Hypercube

di Pleurite98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Disclaimer: i personaggi e le opere da cui la storia è tratta non mi appartengono, scrivo per puro piacere personale e invito tutti i lettori a guardare la serie di film composta da: Cube, Hypercube e Cube Zero.
P.S. Ringrazio vivamente Stella_2000 per i suoi importanti consigli e per l’introduzione.
 
Capitolo 1
 
Anne Marie aprì gli occhi. Il freddo metallo le congelava la testa. La sentiva pulsare. Un dolore lancinante le percorreva tutto il corpo.
Si portò le ginocchia al ventre e si alzò lentamente.
Non riconosceva quel luogo, non ci era mai stata prima. O forse ci era stata. Non ricordava.
Si trovava in una stanza cubica, composta da muri completamente identici e da un soffitto e un pavimento uguali a quest’ultimi. Ogni faccia era grande circa quattro metri e al centro di ognuna era presente un piccolo quadrato nero, tutti i quadrati erano collegati tra di loro da piccole conche, sempre nere, con all’interno paletti di metallo che potevano fungere da scaletta.
Le pareti si dividevano quindi in altri quattro quadrati, rigorosamente di un bianco splendente, attraversati da diagonali nere.
La ragazza cercò di ricordare come fosse finita in quel luogo, ma frammenti della sera precedente (o di quella precedente ancora) le offuscavano la memoria.
Ricordava a stento il suo nome.
Notò una borsetta a terra, probabilmente la sua, e si chinò a raccoglierla.
La aprì e ne esaminò l’interno. Alcuni trucchi e accessori erano sparsi al suo interno, ma sotto quella confusione riuscì a trovare un piccolo portafoglio di cuoio.
Guardò la patente e riconobbe il suo volto.
Anne Marie Carter. Vent’anni. Studentessa.
Quei semplici dettagli le fecero ritornare alla mente quasi ogni ricordo in modo chiaro.
Venerdì sera era andata alla festa di Trevor.
Quindi poteva essere sabato. Ma poteva essere anche domenica.
Per quello che ne sapeva, poteva aver dormito una settimana.
Appoggiò la borsa a terra.
Non si rialzò. Il quadrato nero del pavimento stava richiamando la sua attenzione.
Ne era quasi attirata.
Ognuno di quei quadrati era diviso in altri quattro piccoli quadrati da due linee bianche.
Anne Marie ci posò sopra la mano. Le quattro piccole facce nere si ritirarono verso l’esterno.
La ragazza rabbrividì. Sotto di lei c’era una stanza identica a quella in cui si trovava.
Come cavolo era arrivata in quel posto? Cos’era quel posto?
Perché era lì?
Era stata rapita? Perché non ricordava le ultime ore?!
Si alzò di scatto.
La testa le fu attraversata da un dolore lancinante. Si lasciò scappare un piccolo gemito.
Andò spedita verso una delle altre pareti, si arrampicò sui tubi di metallo e aprì la botola.
Un’altra stanza uguale.
Corse ad aprire tutte le altre botole. Un altro cubo. Altre stanze identiche.
Gridò piena di rabbia. Gridò nuovamente, quasi isterica.
Cominciò a tirare pugni alle pareti. A domandare chi l’avesse portata in quel luogo. A chiedere cosa volessero da lei.
Stremata da quello sfogo, si sedette in un angolo, rannicchiata.
Passarono dieci minuti, o venti, o trenta, che la ragazza decise di andare a cercare un’uscita.
Non poteva essere infinito, quel posto.
Probabilmente si era ubriacata e quegli stronzi dei suoi amici le avevano fatto un brutto scherzo.
Probabilmente quel luogo era composto solo da cinque cubi, e lei doveva trovarsi in quello centrale.
Andò verso la botola a lei più vicina e la fece aprire titubante.
Entrò nella stanza identica.
Mise un piede a terra, poi l’altro.
Fece un passo indecisa.
Non accadde nulla. Perché si era preoccupata di quello che poteva accaderle in quel nuovo medesimo posto?
Corse verso la botola a lei frontale e ci posò sopra le dita.
Questa si aprì subito.
Gli occhi di Anne Marie si riempirono di orrore.
-No.- bisbigliò
-Non è possibile. No!-
Dall’altra parte le stesse pareti.
-No!- urlò.
Presa dalla foga passò per la botola e saltò nella stanza.
Non appena i suoi piedi toccarono il suolo accadde qualcosa di mostruoso.
Qualcosa che inconsciamente la ragazza temeva.
Da ogni punto nel quale si univano le diagonali nere, quattro per ogni parete, spuntarono dei piccoli tubetti non più grandi di una cannuccia, simili agli innaffiatori usati nelle serre.
Il rumore del meccanismo la fece sussultare.
Poi i tubetti cominciarono a spruzzare un liquido trasparente.
Istintivamente Anne Marie si coprì il volto, ma quella che credeva essere acqua nel momento in cui le toccò le mani le corrose.
Le ritrasse immediatamente. Questa volta il liquido la colpì in faccia.
Urlò con tutto il fiato che aveva in ventre mentre ogni centimetro del suo corpo si consumava.
Brandelli di carne cominciarono a cadere al suolo, accompagnati dal sangue e dall’acido.
Urlando la sostanza le penetrò in gola. Chiuse immediatamente la bocca dopo aver sputato sangue.
Cominciò a vedere rosso. Si gettò alla cieca contro la parete, con le ossa delle braccia ormai visibili.
Cercò la botola, ma quando riuscì a trovarla, questa sembrò non aprirsi.
Gridò nuovamente. Questa volta la pelle del viso si staccò, facendo cadere la mascella a terra.
La ragazza la seguì a sua volta. Non vide più nulla e l’acido poté continuare nel silenzio il suo inesorabile lavoro.
 
 
Courtney si svegliò di soprassalto. Erano delle grida quelle che aveva sentito?
Dove si trovava? Chi erano le persone addormentate nella stanza? Le conosceva?
 
Altri piccoli cinque corpi giacevano supini nella stanza cubica.
Li esaminò con lo sguardo nella speranza di ricordare qualcosa.
Un ragazzo con i capelli ramati e indosso una canottiera sgualcita.
Un altro, sicuramente punk, aveva i capelli che andavano a raccogliersi in una cresta verde.
L’ultimo dei ragazzi era bassino, con i capelli lunghi e castani. La sua carnagione faceva presupporre che avesse origini indiane.
Una ragazza dai capelli che tendevano all’arancione portava in vita una corta gonnella verde.
Infine,  nell’angolo a lei più lontano di quel piccolo cubo, stava sdraiata una giovane pallida, con ciocche di capelli tinte di azzurro.
 
Nessuna di quelle figure le diceva qualcosa.
Nella sua mente regnava il vuoto.
Rispondeva a quasi tutte le proprie domande scuotendo impercettibilmente la testa.
Mise la mano nella tasca destra dei suoi pantaloni e ne estrasse una carta d’identità.
Courtney Heavenport. Ventitré anni. Scienziata.
Allora era una scienziata, ma di cosa?
Sebbene certi dettagli le tornassero in mente, come quelli della sua infanzia, ma anche dei suoi amici e della sua famiglia, altri le rimanevano offuscati. Come i suoi indirizzi di studio. La sua carriera. I suoi progetti.
I capelli castani le carezzavano le spalle.
Rimase in silenzio. Temeva di svegliare i compagni.
Improvvisamente una botola sulla parete alle sue spalle si aprì.
Voltò la testa di scatto.
Una ragazza dai capelli rossi raccolti in due codini si affacciò dalla piccola fessura.
-Oh! Ma allora si è svegliato qualcuno!- disse entusiasta girandosi a guardare qualcuno nella stanza da cui proveniva – vieni Mike, entriamo! –
Scese dalle scalette e le si avvicinò di qualche passo.
Alle sue spalle un ragazzo magro, castano e dalla carnagione scura saltò dalla botola con agilità.
-Hey, tutto bene? Ti sei appena svegliata?- la rossa sembrava rivolgersi a lei.
-S-sì, mi sembra- Courtney fece per rialzarsi, ma un forte crampo alla testa la obbligò a risedersi a terra.
-Male alla testa, eh?- questa volta era stato il ragazzo a parlare –Anche noi ci siamo svegliati nel tuo stato. Comunque… piacere, Mike.- le porse la mano.
Lei la strinse dubbiosa.
-Io sono Courtney, a quanto pare.-
-Anche noi facciamo fatica a ricordare alcune cose, per esempio…-
-dove lavorate.- la mora non gli lasciò finire la frase.
-Sì, esatto, dove lavoriamo.-
-Secondo la mia carta d’identità io sono una scienziata.-
-Io invece dovrei essere un ingegnere.- disse lui.
-Io un architetto.- intervenne la ragazza.
-Dove ci troviamo?-
-Non lo sappiamo. Sembra essere un labirinto composto da stanze identiche.-
-State dicendo che non c’è un’uscita?-
-Noi non l’abbiamo ancora trovata.- concluse Mike.
 
Dopo alcuni minuti si svegliarono anche gli altri presenti.
Tutti senza memoria.
La gotica si chiamava Gwen, aveva ventitré anni ed era studentessa.
L’indiano ricordava alcune piccole cose senza bisogno d’input, il suo nome era Noah, ventidue anni, matematico.
La riccia si scoprì essere una certa Izzy Chevalier, ventiquattro anni, designer.
Il punk era Duncan Cove, ventitré anni, disoccupato.
La rossa, che non si era ancora presentata, aveva il nome di Zoey.
Infine il ragazzo con la canottiera sgualcita si chiamava Scott, ventuno anni, fisico.
 
Nessuno sembrava riconoscere i compagni.
Nessuna sapeva in che luogo si trovassero, né tantomeno come ci fossero finiti.
Solamente una cosa era ben chiara nella loro mente. Dovevano uscire da quell’incubo, e dovevano farlo subito.
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Izzy urtò il barattolo d'inchiostro rovesciandolo.
Il liquido nero impregnò la tavola da disegno.
Merda, doveva ricominciare da capo.

Courtney squadrò i suoi compagni dalla testa ai piedi, nella speranza di ricordare chi fossero, nel caso li avesse ami conosciuti.
Sentiva che i loro volti le erano familiari, di avere la risposta sulla punta della lingua, eppure nulla le riaffiorava nella mente.
-Se volete un mio parere- disse Scott – voi due state insieme.-
Stava indicando il punk e la gotica.
-Andiamo, è praticamente ovvio.-
Duncan aggrottò le sopracciglia.
-Non fare il deficiente.-
Nascondeva un evidente imbarazzo.
L'aveva notata subito, la ragazza, e non poteva negare di aver fatto lo stesso pensiero del rosso.
-Se avete finito di fare il gioco delle coppie, potremmo passare anche ad altro.- li interruppe Noah con un tono tra lo sprezzante ed il sarcastico.
I due si ammutolirono.
Il silenzio regnò nella stanza per qualche secondo.
-Quindi?- chiese Gwen -Che si fa?-
-Direi che la cosa più logica sarebbe cercare un'uscita, no?- Mike aveva parlato -Io e Zoey ci abbiamo provato un po', come abbiamo detto a Courtney,ma le stanze sembrano essere tutte uguali.-
-E infinite- sussurrò la rossa.
Duncan si alzò in piedi. -Perfetto, andiamo.-
Scott lo guardò perplesso. -Non mi sembra un'idea geniale, potrebbero essere pericoloso.-
-Cosa potrebbe esserci di pericoloso in delle stanze cubiche identiche?- controbatté.
-Mai dire mai.-
-Se tu vuoi startene con il culo per terra fai pure, io non aspetterò di morire di fame in questo cazzo di posto.- detto questo si avviò verso la parete alle sue spalle, cominciò a salire i gradini, poi si voltò -Non viene nessuno?-
Gwen guardò gli altri titubante. -Vengo io.-
Courtney, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, a frugare nel suo cervello decise che sarebbe stato opportuno seguirli. Perché solo l'universo è infinito, quel luogo non poteva esserlo, non sulla terra.
I tre entrarono uno dopo l'altro nel settore adiacente.
-Scusatemi, io sono stanca, ho camminato fino ad adesso, credo che rimarrò qui per un po'.-
bisbigliò Zoey.
Mike, che era già pronto ad andare, la guardò fissa negli occhi.
-Ti faccio compagnia.-
Courtney annuì e lasciò che la botola si richiudesse da sola.
Izzy balzò in piedi. -Aspettatemi,vengo anche io!-
L'indiano corrucciò la fronte. -Ti seguo.-
Contorse ancora le labbra, titubante.
I due andarono verso la botola da cui erano usciti gli altri solo pochi secondi prima.
Izzy appoggiò la mano su freddo metallo nero.
I piccoli quattro quadrati si ritirarono dandole visione della stanza retrostante.
Vuota. Completamente vuota.
Era davvero possibile che i tre l'avessero già attraversata?
-N-non ci sono..- balbettò la ragazza.
-Come non ci sono?- le chiese l'altro.
-Non ci sono!-
-Assurdo, sono stati così veloci?-
-Non può essere.-
La mano di Zoey cominciò a tremare. Non poteva rimanere ancora in quel posto, stava impazzendo. Mike le prese la mano per rassicurarla. La guardò con dolcezza.
Scott s'incupì.
Noah ed Izzy oltrepassarono il varco e salutarono i rimanenti.

Un senso di inevitabile aleggiava nell'aria, come se fossero stati predestinati a morire. Quella prigione poteva essere la loro tomba.

Courtney, Duncan e Gwen stavano zitti. Nessuno osava aprire bocca.
Si ostinavano ancora tutti a cercare delle risposte fra sé e sé, senza confrontarsi, quasi temendo un possibile collegamento tra di loro al posto di accoglierlo come indizio verso una fuga.

-Duncan.- la guardia lo stava guardando. -Alzati, ti stanno aspettando.- Infilò la chiave nella serratura facendola scattare, poi aprì la porta cigolando.Il punk, che se ne stava seduto sulla piccola e lurida branda, eseguì l'ordine.-Chi?- chiese.

Il ragazzo rinvenne. Era stato in prigione? Ricordava delle piccole risse. Ma davvero aveva commesso qualcosa di perseguibile legalmente?
Gwen gli si avvicinò lentamente. Superavano i blocchi velocemente, uno dopo l'altro. Courtney provava un senso di nausea crescente alla visione di quei muri sempre dannatamente identici. Ormai dovevano stare camminando da almeno venti minuti. Erano andati sempre dritti e potevano affermare tranquillamente di aver aperto almeno una decina o più di botole. Eppure era come se ogni volta si ritrovassero sempre al punto di partenza. Non erano neanche più sicuri di saper tornare indietro nonostante il monotono tragitto che avevano compiuto.
Duncan si arrampicò nuovamente sulle scalette di metallo. Aprì nuovamente la botola. Era pronto ad entrare nuovamente nella stanza, quasi meccanicamente, poi si bloccò.-Duncan?- Gwen lo stava guardando, chiedendosi come mai si fosse fermato.
Il punk saltò giù dalle scalette, pallido in volto, si portò una mano allo stomaco e vomitò sul pavimento. L'odore acido del rigetto penetrò nelle narici di Courtney.
La gotica rimase pietrificata per qualche istante poi si precipitò a reggere il ragazzo mentre rigurgitava.
Il cervello della mora si svuotò completamente. Gli occhi le divennero vacui. Sentì i suoi passi leggeri muoversi verso l'apertura ancora spalancata. Le sue gambe marciavano da sole. Ancora quell'amaro senso di predisposizione al rimanere lì fino alla fine dei giorni. La sua mano afferrò un tubicino di metallo, poi un altro. Il piede destro salì sul primo, quello sinistro sul secondo. Si affacciò sull'uscio. Le sue pupille si girarono dietro le palpebre. Tra i gemiti di Duncan e le domande di Gwen, Courtney cadde svenuta sul pavimento.

-E' una pazzia Courtney, lo sai che sono tutte ipotesi.- la ragazza continuò a fissare i suoi appunti. -Hey, guardami, Court guardami.-

Noah guardò Izzy in volto. Sembrava una pazza. Poteva davvero essere sicuro che fosse realmente una designer? Magari prima di rinchiuderla lì con loro le avevano contraffatto i documenti.
-Strano, vero? Tutto questo, intendo.- la ragazza stava ancora parlando. Era l'ennesima volta che apriva bocca tanto per farle prendere aria.
-Già.- rispose scocciato.
-Tu ricordi qualcosa sul tuo lavoro?-
-No-
-Neanche io.-
-Bene.- il ragazzo si stava decisamente alterando.
-A parte una piccola cosa.-
Noah alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
-Sì? Cosa?-
-Una tavola da disegno. Stavo progettando qualcosa, ma poi ci rovesciavo sopra dell'inchiostro.-
-Affascinante.-cercò di concludere sarcasticamente Noah.

Izzy non fece in tempo a fiatare nuovamente che il rumore del meccanismo d'apertura della botola alle sue spalle la interruppe.
-Izzy?- Courtney sussurrò perplessa.
-Oh Dio, Izzy!- la ragazza continuava a fissarla dal buco.
-Come, Izzy?- doveva essere la voce di Gwen.
La mora scese velocemente le scale e corse incontro alla ragazza.
-Ma allora stai bene!- esclamò.
La gotica la seguì a sua volta nella stanza.
-Certo che sto bene!- sbottò
-N-Noi eravamo certe di averti vista... Questo posto è una fottuta trappola mortale, abbiamo trovato un corpo sciolto in una stanza ed in un'altra eravamo convinte ci fosse il tuo cadavere!-
-I-Il mio cadavere?-
-Andiamo ragazze, non è divertente.- Noah era intervenuto, gli sguardi si concentrarono su di lui.
-Dov'è Duncan?- aggiunse ancora.
-Duncan?- gli occhi di Gwen si riempirono di lacrime.
-Che cosa sta succedendo qui?- chiese ancora Izzy.
-E' assurdo. Assurdo.- la gotica stava bisbigliando tra sé.
-Cosa sta succedendo?- gridò l'indiano.
Le due si ammutolirono.
-Sentite, non dovete fidarvi di nessuno, okay? Nel caso tornassimo non fidatevi nemmeno di noi. Rimanete insieme. Sempre. E state attenti!-  Courtney aveva preso la parola per prima.
-Dobbiamo andare! Ci vediamo fuori da qui!-


E così le due ragazze uscirono dal settore lasciando Noah ed Izzy stupefatti ed allibiti, immersi in interrogativi ancora più profondi e terrificati.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

-Una ragazza.- la guardia gli rispose sbrigativamente.
-Qual è il suo nome?- insistette Duncan
-Aspetta e vedrai.-
L'uomo scortò il carcerato fino ad una grande porta di ferro, l'aprì ed entrarono insieme in una stanza percorsa da un lungo tavolo, diviso a metà da una lastra di vetro, dei separatori delimitavano dei piccoli spazi ognuno dei quali era munito di due telefoni, uno per ogni parte.
Riconobbe alcuni compagni parlare con altre persone al di là della barriera.
-E' il tavolo numero cinque, hai dieci minuti.-

Il punk infilò un passo dopo l'altro, arrivò dove gli era stato indicato e fece per sedersi.
Chi era quella ragazza? Non si ricordava di averla mai vista. Eppure tanta bellezza non poteva di certo passare inosservata.

-Duncan? O merda, Duncan, rispondimi! Duncan!?-
Gwen continuò a cercare di ottenere delle risposte dal ragazzo, noncurante della mora priva di sensi che giaceva per terra.
Un altro getto di vomito schizzò sul pavimento.
La gotica fece un balzo indietro, il liquido giallognolo la colpì sui capelli impiastricciandoli.
Il punk si lasciò cadere al suolo stremato, mentre le domande della ragazza cominciavano a trasformarsi in un lamento isterico.
Il non sapere la stava facendo impazzire, cosa diavolo poteva esserci nell'altra stanza?
Si avvicinò alla botola con uno scatto, in un unico momento di decisione, e posò la mano sul nero metallo freddo.
Brandelli di carne erano sparsi per tutta la superficie della stanza, del sangue ancora fresco scorreva verso il centro formando una grande pozza.
Un tanfo putrido le penetrò nelle narici.
Staccò le mani dalla scaletta e ricacciò un conato di vomito da dove era venuto, poi si prese la testa fra le mani.
Le facce quadrate sembravano vorticarle attorno.
-Devi trovare qualcuno adatto.-
Duncan e Courtney a terra.
-Sicura che possiamo fidarci?-
Il vomito.
-Non preoccuparti, non mancherà a nessuno.-
Le botole.
-E' nel nome del progresso-
Quel dannato posto.
-Assicurati che ne stia lontano-
Scoppiò in un grido feroce che andò a sfociare in un grosso pianto.


-Cos'è stato?- Zoey si alzò di colpo -Avete sentito?-
Scott smise per un attimo di giocherellare con le stringhe delle sue scarpe.
-Chi era?-
-Sembrava una ragazza!- anche Mike sembrava essersi destato dalla sua apatia.
-Genio, fino a qui ci erano arrivati tutti.- il rosso lo guardò sprezzante.
-Mio Dio, sembrava essere Gwen...- la ragazza sussurrò timorosa delle sue stesse parole.
-Gwe... che?-
-Andiamo Scott, quella con i capelli tinti, la darkettona...- il moro ricambiò lo sguardo lanciatogli precedentemente.
-Ah, lei...-
-Forse dovremmo andare a controllare che stiano tutti bene...- Zoey cercò di spezzare la tensione che stava creandosi fra i due.
-Grande idea! E magari ci facciamo pure uccidere. Vacci tu se tieni alla vita di una sconosciuta.-
-Scott! Io sono d'accordo con lei.-
-Allora andate.-
-E tu rimani qui da solo?-
-Sì.-
Mike appoggiò le mani sulle spalle della rossa e guardò il ragazzo per qualche secondo, incredulo, poi la bocca gli si contorse in una smorfia sprezzante e prese la ragazza per mano.
-Vieni, Zoey, andiamo.-
Nei suoi occhi, invece, c'era solo dispiacere.

I due ragazzi aprirono la botola della parete opposta e vi sparirono dietro poco dopo, senza però evitare di lanciare delle occhiatacce a Scott.
Ora era rimasto solo.
Forse avrebbe fatto meglio ad andare con quei due imbecilli.
Comunque era troppo tardi, se li avesse rincorsi avrebbe finito per perdersi e non sarebbe sicuramente riuscito a tornare indietro.
Si sarebbe limitato ad aspettare che i sette idioti tornassero indietro.
Probabilmente era uno stupido esperimento psicologico, oppure una trovata malata di qualche reality show, in ogni caso rimanere fermi nel luogo in cui si erano svegliati era l'unica soluzione sensata che gli venisse in mente.
Ed il grido che avevano sentito qualche minuto prima era la prova definitiva che assecondava la sua teoria.
Certo, trovarsi senza la compagnia di nessuno in quella stanza era snervante.
Non riusciva nemmeno ad udire un suono qualsiasi.
Era come se l'aria non esistesse, come se il posto in cui si trovassero fosse il nulla.
Non solo la situazione lo rendeva nervoso, ma lo rendeva anche inquieto.
Il silenzio regnava sovrano.
L'unica cosa che sentiva erano l'intrecciato caos che dominava nella sua mente.
Si schiarì la gola, per accertarsi che magari non fosse diventato sordo.
Lo aveva sentito chiaramente, allora magari erano i muri ad essere insonorizzati.
Picchiò quattro colpi contro la parete.
Sentì l'acciaio rimbombare.
Quel luogo aveva dell'assurdo, e ciò che non riusciva a capire lo faceva uscire di testa.

-Ti dispiace tenermi questa?- Mike guardò Zoey con tenerezza, mentre con una mano le porgeva una piccola molla.
-Certo- gli rispose lei sorridendo.
-Hai fatto proprio un bel lavoro.- continuò per evitare il silenzio.
Le guance pallide della ragazza si tinsero di un rosso candido mentre il moro la ringraziava.


-Mike!- sussultò mentre stavano attraversando una stanza.
-Mike!- ribadì a voce più alta.
L'interpellato si bloccò di colpo, mentre la ragazza, che era rimasta qualche passo più indietro, gli si affiancò correndo.
-Mike, io ti conosco! Noi ci conosciamo! Ci siamo già visti! Io ricordo!- parlava come impazzita, il ragazzo le afferrò le mani per calmarla.
-Cosa? Cosa ricordi!?- una luce improvvisa si accese nelle sue pupille.
-Ricordo di noi!-
-Noi?- quell'improvvisa fiamma parve indebolirsi leggermente, il suo sguardo si fece dubbioso.
-Ho avuto un flashback, tu stavi lavorando a qualcosa e mi porgevi una molla e ...- si bloccò improvvisamente.
-E cosa?-
-Non so.- rispose amareggiata. Perché non voleva che lui sapesse quello che lei aveva visto?
Era certa che anche lui avesse provato qualcosa di diverso nei suoi confronti quando si erano svegliati in quel luogo. Eppure una forza interna l'aveva trattenuta.
-Non importa.- disse Mike stringendola forte a sé.

Noah stava cercando in tutti i modi di isolare la sua mente dalle parole completamente a vanvera di Izzy, dai suoi deliri verbali e dai suoi improvvisi attacchi di energia durante i quali si arrampicava fino alla botola sul soffitto.
Gwen e Courtney si erano precipitati da loro dicendo di aver trovato un corpo simile a quello della ragazza in una delle stanze di quel posto sconfinato e lei non sembrava esserne minimamente turbata.
Lui invece era rimasto sconvolto.
Un pensiero gli ronzava in testa, un pensiero che cercava di allontanare con tutte le forse da sé, ma che inevitabilmente sembrava il più sensato per quanto assurdo.
Credeva di aver capito in quale razza di luogo fossero finiti.
Temeva di avere ragione, perché se così fosse stato probabilmente non avrebbero mai trovato un'uscita.
Sarebbero morti lì dentro.
Era così assorto nelle sue idee che si rese improvvisamente conto di star andando verso la botola frontale, mentre la pazzoide si era già diretta verso quella di destra.

Successe tutto in un attimo, come suo solito, lei saltellò sui gradini, mise la mano sulla botola facendola aprire, scivolò dall'altra parte e fece una linguaccia a Noah.
Quella volta, però, l'indiano non era minimamente vicino all'ingresso verso l'altra stanza.
Quella volta, però, la fessura si richiuse immediatamente.
Il ragazzo mise tutta la forza che aveva nelle sue gambe per correre verso la parete, salì sugli scalini di corsa e poggiò le dita sul freddo quadrato di metallo nero.
Quella volta, la botola non si aprì.
Cominciò a tirare pugni contro l'ingresso urlando il nome della rossa.
Non ricevette nessuna risposta.
Colpì più forte, urlò con più potenza.
Nulla.
Si sedette ansimante per terra.
Il cuore gli pulsava all'impazzata.
Il suo cervello era offuscato.
Attese qualche secondo prima di rialzarsi.
Fece nuovamente i gradini.
Toccò nuovamente la botola.
La sentì scorrere, mentre gli apriva il panorama di una stanza identica, se non fosse stato per il piccolo particolare che in quella c'era il corpo di Izzy, riverso a pancia in su, con gli occhi strabuzzati ed iniettati di sangue.
Con le labbra livide e le guance violacee.
Riversa in una pozza di sangue.
Fu esattamente in quel momento che capì di avere ragione.

 


Angolo dell'autore
Buonsalve a tutti quanti!! Come dissotterrato un'altra delle mie vecchie storie, dite la verità: vi eravate dimenticati di Hypercube!

 

 


 

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