Ginnastica d'amore

di _MaddyMads_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Jogging in due ***
Capitolo 2: *** Esasperazione ***
Capitolo 3: *** Scherzi? ***
Capitolo 4: *** Diversi tipi di baci... ***
Capitolo 5: *** Brutte figure ***
Capitolo 6: *** Fissa ***
Capitolo 7: *** Quando la gelosia colpisce... ***
Capitolo 8: *** Bipolare? ***
Capitolo 9: *** Something went wrong ***
Capitolo 10: *** Confusione ***



Capitolo 1
*** Prologo: Jogging in due ***


Prologo: Jogging in due





Non poteva essere vero. Non doveva essere vero! Avevo la media dell’otto in tutte le materie tranne, rullo di tamburi, educazione fisica. Ed ecco spiegato perché, in quella domenica mattina in cui avrei tanto voluto riposarmi un po’, ero stata costretta ad uscire di casa alle sette del mattino. Dovevo andare a correre, con lui, quella sottospecie aliena creata da Dio in non so quale momento di pazzia. Con lui, la persona più odiosa nonché bella del pianeta.
Uscendo di casa ripensai a due giorni prima, quel maledetto Venerdì 17 Febbraio.


“Non è possibile! Non puoi farti rimandare di educazione fisica quando hai la sufficienza in tutte le altre materie!” disse mia madre entrando in casa sconvolta, con la pagella del primo quadrimestre in mano. Io rimasi più scioccata di lei a quella rivelazione. “Cosa?? Non può essere! Quello stronzo – scusa mà, ma in questo caso ci vuole proprio – ha osato mettermi l’insufficienza?” dissi incavolata come una belva.
“Si, Vanessa, e tu devi assolutamente impegnarti per recuperare tutti i quattro e cinque che hai preso questo quadrimestre, se non vorrai essere rimandata.”
“Mamma lo sai benissimo che sono negata in qualsiasi cosa possa essere definita sport a parte la danza!”. Ebbene si, non sapevo nemmeno fare una battuta in pallavolo, facevo danza da quando avevo quattro anni e non avevo mai smesso, anche perché era l’unico sport in cui ero portata, anche molto.
“Non mi interessa. Se vuoi continuare a ballare, devi recuperare quel voto in pagella.” Disse decisa.
“Mamma! E come farei? Ho diciassette anni, non posso iniziare ora a imparare uno sport!” dissi, ormai esasperata dalla piega che aveva preso quella conversazione.
“Fatti dare ripetizioni da Riccardo, il figlio di Clara!” Clara era la migliore amica di mia madre ed erano anni (ovvero da quando avevamo iniziato il liceo) che le due cercavano di far andare d’accordo i rispettivi figli. Peccato che non sapevano che i due si odiavano. Ogni volta che andavamo a mangiare a casa loro, davanti ai nostri genitori fingevamo di andare d’amore e d’accordo, e poi in qualsiasi altro posto – scuola, principalmente - ci mandavamo a quel paese e litigavamo come dei matti.
O meglio, ci stuzzicavamo.
“Ma mamma, non mi sembra il caso, cioè…”

“Oh, non essere sciocca, tesoro, voi due vi ADORATE e poi lo sanno tutti che eccelle in tutti gli sport. Potrebbe esserti di enorme aiuto! E poi lo sai che io e Clara abbiamo sempre sperato in un vostro fidanzamento, frequentarvi fuori dalle mura scolastiche potrebbe essere già un buon inizio…”
Adorarsi.
Fidanzamento.
Vomitevole, bleah!
“Oddio, mamma ti prego!”

“Oh, su! Non dirmi che è un brutto ragazzo! I suoi capelli color dell’oro, i suoi occhi verdi, il suo fisico scolpito!” Beh, in realtà i suoi occhi non erano verdi. Erano verdi col bel tempo, e grigi con le nuvole e la pioggia. Beh, erano bellissimi sempre… ALT! Rewind… cosa avevo appena pensato?? Che i suoi occhi erano… BELLI? Oh mio Dio, l’insufficienza mi aveva sicuramente dato alla testa. Scossi la testa e andai in camera mia, decisa a non chiedere il SUO aiuto, neanche a costo della mia vita.

Il sabato mattina avevamo quattro ore di scuola: due ore di ehm, Educazione Fisica e due di Italiano. Perfetto! Appena entrata in classe vidi il prof. Palazzo già seduto sulla sedia della cattedra. Era un buon professore, dovevo ammettere, ma mi aveva sull’anima (solo perché in prima superiore gli avevo – durante una partita di pallavolo -  per sbaglio lanciato la palla sulla sua testa pelata ed era inevitabilmente caduto all’indietro andando a sbattere contro la rete di pallavolo e sfasciandola tutta), e questo lo rendeva un prof da eliminare. Era sulla quarantina, fisico da giocatore di baseball, pelato (anche se aveva una macchia nera in testa, noi alunni abbiamo sempre cercato di capire se era muffa, un neo gigante o una manciata di capelli) e occhiali sulla punta del naso, come tutti i professori che si rispettino. Mi guardò malissimo e salutò: “Buongiorno, Montolivi.” Il mio cognome suonò più come una minaccia, e fu li che presi un po’ di coraggio e mi parai davanti a lui. Ero la prima ad essere entrata in classe e non c’era traccia dei miei compagni. Decisi di cogliere al volo l’occasione. “Senta prof, so che lei mi odia, ma vorrei recuperare l’insufficienza, non è che mi potrebbe dare un consiglio su come fare?” chiesi schietta e gelida. Lui scoppiò in una risata agghiacciante. “Beh, esistono molti modi… impegno, costanza e perseveranza.” Disse. Sbuffai, erano le solite parole che diceva per tirare su di morale la squadra che perdeva dopo una partita. “Oppure ripetizioni!” disse Giorgia, la mia migliore amica, spuntando dal nulla. Mi girai di scatto, e la fulminai con lo sguardo. “Giusto, Bruzzone!” – il cognome di Giorgia – “ Ottimo consiglio! Ora, se non vi dispiace, andate ai vostri posti, voglio iniziare l’appello.”
Non appena ci fummo sedute ai nostri posti scoppiai e dissi sottovoce a Giorgia: “Come hai potuto? Sai che se mi devo far dare ripetizioni dovrò chiedere a Riccardo, vero?” lei annuì sorridente e io le schiaffeggiai la mano. “Andiamo! Quando mai ti ricapiterà l’occasione di vedere Ricky a torso nudo tutto sudato?” Al solo pensiero scoppiai a ridere sempre a bassa voce, lanciando uno sguardo a Riccardo nel banco dietro di me: aveva i capelli color rame tutti scompigliati e quando mi girai puntò i suoi occhi azzurri (strano, non lo erano mai stati, probabilmente era per il tempo,  quel giorno non c’era nemmeno una nuvola) nei miei, facendo scomparire il sorriso che aveva sulle labbra - perfette - fino a poco prima. Anch’io lo fronteggiai impassibile, ma quando Palazzo – stronzo come al solito – mi richiamò, fui costretta a dargli le spalle, sentendo ancora il suo sguardo gelido contro la mia schiena.

 
Quando arrivai sotto casa sua, mi aspettai di vederlo già li sotto ad aspettarmi, visto e considerato che ero in ritardo di dieci munti buoni, ma invece non vi era nessuno. Suonai al citofono e dopo qualche secondo sentii la sua voce: “Scendo.”
Scendo un corno.
Un quarto d’ora dopo ero ancora lì ad aspettare. Stavo gelando, siccome era il 19 Febbraio e avevo dei pantaloncini corti da jogging, una canottiera bianca della Freddy, e una felpa della stessa marca sopra. Avevo raccolto i capelli neri in una coda alta e sugli occhi azzurri avevo messo solo un po’ di mascara. Per ingannare il tempo mi misi ad esaminare le nuvolette di vapore che uscivano dalla mia bocca. Quando finalmente sentii il portone aprirsi e chiudersi mi girai di scatto dicendo: “Final…” Peccato che mi bloccai sulle ultime lettere, perché lo spettacolo che avevo davanti era davvero… stuzzicante. Riccardo Canepa era in tuta da corsa di fronte a me pronto per una bella corsetta mattutina.
“Che c’è, hai perso l’uso della parola?” disse, beffeggiandomi. Feci un verso che doveva essere un ghigno, ma che in realtà uscì più come il verso di una gallina arrabbiata.
“Anch’io NON sono felice di vederti, Canepa.”
“Mai quanto me, fidati, Vanessa.” Sorrise, anzi, ghignò (non lo avevo mai visto sorridere, non a me, per lo meno) pronunciando il mio nome con fare impaziente.
“Ti sei dimenticato il mio cognome, Riccardo?” usai lo stesso tono per il suo nome e questa volta fui io a ghignare.
“Si… è così insignificante che non lo ricordo più.” Il mio ghigno sparì dalla bocca e capimmo entrambi che il gioco di battutine era finito lì. Non era mai stato così… cattivo con me
. “E’ meglio se iniziamo a correre.” Dissi soltanto, prima di mettermi le cuffiette nelle orecchie e iniziando a correre a passo non troppo veloce verso la Marina di Genova.
 
 

Spazio autrice :3

 
Ciaooo a tutte sono _MaddyMads_ :D
Spero che questo prologo vi piaccia, e tengo a puntualizzare che non sarei a scrivere qui se non grazie a @stay happy, una ragazza davvero d'oro, che oltre a spingermi a pubblicare la storia, mi ha dato tantissimi consigli! Mi ha anche fatto il banner, ma siccome sono inesperta di questo sito, non sono capace a metterlo u.u
Fatemi sapere cosa ne pensate, recensite recensite e recensite! <3
Kiss kiss (Gossip Girl) AHAHAH NO.
Okay, sono pazza -.-
_MaddyMads_
 

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Capitolo 2
*** Esasperazione ***


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Eccomi ritornata!! :) Buona lettura :3 Ps. quel cavolo di banner mi dà mooolto filo da torcere non riesco a metterlo decentemente! -.- Se qualcuna di voi è tanto gentile da spiegarmi come si fa...  



La Marina di Genova era il posto ideale per andare a correre, anche se a Febbraio faceva un po’ freddo. Riccardo mi superava sempre e andava avanti di qualche decina di metri ogni cinque minuti, poi rallentava e aspettava che io arrivassi, dicendomi più volte un: “Sei troppo lenta”. Mi faceva incavolare da morire, anche perché lui era abituato a correre, io no. Quando a scuola facevamo i soliti “tre minuti di corsa” mi stancavo dopo aver cantato nella mente mezza canzone (Era quello il mio modo di far scorrere il tempo), ovvero un minuto e mezzo. Dopo dieci minuti di corsa, mi sedetti su una panchina, col fiatone e la gola secca. Non appena Riccardo si girò (stranamente era avanti) e mi vide seduta sbuffò, e poi corse verso di me. “Che c’è, sei già stanca?” disse, prendendomi in giro. Strano. “Ho solo bisogno d’acqua.” Dissi. Peccato che io non ce l’avevo. lui frugò per qualche istante nella sua sacca e poi ne tirò fuori una bottiglietta d’acqua. Non era possibile, la stava aprendo e… me la stava porgendo! Allungai la mano, ma quest’ultima non toccò la plastica della bottiglietta, bensì il vuoto. Poco dopo, sentii qualcosa di liquido e gelido scivolarmi su tutta la schiena. No, cazzo non era possibile! Quel deficiente patentato mi aveva rovesciato la bottiglietta d’acqua addosso! Lui si mise a ridere, una risata malefica, e poi si mise a correre via da me, lanciando la bottiglietta in mare ( la Marina è proprio il posto in cui i proprietari degli yacht ce li lasciano “parcheggiati”). Beh, almeno aveva paura di me. E faceva bene, perché non appena mi fui ripresa mi misi a rincorrerlo, tirando già fuori il telefono, pronta per fargliela pagare. Corsi più velocemente, e in quel momento non sentii la fatica. Sentivo solo il desiderio di vendetta. Quando gli arrivai dietro, riuscii ad attaccarmi ai suoi pantaloni della tuta e a tirarglieli giù, lasciandogli i boxer neri e grigi. Svelta, misi il telefono in opzione macchina fotografica, e pubblicai la foto su Facebook. Benedissi mia madre per avermi fatto accettare la sua richiesta d’amicizia, qualche anno fa. Mi aveva praticamente costretta. Quando alzai lo sguardo, in preda a una ridarella incessante, me lo vidi a cinque centimetri dal volto, infuriato come non l’avevo mai visto. Poteva benissimo uscirgli il fumo dalle orecchie e dal naso. “Non dirmi che hai fatto quello che non avresti dovuto fare.” Disse, e mi resi conto che era davvero, DAVVERO incazzato. Scrollai le spalle: “Ora siamo pari.” Lui si aggiustò i pantaloni e poi mi fece cenno di incamminarmi con lui verso casa. Alternavamo la corsetta leggera al cammino, e poi corsa veloce. In pochi minuti ci ritrovammo sotto il suo portone. “Spero almeno ti siano piaciuti i miei boxer come a me è piaciuto il tuo reggiseno.” Disse, sorridendo maliziosamente. Io lo guardai confusa: “Co-cosa?” balbettai, prima che lui indicasse con la testa il mio petto. Guardai dove aveva indicato e strabuzzai gli occhi. Mi ero tolta la felpa perché era completamente fradicia e stavo sudando, e ora l’acqua aveva fatto diventare trasparente e MOLTO aderente la mia canottiera bianca della Freddy. Cazzo. Lo guardai indignata, ma lui era impegnato a “contemplare” la mia seconda. Okay, non era molto per essere in quarta liceo, ma mi piacevano così. E anche ai ragazzi sembravano piacere, quindi andava bene. “Se non ti dispiace” richiamai la sua attenzione “smettila di fissarmi le tette. Me le consumi.” Dissi cercando di essere abbastanza ironica, ma dimenticai con chi stavo parlando, ovvero Mister rido-solo-alle-mie-battute-o a quelle-delle-ragazze-che mi-voglio-portare-a-letto, perciò non mi meravigliai quando scoppiò a ridere. Un attimo, cosa?! Aveva riso a una mia battuta? Questo poteva significare solo due cose: Uno. Era così scemo da ridere a una battuta triste come quella (il che era possibile, siccome riguardava una parte del corpo femminile) o Due. Voleva portarmi a letto. Naah, impossibile. Lui mi odia. E io odio lui. Perciò togliamoci dalla testa questi pensieri. Quando si riprese, dissi: “Non so cosa ci hai trovato di tanto divertente, comunque ciao a domani. E… niente male i tuoi boxer.” Poi me ne andai, senza aspettare una sua risposta. “Ciao, Montolivi, a domani.” Gli sentii dire a distanza. Avrei tanto voluto girarmi, insomma, lui non mi salutava MAI, neanche a scuola, ed ora mi salutava. Che il nostro rapporto stesse migliorando?
 
Il giorno dopo, a scuola arrivai un quarto d’ora prima del suono della campanella, come ogni Lunedì. Spiegazione: alla prima ora avevamo la Massino, la prof di greco. Ebbene si, frequentavo il Liceo Classico Giuseppe Mazzini. Un suicidio, si, ma non era poi tanto male. Dicevo, quando arrivai a scuola e passai tra i ragazzi del corridoio per arrivare alla mia classe (che era in fondo alla corridoio, appunto), tutti si misero a ridere e sghignazzare. C’era chi cercava di trattenersi, chi invece rideva a crepapelle e si teneva una mano sullo stomaco, e chi mi guardava con compassione. Iniziai a chiedermi che cavolo stesse succedendo, quando arrivai in classe e, guardando la lavagna, capii tutto. Quel figlio di…. Okay, niente offese anche perché Clara mi stava  molto simpatica. Intorno alla lavagna c’erano un sacco di persone delle altre classi che ridevano. Guardai Giorgia, che mi venne subito vicino. “E’ stato lui, vero?” chiesi, stringendo i denti. Lei annuì. “E dov’è ora?” . “Ti sta aspettando, è fuori dalla porta del bagno.” Svelta, presi i boxer che lui indossava il giorno prima (almeno se li era cambiati da un giorno all’altro), lanciai un’ultima occhiata alla lavagna su cui c’era scritto “Siccome ti piacciono tanto, te li regalo”. Lo raggiunsi, intorno a lui c’era un gruppetto di oche in calore che lo veneravano, e io le spintonai di qua e di là, fino a ritrovarmi a un palmo dalla sua faccia. Aspettai che un po’ di folla si accalcasse intorno a noi prima di dire: “Già, mi piacciono così TANTO!”. Lui fece finta di non capire, guardandosi intorno spaesato, e poi soffermandosi su di me. “Ma di che cosa parli?”. Già, manco fossi appena uscito dai fumetti di Topolino. “Su, non vorrai nascondere a tutta la scuola che siamo stati a letto insieme!”.
 
Okay, niente panico. Insomma, dovevo SOLO andare a casa sua. Teoricamente per fare addominali e flessioni, praticamente per beccarmi la ramanzina per quello che gli avevo detto oggi. Che poi l’avevo fatto per auto difesa. Insomma, lui mi aveva umiliata e io avevo fatto altrettanto. Giusto? Dopo avergli detto la famosa frase dell’andare a letto insieme, era arrivata la Massino che ci aveva fatti filare ognuno nella propria classe. E all’uscita avevo cercato di evitarlo. E ci ero riuscita… ma non potevo scappare a questo. Cioè, avrei potuto dargli buca, ma mia madre mi ci ha mandata a calci nel sedere. Al diavolo lei e la sua amichetta del cuore. feci un profondo respiro e suonai al citofono. “Chi è?” chiese la dolce voce di Clara. “Sono Vanessa.” Al sol udire quel nome, lei disse: “Vanessa, tesoro! Vieni su!”. Salii le scale di corsa fino al terzo piano, dove abitavano i Canepa, e poi entrai in casa. Anche se non ci andavo dall’anno prima (in occasione di una cena tra amici), non era cambiata molto la loro casa. L’ingresso si apriva sul salotto, in cui c’era una mega televisione in cui Riccardo, mio padre e suo padre guardavano sempre le partite di calcio del Genoa (del quale erano dei patiti) e un comodissimo divano fatto a “L”, poi a destra partiva un corridoio lunghissimo sul quale si aprivano le varie stanze. “Vanessa! Come sta la mamma?” Come se non la sentissi da anni – se va bene avete appena buttato giù la cornetta del telefono. “Benissimo! Riccardo dov’è?” chiesi, cercando di andare dritta al punto. Prima lo affrontavo, prima tutto finiva, meglio era. “E’ in camera sua, starà giocando alla Play.” Disse Clara. “Grazie.” Dissi, prima di dileguarmi e andare verso camera sua. Prima di entrare nel corridoio, mi bloccai e mi girai verso Clara: “Non mi ricordo che porta è…” dissi. “Oh, tranquilla, la penultima a destra!” Seguii le sue indicazioni e poi trovai la porta giusta. Senza bussare aprii. C’era Riccardo in tuta davanti al computer con le cuffie nelle orecchie. Mi schiarii la voce, ma ovviamente non mi sentì, sentivo io la musica provenire dalle cuffie! “CANEPA!” Urlai. Lui si girò di scatto, togliendosi le cuffie. “Ah, finalmente.” Disse. Quel tono non prometteva nulla di buono. Per cui dissi: “Si… iniziamo?”. Poi mi tolsi la felpa rimanendo in maglietta. “No no… prima avrei una questione in sospeso con te.” Si avvicinava, sempre di più… e io indietreggiavo, fino a toccare la porta con la schiena. Ero in trappola, lui aveva messo le mani vicino alla mia faccia, ed ero chiusa tra lui e la porta, l’unica mia via d’uscita, bloccata DA ME. I suoi occhi, in quel momento grigi per via della poca luce che filtrava dalla finestra, mi penetravano fino ad arrivare all’anima. Deglutii, ricambiando lo sguardo.

 

Spazio autrice :3


Saaalve a tutte :D
Innanzitutto vorrei ringraziare tuuutte le persone che hanno recensito (4, WOW!), messo tra le preferite e seguite e chi ha solo letto la storia. Mi rendete felice u.u
Poooi. Dovevo fare in questo capitolo una scena importantissima, ma mi sembrava troppo presto... cioè siamo solo al secondo! :D
Ora vado, che sto morendo dal sonno e domani vado tutto il giorno al mare... (Interessa a qualcuno? NO. AHAHAHAH)
Vi amo :3

_MaddyMads_

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Capitolo 3
*** Scherzi? ***




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“Senti…”

“NON provare a interrompermi.” Disse, con una voce così matura che non riuscii quasi a riconoscerla.

“Tu non sai cosa significhi mettersi contro di me, okay? Se solo ci provi, finirai male, e non me ne frega un cazzo di quello che dirà mia madre. Prova a mettermi in ridicolo un’altra volta davanti a tutti e non ti ritroverai più quel cazzo di sorrisino stupendo – si, l’aveva detto davvero – sulle labbra. Intesi?”

Che fare?


Di certo non volevo dargliela vinta, ma, lo ammettevo, ero un po’ impaurita dalle sue parole.

Così, dopo una decina di anni luce di silenzio, me ne uscii con:

“Perché, pensi che io sia così sfigata che ti vergogni di me e del fatto che gli altri pensino che abbiamo fatto sesso?”

“Oh, beh di quello non preoccuparti, non sai quante persone vorrebbero venire a letto con te, quindi da un lato mi hai fatto un favore, ma… non riesco a tollerare che tu mi prenda in giro così. E ora, iniziamo.”

Disse, togliendosi anche lui la maglia.

Okay, procediamo con ordine.

Punto primo: cosa intendeva dire con “Non sai quante persone vorrebbero venire a letto con te”?? Che lui e i suoi amichetti si facevano fantasie erotiche su di me? Oddio.
 
Punto secondo: Io non lo volevo prendere in giro! Era solo auto-difesa… lui mi prende in giro? Io faccio lo stesso. È così che è sempre funzionata tra di noi, e le cose non dovevano cambiare.

Punto terzo: Giorgia aveva davvero ragione: “Andiamo! Quando mai ti ricapiterà l’occasione di vedere Ricky a torso nudo tutto sudato?” aveva detto. E aveva ragione, il suo fisico… i suoi addominali perfetti… Oddio.

Fu una cosa stranissima, mentre facevamo addominali, flessioni, allungamenti (nei quali ero brava per via della danza) i nostri occhi non si staccarono un attimo, quando Clara ci portò il tè lui prese una tazza e me la porse senza fare nessun brutto scherzetto, quando ci salutammo perché erano ormai le sette, lui fece solo un cenno con la mano ed io feci lo stesso, senza ovviamente permettere ai nostri occhi di incontrare qualsiasi cosa che non fossero quelli dell’altro.

 L’azzurro del ghiaccio contro il verde del mare.

Le settimane passavano, io ero riuscita a prendere un 8 il sabato successivo, ma ovviamente non servì a recuperare tutti i quattro precedenti, per cui Palazzo mi disse di continuare a lavorare con Riccardo, siccome ormai sapeva delle mie “ripetizioni”.

Lo sapevano tutti.

E ovviamente non mancava chi pensava male, chi dicesse che erano tutte scuse per stare da soli senza che nessuno rompesse le palle.

E io non potevo sopportare l’idea che qualcuno pensasse che stessimo insieme.

Io e lui.

Così diversi ma anche così uguali.

E probabilmente nemmeno lui sopportava quell’idea, per cui i nostri appuntamenti per le ripetizioni si decimarono, fino a quasi a scomparire.

Una volta alla settimana, era il massimo che potevamo concederci.

Ormai tutti pensano che siamo fidanzati. Per colpa tua non riesco quasi più a uscire neanche con gli amici. Mi sembra logico finirla qua.”

Era questa la frase che aveva detto, alla quale io avevo prontamente risposto:

Ti prego, io ho bisogno del tuo aiuto – si, mi ero esposta così tanto, come se io dipendessi da lui, e in un certo senso, era così, i miei voti dipendevano da lui – devo migliorare ancora un po’.”

Alla fine avevamo deciso di vederci solo il venerdì pomeriggio, siccome il sabato non c’erano molti compiti.

Mi aveva insegnato a giocare a pallavolo e a basket, avevamo corso per più di mezz’ora di fila e non mi ero stancata.

Era ormai Marzo inoltrato, e il 31 sarebbe stato il suo compleanno. Avrebbe compiuto diciotto anni.

Eppure, in tutto quel mese che era passato il nostro rapporto non era migliorato.

Per niente.

Anzi, non ci stuzzicavamo nemmeno più. Parlavamo solo di esercizi e ginnastica.

Un giorno, quando ero a casa sua per fare il solito stretching, sua madre ci portò la cioccolata calda, perché, nonostante fosse già Primavera, era una giornata bruttissima, fuori pioveva e faceva freddo, lui non aveva spiccicato parola. 

Mi aveva detto solo: “Fa’ quello che faccio io.” E poi basta. 

Stavamo sorseggiando la nostra cioccolata quando scoppiai:

“Allora?!? Non ce la fai proprio a parlare? Ti hanno tagliato la lingua nell’ultimo mese? Dico, non mi hai nemmeno fatto uno scherzo, che succede?”

Lui sembrò sorpreso, molto sorpreso della mia schiettezza, infatti strabuzzò gli occhi per un attimo, prima di riprendersi ed ignorarmi come aveva sempre fatto.

Neanche di una risposta mi aveva degnata, cazzo.

“ALLORA??”

Finalmente alzò lo sguardo dalla tazza di cioccolata.

E incontrò il mio.

I suoi occhi erano calmi, placati, di certo l’opposto dei miei, che invece erano pieni di rabbia per tutta quella sconsiderazione.

“E’ questo che vuoi? Considerazione? Scherzetti? Beh, eccotene uno.” Disse prima di rovesciarmi la sua cioccolata addosso, sul petto.

Sentii bruciare nel punto colpito, non so se era per il calore della cioccolata a contatto con la mia pelle o se era il cuore che bruciava di rabbia.

Io non intendevo quello, possibile che non riusciva a capire?

In realtà non  capivo neanch’io cosa intendevo.

Volevo solo che parlasse, che parlasse CON ME.

Eppure, quando alzai lo sguardo per guardarlo negli occhi, quei suoi meravigliosi occhi verdi, che quel giorno tendevano al grigio per il brutto tempo, mi sciolsi.

E non riuscii a resistere.

Mi avvicinai a lui, e, con quanta più grazia ma allo stesso tempo rabbia possibile, feci combaciare le nostre labbra.

Fu un attimo, un attimo stupendo in cui tutto il resto scomparve e c’eravamo solo io e lui, in quella stanza, con la pioggia che batteva sui vetri e il sapore di cioccolata in bocca.

Un attimo in cui lui mi strinse più vicino a sé.

Un attimo, un bacio, senza giochi di lingue.

Un bacio privo di senso, ma con così tanti significati.

Un attimo in cui mi allontanai, rendendomi conto della cazzata che avevo appena fatto.

L’avevo baciato.

E lui non si era ritratto, anzi.

Guardai la sua maglia, anch’essa sporca di cioccolata perché i nostri petti si erano attaccati.

E trovai il modo di uscire da quella situazione.

“Ora siamo pari.” Dissi, accennando alla sua maglia.

Lui guardò sbigottito prima la maglia e poi me.

Non ci poteva credere, come sempre ero riuscita a fargliela pagare.

Mi alzai, presi la mia borsa e mi diressi verso la porta della camera per uscire.

Ma lui fu più veloce e mi bloccò per un braccio.

“No. Non puoi lasciarmi così.”

Così come?

Cosa intendeva dire?

Lo capii solo quando fece incontrare di nuovo le nostre labbra e questa volta fu un bacio molto più appassionato.

Appassionato, ma privo di sentimenti.

Perché né io né lui eravamo innamorati.

Le nostre lingue si incontrarono e presero a giocare, a rincorrersi, finché, dopo una lunga corsa, decisero di riposarsi un attimo dando tregua ai loro padroni.

“Cosa significa?” chiesi, quando riuscii a riprendere fiato.

“Che oggi non è successo niente.”




 

Spazio autrice :3

Buonaseraaa <3

Allora, per prima cosa volevo ringraziare OGNUNA DI VOI per le vostre recensioni e per la vostra considerazione.

Yeahh! I love you all xx

Poooi :D

Spero che il capitolo sia venuto bene e più lungo degli altri... Non ho moltisssssimo tempo -.-

 

Mercoledì vado a Gardaland!!! :D

Ahahah beh, diciamo che mi godo gli ultimi giorni di vacanza .-.

Spero che anche voi stiate vivendo al meglio quest'ultima settimana, e, per chi ha già iniziato la scuola, sappia che io vi sostengo, in questa valle di lacrime (?)

I love you. :3

 

_MaddyMads_


 
 
 

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Capitolo 4
*** Diversi tipi di baci... ***




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“Si può essere amici (nel nostro caso, nemici) fin che si vuole, ma quando si finisce per baciarsi le cose cambiano. È come se il bacio sparpagliasse le carte e le regole del gioco improvvisamente cambiassero. Si aprissero le porte di un nuovo mondo. I baci sono una delle cose più belle che ci han dato in dotazione per poter sopravvivere… sono il momento clou di film, quello che aspetti da quando i due si incontrano per la prima volta tamponandosi al semaforo e, quando finalmente arriva, è un po’ come se baciassi un pochino anche tu. Comunque i baci possono essere di molti tipi. Partiamo dal BACIO DI CIRCOSTANZA. Che si dà sulle guance. Una salvezza soprattutto se quello che devi baciare senti che ha l’alito dello sciacallo che ha appena divorato un’antilope… in quel caso si può baciare l’aria che lo circonda. È oggettivamente brutto, ma si tratta di sopravvivenza.
POI C’E’ IL BACIO SULLA GUANCIA, quello con la saliva… che lascia un po’ di smucinamento… i bambini sono bravissimi in quel bacio lì. Se ti va bene, oltre la saliva ti lasciano come souvenir anche un cucchiaino di moccio. Ma veniamo ai baci sulla bocca. Come primo tipo c’è il BACIO A STAMPO. I primissimo bacio che dai quando cominci a vedere quelli dell’altro sesso non più come esseri fastidiosi e repellenti, ma potenziali fonti di piacere. Quel bacio lì è un po’ come se dovessi timbrare le labbra del partner. Il bacio di marmo. Che stai con gli occhi aperti che diventano strabici per vedere che faccia fa l’altro. Più che baci sembrano dei timbri, come fanno le impiegate delle poste. Ma passiamo ai baci veri. I BACI LEMONSODA, dove c’è il vero e proprio limonage. Quelli dove le labbra si smollano, le gambe si piegano, le tette si drizzano e i cuori si fondono.  Quelli dove è prevista l’introduzione di quel pezzettino di tessuto molle che abbiamo nella bocca che dicesi lingua. Quella roba che io muovo incessantemente per dire cazzate. Tra i baci limonage abbiamo: IL BACETTO, dove il maschio introduce un pezzettino piiiccolo di lingua, ma poi la muove come una saetta. La linguetta delle trote, bianca e a triangolo. Se hai l’apparecchio per i denti che traballa te lo ribalta. Poi c’è IL BACIO CON LA LINGUA RICAMBIATO. Dove le lingue  si incontrano:
“Piacere… piacere… anche lei qui? Scusi se spingo, ma due lingue in una bocca sola fanno effetto ascensore, non si sa mai dove mettersi.” Poi ci sono i BACI TOSTI, quelli in cui i maschi fanno invasione. Sì. Ci son dei maschi che quando ti baciano pensano di essere a casa loro. Se non stai bene attenta ti soffocano perché pensano che per limonare ti devono fare la gastronomia. E poi ci sono I BEI BACI. Quelli che ti danno quelli bravi e innamorati. Che baciano così bene da mandarti in estasi, da farti credere che la mano che ti ritrovi sul culo sia la tua. Il bacio che ti fa vedere gli universi stellati, i cavalli al galoppo, le sfere celesti… tutte cose aeree ed eteree mentre dal basso senti qualcosa di meno etereo che si risveglia. Il bacio è una cosa bellissima, è fondamentale, è dal bacio che capisci il tuo futuro, non dal piano accumulo pensioni… ve lo posso garantire io che sono esperta. Ho baciato Pippo Baudo, non so se mi spiego. Per me adesso è tutta una strada in discesa. Dopo Pippo Baudo sento di poter limonare con un lama, un parroco o con Topo Gigio.”
È questo ciò che ha scritto Luciana Littizzetto. È questo ciò che ho trovato sul mio diario della Smemo.
Ma dico, grazie per l’IMPORTANTISSIMA lezione sui baci (a dire il vero del “bacetto” non ne sapevo niente), ma che cazzo me ne frega se hai baciato Pippo Baudo?
E poi, non è affatto vero che quando si finisce per baciarsi le cose cambiano.
Vedi me e Riccardo.
Tutto come prima. Odio, odio, odio.
Insomma, come ha potuto farmi una cosa del genere? Baciarmi e poi dire: “Non è successo niente.”
Ma fammi il piacere. Okay, dicendo questo ho appena smentito il fatto che dopo il bacio le cose NON cambiano.
Ma invece, cambiano eccome.
Io lo odio ancora di più.
 
“Ehi, Vane… mi presti il quaderno di inglese per copiare i compiti?” mi chiese… si proprio Riccardo!
“Stai scherzando vero?!” chiesi, sbigottita.
“No! Mai stato più serio…”
Anche se non avrei dovuto, anche se ero completamente incazzata con lui, glielo diedi, siccome quel giorno ero particolarmente generosa.
“Ringraziare no, eh?” gli dissi quando me lo riporse.
Lui mi fece l’occhiolino, prima di alzarsi siccome era arrivata la prof.
“Montolivi, mi vuole dire l’esercizio 4?” chiese la prof. Io guardai il quaderno, e poi, incurante degli EVENTUALI ERRORI, le risposi: “ My cousin’s boyfriend is one of the most famous actress in America”.
“Montolivi… mi sembra ci sia un grave errore. Non sa più riconoscere il femminile dal maschile? Mi sembra che “boyfriend” sia maschile… quindi ACTOR, non actress. La prossima volta la interrogo, deve recuperare il 4 che le ho appena dato”. Non. Ci. Posso. Credere! Ho sempre avuto la media dell’otto in inglese, è la mia materia preferita! In più mettere quattro per un errorino così insignificante? E poi ero sicura di aver scritto “actor”… a meno che…
Quando finì l’ora, mi girai improvvisamente, puntando il dito contro Riccardo:
“TU! Tu! Quando ti ho dato il quaderno mi hai cambiato la scritta!” ci avevo riflettuto su durante la lezione, e si vedeva il bianchetto.
“Io? Ma se non ho fatto niente!”
“E non provare a smentirmi! Sei stato tu! TI ODIO.” Dissi con disgusto.
Sul suo viso si accese un ghigno malizioso: “Non sembrava così, l’altro giorno, quando mi hai baciato…”
La mia bocca si aprì probabilmente come quella di Sebastian nella Sirenetta.
Aveva detto di non farne parola con nessuno!
E lui l’aveva urlato davanti a tutta la classe, che si era ammutolita improvvisamente e ci fissava, curiosi e pettegoli com’erano i miei compagni di classe… in poco tempo l’avrebbe saputo tutta la scuola. Indignata, richiusi la bocca, e non sapendo ribattere, mi girai dall’altra parte e mi alzai per accogliere la prof.

Quando uscii dalla scuola, salutai Giorgia, che fortunatamente non mi chiese niente della faccenda “bacio”, e mi avviai verso casa mia.
Mentre passavo tra la folla sentivo dei brusii leggeri e la gente che si apriva “per farmi passare”.
Iniziai ad insospettirmi quando sentii una primina dire: “E’ lei! È lei che ha baciato Canepa!” Che poi dico, anti-sgamo veramente cioè.
Mi girai di scatto e la fulminai con lo sguardo… peccato che quella fulminata fui io. Decine di ragazze mi stavano guardando molto, MOLTO male
. Ero quasi sul punto di iniziare a scappare correndo, quando un braccio mi cinse le spalle.
“Si, è lei, problemi?” la voce di Riccardo arrivò alle mie orecchie in poco tempo per cui… era lui che mi aveva abbracciata!
Beh, anche perché girando la testa a sinistra me lo ritrovavo con tutto il suo metro e ottanta e passa. Okay, non morire, non morire… perché a morire sarà lui! Quando saremo da soli…
Un momento. Perché al pensiero “quando saremo da soli” mi veniva da pensare a “gli salterò addosso e faremo l’amore per tutta la notte” invece che “lo ucciderò e nasconderò il suo corpo in una cripta”?
Mi scrollai il suo braccio, di dosso, e mentre lui diceva: “Ehi, ma che succede?” io scappai via, con tanto di corsa (quella a cui accennavo prima).
Beh, Riccardo aveva fatto decisamente un buon lavoro, siccome riuscii ad arrivare a casa senza smettere di correre.

Il giorno dopo, giovedì, andai a scuola con il terrore che Riccardo potesse chiedermi qualcosa riguardo alla mia sfuggita di scena. E infatti, appena seduta al banco, lui poggiò le mani sul mio banco e si sporse leggermente in avanti con la faccia.
“Montolivi… come mai ieri sei sfuggita? Non mi avevi nemmeno dato un BACETTO…” e non intendeva il vezzeggiativo, ma il BACETTO di cui parlava la Littizzetto.
Spalancai la bocca, dicendo: “Hai anche tu il diario della smemo?”
 
Tralasciando il fatto che avevo fatto una stupenda figura di merda (detto in parole povere), siccome, non appena avevo pronunciato la frase sul diario della smemo, Riccardo era scoppiato a ridere, in quel momento mi stavo dirigendo verso casa sua.
“Alla buon’ora!” dissi, quando finalmente lo vidi aprire il portone.
“Scusa, ma dovevo farmi il ciuffo.” Disse, con un sorrisino ebete stampato in faccia.
“E che motivo c’era di farselo? Stiamo andando a correre!”
“Beh, ci potrebbero sempre essere BELLE RAGAZZE in giro.” Non appena aveva pronunciato “belle ragazze” aveva ammiccato… a me.
“Okay, come vuoi. Ora corriamo.” Dissi, lasciando perdere il fatto che probabilmente ci stava provando con me.
Ma in ogni caso, ci provava con tutte.
“Ah-ah! Tu non vai da nessuna parte finchè non mi prometti una cosa…”
Oddio, cosa voleva ora?
“Dimmi.”
“Se tu arrivi per prima alla Marina, non ti tormento più sulla faccenda del bacio, ma se ci arrivo prima io… beh, ne esigo un altro.”
Ma era fuori? Dico, ma cosa gliene frega di un altro bacio? A meno che… gli sia piaciuto!
“Ma anche no.”
“Suuu! Tentar non nuoce, giusto? Insomma, se vinco io mi devi dare solo un INSIGNIFICANTE bacio, giusto per togliermi lo sfizio, se vinci tu non ti tormento più…”
Per toglierti lo sfizio? PER TOGLIERTI LO SFIZIO? Ma vaffanculo eh! Con tanto amore!
Dovevo vincere. Tanto per togliermi lo sfizio, sia chiaro.
Iniziai a correre, dicendo: “Beh, raggiungimi, babe.”
Corri corri, coi capelli al vento, sguardi indietro per vedere a che punto era lui e… BOOM!
“Cazzo!” caddi rovinosamente a terra, siccome non avevo notato il BELLISSIMO cagnolino che stava passando davanti a me in quel momento, presa com’ero a vedere dov’era Riccardo, che puntualmente, vedendomi a terra, iniziò a ridere come un deficiente, senza badare a me che ero in preda a una crisi di dolore cavigliare.
“Ahia, cazzo! Aiutami, non stare lì impalato!”
“Okay, okay! Vieni, dammi la mano.” Disse, cercando di non ridere, ma non era per niente un bravo attore.
“Ahia, oddio la caviglia… mi fa un male cane!”
“Tranquilla, ora torniamo a casa e vediamo se è rotta o slogata… hai preso una brutta botta. I padroni dei cani dovrebbero stare un po’ più attenti a quelle bestiacce, senza offesa!”
Sbaglio, o mi stava “curando”? E cosa non meno importante, sbaglio o mi stava DIFENDENDO?
Mi cinse la vita con un braccio e mi sollevò leggermente, poi piano piano ci incamminammo verso casa sua.

La caviglia non aveva subito danni, Riccardo me l’aveva fasciata con tanta, ehm, premura.
Era la tipica scena dei film, lui la cura, lei lo ringrazia, lui alza la testa e su baciano.
Peccato che non era successo niente di tutto ciò.
A parte la parte in cui io lo ringrazio, siccome sono una ragazza educata, a dispetto di lui.
In quel momento eravamo in camera sua, imbarazzati, (almeno, io lo ero) e a guardare da tutte le parti tranne che negli occhi dell’altro.
Si schiarì la voce, e io alzai subito lo sguardo.
Errore gravissimo, anche lui mi stava guardando. Ma che stava succedendo tra di noi? Non c’era mai stata così tanta… tensione.

“Allora… siccome non possiamo correre…” si bloccò.

“Siccome non possiamo correre?” lo incitai.

“C’è un altro tipo di ginnastica sul quale possiamo fare pratica.” Disse, guardandomi malizioso.

Il mio cuore perse un battito.

Poi prese a battere velocemente.

Sbattei più volte le palpebre.

Poi lo guardai fisso negli occhi.

“C-cosa?”

Si stava riferendo a… quello?

“Hai capito benissimo.” Disse, avvicinandosi.

Un passo avanti.

Un passi indietro.

Un passo avanti…

Un passo avanti.

Io avevo fatto un passo avanti?

Nella mia mente si formò una parola: PREDATRICE.

Dovevo essere io a istigarlo.

“Preferirei fare prima un po’ di teoria…” dissi mordendomi un labbro.

“Non so se riuscirei a contenermi…” si morse un labbro a sua volta, e io pensai che fosse il gesto più sensuale che avessi mai visto in tutta la mia vita.

“Dovresti, però…”

Occhi negli occhi.

Passo avanti, passo avanti.

Petti che si sfiorano.

Mani che si incrociano.

Le sue labbra che dicono:

“Non sono mai stato bravo con le parole.”

Per poi buttarsi a capofitto sulle mie.




Spazio autrice :3

Salveeee :D
E' da un bel po' che non aggiorno, ma un po' di suspance ci stava (?)

No, in ogni caso, scusatemi, è che ho appena iniziato il liceo e ho già troppi compiti çwç
Anyway (Aahahha oggi sono tutta a coloriiii :D). vi è piaciuto?
Io non ne sono molto convinta... fatemi sapere tramite recensioni eh <3

La vostra _MaddyMads_ :3
Alla prossimaaaaaa :D
 

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Capitolo 5
*** Brutte figure ***




                      Capitolo 4: Brutte figure




Volevo respingerlo, volevo schiaffeggiarlo, volevo insultarlo, volevo fare qualsiasi cosa in quel momento, tranne che quella.
Solo che, quando infilò la sua lingua nella mia bocca, persi totalmente il controllo. La mia mente era su un altro pianeta, probabilmente stava socializzando con gli alieni, ma non ne voleva proprio sapere di ritornare sulla Terra.
La sua lingua, morbida, ma allo stesso tempo ruvida, mi danzava in bocca, mi faceva sciogliere qualcosa dentro…
Mise una mano sul mio fianco, possessivamente, ma poi allentò la presa, scivolando con la mano sotto la mia maglietta. Gesto che mi fece irrimediabilmente rabbrividire, brividi di piacere. Quando le sue dita iniziarono a muoversi delicatamente dapprima sul fianco e poi sul ventre, sentii una specie di fuoco d’artificio all’altezza del petto.

Alla faccia di Katy Perry.  

Era come se nella mia pancia ci fosse una pentola piena d’acqua restata sul fuoco un po’ troppo a lungo ed ora le bolle stavano uscendo fuori, fino ad immergere tutto lo spazio circostante…
Di certo non sarei stata io a fermarlo, quel bacio, che era sempre più passionale, mi stava divorando. E nemmeno Riccardo. Ma sapevo a cosa voleva parare, sapevo che da me voleva solo del puro ed innocente sesso.
Ma io no, non volevo farlo con lui per molteplici motivi: non ero innamorata di lui, per cui, perché farlo? Ovvio, non ero la solita tipa “niente sesso senza amore”, ma di certo non l’avrei fatto con una persona che odiavo. Ragionamento logico, direte voi, eppure tutto in quel momento sembrava illogico. Insomma, come c’ero finita li, io? Non avrei dovuto fare ginnastica?

Illogico, ingiusto, ma al contempo elettrizzante.

Staccò per un momento le labbra dalla mia bocca, e io ne approfittai per prendere un bel respiro e aprire gli occhi.
Lui mi stava guardando, gli occhi velati per il piacere, in quel momento verdi anche se di luce non ce n’era proprio.
Cosa significava? Era sinonimo di… felicità?
No, di sicuro era eccitazione. Anche perché l’amichetto del polo sud si era svegliato dopo un lungo letargo nel suo igloo.
Letargo che, conoscendo Riccardo, era durato si e no un giorno.
Ebbene si, io pensavo fermamente che Riccardo fosse un sex-symbol.
Insomma, un puttaniere, per parlarci chiaro.
Ed era anche per questo che io non volevo finire a letto con lui.
Potevo sembrare forte e di ghiaccio quanto volevo, potevo nascondermi dietro al mio muro, corazza, guscio o come volete chiamarlo voi ma si sa, tutte le ragazze hanno dei sentimenti.
Sentimenti che non tardano a bussare alle porte del nostro cuore ogni qual volta si finisce nelle lenzuola di qualcuno, consapevolmente ovviamente.
Insomma, se no perché quando avevo fatto sesso con Tommaso, ex sex-symbol della scuola (ormai però aveva finito la quinta, cedendo il posto a Riccardo), completamente ubriachi, non me ne ero innamorata?
Ero l’unica sfigata che ero andata a letto con lui e non si ricordava delle sue doti sovrumane.
Si diceva anche che avesse fatto venire una ragazza per due volte consecutive in… un quarto d’ora?
Le labbra umide di Riccardo mi riportarono alla realtà.
Si erano delicatamente posate sul mio collo, per poi succhiare avidamente.
Ma ormai io ero sveglia, non ero più nello stato di sorpresa post-bacio.
Solo che non avevo la forza di mandarlo via.
La sua mano si era spostata dal basso ventre un po’ più in su, e saliva, sempre di più…
“Vanessa!” mugolò… Riccardo? Beh, ero fermamente convinta che fosse stato lui a dire il mio nome, poi però sentii un sonoro TOC-TOC dietro di me.
“Oh cazzo!” sussurrò Riccardo, staccatosi dal mio collo.
Cercai di ricompormi il prima possibile, sistemandomi la maglietta e i capelli. Ma per le labbra niente da fare, erano rosse e gonfie.
Senza indugiare ancora, uscii dalla camera, e incontrai lo sguardo vigile di Clara. Mi squadrò da capo a piedi, accorgendosi delle mie labbra gonfie e…
“Cos’hai sul collo?”
Oh, cazzo! Cosa le avrei detto? ‘Oh, guardi, è un succhiotto, specificamente di suo figlio.’
“Ehm.. è… un’irritazione cutanea… l’altro giorno mi sono messa una sciarpa di lana e ho scoperto che sono allergica!”
“Aaah! Strano, perché mi sembra proprio che il maglioncino che hai addosso è di lana…”
“No no! È cotone, se guarda meglio… comunque, perché mi cercava?”
Cercai di sviare il discorso su qualcosa che non mi avrebbe fatto fare figure di merda.
Sentii dietro la porta della camera di Riccardo qualcuno ridacchiare.
Cosa aveva da ridere? Era davvero insensato come Riccardo mi facesse saltare i nervi anche solo fiatando.
“Oh, si! Allora, vieni un attimo in cucina, non vorrei che orecchie indiscrete captassero ciò che ho da dirti.” Disse alludendo a Rick.
La seguii in cucina, e mentre lei stava preparando la tavola per la cena, mi offrii volontaria per aiutarla.
“Grazie cara, sei proprio un tesoro… magari Riccardo trovasse una ragazza d’oro come te, o meglio, magari tu e Riccardo vi fidanzaste.”
Già, magari.
Ehi! Diavolo cattivo sulla spalla destra, stai buono.
Sorrisi, non sapendo cosa dire.
“Comunque, vedi, il 31 Marzo Riccardo compie 18 anni e siccome mi ricordo che tu facevi l’educatrice ai campi estivi gli anni scorsi ho pensato che potresti organizzargli la festa… sai dev’essere qualcosa di molto carino e soprattutto, dev’essere qualcosa in grande. Sai, i diciotto anni si compiono una sola volta.”
“Tutti gli anni si compiono una sola volta.” Mi scappò detto prima di ragionare.
Oh Dio, cosa avevo fatto? Avevo risposto male alla madre ci Riccardo, alla migliore amica di mia madre!
Clara mi guardò stranamente, forse pensò che ero una vera maleducata.
Ma poi si aprì in un enorme sorriso sornione: “Oh cielo! Oltre che bella sei pure saggia e intelligente! Cara mia, tu sei unica.”
“Grazie” bofonchiai, arrossendo e mettendo a posto un coltello in più.
“Oh no! Quello è per te! Sempre che tu non sia così scortese da rinunciare il mio invito a restare a cena…”
“NO!” urlò Riccardo, appena entrato in cucina.
Aveva i capelli tutti scompigliati e il colletto della polo tutto stropicciato.
Sua madre strabuzzò gli occhi: “Riccardo! Ma che modi! Se Vanessa ha piacere di rimanere, rimane, e qua non ci piove.”
Mi guardò con occhi speranzosa. In quel momento però suonò il telefono di Clara.
“Pronto?... Oh, ciao Paola! Si si Vanessa è qui… le avevo giusto chiesto di fermarsi qui a cena, se volete potete aggiungervi anche voi!... Perfetto, a dopo!”
Io e Riccardo aprimmo la bocca contemporaneamente. Ma perché quando una mia amica mi chiedeva di andare a mangiare da lei mia madre rispondeva: ‘Un’altra volta, quando ci organizziamo meglio’ e ora lei poteva venire da Clara?
“Mi dispiace, Vane, non hai via di scampo” disse Clara facendomi l’occhiolino.
“Ma… ma io veramente devo finire greco…” balbettai, incapace di accettare che avrei dovuto passare un’intera serata con Riccardo.
“Anche Ricky mi sembra! Suvvia andate in camera a studiare insieme mentre io preparo la cena!”
E fu così che io e Rick andammo in camera e ci immergemmo nell’antico mondo dei Greci, facendo versioni a dismisura e traducendo frasi sui miti greci, leggendo e mettendo accenti acuti, gravi e circonflessi.
Sembra strano, ma Rick non era poi tanto male a scuola, cioè intelligente, ma senza voglia di studiare, infatti si lamentava ogni cinque minuti, ma fortunatamente riuscimmo a finire prima che la cena fosse pronta
.
A cena mia madre mi fece il terzo grado sui compiti, ma fu Rick a troncare il discorso dicendo che avevamo studiato, e per mia madre quello che diceva lui era legge.
Lo adorava, e anche mio padre, siccome erano entrami Genoani.
“Ah, Paola! Ti ricordi che dovevamo fare quella cena in yacht ma era da aggiustare? Ecco, Paolo è andato a ritirarlo e quindi adesso è a nostra disposizione!”
Ah, non l’avevo detto? La famiglia di Riccardo aveva uno yacht… e nemmeno tanto piccolo.

Cioè, non che loro fossero particolarmente ricchi, solo che il defunto nonno di Rick aveva questa passione per la pesca e adorava gli yacht, per cui aveva speso praticamente tutti i suoi averi per comprare quel gioiellino, e la famiglia Canepa non voleva rivenderlo perché era l’unico ricordo che aveva di lui.

“Oh che bello! Quando?”
“Non lo so… una sera che i ragazzi non hanno scuola il giorno dopo!”
Se avessi avuto dell’acqua in bocca probabilmente l’avrei sputata addosso al povero Paolo che era davanti a me.
Cosa? E io che pensavo andassero solo i genitori!
Riccardo notò la mia reazione e rise spudoratamente, senza cercare di nascondersi.
Gli lanciai un’occhiata di fuoco ma lui rise ancora di più. Solo quando sua madre lo riprese cercò di darsi un contegno, ma senza un esito troppo buono.
“Ehm… mamma, io non posso…” cercai di giustificarmi.
“Ma Vane, se non abbiamo nemmeno detto il giorno!”
Detto questo Rick scoppiò nuovamente a ridere.
Fortunatamente era vicino a suo padre quindi forse sarei riuscita a tirargli un calcio… tentar non nuoce, quindi tirai indietro la gamba per prendere la “rincorsa” e poi lo lasciai andare in avanti leggermente a destra, con tutta la forza che avevo in corpo.
“AAAAAH!” Urlò… Paolo.
Cazzo! Cosa avevo combinato? Cosa fare? Dichiararmi colpevole o fare finta di niente?
“Ehm… scusa! Non volevo beccare proprio te… cioè, non volevo beccare proprio nessuno! Solo che dopo un po’ che sto seduta mi fanno male le gambe quindi… scusate mi alzo un momento” cercai di sembrare convincente ma non lo ero stata per niente. Lanciai un’occhiata a Rick che capì e con la scusa che doveva andare in bagno (anche se i genitori se n’erano accorti) mi seguì fuor dalla cucina.
Quando fummo lontani da quest’ultima scoppiai: “Ma ti sembra il caso di ridere? Cioè, io un’altra serata così non ce la faccio a tollerarla!”
“Ma su! Ci divertiremo, tranquilla… io e te abbiamo ancora un conto in sospeso?”
Subito non capii a cosa si riferisse, perciò chiesi: “Cioè?”
“Non fare la finta tonta… lo so che lo sai, e so anche che lo vuoi quanto me” disse facendomi l’occhiolino.
Capii tutto, e arrossii improvvisamente.
“Non è vero!” peccato che il rossore sulle mie guance diceva il contrario.
“Certo! E io sono Babbo Natale…”
Scoppiai istintivamente a ridere: finalmente avevo la mia rivincita.
“Cosa c’è da ridere?”
“No niente… solo che secondo me staresti bene con la barba bianca, gli occhiali sul naso…” dissi prima di soffocare un’altra risata.
“Che fai, sfotti?”
Risi ancora più forte: “Siii! E poi la panciona al posto dei tuoi addominali perfetti…”
Cazzo, l’avevo detto davvero? Ma cos’era, la serata delle figure di merda?
Smisi improvvisamente di ridere, e lui mi fissò intensamente, trapassandomi da parte a parte. Poi comparve sul suo viso il solito, bellissimo ghigno.
“Te l’ho detto che anche tu lo volevi…”
Stavo per ribattere quando comparve Paolo, mezzo zoppicante, che ci disse di ritornare a tavola.
Quando mi sedetti, iniziai a sorseggiare un bicchiere d’acqua.
“Allora, ragazzi, abbiamo deciso di fare domani sera la cena in yacht.” Annunciò Clara.
Sputai addosso a Paolo l’acqua che avevo in bocca, prima di sgranare gli occhi incredula.
Ennesima figura di merda.





Ehiiiiiiiiii! :D

Buongiorno (o meglio, buonasera) a tutte! Eccoci ritrovate con un nuovo capitolo su Vane e Rick (Ricky non mi piaceva più ahaha ;)). Come vi è sembrato? Fatemi sapere tramite recensione o contattatemi! Volevo ringraziare every single of you per le vostre meravigliose recensioni... sono la cosa che mi fanno andare avanti con la storia, grazie! <3
Ora vado che ho un compleanno, ragazze un bacio alla prossima!
_MaddyMads_

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Capitolo 6
*** Fissa ***




                                 

                                                            

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                                   Capitolo 5: Fissa









Presi un bel respiro prima di provare a camminare. Non che avessi tacchi o scarpe strette, avevo un semplice paio di ballerine blu, ma la lezione di ginnastica di quella mattina mi aveva distrutta.


Dopo le due ora di greco (che sarebbero dovute essere di matematica, ma la prof non c’era) ecco le beniamine ore di educazione fisica. In più al prof era venuta la strabiliante idea di mettermi alla prova per vedere i miei “miglioramenti”. Non potevo nemmeno usare la scusa della caviglia dolorante perché la storta che avevo preso il giorno prima era davvero insignificante. Davanti a tutta la classe mi aveva fatto fare due turni da 25 addominali e due da 10 di flessioni, poi mi aveva fatto fare allungamento (quello almeno mi veniva bene per via di danza) infatti avevo lasciato tutti a bocca aperta facendo la spaccata, beccandomi anche qualche commentino ironico sulla mia elasticità da Davide e Daniele, gli scemi/schiavi di turno.
E per schiavi intendo di Riccardo.
Ecco, lui mi guardava insistentemente, urtandomi i nervi, anche perché quando non mi veniva un esercizio si dipingeva sul suo dannatamente bel viso un ghigno derisorio. Comunque, poi mi aveva fatto fare dieci giri di campo e tutta quella roba con le braccia… simile alle circonvoluzioni o roba del genere (okay, non sono molto esperta in materia).
E il bello che, dopo avermi fatta faticare così tanto mi aveva messo 6! Un misero 6! Cioè, era davvero un record per me, ma non tolleravo un voto così basso con tutto il mio impegno. E soprattutto, per aver sopportato Riccardo. In ogni modo aveva detto che le lezioni con Mr. Canepa mi facevano bene  e quindi avrei dovuto continuarle. La cosa positiva era che ero dimagrita di due chili. La cosa negativa era che mia madre e persino la mia maestra di danza (che al ritorno dall’estate ci misurava sulla bilancia per vedere se eravamo ingrassate di solo un etto)  mi avevano detto che ero dimagrita troppo.


Guardandomi allo specchio dovetti ammettere che quel vestito, che mi stava giusto l’anno prima mi era leggermente largo in vita. Fortunatamente dal seno no – avrei fatto la figura di quella che si compra i vestiti di una taglia in più per far finta di avere le tette più grandi! – in effetti, il seno mi era cresciuto dall’anno precedente.
I capelli mori mi cadevano lisci sulle spalle, gli occhi azzurri erano contornati dall’eyeliner e le mie guance erano rosate dal blush. Non che ci tenessi particolarmente ad essere carina ma… al diavolo, ci tenevo eccome ad essere carina!
Perché? Se lo sapessi, ve lo direi. Ma era una questione di orgoglio, non volevo essere mai impreparata per fronteggiare la bellezza che Rick aveva in ogni momento.
“Vane sei pronta? Stiamo aspettando solo te, i Canepa ci aspettano dal semaforo da dieci minuti!”
“Scusa mamma, ma non riesco a… muovermi… molto… bene!” dissi dicendo una parola ogni passo. Era troppo faticoso e doloroso fare entrambi contemporaneamente.
“Ah, giusto, educazione fisica e gli effetti negativi che ha su mia figlia…” borbottò lei.
Dopo circa altri dieci minuti eravamo di fronte al semaforo. Dall’altra parte della strada c’era la macchina dei Canepa, una macchina a sette, che ci avrebbe portati alla Marina. Non che fosse particolarmente lontana, eh.
A fatica attraversai la strada, zoppicando e tirando tutti i muscoli del mio corpo per non lasciargli andare e cadere a terra come un sacco di patate. Quando mia madre mi prese per un braccio aiutandomi a camminare sbottai improvvisamente:
“Mamma! Ma dico, ce la faccio a camminare non sono...” non volevo dire quella parola, perché il mio ex vicino di casa (ora l’aveva venduta a non so chi) aveva un cugino andicappato e diceva sempre che dire quella parola era un offesa, quindi mi limitai a non finire la frase.
“Okay, calma però! Ho capito che non volevi venire ma sii contenta una volta!”
Sbuffai, non ne sarebbe valsa la pena. Con lei era perennemente una sfida persa, come con Riccardo, tra l’altro. Non sarei mai riuscita a tenergli testa.

Ehi, ma cos’è tutta questa insicurezza?

Quando arrivammo alla macchina, quello che mi aspettavo era Riccardo che rideva per la mia performance sulle strisce, quello che non mi aspettai era di vedere Alice, la sorella maggiore di Rick!
Aveva 25 anni e conviveva da due anni con il suo fidanzato, Marco, quindi non l’avevo più vista in giro. Ricordo che quando andavo a mangiare da loro da piccole giocavamo sempre insieme a truccarci, cioè lei mi truccava, e poi facevamo finta di essere grandi attrici.
“Alice! Ciao, da quanto tempo!”
“Vane!! Come sei cresciuta… e bella!”
Arrossii improvvisamente, accorgendomi che Riccardo mi stava guardando, o meglio, squadrando.
“Ehm… grazie” riuscii a balbettare in preda all’agitazione.
Ma che mi succedeva? Perché ero agitata? Mi stava solo guardando… e il peggio venne quando spostai lo sguardo – errore madornale – su di lui. il mio cuore perse un battito prima di cominciare a battere velocemente. Fortunatamente io e Alice andammo nei due sedili dietro, quindi, per un po’ niente contatto con Riccardo. L’unica nota negativa era che da dietro vedevo tutto, o meglio, vedevo chi avevo davanti.  Rick aveva la testa piegata, probabilmente sul cellulare, e mi venne spontaneo immaginare di mordere il suo collo… percorrerlo con la bocca…
Okay, contegno, Vanessa, contegno.
Quando arrivammo alla Marina, viaggio di cinque minuti che a me parvero ore, ore a immaginare Riccardo mentre… okay, stop. Sul serio. Non potevo fare la pervertita così!
Dicevo, arrivati alla Marina, il padre di Rick disattivò tutti i vari allarmi allo yacht e ci salimmo.
Con mia grande sorpresa Clara aveva già portato tutta la cena nello yacht, così quando ci disse di accomodarci a tavola iniziammo a mangiare tranquillamente.
Feci una fatica inimmaginabile a sedermi sulla sedia, perché i miei glutei avevano subito l’ira del pazzo psicopatico Palazzo.
Evitarono accuratamente di mettermi di fronte o vicina in qualche modo a Paolo (che mi guardava con odio). Da una parte fui grata a Clara per aver provveduta alla salute fisica di suo marito, ma si vede che a quella di suo figlio non ci teneva per niente. Infatti gli ordinò di mettersi di fronte a me – con un sorrisino malizioso, dal quale il figlio aveva imparato – senza contare che ogni suo sguardo di fuoco che mi lanciava mi mandava in bestia e probabilmente da un momento all’altro sarei scattata e gli avrei tirato un calcio ben assestato… lì.
Oh porca mucca impanata. Lì…
La mia mente perversa iniziò a fare pensieri a bollino rosso sulle parti basse di Rick, così perversi che ogni volta che lo guardavo arrossivo dalla punta dei capelli alla punta dei piedi.
E lui se n’era accorto eccome…
Ne ebbi la conferma quando mi arrivò un suo messaggio ( ci eravamo dovuti scambiare i numeri davanti alle nostre madri) :


Cos’è, hai mangiato un peperoncino intero?


Alzai lo sguardo e vidi il suo ghigno derisorio sulla sua faccia da schiaffi e da baci…
Arrossii di nuovo.
Ma cosa mi prendeva? Come mai non ero più sicura come prima? Decisi di riprendere un po’ di contegno pensando a una risposta adeguata.
Cazzo non mi veniva niente!


Hai perso la lingua?


Mi arrivò un altro messaggio da lui. Era una scemata perché per rispondergli no mi serviva la lingua… ma nel frattempo mi diede un’idea su come ribattere. Era un po’ sconcia, lo so, ed era piena di doppi sensi, anzi, era un doppio senso, ma era l’unica cosa che mi veniva in mente.
Lui mandava il mio cervello a puttane.


Veramente la lingua ce l’ho, e la uso anche bene…


Deglutii, volendo subito cancellare quel messaggio e fare in modo che non lo vedesse.
Stetti a guardare la sua faccia in cerca di una reazione, ma vidi solamente il solito ghigno malizioso.


Lo so, e anche bene. E poi cosa sarebbe? Un invito a baciarti?


Alzai di scatto la testa, indignata e dicendo, un po’ troppo ad alta voce e con una voce un po’ troppo stridula, un “NO!” rivolto a Rick e al suo messaggio.
Alice mi guardò stranita, per poi chiedermi: “Ehi, Vane, tutto bene?”
Sbattei le palpebre senza staccare lo sguardo da Rick – ovviamente Alice se ne accorse – per poi annuire.
Lui staccò gli occhi dai miei facendomi riprendere a respirare.


E comunque lo farei volentieri…


Ecco cosa mi scrisse. Avrei dovuto indignarmi, sentirmi presa in giro, eppure quella frase mi fece piacere, sia moralmente che… fisicamente.
Decisi di rispondergli sdrammatizzando, almeno per il mio povero cervello, che aveva iniziato a fare fantasie su come Rick baciasse da Dio.
Ma perché ero diventata così… fissata con lui? non mi era mai capitato con nessuno, nemmeno con Giulio, il mio ex! Che poi diciamocelo, la mia storia con Giulio era stata un’avventura estiva. L’avevo lasciato io per paura che da me volesse solo sesso.
La stessa cosa di Rick.
Ma come mai, sebbene fosse la stessa situazione, le “attenzioni” di Rick mi facevano piacere, rispetto a quelle di Giulio?
Non ci capivo niente, ero confusa, e il continuo passarsi la lingua sulle labbra di Rick mentre mangiava non aiutava di certo.
Mi ricordai improvvisamente di dovergli rispondere.


Cosa, strozzarti? Si, farebbe piacere anche a me.


Stronza, acida e fredda.
Lesse il messaggio, poi sorrise.
“Riccardo! Stai usando il telefono?” trillò sua madre, vedendolo accucciato sulla tovaglia. Rick alzò la testa con aria colpevole. A me venne da ridere… sua madre che lo riprendeva davanti a tutti! Non riuscii a trattenere un sorriso e, siccome lui o notò, mi fulminò con lo sguardo.
Nonostante i nostri continui sguardi di… beh, non saprei come definirli (A volte erano sguardi di fuoco per i pensieri che la mia mente pervertita produceva, altre volte erano sguardi di ghiaccio per… l’improvviso odio che provavo verso di lui rendendomi conto che non riuscivo a levarmelo dalla testa), la cena proseguì e finì in santa pace.
I genitori vollero andare a sgranchirsi le gambe e così anche Alice. Rick invece non aveva voglia di alzarsi e camminare e quindi voleva rimanere nello yacht.
Opzioni: o andare con i genitori e sorbirmi le loro brillanti chiacchierate da vecchi (no vabbè, avevano sui 45 anni) oppure… rimanere con Rick.
Scelsi la prima opzione, intanto con me c’era Alice, avremmo potuto conoscere le “noi più mature”.

“Allora Vane… come va la scuola?”
Ahi ahi. Non è che… aveva intuito qualcosa dagli sguardi che ci lanciavamo io e Rick?
Cioè, una persona normale che non vedi da molto tempo avrebbe chiesto: “Fai ancora danza?” oppure “Sei così cresciuta!”. Non di certo “Come va la scuola?” che è l’ultima cosa che uno studente vuole sentirsi chiedere. A meno che non volesse parare a qualcosa…
“Ehm… bene.” Non avrei potuto farle la stessa domanda, siccome a 25 anni aveva già finito persino l’università.
“Te con Marco?” cercai di cambiare discorso. Tentativo che andò a puttane, detto finemente.
“Bene… e a proposito di ragazzi! C’è qualche bel ragazzo che ti ronza intorno?”
Ogni centilitro di liquido rosso nel raggio di venti chilometri arrivò alle mie guance, sapendo benissimo  a chi si riferiva con quella frase.
“Eeeh magari! Sai, è da quando ero piccola che sogno il Principe Azzurro…”
La mia risposta non sembrò convincerla per niente, anche perché sussurrò:
“Okay Vane, è inutile che menti. Vi ho visti oggi a tavola. Cosa sta succedendo tra te e mio fratello? Perché sembra che lui ti spogli con gli occhi?”
A quell’affermazione il mio cuore perse un battito. Aveva appena detto che…
“Non è vero!”
“Andiamo Vane! Conosco abbastanza Rick da capire quando qualcuna l’attrae! E tu rientri certamente nella categoria!”
Alice aveva gonfiato le guance ed era diventata tutta rossa. La trovai… adorabile, soprattutto per la somiglianza col fratello. Avevano gli stessi occhi…
“Ehm…” abbassai la testa, sempre più in imbarazzo e… felice.
“Si nota così tanto?” riuscii a dire infine.
Lei fece un sorrisino sghembo prima di annuire. Mi sentii avvampare per l’imbarazzo… se se n’era accorta lei, anche Rick doveva per forza essersene accorto!
“Però anche lui non scherza…”
Feci un sospiro di sollievo. Se io non mi ero accorta di lui, allora lui non si era accorto di me.
“Allora, che succede tra di voi?” disse maliziosa.
Feci un profondo respiro prima di raccontarle tutto.
“Okay… direi che la situazione è abbastanza complicata. Cioè… è ovvio che vi attraete. Ed è quello che ho visto anche io. Solo che non so ancora bene la faccenda e non ho avuto molto tempo per studiare i vostri comportamenti per capire se è solo attrazione esterna o anche interna. E poi da quanto ho capito non vi conoscete ancora bene, nonostante tutti questi anni.”
Annuii convinta alle sue parole. Quella ragazza era un tesoro, mi aveva aiutata a riprendere in mano la situazione. Ero più sicura di me, dopo aver capito che era solo attrazione esterna.
Ovviamente Alice non ne era convinta affatto, ma io la pensavo così.
Doveva essere così.
“Avanti… va’ da lui! Li terrò io occupati i genitori.” Mi disse Alice dopo circa 20 minuti di camminata.
Era ormai diventata una accanita sostenitrice della nuova coppia dell’anno: “Varick”.
Nome stupido, lo so. Come d’altronde la sua ideatrice…
“Ehm… ok.”
Dissi, prima di entrare dentro lo yacht.

Alice aveva insistito affinché mi accompagnasse fino alla barca, dicendo ai genitori che aveva dimenticato una cosa. Non so cosa si sarebbe inventata del perché io ero “magicamente” rimasta nello yacht.
Ad ogni passo – incerto – che facevo le gambe mi tremavano sempre di più e le mani, chiuse a pugno con le unghie inficcate nella carne, sudavano ancora e ancora…

Non sapevo nemmeno cosa dirgli. Insomma, Alice era così entusiasta di noi due – che poi non sarebbe MAI successo niente, lo sapevo benissimo – che mi ero lasciata prendere dalla situazione ed ero finita col camminare verso la mia morte.

Ciao, sono tornata, volevo stare da sola con te.No, ok… proviamone un’altra.

Ho dimenticato la giacca, però già che ci sono potrei restare con te e scopare bellamente…

Nemmeno questa. Tra frasi varie, mi ritrovai a vagare per lo yacht alla ricerca di Rick.
Ma dov’era finito?! Cercai dappertutto, finché non lo vidi.
Era seduto sulla prua della barca che fumava e con i capelli che ondeggiavano per il vento di Marzo.
Oddio… era una visone… divina.
Non so con quale coraggio, ma lo feci. A piccoli passi e il più silenziosamente possibile mi avviai per sedermi – faticosamente, visto le ossa doloranti - vicino a lui. Sussultò non appena si accorse della mia presenza.

“Ciao.” Dissi, agitata. Bella frase, o meglio, parola, dopo tutte quelle che avevo pensato!
“Ciao.” Salutò lui, buttando il mozzicone della sigaretta in acqua.
“Che cosa ci fai qui?” chiese, con una punta di… nervosismo… nella voce? Naah, impossibile.
“Mi annoiavo a stare con i genitori.” Tutto programmato, Alice mi aveva detto esattamente cosa dire una volta intavolata la conversazione.
“Ok…” disse, e lasciò la frase in sospeso come se volesse dire qualcosa ma non ne aveva il coraggio.
Cosa voleva dire?
Non capii cosa successe, ma in un attimo lui non era più alla mia destra ma… dietro di me. Aveva aperto le gambe e aveva fatto entrare la mia schiena in contatto col suo petto.

Oddio. Trattenni il respiro, soprattutto quando con le braccia mi avvolse.
E quando con il naso sfiorò il mio collo… lo sentii sorridere verificando che mi erano venuti i brividi.
Era… una cosa appagante e… Oh. Mio. Dio. Con le mani aveva iniziato a massaggiarmi delicatamente il ventre e poi aveva iniziato a salire… finché le sue mani tentatrici non si erano appoggiate sui miei seni. In una situazione normale, con un ragazzo che non era il mio ragazzo mi sarei girata e gli avrei tirato uno schiaffo sulla guancia.

Ma lui era… lui e la situazione iniziava a farsi critica. Pensavo di morire seriamente quando iniziò a muovere delicatamente le mani. Il mio respiro corto e accelerato era stato imitato dal suo.
Bene, almeno non ero l’unica… eccitata.

Tolse una mano per scostarmi i capelli dalla spalla e per iniziare a spostarla delicatamente su tutta la mia pelle. Con la punta delle dita iniziò a sfiorarmi la gola, provocandomi delle scosse in tutto il corpo e facendomi deglutire. Poi, sempre con la punta delle dita, fredda per via del venticello di Marzo, scese sulle spalle e… sul petto, fino al solco tra i miei seni.
Mi sembrava di essere Lucrezia e il Duca Ranieri in Elisa di Rivombrosa.
Scherzi a parte, ero un continuo brivido, sia per il freddo, che per l’eccitazione/agitazione del momento.

Cosa stava succedendo?
Improvvisamente le sue mani si poggiarono sui miei fianchi e mi girarono verso di lui. Beh, sarebbe stato un atto difficile se io non lo avessi aiutato. Sollevai le gambe e le circondai al suo bacino… bramosa di una vicinanza più accentuata.
Mi guardò negli occhi, prima di sussurrare:
“Io penso che tu sia venuta qui per un altro motivo.”

Come cazzo faceva a capire tutto? Come faceva a sapere che ero andata lì per stare con lui?
Non ebbi il tempo di ribattere a tono che le sue labbra erano sulle mie, in un tocco dapprima delicato, ma poi sempre più irruento e… passionale.
Ovviamente non opposi nessuna resistenza, desideravo quel momento da troppo tempo, se anche l’avessi voluto il mio corpo non mi avrebbe risposto. Non ero del tutto sicura però se sarebbe stato il mio corpo o il mio cuore a non fermarmi.
Diedi tutta la colpa agli ormoni – impazziti – e all’eccitazione che con un minimo tocco lui riusciva a procurarmi.
A cavalcioni su di lui, con le sue mani sotto il mio maglione invernale che piano piano scendevano – fino ad arrivare all’orlo dei miei jeans – mi sentivo una deficiente a sudare con quel freddo.
Come dicevo prima, le sue mani erano sull’orlo dei miei jeans… lavorarono un bel po’ sui miei bottoni e sulla cerniera, in una lenta tortura, così tanto che – levando le mie mani dai suoi bellissimi capelli oro – me li slacciai da sola, quasi strappandomeli.
A quel punto fu inevitabile che toccasse a me slacciarglieli, o almeno farlo, ma molto lentamente, per vendetta. Mentre le mie mani armeggiavano con la sua apertura, una di esse sfiorò casualmente il suo…. coso. Rabbrividii in un istante, così come fece anche lui, a giudicare dal suo fiato sempre più corto sulle mie labbra, che nel frattempo non si erano lasciate un attimo.
“Mi stai tentando…” soffiò tra un bacio e l’altro.
“…e io non ho molto autocontrollo…” disse, prima di ribaltare la posizione facendomi sdraiare sotto di lui e appoggiandosi sui gomiti per non pesarmi troppo.
Quelle sue parole contribuirono a uccidere i miei pochi neuroni, soprattutto perché detta con quella voce così… eccitata e roca, cazzo!
Mi stava facendo morire, l’unica cosa che pensavo in quel momento era:

Perdi tutto l’autocontrollo che hai, per favore!

Se si fosse fermato in quel preciso istante, probabilmente l’avrei ucciso con il ciondolo con scritto “G” di Giulio che tenevo con me sempre nel portafoglio. Giulio poteva pure andare a farsi fottere, dopotutto, e quel ciondolo – presi un appunto mentale – se non l’avessi utilizzato per infilarlo su per il bellissimo fondoschiena di Rick l’avrei comunque buttato in mare.
Nel frattempo il ragazzo sopracitato stava facendomi prendere un infarto infilando la sua deliziosa mano… nei miei jeans. Sfiorò la mia intimità da sopra le mutandine – vergognosamente mezze bagnate – per poi infilare le dita sotto.

Stavo gemendo come una pazza psicopatica, in un altro momento, magari in cui entrambi saremmo stati meno eccitati, mi sarei vergognata da morire.
Anzi, lunedì a scuola mi sarei vergognata da morire.
Ero già decisa a “ricambiare”, quando sentimmo dei passi all’interno dello yacht.
“Siamo tornati!”
Oddio… oddio! I genitori erano tornati!
Pensai immediatamente alla loro faccia e al castigo che sarebbe venuto dopo se ci avessero visti in quelle condizioni… critiche.
Io e Rick – nei cui occhi, nonostante il velo di rabbia per l’interruzione, vaneggiava ancora l’eccitazione – ci staccammo improvvisamente, sistemandoci al meglio possibile. Tutto inutile, io – lo notai nello schermo del cellulare – avevo i capelli scombinati e le guance arrossate, e lui… beh, lui era meraviglioso, con i capelli scompigliati e le labbra gonfie per i miei morsi.
“Siamo qui!” urlò Rick. Mi sembrò strano il suo cambiamento di voce, senza neanche essersela schiarita, dal tono roco ed eccitato, ad uno così… potente.

“Oooh che bell’idea! Guardare le stelle!” disse mia madre arrivata sulla prua seguita dagli altri.
Vidi negli occhi di Alice un segno di scuse, per non essere riuscita a trattenerli oltre, ma le feci cenno di non preoccuparsene.

In fin dei conti, mi avrebbe salvata da quello che io volevo evitare, ma al tempo stesso bramavo tantissimo.

************************************************

 
 
“Su Vane, vedi che alla fine ti sei divertita?” mi chiese mia madre non appena fummo entrati in casa. ‘Divertita’ era un eufemismo, il termine appropriato era ‘eccitata’, ma evitai di dirlo. Annuii soltanto.
“Si, Alice è molto simpatica.”
“Ma su! Possibile che non ti rendi conto che Rick ti muore dietro? Si vede dagli sguardi che ti lancia… una madre certe cose le capisce.”
Oh, e cosa centrava?
“Bene.”

Rick ti muore dietro.

Cosa caspita stavo pensando?! Lui non mi moriva dietro! Non dovevo illudermi. Non potevo.

“Ah, la sai l’ultima?” chiese mio padre una volta toltosi la giacca e le scarpe.
Io e mia madre ci girammo improvvisamente verso di lui, curiose e pettegole com’eravamo poi…
Probabilmente avvertì i nostri occhi desiderosi di sapere così continuò:
“Hai presente Daniele Ragusa, il tuo compagno di classe?” Come poterlo dimenticare… il migliore amico di Rick.
Annuii. “Ecco, è la sua famiglia che si trasferisce qui nella casa affianco.”
Strabuzzai gli occhi. Coooooosa?
Cioè, non avevo niente contro Daniele, ok, forse era un po’ troppo pervertito, un po’ troppo un puttaniere, UN PO’ TROPPO IL MIGLIORE AMICO DI RICK, ma nonostante tutto non ci odiavamo. Cioè… eravamo compagni di classe in buoni rapporti.
Ma la cosa che mi aveva stupefatta non era tanto quella, più che altro era che… Rick era sempre a casa sua, cazzo!
E sinceramente di incontrarlo in ascensore – luogo delle mie più grandi fantasie erotiche con lui – oppure qui sul pianerottolo non mi piaceva affatto.
Ah, e non dimentichiamolo, aveva fatto le corna a Giorgia.

GIORGIA… mi sentii improvvisamente uno stupida. Come avevo fatto a non dirle niente? Come avevo potuto ignorare così la mia migliore amica? Ero decisa a farmi perdonare, così, incurante dell’ora, la chiamai.
Fortunatamente alle 11 di sera era sempre sveglia lei, o su facebook o su qualche sito a leggere storie, per cui mi rispose subito.
“Ehi, Vane!” la sua voce era allegra, eppure la conoscevo troppo bene per capire che c’era qualcosa che non andava. Feci 2+2 e capii che quello scoraggiamento fosse dovuto a me… e aveva ragione.
“Gio… mi dispiace. Di tutto… non so come fari perdonare per averti esclusa dalla mia vita così. Mi sento malissimo.”
Non so per quale motivo mi vennero le lacrime agli occhi. E se avesse rifiutato la mia offerta? Io ci tenevo a lei, ed il fatto che non le avevo detto niente era stata una stupidissima cazzata.
“Vane… tranquilla. Non sono offesa, solo… avresti potuto dirmi qualcosa, ti avrei potuta aiutare.”
Sentire la sua voce, il fatto che non fosse poi così arrabbiata mi sollevò improvvisamente.
“So che non è un granché, ma è il minimo che io possa fare… domani mattina vieni a casa mia? Ho così tante cose da dirti e… mi manchi. Terribilmente.”
“Sono da te per le 10, babe” disse, per niente arrabbiata. Era tornata quella di prima. noi due eravamo tornate quelle di prima.

 
 
Il giorno dopo alle 10 spaccate Giorgia si presentò sotto casa mia, tutta sorridente. Salutò i miei e poi ci avviammo verso camera mia, chiudendo la porta a chiave.
“Allora… parlami dei problemi che invadono la tua vita, signorina Montolivi.”
Disse lei facendo la faccia seria ed incrociando le dita come una vera psicologa. Quella visione mi fece scoppiare a ridere.
Mi era mancata si.
Le raccontai tutto, per filo e per segno, da quello che era successo durante le lezioni di ginnastica, a quello che era successo la sera precedente in barca. Lei ovviamente non mancò di commentini ironici entrando nella parte e facendomi scompisciare dal ridere: “Sono sicura che da qui a poco vi ritroverete catapultati nel film ‘Amici di letto’.” Disse ironica. Beh, non che mi sarebbe dispiaciuto…
Purtroppo Giorgia non poté rimanere a pranzo, così la accompagnai fuori dalla porta.
“Allora ci vediamo domani… grazie di tutto di nuovo!” dissi felice.

Proprio nel momento in cui lei aprì l’ascensore per scendere le porte di quest’ultimo si aprirono e ne uscì un Ragusa tutto felice con degli scatoloni enormi in mano.
“Bruzzone! Montolivi! Ma che piacere vedervi qui!”
Come se non sapesse che io abitassi lì. Iniziai a cambiare idea sulla mia simpatia verso di lui.
“Ciao.” Salutammo semplicemente io e Gio.
“A domani!” disse per l’ennesima volta quest’ultima.
Quando fummo soli sul pianerottolo Daniele mi disse:
“Oooh finalmente una vicina di casa scopabile!”
Gli alzai il dito medio in risposta, per poi chiudergli la porta in faccia.
Decisamente, la mia opinione su Ragusa stava cambiando.

 
 
Quel pomeriggio dovetti passarlo a fare da baby-sitter alla mia cuginetta Giulia (da tutti chiamata Lully) di 6 anni.
Era stata adottata a un anno, ed era per quello forse che io l’adoravo e la trattavo come un re tratta i suoi preziosi gioielli. Inoltre era simpatica e bellissima, aveva origini rumene anche se era nata in Italia, a Milano.
I miei zii aveva aspettato a lungo per avere una bambina, e quando erano arrivati, tutta la famiglia si era riunita per festeggiare l’evento.

5 anni fa… quando ancora non conoscevo Rick.
Cavolo! Com’era possibile che ogni mio pensiero ricadesse sempre solo su di lui?!

“Daiiii giochiamo alla battaglia?” mi chiese la mia adorabile cuginetta facendomi un sorrisetto senza denti.
Aveva in mano la spada di legno che mi aveva fatto il nonno di un mio amico (che era propenso a credere che io fossi un maschio) quando eravamo piccoli.
Sbuffai, erano due ore che mi faceva fare di tutto di più: avevamo fatto le crepes alla nutella, poi avevamo giocato a Monopoli – ma avevamo rinunciato subito, le bambine di 6 anni tendono a spazzare via tutte le pedine – avevo ballato per lei (adorava guardarmi ballare, e soprattutto vestirsi col mio tutù rosa) ed ora mi chiedeva di fare la battaglia? Fortunatamente il male del giorno prima mi era passato.
“Ok…” dissi. Come al solito lei era Richard, il cercatore ed io Kahlan, la Madre Depositaria (per chi non lo sapesse, una volta le avevo fatto vedere un episodio della “Spada della verità” e lei se n’era appassionata subito). E poi c’era la ‘Remorist’ come la chiamava lei, che era uno spirito invisibile con cui faceva finta di parlare.
Ci mettemmo a saltare sul letto facendo finta di combattere, lei con la spada io con la bacchetta di Harry Potter trovata in un giornalino, finché non sentii suonare il campanello.

Che i suoi genitori avessero capito la mia situazione disperata e fossero accorsi in mio aiuto?

Mia cugina si precipitò ad aprire, senza ascoltare i miei: “Non devi aprire agli sconosciuti!”
“Lully! Ti avevo detto che non devi aprire a…” la mia frase restò in sospeso vedendo chi avessi di fronte.
“Montolivi.” Sorrise Ragusa con… Rick.

Cazzo, cazzo, cazzo! Non poteva vedermi così! Con il pigiama – avevo l’abitudine di stare così in casa – i capelli arruffati e la bacchetta di Harry Potter in mano. La nascosi subito dietro la schiena, non prima che i due si fossero fatti una bella risata, però.
“Cosa ci fate voi due qui?” sibilai.
Dani sbuffò per poi entrare a grandi falcate nell’ingresso.
“No, ma come sei educato!” gli urlai contro.
Lui non badò più di tanto a me, ma si diresse in cucina. Purtroppo anche Rick fu altrettanto gentile, scansandomi dalla porta e dirigendosi verso mia cugina, che guardava la scena con la faccia stralunata di una che non capisce niente.
“Ciao piccolina!” disse, porgendogli la mano.
“Io sono Rick.” Sbaglio o stava… socializzando con mia cugina?
I due fecero subito amicizia, e si misero a giocare alla spada della verità. Mia cugina mi prese la bacchetta dalle mani per darla a Rick, e lui la accettò volentieri.

“Eeeh guarda un po’ cosa tocca fare al povero Rick per farsi notare da te.” Disse Dani, che si era improvvisamente materializzato vicino a me con un bicchiere di coca in  mano.
“N-notare da me?” balbettai confusa. Lui annuì divertito.
“Beh… lui odia i bambini.”
Spalancai la bocca.
Lui odia i bambini.
Eppure stava giocando amorevolmente con la Lully.
Che fosse vero quello che diceva Dani? Naah, mi ero già detta di non illudermi.
La Lully arrivò improvvisamente dalla camera dei miei, urlandomi: “Taglia tetteeeeeee!”
Ok… era l’età in cui i bambini si gasano perché dicono ‘tette’ oppure ‘pisellino’.
Nulla di allarmante. Con la spada si fiondò sul mio seno, e sia io che Rick che Dani la guardammo sbigottiti.
“Ehi, Giulia! Quelle non si toccano, mi servono e sono mie!” disse Rick, prima di sgranare gli occhi per quello che aveva detto.
Sono mie.
Il mio cuore prese a battere velocemente nel petto. I miei occhi si fissarono nei suoi, che per orgoglio aveva tenuto alzati. Erano una calamita, una volta abbordati, non riuscivo più a staccarmene.
Non mi accorsi del sorrisino di mia cugina che disse: “okay, allora taglio il pisellino – e nel frattempo fece una risatina – di Rick!”
Disse, prima di avventarsi sulle parti basse di quest’ultimo. Ma era… impazzita?
“Lully! Non provarci, quello mi serve, è mio.” Dissi, senza rifletterci troppo.
Arrossii, al contrario di Rick, che mi guardò malizioso, come del resto Daniele.
Volevo sotterrarmi per la vergogna. Cosa cazzo avevo detto? Aiuto.
“Uffaaaa! E cosa posso tagliare?”
Decisi di riprendere un po’ di contegno cercando di sgridarla, ma Rick mi precedette:
“Guarda, se vuoi c’è quello di Daniele che è proprio pronto per essere tagliato…”
Mia cugina sorrise tutta felice prima di avventarsi sul povero Dani che non ci capiva niente.
“Ahiaa!” urlò poco dopo.
“Rick… non ci riesco! È troppo piccolo!” disse mia cugina, prima di essere scansata via da Dani.
In quel momento fu inevitabile per tutti scoppiare a ridere, anche se non era normale che una bambina di 6 anni dicesse quelle cose.
Nel frattempo mi beai della vista di uno splendido Riccardo ridente: ero una pazza fissata, e quella fissa mi sarebbe passata, se non con le buone, con le cattive.


Spazio autrice*


Ciao ragazze! Scusatemi per il ritardo, ma spero di essermi fatta perdonare con questo cap immensamente lungo (18 pagine di Word D:)

Che ve ne pare?
Vane sta iniziando a capire che Rick non le uscirà facilmente dalla testa, e nel prossimo capitolo anche lui lo capirà... più o meno.
In pratica farò un Rick's pov, ok?
Ditemi se pensate che i pov maschili non vi piacciano, così evito di cercare di entrare nella mente contorta e deficiente del mondo maschile :D
In questo capitolo sono entrati in scena: Alice (che non avrà un ruolo determinante, ma l suo parere farà sempre piacere a Vane), Daniele, che invece si rivelerà un vero amico/nemico nei confronti di Rick, Giorgia, molto più presente da qui in poi (stah happy, only for yaaa <3) e la piccolissima e tenerissima Lully! Ahahahha premetto che E' TUTTO VERO quello che dice e il gioco della spada della verità lo facciamo sul serio quando viene a casa mia :D Anche se non l'ho spiegato nella storia, la Lully abita nel loro stesso palazzo solo due piani più su.
Ovviamente il fatto del palazzo e che Rick è spesso a casa di Dani è determinante... potrebbe vedere cose che non avrebbe dovuto vedere.
Okay, dopo avervi detto troppo sul futuro della storia (u.u) vi lascio, che devo tenere la Lully ahahahha :3
Alla prossima! ;)

_MaddyMads_




 
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Capitolo 7
*** Quando la gelosia colpisce... ***





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Capitolo 6: Quando la gelosia colpisce...
 

Ci vediamo alla fine del capitolo, per scusarmi di alcune cose :)




Ehi:) Come va? E’ da troppo che non ci sentiamo! D: Oggi puoi uscire? Devo raccontarti un sacco di roba:)
 
E beh, una giornata col mio migliore amico Luca ci voleva proprio. Ci eravamo conosciuti alle medie, ma la nostra amicizia si era rafforzata quando avevamo iniziato le superiori, dato che non ci vedevamo più molto. E poi, dovevo raccontargli tante, troppe cose.
 

Alle 3 e mezza, mentre stavo finendo di truccarmi, sentii suonare il citofono.
“Vado ioooo!” urlai a mia madre, che stava passando l’aspirapolvere.
“Chi è?” dissi, una volta tirata su la cornetta.
“Sono Luca!” sorrisi istintivamente sentendo la sua voce, e aprii il portone.
Dopo cinque secondi il citofono suonò di nuovo: “Ti aspetto giù, sbrigati!”
Finii di prepararmi in pochi minuti, e poi uscii di casa. Scesi le scale in fretta e furia, poi, una volta arrivata dal portone, mi precipitai tra le sue braccia.
“Quanto tempo, mi sei mancato ciccio!” gli dissi, tutta contenta. Lui mi diede un bel bacio sulla guancia, per poi mettermi il braccio sulle spalle e dirmi: “Anche tu, Vans”.
Si, il suo modo di chiamarmi richiamava la sua passione per le scarpe, ma gli volevo bene anche per quello.
Mi avvolse le spalle con un braccio e ci incamminammo giù per la discesina sotto il mio portone.

“Vanessa! Che piacere vederti!” alzai lo sguardo trovandomi davanti un Daniele con una faccia sorridente-barra-da serpe.
“Daniele! Per me no, mi dispiace” feci una faccia triste prima di tirare via Luca per camminare avanti.
“Chissà cosa dirà Rick quando gli dirò che ti ho vista abbracciata a un ragazzo…” disse Daniele dietro di me. Mi bloccai improvvisamente, come se fossi stata paralizzata. Lentamente mi voltai.
“Non lo faresti davvero…” dissi assottigliando gli occhi. E poi cosa intendeva? Di sciuro Rick non sarebbe stato geloso...
“Dubiti di me?” mi disse lui, tutto fiero per aver ricatturato la mia attenzione.
Dovevo trovare un modo per uscire da quella situazione. Cioè, non volevo passare tutto il pomeriggio a cercare di convincere Daniele a non dire che a Rick che ero uscita con Luca.
Alt alt alt! A me non dovrebbe fregare proprio per niente se Rick venisse a sapere che sono uscita con Luca!
“Fai come vuoi, diglielo pure. Ciao!” dissi, prima di prendere per un braccio Luca e trascinarlo giù per la via.
Camminando Luca mi iniziò a fare mille domande: Chi era Rick, chi era quello lì, come mai non avrebbe dovuto dirgli che sono uscita con lui e bla bla bla.
“Ok, con calma… Rick è il figlio della migliore amica di mia madre e…” iniziai a parlare ma Luca mi interruppe:
“Aaaah, QUEL Rick! Ma da quando lo chiami così? Cioè, non è sempre stato Riccardo?” disse, imitando la mia voce schifata al pronunciare quel nome.
“Si, cioè no… fammi parlare!” e così raccontai tutto anche a lui, dal nostro odio iniziale al bacio cioccolatoso, dall’ “inconveniente” sullo yacht a due giorni prima quando era venuto in casa mia e si era messo a giocare alla Spada della verità con la Lully.
“Uuuuuh e non mi hai detto niente fino ad ora? You are crazy, lo sai che hai bisogno dei miei consigli” disse mandandomi un bacio. No, non era affato gay, precisiamolo.
“Appunto, consigliami cosa fare, che non so più una beata minchia” dissi.
“Sei sempre più fine tu, eh?” disse ridendo.
“Non fa ridere.” Dissi, cercando di rimanere seria, anche se, come sempre, non ci riuscii e scoppiai a ridere.


                                                                                                               *       *      *


Non cagarlo non cagarlo non cagarlo non cagarlo non cagarlo.
Bel consiglio di merda Luca, grazie! Ma come caspiterina avrei fatto a non cagarlo se in quel momento mi stavo dirigendo verso casa sua? Era il 23 di marzo, e la primavera non aveva portato bel tempo. Anzi. Le nuvole facevano prevedere pioggia. Si, le tipiche frasi che si fanno quando in terza media si studia il tempo atmosferico in inglese: “It’s going to rain”.

Mi ero già preparata il discorso: “Signora Clara, davvero sono molto dispiaciuta, ma non riesco ad organizzare il diciottesimo di suo figlio, mi manca il tempo e…” SE LA ORGANIZZASSI IO PENSO CHE DOPO LO SCHIFO CHE GLI AVREI FATTO PASSARE MI ODIEREBBE ANCOR PIU’ DI QUANTO NON LO FACCIA GIA’ ORA.
Suonai al citofono, e mi aprì Rick. Quando entrai in casa me lo trovai davanti, in canottiera e pantaloncini da calcio.
“Tua madre è in casa?” chiesi. Mi guardò con un’aria sospettosa.
“No, perché?” rispose, assottigliando gli occhi.
“Niente. Vabbè, a domani. Ciao.” Fredda e immediata.
Non devi cagarlo. IGNORALO.
“Ehi ehi ehi, dove vai? Ho casa libera…” disse, prendendomi per un fianco e attirandomi a sé. Mi liberai subito, quasi come se scottasse.
“Lasciami.” Sibilai. Il tono di voce lo fece rimanere allibito per un attimo, attimo che colsi per scappare a gambe levate.

GRANDE FIGURA DI MERDA.

Mentre scendevo le scale sentii il telefono in casa di Rick squillare, e poi lo sentii rispondere: “Ciao Dani!”

                                                                                            *                    *                    *


“Mamma! Puoi chiamare Clara e dirle che non organizzerò la festa di Riccardo?”
Chiesi, non appena entrai in casa.
“Ok tesoro, ma perché? Clara ne sarebbe stata felice… e anche Rick, non Riccardo.” Disse.
“Non ho tempo.” Dissi, guardandola malissimo.
“Ok, scusa…” bisbigliò, prima di comporre il suo numero.
 
 
 
“Vaneeeeee!” urlò Giorgia quando entrai in classe il giorno dopo.
“Giooooooo!” urlai di rimando.
“Il 31, sabato, c’è una festa al Covo! Rick festeggia i suoi 18 anni” Ottimo. Il compleanno di Rick nella discoteca più “in” di Genova. Alla quale avrebbero partecipato tutti i miei amici e alla quale non avrei potuto mancare.
Gli avrei fatto vedere di che pasta ero fatta. Senza motivo, o forse si: per odio, e, come disse lui una volta, per sfizio.

Risi con me stessa.
 

Eravamo pronte. Avevamo passato tutto il sabato pomeriggio in centro e poi ci eravamo trasferite a casa mia per prepararci. La Gio indossava un abito color rosso ad una sola manica, io invece avevo dei pantaloncini mooolto sgambati neri e un top stretto mooolto luccicante, ma non orribile come quelle magli piene di paillettes di tutti i colori. E ovviamente i tacchi. Mi concentrai molto sul trucco: non sugli occhi, che truccai solo con una matita nera e del rimmel, ma sulla bocca. Applicai un rossetto rosso acceso, che faceva risaltare i denti bianchi (no, non avevo usato il mentadent per 10 fottutissimi giorni, avevo avuto la visita dal dentista il giorno prima).
Uscimmo di casa e mi ritrovai sul pianerottolo Daniele e… Rick. Mi squadrò da capo a piedi, e Daniele non si evitò un commentino piccante né su me, né su Giorgia, che lo guardava con odio. Da non dimenticare che erano stati insieme… e che lui le aveva fatto le corna.
“Oh ciao ragazze! Vanessa, volete un passaggio? Vi porto io!” si offrì la madre di Daniele, che ormai mi conosceva. Cercammo di rifiutare, appoggiate dai due odiosi babbuini, ma alla fine cedetti, un po’ perché la madre di Daniele era un’ansia vivente, un po’ perché se a Rick dava fastidio essere in macchina con me io avrei fatto esattamente l’opposto. Non mi resi conto, in quel momento, che l’avevo fatto solo perché c’ero rimasta molto male. Rick non mi voleva.


Entrammo nella discoteca e il gioco di luci che m’invase mi lasciò senza parole. C’erano cubiste “sexy” e ragazzi arrapati che ballavano con altre ragazze. Ci staccammo subito da Daniele e Rick e andammo a prendere qualcosa da bere. Trovammo il tavolo con i nostri amici e ci aggregammo… bevi di qua, bevi di là ero mezza brilla. O del tutto. Chi lo sa. Non di certo io. Ricordo che, dopo aver ballato un po’ con Giorgia, mi si avvicinò un tipo enorme con i capelli rossi.
“Tommaso?” dissi a voce alta per farmi sentire. Voce da ubriaca.
“Vanessa! Ti ricordi di me?”
“Si…” Tommaso era l’ex sex-symbol della scuola, con cui avevo scopato ma non mi ricordavo un cazzo perché anche quella sera ero ciucca come il dio Bacco. E la cosa mi bruciava assai. Anche perché era molto famoso per le sue ehm, doti.
“Oh, io anche… e ricordo anche molto bene cosa avevamo fatto…” disse. Ok, era ubriaco sicuramente anche lui. Il suo alito me lo confermava.
“Ma come mai sei qui?” chiesi, ignorando la sua affermazione. Come ho già detto prima, odiavo non ricordarmi la nostra seduta sessuale.
“C’è mezza Genova, perché non dovrei esserci?” chiese.
“Ah boh” dissi. Non riuscivo a dire altro. Ero imbarazzata. E ubriaca.
Vidi Rick dietro Tommaso che mi guardava. E allora feci una cosa che non avrei dovuto fare.
 

                                                                       Rick’s pov.



Eh no. Questo non potevo tollerarlo. Cos’è, voleva farmi ingelosire? Bene, c’era riuscita. Un momento… io non ero geloso.

IO. NO. ESSERE. GELOSO.

Ma come facevo a non esserlo? Io la volevo per me. Volevo baciarla, accarezzarla e abbracciarla. Insomma, come fanno i fidanzatini cucci cucci, no? Ma vederla baciarsi con quel tipo rosso, proprio no. L’avevo visto qualche volta  a scuola negli anni precedenti, e avevo già capito che era uno dal quale la MIA Vanessa doveva stare lontana.
Appena si staccarono vidi le labbra di Vanessa dire “wow”. Wow? Lei poteva dire “wow” solo dei MIEI baci. Andai al tavolo, presi un bicchiere e lo sbattei sul tavolo, rompendolo in mille pezzi. Proprio come avevo fatto il pomeriggio, quando Dani mi aveva raccontato di averla vista abbracciata a uno sotto casa sua.

IO. SI. RABBIA.

Volevo ucciderli tutti. L’istinto omicida era a mille, più alto della quantità dei miei ormoni la sera con Vanessa sullo yacht. Volevo uccidere ogni essere maschile in questa discoteca, così le ragazze se ne sarebbero andate e io avrei trattenuto Vanessa così da restare da soli noi due. Per baciarla, farle dire “wow”… Ma prima avrei dovuto conquistarla.
Ma cosa stavo dicendo? Tutte questa cazzate non erano da me. Io non conquistavo ragazze per poi passarci del tempo. Io conquistavo ragazze per poi farci sesso.
Questo era il mio scopo. L’avrei conquistata, si. Ma le avrei fatto dire “wow” per tutt’altra cosa.

Mi precipitai in pista, avvicinandomi ogni passo di più a lei e il rosso. Vederla ballare, muovere i fianchi, il corpo perfetto, vedere le sue tette fare su e giù poiché saltava… la mia eccitazione cresceva sempre di più.
Poi mi resi conto che lei non aveva visto, o meglio non mi guardava, non voleva guardarmi. Con la coda degli occhi controllava ogni mio movimento e si allontanava col rosso che la seguiva ovunque quasi fosse il suo cagnolino. Io allora andai a prendere da bere, bevvi, bevvi e bevvi, e la mia mente continuò ad offuscarsi, rendendomi il pensiero sempre meno lucido. Riuscivo solo a pensare a quello che dovevo fare: conquistare Vanessa per poi scoparmela, e continuai ad arraparmi sempre di più, pensando a me e Vanessa.
Che coglione. Non potevo fare queste figure con me stesso. Non potevo fare la figura del dodicenne che si fa le seghe davanti a un video porno o che sta pensando alla sua prima scopata che probabilmente sarebbe avvenuta anche un paio di anni dopo. Io potevo avere le ragazze. Tutte quelle che volevo e subito.
Vanessa l’avrei avuta, ma avrei dovuto aspettare e in quel momento aspettare era l’ultimo dei miei pensieri. Dovevo dare sfogo alle mie voglie animalesche. Dovevo farlo con qualcuna.

Mi ributtai in pista, provandoci con coloro che mi sembrava fossero piuttosto carine o che almeno ci potessero stare. Non vidi più Vanessa. Appena mi avvicinai ad una ragazza e questa mi baciò il mio cervello andò in tilt.
“Ehi… ho una voglia” sussurrò lei, con voce roca. Ottimo, avevo sempre pensato di essere fortunato.
“Allora diamoci da fare” dissi semplicemente, con la mia eccitazione che scoppiava nei pantaloni beige.
Non sapevo dove andare, il bagno sinceramente mi faceva un po’ schifo e inoltre presumibilmente molte altre coppie ci avevano preceduti. Nessuno dei due aveva una macchina, glielo chiesi, e casa mia era troppo lontana. Uscimmo dalla discoteca, e camminammo fino ad arrivare ad un parcheggio buio e tranquillo.

Non attesi cinque minuti, le tirai su il vestito, mi tirai giù i pantaloni e liberai la voglia opprimente che mi possedeva. Il silenzio era interrotto dal mio respiro affannoso e dai gemiti di lei. Non ci sapeva molto fare, per cui quando cercò di prendere il comando” della situazione la bloccai, tenendo i suoi due polsi con una mano e spingendo di più i suoi fianchi contro i miei.
Non mi accorsi di mormorare “Vanessa…” quando raggiunsi l’apice del piacere.






Non dite niente.
Lo so che mi odiate, che volete uccidermi per il ritardo di QUASI UN FOTTUTO ANNO.
Solo che... sinceramente non pensavo che il classico fosse così opprimente. Ho passato tutti i pomeriggi che avevo a studiare e quando ne avevo uno libero, UDITE UDITE lo passavo con
IL MIO RAGAZZOOOOOOOO!
Ok, nemmeno io riesco ancora a crederci, tra poco facciamo 7 mesi :')
ANYWAAAAY. Adesso ho dato la colpa alla scuola e al mio ragazzo [impersonificato in Tommaso, stesso nome stesso aspetto fisico, più o meno stessa fama ( :((((( )], ma in realtà è anche colpa mia. Insomma, devo ammettere che non avevo idee e quasi, se devo essere sincera, la voglia. Ma adesso, it's summer time e MaddyMads è tornataaaaa :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, qui abbiamo visto i rapporti sociali di Vanessa, e finalmente il tanto atteso Rick's pov ( o almeno per me ahaha). Come vi è sembrato? Spero di avervi soddisfatte, come dicevo nel capitolo scorso è un po' difficile entrare nella mente pervertita degli uomini. E QUI DI PERVERTITO C'E' MOLTO. Sinceramente, non me l'aspettavo nemmeno io da Rick. STRONZO, STRONZO, STRONZO STRONZO STRONZOOO! (Tipo coro da stadio u.u)
In ogni caso abbiamo visto che Rick è così orgoglioso da vergognarsi con se stesso e abbiamo visto entrare in scena Tommaso. La ragazza del parcheggio è invece un personaggio di passaggio, arriva e vola via subito.
Ps. anche se non ho scritto niente su anticoncezionali nel parcheggio, si presume che la tipa prenda poi la pillola del giorno dopo ahahah :3
Vabbè su, spero davvero di essermi fatta perdonare, non so quanto sia potuto venire lungo, ma
spero che quello che c'è sia gradevole.

RECENSITEEEEEEE.
Vi prego, fatelo perchè le ultime recensioni che mi sono arrivate mi hanno dato lo sprint finale per concludere il capitolo che era rimasto a metà da gennaio. Per questo ringrazio @Depa95. MA ANCHE OGNI SINGOLA PERSONE CHE SEGUE, RECENSISCE E SOLO LEGGE LA STORIA. THANK YOUUUUU :*
With muuuuuuuch love,
_MaddyMads_

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Capitolo 8
*** Bipolare? ***



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    Capitolo 8: Bipolare? 

 

Costumi da mare, tanti costumi da mare. A righe, tinta unita, verdi, a fiori, gialli, a pois, rosa…
Una vasta distesa d’acqua. Azzurra, limpida e attraente.
Una sirena. Canta, ma il suono è assordante, fa venire il mal di testa…

Aprii un occhio, ma lo richiusi subito. Troppa luce filtrava dalle tendine azzurre della mia camera. Cercai di ricordare cosa stavo sognando, ma non ci riuscii. Eppure, ricordavo un suono terribilmente forte. Ma che cavolo stavo dicendo, era la sirena dell’ambulanza che era appena passata.
Ritentai, e aprii un occhio. Questa volta riuscii ad aprirli entrambi, e poi cercai di alzarmi. Niente di impossibile o tragico, comunque, mi misi in piedi tranquillamente, solo un capo giro da far paura e la vista oscurata completamente.
Quando ripresi a vedere andai in bagno, mi lavai la faccia, e mi guardai allo specchio. Avevo delle grandi macchie nere sotto gli occhi, colpa del trucco sbavato e… il costume al posto del pigiama.
Ok… forse la sera prima ero davvero TROPPO ubriaca. Però ricordavo quasi tutto. Insomma, fino al bacio con Tommaso.
Tolsi il nero del rimmel e mi diressi in camera per cambiarmi. All’improvviso mi venne un attacco di vertigini, mi sentii venire su per la gola un conato di vomito e il corpo sempre più pesante. Arrivai rantolando al letto e mi ci sdraiai sopra. Poi, il buio.
 


“Vane, svegliati.” sentii dire da mia madre.
“Mmmh mamma cosa vuoi? Stavo dormendo.”
“Scusa, ma c’è Rick in ingresso. Ha molta urgenza di vederti… sembra arrabbiato.”
“NON LO VOGLIO VEDERE.” Dissi, subito. Quell’energumeno era l’ultima cosa che desideravo vedere.
“Rick! Vieni pure!”
“MAMMA!” Dissi, ma aveva già chiuso la porta ed era già uscita dalla mia camera.

Tipica dimostrazione di affetto materno.
Quando sentii i passi di Rick, molto pesanti e spaventosi, chiusi gli occhi e feci finta di dormire. Sentii aprire la porta della mia camera e con essa si aprì anche la bocca di Rick:

“Mi vuoi spiegare perché cazzo ti stavi facendo con…” la sua voce irritante e soprattutto IRRITATA si bloccò. Lo sentii avvicinarsi al mio letto, ma questa volta con passi più leggeri. Poi, una carezza sulla guancia, e le sue dita che spostavano i miei capelli dalla faccia. Sussultai al suo contatto, così dolce… come non era mai stato con me.
“Ti ho svegliata? Scusa…” disse Rick.
Aprii gli occhi, facendo finta di essere assonnata. Stavo cercando di trattenere il sorriso, sia perché non si era accorto che stavo fingendo, sia per la sua improvvisa dolcezza.
“Ehi…” dissi.
“Vuoi qualcosa? Un bicchiere d’acqua, la tachipirina?” disse.

Oh… si stava preoccupando per me?

“No, grazie.” Dissi. Ero meravigliata. Non solo dalla sua bellezza disarmante, ma anche dalla sua gentilezza.
“Perché sei qui?” chiesi, per interrompere il silenzio imbarazzante che stava aleggiando fra di noi.
Avevo sentito le sue parole prima di entrare nella mia stanza, ed ora ero curiosa di sentir finire la frase.
“… così” disse, incerto.
Scoppiai a ridere, un po’ perché sapevo della sua bugia, un po’ perché Riccardo Canepa non sarebbe MAI, e dico MAI, venuto a trovarmi “così”.
“Dimmi la verità” dissi, quasi ancora ridendo.
Mi fissò negli occhi, uno sguardo profondo, un verde profondo, che mi guardava.
“Beh.. io… volevo chiederti una cosa.” Disse, infine.
“Cosa?” Oh, forse si era deciso a parlare.
“Cosa stavi… ehm… facendo… tipo… sera”.
Lo guardai, sbigottita, prima di esordire con un: “EH?”

CHUPA, VANE.

“Mi stavo chiedendo… cosa stessi facendo col tipo ieri sera” disse, per poi prendere un bel respiro.
OMMIODDIO. Perché quella domanda? Insomma, cosa gliene importava a lui di me e Tommaso? Che non fosse geloso mica? No, niente conclusioni affrettate. Niente illusioni.
“A parte il fatto che non sono fatti tuoi… come mai sta domanda?”
“Beh, un giorno ti baci con me, un altro con lui… ti sembra un comportamento corretto?!”
Scattò in piedi, col viso tutto rosso, al sentire il mio telefono vibrare. Lo prese dalla scrivania, per darmelo… non prima di guardare chi fosse e cosa mi scrivesse.
Si bloccò improvvisamente, come se gli avessi fatto un petrificus totalus, prima di alzare per un istante gli occhi verso di me.
Cosa vidi? Non saprei dirlo. Gelosia? Rabbia? Delusione? Tristezza? Non lo saprò mai.
Ma di sicuro non era qualcosa di bello, almeno non per lui, poiché lanciò il mio telefono sul mio letto per poi dire: “Devo andare” e camminare velocemente verso la porta di casa mia.
“Rick…?” chiesi, ma era troppo tardi. Non appena sentii la porta di casa chiudersi presi il mio telefono e guardai il messaggio:
 

Ehi piccola mia, dovremmo parlare di quello che è successo ieri, che dici? Magari potremmo vederci eh? Fammi sapere quando puoi, TUO Tom <3


Piccola… il suo modo di chiamarmi ogni volta che mi vedeva nel corridoio della scuola… ma come mai quel “mia”? e quel “TUO Tom”?
Gli risposi, dimenticandomi per un po’ della reazione esagerata di Rick:


Ehi :) Eh si… io sono a casa con la febbre, non posso uscire, mi dispiace <3


Massì, facciamocelo un cuore no?
Brutta cogliona, tu devi pensare a Rick, capito? A RICK.

Angioletto bravo: Perché a lui? Insomma, mica sei innamorata di lui, Vane! Ti ha sempre trattata male (a parte oggi, ma è un caso, eri malata e si è intenerito), vi odiate da sempre… Tommaso potrebbe essere un buon punto di partenza per una storia seria e duratura!

Demone cattivo: Già… ma, rifletti: Tommaso non è tipo da storie serie e durature. E’ esattamente come Rick! Anzi, vuole parlarti perché ti vuole dire che dovete fare finta che non sia successo niente.

Angioletto bravo: Proprio come aveva fatto Rick…

Demone cattivo: Ma taci tu! Insomma, è vero che tu e Rick vi odiate, ma hai visto come ti ha trattata oggi? E’ stato tenero… e hai visto com’è geloso? Esci pure con Tommaso, ma non per chiarire: fai ingelosire Rick ancora di più. Vedrai come verrà da te, poi. A PRENDERTI, PERCHE’ TI VUOLE PER SE’. TI VUOLE SUA.

Angioletto bravo: Vane, lo sai che non è così… lui vuole solo, ehm… che Dio mi perdoni per questa parola sconsacrata… SESSO!

BASTA! USCITE DALLA MIA TESTA PORCA MUCCA IN CALORE. Ero confusa… non sapevo che fare.
Rick sembrava un bipolare del pirolino, e Tom… forse voleva davvero sistemare le cose.
 

Ah non c’è problema! Vengo io da te piccola ;) Dammi solo il tuo indirizzo <3


Ottimo. Che fare?

Angioletto bravo: DAGLIELO! Sistemerete tutto!

Demone cattivo: DAGLIELO! Farai ingelosire Rick! Di sicuro Dani lo verrà a sapere che Tommaso è da te e glielo dirà.

Glielo diedi, d’altronde, eravamo tutti dalla parte del “daglielo”, no?
 

Perfetto, grazie :) Posso venire domani? <3
 

Domani era lunedì, a causa della febbre non sarei andata a scuola, quindi era ok.
 
Si, però al pomeriggio, al mattino voglio dormire ahahah <3
 
Continuammo a messaggiare, facendoci cuori… non sembrava che volesse dirmi di dimenticare il bacio del sabato sera. Ma io? Lo volevo dimenticare o no? Insomma, lui mi aveva detto che dovevamo parlarne, ma magari si aspettava che parlassi io, che decidessi io. E? Cosa avrei dovuto dire? Non sapevo cosa fare, cosa pensare. Tommaso mi piaceva? Beh, i capelli rossi non erano mai stati quello che cercavo in un ragazzo (preferivo i biondi, come Rick…), però caspita, gli occhi blu di Tommaso erano qualcosa di spettacolare!
Un grandioso Harlem Shake si era avviato nella mia testa.
Che fare?
                                                                                        



                                                                                                  *      *      *
 


Stavo un po’ meglio, la febbre era calata e il mal di testa se ne era andato. Era rimasta però la confusione su Tommaso e Riccardo.
Tom e Rick…

Il mio bellissimo ex di una notte, della quale non ricordavo niente, che negli ultimi tempi era tato gentile con me o il playboy della situazione, attraente e arrogante, che negli ultimi tempi non aveva fatto altro che trattarmi male?
Entrambi belli, ma così diversi. Cosa potevo fare? Ero irrimediabilmente attratta da entrambi.

DRIIIN.
Il campanello. Ricordai che i miei erano al lavoro e così feci uno sforzo enorme per alzarmi ed andare ad aprire. Appena mi alzai, troppo velocemente, mi girò fortissimo la testa e vidi tutto nero, ma appena mi ripresi riuscii ad andare ad aprire la porta.

Era Tom ed era… sconvolgente.
Il suo profumo, dolce e aromatico mi avvolse, esattamente come le sue braccia. Un bacio sulla fronte.
“Ciao Vane.” La dolcezza racchiusa in quel gesto e in quelle parole mi fece sorridere automaticamente. Da quanto un ragazzo non mi trattava così? Questa dolcezza non era minimamente vicina a quella di Giulio, e nemmeno a quella di Rick l’altro giorno. E io che mi ero sorpresa per così poco.
“Ciao Tom.”
Lo guardai negli occhi, in quegli occhi blu da mozzare il fiato.
“Entra pure” dissi, distogliendomi con tristezza da quel abbraccio.
         
 
 
Non avevamo parlato subito del bacio. Anzi, non appena era entrato in casa aveva esordito con un: “Ho fame. Tu non hai fame?”, facendomi sorridere.
“Uuuuh potremmo fare le crepes!” avevo detto, tutta contenta, come una bambina di due anni pronta a mangiare il suo zucchero filato. Lui mi aveva detto di stare seduta e non affaticarmi, ma ero così gasata che non mi sentivo nemmeno girare la testa. Così ci eravamo messi a mescolare uova, burro, farina e tutti gli altri ingredienti. Ovviamente non era successo niente di quello che accade nei film: io non mi sporcai per sbaglio la bocca e lui non mi disse: “Oh vieni che ti pulisco io” per poi baciarmi. Assolutamente, anzi, mi sembrava che Tom evitasse l’argomento “bacio”.
E così mi ritrovavo seduta a tavola di fronte a lui. Che aspettasse che ne parlassi io? In ogni caso, io ero imbarazzata quasi più di lui, così non ne feci parola. Ci gustammo le nostre meravigliose e deliziose crepes alla nutella guardandoci SEMPRE e solo negli occhi, senza distogliere mai lo sguardo l’uno dall’altra.
Poi, improvvisamente si alzò in piedi e disse:

“Io non voglio dimenticare.”
 
                                               *                      *                      *
 
“Pronto Gio?”
“Ehi Vane, dimmi.”
“Puoi parlare?”
“Certo.”
“Ecco… penso di essere nei casini.”
“Tom e Rick?”. Beh, lei sapeva ovviamente tutto. Ogni volta che succedeva qualcosa le mandavo messaggi lunghi infinte pagine con scritto tutto quello che era successo, così lei mi chiamava e io le raccontavo di nuovo tutto.
“Più Tom che Rick…”
“Dimmi.”
“Beh ecco…” le raccontai velocemente tutto quello che era successo fino a quando lui non mi aveva detto di non voler dimenticare il bacio.
“E tu?” Disse, con voce decisamente ansiosa. Beh, d’altronde era questa la parte bella, la mia risposta.
“Io niente.”
“Come niente?!” disse lei, leggermente alterata. Ottimo le facevo venire i nervi grazie alla mia scemenza.
“Sono stata zitta…”
“TU.SEI. SCEMA. Ma forte eh”
“Lo so…”
“E lui che ha detto?”
“Testuali parole: ‘Promettimi che ci penserai…’”
“Cosa pensi di fare?”
“Dimmelo tu, ti prego…”
“Secondo me dovresti andare da lui, non dirgli niente, nemmeno una parola e baciarlo, semplicemente.”
“Tu dici?”
“Dico, sexy Vane.” Eccola che se ne parte con un altro dei tanti nomignoli che mi assegna ogni giorno.
“Grazie Gio, davvero.”
“Sei la mia migliore amica o no?”
“OVVIO!”
“E allora io sono sempre qui. Only for youuu” canticchiò. Risi, poi ci salutammo e buttammo giù.

NEW MISSION IMPOSSIBLE: baciare Tommaso nuovamente e senza pensare a Rick.








Spazio autrice:
 

Salve ragazze! Ovviamente in ritardo col capitolo, ovviamente una merda questo capitolo.
Beh, almeno per me... spero invece che a voi piaccia! Non ho molto tempo, domani vado al mare ALL DAAAY e svegliarmi in tempo è la cosa migliore :D

Fatemi sapere, tramite recensioni, sapete che per me è una gioia riceverle :3

Un bacione grande grande e tanti free hugs,
_MaddyMads_

 

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Capitolo 9
*** Something went wrong ***


 

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Capitolo 8: Something went wrong






Il professore di ginnastica parlava da 50 minuti buoni (odiavo le ore di teoria) e sembrava quasi che non prendesse il respiro tra una frase e l’altra. Morire soffocato no eh?
Guardavo intensamente l’orologio, come se continuando a fissarlo i minuti potessero scorrere più velocemente. Fremevo all’idea di incontrare Tommaso all’uscita, ma al tempo stesso ero irrequieta; quale sarebbe stata la mia reazione non appena l’avrei visto? In effetti la campanella poteva aspettare ancora un po’.
DRIIIIIN.
Come non detto. Mi alzai di scatto, nervosa e mi diressi verso l’uscita. Giorgia mi passò di fianco e mi augurò un “in bocca al lupo” sussurrato: le ero grata, per tutto.
Mi voltai un attimo, per vedere se ci fosse Rick nei paraggi, ma siccome lo vidi parlare col prof di ginnastica mi misi il cuore in pace e mi diressi all’uscita.
Lo zaino era pesante quel giorno, terribilmente pesante. E pure i miei piedi, le mie gambe, le mie braccia, la mia testa. No, non potevo essere così agitata per… Tommaso.
Mi guardai intorno, sperando che Rick non fosse uscito dalla classe, in modo che non mi vedesse non appena avessi baciato Tommaso. Oh mio Dio! E se fossi stata agitata non per Tommaso, ma per Riccardo? Cosa avrebbe fatto se ci avesse visti? Improvvisamente divenni curiosa. Volevo sapere, volevo vedere la sua reazione. Non appena mi assicurai che fosse uscito dall’aula, uscii dal portone della scuola.
E… lo vidi. Tommaso era lì, che salutava con enfasi tutte le ragazze che gli passavano accanto. Sapevo che fosse stato il sexy boy della scuola, quando ancora era lì, ma non pensavo che conoscesse TUTTE le ragazze della scuola.
Quando mi vide però, mi dedicò tutto un altro sorriso rispetto a quello che mostrava alle altre. Era sincero e… per me.
Mentre prima ero arrabbiata per il fatto che avesse salutato tutte le ragazze della scuola adesso ero felice come un bambino a pasqua. Mi diressi quasi correndo verso di lui. Lo sentii mormorare un “Ciao”, ma non lo lasciai finire di parlare. Mi avvinghiai a lui, chiudendo le mie mani dietro al suo collo, e feci combaciare le nostre labbra. Le sue labbra… la prima cosa che avevo visto quando mi ci imbattei per la prima volta a scuola. Non che avesse delle labbrone da nero, però erano belle carnose. Ma in senso buono. Stava camminando con il suo amico Andrea e io ero al fianco di Giorgia. Lui era in seconda liceo (per un classico, che è suddiviso in due anni di ginnasio e in tre di liceo, equivale alla quarta superiore normale), e io ero una semplice quartina (primina nel linguaggio comune).
Pensavo ai corridoi della nostra scuola, alla prima volta che Tommaso mi aveva guardata, esattamente tra quelle mura, con i suoi occhi blu oceano mentre il nostro bacio sembrava interminabile. Ma improvvisamente mi ricordai di un altro bacio, al sapore di cioccolato, mi ricordai di altri occhi chiari, grigi verdi azzurri, occhi indefinibili, occhi che più cerchi di capire più ti confondono. Gli occhi di Riccardo.
E furono proprio quelli che vidi quando mi staccai da Tommaso: Rick era dietro di lui e mi guardava con sguardo truce e micidiale.
“E questo che significa?” mi chiese Tommaso con sguardo interrogativo.
“Che…” iniziai, ma non riuscii a terminare la frase, sia perché effettivamente non sapevo come terminarla, sia perché Tommaso fu spinto da parte da… Rick.
Vanessa – pronunciò il mio nome in modo irritato, ma siccome non mi chiamava quasi mai per nome, assaporai la sua voce fino all’ultima lettera – il prof Palazzo ha detto di riiniziare con le ripetizioni. E in questa settimana oggi è il mio unico giorno libero. Per cui, mi dispiace da morire per te e per questo qua, ma devi venire con me.”
Ma cosa gli prendeva? Come si permetteva di rivolgersi così a Tommaso? E soprattutto, sapevo che il mercoledì aveva allenamento, come era possibile che fosse libero? Migliaia di domande turbinavano nella mia testa, così, quando Rick mi prese il braccio, stringendolo con troppa forza, non ebbi il coraggio di dimenarmi. Guardai Tommaso chiedendogli scusa e mi lasciai trascinare via da Rick.
D’altronde, lo avrei scelto comunque, no? Si, ne ero sicura. Non sarei mai riuscita a scegliere Tommaso: il bacio di prima ne era stata la conferma. Io riuscivo a pensare solamente a Riccardo; i suoi occhi meravigliosi, la morbidezza delle sue labbra, la dolcezza, che magari era solamente frutto della mia immaginazione, che racchiudeva in ogni suo sorriso… desideravo ardentemente che i suoi sorrisi fossero rivolti SOLO E SOLTANTO  a me. Eppure lui non era mio, ed io non ero sua. Non sapevo come, cosa, quando, dove e perché, ma mi resi conto che lui fosse la cosa che più desideravo. Così, mentre mi trascinava verso non so dove per fare ginnastica, sorridevo come un’ebete. Perché in quel momento era lì con me, per me.
Improvvisamente si fermò, e si girò verso di me, livido in volto.
Il suo viso, con i lineamenti molto tesi in una smorfia dura, non prometteva nulla di buono: stava per scoppiare. E infatti, la tempesta arrivò, schietta e devastante.
“La devi smettere, LA DEVI SMETTERE, di farti tipi davanti a me, chiaro?”
Rimasi sbigottita. Sapevo, o meglio, speravo, in una specie di rimprovero, ma non pensavo che potesse arrivare addirittura ad una… scenata di gelosia (?). Non sapevo come rispondere, dovevo incazzarmi o fingermi indifferente? Optai per la prima.
“Ma spiegami, cosa te ne importa? Chi sei tu per dirmi cosa devo o non devo fare? Non sei mica il mio ragazzo! E poi, siamo sinceri… per nessuno dei due i baci che ci siamo dati e le cose che abbiamo fatto sono stati importanti… scommetto che nemmeno tu sia riuscito a trattenerti dal farti qualcuna.”
Cazzata. Cazzata enorme. Per me lo erano stati importanti, eccome… e il solo pensiero che lui avesse solamente sfiorato qualcun’altra… mi lacerava. E non se sapevo il motivo, d’altronde io non ero innamorata di lui, vero? Anche se, tutte quelle riflessioni su Rick e sull’influenza che aveva su di me fecero tentennare la mia sicurezza. I miei pensieri, sempre più preoccupanti, furono interrotti dalla sua risposta:
“Ti sbagli. Io non mi sono fatto nessuna…” disse, e il mio viso prese una vaga espressione di felicità. Ed evidentemente lui si accorse del mio sollievo, infatti fu contento di annunciare, con tanto di sorrisino sghembo e veramente malvagio ciò che era successo:
“… io me ne sono direttamente scopata una.”
Un muro mi cadde addosso. Un macigno bloccò il mio cuore per qualche secondo, giusto il tempo di fissare la “notizia” nella mia testa, prima di spezzarmelo. Non ci potevo crede… lui… lui non poteva averlo fatto. Non riuscii a guardarlo in faccia, anche perché se l’avessi fatto sarei scoppiata a piangere come una bambina di 4 anni. Riuscii a cacciare indietro le lacrime, a tenermele per dopo, e così sussurrai: “Appunto…”
Mi resi conto che eravamo al bivio che divideva la strada per casa sua da quella per casa mia quando lasciò andare il mio braccio, dicendo:
“Riinizieremo le ripetizioni un altro giorno. A domani.” Poi si avviò verso casa sua, e quando fu abbastanza lontano, finalmente riuscii a liberarmi dalle lacrime che stavano premendo per uscire da un po’ troppo tempo.
 
                                                              *          *         *
 
Dieci giorno. Dieci fottutissimi giorni erano passati da quando… Canepa mi aveva rivelato ciò che mi aveva completamente distrutta. Sapevo di aver avuto una reazione un po’ esagerata, le occhiaie e i chili persi lo dimostravano, ma non potevo fare altro che pensare a… quello che aveva fatto CON LEI E NON CON ME. Pensare che lei, una dannata sconosciuta (avevo ottenuto informazioni da Daniele…), fosse un passo avanti a me mi faceva diventare matta. E, nonostante questo, c’era anche il dolore; non sapevo il perché di questa sensazione così spiacevole, Riccardo non era il mio ragazzo e poteva fare quello che voleva. Lo sapevo già che non avrei potuto aspettarmi altro da uno come lui, eppure una piccola e fioca speranza c’era sempre stata in me, la speranza che di me gli interessasse qualcosa, che ci tenesse a me; e proprio per questo mi sentivo delusa, tradita e usata.
Delusa, perché il fatto che me l’avesse detto in scioltezza, sapendo benissimo che quella rivelazione non sarebbe di sicuro stato un beneficio per me. Ma, dopo aver baciato Tommaso due volte in sua presenza, non potevo aspettarmi di meglio.
Tradita, perché dopo i baci che ci eravamo dati, dopo ciò che avevamo (o meglio, mi aveva fatto) sullo yacht, dopo le frecciatine, dolorose o meno, io mi aspettavo che non andasse a scoparsi la prima passante, senza aver risolto niente con me. Perché, pensandoci bene, prima di quel maledetto giorno la nostra “relazione” non era mai stata trattata; eravamo amici? Naaah, ci odiavamo e in ogni caso gli amici non si baciano (grande cavolata, in realtà…). Comunque, in quel momento il nostro rapporto non esisteva più.
E infine usata, perché non poteva illudermi così e poi sbattermi le chiappe in faccia. Ero una ragazza abbastanza forte, ma ero comunque… una ragazza. Volli ripercorrere quella dannata serata, per capire meglio, per capire se ciò che aveva fatto Rick fosse dovuto a qualcosa o se avesse solo avuto bisogno di… quello. (Sapevo che era successo quella sera sempre grazie a Daniele).
 
Avevo visto che Rick, la sera della sua festa, fosse mezzo ubriaco, e avevo visto la rabbia nei suoi occhi quando  avevo baciato Tommaso. Secondo la speranza che viveva in me e la parte da bimbaminchia secondo la quale la regola è “oddio quello mi guarda, gli piaccio!!!!!!!!! xDxD” Rick aveva… avuto un rapporto completo a causa del fatto che fosse geloso di me e che quindi dovesse sfogare la sua rabbia con qualcosa. O meglio, QUALCUNA. Anzi no, consideriamola una “cosa”.
Secondo la parte razionale, Rick era ubriaco e vedere tutte quelle tipe col culo di fuori e le tette in mostra gli aveva fatto alzare l’asta e per farla riammollire aveva solamente potuto fare sesso con una.
In ogni caso, decisi di chiamare Daniele, il migliore amico di Rick ma che non avrebbe mai negato un aiuto a una povera ragazza piccola e indifesa come me. Ok scherzavo, non avrebbe mai negato un aiuto a una ragazza con tette e figa.
 

Dani’s pov.

 
Quando Vane mi aveva chiesto di raccontarle l’ultima scopata di Rick non avevo esitato. Ma adesso… dovevo dirle il perché? O meglio, dovevo dirle IO il perché? Da bravo amico la responsabilità era di Rick. Gliel’avrebbe detto lui quando avrebbe voluto lui. Eppure… Vane era così attraente che attraeva pure le mie labbra a dirle tutto ciò che volesse sapere.
Mentre la “ascoltavo” parlare, mi soffermai sulle sue labbra, e, come mi succedeva con tutte le ragazze, immaginai cosa avrebbe potuto fare con esse e… con la sua lingua. DANIELE SMETTILA. Calma, non sei così messo male… c’è sempre Federica la mano amica, no?
In ogni caso, non sapevo che fare… dirle la verità o no?
Dopo una lunga e lenta riflessione optai per la prima. D’altronde, come potevo negare un aiuto a una ragazza con tette e figa?
“Allora… quando Rick ti ha vista baciare Tommaso è stato colpito da una fitta dolorosa di gelosia – mi compiacqui per le mie parole, tutto merito del classico – e in più, un po’ a causa dell’alcol e un po’ a causa tua, si è eccitato da morire a vedere le tue tette fare su e giù mentre saltavi e ti gasavi in pista, così ha dovuto sfogare i suoi istinti animaleschi”.
Vane stette zitta per alcuni minuti, col viso pensieroso. Poi il suo viso si aprì in un sorriso e disse: “Oh, ma allora sono una bimbaminchia!” e di mise a ridere, quasi con le lacrime agli occhi. Ok, o era diventata pazza o era talmente innamorata di Rick da essere così felice di sapere che la causa di una sua sveltina era… lei. Non c’era alternativa.
“Quindi… io piaccio a… Rick?” disse, tra una risata e l’altra.
“Ma nooooo! Non mi dire?! Da cosa l’hai capito scusa?” dissi, sarcasticamente.
Rise ancora di più, così tanto che mi contagiò e finimmo sul freddo pavimento di marmo di casa mia a ridere come degli stupidi.
 
 
Ok, tutto era pronto. Vane mi aveva chiesto di trovare un modo per far capire a Rick che lui era sottissimo di lei, siccome non se n’era accorto, o meglio, non lo voleva ammettere.
Ed ero sicuro che il mio piano sarebbe andato alla perfezione.
 

Vane’s pov.

 
Scesi dall’autobus e mi diressi verso casa mia. Ero esausta, la mia maestra di danza mi aveva distrutto quel giorno. Non sentivo più le gambe, i muscoli mi dolevano e alzare le braccia era improvvisamente diventato faticosissimo. In più erano le 9 di sera. Odiavo quell’orario, ma per danza non potevo certo dire di no.
Starnutii, e misi la mano in tasca in cerca dei fazzoletti. Ottimo, non c’erano. Eppure ero sicura di averli messi lì… ok, forse negli ultimi tempi ero diventata un pochino sbadata, a causa di una certa persona.
Mi voltai, e li vidi per terra, a pochi metri da me. Tornai indietro, raccolsi il pacchetto e mi soffiai il naso. Quando alzai lo sguardo vidi di fronte a me un ragazzo. Era sull’autobus con me, ma non mi ero accorta che avesse fatto la mia stessa strada.
Aveva i capelli tutti sparati in aria, neri come il buio (o forse era solo il buio che vi era in quel momento che creava questa illusione), e non riuscivo a distinguere il colore dei suoi occhi. Era parecchio più alto di me, e quando parlò, sentii che dovevo andarmene. Il suo alito puzzava di alcol e fumo:
“Ciao, bellezza…” disse, prima di barcollare un pochino. Arretrai di due passi, poi, velocemente mi girai e iniziai a correre, ma non ci riuscivo, avevo le gambe troppo doloranti e a causa della paura, penso, riuscivo a muoverle molto lentamente. Troppo lentamente. In pochi secondi il tipo mi raggiunse e mi sbattè contro il muro di un palazzo lì vicino. Al buio. Troppo al buio.
“Lo sai di essere bellissima…” disse, e io non sentii più niente. Ero paralizzata, non sapevo cosa fare, lui era lì ed io ero lì, tra le sue braccia e un cazzo di muro. L’ansia cresceva, lui mi toccava da sopra i vestiti, io non avevo nemmeno l’aria per urlare. Volevo tirare su il ginocchio e tirargli un calcio nelle palle ma non ci riuscivo. Iniziò a palparmi da sotto i vestiti e io mi dimenavo ma non avevo forza. Poi scese, e mi mandai a fanculo, poiché ogni volta che andavo a danza usavo i pantaloni della tuta. Mi toccò, da sopra e io iniziai a piangere. Era l’unica cosa che riuscivo a fare, e speravo che in un qualche dannato modo l’avessi potuto impietosire. Vidi passare qualcuno dietro di lui, così, con tutta la forza e il senso di autoprotezione che avevo in corpo chiesi, o meglio, urlai, aiuto.
“Ma è Vanessa?” mi conoscevano. E anche io conoscevo quella voce, e quella piccola speranza mi diede tutta l’energia.
“Vi prego, aiutatemi!” gridai. Il tipo mi sussurrò di stare zitta e mi baciò, infilando la sua velenosa lingua dentro la mia bocca.
I due, adesso distinguevo le loro ombre, arrivarono, e quello più alto levò il ragazzo da me, prima di tirargli un pugno che probabilmente gli spaccò il naso. L’altro invece venne da me, che mi ero accasciata per terra.
Sussurrò: “Oddio, qualcosa è andato storto…”.
Non sapevo cosa volesse dire, ma non potevo parlare per chiedere qualcosa.
Poi arrivò l’altro, dopo aver riempito di pugni il mio assalitore.
Mi coprì, e mi abbracciò. Non sapevo chi fosse, ma aveva un profumo familiare…
Continuavo a singhiozzare e tremare, ma smisi, quando egli parlò:
“Stai tranquilla Vane, ci sono io… sono Rick…” un sussurro. Il sussurro più bello del mondo. Non so se mi addormentai o se svenni, ma fui certa che, anche dopo ciò che era successo, avevo il sorriso sulla faccia.
 
 

 
Spazio autrice:

Salve, ragazze!
Questo è un capitolo molto importante per il susseguirsi delle vicende: Vane ammette, anche se non direttamente - ciò accadrà (penso, dipende dal mio umore) nel prossimo capitolo – di essere innamorata di Rick. Daniele ha combinato un casino, ma verrà tutto spiegato nel prossimo capitolo. A proposito del prossimo capitolo… ho già qualche idea, ma siccome domani (vi prego, UCCIDETEMI, vi pregoooo) inizia la scuola non posso dare una data su quando potrò pubblicare. Cercherò di non arrivare a un ritardo mostruoso come quello dell’ultima volta, ma non posso promettervi nulla. Purtroppo non dipende da me…
In ogni caso, per scusarmi del ritardo che sono già praticamente sicura avverrà, vi lascio alcuni punti (chiamatelo un piccolo spoiler) sul prossimo capitolo:
  • Verrà svelata l’identità del ragazzo misterioso;
  • Ci sarà un Rick’s pov, con TAAANTO MIELE;
  • Ci sarà anche taaaaanto LIMONE (Amatemi ahahah);
  • Rick combinerà un casino;
  • Ovviamente… Rick dovrà scusarsi con Vane ;)
E con questo vi lascio… buon (per quanto si possa trovare qualcosa di buono in ciò) inizio scolastico!
Ah, un’ultima cosa:  vi prego, RECENSITE… non voglio fare pressione, però, nell’ultimo capitolo ho avuto poche recensioni e ciò ha diminuito ancor di più la mia autostima. So che il capitolo precedente era un pochino di passaggio, ma QUESTO CAPITOLO E’ IMPORTANTE! No dai scherzo, sapete che mi fa piacere ricevere i vostri consigli e le vostre impressioni. Un bacio,
_MaddyMads_

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Capitolo 10
*** Confusione ***


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Confusione

Rick’s pov

 

Che cosa potevo fare? Vederla lì, con la benda piena di sangue intorno alla testa faceva un male cane. Aveva sbattuto la testa contro il muro mentre era svenuta, causandosi una lieve emorragia cerebrale. Niente di grave, ma se quel bastardo non l’avesse toccata non le sarebbe successo niente… quel bastardo!
Ero soddisfatto del mio lavoro, l’avevo conciato per le feste. Nessuno poteva toccare la mi… nessuno poteva toccare Vanessa. Oh, al diavolo! Non serviva a niente correggersi! Dicendo o non dicendo il “mia” il mio era comunque un atteggiamento di gelosia. Beh, ormai era innegabile, ero attratto da lei.
E non solo fisicamente, quello lo sapevo già dalle medie, ma anche per il suo carattere. Il suo non darmela vinta mi attirava. Poteva infastidirmi quanto voleva, ma non era un fastidio fastidioso. Non so se capite… vabbè su, sono un maschio, lasciatemi svarionare. Un fastidio fastidioso l’avevo provato vedendo quel maiale ubriaco addosso alla MIA Vane. Che liberazione. Finalmente l’avevo ammesso! Lei mi piaceva, e anche molto, e, seppur il mio orgoglio maschile mi gridava che stavo facendo una cazzata e che se si fosse svegliata mi avrebbe visto in atteggiamenti decisamente non da me, non potevo fare a meno di stare lì con lei, tenendole la mano. Era l’unica cosa che potessi fare, e comunque non mi dava fastidio stare lì con lei.

 

Anzi…

Guardai il suo viso: aveva, ovviamente, gli occhi chiusi, e un qualcosa di nero era sparpagliato su tutte le sue guance. Non so cosa fosse, o meglio, sapevo che era qualcosa che c’entrava col trucco ma non sapevo il nome del cosmetico. E poi guardai la sua bocca, socchiusa, e non riuscii a impedirmi di ripensare (o meglio, non ci provai nemmeno) a quel bacio al sapor di cioccolata. La tentazione di baciarla era forte, ma non volevo approfittarmi del suo sonno per fare una cosa che volevo fare.
Volevo che lei fosse cosciente del bacio, volevo che lei mi guardasse negli occhi prima di poggiare le sue delicate labbra sulle mie…
No, quello non ero decisamente io. Ma che cazzo mi stava succedendo? Che fine aveva fatto lo stronzo, orgoglioso e spavaldo Riccardo Canepa? Che cosa mi aveva fatto lei per farmi diventare così… smielato?
Erano quelle le domande che mi ponevo quando sentii una lieve e debole pressione alla mano. Alzai di scatto lo sguardo, prima di vederla sbattere le palpebre, smarrita.

 
Vane’s pov

 


Beh, inutile dire che non appena mi svegliai sentii un dolore lancinante alla testa, che non riuscivo a muovere un solo muscolo e bla bla bla. Fosse stato quello il peggio… il peggio era che sentivo la mano andare letteralmente a fuoco.
Sentivo delle formichine partire dalle mie dita e camminare lungo tutto il braccio, poi sulla schiena per diffondersi in tutto il corpo. E quando mi accorsi il perché di quella brutta sensazione la mia opinione cambiò subito: era decisamente una bella sensazione, bellissima, stupenda, strabiliante, sublime.

Non iniziai a chiedere “perché sono qui? Cosa mi è successo? Oddio voglio la mammaaaa”, anche perché la mia capacità di gestire il linguaggio se ne andò a puttane non appena fissai i miei occhi nei suoi, che speravo mi stessero guardando già da un po’.
Non sapevo cosa dire, in effetti volevo sapere cosa mi fosse successo, ricordavo di essere svenuta, ma non pensavo che si finisse all’ospedale (direi che le pareti bianche e i meccanismi vicino al mio letto – ma fortunatamente non attaccati a me – fossero la prova schiacciante del fatto che quello fosse un ospedale)  per uno svenimento. Lui invece sembrava in imbarazzo, non saprei perché. Forse perché mi stava tenendo la mano, atteggiamento non da lui, o forse per qualche suo pensiero.
Chi sa… avrei tanto voluto che lui si trasformasse in un libro in modo che io potessi leggere i suoi pensieri. Vidi le sue labbra muoversi, ma capii poco delle sue parole, il suo era un sussurro MOLTO sussurrato.
“Co-cosa?” balbettai. Mi spaventai della mia voce: roca, assonnata e gutturale.
Oddio! E se avesse pensato che ero andata all’ospedale perché volevo trasformarmi in uomo?

“La testa. Ti fa male?” disse, questa volta un po’ più ad alta voce e accennando col capo alla mia testa.
“Un po’…” ammisi.
“Immagino, con la botta che hai preso…” Ah, avevo preso una botta. Buono a sapersi! In ogni caso mi bastava sapere quello, anche perché ero concentrata sulla sua mano, che non accennava a staccarsi dalla mia. Mi venne in mente una frase:

Stai tranquilla Vane, ci sono io… sono Rick…”

“Sei stato tu?” sussurrai, ma lui sentì.
“A fare cosa?” chiese, alzando un sopracciglio.
“A picchiare il tipo, a sussurrarmi di stare tranquilla…” si irrigidì, e questo mi diede la conferma che ciò che avevo detto era giusto.
“Io… ero spaventato per te, sei comunque la ragazza con cui sono cresciuto…” Oddio. Pensavo di morire d’infarto, altro che testa.
“Grazie, comunque…” dissi.

Improvvisamente la porta della stanza in cui mi trovavo si aprì, e i miei genitori si tuffarono su di me.
“Oh, piccola mia!”… “Tesoro, come stai?”… “Quanto sangue!”…
“Sto bene, grazie mamma, grazie papà.” Feci un sorriso forzato, e la testa mi fece male.
I miei, e anche Rick, che mi strinse un pochino la mano (fui felice di capire che non me l’aveva mai lasciata) capirono dalla mia smorfia che “stare bene” non era sinonimo di ciò che provavo io.
“Ma cosa è successo? L’infermiera che ci ha chiamati ci ha solo detto di venire di corsa senza spiegarci nulla…” disse mio padre.
“Beh, io e Daniele stavamo camminando in quella strada buia quando abbiamo sentito Vane urlare. Io ho riconosciuto subito la sua voce, e quando abbiamo capito da dove venisse e perché Vane avesse urlato così…” iniziò Rick.
“Cosa è successo? Vai al sodo, ragazzo!” strillò mio padre in preda ad una crisi di nervi.
“Beh, c’era un ragazzo che…” continuò Rick, ma lo interruppi.
“Cercava di avvicinarsi a me. Per fortuna non ci è riuscito – dissi guardando Rick, sperando che capisse che non volevo che i miei sapessero cosa fosse successo veramente – la mia autodifesa è ancora buona. Purtroppo però, per via della fatica fatta a danza e per lo spavento le mie gambe non mi hanno retta e sono caduta sbattendo per terra la testa, o almeno credo…”

“Si, è andata esattamente così. Poi l’abbiamo portata all’ospedale quando ormai era svenuta.” Lo ringrazia mentalmente, tante, troppe volte. Aveva capito, lui mi aveva capita. Sorrisi improvvisamente. Certo, con lo sguardo che gli avevo lanciato non poteva non avermi capito, ma scemi com’erano i ragazzi d’oggi mi sorpresi e fui felice che proprio lui mi avesse dato corda. Proprio lui, che in un altro giorno avrebbe detto il mio esatto contrario. Sperai che tutta quell’apprensione non fosse dovuta al fatto che mi trovassi in un ospedale con la testa fasciata e sanguinante; poi però pensai che al solito Rick non sarebbe fregato un cazzo, che mi avrebbe fatto fare la figura della bugiarda anche se fossi stata in punto di morte. Si, era decisamente una giornata strana. Lui era strano. Mi appuntai mentalmente di chiedergli, non appena fossimo stati soli (SE lo fossimo stati), del perché di quello strano cambiamento. 

“Ma… voi?” chiese mia madre, continuando a fissare le nostre mani, sempre l’una nell’altra. A quella mezza domanda cercai di scostare subito la mia mano dalla sua, ma lui me la tenne stretta, facendomi capire che non l’avrebbe lasciata andare.

“Noi…” iniziò Rick, ma io lo interruppi nuovamente.
“Noi dobbiamo parlare.” Guardai mia madre, che capì immediatamente (e da quanto capii fu molto felice di lasciarci soli, dato che era sempre stato il suo sogno una storia tra me e Rick).
“Tesoro vieni, andiamo a chiedere all’infermiera se ha qualcosa da mangiare per Vanessa.” Disse mia madre, trascinando mio papà, molto confuso, fuori dalla stanza.

Eravamo soli. Io e Rick… andai dritta al punto.

“Sei strano. Che ti succede?” veloce e immediato. Celer et immediate. Feci un “tick” vicino all’appunto mentale che avevo preso poco prima.
Come scottato, Rick lasciò andare la mia mano. Ci rimasi un po’ male, ma non lo diedi a vedere.

Vedendo che non rispondeva alzai un sopracciglio. “Beh?” chiesi, impaziente.
“Beh… perché dovrei essere strano?”

“Perché si... insomma, mi stringi la mano, resti vicino a me, non mi prendi in giro… non che mi dispiaccia, però tutto questo è strano da parte tua.”

“Le persone possono cambiare.”

“Così velocemente? E poi… TU?”

Ero sbalordita. Non poteva avere detto una cosa del genere! Lui era il cattivo ragazzo, lo stronzo, quello che rideva se ti facevi male, non quello che ti teneva la mano e ti guardava con aria compassionevole. Anche perché io non volevo la sua compassione. Ero abituata a cavarmela da sola e sapere che qualcuno provasse compassione per me mi urtava i nervi. Soprattutto non dovevo sembrare debole davanti a lui. Sarebbe stato un colpo basso per me, nonostante lui in quel momento sembrasse molto più fragile di me. Sembrava sull’orlo delle lacrime, sembrava… un ragazzo normale. Mi resi conto che non avevo mai considerato Riccardo un ragazzo normale. Lui per me era lo stronzo, privo di sentimenti umani. Eppure lui era umano e magari qualche sentimento lo provava.

“Io… beh, sono cambiato ok?” e detto questo si alzò dalla sedia e fece per andarsene. Non appena appoggiò la mano sullo stipite della porta però si fermò, pronunciando le parole “Oh al diavolo!”.

E tornò indietro.

E appoggiò le sue labbra sulle mie.

E mi strinse leggermente a sé attraverso le lenzuola del lettino dell’ospedale.

E mise una mano tra i miei capelli, massaggiandoli.

E poi se ne andò, lasciando un vuoto nella mia anima.
 
                                                                                            *          *          *


Dopo quattro giorni ritornai a scuola. Avevo ancora un cerotto in testa che non mi donava affatto, ma dovetti accettare anche quello. D’altra parte, i prof non mi interrogarono pensando che affrontando un’interrogazione la mia testa sarebbe prima o poi esplosa.
Cercavo in tutti i modi di non pensare al bacio che Rick mi aveva dato e per lo più lo stavo evitando senza nemmeno occuparmi di non darlo a vedere. Altrimenti ad esplodere sarebbe stato il mio cuore.
Stavo giusto parlando con Giorgia di quanto fosse bella la vita da single quando una figura alta e bionda si stagliò davanti a me.

“Bruzzone, potresti lasciarci da soli?” la richiesta risultò quasi un ordine. Guardai Giorgia, nella speranza che capisse che non volevo rimanere sola con lui, ma credo che avesse il terrore di Rick, poiché scappò a gambe levate. Mannaggia a lei!

“Mi stai evitando?” chiese Rick. Non ebbi il coraggio di alzare gli occhi su di lui. Non potevo guardare i suoi occhi, sarei caduta in un vortice di emozioni troppo forte, troppo travolgente per poterlo fermare. Avrei visto le migliaia di sfumature che i suoi occhi contenevano, mi sarei tuffata in un caleidoscopio di colori che non potevano essere attribuiti agli occhi di un essere umano. Ok, forse quando dicevo di non aver mai considerato Rick come un essere umano mi riferivo al fatto che lui era troppo bello per essere umano.

“N-no.” Balbettai, risuonando convincente forse per una balbettante bambocciona banda di babbuini.
Stavo facendo pensieri a caso. Nella mia testa risuonava la melodia “Che confusione, che cuoco pasticcione!” dello Zecchino d’oro. Si, stavo decisamente sclerando! E la sua vicinanza non aiutava affatto. Ero disperata… un contrasto di emozioni mi vagava nello stomaco. Mi veniva quasi da vomitare per l’agitazione. Perché cavolo Riccardo Canepa, si proprio quell’essere insipido e stronzo che tanto odiavo, doveva farmi quell’effetto?

“A me sembra proprio di si. E guardami quando ti parlo, cazzo!” urlò quasi, prendendo con le dita il mio mento e costringendomi a guardarlo. Non lo avessi mai fatto… quel giorno era più bello del solito. I capelli biondi erano senza gel né lacca, erano allo sbando, si vedeva che fossero morbidi, e percepivo il loro odore di shampoo nonostante non li stessi annusando. I suoi occhi… beh erano esattamente come li avevo immaginati: una miriade di sfumature verdi, azzurre, grigie e gialline. Le sue labbra erano serrate, non vedevo i denti bianchi, ma potevo immaginarli. Era incazzato, o meglio, FURIOSO. Meravigliosamente furioso.

“Senti Rick, che cazzo vuoi da me, si può sapere? Lasciami stare!” urlai di rimando, incapace di contenere tutte le emozioni che provavo. Dovevo sfogarmi.

“Io voglio te, lo capisci?” disse, ma non mi fermai a guardare cosa stesse provando lui. Perché il mio cuore perse un battito. Le mie gambe stavano per cedere. Strabuzzai gli occhi, incapace di niente. Deglutii a fatica, poiché avevo la gola secca. Mi aggrappai a lui, per non cadere e perché era la cosa migliore che potessi fare. Feci combaciare le mie labbra alle sue, perché era la risposta migliore che gli potessi dare.

Angolo autrice:

Eccomi qui… dopo quasi un anno. Non so veramente come chiedervi scusa, so che aspettare così tanto non è bello e soprattutto vi capisco perché sono la prima ad odiare le autrici quando non aggiornano per mesi. Quindi, se mi odiate vi capisco :(  A parte ciò… sono tornata con un capitolo che era mezzo scritto da ottobre, poi sono successi vari casini e la mia vita si è complicata, forse perché sono un po’ cresciuta o forse perché le prime delusioni sono veramente difficili da superare. A parte ciò, so di essere e di scrivere in modo meno simpatico, ma non riesco a non scrivere qualcosa di più poetico nella storia… il classico sta facendo effetto! Ahahah D:
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, sappiate che se non vi è piaciuto e scriverete critiche vi capirò nuovamente! Ok, sto esagerando, sono veramente un po’ fuori di testa e logorroica questa sera. Forse perché mi era mancato scrivere ed avevo così tante cose da dirvi!
Comunque sto pensando ad un’altra storia, è in fase di elaborazione ;) Credo si intitolerà “Spy Girl” o qualcosa del genere, ma fidatevi che sarà geniale. Ho delle idee fantastiche, ragazze! Non ho niente contro Rick e Vane, ma mi rendo conto che Ginnastica possa sembrare un po’ banale. Beh, sappiate che “Spy Girl” non avrà nulla di banale. Seguitemi e… RECENSITE!
Baci, _Maddy <3
 

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