando malizioso. Tom alzò un sopracciglio e si sistemò meglio sulla sedia per rispondere a tono. «Con Sarah come va, caro?» mimò la voce di sua madre mentre glielo chiedeva. Georg sorrise di più e fece una breve risatina prima di affermare «Bene, mi sembra meglio di te..» Gli arrivò un pezzo di pane tirato da un certo rasta.

*

«Papàààà sono tornato!» urlò stanco per poi chiudere la porta. Gordon si affacciò all'ingresso e sorrise. «Ciao Tom, come è andata la scuola?»
«Oh, bene, a parte quella tro... racchia della prof di scienze. Giuro che ce l'ha con me!» buttò la giacca sul divano e ci si sdraiò, stanco, chiudendo gli occhi. Voleva solo sparire, non voleva più vivere, voleva fare compagnia a sua madre. Se non si era già suicidato era soltanto per Andreas e per suo padre.

«Senti Tom» il padre comparì sulla soglia del salotto. Tom aprì un occhio e lo ascoltò. «Devo andare a lavorare anche stanotte. Mi spiace figliolo..» gli poggiò una mano sulla testa e si fermò dietro al divano. «Ti ho lasciato la pasta sul tavolo. E' ancora calda, vai pure. Mi dispiace davvero così tanto che non posso farti compagnia neanche per mangiare..» Aveva anche lui gli occhi stanchi e tristi. Tom sospirò. Da quando sua madre non c'era quasi tutti i giorni Gordon doveva andare a lavorare la notte, per guadagnare almeno la metà di quanto faceva Simone.
Il rasta annuì e fece un leggero sorriso giusto per non farlo sentire più in colpa, e l'altro ricambiò prima di uscire e chiudere la porta.
Adesso era solo.
Si alzò lentamente per andare a mangiare, dopotutto aveva fame.
Mangiò un paio di bocconi, lavò il suo piatto e lo ripose nello scolapiatti. Si avviò verso il piano di sopra e aprì la porta della sua camera sbadigliando.

Ma interruppe lo sbadiglio e la mano gli restò in aria: c'era un foglio sulla sua scrivania. Lesse cosa c'era scritto.
Semplicemente "Ci rivedremo spesso". Chi era? Probabilmente quel ragazzo moro. Ma come faceva a maneggiare un pennarello se non era vivo? Perchè? Da dove era venuto? Troppe domande. Decise di conservare il foglio: lo piegò con cura e lo ripose in un cassetto. Soffiò aria e strabuzzò gli occhi mettendosi il pigiama, pensieroso.

*

Tom rigirò quei ventidue fogli nelle mani. Li aveva tutti collezionati nel giro di alcune settimane, trovandoli sulla scrivania la sera, dopo la scuola. Un pennarello nero, tramite la stessa scrittura, aveva scritto alcune frasi inquietanti.
"Non scappare"; "Ho bisogno che tu sia solo"; "Ci riuscirò"; e "Sei molto bello" erano i più interessanti. Nessuna firma, nient'altro, a parte una piccola ciocca di capelli neri e bianchi, ogni volta.
Però non lo aveva più rivisto, ma dubitava che il ragazzo lo avesse lasciato in pace. A volte della polvere nera gli aleggiava intorno. Decisamente misteriosa la faccenda. Ma stranamente Tom non aveva paura.

 

-Note dell'Autrice-
Ciao a tutti♥
Spero vi abbia incuriosito un minimo, e se volete ditemi cosa ne pensate.♥
L'idea mi è venuta improvvisamente, ero particolarmente ispirata, evidentemente...
In questa ff abbiamo un Tom piuttosto debole, o almeno è un pò, come dire... Confuso..
Avete letto che si taglia, per esempio..
Al prossimo capitolo♥

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***





2.

 


Tom chiuse la porta dietro di sè. Sbuffò, stanco, e fece cadere il suo zaino sul letto per poi sedersi sulla sedia a rotelle e guardare fuori dalla grande finestra. Era una giornata soleggiata, ormai era quasi primavera. Chinò il capo e accarezzò con lo sguardo il tempera matite che aveva davanti a sè. Spostò gli occhi sul coltellino svizzero che era riposto nel cassetto aperto, e si soffermò sul piccolo cacciavite di cui era munito. Svelto, li prese entrambi e iniziò quasi istericamente a svitare una delle due lame dell'appuntalapis (quella adatta per le matite grandi, che tanto non usava mai per appuntare) e la prese.

Se la portò davanti agli occhi, osservandola per pochi secondi prima di appoggiarla sulla sua pelle lentamente e gustando ogni secondo di quell'esperienza che ormai ripeteva da anni, nascondendo tutto a Gordon.
Poggiò la lama sull'avambraccio ormai segnato e tirò. Una, due, tre volte.
Tanto un taglio in più non cambiava niente. Un taglio in più era soltanto una goccia in più all'oceano. Tom a volte si ripeteva nella testa una frase che aveva letto da qualche parte:

I like to draw with silver, it comes out red. Magic?

E sorrideva ridacchiando. Era una cosa che lo rendeva unico, che gli faceva scaricare tutto lo stress, amava vedere il sangue che usciva, amava vedere il fazzoletto che si macchiava di porpora, amava sentire il dolore che gli procurava il disinfettante. Amava tutto ciò.
Reclinò la testa all'indietro, sorridendo debolmente, gli occhi chiusi, il respiro calmo, assaporando il bruciore sulla pelle. Aprì gli occhi e posò distrattamente lo sguardo sui ciottoli del vialetto di casa sua.
Quasi cadde dalla sedia. C'era lui.
Lui, che guardava nella sua direzione, da chissà quanto era lì a fissarlo.
Aveva uno sguardo diverso dalle altre volte però. Era attento, impassibile, sembrava esaminare ogni movimento del rasta, anche se da lontano. Poi, sgamato da Tom, chinò lo sguardo pensieroso e stupito da ciò che aveva visto e scomparve.
Tom alzò un sopracciglio. E ora? Cosa voleva dire? Sperava con tutto il cuore che non si fosse fatto muovere dalla compassione (se gli spiriti e simili la possono provare) e diventasse "gentile" soltanto per...
Ma cosa stava dicendo? Non voleva in nessun modo entrare in contatto con lui evidentemente, al diavolo i suoi pensieri allora, poteva tenerseli.
Si alzò e andò in bagno a gettare via il fazzoletto sporco di sangue.
Tirò lo sciacquone. Sospirò: un'altro pomeriggio macchiato di sangue. Cosa avrebbe detto Andreas?

*

«Eh Bien, alors. Hem hem.. Que ce-que tu as fait hier?»
La prof aveva iniziato ad interrogare. Tom roteò gli occhi. Andreas fece lo stesso. Si scambiarono un sorrisetto.
Improvvisamente il ritornello di Code of Honor dei Deadlock irruppe nella stanza, ma fortunatamente la professoressa non era in vena di scassare gli attributi perciò lasciò fare e guardò con maggior insistenza l'interrogato.
Alcuni ridacchiarono quando Tom prese frettoloso il cellulare dalla tasca e toglieva il volume.
Poi vide chi era che lo chiamava e perse un battito.
"Lise"... non doveva essere a scuola anche lei?
Chiese di poter andare in bagno e, uscendo dalla classe, salutò con un cenno Andreas, che capì e sorrise. Tom non voleva tornare e il biondo immaginava volesse restare fuori per telefonare in pace.
Infatti, appena Tom fu in un punto dove nessuno poteva origliare, premette il tasto verde e si mise la cornetta all'orecchio.
«Lise?»
La voce di Lise non tardò a far scoppiare il cuore del rasta.
«Ciao Tom, ti ho disturbato? Sei a scuola? Scusa tanto, mi spiace, ma..»
«Nono non ti preoccupare io... cioè forse... ma se sei te..» si trovò a farfugliare Tom.
Lei ridacchiò. «Senti mi chiedevo se ti andava di passare da me, non sono venuta a scuola per una visita medica ma adesso non torno per tre ore sole, e allora... non so... ti va?»
Tom annuì e poi si ricordò che lei non lo poteva vedere e disse con decisione, sorridendo:
«Si, volentieri! Dove sei?»
«Sono all'inizio della Sternstrasse, davanti alla libreria, hai presente?»
«Certo, bene, tra pochi minuti sono da te»
«Grazie Tom..» la sentì sussurrare e arrossì.
«Oh, volentieri Lise» Sorrise e levò il cellulare dall'orecchio.
«TOM! Aspetta! Ricorda che c'è..» Lise sentì il bip bip di fine chiamata. Sospirò e guardò lo schermo scuotendo la testa.
«...un cambiamento degli orari del tram.»

*

Tom arrivò appena in tempo per constatare che il tram era già partito, senza di lui. Imprecò e decise di fare quel tragitto a corsa, finchè avesse avuto fiato. Allora iniziò a correre, e fece appena duecento metri quando sopraggiunse un mal di testa atroce che lo fece cadere. Tutto intorno a lui si fece buio, un vortice di fumo nero lo alzò in aria e poco dopo i suoi piedi ritoccarono violentemente il suolo facendolo gemere di dolore. Si guardò intorno e strizzò varie volte gli occhi: sembrava un paradiso al contrario, ma non l'inferno. C'erano nuvole nere che formavano il suolo e formavano anche la natura: alberi cotonati, erba dai filamenti eterei venivano mossi da un leggero vento che sembrava il soffio di un animale. Un animale enorme. E così era.
A meno di trecento metri c'era un drago immenso, che sembrava essersi addormentato. Era il suo respiro, infatti, che scompigliò i dread al rasta.
Tom, con la formula om ben fissa in testa, si incamminò verso una casa dai mattoni neri, anche se, a pensarci bene, erano tutte nere, nessuna esclusa.
Si avvicinò al vialetto che portava all'entrata e ridacchiò. Chi ci viveva doveva essere parecchio pignolo: neanche quando c'era vento la lunghezza dei fili d'erba era disomogenea. Alla porta era attaccato un grazioso quadrato fatto di canapa intrecciata che recava l'altrettanto graziosa frase "Home Dark Home" con una scrittura sghemba e piena di svolazzi. Tom alzò un sopracciglio e si decise, dopo aver appoggiato l'orecchio al legno senza sentire alcun rumore, a bussare alla porta. Attese e si toccò la fronte. Improvvisamente gli era tornato quel fottuto mal di testa che lo aveva portato in quel luogo sinistro. Si massaggiò le tempie mentre sentì dei passi che scendevano le scale provenire dall'interno. Non sapeva se esultare o meno, ma si decise ad alzare lo sguardo per poi trovarsi degli occhi neri dalle venature viola fissarlo spaventati e sgomenti. Appartenevano a...

«Bill! Chi è?» una voce di donna li fece sobbalzare entrambi. «Nessuno, nonna, nessuno!» esclamò il ragazzo pallido che Tom già conosceva.
Tom, un pochino offeso per essere stato chiamato "nessuno" davanti ai suoi occhi, rimase immobile a guardare la figura che sembrava fare lo stesso. Nessuno dei due aveva il coraggio di dire qualcosa.

 

Bill's POV

Quanto tempo fa l'ho visto per l'ultima volta? Un mese fa? Sembrava stare bene, non pensavo si potesse uccidere così in fretta. Se no non sarebbe qui..
Però non ricordavo che i suoi occhi avessero quella sfumatura nocciola... Me li ricordavo più... scuri... Chissà se si è di nuovo tagliato...
Mi chiedo sul serio per quale ragione sia qui... Non sembra morto.
«Sei morto?» uscì dalla mia bocca quasi immediatamente. Mi sentii un cretino. Ma lo sono sempre stato.

Tom non poteva credere alle sue orecchie. Certo che non era morto! Se no come faceva a muoversi, a pensare e cose del genere! Ma improvvisamente i suoi tre neuroni decisero di smettere per tre secondi di guardare il vuoto e elaborarono una teoria... interessante.
Se questo... Bill.. gli aveva chiesto se era morto, allora vuol dire che per essere lì, in condizioni normali, dovrebbe essere morto. Perciò Bill era... morto.
«No!» disse con voce indignata e leggermente più alta del dovuto. Bill parve sbiancare diventando più pallido di quanto non fosse di già. Prima che potesse riaprire bocca per fare domande però il moro lo afferrò per un braccio e lo portò non proprio educatamente dietro l'angolo, al sicuro dagli occhi e dalle orecchie di sua nonna. Lanciò alcune occhiate dietro l'angolo e poi si girò verso il rasta scandendo bene le parole.

«Come non sei morto?? TU NON DOVRESTI ESSERE QUI!!» Bill si nascose la faccia tra le mani e scosse la testa disperato. Tom assunse un'espressione infastidita e replicò. «Come sarebbe a dire NON DEVO? Non lo voglio neanche! Mi sono trovato qui dopo una fitta di mal di testa! Volevo andare dalla mia... ragazza... e invece..» Bill alzò gli occhi al cielo e continuò, apparentemente ignorando le parole che l'altro aveva farfugliato.
«Senti, lo so che non è il migliore dei modi per presentarsi, ma se tu non sei morto e sei qui, se il destino ti ha portato da me vuol dire che...»
Non riuscì a finire la frase e la lasciò a metà girandosi e cercando di calmarsi, occhi chiusi e fronte aggrottata.
«SAI COSA VUOL DIRE?» praticamente gli urlò in faccia questa domanda che era più retorica che altro, perchè Tom aveva una faccia a metà fra lo
spaventato e l'interrogato a sorpresa.
«Sono il tuo demone custode. Ed evidentemente sono il prescelto.» disse poi il moro con voce lugubre, ad occhi chiusi, parlando più a sè stesso che a Tom.
E lui che pensava di potersi divertire come al solito a terrorizzare gli umani viventi come il rasta...

 

*

Il prescelto,
metà dell'umano dalla vita divelto.
Uniti da un legame forte,
che a rafforzare sarà solo la morte.


*

Salve a tutti♥
Ecco finalmente il capitolo 2 u.u
Scusate il mio continuo procrastinare, ma tante complicazioni tutte insieme.. xc
Comunque, spero che la storia vi continui a piacere (grazie a tutte le recensioni del capitolo uno *-* :D ♥)
E scusate ancora il ritardo.
Per farmi perdonare, domani pubblicherò un altro capitolo sia di questa ff sia dell'altra u.u

Fatemi sapere cosa vi aspettavate e cosa non, insomma cosa vi ha sorpreso di più. Qualcun ha qualche ipotesi su ciò che potrebbe succedere? :)) Vabbuo, ditemi tutto ciò che vi passa per la testa.

Ps: il contenuti forti e tematiche delicate della scena iniziale c'erano negli avvertimenti!♥ Ma comunque niente paura, non succede spesso u.u Anzi...


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***




3.


 

Tom doveva riprendersi da tutte le cose che era venuto a sapere. La cosa buffa era che i fatti lo riguardavano ma non aveva potuto sapere nient'altro all'infuori di "Sono in tuo demone custode" e "il Prescelto" che, detto col tono che aveva usato quel Bill, suonava veramente, ma veramente figo. Unica pecca era che Tom e i suoi tre neuroni non avevano afferrato un'acca. Sperava che adesso non dovesse vivere con uno spirito attaccato alle palle "perchè sono il prescelto". Eh no eh.
Quante volte aveva fatto quella strada per la Sternstrasse? Almeno un centinaio. Quante volte era capitato di perdersi? Una. E quella accadeva proprio quando una ragazza lo aspettava.
Proprio in quel momento riapparve, e la polvere nera se ne andò per scoprirlo del tutto. Nessuno parve accorgersi che era comparso dal nulla, perchè i passanti non batterono ciglio.Tanto meglio.

Si rialzò e tolse con stizza la polvere dai jeans extralarge. Dopo aver detto di essere il Prescelto Bill aveva semplicemente fissato il vuoto e pensato, mentre Tom lo guardava in attesa di qualche altra informazione, notando che i suoi occhi erano veramente belli. Le pagliuzze viola quasi si confondevano nel nero dell'iride, in una specie di vortice che, pensava il rasta, sicuramente avrebbe portato ad un'anima che aveva vissuto qualcosa da dimenticare. Come era morto? Non ne aveva idea, ma lo avrebbe scoperto. Cosa si prova nel morire? Non aveva avuto il coraggio di chiedere neanche questo.
Sospirò e iniziò a camminare, sperando che il tempo non fosse passato nel... presente? Mondo dei vivi? Non sapeva come definirlo.
Sperava che la mezz'ora passata nel... mondo dei morti? Paradiso nero? Comunque, sperava che per Lise non contasse come ritardo. Per fortuna fu così. Trovò Lise appena in tempo, si era appena seduta sulla panchina. Tirò un sospiro di sollievo, ce l'aveva fatta. La salutò con un grande sorriso che lei ricambiò, accompagnandolo con un cenno della mano.

*

Tom si stiracchiò sulla sedia.
Ripensò al pomeriggio con Lise. Erano andati da Starbucks (si, fortunatamente c'era anche a Magdeburgo) a prendere una cioccolata calda e poi a fare una passeggiata. Tutto stava andando bene quando un piccolo dettaglio lo turbò assai. A parte il fatto che non gli aveva mai toccato la pelle, anzi l'aveva evitata con discrezione, ma ci fu una cosa che lo insospettì di più.
«Hai sempre il colletto della felpa messo male.. aspetta che ti aiuto.» stava dicendo lei, fermandosi. Rimise a posto la stoffa che era tutta arrotolata e poi guardò Tom negli occhi, ridacchiando.
«Voi maschi non ci fate mai caso a queste cose..»
Il sorriso di Tom si spense non appena lei gli toccò per sbaglio la pelle del collo con l'unghia, senza accorgersene, e l'interno dei suoi occhi divenne simile a quelli di Bill; soltanto che le pagliuzze all'interno erano rosse, e che la parte bianca era colorata anch'essa di nero. Sembrava un mostro. Un bellissimo mostro, incorniciato dal volto da fata di lei, ma pur sembre una creatura non umana.

Rabbrividì e si irrigidì. Quando lei interruppe il contatto, i suoi occhi tornarono al consueto color nocciola.
Poteva darsi che la luce era messa male, ma Tom era praticamente certo di ciò che aveva visto. Non le aveva detto niente, e aspettava il prossimo salto da Bill per parlargliene. Sempre se lui era disponibile a parlare e la smetteva di torturarsi e dire frasi sconnesse.
Era molto curioso, quando e come sarebbe capitato il prossimo incontro?
La risposta gli arrivò subito dopo, quando un mal di testa lancinante lo pervase per la seconda volta e l'oscurità lo avvolse.
Trovò Bill ad aspettarlo. Il moro aveva le braccia incrociate e un'espressione impassibile sul volto, i piedi puntati verso il punto in cui era appena comparso Tom, che strabuzzò gli occhi, stupito di quella strana accoglienza.

«Ehi, ciao...hmm.. Bill» il moro accennò un sorriso stanco e alzò la mano in un cordiale saluto.
«Come facevi a sapere..?»
«Ti spiegherò tutto se avrai pazienza sufficiente per aspettare che siamo soli nella biblioteca. Comunque, sapevo circa dove comparivi perché è lo stesso punto in cui sei scomparso la scorsa volta..» Bill si girò e iniziò a camminare. Il alzò le braccia, impotente, seguendolo come un cagnolino.

Il silenzio era interrotto soltanto dai passi dei cavalli e dei passanti che passeggiavano con tutta la calma del mondo, conversando con i visi sereni. Evidentemente nell'aldilà si stava davvero meglio che nella vita reale..
Tom si guardava intorno. Riconobbe la strada che aveva percorso per raggiungere la casa di Bill e sorrise, senza capirne il motivo. Scrutò gli occhi dei passanti, curioso di sapere se qualcuno ce li aveva belli come quelli del moro, ma niente da fare: solo lui aveva le pagliuzze viola. Gli altri ce le avevano marroni, nocciola, azzurro e verde, ma nessuno aveva quel bagliore, quel colore vivo e quasi irreale, e non si vergognava a pensarlo. «Senti Bill, sai cosa vuol dire quando uno ha gli occhi rossi?» Bill non rispose e si limitò a guardarlo allarmato. Tom capì che c'era da preoccuparsi, e all'improvviso non ne voleva più sapere niente.
Fu strappato dai suoi pensieri quando entrarono in un edificio che recava la scritta "Bibliotek". Strano... quella biblioteca era così familiare... Ma certo! Era quella vicino alla sua scuola.. ma come mai si trovava qui? Sembrava una sorta di universo parallelo in cui gli edifici si spostavano liberamente.

"A loro piace cambiare."

Ridacchiò citando una frase di Percy Weasley, che aveva detto quando quelli del primo anno dovevano raggiungere la loro sala comune.
In quel momento Bill si girò e gli fece cenno di avvicinarsi, così che potesse seguirlo meglio fra gli scaffali. «Devo mostrarti vari libri, Tom, è meglio se poi ci sediamo. Così parliamo con calma.»
Tom annuì e lo seguì.
Si fermarono varie volte e collezionarono in tutto cinque libri da consultare, cosa che fecero seduti ad uno dei tavoli di legno, come stabilito.
Bill sospirò e poggiò i libri con un tonfo sordo sul piano per poi sedersi lentamente. Tom lo imitò mettendosi di fronte a lui.
Si guardarono. Fu Bill a chiedere:

«Come stai?» Tom, sorpreso dalla strana domanda, rispose.

«Non c'è male, a parte il mio stato di totale confusione.. Te?»

Alzò le spalle e aprì un libro scostando i suoi capelli corvini dal volto. «Tranquillo, oggi abbiamo tempo, posso spiegarti tutto e metteremo in ordine il caos. Oh, non c'è male neanche per me, grazie.»
Il rasta annuì fiducioso, mentre Bill sfogliava le pagine in cerca di qualcosa. Il libro -lesse Tom in alto della pagina a sinistra- si chiamava "Profezie – volume primo.". Sussultò: quel libro esisteva persino nel presente, l'aveva riconosciuto, ma nessuno lo apriva mai. Era una serie di cinque libri. Prossimamente l'avrebbe letta di sicuro.
Bill si torceva un labbro e si fermò bruscamente mormorando un «Ecco qui». Battè un paio di volte l'indice su un paragrafo e poi recitò:

Il buio avvolge lo straniero
un drago lo accoglie, fiero.
Soltanto il Prescelto, di quel mondo
riuscirà a portarlo fino in fondo.

Tom lo guardò allibito. Tornava. Per prima cosa aveva visto un drago, no? Però voleva togliersi aluni dubbi prima di aggiungere carne al fuoco. Alzò una mano come per fermarlo (Bill aveva già aperto la bocca), e parlò.
«Toglimi prima una curiosità. Come si chiama questo posto? Che ci faccio io qui? Chi sei te?»
«Calma, ti stavo per spiegare tutto. Siamo sempre a Magdeburg, soltanto un pò... distorta. Più precisamente questo posto si chiama Obscurum. Ci vengono tutte le anime morte. Ma fra noi c'è una certa gerarchia, non siamo tutti morti. Io non sono morto, per esempio. Sono un angelo nero, chiamato comunemente demone. Non sono cattivo, se te lo stai chiedendo. Oltre a me ci sono altre creature come draghi, altri angeli, elfi, ninfe, sirene, pan e demoni Ziagar -nome buffo, lo so-, che sono un pochino più fastidiosi. E altre creature che rivestono meno importanza.»
«In quanto alla domanda di che ci fai te qui, avrei un'ipotesi. C'è una profezia -l'unica- che dice che arriverà un umano -ovvero un angelo bianco- che saprà metterci in contatto con il mondo vivente e che sarà l'unico in grado di scoprire i segreti dell'Obscurum, potendo tornare indietro. E sarà il Prescelto -la prima persona che l'angelo bianco incontrerà- che verrà guidato attraverso il mondo dei Vivi, potendo tornare nell'Obscurum quando vuole. Tutto chiaro?»

Tom scosse lento la testa, incredulo.
«Io sarei... un angelo bianco?» Bill sorrise debolmente e annuì.
«E tu sei un angelo nero, il Prescelto?» Continuò ad annuire. Tom ridacchiò e parlò. «Ma perchè io non mi chiamo Prescelto come te? Suona più figo!» fece finta di fare il broncio mentre l'altro ridacchiava alzando gli occhi al cielo.
«E... tu mi devi far vedere l'Obscurum? A quale scopo?»
«Non solo "far vedere"...diciamo che hai una qualità, puoi venire qui, e poi tornare indietro, sfruttala! Non so, è così, tu lo puoi fare e basta.»

Tom annuì.

«E io... ti devo.. mm.. portare nel mondo dei Vivi? Giusto?» Bill annuì di nuovo, soddisfatto. Si guardarono.
«Toglimi di nuovo una curiosità, ti prego. Perchè mi fissavi e facevi lo stalker con me? Eh?» domandò il rasta, malizioso.
Bill rise e disse: «Sai, io amo spaventare i vivi. Non sapevo cosa fare nel tuo mondo, e allora ho iniziato a lasciare strane scritte -so muovere gli oggetti, come tu sai fare qui- e a fissare i bambini tanto (s)fortunati da potermi vedere. Sono in pochi, lo sai?» piegò la testa di lato e sorrise beffardo.
Tom scosse la testa ricambiando il sorriso. Oh, se fosse andato avanti così sarebbe finito per ricordarsi a memoria e magari dare un nome -già che c'era- ad ogni pagliuzza viola degli occhi del moro...

«E... scusami... come fai a venire da noi quando vuoi?»
«Oh, semplice, chiudo gli occhi e mi immagino nel tuo mondo. Invece di aspettare quella fitta alla testa -che già conosci-, visto che non viene quando desideri ma in un momento imprecisato, è meglio questo metodo, che ho scoperto nel tempo...» Tom annuì.
«Ah, di solito non abbiamo un tempo limite, ma possiamo controllare salti incontrollati con questa tecnica. Nel senso, in automatico tu salti qui una volta al giorno, è il tuo necessario. Superata la prima volta giornaliera, non salti più se non vuoi.»

Tutte quelle informazioni l'avevano leggermente rimbambito. Leggermente. Rimase a fissare il vuoto per un paio di secondi, il tempo per lasciare che Bill trovasse altri articoli interessanti.

 

Guida del passato, guida del futuro,
in grado di superare quel muro
che si staglia fra i vivi
e l'Obscurum, con le anime che vivono ivi.

 

*

 

Quando la fine arriverà
soltanto la loro storia rimarrà:
vivranno in eterno
legati al tempo in un abbraccio fraterno.

 

*

 

«Ebbene? La prima si capisce bene, la seconda mica tanto.. Cioè, quando finirà tutto -??- rimarremo solo noi due, legati per sempre al... tempo?» Bill rise. Era davvero tenero, non ci capiva niente. Doveva intervenire.
«Non proprio. Credo che dica che alla fine dei tempi rimarremo solo noi -di gente umana, chiaramente- e siamo immortali, legati al tempo... non l'ho capito. Anche quando dice "guida del passato, del futuro.." sembra che o l'Obscurum sia il passato o il futuro della terra...» si morse un labbro, rileggendo quelle righe. Tom lo interruppe.

«Si può mangiare nell'Obscurum?» Bill sorrise e alzò le sopracciglia.

«Hai fame??» chiese leggermente sorpreso. Tom annuì perplesso -che domande, lui aveva sempre fame- e si arrotolò le maniche della felpona, iniziava a fare caldo.

Però le ritirò subito giù, turbato, sentendo gli occhi del moro puntati sui tagli ancora freschi che aveva sull'avambraccio. Bill aveva un'espressione dispiaciuta, e parlò cauto, quasi sussurrando.
«Secondo me ci sono altri modi per superare i problemi, Tom...»
Tom cambiò subito umore e sbuffò infastidito, alzando gli occhi al cielo. Quando Bill insistette per Tom era già troppo.
«Senti, siamo "legati" in un certo senso, ma ora non pretendere di capire tutto! OKAY? NON SONO TE! E' INUTILE che perdi tempo a dirmi queste cose. NON CAPIRAI MAI, CAPITO? MAI!» detto questo si rimise a sedere e prese la testa fra le mani, il capo chino. Bill era un pò deluso e spaventato dalla reazione del rasta, e chiuse il libro con uno scatto stizzito.
Schioccò la lingua e disse soltanto una frase prima di allontanarsi per poggiare i tomi, mentre l'altro lo guardava leggermente in colpa.
I loro occhi sembravano sfidarsi mentre le parole del moro restavano nella mente di Tom come un'eco.
«Qui l'unico che non capirà mai che la gente si preoccupa per il tuo bene sei te».

*

Il silenzio gelido che li divideva si poteva tagliare col coltello. Tom ogni tanto lanciava occhiate di soppiatto al moro, che però fissava testardo la strada e faceva in modo che i cavalli non li arrotassero. Tom non negava di averlo un pò ferito, e gli dispiacque.
«Mi spiace.» disse il rasta mesto, e Bill rispose alle prime burbero, per poi sciogliersi in un piccolo sorriso. Lo sapeva lui, Tom era buono.
«Niente.»
Pochi minuti dopo avevano un gelato in mano e ridevano di gusto.

*

HEYYY♥
Eccomi col capitolo 3♥ Avete visto quanta roba c'è di nuovo? Huh sono... piuttosto fiera contenta dei questo capitolo. Non è stato facile inventare tutte queste cose.. u.u
Vabbé, fatemi sapere se vi convince e se ho scordato qualcosa, se vi va♥♥
Grazie a tutti del perenne, stupendo supporto che mi date♥
A presto (spero), baci♥




(Diffido chiunque di copia non autorizzata e simili, grazie.)
Precauzione u.u♥

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***




4.


 

Tom guardò Bill con un sorriso.
«Allora Tom, praticamente dal parco dei draghi vai a dritto e poi vai a sinistra, dove c'è in cartello "Engel" okay? Poi la mia casa la riconosci. Vieni quando vuoi, tanto mia nonna era venuta solo per una visita..» sorrise.
«Okay, me lo ricorderò.» disse Tom. «Grazie Bill, di tutto.. ma puoi dirmi una cosa?»
Bill alzò lo sguardo. «Hm?»
«Come ti chiami di cognome?» Bill sorrise lievemente a questa domanda.
«Kaulitz, Bill Kaulitz.»
Tom divenne bianco, il moro arrivò proprio in tempo per sorreggerlo, evitando che cadesse a terra. Come era possibile una cosa del genere?
«Tom? Tom!» accorse Bill.
«Hmm» grugnì Tom aggrappandosi alle spalle dell'altro. I capelli neri di Bill gli solleticavano la guancia. Sbattè un paio di volte gli occhi e poi si rese conto di essere quasi svenuto, di essere fra le braccia del moro e si ricompose guardandolo tutto tremante. Riuscì soltanto a mormorare qualcosa che fece impallidire anche Bill.
«Anche io mi chiamo Kaulitz...»

*

«Papà! Posso parlarti tre secondi?» Tom scese le scale per raggiungere Gordon che era sul divano a leggere il giornale.
Annuì e piegò "Das Bild" per poi poggiarselo sulle ginocchia guardando preoccupato Tom.
«E' qualcosa di preoccupante? C'è di mezzo una ragazza? Sei stato denunciato? Hai bisogno di qualcosa? Soldi? Un passaggio?»
Tom rise sedendosi per poi tornare serio.
«No, no. Qualcos'altro.»
«Ti ascolto.» Il rasta abbassò lo sguardo.
«Hmm... ma io ho avuto un fratello?» adesso fissò gli occhi nei suoi, cauto.
Gordon sospirò. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
«Tom..» iniziò. «Perdonami. Avrei dovuto dirtelo prima, ma devi capirmi, è brutto rivangare la cosa.. Non ne ho avuto la forza..»
«Fallo per me, ora..» lo supplicò il figlio.
«Certo, a questo punto devi sapere.. Era tanti anni fa, tua madre partorì, io le ho assistito fin dal primo momento della gravidanza, quando.. beh.. tuo...» deglutì, pieno d'odio. «..padre se n'era andato molto prima, lasciandola da sola e incinta di due gemelli. Uno eri tu.»
«Dopo il parto tua madre stette male, e pochi mesi dopo morì, dopo che uno dei gemelli la precedesse. Si chiamava Bill. Lo shock fu talmente tanto che le diede il colpo di grazia. Così di lei mi è rimasto un figlio, che ho considerato subito come mio. Ti ho amato fin dall'inizio. Scusa, non te l'ho detto prima..»
Gli toccò il dorso della mano e lo guardò con un sorriso triste. Tom ricambiò e cacciò in dentro le lacrime.
«Papà, non ti preoccupare, ti capisco.. Tanto adesso è tutto a posto, ora lo so.» Tom era tranquillo, non lo sarebbe stato se non avesse incontrato Bill. Adesso sapeva che comunque gli poteva parlare, sapeva che stava bene ed era felice che il destino lo avesse portato da lui. Sorrise lievemente.

*

Quando atterrò davanti allo zerbino della casa di Bill deglutì e cercò di non piangere. Ci riuscì, ma dubitava che avrebbe durato a lungo. Sorrise quando rivide la scritta "Home Dark Home" alla porta. In effetti si addiceva perfettamente allo stile di Bill. Era, appunto.. dark. Immediatamente cercò di immaginarsi Bill da vivo. Come sarebbe stato? Ugualmente così bello e sorridente? Tom aveva dei dubbi. Nell'Obscurum nessuno prendeva in giro nessuno.. Con questi pensieri cupi bussò alla porta e attese.

*

Toc toc. Avevano bussato. Bill si alzò dal divano e poggiò il bloc notes in cui stava disegnando degli occhi marroni che assomigliavano incredibilmente a quelli di Tom, ma non c'era scritto niente di esplicito.
Subito sperò fosse il rasta e sorrise mentre camminava verso l'uscio. Aprì la porta e si ritrovò, infatti, Tom davanti. Qualcosa dentro di lui fece un balzo di gioia, ma prima che potesse dire niente Tom lo aveva spinto dentro e lo aveva abbracciato.
Bill, sorpreso, ricambiò l'abbraccio con gli occhi sbarrati. Poi li chiuse accorgendosi che Tom aveva un buon odore. Un odore di casa..
Si accorse anche che il rasta stava piangendo silenziosamente. Poco dopo iniziò a singhiozzare rumorosamente, e a quel punto anche per il moro fu difficile trattenersi. Capì. Aveva compreso che erano fratelli, che la loro somiglianza non era per caso, che il destino aveva qualcosa di chiaro in mente. Lo strinse più forte e Tom affondò la faccia sulla spalla di suo fratello con un singhiozzo.
Le lacrime iniziavano a trapassare la leggera maglietta nera di Bill, facendogli venire i brividi, erano più fredde di lui.

Quando le loro teste sembravano scoppiare dal dolore post-pianto si staccarono e ammiravano la somiglianza che, oggettivamente, c'era. Gli occhi rossi dal pianto di Bill erano truccati ma la linea era molto simile, non aveva il piercing al labbro ma si vedeva che aveva anche lui le guance leggermente incavate, la bocca era uguale.. S'incantò.
«Siamo gemelli, Bill» spezzò il silenzio. Bill annuì lentamente e lo guardò negli occhi. «Perciò Simone... nostra madre... è qui? Le hai parlato?» Bill annuì teneramente e chiese: «La vuoi vedere?» Tom annuì vigorosamente, come se quella domanda entro tre secondi si annullasse.
«Però..» eccoci. «..ti avverto che ha un tempo limite per stare qui con noi. E poi... è, diciamo.. molto fredda. Non ti spaventare, okay?»
Tom continuò ad annuire, adesso un pochino più lentamente.
Bill chiuse gli occhi e chiamò la madre.
Tom si stupì molto, perchè aveva sentito nella sua testa la voce del gemello, anche se non aveva proferito neanche un suono. Avevano un contatto... insolito? Decise che più tardi gliene avrei parlato.
Poco dopo Bill aprì gli occhi e sorrise avvicinandosi al gemello. Giocò con uno dei suoi dread quando un'ultima lacrima ritardataria gli solcò una guancia. Tom la fermò e la prese con l'indice. Alzò la mano per poter guardare la lacrima, che era leggermente nera dal trucco.
Sorridendo a Bill, si asciugò sulla propria maglietta.

Proprio in quel momento un vento gelido li fece rabbividire entrambi. Si voltarono e la videro. Tom non poteva credere ai suoi occhi. Era proprio così nelle foto: capelli corti biondi, viso sorridente e fossette sulle guancie.
«Mamma..?» sussurrò Tom. «Tom, quanto sei cresciuto... Come stai con Gordon? Come sta lui?» il rasta sorrise.
«Stiamo tutti bene mamma.. te?» Bill o fulminò con lo sguardo. Si annotò di parlargli dell'autolesionismo prima possibile.
Non gli rispose. O almeno, le mancò la voce perchè mimò "Bene" con la bocca prima di abbracciarlo. Poi, pochi secondi dopo, sparì.
Tom ci rimase malissimo. Guardò Bill, allibito. «Che è successo?»
Bill sospirò. «E' uno spirito, ricorda..»
Tom annuì sconsolato. Poi gli venne un'idea.
«E la nonna? Quella era nonna Fredericke?»
Bill sorrise e annuì. «C'è anche lei qui... purtroppo.»

*

«Bill»
«Hm?»
«Le ore che passo qui passano anche nel mio mondo?»Bill scosse la testa e si sitemò meglio sul divano. Dopo l'incontro con Simone si erano seduti sul divano a guardare in silenzio fuori dalla finestra, cercando di mettere ordine alle cose e di realizzare cosa era successo nelle settimane precedenti.
«Vuoi rimanere qui a farmi compagnia?» si voltò verso il rasta, che sorrise e annuì.
Bill ricamiò il sorriso e tornò a guardare fuori. Le stelle stavano spuntando, proprio come nel mondo dei vivi. Anzi, ancora meglio.
Il moro sospirò e si alzò. «Andiamo a mangiare qualcosa, ti va?»
Tom annuì e lo seguì.

*

Dopo mangiato si sedettero sul divano e accesero la tv, che per fortuna esisteva pure nell'Obscurum e trasmetteva le stesse cose del mondo dei vivi.
«Tom, cosa guardi di solito?» s'incuriosì il moro.
«Hmm, non guardo molta tv.. Guardo di più i dvd.» borbottò Tom.
«Che dvd?»
«Hemm... mi piacciono molto i disney, per esempio. Non ridere!!»
Ma Bill aveva già iniziato a ridere. Tom divenne ancora più rosso.
«Non rido per il fatto che guardi disney, ma per la tua faccia! Dovrei farti una foto!» riuscì a dire fra le risate.
Tom non poté fare altro che seguirlo nella risata e guardare lo schermo, avevano optato per un film strappalacrime che li fece piangere tutti e due. Si ridero in faccia vedendosi rigati di lacrime e finirono per sdraiarsi stanchi uno ad un capo e uno all'altro del divano, con le gambe vicine.
Dopo un pò Tom ruppe il silenzio, dopo i titoli di coda.
«Bill ma dove dormo?» Bill si alzò e spense lo schermo, per poi salire le scale e sparire per poco tempo in camera.
«Ho una camera in più, ti vado a preparare il letto. Intanto tieni..» gli lanciò un pigiama che Tom prese miracolosamente al volo.
Tom decise che era ora che salisse anche lui. La casa di Bill era piccola ma accogliente, e sopra c'era un pianerottolo con quattro porte: la camera di Bill, quella degli ospiti, il bagno e un'altra camera che sembrava uno studio.. Solo che c'era un microfono.
Si stupì e passò oltre.
Entrò in camera sua, si mise il pigiama e si sedette sul letto, già rifatto. Sorrise, era difficile celare la contentezza che aveva nel sapere di avere Bill al suo fianco.. Guardò l'ora: le 12.48, era tardi. Sbadigliò ed entrò nel letto.
In quel momento entrò Bill, già col pigiama addosso. Guardò intenerito Tom che aveva chiuso gli occhi e si avvicinò. Prima che Tom si rendesse conto della sua presenza gli diede un leggero bacio sulla guancia, che fece sorridere il rasta.
Andò verso la porta e spense la luce.
«Buonanotte Tom»
«Buonanotte Bill»
 

*

Eccomi! Scusate il ritardo, dovevo pubblicare ieri ma alla fine mi si era cancellato tutto il capitolo (ce l'avevo tutto bellino pronto) e oggi ho dovuto riscrivere tutto xc Infatti è un pochino meno curato e più corto degli altri forse..
Anyway immagino di avervi fatto annegare nel fluff... :3 
Allora, adesso parto per la campagna, avrò tempo di scrivere ma non potrò postare :(
Per almeno due settimane :((

Rispondo ai messaggi e alle recensioni dal cellulare però.. :)
Okay, bye bye♥

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***



Bannerino superfigo *-* Scusate, ne vado particolarmente fiera. E poi è "a tema" con questo capitolo...
Ma vi lascio alla letturaa♥


Tom

5.

 

 

Quella mattina Bill era particolarmente allegro. Si alzò dal letto con uno scatto fulmineo e raggiunse la finestra. Guardò con un sorriso il cielo e osservò le persone passare sotto la finestra. Ammirò il drago color smeraldo che dormiva sul prato di fronte, chiedendosi per la prima volta da dove fossero venuti. Infatti Tom non ne aveva mai visto uno nella vita reale. Perciò dovevano per forza essere nati direttamente nell'Obscurum...
Alzò le spalle, concludendo che alla fine non era importante. Si sedette sul letto strofinandosi la faccia con le mani, proferendo un gemito di stanchezza.
Allora aveva un fratello. Gemello. Tom. Tom Kaulitz. Sorrise portando gli angoli della bocca verso il basso.

 

Sorprendente. Un fulmine a ciel sereno. Quello era Tom. Chi se lo sarebbe aspettato? Di certo non uno spiritello irresponsabile che bazzicava per il mondo dei vivi soltanto grazie alla sua morte precoce. Perchè era così, era un angelo soltanto perchè era morto da bambino. E nero in quanto defunto. E Tom? Era legato a lui in qualche modo, e allora era un angelo bianco, in quanto vivo.
Strane leggi, quelle dell'Oscurum, chissà chi le aveva scritte! Bill aveva giusto un paio di domande. Il Prescelto. Suonava strano. Doveva esserci una missione più o meno segreta che avrebbe dovuto compiere, o no? Niente aveva più senso. Neanche i suoi capelli, doveva lavarli, concluse. Una gita verso la libreria sarebbe stata utile a entrambi, pensò mentre si avvicinava al bagno. Si fermò a metà di un passo, stette in ascolto e ridacchiò arrossendo. Tom aveva appena sussurrato "Bill" nel cuscino, chissà come mai lo sognava. Arrossì ancora di più a quel pensiero.

 

Fatta la doccia, scese al piano di sotto, un asciugamano legato in vita. Armeggiò con i piatti e prese una scodella, versandoci dentro del latte. Canticchiando non si rese conto che Tom, nel frattempo, si era svegliato.

 

Il rasta bussò alla camera di Bill, che però trovò vuota. Sentì un dolce canto provenire dalla cucina e decise di seguirlo. Infatti trovò Bill in cucina con un... "O mio dio" pensò Tom "Ti prego non lo guardare troppo, non lo fare.." Tardi. Gli aveva già fatto la radiografia. Chissà perchè poi. Forse a causa della magrezza? Forse per quegli addominali appena accennati, per quelle gambe lunghe e sinuose, per le braccia protese verso l'alto, i piccoli muscoli che si flettevano sotto il peso del vaso di marmellata che stava riponendo sullo scaffale. Dannazione. Maledetto asciugamano appena legato in vita. Dannato culo sodo. Ma quello era suo fratello... e fare pensieri del genere sul proprio fratello -maschio, per di più- era a dir poco strano.

 

Bill si accorse di lui, ma non dell'occhiata che gli aveva lanciato.
«Buongiorno Tom» gli sorrise, arrossendo poi ricordandosi di essere poco presentabile.
«Buongiorno» ghignò il rasta di rimando, sforzandosi di mettere gli occhi sul cibo che, almeno, non era vietato mangiare.
"Bill si" pensò di nuovo. Scosse la testa cacciando via quei pensieri. Faceva pensieri degni di un ubriaco. Poco importava, soltanto lui ne era a conoscenza. Gli prese un dubbio, poco rassicurante. 
Brusco, chiese a Bill: «Hmm... Bill... esiste qualcuno che può.. hmm... leggere nella mente qui... emm... nell'Obscurum?»
Bill non si scompose più di tanto.
«Tutti possono imparare l'Occlumanzia, Tom. Anche tu o io. Anche se fra gemelli è un pò diverso.. credo.» storse il naso in una sorta di tic posando due bicchieri sul tavolo. Tom annuì, poco rassicurato. Ne avrebbe scoperto di più, ma non era quello il momento.
«Bill» lo richiamò.
«Si?»
«Cosa fai tutto il giorno qui? Nessuno che ti rompe le scatole, niente scuola, lavoro, balle varie...»
Bill ammiccò. «Troveremo qualcosa da fare.»
Annuì pensieroso.

 

Bill, nel complesso, era... hm... era un fulmine a ciel sereno. Sorrise trionfante. Bella metafora aveva trovato! Metafora, similitudine o...? Scrollò le spalle e lasciò perdere. Era solo un'idiota con troppi ormoni.
Nel frattempo il moro era salito per mettersi qualcosa. Quando tornò giù, indossava un jeans nero attillato, una maglietta bianca con delle scritte nere e le sue solite trecento collane e braccialetti borchiati e argentati. Tom lo guardò, e si andò a vestire anche lui.
Quando scese le scale Bill lo chiamò.
«Tom, dobbiamo andare a fare la spesa. Cioè, devo... Mi vuoi accompagnare?»
«Okay, arrivo.»
Andò in camera a prendere la sua fascia, il cappellino e la sciarpa a quadri e tornò da Bill che stava aspettando con una mano sulla maniglia della porta. Si guardava allo specchio dell'entrata.. Tom dovette trattenere un sorrisino.
«Andiamo?»
Tom annuì.

*

«Bill, abbiamo finito?» chiese Tom leggermente esasperato. Decisamente fare la spesa non faceva per lui. Tutti quegli scaffali... la scelta fra cinquanta articoli uguali... No, l'avrebbe fatto Bill..
«Si, adesso abbiamo finito, Tom..»

Si stavano incamminando verso casa, le buste in mano, quando il cellulare di Bill squillò. ESISTEVA IL CELLULARE NELL'OBSCURUM? Quante cose doveva ancora scoprire su quel posto? All'improvviso quella prospettiva era opprimente. Se non avesse incontrato Bill sarebbe scappato..
Il moro rispose. Ci fu una pausa, e poi improvvisamente Bill si fermò, allibito.
«Dirk?»
"Dirk? Chi cazzo è?" si ritrovò a pensare Tom. Nel dubbio, non una persona molto gradita. O forse talmente gradita da sorprenderlo in quella maniera... Serrò la mano più stretta sulle buste, quasi tagliandosi con la plastica del manico.
«Hmm... ne devo parlare con..» fu interrotto. Guardò Tom, assorto nella telefonata.
«Dopodomani? Alle 10..» fece una smorfia. Brutto segno. «Hm.. aha.. Allora ti faccio sapere. Si, ciao.» riattaccò.
Tom lo guardò intensamente. «Tutto bene?»
Bill si era incantato e stava fissando una gomma appiccicata per terra. Alzò la testa e farfugliò un "si, si" poco convinto. Tom non si diede per vinto.
«Non mi sembra. Cosa dopodomani? E soprattutto, chi è Dirk??» sembrava che nella sua voce guizzassero fiamme di gelosia. Ma ovviamente Tom non se ne accorse. Bill si.
Infatti sorrise nervoso e si mordicchiò un'unghia.
«E' un mio vecchio.. amico. E' da mesi che non ci sentiamo.»
Tom annuì. «E dove ti ha invitato?»
«Al suo compleanno.»
«Dove e chi altro ci sarà?»
Bill ridacchiò, senza un motivo particolare. Giusto per la faccia del fratello.
«Discoteca Factory, Karl-Schmidt-Str. 26-29.»
Tom fischiò sommessamente.
«Anche qui nell'Obscurum vi trattate bene. Quante lap dancer ci sono là dentro? 500 o 600? Non ricordo il numero preciso.» ridacchiò e guardò Bill in tralice. Bill divenne rosso e scoppiò a ridere.
«Tom e la sua doppia personalità..»
Il rasta rise.
«Vuoi andarci te, Bill?»
Bill alzò le spalle. Non ne era sicuro. Ma se c'era Tom... Poteva sentirsi tranquillo. Sapeva che c'era per vegliare su di lui, soprattutto a giudicare dal tono in cui aveva chiesto di Dirk. Arrossì, cercando di scacciare via i ricordi che gli avevano invaso la mente...

 

Gli sfilò la maglietta. Subito la stanza sembrò illuminarsi, le pareti sembravano riflettere l'immagine di quegli addominali perfetti. Gemette e fece per baciarlo quando quello invertì le posizioni e si mise sopra in modo aggressivo, quasi possessivo. Stavolta fu lui a togliergli la stretta maglietta, portando con sè anche i pantaloni. Si sentì quasi soffocare, forse era a causa dell'alcol. Gli faceva caldo.. Molto caldo, e i boxer erano troppo stretti e fastidiosi. Aveva solo voglia di lasciarsi andare. L'altro a quanto pare capì e sorrise come se pregustasse ciò che stava per fargli. Si tolse da solo i pantaloni e iniziò a muovere il bacino, infilando una mano fra i capelli del moro. Quando i gemiti che avevano invaso la stanza lo fecero quasi venire decise che era ora di passare all'azione. Ben presto entrambi i boxer vennero gettati per terra. Allora iniziò a cercare la sua apertura, e Bill urlò dal dolore quando con una spinta selvaggia praticamente lo violò. Non era piacevole quanto si aspettava.. Almeno per lui. Il ragazzo che aveva sopra sembrava gradire, e tanto. Dopo un pò di tempo non ce la fece più, e urlò rimproverandolo.
«DIRK TU SEI PAZZO!!»

 

Fece una smorfia. Quella notte era stata decisamente... caotica. Si ricordava poco, giusto il dolore che aveva provato, ma l'altro era troppo ubriaco persino per distinguere la destra dalla sinistra. Era durante il compleanno di un loro amico, a casa sua. Quando metà degli invitati si erano buttati da qualche parte a dormire (in nove su un divano, alcuni per terra, fra la gente che ballava e beveva) Dirk lo aveva trascinato su per le scale. Forse l'avevano fatto nella camera dei genitori, ma in quel momento a nessuno interessava. Bill era troppo ubriaco per dire di no e Dirk per capirci qualcosa. Ovvio che aveva sempre provato una certa attrazione, ma forse non l'avrebbe fai fatto. Forse. E Bill era davvero troppo bravo ad ubriacarsi.
Adesso, però, lo invitava al suo compleanno.
Si decise a rispondere alla domanda di Tom. «Solo se vieni anche tu.» sotto sotto era una supplica, e una speranza.
Tom annuì. «Perchè no, vengo.»
Bill gli sorrise, grato.
«Bill, ma sei sicuro vero che nella vita reale nessuno si accorge della mia assenza?»
Bill annuì. «Certo, tranquillo. Se vuoi stasera possiamo andare a vedere tuo padre. Voglio dire, TU vai a vedere nostro patrigno.»
«Forse, vediamo.»

*

Quella sera erano stanchi tutti e due. Avevano giusto le forze per togliersi le scarpe e buttarsi sul divano e guardarsi un film random. Tom sarebbe andato da Gordon dopo la festa, perchè prima dovevano ancora procurarsi vestiti adatti. Tom guardò Bill. Sdraiato sul divano, nella parte opposta in cui era lui, guardava annoiato il telefilm di turno. Il bagliore della tv gli illuminava il viso incredibilmente delicato, gli occhi pesantemente truccati stavano per chiudersi, i capelli gli decoravano in modo disordinato le tempie e gli zigomi. La bocca era contorta in una smorfia, si stava mordicchiando la parte interna della guancia. Era un tic che sembrava aver ereditato da Gordon, anche lui era sempre a torturarsi le guance in quel modo.

Tom poteva sentire il suo calore, avevano le gambe intrecciate a causa del poco spazio. Era tenerissimo, si trovò a pensare Tom, e incredibilmente bello. Non sembrava... umano. Anche se non era il termine adatto. Era, si, morto, ma era anche un angelo, perciò era un miscuglio strano, per così dire.
In quel momento si girò a guardarlo. Tom sussultò impercettibilmente. I suoi occhi neri nell'oscurità sembravano aver perso ogni riflesso viola.

Si girò a guardare il film. Serrò la mascella, irritato. Sembravano una coppietta che si era appena conosciuta. Era tutto così esasperante: era evidente che era attratto, volente o nolente, da suo fratello. SUO FRATELLO! Soprattutto quello che conosceva solo da poco più di due mesi.. che di conseguenza non avrebbe mai ricambiato. Perchè doveva essere tutto così complicato? Ci si metteva pure la storia dell'Obscurum.. se Bill non fosse mai morto sarebbe tutto stato più facile... ammesso che sarebbe stato lo stesso. Era come buttarsi da una rupe: non sapevi se sotto c'era l'acqua o no. E soprattutto, non sai se sai nuotare. Forse l'acqua c'è, ma se non stai a galla, è un problema quasi ancora più grosso, perchè soffri prima di morire...

Il rasta si guardò irritato le braccia. Erano scoperte, ormai Bill aveva già visto tutto. Era, però, da un paio di settimane che non si faceva più male, e ne sentiva la mancanza. Aveva soltanto voglia di vedere il sangue. Voleva, almeno per dieci minuti o più, dimenticare quella situazione.. dimenticare l'Obscurum, dimenticare Gordon, la scuola, la sua vita REALE, dimenticare... Bill.. ma non ne sarebbe stato capace.
Si alzò dal divano spostando con delicatezza le gambe di suo fratello da sopra le sue.
«Dove vai?»
«Torno.»
Evasivo.

Aprì la porta del bagno e prese a cercare una lametta qualsiasi, che non trovò. Allora prese le forbici, anche se erano meno taglienti qualcosa ci si poteva fare.. Immediatamente il sangue iniziò a colare dalle ferite che si procurava sulla pancia. "Almeno non si vede tanto.." pensò. Ma ben presto lì non ci fu più spazio per altri tagli. Allora passò una, due, tre volte con forza la lama sull'avambraccio. Dieci, dodici, diciassette.. uno più uno meno non cambiava niente ormai. Assorto com'era, non si accorse che la tv era stata spenta.

Una lacrima gli rigò la guancia. Era scesa senza che lui se ne rendesse conto. Stava tagliando più del solito. Alcune gocce avevano toccato il pavimento, quando muoveva il braccio per cambiare angolazione alcune schizzavano sul lavandino. Si sentiva debole ma non riusciva a smettere, come se fosse automatico continuava a tagliare.. a tagliare...
Si dovette tenere al marmo per non accasciarsi a terra. Alla fine cedette, e con un tonfo cadde.

Bill iniziava a preoccuparsi. Era da dieci minuti che era via. Non che non potesse stare più a lungo a fare chissà cosa, ma aveva uno strano presentimento. Quando si era alzato aveva un'espressione insolita.
Spense la tv e si avvicinò alle scale che portavano al bagno. Salì e si fermò davanti alla porta del bagno, in ascolto. Quelli erano singhiozzi? Forse se li stava immaginando. Ma poi ne sentì un'altro, seguito da un tonfo, come se qualcosa fosse caduto sul pavimento.
«Tom? Tutto bene?»
Nessuna risposta, soltanto silenzio, i singhiozzi erano cessati. A quanto pare non andava tutto bene. Bussò e aprì la porta, tanto era suo fratello..

Il suo cuore ebbe un tuffo. C'era il SUO Tom per terra, la schiena appoggiata al muro, la faccia rigata, gli occhi socchiusi da cui cadevano ancora lacrime. Ma la cosa più spaventosa erano le braccia... era tutto coperto di sangue.. Anche sul pavimento, sui pantaloni, sulla maglietta... soprattutto all'altezza della pancia..
La risposta alle sue domande era nella mano destra di suo fratello. Le forbici.
Tom lo vide e mosse solo lo sguardo, non girò neanche la testa. Singhiozzò rumorosamente, stavolta. Ormai l'aveva visto. Bill imprecò e accorse, inginocchiandosi accanto a lui, prendendogli la testa fra le mani.
«Tom..» Era sull'orlo delle lacrime. Meno male che si era alzato dal divano, se no chissà cosa sarebbe successo.
Tom era debole, scosso.
«Non ce la faccio più..» disse a bassa voce, muovendo le labbra solo impercettibilmente.
«Ora ci sono qui io... butta via quelle forbici, ti prego..» sussurrò Bill. Tom eseguì. Le lasciò cadere aprendo la mano.

Si lasciò alzare da Bill e una volta in piedi si buttò su di lui abbracciandolo stretto, abbandonandosi in un pianto straziante. Bill lo strinse più forte e affondò la faccia nella spalla. Cercò di calmarlo, ma meno di dieci minuti non durò. Bill lo trascinò in camera sua, ogni passo, seppur senza scarpe, costava fatica e cento lacrime.
«Aspettami tre secondi qui» Tom sussultò e annuì, ancora lacrimante.
Bill andò a prendere l'acqua ossigenata e le garze e tornò, più in fretta possibile, in camera.
Trovò suo fratello sdraiato sul letto, scosso da singhiozzi meno violenti ma profondi. Il suo sguardo s'intenerì e si mise a sedere in ginocchio accanto a lui.
«Tom, tanquillo, calma, ci sono io qui.. Adesso ti disinfetto.»

Tom si girò a pancia in su e chiuse gli occhi, respirando profondamente. Lasciò Bill armeggiare al suo braccio ma c'era qualcosa che non andava. Lanciò un'occhiata al disinfettante e gemette. C'era scritto "non brucia". Dannazione. Quel pensiero gli fece scendere altre lacrime. Perchè continuava ad amare il dolore fisico? Ormai era una dipendenza. Sospirò.

Bill stava togliendo il sangue dalle ferite. Con sua grande sorpresa ne usciva sempre di più. Poteva passarci quante volte voleva la garza, poteva pressare per dieci minuti ma tornava sempre il rosso. La sua preoccupazione salì, non che ce ne fosse bisogno..
Nella penombra poi si vedeva anche meno di quanto ce ne fosse per davvero.. Inghiottì e cercò di non far caso al groppo in gola che gli si era creato. 
Guardò Tom di sottecchi: aveva gli occhi chiusi e aveva la faccia umida, ancora rigata dalle lacrime. Era bellissimo... seguì il contorno del profilo perfetto, si soffermò sulla bocca e all'improvviso gli venne la voglia di passare un dito su quella linea immaginaria. Tom aprì gli occhi e girò la testa, lo sguardo inespressivo che lo fissava.

Bill si affrettò ad abbassare lo sguardo per continuare a medicare: senza rendersene conto si era fermato, assorto nel guardarlo. Avrebbe voluto darsi uno schiaffo. Quello era suo fratello.. Anche se... Nell'Obscurum non esistevano leggi.. 
Scacciò quel pensiero e si concentrò su una ferita particolarmente profonda. Era sulla spalla... come ci era arrivato a farsela, lo sapeva solo Dio. Bill sospirò. Era tutto così difficile..
«Grazie..» disse una voce fioca. Il moro sussultò, ma poi si rese conto che era stato Tom, che, con un lieve sorriso dovuto al suo scatto, aveva una mano sul bordo della maglietta e la stringeva per sopportare il bruciore.
Bill gli sorrise. «Ci sono sempre per te, Tomi.»
Tom lo guardò più intensamente. «Come? Cioè... come mi hai chiamato?»
Bill arrossì. «Tomi..»
Tom girò la testa e fissò il soffitto. «Mi piace..» sussurrò.
Poi fece per grattarsi la tempia quando si accorse che la sua mano, quella che aveva stretto la maglietta, era insanguinata. Bill lo vide e sgranò gli occhi. Da dove veniva quel sangue?

«Da dove viene quello?» chiese. Solo poi si rese conto che era stato poco delicato. Tom alzò la testa e si alzò la maglietta di poco. Erano ben visibili gli add... i tagli da cui colava il sangue, copioso. Era troppo evidente che Tom avesse una pelle perfetta, e chissà quanto era perfetto quello che c'era sotto.. Bill arrossì, per l'ennesima volta.
Gattonò verso il lato destro di Tom, aveva finito il braccio sinistro. Una volta seduto sulle ginocchia si sporse in avanti per controllare la pancia. Lì i tagli erano profondi. Molto di più che sul braccio. Maledizione.

Tom osservava ogni sua mossa. Quando Bill passò delicatamente il dito su un taglio Tom sussultò e buttò indietro la testa, ritraendo la pancia senza accorgersene e allontanandola dal contatto. Gemette lamentoso e Bill tirò su col naso.
«Mi dispiace di non essermene accorto prima, Tomi..»
Tom alzò le spalle. Nel farlo gli scappò un altro lamento: tendeva la pelle coperta di disinfettante, e dava fastidio.
Bill. La fronte aggrottata, finì di disinfettare la parte superiore della pancia e lentamente scese, un pò insicuro. Tom soffriva il solletico? Probabilmente si. Era una cosa un pò imbarazzante, perchè nella parte inferiore della pancia la sua pelle era molto sensibile e più sottile. Infatti c'era anche molto sangue in superficie, e Bill doveva fare attenzione.
Tom inarcava leggermente la schiena, coprendosi di pelle d'oca. Le mani erano tese e stringevano la coperta, sopportando il dolore e il solletico. Era difficile, e ogni tanto qualche gemito gli sfuggiva.
«Mmh... Bill...»
Il moro alzò lo sguardo. Tom sorrideva, le sopracciglia alzate. Bill capì. Arrossì e fissò la coperta.
«Scusa..»

Tom si alzò a sedere in un veloce movimento fluido. Subito se ne pentì perchè sentiva la pancia in fiamme, ma ormai era su.
Guardò intensamente suo fratello.
«Oh, Bill..» sospirò. Alzò una mano come per accarezzarlo, ma la riabbassò.

Mentre lo curava si era sentito protetto. In un certo senso amato. Avere Bill era una fortuna. Però era anche frustrante allo stesso tempo. Cosa era frustrante? Tutto. Il fatto che Tom provava qualcosina che probabilmente Bill non avrebbe ricambiato. Dopotutto anche Bill avrà avuto la sua vita prima che venisse Tom... e pretendere di cambiare tutto era a dir poco presuntuoso.
Mentre era chino ad esaminare i tagli lo aveva guardato tutto il tempo -sperava vivamente che l'altro non avesse notato niente... Quei capelli corvini, in quel momento in disordine... La linea del profilo perfetta.. Quelle labbra... lo facevano impazzire.
E poi quando era sceso a disinfettare i tagli appena sopra la cintura si era scatenato l'inferno e il paradiso allo stesso tempo.
Soffriva leggermente il solletico ma niente in confronto ai brividi, niente in confronto al calore dentro la pancia...
Perchè? Perchè Tom era un coglione. Un pazzo. Ma si sa che solo i migliori sono pazzi.

Cercò le parole da dire a Bill. Non ne trovò. In realtà avrebbe preferito baciarlo piuttosto che parlare, ma aveva paura. Paura di rovinare tutto. Allora semplicemente gli sorrise.

«Sai, vorrei che smettessi...» Ecco. L'aveva detto. L'espressione di Tom s'indurì, ma annuì fissando la mano di Bill, poggiata sulla sua gamba e con la garza ancora in mano. Il french bianco faceva contrasto con il nero dello smalto e risaltava dall'oscurità della stanza. Sembrava illuminarla. 
Ma dopotutto aveva ragione.
Bill si avvicinò e gli poggiò una mano sulla guancia, accarezzandogliela coll pollice. Sorrise teneramente e sussurrò: «Ci riusciremo..»

A Tom si inumidirono gli occhi. Gli sembrava un verbo talmente... intimo. Bill si avvicinò ancora, il cuore di Tom iniziò a battere forte.
«Guardami»
Tom alzò lo sguardo, incrociando gli occhi con le pagliuzze viola che tanto amava. Erano così vicini... e sembravano quasi irreali. La lacrima gli rigò una parte della guancia prima di incontrare le fredde dita del moro.
Bill scattò, e poggiò le proprie labbra su quelle del fratello. Le racchiuse in un bacio appassionato, urgente. Tom ricambiò subito, le farfalle in pancia minacciavano di uscire da tutti i pori della sua pelle. Era un bacio che voleva esprimere tutto ciò che c'era da dire. Tom alzò una mano e la posò sull'avambraccio di Bill, gemendo. Sospirò cercando di non fare troppo vento e sorrise. Anche Bill sorrise. Si staccarono e scoppiarono a ridere sommessamente, gli occhi ancora chiusi. Quando li riaprirono si guardarono negli occhi, e dovettero ridere di nuovo. 

«Grazie, non ci fossi te..»
«Per te tutto Tomi..»
Tom si morse un labbro e si riavvicinò a lui, sovrastandolo. Lo baciò di nuovo, stavolta fu un bacio più lento, restarono quasi fermi per molto tempo, assaporando ogni attimo. Poco dopo si staccarono e si sdraiarono accanto.
Mentre erano in silenzio a guardare il soffitto Bill girò la testa verso il fratello. «Tom?»
«Hm?»
«Resti, vero?»
Tom per tutta risposta si girò e lo baciò di nuovo. Poi lo cinse con le braccia e posò la testa sul suo petto.

 
*******************************
 
Heyy♥
Allora vi devo le mie scuse perchè posto ad orari indecenti (lol) e scusate il tanto tempo che ci ho messo..
Avete vistooo è arrivato il bacio \(*^*)/ Yess! Però Tom ha un problema.. :'(♥
Comunque, vorrei fare un ringraziamento per tutti quelli che hanno preferito/seguito/recensito e anche ai lettori fantasma♥
Grazie! Spero di non deludere le vostre aspettative... ;') ♥

...E poi saluto Tali. ;*♥♥♥

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***



6.


C'era qualcuno che gli accarezzava la guancia. Sentiva un respiro vicino al suo viso, percepiva la vicinanza di un corpo al suo. Aprì gli occhi. Era Bill. Non potè reprimere un sorriso sornione.
«Buongiorno Tomi, stai meglio?» sussurrò il moro.
Tom annuì e si stiracchiò inarcando la schiena, mentre Bill lo osservava. Un lembo della maglietta scoprì la sua pancia graffiata, e un brivido lo percorse quando la carne venne in contatto con l'aria fresca. Gemette e alzò le spalle quando vide Bill rabbuiarsi leggermente mentre si alzava per raggiungere l'armadio.
Inutile rivangare ciò che era successo.. a parte un piccolo particolare.
«Bill..» mormorò, disegnando cerchi immaginari sul lenzuolo. Era troppo timido per guardarlo negli occhi.
E poi cambiò brusco argomento, forse era ancora troppo presto per parlarne seriamente, nonostante potesse ancora sentire le labbra del moro sulle sue, il ricordo delle coccole del giorno prima era vivido in lui e gli procurava una strana sensazione allo stomaco.
«Stasera abbiamo la festa da Dirk, vero?» ora alzò lo sguardo.

Bill sorrise e annuì, in mano una gruccia a cui era appeso un capo nero. Era una maglietta con una stampa bianca davanti. Molto carina, convenne Tom, senza però dare voce ai propri pensieri. Bill la poggiò su una sedia e poco dopo fu raggiunta da un jeans -rigorosamente nero-, delle sneakers alte -bianche... strano- e da vari accessori borchiati. Perfetto insieme. Finito l'outfit, Bill si girò verso il fratello con sguardo interrogativo.
«Te che ti metterai?»
Alzò le spalle. «Il solito immagino. Andrà bene?»
Bill si astenne dall'aggiungere un "sarai sempre bellissimo" che gli ronzava in testa e si limitò ad annuire.
«Bill, dimmi una cosa.. Anche Dirk è morto, perciò? Insieme alle altre persone che verranno alla festa?»
L'altro annuì di nuovo con aria lugubre e poi chiese, più allegro: «Cosa vuoi per colazione?» Tom rise.
«Pranzo, Tom..»
«In effetti..»
Tom si alzò e lo seguì in cucina. Solo ora si accorse che avevano ancora addosso i vestiti della sera precedente, maglietta sporca del liquido porpora inclusa. Fece una smorfia. Forse era meglio cambiarsi, dopo.
«Poi devo farmi una doccia.»
«Anche io.»
Tom arrossì leggermente, senza saperne realmente il motivo.
«Pizza? Pasta? Carne?»
«Vada per la pizza.»

*

Era pomeriggio inoltrato. Bill si stava preparando con almeno tre ore di anticipo, mentre Tom stava appoggiato allo stipite della porta del bagno. Lo osservava mentre si truccava, chiedendosi cosa l'avesse spinto a farlo. Era perfetto anche senza. Sospirò. Era innamorato davvero? Nel vero senso della parola? Forse. All'improvviso l'immagine di Lise gli balenò davanti agli occhi e sussultò.
«Bill! Devo chiederti una cosa.»
Bill sorrise e si allontanò dallo specchio, l'eyeliner a mezz'aria. «L'ennesima. Ma dì pure.»
Il rasta sbuffò una risata e parlò. «Ti ricordi quando avevo chiesto cosa volesse dire quando qualcuno ha le iridi rosse e il bianco dell'occhio nero? Mi dici cosa vuol dire?»
Bill lo guardò stralunato. «Qualcosa di brutto di sicuro. Nel nostro mondo si dice che i demoni hanno gli occhi in quel modo. Quelli cattivi, per intendersi.»
Tom restò immobile a fissare il pavimento, gli occhi sgranati. Lise non poteva essere un demone. Impossibile.
«Perchè? Ne hai visto uno, Tom?» si voltò, allarmato.
«No» mentì.
Non ci credo, pensò Bill. Ma poi non ne parlarono più.

*

Tom si vestì. I soliti jeans larghi, la maglietta di cinque taglie più grande, la felpa altrettanto enorme e il suo cappellino preferito.
«Bello, Tomi.» commentò Bill, già pronto da mezz'ora. Inutile dire che Tom arrossì e si voltò dall'altra parte. Mai quanto te.
Si guardò allo specchio e si sitemò il piercing e il cappellino. «Sono pronto. Quanto è lontano da qui il posto?»
«Pochi minuti a cavallo.»
«A CAVALLO??»
Bill rise. «Qui si usano anche i cavalli. Anzi, principalmente. Essendo morti anche loro..» portò un angolo della bocca in alto in una smorfia strana.

Tom deglutì. «Ma io non so andare a cavallo..»
Bill lo fissò, pensieroso. Alzò le spalle.
«Vorrà dire che stai dietro di me.»
Il rasta non era del tutto rassicurato.
«Dove lo tieni, 'sto cavallo?»
«Nella stalla poco lontano. Vieni, andiamo.»
Gli prese la mano in un gesto brusco e lo trascinò fuori casa, i gonfi capelli corvini al vento.

*

«No, non ci salgo!» Incrociò le braccia.
«Dai Tom!»
Tom fece orecchie da mercante e continuò testardo a fissare diffidente l'animale. Era un cavallo abbastanza basso, dal mantello bianco e i crini neri. Perfetto per Bill, ma magari non per lui.
Lo guardava curioso e interessato, forse chiedendosi perchè un tipo con le liane in testa lo guardasse male. Mosse la coda e quello sussultò.
Bill rise ancora. «Non avrai paura?» lo guardò di traverso. Tom arrossì e fece un movimento determinato verso l'animale.
«Non è assolutamente vero, Bill! Mi chiedo solo perchè qui non esistono macchine.»
«Le macchine non muoiono...»
«Neanche le case, se è per quello.»
Bill alzò gli occhi al cielo e mise le redini sul collo del cavallo, sospirando. Serviva una scaletta. Si guardò intorno e avvistò uno sgabello accanto al deposito di fieno. Prese una mano di Tom e la poggiò veloce sulle redini.
«Bill, sei pazzo! E se morde?»

Bill si era già allontanato. «Preferisci che scappa e che MAGARI ti travolge?» Sapeva benissimo che Fiammabianca non l'avrebbe mai fatto, ma era per spaventare suo fratello. Non che ce ne fosse bisogno, era già abbastanza spaventato di suo.
Quando Bill tornò con lo sgabello vide Tom che esaminava la sella di cuoio e il sottosella, anch'essi neri. Ammiccò e poggiò lo sgabello per terra, accanto al cavallo.
«Sali»
Era un ordine, e Tom obbedì dopo avrgli lanciato un'occhiataccia.
«Ora?»
«Poggia il piede sinistro nella staffa e issati su. La gamba destra deve andare al di là.» spiegò il moro.
Dopo alcuni battibecchi Tom eseguì e si trovò improvvisamente sopra, un po' terrorizzato. Era strano da lassù, poteva vedere al di sopra della testa del cavallo.. E Bill era molto, molto basso..
I moro sorrise e lo raggiunse. Si sedette dietro di lui, prendendo le redini e stringendosi al corpo del rasta, che avvampò.
Sentiva il fiato di Bill sul collo e il suo mento era a pochi millimetri dalla sua spalla, i suoi capelli gli incorniciavano gli zigomi.
Questa vicinanza contribuì a fargli scordare tutto il resto e non si era accorto che avevano iniziato a camminare. Dopotutto era piacevole.
«Alla fine... non è così male..» mormorò, giocando con la criniera di Fiammabianca. Gli ricordava i capelli del moro. Lucenti e forti. Quello doveva essere l'alter ego di suo fratello. Decisamente. Tom trattenne i fiato quando percepì la risata di Bill vibrargli sulla schiena.
«Te l'avevo detto.» ridacchiò di nuovo. «E c'è di meglio. Passeremo fuori dalla città, per evitare di attraversarla tutta.»
Tom era tesissimo.
I
l moro avvicinò la bocca all'orecchio del rasta e sussurrò parole rassicuranti, ignaro del fatto che a Tom era venuto un mezzo infarto a causa dei brividi. Avere Bill così vicino gli veniva voglia di baciarlo di nuovo, di abbracciarlo e di buttarlo sulla prima cosa che somigliasse vagamente ad un materasso. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal movimento del cavallo, come Bill gli stava suggerendo all'orecchio.

Bill's POV

Non l'aveva fatto apposta. Non aveva semplicemente potuto resistere allo stare appiccicato a suo fratello, e neanche all'avvicinare le labbra alla sua pelle. Fiammabianca era tranquillo, galoppava senza mostrare fatica, con un piacevole ritmo regolare e molto lento. Il moro lo fece scedere al passo. Allora sentì Tom rilassarsi e sorrise. Gli strinse le mani tenendo anche le redini, cercando di rassicurarlo ulteriormente e Tom reclinò leggermente la testa all'indietro. Quello fu il colpo di grazia per Bill, che si morse un labbro e baciò Tom sul collo, guadagnandosi un roco gemito sussurrato da parte sua. Bill aveva gli occhi puntati sul sentiero, anche se non c'erano ostacoli difficili da scansare.
«Bill...» mimò Tom con la bocca. Non aveva quasi prodotto suono, ma il moro l'aveva recepito. Scostò i suoi capelli dal collo del fratello,il vento li faceva volare dappertutto.
«Hm...»
Tom ridacchiò piano, facendo vibrare il collo.
«Attento anche a dove andiamo..» aveva sussurrato sorridendo. Bill sorrise e si staccò concentrandosi sulla strada.
Erano quasi arrivati, era in vista la stalla dove potevano mettere Fiammabianca. Quando il rasta non percepì più Bill sul suo collo sospirò, leggermente dispiaciuto.
Bill spronò il cavallo e quello partì al trotto. Era un'andatura piuttosto scomoda. Ma poi dopo poco -per fortuna- cambiò.
Però poi Tom constatò con orrore che quello era di nuovo galoppo.
«OMIODIOOBILLTIPREGORALLENTA» riuscì a strillare il rasta tenendosi stretto ai polsi di Bill che lo abbracciava.

Stavano uscendo dalla città, e il sentiero non asfaltato non faceva quasi rumore sotto gli zoccoli dell'animale. Poi raggiunsero un prato. La vista sulla città era magnifica, alcune case di campagna gli passavano accanto.
Stavano rallentando, prima di fermarsi davanti alla porta della scuderia. Bill scese con grazia e tese le braccia al fratello, così che potesse seguirlo.
«Grazie a Dio..»
Appena toccò terra barcollò, ma c'era Bill a sorreggerlo. Si sorrisero, e Bill parlò.
«Aspettami qui, vado a metterlo dentro.»

Tom annuì e iniziò a passeggiare in circolo sul prato che stava inziando a sfumare verso lo sterrato. Stava iniziando a fare buio, le stelle spuntavano una per una, mentre la luna era quasi piena.
Bill prima aveva preso da solo quell'iniziativa... sembrava veramente convinto di ciò che faceva.. non aveva nessun tipo di pensiero negativo, al contrario di Tom... improvvisamente si sentì malissimo. Debole. Fragile. Gli dispiaceva.. illuderlo... no, non era la parola giusta. Dopotutto lo sapeva bene che era attratto da lui. Lo sapeva molto, molto bene. Ma c'era sempre QUELLA cosa che lo tratteneva dal sentirsi sereno. Ovvio, avrebbe ripetuto il bacio del giorno prima all'infinito, magari anche con qualcosa di più. Anzi, di sicuro.
Guardò gli alberi muoversi al vento, svuotando la mente. Non ci riuscì, la scena delle coccole di prima continuavano a farlo sorridere. Sospirò calciando un sasso.
Sentì dei passi, era Bill. Di sicuro. Due mani gli coprirono gli occhi. Scoppiò a ridere, era evidente che era il moro. Le unghie lunghe e la freddezza dei palmi erano tutti suoi. «Bill» disse fra le risate. «siamo solo io e te in questo prato.»
Le mani si staccarono e Bill gli comparì davanti con un finto broncio.
«Mannaggia. Meglio andare.» rise poi prendendolo per mano.

*

Il locale era pieno zeppo. La musica era altissima, era quasi buio, se non fosse per fasci di luce colorata che illuminavano la polvere come raggi di sole nel mare.

Tom era un pò insicuro. Chissà che faccia aveva questo Dirk...
La risposta arrivò, perchè il biondo comparì davanti a loro con un ghigno non proprio da sobrio. Aveva un bicchiere in mano e una tipa gli stava attaccata al braccio -probabilmente era troppo ubriaca per stare in piedi da sola. Il ragazzo fece la radiografia a Bill con uno strano brillio negli occhi, e Tom se ne accorse e irrigidì soltanto la mascella. Iniziava ad odiarlo. Ufficialmente.
«Ehi, Bill! Sono felice che tu sia potuto venire» gli fece l'occhiolino.
«Hem.. si... Buon compleanno, Dirk» gli sorrise, ma gli occhi restavano seri.
«Grazie. Questo chi è..?» chiese poi il biondo squadrando Tom in modo velatamente ostile. Bill si affrettò a rispondere.
«E' mio fratello Tom. Tom, lui è Dirk.»

Il rasta fece un cenno col capo, troppo occupato a stare vicino a Bill per sembrare cordiale. Santo cielo, sembrava che quel ragazzo si volesse mangiare suo fratello da come lo guardava..! E non era affatto contento. Affatto.

*

«Bill, a quanto sei, scusa?» biscicò Tom. Anche Bill sembrava vagamente confuso.
«Non ci pensare, Tomi.» disse con voce sconnessa. Poi si prese la fronte la testa fra le mani e iniziò a canticchiare una melodia inventata, ridacchiando. «La notte è giovane, Tomiii...»
Tom rise ancora più forte del fratello, tirando su col naso. Era ubriaco fradicio, quel cocktail era decisamente più forte del previsto.
«Ho bisogno di...» iniziò a parlare il moro con voce sommessa. Ma qualcuno lo interruppe. Dirk. Tom non incrociò il suo sguardo e ordinò del succo, aveva bevuto abbastanza. E non solo lui, però era l'unico ad essersene accorto.
«Vedo che hai apprezzato il drink hehe» ridacchiò il biondo avvicinandosi al moro. Gli prese il mento con le dita.
«Mi ero scordato quanto tu fossi carino... hmmm... Bill»
Bill divenne rosso.
«Tutto merito di mio fratello, Dirky»
Tom alzò lo sguardo e lo fissò. Cosa c'entrava lui? Quello era tutto merito dell'alcol, altrochè! Dirky?? No, non andava per niente bene. Improvvisamente si alzò scostando Dirk in maniera poco garbata.
«Bill, andiamo in bagno, forse è meglio se ti sciacqui il viso. Forza!» cercò di alzarlo prendendolo per il braccio. Ma quello all'ultimo momento si avvicinò a Dirk e lo baciò, ignorando completamente suo fratello. In quel momento Tom si sentiva ribollire il sangue nelle vene. Ecco perchè Bill aveva quella faccia strana quando lo aveva telefonato! C'era qualcosa...
Dirk apprezzò, decisamente, e lo strinse a sè passandogli una mano lungo il fianco. Bill strattonò via il bracciò e mise le mani fra i capelli biondi dell'altro.
Tom non vide più niente. Li separò con fatica e trascinò Bill via. Via da quella persona che, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, l'aveva fatto soffrire o comunque l'avrebbe fatto di sicuro. Se lo sentiva. Bill continuava a ridacchiare.

«Tom, guarda le luci! Sono così belle!» alzò lo sguardo verso il soffitto e camminò impotente dietro al fratello, il polso stretto nella sua mano.
«Bill, MUOVITI!»
Entrarono nel bagno -per fortuna vuoto. Bill rise.
«Tom, avevi paura di andare in bagno da solo?»
«No.»
«Volevi guardarti allo specchio?»
«No..»
«Aaah, eri geloso!» Lo guardò con gli occhi ridotti a fessure.
«No, Bill.»

...Bugia, Tom.

«Allora volevi stare solo con me!» lo guardò più intensamente.
«No, Billy.»

...Bugia, Tom!

«E' che sei ubriaco! Fai cose che non dovr... faresti!»
Bill ridacchiò. «Fammi continuare, no? Dopotutto se faccio qualcosa sono giustificato, no? Non lo farei veramente! Dai, fallo anche tu!» sussurrò alla fine, avvicinandosi. Tom lo guardò senza capire, la fronte aggrottata.
«Bill, io volevo solo che tu-» Il moro lo interruppe premendo le labbra sulle sue. Tom chiuse gli occhi. Quanto gli era mancato quel contatto, quelle mani che ora gli accarezzavano il collo... Quel profumo, leggermente alterato a causa dell'alcol...
In quel momento Bill lo spinse verso il muro e fece aderire i loro bacini. Tom aprì gli occhi e il suo cuore perse un battito. Non erano mai arrivati così in fondo. Lasciò che il piercing giocasse con la sua lingua per gli ultimi, lunghissimi tre secondi e poi decise.
Gli prese i polsi e allontanò suo fratello da lui.
«Bill, no.» Il moro aveva un'espressione delusa. «Non voglio che accada perchè non sei te stesso.» c'era una nota triste nella sua voce.
Si guardarono per lunghi istanti e poi Tom interruppe il silenzio.
«Vuoi tornare a casa?»

Bill annuì, e il rasta si fece passare un suo braccio intorno alle spalle e uscì dal bagno e quindi dal locare.
Prima che la porta si chiudesse Tom guardò verso la pista. Notò Dirk che si stava facendo una ragazza. Fece una smorfia, schifato. «Che stronzo.» sussurrò, più a sè stesso.

 

********

MI SPIACEEE RAGAZZIII(eee)♥
Avevo un sacco di beghe col pc... E non potevo postare xc
Eccomi però. Spero che il capitolo sia decente (L'ho scritto veloce perchè ora devo fare le valigie... sto tre giorni in gita scolastica.. :o  Mercoledi torno :))
Grazie a tutti, riuscite sempre a mettermi di buon umore con una recensione ♥ ILY♥
A presto!♥


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


 
Hum... potete odiarmi.
Siete autorizzati.

Ma solo per questo capitolo.


Hihi scherzi a parte, scusate davvero. Con l'inizo della scuola E le prime verifiche è stato... un casino. :(
Ma da ora si riinizia, non prometto regolarità come durante l'estate però magari non vi lascio per mesi e mesi senza.. Vi lascio al capitolo, che ho scritto in DUE FOTTUTISSIME SETTIMANE (se non di più. Ops ^^).
Ed è pure corto... sono un disastro u.u


Vorrei anche che facessimo un minuto di silenzio per ricordare l'attesa INTERMINABILE a causa del continuo "Soon, soon sooon ♫♪" dei nostri amichetti Tokio Hotel.
E' ARRIVATO KINGS OF SUBURBIAAAAAAA :D

Se volete potete dirmi le vostre canzoni preferite dell'album, e altri pensieri sul loro... cambiamento, sono curiosa di sapere che ne pensate.. :) Secondo me le migliori sono senz'altro LWLYB, GGAG, Feel It All, Masquerade e Invaded... Oltre a Run run run che è carina c:

Bando alle ciance, vi lascio in pace col vostro (meritatissimo) capitolo.



7.



Tom aprì gli occhi con una strana sensazione. Senso di colpa? Non proprio. Inquietudine? Decisamente si. 
Adesso non potevano più tornare indietro.. I suoi pensieri vagarono su Lise. Forse lei andava meglio per lui.. poteva dargli una famiglia, un futuro più facile, senza salti continui fra i due mondi. O forse no... 
Tom era semplicemente confuso. Abbassò gli occhi e carezzò con lo sguardo la pelle perfetta di Bill, appoggiato al suo braccio. Sospirò. Forse gli serviva una pausa... e poi, gli avvenimenti della notte scorsa lo avevano scosso leggermente. Per quanto anche Tom avrebbe desiderato che semplicemente succedesse c'era sempre qualcosa che lo bloccava. Non sapeva bene cosa. Si alzò senza svegliare suo fratello e andò nella sua stanza.
Gli venne da piangere. 
*
Aprì gli occhi. Quanto tempo era passato da ieri sera? Cosa aveva fatto? Perché si ricordava soltanto un Tom triste e muto?
Percepì un rumore. Qualcuno tirava su col naso, l'unica anima viva della casa. Bill si batté una mano sulla faccia. Era colpa sua? Tom singhiozzava, proprio come quando... 
Si alzò precipitoso e corse verso il bagno, un mal ditesta lancinante. Vuoto. Per fortuna. Camminò piano verso la stanza di suo fratello, chiedendosi perché non aveva voluto dormire con lui quella notte... 
Varcò la soglia e sgranò gli occhi, inorridito.
Tom piangeva nel cuscino e aveva le maniche del pigiama sporche... di sangue. Perché, Tom, perché?? Si sedette sul letto e i singhiozzi cessarono, il rasta tacque. 
Bill posò la mano sui dread e li accarezzò piano.
«Bill»
Non era una domanda.
Il moro continuò ad accarezzarlo e lo fece continuare.
«Non so... trovo che...»
Tom s'interruppe. Non poteva dirgli cosa pensava, non voleva...
«..Bill, non posso andare avanti così..» singhiozzò di nuovo.
«Tom, mi spiace. Per tutto.»
Non rispose.
*
«Tom? Yuhuu?» 
A Tom cadde il mento dalla mano, su cui l'aveva poggiato. Imprecò e portò un dito alla bocca, cercando di succhiare via una scheggia che si era conficcata nella carne. Dannato tavolo. Ma che ci vuoi fare, quelli delle biblioteche erano sempre malandati. "Vissuti", come amava dire Gordon. 
La sua attenzione fu catturata da suo fratello. Fu obbligata ad esserlo.
«Hm?» mugugnò decisamente in ritardo. Bill roteò gli occhi.
«Eppure hai dormito dieci ore! Dovrebbero bastare.» 
Tom, per tutta risposta, sbadigliò.
«In teoria...» mormorò l'altro sfogliando l'enorme librone ("Profezie") che aveva davanti a sè. Sgranò gli occhi, soddisfatto, e girò il libro per permettere a Tom di leggere.
Quando l'ultima stella sorgerà,
solo una ne resterà.

Tom guardò con sguardo interrogativo suo fratello.
«Dobbiamo addomesticare stelle..?»
Bill aggrottò le sopracciglia, confuso. Guardò la pagina. Fece una smorfia.
«Cretino, devi leggere sotto. Quelle sono soltanto supercazzole romantiche.. Aforismi di profeti sconosciuti.. MA QUESTO» indicò una strofa sotto «E' ciò che cercavamo.»
Tom chinò lo sguardo.

 
Edhel Vor, l'elfo nero, è esperto in profezie. E' nato a Ellésmera nel 1789 e morto nel 1873. Alchimista, potente mago e formidabile guida spirituale, ha vissuto come eremita nel castello della foresta nera. 
Ha scritto varie profezie e poesie, fra cui ...

Bill interruppe la lettura. «Quello non è importante. Capito Tom? Dobbiamo rivolgerci a lui!»
Tom annuì sommessamente.
«Perché?»
Bill alzò gli occhi al cielo evocando tutta la pazienza che riusciva a raccogliere. «Guida spirituale? Esperto in profezie? Saprà di certo aiutarci! Prontoo? Vuoi un caffè??»
Tom s'illuminò. «Ci sto!» 
«Per l'idea di andarlo a cercare?»
«No, per il caffè...»
«Hmm...» grugnì il moro, prima di parlare. «ma come facciamo a capire cosa dobbiamo fare di preciso? Dobbiamo farci da guida, ma per fare cosa? Ci ho pensato soltanto stamattina..»
Tom annuì. «Ma possiamo anche stare comodamente a grattarci i co..»
«Tom! Non possiamo, è una questione d'onore! Ma forse tu ne hai poco. Ferirsi con un una lama dopotutto non aiuta.» sputò. Si rese conto solo dopo di ciò che aveva detto, e impallidì. Non voleva dirlo. 
Anche Tom sbiancò e lo guardò più serio che mai. 
«Non capisci. Non potrai mai capire. NESSUNO CAPISCE NIENTE!» finì per alzare la voce, rotta dall'indignazione e dalla delusione. Bill lo guardò senza parole mentre si alzava e usciva dalla biblioteca, frettoloso. Poi prese una decisione. 
Ignorando eventuali lettori si alzò anche lui bruscamente e corse verso il fratello. 
«Tom! Scusa, non volevo ferirti! Mi è uscito.. e... e.. ero fuori di me, non so cosa mi è preso! Ti prego fermati!» Tom obbedì, si fermò. Lo sguardo gelido, impassibile. Ma in fondo a quegli occhi si poteva scorgere una crepa. Profonda delusione. E Bill si maledisse, perchè sapeva bene che lui aveva riaperto quella crepa, creatasi chissà quando e da chissà chi. Ripensandoci, Bill avrebbe voluto volentieri dare un pugno a quel qualcuno... ma ora aveva fatto un danno.
Tom disse con voce atona, stancamente: «Fammi tornare a casa..»
E prima che Bill potesse dire niente Tom scomparì, lasciando Bill a bocca aperta.

 
***
 
 
~Novembre

E così era tornato a casa. 
Bill piangeva ormai quasi tutte le sere. Gli mancava. Gli mancava tutto di Tom.
Erano due settimane -un'eternità- che il rasta non si faceva sentire. Bill aveva deciso: sarebbe semplicemente andato a trovarlo senza che fosse visto. Solo per sapere se stava bene, come andavano le sue braccia, se era triste, maliconico, ancora depressivo, oppure felice senza di lui.
Si, aveva deciso, infatti stava camminando verso la scuola di suo fratello. Superò i grandi cancelli e si appoggiò ad un palo, il cortile era ancora deserto. Guardò, gli occhi appannati dalle lacrime che minacciavano di cadere, verso le finestre delle aule. Notò dei rasta appoggiati al vetro, che però -Bill scosse la testa- erano di un colore diverso del solito castano semplice di Tom; erano schiariti alle punte. Strano, neanche per un momento gli aveva sfiorato il pensiero che il fratello li avesse potuti far schiarire.
Vide che invece era così quando un allegro Tom uscì ridente dal grande portone in legno, dopo gli altri. Era, constatò Bill con stupore, con due ragazzi che non si sarebbero definiti una buona compagnia. Risero ancora -il moro si stava sciogliendo a vedere quanto fosse bello il sorriso di suo fratello- e imboccarono la via opposta a dove era Bill, fino a sparire. Con i lacrimoni, che adesso non riuscì a trattenere, il moro si dissolse in una nuvola nera, in un singhiozzo di disperazione.

~Dicembre

Lo vide appoggiato ad un muro. Era circondato da ragazzi -fra cui riconobbe quei due che aveva già visto- e ridevano. Nel buio della sera si vedeva lo scintillio di bottiglie. Le loro risate si sentivano dall'altro lato della strada.

 
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