Rinchiuso

di G K S
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dentro ***
Capitolo 2: *** Odio ***
Capitolo 3: *** Tutto ***



Capitolo 1
*** Dentro ***


- miuscolissimo spazio autrice -
questa è una cosetta che la mia mente contorta ha partorito in una giornata particolarmente afosa,  
spero vi piaccia, adorerei sapere che cosa ne pensate <3








V u o t o






Prima che tutto diventasse freddo e senza senso in questa cella desolata, prima di perdere la speranza, prima di lasciarmi andare del tutto sapendo che ormai non c’era più via d’uscita, bhe, allora c’era ancora la possibilità di andare via, di non stare più in quel posto infernale, di non essere più succube di quell’odiosa camicia di forza.
Prima si poteva, si sarebbe potuto scoprire che in realtà non sono... pazzo, ma adesso non più. 
A quanto pare sono pazzo davvero.
Adesso si, posso dirlo finalmente, voglio ammetterlo a me stesso: non ho nient’altro a cui pensare oltre che alla mia disperazione congelata, finisco per osservare la finestra con le sbarre per ore e ore. 
Ore, fino a quando il cielo non diventa scuro e le luci vengono spente e so che è ora di dormire. 
I giorni mi passano davanti agli occhi invariati sempre uguali, monotoni, inutili, immobili.
E le cose vanno avanti, ma io invece sono fermo, fermo davanti a me senza sapere come riuscire a superarmi, è questa la pura e semplice verità.
Quella psicologa non ha idea di cosa significhi essere lasciato a seccare dentro se stessi, senza avere la possibilità di muoversi, senza riuscire a non pensare, neanche per un maledetto secondo, cosa significa essere lì.
Il punto più in alto, il punto più irraggiungibile e più impossibile da avere. 
Il punto che vorrei raggiungere più di quanto adesso desidero vivere.
Quella finestra, quello spicchio di cielo, quella libertà che mi è stata negata senza avere la possibilità neanche di spiegare, neanche di aprire bocca e di dire che mi dispiaceva.
Ho diciassette anni, continuo ad averne diciassette anche se in realtà so che è già passato un anno, non voglio ammetterlo, no, quello no, ho diciassette anni e avrò diciassette anni... per sempre. 
Anche se sono impazzito, anche se ho cominciato a rendermi conto che le ombre e tutta l’oscurità che c’era in me ha cominciato improvvisamente a trasformarsi diventando sempre più inquietante e mostruosa. 
Mentre io sono quasi inconsciamente sono sempre più succube.
Non ho la libertà, e lei è lì. 
E’ proprio fuori da quella finestra, mi guarda dall’altro in basso, e io urlo dentro consumandomi e sento che se lo volessi, e magari lo voglio, non potrei neanche morire.
Perché so, che l’unica cosa che vorrei è uscire fuori, soltanto uscire, soltanto un’ultima volta. Avrei solo voluto sapere, l’ultima volta che ho guardato il sole che quella era l’ultima volta che avrei potuto farmi male agli occhi guardandolo con troppa insistenza, saperlo me lo avrebbe fatto ricordare.
E ora sono qui, che guardo quello spicchio di cielo, con le mani legate dietro la schiena, palesemente cosciente che quello che ho visto l’ultima volta che sono stato fuori, non lo vedrò mai più... 
Avverto in me la sensazione profonda che comunque, in ogni caso non riuscirò a perdere la speranza di rivederlo, di uscire, di scappare.
Continuo a soffrire, vuoto, con la mente che muore, sentendo dentro di me che molto presto ogni parte di me sarà completamente alienata dal desiderio di andare via.

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Capitolo 2
*** Odio ***


- minuscolo spazio autrice - 
Si passa alla terza persona,
potrà sembrarvi strano, ma vi assicuro che il risultato è quello giusto,
ora c'è l'identità centrale!
Recensite lettori silenziosi!! *minaccia* ehehe <3






O d i o





Diciassette anni e proprio di niente da raccontare, o meglio, niente di bello da raccontare. Era quello che avrebbe dovuto dire alla giovane signora Stovyn l’ultima volta che era venuta a parlare con lui.
«Sono la tua psicologa Nathan, voglio che mi dici quello che pensi di tutto quello che ti è successo.»
«Non voglio.» Era freddo, come sempre.
«Perché no?»
«Perché io la odio, ecco perché.» Lui stava imbacuccato nella camicia di forza, seduto a terra in un angolo della stanza imbottita e non riusciva a sentire suo neanche il suo nome ormai, era freddo come il marmo, come tutto il resto della sua vita d’altro canto.
«Tu non mi odi.» Disse la signora Stovyn sorridendo sotto gli occhiali a mezzaluna: «Tu credi di odiarmi perché appartengo a quest’ambiente, perché odi tutto questo, non odi me.»
«No.» Rispose lui appoggiando la testa al muro freddo: «Io la odio proprio perché mi fa schifo come persona.»
«D’accordo.» Disse la donna alzando le mani: «Allora per cortesia spiegami Nathan per quale ragione sono così odiosa.»
«E perché dovrei?» Lei sospirò amaramente: «Per parlare. Ti fa bene parlare.» Quel tono di voce così comprensivo... era insopportabile.
«Tutto qui? Non mi pare una ragione abbastanza convincente.»
«Perché sì Nathan.» Disse la signora Stovingnon dando un’occhiata al suo orologio: «Perché te lo sto chiedendo, dimmi perché mi odi, avanti.» Alzò lo sguardo dall’orologio e increspò in un sorriso la bocca rosea, Nathan abbassò lo sguardo e sentì uno degli occhi riempirsi di lacrime.
Chiuse gli occhi cercando di non pensare, cercando di reprimere quella sensazione d’affetto che sentiva di provare per quella donna.
Quella sensazione che odiava.
«Ho diciassette anni.» «Diciotto.» Lo corresse lei pazientemente.
«Diciassette anni e la mia vita è finita, così, da un giorno all’altro.»
Nathan alzò lo sguardo e vide che lei aveva aggrottato le sopracciglia in un cipiglio sia dispiaciuto che al contempo, come sempre preoccupato: «Non dire così...»
«Perché no? Lei guarda il suo l’orologio che ha al polso, mentre a me non è dato sapere neanche che diavolo di giorno è oggi, io mi sento... mi sento morto, lo riesce a capire questo?»
Lei abbassò lo sguardo e si portò una mano a tamponarsi la sua bocca rosea e viva; quella donna nel suo camice bianco era la cosa più viva che Nathan potesse vedere da un anno a quella parte, non riusciva quasi a capacitarsene.
«Sà perché lei guarda l’orologio signora Stovyn? Lei guarda l’orologio perché quando avrà finito di ascoltarmi andrà a casa sua, abbraccerà i suoi figli, preparerà la cena, aspetterà che suo marito ritorni dal lavoro e poi cenerete tutti insieme, guarda l’orologio perché lei ha una famiglia, una vita, tutte cose che a me sono state negate e portate via per sempre.
Io la odio perché lei è viva, non è di plastica come questa stanza, ne tanto meno costretta dentro una camicia di forza. La odio perché dovrebbe avere il buon senso!» Gridò Nathan in lacrime, disperato, con tutto il fiato che aveva in corpo: «Di non chiedermi perché la odio!»

 

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Capitolo 3
*** Tutto ***


- minuscolo spazio autrice -
E questa è fatta! *sosprira*
Godetevi il finale e ovviamente fatemi sapere il vostro parere se vi va' :3
 







 


T u t t o






Nathan venne liberato da un operatore dalla camicia di forza. Gli consegnò il piatto con il cibo: banale tonno con insalata, come sempre avrebbe avuto quindici minuti di tempo per finire il cibo, poi lui, chiunque fosse, sarebbe tornato e gli avrebbe rimesso addosso la camicia di forza.
Nathan si scoccò le dita e cominciando a mettersi in bocca il cibo chiese, quasi fra se: «Non uscirò mai vivo di qui vero?»
L’operatore, che di norma non gli aveva mai rivolto la parola si girò a guardarlo: «Beh...» Cominciò: «Tu sei completamente fuori di testa.» 
«Certo...» Fece Nathan scuotendo la testa, rendendosi conto di essersi illuso, per qualche secondo che ci fosse ancora una possibilità, in mezzo a tutta quella confusione mentale non c’era neanche una parte di lui che credeva a quelle parole.
E poi... che sciocco doveva essere. Quel beh, buttato giù per l’appunto come una parola da poco conto era stata registrata dal suo cervello come una speranza. 
Ormai si aggrappava a qualsiasi cosa, a quella finestra, alla signora Stovyn, ormai non era più in grado di porsi dei limiti, non sarebbe riuscito ad andare avanti neanche se fosse stato costretto e neanche se non avesse avuto quei punti fermi. La verità era che se non avesse più avuto neanche quei contatti...
«In realtà Nathan...» Continuò l’operatore con la scritta Mike sulla targhetta: «La signora Stovyn sta premendo molto fortemente sul dirigente e sulla commissione d’esame del tuo caso, non mi sento di escludere che magari...» «Cosa?» Chiese immediatamente Nathan con lo sguardo freddo infiammato da quella notizia incredibile: «Beh...» Fece Mike alzando un sopracciglio: «Direi che potresti essere spostato con gli altri detenuti, non ci hai mai creato problemi e comunque sembra che la tua situazione giuridica non sia così...»
Ma Nathan smise di ascoltare.
Spostarsi con gli altri detenuti, avrebbe voluto dire basta camicia di forza, basta strisciare fino alla porta per premere il pulsante rosso per il bagno, basta alienazione, basta paura del buio della sua stanza imbottita, basta essere bianco come un cadavere. Già, si disse tra se, sorridendo a Mike: «Essere un detenuto normale significa che posso uscire all’aperto non è vero? Qui nel campo.»
Mike annuì aprendo la porta della sua stanza imbottita: «Si, e sta tranquillo Nathan, finirà così. La signora Stovyn riuscirà a convincerli, è troppo determinata per non farcela, ce la farà Nathan.»
Lo guardò e Nathan gli sorrise di nuovo come non faceva da mesi e mesi  in direzione di quell’uomo che vedeva ogni giorno senza riuscirlo mai a vedere davvero, riscaldato da quella notizia fiammeggiante che voleva dire qualsiasi cosa, la notizia che valeva tutto.
Mike stava per chiudersi la parta bianca alle spalle, Nathan era di nuovo imprigionato nella camicia di forza, anche se non allo stesso modo.
Alzò lo sguardo verso di lui, aveva gli occhi verdi si rese conto il ragazzo, e disse qualcosa, l’ultima di quella giornata:
«Ce la farai Nathan, ne sono certo, ce la farai.»

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