Vittima Innocente di sophie97 (/viewuser.php?uid=142936)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una tranquilla dimora... ***
Capitolo 3: *** "Parlerò solo in presenza del mio avvocato" ***
Capitolo 4: *** Solo i morti non parlano ***
Capitolo 5: *** Esplosione ***
Capitolo 6: *** Sensazioni ***
Capitolo 7: *** Notizie inaspettate ***
Capitolo 8: *** Erik Gehlen ***
Capitolo 9: *** Vediamoci ancora ***
Capitolo 10: *** Incomprensioni ***
Capitolo 11: *** Appuntamenti ***
Capitolo 12: *** Il Giaguaro ***
Capitolo 13: *** Uccidilo ***
Capitolo 14: *** L'inizio della recita ***
Capitolo 15: *** Rabbia ***
Capitolo 16: *** Notti in bianco ***
Capitolo 17: *** Lo specchio della Verità ***
Capitolo 18: *** Io sono innocente. ***
Capitolo 19: *** Basta! ***
Capitolo 20: *** Desiderio di vendetta ***
Capitolo 21: *** Visite ***
Capitolo 22: *** Lettera ***
Capitolo 23: *** Lungo il Reno ***
Capitolo 24: *** La morsa del buio ***
Capitolo 25: *** Amnesia ***
Capitolo 26: *** Inganno ***
Capitolo 27: *** Il felino e la gazzella ***
Capitolo 28: *** Novità ***
Capitolo 29: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 30: *** Confidenze al vuoto ***
Capitolo 31: *** Trasferimento ***
Capitolo 32: *** Nessuno vince sempre ***
Capitolo 33: *** The end ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Faceva
un caldo
terrificante.
Semir non ricordava un’estate così calda a Colonia
da anni e anni addietro.
Eppure l’ispettore aveva smesso di far caso al clima e a
tutto il resto che lo
circondava ormai da giorni. Da quando era accaduto ciò che
mai avrebbe
immaginato sarebbe successo.
Indugiò ancora qualche minuto davanti al Penitenziario prima
di entrare
esibendo il proprio tesserino.
Si guardò intorno, si sentiva osservato e sapeva di esserlo
effettivamente.
Con un sospiro chiese alla guardia di accompagnarlo
dall’ispettore Ben Jager e
lasciò che il ragazzo grande e grosso a cui aveva appena
domandato gli facesse
strada lungo gli intricati corridoi della struttura.
Raggiunse la sala dei colloqui e ringraziò il giovane, che
si allontanò con un
sorriso veloce.
Adesso doveva semplicemente aprire quella porta.
Tirare giù quella maniglia e parlare con lui.
Doveva riuscirci.
Ben
si alzò di scatto
quando la guardia lo venne a chiamare.
Questa aprì la porta della cella in cui il poliziotto era
rinchiuso e lo spinse
in malo modo fuori dalla piccola stanza.
«C’è una persona che ti vuole
parlare.» borbottò, con voce sprezzante.
Ben annuì e lasciò che l’uomo lo
spingesse violentemente lungo il corridoio per
arrivare quindi all’aula del colloquio.
Era naturale che fosse trattato così, i poliziotti in
carcere erano trattati
peggio di qualsiasi altro tipo di detenuto, anche dalle stesse guardie.
Entrò nella stanza e un sorriso gli si dipinse sul volto
vedendo chi lo
aspettava dall’altra parte del vetro divisorio.
Ma il sorriso si spense presto, non appena al giovane ispettore
tornarono in
mente le immagini dei giorni passati, di quei terribili momenti, di
quella
situazione totalmente sbagliata.
Fu allora che si chiese cosa ci facesse lì il suo ex collega.
Era venuto ad accusarlo come aveva fatto l’ultima volta in
tribunale?
Lo sguardo a terra, si diresse verso il vetro e si sedette di fronte ad
esso,
mentre un’altra guardia, diversa da quella che lo aveva
portato fin lì,
assisteva al colloquio alle sue spalle, a pochi metri di distanza.
A
Semir si strinse il
cuore vedendo l’amico ridotto in quello stato: aveva un
occhio nero, era
pallidissimo ed era dimagrito visibilmente.
All’improvviso si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire.
Perché voleva dirgli la verità ma non ne aveva il
coraggio.
«Ehi.» esordì Ben dall’altra
parte del vetro.
Semir si limitò a guardarlo, senza fiatare, mentre il senso
di colpa lo rodeva
dall’interno.
«Semir, pensi ancora che sia stato io?».
«Ben...».
«Dimmi solo perché. Perché?
C’eri anche tu, hai visto cosa è
successo.» replicò
il più giovane con sguardo quasi supplichevole.
Semir sospirò. Aprì la bocca per parlare ma fu
allora che vide. Vide la guardia
alle spalle di Ben tirarsi di poco su la manica della camicia che
indossava con
un gesto impercettibile. Vide il tatuaggio, quel
tatuaggio, che l’uomo gli indicò con un cenno del
capo, per assicurarsi che lui
lo notasse.
Lo controllavano anche lì, non poteva cedere, non ancora.
«Appunto Ben, ho visto cosa è successo, ti ho
visto mentre sparavi.» disse
quindi.
«Ma cosa stai dicendo?» domandò Ben
sull’orlo delle lacrime. Si era riproposto
di non piangere ma mantenere questa promessa fatta a se stesso
risultava adesso
particolarmente difficile.
«Ti ho visto. Hai premuto il grilletto Ben, l’hai
ucciso. Io sono un poliziotto
e ho detto quello che ho visto.» rispose Semir, atono.
«Ma non è vero! Non è vero,
maledizione, non è vero!».
Il turco annuì.
«Sì che è vero Ben, l’ho
visto, ti ho
visto!».
Ben abbassò lo sguardo, gli occhi gli bruciavano
terribilmente.
Perché il suo migliore amico si comportava così?
Non riusciva a capire, non
capiva! Arrivò persino a pensare di avere torto. Che lui,
Ben Jager, avesse
ucciso un uomo per poi dimenticarsene? Ma come sarebbe stato possibile?
Improvvisamente, senza nemmeno sapere come, provò una rabbia
incontrollabile
nei confronti del collega. Era troppo, aveva sopportato troppo.
«Se sei venuto qui sono per ribadirmi questo puoi anche
andartene Semir, io non
ho niente da dirti.».
Semir non replicò.
Si alzò senza più guardare l’amico
negli occhi, e comunicò alla guardia che il
colloquio era terminato.
È
un bel po’ di tempo
che ho scritto questa storia, ma non mi sono mai decisa a pubblicarla.
Oggi
l’ho notata per caso e ho pensato fosse giunto il momento.
Grazie a tutti coloro che hanno letto fin qua e un grazie particolare a
chi
vorrà lasciare una recensione, mi fa sempre piacere sapere
cosa ne pensate,
anche in negativo.
Che dire? Al prossimo capitolo, spero di non annoiarvi continuando a
scrivere
storie ma è più forte di me, non posso non
scrivere su di loro!
Grazie ancora.
Sophie :D
PS:
un ringraziamento a
maty che mi ha fatto tornare l’ispirazione per i banner
iniziali ;)
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Capitolo 2 *** Una tranquilla dimora... ***
Due
mesi prima...
Ben
Jager inciampò
distrattamente su un tronco d’albero posizionato per lungo
sul terreno.
Stava per ritrovarsi disteso con la faccia a terra quando
sentì una mano
afferrarlo per la manica della maglietta e tenerlo in piedi.
«Veda di non ammazzarsi ispettore, mi serve vivo.»
scherzò Semir mollando la
maglietta.
«Sa essere decisamente opportunista a volte, ispettore
Gerkhan.».
Entrambi risero, continuando a camminare nell’intricato
sentiero in mezzo al
bosco.
«Ben, quando potrò sapere dove stiamo
andando?» domandò Semir dopo qualche
minuto di cammino in perfetto silenzio.
«Te l’ho già detto, devo mostrarti una
cosa.» rispose il più giovane con un
sorriso.
«Questo l’avevo capito... ma per quanto dobbiamo
camminare ancora in questa
boscaglia?».
«Non sarai mica stanco, Semir?».
«Chi, io? Ma figurati! Infondo sono solo due ore che
camminiamo.» ironizzò il
turco «E pensare che Aida voleva andare
all’acquario e io le ho detto di no
perché “lo zio Ben” doveva farmi vedere
una cosa importante.».
Ben scoppiò a ridere «Povera la mia
principessina!».
«La tua principessina,
nota bene.»
sottolineò Semir.
«Eh certo, di chi se no? Lei è la principessa e io
sono il re.» affermò Ben
cercando di mantenere un tono serio e ufficiale, almeno fino a quando
non
ricevette uno spintone da parte del collega ed entrambi scoppiarono di
nuovo a
ridere.
«Forse dovresti cercartene una un po’
più grande, di principessa.».
«In effetti ho conosciuto una ragazza...».
«Davvero?» quasi gridò Semir, entusiasta
«Quando me la fai conoscere?».
«Calma socio, non conosco nemmeno il suo nome!»
spiegò Ben con un sorriso «L’ho
vista l’altra sera ad un mio, chiamiamolo così,
“concerto” in un locale, quando
ho finito abbiamo cominciato a parlare e... non lo so, è
allegra, simpatica, sa
sempre quando e cosa dire.».
«E non le hai chiesto il nome.» costatò
il turco con una smorfia di disapprovazione.
«No, ma la rivedrò, ne sono sicuro.».
«Sarà!».
«Comunque socio, siamo arrivati.»
annunciò il più giovane fermandosi in mezzo
ad una piccola radura davanti ad una casetta di legno antico.
Semir lo guardò con fare interrogativo.
«Ta taaan!» fece invece l’altro
indicandogli l’abitazione con un sorriso a
trentadue denti «Mi sono fatto un piccolo regalo, ti piace?
Almeno avrò un
posto tranquillo e isolato dove passare i pomeriggi in cui sono fuori
servizio
ed allenarmi a suonare indisturbato.».
«E magari dove portare la tua amica senza nome in caso
voleste...».
«Semir!» lo interruppe il collega lanciandogli
un’occhiata fulminante.
«Era solo un’ipotesi.» rise il turco
avvicinandosi piano alla casa.
«È interamente costruita con legno di faggio,
è stata terminata giusto ieri.
Guarda, non ha nemmeno un graffio e poi guarda le pareti esterne come
sono
lucide! E poi i vetri delle finestre, guarda, sono di ultima
generazione, da
fuori non si può guardare all’interno, mi sono
costati un capitale. E poi il
contesto è meraviglioso, qui non mi disturberà
mai nessuno, non prendono
nemmeno i cellulari! E, un’altra cosa, le assi
di...».
Ben non riuscì a terminare la frase, il suono di uno sparo
lo interruppe.
Si voltò verso Semir senza capire ma il collega si era
già accucciato dietro ad
un cespuglio.
«Ben, che fai? Sta giù!».
Il ragazzo fece come gli aveva detto l’altro ispettore e i
due aspettarono per
qualche istante.
«Da dove veniva?» chiese il più giovane
in un sussurro, dimenticandosi
totalmente dell’accurata descrizione che stava imbastendo
riguardo la sua nuova
dimora.
«Non lo so... da sinistra credo.» rispose
l’altro dando un’occhiata in giro «E
questa non è certo stagione di caccia.».
«Assolutamente no. Andiamo a vedere...» ma di nuovo
Ben non ebbe modo di finire
la frase che due ragazzi passarono di corsa davanti a loro,
attraversando la
radura senza nemmeno vederli. Correvano a più non posso e
poco dopo i due
poliziotti ne compresero il motivo: tre uomini armati fino ai denti li
seguivano correndo altrettanto velocemente e sparando non appena
pensavano di
avere uno dei due sottotiro.
«Mapporca! Fermi, polizia!» urlò Semir
uscendo improvvisamente allo scoperto
con la pistola puntata davanti a sé.
I tre uomini si fermarono mentre i due inseguiti si nascondevano sul
retro
della casa. Uno dei tre bisbigliò qualcosa e gli altri
cominciarono a sparare
in direzione del poliziotto, che si vide un proiettile passare a
qualche
millimetro dalla spalla e venne scaraventato a terra dal collega.
«Ma dico, ti vuoi far ammazzare?» gridò
Ben, terrorizzato.
Semir non rispose ed entrambi si rialzarono velocemente.
Iniziò un vero e proprio conflitto a fuoco, i criminali
sparavano con il solo
scopo di far fuori gli ispettori per avere campo libero con i ragazzi
inseguiti, che stavano fermi immobili a guardare, senza più
avere la forza di
scappare.
«Cosa dicevi riguardo al posto tranquillo dove suonare
indisturbati, Ben?»
gridò Semir tentando con la voce di sovrastare il rumore
degli spari.
Ben gli lanciò un’occhiata fulminante continuando
a difendersi dai colpi degli
sconosciuti.
«E non prende nemmeno il telefono!».
Un proiettile frantumò il vetro di una delle piccole
finestre della baita.
«No, non ci credo, il vetro no!» esclamò
Ben ricevendo questa volta lui stesso
l’occhiataccia da parte del socio.
I tre criminali stavano velocemente guadagnando terreno, avvicinandosi
al retro
della casa dove si nascondevano le loro due vittime.
«Semir, aiuta a far scappare i ragazzi mentre io trattengo
qua questi tre.»
propose Ben avvicinandosi pericolosamente ai tre uomini.
Semir gli fece un rapido cenno d’assenso prima di correre
verso i ragazzi e farli
alzare bruscamente. Avranno avuto una ventina d’anni e
sembravano totalmente
terrorizzati.
«Forza, correte, dai!».
Cominciarono a correre a perdifiato in mezzo al bosco, scavalcando
massi e
grosse radici sporgenti, sfruttando gli alberi per proteggersi dai
proiettili.
Ben non riuscì a trattenere i criminali per molto e dovette
anche lui
cominciare a fuggire.
Corsero, corsero per un tempo che a loro parve infinito, fino a che uno
sparo
più vicino alle loro orecchie non li fece sobbalzare.
I quattro inseguiti si guardarono a vicenda fermandosi per un istante,
ed uno
di loro cadde a terra.
Chi
è caduto a terra?
Si accettano scommesse!
Grazie a chi mi segue e in particolare a Furia, Chiara, Maty e Marti
per le
recensioni.
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 3 *** "Parlerò solo in presenza del mio avvocato" ***
Uno
dei due ragazzi si
accasciò tra la polvere in mezzo agli alberi, senza un
grido, senza un lamento.
Il suo compagno si avvicinò all’amico urlando
disperatamente il suo nome,
mentre Ben e Semir tentavano di trattenerlo: non c’era tempo,
dovevano scappare
se volevano salvarsi almeno loro. Ma il giovane non sembrava volerne
sapere e
continuava a piangere, scuotendo il corpo immobile dell’altro
fuggitivo nel
tentativo di rianimarlo.
Furono attimi di esitazione troppo lunghi.
I criminali ormai li avevano raggiunti e il conflitto a fuoco
ricominciò, più
lungo e più disperato di quello precedente.
Fino a che, finalmente, Ben riuscì a ferire lievemente uno
dei due uomini, che
cadde a terra sanguinante e gli altri due, spiazzati, decisero di
darsela a
gambe.
Consapevoli che non li avrebbero mai raggiunti, Ben e Semir rimisero a
posto le
pistole con un sospiro di sollievo.
Ben raggiunse il criminale steso a terra, lo girò sulla
schiena e, puntando un
ginocchio su di essa, lo immobilizzò mettendogli un paio di
manette ai polsi.
Semir si occupò invece dei due ragazzi.
Il proiettile aveva colpito uno dei due al torace e la ferita
sanguinava
copiosamente.
Il turco fece spostare l’altro ragazzo per avere campo libero
e cominciò a
tentare di fermare l’emorragia, premendo forte sulla ferita
con un grande
fazzoletto di stoffa.
«Ben! Bisogna portarlo subito in ospedale, non
durerà a lungo, sta perdendo
troppo sangue.».
Il poliziotto tirò fuori dalla tasca il cellulare:
«Ora c’è una tacca che va e
viene, provo a chiamare i soccorsi, ci vuole troppo tempo per
raggiungere a
piedi la zona dove il bosco è meno fitto.
Aspetta.».
L’ispettore più giovane compose il numero in
fretta e riuscì a mettersi in
contatto con i soccorsi dopo vari tentativi dovuti al campo scarso del
cellulare
in quel luogo.
Dopo pochi minuti un elicottero atterrò nella radura vicino
a dove si
trovavano, l’ambulanza non sarebbe mai riuscita a percorrere
il sentiero
stretto che portava in quel posto sperduto.
Il giovane venne caricato su una barella e poi sul velivolo e il suo
amico
insistette per andare con lui, salendo quindi anch’egli
sull’elicottero.
Ai due agenti invece non rimase nulla da fare se non tornare al comando
trascinandosi dietro il criminale ferito solo superficialmente ad un
braccio,
dicendo così “addio” a quella che
sarebbe dovuta essere una rilassante giornata
di ferie.
Qualche
ora dopo...
«Per
la miseria,
parla!» gridò Semir, ormai esasperato.
Erano tre quarti d’ora abbondanti che lui e Ben interrogavano
il criminale che
avevano arrestato nel bosco e ancora non ne avevano cavato un ragno dal
buco.
L’uomo, sulla quarantina, alto e robusto, non voleva saperne
di parlare,
sembrava aver perso la lingua. Non erano nemmeno riusciti a capire
quale fosse
il suo nome.
«Pensi davvero di migliorare la tua situazione
così? Eh?» continuò il
poliziotto girando intorno al tavolo a cui era seduto lo sconosciuto,
nella
stanza degli interrogatori.
«Te l’ho già detto, parla e avrai magari
delle attenuanti, così noi non
possiamo aiutarti.» continuò il turco «E
una bella condanna per tentato
omicidio ti assicuro che non te la leva nessuno.».
L’uomo mostrò uno sbieco sorriso, senza proferire
parola.
Ben entrò bruscamente nella stanza interrompendo il silenzio
e si diresse
deciso verso il collega.
«Allora?».
«Niente, non so nemmeno che voce abbia.».
Il più giovane sospirò rumorosamente, porgendo un
bicchiere di carta all’amico.
«Tieni socio, ti ho portato un caffè.».
«Oh, grazie! Senti, esco un attimo, sto qui mi fa diventare
matto altrimenti.»
sussurrò Semir, uscendo dalla stanza segna degnare
l’uomo seduto di uno
sguardo.
«Allora.» fece invece Ben sedendosi sicuro di
fronte al criminale «Vediamo se
io riesco a farti parlare.».
«Semir!»
chiamò Susanne
dalla sua postazione.
«Susanne! Dimmi che hai una buona notizia...».
«Ho una buona notizia.» sorrise la segretaria
«Mi dispiace per il vostro giorno
di ferie.».
«Eh già, anche a me.» fece Semir
raggiungendo la donna e posizionandosi alle
sue spalle per poter vedere lo schermo del computer. Sorpreso, si
trovò davanti
la fotografia dell’uomo che in quel momento si trovava sotto
interrogatorio con
Ben.
«Guarda un po’, è schedato.
L’ho trovato in fretta, mi ricordavo che con lui
avevamo già avuto a che fare. Traffico di droga, ricordi?
C’era Chris allora...».
Semir corrugò la fronte, tentando di ricordare. Aveva visto
ed arrestato tanti
di quei criminali lungo la sua carriera che ricordarsi i nomi di tutti
loro era
un’impresa.
«Forse sì... ma non era un pezzo grosso,
no?».
Susanne scosse il capo «Era uno spacciatore che avevamo
beccato per caso ma poi
in prigione si era fatto solo quattro anni tra attenuanti, buona
condotta e
tutto il resto.».
L’ispettore annuì.
«Guarda se trovi qualcos’altro sul suo conto,
magari ha avuto qualche contatto
con qualche pezzo grosso già uscito di prigione, oppure
scopri che ambienti
frequenta, non so.».
«Va bene, farò il possibile.»
affermò la segretaria rimettendosi al lavoro.
In quel momento Ben uscì dalla stanza degli interrogatori
con la stessa
espressione infastidita stampata sul volto di Semir quando ne era
uscito dieci
minuti prima.
«Finalmente sono riuscito ad estorcergli una
frase.» disse il giovane al
collega.
«Sarebbe?».
«“Parlerò solo in presenza del mio
avvocato.”».
I due poliziotti sorrisero: un classico.
«Avvocato che sta per arrivare, da quanto ho
capito.» intervenne la Kruger
giungendo alle spalle dei colleghi «Quindi nessuna
novità, signori?».
«Si chiama Thomas Heiss, è un piccolo spacciatore,
lo avevo arrestato io anni
fa con il mio collega... capo, lei non lavorava ancora qui. Ma se non
me lo
avesse detto Susanne nemmeno io me lo sarei ricordato, sta cercando
qualcosa in
più sul suo conto.» spiegò Semir.
Il commissario annuì «Bene.».
«Del ragazzo si sa nulla, capo?» domandò
invece Ben.
«Ho sentito l’agente che ho mandato in ospedale,
sembra che il ragazzo sia
ancora sotto i ferri, sarà un intervento difficile.
I due ispettori annuirono.
Entrambi avevano la strana sensazione di trovarsi davanti ad un caso
che
avrebbe dato loro del filo da torcere.
Ed in effetti così sarebbe stato.
Passarono
ancora tre
ore buone, fino a che i poliziotti non decisero di riprendere le
ricerche
l’indomani mattina.
Erano stanchi e quello sarebbe comunque stato il loro giorno di ferie.
La Kruger aveva quindi permesso loro di uscire, congedandoli con un
sorriso.
Uscendo
dal comando,
Ben lanciò un’occhiata veloce
all’orologio: «Birretta?».
Semir alzò le spalle «Perché
no?».
I due amici sorrisero, dirigendosi insieme verso un locale, decisi a
rifarsi
dell’intenso pomeriggio trascorso.
Ma non passarono più di dieci minuti che già la
Kruger stava chiamando Ben al
cellulare.
«Sì capo?».
«Jager, il secondo ragazzo è scappato. Era in
ospedale dall’amico ma quando
l’agente di turno ha detto che lo avrebbe portato al comando
per qualche
domanda, è fuggito. Dobbiamo trovarlo.».
Avevate
ragione, hanno
effettivamente sparato ad uno dei due ragazzi. Ma almeno la polizia ha
in mano
uno dei tre criminali...
Un bacio e grazie ai recensori, grazie mille!
Sophie :D
|
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Capitolo 4 *** Solo i morti non parlano ***
Semir
rientrò in casa
alle dieci di sera.
Aprì piano la porta per paura di svegliare le bambine e
trovò Andrea seduta sul
divano intenta nella lettura di un libro.
«Buonasera, sbirro.» lo salutò lei con
un sorriso.
Il poliziotto ricambiò il sorriso, sedendosi accanto a lei e
salutandola con un
tenero bacio.
«Riposante la tua giornata di ferie?».
«Da morire.» rispose lui con uno sbadiglio
«Sembra che avremo a che fare con un
caso complicato. Le bambine dormono?».
L’ispettore non ebbe il tempo di ricevere una risposta che la
più grande fece
capolino dallo stipite della porta con un’espressione
lievemente imbronciata
dipinta in viso.
«Ho mal di pancia.» mormorò dirigendosi
verso i genitori «Non riesco a
dormire.».
«Cucciolo, vieni qui.» le disse Semir prendendola
in braccio «Vedrai che con un
massaggino passa tutto.».
Aida annuì convinta e si lasciò andare
tranquillamente tra le braccia del papà.
Ben
inserì la chiave
nella serratura ma si bloccò prima di aprire la porta.
Si sentiva osservato.
Si voltò circospetto ma non vide nessuno dietro di
sé.
Poi un fruscio, un rumore alle sue spalle.
L’ispettore estrasse la pistola voltandosi e puntandola
davanti a sé.
«Tu?»
«Non spari, ispettore!» implorò il
ragazzo sulla ventina che il poliziotto si
era ritrovato davanti. Era quello che la Kruger aveva detto essere
scappato
dall’ospedale.
«Per la miseria, mi hai fatto spaventare. Ma come ti
è venuto in mente di
fuggire?» lo ammonì Ben con voce dura.
«Scusi ispettore... mi faccia entrare e le
spiegherò tutto.».
Poco
dopo i due erano
seduti sul comodo divano di casa Jager e il giovane stava raccontando
al
poliziotto la sua storia.
«Io mi chiamo Henry Turner. Tutto è cominciato
quando Rick mi ha chiamato
dicendomi che dovevo aiutarlo a scoprire delle cose sul conto di suo
padre.».
«Rick sarebbe il tuo amico, quello che ora si trova in
ospedale?» domandò Ben
interrompendolo.
«Esatto ispettore.» rispose il giovane con un
sospiro, prima di continuare
«Rick aveva avuto il sospetto che il padre lavorasse a
qualcosa di losco,
probabilmente a qualcosa di illegale e che gli avrebbe fruttato molti
soldi.
Così mi ha chiesto di aiutarlo ad indagare, era agitatissimo
quando mi ha
telefonato, non potevo dirgli di no.».
«E non vi è nemmeno passata per la testa
l’idea di contattare la polizia?»
domandò il poliziotto, scettico.
«Ma ispettore, non avevamo niente in mano! E in
realtà non lo abbiamo tutt’ora.
Abbiamo scoperto dell’esistenza di un laboratorio e abbiamo
trovato al suo
interno una serie di composti chimici, a mio avviso il padre di Rick ha
in
mente di creare una nuova droga o qualcosa del genere. Ma non lo so,
non sono
sicuro di niente. Fatto sta che guarda caso appena dopo la nostra
incursione nel
laboratorio siamo stati seguiti da quei tre uomini armati e il resto
della
storia già lo conosce.».
«Però né tu né Rick avete
mai visto suo padre all’interno del laboratorio
giusto?».
«Giusto.».
«E il tuo amico non lo ha nemmeno mai sentito parlare al
telefono con qualcuno,
oppure ha trovato nel suo ufficio dei documenti, non so...».
«Niente di tutto questo, ispettore.»
mormorò Henry scuotendo piano la testa.
«Allora sarà un po’ difficile riuscire
ad incastrarlo.» costatò Ben con una
smorfia indecisa «Come si chiama il padre di Rick?».
«David... David... non mi ricordo il nome ispettore, mi
dispiace. Rick è stato
adottato, non ha lo stesso suo cognome.».
La
mattina successiva,
poco prima delle otto, Ben era già entrato al comando in
compagnia di Henry
Turner.
«Ascoltami, adesso tu dovrai raccontare tutto quello che hai
detto a me al
commissario Kruger, va bene?».
«Io... non sono sicuro di volerlo fare ,
ispettore.» balbettò il ragazzo
facendo un passo indietro e allontanandosi così dalla porta
dell’ufficio del
commissario.
«Ho paura, se mi facessero del male? O se facessero
qualcos’altro a Rick?».
«Ti metteremo sotto protezione se necessario e per quanto
riguarda Rick, in
ospedale è già sorvegliato da un nostro collega.
Non ti devi preoccupare,
davvero.» lo tentò di tranquillizzare Ben.
«Va bene...» Henry deglutì lanciando
occhiate indecise dirette prima verso
l’ispettore che aveva di fianco, poi verso quella porta di
vetro.
«Va bene.» decise quindi
«Andiamo.».
Ed insieme entrarono nell’ufficio di Kim Kruger.
Ben
uscì dalla stanza
poco dopo lasciando soli il giovane e il commissario.
La Kruger si era dimostrata piuttosto comprensiva e non aveva dato peso
alla
fuga del ragazzo dall’ospedale il giorno prima. Gli aveva
comunque assicurato
che avrebbero indagato sul padre dell’amico nonostante
avessero in mano
sospetti poco fondati.
«Ben!» la segretaria distolse in fretta
l’ispettore dai suoi pensieri.
«Susanne, novità?».
«Sì, purtroppo. Mi hanno appena chiamato
dall’ospedale, l’intervento in un
primo momento sembrava riuscito ma stanotte il ragazzo, Rick,
è entrato in
coma.».
«Ecco, splendido.» commentò Ben.
«Tu hai novità?».
«Sì, sembra che i due ragazzi fuggissero dagli
scagnozzi del padre di Rick,
puoi fare una ricerca su di lui?».
«Certo, faccio subito.» annuì Susanne
rimettendosi al lavoro.
«Susanne, Semir non è ancora arrivato?».
La donna alzò le spalle «No, è in
ritardo, strano.».
«Va be’, grazie. Dimmi poi se hai
novità.» le sorrise Ben allontanandosi dalla
scrivania per dirigersi verso quella del proprio ufficio.
«Volevo
quei due
ragazzi morti, maledizione!» urlò l’uomo
scattando in piedi non appena sentì
entrare il suo sottoposto.
«Ma capo, Rick è suo figlio!».
«Rick sapeva bene di non doversi impicciare nei miei affari e
adesso sa troppo,
sa cose che nemmeno il suo amichetto può immaginare, ancora.
Ma ora uno è
all’ospedale e l’altro è alla polizia...
io li voglio entrambi all’obitorio,
chiaro? Non devono parlare... e solo i morti non parlano.».
«Va bene capo, provvederemo.» rispose il ragazzo
avvicinandosi intimorito
all’uscita.
«Un’altra cosa, Lucas. Controlla quello sbirro,
quel Ben Jager. Ha aiutato il
ragazzo e la faccenda non mi piace nemmeno un po’.»
aggiunse l’uomo con un tono
che non ammetteva repliche.
«Certo capo, agli ordini.».
Le
cose iniziano a
complicarsi ed entra in scena il nostro “protagonista
cattivo”. Ho lavorato un
po’ sulla figura di quest’uomo, spero non vi
deluderà. Ma chi è? E cosa
nasconde?
Grazie a chi continua a seguirmi e a recensire, domani parto e
starò via per
una settimana ma appena torno aggiorno, promesso!
Grazie ancora e un bacio
Sophie :D
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Capitolo 5 *** Esplosione ***
«Buongiorno.»
fece
Semir entrando in ufficio con aria assonnata.
«Oh, buongiorno, ma guarda un po’ chi si
vede.» scherzò Ben «Pensavo non
arrivassi più!».
Il nuovo arrivato lo fulminò con uno sguardo e si
lasciò cadere pesantemente
sulla propria sedia passandosi una mano sugli occhi.
«Sembri distrutto socio, che ti è
successo?» domandò il più giovane
addentando
un’invitante brioche alla marmellata.
«È successo che la tua
principessina
ha visto bene di prendersi l’influenza
intestinale.».
«Ah, capisco.» sorrise Ben.
«Così Aida che stava male da una parte, Lily che
gridava dall’altra, ho passato
la notte in piedi.» spiegò il turco con uno
sbadiglio.
«Allora mi sa che qui ci vuole un caffè,
socio.».
«Anche doppio, vi consiglio.» esclamò
Susanne entrando senza bussare.
«Aiuto.» fece Semir «Hai news?».
«Sì, so chi è il padre adottivo del
ragazzo in coma.».
«E sarebbe?».
«Tenetevi forte... l’avvocato David
Hoffman.».
«Quel David
Hoffman?» domandò Ben quasi
strozzandosi con la brioche a causa della sorpresa.
«Eh già. È l’avvocato
penalista più bravo di tutta Colonia, dicono, e pare che
sia riuscito a togliere dai guai parecchi individui indagati per
omicidio o per
altri reati gravi.» spiegò la segretaria porgendo
agli ispettori alcuni
articoli.
«Un pezzo grosso.» commentò Semir
scorrendo rapidamente i fogli con lo sguardo.
«Già. Ha una villa su due piani in periferia, qui
c’è l’indirizzo.» disse
ancora Susanne posando sulla scrivania un post-it colorato.
«Andiamo a fargli visita, socio? Magari così ti
svegli.» propose Ben alzandosi
dalla sedia.
«Guarda che sono perfettamente attivo.»
controbatté Semir infilando il post-it
nella tasca dei pantaloni.
«Sì sì, non lo metto in
dubbio...».
Susanne rise davanti ad uno dei classici battibecchi tra i colleghi, a
cui
ormai era più che abituata «In effetti non sembri
troppo in forma, Semir.».
«Susanne, non ti ci mettere anche tu!».
«Va bene, va bene... Noi intanto qui al comando interroghiamo
ancora una volta
Thomas Heiss, vediamo se dice qualcosa.».
«Perfetto, noi andiamo. A dopo!» salutò
Ben e i due ispettori lasciarono il
distretto.
«Stanno
venendo qui,
David.» comunicò una voce femminile con freddezza.
«Sì lo so, lo so, è tutto sotto
controllo. Avranno un piccolo contrattempo
lungo la strada, ho tutto il tempo di mettere via tutto e chiudere il
laboratorio.».
Ingo
Swisse imboccò
l’A32 in direzione nord, come accadeva ormai tutte le mattine
da quasi otto
mesi. Era un ragazzo semplice ed era stato molto felice di aver trovato
quel
nuovo lavoro che gli permetteva di aver uno stipendio mensile fisso
anche se
piuttosto modesto. D’altra parte il suo ruolo consisteva
semplicemente nel
trasportare il latte pastorizzato da una centrale poco fuori Colonia ai
principali punti vendita della città.
Guidare non gli aveva mai pesato, ragione per cui aveva accettato la
proposta
piuttosto volentieri. E anche adesso che si trovava lì, in
autostrada di
ritorno dal suo giro di routine e quindi diretto verso la centrale, non
era
pentito di aver fatto quella scelta.
Certo, lo aveva sempre considerato un lavoro monotono e tranquillo.
Era soprapensiero quando si accorse di una macchina che gli correva
accanto
ormai da un bel pezzo senza accennare a voler superare ma anzi
mantenendo la
stessa costante velocità del camion che lui guidava.
Non vide tuttavia l’uomo che, sporgendosi dal finestrino
dell’auto, attaccò con
fatica una scatoletta al suo furgone. Non si accorse di nulla, non fece
nemmeno
caso alla brusca accelerata improvvisa della vettura.
Sentì solo il rumore.
Il rumore e poi solo fumo.
«Mapporca!
Ben, frena!»
gridò Semir vedendo il furgone saltare in aria davanti a
loro in autostrada.
Ben tentò di frenare, poi sterzò, ma perse il
controllo dell’auto subito dopo
aver udito il suono di uno sparo: qualcuno doveva aver sparato alle
gomme,
probabilmente dalle colline al limite della strada, con
un’arma di precisione.
«Semir, non la controllo più!»
urlò con quanto fiato aveva in gola.
Ma il suo grido si spense nell’aria non appena la macchina
andò a scontrarsi
con il camion ormai completamente arso dalle fiamme.
Un boato violento, centinaia di schegge di vetro sul viso, altri rumori
confusi... poi solo buio.
Ben
aprì gli occhi
pochi istanti dopo e si accorse di aver perso conoscenza, almeno per
qualche
secondo. Cercò di mettere a fuoco le immagini e
impiegò un po’ di tempo a
capire dove si trovasse: era all’interno della propria auto
di servizio.
Si portò una mano alla tempia e si ritrovò le
dita sporche di sangue.
Lentamente le immagini divennero più nitide e il giovane
ispettore riuscì a
scorgere il parabrezza totalmente distrutto davanti a sé,
l’airbag esploso e
soprattutto un camion in fiamme davanti alla propria auto.
Ricordando cosa fosse successo, finalmente si voltò verso la
propria destra: il
collega era seduto accanto a lui, la testa appoggiata sul sedile, il
viso
insanguinato, gli occhi chiusi.
«Semir...» chiamò Ben debolmente
«Semir...».
Ma il collega non sembrava dare cenni di vita.
Le fiamme correvano rapide verso di loro, seguendo una scia di liquido
chiaro,
benzina probabilmente, sparso sull’asfalto, che Ben solo in
quel momento notò.
Risvegliatosi del tutto, l’ispettore scese dalla macchina e
corse dal lato del
passeggero per tentare di tirare l’amico fuori di
lì prima che andasse tutto a
fuoco.
«Semir! Semir, maledizione, svegliati!»
urlò aprendo lo sportello e slacciando
velocemente la cintura del turco.
«Accidenti, Semir!» chiamò ancora, senza
ottenere reazioni.
La striscia di fuoco si avvicinava sempre di più, Ben
tentò di tirare fuori
dall’auto il collega ma con terrore si accorse che la
caviglia dell’amico era
bloccata all’interno dell’abitacolo.
Il fuoco lambiva ormai la targa anteriore della vettura.
Ben tirò, tirò con tutte le sue forze e
riuscì finalmente a liberare la gamba
dell’altro ispettore.
Lo fece uscire dalla macchina e lo trascinò
sull’asfalto, ancora incosciente.
Poi un rumore sordo squarciò il silenzio ed entrambi i
poliziotti vennero
scaraventati in aria da una forza indescrivibile.
Cominciano
i guai. Ma
ahimè, starò di nuovo via per una settimana a
partire da lunedì, quindi niente
capitoli ancora per un po’, a meno che non riesca ad
aggiornare ancora una
volta prima di partire, ma non prometto niente.
Grazie mille a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacio e buon
Ferragosto.
Sophie :D
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Capitolo 6 *** Sensazioni ***
Entrambi
gli ispettori
atterrarono rotolando sull’asfalto.
Non appena Ben fu di nuovo in piedi corse verso il collega steso a
terra, che
ancora non aveva ripreso conoscenza.
«Semir! Semir, svegliati, ti prego!».
Finalmente il piccolo turco aprì gli occhi tossendo
«B... Ben.».
«Ehi socio! Mi hai fatto prendere un colpo.».
Semir sorrise continuando a tossire «Gra...
grazie.» balbettò mettendosi seduto
a fatica.
Poi sul suo viso si dipinse una smorfia di dolore.
Automaticamente lo sguardo di entrambi si posò sulla
caviglia sinistra
dell’ispettore.
«Era incastrata.» spiegò Ben
«Devo aver fatto un po’ di forza per tirarla
fuori...».
«Un po’ di
forza?».
«Be’... un po’
tanta. Ma sempre
meglio che finire arrosto, no?» costatò il
più giovane alludendo alla macchina
che ancora bruciava insieme al furgone del latte a pochi metri di
distanza.
Ben aiutò l’amico a rimettersi in piedi.
«Mapporca!» imprecò Semir «Fa
male, non riesco ad appoggiarla.».
«Quante storie, si vede che stai invecchiando,
socio.» sorrise Ben dirigendosi
verso una macchina di servizio dei rinforzi che erano appena arrivati
insieme
ai soccorsi «Facciamo che guido io fino alla villa di
Hoffman, che dici?».
Il più giovane ricevette in risposta da Semir solo
un’unica eloquente occhiata.
Poi entrambi salirono sulla macchina e partirono.
La
villa dell’avvocato
era a dir poco imponente.
In una stradina secondaria ma facilmente raggiungibile
dall’uscita
dell’autostrada, immersa in un vasto giardino, si notava
facilmente tra le
altre piccole casette che la circondavano. Aveva i muri bianchi ed era
strutturata su due piani.
Ben parcheggiò la macchina su un marciapiede proprio
lì davanti e scendendo
dalla vettura rimase per un attimo fermo a fissarla.
«Mica male eh, socio.».
Semir storse la bocca in una smorfia a metà tra il
meravigliato e lo scettico
«Io mi ci perderei dentro.».
«Hai ragione, tu hai bisogno di qualcosa più su
misura...» scherzò il più
giovane dando al collega una pacca sulla spalla.
«Stai diventando un po’ troppo impertinente per i
miei gusti, ispettore Jager.»
lo rimproverò il turco tentando di mantenere
un’espressione seria ma scoppiò a
ridere pochi istanti dopo «Dai, suona ‘sto citofono
che sono curioso di conoscere
questo Hoffman.».
Ben obbedì e non appena schiacciò il pulsante del
citofono il piccolo
cancelletto di ferro si aprì davanti ai loro occhi.
I due poliziotti percorsero con circospezione il breve vialetto di
pietra che
li separava dall’ingresso dell’abitazione, Semir
zoppicando lievemente per via
della caviglia.
Non appena furono davanti al portone venne ad accoglierli una donna sui
trentacinque anni.
Bionda, i capelli perfettamente lisci le coprivano tutta la schiena e
sul suo
viso spiccavano due grandi occhi blu nei quali Ben si perse
immediatamente.
Tanto che Semir dovette dargli un’evidente gomitata sul
braccio per evitare che
il collega rimanesse lì imbambolato per tutto il tempo.
«Buongiorno, polizia autostradale, sono Gerkhan e questo
è il mio collega...».
«Jager.» lo interruppe Ben porgendo immediatamente
la mano alla ragazza «Ben
Jager.».
La donna si dipinse un sorriso scettico sulle labbra e non strinse la
mano
dell’ispettore.
«David ha preso una multa per caso? Sa, capita che a volte
vada un po’ di
fretta in autostrada.» disse invece con falsa cortesia,
dimenticando i saluti.
Semir si costrinse a non alzare gli occhi al cielo: ma
perché tutti rivolgevano
loro sempre la stessa identica, stupida domanda? In quindici anni di
servizio
ancora non ci si era abituato.
«No, guardi, in realtà vorremmo parlare
con...» ma ancora una volta il turco
venne interrotto dall’amico.
«Lei è la signora Hoffman?» chiese Ben
sfoderando uno dei suoi più bei sorrisi.
«No. Sono un’amica.» rispose lei
seccamente.
«Vorremmo parlare con il signor Hoffman, se per lei non
è un problema
naturalmente.» continuò il più giovane
senza smettere di sorridere.
La donna sparì per un attimo dalla loro visuale per andare a
chiamare il
padrone di casa, per il tempo necessario a Semir per lanciare al
collega
un’occhiataccia carica di significato «Ben, ti
ricordo che questa gente è
indagata.» sussurrò.
«E una non può essere bella e indagata?»
fu la disarmante risposta
dell’ispettore.
Semir non ebbe tempo di replicare che già la
“bella indagata” era tornata sulla
soglia.
«Potete accomodarvi.» disse senza abbandonare il
solito tono freddo e
distaccato che aveva mantenuto fin dall’inizio.
Ben e Semir entrarono quindi nell’ampio ingresso della villa,
ritrovandosi in
una stanza dalle pareti chiare e il pavimento di marmo, interamente
circondata
da quadri antichi ed indubbiamente di valore.
I due vennero condotti in un salotto che poteva misurare
all’incirca quanto tre
stanze di una casa normale. Vennero fatti accomodare su un divano ma
quasi
subito una figura scura fece ingresso nella sala.
Vestito impeccabilmente in giacca e cravatta, David Hoffman era una di
quelle
persone che incutono terrore fin dal primo sguardo. Alto e di media
corporatura, era un bell’uomo, sulla cinquantina, capelli
brizzolati e glaciali
occhi grigi.
«Buongiorno, ispettori.» esordì
stringendo la mano ad entrambi i poliziotti
«Sono David Hoffman, il proprietario della villa.».
Si sedette con calma di fronte a Ben e Semir, accavallando le gambe e
invitando
con un cenno la ragazza a sedersi accanto a lui «E lei
è Helen Luithild, mia
più fidata collega e carissima amica. In cosa possiamo
esservi utili?».
«Vede signor Hoffman, è una questione piuttosto
delicata.» cominciò Semir.
Quell’uomo lo infastidiva, c’era qualcosa di lui
che lo aveva colpito fin dal
primo istante.
«Se allude a Helen, ispettore, non si preoccupi,
può rimanere con noi.».
«Va bene. Mi ascolti, stiamo lavorando ad un caso piuttosto
bizzarro in questi
giorni. Un ragazzo è stato ferito sotto i nostri occhi
fuggendo da tre uomini
armati che sicuramente lo volevano morto, insieme ad un suo
amico...».
«Lei non ne sa niente ovviamente, è
così?» domandò Ben terminando la frase
al
posto del collega.
«Ci sono parecchi squilibrati in giro, lo so.» fece
l’uomo senza un velo di
preoccupazione negli occhi «Mi dispiace per questo povero
ragazzo ma non vedo
proprio come potrei aiutarvi.».
«Il ragazzo si chiama Rick Petersen...».
«Rick?» fece Hoffman mostrando
un’espressione sorpresa «Sono stato contattato
dall’ospedale, in effetti, ma i medici mi hanno parlato di un
“incidente” e io
non sono ancora riuscito a recarmi personalmente lì...
quindi si tratta di
criminali, non di un comune incidente».
Semir corrucciò la fronte: quell’uomo aveva saputo
del figlio adottivo in
ospedale e non aveva avuto il tempo di andarlo a trovare? Gli parve
assurdo e
la sua brutta sensazione cominciò a diventare sempre
più forte.
«Già, stiamo facendo il possibile per capire cosa
sia successo.».
«Comunque sia, continuo a non capire in quale modo potrei
esservi d’aiuto.»
replicò, atono.
«Magari rispondendo a qualche nostra domanda. Ha un
laboratorio, per caso?»
domandò Ben sporgendosi lievemente in avanti.
«Non capisco di cosa stia parlando. Un
laboratorio?».
«Un laboratorio con del materiale chimico, magari.»
precisò Semir senza però
guardare l’avvocato direttamente negli occhi.
«Mi occupo di legge, non di chimica, ispettore.».
«E scommetto che nemmeno il nome Thomas Heiss le dice nulla,
giusto?» chiese
ancora Ben, immaginando già la risposta.
«Mai sentito nominare.» disse infatti Hoffman senza
fare una piega.
Ben stava per porre un’altra domanda, ma si bloccò
non appena vide il collega
alzarsi in fretta dal divano.
«Bene, se non le dispiace, adesso dovremmo tornare al
comando, togliamo il
disturbo.» spiegò Semir velocemente.
«Di già? Non vi ho nemmeno offerto niente
ispettori, gradite un caffè?» domandò
l’avvocato, alzandosi anch’egli dalla poltrona,
seguito a ruota da Helen.
«No, la ringrazio. Andiamo Ben? Il capo ci aspetta al
comando.».
Ben balbettò un “sì” confuso
senza capire cosa stesse succedendo mentre Hoffman
assisteva alla scena quasi divertito.
«Helen, accompagni tu gli ispettori alla porta? Ispettore
Gerkhan, che cosa ha
fatto al piede, vedo che non cammina bene.»
domandò con falso interesse.
Semir gli lanciò un’occhiata incenerente
«Un incidente, signor Hoffman... pensi
un po’, proprio mentre stavamo venendo a trovare
lei.».
L’avvocato sorrise «Sono disgrazie che
capitano.».
«Già, capitano. Si tenga a disposizione per
favore.» concluse l’ispettore
aprendo la porta senza aspettare che fosse la donna a farlo.
«Sempre al vostro servizio.» sibilò
l’uomo prima di scomparire in un’altra
stanza.
Ben uscì seguendo il collega e rivolgendo un ultimo saluto a
Helen, che
ricambiò sempre con freddezza.
Poi entrambi si avviarono lungo il breve vialetto di pietra, diretti
alla
macchina.
Sono
tornata!
Ora basta vacanze, si lavora u.u Capitoletto di passaggio ma almeno
abbiamo
conosciuto questo Hoffman di persona...
Grazie mille per le recensioni, un bacio
Sophie :D
|
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Capitolo 7 *** Notizie inaspettate ***
Ben
raggiunse il
collega dalla macchina parcheggiata davanti alla villetta.
«Semir, si può sapere che ti ha preso?».
«Scusami, ma non ce la facevo proprio più a stare
dentro a quella casa.».
Il più giovane corrucciò la fronte senza capire,
mettendosi alla guida «Ma cosa
è successo?».
«Ma niente, solo mi infastidiva quel tipo.»
replicò Semir chiudendo lo
sportello «E comunque non ci avremmo cavato un ragno dal
buco.».
Ben mise in moto, perplesso.
«Ma sicuro che vada tutto bene?».
«Sì socio, davvero. Solo che il mio solito sesto
senso mi suggerisce di stare
lontano da quell’uomo.».
«Pensi che sia vero il racconto del ragazzo?».
«Oh sì.» rispose Semir «Penso
proprio di sì, questo Hoffman nasconde
qualcosa.».
La verità era che il poliziotto appena entrato nella villa
era stato
attanagliato da una bruttissima sensazione, come sempre quando qualcosa
non
quadrava, ma questa volta in particolare ancora più forte.
Non gli piaceva
quell’uomo ed era certo che prima o poi lui e Ben si
sarebbero trovati nei guai
a causa sua.
Come se non bastasse, era convinto di aver già visto questo
Hoffman da qualche
parte ma proprio non riusciva a ricordare in quale occasione…
Sospirò, e i suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo
del cellulare del
collega, che rispose mettendo il vivavoce e posando il telefono sulle
ginocchia.
«Sì, Jager.».
«Ben, sono Susanne!»
rispose la voce femminile
dall’altra parte.
«Susanne, news?» domandò il poliziotto
imboccando l’autostrada per raggiungere
il comando più in fretta vista la distanza tra
quest’ultimo e la villetta di
Hoffman.
«Sì.»
fece la segretaria con
decisione «Quel Thomas Heiss ha
parlato,
finalmente. Ha fatto il nome degli altri due uomini che inseguivano i
ragazzi
ieri nel bosco e la Kruger e gli altri si sono già
mobilizzati. Si trovano in
un capannone abbandonato il Weiss Straβe, li raggiungete
lì?».
«Certo, siamo vicini, sono appena entrato in autostrada ma
prendo la prossima
uscita.» rispose Ben mentre il collega sistemava il
lampeggiante sul tetto
della Mercedes.
«Ah Ben, un’altra
cosa!» continuò la
ragazza dall’altro capo del telefono «Sei
in vivavoce, Semir è lì con te?».
«Sì Susanne, ti ascolto.»
rispose Semir direttamente.
Si sentì un attimo di silenzio.
Il poliziotto corrucciò la fronte chiedendosi cosa la
ragazza dovesse dirgli di
importante. O forse avrebbe preferito che lui non sentisse qualcosa?
«Susanne, che succede?» domandò il
turco, preoccupato.
«Ecco, io... ho fatto una ricerca
sulle
possibili conoscenze di questo Heiss e... e poi abbiamo chiesto a lui
per
conferma e... insomma, sembra che...».
«Susanne, per favore, dimmi cosa hai scoperto.»
sbottò Semir senza troppe
cerimonie.
«Semir, sembra che Heiss conosca
Erik
Gehlen e che lo abbia incontrato ultimamente.».
La segretaria fece una pausa.
Semir sgranò gli occhi e rimase immobile, senza parole.
Erik Gehlen... no, non era possibile. Non poteva essere vero.
Ben vide l’amico sbiancare da un momento all’altro.
«Ohi, che succede?» sussurrò spaventato,
ma il collega non sembrò nemmeno
sentirlo.
«È impossibile. Gehlen è...
è morto sette anni fa...» mormorò
invece
l’ispettore rivolto a Susanne.
La segretaria sospirò rumorosamente «Sì,
lo credevo anche io, lo credevamo tutti. Ma a quanto pare non
è morto, Semir.
Gehlen è ancora in circolazione e Heiss ha avuto a che fare
con lui.».
«Polizia,
non
muovetevi!» gridò la Kruger entrando nel capannone.
In testa alla squadra di poliziotti che l’aveva accompagnata,
puntava davanti a
sé la pistola con fare deciso, pronta ad arrestare quei due
delinquenti.
I due uomini grandi e grossi che si trovavano all’interno
sussultarono vedendo
entrare la squadra e, colti di sorpresa, non provarono nemmeno a
difendersi.
I poliziotti li ammanettarono senza problemi e li fecero entrare nelle
volanti
per portarli dritti al comando, dove i due criminali sarebbero stati
sommersi
di domande.
Kim sospirò rimettendo a posto la pistola: era stato fin
troppo facile e ormai
per esperienza lei aveva imparato che se qualsiasi cosa risultava
troppo
facile, al novanta per cento dei casi significava che qualcosa non
quadrava. E
infatti aveva la netta sensazione che da quei due uomini non avrebbero
ottenuto
proprio niente.
Alzò le spalle avviandosi verso la propria vettura insieme a
Jenny, quando
sentì il rumore di un motore avvicinarsi e vide la Mercedes
di Jager
posteggiare davanti al capannone sollevando un gran polverone nel
piazzale
ricoperto di sabbia.
Ben scese dalla macchina seguito dal collega, sorpreso che
l’operazione di
cattura dei due criminali fosse già conclusa.
«Siete arrivati tardi, signori, e quei due non hanno posto
alcun tipo di
resistenza.» spiegò il commissario con un mezzo
sorriso, che ai due ispettori
suonò tanto come un sottile rimprovero.
«Eravamo alla villa di Hoffman e non abbiamo concluso
praticamente nulla.»
disse Ben mettendo il capo al corrente dei fatti «A parte che
l’avvocato non ha
ancora trovato il tempo di andare a
trovare suo figlio in ospedale e questa a me sembra già una
cosa sospetta.».
«Ma non è certo una prova che indichi che Hoffman
c’entri con questa storia.»
osservò con fredda logica la Kruger, aprendo lo sportello
della propria auto.
Ben fece una smorfia indecisa ed annuì, evitando di
contraddire il commissario che
quella mattina sembrava già essere fin troppo carica.
«Bene, ci vediamo al comando e interroghiamo questi due
energumeni.» concluse
Kim entrando in macchina senza dare tempo agli ispettori di replicare.
Semir e Ben fecero lo stesso ed entrambe le macchine si allontanarono
dal
polveroso piazzale del capannone.
All’interno
dell’auto
di Ben regnava un silenzio insolito mentre lui e il collega si
trovavano in
autostrada diretti al comando.
«Semir, ci vogliono ancora dieci minuti buoni di strada per
arrivare in
commissariato, e non ho alcuna intenzione di trascorrerli in religioso
silenzio.» cominciò il più giovane
«Mi spieghi cosa è successo, per
favore?».
«Niente.» rispose il poliziotto guardando
insistentemente fuori dal finestrino
nella speranza che il collega non lo tormentasse di domande.
Ma l’amico non sembrava aver intenzione di desistere.
«Come sarebbe niente? Chi è questo Gehlen, si
può sapere?».
«Non è nessuno Ben, lascia perdere.».
«Nessuno? Ma se sei sbiancato come un cadavere non appena
Susanne te l’ha
nominato!».
«Ben, per favore! È un criminale che pensavo fosse
morto e che invece a quanto
pare non lo è.» spiegò rapidamente
Semir.
Non gli andava di tirare fuori quella storia, non gli andava per
niente,
nemmeno con il suo migliore amico. Faceva ancora troppo male quella
ferita,
anche se risaliva a sette anni prima.
«Un criminale qualsiasi?» insistette Ben mettendo
la freccia per uscire
dall’autostrada.
«Sì, un criminale qualsiasi.»
annuì il turco con un sospiro.
«E dai socio! Ti conosco e si vede lontano un miglio che stai
mentendo! Chi è
questo benedetto Gehlen? Non farmi credere che sia un ladro di frutta
qualsiasi
perché non me la bevo.».
«Ben, per la miseria, ce la fai ogni tanto a farti gli affari
tuoi?» sbottò
Semir distogliendo finalmente lo sguardo dal grigio panorama al di
fuori del
finestrino.
Ben questa volta non rispose.
Si limitò a guardare l’amico senza capire e a
guidare in silenzio fino
all’ormai vicino commissariato.
Non
che questo capitolo
sia stato molto più movimentato ma piano piano
all’azione ci arrivo, promesso.
Per ora posso dirvi semplicemente che da questo momento inizia
l’incubo per
Semir e tra qualche capitolo verrà anche il momento del
nostro Ben...
Allora... chi di voi si ricorda chi sia questo Erik Gehlen? E non
ditemi
nessuno, per favore D:
Grazie a chi continua a seguirmi e in particolare Maty, Chiara, Furia,
Marti,
Reb e Miki per le recensioni!
Un bacio
Sophie :D
|
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Capitolo 8 *** Erik Gehlen ***
Erik
Gehlen.
Erik Gehlen! Più Semir ci pensava e più dentro di
lui montava una rabbia
incontenibile.
Erik Gehlen era ancora vivo! Eppure lui era sicuro. Lo aveva visto
morire
davanti ai suoi occhi sette anni prima.
Doveva essere successo qualcosa dopo. Probabilmente Gehlen non era
morto
davvero ma era solo stato gravemente ferito. Probabilmente era stato
curato e
poi qualcuno all’interno di un ospedale lo aveva coperto, lo
aveva aiutato a
fuggire.
Doveva interrogare Heiss. Se davvero lui lo aveva incontrato doveva
saperne di
più.
Entrò al comando come una furia senza più degnare
di uno sguardo Ben, che lo
guardava senza capire, ancora colpito dalla rispostaccia che
l’amico gli aveva
lanciato poco prima in macchina.
Semir si catapultò nella stanza degli interrogatori senza
nemmeno prima passare
da Susanne a chiedere spiegazioni, o dalla Kruger a riferire cosa la
segretaria
avesse scoperto.
Entrò semplicemente nella stanza semibuia, trovando Thomas
Heiss seduto come lo
aveva lasciato qualche ora prima, con un mezzo sorriso strafottente
dipinto sul
viso.
«Heiss.» esordì il poliziotto giungendo
dritto al punto «Mi parli di Gehlen.».
Heiss sorrise.
«Gerkhan, ancora non si ricorda di me? Certo, il povero
spacciatore. Niente in
confronto ad un uomo come Gehlen vero? Di lui non ci si dimentica
facilmente.
Eppure pensi, c’ero anche io quella notte, sotto quel
temporale.».
Il criminale fece una pausa e Semir si ritrovò spiazzato,
catapultato in una
frazione di secondo nel passato, in un passato che aveva sempre cercato
di
dimenticare senza mai riuscirci.
Improvvisamente si ritrovò davanti a
quell’edificio, al buio, quel buio
intervallato solo dalla luce abbagliante dei lampi.
Improvvisamente sentì la pioggia sul suo viso, rivide la
cerchia di uomini a
pochi metri da lui, la ragazza straniera stesa a terra.
E poi risentì quello sparo...
«Eh sì, Gerkhan.» la voce
dell’uomo che aveva seduto davanti lo riscosse
«C’ero
anche io quella notte. È un peccato che sia finita
così, non trova? Ma d’altra
parte, far innervosire il mio capo è stata veramente una
grande stupidaggine da
parte sua e del suo collega.».
«Gehlen era il suo capo?» domandò Semir
tentando di mantenere la calma.
Heiss annuì.
«Ed è ancora vivo?».
Annuì ancora.
«Dove si trova?».
«Non lo so.» rispose l’uomo ancora con
quel sorrisino stampato in faccia.
L’ispettore chiuse gli occhi e sospirò. Doveva
rimanere calmo.
«Non lo sa?».
«No.».
«E quand’è stata l’ultima
volta che l’ha visto?».
«Due settimane fa.» fece Heiss con aria compiaciuta
«Mi vendette della roba. Eh
sì, dopo quella brutta faccenda Gehlen abbandonò
quel traffico di ragazze, sa?
Preferì dedicarsi alla droga, un ambiente più
sicuro, mi ha detto. D’altra
parte con il padre a marcire in prigione non avrebbe mai potuto
ricominciare ad
occuparsi di qualcosa di più consistente.».
«Ah sì? E mi dica, ha ancora il vizio di uccidere
poliziotti se gli capitano a
tiro?» sibilò Semir stringendo i pugni fino a
farsi male.
Thomas alzò le spalle sogghignando «Può
darsi Gerkhan, può darsi... perché non
glielo chiede di persona?».
«Oh sì, lo farò con molto piacere non
appena lo avrò tra le mani, glielo
assicuro.».
L’uomo rise divertito «Non so dove si trovi ma so
che anche lui adesso lavora
per il mio capo, di cui però non conosco il nome.
L’ho scoperto solo due
settimane fa in realtà, l’ultima volta che
l’ho visto. Non è facile trovarsi
tra di noi, d’altra parte, il mio capo ha molti
“dipendenti” e nessuno conosce
il suo vero nome. Si fa chiamare il
Giaguaro.».
Semir annuì, senza nemmeno sapere perché
quell’uomo, seppur con il solito
sorriso di scherno stampato in faccia, lo stesse aiutando.
«Dove lo ha visto l’ultima volta?».
«Deizt Straβe, 11. È un casermone
abbandonato, ma non conti di trovarlo lì.».
Il poliziotto fece per uscire dalla stanza ma poi ritornò
sui suoi passi per
porre ad Heiss un’ultima domanda.
«Ha idea di come sia sopravvissuto?».
«Io non ho idea Gerkhan,
io so. Come le ho detto, ero
presente anche
io quella notte, quando il suo collega ha tragicamente perso la vita...
ed ero
presente anche quando lei e quel Ritter avete provato a farlo fuori. In
verità
il medico legale che ha accertato più tardi la sua morte era
un nostro amico,
sa? Faceva parte della nostra squadra. Poi io ne sono uscito e tutta la
banda
si è sciolta, con il capo in galera e il figlio moribondo
cosa poteva accadere
altrimenti? Ma Erik si ristabilì, grazie alle cure costanti
di questo medico.
Ci volle del tempo, aveva riportato delle brutte ferite... ma ce la
fece.»
spiegò il criminale con estrema calma.
«E il nome del medico?».
«Spera davvero che io glielo riferisca?».
In un moto di rabbia Semir prese Heiss per il colletto della camicia
che
indossava e lo fece alzare dalla sedia, sbattendolo poi violentemente
contro il
muro «Dimmi come si chiama il medico.».
«Norman Weber.» mormorò l’uomo.
L’ispettore mollò la presa ed Heiss cadde a terra.
«Grazie.» fece quindi uscendo dalla stanza e
chiudendosi la porta alle spalle.
Ad
attenderlo fuori
trovò Ben, le braccia incrociate e lo sguardo cupo puntato
su di lui.
«A questo punto vorrei delle spiegazioni.» disse,
con una punta di stizza nella
voce.
Semir scosse il capo «Ben...».
«Ben un accidente!» quasi gridò il
più giovane, cominciando a perdere la
pazienza «Si può sapere perché tutte le
sante volte che io ho un problema tu
sei sempre qui per aiutarmi e se il problema ce l’hai tu io
non posso nemmeno
sapere di che cosa si tratta?».
«Io no ho un problema!».
«Sì che hai un problema.»
affermò Ben con decisione, prendendo il collega per
una manica e trascinandolo nel loro ufficio, chiudendo la porta
«Quindi adesso
ti siedi e me ne parli.».
Semir sbuffò ma poi entrambi si sedettero.
«Quell’uomo è l’assassino di
Tom.» disse l’ispettore tutto d’un fiato.
«Tom Kranich?».
«Sì, Tom Kranich.».
Il più giovane annuì. L’amico gli aveva
parlato ogni tanto dei suoi ex colleghi
e sicuramente quello che gli aveva nominato più spesso era
stato Tom. Doveva
essere stato davvero molto legato a lui, più che a ogni suo
altro compagno di
squadra.
«Credevo che fosse morto, quel bastardo, e invece a quanto
pare è ancora vivo.
Maledetto, giuro che se lo trovo lo faccio pentire di essere
sopravvissuto!»
fece Semir sbattendo con rabbia un pugno sul tavolo.
Ben sospirò «Semir, capisco come ti senti, ma
adesso calmati e raccontami cosa
è successo.».
«No, non penso proprio che tu capisca. Perché
è difficile capire come ci si
sente quando ti uccidono il migliore amico che tu abbia mai avuto
davanti agli
occhi. Era la persona migliore che io avessi mai conosciuto e quel
bastardo lo
ha ucciso così, a sangue freddo! E io non sono arrivato in
tempo. E adesso
scopro che non sono nemmeno stato in grado di farlo fuori, quel
maledetto!» il
poliziotto era un fiume in piena. Era arrabbiato, furioso, sia con
Gehlen sia
con se stesso. Aveva le lacrime agli occhi ed era sicuro che in quel
momento
avrebbe spaccato qualunque cosa gli fosse piombata tra le mani da tanto
era nervoso.
«Semir, se è ancora vivo lo prenderemo ma se vuoi
che proviamo a ragionare su
cosa possa essere successo devi calmarti, va bene?».
«Scusa, Ben. Non volevo prendermela con te, neanche prima in
macchina, è che
quando ho sentito il nome di Gehlen non ci ho visto
più.».
«Non ti devi scusare, ora però ragioniamo. Ho
ascoltato quello che ti ha detto
Heiss di là, cerchiamo di capire chi sia il Giaguaro, va
bene?» propose il più
giovane sperando di trasmettere un po’ di positivismo
all’amico.
«Deve essere Hoffman.».
«Hoffman?».
«Sì, Hoffman è il Giaguaro. Te
l’ho già detto, quell’uomo non mi piace
e sono
sicuro di averlo già visto da qualche parte... deve essere
lui.» affermò Semir
con sicurezza.
Ben
uscì dal
commissariato per prendere un po’ d’aria e si
appoggiò al cofano della propria
Mercedes.
Guardò l’orologio: le 16.21. Erano passate quasi
tre ore da quando erano
arrivati al comando e in tutto quel tempo lui e Semir avevano provato a
ragionare sul nuovo caso senza ottenere nulla. Dovevano mettere insieme
la
figura di Hoffman con quella del Giaguaro, con la vicenda dei due
ragazzi e con
i due energumeni che avevano trovato al capannone e che ancora non
avevano
pronunciato verbo. In più era riemerso dal passato anche il
fatto di Gehlen e
di Tom Kranich, che aveva gettato Semir nella confusione più
totale.
In tutto questo Ben cominciava ad avvertire la stanchezza e aveva
sentito il
bisogno di uscire un attimo per schiarirsi le idee.
Sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni e lo
tirò fuori scorgendo
sul display un numero sconosciuto.
Rispose con un ché di esitazione nella voce.
«Sì, Jager.».
«Jager? Sono Helen Luithild.».
Ed
ecco svelato chi è
Gehlen a chi non se lo ricordava: l’assassino di Tom Kranich,
il personaggio
che più di tutti ho odiato all’interno
dell’intera serie tv. Ma cosa c’entra
quest’uomo con la faccenda di Hoffman? Nel frattempo entra in
scena anche
Helen...
Grazie mille a chi continua a seguirmi e a recensire, come vedete sto
aggiornando piuttosto in fretta perché come avevo anticipato
questa storia è
stata scritta parecchio tempo fa, due anni circa, quindi devo solo
rivederne i
capitoli, aggiustarli un po’ e creare i banner iniziali!
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 9 *** Vediamoci ancora ***
Ben
rimise in tasca il
cellulare, frastornato.
Sentiva il cuore battere all’impazzata ed era agitatissimo.
Helen lo aveva appena
chiamato. Quella fredda e bellissima ragazza che aveva visto la mattina
in casa
di Hoffman gli aveva appena telefonato dicendo di aver bisogno di
vederlo
urgentemente e di aver avuto il suo numero grazie ad un biglietto da
visita che
lui aveva lasciato sul tavolino dell’ingresso quando era
passato la mattina
stessa. Biglietto da visita che, tra l’altro, Ben non
ricordava assolutamente
di aver lasciato alla villa.
Si guardò intorno senza sapere bene cosa fare e poi compose
in fretta il numero
di Semir per dirgli che aveva una faccenda urgente da sbrigare e che
sarebbe
tornato al comando poco dopo, chiedendogli di coprirlo in caso la
Kruger avesse
chiesto qualcosa.
Poi entrò in macchina e partì con una sgommata.
Peter
Turner si
avvicinò al comando dell’autostradale con il cuore
in gola.
Quando aveva saputo che il figlio Henry e l’amico si erano
cacciati nei guai
era entrato subito in agitazione e aveva cercato un modo per aiutarli.
Alla fine, poi, aveva deciso che avrebbe parlato. Lui sapeva alcune
cose sul
conto del padre di Rick, David Hoffman, e le avrebbe riferite alla
polizia pur
sapendo di assumersi un grosso rischio. Infondo sapeva che parlare
sarebbe
stato l’unico modo per aiutare veramente i due ragazzi ma
aveva una paura
terribile che Hoffman venisse a sapere della sua confessione e lo
facesse
uccidere. Perché quell’uomo era capace di tutto...
Eppure avrebbe parlato. Perché valeva di più la
vita di due giovani ragazzi
piuttosto che la sua, quella di un uomo di sessant’anni che
aveva taciuto per
troppo tempo.
Sulla soglia del commissariato incontrò una donna che stava
rientrando e la
riconobbe subito. L’aveva già vista in
televisione, in qualche occasione,
durante qualche intervista. E il figlio gli aveva parlato di lei
dicendogli che
durante la sua deposizione lo aveva aiutato e non aveva tenuto
assolutamente
conto della sua precedente fuga dall’ospedale.
Kim Kruger.
Peter fece l’errore di fermarla lì, prima di
entrare nell’edificio. Fece
l’errore di cominciare a parlarle, ignorando la donna che
insistentemente lo
invitava ad accomodarsi nel suo ufficio all’interno del
comando.
Nominò Hoffman, ma lo fece lì.
Nel parcheggio, davanti alla soglia del commissariato.
E fu un errore grande, troppo grande.
Perché lo nominò, e poi non ebbe il tempo di
accorgersi di nient’altro: vide a
stento il furgone nero passare davanti a lui e non sentì
nemmeno il rumore
dello sparo da quanto era agitato e concentrato nel parlare.
Udì solo le grida del commissario di fronte a lui.
Poi dolore e solo buio.
La
Kruger vide
l’anziano signore cadere a terra davanti a lei e
gridò con quanto fiato aveva
in gola, rendendosi conto nell’esatto istante che non sarebbe
servito a nulla.
Si chinò sull’uomo esanime, provando a rianimarlo
e chiamò in fretta
un’ambulanza, ma il sangue che rapidamente si espandeva sul
pavimento sotto il
suo corpo inerme e il polso completamente fermo non lasciavano alcun
dubbio: il
padre di Henry Turner era morto sul colpo.
«Capo, che succede?» gridò Semir
catapultandosi fuori dal commissariato accanto
al suo superiore, dopo aver sentito il suono dello sparo.
«Quel furgoncino nero Gerkhan, lo segua!»
esclamò concitata la Kruger e
l’ispettore salì svelto sulla propria BMW.
Partì con una sgommata e seguì il furgone per le
trafficate strade di Colonia
ad una velocità folle, sperando che i rinforzi si
sbrigassero a raggiungerlo.
La vettura da cui avevano sparato si dirigeva verso
l’autostrada a tutta
velocità, superando macchine, sfondando cartelli e incutendo
terrore per le
strade interne della città.
Non durò molto l’inseguimento.
Terminò pochi istanti dopo, quando nella foga di scappare il
piccolo furgone
travolse una signora che stava attraversando la strada e Semir fu
costretto a
fermarsi per soccorrerla.
L’ispettore scese in fretta dalla macchina e raggiunse la
donna chiamando nel
frattempo un’ambulanza.
Non sapeva se dentro quel furgone ci fosse Gehlen o meno, non poteva
saperlo.
Ma sapeva che comunque fosse lo avrebbe trovato, anche andando in capo
al
mondo, ma lo avrebbe trovato.
Ben
scese dalla
macchina e si guardò intorno, inquieto.
Aveva raggiunto il luogo dove la ragazza gli aveva chiesto di
raggiungerlo, un
piazzale di un parco giochi poco lontano dal centro della
città.
Non c’era nessuno, il luogo era totalmente deserto e
l’ispettore cominciò a
pensare di essere stato preso in giro.
Poi però la vide.
Vide Helen avvicinarsi lentamente a lui ed ebbe il tempo di studiarne
con lo
sguardo tutta la figura. Bionda, alta e snella, era una delle donne
più belle
che Ben si ricordasse di avere mai visto, e sicuramente non aveva avuto
a che
fare con poche ragazze.
«Ciao.» esordì lei semplicemente, con un
sorriso che niente aveva a che vedere
con la freddezza che la mattina stessa la donna aveva mostrato a casa
di
Hoffman.
«Ciao.» rispose il poliziotto, un po’
imbarazzato.
«Scusa se ti ho chiamato, magari ti ho disturbato.».
«Nessun disturbo.» replicò Ben con un
sorriso.
«È che volevo... non è che potremmo
fare due passi nel parco?» domandò Helen
con aria innocente.
L’ispettore annuì senza nemmeno pensarci e i due
cominciarono a camminare,
insieme.
Superato l’imbarazzo iniziale, finirono per parlare del
più e del meno come se
si fossero conosciuti molti anni prima.
Nessun accenno a Hoffman o alla visita dei poliziotti in mattinata.
Parlarono, risero, scherzarono e Ben si dimenticò totalmente
del comando,
dell’indagine, del fatto che la persona con cui stava
parlando era proprio
quella “bella indagata” di cui avevano discusso la
mattina stessa lui e il suo
collega. Non si chiese nemmeno la reale motivazione di quella
telefonata, pur
trovando strano che una sconosciuta gli chiedesse di fare una
passeggiata così,
fine a se stessa.
Passeggiarono e senza che nemmeno se ne accorgessero scoprirono che si
erano
fatte le sei del pomeriggio.
«Devo andare.» sussurrò lei
avvicinandosi pericolosamente al viso
dell’ispettore «Ma vediamoci ancora.».
Ben si immerse in quegli enormi occhi blu come gli era successo la
prima volta
che l’aveva incontrata. Ma questa volta era diverso:
perché quegli occhi non
sembravano più appartenere ad un viso gelido e distaccato ma
anzi al volto più
dolce e angelico del mondo.
«Si... vediamoci ancora.» sussurrò a sua
volta, avvicinandosi sempre di più.
Poi le loro labbra si incontrarono in un bacio che Ben non avrebbe
dimenticato
tanto facilmente.
E
fu così che Ben si
prese una cotta per la “bella indagata”. Il padre
di uno dei due ragazzi
inseguiti nel bosco ha deciso di parlare ed è stato ucciso,
segno evidente che
Hoffman c’entra qualcosa in questa storia. In più
sono in arrivo incomprensioni
e litigi...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacione!
Sophie :D
|
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Capitolo 10 *** Incomprensioni ***
Semir
alzò lo sguardo
dai fogli che stava leggendo incontrando quello di Ben che era appena
rientrato
nell’ufficio.
«Ma che fine avevi fatto?».
«Scusami...» balbettò il più
giovane, indeciso se raccontare o no al collega
cosa fosse successo, sicuro che lui non avrebbe approvato
«Avevo una faccenda
da sbrigare.».
«Peter Turner, il padre del ragazzo che era venuto a casa tua
a parlarti, è
stato qui.» raccontò Semir «E non ha
avuto nemmeno il tempo di nominare Hoffman
che è stato fatto fuori, qui, davanti al comando, appena
dopo che te ne sei
andato.».
«Scherzi?» fece Ben, sorpreso. Si sedette alla
scrivania con un sospiro «Almeno
è riuscito a dire qualcosa di utile per
incastrarlo?».
«Macchè.» sbuffò il turco
«Ha solo accennato a certi “affari
loschi” ma non ha
avuto il tempo di dire nient’altro. Vedi che Hoffman nasconde
qualcosa?».
«Sì Semir, ma continuiamo a non avere
prove.».
«Ben, cosa c’è che mi devi dire e che
non mi dici?» domandò Semir cambiando
discorso, dopo un attimo di silenzio.
Il più giovane sussultò. Era impressionante come
l’amico ormai gli leggesse
dentro, gli parve di essere diventato totalmente trasparente. Come
faceva a
capire tutte le volte che c’era qualcosa che non andava o che
gli nascondeva?
«Ecco... io... ho visto Helen.».
«Helen chi?».
«Helen la collega di Hoffman.».
Semir strabuzzò gli occhi «Come sarebbe
“l’hai vista”?».
«L’ho... incontrata. Mi ha chiesto se potevamo
vederci e l’ho incontrata al
parco.».
«Voleva parlarti di Hoffman?».
«No...» mormorò Ben trovandosi
improvvisamente alquanto in imbarazzo «In realtà
non penso che volesse dirmi nulla di particolare, abbiamo fatto una
passeggiata
e... be’, è simpatica e intelligente e
poi...».
«No, no, aspetta Ben, frena.» lo bloccò
il collega abbandonando definitivamente
sulla scrivania i fogli che stava leggendo «Mi stai dicendo
che hai incontrato quella
donna così, per piacere, e che sei anche stato bene con
lei?».
Il più giovane annuì.
«Ah fantastico, innamorati anche di lei già che ci
siamo, adesso!».
«Socio, guarda che non è come sembra! In
realtà lei è dolce, carina, allegra
e...» tentò di spiegare Ben prima di essere
interrotto dal collega.
«Carina, dolce e allegra? Ma Ben, è
un’indagata!».
«E se a me piacesse un’indagata?».
«A volte penso che tu il cervello proprio non ce
l’abbia.» commentò Semir
tornano a guardare i suoi fogli.
«Certo, io sono sempre quello senza cervello che va con la
prima che capita,
vero?» sbottò Ben alzando leggermente la voce,
cominciando ad innervosirsi.
«Possibile che tu proprio non sia in grado di
ragionare?» rincarò il turco
«Quella Luithild o come cavolo si chiama è una
criminale! È come Hoffman, ma
non l’hai vista? Ti sta usando, svegliati!».
«Non mi sta usando, porca miseria! Ma cosa ne sai tu? Sono
abbastanza adulto da
sapere in quali storie imbarcarmi e in quali no.».
«Certo, come no, si vede. Infatti le tue storie non durano
mai più di tre
mesi.» si ritrovò a gridare Semir «E
comunque non è questo il discorso. Io ti
ho dato un consiglio, poi ad un certo punto fai un po’ quello
che vuoi Ben, non
so cosa dirti e francamente adesso ho altro a cui pensare piuttosto che
alla
tua nuova amichetta.».
«Certo che faccio quello che voglio, non ti
preoccupare.» concluse Ben, ormai
su tutte le furie «Tanto giustamente hai altro a cui pensare
no? Continua
tranquillamente a pensare a come poter vendicare un morto, ma io con
questa
storia non c’entro! E se sei nervoso per la faccenda del tuo
ex collega che non
sei riuscito a salvare, non venire a prendertela con me,
perché mi sono
veramente stufato di sentirmi trattare così. Sfogati un
po’ con qualcun altro,
per favore!».
Ben uscì dall’ufficio sbattendosi alle spalle la
porta a vetri e lasciando il
collega solo nella stanza.
Erano
le otto e mezza
passate quando Ben scese dalla sua Mercedes dopo averla parcheggiata
davanti a
casa.
Era stanco, aveva passato una giornata pesante e la lite con Semir gli
aveva
dato il colpo di grazia. Odiava litigare con l’amico, ma quel
giorno si era
sentito veramente trattato male e la cosa gli aveva dato fastidio.
Poteva
capire che il collega fosse nervoso per la faccenda di quel Gehlen, ma
perché
doveva rimetterci lui?
Fece per varcare la soglia di casa tormentato da questi pensieri quando
una
voce che lo chiamava lo costrinse a voltarsi.
Il poliziotto rimase letteralmente pietrificato a guardare la
bellissima figura
che gli era appena apparsa davanti, meravigliato e felice allo stesso
tempo.
Helen Luithild era davanti alla sua porta di casa, vestita con un abito
leggero
scintillante e un sorriso spettacolare stampato sul volto.
«Helen.» riuscì a mormorare, prima che
lei gli si avvicinasse e, con un bacio,
lo spingesse dentro casa chiudendosi la porta alle spalle.
Nel
frattempo, a
qualche chilometro di distanza, anche Semir stava tornando a casa.
Aveva il cuore pesante e la testa affollata da mille pensieri che non
volevano
smettere di tormentarlo. In più la stanchezza già
accumulata dal giorno prima e
dalla notte precedente passata in bianco cominciava a farsi sentire.
«Andrea, sono a casa!» annunciò aprendo
la porta e la moglie lo accolse con un
sorriso.
«Come sta Aida?».
«Eh, insomma.» fece Andrea con un filo di
preoccupazione nella voce «È stata
male per tutto il giorno e le si è anche alzata la febbre.
Le ho dato la
medicina e adesso ha 38 di febbre, sta dormendo.».
Semir sospirò sedendosi sul divano.
«Comunque sarebbe meglio che dormisse da noi stanotte, almeno
non sta sola in
camera e non attacca l’influenza a Lily. Ma tu? Tutto
bene?» continuò la donna
sedendosi accanto al marito.
«Una favola.» ironizzò il poliziotto,
poi raccontò tutto alla moglie.
Le raccontò dell’incidente di quella mattina, di
Hoffman, di Gehlen e dei suoi
sospetti.
«E come se non bastasse ho anche litigato con Ben,
è uscito con l’amica di
Hoffman e se va bene tra due giorni dirà di esserne
innamorato... ma si può
essere così immaturi?».
«Ben non è affatto un immaturo, e tu lo
sai.» lo difese Andrea «E tu hai avuto
una pessima giornata e penso che prenderesti a schiaffi chiunque ti
capitasse a
tiro, quindi è meglio se domani tu e lui vi chiarite con
calma, no?».
Semir annuì, non troppo convinto.
«Adesso ascoltami, ceniamo e poi tu vai a dormire e se Aida
si sveglia e non si
sente bene ci penso io, okay?» propose comprensiva la donna.
«Andrea, non sono così grave.»
replicò ridendo l’ispettore «E le
bambine sono
più importanti di qualsiasi altra cosa, quindi per loro
passo anche volentieri
la notte in bianco.».
Entrambi sorrisero e poi rimasero per alcuni istanti stretti
l’uno all’altra
sul divano.
Almeno fino a quando la vocina squillante di Lily non li raggiunse
accompagnata
da un gridolino di felicità «Papà,
papà, sei tornato? Vieni, ti devo far vedere
un gioco nuovo che mi ha regalato la nonna... vieni, presto!».
E la piccola Gerkhan salì le scale di corsa assicurandosi
che il padre la
stesse seguendo.
Ed ecco
che come preannunciato cominciano le incomprensioni tra i due colleghi.
In più
questa Helen sembra voler entrare il più velocemente
possibile nella vita di
Ben...
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio!
Sophie :D
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Capitolo 11 *** Appuntamenti ***
Ben
entrò in ufficio
arrivando straordinariamente in orario e si sedette subito alla propria
scrivania. Notando la sedia vuota di fronte a lui sorrise, era la
seconda
mattina di seguito che batteva il suo socio in fatto di
puntualità.
Ora era dispiaciuto per la loro discussione della sera prima e sperava
che si
sarebbero riconciliati in fretta. Perché probabilmente se
anche lui avesse
scoperto in circolazione l’assassino di un suo amico si
sarebbe comportato allo
stesso modo.
Accese il computer, proponendosi di fare una piccola ricerca su Helen
Luithild
e capire di chi si trattasse davvero. Quando la sera prima
l’aveva trovata
davanti a casa sua era rimasto senza parole e poi i due avevano
trascorso la
notte insieme.
Era stata una notte a dir poco indimenticabile e in cuor suo il giovane
ispettore sperava che quello fosse l’inizio di una vera
storia.
Era rimasto però anche un po’ turbato. Poco prima
di andarsene, la mattina
stessa, Helen gli aveva confidato una cosa che lui non avrebbe dovuto
riferire
a nessuno per motivi di sicurezza.
Lei era un’agente sotto copertura.
La ragazza gli aveva spiegato di essere un’agente
dell’LKA, e di lavorare sotto
copertura proprio alla villa di Hoffman. La polizia criminale indagava
su
quell’uomo già da tempo e lei era incaricata di
tenerlo strettamente sotto
controllo per avvisare i colleghi in caso trovasse qualche prova in
grado di
incastrarlo. Per cosa, Ben non lo sapeva. Helen non aveva voluto
rivelargli il
motivo dell’indagine su Hoffman e si era limitata a dirgli
che si sarebbero
rivisti e gli avrebbe dato alcune informazioni sul suo conto, se ne
avesse
avute.
Poi lo aveva lasciato così, come era apparsa la sera prima
così era sparita.
Ben sospirò, leggermente preoccupato. Conosceva quella
ragazza da poco meno di
ventiquattro ore ma già sentiva di essersi profondamente
affezionato a lei e la
paura che potesse accaderle qualcosa per via della sua operazione di
polizia a
stretto contatto con Hoffman lo schiacciava ogni secondo di
più.
Semir
parcheggiò la sua
BMW sotto il comando ma non scese subito dalla macchina.
Guardò l’orologio: era di nuovo in ritardo, lui
che era sempre arrivato anche
prima dell’inizio del turno. Il fatto era che di nuovo aveva
perso la notte per
via di Aida e della sua influenza, e quando finalmente
all’alba era riuscito ad
addormentarsi era stato tormentato dagli incubi.
Sospirò e scese dall’auto chiudendo lo sportello.
Avrebbe chiarito con Ben, odiava litigare con l’amico e gli
dispiaceva averlo
trattato male il giorno prima. Eppure c’era una frase che il
collega gli aveva
urlato in faccia durante la discussione che non avrebbe dimenticato
molto in
fretta.
Continua tranquillamente a pensare a come
poter vendicare un morto, ma io con questa storia non c’entro!
Le parole dell’ispettore più giovane
risuonavano in continuazione nella
testa di Semir, senza dargli pace. Vendicare
un morto... ma era forse sbagliato voler a tutti i costi
arrestare
l’assassino di quello che era stato il suo migliore amico?
Comunque fosse, avrebbe preso la frase alla lettera. Avrebbe lasciato
cadere il
discorso di Tom e avrebbe indagato su Hoffman e sul caso dei due
ragazzi, poi
avrebbe pensato a Gehlen da solo, senza il collega.
Entrò in ufficio e si stupì di trovare Ben
già seduto al lavoro.
«Buongiorno.» fece entrando nella stanza e
chiudendosi la porta alle spalle.
Il più giovane chiuse frettolosamente il sito su cui stava
cercando le
informazioni su Helen prima di salutare l’amico
«Buongiorno socio. Senti,
scusami per ieri sera, io non volevo...».
Ma le scuse vennero interrotte subito da Semir, che si sedette
tranquillo di
fronte a lui «Lascia perdere, Ben, ho sbagliato io.
Occupiamoci del caso dei
ragazzi e lasciamo perdere il resto, va bene?».
Ben lo guardò sconcertato «E Gehlen?».
«Gehlen è un caso a parte, no? Anche se fosse
collegato a Hoffman per qualsiasi
motivo, comunque non c’entra con la storia dei due ragazzi,
quindi a lui
penseremo se e dopo che avremo risolto il nostro caso.».
L’ispettore annuì poco convinto, chiedendosi nel
frattempo se dire o no
all’amico ciò che gli aveva riferito Helen. Non
aveva voglia di litigare di
nuovo, ma sentiva che il suo collega dovesse esserne al corrente.
«Semir... ho rivisto Helen, ieri sera.»
mormorò.
Semir non poté trattenersi dall’alzare gli occhi
al cielo «E che è successo?»
domandò.
«Mi ha detto di essere un’infiltrata. Sta lavorando
fianco a fianco con Hoffman
per controllarlo, lei è un agente
dell’LKA.».
«Quella lì una poliziotta?».
Questa volta fu Ben ad alzare gli occhi al cielo
«”Quella lì” ha un nome,
Semir.».
«E tu credi veramente che stia lavorando sotto
copertura?».
«Perché no?» replicò il
più giovane «Non mi ha voluto dire molto,
però mi è
sembrata sincera.».
Semir annuì.
Ma poi improvvisamente gli tornò in mente il colloquio con
Hoffman alla villa,
la mattina precedente.
Lei è Helen Luithild, mia
più fidata
collega e carissima amica.
«Ti ha mentito.» sussurrò ad un tratto,
tanto piano che il collega nemmeno
sentì.
«Cosa?» fece infatti Ben, corrucciando appena la
fronte.
«Ti ha mentito!» ripeté quindi Semir ad
alta voce «Hoffman ci ha detto che
quella ragazza è la sua collega più fidata e una
carissima amica! Come è
possibile? Prima di dire una cosa del genere di una persona devi
conoscerla
almeno un po’.».
«Magari questa operazione sotto copertura va avanti da
tempo.» provò a
giustificarla l’ispettore.
«O magari tu ti sei invaghito della “bella
indagata” e adesso non sai più
essere obiettivo.» sottolineò invece Semir
«Pensaci: lei ci accoglie alla villa
con aria freddissima, durante il colloquio non dice una parola e viene
trattata
da Hoffman come se si conoscessero da una vita. Poi ti chiama, vi
vedete così,
per fare una passeggiata e poi torna da te la sera stessa dicendoti di
essere
un’agente sotto copertura ma senza spiegarti nulla riguardo
il caso a cui
lavora. Non sta in piedi!».
«Ma perché no?» replicò Ben.
«Ben, se tu fossi un infiltrato in qualche banda criminale
andresti a dire alla
prima ragazza che vedi “Sai, sono un poliziotto sotto
copertura”? E poi
scusami, a te si è presentata come Helen Luithild, no? Se un
agente è sotto
copertura ha un nome falso, e allora perché non rivelarti
anche il suo vero
nome?».
Ben annuì. Il collega aveva perfettamente ragione, qualcosa
non quadrava. Ma
lui non aveva pensato il giorno prima a tutte quelle
possibilità, preso com’era
dal suo nuovo incontro.
Il problema era che si sentiva veramente attratto da lei,
più che da molte
altre ragazze che avesse conosciuto.
Sospirò sperando che l’amico si stesse sbagliando
e non seppe se essere felice
o meno quando, estraendo dalla tasca il cellulare che squillava, lesse
sul
display il nome della ragazza.
Uscì dall’ufficio, non voleva parlare con lei
davanti a Semir, e rispose con
titubanza.
«Ben? Dobbiamo vederci urgentemente.
Ho
bisogno di vederti... e poi ho anche notizie su Hoffman. Oggi alle tre
e un
quarto in Weiss Straβe.».
Semir
vide Ben parlare
al telefono dalla porta a vetri dell’ufficio e scosse il capo
intuendo di chi
si trattasse.
Poi sentì che anche il suo cellulare squillava e rispose
incuriosito al numero
sconosciuto segnato sul display.
«Sì, Semir.».
«Ispettore Gerkhan? Buongiorno, sono David
Hoffman.» fece una voce melliflua
dall’altro capo del telefono.
«Signor Hoffman, mi dica.» rispose il poliziotto
mentre la solita sensazione
gli consigliava sempre più insistentemente di tenersi alla
larga da quell’uomo.
«Ispettore, mi è venuto in mente un dettaglio che
potrebbe essere rilevante per
il vostro caso, un dettaglio su mio figlio... non è che
potremmo vederci per
parlarne?».
«Certo... venga in commissariato quando vuole, io
e...».
«Veramente preferirei che fosse lei a venire a casa mia,
ispettore. Sa, sono
terribilmente occupato e poi qui potremmo parlarne in modo
più tranquillo, non
le pare? Facciamo alle tre di oggi pomeriggio.».
«Va bene...» acconsentì Semir, cosciente
dell’errore che stava per fare.
«Allora a dopo, ispettore. Ah, dimenticavo. Preferirei
venisse solo, senza il
suo collega. Sa, di questi tempi è meglio dare fiducia ad un
numero molto ristretto
di persone...non trova?».
«Va bene, a più tardi.» si
affrettò a concludere Semir, mettendo via il
telefono proprio mentre Ben rientrava nella stanza.
«Novità, socio?» chiese
quest’ultimo.
«Cosa? Ah no, no... era solo Andrea.»
mentì il turco con un mezzo sorriso.
Allora,
questa Helen è
davvero una poliziotta? Oppure è una spietata criminale?
Grazie mille a chi continua a seguirmi, mi fa veramente tanto piacere
ricevere
le vostre recensioni! Quindi un ringraziamento particolare va
sicuramente a
Maty, Chiara, Furia, Rebecca, Marti, Miki, Tinta87 e Marcellina.
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 12 *** Il Giaguaro ***
Semir
lanciò una rapida
occhiata all’orologio: le due e mezza.
Se voleva arrivare puntuale alla villa di Hoffman doveva trovare in
fretta un
pretesto per uscire dall’ufficio. La Kruger non era in
servizio, il suo unico
problema era Ben. Non doveva assolutamente sapere
dell’incontro o avrebbe
insistito per andare con lui e l’avvocato era stato molto
chiaro in proposito.
Si alzò dalla sedia e la mise a posto lentamente avviandosi
verso la porta
«Ben, senti, ti dispiace se vado un attimo a casa?
Perché Aida non si sente
proprio bene, le è salita di nuovo la febbre e Andrea deve
accompagnare Lily da
un’amica e non può lasciarla sola.»
inventò, imponendosi di apparire
convincente.
L’ispettore più giovane lo guardo un po’
perplesso ma poi sorrise «Ma
tranquillo, vai! Povera la mia principessina, ma sta tanto
male?».
«Eh sì... l’influenza...».
«Mi sa che qui ci vuole una suonatina dello zio Ben per farle
passare tutto.
Quanto scommetti che se le suono la chitarra guarisce più in
fretta?».
«Sì, magari.» replicò
frettolosamente Semir, accennando appena un sorriso «Ora
vado Ben, a dopo.».
E il turco uscì dall’ufficio.
Guidò
a media velocità
per tutto il tragitto che lo separava dalla maestosa villa di Hoffman,
appena
fuori dal centro della città. Solo quando
parcheggiò e tolse le mani dal
volante si accorse di quanto le avesse tenute strette intorno ad esso.
Gli
facevano quasi male.
Scese dalla macchina e si diresse a passo titubante verso
l’ingresso della
villa.
Il cancello di ferro si aprì con un cigolio leggermente
sinistro senza nemmeno
bisogno che lui suonasse il citofono e l’ispettore percorse
lentamente il breve
vialetto in pietra che lo portava al portone dell’abitazione.
Quindi, ancora una volta, non ebbe il tempo di suonare che un uomo in
tenuta da
maggiordomo gli aprì gentilmente la porta «Signor
Gerkhan?» domandò.
Semir annuì osservando l’uomo, che la mattina
precedente non aveva notato.
«Il signor Hoffman la aspetta nel salotto delle visite, le
faccio strada.».
L’uomo accompagnò il poliziotto nella stessa
stanza dove lui e Ben erano stati
accolti la mattina precedente e poi chiuse la porta.
Semir avanzò leggermente all’interno del salone,
fino a scorgere, sul divano
davanti a lui, una figura elegante seduta di spalle, che si
alzò con calma
avvicinandosi per stringergli la mano «Buongiorno,
ispettore.» fece Hoffman con
un sorriso che al poliziotto parve più simile ad un ghigno.
«Buongiorno.».
«E così vedo che è venuto solo, sono
contento.» cominciò «Quello di cui le
dovrei parlare è davvero molto importante. Sa una cosa? Ho
saputo che lei ha
chiesto un mandato di perquisizione per la mia casa.».
Semir sussultò. Era vero, lo aveva chiesto la mattina stessa
alla Kruger,
pregandola di riuscire a procurarselo, senza risultato per la totale
mancanza
di indizi, tra l’altro. Ma come faceva quell’uomo a
saperlo?
«Vede, non sopporto le persone che si permettono di
introdursi nei miei affari
o, ancora peggio, tra i miei effetti personali.».
«Stiamo svolgendo un’indagine, è normale
chiedere un mandato di perquisizione.»
obiettò il poliziotto.
Entrambi, anzi che sedersi, erano rimasti in piedi in mezzo alla sala.
Hoffman sorrise «Un’indagine, già.
Complessa come indagine, non è così? A
quanto ne so è rispuntato fuori anche un altro vecchio
caso...».
Semir sentì la sua brutta sensazione farsi sempre
più fastidiosa e
improvvisamente gli parve di non riuscire a respirare bene, di avere
bisogno
d’aria. Si costrinse a rimanere immobile nonostante la
tentazione di scappare
fosse forte e provò a riordinare le idee: Hoffman
c’entrava davvero con la
storia di Gehlen.
«Vedo che è informato su ciò che accade
al nostro comando, avvocato, credevo
che non si interessasse dei banali casi
dell’autostradale.».
«Lei è un buon poliziotto, non è vero,
Gerkhan? La sua superiore è contenta di
lei, no? Lavora bene, è efficiente, abbastanza testardo da
non scoraggiarsi
davanti alla mancanza di prove in un’indagine... forse ha
solo una pecca, sa?»
disse David, divertito «Si affeziona troppo ai suoi colleghi.
E dire che già
qualcuno ha fatto una tragica fine, non ha ancora capito quanto sia
pericoloso
nel suo lavoro affezionarsi alle persone? È una fortuna che
ancora a Jager non
sia accaduto nulla.».
Semir aprì la bocca per ribattere, ma non emanò
alcun suono.
Non riusciva a tener testa a quell’uomo, non c’era
verso. E quella sua ultima
frase era suonata tanto come una minaccia...
Avrebbe voluto parlare, interromperlo, ma contro ogni sua
volontà stette zitto
e lasciò che l’altro continuasse il suo discorso.
«Tuttavia,» riprese infatti l’avvocato
«Non siamo qui per parlare di questo,
giusto?».
«Senta.» fece Semir cominciando seriamente a
stufarsi «Mi ha chiamato dicendo
di dovermi riferire qualcosa di importante sul caso dei ragazzi, mi
dica di
cosa si tratta e arriviamo al punto.».
«Certo, certo Gerkhan, ha ragione. L’informazione
che sto per darle è di
fondamentale importanza per il vostro caso. Io so chi è il
Giaguaro.».
L’ispettore lo fissò quasi con aria di sfida
«E sarebbe?» domandò, temendo
già
di conoscere la risposta.
E la risposta arrivò in un sussurro da parte
dell’avvocato. Solo un sussurro,
che però sembrò rimbombare nella stanza come un
grido.
«Io sono il
Giaguaro.».
Seguì un attimo di silenzio assordante.
Poi Semir aprì bocca per parlare ma venne interrotto da due
mani forti che lo
afferrarono da dietro incrociandogli violentemente le braccia dietro
alla
schiena, mentre un colpo dietro alle gambe lo costrinse a ritrovarsi in
ginocchio.
Il poliziotto non si era nemmeno accorto della porta che si era aperta
alle sue
spalle e ancora meno dell’uomo, quello che
all’entrata lo aveva accolto
fingendosi un maggiordomo, che era entrato e che adesso lo
immobilizzava.
Hoffman continuava a stare in piedi di fronte a lui, beffardo e
soddisfatto.
«Ora la voglio portare in un posto, ispettore.»
spiegò l’avvocato mentre si
dirigeva con calma verso l’uscita della villa.
Semir strinse i denti e cercò di liberarsi dalla presa del
“maggiordomo” ma
questi gli strinse i polsi ancora più forte.
Poi gli sfilò la pistola dalla fondina e la
appoggiò sul tavolino, lo stesso
tavolino intorno al quale avevano parlato Semir, Ben e Hoffman la
mattina
precedente.
Lo scagnozzo di Hoffman lo fece quindi alzare e lo condusse malamente,
sempre
tenendogli le mani immobilizzate dietro la schiena, verso
l’uscita.
Ben
uscì dall’ufficio
con aria perplessa: pensava che Semir sarebbe tornato in fretta e
invece ancora
non si era fatto vedere. Ma d’altra parte per lui era meglio
così, doveva
andare all’appuntamento con Helen e preferiva non dare
spiegazioni al collega a
riguardo, sicuramente non sarebbe stato d’accordo.
Salì in macchina e si diresse deciso verso la via che la
ragazza gli aveva
indicato per telefono. In fondo ad essa c’era un piazzale
totalmente deserto e
il poliziotto parcheggiò lì la Mercedes, senza
preoccuparsi di accostarla
troppo al marciapiede.
La piazza sembrava completamente priva di vita e l’unico
edificio che si
affacciava su di essa era un vecchio casermone diroccato, e senza ombra
di
dubbio disabitato.
Ben guardò l’orologio che aveva al polso e poi
tornò a guardarsi intorno,
leggermente preoccupato: quel luogo non gli piaceva e piano piano in
lui si
fece strada una strana sensazione. Ci fosse stato Semir, probabilmente
gli
avrebbe confermato che quello non era un posto sicuro e che sarebbe
stato
meglio nascondersi ed aspettare rinforzi.
Ma l’ispettore non aveva il carattere del suo collega, era
certamente meno
prudente, ragion per cui scelse di aspettare a vedere cosa sarebbe
accaduto.
Dopo un paio di minuti vide Helen, bella come sempre, avvicinarsi a lui
uscendo
proprio dal portone di quell’edificio vecchio e pericolante.
Indossava un tallieur nero ma estivo, che le stava semplicemente
d’incanto.
Quando lo ebbe raggiunto, Helen baciò Ben con passione e gli
sorrise.
«Ciao.» sussurrò con voce vellutata.
L’ispettore ricambiò il saluto tentando di
mascherare con un breve sorriso il
senso di inquietudine che lo aveva invaso non appena aveva visto la
ragazza.
«Cosa mi dovevi dire riguardo a Hoffman?».
Helen sorrise ancora.
E Ben rimase completamente spiazzato.
Sì.
Perché quello non era il sorriso angelico di cui si era
innamorato il giorno
prima.
Quello era il ghigno freddo e malvagio che le aveva letto in faccia la
prima
volta che l’aveva incontrata, due giorni prima, alla villa di
Hoffman.
Guai,
guai, guai, e nel
prossimo capitolo il guaio più grande...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacio.
Sophie :D
|
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Capitolo 13 *** Uccidilo ***
Semir
venne caricato da
due uomini molto più grandi e robusti di lui sul retro di
una monovolume nera e
uno dei due, il falso maggiordomo, salì insieme a lui,
puntandogli contro la
sua stessa pistola.
L’altro energumeno salì alla guida
dell’auto mentre Hoffman si limitò ad
assistere divertito alla scena, rimanendo in piedi sulla soglia del
cancello
della villa.
«Non si preoccupi Gerkhan, lei dovrà semplicemente
fare ciò che le ho detto di
fare.» disse con un sorriso malvagio dipinto sul viso
«Sarebbe un peccato che
la signora Gerkhan e le due mocciosette facessero una brutta fine a
causa sua,
no?».
«Lurido bastardo.» sibilò Semir,
maledicendosi per l’enorme errore che aveva
compiuto andando all’appuntamento da solo.
Avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro ma una ginocchiata
nello stomaco gli
fece mancare il respiro, e insieme ad esso anche la voglia di parlare.
«Sia gentile, Gerkhan.» continuò il
Giaguaro, sempre sogghignando «E faccia
quello che le ho detto. È una questione di
priorità in fondo, no? A lei la
scelta.».
Con una breve risata, si tolse la giacca elegante che portava e
alzò un po’ la
manica sinistra della camicia, mostrando all’ispettore un
tatuaggio che
raffigurava un giaguaro in bianco e nero nell’atto di saltare
con aria feroce
verso la sua preda.
«E si ricordi di questo.» concluse.
Poi rise ancora e chiuse lo sportello della monovolume.
Si allontanò percorrendo il vialetto in pietra a passo
tranquillo e rientrò in
casa come se nulla fosse successo, mentre la vettura scura partiva
indisturbata
verso la sua meta.
Ben
rimase immobile
ancora per qualche istante a fissare quel sorriso che adesso lo
terrorizzava.
«Qualcosa non va Ben?» domandò la
ragazza, avvicinandosi ancora. Poi lo baciò
di nuovo e Ben non si ritrasse come avrebbe dovuto fare. Ma
sussultò quando
sentì la canna di una pistola puntata al fianco sinistro.
«Helen...».
«Ben.» lo precedette lei «Ma cosa
pensavi? Che davvero fossi una poliziotta?» e
scoppiò a ridere sguaiatamente.
«Che cosa...».
Helen si allontanò di qualche passo, sempre puntando la
pistola verso
l’ispettore «Che sciocco. È stato facile
ingannarti, e devo dire anche
piuttosto divertente.» aggiunse con aria maliziosa
«Pensavi che davvero avrei
rivelato ad un perfetto sconosciuto di essere un’agente sotto
copertura se
fosse stata la verità?».
Ben strinse i pugni, lo stesso perfetto ragionamento che gli aveva
presentato
Semir la mattina stessa e che adesso suonava terribilmente logico,
ovvio.
«Ora, tira fuori la tua pistola, lentamente.»
ordinò la donna.
Ben corrucciò la fronte. Pensava che lo avrebbe voluto
uccidere, perché gli
stava facendo estrarre la pistola? La tolse dalla fondina e la
mostrò alla
criminale, con calma.
Rimase immobile e attese.
Helen gridò qualcosa di indefinito, forse una specie di
parola d’ordine, e
subito dall’interno dell’edificio diroccato si fece
avanti un uomo vestito di
nero che conduceva malamente un ragazzo con le mani legate dietro alla
schiena.
L’uomo fece avvicinare il giovane al punto dove si trovavano
Ben ed Helen e lo
costrinse ad inginocchiarsi, quindi gli liberò le mani e rimase dietro di lui,
puntandogli la pistola
alla nuca.
Ben strabuzzò gli occhi non appena riconobbe il ragazzo:
Henry Turner, quello
che scappava nel bosco due giorni prima, quello che lo era andato a
cercare a
casa e che poi era stato messo sotto protezione dalla Kruger, quello il
cui
padre era stato ucciso il giorno prima davanti al comando.
«I... ispettore... la prego mi aiuti!»
balbettò il ragazzo, adesso a quattro o
cinque metri di distanza da lui, inginocchiato nella polvere.
Ma Ben non ebbe tempo di rispondere che di nuovo intervenne Helen.
«Già, aiutalo. Dagli
l’opportunità di smettere di disperarsi...
uccidilo.».
L’ispettore rimase spiazzato. Non riusciva a mettere in
ordine i pensieri
«Cosa?».
«Hai sentito benissimo, sbirro.» replicò
lei «Uccidilo. Togli la sicura dalla
tua pistola e sparagli. Ora.».
Ben sussultò ancora. Doveva farsi venire in mente qualcosa,
non avrebbe sparato
ad un ragazzo, nemmeno sotto tortura.
Tolse la sicura dalla pistola.
E poi, anzi che sparare al ragazzo, sparò verso di lei,
verso Helen Luithild.
Quando
la monovolume si
fermò, l’autista scese e aprì il
portellone posteriore. L’altro uomo, quello
che aveva viaggiato accanto a Semir, slegò i polsi del
poliziotto e lo fece
scendere dalla vettura, senza nemmeno minacciarlo con la pistola
«Sai cosa devi
fare adesso, sbirro.».
Gli riconsegnò la propria arma, quella che egli stesso gli
aveva sequestrato
all’interno della villa, ed estrasse dalla tasca uno
smartphone.
Quindi l’energumeno compose un numero ed aspettò
pazientemente la risposta, che
arrivò solo pochi secondi dopo.
Attivò il vivavoce e mostrò a Semir lo schermo
del telefono, che inquadrava
l’abitacolo di una macchina. Era una videochiamata.
Semir non disse niente, non fece niente, si limitò a
guardare, stringendo la
propria pistola in mano, sapendo che tentare di fuggire o di sparare a
uno dei
due uomini in quel momento avrebbe significato complicare ancora di
più la
situazione in cui si era cacciato.
«Ciao Alfred.»
fece la voce roca
dall’altro capo del telefono «Procedo?».
«Certo.» fece l’uomo che teneva
in mano il cellulare «Fai un po’ vedere al
nostro sbirro dove ti trovi esattamente.».
L’uomo dall’altra parte fece come il suo
interlocutore gli aveva ordinato: si
sentì il rumore dello sportello della macchina che si apriva
e il video rimandò
l’immagine di una via che Semir conosceva fin troppo bene.
Poi lo schermo passò a mostrare con più
precisione una casa, circondata da un
piccolo giardino. L’immagine era tremolante, si capiva che
dall’altro capo del
telefono l’uomo camminava, avanzando verso il punto da
mostrare e riprendendo
la sua posizione con il telefono.
Poi l’immagine tornò stabile, segno che
l’uomo si era fermato, e questa volta
riprendeva proprio un pezzetto di quel giardino.
Era la casa di Semir, e a giocare lì sul prato
c’erano Lily e Andrea.
L’ispettore sentì che il cuore accelerava i
battiti e strinse i pugni più che poté,
tentando di mantenere la calma.
«Che carine queste due
“donne” eh?
Sembrano così delicate. Scommetto che con un colpo potrei
farle fuori entrambe.
O quantomeno la bambina. E la più grande
dov’è? Non gioca nel giardino con
mamma e sorellina?» rise l’uomo
dall’altro capo del telefono.
«Non le toccare!» gridò Semir con quanto
fiato aveva in gola, ricevendo in
risposta l’ennesima gomitata nello stomaco da parte di uno
dei due criminali
che lo affiancavano.
Si sentì un’altra crudele risata e poi
l’uomo con il telefono chiuse la
comunicazione e lo rimise in tasca.
«Come vedi le tue belle bambine e tua moglie sono sotto
stretta sorveglianza.»
continuò quindi Alfred, rivolto all’ispettore
«Ma a loro non verrà torto
nemmeno un capello se fai quello che il capo, il Giaguaro, ti ha detto
di
fare.».
«Il tuo capo è un lurido bastardo!» fece
il poliziotto.
«Ancora una parola e giuro che richiamo il mio amico, e
allora di quelle due
bambine ritroverai solo le unghie.».
Semir si zittì e tutti e tre rimasero in silenzio per
qualche istante.
«Quando e dove?» domandò poi
l’ispettore.
«Ora. Gira l’angolo della strada e troverai la
piazza. E niente scherzi.»
rispose l’autista della monovolume.
«E vedi di essere convincente. Nemmeno quello sciocco del tuo
amico deve capire
che sei stato minacciato, siamo intesi? Ricorda cosa ti ha detto il
Giaguaro e
forse le tue figlie prima di stasera saranno ancora vive.»
aggiunse l’altro, il
finto maggiordomo, salendo nuovamente sulla vettura dal lato del
passeggero.
Semir annuì e si allontanò dai due uomini, la
propria pistola stretta nella
mano destra.
Doveva trovare un modo per tirarsi fuori dai guai, ma sapeva che quei
due
uomini lo avrebbero controllato finché non avesse fatto
ciò che loro volevano
che facesse.
Ordinò alla sua mente di cercare in fretta una soluzione ma
l’unica immagine
che questa gli rimandava era quella di Lily e Andrea che giocavano
beate nel
giardino.
Helen
schivò il colpo
per una manciata di millimetri e si avventò su Ben prima
ancora che il ragazzo
potesse rendersene conto. Gli afferrò la mano e fece in modo
che le dita del
poliziotto premessero ancora una volta il grilletto, questa volta
però nella
direzione giusta.
Fu un attimo, Ben non ebbe il tempo di reagire e sentì lo
sparo. Non ebbe
nemmeno il tempo di vedere Henry Turner che si accasciava a terra senza
vita,
perché Helen, con una forza non comune per una donna,
premette di nuovo il
grilletto con la sua mano e si sparò un colpo, andandosi a
ferire il braccio sinistro
di striscio.
Poi mollò la presa stringendosi il braccio ferito e
lasciò Ben in piedi,
immobile e spaesato in mezzo alla piazza.
L’ispettore non riuscì a realizzare esattamente
cosa fosse successo finché non
vide il sangue spandersi sotto il corpo del ragazzo e l’uomo
che prima aveva
liberato Hanry nella piazza fuggire via, volattilizzandosi in un attimo.
Ben rimase in piedi, con la sua pistola ancora in mano, quella pistola
da cui
erano partiti due colpi, colpi che lui aveva esploso con le sue mani,
guidate
dalle mani di Helen.
Per un lunghissimo istante gli parve di stare per impazzire.
Si catapultò verso il ragazzo e mollò la pistola
a terra provando a fermare
l’emorragia provocata dalla ferita sul corpo del giovane.
Poi alzò lo sguardo e, senza capire, vide Semir avvicinarsi
di corsa, la
pistola in pugno, dopo aver raggiunto la piazza da una stradina
secondaria a
lato dell’edificio abbandonato.
Non si chiese come mai il suo socio fosse lì.
Non si chiese nulla.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e scosse il corpo del
ragazzo senza vita
nel tentativo di rianimarlo.
Poi udì in lontananza le sirene della polizia e vide Helen,
dietro di lui con il
braccio sanguinante, sorridere beffarda.
Capitolo
confuso, lo
ammetto, ma nel prossimo si spiegherà ogni cosa. Per ora vi
basti sapere che
Helen è riuscita a far premere a Ben il grilletto della sua
stessa pistola,
uccidendo il ragazzo e ferendo appositamente se stessa...
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio.
Sophie :D
PS:
se sto aggiornando
troppo in fretta avvisatemi, che rallento un po’!
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Capitolo 14 *** L'inizio della recita ***
«Ben!»
gridò Semir
avvicinandosi al collega di corsa «Ma cosa hai
fatto?».
«Semir, aiutami, ti prego, non ha più
polso!» esclamò Ben tra le lacrime,
scuotendo ancora il corpo immobile del ragazzo steso a terra
«Chiama
un’ambulanza!».
Ma i soccorsi erano già stati chiamati e in lontananza si
poteva udire appena
il suono lamentoso delle sirene che si avvicinavano.
Semir corse quindi verso Helen, ora in ginocchio tra la polvere, che si
stringeva il braccio ferito.
Si scambiarono un’occhiata, una lunga ed importante occhiata,
grazie alla quale
la ragazza capì che il turco sapeva benissimo quale parte
dovesse recitare.
«Come sta?» le domandò
l’ispettore mostrando preoccupazione, mentre Ben
assisteva incredulo e in lacrime alla scena.
«Come sta?! Ma... ma Semir...» mormorò
allora il poliziotto più giovane «È
stata lei... è stata lei a sparare, Semir!».
Ma l’amico non sembrava nemmeno ascoltarlo.
«I soccorsi stanno arrivando, non si preoccupi.».
«Semir, ma che stai facendo?» chiese Ben mentre la
confusione più totale si
impossessava della sua mente sconvolta.
«No, che cosa hai fatto tu!» esclamò
Semir di rimando.
«Ma... ma cosa dici?».
«Ben, hai sparato sia al ragazzo che a lei, ma che ti
è preso?» continuò con
tono sempre più accusatorio Semir.
Ben non credeva alle proprie orecchie «Ma... ma Semir, non
sono stato io, lo
hai visto anche tu!».
«Evita di prendermi in giro, per favore.».
«Semir, hai visto anche tu! Ha sparato a Henry con la mia
pistola!» replicò
ormai urlando Ben, indicando con un cenno Helen, che mostrò
un’espressione
falsamente confusa.
«Io? Jager, deve essere impazzito.»
mormorò.
In quell’esatto istante la polizia raggiunse la piazza e le
tre volanti
parcheggiarono sollevando un gran polverone.
La Kruger scese per prima dall’auto della polizia e solo
allora Semir si rese
conto di quanto abile fosse stato il Giaguaro. Aveva chiamato la
polizia e i
soccorsi assicurandosi che arrivassero nel piazzale al momento giusto e
non
aveva chiamato la criminale ma l’autostradale, appositamente.
Fece un respiro e chiuse gli occhi per un attimo: fingere davanti al
commissario gli sarebbe risultato ancora più difficile.
Ma Helen era lì e lui era controllato, non poteva cedere.
«Jager, Gerkhan! Che è successo?»
domandò concitata la Kruger trovandosi
davanti ad una scena dove evidentemente qualcosa non quadrava.
Ben era ancora in ginocchio tra la polvere accanto al ragazzo, aveva le
mani e
i vestiti completamente ricoperti di sangue e grosse lacrime gli
rigavano le
guance con insistenza.
«Commissario, quest’uomo ha sparato a quel ragazzo
e ha provato ad uccidere
anche me! Per fortuna è intervenuto
l’ispettore...» fece Helen mostrando
un’espressione sconvolta, perfettamente credibile, facendo
poi cenno verso
Semir.
La Kruger spostò senza capire lo sguardo sul poliziotto.
Poi fissò Ben.
E Ben fissò a sua volta Semir, che però non
sembrava decidersi a parlare.
Kim corrucciò la fronte tentando di capire.
Nel frattempo arrivò anche un’ambulanza, e i
soccorritori scesero dalla vettura
in fretta per prestare le prime manovre di pronto soccorso al ragazzo,
ma ben
presto fu chiaro che non ci fosse più nulla da fare e non
molto tempo dopo il
giovane venne discretamente coperto con un triste lenzuolo bianco.
Due soccorritori si occuparono quindi di Helen, fasciandole la ferita
che però
si era rivelata essere poco più di un graffio.
Ben venne fatto sedere anch’egli su una barella. Era
completamente sconvolto.
«Jager, voglio sapere cosa è successo.»
chiese ancora la Kruger, avvicinandosi
al suo ispettore.
Il poliziotto stava per rispondere ma le parole gli morirono in gola
non appena
vide Semir avvicinarsi a passo deciso e scuro in volto.
«Glielo dico io cosa è successo, commissario. Ha
ragione Helen Luithild, è
stato Ben... io l’ho visto.».
Erik
Gehlen entrò nel
lussuoso salone con un ghigno soddisfatto stampato sul viso.
«David, è tutto a posto.»
comunicò sedendosi comodamente sulla poltrona di
fronte al proprietario della villa.
L’avvocato Hoffman accennò un sorriso
«Bene. Ora confidiamo nella capacità di
recitare di Gerkhan.».
«Stai tranquillo, non ci deluderà.».
Il Giaguaro sorrise ancora ma poi si fece scuro in volto «Sa
che sei ancora
vivo, Erik. E sa anche che lavori per me.».
«E quale sarebbe il problema?» fece Gehlen alzando
le spalle «Non ha
assolutamente nulla in mano, e penso che nei prossimi giorni
avrà altro a cui
pensare. A proposito David, ti devo ringraziare. Grazie per avermi
permesso di
inserire nel tuo piano questa mia piccola vendetta
personale.».
«Da quando ti perdi in ringraziamenti, Erik? E comunque sappi
che se l’ho fatto
è stato solo perché anche a me fa comodo
togliermi dai piedi quei due
ficcanaso.» puntualizzò Hoffman accendendosi un
sigaro distrattamente.
«Così non li avrai tra i piedi affatto. Si
dimenticheranno totalmente del caso,
concentrandosi solo sulla morte di Turner. Jager finirà in
prigione e Gerkhan
patirà le pene dell’Inferno. Pensa un
po’ come reagirà quando verrà a sapere
che in realtà...».
«Basta così, Erik.» lo bloccò
seccamente il Giaguaro «Non ho bisogno che tu mi
ripeta tutto il tuo piano e quella storia riguarda te, quel turco e Tom
Kranich, ma non me. Entrerai di nuovo in gioco quando sarà
il momento, ora
lascia fare a me.».
Gehlen sorrise e si alzò dalla poltrona.
«Va bene, David. Vado a fare una visita al mio
ospite, al Covo.».
E l’uomo uscì trionfante dalla sala.
Finalmente
incontriamo
Gehlen, che a quanto pare è proprio vivo e vegeto e nasconde
qualcuno.
Grazie mille ai recensori (non so come farei senza di voi!) e a chi
continua a
seguirmi silenziosamente.
Un bacio
Sophie :D
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Capitolo 15 *** Rabbia ***
Kim
Kruger girò attorno
al tavolo quasi fosse un animale in gabbia e poi si sedette al tavolo
di fronte
a Ben.
L’ispettore era stato portato al comando su una volante della
polizia e adesso
che si trovava lì, nella stanza degli interrogatori,
sembrava completamente
sconvolto.
«Allora Jager, mi può spiegare cosa è
successo?».
Ben non rispose, continuando a fissare con sguardo vuoto la donna di
fronte a
lui.
In testa continuava a rimbombargli la frase di Semir e proprio non
riusciva a
capire.
Glielo dico io cosa è successo,
commissario. Ha ragione Helen Luithild, è stato Ben... io
l’ho visto.
Perché l’amico avrebbe dovuto affermare
una cosa simile? Era stata Helen a
sparare, era stata lei a premere il grilletto e a puntare la pistola
contro Henry!
«Jager, ma mi sta ascoltando?» ripeté la
Kruger, riscuotendo il poliziotto da
quello stato di trance.
«Sì...».
«Mi racconti cosa è successo in quel
piazzale.».
«Ma capo, gliel’ho già detto! Io ero
lì perché mi aveva chiamato Helen e...».
«Ma chi è questa Helen?» lo interruppe
subito il commissario.
«Helen Luithild!» esclamò Ben a
metà tra l’infastidito e il disperato
«Mi aveva
detto di avere delle informazioni su Hoffman ma mentiva. Capo, quella
donna
lavora per Hoffman, c’era anche quando siamo andati ad
interrogarlo alla
villa.».
La Kruger sospirò alzandosi di nuovo dalla sedia
«Jager, non abbiamo niente
contro Hoffman.».
«Quell’uomo è il Giaguaro!»
ribatté l’ispettore.
«Senta.» fece Kim con tono che non ammetteva
repliche «Mi dica cosa è successo
in quel piazzale, ora.».
«Helen mi ha chiesto di sparare a Henry Turner, io ho provato
a reagire e l’ho
ferita, ma poi lei ha preso la mia mano e ha fatto in modo che io
sparassi al
ragazzo. Ma è stata lei a premere il grilletto.»
raccontò Ben tutto d’un fiato.
«La versione della ragazza è un po’
diversa, però.» commentò la Kruger
girando
per la stanza «Dice che lei, Jager, voleva sparare al ragazzo
ma poi è intervenuta
Helen e per questo lei le ha sparato. Poi ha ucciso il
ragazzo.».
«Ma è assurdo!» gridò il
poliziotto mentre le lacrime gli salivano
inevitabilmente agli occhi «Perché io avrei dovuto
sparare al ragazzo?».
«Me lo dica lei questo, Jager.».
«Capo, davvero lei crede che io abbia ucciso quel ragazzo a
sangue freddo,
così, perché mi andava di farlo?»
domandò ancora Ben, terrorizzato da quella
che sarebbe potuta essere la risposta del suo superiore.
«Io non credo niente, ma ci sono due testimoni, Jager. Due
testimoni, polvere
da sparo sulle sue mani, i colpi sono partiti dalla sua pistola e i
suoi
vestiti erano completamente sporchi di sangue... Mi dispiace,
l’unica cosa che
posso dirle è che indagheremo, ma per ora i fatti non
lasciano molti dubbi.»
fece la Kruger uscendo a passo deciso dalla stanza.
L’ispettore rimase solo e in silenzio, lasciando che le
lacrime calde gli
rigassero le guance.
Due testimoni.
E Semir doveva essere uno di questi.
Kim
entrò nel proprio
ufficio e trovò Semir seduto davanti alla sua scrivania ad
aspettarla.
«Gerkhan.» esordì entrando
«Esigo una spiegazione.».
«Una spiegazione per cosa, capo? Le ho già
raccontato cosa è successo.» replicò
il poliziotto, completamente atono.
«Lei sta accusando Jager di omicidio, se ne rende
conto?».
«Io ho solo detto quello che ho visto.».
«Lei ha visto Jager sparare a Helen Luithild? E poi a Henry
Turner?» domandò
ancora il commissario, senza quasi credere alle proprie orecchie.
«Sì. E forse avrebbe ucciso anche lei se io non
fossi arrivato in tempo.».
La Kruger rimase come pietrificata, ad ascoltare una testimonianza a
cui lei
non avrebbe mai creduto. Perché conosceva Jager e conosceva
Gerkhan, erano i
suoi uomini migliori ed era evidente che qualcosa continuasse a non
quadrare.
«E perché la Luithild avrebbe chiesto aiuto
proprio a lei?».
«Le avevo lasciato il mio biglietto da visita quando siamo
andati alla villa a
interrogare Hoffman.» rispose Semir senza fare una piega
«Ora capo, se non le
dispiace dovrei andare, il mio turno è finito da un
pezzo.».
«Inutile dirle di tenersi a disposizione, immagino lei
conosca la procedura per
i testimoni.» disse la Kruger senza nascondere la punta di
sfida con la quale
pronunciò quella frase.
«La conosco benissimo, grazie.» rispose a tono
l’ispettore.
Poi, senza aggiungere altro, lasciò l’ufficio.
Semir
salì sulla
propria BMW uscendo dal comando quasi di corsa, per paura di incontrare
Helen,
che ancora era sotto interrogatorio o, ancora peggio, Ben.
Partì sgommando e imboccò la strada che portava
verso casa sua, sempre alla
massima velocità.
Mille pensieri gli si accavallavano nella mente e l’ispettore
non riusciva a
seguire nemmeno un filo logico di questi.
Le immagini di Ben in lacrime davanti al corpo senza vita del ragazzo e
di Lily
e Andrea che giocavano nel giardino continuavano a sovrapporsi, creando
una
confusione indescrivibile.
Afferrò il telefono che squillava nella tasca della giacca e
rispose
imponendosi di apparire perfettamente tranquillo a chiunque lo stesse
chiamando.
«Sì, Semir.»
«Gerkhan.» fece
una voce conosciuta
dall’altro capo del telefono, seguitando poi a ridere,
compiaciuta «Complimenti, davvero,
non mi aspettavo una
performance così realistica. Ha mai pensato di iscriversi ad
un corso di
recitazione?».
«Hoffman, cosa vuole ancora?» fu la secca risposta
di Semir.
«Intanto voglio che lei con me
moderi i
toni, Gerkhan. E poi volevo solo avvertirla: ci sono telecamere
ovunque,
ispettore. Ovunque, ha capito? Io la controllo e continuerò
a controllarla, non
avrà un attimo di pace, io conoscerò ogni suo
movimento. Quindi provi a fare
qualcosa di sbagliato e una delle piccole è morta,
chiaro?».
«Lei è un gran...».
«Fermo, fermo, fermo, Gerkhan! Anche
insultarmi rientra nelle cose “sbagliate”. Sa
com’è, potrei anche stufarmi...
quindi sfoghi la sua rabbia in qualche altro modo, siamo
intesi?».
Semir non rispose ma strinse il volante talmente forte che
per poco non gli
sfuggì dalle mani.
«Buona continuazione,
Gerkhan.» fece
il Giaguaro chiudendo poi la comunicazione.
Semir lanciò con quanta forza aveva in corpo il telefono sul
sedile accanto al
suo e posteggiò di fronte a casa.
Uscì dalla macchina sbattendo lo sportello, quindi
assestò un calcio alla ruota
anteriore dell’auto e tirò un pugno sul cofano.
Poi sospirando si appoggiò alla sua BMW.
Doveva calmarsi prima di rientrare a casa o non sarebbe riuscito a
nascondere
proprio nulla ad Andrea.
Doveva calmarsi, assolutamente.
Ben
è sconvolto e Semir
forse ancora più di lui...
Grazie mille a tutti i recensori e un bacio.
Sophie :D
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Capitolo 16 *** Notti in bianco ***
Semir
aprì la porta di
casa facendo il minimo rumore possibile e subito la piccola Lily gli
saltò in
braccio, senza nemmeno dargli il tempo di varcare la soglia.
«Papà, papà! Sai che Aida non ha
più febbre? Così adesso possiamo giocare
insieme con il gioco nuovo della nonna, quello che ti ho fatto vedere
ieri
sera!».
La bambina era un fiume in piena, l’entusiasmo e
l’allegria le si leggevano
negli occhi.
«Bene.» sorrise il poliziotto posando la piccola a
terra.
In un altro momento sarebbe volato in camera dalle bambine a giocare
con loro
ma quella sera non riusciva nemmeno a rispondere alla figlia.
Vide Andrea andargli incontro e sorrise ancora debolmente, rendendosi
conto di
quanto poco sarebbe stato credibile dicendo che andava tutto bene.
«Buonasera.» fece la donna con aria maliziosa,
salutandolo con un bacio.
«Buonasera.».
«Aida non ha più febbre e nemmeno mal di pancia,
è su che cerca di fare i
compiti ma Lily non la lascia quietare un attimo.»
raccontò la moglie sorridente
e Semir annuì posando il giubbotto e le chiavi della
macchina «Ora vado a
salutarla.».
«Va tutto bene?» domandò ad un tratto
Andrea, preoccupata.
L’uomo annuì semplicemente.
«Sei pallido...».
«Ho un po’ di mal di testa, magari Aida mi ha
attaccato l’influenza.».
Andrea alzò un sopracciglio, poco convinta.
«Cosa è successo? Al comando tutto
bene?».
Semir annuì ancora, e la moglie ebbe la certezza che stesse
mentendo.
«Semir...» fece portandolo verso il divano e
sedendosi insieme a lui «Se ti
conosco almeno un po’ oggi è successo qualcosa al
lavoro, non è così?».
Il poliziotto abbassò lo sguardo.
Avrebbe voluto parlare, confidare tutto alla moglie, ma non poteva.
Fu proprio mentre pensava a questo che la vide: una minuscola
telecamera
nascosta nell’angolo più scuro del soffitto. E poi
ne vide un’altra sullo
scaffale e un’altra ancora vicino alla finestra, e la testa
cominciò a girargli
vorticosamente.
«Cosa succede? Non ti senti bene?» chiese ancora la
donna, cominciando a
preoccuparsi seriamente.
«Mi... mi gira solo un po’ la testa ma... ma sto
bene...».
Andrea si alzò prontamente e tornò pochi secondi
dopo dalla cucina con un
bicchiere di acqua e zucchero in mano, temendo che il marito si
sentisse male
da un momento all’altro.
«Ora però dimmi cosa è successo, per
favore!».
«Andrea... Ben ha ucciso un ragazzo e ferito una donna... ed
io l’ho visto.».
E Semir le raccontò tutto, o almeno tutto
dell’unica, falsa versione di cui le
poteva parlare. E anche se era tutta una menzogna, si sentì
un po’ meglio dopo
averne parlato.
«Ma non è possibile!» esclamò
Andrea, inorridita «Ben non farebbe mai male a
una mosca e lo sai anche tu.».
«Sì ma io l’ho visto.».
«Ma non puoi averlo visto, è
impossibile!».
«Andrea, non ci credevo nemmeno io, ma l’ho
visto.».
«E che ragione avrebbe avuto Ben per ucciderlo?»
domandò ancora la donna,
sconcertata.
«Non lo so.» mormorò Semir abbassando lo
sguardo.
«Dovrai deporre contro di lui?».
L’ispettore annuì e fissò la moglie
negli occhi. Ma in quegli occhi lesse
tristezza e disperazione, non fiducia.
Ben
si prese la testa
tra le mani quando Dieter ebbe chiuso la porta della piccola cella del
comando dove
avrebbe dovuto passare la notte in custodia.
Poi probabilmente lo avrebbero portato in carcere, lì
avrebbe atteso il
processo e poi sarebbe stato l’inizio della fine.
Per tutto il pomeriggio che aveva passato nella stanza degli
interrogatori non
era riuscito a trattenere le lacrime.
Ora non piangeva più.
E non faceva altro che pensare a Semir.
Subito aveva pensato che Hoffman lo stesse minacciando, unica tesi
possibile
che gli fosse venuta in mente. Ma aveva scartato quella
possibilità non appena
aveva visto gli occhi dell’amico: non un velo di
preoccupazione o di tristezza,
non un segno di pietà, nessun’ombra in quello
sguardo che potesse tradire un
senso di colpa.
Niente.
Solo freddezza.
Freddezza e decisione mentre diceva al commissario che era stato lui a
sparare,
che l’aveva visto.
Ben non riusciva a spiegarselo... ed era troppo stanco.
Sospirò e chiuse gli occhi, rimanendo solo ad ascoltare il
silenzio che lo
circondava.
Semir
aprì la finestra
della cucina per prendere un po’ d’aria.
La casa era buia e silenziosa, Andrea e le bambine dormivano al piano
di sopra.
Lanciò un’occhiata all’orologio: le 2.51.
L’ispettore sorrise brevemente rendendosi conto che quella,
per un motivo o per
un altro, era la terza notte di seguito che passava completamente in
bianco.
Chissà quante ancora ne sarebbero seguite.
Doveva trovare una soluzione.
David
Hoffman uscì nel
grande giardino della villa.
Erano quasi le tre di notte ma non era riuscito stranamente a prendere
sonno.
Fece due passi per schiarirsi le idee.
Non era preoccupato per il suo piano, stava andando tutto bene.
L’unica cosa che gli procurava fastidio era che tutta quella
messinscena gli
aveva fatto perdere molto tempo e adesso doveva rimediare se voleva
avere le
sostanze pronte per la data dello scambio.
Il laboratorio era perfettamente attivo e funzionante ma per la prima
volta il
Giaguaro provò un certo senso di inquietudine al pensiero di
un suo eventuale
ritardo.
Alzò le spalle, dicendosi che tanto tutto si sarebbe
risolto, come sempre.
Lui avrebbe vinto, come sempre.
E avrebbe ottenuto quello che voleva.
Capitolo
molto di
passaggio. Ma per raggiungere la situazione del prologo ci
vorrà ancora un po’...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacio
Sophie :D
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Capitolo 17 *** Lo specchio della Verità ***
Due
mesi dopo...
Kim
Kruger lanciò una rapida occhiata all’orologio
da polso che portava e fece un sospiro aprendo lo sportello e uscendo
dalla
macchina.
Erano solo le sette e mezza e l’udienza sarebbe cominciata
alle nove, ma non
era riuscita a stare in casa un secondo di più quella
mattina e il pensiero di
quella che sarebbe potuta essere la sentenza a fine giornata la faceva
rabbrividire.
Da quando era successo tutto, due mesi prima, niente era stato
più come prima.
Ben aveva trascorso quel tempo in prigione e le indagini sul suo caso
erano
andate avanti senza sosta ma né Kim, né la
squadra omicidi che aveva
partecipato erano riusciti a trovare prove che potessero in qualche
modo
scagionare l’ispettore.
I testimoni non avevano mai ritrattato la loro prima deposizione e
Hoffman era
totalmente scomparso dalla scena, tornando a ricoprire la figura del
ricco e
rispettabile avvocato che era sempre stato.
Il giovane Rick, figlio adottivo di Hoffman, non si era più
risvegliato dal
coma, nonostante i medici il mese precedente avessero scorto qualche
segno di miglioramento
nelle sue condizioni.
Quanto al lavoro, la vita al comando dell’autostradale era
diventata un inferno.
La Kruger stessa entrava in ufficio la mattina sperando che la fine del
turno
arrivasse in fretta: la tensione tra i colleghi era tangibile in ogni
momento e
senza Ben nessuna indagine veniva risolta più nello stesso
modo, con lo stesso
spirito. Anche perché se prima il commissario poteva contare
su due validi
ispettori, adesso non aveva più nemmeno un punto di
riferimento.
Non solo Ben era in carcere, ma Semir sembrava aver perso totalmente
l’interesse per il proprio lavoro e, come se non bastasse, al
comando la
convivenza con lui era diventata quasi insostenibile.
L’ispettore era diventato estremamente irascibile e
introverso e Kim era ormai
più che certa che egli fosse stato minacciato da Hoffman:
poteva essere solo
questa la motivazione che induceva l’ispettore ad accanirsi
così tanto
nell’accusa del suo giovane collega.
Eppure, nonostante le sue continue ricerche, la donna non era riuscita
a
trovare niente, nemmeno un indizio che potesse portare a qualcosa di
concreto,
e ogni volta che il commissario provava a toccare l’argomento
con il suo
sottoposto, questi scattava e lasciava cadere il discorso con una
qualsiasi
scusa.
Kim sospirò ancora e chiuse la macchina avviandosi a passo
deciso verso l’entrata
del tribunale, con il cuore pesante.
Non era stata in grado di provare l’innocenza di uno dei suoi
uomini migliori e
adesso era troppo tardi.
Tra poco più di un’ora ci sarebbe stata
l’udienza e Ben sarebbe stato quasi
certamente condannato.
Ormai il commissario poteva solo sperare in un miracolo.
Semir
aprì gli occhi rimanendo però disteso sul
letto, incapace di compiere qualunque movimento.
Sentì la porta di casa chiudersi e guardò
l’orologio: le 7.24. Andrea era
appena uscita con le bambine, che avrebbero passato quella calda
giornata di
agosto con un’amica di Aida e i suoi genitori.
Aspettò ancora qualche minuto e poi si tirò su
lentamente e scese dal letto
sfregandosi gli occhi assonnati.
Quindi si diresse verso la cucina, ma passando non poté fare
a meno di fermarsi
davanti allo specchio che si ergeva vicino alla porta della camera.
E quello che vide nell’immagine riflessa lo
spaventò quasi.
Perché quello non era il Semir Gerkhan che si ricordava,
quello che era stato
fino a due mesi prima.
No.
Quello era un uomo stanco e invecchiato, triste, arrabbiato e scontento.
Quello era un uomo che non conosceva, un uomo in grado di condannare il
suo
migliore amico ad anni e anni di galera per un fatto che mai egli
avrebbe
compiuto. E in grado anche di non degnarsi nemmeno di andarlo a trovare.
L’uomo del riflesso aveva lasciato Ben in carcere due mesi
prima e poi non
aveva più avuto il coraggio nemmeno di guardarlo in faccia,
di sostenere il suo
sguardo.
Quell’uomo era odiato da sua moglie, dai suoi colleghi, dal
suo capo.
Quell’uomo era un disonesto.
Non era lui.
Semir scosse il capo allontanandosi in fretta da quello specchio
maledetto e
andò in cucina per bere una tazza di caffè,
l’unica cosa che lo aveva tenuto
sveglio in quegli ultimi due mesi di notti insonni.
Si versò la bevanda fumante e con un sospiro
guardò i due uomini che,
all’interno della macchina scura parcheggiata davanti a casa,
lo tenevano
costantemente d’occhio.
Sperava che dopo il processo sarebbe tutto finito.
Tornò in camera e si preparò in fretta, dopo
un’ora e mezza sarebbe cominciata
l’udienza.
Ma non lo spaventava la sua falsa testimonianza, no, quella ormai
l’aveva
ripetuta tante volte.
Lo spaventava Ben.
Perché era certo che quella mattina, in un modo o
nell’altro, avrebbe
incrociato il suo sguardo.
Ben
salì sul cellulare senza opporre alcun tipo di
resistenza e lanciò un’occhiata distratta ai due
poliziotti che si sedevano
accanto a lui e all’autista che si sistemava al volante.
Di lì a poco si sarebbe trovato in un’aula del
tribunale.
Suo padre gli aveva pagato il migliore avvocato disponibile,
ovviamente, ma il
giovane ex ispettore sentiva in cuor suo che questa volta la potenza
economica
dell’imprenditore non sarebbe bastata.
Nessuno poteva proteggerlo, questa volta, l’unica persona che
lo aveva sempre
fatto adesso stava dall’altra parte, puntando il dito contro
di lui.
Abbassò lo sguardo a fissarsi i polsi, racchiusi nelle
solide manette che li
tenevano prigionieri e non seppe più nemmeno se aver paura
di quello che
sarebbe accaduto durante la giornata oppure no.
Sentì la vettura su cui si trovava partire e vide dal retro
del furgone
l’imponente cancello del carcere di sicurezza che si
allontanava.
Ma tanto lo avrebbe rivisto presto, quel cancello.
Un’ora
e mezza dopo quell’aula del tribunale nel
centro di Colonia era piena di gente.
Gli avvocati e il pubblico ministero erano seduti ai loro posti e
finivano di
scorrere con lo sguardo gli ultimi documenti, chi con fare leggermente
agitato,
chi con assoluta calma.
Ben era seduto a ridosso di una delle pareti laterali
dell’aula, affiancato da
due agenti che non lo perdevano d’occhio nemmeno per un
istante.
Kim Kruger, Konrad Jager e Julia erano posizionati piuttosto lontani da
lui ma
Ben poteva comunque vederli e ciò gli conferiva un minimo di
serenità in più:
sapeva che non sarebbe servito, ma almeno loro gli avevano sempre
creduto e
avrebbero continuato a farlo, qualunque cosa fosse accaduta.
Poi all’improvviso nell’aula calò il
silenzio e il Giudice fece il suo ingresso
seguito dal cancelliere.
Il pubblico si alzò diligentemente.
E poi l’udienza ebbe inizio.
Sono
passati due mesi e la situazione non è cambiata, o peggio,
Ben sta per essere
condannato. Ma Semir deve ancora testimoniare in tribunale...
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacio
Sophie :D
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Capitolo 18 *** Io sono innocente. ***
«Si
procede nei confronti di Ben Jager per il reato
di cura all’articolo 575 del codice penale.
L’imputato è presente?»
cominciò il
Giudice con aria estremamente seria.
«Presente.» rispose l’avvocato Mayer,
l’uomo che Konrad Jager aveva assoldato
per la difesa del figlio.
«Assistito dall’avvocato...?»
continuò il Magistrato rivolgendosi al legale.
«Michael Mayer.».
«L’imputato ha qualcosa da dichiarare?»
domandò ancora il Giudice, sistemandosi
meglio gli occhiali sul naso.
«No, signor Giudice.» rispose Ben ad alta voce.
Adesso si sentiva, nonostante
tutto, piuttosto calmo.
«Facciamo entrare il primo testimone.» disse quindi
il Magistrato rivolto verso
il cancelliere, che diligentemente si alzò e andò
a chiamare il teste.
Helen Luithild fece il suo ingresso in aula con un’aria
sicura che a Ben fece
venire i brividi. Adesso si domandava come avesse potuto cadere nella
trappola
che quella ragazza due mesi prima gli aveva teso. Era stato sciocco,
terribilmente sciocco ed immaturo.
La testimonianza di Helen non riservò alcuna sorpresa. La
giovane rispose alle
domande del Pubblico Ministero e degli avvocati senza alcuna
esitazione,
confermando esattamente ciò che già aveva
affermato nel corso delle precedenti
deposizioni.
Non appena Helen ebbe finito e quindi fu fatta accomodare fuori
dall’aula, il Giudice
chiese nuovamente al cancelliere di andare a chiamare il secondo
testimone.
E a Ben sembrò di ricevere un pungo nello stomaco quando
vide il suo ex collega
varcare la soglia e sedersi al banco senza nemmeno cercarlo con lo
sguardo.
Semir lesse a voce alta e chiara il giuramento stampato che aveva
davanti agli
occhi e aspettò pazientemente che il Giudice dicesse al PM
di procedere con
l’interrogatorio. Lo stesso fece con l’avvocato che
rappresentava la parte
civile nell’udienza e rispose a tutte le domande che i due
uomini gli posero
senza difficoltà, sotto lo sguardo sconcertato della Kruger
e quello carico
d’odio di Konrad Jager.
Ben invece non lo guardava. Non ci riusciva.
Il giudice passò rapidamente la parola
all’avvocato della difesa, che si alzò e
cominciò tranquillamente il proprio interrogatorio.
«Allora, ispettore capo Gerkhan, lei era presente al
verificarsi dei fatti per
cui si procede?» esordì Mayer parlando forte nel
microfono.
«Sì» rispose Semir semplicemente.
«Allora ci può brevemente descrivere che cosa
è accaduto?».
«Certo.» fece ancora l’ispettore con una
voce che non tradiva nemmeno una
minima emozione «Mi trovavo a casa quando ho ricevuto sul
cellulare la
telefonata di Helen Luithild, che aveva il mio numero poiché
le avevo lasciato
in precedenza il mio biglietto da visita. Era molto sconvolta,
continuava a
gridare di raggiungerla velocemente in Weiss Straβe. Io ho
raggiunto quel luogo
più in fretta possibile e ho assistito
all’omicidio... ho visto Ben Jager
puntare la pistola contro Henry Turner e poi ho visto Helen Luithild
che lo
pregava di non sparare al ragazzo. Jager ha messo a tacere quindi Helen
ferendola ad un braccio con la propria pistola e ha sparato ad Henry,
prima che
potessi intervenire in qualunque modo.».
«A che distanza si trovava
dall’imputato?» domandò ancora Mayer.
«Una ventina di metri.».
«E che periodo del giorno era?».
«Più o meno le tre del pomeriggio.»
disse ancora Semir, senza esitazione.
«Che lei ricordi il sole era di fronte o dietro di
lei?».
Semir non seppe se sorridere o meno alla domanda. Gli pareva che
l’avvocato si
stesse arrampicando sugli specchi per trovare anche solo un minimo
indizio che
comunque, sicuramente, non lo avrebbe portato da nessuna parte.
«Era nuvoloso quel giorno.».
«Come ha potuto distinguere che la pistola fosse impugnata
dall’imputato?».
«L’ho visto chiaramente, ero abbastanza
vicino.».
«Io non ho altre domande.» concluse quindi
l’avvocato, sedendosi e passando
così la parola al Giudice, che fece accomodare il teste
fuori dall’aula.
Ma questa volta, prima di uscire, Semir cercò l’ex
collega con lo sguardo... e
non lo trovò. Perché Ben guardava altrove.
Fu la volta della testimonianza del perito balistico che aveva svolto i
rilevamenti sulla pistola di Ben. Mayer riuscì ad ottenere
dall’uomo, sulla
cinquantina e visibilmente agitato, che non si potesse affermare con
estrema
sicurezza che fosse stato Ben a sparare, in quanto la polvere da sparo
non era
in grande quantità e soprattutto era stranamente concentrata
sulle punte delle
dita.
L’avvocato colse quindi l’occasione per incalzare
il teste con una seconda
domanda: «È possibile quindi che la mano
dell’imputato sia stata forzata da
qualcun altro che lo abbia costretto a sparare?».
«Opposizione, Signor Giudice.» quasi
gridò il Pubblico Ministero ancora prima
che il perito potesse aprire bocca per rispondere «La domanda
è inammissibile,
si sta chiedendo al teste di trarre una conclusione.».
«Va bene, Signor Giudice.» si corresse Mayer senza
aspettare che il Magistrato
intervenisse «Riformulo la domanda: è possibile
affermare che una parte della
mano dell’imputato fosse in qualche modo schermata, tanto da
impedire che su di
essa si sia depositata la polvere da sparo?».
«Si.» rispose il testimone, cominciando a sudare
copiosamente «Tecnicamente è
possibile.».
«Non ho altre domande.».
Ben scosse lentamente il capo mentre si rendeva conto di avere perso.
Non
avevano elementi sufficienti e lo avrebbero condannato, lo sapeva.
Represse le lacrime che minacciavano di bagnargli il viso e
lasciò che i suoi
pensieri vagassero altrove mentre il Pubblico Ministero cominciava la
sua
arringa. Ne ascoltò però attentamente
l’ultima parte, che lo lasciò senza fiato
e, soprattutto, senza speranza.
«Si è provata quindi in modo incontestabile la
colpevolezza dell’imputato, Ben
Jager, poiché i testimoni hanno affermato di aver visto
chiaramente l’imputato
stesso impugnare la propria arma e sparare contro la vittima. Del
resto, ciò è
confermato anche dalla testimonianza del perito balistico che abbiamo
ascoltato, che ha riscontrato la presenza di polvere da sparo sulle
mani
dell’imputato.» diceva il PM senza un velo di
preoccupazione negli occhi «Non è
stato possibile identificare un movente per l’azione
dell’imputato, ma
ovviamente tale elemento non è indispensabile ai fini di
affermare la penale
responsabilità. Per quanto sopra si chiede a questa corte di
affermare la
penale responsabilità in relazione ai fatti ascritti, per
omicidio volontario
aggravato dalla premeditazione e, conseguentemente considerate le
aggravanti
contestate, condannare l’imputato alla pena di anni trenta di
reclusione.».
In aula vi fu un mormorio confuso.
La Kruger strinse i pugni cercando di reprimere la rabbia mentre
Konrad,
accanto a lei, si prendeva disperato la testa tra le mani.
Il Giudice passò la parola all’avvocato Mayer, ma
pochi ormai speravano che la
sua difesa sarebbe servita effettivamente a qualcosa.
Mayer cercò di far riflettere la corte sul fatto che non si
era riusciti a
determinare con certezza che fosse stato effettivamente
l’imputato a sparare
poiché, nonostante le testimonianze ascoltate, esse erano
contraddette dalla
mancanza di polvere da sparo su gran parte della mano
dell’imputato, che
sarebbe dovuta essere presente se egli avesse effettivamente sparato.
«Inoltre» concluse Mayer senza arrendersi
«Non si è acclarato in nessun modo
quale potesse essere il motivo per cui l’imputato avrebbe
dovuto commettere il fatto
e vi è quindi una totale assenza di movente. Per quanto
sopra si chiede
l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso
il fatto. In subordine si
chiede l’applicazione delle attenuanti generiche
dichiarandole prevalenti sulle
contestate aggravanti, e per effetto di quanto sopra condannare
l’imputato al
minimo della pena.».
«Grazie avvocato.» intervenne quindi il Giudice
annuendo brevemente «Ci sono
dichiarazioni da parte dell’imputato?» chiese poi
rivolto a Ben.
Seguì un lungo attimo di silenzio e il giovane
alzò lo sguardo ad incontrare
quello del Magistrato, che severo lo fissava in attesa.
«Signor giudice...» disse quindi Ben con tono forte
e chiaro, ma senza gridare
e mantenendo una
calma quasi insolita
«Io sono innocente. La mia coscienza è pulita...
spero che lo sia anche la sua.».
Aspettiamo
la sentenza...
Un bacio
Sophie :D
|
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Capitolo 19 *** Basta! ***
Era
tutto finito.
Il Giudice si era ritirato in camera di consiglio e aveva rimandato
l’udienza
alle ore 18.00 dello stesso giorno, ma Ben sapeva perfettamente che
ormai era
tutto finito. Sapeva quale sarebbe stata la sentenza e non la temeva
nemmeno
più. Era solo arrabbiato, provava una rabbia che non
ricordava di aver mai
provato prima.
Immobile, affiancato dalle due guardie, aspettò che il
Giudice rientrasse in
aula e che la sentenza cominciasse. Sarebbe stata una cosa rapida. E
Ben
sperava che finisse il più presto possibile.
Quando il Giudice comparve e tutti i presenti si alzarono in piedi,
quasi gli
mancò il fiato. E quando udì quelle parole,
credette di morire.
«In nome del popolo tedesco» cominciò
l’uomo a voce alta «Visti gli articoli 483
e 488 del codice di procedura penale, dichiara Ben Jager responsabile
dei reati
ascritti e, dichiarando la prevalenza delle aggravanti contestate sulle
attenuanti, lo condanna alla pena di anni trenta di reclusione.
Così deciso in Colonia.
Le motivazioni saranno depositate entro sessanta giorni.».
Il Giudice sollevò lo sguardo e incrociò quello
di Ben per un istante.
Poi semplicemente si alzò e lasciò
l’aula, così come era entrato.
Semir
discese le scale che portavano all’uscita dal
tribunale con un gran nodo in gola.
La testa gli girava vorticosamente, tanto che si dovette fermare a
metà
scalinata per appoggiarsi qualche secondo alla ringhiera.
Aveva deposto contro il suo migliore amico, alla fine lo aveva fatto
davvero.
Lo aveva accusato di omicidio.
Omicidio.
Sospirò. Non sapeva se avrebbe retto ancora per molto, dopo
due mesi che andava
avanti quella storia ormai era distrutto, fisicamente e
psicologicamente.
Aveva continuato ad avere contatti con Hoffman, che lo voleva vedere
una volta
ogni tanto e comunque lo controllava ovunque grazie alla fitta rete di
uomini
che aveva al suo servizio e grazie anche alle numerose telecamere.
Mentre Gehlen era sparito dalla circolazione, quasi fosse morto
un’altra volta.
Semir non aveva più saputo nulla di lui e in
verità nemmeno se ne era più
interessato.
«Gerkhan!» la voce dura e inflessibile della Kruger
lo distolse dai suoi
pensieri. Vide la donna avvicinarsi con occhi che lanciavano fiamme.
«Gerkhan, è soddisfatto adesso? Le ho
già detto che questa storia mi ha stufato
e le chiedo, per l’ennesima volta, di dirmi cosa è
successo due mesi fa, subito.».
«Quello che ho detto davanti al giudice.» disse
Semir ricalando in quello che
ormai era diventato il suo personaggio, il suo ruolo.
«Io non le credo.» sibilò la donna con
decisione.
«Ma il giudice sì, e questo basta.»
replicò l’ispettore senza fare una piega.
«Veda di parlarmi diversamente Gerkhan, sono sempre il suo
superiore e non
tollero questo tono da parte sua.» quasi gridò Kim.
Poche volte Semir l’aveva vista così infuriata.
«Capo, io ho detto solo quello che ho visto.».
La Kruger scosse il capo «Sappia solo che io non le credo e
capirò cosa è
successo.» disse allontanandosi a passo spedito.
Semir si prese la testa tra le mani cercando di mantenere la calma. Lo
riscosse
il suono di un clacson proveniente da una macchina scura ferma proprio
davanti
alla scalinata.
L’ispettore scese quindi gli ultimi scalini e salì
sul sedile posteriore
dell’auto, immaginando già chi lo aspettasse
all’interno di essa.
L’autista partì con una sgommata, incurante della
Kruger che da lontano,
allibita, rimaneva a guardare.
«Complimenti,
Gerkhan.» esordì Hoffman, sul sedile
posteriore della vettura «Devo dire che è stato
particolarmente convincente nel
corso della sua deposizione.».
Semir si voltò verso il suo interlocutore ma si
limitò a fissarlo negli occhi,
senza rispondere.
«Dico sul serio.» aggiunse lui «La sua
famiglia le sarà grata per questo.».
«Ho mandato il mio collega in prigione, ho fatto tutto quello
che mi ha
chiesto, adesso basta.» affermò
l’ispettore con decisione.
L’avvocato sorrise.
« È... patetico, Gerkhan. È veramente
patetico il fatto che lei abbia anche
solo il coraggio di pensare di poter dire
“basta”.». Fece una pausa, per poi
continuare con voce melliflua, mentre l’auto correva
tranquilla per le strade
del centro «”Basta” posso dirlo solo io.
Dipende da me qualsiasi cosa ormai,
ispettore. Lei è nelle mie mani e sa di non avere scampo.
Perché io continuerò
a sorvegliarla Gerkhan, sempre, in ogni momento. Si ricordi delle
bambine in
caso le saltasse in mente di ritrattare la sua deposizione.».
«Avvocato.» fece Semir scendendo dalla macchina,
ormai ferma davanti a casa sua
«Posso permettermi di dirle una cosa?».
Hoffman abbozzò un sorriso scendendo anch’egli
dalla vettura, seguito a ruota
dall’autista «Prego, Gerkhan.».
«Lei è la persona più schifosa che
abbia mai avuto l’onore di conoscere.»
esclamò il poliziotto.
Non gli importava nulla delle conseguenze. Infatti non fece una piega
quando
l’autista gli si avvicinò mandandolo a terra con
un violento calcio allo
stomaco. Non disse niente nemmeno per i colpi successivi: rimase a
terra
immobile fino a che l’autista non fu rientrato in macchina e
la berlina scura
non fu scomparsa dalla sua vista.
«Porco schifoso.» sibilò quindi,
rialzandosi a fatica.
Ben
tentò di reprimere le lacrime che amare
minacciavano di ripresentarsi, mentre due uomini in divisa lo
scortavano in
ascensore verso l’uscita del tribunale.
Passò con lo sguardo a terra in mezzo a tutta quella gente,
evitando di fissare
chiunque avesse davanti per vergogna.
E per paura.
Per vergogna nei confronti dell’accusa di un delitto che non
aveva mai
commesso.
Per paura delle accuse false della gente.
Semir
raggiunse la porta di casa toccandosi il
labbro spaccato.
Cercò le chiavi nella tasca della giacca e il suo sguardo
cadde inevitabilmente
a terra: dall’angolo dello zerbino rossiccio posto davanti
alla porta spuntava
qualcosa. Sì... un foglio.
Si chinò, alzò un lembo del piccolo tappeto e
raccolse il foglio, immaginandone
già la firma.
Era piegato in due, un banale foglio A4 da stampante. Lo
aprì e ne lesse il
contenuto in fretta.
“Gerkhan,
lei si sbaglia se pensa che sia tutto finito,
gliel’ho già detto. Provi a fare un passo falso,
anche solo un minimo passo...
e le assicuro che avrà sulla coscienza un’altra
vittima innocente.
Il
Giaguaro.”
Accanto
alla firma era stampato un felino, identico
a quello che Hoffman e i suoi uomini avevano marchiato sul braccio
sinistro.
In un moto incontenibile di rabbia Semir accartocciò il
foglio e lo scagliò il
più lontano possibile con tutta la forza che aveva in corpo.
Poi entrò aprendo piano la porta.
Silenzio.
Strano, le bambine e Andrea dovevano essere tornate dalla gita a
quell’ora.
Preoccupato, si avviò verso la cucina, ma non
trovò nessuno.
«Andrea?» chiamò ad alta voce mentre una
terribile sensazione si impadroniva di
lui.
Non rispose nessuno, non c’erano.
L’ispettore cominciò a sudare freddo mentre si
catapultava su per le scale
verso la camera delle bambine.
Non poteva averle prese... non poteva essere vero.
Ben
è stato condannato, Hoffman continua a minacciare Semir e
Andrea e le bambine
non si trovano... ma, come direbbe Ben, potrebbe andare peggio...
potrebbe piovere!
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacione
Sophie :D
PS: un ringraziamento particolare a miki per i suoi preziosi consigli
in
campo... legale ;)
A presto!
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Capitolo 20 *** Desiderio di vendetta ***
Semir
spalancò la porta della camera ormai
totalmente in preda al panico.
E quando vide Aida e Lily sedute sul tappeto che mettevano insieme i
pezzi di
un grande puzzle aiutate dalla mamma, non seppe nemmeno cosa pensare.
Si appoggiò allo stipite della porta sospirando, mentre la
tensione degli
istanti precedenti piano piano lo abbandonava.
«Papà!» esclamò Aida felice,
alzandosi per andare incontro all’ispettore, che
la salutò abbracciandola debolmente, ancora col fiatone.
«Semir, ma che diavolo...?» fece invece Andrea
andandogli incontro con sguardo
a metà tra il severo e il preoccupato.
«Niente, niente, è tutto a posto.».
La donna scosse il capo con espressione dura.
«Voi mettete a posto gli ultimi pezzi che poi vengo a vedere
come è venuto, va
bene?» fece sorridente rivolta alle bambine, poi prese Semir
per un braccio e
lo trascinò fuori dalla stanza chiudendosi la porta alle
spalle.
«Ma che ti è preso? Perché sei entrato
così?».
«Scusa... è che non vi ho visto e pensavo che...
lascia stare, sto diventando
paranoico a quanto pare.».
Andrea alzò un sopracciglio «Paranoico
è dir poco, Semir. Allora, l’udienza?».
«Ben è stato condannato...
trent’anni...».
La donna avrebbe voluto mollare un pugno in faccia al marito, avrebbe
voluto
urlargli contro tutto il suo odio, ma non lo fece. E se non lo fece fu
solo
perché si ricordò delle bambine che da dietro la
porta chiusa avrebbero
sentito.
«Quello che io penso di te lo sai già. E se sono
ancora qui è solo per le
bambine. Come pensi di dirlo a loro? Aida cerca Ben da due mesi e le
scuse si
stanno esaurendo.».
Semir scosse il capo allontanandosi da quegli occhi che lo accusavano
colmi di
rabbia «Non lo so Andrea... ma ci penso io.».
Ben
si sedette sulla brandina dura e scomoda e si
appoggiò con la schiena al muro.
Era stanco, terribilmente stanco, così stanco che ancora
nemmeno era riuscito a
realizzare esattamente quanto gli fosse appena accaduto.
Era stato condannato a trent’anni di reclusione,
trent’anni! Erano un’eternità,
ma anche lui sapeva che corrispondevano alla giusta punizione per quel
reato,
reato che lui però non aveva commesso.
Ripensò agli occhi pieni di decisione di Semir nel
pronunciare la sua
testimonianza e ancora una volta non seppe come spiegarsi
quell’espressione.
Perché il collega avrebbe dovuto avere quello sguardo?
Recitava troppo bene una
parte che era obbligato a mettere in scena? O davvero credeva in
ciò che
diceva?
Ben era terrorizzato dall’idea che la seconda
possibilità fosse quella giusta e
rabbrividì nel ripensare a quello sguardo.
Comunque non aveva più molta importanza.
Ormai lui era lì, chiuso da solo in quella piccola cella, e
nessuno avrebbe
potuto salvarlo.
Il
Giaguaro si sedette sul divano facendo cenno ad
Helen di accomodarsi e la ragazza prese posto di fronte a lui e ad Erik.
«Sei stata brava durante la testimonianza.»
cominciò Hoffman con un mezzo
sorriso.
La donna non ricambiò il sorriso ma annuì
semplicemente.
«Andrà avanti ancora per molto questa
storia?» chiese invece con riluttanza.
«Cosa c’è, Helen? Non ti faranno pena
quei due sbirri per caso?» domandò
l’avvocato
in tono irrisorio.
«Ma figurati.».
L’attimo di silenzio che seguì venne interrotto
bruscamente da Gehlen, che si
alzò cominciando inquieto a girare per la stanza
«Sentite, quando posso entrare
in scena io?» domandò, infastidito.
«Con calma Erik, con calma.» rispose
l’uomo con voce melliflua.
«Con calma un corno, David! Porca miseria! Sono
più di sette anni che preparo
la mia vendetta contro quel bastardo, mi spieghi cos’altro
devo aspettare per
poterla mettere in pratica?».
Hoffman sospirò, cominciando a spazientirsi, mentre Helen
assisteva divertita
alla scena, in perfetto silenzio.
«Erik, Gerkhan sta passando un brutto periodo, forse il
peggiore della sua vita
e...».
«Ma a me questo non basta!» quasi gridò
Gehlen aggirandosi nervosamente attorno
al divano «E poi mi spieghi cosa me ne faccio del mio ospite se aspetto ancora un
po’?».
«Il tuo ospite, come lo
chiami tu, ha
resistito per due mesi in mano tua, potrà resistere ancora
per qualche
settimana. Infondo è stato morto
per
quasi otto anni, un po’ di prigionia non gli darà
poi tanto fastidio. E
comunque aspetta che Gerkhan ceda, e cederà, e potrai
attuare la tua vendetta,
va bene?» fece il Giaguaro con un tono che non ammetteva
repliche.
Ghelen strinse i pugni e si risedette con un sospiro.
Kim
si gettò sul letto senza togliersi nemmeno i
vestiti.
Era stanca, ma soprattutto era terribilmente arrabbiata. Contro Semir,
contro
quel giudice, contro Hoffman, e soprattutto contro se stessa.
Adesso era sicura che il Giaguaro fosse Hoffman, così come
era sicura che Semir
fosse stato ricattato: la berlina scura che era passata a prendere il
suo
sottoposto al tribunale ne era stata la conferma.
Ma come poteva dimostrarlo?
Rimase immobile a fissare il soffitto per alcuni lunghi istanti,
cercando
disperatamente una soluzione per quella che sembrava essere
un’indagine che non
si sarebbe mai archiviata.
Eppure lei non riusciva proprio ad accettare che la sua squadra venisse
distrutta così, non poteva accettare che un giovane
innocente passasse la vita
in prigione a causa di un vile ricatto.
Avrebbe indagato ancora e ancora, senza sosta, nonostante ormai la
sentenza
fosse stata pronunciata.
E poi, avrebbe provato ad affrontare l’argomento con Semir, e
questa volta non
gli avrebbe concesso nemmeno una via di scampo.
Andrea
e le bambine erano solo al piano di sopra. Torna sulla scena il nostro
Gehlen,
che adesso però sparirà di nuovo per un
po’...
Un bacio e grazie a chi continua a seguirmi e a recensire!
Sophie :D
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Capitolo 21 *** Visite ***
Quattro
giorni dopo a Colonia faceva un caldo
terrificante.
Semir non ricordava un’estate così calda da anni e
anni addietro.
Eppure l’ispettore aveva smesso di far caso al clima e a
tutto il resto che lo
circondava ormai da giorni. Da quando era accaduto ciò che
mai avrebbe
immaginato sarebbe successo.
Indugiò ancora qualche minuto davanti al Penitenziario prima
di entrare
esibendo il proprio tesserino.
Si guardò intorno, si sentiva osservato e sapeva di esserlo
effettivamente.
Con un sospiro chiese alla guardia di accompagnarlo
dall’ispettore Ben Jager e
lasciò che il ragazzo grande e grosso a cui aveva appena
domandato gli facesse
strada lungo gli intricati corridoi della struttura.
Raggiunse la sala dei colloqui e ringraziò il giovane, che
si allontanò con un
sorriso veloce.
Adesso doveva semplicemente aprire quella porta.
Tirare giù quella maniglia e parlare con lui.
Doveva riuscirci.
Ben
si alzò di scatto quando la guardia lo venne a
chiamare.
Questa aprì la porta della cella in cui il poliziotto era
rinchiuso e lo spinse
in malo modo fuori dalla piccola stanza.
«C’è una persona che ti vuole
parlare.» borbottò, con voce sprezzante.
Ben annuì e lasciò che l’uomo lo
spingesse violentemente lungo il corridoio per
arrivare quindi all’aula del colloquio.
Era naturale che fosse trattato così, i poliziotti in
carcere erano trattati
peggio di qualsiasi altro tipo di detenuto, anche dalle stesse guardie.
Entrò nella stanza e un sorriso gli si dipinse sul volto
vedendo chi lo
aspettava dall’altra parte del vetro divisorio.
Ma il sorriso si spense presto, non appena al giovane ispettore
tornarono in
mente le immagini dei giorni passati, di quei terribili momenti, di
quella
situazione totalmente sbagliata.
Fu allora che si chiese cosa ci facesse lì il suo ex collega.
Era venuto ad accusarlo come aveva fatto l’ultima volta in
tribunale?
Lo sguardo a terra, si diresse verso il vetro e si sedette di fronte ad
esso,
mentre un’altra guardia, diversa da quella che lo aveva
portato fin lì,
assisteva al colloquio alle sue spalle, a pochi metri di distanza.
A
Semir si strinse il cuore vedendo l’amico ridotto
in quello stato: aveva un occhio nero, era pallidissimo ed era
dimagrito
visibilmente.
All’improvviso si rese conto che non avrebbe saputo cosa dire.
Perché voleva dirgli la verità ma non ne aveva il
coraggio.
«Ehi.» esordì Ben dall’altra
parte del vetro.
Semir si limitò a guardarlo, senza fiatare, mentre il senso
di colpa lo rodeva
dall’interno.
«Semir, pensi ancora che sia stato io?».
«Ben...».
«Dimmi solo perché. Perché?
C’eri anche tu, hai visto cosa è
successo.» replicò
il più giovane con sguardo quasi supplichevole.
Semir sospirò. Aprì la bocca per parlare ma fu
allora che vide. Vide la guardia
alle spalle di Ben tirarsi di poco su la manica della camicia che
indossava con
un gesto impercettibile. Vide il tatuaggio, quel
tatuaggio, che l’uomo gli indicò con un cenno del
capo, per assicurarsi che lui
lo notasse.
Lo controllavano anche lì, non poteva cedere, non ancora.
«Appunto Ben, ho visto cosa è successo, ti ho
visto mentre sparavi.» disse
quindi.
«Ma cosa stai dicendo?» domandò Ben
sull’orlo delle lacrime. Si era riproposto
di non piangere ma mantenere questa promessa fatta a se stesso
risultava adesso
particolarmente difficile.
«Ti ho visto. Hai premuto il grilletto Ben, l’hai
ucciso. Io sono un poliziotto
e ho detto quello che ho visto.» rispose Semir, atono.
«Ma non è vero! Non è vero,
maledizione, non è vero!».
Il turco annuì.
«Sì che è vero Ben, l’ho
visto, ti ho
visto!».
Ben abbassò lo sguardo, gli occhi gli bruciavano
terribilmente.
Perché il suo migliore amico si comportava così?
Non riusciva a capire, non
capiva! Arrivò persino a pensare di avere torto. Che lui,
Ben Jager, avesse
ucciso un uomo per poi dimenticarsene? Ma come sarebbe stato possibile?
Improvvisamente, senza nemmeno sapere come, provò una rabbia
incontrollabile
nei confronti del collega. Era troppo, aveva sopportato troppo.
«Se sei venuto qui sono per ribadirmi questo puoi anche
andartene Semir, io non
ho niente da dirti.».
Semir non replicò.
Si alzò senza più guardare l’amico
negli occhi, e comunicò alla guardia che il
colloquio era terminato.
Uscì
dal Penitenziario quasi di corsa, maledicendosi
per l’enorme errore che aveva commesso. Non solo era andato a
trovare Ben per
la prima volta da quando era stato portato in carcere più
due mesi prima e non
era riuscito a dirgli la verità, ma in questo modo aveva
anche fatto capire
agli uomini di Hoffman che stava cedendo.
Si dimenticò completamente di salutare la guardia
all’ingresso, oltrepassò
l’imponente cancello e si ritrovò nel piazzale
come pochi minuti prima.
Ma non fece in tempo a raggiungere la propria BMW che vide Hoffman
avvicinarsi,
a piedi, seguito dal suo autista.
«Cosa non è stato chiaro della frase “Io
continuo a tenerla d’occhio.”,
Gerkhan?» fece il Giaguaro fermandosi davanti a lui.
«Non... non ho detto niente a Ben...».
«Ma avrebbe voluto farlo.» concluse Hoffman, scuro
in volto.
L’autista si avvicinò all’ispettore con
fare minaccioso ma il suo capo lo fermò
con un cenno della mano «Non qui e non ora, Alfred. La
lezione gliela daremo
più tardi, ma non certo davanti al carcere. E poi dobbiamo
muoverci, un mio
informatore mi ha detto che il commissario Kruger sta venendo
qui.».
Semir ne fu rincuorato.
In un momento come questo, almeno la Kruger stava vicino a Ben e lo
andava a
trovare spesso. Stranamente, si ritrovò a sperare che la
donna capisse come
fossero andate veramente le cose. Cominciava ad essere veramente
provato da
tutta quella messa in scena che ormai durava da quasi due mesi e mezzo.
Salì sulla propria auto sotto lo sguardo severo di Hoffman e
il Giaguaro fece
lo stesso accomodandosi sulla propria berlina nera.
Poi la BMW di Semir venne “scortata” dalla vettura
dell’avvocato fino a casa.
Kim
Kruger parcheggiò la propria macchina di
servizio nel polveroso piazzale ed entrò a passo spedito nel
penitenziario
esibendo il proprio tesserino e chiedendo di Ben Jager.
La guardia le rispose cordialmente che il giovane si trovava
già nella stanza
delle visite, poiché un uomo era andato a trovarlo pochi
minuti prima.
Il commissario corrucciò la fronte sorpresa e
lasciò che la guardia la
conducesse attraverso gli intricati corridoi del Penitenziario.
Quando pochi minuti dopo si trovò davanti al suo ex agente,
provò qualcosa di
molto simile alla pietà: ogni volta che lo andava a trovare
il giovane ex
ispettore era sempre ridotto peggio fisicamente, ma questa volta le
sembrò
veramente a terra.
«Semir... è appena venuto a trovarmi.»
spiegò Ben con un filo di voce.
«Gerkhan?» fece la Kruger sorpresa.
«Sì, ma sinceramente non ne capisco il motivo.
È venuto per ripetermi che in
tribunale ha detto solo quello che ha visto, poteva anche evitarsi il
disturbo.».
Kim rimase interdetta per qualche istante, scorgendo nella voce del
giovane un
odio sottile che prima di quel momento non aveva mai riconosciuto nel
suo tono.
«Jager... Ben. Io penso che Gerkhan sia stato
ricattato.» disse il commissario
in un sussurro.
«Lo pensavo anche io capo, ma ha visto il suo sguardo al
processo? Lui credeva
in ciò che diceva!».
«O forse fingeva di crederlo.» ribatté
la donna con la sua solita sicurezza.
Ben scosse la testa sconsolato «Non lo so... a me
è sembrato fin troppo
sincero.».
«Mi dia retta, lo stanno ricattando. Ma io sto indagando e
capirò cosa è
successo, glielo prometto.» replicò Kim con un
mezzo sorriso «Non voglio
perdere i miei uomini migliori, per nulla al mondo.».
L’ex ispettore sorrise a sua volta «Grazie
commissario, davvero. Almeno lei mi
crede e questo mi dà speranza... grazie.».
«Non si preoccupi Jager... io la tirerò fuori di
qui.».
Capitolo
di passaggio, ci siamo ricollegati al prologo. Non odiatemi, ma ancora
la
storia sarà mooolto lunga!
Grazie mille per le recensioni e a presto.
Sophie :D
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Capitolo 22 *** Lettera ***
William
Petersen era un porta lettere come molti
altri.
Erano ormai quasi dieci anni che si occupava di trasportare la posta da
una
parte all’altra della città e infondo era
affezionato al suo lavoro: gli era
sempre piaciuta l’idea di poter essere in qualche modo
tramite di buone
notizie.
Certo, il fatto che potesse portare anche brutte notizie senza nemmeno
esserne
consapevole a volte lo disturbava un po’, ma
d’altra parte quale lavoro non
aveva i suoi difetti?
Quella mattina fermò il suo furgoncino e cominciò
come tutti i giorni a
smistare le buste che aveva tra le mani. Non poteva sapere che tra esse
ce ne
fosse una diversa...
Recapitò una lettera a casa Gerkhan, l’ultima
della via in cui si trovava e poi
si avviò soddisfatto verso la sua vettura, pronto a
riprendere il suo giro
abituale.
Andrea
raccolse la posta dalla cassetta con fare
svogliato e lesse distrattamente i mittenti: una era della Banca,
un’altra era
una cartolina da parte di una sua amica in vacanza alle Hawaii, mentre
l’ultima...
La donna corrucciò la fronte: la busta dell’ultima
era aperta e sopra c’era
scritto il destinatario, Semir Gerkhan, ma nessuna traccia del mittente.
Curiosa, estrasse il foglio dalla busta e cominciò a leggere.
Quando
meno di mezz’ora dopo Semir rientrò in casa
dopo la visita al carcere di Ben, trovò la moglie in piedi a
braccia conserte
nell’ingresso ad aspettarlo.
«Andrea... cosa succede?» domandò,
temendo che la donna avesse scoperto
qualcosa.
«Cosa succede? Forse io dovrei chiedere a
te cosa succede!» gridò Andrea sbattendo
la lettera aperta sotto il naso
del marito.
Il poliziotto divenne pallido improvvisamente e prese in mano il
foglio,
capendo all’istante di essere nei guai.
“Buongiorno
Gerkhan. Solo un nuovo avvertimento: il suo
commissario, Kim Kruger, continua ad indagare al caso Jager. E sospetta
di lei.
Veda di continuare a svolgere bene il suo ruolo ispettore, ultimamente
ci sono
state troppe esitazioni. Un’altra, un’altra sola di
queste... e mi costringerà
a fare di una delle sue figlie una nuova vittima innocente.
Il
Giaguaro.”
«Ora.»
fece Andrea con un tono che non ammetteva
repliche di alcun tipo «Dimmi cosa sta succedendo Semir,
perché davvero la mia
pazienza termina qui. Ti stanno minacciando? È per questo
che hai accusato
Ben?».
Semir scosse il capo ma quando aprì la bocca per ribattere
da essa non uscì
alcun suono.
«Sono quasi tre mesi che ti minacciano e tu non hai trovato
un modo per
dirmelo? Per denunciarli? Eh? Cosa ti hanno detto?»
continuava imperterrita la
donna «Che avrebbero fatto del male alle bambine? Semir
parla, per la
miseria!».
«Andrea, c’è un equivoco, non
è così...».
«Non è così?»
gridò ancora Andrea alzando ancora più la voce.
Semir lanciò un’occhiata alle telecamere che ormai
sapeva dove erano nascoste e
poi alla macchina scura che sostava davanti alla loro casa.
«Va bene.» disse, ma sussurrando «Ora ti
spiego tutto, però...».
L’ispettore non riuscì a terminare la frase.
Lo interruppe un rumore di vetri rotti.
Una pietra, avvolta in un foglio di carta, aveva appena frantumato il
vetro
della finestra che dava sull’ingresso, atterrando proprio in
mezzo ai due
coniugi. Entrambi si chinarono a raccoglierla ma Semir fu
più svelto e lesse il
foglio lasciando cadere la pietra di nuovo a terra.
“Provi
a parlare e se ne pentirà. Sua moglie è sotto
tiro.”.
Posò lo sguardo negli occhi di Andrea e poi tornò
a guardare il foglio «Andrea
scusami... ti prego scusami!» disse in fretta.
Poi aprì la porta e corse fuori dalla casa.
«Ma
dico io, si può essere più deficienti?»
gridò
Hoffman rompendo il silenzio entrando nel grande salone della villa.
Helen, voltata di spalle, sussultò. Era la prima volta che
il suo capo perdeva
il controllo in tanti anni di collaborazione. Ma questa volta ne
conosceva
perfettamente il motivo.
«Porca miseria, Helen! È stata tua la brillante
idea di inserire la lettera di
avvertimento di Gerkhan tra le lettere del postino, non è
così? Non è così?».
«Ecco, io... No, io...» balbettò la
ragazza indietreggiando mentre il Giaguaro
le si faceva sempre più vicino.
«Tu? Tu cosa, sentiamo! Adesso la moglie di Gerkhan sa che lo
ricattiamo! Lo hai
fatto apposta, vero? Sapevo che quel turco stava cominciando a farti
pena, l’hai
fatto apposta per aiutarlo!».
Era vero. Era vero, aveva voluto provare ad aiutarlo, per questo aveva
fatto in
modo che Andrea venisse a conoscenza della situazione attraverso la
lettera.
«Non ha... non ha niente in mano... e poi... e
poi...» fece la ragazza
facendosi sempre più piccola mentre l’uomo alla
sua vista diventava in
confronto a lei sempre più imponente e spaventoso.
«Mi dispiace, Helen, ma a me non servono le persone che
commettono errori. E un
errore di questa portata è più che sufficiente a
farmi capire come devo
procedere nei tuoi confronti.».
«David... David ascolta... ti prego...».
Ma Helen Luithild non ebbe mai l’opportunità di
terminare quella frase
balbettata e lasciata in sospeso. Non riuscì a terminare la
sua supplica.
E il Giaguaro non si preoccupò di ascoltarla.
Perché poi successe tutto molto in fretta e nemmeno la donna
si accorse di ciò
che stava per accadere.
Vide solo Hoffman tirare fuori una pistola e sentì lo sparo.
Poi cessò semplicemente si esistere.
Capitolo
breve. Helen alla fine non era così malvagia...
Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi e un bacione.
Sophie :D
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Capitolo 23 *** Lungo il Reno ***
Seduto
su quella panchina grigia isolata sul
lungofiume, Semir stava immobile ad osservare l’acqua del
Reno che si muoveva
pigramente davanti ai suoi occhi.
Era letteralmente scappato da casa e sapeva che lo avevano seguito
anche lì, ma
non gli importava. Non gli importava più nulla.
L’unica cosa che contava erano
le bambine e le bambine sarebbero state al sicuro solo se lui avesse
continuato
la sua recita.
Ma non ce la faceva più a resistere, stava cedendo, dopo due
mesi e mezzo d’Inferno
non aveva più forze.
Adesso che poi Andrea ne era venuta a conoscenza...
Era così assorto nei propri pensieri che nemmeno
sentì il rumore dei passi che
si avvicinavano alle sue spalle.
Sussultò quando sentì una mano sfiorargli la
spalla destra e si voltò di
scatto, sicuro che si trattasse di uno degli uomini di Hoffman.
Quando si trovò invece davanti al familiare viso della
Kruger, non seppe se
esserne sollevato o meno.
Il commissario lo salutò freddamente con un cenno del capo e
si sedette accanto
a lui sulla panchina.
«Capo, io...» cominciò
l’ispettore, ma venne immediatamente interrotto dalla
donna.
«Io mi sono veramente stancata di seguire una
verità che non esiste, Gerkhan.»
disse con un tono che a Semir fece quasi paura «Se lei pensa
che io le abbia
anche solo minimamente creduto nel corso di queste settimane, si
sbaglia di
grosso. Ho voluto aspettare per provare a capire da sola cosa stesse
accadendo
davvero, ma ora basta. Ora mi dica cosa sta succedendo,
perché forse a lei la
sorte di Jager non interessa, ma a me sì e molto
anche.».
Semir spostò lo sguardo dagli occhi decisi del suo superiore
all’asfalto grigio
sotto di sé.
Forse a lei la sorte di Jager non
interessa...
Davvero la Kruger pensava questo di lui? Si sentì
improvvisamente come se un
pugnale lo avesse trafitto in pieno petto.
«Non... non è vero che a me non
interessa.» balbettò, mostrando per la prima
volta da quando tutto era iniziato insicurezza davanti al suo capo
«È che io...
io ho visto...».
«Lei non ha visto proprio niente! La smetta di fingere
Gerkhan, per la miseria!
Ben sta male in quel carcere, ha capito? Sta
male!» gridò la Kruger marcando bene le
ultime due parole.
«E pensa che io stia bene invece? Eh? Lo pensa
davvero?» sbottò Semir ad un
tratto.
«Sicuramente meglio del suo collega in questo
momento.».
«Solo perché lei non sa...»
l’ispettore si interruppe bruscamente.
«È proprio questo il punto, Gerkhan.»
continuò invece Kim, ostentando sicurezza
«Il punto è che io non so.
E se
sapessi, probabilmente potrei aiutare sia lei che Jager.».
Semir scosse il capo «Non mi può aiutare. Nessuno
mi può aiutare.».
La Kruger fece un profondo respiro, decidendo di provare a giungere
dritta al
punto «La stanno ricattando?».
Altra pugnalata.
L’ispettore continuò a non guardarla negli occhi.
Avrebbe dovuto scuotere la testa e dire di no, avrebbe dovuto
continuare a
fingere.
Ma questa volta non ci riuscì.
Così come non riuscì a trattenere le lacrime, che
amare cominciarono a
scivolargli lungo le guance.
«Capo io... io non posso...».
«Gerkhan... Semir.» fece Kim posando una mano sulla
spalla del collega e passando
al “tu” senza nemmeno accorgersene
«Perché non puoi? Lily e Aida ne farebbero
le spese? Ti stanno ricattando, non è
così?».
Il turco non rispose, continuando a piangere in silenzio.
«Chi è? È stato Hoffman ad organizzare
tutto questo?» continuò imperterrita la
Kruger con una dolcezza nuova nel tono della voce.
Semir annuì.
«Quindi Ben non ha premuto quel grilletto? Per favore Semir,
rispondi.».
«È stata... è stata Helen...»
singhiozzò il poliziotto «Helen ha sparato con la
mano e la pistola di Ben, ma è stata lei... e poi si
è ferita il braccio da
sola...».
«Ho capito...» mormorò la donna annuendo
e alzandosi dalla panchina. Era tutto
come aveva sospettato, ma adesso almeno ne aveva avuto la conferma. E
se Semir
avesse testimoniato contro l’avvocato il tribunale, tutto si
sarebbe risolto e
Ben sarebbe stato scarcerato.
«Capo... Andrea e le bambine... sono in pericolo. Hoffman le
ucciderà!» mormorò
Semir tra le lacrime.
«Chiamo subito il comando e faccio mandare degli agenti a
controllare la casa.
Sono a casa tutte e tre?».
«Aida è da un’amichetta, Hawer
Straβe, 10.».
«Va bene.» disse il commissario afferrando il
telefono e componendo in fretta
il numero del comando «Susanne? Ascolti, mandi una pattuglia
davanti a casa
Gerkhan, subito. Andrea e le bambine devono essere messe sotto
protezione, una
delle piccole si trova in Hawer Straβe, 10. Le trasferiremo in
luogo protetto
ma nel frattempo mandi degli uomini a controllare. Sì...
come? Dove? Va bene,
arrivo.».
«Grazie capo.» sussurrò Semir
sfregandosi gli occhi, rimanendo seduto sulla
panchina ma alzando finalmente lo sguardo.
«Gerkhan, hanno trovato il corpo di Helen Luithild.
È stata uccisa.».
Hoffman
seguitò a girare inquieto per la stanza e
guardò l’orologio. A quell’ora gli
sbirri dovevano già aver trovato il corpo di
Helen. Era stato attento a fare in modo da non lasciare prove che
portassero a
lui. Ma che importava? Ormai era in trappola, era stato incastrato. Uno
dei
suoi informatori lo aveva appena avvisato che Gerkhan aveva sputato il
rospo.
Per un attimo il Giaguaro fu preso da uno sconforto che prima di quel
momento
gli era sempre stato sconosciuto.
Eppure doveva esserci un modo per rimediare, per riprendere in mano la
situazione.
Improvvisamente ebbe un’idea.
Forse non era tutto perduto.
Compose un numero sul display del suo cellulare e attese impaziente una
risposta.
«Alfred? Ascoltami. Prendi la figlia di Gerkhan, la
più grande. Portala a
Gehlen, lui saprà cosa fare. Aspetta, non ho finito. Ora ti
do istruzioni anche
per quanto riguarda lo sbirro.».
Semir
ha parlato, finalmente! Ma Hoffman non pare avere intenzione di
fermarsi.
Grazie a tutti come sempre, siete meravigliosi!
Un bacione
Sophie :D
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Capitolo 24 *** La morsa del buio ***
«Lasciami!
Lasciami subito, mi fai male!» gridò la
bambina cercando di divincolarsi dalla stretta dell’uomo, che
la sbatté in
macchina senza troppe cerimonie, poi prese dello scotch e le chiuse con
quello
la bocca, dopo averle legato insieme i polsi.
«Adesso tu stai immobile e zitta, chiaro?».
Aida continuò a divincolarsi cercando in qualche modo di
slegarsi i polsi ma
senza risultato.
Sentì la macchina su cui era seduta partire e strinse i
pugni scalciando a più
non posso.
Non sapeva chi fosse quell’uomo, né dove la stesse
portando.
Represse le lacrime che minacciavano di inumidirle gli occhi e
provò ancora a
liberarsi.
Si fermò solo quando udì l’uomo che
l’aveva rapita e che ora guidava parlare al
telefono con qualcun altro e provò ad ascoltare. Non
capì molto, parlò solo di
una certa Helen e dell’esigenza di una nuova persona su cui
fare affidamento. E
poi le sembrò di sentire pronunciare il nome di Ben ma non
era sicura di aver
capito bene...
Ora la macchina viaggiava a tutta velocità e Aida non
riusciva nemmeno a
guardare fuori dai finestrini dalla posizione in cui ti trovava.
Il cuore le batteva a mille.
Aveva paura.
«Andrea,
provi a calmarsi!» quasi gridò la Kruger
facendo sedere la donna che continuava a singhiozzare senza posa.
«Commissario, mi aiuti, la prego! Io non ci capisco
più niente, prima la storia
di Semir e adesso questo!».
«Andrea, ora si calmi e mi racconti cosa è
successo.».
«Aida era dalla sua amica e quando sono arrivati gli agenti
non c’era più... e
la mamma dell’amica di Aida dice di aver visto un uomo di
spalle che saliva in
macchina con in braccio una bambina, ma di aver realizzato solo dopo
che si potesse
trattare di Aida, perché le bambine stavano giocando da sole
in giardino.»
spiegò Andrea, gli occhi rossi e le guance rigate dalle
lacrime.
«Non abbiamo fatto in tempo.» mormorò
Kim mordendosi il labbro.
Chiuse un momento gli occhi provando a riflettere.
Se solo non avesse costretto Semir a parlare all’aperto, dove
chiunque poteva
vederli e sentirli! Hoffman doveva aver saputo che il poliziotto aveva
deciso
di dire quello che sapeva e per punirlo aveva rapito la bambina.
E per di più Semir ancora non sapeva niente.
«Commissario, mi dica che sa dove possono averla portata, la
prego!».
La Kruger scosse il capo con un sospiro «Non lo so, Andrea.
So solo che Semir
era stato minacciato da Hoffman, per questo ha mandato Ben in prigione.
Hoffman
gli aveva detto che altrimenti avrebbe fatto del male a lei o alle
bambine.».
«Se succede qualcosa ad Aida...».
«Non succederà proprio niente, la
troveremo.».
Andrea annuì debolmente.
Poi si asciugò gli occhi con la mano sinistra mentre con
l’altra estraeva il
cellulare e componeva rapidamente il numero del marito.
Semir
era appena salito in macchina.
Dopo aver parlato con la Kruger era rimasto ancora un po’
seduto su quella
panchina sul Reno, senza nemmeno la forza di muoversi.
Adesso doveva andare a casa, parlare con Andrea e poi andare ad
arrestare
Hoffman. Questa volta lo avrebbe arrestato e sarebbe tutto finito.
Ma aveva paura, una paura incredibile che il Giaguaro riuscisse a
sfuggire al
controllo degli agenti posti a protezione della sua famiglia: se fosse
accaduto
qualcosa alla moglie o alle bambine non se lo sarebbe mai perdonato.
Quando vide sul display del telefono che cominciava a squillare il
numero di
Andrea, il cuore gli balzò in gola mentre un terribile
presentimento si faceva
di nuovo strada dentro di lui.
Afferrò il cellulare con una mano mentre con
l’altra reggeva il volante e
rispose precipitosamente.
«Andrea, cosa succede?».
«A... Aida... Semir, hanno rapito Aida!» la voce
disperata della moglie
dall’altro capo del telefono lo fece sussultare e udendo le
sue parole nella
testa del poliziotto si creò la confusione più
totale.
Rimase in silenzio continuando a guidare, incapace di dire o di pensare
qualsiasi cosa.
Udiva solo i distanti singhiozzi della donna, che però
sembravano affievolirsi
sempre di più.
Superò un incrocio con il semaforo rosso senza nemmeno
accorgersene e schivò
per pochi centimetri una signora che attraversava la strada sulle
strisce.
«Semir? Hai capito? Hanno... hanno...».
«Andrea, dove sei?».
«Al comando.».
«E Lily?».
« È qui con Dieter e Jenny...».
«Non vi muovete da lì, sto arrivando.».
Semir chiuse la comunicazione e gettò il telefono sul sedile
accanto al suo,
strinse il volante e fece più pressione con il piede sul
pedale, aumentando la
velocità.
Era tutta colpa sua, tutta solo colpa sua.
Hoffman aveva saputo della sua “confessione” e
aveva fatto rapire Aida, chissà
dove poteva averla portata.
Era colpa sua...
Superò un paio di incroci a velocità folle e non
tenne conto dei semafori e
delle precedenze mentre si avviava il più velocemente
possibile verso il
comando.
Era confuso, troppo confuso, non capiva più nulla.
Ma soprattutto, non era abbastanza lucido.
Infatti si accorse troppo tardi dell’uomo che riconobbe come
uno degli
scagnozzi di Hoffman fermo sul ciglio della strada.
Non lo vide in tempo mentre spingeva in mezzo alla carreggiata
un’anziana
signora e non riuscì a frenare come avrebbe dovuto.
Girò il volante all’ultimo
minuto e la macchina ruotò in un violento testacoda per poi
ribaltarsi
inevitabilmente. Nemmeno l’uomo ch guidava l’auto
che era dietro di lui fu
abbastanza svelto e la vettura andò a scontrare quella di
Semir, che si ribaltò
ancora una volta, mentre una moto finiva a sua volta contro la BMW
ormai
semidistrutta.
Semir non si accorse di molto.
L’ultima cosa che vide fu il sorriso beffardo dello scagnozzo
di Hoffman che si
allontanava.
Poi udì in lontananza il suono di una sirena.
E il buio si chiuse su di lui.
Grazie
a Maty, Chiara, Reb, Tinta, Marti, Chlo, Furia e Miki per le recensioni
e un
bacione!
Sophie :D
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Capitolo 25 *** Amnesia ***
«Suo
marito ha avuto molta fortuna.» replicò il
medico avviandosi verso la stanza del paziente con alcuni fogli tra le
mani e
facendo cenno ad Andrea di seguirlo.
Era un uomo di media altezza, con i capelli brizzolati e due grandi
occhi scuri
che trasmettevano un incredibile senso di sicurezza.
Il cartellino che aveva appeso alla tasca del camice bianco che portava
mostrava stampato il nome “Peter Füger”.
«Posso parlare con lui?» domandò la
donna supplicandolo con lo sguardo.
«Sì, ma solo per pochi minuti, adesso ha bisogno
di riposo. Fisicamente non ha
riportato danni, solo alcuni lividi che non avranno alcuna conseguenza.
È quasi
un miracolo, mi creda.».
Andrea sorrise, almeno in parte tranquillizzata.
«Tuttavia...» cominciò il dottore
esitando nel continuare la frase.
«Tuttavia?» lo incalzò la donna
fermandosi improvvisamente in mezzo al
corridoio con lo sguardo terrorizzato. Il cuore ricominciò a
batterle forte.
«Suo marito sostiene di non ricordare nulla. E con
“nulla” non intendo la
dinamica dell’incidente. Non ricorda nemmeno chi sia, da dove
venga e come si
chiami. Potrebbe essere solamente un’amnesia transitoria, ma
per ora non posso
esserne certo. La particolarità è che suo marito
non ha riscontrato alcun danno
celebrale, nemmeno un piccolo livido... l’unica spiegazione
potrebbe essere
data dallo shock per quanto accaduto, può capitare che si
verifichino
conseguenze simili.».
Andrea rimase come paralizzata a fissare negli occhi l’uomo
che le parlava.
«Lui... non si ricorda più cosa... cosa
è successo? Niente?» balbettò mentre il
panico si impossessava di lei.
Il medico scosse il capo «Ma le ripeto, probabilmente
è solo un’amnesia transitoria...».
«Ma... ma io... Aida...» si ritrovò a
balbettare la donna mentre le lacrime
cominciavano a rigarle le guance.
Vedendo come la situazione stava precipitando, il dottore
lasciò la cartellina
su un mobile, prese Andrea per mano e la fece sedere su una delle sedie
in fila
davanti alle stanze dei pazienti.
«Signora, si calmi, suo marito è stato fortunato,
mi creda!».
«Ma io... io non ce la faccio... lei non sa...».
«Cosa?» domandò Peter Füger,
stupito.
Poi le sorrise dolcemente sedendosi accanto a lei.
«Me ne vuole parlare, signora? C’è
qualcos’altro?».
E Andrea gli raccontò tutto. Si ritrovò
incredibilmente a raccontare tutta la
storia ad un medico, ad un perfetto sconosciuto. Gli
raccontò tutti i dettagli
e tutto ciò che era successo cominciando a parlare dei due
mesi precedenti. Gli
disse di Ben in prigione, delle minacce di Hoffman e del rapimento di
Aida, ma
non nominò l’avvocato.
L’uomo rimase ad ascoltare attento e con aria comprensiva e
sembrò capire
appieno la gravità della situazione.
«Ma se lui... se Semir non si ricorda nulla non potremmo
incastrare quel
criminale e quel criminale ha mia figlia!» esclamò
disperata.
«Mi ascolti, a maggior ragione se suo marito aveva appena
saputo del rapimento
della piccola, potrebbe trattarsi di un’amnesia causata dallo
shock per quanto
accaduto. Può capitare. Ma secondo me si
ristabilirà in fretta, normalmente le
amnesie di questo genere durano dalle due alle otto ore e...».
«Ma non c’è tempo! Quei criminali sono
spietati, potrebbero... potrebbero...
farle del male.» concluse Andrea in quello che
risultò poco più di un sussurro.
«Senta...» fece il medico con voce ferma ma al
tempo stesso calda e
rassicurante «Io farò il possibile per scoprire le
cause di questa amnesia.
Stia tranquilla, vedrà che si risolverà tutto...
ma lei deve avere speranza!».
«Io non so più in cosa sperare,
dottore...».
Peter sorrise appena alzandosi dalla sedia ma continuando a guardarla
negli
occhi «Una volta un mio amico mi ha detto “La
speranza è un rischio da correre. È addirittura
il rischio dei
rischi.” Continui a sperare, Andrea, andrà tutto
bene. E adesso entri nella
stanza e parli con suo marito... la sta aspettando.».
Andrea
aprì piano la
porta, quasi temendo ciò che avrebbe potuto trovare
all’interno della piccola
stanza.
E invece trovò solo Semir, seduto sul letto con qualche
cerotto sul viso, che
la salutò con un mezzo sorriso.
«Buongiorno.» cominciò.
E la donna si sentì il pavimento crollare sotto ai piedi. Buongiorno. Allora davvero non la
riconosceva...
«Semir, come ti senti?».
«Bene, grazie... ma lei chi è? Mi hanno detto di
aver avuto un incidente ma io
non ricordo...» fece l’ispettore con aria smarrita.
«Io... io sono Andrea... sono tua moglie.»
cominciò lei in un leggero mormorio.
Si andò a sedere affianco al letto e prese un bel respiro
«Non ricordi?».
Semir scosse il capo con un sospiro e la fissò negli occhi
con espressione
affranta «Mi dispiace, davvero... ma io...».
La donna estrasse dalla borsa il portafoglio e recuperò
dall’interno di esso
una vecchia foto che li ritraeva insieme nel giorno del loro
matrimonio. Era
passato tanto tempo, ma lei aveva sempre tenuto quella piccola foto con
sé,
nonostante da allora fossero cambiate davvero molte cose.
«Guarda.» gli sussurrò mostrandogliela.
Semir la prese tra le mani e la osservò, ma il suo sguardo
divenne ancora più
confuso di prima. Alzò gli occhi dalla foto e gli
puntò in quelli chiari di
Andrea. Non vide però in essi gli occhi di sua moglie, ma
quelli sconosciuti di
una persona mai vista prima.
Andrea abbassò lo sguardo.
Poteva fare ancora un tentativo. Poteva parlargli di loro e delle loro
figlie
ma dubitava che sarebbe servito. E poi avrebbe dovuto raccontargli
quella
storia, la storia di Hoffman e di quegli ultimi mesi e, soprattutto,
del
rapimento di Aida.
E lo avrebbe, fatto anche se lui avesse continuato a non ricordare.
Prese un grande respiro, socchiuse gli occhi e cominciò a
parlare.
«Ci
sono novità?»
domandò Ben con tono assolutamente piatto, aspettandosi il
solito “no” e le
solite scuse da parte della Kruger.
Quando invece il commissario gli mostrò un debole sorriso,
il giovane
poliziotto riprese a sperare «Forza capo, parli, che
è successo?» la incalzò.
«Gerkhan ha deciso si parlare, finalmente.».
A Ben mancò un battito. Temette di non aver sentito bene.
«Come ha detto?».
«Semir ha parlato, mi ha spiegato come sono andate le
cose.».
Il viso dell’ispettore si aprì in un sorriso,
forse il primo sorriso da ormai
più di due mesi e mezzo.
«Non posso crederci...» mormorò come in
trance.
«Sì invece. Hoffman lo stava effettivamente
minacciando e Semir è stato
costretto a mentire perché altrimenti l’avvocato
avrebbe fatto del male ad
Andrea e alle bambine. Ma adesso Semir ha ceduto e mi ha raccontato
cosa è
successo, quando ritratterà la sua testimonianza in
tribunale sarà tutto
finito. Però...».
«Però?».
«Però poco fa Semir ha avuto un incidente con la
macchina venendo al comando.»
spiegò la Kruger abbassando lo sguardo. Quando lo
rialzò lesse negli occhi di
Ben una preoccupazione immensa.
«Co-come un incidente? Ma... ma sta bene? Come
sta?» domandò terrorizzato
mentre il sorriso gli spariva velocemente dalle labbra.
«Bene, è all’ospedale ma fisicamente sta
bene. A parte... ecco...».
«Commissario, la prego, mi dica cosa è
successo!» quasi gridò Ben, attirando
così l’attenzione della guardia che si
avvicinò appena per controllare.
«Il medico parla di amnesia temporanea, Jager.»
sussurrò Kim. E quelle parole
tagliarono l’aria chiusa della stanza come un coltello dalla
lama affilata.
«A-amnesia?» balbettò Ben dopo qualche
attimo di silenzio.
Il commissario annuì e poi sospirò alzandosi
dalla sedia «Ma dovrebbe essere
una condizione contemporanea, probabilmente causata dallo shock.
Comunque adesso
raggiungo Andrea in ospedale e vedo se ci sono novità. Ne
usciremo Jager,
vedrà. E soprattutto lei uscirà da questo
posto.».
Il poliziotto guardò la sua superiore con occhi lucidi e poi
la salutò
sottovoce.
La vide allontanarsi e aspettò che la guardia lo
riaccompagnasse nella propria
cella.
Kim
attraversò il
piazzale a passo spedito ed entrò in auto come una furia,
quindi partì diretta
verso l’ospedale.
Non era riuscita a dire a Ben del rapimento di Aida, le sembrava che
l’ispettore
stesse già male così.
Doveva trovare la bambina, provare la colpevolezza di Hoffman e
soprattutto
sperare che Semir potesse testimoniare il più presto
possibile.
La
situazione si complica sempre di più. E so che
appare decisamente poco realistica... ma in fondo le ff sono pensate
anche un
po’ per fantasticare ;)
Grazie mille sempre a voi recensori, siete fantastici e senza di voi
questa
storia non esisterebbe!
Un bacione
Sophie :D
PS:
la frase sulla speranza pronunciata dal
dottore è una citazione di Georges Bernanos.
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Capitolo 26 *** Inganno ***
«Non
funzionerà mai.»
disse la Kruger con tono che non ammetteva repliche.
«Capo, la prego! Funzionerà, Hoffman
accetterà di incontrarmi, ne sono sicura.
È preoccupato per tutto quello che sta succedendo, ha troppi
pensieri per la
testa, magari non penserà al rischio che corre.»
quasi gridò Jenny nel
tentativo di convincere il capo.
Discutevano ormai da un quarto d’ora.
Il commissario era passata dall’ospedale, ma Semir non
l’aveva riconosciuta e
poi era tornata al comando, dove Jenny le aveva proposto di provare ad
incastrare il Giaguaro con un tranello.
«Non funzionerà, le ripeto.»
esclamò ancora Kim scuotendo il capo «Hoffman non
è uno sprovveduto, ha resistito in questa situazione per
mesi, non cadrà nel
nostro gioco.».
«Capo, la prego, dobbiamo fare un tentativo.»
insistette la giovane poliziotta.
La Kruger la guardò un attimo in silenzio e poi
sospirò annuendo «Lei se la
sente?».
«Per Ben e Semir questo e altro, capo.» rispose
Jenny con un sorriso.
«Allora avvisi Hoffman, provi a mettersi in contatto con lui,
io mi occupo
della squadra speciale. Contatto anche Hartmut per il
registratore.».
«Avvocato
Hoffman, chi parla?».
«Buongiorno avvocato.» fece una voce femminile
dall’altro capo del telefono «O
forse dovrei chiamarla... Giaguaro?».
«Chi è lei, che cosa vuole?»
domandò l’uomo mettendosi immediatamente sulla
difensiva.
«Non importa chi sono io, avvocato. Ho delle informazioni per
lei. Riguardano
la faccenda di quell’ispettore, quel Gerkhan...».
«Gerkhan?».
«Esattamente...».
«Chi mi garantisce che non stia mentendo? Chi è
lei?» ripetè Hoffman con un
marcato tono di nervosismo nella voce.
«Se non mi crede... be’, in tal caso
vorrà dire che la polizia riceverà le mie
informazioni prima di lei...».
Il Giaguaro rimase in silenzio e immobile per qualche istante.
«Che cosa vuole?».
«Solo incontrarla, avvocato. Oggi alle 16.00 nel parcheggio
sotterraneo della
Gutterbook.» concluse la donna prima di riattaccare,
lasciando l’uomo stupito e
senza parole.
Jenny
posò il telefono
sulla scrivania con un sospiro e rivolse un magnifico sorriso alla
Kruger
«Capo... è fatta!».
Il commissario ricambiò il sorriso ma poi scosse il capo,
indecisa. Aveva paura
che la giovane si cacciasse nei guai. Già Ben e Semir erano
messi uno peggio
dell’altro, non voleva un altro agente in ospedale o, peggio,
tra le mani del
Giaguaro.
Guardò l’orologio: le 15.04.
Dovevano cominciare a prepararsi.
Erano
le sedici in
punto quando l’elegante berlina nera entrò nel
garage sotterraneo e si accostò
al muro vicino all’entrata.
Il parcheggio era quasi completamente deserto, sicuramente non molta
gente
lasciava la macchina sotto alla grande libreria poco distante dal
centro di
Colonia alla vigilia di Ferragosto.
Jenny si guardò intorno un po’ preoccupata vedendo
l’imponente figura del
Giaguaro uscire dall’auto dopo essersi fatto aprire la
portiera dall’autista e
avvicinarsi a lei.
Tentò però di sembrare sicura di sé e
cominciò mentalmente a prepararsi un
discorso lungo e convincente. Doveva farlo parlare.
La Kruger si abbassò ancora di più dietro ad una
delle poche vetture
parcheggiate, un piccolo furgoncino grigio, e attivò il
sofisticato
registratore che le aveva consegnato Hartmut poco prima.
Pregò che tutto andasse per il verso giusto, almeno per una
volta nel corso di
quell’indagine.
Poi rimase immobile ad ascoltare.
«Spero
che lei abbia
avuto un buon motivo per disturbarmi e soprattutto spero che abbia
capito chi
sono io.»
esordì Hoffman
avvicinandosi a Jenny con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
L’autista, Alfred, sostava alle sue spalle e non lo perdeva
di vista un
istante.
«So perfettamente chi è lei, non si
preoccupi.» fece la poliziotta con tono
altrettanto arrogante.
«Bene. Allora dica quello che ha da dirmi, adesso.».
«Mi risulta che lei abbia avuto qualche problema con la
polizia ultimamente,
avvocato, non è così?»
cominciò la ragazza, improvvisando e sperando che il
lieve tremolio nella voce non la tradisse.
«E a me risulta che a lei non debbano interessare i miei
rapporti con la
polizia, signorina...?».
«Il mio nome non è importante, mi creda. Non tanto
quanto quello che io ho tra
le mani.» rispose lei estraendo lentamente dalla tasca una
chiavetta USB.
«Di che cosa sta parlando?» domandò
Hoffman mal celando la propria
preoccupazione in proposito.
Jenny sorrise beffarda «Un video. Anzi, due.».
Il Giaguaro strinse i pugni e serrò la mascella «E
cosa potrei avere a che fare
io con i suoi video?».
«Non ha idea di cosa potrebbe esserci in quei video,
avvocato? Forza, tiri a
indovinare.».
«Finiamola con questa presa in giro, ragazzina. Dammi quella
chiavetta.».
«Non è così semplice, avvocato.
Guardi» fece Jenny mostrando un telefono a Hoffman,
che corrucciò appena la fronte «Ho già
composto il numero del mio complice. Mi
basta schiacciare un tasto... lui ha la copia dei video, appena riceve
un mio
squillo li consegna alla polizia. Per cui stia al mio gioco, se ha,
come è
evidente, qualcosa da nascondere agli sbirri.».
Hoffman fermò con un cenno Alfred, che aveva cominciato ad
avvicinarsi con fare
minaccioso alla ragazza.
La Kruger, da dietro la ruota del furgoncino, sorrise, soddisfatta
della sua
sottoposta.
«Cosa devo fare?» domandò il Giaguaro
con rabbia.
«Cosa pensa di trovare in quei video? Vediamo... ha tre
possibilità. Se indovinerà
i due contenuti le consegnerò la chiavetta, altrimenti
chiamerò il mio amico.
Che ne dice?» propose Jenny acquistando più
sicurezza ad ogni parola «Almeno ci
divertiamo un po’...».
«Brutta strega...» sibilò Hoffman
diventando rosso in volto.
«Brutta strega dice? No, mi dispiace...» disse la
poliziotta sorridendo
beffarda e alzando appena le spalle «Nessuna brutta strega
nei video, ha ancora
due possibilità.».
L’avvocato pensò di scoppiare dalla rabbia.
Avrebbe voluto sparare a sangue freddo a quella stupida ragazzina.
E l’idea di doverle risponderle, di dover stare al suo gioco,
di lasciare che
lei, una sconosciuta, si facesse così beffe di lui, non lo
faceva nemmeno
ragionare.
La Kruger sorrise ancora, pensando che in un altro contesto la scena
sarebbe
stata quasi comica.
«Allora, avvocato?».
«Mi hai ripreso mentre minacciavo Gerkhan?».
«Mentre lo minacciava di cosa, avvocato? Deve essere
preciso.» rise Jenny
prendendosi deliberatamente gioco di lui.
«Di fare del male alle mocciose se lui non avesse
testimoniato in tribunale
contro Jager.» disse Hoffman tutto d’un fiato,
ribollendo di rabbia e ormai
paonazzo in volto.
«Bravo, avvocato. Giusto! Ha ancora una
possibilità...».
Il Giaguaro aprì la bocca per parlare, ma questa volta non
ne ebbe il tempo.
Alfred, il suo scagnozzo, gli indicò con un cenno
un’ombra... un uomo nascosto
dietro ad un’auto parcheggiata.
E poi un altro.
Sbirri.
Erano circondati.
«Bastarda, mi hai ingannato.» sibilò
Hoffman.
Poi l’autista estrasse la pistola e accadde il finimondo.
Incastrare
Hoffman con un giochetto del genere
sarebbe stato troppo semplice... giusto? In fondo il Giaguaro
è il Giaguaro!
Grazie
mille davvero a tutti voi che continuate a seguirmi e un bacione.
Sophie
:D
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Capitolo 27 *** Il felino e la gazzella ***
Jenny
si lanciò a terra
schivando per un soffio il colpo sparato dalla pistola
dell’autista di Hoffman
e poi rimase immobile distesa con le mani sopra alle orecchie.
La squadra speciale entrò in azione sparando a tutto spiano
mentre Alfred rispondeva
al fuoco e dalla macchina con i vetri oscurati dell’avvocato
uscivano altri due
uomini armati fino ai denti.
Il conflitto a fuoco durò per qualche interminabile minuto.
La Kruger uscì dal proprio nascondiglio con ancora in mano
il registratore e
Hoffman, disarmato, le si avventò contro per toglierglielo
dalle mani, proprio
come un giaguaro affamato avrebbe fatto con la sua preda.
«Dammi quell’aggeggio.» sibilò
afferrando le mani della donna con quanta forza
aveva in corpo e facendole cadere la pistola.
Kim si voltò di scatto dandogli la schiena e
lanciò a Jenny, che nel frattempo
si era rialzata, il registratore. Quindi tirò un calcio
violento a Hoffman tra
le gambe.
L’uomo si piegò in due dal dolore ma non perse
tempo e si avventò questa volta
sulla giovane poliziotta, che non ebbe i riflessi pronti come quelli
della
Kruger e si lasciò sfuggire il registratore dalle mani,
minacciata dalla forte
stretta al polso del Giaguaro.
La piccola scatoletta grigia cadde sul pavimento ammaccandosi
irrimediabilmente
e Hoffman non mancò di pestarla con la propria scarpa, e
colpirla e colpirla
ancora fino a quando di essa non rimasero solo pezzetti scomposti,
immobili e
inutili sull’asfalto.
In quell’esatto istante, l’avvocato si accorse che
gli spari attorno a lui si
erano fermati.
Si voltò, e si trovò con una decina di armi
puntate contro, mentre i suoi tre
scagnozzi erano già stati ammanettati e fatti salire nelle
auto della polizia,
senza che lui nemmeno se ne accorgesse.
Alzò le mani in segno di resa.
Ma un ghigno di vittoria si dipinse sul suo volto.
Semir,
seduto sul
letto, osservava il dottore che controllava i parametri sul monitor.
Il medico sembrava soprapensiero, come se qualcosa in quella situazione
non lo
convincesse. Non doveva essere uno stupido, per niente, ed era stato il
primo a
capire che qualcosa non quadrava. Però sembrava simpatico e
disponibile, lo aveva
anche sentito parlare in corridoio con Andrea per rassicurarla.
Peter
Füger alzò lo sguardo, probabilmente si
sentì osservato, e accennò a un
sorriso.
«Come si sente, Semir?».
«Bene, grazie.».
«Stia tranquillo, vedrà che si tratta solamente di
una condizione temporanea e
presto si ricorderà tutto, ci vuole solo un po’ di
tempo.».
«Lo spero...» mormorò il poliziotto
«Anche perché quella donna... intendo, mia
moglie, mi ha raccontato quello che è successo e
io...».
«Ha raccontato anche a me.» annuì il
dottore comprensivo «Ma vedrà che si
sistemerà tutto, dicono che il commissario del vostro
distretto sia molto in
gamba.».
«Dottore... non pensa che sarebbe meglio se uscissi? Magari
vedendo i luoghi
dove sono stato potrei ricordare...».
«Non sarebbe prudente.» disse il medico fissandolo
negli occhi «Lei ha comunque
avuto un grave incidente e deve stare ancora in
osservazione.».
«Ma sto bene! Solo che io non ce la faccio più a
non ricordare... la prego, mi
faccia provare!».
Peter ci pensò un attimo su «Non è
prudente, le ripeto.».
«Senta... si metta nei miei panni! Non ricordo nulla, mi
hanno appena detto che
mia figlia è stata rapita e che il mio migliore amico
è in carcere, non posso
stare qui con le mani in mano a fare niente! Devo ricordarmi, solo se
ricordo
qualcosa posso aiutare la polizia! Non so nemmeno che faccia abbia...
ma devo
comunque trovare mia figlia prima che le facciano del male. La
prego!» quasi
gridò Semir, cercando in tutti i modi di convincere il
dottore, che invece
sembrava irremovibile.
Il medico piegò le labbra in quello che risultò
un misto tra una smorfia
dubbiosa e un leggero sorriso.
«Non potrei permetterglielo, lo sa.».
«Io la sto supplicando...».
«Aspetti ancora qualche ora, almeno.».
«Dottore... la prego.».
Peter sospirò senza rispondere e uscì dalla
stanza, chiudendosi la porta alle
spalle.
E Semir sorrise, perché sapeva che nel giro di poco quel
sospiro si sarebbe
tramutato in un “sì”.
Aveva imparato a recitare piuttosto bene, doveva ammetterlo. Anche se
un po’
gli dispiaceva dover mentire a quel dottore, gli era stato simpatico
fin dal
primo momento.
Ma doveva trovare Aida, e incastrare Hoffman.
E soprattutto continuare a far credere al mondo che lui non si
ricordasse
nulla, quando invece sapeva perfettamente chi fosse, come si chiamasse
e che
cosa gli fosse successo.
Hoffman non
perse quel ghigno di soddisfazione
nemmeno una volta seduto al tavolo nella stanza degli interrogatori del
comando.
Era a dir poco irritante.
«Parli, Hoffman. Abbiamo il suo discorso registrato, sappiamo
benissimo che era
lei a minacciare Gerkhan.» disse la Kruger girandogli intorno.
«Mi pare che il registratore sia andato distrutto,
commissario.» fece
l’avvocato con voce melliflua.
«Verrà recuperato dai colleghi della scientifica,
ne stia certo.» ribatté la
donna con odio.
Aveva consegnato ad Hartmut poco prima quello che rimaneva della
piccola
scatoletta grigia, pregandolo di recuperare la registrazione e glielo
aveva
lasciato in laboratorio nonostante il tecnico avesse replicato che ci
sarebbe
stato ben poco da fare. Il registratore era ormai un ammasso di rottami
e il
suo contenuto era irrecuperabile.
«E comunque» commentò Hoffman con calma
«La sua amata registrazione non è una
prova della mia colpevolezza, commissario, lei dovrebbe saperlo meglio
di me. È
un semplice, banale indizio, che non può portare a nulla. Io
posso anche dirle
di essere colpevole, potrei dirle di aver minacciato Gerkhan e persino
di aver
ucciso Helen Luithild. Potrei dirglielo, ma lei non potrebbe comunque
provarlo.».
Kim strinse le pupille lanciando al Giaguaro un’occhiata
fulminante.
Un’occhiata che l’uomo interpretò come
quella di una gazzella che, impaurita
dal felino che la sta per uccidere, finge sicurezza mentre sta
lentamente
morendo dentro. Di paura. E di impotenza.
«Stia certo che troveremo anche le prove. È
così sicuro che i suoi uomini non
parlino, Hoffman? In questo momento i miei colleghi li stanno
interrogando...».
L’avvocato rise, fingendosi divertito
«Può continuare a sperare, commissario.».
«E comunque sia, Gerkhan ha confessato. Immagino le sia
giunta la voce.»
continuò la Kruger imperterrita.
«Certo. Ma insieme ad essa mi è giunta la voce
anche di un tragico
incidente...».
«L’amnesia provocata dall’incidente
è temporanea, avvocato. Temporanea. Vuol
dire che è solo questione di tempo, dopo di che le giuro che
la sbatterò
personalmente in galera.».
«Non si giura il falso commissario, non gliel’hanno
mai insegnato?» rise ancora
il Giaguaro.
«Intanto la trattengo al comando. Sarà felice di
rimanere, no? Bonrath...
toglilo dalla mia vista.» ordinò Kim uscendo dalla
stanza.
Il
Giaguaro è sempre più strafottente ma la nostra
gazzella non molla la presa.
Un bacione grande e grazie mille per le recensioni!
Sophie :D
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Capitolo 28 *** Novità ***
«Vuoi
piantarla di dimenarti, mocciosa?» sbottò
Alfred frenando l’auto davanti all’ingresso di un
grande capannone industriale
abbandonato in periferia.
Aida non sembrò nemmeno ascoltarlo.
Durante il tragitto non era stata ferma un attimo ed era quasi riuscita
a
slegarsi i polsi ma la fatica si era rivelata piuttosto inutile.
Lo scagnozzo di Hoffman scese dalla macchina e aprì
violentemente lo sportello
della bambina, facendola scendere senza troppe cortesie.
Le tolse maldestramente lo scotch dalla bocca e la strattonò
fino all’entrata
del capannone.
«Qui puoi urlare quanto vuoi, non ti sentirà
nessuno.».
Aida si limitò a fulminare l’uomo con uno sguardo
mostrandogli tutto l’odio che
in quel momento provava per lui.
«Su, entra.» ordinò Alfred aprendo la
porta metallica e facendo entrare la
bambina nel capannone.
La legò a terra con le braccia dietro ad una specie di
pesante tubo di ferro in
modo che non potesse scappare e si allontanò verso il centro
del capannone con
un ghigno malvagio.
«Mio papà ti troverà!» gli
urlò dietro Aida con quanto fiato aveva in gola.
«Ma guarda.» si ritrovò a mormorare tra
sé e sé l’uomo, aspettando in piedi a
qualche metro dal giovane ostaggio «Che mocciosetta
coraggiosa che mi è
capitata, pare che lei e quel turco abbiano lo stesso fastidioso
carattere.».
«Era ora.» tuonò una voce alle sue
spalle entrando a sua volta nel capannone e
interrompendo il flusso dei pensieri di Alfred.
«Erik... ho fatto il prima possibile.».
Gehlen si avvicinò annuendo scettico, con le mani in tasca,
a passo lento e
tranquillo.
«David è alla polizia.».
«Come?» mormorò Alfred strozzandosi
quasi con la saliva.
«Pare sia caduto in un giochetto dell’autostradale.
Conoscendolo se ne libererà
presto degli sbirri, ma nel frattempo ovviamente il comando
dell’operazione
spetta a me.» fece Gehlen con voce calma.
«Ovviamente.»
ripeté Alfred senza
riuscire a trattenere una sottile smorfia di disgusto.
«Qualche problema a proposito?».
«No.».
«Meglio per te. Ora sparisci e fai sparire anche la
macchina.» ordinò.
E Alfred uscì obbediente e silenzioso dal capannone.
Rimasto solo,
Gehlen si avvicinò ad Aida con fare
minaccioso.
«Ciao, piccola Gerkhan.» esordì con voce
melliflua.
«Stia lontano da me.» esclamò la bambina
fissando l’uomo negli occhi senza
paura.
«Bel caratterino, vedo.» rise Erik avvicinandosi
ancora di più «Proprio come
tuo padre. Penso che ti passerà presto questo coraggio con
me, sai? Il tuo
adorato paparino pagherà per quello che ha fatto, costi quel
che costi.».
Aida continuò a sostenere il suo sguardo «Lui mi
troverà.».
«Jager.»
fece la Kruger entrando in fretta nella
stanza dei colloqui del penitenziario «Non dovrei nemmeno
essere qui, non sono
permesse tutte queste visite. Mi hanno fatto passare solo
perché ho detto che
si tratta di un affare di polizia, quindi ho poco tempo. Ma ho
novità...».
Ben rimase immobile a guardare il suo ex capo, senza sapere se essere
felice o
meno che vi fossero news.
«Jager...» cominciò il commissario
tentennando «Abbiamo Hoffman. È al comando e
ho ottenuto dal procuratore un fermo di quarantotto ore ma per
incastrarlo
abbiamo poco o niente. La situazione di Semir è sempre la
stessa e poi...».
«E poi?» la incalzò il detenuto
cogliendo l’indecisione della donna.
Kim fece un profondo respiro.
«Prima non gliel’ho detto ma... Hoffman ha... ha
fatto rapire Aida non appena
ha saputo che Semir ha parlato. E noi non siamo arrivati in
tempo.» disse tutto
d’un fiato.
Ben sbarrò gli occhi, cominciando a sudare freddo.
«Come... come Aida...? Ma... ma...»
iniziò a balbettare mentre il panico si
impossessava di lui.
Aida! La sua principessa!
«Appena Semir mi ha raccontato la verità ho
avvisato gli agenti di andare a
controllare Andrea e le bambine ma era troppo tardi, probabilmente uno
degli
uomini di Hoffman ci stava ascoltando e non ha perso tempo
nell’avvisare il suo
capo.» spiegò la Kruger fissando un punto
indefinito davanti a lei.
«Non è possibile... non è
possibile!» si ritrovò a gridare Ben «Ma
porca
miseria! Aveva mentito per due mesi e mezzo, non poteva continuare a
farlo
ancora per un po’? Non poteva trovare un luogo più
sicuro per parlarle?».
Il commissario corrucciò appena la fronte, non si aspettava
che Ben avrebbe
reagito scaricando la colpa sul suo ex collega.
«Jager, si calmi. Gerkhan aveva bisogno di parlare, non ce la
faceva più e...».
«E? E allora ha preferito condannare a morte sua
figlia?» urlò ancora il
giovane mentre gli occhi gli diventavano lucidi.
«Jager... per favore, si calmi.» ordinò
la donna «Qui non è ancora morto
nessuno, la troveremo.».
«Certo, e come?» ribatté Ben, questa
volta a bassa voce «Non avete niente.
Niente! E Semir ha anche perso la memoria.».
«Troveremo una soluzione, vedrà. Intanto in queste
quarantotto ore devo trovare
prove che possano incastrare Hoffman, assolutamente. Per questo adesso
vado,
tornerò ad informarla sui fatti, Jager. Ma lei provi a stare
tranquillo.»
concluse Kim alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso
l’uscita.
«Aspetti...» mormorò Ben ormai in
lacrime bloccandola sulla soglia
«Commissario, trovi Aida... per favore.».
Povero
Ben, adesso sta ancora peggio.
E
Aida è nelle mani di Gehlen...
Grazie
mille sempre e un bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 29 *** Questione di fiducia ***
«Grazie
dottore, grazie davvero!» esclamò Semir in
piedi sulla soglia della piccola stanza di ospedale.
Il dottor Füger gli lanciò un’occhiata di
rimprovero «Non creda che io sia
felice di fare quello che sto facendo.».
«Andrà tutto bene, sto bene, davvero.»
provò a tranquillizzarlo l’ispettore con
un mezzo sorriso.
Il medico annuì poco convinto e diede una leggera pacca
sulla spalla al suo
paziente.
Lo conosceva da poche ore ma gli aveva fatto fin da subito una buona
impressione come persona e Semir, dal canto suo, pensava che Peter
fosse un
uomo di cui si sarebbe potuto fidare.
E non era poco, visto che negli ultimi mesi in particolare aveva
imparato a non
fidarsi di nessuno.
«Se entro stasera non ricordasse nulla... torni qui o almeno
mi contatti per
telefono.» disse l’uomo porgendo al poliziotto un
suo biglietto da visita.
«Grazie.» sussurrò ancora Semir
allontanandosi a passo svelto e dirigendosi
verso l’uscita dell’ospedale.
Trovò
Andrea ad aspettarlo appoggiata al cofano
della sua auto e a stento vinse l’impulso di correrle
incontro e abbracciarla:
non poteva dimostrare tanto affetto ad una persona che, tecnicamente,
conosceva
da sì e no quattro ore.
Salì in macchina salutandola cordialmente e la donna mise in
moto, senza una
meta precisa.
«Allora, Semir?» domandò sperando di
ricevere una risposta che la consolasse un
poco.
Ma il marito ancora non dava segni di ricordare chi fosse e che
relazione ci
fosse tra di loro. Per lui in quel momento lei era una perfetta
estranea e
questo non aiutava di certo Andrea, che già faceva fatica a
reggere da sola la
situazione in cui si trovava.
«Potresti portarmi al comando
dell’autostradale?» domandò Semir
allacciandosi
distrattamente la cintura «Magari lì potrei
ricordare qualcosa...».
La donna annuì svoltando a destra «Davvero non
ricordi nulla?».
Il poliziotto rispose guardando fuori dal finestrino per evitare che il
suo
sguardo lo tradisse «Niente. E mi dispiace, credimi. Non
ricordo nulla nemmeno
di nostra figlia e adesso che lei...».
«Il tuo capo la troverà, Semir... e magari tu
sarai comunque in grado di
aiutarla. Non importa se non ricordi. Sei un buon poliziotto, e
soprattutto io
mi fido di te.».
Semir sospirò tentando di non dar peso a quelle parole che
gli laceravano l’anima.
Lei si fidava di lui. E lui stava
fingendo.
Ma doveva portare avanti questa recita ancora per un po’,
doveva far credere a
Hoffman di essere completamente inoffensivo, solo così
avrebbe potuto trovare
Aida senza che l’avvocato gli mettesse i bastoni tra le ruote.
Andrea
parcheggiò sotto al comando e poi entrambi
entrarono nella struttura.
Semir venne accolto dai calorosi saluti dei colleghi, che
però ricambiò con
sguardi vacui e spaesati.
La Kruger gli si avvicinò con un mezzo sorriso e gli fece
cenno di seguirlo nel
suo ufficio.
Il turco la seguì.
Ma fu proprio in quel breve tratto di corridoio che la sua
capacità di finzione
venne messa seriamente alla prova.
Davanti a lui, andando in direzione opposta, Otto stava conducendo
Hoffman
ammanettato verso la cella interna al commissariato.
Hoffman, l’autore di tutto.
Il colpevole.
Semir fu tentato di saltargli addosso, di massacrarlo, di vendicarsi
per tutto
ciò che quell’uomo aveva causato.
E fu solo per un soffio che si trattenne.
Non seppe nemmeno lui come.
Il Giaguaro gli passò davanti sorridendogli beffardo e Semir
ricambio con un
falso sguardo di incomprensione.
Poi passò oltre e entrò nell’ufficio
del commissario, stranamente sollevato.
Grazie a quello sguardo, forse Hoffman adesso davvero era convinto
della sua amnesia.
O almeno sperava che fosse così.
«Prego,
si accomodi.» fece la Kruger sedendosi e
invitando Semir a fare altrettanto «Non ricorda ancora nulla,
vero?».
«No.» rispose il poliziotto scuotendo il capo
«Speravo che venire qui mi sarebbe
servito ma invece...».
«Senta Gerkhan, forse sarebbe meglio che le spiegassi bene
dall’inizio cosa è
successo, potrebbe aiutarla a ricordare.» propose Kim
intrecciando le mani
sopra alla scrivania.
«So già cosa è successo commissario, me
ne ha parlato Andrea. Vorrei solo
aiutarvi a ritrovare mia figlia... in questo momento non so nemmeno che
volto
abbia ma è comunque mia figlia e io devo... devo
trovarla...».
«Potrà seguirci nelle indagini.» disse
la donna con un sospiro «Ma farà tutto
quello che le dirò io, intesi?».
Semir annuì con convinzione. Aveva ottenuto esattamente
quello che doveva.
Ora doveva provare a passare al punto due.
«Capo, Andrea mi ha anche riferito di Ben... il mio
collega... vorrei andare a
trovarlo. Se è vero che è il mio migliore amico e
che è in carcere a causa mia,
vorrei parlargli.».
La Kruger ebbe un moto di esitazione ripensando alla reazione di Ben
non appena
aveva saputo di Aida e sperò vivamente che il giovane non
avrebbe riversato
tutta la sua rabbia e preoccupazione sul suo ex collega. Ma
d’altra parte, come
negare a Semir di andarlo a trovare? Annuì debolmente
afferrando le chiavi
della macchina.
«Devo portare un campione di terra che abbiamo trovato sotto
le scarpe del
principale sospettato, David Hoffman, alla scientifica. Se vuole
possiamo
andare insieme e dopo la accompagnerò al penitenziario. Le
guardie mi
conoscono, dovrebbero concederci una breve visita nonostante
l’orario. Va bene?».
«Certo.» disse Semir, seguendo la superiore fuori
dall’ufficio.
Avevano
lasciato la scientifica ormai da cinque
minuti buoni e si dirigevano a velocità sostenuta verso il
penitenziario,
quando il cellulare della Kruger, alla guida, squillò.
La donna rispose mettendo il vivavoce.
«Capo, sono Susanne.».
«Susanne, dimmi.».
«Capo... hanno appena chiamato dal
penitenziario...» mormorò la voce
dall’altro lato del telefono.
A Semir balzò il cuore in gola mentre un’orrenda
sensazione gli attanagliava la
bocca dello stomaco. Si costrinse a guardare fuori dal finestrino per
fare in
modo che la Kruger non notasse alcuna sua reazione a qualsiasi cosa
avrebbe
riferito la segretaria.
«E cosa è successo?» domandò
il commissario inarcando un sopracciglio,
preoccupata.
«Ben... è scoppiata una
lite fra detenuti
nel carcere e Ben... Ben è rimasto ferito.».
Perdono!
Sono decisamente in ritardo, ma in questo periodo ho davvero tanti
tanti
impegni, spero di riuscire ad aggiornare più in fretta con i
prossimi capitoli.
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D
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Capitolo 30 *** Confidenze al vuoto ***
Attraversarono
a passo spedito il lungo corridoio e
arrivarono davanti alla porta chiusa dell’infermeria interna
al penitenziario
con il fiatone.
Non appena Susanne aveva chiamato per dire loro della rissa, la Kruger
aveva
premuto sul pedale dell’accelerazione e i poliziotti erano
arrivati al carcere
in meno di dieci minuti.
Ma adesso che si trovavano davanti a quella porta, nessuno dei due
sembrava
voler decidersi a muovere il primo passo.
Semir non faceva altro che lasciar vagare lo sguardo a terra per paura
di
incontrare quello indagatore del commissario.
Lui non si ricordava chi fosse Ben. Non
si ricordava chi fosse.
Doveva metterselo in testa.
Doveva crederci.
Anche se Ben fosse stato in fin di vita... lui avrebbe dovuto fingere
di non
ricordare.
Finalmente Kim decise di abbassare quella maniglia, pesante come non
mai, ed
entrò con circospezione seguita dall’ispettore.
Furono accolti da una guardia e da un intenso odore di disinfettante.
L’uomo, che era stato avvisato dalle altre guardie
all’ingresso, li fece
passare senza problemi e presto la Kruger e il suo sottoposto si
ritrovarono in
un corridoio con varie porte chiuse tutte sullo stesso lato, simile a
quello di
un piccolo ospedale secondario.
L’infermiera che li accompagnava indicò una
porticina semichiusa ma spiegò loro
che il paziente era sotto sedativo e che poteva essere visto solamente
da una
persona e per pochi minuti.
Non vi fu bisogno di parole.
Semir entrò chiudendosi la porta alle spalle mentre il
commissario, sospirando,
si appoggiò al muro e attese.
La
stanza era semibuia, illuminata solo dalla poca
luce che filtrava dai vetri delle finestre.
Era essenziale ma sembrava pulita.
Semir individuò tre letti a circa un metro e mezzo di
distanza l’uno dall’altro
ma capì immediatamente quale fosse quello del collega.
Era nell’angolo e giaceva immobile, come morto.
Semir si avvicinò e si sedette vicino al letto scrutando
quel viso che
conosceva così bene e che a causa sua era così
mal ridotto.
La palpebra dell’occhio destro tendeva al violaceo e sulla
fronte c’erano due
tagli ancora freschi.
La gamba, che usciva in parte dal sottile lenzuolo, era fasciata con
cura:
l’infermiera aveva spiegato che Ben era rimasto coinvolto in
una banale rissa
tra detenuti molto più grossi e robusti di lui, scoppiata
alla mensa del
carcere senza una reale motivazione. Era stato colpito da un oggetto
tagliente all’altezza
del femore, ma la ferita per fortuna si era rivelata piuttosto
superficiale.
Il detenuto si era però agitato molto e aveva cominciato a
chiedere
insistentemente di Semir, in preda al panico più totale, per
questo avevano
dovuto sedarlo e adesso l’ex poliziotto dormiva profondamente.
«Scusami.» mormorò Semir senza riuscire
a trattenere le lacrime «Scusa Ben, è
tutta colpa mia. Ma come fai ancora a chiedere di me? Come fai? Io ti
ho
mandato qui dentro, è colpa mia se sei ridotto
così! Ti sono venuto a trovare
solo una volta in tre mesi di carcere, non sono stato in grado di dire
la
verità nemmeno a te... e tu ancora chiedi di me? Non me lo
merito...».
Il poliziotto fece una pausa accorgendosi di parlare da solo.
Ma non gli importava.
Se il vuoto era l’unico con cui era in grado di confidarsi,
avrebbe parlato al
vuoto.
O ad un amico addormentato che non poteva sentirlo.
«Ti giuro che non volevo finisse così. Io ho
provato a smettere di fingere, ma
ho sbagliato anche in questo e adesso quel porco ha preso Aida... tu
sei qui e
Aida chissà dove, devo trattare Andrea come
un’estranea, non posso fidarmi di
nessuno... non so come fare, Ben, non ce la faccio più. Ti
prego aiutami tu...
svegliati...».
Per un attimo gli sembrò di notare
un’impercettibile movimento della mano del
più giovane ma si costrinse a pensare che fosse stata solo
una sua impressione.
Immerso com’era nei suoi pensieri, sussultò al
rumore della porta che si apriva
piano alle sue spalle.
Ne fece capolino la stessa infermiera di prima, che fece cenno
gentilmente a
Semir di uscire dalla stanza.
Il turco si alzò, rimboccò dolcemente il lenzuolo
a Ben e si asciugò gli occhi
prima di uscire dalla stanza, sperando che la Kruger non si accorgesse
di
nulla.
«Gerkhan,
tutto bene?» domandò invece il commissario
quando, poco dopo, i due stavano per risalire in macchina diretti al
laboratorio della scientifica, da cui Hartmut aveva appena chiamato.
Semir annuì chiudendo la portiera e cominciando fin da
subito a guardare fuori
dal finestrino.
«Si ricorda qualcosa?».
«No.».
«Adesso andiamo alla scientifica, il tecnico è
riuscito ad analizzare la terra
sotto le scarpe di Hoffman in tempo record.»
comunicò Kim accendendo il motore
«Sembra che ci siano novità.».
L’ispettore non rispose e la donna partì senza
attendere oltre.
Varcando
per la seconda volta la soglia del
laboratorio, Semir si sentì particolarmente stupido a
salutare Hartmut con un
formale “buongiorno” e si chiese a cosa servisse in
fondo quella messa in
scena.
In fondo a quel punto Hoffman doveva essere già convinto
della sua amnesia. O
forse non lo era mai stato e lui semplicemente si stava illudendo che
fosse
così.
«Cosa abbiamo?» domandò la Kruger
precedendolo e avvicinandosi al bancone su
cui il ragazzo dai capelli rossi stava lavorando.
«Fortuna!» esclamò il tecnico con un
sorriso.
L’ispettore non seppe nemmeno se esserne felice oppure no.
«Il terriccio che aveva sotto le scarpe il nostro caro Micione è piuttosto
particolare come composizione. Ha un alto
contenuto di sali di...».
«Hartmut, per favore, in sintesi.» lo interruppe il
commissario con tono che
non ammetteva repliche.
«In pratica, qui a Colonia lo possiamo trovare in due posti
in quantità considerevole:
nell’area industriale a Ovest dell’A32 o in un
cantiere attualmente con lavori
in corso sulla A72. Ma considerando che Hoffman deve nascondere una
bambina,
sicuramente per lui sarebbe più sicura l’area
industriale. Ci sono parecchi
capannoni, ma si possono controllare senza perdere troppo tempo secondo
me.».
«Perfetto.» fece Kim lanciando
un’occhiata all’orologio e stupendosi di quanto
il tempo passasse in fretta «Cominciamo subito.».
«Commissario... è tardi, si sta facendo buio, non
avrebbe più senso cominciare
domani mattina?» obiettò lo scienziato storcendo
le labbra.
«C’è una bambina in pericolo. E noi la
troveremo a costo di setacciare quei
capannoni uno per uno e di impiegarci tutta la notte.».
Un’ora
dopo, la Kruger uscì dall’ennesimo capannone che
aveva setacciato seguita da Semir e respirò a pieni polmoni
l’aria fresca della
sera.
Erano ormai le ventuno passate e loro non avevano ancora trovato nulla.
Mancavano solo tre capannoni da controllare, dopodiché anche
l’ennesima
speranza di trovare Aida si sarebbe dissolta come polvere.
Il commissario guardò il suo sottoposto con preoccupazione.
Non sapeva se fosse
per la luce giallognola delle torce nel buio, ma le sembrava
pallidissimo.
Per la prima volta il pensiero che la storia dell’amnesia
fosse tutta una
finzione le passò nella mente, ma la donna lo
scacciò scuotendo il capo.
Quindi si diresse a passo deciso verso il capannone successivo, ma si
fermò
quando sentì squillare il cellulare nella tasca della giacca.
«Kruger.» rispose sperando in una buona notizia.
«Come? Ho capito, arriviamo subito. No, stiamo arrivando,
chiamate la
scientifica e dite loro di sbrigarsi.».
«Gerkhan.» disse quindi mettendo via il telefono
«I colleghi hanno trovato il
capannone, è l’ultimo, quello a quattrocento metri
da qui. Aida non c’è ma è
stata probabilmente tenuta lì, la scientifica sta arrivando,
venga.».
Entrambi salirono in macchina nonostante la brevissima distanza e si
diressero velocemente
e con il cuore in gola verso il capannone indicato.
La
Kruger parcheggiò la vettura di traverso vicino
all’ingresso e ne scese di corsa insieme a Semir. Entrambi
entrarono in fretta e
trovarono all’interno del capannone il resto della squadra e
i tecnici della
scientifica che erano appena arrivati.
Poi, una grande macchia di sangue scuro ancora fresco sul pavimento.
Al
posto di Hartmut, fu un ragazzo nuovo della
scientifica ad occuparsi di una prima analisi della situazione. Doveva
essere
entrato a far parte della squadra da poco, la Kruger non lo aveva mai
visto
prima e sperò con tutto il cuore che fosse competente e che
almeno avesse un
minimo di tatto, perché visto il colorito di Semir la donna
dubitava che
l’ispettore avrebbe retto a brutte notizie, soprattutto se
riferite in modo
troppo brusco.
Semir, dal canto suo, provava a stare tranquillo, cercando di non
tradirsi, ma
il pensiero che quel sangue potesse essere di Aida non gli permetteva
nemmeno
di ragionare.
«Sì, direi che le analisi, trattandosi di un caso
urgente, potranno essere
pronte già domani mattina.» cominciò il
giovane tecnico raccogliendo in una
provetta un po’ di sangue misto al terriccio del capannone.
Quindi raccolse un oggetto da terra con i guanti di lattice e lo
inserì
all’interno di una busta di plastica.
«Questo invece è un oggetto piuttosto particolare,
che come vedete ho appena
raccolto vicino alla macchia di sangue.» spiegò
come se si trovasse ad una
classe di liceali e non al padre di una bambina scomparsa.
Semir, la Kruger e Jenny erano in piedi intorno a lui e ascoltavano
attenti.
«È la versione moderna di un utensile che
utilizzavano gli antichi per
torturare i propri nemici catturati in battaglia, quando dovevano
ottenere da
loro informazioni sulle tecniche di guerra dell’esercito
avversario oppure
semplicemente quando...».
«Mi scusi.» lo interruppe il commissario
esattamente come avrebbe fatto con
Hartmut «Giunga al punto per favore, non abbiamo tutta la
notte.».
«Certo. Era una tecnica molto dolorosa e consisteva, in
pratica, nell’incidere
con questo strumento una parte del corpo, la gamba normalmente,
provocando al
torturato un dolore ineguagliabile e una copiosa perdita di
sangue.».
Il giovane fece una pausa e Semir si sentì quasi soffocare.
Sua figlia poteva
essere stata incisa con quel coso?
«Un adulto» continuò il tecnico con aria
grave «Può resistere quasi sicuramente
a questo genere di tortura, ma una bambina di nove o dieci anni... ecco
ispettore, io sinceramente dubito che una bambina possa sopravvivere a
una cosa
del genere. Anzi, direi che è praticamente
impossibile.».
Semir sentì un senso di nausea che lo invadeva e lo sguardo
gli cadde per l’ennesima
volta sullo strumento insanguinato tra le mani del tecnico e poi sul
sangue che
macchiava il terreno.
«Vede la punta dell’utensile? È sporca
probabilmente dello stesso sangue che
macchia il terriccio e con un esame un po’ più
approfondito potremo risalire
alla persona su cui esso è stato utilizzato.».
Il giovane continuava a parlare ma Semir non lo ascoltava
più. Aveva caldo, gli
girava la testa, e gli sembrò che l’odore di quel
sangue gli invadesse le
narici.
«Infatti probabilmente dalle analisi risulteranno piccoli
residui di pelle
attaccati allo strumento, dai quali potremmo estrarre il dna e...
ispettore, mi
sta seguendo?».
«Gerkhan? Gerkhan, si sente bene?».
Anche i richiami della Kruger ormai erano lontani.
Semir sentì le voci accavallarsi una sull’altra e
perse l’equilibrio.
Si appoggiò alla parete mentre qualcun altro lo chiamava
ancora per nome.
Poi non sentì più nulla.
Ahi
Ahi!
Grande tatto il nuovo tecnico! La situazione continua a precipitare...
Un bacione grande e grazie a tutti coloro che continuano a seguirmi
silenziosamente
e in particolare a voi, miei splendidi recensori!
Sophie :D
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Capitolo 31 *** Trasferimento ***
«Semir!»
lo chiamò la Kruger dandogli ripetuti
schiaffetti sul viso «Semir, maledizione!».
L’ispettore aprì finalmente gli occhi e
guardò il suo capo con aria stranita.
«Cosa... cosa è successo?».
«È svenuto. Come si sente?».
Semir si guardò intorno e immediatamente si
ricordò ogni cosa. Era seduto per
terra con le spalle appoggiate alla parete impolverata del capannone e
affianco
a lui risaltava ancora quella grande macchia di sangue sul terreno.
«Semir, mi sta ascoltando?» continuò la
Kruger «Chiami un’ambulanza.»
ordinò
poi rivolta verso Jenny, che afferrò immediatamente in mano
il cellulare.
«No!» esclamò allora il poliziotto
«Non serve, sto... sto bene.».
Kim gli lanciò un’occhiata preoccupata e lo
aiutò a rialzarsi.
Dopo aver verificato che l’ispettore si reggesse in piedi, si
allontanò con lui
di qualche passo rispetto al gruppo di persone che si era riunito
lì intorno
pochi secondi prima.
«Gerkhan... lei non ha nessuna amnesia, non è
così?» sussurrò il commissario in
modo che nessun altro dei presenti potesse sentire.
«Perché lei capisce sempre qualsiasi
cosa?».
«Perché conosco i miei uomini. Ora mi ascolti,
Hoffman è in nostra custodia e
per ora non può fare niente, deve cogliere
l’occasione per testimoniare contro
di lui. Se lo fa, quell’uomo finirà in galera a
vita.».
«Ma ha mia figlia!» ribatté Semir con
insistenza.
«Non ha sua figlia, Gerkhan! Io penso che sia Gehlen ad avere
sua figlia, e
allora tanto vale arrestare Hoffman perché Gehlen si
terrebbe comunque Aida,
Gehlen ce l’ha con lei! Dovrebbe saperlo meglio di me. E a
lui non importa che
il Giaguaro sia in prigione o no, se non vuole liberarla non la
libererà
comunque.» spiegò la Kruger con una logica che non
ammetteva errori di alcun
genere.
Il turco annuì.
«Va bene...».
«E provi a stare tranquillo, non è detto che quel
sangue sia di sua figlia,
chiaro? Hartmut farà le analisi al più presto e
già domani mattina ci saprà
dire. Ora mi dia retta, la riaccompagno a casa.».
«Ma capo...» provò ad opporsi il
poliziotto.
«Niente “ma”, Gerkhan, io la riaccompagno
a casa. Hoffman verrà trasferito al
comando dell’LKA domani mattina presto, il caso a questo
punto è
definitivamente di loro competenza. Noi seguiremo il trasferimento,
dopodiché
lei entrerà nel comando dei colleghi e deporrà
contro quel mostro.».
Nove
ore dopo...
Si prospettava
una mattina tiepida nonostante
settembre fosse ormai alle porte.
Al comando c’era movimento e a Hoffman venne da sorridere
vedendo gli sbirri
che si affaccendavano in fretta per fare in modo che tutto quella
mattina
andasse per il verso giusto.
Lui sarebbe stato trasferito al commissariato dell’LKA, dove
i colleghi lo
avrebbero tenuto in custodia tormentandolo con le solite, inutili
domande.
E poi avrebbero trovato una scusa, un qualsiasi indizio per poterlo
trattenere
ulteriormente, ne era sicuro.
Il Giaguaro stava inesorabilmente perdendo la sua libertà.
Ma un Giaguaro in cattività non può resistere a
lungo.
Illusi.
Lui non sarebbe mai arrivato al comando dell’LKA.
«Tutto
a posto?» domandò la Kruger, alla guida della
sua auto di servizio appena dietro al cellulare che da pochi minuti
viaggiava
tranquillo in autostrada.
Semir, accanto a lei, non distoglieva lo sguardo dal furgone nemmeno
per un
istante.
«Sì.».
«È riuscito a riposare un po’
stanotte?».
«No. Non
potrei mai dormire con mia
figlia tra le mani di quel bastardo. Gehlen... non gli avessi mai
sparato!
Tanto a cosa è servito? Non ha riportato indietro Tom, ha
causato solo guai.».
«Lei non poteva sapere che sarebbe andata a finire
così. Ma troveremo Aida,
glielo prometto.» fece Kim con un breve sorriso di
incoraggiamento.
Semir annuì senza convinzione.
«È nervoso?» proseguì.
«Ho paura che Hoffman combini qualcosa. Sa benissimo che una
volta varcata la
soglia del comando dell’LKA sarà praticamente in
trappola e secondo me sa anche
che io posso testimoniare contro di lui, che mi ricordo ogni
cosa.» spiegò
l’ispettore con un filo di voce.
«Il furgone è ben scortato, dubito che possa
accadere qualcosa.» obiettò il
commissario «A proposito, dall’infermeria del
carcere hanno detto che Ben si è
svegliato, che la ferita guarirà in fretta e che lui sta
bene... almeno
fisicamente. Si è trattato di una rissa tra detenuti, capita
a volte.».
«Non so se mi perdonerà mai.»
mormorò Semir dopo un attimo di silenzio.
La Kruger abbozzò un sorriso «Sì, lo
farà. Ne sono certa.».
I due colleghi non parlarono più per qualche minuto, almeno
fino a quando la
suoneria del telefono della donna non interruppe il silenzio.
Kim lesse il nome sul display ed esitò a rispondere,
sperando che le notizie di
Hartmut fossero diverse da quelle che lei si aspettava.
Premette quel piccolo tasto aprendo la comunicazione e pregò
mentalmente
selezionando l’opzione del vivavoce.
«Commissario?»
esordì la voce del
tecnico dall’altra parte della linea.
«Sì Hartmut, sono in vivavoce in macchina con
Semir, ha novità?» domandò cauta
il commissario.
«Ho i risultati delle analisi, ho
fatto
il più velocemente possibile.».
La Kruger lanciò un rapido sguardo
all’ispettore che aveva accanto prima di
tornare a concentrarsi sulla strada «Allora?».
«Ecco...»
balbettò lo scienziato
cercando di nascondere il lieve tremolio della voce.
«Hartmut, ti prego, dimmi solo che non è
lei.» sussurrò Semir mentre una
tenaglia gli serrava lo stomaco e la gola senza permettergli nemmeno di
respirare.
«Semir...» fece
il tecnico esitando
ancora «Il sangue e i residui di
pelle
che abbiamo trovato sull’utensile non sono di
Aida.».
L’ispettore chiuse gli occhi, rilassò le
mani prima strette in pugni
serrati e sospirò facendo nuovamente arrivare aria ai
polmoni.
«Grazie Signore!» disse con un filo di voce
«E di... di chi sono?».
Per qualche lungo istante si sentì solo silenzio
dall’altro capo del telefono,
poi Hartmut si decise a parlare «Semir,
ti sembrerà assurdo ma ho provato il riscontro
più volte e ho ricontrollato
l’esame tappa per tappa fino a impararlo a
memoria...».
«Hartmut, di chi è quel
sangue?».
La Kruger, continuando a guidare, era diventata partecipante muta di
quello
scambio di battute che la stavano tenendo inevitabilmente con il fiato
sospeso.
«Di... ecco, quel sangue
è di... di Tom
Kranich.».
Semir rimase immobile come pietrificato e dovette ripetersi quella
risposta più
volte nella mente prima di riuscire a formulare una frase sensata da
pronunciare.
«Come... come hai detto scusa?».
«Tom...».
«Hartmut... Tom è morto quasi otto anni
fa.».
«Lo so Semir ma te l’ho
detto, gli esami
sono corretti. E anche a me sembra incredibile ma a questo punto le
possibilità
sono due: o Tom aveva un fratello gemello di cui non ci ha mai parlato,
e direi
che possiamo escludere questa ipotesi a priori, oppure lui è
ancora vivo.».
«No.» fu la semplice risposta del turco.
«Semir, ti ripeto che le
analisi...».
«Me ne frego delle tue analisi, Hartmut!»
sbottò Semir alzando la voce «Il
tuo computer si sarà sbagliato, ricontrolla, deve esserci un
errore!».
«Non c’è nessun
errore, credimi.».
«Hartmut, Tom è morto otto anni fa.
È morto sotto quel dannatissimo
temporale, tra le mie braccia. Tra le mie braccia, hai
capito?» si ritrovò ad
urlare l’ispettore.
«Gerkhan, si calmi per favore.» si intromise la
Kruger afferrando il cellulare
in mano e rivolgendosi quindi al tecnico della scientifica
«Hartmut, la
richiamo dopo.» disse chiudendo la comunicazione e posando
quindi lo sguardo su
un totalmente sconvolto Semir.
«Capo, Tom è morto, l’ho visto io,
è morto davanti ai miei occhi.».
«Se è così scopriremo cosa è
successo, ma adesso Gerkhan si deve calmare.
Chiaro? Pensiamo ad una cosa per volta, ora almeno sa che sua figlia
probabilmente è ancora viva.».
Semir annuì mentre mille pensieri cominciavano a pulsargli
nella mente
confondendosi in un turbinio incessante.
Poi questo aggrovigliarsi di pensieri ed emozioni venne interrotto,
all’improvviso, da un rumore sordo.
Il furgone davanti a loro si fermò e venne coperto dal fumo.
Il
sangue non era di Aida ma di lei ancora nessuna traccia. Hoffman non
sembra
intenzionato ad arrendersi e Semir non fa altro che ricevere notizie
che non è
più in grado di sostenere...
Grazie
davvero a tutti voi che mi seguite e un bacione!
Sophie
:D
|
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Capitolo 32 *** Nessuno vince sempre ***
«Ma
che diavolo...?» fece la Kruger frenando di
colpo ed evitando per un soffio di tamponare il cellulare davanti a
lei, che
adesso era totalmente coperto da una nuvola di fumo denso e innaturale.
«Mapporca!» imprecò Semir slacciandosi
in fretta la cintura «Sapevo che quel
porco si sarebbe inventato qualcosa!» gridò prima
di uscire dall’auto senza
perdere un attimo e di sparire nella nebbia.
Il commissario si guardò intorno preoccupata ed
esitò qualche istante prima di
seguire fuori il suo ispettore.
Quindi scese a sua volta dalla macchina e si ritrovò immersa
nell’aria grigia e
pesante.
Cominciò a tossire infastidita dal fumo e sentì
gli occhi bruciare
fastidiosamente.
Sentì movimento intorno a lei e capì che anche
gli altri agenti erano scesi
dalle vetture per andare a controllare cosa fosse accaduto.
Pregò che l’autostrada fosse deserta e che non si
fossero creati ulteriori
incidenti e si avvicinò a tentoni al furgone, fino a quando
quella nebbia non si
diradò quasi improvvisamente, lasciando libera la vista
davanti a lei.
E quello che vide la Kruger, fu stranamente una situazione di
normalità.
Il cellulare era lì, fermo come le altre macchine, ma ben
chiuso e
perfettamente tranquillo.
Davanti al portellone della vettura c’erano Semir e altri due
agenti in piedi,
uno dei quali stava per aprire il furgone della polizia per controllare
che
effettivamente all’interno fosse tutto tranquillo.
L’uomo aprì la portiera con
l’incomprensione dipinta sul volto.
E ciò che i poliziotti videro li lasciò immobili
e senza parole: il cellulare
era vuoto.
La
Kruger spalancò gli occhi incredula e portò
istintivamente la mano alla pistola voltandosi e guardandosi intorno
attraverso
la nebbia che si era ormai quasi diradata del tutto.
Non poteva essere vero.
Come aveva fatto? Cosa aveva prodotto tutto quel fumo? E chi era stato
ad
aprire il portellone?
Un complice del Giaguaro, ovvio.
Un complice che poi, nei pochi secondi di confusione seguiti
all’incidente, era
sparito inghiottito dal nulla esattamente come David Hoffman.
«Non è possibile...» mormorò
Semir «Non è possibile!».
«Gerkhan!» gridò la Kruger
«Vada a destra, io guardo da questa parte. Bonrath,
Jenny, guardate in quell’altra direzione!» fece
dando ordini ai suoi agenti
mentre anche gli uomini presenti dell’LKA si sparpagliavano
per il perimetro
dell’autostrada.
Semir si portò una mano alla fronte in un moto di
disperazione. Non poteva
crederci, non voleva crederci! Quell’incubo non voleva
finire, non finiva mai.
Si ritrovò a pregare che Ben arrivasse lì ad
aiutarlo, mentre confuso si
guardava intorno alla ricerca di quel criminale che era riuscito a
rovinarlo
così, prendendosi gioco di lui fin dal primo istante.
E fu allora che vide.
Vide un piccolo puntino nero in mezzo al campo di erbacce che
delimitava il
lato destro della carreggiata.
Senza nemmeno credere ai suoi occhi, estrasse la pistola,
scavalcò il guard
rail, e cominciò a correre.
Hoffman
correva, correva, correva.
Sperava che sarebbe riuscito ad allontanarsi senza essere visto.
Alfred, che lo aveva aiutato a liberarsi lanciando i fumogeni e
forzando il
portellone, era scomparso poi nel nulla, dandosela a gambe e
lasciandolo solo
troppo vicino agli sbirri.
Maledetto, gliela avrebbe fatta pagare.
Ma la sorte del suo scagnozzo non era il suo primo pensiero in quel
momento.
Continuò a correre a perdifiato e aveva già
cominciato a sorridere tra sé e sé
pensando ai poliziotti probabilmente ancora spaesati in mezzo al fumo,
quando
sentì una voce che gridava alle sue spalle e che si
avvicinava sempre di più.
«Hoffman!»
gridava Semir con quanto fiato aveva in
gola «Fermati, bastardo! Maledetto, fermati!».
L’ispettore continuò a correre, era più
veloce del Giaguaro, lo stava
raggiungendo.
«Hoffman! Fermati o sparo!» fece ancora sparando un
colpo verso il cielo.
Ma il criminale continuava a scappare.
Fu dopo qualche minuto interminabile che finalmente, fu abbastanza
vicino.
Avrebbe potuto sparare.
Avrebbe potuto fermarlo.
«Hoffman, fermati!» ripeté.
David ormai arrancava, aveva corso troppo velocemente e adesso non
aveva più
fiato. Anche l’età cominciava a farsi sentire.
Rallentò, ma ancora non pensò nemmeno di
fermarsi, nonostante le grida alle sue
spalle si facessero sempre più vicine.
«Fermati!» urlò ancora Semir stringendo
il calcio della pistola quasi dovesse
disintegrarla «Non lo dirò
più...».
«Va’ al diavolo.» mormorò fra
sé e sé Hoffman ansimando ma senza fermarsi.
Poi sentì il colpo.
E cadde a terra.
Semir
raggiunse Hoffman disteso in mezzo all’erba
alta.
Lo aveva colpito alla gamba destra, all’altezza del femore, e
adesso l’uomo si
contorceva a terra tenendosi la ferita tra le mani e trattenendo a
stento le grida
di dolore.
Il primo impulso dell’ispettore fu quello di puntare la
pistola per finirlo.
E non seppe neppure lui per quale insolita ragione si trattenne.
Si abbassò invece per guardarlo negli occhi e lo
afferrò per il colletto della
giacca, strattonandolo violentemente e avvicinandolo a sé.
«Hai finito la tua corsa, lurido schifoso.».
«Gerkhan...» bisbigliò il Giaguaro
tossendo «Lei ha... ha perso...».
«Dimmi dove si trova Aida. Ora! Dimmi
dov’è o ti farò pentire di essere
nato.»
gridò Semir puntando la propria pistola sulla gamba non
ferita dell’uomo.
«Cosa... cosa vuoi farmi? Eh? Uccidermi?» Hoffman
abbozzò un sorriso che andò
per un attimo a sostituire la smorfia di dolore che gli dipingeva il
viso.
«Dimmi dov’è Aida.»
ripeté l’ispettore scandendo bene le parole e
appoggiando
il dito sul grilletto dell’arma.
Il Giaguaro rise ancora, nonostante le forze lentamente lo stessero
abbandonando.
«Al sicuro in compagnia di Erik Gehlen...».
«Dov’è?» gridò
Semir facendo pressione con la canna della pistola sulla gamba
del criminale.
«Forza Gerkhan, uccidimi. Su! Vediamo se ne sei capace. Che
aspetti?» cominciò
Hoffman con voce sempre più flebile ma carica di convinzione.
Il poliziotto continuava a tenere stretto l’uomo per il
colletto e il sangue
del Giaguaro si spandeva piano sul terreno coperto di erba incolta.
«Allora? Cos’è questa esitazione? Paura?
Forza! Tanto non ti dirò dove Gehlen
tiene tua figlia, non lo dirò nemmeno sotto tortura. Quindi
forza, sparami. Ho
ucciso due persone, ti ho minacciato, ho spedito il tuo amichetto in
prigione,
ho fatto rapire tua figlia... che aspetti? Spara. Uccidimi. Dimostrami
di non
essere vigliacco. Su...».
Semir mollò il colletto dell’uomo e si
alzò in piedi continuandolo a tenere
sotto tiro.
«Dai... Io in fondo sono l’artefice di tutto. Non
è così? Io sono il Giaguaro...
e anche tua figlia morirà a
causa mia... a causa mia...».
«Bastardo...».
«Cosa credi, Gerkhan? Che Gehlen la risparmierà?
La tua adorabile bambina è
condannata a morte, ad una morte molto dolorosa. E io non ti
dirò dove si
trova. Morirà a causa mia...».
Semir aumentò ancora di poco la pressione sopra al grilletto
mentre lacrime
calde minacciavano di tradire la sua sicurezza.
Odiava quell’uomo, lo odiava con tutto se stesso.
Era un mostro, solo un mostro...
Ancora una lieve, lievissima pressione su quel grilletto.
«Gerkhan!» fece la voce della Kruger
all’improvviso alle sue spalle «Gerkhan,
fermo, non spari!».
«Capo, se ne vada!» gridò
l’ispettore continuando a stringere la pistola.
Hoffman rise ancora, divertito, continuando però a
contorcersi a terra per il
dolore provocato dalla ferita.
«Proprio come pensavo... non hai un briciolo di fegato,
Gerkhan. Non sei
nemmeno in grado di uccidere l’uomo che fino a poco fa
speravi di poter avere
tra le mani...».
«Semir, non lo ascolti!» fece ancora il commissario
«Dia retta a me, metta via
la pistola.».
«Così debole... che peccato...».
«Lei non è un assassino!».
«Che peccato...».
«Gerkhan, la prego!».
«Ora basta!» gridò Semir, ammutolendo
sia il Giaguaro sia la Kruger.
Strinse il pugno della mano libera conficcando le unghie sul proprio
palmo fino
a farsi male.
Strinse il calcio della pistola con quanta forza aveva in corpo.
Chiuse gli occhi e smise di trattenere le lacrime.
Pensò a Ben.
Ad Aida.
Riaprì gli occhi e fissò quelli grigi di Hoffman
per un attimo interminabile.
Vide la sua aria divertita.
Il suo sguardo strafottente.
Respirò profondamente.
«Nessuno vince sempre, Hoffman.».
Poi un colpo risuonò forte e nitido nell’aria.
E
giungiamo alla fine. Ancora un capitolo e questa interminabile storia
sarà
conclusa... ma proprio conclusa conclusa? Mah...
Grazie ancora a chi mi ha seguito fin qui e continua a seguirmi e un
bacione!
Sophie :D
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Capitolo 33 *** The end ***
«Scusami.»
mormorò Semir senza riuscire a trattenere le lacrime
«Scusa Ben, è tutta colpa
mia. Ma come fai ancora a chiedere di me? Come fai? Io ti ho mandato
qui
dentro, è colpa mia se sei ridotto così! Ti sono
venuto a trovare solo una volta
in tre mesi di carcere, non sono stato in grado di dire la
verità nemmeno a
te... e tu ancora chiedi di me? Non me lo merito...».
Il poliziotto fece una pausa accorgendosi di parlare da solo.
Ma non gli importava.
Se il vuoto era l’unico con cui era in grado di confidarsi,
avrebbe parlato al
vuoto.
O ad un amico addormentato che non poteva sentirlo.
[Dal
capitolo 29]
Una
settimana dopo, 4 settembre, ore 11.13.
Semir aspettava
in piedi a braccia conserte,
appoggiato al cofano della propria BMW, lanciando di tanto in tanto una
fugace
occhiata all’orologio.
Era arrivato un po’ in anticipo, a casa rischiava di
diventare matto, aveva
preferito uscire e approfittarne per prendere una boccata
d’aria e rimanere un
po’ da solo con i propri pensieri.
Quindi adesso stava lì, immobile davanti al carcere
penitenziario, sperando che
il cancello si aprisse e che Ben ne uscisse in fretta.
Lo avrebbe mai perdonato?
In fondo era solamente colpa sua se l’ispettore
più giovane aveva passato
praticamente tre mesi d’inferno chiuso lì dentro.
Solamente colpa sua...
All’improvviso si sentì un rumore sordo e
l’imponente cancello si aprì con un
lento movimento regolare.
Ma quello che apparve sulla soglia non era più il Ben Jager
di tre mesi prima.
No, a dire il vero nemmeno gli assomigliava.
Quello che stava uscendo dalla struttura era un ragazzo troppo magro,
appena zoppicante
a causa della recente ferita alla gamba, pallido e con una smorfia
mista di
tristezza e dolore dipinta sul volto.
Semir gli andò incontro staccandosi finalmente dal cofano
dell’auto e quando i
due furono finalmente a poco meno di un metro di distanza
l’uno dall’altro, si
fermarono.
Passarono qualche secondo a scrutarsi, entrambi immobili e in silenzio.
«Scusami Ben.» fece ad un tratto Semir in un
sussurro.
Il ragazzo rimase invece ancora immobile.
«Scusami. È stata colpa mia, avrei dovuto trovare
una qualsiasi soluzione e
invece... Ben, perdonami.».
A questo punto l’ispettore più giovane
abbozzò un sorriso «Hey socio...
l’importante è che sia tutto finito,
no?».
Semir abbassò lo sguardo e Ben si accorse di aver
decisamente sbagliato frase e
si morse il labbro non appena ebbe finito di parlare.
«Ancora nulla di Aida?».
L’ispettore scosse il capo ed entrambi si avviarono
lentamente verso la
macchina.
«Se non altro Hoffman adesso è in prigione e ci
rimarrà fino alla fine dei suoi
giorni. Penso che io al posto tuo lo avrei fatto fuori, sai?».
«Credimi, ci sono andato molto vicino.» disse il
turco ricordando il momento,
la settimana precedente, in cui aveva sparato quel colpo verso il
cielo,
risparmiando il criminale steso dolorante ai suoi piedi che volendo
avrebbe
potuto eliminare senza difficoltà.
Alla fine invece il Giaguaro se l’era cavata con una ferita
alla gamba che non
si era rivelata poi nemmeno tanto grave e dopo aver passato tre giorni
in
ospedale era stato direttamente trasferito nel carcere di massima
sicurezza.
«La troveremo, troveremo Aida, hai capito Semir?».
«Ben, sono passati nove giorni.» lo interruppe il
collega e Ben sul momento non
ebbe nemmeno la forza di replicare.
«Magari Gehlen si farà vivo.»
ipotizzò dopo un po’, appoggiandosi con
l’amico
al cofano della BMW.
Semir alzò le spalle «Non lo so. Andrea sta
malissimo, piange tutti i giorni.
Mia suocera ci tempesta di telefonate e Lily non fa altro che chiedere
della
sorella.».
«E tu come stai?» domandò Ben a
bruciapelo.
Semir alzò lo sguardo per posarlo negli occhi
dell’amico «Bene...».
«Bene?» ripeté l’ispettore
più giovane «Uhm... E in realtà
invece?».
L’altro sorrise ma poi i suoi occhi divennero lucidi e si
riempirono
improvvisamente di lacrime «In realtà... in
realtà non lo so, Ben. Ma non ce la
faccio più a fingere di fare la persona forte. Non riesco
più a sostenere
Andrea, a consolarla, a rispondere a Lily per tranquillizzarla... non
ce la
faccio più...» disse tutto d’un fiato
passandosi una mano sugli occhi.
Ben gli mise una mano sulla spalla «Semir... tu sei una delle
persone più forti
che abbia mai conosciuto. Ma sei umano e anche tu hai bisogno di
sfogarti ogni
tanto.».
«Ma come fai tu ad essere ancora qui e ad aiutarmi?
È stata colpa mia, solo
colpa mia! Per la miseria Ben, non ho fatto altro che mentirti! Ti ho
condannato a stare chiuso qui dentro, ti ho solo fatto del
male!».
«Mi sembra di aver già sentito questa parte del
discorso...» fece Ben
ammiccando con un mezzo sorriso.
Il collega corrucciò la fronte ma capì presto a
cosa si riferisse il più
giovane «Mi... mi stavi ascoltando? Quando sono venuto
all’infermeria del
carcere... tu mi sentivi?».
Ben annuì «Ero sedato da un po’,
l’effetto del farmaco stava finendo ma non ho
voluto farti capire che ero sveglio per non metterti in
difficoltà con la
storia dell’amnesia: la Kruger me ne aveva parlato ma io
immaginavo che il tuo
fosse solo un bluff. Comunque sappi che non ho mai avuto niente da
perdonarti.
Tu hai fatto l’unica cosa che era possibile fare al momento e
io avrei agito
nello stesso modo al tuo posto, dico sul serio.».
Semir non disse niente ma continuò a piangere in silenzio
mentre l’amico lo
stringeva forte in un abbraccio.
«Dai, adesso andiamo, va bene? Tu vai a casa e io passo dal
comando a
recuperare pistola e distintivo.» propose il più
giovane dando una leggera
pacca sulla spalla al collega «Vuoi che guidi io?».
«Sai che... che guidare mi aiuta a scaricare la
tensione.» balbettò Semir,
provando a sorridere.
«Va bene socio... andata.» fece Ben porgendo una
mano al socio per farsi dare
un “cinque”.
Semir diede il “cinque” all’amico e
sorrise, ancora.
«Grazie Ben... grazie davvero.».
The End
?
O forse non
ancora...
Perché
immagino che voi non vogliate una fine così... non
è vero? Attenzione
attenzione, perché non ho ancora smesso di tediarvi (lo
farò mai??) : la storia
non
è finita, come
avrete notato ci sono ancora parecchie questioni in
sospeso. Ho semplicemente deciso di dividere il racconto in due storie
differenti dopo vari ragionamenti (grazie Reb del consiglio che
puntualmente
non ho seguito): mi sono accorta che tutta insieme sarebbe stata
davvero troppo
lunga, ma soprattutto che nella seconda parte si cambia un
po’ “stile”. Quindi
che dire? A breve un nuovo aggiornamento.
Grazie
davvero a tutti coloro che mi hanno seguito, a chi ha recensito nel
corso
della storia e in particolare ai miei fedelissimi Maty, Chiara, Marti,
Furia,
Tinta, Chlo, e Capitanmiki, che non mi hanno mai abbandonato.
Ma
un ringraziamento particolare non posso non dedicarlo a Rebecca, che mi
ha
seguito fino a qui, che non si è persa nemmeno una mia
storia su Cobra 11, che
è stata la prima persona in assoluto a recensirmi su Efp
più di tre anni fa e
che ancora non si è stancata di leggermi.
Grazie
davvero, senza di voi le mie storie probabilmente nemmeno esisterebbero.
Un
bacione e alla prossima!
Sophie
:D
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