Dove danzavano le fate

di Therainsmelody
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Dove danzavano le fate


Capitolo I

 
When we first came here
We were cold and we were clear
 
 
Astrea camminava al fianco della madre senza proferire parola da quelle che ormai le sembravano ore. Cinzia le aveva detto che in quella parte del loro viaggio avrebbero dovuto fare molta attenzione, quello su cui si trovavano era un territorio proibito alle fate.
Non avevano il permesso di mostrare le ali perciò non potevano attraversarlo volando e questa era forse la cosa che dava più fastidio ad Astrea: lei era una delle migliori fate d’aria, la più brava nell’arte del volo.
Persa nei suoi ragionamenti finì per inciampare su di una radice che sporgeva in modo eccessivo dal terreno e cadde lunga distesa a terra.
<< Astrea! Com’è possibile che tu cada ogni dieci minuti? Non puoi fare un po’ più d’attenzione? >> Cinzia aveva cercato di imprimere un tono autoritario alle sue domande, da vera madre qual’era, ma non era decisamente il suo forte.
Era una brava guaritrice e questo l’aveva portata ad essere sempre gentile con tutti, a volte addirittura troppo.
<< Non lo faccio mica apposta, sai? >> Sbuffò Astrea rialzandosi; si spolverò la lunga tunica bianca, la stessa che indossava ogni fata, e si ritrovò a fissare un enorme spiazzo verde nel mezzo del bosco. Non che non avesse mai visto una radura, nella foresta in cui vivevano ce n’erano almeno cinque, ma nessuna bella e imponente come quella.
La giovane fata chiuse gli occhi e si concentrò.
All’inizio non riusciva a percepire nulla e stava quasi per rassegnarsi al fatto che quello fosse un semplice praticello ma poi avvertì una leggera stretta allo stomaco e sottili linee colorate iniziarono a danzarle sotto le palpebre. Erano molto flebili rispetto a quelle che era abituata a percepire eppure c’erano; ne erano impregnati gli alberi, i fili d’erba, i fiori e anche l’aria.

Magia.

Se c’era la magia in una radura poteva significare soltanto una cosa: le fate vi avevano danzato.
Non si trattava di una danza normale, ovviamente, era una vera e propria cerimonia per armonizzare la natura con ognuna di loro e permetterle di vivere in quel luogo.
Era come ricevere la benedizione dalla Madre Terra.
<< Pensavo che queste terre fossero proibite per noi. >>
<< Lo sono. >> Rispose Cinzia con assoluta calma ma non aggiunse altro.
<< Dai mamma! So che puoi sentirla anche tu! La magia aleggia nell’aria e questo può significare solo una cosa. >> Astrea cominciava veramente ad irritarsi: come poteva sua madre fare finta di niente? Qualcuno aveva violato la legge infrangendo il voto d’obbedienza e devozione fatto alla loro regina!
<< Ho detto che questo luogo è vietato alle fate ora, non ho mai detto che sia sempre stato così. >> Astrea sgranò gli occhi sorpresa
<< Vuol dire che una volta le fate vivevano qui? >>
Cinzia lanciò un’occhiata piena di nostalgia alla radura.
<< Sì, era un gran bel posto. Il più bello in cui abbia mai vissuto. >>
<< Tu c’eri già? Quanti anni sono passati? >> Astrea aspettò quasi saltando dall’agitazione mentre sua madre cercava di ricordarsi se fossero passati due secoli o tre.
<< Credo che fosse circa trecento anni fa. >> Come sempre non aggiunse una parola di più.
<< Cos’è successo, mamma? Perché ve ne siete dovute andare? >> Il rumore del vento le avvolse. Astrea non riusciva a capire se fosse la sua curiosità che lo stava facendo agitare o qualcosa di totalmente diverso che riguardava invece i sentimenti di sua madre.
Agitazione?
Paura?
Non ne era sicura.
<< È stato per colpa degli umani. Ci hanno scoperte e hanno ucciso la maggior parte di noi, siamo riuscite a scappare in poche.>> Fece una piccola pausa per trattenere un singhiozzo, Cinzia non voleva certo mostrarsi debole di fronte a sua figlia.
<< La mia migliore amica non ce l’ha fatta. >> Astrea si avvicinò e strinse le mani della madre tra le sue.
<< Mi dispiace ma proprio non riesco a comprendere, gli umani sono stupidi, come hanno fatto a capire cosa eravate? >>
<< È iniziato tutto per colpa di Verdiana, la mia amica più cara. Lei pensava di poter infrangere le regole della natura senza dover sacrificare qualcosa in cambio. Ci è stato dimostrato che si sbagliava. >> Cinzia smise nuovamente di parlare anche se sapeva benissimo che sua figlia voleva venire a conoscenza dell’intera vicenda.
<< Cos’ha fatto di tanto grave? >> Astrea si protese verso la madre, in attesa della risposta.
Il vento soffiò più impetuoso.
<< Si è innamorata di un essere umano. >> Astrea si allontanò di scatto ritraendo le mani con un’espressione terrorizzata sul viso quasi non volesse che un briciolo dell’amore provato da quella fata così vicina a sua madre passasse da quest’ultima a lei.
<< Ma le fate non possono amare! È il nostro prezzo da pagare per l’immortalità! >>
<< Già, la natura ci ha create senza amore, con l’incapacità e il divieto di provarlo. Eppure ti garantisco che lei lo amava e lui amava lei e benché tutte le altre fossero contrarie ma soprattutto spaventate da quel sentimento io non ho mai visto nulla di sbagliato in loro. >> Astrea rimase scioccata dalle parole della madre, se la pensava così perché non aveva espresso la sua opinione? Aveva paura della punizione che la regina le avrebbe riservato? Perché allora non aveva semplicemente abbandonato le altre fate? E poi come poteva anche solo pensare che l’amore fosse una cosa giusta?!
<< Niente di sbagliato? Vi ha fatto ammazzare! >> Cinzia sospirò e si avvicinò di un passo alla figlia unendo nuovamente le loro mani.
<< Non è stato il loro amore a farci ammazzare ma la stupidità degli uomini. Loro hanno infranto una legge, è vero, e questo ha portato il resto degli abitanti del villaggio a conoscenza della nostra esistenza ma sono stati il loro egoismo e le loro convinzioni errate che li hanno spinti a massacrarci. Non ho mai incolpato Verdiana per questo. >> Astrea rimase in silenzio, infondo non sapeva com’erano andate veramente le cose.
Forse sua madre aveva ragione.
<< Perché non mi racconti tutta la storia? >> Cinzia sorrise lievemente alla domanda della figlia; pensò che forse, se avesse sentito da lei com’erano andate veramente le cose, avrebbe potuto comprendere la verità delle sue parole.
<< Certamente, prima però dovrò parlarti di Verdiana o non potrai capire a fondo ciò che provava e le ragioni che l’hanno portata a tale scelta. >> Astrea annuì e si lasciò guidare dalla madre al centro della radura dove si sedettero l’una di fronte all’altra.
<< Devi sapere che io e Verdiana siamo nate praticamente lo stesso giorno, lei dalla terra e io dall’aria., la prima volta che ci siamo incontrate abbiamo parlato di questo. Verdiana non faceva che farsi domande su tutto: perché le fate nascono da elementi diversi? Perché tu sei più brava di me a volare? Perché siamo immortali? Perché non possiamo amare? >> Astrea corrugò la fronte. Nessuna fata avrebbe dovuto porsi domande del genere, tutte sapevano che ogni cosa dipendeva dal volere della Madre Terra.
<< Era una fata piuttosto strana. >> Gli occhi di Cinzia si rabbuiarono.
<< C’era un motivo, vero? Era diversa da noi, lo vedo dal tuo sguardo che aveva qualcosa che non andava. >> Insistette Astrea. Voleva che sua madre glielo rivelasse, voleva che le raccontasse tutti i particolari di quel racconto.
<< Non è che avesse qualcosa che non andava, non era colpa sua. Come sai una delle regole di vitale importanza per le fate è quella di rimanere il più pure possibili ma la madre di Verdiana non lo era abbastanza quando ha pregato perché lei nascesse. >>
<< In che senso non era più abbastanza pura? >> Cinzia sospirò di nuovo e prese un bel respiro prima di parlare nuovamente.
<< Un uomo l’aveva privata della sua virtù e non era certo stata lei a chiederglielo. Quando scoprì di aspettare una bambina, una mezza fata o forse addirittura un’umana, lei pregò la terra affinché facesse di sua figlia una fata come tutte le altre e la terra esaudì la sua richiesta ma in cambio prese la sua vita. >> Astrea sentì le mani cominciare a tremare. Era una grande infrazione avere figli con gli umani, anche contro il proprio volere, e di sicuro era un atto che toglieva ogni purezza ad una fata.
Anche se non fosse restata incinta la madre di Verdiana non avrebbe mai avuto l’approvazione del suo elemento per avere una bambina, così ha supplicato di farla nascere fata in cambio della sua vita invece di chiedere di non farla mai nascere e salvarsi.
<< È stata molto coraggiosa. Suppongo sia per questo che Verdiana faceva tutte quella domande, il suo spirito in parte è restato umano o ne serbava comunque il ricordo, giusto? >> Cinzia sorrise alla figlia, aveva sempre saputo che Astrea era una fata molto sveglia e intelligente.
Riusciva a scorgere un brillante futuro per lei.
<< Sì, era per questo. Non era certo stupida, sapeva che erano domande da tenere per sé infatti sono l’unica con cui ne parlava. >> Cinzia strinse più forte le mani della figlia, avrebbe avuto bisogno di parecchia energia per realizzare l’incantesimo che aveva in mente.
<< Quindi in parte è rimasta umana, per questo si è innamorata. Tutto chiaro, ma ho un’ultima domanda: ti decidi o no a raccontarmi com’è andata? >> Chiese Astrea sorridendo, poi si accorse di quanto forte fosse la stretta di sua madre sulle sue mani e che aveva chiuso gli occhi. Quando Cinzia parlò di nuovo la sua voce suonava distante e aveva perso ogni traccia della sua solita dolcezza.
<< Farò molto più di questo, te lo mostrerò. >> Il vento cominciò a soffiare impetuoso alzandosi da terra in un turbinio, come se entrambe fossero finite all’interno di un tornado in miniatura e la temperatura scese così vertiginosamente che l’erba del prato cominciò a scintillare per via del ghiaccio che la copriva. Astrea chiuse gli occhi a sua volta e si concentrò sulle spirali luminose della magia di sua madre che le ruotavano attorno. Immaginò di farle crescere e muovere sempre più in fretta, di farle brillare con ogni colore dell’arcobaleno.
Lentamente sentì la sua magia fondersi con quella di Cinzia e riuscì a percepire le sue linee colorate che andavano ad unirsi alle altre già in volo.
Per un attimo si sentì mancare.
Trasferire la propria magia ad un’altra fata era un compito molto spossante e in vita sua Astrea non l’aveva mai fatto.
Durò solo qualche secondo poi si riprese.
All’improvviso nella sua mente cominciarono a scaturire immagini della radura secoli prima: vide una cerimonia di nascita; delle fate che danzavano in cerchio; il sorriso di sua madre e la loro regina che parlava al popolo.
Nonostante fossero passati così tanti anni Tatiana, la regina delle fate, era sempre splendida. I suoi capelli rosso fuoco rilucevano come una fiamma in mezzo alle chiome bionde o castane delle sue simili e i suoi occhi avevano la stessa scintilla di saggezza che Astrea conosceva bene.
L’immagine cambiò di nuovo.
Ora c’erano due ragazzi in piedi, l’uno di fronte all’altra che si baciavano.
Lui era più alto con corti capelli rossi, non lo stesso rosso di Tatiana, un rosso più arancione.
Astrea decise che sembravano un tramonto.
Lei invece era piccola e minuta, dai movimenti eleganti.
Si trattava certamente di una fata.
I capelli erano lunghi e ricci, di un biondo così chiaro che ricordavano quasi il grano poco prima di essere mietuto; ma gli occhi erano nascosti, così Astrea non poté capire di che tipo di fata si trattasse ma era certa che fosse Verdiana.
Astrea sapeva che un essere umano avrebbe provato qualcosa nel vedere due che si baciavano ma lei era una fata e non provò nulla se non forse un pizzico di paura per loro, ma questo solo perché le fate erano molto empatiche verso le altre creature.
Questa scena durò più a lungo delle altre ma alla fine anche lei scomparve, solo che al suo posto non arrivò niente.
Astrea era immersa nel buio più totale e fu attraversata da un enorme senso di stanchezza, troppo per poter resistere. Provò a combatterlo ma non ci fu nulla da fare, si sentì scivolare via come risucchiata da quell’oscurità così strana. Ormai non sentiva più nulla. Non sentiva le mani di sua madre o il prato sotto di lei.
Non sentiva più neanche il vento!

È normale? Funziona così questo incantesimo?

Non fece in tempo a trovare le risposte.
Astrea si addormentò e il suo corpo uscì dall’oscurità, avvolto dalla più luminosa delle luci.


Spazio Autrice

Bene, bene, bene. Ecco il primo capitolo della prima delle otto storie (è un miracolo che sia riuscita ad iniziare così presto!).

Come avrete notato si tratta di un prologo (già il secondo in così poco tempo, sto diventando la signora dei prologhi!), e la storia riguarda le fate. Ora, alcune cose si capiscono dal testo altre meno, questo semplicemente perché sono due fate che parlano tra di loro e si presuppone che sappiano già abbastanza bene come funzionano le cose nel loro mondo ma io sono qui apposta per spiegare!
Prima di tutto le fate sono immortali (sai che novità!) e il prezzo della loro immortalità è il non poter provare amore, per niente e per nessuno. Ovviamente possono essere uccise oppure decidere quando e se porre fine alla loro vita tornando a far parte dell'elemento che le ha generate. Per far sì che nasca una fata un'altra (sua futura madre) deve pregare il proprio elemento di concedergli una figlia e la richiesta verrà accettata solo se la fata è pura di cuore, spirito e corpo (ecco spiegato il grande problema della madre di Verdiana). Una fata quindi appartiene ad un certo elemento e per ogni elemento ci sono dei tratti distintivi:
Aria ----> la fata ha gli occhi dello stesso colore del cielo e i capelli biondi
Acqua ----> la fata ha gli occhi blu scuro e i capelli castani o, più raramente, neri
Terra ----> la fata ha gli occhi verdi e i capelli biondi o castani
Fuoco ----> la fata ha gli occhi marroni e i capelli rossi (sono molto rare le fate di questo tipo)
Nascono allo stesso modo degli umani e crescono normalmente fino circa vent'anni dopo di che non invecchiano più (molto comodo devo dire!).
Le fate non fanno domande, obbediscono alla loro regina e seguono le regole della Madre Terra così come lei le ha decise (non possono amare, non possono avere figli con gli umani, devono restare pure, ecc.).

Credo di aver detto tutto quello che c'era da dire!
Non ne sono ancora certa al cento per cento ma penso che questa storia avrà tre o quattro capitoli non di più.
Come sempre aspetto di sapere cosa ne pensate, a presto,
Gil

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Dove danzavano le fate


Capitolo II

With no colors on our skin
Til you let the spectrum in
 
 
Come si era potuto far convincere da Zachary proprio non lo sapeva.
Abram Brennan era un ragazzo per bene, lo era sempre stato, e non riusciva a capacitarsi di com’era finito nascosto dietro un cespuglio ad aspettare la “misteriosa” apparizione di cui non facevano che parlare al villaggio.
<< Non sono semplici monache, amico, sono delle ragazze bellissime che camminano nel silenzio più totale dirette chissà dove. Si sa che le monache sono brutte come rospi di palude altrimenti invece che sposarsi il Signore si sarebbero sposate un ricco terriero o un qualche principe! Ma queste! Ragazze del genere le vedi solo nelle favole! >> Abram era rimasto a fissarlo senza proferire parola.
<< Succede ogni luna piena, non possiamo assolutamente perdercelo! >> Così aveva detto Zachary con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
<< È solo quello che si dice in giro. Non ho la minima intenzione di acquattarmi dietro massi e arbusti solo per vedere delle monache che camminano. >> Aveva risposto Abram scocciato dall’insistenza dell’amico. Non ci vedeva nulla d’interessante.
Eppure dietro al cespuglio c’era finito comunque.
<< Per quanto ancora intendi … >>
<< Shhhh! Stanno arrivando. >> Zachary indicò un albero poco lontano dietro il quale era sbucata una ragazza sulla ventina.
I ricci capelli rossi sbucavano come viticci dal cappuccio della lunga tunica grigia con cui era vestita.
La mani affusolate erano unite all’altezza del cuore in una preghiera silenziosa e il capo era chino in segno di sottomissione e rispetto.
Il cappuccio era calato sul suo viso, avvolgendolo quasi completamente nell’ombra, ma Abram poteva comunque constatare, senza dubbio, che il suo migliore amico aveva detto il vero: quella ragazza era semplicemente bellissima.
Dopo pochi secondi ne arrivarono altre, una dietro l’altra, formando una fila ordinata.
Si trattava di ragazze minute e sottili come fili d’erba, con un’innata eleganza e i lineamenti così delicati e belli da confondersi con quelli delle piante e dei fiori alle loro spalle. Come la prima indossavano tutte lunghe tuniche grigie e nessuna esponeva il suo volto alla luce della luna piena.
Abram  e Zachary potevano scorgere bene poco: il colore dei capelli; le delicate mani intrecciate sul petto; la linea dolce della mascella e le labbra sottili accese di rosso che contraddistinguevano ognuna di loro. Solo alla decima o dodicesima ragazza Abram si accorse che c’era qualcosa di strano: non emettevano alcun suono. Nessun fruscio di foglie mosse, nessun sospiro o parola.
Nemmeno i loro passi facevano rumore.
Un raggio di luna illuminò per un istante gli occhi della prima, l’unica dai capelli rossi.
Come a voler dimostrare che in loro non ci fosse neanche un difetto anche questi erano magnifici: di un color nocciola intenso con sfumature rosse e dorate che ricordavano le foglie autunnali.
Abram li fissò, estasiato, ma anche lì c’era qualcosa che non andava.
Erano degli occhi bellissimi, troppo per un essere umano.
Infatti non avevano nulla che li rendesse tali.
Non c’era espressione nel suo sguardo. Non c’era devozione o preoccupazione o gioia.
Non c’era niente.
Abram si ritrovò a guardare questo vuoto assoluto negli occhi della ragazza e a sentirsene spaventato, anzi, completamente terrorizzato.
Anche se avesse voluto non sarebbe riuscito ad alzarsi e scappare.
La rossa continuò a camminare e le ombre oscurarono di nuovo il suo viso.
Man mano che avanzavano tutte venivano colpite dalla luce e in tutte Abram vedeva lo stesso sguardo inespressivo, la stessa immobilità soprannaturale.
Le ragazze continuavano ad arrivare e sembrava non dovessero mai finire.
Capelli neri, castani, biondi.
Occhi azzurri, blu e verdi.
Tuniche, tuniche e ancora tuniche.
Dopo quelle che gli parvero ore l’ultima della fila raggiunse il punto in cui i raggi della luna filtravano tra il fogliame del bosco. Quando la luce la illuminò lei alzò la testa sorpresa e il cappuccio le scivolò sulla schiena rivelando un massa di ricci biondi che schizzavano da ogni parte, sfidando la forza di gravità. Gli occhi, verdi come le foglie a primavera, scintillarono di sorpresa mentre osservavano il cielo e la sua bocca si distese in un dolce sorriso quando trovò la fonte di quella luminosità che aveva squarciato il velo di tenebre del bosco.
Abram rimase a bocca aperta, attonito.
Era la più bella creatura su cui i suoi occhi si fossero mai posati.
Non era come le altre, non lo terrorizzava con il suo sguardo disumano, anzi, era più umana di quanto lo fosse lui stesso.
Quasi fosse riuscita a sentire i suoi pensieri la ragazza si voltò nella direzione ove erano nascosti i due amici e i loro sguardi s’incontrarono.
Il cuore di Abram perse un battito e poi accelerò arrivando a rimbombare così forte nelle sue orecchie da coprire ogni altro suono.
Si fissarono a lungo, in silenzio.
Poi lei sollevo il cappuccio, spaventata, e si affrettò a raggiungere le sue compagne.
Chinò nuovamente il capo, congiunse le mani su petto e divenne nuovamente invisibile e irraggiungibile come le altre.
<< Dobbiamo andarcene. >> Disse Abram al suo migliore amico, che allungava invano il collo pur di riuscire a scorgere le monache ancora per qualche secondo.
<< Cos’è quel tono spaventato? Ho o non ti ho mostrato la cosa più sublime su cui i tuoi occhi si potessero soffermare? >> Zachary sghignazzò nell’osservare la reazione dell’amico, era certo che l’apparizione “misteriosa” avesse fatto colpo.
<< Non erano normali! Non avevano espressione! C’è qualcosa che non va in quelle ragazze Zach! >> Zachary si fece serio per un breve momento ma non ci mise molto a riconquistare il suo abituale sorriso.
<< Sono monache! Che dovrebbero fare? Sorridere? Dai, ammettilo! Ti ho mostrato o no una vera bellezza? >> Abram ripensò alla ragazza bionda che sorrideva guardando la luna, lasciò che l’immagine si facesse strada nella sua testa e vide nuovamente quella luce che sembrava venirle da dentro.
Vide la felicità baluginare nel suo sguardo perso nell’infinità del cielo.
Il suo cuore accelerò proprio come aveva fatto prima.
Zachary era ancora in piedi di fronte a lui, i capelli neri scompigliati e gli occhi azzurri fissi nei suoi in attesa della risposta.
Il suo sorrisetto beffardo non accennava a spegnarsi.
<< Sì. >> Abram non trovava le parole giuste per descrivere ciò che aveva provato ma il suo migliore amico aveva ragione: era davvero una bellezza.
Anche se lui avrebbe voluto dire molto più che un semplice sì Zachary parve apprezzare lo stesso la sincerità dell’amico e il suo sorriso di allargò fin dove gli fu possibile.
Ancora un po’ e si sarebbe slogato la mascella.
Zachary lo cinse con un braccio facendolo voltare in direzione del villaggio e, mentre s’incamminavano verso casa per concedersi il meritato riposo, aggiunse sospirando:
<< Puoi dirlo forte, amico. >>
 
Quella notte ci sarebbe stata la luna piena.
Era la duecentoundicesima da quando era nata e da quanto ricordava quella sarebbe stata la sua centosettantaquattresima danza in onore della Madre Terra.
Verdiana appoggiò la schiena al tronco dell’albero e sbuffò d’impazienza.

Perché il sole non vuole saperne di tramontare?

Stava ancora fissando l’astro che si accingeva a toccare la linea dell’orizzonte per immergesi nell’oceano e far calare la notte quando Cinzia arrivò dal bosco volando, leggiadra come solo una farfalla sa essere. Atterrò delicatamente di fronte a Verdiana oscurandole la vista del tramonto.
<< Tatiana ha chiamato. Sta distribuendo gli anelli per la cerimonia e sbraitando di ritirare le ali già da dieci minuti. >>
<< Ma il sole non è ancora sceso. >> Cinzia parve esasperasi perché le sue ali iniziarono a muoversi prese dal nervoso e lei si sollevò di qualche centimetro da terra.
<< Ti ricordo che questa sera ci saranno ben due iniziazioni. Se prestassi più attenzione lo sapresti. >> Verdiana trasalì e si alzò di scatto.
<< Completamente dimenticata! >> Esclamò, poi scoppiò a ridere così forte da arrivare quasi alle lacrime.
<< Ma che hai che non va? >> Verdiana soffocò le risa per riuscire a rispondere all’amica.
<< È buffo che proprio io che tengo a mente tutto me ne sia dimenticata, no? >> Cinzia non ci trovava proprio nulla di divertente.
<< Senti, se non ci sbrighiamo Tatiana si arrabbierà. >> Cinzia si alzò definitivamente in volo e se ne andò. Verdiana la seguì cercando di non perderla di vista, le fate dell’aria erano terribilmente brave a volare. Avrebbe voluto dirle che non gli importava di far arrabbiare Tatiana ma sapeva come Cinzia la pensava sulla questione perciò rimase zitta.
 
Una volta giunte al loro accampamento si misero in coda con le altre.
Ognuna ricevette l’anello di metallo con inciso i vincoli mortali ai quali loro non erano legate e una volta che tutte furono pronte, anello al dito e ali ritirate, Tatiana le legò l’una all’altra con la sua magia.
Fili argentati presero a volare in ogni direzione raggiungendo il cuore delle altre fate. Le loro vesti bianche si trasformarono in tristi tuniche di un grigio argenteo che ricordava la magia della loro regina, e gli anelli scintillarono fino a fondersi in un tutt’uno con le fate, a ricordare il dono che la Madre Terra aveva fatto loro con l’immortalità.
<< I vincoli sono sciolti e la mia magia vi pervade, siamo pronte per ringraziare la Madre Terra per il suo dono. Questa notte danzeremo sotto la luce della luna piena e liberemo la nostra magia. Alzate i cappucci, si parte. >> In un unico movimento tutte le fate si coprirono il capo e seguirono in una fila ordinata e silenziosa la regina Tatiana. La cerimonia dell’anello aveva sempre reso Verdiana irrequieta. Non che fosse qualcosa d’importante, era solo un rito simbolico: sull’anello venivano incisi i vincoli mortali con cui ogni essere umano era costretto a convivere. Tatiana liberava poi la sua magia facendola entrare nel cuore delle fate a simboleggiare il dono della Madre Terra e in quel momento, siccome loro erano esseri immortali, l’anello si scioglieva perché nessuno di quei vincoli era applicabile a loro.
Non era che un rivivere ciò che era realmente successo millenni prima, niente di più semplice.
Su Verdiana non aveva mai funzionato.
Era sempre riuscita a nasconderlo alle altre ma l’anello non si scioglieva per lei, non lo aveva mai fatto.
Mentre si accaparrava l’ultimo posto della fila e chinava il capo lasciò cadere lo sguardo sulle sue dita e, come sempre, la sottile striscia di metallo era ancora lì. La sfilò e la tenne stretta tra le mani unite.

Non sei che un mucchietto di polvere. Nulla di più. Solo polvere.

Un leggero guizzo blu fra le sue dita.
Aprì le mani e lasciò che la finissima polvere grigia che vi si trovava all’interno cadesse a terra.
 
Camminavano una dietro l’altra per il bosco, silenziose come sempre.
Ultimamente al villaggio si era sparsa la voce di misteriose apparizioni di giovani monache durante le notti di luna piena. Si diceva che vestissero lunghe tuniche grigie e che fossero assolutamente bellissime. Nessuno sapeva dove fossero dirette o se fossero effettivamente monache.
Alcuni credevano che si trattasse di fantasmi.
Era in quei momenti, quando si spargevano voci e leggende che dovevano stare attente a non farsi scoprire. Cercavano nuovi percorsi per raggiungere la radura, spostavano il loro accampamento più vicino ad essa e in un luogo più nascosto. Alcune vecchie fate raccontavano spesso di un periodo in cui era stato addirittura necessario rendersi invisibili con la magia.
Ma come arrivava ogni crisi se ne andava, ad un certo punto, e questo aveva permesso loro di vivere in quel luogo per più di duemila anni.
Era a questo che pensava Verdiana quando l’ansia di essere scoperte iniziava a pervaderle il cuore.

Fiducia in noi stesse, fiducia nella nostra regina, fiducia nella Madre Terra.

Era il suo mantra.
Poteva ripeterselo per ore e ore nella mente, finché la paura non scompariva.
Stava seguendo le altre e cantilenava la frase nella sua testa quando passarono attraverso una pozza di luce.
Verdiana si fermò, affascinata da tanta lucentezza, e alzò gli occhi verso lo spicchio di cielo visibile attraverso il fogliame. Sentì il cappuccio scivolarle via dalla testa liberando i biondi ricci ribelli che si protesero in ogni direzione quasi a voler catturare quei raggi luminosi e puri che scendevano su di lei.
Nulla di tutto questo le importava.
La cercò affannosamente con lo sguardo e alla fine riuscì a trovarla: la luna piena; il motivo per cui si stavano recando alla radura.
Senza che potesse evitarlo le sue labbra si distesero in un largo sorriso e Verdiana si sentì veramente felice.
Per un attimo.
Subito dopo venne pervasa da un brivido gelido.
Abbassò lo sguardo e si voltò verso destra. All’inizio non vide nessuno perché l’oscurità era fitta e i suoi occhi si erano abituati al riverbero della luna ma poi scorse un ragazzo acquattato dietro un cespuglio. Erano stati i suoi capelli a tradirlo; non si possono nascondere dei capelli così rossi in un bosco fatto di marroni e verdi scuri. Verdiana lo fissò incuriosita: oltre ai capelli, che parevano mossi da un’invisibile corrente, notò anche i suoi deliziosi occhi nocciola e il piccolo naso all’insù spruzzato di lentiggini. Man mano che i suoi occhi si abituavano al buio scorgeva sempre più dettagli. Apprezzò i suoi zigomi alti; la linea dura e spigolosa della mascella e le sua labbra carnose lievemente aperte per la sorpresa di vederla lì in quel momento.

Lui non dovrebbe vedermi, non dovrebbe guardarmi, io dovrei essere solamente una leggenda!

Il panico esplose improvvisamente dentro di lei.
Verdiana alzò nuovamente il cappuccio sulla sua testa e si affrettò a raggiungere nuovamente le altre senza guardarsi indietro.

Forse si dimenticherà di avermi vista o forse penserà si sia trattato solo di un sogno.

Chi dovrebbe credere che tu sia solo un sogno?

La voce di Cinzia aleggiò lieve nella sua testa. Verdiana alzò lo sguardo sulle spalle della compagna che stava camminando pochi passi davanti a lei.

Devi smetterla di entrarmi nella mente così!

È il mio dono, ricordi?

Sì, ma questo non ti da il permesso di fare quello che vuoi!

Ci fu un attimo di silenzio, Verdiana sapeva che Cinzia stava scrutando nei suoi ricordi così come sapeva che non c’era nulla che potesse fare per impedirglielo.
Avrebbe appreso tutto quello che c’era da sapere.

Ti hanno vista!? Ti rendi conto di quello che hai fatto? Fermarti per vedere la luna! La guarderemo tutta la notte ma, ovviamente, a te non bastava! Per una sciocchezza del genere ti sei fatta vedere e lui ha capito, l’ho visto dal modo in cui ti guardava, che tu non sei una qualche apparizione mistica ma una persona in carne e ossa! Ora verrà a cercarti, verrà a cercarci tutte e sarà la fine! Devi dirlo a Tatiana questa notte stessa!

No, non posso. Finirebbe per perdere la poca fiducia che ha in me.

Allora lo farà io!

No! Risolverò la cosa da sola, ti prego Cinzia, so che  posso riuscirci.

Cinzia voltò la testa nella sua direzione con uno sguardo oltremodo serio.

Hai un giorno per mettere a posto le cose, cancellagli i ricordi e questa storia resterà un segreto fra me e te.

Verdiana sorrise, grata all’amica per la sua generosità.
Per una fata era difficile tenere nascosto qualcosa alla regina.

Grazie.

Cinzia sciolse la sua espressione dura in un dolce sorriso e si voltò nuovamente in direzione della radura, uscendo dai pensieri della sua migliore amica.


Spazio Autrice

Secondo capitolo pubblicato! Siamo già a metà storia, incredibile!
Spero che vi piaccia l'idea del primo incontro tra i due protagonisti visto da entrambe le parti e spero abbiate capito la faccenda dell'anello (ho fatto veramente fatica a spiegarla e ancora non sono convinta del risultato, fatemi sapere!).

Se avete domande, critiche, complimenti, qualsiasi cosa (anche un semplice ciao) scrivete e recensite. Sono qui apposta per questo!

Cercherò di aggiornare con il terzo capitolo prima di rincominciare la scuola (prima di settembre quindi) o al limite con una settimana di ritardo.
A presto,
Gil

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Dove danzavano le fate


Capitolo III

 
Say my name,
And every colors illuminates.
 
 

Verdiana si aggirava per i boschi inquieta. Doveva trovare un modo per risolvere la questione, doveva trovare quel ragazzo e fargli scordare tutto.
Purtroppo la magia mentale non era il suo forte ma in qualche modo sarebbe riuscita a venirne a capo. Scosse leggermente la schiena e le sue ali affiorarono, grandi e delicate proprio come le ricordava, e con un piccolo battito si librò in aria.
In meno di un minuto raggiunse il luogo esatto nel quale si erano incontrati la notte precedente.

Rosso come il tramonto, bello come il mare.

L’immagine di lui le tornò alla mente nitida come lo era stata per tutta la cerimonia e per il resto della notte appena passata.
Chiuse gli occhi.

Rosso come il tramonto, bello come il mare.

Un profumo di pane appena sfornato le solleticò le narici.
Cercò di concentrarsi maggiormente.

Rosso come il tramonto, bello come il mare.

Sentì il vento fresco della notte risalire sulla sua pelle.
C’era quasi.

Rosso come il tramonto, bello come il mare.

Avrebbe dovuto pronunciarlo in quel momento o l’incantesimo non avrebbe funzionato.
Unì le mani all’altezza del cuore proclamando a voce alta:
<< Madre Terra, accogli la mia preghiera.
Nata da te sono e con te sono sincera.
Guarda ciò che ho messo in mostra;
scruta nel mio cuore
e poi indicami la via, per favore. >>
Attraverso le palpebre lo vide fluire: un lungo filo blu che partiva dal centro del suo petto e si snodava per i sentieri nascosti fra gli alberi. La sua magia le stava indicando la direzione in cui cominciare la ricerca.
 
Abram era inquieto. Continuava a ripetersi che non c’era un motivo preciso per quella sensazione ma sapeva benissimo che si trattava di una bugia.
La verità era che aveva paura, paura di non riuscire a rivedere la ragazza della notte prima.
Lui doveva trovarla.
Ne era completamente ossessionato.
Per tutto il giorno non aveva fatto altro che distrarsi e sia il suo migliore amico che suo fratello Anthony se n’erano accorti, anche se avevano fatto finta di niente.
Nel pomeriggio, subito dopo il lavoro, si diresse nuovamente verso il bosco nella vana speranza che lei potesse spuntare magicamente fuori da qualche cespuglio o che si stesse nascondendo dietro ai primi alberi che segnavano il confine tra natura e villaggio.
Il vento si era alzato e continuava a spostargli ciuffi di capelli sugli occhi impedendogli di vedere con precisione dove stava andando. Quando poi giunse alla spiaggia era diventato così forte da far volare granelli di sabbia ovunque e anche quelli cominciarono a finirgli in faccia e in ogni posto in cui riuscirono a infilarsi.

Se continua così finirò per perdere la vista, poco ma sicuro!

Una volta raggiunto il limitare del bosco, finalmente al riparo dal quell’aria malefica, si sedette a riposare. Appoggiò la schiena sul ruvido tronco di una quercia e si mise ad osservare le fronde degli alberi che sbattevano a destra e a sinistra sotto la spinta sempre maggiore del vento. Guardare quel movimento era così rilassante che gli stava quasi venendo sonno. Si apprestava a chiudere gli occhi e a concedersi un breve riposo quando un fruscio poco lontano lo fece scattare in piedi.
Si guardò intorno con fare circospetto.
Nessuno.
Probabilmente si trattava di un piccolo animaletto, uno di quelli innocui.
Il rumore si ripeté.
Abram raccolse un bastone da terra e lo brandì come se fosse una spada vera e propria, non solamente un inutile pezzo di legno marcio.
Le foglie di un cespuglio alla sua destra si scostarono lasciando spazio ad un esile e aggraziata figura.
I capelli ricci e biondi volavano in tutte le direzioni proprio come la sera prima; la sua bellezza mozzafiato era immutata. I suoi occhi parvero sorridere quando incontrarono quelli di lui e, nel momento in cui si accorse di come Abram stava brandendo il ramo spezzato, un risolino le scappò dalle labbra rendendola, se possibile, ancora più graziosa.
<< Vi ho trovato finalmente. >> Il suono della sua voce gli ricordò in qualche modo il rumore del vento che soffiava lieve tra i fili d’erba.
<< Non ero nemmeno sicuro che voi foste reale. >> Non sapeva neanche lui come quelle parole gli fossero uscite di bocca ma in quel momento si accorse che era proprio quella la domanda che si era posto per tutta la giornata:

“Quella ragazza l’ho vista davvero? Esiste?”

Lei rise di nuovo e, nel tempo di un battito di ciglia, i suoi occhi verde bosco diventarono blu per poi tornare al colore originale.
<< Come avete fatto? >> Lei assunse un’aria perplessa.
<< Fatto cosa? >> Chiese con la sua voce di vento. Abram non voleva essere scortese o spaventarla in qualche modo così cercò di essere il più delicato possibile.
<< I vostri occhi … loro hanno … cambiato colore? Possibile? >> L’espressione sul viso della ragazza mutò in un istante diventando puro terrore.
<< Scusatemi, non avevo intenzione di turbarvi. Probabilmente mi sono sbagliato. >> Parve tranquillizzarsi un po’ ma la paura non svanì del tutto.
<< Posso chiedervi come vi chiamate? >> Lei abbassò lo sguardo. Sembrava combattuta, come se dentro la sua testa si stesse svolgendo una qualche battaglia di cui lui non era a conoscenza e in cui non poteva in alcuno modo aiutarla.
<< No. >> Rispose infine. Abram era sempre più convinto di averla offesa in una qualche maniera ma non sapeva dire con certezza quale.
<< Io dovrei … voi non dovreste mai avermi visto. Noi non dovevamo incontrarci e io sono qui per rimediare a questo fatto. Devo farvi dimenticare. >> Abram era sempre più confuso. Non riusciva a trovare una logica nelle parole di quell’incantevole fanciulla.
<< Dimenticare? Volete che io dimentichi di avervi incontrata? E come potrei fare? Voi siete la fanciulla più graziosa che io abbia mai visto in tutta la mia vita e, non lo dico per spaventarvi o per darvi un motivo per andarvene, credo di essermi innamorato di voi. >> Gli occhi di lei divennero lucidi di lacrime e, come se fosse stata colta di sorpresa, alzò una mano fino a raccogliere la prima di quelle limpide gocce.
<< Che mi sta succedendo? >>
<< State piangendo. >>
<< Oh! >> Un piccolo sorriso nacque sulle labbra di Abram al sospiro della ragazza. Era così diversa: sembrava quasi che non appartenesse al mondo degli esseri umani ma, al tempo stesso, ne faceva così profondamente parte.
Il suo cuore accelerò ancora una volta com’era successo quando l’aveva incontrata o ogni volta che l’aveva pensata in quella lunga giornata.
Era sempre più convinto di essersi innamorato della bella sconosciuta che aveva davanti.
Lei si asciugò le guance velocemente come se si vergognasse di aver pianto.
<< Voi non potete amarmi. L’amore non va bene. Per questo devo cancellarvi i ricordi. >>
<< I ricordi non possono essere cancellati e anche se fosse io non potrei dimenticarvi perché la memoria che ho di voi non si trova nella mente bensì nel cuore. >> Abram capì dalla sua espressione che stava per scappare e ogni altro suo timore si fuse in un'unica paura: quella di perderla.
<< Concedetemi un bacio, uno solo. Se vi accorgerete di non ricambiare il mio sentimento allora sarò felice di dare a voi ogni mio ricordo perché non potrei vivere sapendo di avervi perduta per sempre. >> La fanciulla si agitò e i suoi occhi fecero nuovamente il giochetto del cambio di colore.
<< E sia. >> Acconsentì alla fine.
Abram le si avvicinò. Non che non avesse mai baciato una ragazza, ma mai una per cui aveva veramente provato qualcosa. Le cinse la vita con un braccio facendo aderire i loro corpi mentre con l’altra le scostava un ciuffo di ricchi ribelli, il tutto senza mai staccare gli occhi dai suoi.
Alla fine posò le sue labbra su quelle di lei.
Fu come baciare petali di rosa.
Qualcosa di morbido come seta parve avvolgerli entrambi e quando le loro bocche si staccarono l’una dall’altra Abram si accorse che effettivamente, quelle che sembravano delle enormi ali iridescenti di un verde molto tenue, lo stavano abbracciando.
Le ali di lei.
<< Ma … voi siete … cosa siete? >> Avrebbe dovuto essere spaventato da quella stranezza invece si trovò ad esserne quasi affascinato.
Lei invece era nuovamente terrorizzata.
<< È per questo che dovevo cancellare il nostro incontro! Voi non dovete sapere di noi! Gli uomini porteranno noi fate alla rovina! >> Fate. Era di questo che si trattava allora.
In effetti lei non poteva essere altro che una fata.
<< E allora nessuno saprà della vostra esistenza, è una promessa. >> In un attimo lei gli gettò le braccia al collo unendoli nuovamente in un dolce bacio.
Quando il momento finì ritirò le ali e si voltò per andarsene.
<< Aspettate! Potrò rivedervi? >> Lei si fermò voltandosi nuovamente nella sua direzione.
<< Sì, domani al tramonto seguite questo sentiero e aspettatemi nella radura. >> Si fermò indecisa sul da farsi poi, prima di essere nuovamente inghiottita dal bosco, aggiunse:
<< Il mio nome è Verdiana. >> L’oscurità della vegetazione l’accolse facendola scomparire.
Anche se ormai Abram non riusciva più a vederla rispose alla sua affermazione, convinto che lei fosse ancora abbastanza vicina per udirla.
<< E il mio è Abram, Abram Brennan. >>
 
 
Abram e Verdiana si rividero il giorno dopo, quello seguente e infine decisero che vedersi due o tre volte la settimana non avrebbe destato sospetti. Lei si dimenticò addirittura che in principio avrebbe dovuto cancellargli la memoria, non aveva più importanza. Quello che contava davvero era il loro amore, sbocciato sotto la luna piena e attraverso uno scambio di sguardi che non era durato più di qualche secondo.
In tutta la sua esistenza non si era mai sentita così bene con nessuno.
Fino ad allora non aveva fatto che preoccuparsi di come le altre potessero mal giudicarla per via di quello che era successo a sua madre e questo l’aveva portata a concentrarsi solo e unicamente sull’essere la fata perfetta.
Non le era riuscito molto bene.
Quando aveva conosciuto Abram, però, tutto era cambiato: il mondo le sembrava un posto felice, in cui vivere libera e senza più nessuna restrizione imposta dal rigido modo di pensare della società.
Almeno all’inizio.
Dopo poco, infatti, alle vecchie preoccupazioni se n’erano sostituite di nuove.
Verdiana prestava sempre attenzione alle altre fate, se l’avessero scoperta sarebbe stata la fine della sua vita, e aveva notato l’inquietudine di Cinzia.

E se avesse capito? Andrà a dirlo alla Regina? Mi tradirà? Tradire Tatiana è un atto bene più grave che tradire me, non lo farebbe mai.

Era sempre pronta al peggio, nel caso Tatiana l’avesse mandata a chiamare per bandirla dal suo stesso popolo, ma il tempo passava e nessuno, a parte la sua amica, sembrava sospettare qualcosa.
Verdiana si era quasi convinta ad andarle a parlare ma alla fine aveva deciso che sarebbe stato meglio tacere: se Cinzia fingeva di non sapere nulla probabilmente la stava coprendo e altrettanto probabilmente questa innocua bugia le stava costando molta fatica.
Dopo un lungo ragionamento optò per aiutare più spesso l’amica nei suoi lavori quotidiani e per ascoltarla ogni qualvolta avesse avuto un problema difficile da risolvere.
Sarebbe stato un tacito grazie al suo altrettanto tacito aiuto.
 
Per Abram le cose non erano certamente più semplici.
Benché anche lui si sentisse euforico al solo pensiero che dopo il lavoro avrebbe potuto rivederla cercava di trattenersi, nel timore che qualcuno cominciasse a porsi delle domande.
Purtroppo riusciva a passare inosservato meno di quanto credeva.
Infatti il suo migliore amico si era accorto che qualcosa in lui era cambiato.
Era più felice, più spensierato e si offriva più spesso per aiutare il padre fino a tardi in negozio. Inoltre non si lamentava come un tempo delle bizzarre proposte che Zachary gli faceva.
Insomma, aveva capito che qualcosa di incredibilmente bello era successo nella vita del ragazzo.
Zachary Galloway ne era felice e, da buon amico, non aveva fatto domande; sapeva che, a tempo debito, Abram gli avrebbe dato tutte le risposte che cercava.
Suo fratello Anthony invece era molto meno fiducioso.
Lui voleva risposte e le voleva subito.
Così, all’ennesima uscita misteriosa del fratellino decise di seguirlo nei boschi.
 
Il sole stava tramontando e la sua luce rossastra si riversava nel bosco dando l’impressione che l’autunno fosse arrivato in anticipo. Anthony seguiva Abram da quasi venti minuti e ancora non era successo nulla d’interessante. Stava quasi per rinunciare quando gli alberi si aprirono lasciando intravedere una radura. Mentre suo fratello camminava spedito verso il centro del praticello, Anthony si nascose nella vicina boscaglia in modo d’avere una buona visuale su quello che stava per accadere.
Dopo poco una ragazza fece la sua comparsa da dietro un enorme cedro che delimitava il lato opposto di quel magnifico prato. Indossava una lunga veste bianca molto larga che la faceva sembrare una bambina, il fatto che non fosse troppo alta o formosa ne rafforzava l’idea.
La pelle era così chiara da risultare quasi luminosa e contrastava con il verde intenso dei suoi occhi.
La cosa che colpì di più Anthony, però, furono i capelli.
Non ne aveva mai visti di così ricci e biondi in tutta la sua vita e lui di capelli ricci se ne intendeva, non esisteva un solo Brennan che non avesse i capelli almeno un po’ mossi. Quando gli occhi della misteriosa ragazza incontrarono suo fratello brillarono come le stelle cadenti dell’estate e il suo viso parve accendersi dei colori caldi del tramonto. Si corsero incontro l’un l’altra e si strinsero in un abbraccio appassionato per poi allontanarsi ma senza mai lasciarsi del tutto le mani.
<< Oh Abram! Mi sei mancato così tanto! Se solo potessimo vederci tutti i giorni! >> Abram le accarezzò dolcemente il viso avvicinandola ulteriormente a sé.
<< Lo vorrei tanto ma sappiamo entrambi che così faresti solo insospettire la tua regina. Non voglio certo farti rischiare la vita solo per passare più tempo assieme. >>
Anthony era esterrefatto. Suo fratello si vedeva con una fanciulla sconosciuta e non aveva pensato di farlo presente alla sua famiglia.

Parlavano di una Regina, che la ragazza sia una nobile?

Nel frattempo Abram aveva fatto scivolare il braccio sulla schiena di lei e l’aveva tratta a sé, facendo incontrare le loro labbra in quello che, ad Anthony, parve il più bel bacio di sempre.
Fece per alzarsi e andarsene, non volendo ulteriormente impicciarsi di quello che non sembrava un segreto tanto terribile come aveva immaginato, quando lei parlò di nuovo.
<< Da fata quale sono non dovrei neanche trovarmi qui e invece è successo, mi sono innamorata di un meraviglioso essere umano, il migliore del mondo probabilmente. Voglio fare una cosa che nessuna fata sana di mente oserebbe mai fare: voglio rivelarti il mio vero nome. >>
La bocca di Anthony era rimasta semiaperta dallo stupore.

Una fata? Quelle creature diaboliche esistono davvero? Come può Dio permettere un abominio del genere? E se prima parlavano di una regina significa che di queste “cose” ce ne sono molte altre, forse una popolazione intera!

<< Il tuo vero nome? >>
<< Sì. Ogni fata ha un vero nome che la Madre Terra  ha scelto per lei alla nascita. Solo la fata stessa e la Regina ne sono a conoscenza, questo perché se chiami una fata con il suo nome di nascita la costringi ad obbedire ad ogni tuo ordine. Io però mi fido ciecamente di te e voglio che anche tu lo conosca. >> Abram sembrava realmente colpito dal sentimento della giovane ma in quel momento ad Anthony non poteva importare meno di così del loro amore. Era scioccato dal fatto che suo fratello, cresciuto in una famiglia di buoni e devoti cristiani, stesse parlando con una di quelle mostruosità come se fosse una persona qualunque, anzi, come se fosse la più importante. Era disgustato dalla gioia del fratello nell’apprendere quanto la creatura tenesse a lui.

Tutte bugie! I figli del diavolo sono buoni solo a mentire e ingannare!

Forse però la stoltezza di lei poteva giocare a suo vantaggio. Se avesse conosciuto il suo nome avrebbe potuto comandarla e con l’aiuto degli altri abitanti del villaggio liberarsi di quelle come lei.
Tese l’orecchio per udire di nuovo il suono della sua voce, che ora non gli sembrava più una dolce melodia come aveva creduto all’inizio quanto invece un rauco rumore di malvagità.
<< Il mio vero nome è Stelladifelce. >>

Stelladifelce.

Anthony aveva tutto quello che gli serviva per iniziare la sua caccia alle fate.


Spazio Autrice

Ricordate quando ho detto che avrei pubblicato il capitolo prima della scuola? Ahahahah Si è visto!
Scherzi a parte, mi spiace molto di averci messo così tanto e non darò mai più scadenze perché, come avrete notato, sono pessima a rispettarle!

Detto questo, come sempre spero che il capitolo vi piaccia e se avete consigli/commenti/critiche recensite.
Come alcuni dei miei recensori potranno confermarvi io mi diverto un sacco a rispondervi!

Passando a cose serie: il prossimo capitolo sarà l'ultimo. Avevo quasi pensato di allungarla un po' per poter spiegare meglio la situazione ma poi mi sono detta che questa serie di storie è nata per essere breve e tale deve rimanere se no finisce che, come sempre, ti perdi via e nessuno conoscerà mai il finale! Quindi se la storia tra Abram e Verdiana vi è parsa un po' troppo semplice e immediata sappiate questo: nel settecento la davano via peggio che le nostre dodicenni, bastava che uno la guardava e quella già sveniva quindi diamo atto ad Abram di essere stato almeno un po' romantico e poi ricordiamoci che la povera Verdiana non si è mai sentita all'altezza di nessuno quindi è normale che caschi ai piedi del primo che le fa un complimento! (Ok, ok, basta dare delle persone facili ai miei personaggi! lol)

Direi che il mio delirio post-scrittura è finito. 
Ci vediamo al prossimo aggiornamento con il gran finale (ricordate di portare i fazzoletti, è solo un consiglio.)

Alla prossima (ormai dire a presto sarebbe come prendervi per il culo. ),
Mel

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Dove danzavano le fate

Capitolo IV

 

And when we come back
We’ll be dressed in black
And you’ll scream our name aloud

 
 

Verdiana attendeva, come suo solito, nella radura. Il sole stava declinando, lento, verso l’oceano e i suoi occhi non si staccavano da lui nemmeno per un secondo.

Quando il sole toccherà l’orizzonte sarò da te.

Abram glielo ripeteva così spesso che ormai era diventata una tradizione; loro due s’incontravano sempre al tramonto.
Piccole scintille blu sprizzavano dalle sue dita, sembravano tante minuscole stelle che brillavano un solo istante per poi perire con la stessa velocità con cui erano nate. Mosse delicatamente la mano destra e un luminoso filo di luce bluastra s’innalzo sopra la sua testa per poi ridiscendere e circondarla come se fosse il nastro di un qualche pregiato vestito umano. Le capitava spesso di giocare con la sua magia per ingannare l’attesa.
Un rumore di passi nella boscaglia la fece distrarre e ogni traccia di magia scomparve, lasciando solamente una minuta ragazza bionda al centro di un verde praticello. Il rumore continuò, ma dal bosco non uscì nessuno.
<< Abram? Sei tu? >>
Per un momento calò il silenzio, poi i passi rincominciarono. Verdiana fissava inquieta la direzione dalla quale sembrava provenire il suono, ma non accennò in alcun modo a muoversi.
Alla fine una voce rispose alla sua domanda.
<< Mi spiace, ma non sono Abram. >> Una figura fuoriuscì dalle tenebre e appena la luce rossastra del tramonto la illuminò la mente di Verdiana formulò un’unica frase, il cui senso le fu chiaro solo dopo aver osservato meglio.

Non Abram, ma quasi.

Il ragazzo di fronte a lei doveva essere di qualche anno più grande; folti capelli di un castano tendente al rosso che si muovevano in delicate onde; gli stessi occhi nocciola e lo stesso naso rivoltò all’insù, ma neanche l’ombra di una lentiggine. Era più alto e più muscoloso di Abram, eppure le linee del viso erano le stesse. Rivide le labbra che aveva baciato tante volte, identiche in ogni dettaglio, tranne che quelle sembravano provare ribrezzo verso di lei invece che la tacita ammirazione alla quale era abituata.
Era simile a lui, ma al contempo completamente diverso.
<< Chi siete? >> Lo chiese con tutta la determinazione della quale disponeva. Non voleva mostrarsi debole o indifesa davanti a quel minaccioso giovane uomo.
<< Il mio nome è Anthony Brennan. Sono il fratello di Abram. >> Verdiana si sentì un pochino meno tesa. Forse Abram non poteva venire e aveva mandato il fratello per avvisarla.
<< Lui sta bene? >>  L’espressione di disgusto si accentuò.
<< Oh, sì, lui sta bene. È di voi che dovreste preoccuparvi. >> L’ansia le attanagliò lo stomaco in un attimo. I suoi occhi schizzarono in ogni direzione, in cerca di una via di fuga.
Anthony si avvicinò.
Scintille blu crepitarono minacciose tra le dita di Verdiana.
<< Non penserete davvero di usare la vostra diabolica magia contro di me? Non vi conviene. >> Un impeto di rabbia spinse Verdiana avanti, non si era mai sentita così coraggiosa in tutta la sua vita.
<< E se anche fosse? Come pensa di potermi fermare? >> Un ghigno pieno di crudeltà riempì il volto di Anthony; era soddisfazione quella sul suo viso, Verdiana ne era certa.
<< In realtà è molto semplice: vi ordinerò di non farlo, Stelladifelce. >> Nel udire il suo vero nome Verdiana impallidì. Sentì in modo nitido e distinto il terrore che si propagava per tutto il suo corpo al ritmo del battito del suo cuore fatato. Cercò di opporsi più che poteva al comando, ma fu tutto inutile.
Il crepitio elettrico si affievolì fino a scomparire.
La magia se n’era andata.
Anthony scoppiò in una risata grottesca e terrificante. Rise così tanto che gli vennero le lacrime agli occhi e dovette estrarre un minuscolo fazzolettino sgualcito dal suo taschino per potersele asciugare.
Verdiana era arrabbiata e aveva paura, una combinazione di emozioni quasi letale.
<< Io non canterei vittoria così presto se fossi in voi! Abram arriverà a salvarmi! >> Anthony le rivolse un ulteriore sguardo di disprezzo e le sputò addosso.
<< Quell’idiota di mio fratello non verrà. Non ci sarà nessuno a salvarvi, morirete tutte. >>

Tutte? Intende tutte le fate?!

Anthony le si avvicinò ancora. Prese con forza il suo viso tra le dita e la costrinse a guardarlo negli occhi mentre parlava.
<< Ora voglio che voi, Stelladifelce, portiate qui le vostre mostruose amichette. Non m’interessa quali o quante bugie dovrete raccontare, voglio solo che le portiate tutte qui senza far loro sapere che è presente qualcun altro. >>
Verdiana cominciò a tremare.
Che sarebbe morta per mano di quel pazzo l’aveva già intuito, ma non aveva neanche lontanamente preso in considerazione il fatto che lui avrebbe voluto sterminare la sua famiglia. Un pensiero le passò, fulmineo, per la testa: le fate erano tante e tutte dotate di poteri magici; lui era solo e conosceva solamente il suo nome.
Non sarebbe mai riuscito a sopravvivere.
Un sorriso vittorioso le percorse il viso; uno ancora più malefico fece capolino su quello di Anthony mentre la lasciava andare.
<< Credi che sia stato così sciocco da venire qui senza nessun’altro? Ti sbagli.>>
Lentamente, dalla boscaglia, cominciarono a fuoriuscire orde di uomini di ogni forma e taglia; praticamente l’intero villaggio.
Sul volto di ognuno di loro Verdiana poteva leggere la rabbia, il disgusto, l’orrore che provavano solamente guardandola e allora seppe che erano a conoscenza della sua natura di fata e che tutti loro, nessuno escluso, avrebbero voluto vederla morta.
Le avrebbero uccise, tutte quante.
Quelle persone erano lì per sterminare la sua gente.
<< Preparati, piccola e lurida creatura, perché tra poco qui ci saranno solo sangue e morte. >>
Verdiana si voltò, con le lacrime agli occhi, e cominciò a camminare, senza volerlo davvero, verso casa sua e delle sue sorelle. Ogni passo era pura sofferenza, ogni respiro un eterno tormento. Stava per condannare le uniche persone che avesse mai considerato come una vera famiglia. Le avrebbe portate tutte ad incontrare la morte.
Mentre l’ultima flebile luce del sole scompariva, inghiottita dall’oceano, e l’oscurità tra gli alberi l’accoglieva tra le sue braccia, sentì nuovamente l’orrida risata di Anthony Brennan e fu certa di aver appena incontrato quello che gli uomini chiamavano il Diavolo.
 

Abram era in ritardo. Gli era bastato uno sguardo veloce alla luce che filtrava placida dalla finestra di casa sua per capirlo. Stava assumendo la tipica sfumatura rosso-dorata di quando il sole si trovava solo a pochi centimetri dal toccare l’orizzonte.
Era dannatamente in ritardo.
S’infilò la giacca il più velocemente possibile e si fiondò giù dalle scale, fuori dalla porta e sulla strada per la radura.
Cominciò come una sensazione di fastidio. C’era qualcosa che non andava nel villaggio, nelle case, nelle strade, in tutto quello che lo circondava. All’inizio quel sentimento lo lasciò confuso: non sembrava avere nessuna logica, ogni cosa era esattamente come la ricordava.
La risposta arrivò improvvisa, come un fulmine nel mezzo di una tranquilla giornata soleggiata dove neanche una nuvola solcava il cielo. Arrivò e portò la luce nella sua mente.
Non c’era nessuno.
Non che normalmente al calare della sera ci fossero decine e decine di persone che passeggiavano tra le viuzze strette e maleodoranti, ma c’era sempre qualche padre di famiglia che lavorava fino a tardi o un paio di ragazzini che si attardavano a giocare per strada. Per non parlare del fatto che dal pub uscivano ogni sera una marea di voci concitate e ubriache, tra le quali riconosceva spesso quelle del padre e del fratello maggiore, mentre al momento, dalla porta sbarrata e dalle finestre chiuse, non solo non giungevano suoni e musica, ma nemmeno un minuscolo barlume di illuminazione.
Era piuttosto evidente che c’era qualcosa di diverso dal solito.

Ignoralo. Vai avanti per la tua strada. C’è qualcuno che stai facendo aspettare più del dovuto.

Abram aumentò il passo e tenne lo sguardo il più basso possibile così da evitare di accorgersi continuamente della mancanza dei suoi concittadini.
La cosa sembrò funzionare finché non finì a sbattere contro qualcuno.
Alzò lo sguardo e si trovò di fronte al suo migliore amico. I capelli neri e indomabili, come al solito, e gli occhi limpidi e sorridenti, dello stesso azzurro del cielo. Zachary distese le labbra appena lo vide e gli appoggiò una mano sulla spalla con fare fraterno.
<< Devi guardare dove vai, bello mio, o un giorno o l’altro potresti inavvertitamente finire in una rissa. >> Lo disse con il suo solito tono scherzoso eppure c’era qualcosa che non lo convinceva. Non poteva descriverlo in altro modo se non come una sorta di ombra che si nascondeva tra le pieghe del suo stesso essere.
Zachary gli stava nascondendo qualcosa.
<< Lo so, è che sto andando di fretta quindi … se non ti dispiace … >> Fece per spostarsi e continuare a camminare, ma l’altro lo precedette, bloccandogli nuovamente la strada.
<< Non hai due minuti per il tuo migliore amico? >> La sensazione d’inquietudine di Abram si acuì.
<< Possiamo parlare in qualsiasi altro momento, ora ho da fare. >> Tentò nuovamente di sorpassarlo e ancora una volta Zachary glielo impedì.
Ora stava cominciando a perdere la pazienza.
<< Si può sapere che cos’hai? Che sta succedendo? Perché non c’è nessuno? Perché le case sono tutte chiuse? E per che diavolo di motivo non mi vuoi lasciar passare? >> L’ultima domanda la urlò così forte che se si fossero trovati in condizioni normali qualche curioso si sarebbe fermato ad osservare la scena.
Zachary parve tentennare per un attimo, poi l’espressione sul suo viso s’indurì e Abram sapeva che stava a significare una presa di decisione da parte dell’amico.
<< Non puoi andare nel bosco, non oggi. Se ci fai finirai per farti ammazzare! >> Sembrava realmente preoccupato per la sua vita.
In quel momento ad Abram non poteva importare meno di così.
<< Come fai a saperlo? Dimmi che cosa sta succedendo! >> Zachary abbassò gli occhi per una frazione di secondo prima di iniziare a parlare.
Era dispiaciuto, Abram lo sapeva, e dentro di lui avrebbe voluto solamente consolarlo, ma non poteva. Quello strano comportamento iniziava a puzzare di tradimento.
<< Tuo fratello vi ha visti, l’ha vista. Ha radunato tutto il villaggio e l’ha portato nel bosco per sterminare quei mostri. Mi ha chiesto d’impedirti di andare perché non voleva trovarsi in condizione di doverti uccidere. Sto solo cercando di salvarti la vita! Ti prego Abram, non andare! Lascia che le uccida e torni con la sua stupida gloria, dimenticati di quella … ragazza e vai avanti! >> La voce di Zachary aveva esitato sulla parola ragazza. L’aveva detta solo perché sapeva che Abram era innamorato di lei. Per lui non era che una dei tanti mostri infami e ingannevoli.
Sentì la rabbia salire come un fiume in piena e avrebbe potuto indicare con precisione assoluta il momento in cui l’acqua avrebbe rotto gli argini e sarebbe straripata.
<< Lei non è un mostro! Nessuna di loro lo è! Come hai potuto tenermi all’oscuro di una cosa simile? Pensavo fossimo migliori amici e invece tu hai lasciato che tutto questo succedesse senza fare nulla! >> Se avesse avuto un’arma e più tempo a disposizione l’avrebbe ucciso.
Quel pensiero lo sconvolse.

Voglio davvero ucciderlo. Ciò significa che lo odio? È veramente questo il modo in cui avrà fine la nostra amicizia?

<< Abram, io … >> Non lo avrebbe lasciato parlare. Non aveva intenzione di sentire le sue patetiche e stupide scuse.
Lui con Zachary Galloway aveva chiuso.
<< Stai zitto! Se sopravvivrò a questa notte sappi che io e tutta la mia discendenza odieremo la tua famiglia in eterno e se invece dovessi morire, come dici tu, sta pur certo che succederà la stessa cosa perché mio fratello trova sempre qualcuno da incolpare per i suoi errori! >>
Il respiro di Abram era pesante. Il suo dito era ancora puntato contro il petto di Zachary con fare minaccioso, lo abbassò.
<< E adesso levati! Ho cose ben più importanti che stare qui ad occuparmi di un traditore! >> Zachary, lo sguardo sconvolto e il cuore sprofondato nella disperazione più totale, si fece lentamente da parte. Abram lo superò come una furia e si mise a correre in direzione della radura.
Mentre l’amico scompariva nel buio della notte, Zachary sussurrò un'unica e flebile parola che mai nessuno, tranne il vento, sarebbe riuscito ad udire.
<< Perdono. >>
 

Aveva detto loro che qualcosa di terribile era successo nella radura. Uomini o forse animali, non lo sapeva. L’unica cosa di cui era certa era che fosse inutilizzabile e che serviva la magia di tutte le fate per poter farla tornare com’era prima entro la luna piena successiva.
Nessuna aveva dubitato della sua parola.
D'altronde perché farlo: le fate non mentivano mai.
Tatiana era in testa alla fila, le altre scivolavano leggere dietro alla sua autoritaria figura. Verdiana riusciva a vedere fili di magia di vari colori sprizzare a destra e a sinistra; le sue sorelle si stavano inconsapevolmente preparando alla battaglia. A quel pensiero la sensazione di schegge acuminate che le trapassavano il cuore s’intensificò.

Madre perdonami per quello che sto facendo.
Madre perdonami per quello che ho già fatto e che non può più essere cambiato.

Quando giunsero nel circolo di alberi, che conoscevano così bene, si fermarono e incominciarono a guardarsi attorno con disappunto. Non c’era nulla che non andasse; la radura era esattamente come ognuna di loro la ricordava.
<< Dove sarebbe questo enorme problema? >> La voce di Tatiana era forte e chiara nel silenzio notturno del bosco, eppure pareva scoppiettare come le fiamme del fuoco quando divampavano alte.
<< Mi dispiace. >> Fu l’unica frase che Verdiana riuscì a proferire prima che dalle ombre uscissero uomini armati di tutto punto: forconi, spade, archi, asce, martelli e tutto quello che erano stati in grado di trovare. Alcuni di loro reggevano delle fiaccole improvvisate per portare un po’ di luce in tutta quella oscurità. Tatiana incrociò lo sguardo lacrimoso di Verdiana e le lanciò un’occhiata piena di indignazione e sconcerto.
<< Perché? >> Fu l’unica cosa che chiese.
<< Conosce il mio vero nome. >> Un risposta intrisa di vergogna e peccato per una domanda che suonava come un’accusa. La regina si voltò facendo svolazzare i suoi riccioli rossi e raddrizzò la schiena con eleganza.
<< Fate! È ora di combattere per la nostra vita. >> A quel grido, quelle fra loro che ancora non l’avevano fatto, liberarono la magia racchiusa nel loro essere e si scagliarono all’attacco.
Grida, fumo ed esplosioni di luce.
Ovunque Verdiana si girasse non vedeva che guerra e dolore.
Umani che venivano strangolati da piante magiche o lasciati senza l’aria necessaria a sopravvivere.
Fate che venivano colpite da frecce infuocate o decapitate a colpi di ascia.
Più di tutto vedeva sangue.
Macchie rosso scuro che coprivano ogni cosa: la terra, i corpi, le armi.

È colpa mia! Sono stata io a fare tutto questo!

Non sapeva neanche lei se stava per mettersi a piangere o se aveva intenzione di unirsi alla battaglia alla quale lei stessa aveva dato inizio. Ogni dubbio fu fugato quando un voce a lei famigliare la raggiunse.
<< Verdiana! >> Era Abram, ne era assolutamente certa. Iniziò a correre nella direzione da cui lui la stava chiamando, urlando a sua volta il suo nome. Mentre si muoveva in quella matassa di corpi, vivi e morti, udì un’altra voce: nitida e fiammeggiante.

Tatiana.

<< Mie figlie adorate, aprite le ali e fuggite. Non vinceremo questa guerra con la forza, ma con l’astuzia della nostra magia. >> Un vago ricordo della sua infanzia si fece strada nella mente di Verdiana. C’erano lei, Cinzia e altre giovani fate sedute attorno alla regina. Una di loro aveva chiesto quale fosse l’incantesimo più potente di cui Tatiana disponeva e la risposta era stata: “Una magia forte abbastanza da uccidere tutti i nostri nemici.”

No! Tutto, ma quell’incantesimo no!

Se lo avesse lanciato tutti gli umani sarebbero morti, anche Abram se non fosse riuscita a portarlo via da lì in fretta.
<< Abram! >> Continuava a correre tra i cadaveri; le fate che fuggivano e gli uomini che ridevano, divertiti dalla distruzione che avevano portato con loro.
<< Verdiana! >> Questa volta la voce era più vicina.
Doveva sbrigarsi, dovevano andarsene.
Verdiana sentiva il tempo scivolare via, inesorabile, assieme alla voce di Tatiana.
<< Alta la fiamma, vivo il fuoco;
le mie parole ascolta, languisci sotto al mio giogo;
scaglia la tua furia sul nostro antico nemico,
fa sì che il tuo potere sia valso il sacrificio. >>
La sua magia si propagò in ogni direzione.
Fili grigi che scivolavano con grazia tra le persone e che si tramutavano in fiamme voraci ogni qualvolta capitava loro di toccare un essere umano.
Verdiana non aveva più tempo.
<< Abram! Dove sei? >> Nella sua voce c’era la disperazione di una persona che stava perdendo tutto ciò che aveva valore nella sua vita, proprio davanti ai suoi occhi, e che non poteva fare nulla per impedirlo.
<< Verdiana! >> Era lì, proprio davanti a lei. A separarli c’erano solo cinque passi di distanza.

Ci sono riuscita! L’ho trovato! Ora possiamo andare via da questo posto infernale e vivere per sempre insieme felici.

Tese la mano nella sua direzione e Abram fece altrettanto. Sentì i polpastrelli di lui scivolare delicati sulla sua mano e un brivido di gioia ed eccitazione la percorse da capo a piedi.
Durò solo un istante.
Un fulminea lingua grigia lo colpì in pieno petto ed esplose nel più terribile e maestoso dei fuochi.
Tutto quello che lei vide fu Abram e poi più niente.
Verdiana restò immobile, nella stessa identica posizione in cui si trovava poco prima, solo che ora non stava più per raggiungere il suo grande amore.
Quello che restava di Abram Brennan era solo un corpo carbonizzato, il braccio ancora teso verso di lei, ma senza alcuna speranza di raggiungerla.
Verdiana cadde in ginocchio.
Attorno a lei le fate superstiti volavano via; la regina Tatiana le chiamava a raccolta e partiva verso territori ignoti, alla ricerca di una nuova casa; gli uomini urlavano e bruciavano e cadevano a terra senza vita.
Nella radura erano rimaste solo sangue e morte, come aveva detto Anthony.
I corpi delle fate cadute si illuminarono di splendenti luci colorate: alcune erano azzurre molto chiare, altre blu come le profondità oceaniche oppure verde bosco. Lentamente anche quest’ultime scomparvero e ciò che restava delle fate fece ritorno al suo elemento d’origine.
Verdiana non le vide o, se lo fece, le ignorò.
Ora non c’erano più nemmeno le grida strazianti degli uomini, attorno a lei era solo silenzio.
<< Abram? >> Lo disse piano la prima volta, poco più che un sussurro, poi lo ripeté più forte e infine lo urlò a pieni polmoni quasi che il suono del suo nome contenesse la magia necessaria a riportarlo indietro.
Si accasciò e cominciò a piangere.
Un pianto disperato e logorante, così triste che, nell’udirlo, chiunque avrebbe pensato ad un amore perduto nel più tragico dei modi.
<< Verdiana, dobbiamo andare. >> Era la voce di Cinzia, della sua amica più cara. Si vedeva che cercava di mantenere una parvenza di controllo, ma che, sotto sotto, era davvero dispiaciuta per il dolore dell’altra.
Verdiana non voleva la sua compassione.
<< Vattene! Tornatene a casa, io non verrò con te! >> La fata dell’aria rimase in silenzio. I capelli biondi erano cosparsi di rosse macchie umide e appiccicaticce, così come il viso. Il suo sguardo si muoveva rapido da Verdiana alle altre fate che si allontanavano, indeciso sul da farsi.
<< Ti prego, Verdiana, vieni con … >> Non riuscì a concludere la frase.
<< Io non ci riesco, non lo sopporto! Non posso vivere senza di lui! Perché?! Perché l’ha portato via da me?! >> Non stava ascoltando le suppliche della sua amica; l’unica cosa che sentiva, forte e chiara, era il suo dolore. Strinse con delicatezza la mano carbonizzata di Abram tra le sue.
<< Lui era tutto, era l’altra parte della mia anima. Come si fa a vivere se metà di ciò che sei se n’è andato per sempre? >> Verdiana lasciò andare il corpo dell’amato e premette con forza le mani nel terreno. Quando vide quel gesto e le lacrime senza speranza della fata, Cinzia capì e un tremito di paura fece bagnare le sue guancie dal pianto.
<< No! No, per favore non farlo. >> Verdiana strinse più forte l’erba bruciacchiata.
<< Io non la voglio più! È tua, riprenditela! Non voglio più vivere! Mi hai sentito? Riprenditi la mia vita! >> Una fievole luce verdastra cominciò a turbinare leggiadra attorno a Verdiana e la fata sorrise: poteva mettersi il cuore in pace; ora sarebbero stati assieme per sempre.
Cinzia non poteva sopportarlo, non più di quanto Verdiana potesse sopportare la morte di Abram. Fece scattare le ali e si alzò in volo, dando la schiena alla scena.

Ti voglio bene, Verdiana.

Ti voglio bene anch’io.

Quando Cinzia raggiunse le altre si voltò un’ultima volta, ma il corpo di Verdiana era già scomparso, avvolto dalla magia del suo elemento.

Ricordati che polvere sei e polvere ritornerai.

 
Circa trecento anni più tardi, nel punto in cui Verdiana aveva rinunciato alla sua vita immortale, due fate riaprirono gli occhi da quello che era sembrato un lungo sonno pieno di sogni, sia belli che tragici. Quelli di Cinzia erano velati di lacrime.
<< Non pensavo che tu l’avessi vista morire. >> Astrea era visibilmente toccata dalla storia a cui aveva appena assistito. Sua madre si alzò, asciugò i suoi occhi stanchi da antiche lacrime di rammarico e s’incamminò silenziosa fuori dal circolo di alberi.
<< Ho un’ ultima domanda: le fate l’hanno mai perdonata per quello che ha fatto? Voglio dire hanno considerato la sua perdita come una punizione sufficiente? >> Astrea non voleva sembrare cattiva, ma era così che le cose funzionavano nel mondo delle fate: per ogni trasgressione c’era un prezzo da pagare se si voleva essere assolte.
<< No, nessuna fata l’ha mai perdonata. >> Astrea annuì lievemente con la testa; neanche lei l’avrebbe fatto.
<< Ma io sì. >> Aggiunse Cinzia sorridendo e questo lasciò la figlia ancora più perplessa di quanto non fosse stata prima del racconto.
<< Perché? >>
<< Perché sbagliare è umano. >> Rispose con la sua solita dolcezza, inclinando leggermente la testa. Astrea incrociò le braccia e la fissò scocciata, come se stesse guardando qualcuno che si stava prendendo gioco della sua intelligenza.
<< Però Verdiana non era umana, era una fata. >> Cinzia sorrise. Pareva divertita dall’acuta risposta della figlia.
<< Già, ma il suo cuore era molto più umano di quello degli essere umani stessi. >> Sua madre la prese per mano e insieme lasciarono quel prato desolato che era diventato la tomba di così tante persone, sia mortali che immortali.
Una sorta di cimitero magico.
Il luogo in cui, tanto tempo prima, danzavano le fate.




Spazio Autrice
Dopo più di due mesi il miracolo è avvenuto! Sono riuscita a pubblicare l'ultimo capitolo! 
I finali alla Romeo e Giulietta li ho sempre odiati e vi giuro che ho cercato di trovare una soluzione diversa con tutta me stessa, ma, non volendo togliere la morte di Abram (diciamo che è da quella scena che è nata l'idea della storia), non ho potuto fare altrimenti.

Come dice all'inizio di quest'avventura (o forse addirittura nel prologo di questa serie) ogni storia è ispirata ha una canzone di cui ho messo alcune frasi all'inizio di ogni capitolo. In questo caso si tratta di Spectrum di Florence and the Machine (saranno quasi tutte loro le canzoni).
Se volete ascoltarla vi basta cliccare Qui


Con questo vi lascio, spero che il finale vi sia piaciuto (si fa per dire).
Alla prossima,
Mel

 

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