Ho ucciso mia sorella.

di swiebers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


IO HO UCCISO MIA SORELLA.

Prologo

- Agente Carrisi, siamo lieti di averla di nuovo tra noi: è sicuro di poter tornare in servizio dopo quello che è successo?
- Certo, commissario.
- Bene, allora le affidiamo subito un caso che ci è stato commissionato stamattina presto. Deve recarsi a Iride, ieri pomeriggio è stato ritrovato il cadavere di una ragazza nei pressi della spiaggia.
- Com'è morta?
- Affogata.



Ciao a tutti! Questa FF è scritta a tre paia di mani: me, mia sorella Marina e la mia amica Francesca.
Abbiamo mantenuto i nostri nomi nella storia, speriamo che vi piaccia, fateci sapere cosa ne pensate! A presto :3

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


Il paesino di Iride brillava sotto i tiepidi raggi del sole pomeridiano che a breve avrebbe lasciato posto a un tramonto sul mare degno di una cartolina.
Riposavo placidamente sul divano del soggiorno accanto alla finestra con il libro di Delitto e Castigo sulle ginocchia, che, su di me, sembrava avere un effetto soporifero.
Ero nel bel mezzo di un sogno di cui non ho memoria, quando fui svegliata bruscamente dalle urla provenienti dalla casa accanto.
- Mammaaaaaaaaaaaaaaaaaa! Dov'è la marmellata di fragole? - urlava la mia schizofrenica vicina.
Sentivo che sua madre cercava di calmarla, ma lei la sovrastava urlando ogni volta un decimo in più. Povera donna.
Giovanna era una vera e propria peste, e la sua indole emergeva già da bambina, quando giocavamo insieme e pretendeva di avere la meglio su di me. Era abituata ad ottenere ciò che desiderava con uno schiocco delle dita e ad avere il controllo su tutti, anche, e forse più di tutti, su sua madre.
- Per colpa tua stavo per morire avvelenata! Chi ti ha detto di prendere la marmellata di ciliegie? Nessuno pensa a me!?
-  Tesoro, lo sai che tuo padre ne va matto, mi ha chiesto lui di prenderla. Comunque ecco la tua marmellata di fragole.
- Perché urlate in questo modo? - un'altra voce si era unita a quel coro. La riconobbi: Marina, la sorella minore nonché ulteriore vittima dei quotidiani soprusi di Giovanna; aveva diciassette anni, ma sembrava molto più responsabile e giudiziosa della sorella, maggiore di un anno.
- Tu stai zitta! Capiti sempre a sproposito, sei sempre in mezzo ai piedi quando nessuno ti vuole! E' da quando sei entrata a far parte di questa famiglia che la mia vita è diventata un disastro!
Dopo quelle ultime parole, un ulteriore tonfo mi diede motivo di capire che l'isterica era uscita di casa. 

Quella sera stessa tutta la nostra classe si riunì in spiaggia per il falò di San Lorenzo. Ovviamente, con "tutta la classe" intendo anche Giovanna, che ancora una volta non perdeva occasione di prendersela con Barbara, la nostra compagna più introversa.
- Stai più attenta, Dumbo! Mi hai riempito i capelli di sabbia con questo stupido asciugamano! Forza Dumbo, spiega le orecchie e spicca il volo!
La povera Barbara era incapace di replicare, come ogni volta, del resto.
Era dal primo anno che Giovanna non faceva che prenderla in giro per le sue grandi orecchie e in effetti solo una volta Barbara ebbe il coraggio di tenerle testa.

Eravamo a scuola e come al solito Giovanna aveva trovato un pretesto per litigare, accusando la poverina di averle preso Dio sa che cosa dalla cartella. Le stava ricordando delle sue enormi orecchie aggiungendo altri insulti non proprio leggeri, quando Barbara inaspettatamente le urlò contro: - Io non ho preso nulla, ma se pure fosse? Tuo padre ha portato via il lavoro al mio!
- Non è colpa mia se tuo padre è un incapace! - replicò Giovanna. 
In tutta risposta, Barbara le tirò uno schiaffo difficile da dimenticare per entrambe.
Dopo quell'episodio, non sentì più Barbara reagire alle sue angherie.

Quella sera, però, le acque sembravano essersi calmate a quel battibecco sulla sabbia. 
Eravamo seduti in cerchio attorno al fuoco, e Gabriele suonava con la chitarra per Giovanna. Non mi sarei sorpresa se l'avesse costretto. Povero diavolo, lo trattava come un cane: in teoria era il suo ragazzo, in pratica il suo maggiordomo. Mi chiedo ancora cosa lo abbia spinto a stare con lei.
Ero assorta nei miei pensieri guardando le scintille rosso-arancio del fuoco che fluttuavano nell'aria, quando una voce mi riportò alla realtà: - Sei ancora qui, Francesca? Se ne stanno andando tutti -, mi diceva Barbara. Mi alzai e tutto ciò che fui capace di dirle fu: - Mi dispiace per prima -, poi mi diressi verso casa.


Ehi! Speriamo che questo primo capitolo vi sia piaciuto, la vittima ha il mio nome (nella realtà non sono così cattiva, non temete hahah). Che dire, aspettiamo le vostre recensioni, al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


Anche quella mattina, come tutte le altre, mi ritrovai sulla spiaggia di Iride ad ammirare gli splendidi colori del mare e della guizzante vita di quel paesino, in una splendida immagine rovinata dalla presenza di quella bisbetica che, tanto per cambiare, aveva cominciato una discussione accesa con un bagnino.
Per allontanarmi da quelle urla, presi la mia maschera e mi tuffai nell'azzurro del mare, quel giorno leggermente increspato.
Era sempre bello tuffarsi e volteggiare in quelle acque, tra i pesciolini che si muovevano agilmente tra i miei piedi e la candida sabbia che sembrava scintillare sotto la luce del sole.
Osservavo con meraviglia quella piccola vita subacquea ignara di ciò che accadeva in superficie: mi sarebbe piaciuto vivere in quel mondo.
Quel pomeriggio ero più stanca del solito, al punto che appena tornata a casa mi accasciai sul letto e sprofondai subito in un sonno profondo.

Erano le sette passate quando lo udii: un urlo straziante tra il disperato e l'inorridito mi svegliò di soprassalto.
Mi diressi alla finestra da dove potevo intravedere una moltitudine di gente concentrata nei pressi degli scogli; spinta dalla curiosità, corsi giù per le scale per capire cosa fosse successo: una volta in spiaggia, facendomi largo tra la folla, riuscii ad avvicinarmi agli scogli dove vidi un corpo a pelo d'acqua. Il volto era immerso in acqua, quindi all'inizio non riuscii a capire di chi si trattasse, poi, una volta tirato fuori dal personale medico, mi accorsi che quel corpo senza vita apparteneva a Giovanna. I capelli corvini danzavano in superficie, mentre la pelle prima scura ora era diventata diafana.
Mi guardai intorno: sua madre era disperata e cercava protezione tra le braccia di Armando, il padre di Giovanna; la sorella Marina singhiozzava silenziosamente e mi fissava tra le lacrime.
Gabriele sembrava sconvolto, Barbara era in stato di shock, dato che era stata lei a trovare per prima il cadavere e a dare l'allarme.
Tutto ciò che riuscii a fare fu avvicinarmi alla famiglia della defunta e mormorare un "Mi dispiace" strascicato. Ad un tratto forse versai qualche lacrima, ma del resto, non credo che Giovanna abbia potuto godere di un dolore sincero, nessuno tra quelli che le erano vicini l'amava davvero.

Il mattino seguente un'auto pattuglia giunse ad Iride per comunicare alla madre di Giovanna che a breve avrebbero condotto l'autopsia sul corpo. Eravamo tutti in cortile per stare vicino alla famiglia e magari conoscere qualche dettaglio in più su quella morte avvolta nel mistero.
- Non sappiamo ancora nulla sulle modalità del decesso, ma tra qualche giorno avremo i risultati dell'autopsia e forse la strada sarà spianata a quel punto - annunciò l'agente di polizia. Era un uomo sulla trentina, dai capelli biondi e gli occhi sinceri, di chi ha sofferto e può perciò capire il dolore che c'è dall'altra parte.
La madre di Giovanna aveva gli occhi rossi cerchiati dal pianto e un'espressione sconfitta.
- Va bene, grazie - rispose, e furono le uniche parole che in quel giorno le sentii pronunciare.

Ero ancora nauseata dalla vista del cadavere: non ho mai riflettuto sulla morte, ma ora che una persona che avevo visto poco prima era scomparsa da un momento all'altro, cominciai a pormi molte domande riguardo quell'inevitabile momento della vita di ognuno: cosa accade nel momento immediatamente successivo a quando chiudiamo gli occhi? Davvero non si avverte più nulla una volta morti? Siamo destinati a vivere e poi lasciare che tutto si sgretoli per diventare un tutt'uno con la terra? 
Mi abbandonai ad Morfeo con queste domande che ancora attanagliavano la mia mente e che lasciavano in me sgomento e confusione.


Passò circa una settimana dalla morte di Giovanna, quando udimmo nuovamente le sirene della polizia raggiungere Iride.
L'agente che avevo visto già in precedenza stava parlando con la signora Sara: - Dalle indagini compiute è risultato che sua figlia non è morta per affogamento, data la scarsa quantità di acqua nei polmoni. Ora resta da stabilire l'effettiva causa del decesso. Mi dica, Giovanna ha mai avuto problemi cardiaci o legati a qualche altro fattore? 
- Non particolarmente, soffriva solo di un'allergia alle ciliegie, ma non ne ha mai mangiate, non abbiamo mai potuto constatare le reazioni che le avrebbero procurato.
L'agente annuì e si congedò educatamente, per poi sfrecciare nell'auto della polizia e aggiungere il primo tassello a quel puzzle ancora da comporre.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo tre. ***


Nei giorni successivi tutti non facevano altro che parlare di quanto successo, il muretto fuori casa di Giovanna era diventato un'epigrafe di dediche e cuoricini, quasi interamente nascosto sotto la coltre di peluches e gingilli vari che, secondo gli studenti, sarebbero serviti a ricordarla.
Più tardi la cittadina si raccolse in un minuto di silenzio per volere del sindaco, ma non vidi nessuno versare lacrime per
Giovanna: del resto, non era una novità che non fosse stata molto benvoluta dai suoi compagni.

Era diventata più popolare di quanto non fosse, e forse le sarebbe piaciuta tutta quella notorietà: Giovanna amava stare al centro dell'attenzione.

Ricordo che da piccole, quando giocavamo insieme, pretendeva sempre di essere la protagonista dei giochi di ruolo che mettevamo in scena.

- Io faccio Cenerentola e tu la matrigna! -, diceva. Ha sempre avuto un'aria altezzosa e schiva, era sempre pronta a contraddire e ordinare, e guai a non fare come lei imponeva.

Quel pomeriggio mia madre insistette affinché andassi a portare un dolce a casa di Giovanna per tirare su, seppur con un gesto insignificante, il morale di quella famiglia ormai distrutta.

- Grazie, siete molto gentili -, la signora Sara si rivolse a me con uno sguardo stanco, senza entusiasmo. Dubito che abbia mangiato la torta che le avevo portato.

Entrai nell'immenso soggiorno dove sedeva, su una poltrona color avorio, il padre di Giovanna, Armando.

Come mi vide, quest'ultimo assunse un'espressione strana, come meravigliato.

- Cosa ci fai qui? - mi chiese poi con un tono non molto cordiale, come se la mia visita lo avesse infastidito.

- Sono venuta a portarvi le mie condoglianze, non volevo disturbare.

- Non importa -, concluse.

Tornai a casa con il morale a terra, un po' per l'aria pesante che si respirava in quella casa per via del dolore, sia per la sgarbata accoglienza di Armando, ma attribuii quell'ultima reazione alla sofferenza per la perdita della figlia.

Più tardi qualcuno decise di fare a noi visita.

Mia madre aprì la porta e dalla mia stanza la udii accogliere qualcuno con grande calore: - Sei sempre la benvenuta qui, ricordatelo. Certo, te la chiamo subito -, poi sentii che chiamava il mio nome e mi precipitai alla porta.

Marina sembrava alquanto scossa, e cercava in me una consolazione che non tardò ad arrivare.
Gabriele crede che quello di Giovanna sia stato più che un incidente - mormorò - Non so cosa pensare perché... -, dopo queste ultime parole irruppe in un pianto senza fine, con mille lacrime che le sgorgavano dagli occhi e percorrevano le guance.
La abbracciai e le assicurai che tutto sarebbe andato per il meglio e che un giorno la sorella avrebbe potuto riposare in pace.
Andò via che era sera, ancora con l'espressione preoccupata con cui l'avevo vista entrare dalla porta qualche ora prima.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro. ***


L'unico che sembrava davvero colpito dall'accaduto era Gabriele, che dal giorno della morte aveva sempre la solita espressione fissa nel vuoto e se ne stava per conto suo, senza proferire parola.

Lo incontrai in spiaggia una mattina, seduto sulla candida sabbia, incurante dei bagnanti che gli passavano davanti e dei bambini che gli schizzavano l'acqua e che gettavano la palla nella sua direzione.

Mi sedetti accanto a lui e cercai di dargli il mio conforto.

- Grazie, ma non serve che continuiate a fingere. So che nessuno aveva a cuore Giovanna, qualcuno meno di qualcun altro, e ora siete tutti lacrime e abbracci, ma chi sente davvero la sua mancanza?! -, per la prima volta dopo l'accaduto, vidi Gabriele mutare espressione: d'un tratto era diventato irato e desideroso di risolvere un enigma che forse solo lui aveva creato.

Mi allontanai da lui senza parlare e mi diressi verso casa.

Passai davanti al muretto che ormai era diventato una sorta di monumento in onore di Giovanna e notai un gruppo di persone che, guardandolo, lasciavano commenti poco gradevoli:

- Se l'è cercato! - diceva qualcuno, - L'avevo detto io che un giorno o l'altro le avrebbero fatto la festa -, conveniva qualcun altro.

Tra quella folla riuscii a riconoscere Barbara, che fissava il piccolo monumento con aria spenta.

Non riuscivo tuttavia a capire se fosse dispiaciuta per Giovanna o se da un momento all'altro avrebbe anche lei preso parte a quella mischia che la insultava anche dopo morta.

Mi avvicinai a lei e le toccai la spalla: - Come stai? -, le chiesi.

- E' difficile. Sai, aver trovato il corpo, sentirsi in parte colpevole per non aver potuto far nulla, guardarsi intorno e vedere mille occhi accusatori... Credono che io c'entri qualcosa.

- Su, non sappiamo se si è trattato di omicidio, devi stare tranquilla.

In tutta risposta, Barbara scrollò le spalle e tornò a fissare il muretto, come se non fosse mai stata interrotta.

Quella ragazza era strana. Aveva un alone di mistero tutt'intorno, eppure quando le parlavo non riuscivo a trovare in lei qualcosa di cattivo; era come un enigma che mai nessuno si era preso la briga di risolvere e che, forse, in fondo aspettava ancora il suo Edipo.

Eravamo ancora tutti nel cortile di casa di Giovanna, quando vedemmo arrivare a sirene spiegate l'auto della polizia: ancora una volta l'agente Carrisi tornò a bussare alla porta della signora Sara, come se non avesse ricevuto abbastanza brutte notizie in quei giorni.

- L'indagine sta avendo nuovi risvolti, signora. Le dispiace seguirmi in commissariato? Non credo sia il caso parlarne qui in pubblico -, il viso del poliziotto era più serio dell'ultima volta in cui era venuto a farci visita, come se avesse definitivamente abbandonato la sua indole umana per lasciare spazio solo a quella professionale, segno che la faccenda era più seria di quanto tutti noi pensassimo.

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque. ***


Trascorsero cira quattro ore prima che la signora Sara tornasse.

La persona che uscì dall'auto pattuglia, però, era completamente diversa da quella che avevamo lasciato poco prima: gli occhi, ancora gonfi dal pianto, sembravano essersi accesi di una nuova luce e lo sguardo che rivolse a chi, come me, era ancora fuori casa ad aspettarla, era tutt'altro che amichevole.

Senza fermarsi, percorse l'esigua distanza che la separava dall'uscio senza rivolgere la parola a nessuno dei presenti.

Tutti noi ci guardammo esterrefatti: cosa avrebbe potuto sapere di tanto shockante?

In poco tempo la folla si disperse e ognuno tornò ai propri affari. Io mi diressi verso casa, dove ad attendermi c'era mia madre, intenta a riporre i piatti nella credenza.

Dopo un po' finalmente riuscii a scoprire il motivo dello strano comportamento della signora Sara.

Avevo da poco ripreso a leggere Delitto e Castigo, e quindi mi ero preparata ad un altro sonnellino, quando sentii mia madre chiamarmi dalla cucina.

- Ehi.

- Come stai? - mi chiese, ma il suo tono lasciava ben intuire che lo scopo di quella domanda era tutt'altro che quello di comprendere il mio stato d'animo in quel momento.

- Bene, credo.

- Hai saputo?

- Cosa?

- Sara è venuta a sapere che quello di Giovanna non è stato un incidente. L'hanno uccisa -, leggendo il mio sguardo interrogativo, proseguì tutto d'un fiato - L'acqua ritrovata nei polmoni era troppo poca perché si trattasse di affogamento, optano invece per l'avvelenamento.

- Avvelenamento?

- Così pare. La ragazza era allergica a qualcosa che ha mangiato, dubito che sia lei che la mamma non ne fossero al corrente.

- Hanno già dei sospettati?

- No, ma cominceranno ad interrogare un po' tutti quelli che le erano vicini, parenti, amici...

- Quindi anche me e te?

Credo di sì, quindi se sai qualcosa dillo, potrebbe essere troppo tardi.
Sei impazzita? Come posso sapere io chi sia l'assassino, quando non si sa nemmeno per certo se si sia trattato di omicidio?!

- Volevo  solo dire...

Non le lasciai finire la frase. Uscii di casa e, passando davanti al vialetto di Giovanna, notai che l'agente Carrisi era ancora lì e stava parlando con alcuni di quelli che erano rimasti ad attendere risposte. Gli sentii ripetere ciò che aveva detto a me mia madre, invitava chiunque sapesse a parlare e annunciò che a breve avrebbero cominciato le indagini.

- Domani cominceremo con l'interrogare i vicini, poi passeremo ad amici e conoscenti. Invitiamo chiunque sappia a collaborare, con la garanzia che non ci saranno conseguenze.

Quelle parole mi inquietarono un po'. Qualche giorno dopo bussarono anche alla porta di casa mia. Quando vidi l'agente sull'uscio la gola mi si seccò e le mani iniziarono a sudare. Mi condusse gentilmente verso l'auto pattuglia e nel tragitto che ne seguì fu cortese e amichevole mentre mi raccomandava di stare tranquilla.

Quando giungemmo al commissariato scorsi numerosi occhi che mi osservavano, una scena del genere l'avevo sempre vista nei film ma viverla di persona era un'esperienza alquanto bizzarra. All'ingresso c'era un gruppo di giornalisti che pendeva dalle labbra di un agente il quale forniva delucidazioni su un ulteriore caso, per il resto era un continuo viavai di persone, alcune con decine di documenti, altre sedute di fronte ai propri computer o impegnate a rispondere al telefono, o ne vidi altre ancora uscire da un ufficio fuori al quale era infissa una targa con su scritto Com.rio Turino.

Alla fine l'agente Carrisi mi condusse in una stanza piuttosto anonima, con al centro solo una scrivania e due sedie, una di fronte all'altra, e sulla parete opposta alla porta uno specchio oltre il quale, lo sapevo, qualcuno mi osservava.

Ci sedemmo e qualche attimo dopo l'altro iniziò:

- Sei agitata?

“Beh, non capita tutti i giorni di essere scortati in commissariato per affrontare un interrogatorio sulla tua vicina morta” pensai, ma non lo dissi, mi limitai a fare spallucce.

- Come ti sembra questo posto?

- Familiare, decisamente accogliente.

Sorrise cortese.

- Allora - continuò - da quanto tempo conoscevi Giovanna?

- Da quando eravamo bambine.

- Eravate amiche?

- Ecco... Non si può dire che fossimo proprio amiche per la pelle. Sapeva essere scortese, è sempre stata così, fin dalla tenera età riusciva a dire o fare qualcosa che mortificasse il prossimo.

- Anche con te era così?

-Ai tempi passavamo molto tempo insieme - mi limitai  a dire.

- Ultimamente invece non era così?

- Diciamo che i rapporti si erano un po' congelati.

- Capisco. Passiamo alla sera della scomparsa. Dov'eri tu in quel momento?

- La mattina mi ero recata in spiaggia. E' estate e siamo soliti incontrarci tutti lì.

- Tutti chi?

- Noi della classe. Poi sono tornata a casa e ho continuato a leggere il testo che ci hanno assegnato per le vacanze, Delitto e Castigo. Ad un certo punto mi sono addormentata, non saprei dire quando. Quando mi sono svegliata mi sono affacciata alla finestra e ho notato la grande concentrazione di folla, così sono scesa in strada.

- Hai visto Giovanna quel giorno?

- Sì. era in spiaggia anche lei. Ma non abbiamo parlato.
Ed era insieme a qualcuno?
Che io sappia no, l'ho solo vista litigare con il bagnino.
Lo conosceva? Il bagnino intendo.
Credo di no, non parlavano come se si conoscessero. Gli stava rimproverando qualcosa che ora non ricordo, come suo solito.
Mh va bene, grazie. Ti riaccompagno a casa. Spero tu possa aiutarci ancora con altre informazioni.

Lo spero anch'io.




Ciao a tutti! E' da un po' che non aggiornavamo, ma siamo state impegnate con il trasloco dal mare a casa :3
Presto arriveranno altri capitoli, intanto fateci sapere cosa ne pensate! :)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sei. ***


Fui accompagnata a casa con la stessa auto pattuglia e la stessa gentilezza da parte dell'agente Carrisi, ma non potei fare a meno di notare un velo di tristezza nei suoi occhi: sotto quella divisa, ne ero certa, si celava un animo fragile che attendeva da tempo una comprensione che non era mai arrivata. Una volta a casa, mia madre mi accolse con un abbraccio: - Com'è andata? - mi chiese. Le raccontai della sala con la scrivania e le sedie, le elencai le domande che mi avevano fatto e le mie risposte, fin quando, soddisfatta, concluse: - Sono fiera di te. Hai saputo mantenere il sangue freddo anche in una situazione delicata come questa, stai tranquilla, non ti accadrà niente -.

Il giorno dopo, stranamente, fu tutto tranquillo. Nessun'auto della polizia, nessuna sirena squillante; solo il muretto dedicato a Giovanna continuava a ricordare a tutti noi cos'era accaduto, come se, costringendo ognuno a guardare quel memoriale, lei stessa volesse tormentare chi le aveva giocato quel tiro mancino. Seppi da Marina che avevano convocato Barbara per interrogarla, ma si era recata in commissariato da sola, - Non voleva dare nell'occhio - mi disse.
- Come sta tua madre?
- Come l'ultima volta che l'hai vista: distrutta.
- E tuo padre?
- Sembra turbato, come se avesse paura di qualcosa.
- Andrà tutto bene, vedrai.

Quel giorno andai a far visita alla famiglia di Giovanna insieme a mia madre, che, in un certo senso, mi ci costrinse. La verità era che non avevo alcuna voglia di assistere a qualche altro melodramma del padre di Giovanna, che sembrava avercela a morte con me ogni volta che mettevo piede in quella casa.

Bussammo alla porta e ci accolse Marina. Ci disse che sua madre stava riposando e che sarebbe stato meglio non svegliarla, perché era la prima volta che si addormentava placidamente dal giorno della tragedia. Ci fece tuttavia sedere in soggiorno e iniziammo a parlare del più e del meno, del vuoto che all'improvviso aveva inondato quella casa e di come l'assenza di Giovanna aveva spezzato l'armonia di quella famiglia.
Fummo interrotte da Armando che irruppe nella stanza e, vedendomi, mi lanciò un'occhiata fulminante. Accettò freddamente le condoglianze che mia madre gli porse per la centesima volta, poi si ritirò nel suo studio. Turbata, pensai di sciacquarmi il viso, così chiesi a Marina dove fosse il bagno.
- In fondo a sinistra, vicino allo studio di papà -.

Feci per entrare, ma notai che Armando mi squadrava dalla sua imponente scrivania. Mi fece cenno di entrare e poi di chiudere la porta.
- La mia presenza ti infastidisce, vero? E' stata mia madre a trascinarmi qui - esordii.
- Non si tratta di questo, lo sai...
- E allora di cosa si tratta? Credi che mi faccia piacere non sentirmi benvenuta da...te?
Riaprii la porta e corsi in bagno, scossa e risollevata da quello sfogo.
Quando tornai in salotto, mia madre se n'era andata. - Ha detto che doveva preparare la cena - mi disse Marina, prima ancora che potessi chiederle dove fosse andata. La salutai e tornai a casa.

La mattina seguente fui svegliata dalle sirene della polizia che si avvicinavano. Mi affacciai alla finestra che dava su casa di Giovanna e notai l'agente Carrisi dirigersi piuttosto in fretta verso l'uscio. Non ascoltai il discorso che ne seguì, in quanto la signora Sara si era barricata in casa e non accettava più di parlare del caso davanti alla cittadina.
Tuttavia, più tardi trovai il coraggio di chiedere all'agente se ci fossero stati nuovi risvolti.
- E' ancora presto per parlare di risoluzione del caso, ma siamo molto vicini dallo scoprire se la ragazza è morta improvvisamente o se qualcuno ha voluto toglierla di mezzo.
- Perché optate per l'omicidio?
- Al momento sembra la soluzione più probabile, è stata ritrovata marmellata di ciliegie nello stomaco, e la madre mi ha confermato che ne era allergica.
- Sapete come ha fatto ad ingerirla?
- No, ma la signora ha assicurato che Giovanna sapeva che in casa c'era un barattolo di quella marmellata dato che piace agli altri membri della famiglia, e che se ne teneva ben alla larga.
- Capisco.
- Tieniti pronta per altre domande, per ora si sospetta di qualcuno di molto vicino alla vittima.
- Certo.
Tornai a casa e mi fiondai a letto. Erano solo le quattro ma sentivo una stanchezza enorme, come se la testa stesse per esplodermi da un momento all'altro.
Quel giorno non toccai cibo e rimasi chiusa in camera nell'apatia più totale: pensavo solo a Giovanna e quali verità avrebbero svelato le indagini, e non potevo fare a meno di preoccuparmi.

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Capitolo 8
*** Capitolo sette. ***


P.O.V. Gabriele

E' davvero ironico vivere una situazione che fino a poco tempo fa credevi si potesse verificare solo nei libri o nei film.
Qui a Iride, poi, di omicidi non se ne sono mai visti, a stento ci muore qualche veterano del paesino!
Credevano tutti che stessi impazzendo e mi ritenessi responsabile della morte di quella vipera, come la definivano, ma cosa avrebbero mai potuto saperne loro del reale dolore che provava forse l'unica persona che avesse mai amato quella ragazza?!
Nessuno si era mai spinto oltre la barriera eretta da Giovanna, che impediva a qualsiasi persona di conoscerla a fondo; nessuno aveva mai capito che ciò che cercava era in realtà uno sforzo minimo ma abbastanza significativo che le facesse capire che si stava tentando di liberarla dalla corazza in cui aveva voluto imprigionarsi.
Gli amici, i familiari, i compagni di scuola, tutti vedevano la nostra come una relazione in cui lei ordinava e io le facevo da schiavo; beh, invece ho sempre pensato che il breve periodo in cui sono stato insieme a Giovanna mi sia servito per capire che vale la pena conoscere a fondo anche la più sgradevole delle persone e, in generale, che non bisogna mai fermarsi all'apparenza delle cose, ma va scavato a fondo e vista la vita con gli occhi dell'altro.
Il rapporto tra me e Giovanna andava oltre i baci e le frasi sdolcinate: era fiducia e complicità, abbracci e parole, soprattutto parole. Ho sempre avuto l'impressione che fossi l'unica persona con cui Giovanna potesse e volesse confidarsi pienamente; ogni volta che la ascoltavo non potevo fare a meno di notare il sollievo nei suoi occhi e contemporaneamente lo sconforto di dovermi nascondere sempre qualcosa. Perché, ne ero sicuro, il vero motivo del suo sguardo perennemente rapito dal vuoto era tutt'altro che un frivolo litigio con Barbara. 
Nessuno sapeva che avevo mentito alla domanda Conosci qualcuno che avrebbe potuto volere la sua morte? postami dall'agente Carrisi durante l'interrogatorio; nessuno ha mai conosciuto il motivo che mi spinse ad agire così quel giorno.

- So che ci tenevi molto a lei, del resto alla vostra età è molto comune avere una simpatia particolare per un vostro coetaneo; ma per favore, per il bene di Giovanna e dei tuoi amici, aiutaci a capirci qualcosa in più di tutta questa faccenda -, l'agente continuava a ripetermi queste parole, alterando talvolta il tono della voce, ora comprensivo, ora forte e deciso. 
Dopo qualche ora capì finalmente che non avrei parlato, che me ne sarei stato a fissare imperterrito la parete dietro di lui senza collaborare.
Mi congedò affabilmente, ma con un'aria mista tra il non finisce qui e il perfetto, un altro buco nell'acqua.

Quel giorno tornai a casa sconvolto, accecato dal dolore per la perdita di Giovanna e allo stesso tempo dall'ira per la scoperta di una verità che avrei preferito restasse segreta.

Lei, dall'aria docile e inoffensiva, che più volte mi aveva prestato una spalla su cui piangere e aveva sofferto con me, in realtà ci aveva ingannati tutti. Aveva deciso che quella battaglia l'avrebbe persa Giovanna, e così era stato.
Nessuno, però, avrebbe mai pensato che proprio lei fosse capace di un atto del genere, che potesse togliere la vita a una persona semplicemente perché la odiava.
Dopo aver scoperto chi si celava dietro tutto quel mistero, non mi sentivo più padrone di me stesso e della mia vita: non potevo raccontarlo a nessuno, ma stavo facendo marcire quel segreto nel profondo del mio animo e ciò non avrebbe giovato a nessuno.
Avevo solo voglia di finirla con quella messa in scena, di smetterla di mentire e nascondermi; volevo giustizia continuando a vivere nell'omertà, salvare Giovanna condannandola a una morte silenziosa e destinata ad essere archiviata un giorno.

¤
 
Quella mattina era tutto un viavai di persone urlanti e sconvolte, che avevano in poco tempo invaso casa di Gabriele. 
Fui svegliata da tutto quel trambusto e, ancora assonnata, mi diressi in cucina per chiedere a mia madre il motivo di quelle urla. Non la trovai. Sul tavolo c'era un biglietto: Non torno per pranzo, Gabriele è morto e siamo tutti a casa sua
Dovetti sedermi per non accasciarmi al suolo: improvvisamente le gambe avevano smesso di sorreggermi e la vista si era offuscata, tremavo. 
Non riuscivo a comprendere nulla in quel momento; tutto ciò a cui pensavo era Gabriele, Giovanna, ancora Gabriele.

Con le ultime forze che mi erano rimaste mi vestii e mi catapultai in strada per raggiungere casa di Gabriele.
Bruciai in due minuti la distanza che separava casa mia da quella del ragazzo; una volta entrata, ebbi come un dejà vu: la madre di Gabriele piangeva disperata tra le braccia del marito, mentre la sorella teneva gli occhi bassi versando qualche lacrima silenziosa.
Appena mi scorse, mia madre mi si avvicinò. 
- Eravate amici? - mi chiese. 
Feci cenno di sì col capo, la mano stretta nella sua.
- L'ha trovato qualche ora fa suo padre, era venuto a chiamarlo per la colazione. Bussava alla porta ma non otteneva risposta, nemmeno un suono fuoriusciva dalla camera. E' entrato e si è ritrovato uno spettacolo orribile davanti agli occhi: un fantoccio esanime pendeva da una trave del soffitto; ai suoi piedi, la sedia della scrivania giaceva rovesciata. Sua madre è sconvolta.
- Perché?
- Non si sa. Nessuno lo sa. Forse per Giovanna, perché il dolore da sopportare era troppo. Per ora è l'unica ipotesi che è venuta in mente a tutti.

Uscii da casa di Gabriele ancora sconvolta: non riuscivo a sostenere una seconda volta quell'aria intrisa di morte e sgomento.     
Andai in spiaggia, dove avevo avuto la mia ultima conversazione con Gabriele, quando aveva rifiutato il mio conforto. Forse era davvero troppo sconvolto da quanto accaduto alla sua ragazza.
Mi sdraiai, incurante della sabbia che si infiltrava nei miei capelli, e chiusi gli occhi: potevo sentire lo scroscìo del mare e qualche parola in lontananza, ma non ascoltavo davvero. 
Ogni parte di me era rivolta a Gabriele e al destino che gli aveva giocato un brutto tiro o che, forse, aveva deciso di ricongiungerlo a Giovanna. 
Questa volta per sempre.

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Capitolo 9
*** Capitolo otto. ***


- Mi raccomando, mangialo tutto, ti vedo pallida – disse mia madre porgendomi un toast alla marmellata. Ciliegie, come quelle a cui era allergica Giovanna.
E' incredibile quanto la propria vita possa cambiare in un battito di ciglia, il modo in cui l'accaduto di una giornata di Agosto possa catapultarti nella trama di un film. Non avrei mai pensato di assistere ad una morte, ma ora che anche Gabriele era scomparso potevo dire di averne vissute addirittura due.
Nessuno è stato più lo stesso dopo quella strage: la madre di Giovanna era diventata un automa in cerca di vendetta dagli occhi perennemente umidi; Gabriele, prima di morire, era caduto vittima dell'apatia; mia madre, beh, mia madre cercava di non parlare mai di tutto ciò, ma anche lei conservava uno shock non indifferente. E' sempre stata particolarmente sensibile a questo tipo di situazioni.
L'unica di cui non avevo notizie da tempo era Barbara: chissà la sua vita com'era cambiata dopo la morte di Giovanna. Insomma, lei rappresentava il sospetto numero uno; aveva trovato il corpo esanime per caso e per caso era diventata la presunta assassina di quella che da tempo era sua acerrima nemica. E in effetti, anche in assenza di indizi, la pista riconduceva inevitabilmente a Barbara; tutti odiavano Giovanna, ma lei aveva un motivo ben preciso per detestarla, quindi anche un ottimo movente per toglierla di mezzo.
Ricordo ancora il trambusto che si creò l'anno scorso a scuola, fu da allora che i rapporti tra Giovanna e Barbara si incrinarono terribilmente.
Noi studenti eravamo sparpagliati tra i corridoi e nel cortile della scuola, intenti a goderci quei dieci minuti di libertà offertici dalla scuola. Chi fumava, chi ripassava la materia dell'ora successiva, gente intenta a mangiare, tutto come di consueto; ma ad un tratto quell'equilibrio fu spezzato da una calca di gente che correva verso delle urla provenienti dalla nostra classe.
- Tuo padre è un fallito, io non posso farci nulla se ha perso il posto! - la voce di Giovanna era inconfondibile.
- Mio padre sarebbe il fallito?! Sentiamo, chi è che ha deciso di licenziare la metà dei dipendenti per un momento di incertezza? Mio padre? Non credo proprio!
- Devi smetterla di urlare, stai attirando attenzioni inutili, stupida. Sapevo che soffrissi di qualche mania di protagonismo, ma non pensavo fino a questo punto! Ritirati, Dumbo!
- Ripetilo.
- Dumbo. D-U-M-B-O - Giovanna scandì quelle lettere indugiando sulla 'O' finale, e accompagnando il tutto con un'espressione mista tra il disprezzo e lo scherno.
In tutta risposta, sentì arrivare uno schiaffo che credo non abbia mai dimenticato, non tanto per il dolore quanto per l'imbarazzo provato al momento.
Nessuno aveva mai visto Barbara comportarsi in quel modo: a scuola parlava sempre di rado, non rispondeva mai agli insulti, figuriamoci arrivare alle mani con qualcuno. I presenti si aspettavano una reazione plateale da parte di Giovanna, con tanto di urla e schiaffi annessi, ma questa non arrivò mai.
Si limitò a sorridere, un sorriso che nascondeva chissà quale tentativo di venetta; si avvicinò a Barbara, la guardò negli occhi e le disse: - Io non ci riproverei, Dumbo -.
La ragazza non reagì. E da quel momento fu tutto uno scambio di frecciatine, o meglio, le frecciatine provenivano solo da Giovanna, che non perdeva occasione per sfoggiare la sua cattiveria nei confronti di Barbara: i motivi non li ha mai capiti nessuno. Probabilmente, al contrario di come volle far credere, quella situazione aveva rappresentato per lei una minaccia, forse temeva che Barbara le avrebbe messo contro tutti, e la sua situazione in fatto di amicizie non era già delle più rosee.
In sostanza, l'astio tra le due era nato da quando Armando, il padre di Giovanna, in un momento non proprio sereno per gli affari, aveva licenziato dalla sua azienda un gran numero di lavoratori, tra cui il padre di Barbara, che lavorava come dipendente da diversi anni. La ragazza, vedendo suo padre perdersi d'animo ogni giorno di più, tanto da cadere in un profondo stato depressivo, in un impeto d'ira aveva attaccato Giovanna, accusandola di non aver fatto nulla per evitare quanto successo. Ovviamente Giovanna, forse per la prima volta nella sua vita, non aveva alcuna colpa; ma Barbara non sapeva con chi altri sfogare la rabbia mista al dolore nel vedere il padre ridotto in quello stato, per cui scelse di prendersela con lei.


 

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Capitolo 10
*** Capitolo nove. ***


Non so cosa mi spinse a raggiungere nuovamente la centrale quel giorno. Fino a qualche ora prima avrei dato qualsiasi cosa pur di non tornare in quel luogo grigio e umido, eppure quella mattina mi svegliai di umore pessimo, e la prima cosa che feci fu prendere il primo autobus che mi conducesse dove, pochi giorni prima, ero stata sottoposta al primo interrogatorio della mia vita. Dopo pochi secondi l'enorme portone grigio cigolò e apparve sulla soglia una figura eccessivamente esile, con gli occhi ravvicinati e le labbra sottilissime.
- E' possibile parlare con l'agente Carrisi? - chiesi.
Aveva l'aria di non ascoltare neanche una delle mie parole, ma capii che aveva inteso la mia richiesta quando mi rispose, quasi mormorandolo, - Al momento è impegnato, ma... -.
L'uomo non riuscì a finire la frase, che l'agente Carrisi spuntò fuori da un ufficio e mi salutò, sfoggiando un sorriso che non gli avevo mai visto in volto.
- Buongiorno! Cosa posso fare per lei?
- Veramente, sono venuta per chiedere chiarimenti sul caso...
- Certo, cosa vuole sapere? - disse, mentre mi conduceva in una sala luminosa, occupata solo da un divano in pelle nera e un tavolino.
- Ci sono novità?
- Purtroppo no, la situazione è esattamente come l'ultima volta che ci siamo visti.
- Dopo quanto un caso viene archiviato?
- Beh, dipende da diversi fattori, non c'è un limite di tempo stabilito...Come mai lo vuole sapere?
- Curiosità. E può darmi anche del tu, non sono sotto interrogatorio.
- Giusto. Sei sicura di essere qui solo per sapere delle indagini? O c'è altro?
- Sicurissima. E' che questa situazione è alquanto...frustrante, capisce?
- Capisco, e vale anche per te il fatto di darmi del tu.
- E' da quando è successo che sono sotto pressione. Mia madre, i vicini, tutti si aspettano qualcosa da me.
- Cosa si aspettano?
- Non lo so. Pensano che io sappia più di quanto non dia a vedere, ma non è così. Io e Giovanna negli ultimamente ci salutavamo a stento.
- Credo sia normale sentirsi così: dopotutto, è una situazione molto insolita quella che stai vivendo.
- Perché non posso fare altro che sentirmi colpevole? Ogni notte ripenso a Giovanna, al suo cadavere emerso dall'acqua, alla mia impotenza di fronte a quella morte... - le lacrime che avevo cercato di trattenere fino a quel momento sgorgarono inesorabilmente e mi rigarono le guance.

- Senti, io ho un'ora di autonomia, possiamo andare a prendere qualcosa al bar qui vicino, se vuoi. Non penso che tutto questo possa esserti d'aiuto -.
Annuii.
Ci sedemmo all'esterno del bar e continuammo il discorso da dove l'avevamo interrotto.
- C'è altro che vorresti dirmi? Non so, anche solo per sfogarti con qualcuno – cominciò l'agente Carrisi.
- Sono solo stanca. Vorrei che non fosse mai successo nulla, che quest'estate diventasse un bel ricordo come tutte le altre...Ma ovviamente non si può -. 
Poggiò la mano sulla mia spalla e mi guardò dolcemente.
- Non preoccuparti, sono sicuro che tutto si sistemerà presto. Per qualsiasi cosa sai di poter contare su di me.
- Grazie - fu tutto quello che riuscii a dire.
Nella successiva mezz'ora l'argomento 'Giovanna' non fu oggetto dei nostri discorsi, né dei nostri pensieri.
Parlammo di tutto: della mia famiglia, di quanto il suo superiore fosse burbero ma in fondo buono, dei miei progetti per il futuro: eravamo in sintonia, una sintonia che non avevo trovato in nessun altro fino a quel momento.
Le immagini e i ricordi che avevano occupato la mia mente per giorni in un attimo si erano dissolti, lasciando spazio a nuove, piacevoli sensazioni. Tutto a un tratto non mi sembrava più di essere di fronte all'agente Carrisi: l'autorità conferitagli dall'uniforme era scomparsa, al suo posto vi era ora la figura di un ragazzo amorevole, premuroso, come non l'avevo mai visto.
E mi piaceva.

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci. ***


Ognuno di noi a Iride sapeva che ben presto sarebbe stato sotto interrogatorio, nessuno escluso. 
Persino il padre di Giovanna, Armando, quel giorno viaggiò a bordo della volante della polizia.
Vi rimase poco più di me e quando tornò in paese aveva la medesima espressione severa e impassibile con cui l'avevamo lasciato, sembrava che non fosse stato per nulla turbato dall'interrogatorio sulla morte di sua figlia.
Si catapultò in casa, incurante degli sguardi curiosi che lo avevano accolto e delle domande dei vicini più indiscreti. Non si fermò a parlare con nessuno.
Solo qualche ora più tardi riuscii a capire cosa si erano detti lui e l'agente Carrisi.

Leggevo svogliatamente Delitto e Castigo, ancora. Dovevo finirlo entro la fine dell'estate e ancora non ero a metà. 
Improvvisamente sentii il campanello suonare. Mia madre aprì la porta e dalla mia camera riuscii a capire che l'agente Carrisi era tornato a Iride per far visita a noi.
Scesi in salotto e lo vidi seduto a capotavola con una tazza di caffè fumante tra le mani. Mi salutò affettuosamente, poi disse: - Le indagini stanno richiedendo più tempo del previsto e non credo riusciremo a intervistare tutti in centrale. Ho bisogno di fare un paio di domande a tua madre, ma nulla di troppo formale. Del resto lei conosceva Giovanna solo perché una volta voi due eravate amiche, a quanto pare. Ma vorrei comunque restare solo con lei -.
Annuii e tornai in camera mia; inutile dire che nonostante cercassi di portare la mente altrove, non riuscivo ad ignorare la presenza dell'agente che rivolgeva domande a mia madre, già abbastanza sconvolta per aver assistito a due morti nel giro di poche settimane.

Trascorse circa un'ora prima che sentissi mia madre congedare l'agente Carrisi; subito mi fiondai di sotto, intenzionata a chiedere dell'interrogatorio di Armando e magari anche qualcosa su quello di mia madre, che non mi avrebbe mai raccontato tutto.
Agente Carrisi, le va se ci fermiamo in spiaggia prima che vada via? Avrei qualche domanda da farle - esordii, mentre lui mi fissava incuriosito.
Di solito gli interrogatori li faccio io, ma va bene - ridacchiò poi.

Ci sedemmo sul muretto che separava la strada dalla spiaggia, entrambi in silenzio. Poi mi feci coraggio e cominciai:
- Com'è andata con mia madre? E' stata brava?
- Direi di si, anche se era palesemente turbata. Magari non da me, magari da...Tutta questa situazione. In fondo, chi non lo sarebbe?
Vuoi dire che avresti paura? - risi.
Non ho detto questo! E comunque so bene che non mi hai trattenuto per sapere di tua madre.
Vero. In effetti mi farebbe piacere sapere di più sull'interrogatorio del padre di Giovanna.
Non potrei parlarne, ma sono certo che non mi tradiresti mai, quindi...
Puoi fidarti di me.
Stamattina, appena è salito in macchina, mi è parso di rivedere Giovanna. O meglio, la descrizione che un po' tutti avete fatto di lei. Austero, impassibile, non ha parlato fino alla centrale, a stento rispondeva a qualche domanda che io e i miei colleghi gli rivolgevamo per circostanza. Comunque sia, gli abbiamo chiesto le solite informazioni, quelle che abbiamo chiesto a te come ad altri.
Mh, e non avete scoperto nulla di interessante o che potrebbe aiutarvi nelle indagini?
In realtà sì. A quanto pare, aveva con sua figlia un rapporto conflittuale, una sorta di amore-odio, in cui il secondo prevaleva però. Giovanna sapeva qualcosa di Armando, probabilmente un tradimento, e minacciava di rivelarlo a sua madre, soprattutto negli ultimi tempi, prima di morire. Mi dispiace dirlo, ma questo mette Armando al primo posto nella lista dei sospettati.
Oh, quindi...Credete sia stato lui? Ad...Ad uccidere la sua stessa figlia?
Non siamo noi a crederlo, ma le parole che lui stesso ha pronunciato lo inchiodano. Se non altro, sembrava abbastanza sincero. Ora però devo proprio andare, si è fatto tardi.
Mi abbracciò teneramente e si congedò.
Io rimasi in spiaggia ancora qualche minuto, pensando ad Armando e al suo tentativo di costituirsi, per di più per un delitto che, chissà perché, ero sicura non fosse stato lui a compiere.
Stava proteggendo qualcuno? Può darsi.
Era divorato da un qualche senso di colpa? Sicuramente.
La situazione sembrava complicarsi ad ogni indiziato interrogato invece di condurre ad una qualche soluzione.

Quella sera chiamai Marina al cellulare, era da un po' che non la sentivo. Disse che suo padre era rimasto chiuso nel suo ufficio tutto il giorno e non aveva parlato con nessuno della famiglia di ciò che era successo alla centrale. Mi sentii in dovere di informarla; sapevo che stavo tradendo la fiducia dell'agente Carrisi e ancora adesso non posso che biasimarmi per questo, ma Marina doveva sapere: si trattava pur sempre di suo padre. E poi, lei sapevo bene che sarebbe stata più brava di me a tenere il segreto.
Dopo aver ascoltato attentamente, si mostrò sorpresa e quasi preoccupata. Mi salutò in fretta e riattaccò.

Erano tutti così strani ultimamente: che fossi l'unica a cui era rimasta ancora un po' di lucidità? Chi poteva dirlo, ormai.

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