Tra le righe del cuore

di fra_piano for ever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una grigia giornata. ***
Capitolo 2: *** Una soffocante pressione. ***
Capitolo 3: *** Innegabile attrazione. ***
Capitolo 4: *** Importanti decisioni. ***
Capitolo 5: *** Complicità nell'aria. ***
Capitolo 6: *** Fragilità. ***
Capitolo 7: *** Segreti inconfessabili. ***
Capitolo 8: *** Mettere a tacere il cuore. ***
Capitolo 9: *** Immerso nel passato. ***
Capitolo 10: *** Solo scuse. ***
Capitolo 11: *** Risse e litigi. ***
Capitolo 12: *** Timidi raggi di speranza. ***
Capitolo 13: *** Sentimenti contrastanti. ***
Capitolo 14: *** Compromessa stabilità. ***
Capitolo 15: *** Amare sorprese. ***
Capitolo 16: *** Col cuore diviso a metà. ***



Capitolo 1
*** Una grigia giornata. ***


Nel cielo plumbeo di Buenos Aires non si vedeva altro colore che un grigio catrame che oscurava il Sole. Diego distolse lo sguardo dal finestro del taxi che era venuto a prenderlo dal locale dove si era appena sistemato e sbuffò per l'ennesima volta in pochi minuti. La tensione che lo accompagnava da quando aveva messo piede nella grande città argentina era quasi tangibile, ma nonostante questo il giovane continuava a fingersi indifferente a tutto e a tutti e sfoggiava un'aria strafottente. Quella recita, però, non gli riusciva particolarmente bene e lui stesso se ne rendeva conto. D'altronde sarebbe stato impossibile per chiunque rimanere tranquillo in una simile situazione: quel giorno, con tutta probabilità, avrebbe iniziato a raddrizzare un po' le cose. Era proprio quello il motivo per il quale era giunto a Buenos Aires: trovare sua sorella e rendere meno amara la sua schifosa vita. Un misto di aspettativa e di felicità lo avvolgeva in quel momento, ma al contempo sentiva una strana sensazione alla base dello stomaco che come un peso lo opprimeva e che Diego identificò come paura. Sì, lui, l'impavido e arrogante Diego, aveva paura. Normalmente avrebbe riso al solo pensiero e avrebbe mandato a quel paese il malcapitato che aveva avuto il coraggio di fare una simile insinuazione, ma in quei pochi istanti che lo separavano dal suo destino ammise a se stesso di provare quel sentimento. Con un gesto annoiato iniziò a giocherellare nervosamente col cellulare per ammazzare il tempo. Infine arrivarono le tanto attese quanto temute parole: “Siamo arrivati, giovanotto!” Il tassista fermò la macchina davanti ad un enorme edificio, scuro come il cielo di quella giornata e che sembrava piuttosto vecchio. Già dalla facciata esterna la costruzione aveva un'aria seriosa, anche se Diego non poté fare a meno di notare i muri scrostati in più punti e costellati da scritte vandaliche di tutti i colori. Poche finestre adornavano il luogo che, con quella tonalità di grigio smorto, trasmetteva un'incredibile tristezza. Alcuni scalini, che un tempo dovevano essere bianchi ma che adesso avevano assunto un colore indefinito vicino al giallognolo, introducevano al gigantesco portone di legno con la maniglia dorata che dava accesso all'edificio. L'agitazione di Diego era salita a livelli massimi, tanto che il moro respirava affonosamente per riprendere fiato e sentiva la gola ardere, completamente secca. Il giovane cercò di tranquillizzarsi, ripetendosi di non perdere il controllo, ma proprio non riusciva a rimanere calmo in quel momento. Dov'era finito il Diego sfacciato e intraprendente che non aveva paura di nulla e di nessuno? Si era volatilizzato, schiacciato dal peso di un destino più forte di lui. “Potrebbe darsi una mossa, signorino? Non ho tutto il giorno!” sbraitò l'autista, distogliendolo dal suo farneticare. Insultando mentalmente quell'uomo tanto antipatico, Diego aprì la portiera del taxi e si ritrovò sul marciapiede, scivoloso per via della pioggia che aveva iniziato ad abbattersi scrosciante sulla città. Con l'ansia che cresceva man mano che si avvicinava all'edificio,iniziò a salire gli scalini per poi arrivare davanti all'enorme portone. Con un gesto nervoso si sistemò il colletto del giubbotto di jeans che indossava e si pettinò con le mani i ribelli capelli castano scuri. Gettò un'occhiata sul display del cellulare, osservando accuratamente il suo riflesso, per poi annuire con aria soddisfatta. Si fece coraggio e dopo aver preso un profondo respiro poggiò una mano sulla maniglia dorata e la tirò verso di sé. Il giovane si ritrovò nella sala d'ingresso dell'edificio e si diresse con passo svelto verso i cartelli che davano indicazioni per orientarsi in quella specie di labirinto. Fece scorrere lo sguardo sulla lista dei vari uffici fino a trovare ciò che cercava. “Ufficio anagrafe” recitava una scritta bianca con affianco una freccia che indicava la destra. Sempre più nervoso, il giovane seguì la direzione indicata e si ritrovò di fronte ad una porta socchiusa. Bussò timidamente e attese impaziente il permesso di varcare la soglia di quella stanza. Dopo neanche una manciata di secondi una squillante voce femminile lo invitò ad entrare e con una fretta impressionante Diego si catapultò all'interno dell'ufficio. Una giovane donna dai capelli castani che le scendevano lisci e perfettamente pettinati sulla schiena siedeva dietro ad una scrivania, intenta a osservare scrupolosamente lo schermo del computer, dove era apparso un elenco di nomi che sembrava non finire più. “Marcela Parodi” era scritto sul cartellino agganciato alla maglietta. “Scusi, ho bisogno di informazioni su una persona. Da quel che mi hanno detto ho capito che è stata adottata. Io sono il fratello.” si affrettò a specificare Diego. La donna scosse la testa con aria seriamente rammaricata. “Mi dispiace: non siamo tenuti a dare queste informazioni.” “Ma le ho appena detto che sono il fratello!” esclamò furioso il giovane. “Sono spiacente, ma non posso. Quando un minore viene adottato, alla famiglia d'origine non è permesso di cercarlo, solo il diretto interessato può, una volta compiuti i diciotto anni, rintracciare i genitori e i parenti naturali: é la prassi.” spiegò la donna. “Sono suo fratello: questo conterà pur qualcosa!” Diego si fece rosso in volto per la rabbia. Non poteva accettare una simile risposta, non dopo tutta la fatica che aveva fatto. Era tornato a Buenos Aires, la sua città natale, nonostante fosse piena di ricordi che avevano riaperto quelle ferite che ormai credeva almeno in parte rimarginate e tutto per sentirsi dire che non poteva avere informazioni di sua sorella! Sentì la delusione invaderlo, privandolo di tutte le speranze e le aspettative e lasciandogli dentro un vuoto enorme, incolmabile. “Per favore...” sussurrò unendo le mani a mo' di preghiera. Mai avrebbe immaginato che proprio lui, l'orgoglioso e arrogante Diego, sarebbe finito in una simile situazione, ma avrebbe scalato le vette più ripide e attraversato l'oceano a nuoto se gliel'avessero chiesto, pur di ritrovare sua sorella. Marcela, guardando il giovane davanti a sé, sentì nascere in lei un forte senso di compassione. Quanto era crudele rifiutare ad un povero ragazzo delle informazioni sulla sorella? La legge, però, era chiara e non l'aveva fatta lei, non era colpa sua. Continuava a ripetersi queste parole nella mente, ma sapere di non essere lei la causa della tristezza del giovane non la faceva sentire meglio. Si sentiva impotente: era straziante assistere ad una simile scena. Chissà come doveva sentirsi infelice e solo quel poveretto! Tuttavia lei non poteva fare niente per aiutarlo, concedergli quelle informazioni sarebbe stato contro la legge e lei non poteva macchiarsi la fedina penale e perdere il lavoro nel caso l'avessero scoperta. Inoltre se la sorella era, come la Parodi era quasi del tutto certa, una minorenne i loro sforzi sarebbero stati doppiamente vani, poiché, anche se il giovane l'avesse ritrovata, i genitori adottivi della ragazza avrebbero potuto comunque vietargli di vederla sfruttando il fatto che per legge lui non avrebbe neanche dovuto cercarla. Con un sospiro la donna decise di affrettarsi a rifiutare nuovamente quelle informazioni al ragazzo, prima che quello sguardo così triste e vuoto la facesse soccombere. Imponendosi di rimanere distaccata guardò dritto in volto il giovane e disse solo: “Mi dispiace.” Il dolore sordo che lesse in quegli occhi dalle iride castane con sfumature verdi le fece più male di una pugnalata in pieno petto, ma sapeva che quella era la scelta migliore per tutti. Non poteva illudere quel ragazzo fornendogli l'identità di una sorella che non avrebbe potuto avvicinare. “E così non può? E va bene, non fa niente: non era poi così importante.” mentì Diego, cercando di nascondere la sofferenza dietro ad una maschera di glaciale indifferenza. Strinse talmente forte i pugni da far sbiancare le nocche, mentre il volto diventava sempre più rosso per la rabbia e la delusione. Diego sapeva riconoscere una battaglia persa e quella era esattamente la situazione in cui si trovava in quel momento, aveva la certezza che quella fosse l'ultima parola di Marcela e che la giovane impiegata non sarebbe ritornata sulla sua decisione. Continuava a ripetersi di rimanere calmo e di non perdere il controllo, ma quella batosta faceva male, terribilmente male. Sentiva come se il mondo, improvvisamente, gli fosse crollato addosso con tutto il suo enorme peso. Senza aggiungere una sola parola si avviò verso la porta e la spalancò con foga. “Aspetta ragazzo, calmati un po': sei troppo sconvolto per andare in giro! Mettiti comodo, ti preparo un the caldo.” La donna si addolcì alla vista della reazione del giovane e subito si diresse verso un distributore automatico di bevande posto nell'angolo più a destra della stanza. Diego, però, la ignorò completamente e uscì dalla stanza sbattendo con una forza incredibile la porta, tanto che Marcela per un momento temette che il giovane l'avesse scardinata. Il ragazzo corse fuori dall'edificio il più velocemente possibile, temendo che la donna l'avesse seguito. Nel suo cuore, però, sperava vivamente che la giovane impiegata non avesse avuto l'ardore di farlo perché altrimenti era certo che si sarebbe messo ad insultarla pesantemente davanti a tutti, sfogando su di lei tutta la sua rabbia e la sua frustazione. Come aveva potuto essere così sciocco da pensare di poter ritrovare sua sorella? Quella di tornare a Buenos Aires era stata una pessima idea: quella città sembrava destinata ad arrecargli solo dolore e infelicità, come già in passato era successo. Doveva andarsene di lì il più in fretta possibile, era stato tutto un errore, ne era convinto e il prima possibile avrebbe abbandonato quella spirale di tristezza e sofferenza, volando lontano per potersi finalmente liberare dai suoi fantasmi e, se possibile, dimenticare.





Violetta correva sotto la poggia che copiosa cadeva dal cielo temporalesco, ricoprendo le strade di uno straterello d'acqua estremamente scivoloso. Era tremendamente in ritardo e il peggio era che quel giorno alla prima ora aveva lezione con quello scorbutico di Gregorio, quindi se non si fosse data una mossa avrebbe dovuto sorbirsi una partaccia infinita dall'uomo. Non che normalmente le importasse di ricevere rimproveri o castighi dai professori, ma con l'insegnante di danza non c'era da scherzare, perché era capace di sbattere fuori dallo Studio anche per la più piccola schiocchezza. Per la fretta la giovane Castillo non vide una buca posta nel centro del marciapiede, prendendola in pieno e cadendo rovinosamente a terra. Imprecando mentalmente contro gli stivale col tacco che aveva indossato quella mattina, Violetta si rimise in piedi e riprese la sua folle corsa alla volta dello Studio On Beat. Quella giornata era inziata decisamente male quando quella mattina la sveglia non aveva suonato e non sembrava far altro che peggiorare sempre di più. La giovane Castillo accellerò il passato e gettò un'occhiata veloce al display del cellulare. Le nove meno cinque. Se non fosse arrivata allo Studio entro due minuti non avrebbe avuto neanche il tempo di cambiarsi. Fortunatamente dopo pochi passi apparve davanti a lei, dietro ad una curva, l'imponente facciata della scuola di musica in cui studiava. Ce l'aveva fatta: era arrivata sul filo del minuto ma era riuscita a non fare ritardo. Ancora non ci credeva ed euforica esultò verso il cielo, incurante della pioggia scrosciante che le scivolava addosso, inzuppandole i vestiti. Ora, però, doveva cambiarsi in tutta fretta o la stancante corsa che aveva fatto non sarebbe servita a nulla! Veloce come un fulmine entrò nell'edificio e si diresse verso gli spogliatoi. Nel corridoio, però, una scena la bloccò, facendole mandare all'aria tutti i buoni propositi di arrivare in orario alla prima ora di lezione. Un ragazzo alto e moro con dei capelli pettinati in un ciuffo ribelle che tendeva a coprire leggermente quegli occhi blu mare che Violetta conosceva bene impediva il passaggio. Di fianco a lui una giovane piuttosto formosa dai capelli castani e lucidi e dalla statura decisamente bassa per la sua età sogghignava soddisfatta, pregustandosi degli attimi di puro divertimento. Violetta si avvicinò ai suoi amici e sfoderò uno dei falsi sorrisi per i quali era ben conosciuta allo Studio. “Thomas! Lara! Tutto bene?” domandò la Castillo. “Più che bene, direi... gaurda un po' chi abbiamo qui!” Lo spagnolo indicò con cenno della mano una ragazza dai ricci neri ordinatamente pettinati che le cadevano sulla fronte spaziosa. Violetta si leccò le labbra soddisfatta: quanto potevano essere perfetti i suoi amici? Le avevano appena trovato la preda ideale per sfogare il suo cattivo umore! Adorava Lara e Thomas, rispecchiavano il tipo di persona più adatto a starle vicino. Con i loro caratteri ribelli e piuttosto i rozzi i due la seguivano in ogni guaio in cui si cacciava e talvolta, come quella giornata, erano loro stessi ad organizzare qualcosa. I suoi amici non potevano essere più simili: stesso abbigliamento casual costituito principalmente da salopette larghe e comode per Lara e da giacche di jeans strappate e T-shirt di tutti i tipi per Thomas, stesso atteggiamento strafottente e soprattutto stessa voglia di divertirsi a tormentare gli altri. “Allora che ci dice la piccola Nata?” domandò con voce falsamente dolce Lara. La ragazza dai riccioli neri abbassò la testa, troppo impaurita per alzare anche solo lo sguardo e improvvisamente interessata alle piastrelle lucide che ricoprivano il pavimento dello Studio. “Avanti, di che hai paura?” domandò Violetta. “A...andatevene v..via.” balbettò la mora. “Come hai detto scusa?” Thomas finse di non aver sentito e le si avvicinò pericolosamente, fermandosi a pochi centimetri da lei. “Non ti permettere a dirmi quello che devo fare, tesoro.” mormorò il giovane usando un tono falsamente dolce. “E guardami mentre ti parlo!” le sbraitò contro, sollevandole il viso con due dita. Nata rabbrividì spaventata e si ritrasse, cercando di abbassare nuovamente il volto. Thomas, però non glielo permise, stringendole il mento con una mano e impedendole qualunque movimento. Nata sentì gli occhi bruciarle tremendamente ed era sicura che di lì a poco sarebbe scoppiata in un pianto a dirotto se una voce dolce e melodiosa non avesse interrotto quel terribile momento. “Cosa sta succedendo qui?” domandò infatti una giovane donna dai capelli color miele che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle. “Angie... non sta succedendo assolutamente niente qui, stavamo tutti andando in classe.” si affrettò a rispondere Lara con un sorriso innocente. “Ah, qui in corridoio c'é una ressa tremenda e tu vorresti farmi credere che non sta accadendo niente? Ma credi che io sia stupida? Per questa volta lascerò perdere, ma non pensate di potervela cavare così a buon mercato la prossima volta e ora andate o arriverete tardi alla prima ora di lezione!” Le parole di Angie ricordarono agli alunni ciò che li aspettava e tutti si diressero verso gli spogliatoi, temendo di poter scatenare le ire di Gregorio nel caso qualcuno fosse arrivato in ritardo. “Violetta potrei parlarti?” domandò la bionda insegnante prima che la Castillo si dirigesse a cambiarsi insieme agli altri studenti. Con aria scocciata e spavalda la giovane si avvicinò alla Saramengo, quasi come se le stesse facendo un piacere standola ad ascoltare. E adesso cosa voleva da lei sua zia? Thomas era stato velocissimo e aveva lasciato Nata prima che la donna fosse riuscita a farsi spazio tra la folla che si era creata attorno a loro, quindi dubitava che l'insegnante di canto avesse visto qualcosa. Dunque perché voleva parlarle? Quel giorno era persino arrivata in orario, cosa alquanto rara per lei visto che spesso saltava appositamente la prima mezz'ora per farsi un giro per le strade di Buenos Aires con i suoi amici. “Che vuoi?” le domandò la nipote incrociando le braccia e appoggiandosi al muro. “Cosa stava succedendo qui in corridoio?” domandò nuovamente la donna. “E io cosa ne so? Perché lo chiedi a me?” Violetta assunse un'aria fintamente offesa per l'accusa rivoltale dalla zia. “Ho l'impressione che tu e i tuoi amici abbiate qualcosa a che fare con quella ressa che si era creata prima, ma se tu mi dici che non ne sai niente va bene, voglio crederti, anche perché io non ho prove. Sappi, però, che io mi fido di te e mi farebbe molto male scoprire che tu mi hai mentito.” Angie sperava con quelle parole di strappare alla giovane Castillo una confessione, perché, nonostante avesse affermato il contrario, la bionda insegnante non credeva alle parole della nipote. Violetta, invece si limitò ad annuire e con un gesto quasi annoiato chiese: “Hai finito o c'é dell'altro?” “No, questo era tutto, ma stai attenta, Vilu: sei finita già troppe volte in presidenza, non vorrei che tu venissi espulsa.” mormorò sinceramente preoccupata la giovane donna. “E questa cos'era, una minaccia?” Violetta si alterò parecchio. Come poteva sua zia dirle quelle cose? Lei era forse l'unica che sapeva cosa stesse passando e l'aiutava cercando di toglierle la musica, ciò a cui teneva di più? “No, Violetta mi hai frainteso: la mia non era una minaccia, era un consiglio. Antonio é molto paziente ma non può chiudere un occhio davanti a tutto, dovresti comportarti meglio: sarebbe un vero peccato che tu buttassi tutto all'aria per delle scemenze.” Angie guardò la nipote dirigersi verso gli spogliatoi con quel portamento sfacciato che già da un po' di tempo aveva iniziato a sfoggiare e che non le si addiceva per niente. Doveva fare qualcosa e subito: non poteva permettere che una ragazza piena di talento e di dolcezza come Vilu si rovinasse a causa del brutto momento che stava passando. Fuori dalla finestra la pioggia continuava a scendere incessantemente, quasi  che anche il cielo avesse visto i tristi avvenimenti che quel giorno sconvolgevano la città argentina e stesse versando lacrime per tutto quel dolore.










NOTE AUTRICE: Ed eccomi di ritorno con una nuova storia. Innazitutto ci tengo a scusarmi per la mia assenza/scarsa presenza sul fandom, ma ho passato un periodaccio perchè è morto mio nonno, al quale ero molto affezionata e che mi ha fatta appassionare alla lettura e in seguito anche alla scrittura. Per un po' non me la sono sentita di scrivere o leggere e solo ultimamente mi sto riprendendo un po'. Ma ora basta con le notizie tristi e passiamo a parlare di questa nuova storia. Ho avuto questa idea lampo ed ho iniziato a scrivere (pensate che ho già scritto i prossimi cinque capitoli che adesso sono in fase di betaggio) ma questo non vuol dire che abbandonerò l'altra mia storia che se tutto va bene ho intenzione di aggiornare questo Venerdì. Dunque, come potete notare questa ff è di un genere completamente diverso dalla precedente e parlerà di situazioni piuttosto difficili per i nostri personaggi. In questo primo capitolo conosciamo Diego che sta cercando questa sua misteriosa sorella che da quello che ne sa lui é stata adottata. Il giovane si ferma così a chiedere a Marcela che in questa storia é una giovane impiegata nell'ufficio anagrafe. La castana rifiuta, però le informazione al giovane che disperato decide di lasciare la città... Intanto viene introdotto anche il personaggio di Violetta che, come avrete potuto capire fa parte di un gruppetto di bulli insieme a Lara e Thomas e con i suoi amici si diverte a tormentare la povera Nata... Comunque conosceremo meglio questii personaggi nei prossimi capitoli nei quali, inoltre, ne verranno presentati di nuovi. Bene... ho detto tutto, ringrazio in anicipo chi deciderà di leggere/seguire/commentare questa storia, alla prossima,
Hugs and kisses,
Francy

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Capitolo 2
*** Una soffocante pressione. ***


L'ago della bilancia oscilló piú volte prima di segnare il misero peso di 45 chili, decisamente pochi per una ragazza come Ludmilla, la cui altezza sfiorava il metro e settanta. La Ferro sospiró affranta: era aumentata di un altro chilo e di sicuro suo padre non ne sarebbe stato contento. Quell'uomo aveva la mania di controllare la sua vita come se lei non fosse una persona ma un burattino che poteva plagiare suo piacimento. La bionda non gliene faceva una colpa: Damian Ferro non aveva avuto dei genitori molto presenti e cercava perció di dare a lei tutte le attenzioni che a lui sarebbe piaciuto ricevere quando aveva la sua etá. Tuttavia, se all'inizio Ludmilla aveva apprezzato che suo padre si prendesse cura di lei da quando aveva iniziato a voler decidere tutto al posto suo la ragazza si era sentita caricata di un fardello di aspettative troppo grande. L'uomo, infatti, si aspettava sempre il massimo da lei e la giovane non voleva deluderlo. Tante volte Ludmilla aveva creduto di non poter piú sostenere quella situazione ma non aveva mai detto niente, temendo che il giá scarso affetto che suo padre provava per lei scomparisse del tutto. Purtroppo lei non era come sua cugina Lena che, nonostante avesse due anni in meno, era una ballerina di danza classica giá affermata che si esibiva nei piú importanti teatri della zona. Lei era solo Ludmilla: una normale ragazza di diciotto anni che amava la musica con tutta se stessa e che non voleva dare delusioni ai suoi genitori. "Sei aumentata di un chilo, non va bene. Devi stare piu attenta e mangiare solo cibi sani." Come la bionda aveva previsto suo padre non prese molto bene quel leggero incremento di peso. Una delle tante fisse di Damian era quella del fisico, ultimamente l'uomo aveva preso a pesarla tutte le settimane per controllare che lei non perdesse la sua magnifica siloutte. La giovane Ferro era consapevole che per una ragazza con la sua statura 45 chili erano decisamente pochi, ma non disse una parola e si limitó ad annuire, fingendosi d'accordo col padre. Non osava contraddirlo perché temeva di perdere per sempre quel poco affetto che le dimostrava. Con lo sguardo basso scese dalla bilancia e si rimese le scarpe col tacco che aveva lasciato lì vicino. Stava per uscire dalla camera da letto dei suoi genitori, il luogo dove tutte le settimane veniva pesata dal padre, quando una figura slanciata fece irruzione nella camera. "Ancora con questa fissazione del peso? Tua figlia é in perfetta forma Damian! E comunque anche se non lo fosse non dovresti preoccupartene tu: ormai ha l'etá per badare a se stessa!" Esclamó Alma, la madre di Ludmilla, osservando con aria contrariata il marito che aveva tra le mani la bilancia. Neanche il tempo di ascoltare la sua risposta che la donna stava giá uscendo, dopo aver recuperato la sua costosa borsetta in pelle di coccodrillo. "Io vado dal parucchiere e poi dall'estetista, se avete bisogno di me chiamatemi." Con quelle parole Alma uscì dalla stanza, lasciando soli il marito e la figlia. Ludmilla scosse la testa amareggiata: i suoi genitori erano uno l'opposto dell'altra. Se suo padre era eccesivamente insistente, sua madre, al contrario, era troppo menefreghista e lasciava che sua figlia se la cavasse per conto proprio. Nessuno dei due, peró, era in grado di darle ció che lei da sempre bramava di piú: l'amore. Con uno sguardo afflitto la giovane lasció la camera, dirigendosi a passo svelto verso la cucina per poter fare finalmente colazione. Prese due fette di pane e le spalmó di abbondante marmellata di albicocche. Proprio quando stava per addentare la prima suo padre le strappó di mano la seconda. "Due sono troppe, ti faranno ingrassare." Rispose l'uomo alla silenziosa occhiata interrogativa della figlia. Ludmilla fece un cenno di assenso con il capo e si limitó a finire in fretta e furia l'altra fetta. Non appena terminó la sua misera colazione, la giovane afferró dall'attaccapanni dell'ingresso la sua borsa migliore e si diresse a grandi passi verso la porta principale di casa sua. "Io vado papá, altrimenti faró tardi allo Studio." Urló la giovane per farsi sentire da Damian, che era rimasto in cucina. "Va bene. Ti passo a prendere questo pomeriggio alle cinque e mezza per il corso di Disegno Artistico e poi alle sette ti porto a quello di Cinese." L'uomo le ricordó i suoi impegni, come era solito fare all'inizio di una nuova giornata. Ludmilla non rispose e dopo aver girato per tre volte la chiave nella toppa, aprí la porta e uscí di casa. L'aria frizzantina del mattino le riempí i polmoni, donandole la forza che le sarebbe servita per affrontare quella giornata che, ne era certa, sarebbe stata molto lunga e pesante. La giovane si incamminó a passo svelto per le strade della cittá, prima di andare allo Studio doveva fermarsi un attimo in un'altro luogo e temeva di arrivare in ritardo alle lezioni. Grazie alla sua andatura veloce in poco tempo la giovane Ferro si ritrovó davanti all'edificio oggetto dei suoi pensieri. Una porta di vetro scorrevole introduceva in una costruzione dalle pareti rosso fuoco sulle quali spiccava una gigantesca emme gialla. Enormi cartelloni pubblicitari circondavano il luogo, talmente insistenti da toglier quasi il fiato. Senza perdere un secondo la ragazza si fiondó nel McDonald e si mise in fila per ordinare qualcosa da mangiare. Fortunatamente quel giorno il locale non era molto pieno ed in poco tempo arrivó il suo turno. "Due cisburger, delle patatine fritte grandi, un trancio di pizza, una Coca media e un gelato per favore." Elencó Ludmilla. La signora del bancone la guardó in modo strano, probabilmente stupita dalla montagna di cibo spazzatura che la ragazza aveva ordinato. In effetti la stessa Ludmilla era rimasta impressionata da quanto fosse aumentata la quantitá di schifezze che mangiava in quell'ultimo periodo, ma non riteneva fosse un problema grave. "Ecco a te!" Esclamó dopo pochi secondi la donna, porgendole un vassoio e distogliendola dalle sue riflessioni. Dopo aver ringraziato e salutato la donna del bancone la giovane si guardó intorno alla ricerca di un tavolo vuoto. Ne individuó uno sulla sinistra proprio sotto alla finestra piú piccola del locale e si affrettó a sedersi per paura che qualcuno le potesse rubare il posto. Con lo sguardo perso nel vuoto addentó uno dei due cisburger e lo divoró con foga. Subito sentí gli sguardi delle poche persone presenti nel locale concentrarsi completamente su di lei, ma non se ne curó: era consapevole che il suo modo di trangugiare il cibo era uno spettacolo penoso. Sapeva anche che quelle abbuffate non erano affatto salutari ma quello era l'unico modo che conosceva per alleviare il dolore che provava per la mancanza di affetto da parte dei suoi genitori. Visto che il suo cuore era vuoto di amore, riempiva lo stomaco di cibo fino a star male. Ovviamente suo padre, scrupoloso e attento come solo lui sapeva essere si sarebbe potuto accorgere di quelle enormi mangiate quando la pesava, perció, appena aveva  fino di ingurgitare  tutto ció che riusciva, si chiudeva in bagno e si induceva il vomito. I primi tempi era stata dura ma piano piano si era adattata ed era diventata un'abitudine sempre piú frequente. Chissá cosa avrebbero pensato i suoi genitori sapendo come la loro unica figlia si rovinava la salute? Si sarebbero arrabbiati o forse avrebbero provato pena per lei? Ludmilla non lo sapeva e non aveva intenzione di scoprirlo: quelle abbuffate erano il suo unico conforto e non voleva negarsele per nulla al mondo! Divoró in fretta il cibo che era rimasto sul vassoio e dopo aver ripulito di tutte le cartacce il tavolo si diresse verso la toilette. Dopo pochi minuti si sentí il suono dello sciaquone rimbombare tra le strette mura e la giovane Ferro uscí dal bagno. Si fermó di fronte allo specchio e si prese tutto il tempo necessario per osservare con cura il suo riflesso. Il volto della ragazza appariva stanco e affaticato come se avesse passato una notte insonne: gli occhi arrossati spiccavano sulla carnagione pallida e le labbra erano quasi violacee per lo sforzo appena compiuto. Con gesto veloce Ludmilla estrasse dalla borsa una trousse di trucchi e incominció a nascondere i segni di quanto era appena successo con il correttore. Subito dopo spalmó uno spesso strato di fondotinta sulla pelle del viso e applicó un lip gloss sulle labbra. Soddisfatta del risultato rimase ad ammirarsi nello specchio per una manciata di minuti prima di uscire dalla toilette. Dopo aver rivolto un educato arrivederci ai pochi clienti presenti nel locale uscí in strada e inizió a camminare a passo svelto diretta allo Studio. "Ludmilla!" La giovane Ferro si voltó nella direzione della voce e incontró la figura stanca di Camilla Torres, una sua companga di scuola, che piegata sulle ginocchia cercava di riprendere fiato. A giudicare dai capelli scompigliati a dal sudore che le imperlava la fronte, la rossa doveva aver fatto una bella corsa per raggiungerla. "Cami!" Esclamó Ludmilla salutando una delle poche amiche che aveva, visto che la maggior parte del suo tempo era occupato dalle mille attivitá che suo padre la obbligava a fare. Quando raramente riusciva ad avere un po' di tempo libero da dedicare a se stessa rimaneva chiusa in casa o al massimo andava a fare shopping con sua madre, dato che non sapeva a chi chiedere di uscire. Certo Camilla e la sua amica Francesca erano molto cordiali e simpatiche, ma Ludmilla aveva paura di infastidirle e di perdere anche loro, come d'altronde succedeva sempre con le persone a cui voleva bene. Col tempo si era isolata talmente tanto dalle persone della sua etá che le sembrava quasi di appartenere ad un mondo completamente diverso dal loro e non poteva che intristirsi per questo. Aveva pochi amici che non vedeva quasi mai e non aveva avuto che delle storielle di poco conto con un paio di ragazzi. Per un po' di tempo aveva vissuto nell'illusione che un giorno un giovane sarebbe arrivato al suo fianco, donandole tutto l'amore che non aveva mai ricevuto. Dopo tanto aspettare, peró, aveva compreso che le favole non esistevano nella realtá e che nessun bel ragazzo l'avrebbe salvata da quel vortice di solitudine profonda in cui era scivolata. "Hei Ludmilla! Mi stai ascoltando?" La voce squillante di Camilla la riportó con i piedi per terra, spezzando lo scorrere dei pensieri che, come un fiume in piena, le avevano invaso la mente. "Scusami mi sono distratta un attimo, puoi ripertere quello che stavi dicendo?" Domandó mortificata la giovane Ferro. "Stavo dicendo che in centro hanno aperto un nuovo negozio, io e Francesca pensavamo di andarci questo pomeriggio verso le cinque e mezza, vuoi venire con noi?" La proposta di Camilla fece esultare di gioia la bionda, allora non era un fastidio per lei e Francesca! "É un'idea fantastica! Ci saró di sicuro!" Si affrettó ad accettare la Ferro. "Fantastico! Vedrai: ci divertiremo moltissimo!" Camilla sprizzava allegria da tutti i pori e Ludmilla non era da meno, ma tutt'un tratto tutta la felicitá per quell'uscita tra amiche svaní. Quel pomeriggio alle cinque e mezza aveva il corso di Disegno Artistico, come aveva potuto dimenticarlo? Come aveva potuto anche solo pensare che ci fosse un po' di gioia anche per lei? Improvvisamente sentí tutta la sua infelicitá  e i pensieri tristi tornare ad opprimerla, creandole un groppo in gola, mentre i suoi occhi, ancora rossi, iniziarono a pizzicarle e a farsi lucidi. "Tutto bene Ludmilla? Hai una faccia... C'é qualcosa che non va?" Camilla le si fece vicino e la scrutó con preoccupazione e premura. Ecco: quello era lo sguardo con il quale avrebbe voluto che le persone la guardassero! Non con quella disapprovazione che leggeva negli occhi di suo padre secondo il quale lei non si impegnava mai abbastanza o con quella indifferenza che le dimostrava sua madre, sempre troppo occupata a far altro per prendersi cura di lei. Non conosceva benissimo Camilla, ma sentiva di potersi fidare di lei e forse un giorno le avrebbe raccontato tutto quello che le accadeva, ma in quel momento ancora non si sentiva pronta per quello. Si limitó a spiegarle che quel pomeriggio aveva altri impegni e le fece credere che la sua brutta cera fosse dovuta al non poter uscire con lei e Francesca. "Non preoccuparti: ci saranno altre occasioni per stare insieme!" Esclamó con la sua solita allegria la rossa. "Aspetta un attimo: tu hai gli occhi arrossati e il volto  sciupato, non dirmi che ti induci ancora il vomito!" Esclamó avvicinandosi a lei la Torres e scrutandola con sincera preoccupazione. Ludmilla sospiró affranta, aveva quasi dimenticato che Camilla era venuta per caso a conoscenza del suo problema. Un giorno, infatti, la Ferro era uscita di casa talmente tardi che non aveva avuto il tempo di andare in bagno al McDonald come faceva di solito e perció ci era andata non appena era arrivata allo Studio. Nella fretta per paura di arrivare tardi a lezione si era completamente dimenticata di chiudere la porta e Camilla, che proprio in quel momento stava entrando nella toilette, l'aveva scoperta. Ricordava ancora la paura che aveva provato nel sapere che qualcuno era a conoscenza del suo problema, ma Camilla era stata molto comprensiva con lei e le aveva promesso di non dire nulla a nessuno di quanto aveva visto. Ludmilla sapeva che per una chiaccherona come la Torres era molto difficile mantenere un segreto e a maggior ragione per questo aveva apprezzato il fatto che Camilla non avesse aperto bocca. "Ludmilla! Ludmilla! Ti sei distratta un'altra volta! La mancanza di cibo ti fa male, non riesci neanche a concentrarti su quello che ti sto dicendo!" La rimproveró la rossa. "Scusami, oggi non é proprio giornata. Stavi dicendo?" Ludmilla doveva ammettere che Camilla aveva ragione sul fatto che il modo non salutare in cui mangiava le nuoceva, ma come poteva spiegare alla rossa che quello era l'unico modo che conosceva per sopperire alla mancanza di affetto? Nessuno l'avrebbe mai potuta capire... "Stavo dicendo che non dovresti rovinarti cosí la salute. Hai un fisico perfetto che tutte le ragazze vorrebbero avere e non puoi ridurti cosí per una sciocca fissazione!" Fraintese tutto Camilla, credendo che la Ferro si inducesse il vomito perché ossessionata dall'ideale di magrezza assoluta. "Non é come pensi, non sono io che voglio essere a tutti i costi magra come un grissino, é mio padre. Lui ha la fissa della perfetta siloutte e tutte le settimane mi pesa per controllare che non sia aumentata." Spiegó brevemente la Ferro. "Allora non potresti semplicemente diminuire la quantitá di cibo che mangi, invece di cercare di vomitare?" Suggerí la rossa. "Vedi... Il fatto é che le abbuffate mi fanno bene! Quando mi riempio di cibo é come se quel vuoto che sento nel cuore per la mancanza di affetto da parte dei miei genitori si riempisse un po'"."ammise Ludmilla, decidendo che ormai Camilla sapeva troppo di lei per essere tenuta all'oscuro delle sue mangiate. "Ludmilla questo é un problema grave: dovresti farti vedere da uno psicologo o comunque da qualcuno di competente. Non puoi continuare cosí!" Il tono di solito sempre allegro e scherzoso di Camilla si era fatto serio e preoccupato e Ludmilla dovette ammettere che quanto suggerito della Torres era la cosa migliore da fare. Solo che lei non poteva andare da uno specialista: avrebbe dovuto parlare con i suoi genitori e cosa avrebbe potuto dire per convincerli che aveva bisogno di aiuto? Niente, sua madre come sempre l'avrebbe liquidata tirando fuori uno dei suoi soliti impegni e suo padre avrebbe insistito col fatto che non era niente di importante e che invece di pensare a quello avrebbe dovuto impegnarsi di piú nelle attivitá che svolgeva. E comunque anche se avesse risolto il problema delle abbuffate non avrebbe mai potuto risolvere quello della mancanza di affetto, perció era meglio lasciare cosí le cose. "No Camilla non posso andare da uno specialista... Promettimi che non dirai a nessuno quello che ti ho raccontato." Negli occhi scuri di Ludmilla si leggevano una disperazione e un'infelicitá da far paura e la Torres non poté fare a meno di annuire a quella richiesta. "Va bene." Si arrese Camilla. Da una parte la rossa si sentiva in colpa per non poter fare nulla per aiutare Ludmilla e sentiva la forte necessitá di condividere quel terribile segreto con Pablo o con qualche altro professore dello Studio che forse avrebbe potuto fare qualcosa in piú di lei per la Ferro. Ludmilla, peró, aveva riposto in lei la sua fiducia e non si sentiva di tradirla, anche se a fin di bene. Decise cosí che per il momento non ne avrebbe fatto parola con nessuno ma se le cose fossero precipitate avrebbe di sicuro riferito la situazione della giovane ad un adulto. Soddisfatta per la scelta presa, Camilla si voltó verso Ludmilla e le propose di fare insieme il breve tratto che mancava per arrivare allo Studio. La Ferro accettó di buon grado quella proposta, grata che la rossa avesse lasciato cadere l'argomento di conversazione. Durante la strada che conduceva alla scuola di musica che entrambe frequentavano nessuna delle due aprí bocca: Camilla stava ancora elaborando quanto aveva appreso dalla Ferro e Ludmilla come sempre era persa nei suoi tristi pensieri. Le due varcarono contemporaneamente la soglia dello Studio e subito videro un giovane uomo dai capelli corvini e un filo di barba perfettamente curata venire loro incontro con aria preoccupata. "Ludmilla proprio te stavo cercando... Devo parlarti urgentemente in privato, seguimi per favore." La voce grave del direttore dello Studio spaventó la Ferro. Cosa voleva Pablo da lei? Aveva fatto qualcosa di male? Non le sembrava di ricordare niente del genere e allora perché l'uomo le aveva chiesto di parlare in privato? Come mai Pablo che solitamente era cosí allegro e solare aveva quella faccia cosí tesa? Non sapendo come risolvere i suoi dubbi decise che la cosa migliore da fare era chiedere al giovane direttore. "Ho fatto qualcosa di male?" Domandó infatti la Ferro. "No, niente del genere, semplicemente sono preoccupato per te, ma preferirei non parlare di questo davanti agli altri studenti. Seguimi." Ripeté Pablo. Ludmilla obbedí prontamente e poco dopo e due si trovavano davanti alla porta dell'aula professori. Il direttore la spalancó ed entró nella spaziosa stanza, subito seguito dalla bionda. "Ah Angie... Non mi ero accorto che c'eri giá tu qui dentro. Ti da fastidio se io e Ludmilla parliamo un attimo? Sai si tratta di una cosa un po' delicata e non voglio parlarne davanti ad altri studenti." Spiegó Pablo facendo annuire prontamente la collega, nonché sua migliore amica da parecchi anni. "Figurati, non mi da affatto fastidio." Rassicurato dalle parole dell'insegnante di canto, il direttore si sedette e dopo aver invitato Ludmilla a fare altrettanto, prese un profondo respiro e inizió a parlare: "Ti ho chiesto di poter discutere con te perché, dopo essermi confrontato con Gregorio, ho deciso che la tua situazione é estremamente grave." Ludmilla lo guardó con aria interrogativa. Non riusciva a capire cosa intendesse Pablo, le sembrava di essere piuttosto brava nelle lezioni, forse non era la migliore ma di sicuro non era poi cosí scarsa! "A cosa ti riferisci Pablo?" Domandó, quindi, estremamente confusa. "Mi riferisco al fatto che tu sei decisamente dimagrita troppo ultimamente. Questo non va bene, Ludmilla. Cosí rischi di danneggiare il tuo corpo. Senza contare il fatto che una ballerina deve mangiare bene per avere le energie necessarie per ballare." Alle parole di Pablo la giovane Ferro abbassó gli occhi. Sapeva bene quello a cui andava in contro se avesse continuato cosí ma, come aveva giá detto a Camilla, non voleva cambiare stile di vita, non poteva perdere il giá scarso affetto di suo padre. "Promettimi che cercherai di prendere un paio di chili." Disse il direttore dello Studio. La Ferro annuí, non le piaceva mentire ma voleva andarsene il prima possibile da lí e sapeva che mettendosi a discutere con Pablo non avrebbe ricavato niente. "Va bene." Disse semplicemente prima di chiedere di poter lasciare la stanza. Pablo le lanció un'ultima occhiata e la osservó uscire dall'aula professori con aria preoccupata. La promessa di quella ragazza non l'aveva convinto per niente, ma era consapevole che discuterne ancora con Ludmilla non l'avrebbe portato da nessuna parte, se le cose fossero peggiorate avrebbe convocato i genitori della ragazza.   









NOTE AUTRICE: Ed ecco il secondo capitolo di questa folle ff. Qui conosciamo il personaggio di Ludmilla che, in effetti, é molto diverso da quello che conosciamo noi. Qui la Ferro non é affatto cattiva e ha dei problemi affettivi che le causano dei disagi con il cibo... In particolare Ludmilla é bulimica. Camilla, invece é la solita ragazza solare di sempre ed è a conoscenza del problema della bionda. Anche Pablo ha notato che la ragazza é dimagrita e le chiede di parlare, ma non soddisfatto della loro conversazione, decide che se la situazione dovesse peggiorare parlerà con i genitori della Ferro. Nel prossimo capitolo comparirà un certo giovane dagli occhi verdi*lo abbraccia* e approfondiremo il personaggio di Violetta. Bene, vi saluto,
Hugs and kisses,
_Francy99_

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Capitolo 3
*** Innegabile attrazione. ***


Un raggio di sole si infiltró tra le persiane ancora chiuse dell'abitazione andando ad accarezzare la figura di un ragazzo disteso sul letto e ancora placidamente addormentato. Un sorriso adornava quelle labbra rosee, segno che, con tutta la probabilitá, il giovane stava sognando qualcosa di bello e piacevole. I luminosi capelli castani di Leon, di solito perfettamente pettinati, erano estremamente scompigliati e il morbido ciuffo gli ricadeva sul volto, nascondendogli leggeremente gli occhi ancora chiusi. Un braccio e una gamba penzolavano giú dal letto, mentre un groviglio di lenzuola e coperte giaceva a terra. La luce in eccesso solleticó le palpebre di Leon, portandolo ad aprire gli occhi e a guardare spaesato la stanza in cui si trovava. Ancora immerso nel bel sogno che era appena terminato, il giovane Vargas era convinto di trovarsi ancora insieme ad entrambi i suoi genitori nella loro vecchia e ampia casa. Ma quella non era la realtá. Da piú di un anno suo padre li aveva abbandonati e non riuscendo a sostenere da soli tutte le spese della villetta in centro, lui e sua madre si erano visti costretti a trasferirsi in quel grigio condominio. Era stata dura per lui all'inizio, ma col tempo si abituato e adesso aveva raggiunto una certa stabilitá. Certo, c'erano ancora giorno in cui avrebbe voluto lasciar perdere tutto e sfogarsi con un pianto liberatorio, ma riusciva sempre a gestire quegli attacchi di tristezza. Tutto questo grazie alla musica, sua amica e fedele alleata che lo sosteneva sempre, dandogli ogni giorno la forza di alzarsi la mattina. Se aveva la musica aveva tutto, si sentiva completo. Gli sarebbe piaciuto, peró, avere suo padre accanto a lui, ad incoraggiarlo quando sentiva di non riuscire ad andare avanti, a gioire dei suoi successi e a vederlo crescere e diventare un uomo. Leon si rimproveró mentalmente: si era ripromesso di non pensare piú a certe cose. Suo padre se ne era andato e non sarebbe mai piú tornato: doveva accettarlo e smetterla di vivere nel ricordo del passato. Con un agile balzo il giovane scese dal letto, stiracchiandosi rumorosamente. Represse uno sbadiglio e lanció uno sguardo all'orologio appeso al muro della sua camera. Le cinque e mezza. Bene, avrebbe avuto tutto il tempo necessario per fare le cose con calma. Ancora leggermente intorpidito aprí l'armadio e tiró fuori i primi vestiti a portata di mano: una camicia a quadri bianchi e azzurri e un paio di jeans. Afferró poi un accappatoio buttato sulla scrivania e si diresse verso il bagno. Si fiondó sotto la doccia e aprí l'acqua, regolando la temperatura in modo che risultasse fresca.  Lasció che il getto lo investisse in pieno, portandosi via tutti i residui di stanchezza e sperando invano di riuscire a mettere a tacere almeno per quel quarto d'ora che avrebbe impiegato a lavarsi i mille pensieri che gli affollavano la testa. Non c'era pace per lui. Gli sembrava di vedere sempre il volto sorridente di suo padre di fronte a lui e non riusciva a impedirsi di soffrire. "Non ci si abitua mai al dolore per la perdita di qualcuno di caro." Gli aveva detto un giorno suo padre. Quanto era vero! Giorno e notte, persino durante il sonno, i ricordi lo tormentavano, trascinandolo in un vortice infinito di disperazione e infelicitá. Aveva sentito dire che il tempo guariva tutto, ma lui era sicuro che, se mai le ferite del suo cuore un giorno si sarebbero rimarginate, il vuoto lasciato dalla morte di suo padre lo avrebbe sempre accompagnato. Afferró il bagnoschiuma all'aroma di muschio bianco, il suo preferito, e ne prese una generosa quantitá, spalmandola con delicatezza sul corpo. Poi passó un po' di shampo sui capelli, massaggiandosi con cura la cute. Si  risciaquó velocemente e dopo aver avvolto un asciugamano attorno alla vita uscí dalla doccia, grondante d'acqua. Dopo essersi asciugato si vestí in tutta fretta e uscí dal bagno. Con passo veloce si diresse in cucina e inizió a preparare la colazione. Su un piatto piano posó una manciata di fette biscottate e ne spalmó una di burro, come piaceva a sua madre, poi tirò fuori dal frigorifero il succo d'arancia e ne riempí un bicchiere fino all'orlo. Mise sul fuoco il caffé e si affrettó a prendere lo zucchero dalla mensola piú in alto per poi afferrare il pacco dei biscotti e cominciare a sgranocchiarne un paio, mentre osservava la caffettiera emettere sbuffi di fumo che si disperdevano nell'aria. Spense il fornello e si strofinó le mani per ripulirle dalle bricciole di cibo. Lanció un'occhiata veloce all'orologio. Le sei e un quarto. Perfetto, aveva ancora due ore e quarantacinque minuti di tempo. Decise che ne avrebbe approffittato per fare una passeggiata, ma prima di lasciare la casa si diresse nella camera a sinistra in fondo al corridoio. Entró in punta di piedi, cercando di fare il meno rumore possibile. Sua madre dormiva tranquilla, come se nel sonno quel problema che di giorno la rendeva nervosa e intrattabile scomparisse, rendendola una persona completamente differente. Da quando suo padre era morto, Leon aveva trovato particolarmente difficile prendersi cura di lei, ma sapeva che la donna non aveva colpa e che non era cosciente di tutto il dolore che gli causava il suo comportamento. Immerso nei suoi pensieri accarezzó dolcemente la fronte della madre, scostandole i lunghi capelli della stessa tonalitá di castano dei suoi che le coprivano il volto e le lasció un bacio quasi impercettibile sulla fronte. Poi, silenzioso come era entrato, lasció la stanza, non prima peró di aver lanciato un'ultima occhiata alla donna. 











Violetta allontanó la sigaretta dalle labbra, buttando fuori dalla bocca il fumo che aveva appena aspirato. La casa era ancora immersa in un sonno profondo e lei stava approfittando dell'assenza di adulti svegli per fare ció che ormai era diventata per lei un'abitudine. Era da un po' che aveva iniziato a fumare. All'inizio non riusciva neanche a tirare una boccata senza tossire violentemente e non sopportava il bruciore che avvertita in gola ogni volta che accostava una sigaretta alle labbra ma col tempo aveva imparato a convivere col fumo. Non aveva avuto scelta, aveva dovuto trovare un modo per ricordare ai genitori che oltre al loro lavoro avevano anche una figlia e quale migliore di quello? Quando Maria e German sarebbero tornati dal loro ultimo viaggio che durava ormai da piú di tre mesi, avrebbero trovato una Violetta totalmente diversa da quella che conoscevano. Probabilmente si sarebbero presi un bello spavento e avrebbero capito finalmente capito che non potevano piú trascurarla! Sorrise, soddisfatta della sua pensata e si gettò su una delle tante sedie a sdraio presenti sul balcone della sua camera. Adorava quel posto. Da lí  aveva un'ottimo panorama della cittá e poteva trovare un po' di pace quando in casa i domestici e i parenti, che spesso venivano in visita, producevano un frastuono tremendo. Lì poteva lasciare fluire i pensieri quando, stanca della solita routine quotidiana, le veniva voglia di rilassarsi un po'. Sulla linea dell'orizzonte, lí dove il mare e il firmamento sembravano fondersi, il sole inizió a fare capolino, tingendo il cielo di un tenue rosa sostituito a tratti da chiazze di arancione scuro. La giovane Castillo osservó ammirata lo spettacolo dell'alba e rimase incantata a fissare il panorama della cittá in quel momento tanto particolare. "Violetta." La chiamó una voce. La ragazza si voltó ed incontró gli occhi scuri di Olga, che la fissava con preoccupazione. Che cosa voleva da lei quella donna? Non stava facendo niente di male e allora perché la stava disturbando in quel momento di quiete e relax? La stava facendo innervosire ultimamente con quel fare materno che lei proprio non sopportava... "Olga... Che c'é?" Domandó con il tono scontroso che da tre mesi la caratterizzava. "Se rimani qui con solo il piagiama ti ammalerai piccola mia." Osservó la domestica. "Non mi importa, qui sto bene e non ho intenzione di spostarmi!" Il tono della voce della Castillo suonava molto deciso e anche piuttosto infastidito, ma Olga non si arrese, consapevole che rimanendo sul balcone con quel freddo Violetta si sarebbe di sicuro presa una brutta influenza."Almeno prendi una coperta o un giubbotto, tesoro." La ragazza alzó gli occhi al cielo a quelle parole. Non le importava molto di ammalarsi. Era, peró, consapevole che Olga non l'avrebbe lasciata in pace fino a quando non l'avesse accontentata salvaguardando la sua salute, perció sbuffando rumorosamente si diresse in camera e tornó fuori con una coperta a righe bianche e viola. La cuoca la guardó con aria soddisfatta prima di dirigersi in cucina per preparare, come tutte le mattine, la colazione. Violetta si distese nuovamente sulla sedia a sdraio e si rilassó completamente. Chiuse gli occhi, lasciando che il venticello leggero che soffiava su Buenos Aires le sfiorasse con delicatezza il volto e cullata dai rumori della cittá, che lentamente si stava svegliando, scivoló nuovamente nel sonno.  
Un paio di ore dopo un profumino invitante le invase le narici, stuzzicando il suo stomaco, vuoto dalla sera precedente. Lentamente la Castillo aprí gli occhi, sbattendo le palpebre per mettere bene a fuoco l'immagine del luogo in cui si trovava. Si stiracchió rumorosamente prima di mettersi in piedi e dirigersi in cucina, da dove arrivava quel buon odore di dolci che l'aveva svegliata. Scendendo al piano inferiore trovó Olga intenta a preparare la tavola per la colazione mentre canticchiava un'allegra melodia. "Buongiorno! Come sta la mia piccolina?" Chiese con il suo solito tono dolce la domestica. "Non sono affari tuoi e comunque io al tuo posto smetterei di cantare: sei stonata come una campana!" Un ghigno maligno si impossessó delle labbra di Violetta, quanto poteva essere divertente insultare quella grassa cuoca? Gli occhi di Olga si fecero umidi e la donna abbassó il volto per evitare di mostrare alla ragazza tutto il dolore che quelle parole le avevano causato. Non riusciva ancora a credere che la bimba angelica della quale si era presa cura da sempre fosse diventata un'adolescente cosí ribelle e crudele. "Lo pensi davvero?" Domandó la domestica ormai sul punto di scoppiare a piangere. "Certo che lo penso veramente!" Esclamó la Castillo, rivoltando il coltello nella piaga. Sapeva che di lí a poco Olga non sarebbe piú riuscita a trattenere le lacrime e il sorriso maligno presente sul suo volto si allargó ancora di piú. Un rumore alle loro spalle le fece sobbalzare e la figura alta e slanciata di Angie apparve sulla porta di villa Castillo. Violetta, conoscendo la zia, sapeva che non appena sarebbe venuta a conoscenza di quello che aveva detto alla povera Olga le avrebbe riservato una partaccia colossale, perció finché era in tempo lasció la cucina, rifugiandosi nella sua stanza e chiudendo la porta a chiave. Dopo un quarto d'ora scarso, un bussare deciso infranse il silenzio della sua camera, facendo sussultare la Castillo che, senza scomporsi minimamente, s'infiló le cuffiette nelle orecchie e accese la musica dell'Ipod, regolando il volume al massimo. "Violetta so che sei lí dentro! Aprimi immediatamente!" La voce minacciosa di Angie, nonostante tutto, le arrivó forte e chiara e se la ragazza pensó di poterla tranquillamente ignorare, dovvete ricredersi quando la piú giovane delle Saramengo urló: "Se non mi apri la porta troveró comunque un modo per entrare! Smettila di fare la bambina!" Tuttavia Violetta ancora non voleva arrendersi e la giovane insegnante capí di dover ricorrere ad un metodo diverso. La ragazza non sentendo piú alcun rumore provenire da dietro la porta pensó che la zia avesse rinunciato e si sfiló le cuffiette dalle orecchie, buttandosi di peso morto sul letto. Proprio quando iniziava a pregustarsi attimi di puro relax, una folata di vento invase la stanza e voltandosi verso la finestra, da dove arrivava la corrente d'aria, la giovane incontró gli occhi verdi di Angie che le sorrideva con aria furba da sopra il davanzale. "Te l'avevo detto che avrei trovato comunque un modo per entrare!" Esclamó la Saramengo. "Zia... Ma come hai fatto ad entrare?" Violetta era rimasta a bocca aperta per la sorpresa e impallidí come se avesse visto un fantasma mentre formulava le piú strambe ipotesi su come la giovane donna fosse riuscita a raggiungere la sua finestra. "Mi sono semplicemente arrampicata sul tuo balcone e da lí é stato facile entrare in camera tua." Rispose l'insegnante di canto come se fosse stata la cosa piú naturale del mondo. "Ma sei matta? Saresti potuta scivolare e farti molto male!" Violetta sembrava veramente sconvolta dal rischio che la donna aveva corso per colpa sua. Adorava sua zia. Da quando i suoi genitori avevano iniziato a girare il mondo per lavoro era stata come una seconda madre per lei. Angie era la giusta via di mezzo: le dava tutto l'affetto di cui aveva bisogno quando avvertiva la mancanza di German e Maria e al tempo stesso la rimproverava quando si comportava male, a differenza di Olga e Angelica che erano molto piú indulgenti con lei, visto il tremendo periodo che stava passando. "Non cercare di distrarmi: io e te dobbiamo parlare, signorina." Violetta sospiró affranta ascoltando le parole della zia, sapeva di essersi meritata quella partaccia e non protestó ulteriormente.      "Il modo in cui ti sei comportata con Olga é inaccettabile: lei si é sempre dimostrata gentile e disponibile e tu la tratti cosí?" Domandó indignata la Saramengo. "Andiamo, era uno scherzo! Le ho solo detto che era un po' stonata..." Minimizzó Violetta. "Ah sí? E tu lo sai com'é ridotta Olga per questo tuo scherzo?" Violetta restó colpita dalle parole della zia e alzó il volto cercando gli occhi di Angie con aria confusa. "Perché com'é ridotta?" Domandó. "Seguimi." Le ordinó seria la giovane donna. Le due scesero in cucina, dove, da dietro la porta aperta per metá, osservarono Olga che, accasciata sul tavolo, piangeva come una disperata, confortata da Roberto che le dava piccole pacche sulla schiena come per consolarla e le passava di tanto in tanto un fazzoletto. "Perché Roberto? Perché? Che cosa le ho fatto di male per meritarmi questo?" Domandó la donna asciugandosi le lacrime che imperterrite continuavano a rigarle il volto. "Niente, tu non le hai fatto niente. Violetta sta passando un brutto periodo, sente la mancanza dei suoi genitori e per questo se la prende con il mondo intero, ma lei non ha niente contro di te." Sentenzió l'uomo al suo fianco. Violetta sentí un nodo alla gola nel vedere la donna che le aveva dato tutto l'affetto possibile e le aveva fatto compagnia quando i suoi genitori avevano iniziato a viaggiare per lavoro ridotta in quello stato. Cosa aveva fatto? Come aveva potuto trattare in quel modo la povera Olga? Lei non aveva colpa. Gli unici responsabili del suo malumore erano i suoi genitori e non la cuoca, che si era dimostrata sempre premurosa con lei. Il rimorso le divorava l'anima e non poteva fare a meni di sentirsi un mostro per quello che aveva fatto. "Olga é molto sensibile, basta poco per farla piangere." Le sussurró in un orecchio Angie. Violetta annuí debolmente, ancora scossa dal dolore che aveva causato. "Cosa devo fare?" Domandó la Castillo, affidandosi completamente al giudizio della zia. "Vai da lei e parlale col cuore: vedrai che ti perdonerá." Mormoró la Saramengo accarezzandole con dolcezza i capelli. La ragazza seguí il suo consiglio ed entró lentamente nella cucina, temendo il confronto che avrebbe avuto di lí a poco con la cuoca. "Olga, ti posso parlare un attimo?" Domandó quasi sottovoce Violetta. Roberto la guardó con una leggera aria di rimprovero, poi, intuendo di essere di troppo disse: "Vi lascio sole." La giovane Castillo si avvicinó al tavolo su cui era ancora appoggiata la cuoca e si sedette vicino a lei. "Perché mi hai trattata cosí? Se mi spieghi cosa ti ho fatto di male forse posso rimediare..." Le parole della cuoca non fecero altro che aumentare il rimorso della ragazza. "Non é colpa tua, Olga. Sono io che sto passando un brutto periodo e mi arrabbio con tutti. I miei genitori preferiscono il loro lavoro a me, ma non posso fare a meno di sentire la loro mancanza. Vorrei che mi fossero qui con me ma sono a chilometri e chilometri di distanza. Mi dispiace tu non c'entri nulla con tutto questo! Perdonami..." Sussurró con gli occhi lucidi la Castillo. "Certo. Certo che ti perdono piccola mia, ma non dire certe cose: i tuoi genitori ti vogliono molto bene e sono sicura che anche loro sentono la tua mancanza." La cuoca, intenerita, prese ad accarezzare dolcemente le guance rosate di Violetta, prima di lasciarle un dolce bacio sulla fronte. "Adesso basta piangere: ho preparato la torta al cioccolato e voglio sapere da te com'é venuta!" Esclamó Olga, porgendole una fetta del dolce. 









Leon estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e lanció un'occhiata veloce al display. Aveva solo un quarto d'ora di tempo per arrivare allo Studio o avrebbe fatto ritardo. La sua passeggiata era stata fin troppo lunga, ma che colpa ne aveva lui se per la prima volta dopo tanto si era sentito finalmente a suo agio e aveva perso la nozione del tempo? Anche se per poco era riuscito a convivere con il ricordo di suo padre senza avvertire la solita tristezza, ma quasi con una sorta di dolce nostalgia. Ora, peró, doveva darsi una mossa. Le sue gambe cominciarono a muoversi sempre piú velocemente, fino a raggiungere un ritmo di corsa. Il vento sferzava il suo volto, conferendo alle sue guance solitamente pallide un colorito rossastro. Aumentó la velocitá, consapevole di essere quasi arrivato e si scostó di lato il ciuffo, che gli era caduto davanti agli occhi, impedendogli la visuale. Proprio davanti alla facciata della scuola di musica vide un'altra persona arrivare a tutta velocitá dalla parte opposta e improvvisamente si ritrovó tra le braccia una ragazza. Osservó quegli occhi color nocciola e quei capelli castani leggermente ondulati e la riconobbe: era Violetta Castillo, conosciuta in tutto lo Studio per la sua cattiva reputazione di bulla. Eppure, per quanto si sforzasse, Leon non riusciva a vedere niente di quella ragazza che girava tra i corridoi spaventando gli studenti in quell'esserino esile che teneva stretto a sé. Quegli occhi sembravano cosí dolci, cosí provati dalla sofferenza, cosí simili a quelli che il giovane Vargas vedeva ogni mattina nel suo riflesso... Sentiva di potersi perdere con tutta tranquillitá in quell'oceano color nocciola. Sciolse la presa, lasciando la Castillo libera di muoversi ma rimanendo con lo sguardo ancora incatenato a quello di lei. "Io... Mi dispiace, ero in ritardo e non ti ho vista..." Si scusó il ragazzo. Violetta non rispose, ancora imbambolata a fissare quel colore particolare delle iridi del giovane. Non aveva mai visto quella tonalitá di verde cosí brillante e acceso, non aveva mai visto degli occhi piú belli di quelli. Si riscosse dai quei pensieri, rendendosi conto che il ragazzo la stava guardando con aria preoccupata. "Hei! Tutto bene?" Le chiese lui, osservando lo sguardo perso nel vuoto di Violetta. "Sí, sí tutto bene." Rispose la Castillo, sciogliendosi in un sorriso. Cosa le stava succedendo? Conosceva appena di vista quel ragazzo che se non ricordava male si chiamava Leon e si comportava in modo amichevole con lui. Non andava bene: lei era la bulla dello Studio On Beat e non poteva rovinarsi la reputazione per colpa di un giovane con dei begli occhi verdi! "Dovresti stare piú attento! Ma avevi le fette di salame sugli occhi?" Lo rimproveró la ragazza, tornando al suo solito atteggiamento strafottente. Leon sentí come se gli avessero gettato addoso un secchio di acqua gelida. L'incanto era svanito, le parole della Castillo avevano distrutto l'atmosfera quasi magica che si era creata intorno a loro. Con un'espressione avvilita osservó la ragazza allontanarsi, lasciando un vuoto nel suo cuore. Ricordandosi improvvisamente di rischiare di arrivare tardi alle lezioni entró velocemente nello Studio, raggiungendo subito l'aula di canto. Fortunatamente quel giorno aveva la prima ora con Angie, perché altrimenti nessuno gli avrebbe tolto un rimprovero coi fiocchi. Entró nella stanza giusto in tempo, mentre l'insegnante prendeva posto dietro alla tastiera. Si sedette velocemente accanto a Maxi, un rapper dai castani perennemente coperti da un cappellino e gli occhi color cioccolato fondente. I due si conoscevano da moltissimo tempo ed erano praticamente inseparabili. Uno sapeva sempre capire lo stato d'animo dell'altro e si sostenevano a vicenda nei momenti tristi, come era accaduto piú volte in passato. "Dove sei stato?" Domandó sottovoce il suo vicino. "Avevo bisogno di stare un po' da solo e cosí questa mattina sono uscito a fare una passeggiata." Spiegó brevemente il giovane Vargas, omettendo volutamente il particolare dell'incontro con Violetta Castillo. Maxi non fece altre domande e subito Leon prese a cercare con lo sguardo la giovane dagli occhi color nocciola che sembrava averlo stregato. Non appena la individó, seduta tra Lara e Thomas, gli amici storici della ragazza, si soffermó ad osservarla, estraniandosi completamente dalla lezione. "Hei Leon! La vuoi smettere di fissare cosí la Castillo? Dammi retta non é proprio il tipo di ragazza adatta a te." Gli sussurró in un orecchio Maxi. E il giovane Vargas lo sapeva, sapeva che Violetta era completamente diversa da lui, ma non poté fare a meno di sentire una forte attrazione nascere verso di lei dal profondo del suo cuore.











NOTE AUTRICE: Ed ecco che compare il nostro amato Leon! Anche lui, come quasi tutti i personaggi di questa ff, ha una storia un po' complicata e piuttosto triste. Povero cucciolo... Se però del padre di Vargas si è parlato abbondantemente in questo terzo capitolo per quanto riguarda la madre dovremo aspettare un po' per sapere qualcosa di più... Intanto conosciamo meglio il personaggi ribelle di Violetta che si comporta da bulletta per farsi notare dai genitori, che viaggiano in giro per il mondo per lavoro. Fortuna che c'è Angie sempre pronta a riportare sulla retta via quella ragazza! Ma ecco che i nostri Leonetta si incontrano/scontrano davanti allo Studio! In questa ff, come avrete potuto capire, i due si conosco unicamente di vista, ma sembra proprio che questa situazione abbia smosso qualcosa in loro! Aw! :3 Violetta, però rovina tutto e Leon triste e demoralizzato entra in classe. Tuttavia, nonostante il modo in cui la Castillo lo ha trattato, il giovane non può fare a meno di incantarsi a fissarla e di sentire nascere dentro di lui una forte attrazione! Cucciolo lui! Bene, penso sia tutto,
Hugs and kisses,
_Francy99_

























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Capitolo 4
*** Importanti decisioni. ***


Diego si torturava nervosamente il labbro, in preda all'indecisione. Il suo primo tentativo di ricevere notizie su sua sorella era fallito miseramente, ma voleva davvero arrendersi cosí facilmente? Il ticchettio delle lancette dell'orologio lo riportó ala realtá, ricordandogli che avrebbe dovuto sbrigarsi a decidere cosa fare visto che mancava meno di mezz'ora alla partenza del suo aereo. Doveva scegliere in quello stesso istante: lasciar perdere tutto e fuggire dal passato o affrontare i suoi fantasmi e avere qualche possibilitá di riuscire finalmente a riabbracciare sua sorella? Per una volta non sapeva proprio cosa fare e questo gli incuteva un'ansia tremenda. No, non sarebbe mai riuscito a sopportare un'ulteriore disfatta, era meglio arrendersi fin da subito e rinunciare a quella folle idea. Soddisfatto di aver finalmente preso un decisione sollevó la valigia da terra e si avvió verso la porta con un sorriso sollevato. Sí, quella era la decisione piú giusta: da quando aveva messo piede a Buenos Aires si sentiva strano e non riusciva piú a sopportare quella paura che aveva caratterizzato ogni momento passato nella capitale Argentina. Voleva tornare il ragazzo impavido e sicuro di sè che era sempre stato. Chiuse la serratura con una doppia mandata e uscí in strada. Il taxi che aveva chiamato un quarto d'ora prima lo stava aspettando affiancato al marciapiede. Velocemente il giovane si sedette al posto del passeggero e sistemandosi comodo si rivolse all'autista. "All'aeroporto principale, per favore e faccia presto perché tra venticinque minuti parte il mio volo." L'uomo alla guida annuí e senza dire una parola mise in moto il mezzo. Diego prese a giocherellare con la copia delle chiavi dell'edificio che aveva appena lasciato. Ricordava ancora con precisione il momento in cui suo zio gliele aveva affidate. 

Il giovane Ramirez era appena arrivato nella cittá di Buenos Aires e non aveva ancora un posto in cui andare a vivere. Quando a Madrid aveva avuto la brillante idea di recarsi nella capitale argentina per cercare la sorella non aveva considerato affatto quel particolare: sapeva che suo zio lo avrebbe ospitato volentieri in casa sua. Con colpi secchi e decisi bussó alla porta che aveva di fronte. Dopo pochi minuti un uomo di mezza etá aprí con il suo solito fare serioso e impeccabile e riconoscendo il ragazzo si sciolse in un sorriso. "Diego!" Lo salutó felice. "Zio Gregorio!" Esclamó il giovane Ramirez, stritolando lo zio in un forte abbraccio. "Fatti vedere." L'uomo lo scostó leggermente da sé, per poterlo osservare meglio. "Sei cresciuto parecchio dall'ultima volta che ti ho visto!" Constató Gregorio. "Già." "Entra dentro dai! Sei qui di passaggio?" Diego sorrise, sentendo una sensazione di calore e benessere diffondersi nel suo cuore. Adorava Gregorio, era come un padre per lui, anzi era ancora meglio. Era stato suo zio a prendersi cura di lui, educandolo in modo da farlo diventare il giovane uomo che era ora. Non come i suoi genitori, che avevano commesso un errore dietro l'altro. Basta! Doveva smetterla di pensare a loro! Per lui loro erano come morti. "Ho intenzione di fermarmi qui a Buenos Aires per tutto il tempo necessario. Sono qui per cercare mia sorella." Spiegó Diego. "Capisco..." Gregorio sospiró affranto: era sempre stato molto affezionato alla sua nipotina e vedersela portare via per venire affidata a degli sconosciuti era stato un colpo duro per lui. "Perché quando i nostri genitori sono stati arresti non ci hai presi con te?" Domandó il giovane Ramirez, curioso di sentire la risposta dell'uomo. "Perché ero indagato anch'io. La polizia credeva che fossi un loro complice." Diego sospiró affondando una mano tra i folti capelli scuri. Non ricordava molto di quel periodo, d'altronde come biasimarlo: era solo un bambino all'epoca! "Posso fermarmi in casa tua per il periodo di tempo che resteró in cittá?" Domandó Diego."Certo! Anzi prendi queste, sarebbero le chiavi di riserva, ma da adesso sono tue. Conservale anche nel caso lasciassi la cittá, cosí se mai volessi passare a farmi una sorpresa...""Grazie zio" "Figurati: questa casa é sempre aperta per te."

Diego si appoggió stancamente al finestrino dal taxi. Non aveva neanche avuto il coraggio di parlare con Gregorio per informarlo della sua decisione. Gli aveva lasciato sul tavolo una lettera dove, in poche righe, gli aveva spiegato tutto. L'uomo l'avrebbe potuta leggerla solo quella sera, al ritorno da una giornata di lavoro allo Studio On Beat, la scuola di musica dove lavorava. Si sentiva un codardo a scappare in quel modo, ma non poteva più continuare così. Doveva andarsene da Buenos Aires, subito.Il mezzo in cui il giovane Ramirez stava viaggiando si fermó bruscamente davanti ad un imponente edificio, che Diego riconobbe subito essere l'aeroporto principale della cittá. Dopo aver scaricato le valigie e aver rivolto un educato saluto al tassista, il ragazzo varcó la porta principale della costruzione. Stava per mettersi in fila per fare il check-in quando qualcosa di lucido gli scivoló fuori da una delle tasche del giubbotto di jeans che indossava quel giorno. Il giovane lo raccolse e si imbamboló a fissarlo. Era una semplice braccialetto blu elettrico con una perla finta proprio nel centro, ma per lui aveva un significato particolare. Quell'oggetto era un importante legame con il passato, quel passato a cui apparteneva anche sua sorella. In un attimo tutti i suoi dubbi e le sue insicurezze svanirono, come per magia. Era un segno del destino. Ora sapeva davvero qual era la cosa giusta da fare. Doveva rimanere a Buenos Aires e riprendere le sue ricerche, non si sarebbe più arreso fino a quando non avrebbe ritrovato sua sorella.









Nata scese in salotto, dove trovó i suoi genitori che la stavano aspettando, desiderando molto scambiare qualche parola con lei. Le facce preoccupate dei due adulti non promettevano niente di buono e tanto meno i loro sguardi quasi compassionevoli.  La riccia si guardó intorno stranita. Cos'era successo adesso? Non le sembrava di aver fatto niente di male. Lei era una ragazza tranquilla e non aveva mai causato ansia o preoccupazione ai suoi genitori. E allora perché loro la guardavano in quel modo? Comprendendo che le sue domande non avrebbero trovato risposta se non le avesse poste ai diretti interessati la giovane si avvicinó ai due e domandó: "Cos'é successo?" "Siamo stati convocati dal direttore dello Studio qualche giorno fa e ieri abbiamo discusso con lui per una buona mezz'ora." Annunció suo padre. "Ma perché? Cosa ho fatto di male?" Nata non riusciva a credere alle sue orecchie. Quale motivo poteva avere avuto Pablo per chiedere di parlare con i suoi genitori? Lei era sempre stata una studentessa modello, attenta e diligente e non aveva mai risposto alle continue angherie dei suoi compagni. Insomma si era sempre comportata in modo esemplare, quindi perché il direttore aveva ritenuto necessario convocare i suoi genitori? Tormentata da quelle mille domande sentí un forte dolore impossessarsi della sua testa e si distese sul divano. "Tesoro siamo preoccupati: Pablo ci ha parlato della tua particolare situazione. Non possiamo ancora credere che tu per tutto questo tempo sia stata vittima di bullismo!" Esclamó sua madre, prendendo ad accarezzarle dolcemente una guancia. Nata spalancó gli occhi, comprendendo finalmente tutto. Ecco cosa aveva spinto Pablo a parlare con i suoi genitori! Quindi non era stata colpa sua: lei non aveva fatto niente di male! Adesso, peró, i suoi genitori sapevano quello che aveva passato nell'ultimo periodo... E pensare che aveva fatto di tutto per tenerlo nascosto! Tutti i suoi sforzi erano stati vani. "Nata..." Sua madre si perse ad osservare la figlia scompigliandole affettuosamente i ricci neri e sperando che la mora si sfogasse con lei e le raccontasse meglio come erano andate le cose. "Perché non ci spieghi meglio cosa é successo?" Domandó cautamente suo padre."Scusatemi ma non me la sento di parlare di questo..." Mormoró abbassando la testa Nata. Sapeva che i suoi genitori volevano aiutarla e apprezzava il loro sforzo, ma se subire le angherie di quel gruppo di bulli era orribile, parlare di questo con altre persone lo era ancora di piú. "Perché non reagisci?" La domanda di sua madre la fece irrigidire completamente. Nata si voltó di scatto, gli occhi iniettati di una rabbia cieca che mai i suoi genitori avevano scorto in quel suo sguardo sempre tranquillo. "Ma voi pensiate che per me sia una situazione facile? Pensate forse che io mi diverta?" Chiese improvvisamente alterata la riccia. Perché nessuno la comprendeva mai? Come avevano potuto i suoi genitori anche solo pensare che lei non avesse cercato di porre un freno alle angherie di quei bulli? Ci aveva provato, ma non ci era riuscita. Mille volte aveva maledetto quel suo carattere fin troppo timido e sottomesso e altrettante aveva desiderato avere la forza di contrastare quel gruppetto. Ma lei non era una persona forte, lei era solo la piccola e indifesa Nata. "Scusami, piccola mia. Se non vuoi parlare di questo adesso per noi non c'é problema. Aspetteremo che tu ti senta pronta ad affrontare questo argomento. Peró  c'é qualcos'altro di cui vorremmo discutere con te in questo momento." Alle parole di sua madre, Nata drizzó le orecchie. Aveva sentito bene? Davvero i suoi genitori non la volevano forzare a parlare delle angherie di Violetta e del suo gruppo di bulli? La riccia si aprí in un sorriso, ma le tornarono in mente le ultime parole di sua madre e subito la sua mente fu invasa da mille dubbi ed ipotesi. "Di cosa volete parlarmi?" Domandó titubante Nata. "Del fatto che non hai amici. Non é una cosa positiva tesoro, dovresti essere un po' meno chiusa... C'é molto di buono in te: sei una ragazza talentuosa, assennata e molto dolce, ma se non tiri fuori il tuo potenziale e non lo mostri a coloro che ti stanno intorno come pensi che gli altri possano accorgersi di tutto questo?" Le domandó con pacatezza suo padre. Nata rimase molto colpita da quelle parole. Sapeva, nel profondo del suo cuore, di essere una giovane piena di risorse, ma quella sua timidezza che la perseguitava ovunque andase le aveva sempre tappato le ali. Aveva ragione suo padre: era ora di porre fine all'insicurezza immotivata che la faceva sempre sentire a disagio, doveva finalmente prendere consapevolezza delle sue capacitá e spiccare il volo, distinguendosi per la sua bravura. Era ora di dire addio alla vecchia Nata timida e riservata, solo cosí avrebbe potuto far vedere al mondo quanto valeva. "Hai ragione papá, come sempre del resto." Ammise la riccia, mentre una nuova determinazione prendeva possesso dei suoi occhi scuri. "Devo essere piú aperta con gli altri." "Certo! Vedrai che se imparerai a mostrare le tue capacitá anche il problema del bullismo migliorerá, se sono sicuro." Affermó l'uomo, posandole un affettuoso bacio sulla fronte. "Avanti, adesso vai o farai tardi allo Studio." Le ricordó sua madre, sorridendo con gioia nel vedere la figlia cosí piena di energia e determinazione. Nata annuí e dopo aver raccolto la sua borsa da sopra il divano, uscí di casa. Fuori, davanti al cancello dell'abitazione, un'elegante automobile nera lucida la attendeva, pronta per portarla a scuola. Nata prese posto su uno dei sedili posteriori del mezzo, sbuffando sonoramente. Odiava il lusso e ancora di piú detestava sfoggiare la sua ricchezza. Non le era mai piaciuto venire considerata in base all'alto reddito dei genitori. Inoltre uno dei motivi per cui piú veniva disprezzata e presa di mira da quel gruppo di bulli era proprio la sua posizione nella societá altolocata di Buenos Aires. Certo non si poteva fare questo discorso se si considerava Violetta Castillo: lei era figlia dei due manager piú conosciuti e stimati di tutta la cittá! Lara e Thomas, peró, venivano da famiglie molto meno importanti e Nata sospettava che la trattassero male anche per invidia nei suoi confronti. La macchina si fermó proprio di fronte allo Studio On Beat e Nata si affrettó a scendere, sperando di non essere stata notata. Ovviamente, invece, come le accadeva tutti i giorni, divenne immediatamente il centro dell'attenzione di tutti i suoi compagni. D'altronde era difficile non notare un macchinone enorme e costoso come quello dei suoi genitori. La riccia si passó una mano tra i folti capelli e si impose di rimanere calma: aveva promesso ai suoi genitori di mettersi in gioco per poter mostrare a tutti il suo potenziale e non li avrebbe delusi per nessuna ragione. Prese coraggio a due mani e si diresse a testa alta verso l'edificio dove studiava musica. Sí, sarebbe andato tutto bene, doveva semplicemente lasciarsi un po' andare ed essere se stessa, senza timori e insicurezze infondati. Convinta ormai di poter davvero dimostrare il suo valore stava per varcare la soglia dello Studio On Beat quando una scena la fece bloccare davanti alla porta. Lí, proprio accanto a lei, Lara stava fumando una sigaretta in compagnia di Violetta e intanto le due discutevano animatamente, ridendo sguaiatamente e indicando verso la sua direzione. Nata era immobilizzata dalla paura. Forse era stata troppo ottimista, aveva pensato da un giorno all'altro di poter cambiare la sua situazione, ma la veritá era che solo la vista di due dei componenti di quel gruppo di bulli l'aveva destabilizzata. La riccia vide le due ragazze dirigersi nella sua direzione ma non si mosse di un passo. La testa le gridava di fuggire, di andare via da quel posto, ma le sue gambe non sembravano intezionate a obbedire ai comandi. Violetta e Lara si fermarono ad un passo da lei, ergendosi in tutta la loro altezza come a volerle incutere ancor piú timore. "Ma guarda un po' Nata, stavamo parlando proprio di te. Raccontaci un po': come va?" Chiese con tono falsamente gentile Lara, prendendola sottobraccio e spaventandola ulteriormente. "Tutto bene..." Mormoró quasi senza voce la mora. "Bene bene, che ne dici di fermarti un po' qui con noi?" Domandó Violetta con un ghigno che non prometteva niente di buono. "Lei non si ferma proprio con nessuno, tra pochi minuti inizia la prima ora di lezione e a differenza di voi credo che Nata ci tenga ad arrivare in orario." Affermó una voce dietro alle spalle della mora. "E cosí il silenzioso e riservato Vargas ha deciso finalmente di uscire allo scoperto pavoneggiandosi e dandosi arie da paladino della giustizia!" Esclamó divertita Lara, vedendo il giovane Vargas comparire al fianco della riccia. "Io non mi do affatto arie! Semplicemente non sopporto le ingiustizie." Spiegó il ragazzo. "Entriamo Nata o faremo tardi." Gli occhi verde smeraldo di Leon ardevano d'ignazione al solo pensiero di come le due bulle stavano trattando la mora. Il suo sguardo di fuoco si posó un attimo su Violetta, lasciando per un attimo trasparire l'attrazione che provava per lei per poi assumere un'espressione delusa. Come poteva sentire qualcosa di cosí forte per una persona cosí crudele? Il giovane Vargas aveva visto quel ghigno che era comparso sul volto della ragazza, stonando terribilmente con quei tratti cosí angelici e aveva sentito un sapore amaro in bocca. Dopo il loro scontro di qualche giorno prima era convinto che la Castillo non fosse capace di fare seriamente del male a qualcuno, ma adesso aveva avuto una prova schiacciante del contrario. Con passo veloce si diresse insieme a Nata all'interno dell'edificio, lasciando sole le due bulle. "Peró quel ragazzo non é niente male... Hai visto il modo in cui ti guardava?" Domandó Lara, completamente all'oscuro del loro incontro, risalente a qualche giorno prima. "Perché come mi guardava?" Violetta osservó la sua amica con aria sbalordita. Cosa voleva dire con quella frase? Non le sembrava di aver visto niente di strano in quelle due pozze color smeraldo. "Ma come... Non te ne sei accorta? Violetta, Leon prova qualcosa per te!" "E anche se fosse? Perché dovrebbe importarmi?" Domandó la Castillo fingendo indifferenza, nonostante trovasse la piega che aveva assunto quella conversazione piuttosto interessante. Davvero il giovane Vargas sentiva un'attrazione per lei? Quindi lei non era l'unica ad aver avvertito una strana sensazione durante il loro incontro? "Vuoi dire che quel ragazzo non ti interessa? Allora mi lasci campo libero con lui?" Domandó subito Lara. Violetta, al solo immaginare Leon e la sua amica insieme, sentí una strana sensazione di fastidio. Che fosse gelosa? Che si sentisse davvero in qualche modo attratta da quel bel giovane? No, lei era cambiata, non era piú la bambina spensierata che vedeva il mondo tutto rose e fiori! Mai e poi mai avrebbe ceduto ad un sentimento sciocco come l'amore. "Prenditelo pure: é tutto tuo!" Esclamo infatti rivolgendosi a Lara.











Pablo afferró saldamente il manico della caffettiera e si versó un goccio dell'amara bevanda nella tazzina. Sbuffó stancamente, passandosi la mano libera sul volto. In quel periodo aveva davvero troppe preoccupazioni e non riusciva a gestire tutto come avrebbe voluto. Gli dispiaceva trascurare i suoi studenti, ma con tutto quello che stava succendo in casa sua non aveva altra scelta. Non riusciva piú ad andare avanti cosí, quella notte aveva avuto un sonno molto agitato e quella mattina si sentiva tremendamente stanco. Rimise la caffettiera al suo posto, ma, immerso com'era nei suoi pensieri, si distrasse e si rovesció la scura bevanda sulla mano, scottandosi. Emise un febile urlo e prese a soffiare sulla parte dolorante. Subito Angie, che era lí con lui in aula professori, accorse al suo fianco, preoccupata. "Pablo! Cosa succede?" Domandó spaventata la donna. "Niente, succede che oggi non ne combino una giusta e mi sono scottato con il caffé!" Esclamó nervoso il direttore. La bionda insegnante prese ad esaminare la mano di Pablo, dove si incominciava ad intravedere un leggero rossore. Non sembrava niente di grave, ma ció che piú preoccupava Angie era l'espressione sempre assente che il suo amico aveva nell'ultimo periodo. Cosa poteva essere successo di così grave da distrarlo dal lavoro che tanto amava? Pablo non staccava gli occhi di dosso all'insegnante di canto, osservando con quanta premura si stesse occupando di lui. Angie era sempre cosí dolce e gentile con lui... Forse meritava di sapere le ultime novitá che avevano stravolto la sua vita, d'altronde erano amici. Ma si sentiva davvero pronto a confidarsi con qualcuno? E soprattutto, cosa ancora piú importante, la Saramengo avrebbe saputo capirlo? Troppe domande e dubbi invadevano la sua mente e lui sentiva di non potersi esporre, non ancora. Se mai un giorno avesse trovato il coraggio di parlarne, Angie sarebbe stata la prima a venire a conoscenza dei fatti, ma quello non era ancora il momento. "Ecco fatto!" Esclamó la bionda posandogli del ghiaccio sulla scottatura. "Non é niente di grave." "Bene, allora io vado: ho lezione tra poco." Disse il direttore avviandosi verso la porta della sala insegnanti. Angie lo osservó allontanarsi con aria combattuta. Cosa doveva fare? Lasciarlo andare o chiedergli cosa gli stesse succedendo? Proprio mentre l'uomo si trovava sull'uscio della porta si decise e lo chiamó a gran voce: "Pablo?" Il moro si voltó di scatto e osservandola con quei suoi occhi scurissimi si fermó, in attesa che lei riprendesse a parlare. "In questi ultimi tempi ti ho visto sempre distratto e assente...C'é qualche problema?" Domandó la bionda. Il giovane uomo la guardó meravigliato. Come faceva Angie a capire sempre tutto al volo? Lo conosceva cosí bene? Evidentemente sí. Non poté fare a meno di sentirsi in colpa, lei aveva notato che qualcosa non andava e si era dimostrata cosí attenta nei suoi confronti e lui non aveva nemmeno il coraggio di parlarle di quello che gli stava accadendo! Era un vigliacco. Cercando di accennare un sorriso, si rivolse alla Saramengo e le disse: "Va tutto bene, non ti preoccupare." Angie, per niente convintata delle parole dell'uomo, gli si avvicinó lentamente e gli prese le mani tra le sue. "Bene. Comunque sappi che se hai bisogno di qualcosa, di qualunque cosa, io sono qui e saró sempre pronta ad ascoltarti e, se mi é possibile, ad aiutarti." "Grazie Angie, mi fa piacere sapere che c'é qualcuno su cui posso contare." Disse semplicemente il direttore, abbracciandola forte. Anche se non poteva ancora rivelare ad Angie i problemi che lo tormentavano, sapere che lei gli era accanto lo faceva sentire bene, lo faceva sentire amato.











NOTE AUTRICE: Oggi sarò breve perchè vado di fretta perchè in questi giorni sono particolarmente presa e non so neanche come ho fatto a riuscire a postare questo capitolo... Bene, qui abbiamo Diego che ha deciso di partire però all'ultimo cambia idea perchè troppo legato al passato. Nata invece viene spronata dai genitori a contrastare i bulli e sembra quasi che ci sia riuscita solo che poi compaiono Lara e Violetta e lei ritorna ad essere la solita insicura... Ma ecco che interviene Leon che si dimostra molto deluso dal comportamento della Castillo e che difende la povera Nata. Intanto Violetta e Lara iniziano a parlare e... GIÙ QUELLE MANACCE DA LEON, LARA! Anche se Vilu afferma il contrario lei e Leon provano una forte attrazione reciproca e tu non ti devi intromettere! Nel frattempo conosciamo meglio il personaggio di Pablo che sembra aver anche lui i suoi problemi, tanto da trascurare il lavoro che tanto ama. Angie se ne accorge e gli fa sentire il suo appoggio. Come sono teneri i Pangie! Aw :3 Li adoro! Bene ora mi dileguo,
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_Francy99_










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Capitolo 5
*** Complicità nell'aria. ***


Federico finì velocemente di mangiare il gustoso hot-dog che aveva ordinato e che costituiva il suo pranzo. Davanti a lui, Dj tirava di tanto in tanto un morso ad un enorme trancio di pizza, immerso nella contemplazione del suo nuovissimo e costosissimo cellulare. Entrambi i ragazzi indossavano vestiti di marca e avevano un'aria spavalda e quasi annoiata che li faceva sembrare già da lontano dei viziati, probabilmente figli di qualche personaggio influente nella città di Buenos Aires. Ed era proprio così: Federico e Dionisio, detto anche Dj, Juárez erano due gemelli italo-messicani, figli di un gioielliere e di una proprietaria di un'importante farmacia. I due venivano esauditi in ciascun loro desiderio e col tempo avevano finito con l'annoiarsi di quella vita piena di ogni lusso e avevano cercato vari modi, non esattamente appropriati, per svagarsi e ammazzare il tempo. I genitori, preoccupati della piega che avevano preso le vite dei loro ragazzi, avevano deciso di farli studiare allo Studio On Beat, la scuola di musica piú prestigiosa di tutta la cittá. Ben conoscendo la passione dei figli per il canto e il ballo i due avevano creduto che l'iscrizione in quel posto avrebbe potuto porre un freno alle loro sregolate abitudini. Mai speranza era stata piú vana! I due gemelli erano fin troppo furbi e riuscivano sempre a trovare un modo per infrangere le regole. Innumerevoli volte Pablo li aveva richiamati ed altrettante erano finiti in presidenza da Antonio, accompagnati da un furioso Gregorio, al quale usciva il fumo dalle orecchie per la rabbia. Tuttavia i rimproveri e i castighi non funzionavano a dovere con loro: un attimo prima i fratelli Juárez apparivano sinceramente pentiti e subito dopo tornavano a combinare guai ancora piú grossi. I genitori, ormai disperati, non sapevano piú cosa fare con loro. "Che ne dici di andare al parco?" Domandò Federico, prendendo ad osservare l'enorme orologio a muro del locale dove si erano fermati a pranzare."E me lo chiedi? Certo!" Esclamò subito Dj, terminando la sua fetta di pizza in fretta e furia. I due gemelli si alzarono in contemporanea e lasciarono velocemente il locale. Mancava solo mezz'ora alle tre. Se volevano arrivare in orario alle lezioni pomeridiane allo Studio dovevano affrettarsi. Dopo neanche dieci minuti Federico e Dj erano giunti davanti ai giardini comunali, il luogo di ritrovo di tutti i giovani di Buenos Aires. A parere dei due Juárez quello era il posto migliore per divertirsi e, soprattutto, per rimorchiare le ragazze piú carine della città e perció erano dei frequentatori abituali del parco. Federico e Dj si diressero subito verso la gelateria posta sulla destra e circondata da una miriade di panchine dove coppie di innamorati si scambiavano tenerezze e  bambini stanchi si riposavano dopo i loro giochi, osservati attentamente dai genitori. I due gemelli ordinarono due coni gelato enormi e stavano proprio per sedersi quando due ragazze dal volto a loro ben noto attirarono la loro attenzione. "Hei! Ma quelle non sono la Torres e la Cauviglia?" Domandó infatti Dj. "Hai ragione!" Esclamó Federico, riconoscendo le due compagne dello Studio On Beat. "Non sono affatto male in effetti..." Osservó il bruno. "Già, non mi dispiacerebbe provarci con una di loro..." Mormoró sottovoce il castano. "Hei ragazze!" Esclamó poi per farsi notare dalle due. "Ciao..." Salutarono timidamente quasi in contemporanea Francesca e Camilla. I guai combinati dai gemelli Juárez erano ben noti allo Studio e le giovani avevano cercato sempre di tenersi lontano da loro, specialmente la rossa che si infastidiva non appena li vedeva. La Cauviglia, invece, era sempre stata affascinata da Federico ma non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarglisi, ben conoscendo la sua reputazione di Don Giovanni. Intimidite dal comportamento fin troppo spavaldo dei due, le amiche stavano per andarsene quando Dj propose loro di prendere un gelato. "Non possiamo. Tra poco riprendono le lezioni allo Studio e se non ci sbrighiamo arriveremo in ritardo." Declinó l'invito Camilla. "Potremmo fare la strada insieme." Affermó il castano scompigliandosi il ciuffo. Camilla e Francesca si guardarono poco convinte, ma rifiutare sarebbe stato scortese, perció, seppur controvoglia, accettarono. Federico si affiancó a Francesca, cominciando a discutere con lei del piú e del meno, mentre Camilla e Dj rimasero un piú indietro. "Non ce la vedo bene la tua amica..." Mormoró scuotendo la testa il bruno. "Che vuoi dire?" Domandó la Torres. "Intendo che quando Federico decide di rimorchiare una ragazza non si arrende fino a quando non ci riesce..." Spiegó Dj. "Proprio tu vuoi fargli la morale! Ma se tu sei il primo a comportarti come un Don Giovanni!" Esclamó la rossa piuttosto alterata. Non sopportava coloro che non sapevano riconoscere i loro errori e invece incolpavano gli altri di comportarsi nel modo sbagliato. "Hai ragione, ma io non sono come mio fratello... Sfortunatamente" Dj scosse la testa sconsolato. Già, lui non era come Federico. Gli sarebbe piaciuto esserlo, ma purtroppo non era cosí... A lui dispiaceva ingannare le ragazze fingendo di essere interessato a loro solo per poter vantare una reputazione da rubacuori. Imitava il comportamento del fratello solo per cercare di farsi notare, di essere accettato. Federico era quello forte, quello bravo nel canto e nel ballo, quello bello, insomma il castano era sempre migliore di lui, in tutto. Allora Dj, consapevole della sua inferioritá, si limitava a vivere all'ombra del gemello, sperando di poter diventare come lui in futuro. Non passava giorno in cui non si maledisse per la sua debolezza, ma continuava a comportarsi in quel modo, appoggiandosi al fratello. Nessuno aveva mai sospettato nulla. Tutti credevano che lui fosse la fotocopia di Federico in quanto a carattere, ma non era cosí, era semplicemente un bravo attore. Ecco, se c'era una cosa che gli riusciva bene era mentire. In quello neppure suo fratello poteva batterlo, ma quella non poteva certo essere fonte di merito.
Camilla osservava il ragazzo di fianco a sé con aria turbata. Ricordava di aver sentito dire che in una coppia di gemelli uno dei due è sempre piú debole del fratello e che quindi in alcuni casi quello piú insicuro imitasse il comportamento dell'altro per sentirsi forte. Se quello si fosse verificato anche per i fratelli Juárez forse si sarebbe potuta spiegare quella strana frase del bruno. Ma quello non poteva essere il caso di Dj... O forse sí? Insomma lei non conosceva per niente bene quel ragazzo e lo aveva subito classificato come un Don Giovanni da cui tenersi alla larga. Poteva essersi sbagliata? Non lo sapeva ma aveva intenzione di andare a fondo a quella faccenda. Intanto Federico e Francesca si erano avvicinati a loro e avevano iniziato a discutere degli ultimi esercizi assegnati dagli insegnanti per cercare di intavolare conversazione. I due sembravano molto affiatati, cosa che non sfuggí a Camilla, la quale, ricordando le parole di Dj e le varie voci che correvano allo Studio sul conto del castano, assunse un'espressione preoccupata. Era molto affezionata a Francesca e non voleva vederla soffrire. Appena arrivata allo Studio le avrebbe fatto un bel discorsetto e forse, giá che c'era, avrebbe potuto parlare anche con Federico e metterlo in guardia dal giocare con i sentimenti della sua amica. Sí, quella era una buona idea. Rasserenata dalla sua pensata la rossa cominció a chiaccherare vivacemente e, nonostante tutto, dovette ammettere che i due gemelli Juárez sapevano essere davvero simpatici e divertenti.









Violetta entró nell'aula di danza per provare un po' prima delle lezioni. Accese lo stereo e inizió a ballare con grinta ma al tempo stesso con una dolcezza che non le apparteneva da molto. La base che aveva scelto era piuttosto movimentata, proprio quello che le serviva per sfogare tutto quel malumore che ultimamente l'accompagnava sempre. I suoi movimenti erano sempre piú veloci e il suo corpo sempre piú stanco, ma non le importava. Continuava a ballare con i capelli che le sfuggivano dall'ordinata coda di cavallo in cui li aveva raccolti e con la fronte sudata. Si sentiva libera, le sembrava quasi di poter spiccare il volo da un momento all'altro. In quel periodo tanto complicato della sua vita la musica era la sua unica consolazione, la sua ancora di salvezza in quel mare burrascoso. Terminó la coreografia alla perfezione e un sorriso illuminó il suo volto. Non uno dei soliti ghigni che esibiva di fronte agli altri, un sorriso vero, dolce e sincero. Un battito di mani la riscosse e girandosi verso la porta incontró gli occhi verde smeraldo di Leon che la fissavano con grande ammirazione."Ero sicuro che ci fosse del buono in te." Affermó il giovane Vargas con un sorriso, avvicinandosi a lei. Violetta si incantó a guardarlo. Non riusciva ancora a credere che potesse esistere un ragazzo tanto bello... Come aveva potuto non notarlo prima? Si rimproveró mentalmente per quei pensieri: si era ripromessa di non cedere all'attrazione che provava per quel ragazzo e mai l'avrebbe fatto. Non credeva piú nell'amore e in quelle cavolate. Aveva sempre dato affetto ai suoi genitori e loro invece cosa avevano fatto? L'avevano abbandonata a Buenos Aires per il loro lavoro che, evidentemente, consideravano piú importante di lei. Non avrebbe rifatto lo stesso errore. "Che cosa ci fai qui?" Sbottó quindi la Castillo. "La mia intenzione originaria era quella di provare, ma dato che l'aula era già occupata mi sono fermato a guardarti." Spiegò il giovane Vargas. "Bene, d'ora in poi non fare mai più una cosa simile. Non voglio che mi guardi, non voglio che mi parli e soprattutto non voglio che mi tormenti seguendomi ovunque io vada!" Lo assalì la ragazza, puntandogli un dito contro. "Ho capito: non é una buona giornata. Me ne vado..." Decise Leon, lasciando l'aula di danza a passo veloce. Violetta si imbambolò a fissare la porta da cui era uscito il giovane Vargas, tanto da non accorgersi che una persona si era posizionata alle sue spalle. "Vilu!" La castana sobbalzò spaventata e voltandosi incontrò gli occhi scuri di Lara, che la squadravano con aria confusa. "Cos'é quello sguardo da pesce lesso?" Chiese la sua amica. "Niente..." Mormorò Violetta. L'altra la guardò con aria perplessa, ma fece finta di niente. Dopotutto se era lì era solo per avere una conferma da parte della Castillo, non per parlare del più e del meno con lei. Prese un profondo respiro e prese a pettinarsi nervosamente i capelli, prima di porre la domanda che le stava tanto a cuore. "Senti, sei sicura che non ti piace Leon?" Domandò Lara. "Ancora con questa storia? Mi sembrava di averti già che detto che di quello non mi importa niente!" Esclamò stizzita Violetta. Perché la sua amica continuava a insistere con quell'argomento? Non sopportava che le venisse chiesta più volte la stessa cosa! Il suono della campanella la riportò alla realtà, mentre i suoi compagni iniziavano ad entrare nell'aula di danza, pronti per riprendere le lezioni. Tra tutta quella folla la castana individuò subito un paio di occhi smeraldo che sembravano illuminare l'intera aula con la loro luce splendente. Perché iniziava ad essere ossessionata da quel ragazzo? Con uno sbuffo si sistemò un po' i capelli, per poi cominciare a pensare ad una soluzione. Aveva bisogno di allontanare da sé il giovane Vargas, ma come poteva fare? Con un tempismo perfetto Nata entrò nell'aula, guardandosi attorno con aria nervosa, probabilmente sperando di evitare la Castillo e il suo gruppetto di bulli. Un ghigno soddisfatto si dipinse sul volto di Violetta. Eccola lì la soluzione a tutti i suoi problemi, personificata nella timida e impacciata Natalia. Leon non aveva forse detto che non sopportava le ingiustizie? Bene, allora sapeva cosa fare. Con un'espressione che non prometteva niente di buono la Castillo si avvicinò alla riccia e le circondò le spalle con un braccio. "Tesoro, mi sembri eccessivamente spaventata da me. Guarda che io non voglio farti del male, anzi... Vorrei che fossimo amiche." Affermò la castana con sorriso che appriva stranamente sincero. 
"A... Amiche?" Domandò Nata, sicura di aver capito male. "Sì, amiche. Ti va?" Chiese Violetta, tendendole una mano. Nata la guardò scioccata. Com'era possibile che la Castillo, la bulla più temuta di tutto lo Studio On Beat volesse la sua amicizia? Ci doveva essere un qualche trappola, la riccia ne era sicura. Quello era solo l'ennesimo modo ideato da Violetta per umiliarla davanti a tutti. Però lo sguardo della ragazza sembrava così sincero... Poteva fidarsi di lei? La mora rimase immobile, incerta sul da farsi. Poi, improvvisamente si decise e afferrò la mano della Castillo, stringendola debolmente. Le labbra di Violetta si piegarono in un ghigno: come aveva previsto Nata aveva creduto al suo imbroglio. Certo che era proprio ingenua quella ragazza! Era un vero spasso prenderla in giro! "Sciocca illusa. Hai pensato davvero che una come me si sarebbe abbassata a stringere amicizia con una sfigata come te? Idiota!" La Castillo spinse con forza Nata, facendola cadere rovinosamente. Gli altri allunni osservavano immobili quella scena, alcuni ridendo fragorosamente e incitando la Castillo a infierire sulla sua sfortunata vittima e altri guardando la castana con aria di disapprovazione. "Smettila di prendertela con lei! Che cosa ti ha fatto di male?!" Le urló contro Leon, che si era fatto avanti per aiutare la riccia a rialzarsi. Lo sguardo del ragazzo appariva indignato e il volto era rosso per la rabbia. Come poteva una persona dall'aria angelica come la Castillo nascondere un carattere tanto crudele? Quel pomeriggio, guardandola ballare, aveva creduto davvero che dietro alle apparenze in lei si nascondesse qualcosa di buono, ma con quello che aveva la castana appena fatto aveva dovuto ricredersi. Violetta sorrise soddisfatta: a giudicare dal viso infuriato di Leon, il suo piano stava funzionando alla perfezione. Ora il giovane Vargas l'avrebbe odiata a morte e non le si sarebbe avvicinato mai più, o almeno così sperava lei. Le urla di Leon e il fracasso che si era creato attirarono l'attenzione di Gregorio, che proprio in quel momento stava entrando nell'aula di danza.
"Che cosa sta succedendo qui?" Domandó adirato l'insegnante. Vedendo Violetta e Leon che discutevano proprio nel centro della sala, l'uomo si avvicinó ai due con aria minacciosa. "Castillo! Vargas! In presidenza! Subito!" Sbraitó Gregorio, incenerendo con lo sguardo i due malcapitati. I due ragazzi seguirono il professore di danza nell'ufficio di Antonio con la testa bassa e lo sguardo preoccupato, ben consapoveli di essersi cacciati veramente nei pasticci quella volta.









Angie camminava a passo svelto per i corridoi dello Studio, progettando di sfruttare quell'ora libera per riposarsi un po' in aula professori. In quegli ultimi tempi aveva avuto molto da fare con il lavoro e soprattutto a casa, con la nipote che, esaperata dall'ennesimo viaggio dei genitori, aveva assunto un comportamento ribelle e incotrollabile. Sapeva bene quanto Violetta stesse soffrendo e per questo non gliene faceva una colpa, ma per lei era sempre più faticoso gestire quella situazione. Sperava che sua sorella Maria e suo marito tornassero presto a Buenos Aires, perché lei non ce la faceva proprio più a badare a quella ragazza. Arrivata in aula professori, la bionda insegnante si sedette sulla prima sedia che trovò, appoggiandosi stancamente al tavolo. Chiuse un attimo gli occhi, giusto per riposarsi un po', e sprofondò in un sonno profondo e senza sogni.
Una volce gentile che chiamava con dolcezza il suo nome la svegliò, riportandola alla realtà. Ancora intorpidita Angie sollevò la testa e incontró il volto preoccupato del direttore dello Studio On Beat. "Pablo..." Mormorò con la voce impastata di sonno la bionda Saramengo. "Angie, finalmente ti sei svegliata. Ero così in ansia." Disse l'uomo, accarezzandole dolcemente una guancia. "Oddio! Mi sono addormentata!" Realizzò l'insegnante di canto, entrando in panico. "Sarò in ritardo per le lezioni! Scusami Pablo, io non volevo. Mi sono appoggiata un attimo al tavolo con l'intenzione di riposarmi un po' e invece..." Mormoró affranta la donna. "Non ti preoccupare, non c'é problema. E poi non sei affatto in ritardo: alla tua prossima lezione manca ancora un quarto d'ora." La donna tirò un sospiro di sollievo, ringraziando il suo amico per averla svegliata in tempo. "Angie, tu qualche giorno fa mi hai detto che potevo contare su di te, ricordi?" Le domandò Pablo. "Certo che mi ricordo! Perché?" La bionda guardò interrogativamente. Cosa voleva dirle il direttore dello Studio. Aveva forse deciso finalmente di raccontarle cosa gli stava capitando in quell'ultimo periodo? Sperava proprio che fosse così, perchè non le piaceva affatto che ci fossero dei segreti tra loro. Erano amici, d'altronde... "Volevo farti sapere che per me vale lo stesso: se senti il bisogno di parlarmi di qualcosa io sono qui." Pablo interruppe le sue riflessioni, guardandola dritto negli occhi mentre pronunciava quella frase e rivolgendole un gran sorriso. "Come mai sei così stanca da addormentarti sul tavolo dell'aula insegnanti?" Le domandó poi il direttore dello Studio. "Il fatto é che non ce la faccio piú... A casa la situazione con Violetta sta diventando sempre più insostenibile!" Esclamò Angie, esasperata dal comportamento della nipote. "É un'adolescente, vedrai che passata questa fase tornerà ad essere la solita ragazza dolce e solare di sempre." La rassicuró l'uomo. "No Pablo, la sua non é una semplice crisi adolescenziale. Da quando German e Maria sono partiti, lei si comporta in modo sbagliato solo per ripicca nei loro confronti. Penso che lei creda che i suoi genitori preferiscono il loro lavoro a lei." Spiegò la bionda insegnante. Pablo non disse niente, limitandosi ad accarezzare con movimenti circolari il palmo della mano sinistra della sua amica, come a volerla consolare. "Basta, sono stanca di questa situazione. Ho bisogno di uscire e staccare per un po' la spina." Affermò Angie. "Ti va di andare a fare una passeggiata in centro questa sera?" Domandó subito dopo. Pablo assunse un'aria rammaricata. Desiderava davvero molto uscire e svagarsi un po' insieme alla sua migliore amica, ma proprio non poteva. A casa sua aveva davvero un grave problema ed era impensabile mancare in quella abitazione proprio di sera... "Mi dipiace, ma non posso proprio." Affermó l'uomo rammaricato. "Va beh, non fa niente possiamo fare un altro giorno." Il tono di voce di Angie a primo impatto poteva sembra allegro come sempre, ma Pablo riuscì a scorgere un velo di tristezza in quella parole.











"Leon, mi hai deluso incredibilmente con il tuo comportamento. Capisco che tu volessi difendere una compagna vittima di bullismo, ma urlare così in un'aula dopo il suono della campanella, e quindi a lezione già iniziata, é un comportamento indegno di un ragazzo educato come te." Il preside, dopo aver ascoltato con attenzione il resoconto di quanto era successo nell'aula di danza, aveva iniziato a rimproverare i due ragazzi che, a testa bassa, annuivano alla parole dell'anziano uomo, consapevoli di essersi meritati quella partaccia. Antonio guardò severamente il giovane Vargas, uno degli alunni migliori di tutto lo Studio. Successivamente il preside spostò le sue attenzioni sulla Castillo e si rivolse a lei. "Quanto a te, io non so più cosa fare: sei ribelle, sfacciata e te la prendi con i tuoi compagni più deboli... Questo è il mio ultimo avvertimento, Violetta. La prossima volta sarò costretto ad espellerti. Per il momento penso che due giorni di sospensione ti aiuteranno a riflettere sulla gravità del tuo comportamento." La ragazza abbassò la sguardo. Questa volta aveva proprio esagerato. Angie la aveva avvertita che stava oltrepassando i limiti ma lei, come sempre, l'aveva ignorata. Adesso si trovava proprio in un bel pasticcio! Osservò Leon che, accanto a lei, aveva uno sguardo forse ancora più mortificato del suo. Dopotutto lui era un alunno modello. Non aveva mai causato problemi, non un solo richiamo o una sgridata e invece adesso, anche per colpa sua, aveva ricevuto una ramanzina dal preside. Sentiva un leggero rimorso nel vedere quegli occhi verde smeraldo, solitamente pieni di luce e di energia, così tristi e spenti. "Bene, potete andare." La voce di Antonio spezzò il pesante silenzio che si era creato nella stanza. I due giovani a quelle parole si alzarono e, rinnovando le loro scuse sottovoce, uscirono chiudendo la porta. L'anziano preside, una volta rimasto solo, si appoggiò allo schiena della sedia, sfinito. Sospirò rumorosamente: nell'ultimo periodo i suoi ragazzi avevano ancora più problemi del solito. Che fosse dovuto al fatto che stavano crescendo? Già, ma a che prezzo... Violetta, dotata di una voce melodiosa e dolce proprio come quella di sua madre Maria, era diventata un sorta di teppista, Leon, da quanto aveva appreso dal ragazzo stesso in privato all'inizio dell'anno, aveva dei problemi in famiglia, Ludmilla era fin troppo magra... E l'elenco dei disagi degli studenti sarebbe potuto continuare all'infinito. Stancamente l'uomo si passò una mano sul volto. Doveva imparare ad accettare la realtà: i suoi ragazzi stavano iniziando a maturare e a confontarsi con la vita che, putroppo, con molti di loro era stata tutt'altro che generosa.







NOTE AUTRICE: Dunque, in qeusto quinto capitolo conosciamo nuovi personaggi, in particolare Dj, Federico, Camilla e Francesca. I primi due sono dei gemelli viziati e combina guai. Se all'inizio possono sembrare uguali, però, più avanti si scopre che non è affatto così e che Dj si sente inferiore al fratello e per questo lo imita. Camilla forse se ne accorta ed è decisa ad andare a fondo in questa faccenda e soprattutto a proteggere la sua amica Francesca da Federico. Violetta intanto viene spiata da Leon mentre sta ballando e quando se ne accorge caccia via il ragazzo in malo modo. Ma ecco che riappare Lara! Quella strega sembra sempre più determinata a conquistare Leon! Eh no, sposta le tue attenzioni altrove idiota che non sei altro! Nel frattempo Violetta mette in atto un piano per allontanare da sè Leon e a rimetterci è la povera Nata. I Leonetta iniziano a litigare, ma interviene un furioso Gregorio che li spedisce in presidenza, dove la Castillo rimedia ben due giorni di sospensione. Intanto una sfinita Angie si addormenta sul tavolo dell'aula professori e viene svegliata dal suo migliore amico che le offre il suo conforto per la questione della nipote. La Saramengo allora gli propone di uscire per distrarsi un po' ma lui rifiuta per il fantomatico problema in famiglia del quale si è accennato nello scorso capitolo.
Bene, ringrazio tutti voi che recensite e mi fate sentire il vostro appoggio,
Hugs and kisses,
_Francy99_











 

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Capitolo 6
*** Fragilità. ***


Ludmilla prese un profondo respiro. Il forte odore del cloro le riempì con prepotenza le narici, dandole un leggero senso di stordimento. Osservò affranta lo specchio d'acqua della vasca della piscina e subito sentì le gambe tremarle per la paura. Aveva paura, una paura folle. Sin da quando era piccola aveva un timore assurdo di affogare e perciò quando con la sua famiglia andava in vacanza al mare, lei rimaneva sempre in disparte, seduta su una sdraio ad abbronzarsi. Suo padre, però, insistendo col fatto che in quel periodo stava prendendo qualche chilo di troppo e desideroso che lei superasse finalmente la sua paura di nuotare, l'aveva obbigata a seguire quel maledetto corso di nuoto. Non sapeva se sarebbe riuscita a resistere ancora a lungo e a sopportare quella situazione tremenda. Ogni giorno  Damian Ferro pretendeva sempre di più da lei e Ludmilla si sentiva sempre più e apatica e priva di energie. Purtroppo, però, non poteva fare niente: non avrebbe deluso suo padre per niente al mondo. Doveva frequentare quel corso di nuoto senza lamentarsi, chissà, magari, alla fine sarebbe stato divertente e avrebbe imparato a superare la sua paura di nuotare! Non molto convinta del suo ultimo pensiero e con aria affranta, si posizionò sulla pedana da dove tutti gli altri iscritti avevano saltato. Sentiva gli sguardi di tutti concentrati su di lei. Si fece coraggio e spiccò un piccolo balzo, tuffandosi. L'impatto con l'acqua gelida fu terribile. Il freddo la avvolse, scuotendola con mille brividi e una sensazione di soffocamento si impadronì di lei, facendole girare la testa. Subito si aggrappò al bordo, temendo di affogare. Era tutto inutile: la sua paura era più forte di lei, non ce l'avrebbe mai fatta a superarla. 
“Tutto bene, signorina?” le domandò l'istruttore che nel frattempo le si era avvicinato e aveva notato il colorito pallido della ragazza. Ludmilla guardò quell'uomo quasi supplicandolo con lo sguardo di salvarla da quella situazione. Poi un'idea iniziò a prendere forma nella mente della ragazza. Avrebbe potuto fingere di sentirsi male e uscire dalla vasca. Per non fare sospettare niente al padre sarebbe bastato farsi trovare davanti alle piscine all'orario in cui lui sarebbe andato a prenderla. Ludmilla gioì mentalmente: quella era un'idea fantastica! Sforzandosi di apparire il più sofferente possibile disse: "In effetti non mi sento molto bene, ho un forte mal di stomaco.”
“Forse è meglio che tu esca dall'acqua.” suggerì l'uomo. “Sì.” concordò la ragazza, aggrappandosi alla scaletta posta alla sua sinistra e iniziando a salire gli scalini. “Vuoi che chiami i tuoi genitori?” domandó l'istruttore. Ludmilla impallidì di paura al solo pensiero. No, suo padre non doveva sapere niente, altrimenti sarebbero stati guai. “Non si disturbi, abito qui vicino.” inventò prontamente la Ferro. “Come preferisci. Allora puoi andare.” affermò l'uomo.Ludmilla, fingendo una faccia dolorante e poggiando una mano sullo stomaco per non far scoprire la sua bugia, si diresse verso gli spogliatoi, mentre dentro di sè esultava. 
Sotto il getto d'acqua della doccia, lontano dagli sguardi degli altri, tirò un sospiro di sollievo. Ce l'aveva fatta: aveva evitato di nuotare! Poi, però, realizzò che se quella volta l'aveva scampata, non avrebbe potuto usare lo stesso trucco anche le settimane sucessive fino alla fine del corso... Non importava: ci avrebbe pensato più tardi, in fondo aveva ancora sette giorni prima di affrontare nuovamente quel problema. Rincuorata da quest'ultimo pensiero, Ludmilla si concesse una doccia lunga e rillassante. Una volta che ebbe terminato di lavarsi osservò l'ora sul grande orologio a muro. Mancava ancora un po' prima che arrivasse suo padre... Poteva andare un salto allo Studio a recuperare uno spartito che quella mattina aveva dimenticato. Dopotutto avrebbe dovuto presentare quel brano pochi giorni dopo e sarebbe stato meglio iniziare ad esercitarsi subito, a partire da quella sera stessa. La Ferro, dopo aver preso quella decisione, si vestì in tutta fretta e pettinò la sua folta chioma di capelli dorati in una manciata di secondi. Finalmente pronta, la ragazza si precipitò in strada e iniziò a camminare alla volta dello Studio On Beat.









Violetta si buttò a peso morto sulla prima sedia che trovò. La sospensione l'aveva messa proprio di cattivo umore e stava facendo disperare sia sua zia che Olga. Non le andava giù di non poter frequentare lo Studio On Beat per i successivi due giorni! La musica era il suo mondo, la sua unica passione e pensare di doverla abbandonare, anche se per poco, le faceva saltare i nervi. D'accordo, lei non si era comportata affatto bene, ma sospenderla era stato un gesto esagerato! Inoltre Antonio aveva minacciato di espellerla se ne avesse combinata un'altra delle sue... Avrebbe dovuto darsi una regolata. E comunque non era servito a molto farsi sospendere: continuava a sentire un forte legame con Leon. Ogni volta, quando chiudeva gli occhi, le sembrava di vedere quelle iridi smeraldini e quei capelli castani sempre ben pettinati. Era inutile negarlo: si era presa una bella cotta per il giovane Vargas. Non avrebbe ceduto a quell'infatuazione, però. Doveva mettere subito in chiaro le cose, tra loro non ci sarebbe mai potuto essere niente. Con aria annoiata la castana afferrò l'I-pod e si infilò le cuffiette nelle orecchie, facendo partire la musica e lasciando che il suono delle note superasse il rumore dei suoi tormentati pensieri. Immersa completamente nella canzone non si accorse che dietro di lei era arrivato qualcuno, fino a quando delle mani delicate non le coprirono gli occhi, impedendole la vista. “Indovina chi sono!” esclamò una voce allegra e a lei famigliare. La ragazza finse pensarci un po' e poi affermò sicura: “Angie!”
“Esatto!” L'entusiasmo nella voce della donna coinvolse anche Violetta che la abbracciò con foga, stringendola forte, quasi temesse di perderla. Si sentiva molto affezionata a lei. Dopotutto da quando Maria e German erano partiti, la dolce zia era tutta la famiglia che le era rimasta. 
“Cos'é tutto questo affetto improvviso?” domandó sorridendo la donna, piacevolmente sorpresa da quell'abbraccio della nipote. “É che mi sento molto sola... Non ho veri amici e non so se mai ne avrò. E poi c'é Leon...”  mormorò sovrapensiero la castana. “Leon? Cos'è successo con Leon?” domandò curiosa la zia. “Niente... é che lui é così...così...” La giovane si interruppe, alla ricerca del termine approriato. “Violetta! Non dirmi che quel ragazzo ti piace!” ammiccò la bionda insegnante, con aria felice. Leon era uno degli studenti più talentuosi dello Studio On Beat, ma soprattutto era un giovane ammodo e gentile, esattamente quello che ci voleva per la sua nipotina. Sarebbe stata così felice se quei due si fossero messi insieme. Era sicura che Vargas avrebbe potuto far tornare a galla tutta quella dolcezza che Violetta aveva nascosto sotto quella maschera di aggressività e sfacciataggine. “No... Ma che dici zia?!” domandó con una faccia fintamente scandalizzata la giovane Castillo. “Avanti non mentire! Ti si legge in faccia che sei cotta di lui!” esclamò con uno sguardo furbo la donna. “E va bene... Sento una forte attrazione per Leon, ma non potrà mai nascere niente tra noi.” Affermò decisa la ragazza. “E perché? Come dice il detto? Volere é potere! Sei una splendida ragazza e sono sicura che Leon col tempo si innamorerà di te, sempre che non sia già cotto!  Ho notato che ti fissa spesso... Basta che ci sia da parte tua la volontà di cominciare questa relazione e voi due starete insieme, ne sono sicura.” Le parole di Angie, tuttavia non vennero prese in considerazione dalla ragazza che, voltandosi verso la donna, disse: “Ed é appunto la volontà di cominciare questa relazione che mi manca. L'amore é inutile: porta solo dolore e infelicità. Prendi come esempio i miei genitori, io ho dato loro tutto l'affetto possibile e loro cosa hanno fatto? Mi hanno abbandonata qui, preferendo il loro lavoro a me. Non voglio che questo si ripeta, non voglio soffrire ancora.” Angie guardò con aria triste la nipote. Sapeva che la ragazza stava attraversando un periodo difficile, ma non pensava che fosse una situazione grave fino a quel punto, non immaginava che la castana avesse smesso di credere nell'amore. Ricordava ancora la ragazzina romantica che sognava ad occhi aperti l'arrivo di un principe azzurro. E proprio adesso che quel principe era arrivato, nei panni del dolce e gentile Leon Vargas, la nipote non ne voleva sapere più niente. In quel periodo la ragazza era cambiata proprio tanto... Ma Angie sapeva che era tutta una montatura per cercare di occultare agli occhi degli altri il dolore che sentiva dentro il suo cuore. Violetta sembrava tanto spavalda e faccia tosta, ma in realtà, dietro a quella maschera, si nascondeva una persona tanto fragile e insicura. La donna accarezzò con dolcezza i capelli della nipote, coccolandola tra le sue braccia. Sapeva che in quei momenti di tristezza la ragazza aveva bisogno di sentirla vicina. Lasciò per un po' che il silenzio si interponesse tra loro, poi, guidata dal cuore, iniziò a parlare. “Vilu, capisco il tuo ragionamento, ma non puoi smettere di credere nell'amore solo per quello che é successo con i tuoi genitori! Ama, piccola mia, perchè se non lo farai un giorno ti volterai indietro rimpiangendo quest'occasione persa e a quel punto non potrai più tornare indietro. Ama adesso, perchè non sai cosa ti riserverà il futuro, ma puoi incominciare a sentirti felice vivendo bene il presente.” “Da quando sei così profonda?” domandò ridacchiando la ragazza. “Da sempre!” scherzò la donna. “Tornando serie... ascolterai il mio consiglio?” La domanda di Angie fece riflettere la giovane. Voleva davvero smettere di credere nell'amore? O forse avrebbe potuto ignorare il passato e provare a lasciarsi guidare solo dal cuore, provando di nuovo a dare affetto a qualcuno? Non lo sapeva, ma di una cosa era sicura: avrebbe avuto parecchio da riflettere in quei giorni di sospensione, probabilmente, in fin dei conti, il preside aveva fatto bene a lasciarla a casa per un po'.











Ludmilla entrò velocemente nell'edificio dello Studio On Beat, decisa a recuperare lo spartito che quella mattina aveva dimenticato. Doveva esercitarsi il più possibile sper cantare bene quella canzone e raggiungere l'ottimo voto che suo padre si aspettava. Rischiando di inciampare per via dei tacchi alti si precipitò nell'aula di canto, dove, fortunatamente, trovò le partiture che cercava. Si incantò davanti a quel foglio e osservando quelle note, iniziò a canticchiare quella melodia, prima sottovoce e poi sempre più forte. Si lasciò guidare dal ritmo incalzante della canzone, sorridendo soddisfatta. Per una volta si sentiva a suo agio, per una volta poteva seguire la sua passione senza il padre alle costole che la soffocava, imponendole di impegnarsi di più. La ragazza chiuse gli occhi, beandosi della sensazione fantastica che le donava la musica. Ad un certo punto, proprio quando era ormai arrivata alla fine della canzone, doveva arrivare ad una nota particolarmente acuta, ma sbagliò l'intonazione e stonò. Riprovò più volte, ma proprio non riusciva a prendere la nota giusta.Disperata si accasciò sulla prima sedia che trovò, mentre lacrime calde e amare riempivano i suoi occhi, per poi rotolarle lungo le guance. Non poteva essere successo davvero! Quello doveva essere un incubo! Com'era possibile? Lei non poteva permettersi di stonare così. La musica era la sua unica vera passione, l'unica attività che la faceva sentire bene, che la faceva sentire viva. Suo padre già molte volte aveva minacciato di tirarla fuori di lì, convinto che il canto e il ballo fossero delle schiocchezze e che sua figlia non poteva perdere tempo dietro a quelle cavolate. Dopo aver visto i numerosi successi di Ludmilla in quel campo, il signor Ferro aveva cambiato idea e aveva deciso di lasciarle frequentare quel posto, chiedendo, però, alla ragazza di continuare ad applicarsi con impegno in quell'attività. La bionda non poteva neanche immaginare cosa sarebbe successo se l'uomo fosse venuto a conoscenza del fatto che lei aveva stonato in una simile maniera! E se neanche in futuro sarebbe riuscita a cantare quella nota tanto alta e avesse preso un brutto voto? Sarebbe stata una vera e propria tragedia... La giovane prese a piangere ancora più forte, bagnando di lacrime lo spartito che teneva ancora in mano. Si ripetè mentalmente che avrebbe dovuto smetterla di frignare e affrettarsi a raccogliere la sue cose: suo padre di sicuro stava per arrivare alle piscine e se non l'avesse trovata sarebbero stati guai seri. Tuttavia non riusciva a muoversi dalla sedia su cui si era accasciata, quell'insuccesso l'aveva veramente demoralizzata. Proprio in quell'istante, un rumore di passi la distrasse e voltandosi verso la porta della stanza, la Ferro incontrò lo sguardo arrogante e sicuro di sé di un ragazzo che doveva avere all'incirca la sua età. Il giovane le si avvicinò e dopo aver frugato un po' nelle tasche del suo giubbotto di jeans, le porse un fazzoletto. Ludmilla lo guardò riconoscente, poi afferrò l'oggetto e si asciugò le lacrime che le rigavano il volto. “Grazie.” mormorò la bionda subito dopo.
Il ragazzo fece un cenno col capo, con l'intenzione di farle capire che non aveva fatto niente di speciale, poi, sedendosi accanto a lei le domandò: “Posso chiederti perchè piangi?”
“É una storia un po' lunga...” sospirò la Ferro, perdendosi in quelle iridi castane dalle mille sfumature verdi. “Tranquilla, ho tempo.” La voce del giovane interruppe i pensieri di Ludmilla, che si era imbambolata a guardarlo. Era proprio bello. Certo, forse quell'aria arrogante non si adattava bene con il suo prototipo di ragazzo ideale, ma avrebbe potuto lasciare perdere quell'aspetto.
“Il fatto é che stavo provando un brano, ma ho stonato...” incominciò la bionda, rattristandosi nuovamente. “No, non dirmi che stavi piangendo per quello!” la interruppe bruscamente il giovane. Non poteva crederci! Lui, che aveva veramente dei gravi problemi non si lamentava mai e invece quella biondina si disperava per una stupidissima canzone! Doveva essere proprio un'oca ossessionata da manie di grandezza e perfezione! Scuotendo la testa si alzò dirigendosi verso la porta, quando una voce lo bloccò. “Non è solo per quello...” mormorò timidamente la bionda.
“Ah no e illuminami, per cos'altro piangevi? Perchè ti sei macchiata il vestitino nuovo?” domandò sarcastico il ragazzo. “Io sono stato separato da mia sorella quando ero molto piccolo ed è da anni che non la vedo! Questi sono i veri drammi della vita!” esclamò poi furioso. Non riusciva proprio a sopportare le persone che si mettevano a piagnucolare per delle sciocchezze!  “Non è come sembra. So che può sembrare stupido piangere per una canzone ma il fatto é che mio padre pretende che io mi impegni in tutto ciò che faccio e io non posso deluderlo! Io devo sempre essere in perfetta forma, devo sempre essere la più bella e devo sempre dare il massimo!” spiegò la ragazza. Diego osservò la giovane di fronte a sè. Aveva dei bellissimi boccoli biondi e un viso dai tratti delicati, ma la sua corporatura era decisamente troppo esile per la sua altezza. Diego sospettò che quest'ultimo particolare fosse dovuto a quel padre troppo soffocante di cui la ragazza gli aveva appena parlato. Probabilmente quell'uomo ossessionato dalla perfezione doveva aver messo la figlia a dieta.  “Sei molto magra... È stato tuo padre a ridurti così?” domandò infatti il giovane. “Sì, lui mi pesa tutte le settimane per controllare che non sia ingrassata.” spiegò Ludmilla, confermando i sospetti del ragazzo. Diego la guardò con compassione. All'inizio gli era sembrata una viziata che si metteva a piagnucolare per una sciocchezza, ma adesso aveva capito chi era realmente quella bionda. Era una ragazza fragile ed estremamente insicura, condizionata da un padre soffocante che pretendeva di controllarla come un burattino. Il giovane le si avvicinò, per poi tornare a sedersi accanto a lei. “Non pensi sia il caso di ribellarti?” le domandò con dolcezza Diego. Il giovane si sentiva strano a comportarsi in quel modo, ma quella ragazza sembrava così fragile e se voleva farla stare meglio avrebbe dovuto di sicuro mostrarsi comprensivo e affettuoso. Gli faceva un'incredibile tenerezza quella biondina. Come poteva il padre trattarla in quel modo? Quella giovane era fin troppo magra e infelice... “Non posso ribellarmi! Lui vuole che io sia sempre perfetta e non posso deluderlo!” esclamò ricominciando a singhiozzare Ludmilla. Non le piaceva parlare della sua situazione, le metteva addosso un'infelicità tremenda. Le lacrime tornarono a rigarle il volto. “Sh! Tranquilla, non piangere. Ci sono qui io con te.” mormorò il giovane guardandola teneramente. Poi l'abbracciò di colpo, cominciando a cullarla tra le sue braccia. Forse era un gesto avventato, d'altronde non sapeva neanche il nome di quella ragazza che teneva stretta a sè, ma gli era venuto spontaneo. Il suo cuore, vedendo gli occhi lucidi della bionda, l'aveva guidato, mettendo da parte ogni logica e lo aveva spinto a confortare quell'anima fragile e infelice. Ludmilla si lasciò andare a quell'abbraccio e piano piano le lacrime cessarono di scorrere lungo il suo volto. Stretta al petto del ragazzo sentiva una tranquillità diffusa avvolgerla e per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva a suo agio. Non poteva credere che un perfetto sconosciuto le facesse quell'effetto! Forse aveva trovato finalmente qualcuno in grado di capirla. Staccandosi leggermente dal giovane, la Ferro prese ad asciugarsi quello che rimaneva delle lacrime con il dorso della mano. “Va un po' meglio?” domandò il bruno. “Sì, grazie... Mi ha fatto bene sfogarmi un po' con te.” sussurrò appena la ragazza, guardandolo riconoscente e rivolgendogli un timido sorriso. “Figurati!” disse Diego, convinto che quella ragazza avesse qualcosa di speciale. Aveva un aria così pura, così fragile... Era molto diversa dalle ragazze che lui era abituato a frequentare, ma forse era proprio per questo che avvertiva qualcosa di diverso standole vicino... Improvvisamente il moro si ricordò che non sapeva il suo nome, nella fretta di consolarla si era dimenticato di chiederglielo. “Io sono Diego e tu?” domandò il moro porgendole la mano. “Ludmilla.” rispose semplicemente la ragazza. “Sei un'allieva dello Studio?” chiese ancora il giovane Ramirez. “Sì. Tu invece cosa ci fai qui? Mi sembra di non averti mai visto.”  osservò la bionda. “Sono qui per parlare con mio zio. Sono il nipote di uno dei professori, più precisamente di Gregorio Casal.” le spiegò Diego. Ludmilla rimase a bocca aperta a quell'affermazione. Davvero quel ragazzo così gentile era imparentato con quello scorbutico del professore di danza? Le pareva impossibile! Certo Diego appariva piuttosto arrogante e ambizioso, ma mai ai livelli di suo zio! Mentre era persa nei suoi pensieri le cadde per caso l'occhio sull'orologio e per poco non cadde dalla sedia per lo spavento. Era tardissimo! Non sarebbe mai riuscita ad arrivare in orario! “Che succede?” domandò Diego, notando l'espressione terrorizzata della ragazza.“Sono in ritardo, mio padre mi aspetta tra dieci minuti davanti alle piscine e se non mi trova saranno guai!” esclamò la bionda.“E che problema c'è? Ti accompagno io in moto!” esclamò prontamente il giovane.
“E tuo zio?” domandò la Ferro. “Beh, lui può aspettare!” esclamò il giovane Ramirez. Ludmilla sorrise, Diego era decisamente simpatico e gentile. Forse, finalmente, aveva trovato qualcuno che la capiva e che l'accettava così com'era.






NOTE AUTRICE: Oggi sarò breve perchè vado di fretta. Allora, in questo sesto capitolo troviamo ancora una Ludmilla sottomessa al padre che l'ha obbligata a frequentare un corso di nuoto. Forse però la ragazza sta iniziando, anche se in modo molto graduale, a ribellarsi al padre, scappando dalla piscina. Arrivata allo Studio incontra Diego che si trova allo Studio per parlare con suo zio. I due parlano e viene fuori la situazione disastrata della povera Ludmilla, che viene prontamente consolata dal giovane Ramirez. Belli loro! <3 Intanto Violetta continua a pensare a Leon. È cotta, ormai è cotta! :3 Però non vuole lasciarsi andare a questo sentimento, tanto che sembra anche intenzionata a rifiutare i buoni consigli di sua zia. Però grazie alle parole di Angie alcuni dubbi iniziano a formarsi nella mente della Castillo.
Bene, ringrazio tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia, siete fantastici! <3
Hugs and kisses,
Francy

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Capitolo 7
*** Segreti inconfessabili. ***


Pablo si sveglió di soprassalto, aprendo gli occhi di scatto. Spaesato e con gli occhi ancora impastati di sonno si mise a sedere sul letto. Subito avvertì al suo fianco una presenza e voltandosi si accorse di una minuscola manina intrecciata alla sua. Ángel dormiva sereno, le gambe rannicchiate vicino al petto e i capelli scuri sparsi sul cuscino. Pablo gli sfiorò la guancia con la mano in una timida carezza e inevitabilmente sul volto provato dell'uomo apperve un sorriso. I bambini gli avevano sempre ispirato una grande tenerezza e Ángel non faceva eccezione. Quando dormiva poi gli sembra più innocente e puro che mai, con quell'aria da angioletto che si impossessava del suo piccolo viso. Insomma, di giorno quel diavoletto scatenato lo faceva esasperare, ma non appena toccava il cuscino assumeva un'espressione beata e per Pablo era impossibile non trovarlo adorabile! Quant’erano belli i bambini! Aveva sempre sognato di costriursi una famiglia tutta sua e avere tanti figlioletti a ronzare per la casa, portando chiasso e allegria. Poi era arrivato Ángel e aveva letteralmente stravolto la sua vita. Ancora non sapeva dire se questo fosse stato positivo o meno, ma di sicuro non era stato per niente positivo quello che era accaduto alla madre del bambino recentemente. Jade era ricaduta nel giro dell'alcool. A niente erano serviti gli ammonimenti di Pablo e le suppliche dei suoi genitori, tutti i loro sforzi per tirarla fuori da quel circolo pericoloso in cui si era ritrovata già in passato, tutto era stato vano. Alla fine la donna era stata ricoverata in ospedale d'urgenza ed era un miracolo che non fosse morta. Da allora Pablo non l’aveva vista molto, si era limitato a delle sporadiche visite in cui le raccontava un po’ come andava col bambino. Non aveva mai giudicato la donna, sapeva che in fondo lei non avrebbe mai voluto ricadere nel giro dell’alcool, soprattutto dopo tutto quello che aveva fatto per cercare di disintossicarsi da quel vizio. Lui era sempre stato un uomo umile e consapevole del fatto che anche lui commettesse errori, perciò non se la sentiva ad ergersi giudice degli altri, ma esprimeva il proprio parere quando gli veniva richiesto e distribuiva buoni consigli a tutti. Lo stesso aveva fatto con Jade quando aveva saputo di quanto le era capitato. 
Alzandosi in piedi si stiracchiò velocemente, per poi scompigliare affettuosamente i capelli di Ángel, che continuava a dormire profondamente. Si accorse di indossare ancora i vestiti del giorno precedente. La sera prima era così distrutto che si era addormentato accanto al bambino subito dopo avergli augurato la buonanotte, senza neanche avere il tempo di cambiarsi e mettersi il pigiama. Si passò una mano sopra il viso assonnato, per poi lanciare un’occhiata al suo orologio a polso e per poco non gli prese un colpo. Ma quanto aveva dormito? Era tardissimo, se non si fosse sbrigato sarebbe senz’altro arrivato in ritardo al lavoro! Consapevole di ciò si affrettò a svegliare Ángel, scuotendolo per le spalle con delicatezza. Subito il bimbo spalancò i suoi occhi color cioccolato fondente e si guardò intorno con l'aria spaesata tipica di chi si è appena svegliato. 
“Zio.” Mormorò flebilmente il piccolo.
“Buongiorno Ángel. Avanti, giù dal letto che è tardissimo.” Disse Pablo, con il tipico tono dolce ed indulgente che si usa con i bambini. “Oggi pensavo di fare colazione fuori casa, in un bar, altrimenti arriverai in ritardo a scuola e io al lavoro. Per te va bene?”
Ángel annuì entusiasta, poi il suo faccino si fece improvvisamente pensieroso. Era ormai da un po' che non vedeva la sua mamma e ne sentiva la mancanza, ma tutte le volte che provava a chiedere allo zio di portarlo da lei, lui cambiava argomento o inventava qualche scusa. Tuttavia il bimbo non demordeva e ogni giorno gli poneva puntualmente la solita domanda.
“Quando andiamo a trovare la mamma?” Domandò infatti il piccolo.
Pablo guardò il faccino supplicante del nipotino e si sentì in colpa per la risposta che avrebbe dovuto dare. Sapeva però di non poter fare altrimenti, non gli sembrava appropriato portare un bambino di soli otto anni in ospedale per fare visita ad una madre alcolista, tutte le volte che era andato a trovare la sorella aveva lasciato il piccolo a casa. Certo, si rendeva conto che fosse doloroso sia per Ángel che per Jade stare separati senza potersi mai vedere, ma lo faceva per il bene di entrambi.
“Non so quando andremo a trovare la mamma, Ángel. Sono sempre molto occupato...” Mormorò Pablo. Dopotutto quella non era una menzogna, non era mai stato oberato di lavoro come in quel periodo. Trascorreva gran parte della giornata allo Studio, poi andava a prendere Ángel da scuola e una volta tornato a casa aveva sempre ancora molto da fare. Insomma, aveva proprio delle giornate piene. 
“Va beh, non fa niente.” Sussurrò tristemente il bimbo, spezzando il flusso dei suoi pensieri.
“Ángel, ascoltami, io so quanto ti manchi la mamma, ma davvero per me è impossibile in questo periodo portarti da lei. Però hai me. Sappi che se hai bisogno di qualcosa o vuoi parlare con qualcuno io sono qui, va bene?” Domandò pazientemente l'uomo.
Il bambino annuì, ma abbassò la testa, mostrandosi improvvisamente interessato alle fughe del pavimento. Pablo osservò dispiaciuto il volto infelice del nipotino. No, così non andava bene. Non sopportava di vedere gli altri soffrire, soprattutto per causa sua, doveva fare qualcosa e subito. Si abbassò fino ad arrivare all'altezza di Ángel, poi gli mise due dita sotto il mento, sollevandogli il viso in modo da poterlo guardare negli occhi.  
“Hei! Me lo fai un sorriso?” Domandò il moro, accarezzandogli la schiena con la mano libera.
Il bimbo lo guardò titubante, poi vedendo l'espressione incoraggiante dell'uomo piegò le labbra in un timido sorriso.
“Ecco, così va meglio!” esclamò soddisfatto Pablo. “Zio?” domandò timidamente il bimbo. “Che c'è?” chiese il moro, entrando subito in ansia temendo che Ángel volesse affrontare nuovamente il discorso di quando andare a trovare sua madre. “Mi abbracci?” domandò il piccolo, soprendendo piacevolmente l'uomo. “Certo!” Pablo gli si avvicinò e lo strinse forte al petto, cullandolo tra le sue braccia. Era cosciente del fatto che il nipotino stesse passando un brutto periodo lontano da Jade e di questo era infinitamente dispiaciuto. Tuttavia, piano piano, Ángel stava imparando a fidarsi di lui e il moro era entusista di questo. Voleva che il bambino si sentisse come a casa sua, che non gli mancasse niente. Il piccolo si strinse ancora di più a lui, probabilmente cercando quell'affetto che in quell'ultimo periodo tanto gli era mancato. Pablo appoggiò la testa sulla sua piccola spalla, per poi accarezzare con movimenti circolari la schiena del bimbo. “Prima o poi riabbraccerai la tua mamma, te lo prometto.” sussurrò l'uomo. 
Il bambino sciolse l'abbraccio e si aprì in un sorriso ancora più luminoso del precedente. “Davvero?” domandò contento Ángel. “Davvero.” rispose semplicemente il moro. “Ora però conviene che tu ti dia una mossa, altrimenti si farà davvero tardi.”
Il piccolo annuì e si affrettò a prepararsi per andare a scuola, sotto gli occhi di un Pablo assorto nei suoi pensieri. Quella situazione non poteva continuare ancora per molto, per un bambino di quell'età era impensabile vivere senza la madre vicino! Sperava vivamente che Jade potesse riprendersi in fretta e che tornasse ad occupare il suo ruolo di madre, perchè lui, nonostante ci mettesse impegno e tenacia, non era abbastanza per il piccolo Ángel. Pablo voleva davvero molto bene al piccolo e cercava di dargli tutto l'affetto di cui aveva bisogno, ma di certo non poteva sostituire sua sorella nella cura e nell'educazione del bambino.










Leon si sciaquò con foga la faccia, sperando che l'acqua, insieme alla sporcizia, lavasse via anche la stanchezza e l'infelicità che in quell'ultimo periodo segnavano il suo giovane volto. Sollevò la testa quasi con timore per osservare il suo riflesso nello specchio. Sul suo viso pallido spiccavano incredibilmente gli occhi verdi, ancora arrossati dal pianto e la sua espressione sembrava quella di chi ha appena visto un fantasma. Per completare il tutto il magnifico ciuffo, di cui era sempre andato tanto fiero, gli ricadeva disordinatamente sul lato sinistro della fronte. Tutto lasciava intendere che avesse pianto. Era da un po' che non gli accadeva di sfogarsi così, ma in quel giorno proprio non era riuscito a trattenere le lacrime. Esattamente un anno fa suo padre era morto e ancora non si era abituato al vuoto che l'uomo aveva lasciato nel suo cuore. “Maledizione!” esclamò tirando un forte pugno contro il muro. Perchè non riusciva nemmeno per un attimo a smettere di pensare al suo dolore? Aveva molto altro da fare, doveva pensare a sua madre, non poteva perdere tempo a rimuginare sulla sua infelicità! Richiuse il rubinetto e si asciugò il volto con il primo asciugamano che gli capitò tra le mani. Con passo svelto si diresse verso la sua stanza, aprendo la porta con foga. La camera era in uno stato pietoso, sembra quasi che fosse appena passato un uragano, stravolgendo tutto. Sulla piccola scrivania in plastica dura erano sparsi oggetti di vario tipo, ovunque sul pavimento si trovavano riviste musicali e per completare il tutto dentro l'armadio, dalle ante spalancate, regnava il caos più totale. Facendosi strada tra tutto quel disordine il giovane arrivò fino ad una sedia color rosso fiammante, sulla quale era poggiato un giacchettino leggero. Velocemente afferrò l'indumento, per poi uscire in fretta dalla stanza.
“Mamma, dove sei?” domandò ad alta voce il giovane. “Eccomi!” esclamò una donna, comparendo da dietro la porta della cucina. Aveva un'aria decisamente fragile e sembrava reggersi in piedi per miracolo. In quella persona debole che gli stava di fronte Leon non riconosceva più l'Esmeralda Di Pietro della sua infanzia, che era stata una bella donna, piena di grinta e di voglia di vivere. Ormai era solo un involucro vuoto, devastato dal dolore e dalla disperazione. Dagli occhi arrossati e gonfi si poteva facilmente intuire che anche lei avesse pianto. Subito il giovane provò una forte compassione per lei e le si avvicinò, stringendola in un abbraccio delicato, quasi avesse paura di farle male. La donna iniziò a piangere rumorosamente contro il suo petto, bagnandogli la maglietta di lacrime e aggrappandosi a lui con più forza, per poterlo sentire ancora più vicino a lei in quel momento di tristezza. Il giovane iniziò a dondolarsi leggermente, come a volerla cullare, come a suo tempo sua madre aveva fatto con lui. Era strana quella situazione: nelle famiglie normali erano le madri a prendersi cura dei figli e a consolarli quando ne avevano bisogno, non viceversa. Già, ma a volte dimenticava la sua non era una famiglia normale, purtroppo.
Lentamente i singhiozzi di Esmeralda cessarono e le lacrime che scorrevano sul volto umido della donna diminuirono sempre di più, fino a quando quel pianto non si arrestò del tutto. Leon la cullò ancora un po' tra le sue braccia, per poi sciogliere l'abbraccio. Il giovane osservò con
preoccupazione gli occhi vuoti e il volto smunto della madre. Non notava segni di miglioramento rispetto ai giorni precedenti, così come non ne aveva notati da quando la donna aveva iniziato la cura. Forse avrebbe dovuto nuovamente portarla dal dottore per farla visitare. 
“Io esco. Saró qui per l'ora di pranzo, credo. Ricordati di prendere le medicine.” mormorò il ragazzo, lasciandole un bacio tra i capelli. Senza aspettare una risposta da parte della madre, Leon spalancò la porta d'ingresso e si fiondò fuori di casa. Certo, forse non era stata una decisione saggia lasciare sua madre a casa da sola dopo quella sua crisi di depressione, ma sentiva il bisogno di andare a trovare suo padre, in quel giorno dell'anniversario della sua morte. Inforcò la sua vecchia moto e si diresse in direzione opposta a quella che lo avrebbe portato allo Studio. Quel giorno non sarebbe andato alla scuola di musica, si sentiva uno straccio e probabilmente non sarebbe riuscito neanche a mettere insieme due note senza stonare. Rapidamente prese a sfrecciare per le strade della città, avvertendo il vento freddo del mattino sferzargli con forza il volto. Era fantastica la sensazione che provava tutte le volte che saliva sulla sua moto. Si sentiva come estraniato dal resto del mondo e l'adrenalina spazzava via tutti i dubbi e i problemi. Imboccò una serie di strette stradine e grazie a quelle scorciatoie si ritrovò presto davanti all'imponente cimitero della città. Già dall'esterno quell'edificio trasmetteva una terribile sensazione di tristezza e infelicità. Prima di entrare, però, Leon si diresse verso un fioraio lì vicino e comprò un bel mazzo di roselline bianche insieme ad alcuni fiori finti di un giallo vivace. Con passo titubante il giovane varcò il cancello in ferro battutto e si diresse subito verso la tomba dove era sepolto suo padre. Dopo neanche una manciata di minuti la individuò, in mezzo alle altre. Con le ginocchia tremanti si abbassò fino ad arrivare all'altezza della lapide e sfiorò delicatamente la foto che ritraeva un bell'uomo nel fiore degli anni. Subito nuove lacrime premettero per uscire, ma Leon le ricacciò indietro. Doveva essere forte, suo padre non avrebbe voluto vederlo piangere. Convinto di questo si tamponò gli occhi leggermente umidi, nonostante i suoi sforzi per trattenere le lacrime, con la manica del giubbotto e sistemò con cura i fiori freschi, togliendo quelli secchi che giaceva sulla tomba. 
“Ciao papà.” sussurò tristemente. Probabilmente agli altri poteva sembrare ridicolo il fatto che lui stesse perdendo tempo a parlare con una lapide, ma Leon continuò comunque, convinto che in qualche modo suo padre lo potesse ascoltare. “Ti mentirei se ti dicesse che a casa va tutto bene, la verità è che sentiamo molto la tua mancanza. La mamma sta così così e io sto cercando di prendermi cura di lei, come ti avevo promesso. Non ti preoccupare, ho anche delle buone notizie da darti: I miei studi di musica allo Studio vanno a gonfie vele e i professori mi fanno spesso i complimenti. Scommetto che se fossi qui saresti fiero di quanto sono diventanto bravo! E poi... poi c’è Violetta. Sai all'inizio credevo che quella ragazza fosse speciale, poi però quando l'ho vista comportarsi male con una compagna più debole ho cambiato opinione su di lei. So che non è il tipo di ragazza più adatta a me, ma non posso fare a meno di sentire un qualcosa di magico quando stiamo vicini." Leon si interruppe, perso nei suoi pensieri, tutti riguardanti la Castillo. Mai aveva pensato di potersi sentire legato in una maniera tanto forte ad una persona conosciuta da poco, eppure aveva provato subito qualcosa di intenso fin dalla prima volta che aveva incontrato le iridi color nocciola di Violetta. Aveva avuto subito la sensazione che dietro a quella maschera di bulla prepotente che indossava allo Studio ci fosse una ragazza dolcissima, una specie di angelo, che doveva aver sofforto molto per arrivare a comportarsi così. E, nonostante tutto quello che era successo, non poteva fare a meno di credere ancora che quell'angelo esistesse, nascosto da qualche parte sotto a quello strato di indifferenza che ostentava davanti agli altri. 
Con dita tremanti Leon accarezzò l'immagine di suo padre, che sembrava splendere sotto i freddi raggi di sole di quella giornata autunnale. “Ciao papà. Tornerò presto a trovarti, te lo prometto.” mormorò il giovane, prima di dirigersi verso l'uscita del cimitero. Proprio quando era sulla soglia del cancello si voltò, lanciando un'ultima occhiata alla tomba di Jamie Vargas. Avrebbe fatto in modo che suo padre fosse fiero del giovane uomo che stava iniziando a diventare e mai lo avrebbe deluso, quello era il modo migliore per ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto per lui. Di una cosa Leon era certo: se avesse rispettato gli insegnamenti di quello che era sempre stato il suo modello di vita, Jamie Vargas non sarebbe mai morto, ma avrebbe continuato a vivere dentro di lui, nel profondo del suo cuore. 










Violetta si mangiucchiava nervosamente le unghie della mano destra, appoggiata stancamente alla parete dell'aula di danza. Gregorio, tanto per cambiare, era di cattivo umore e aveva deciso di far eseguire uno alla volta agli alunni una coreografia individuale con valutazione. In quel momento era il turno di Nata che, in effetti, non era niente male nel ballo. La Castillo era insolitamente tranquilla, ma d'altra parte quello era il suo primo giorno allo Studio, dopo la sospensione ricevuta da Antonio a causa del Pandemonio che era scoppiato per la lite tra lei e Leon. Già, Leon. Quella mattina non si era neanche presentato alla scuola di musica, fatto decisamente strano per uno studente modello come lui. Che fosse assente proprio perchè sapeva che quel giorno sarebbe tornata lei? Forse dopo tutti i guai che gli aveva causato il ragazzo non voleva più vederla. Inevitabilmente sentì una morsa gelida stringerle il cuore a quel pensiero. Dopotutto anche se non avrebbe mai e poi mai accettato di iniziare una relazione con lui, ammetteva di provare un qualcosa di molto forte per quel ragazzo e la sola ipotesi che Leon potesse essere arrabbiato con lei la faceva stare male. Il suo tentativo di allontanare da sé quel ragazzo era stato vano, nei due giorni di sospensione non aveva fatto altro che pensare ai suoi occhi smeraldini e quando quella mattina era entrata in classe aveva subito cercato la sua chioma castana, tra quelle di tutti gli altri studenti. Le parole di sua zia Angie l'avevano spinta a riflettere molto. Voleva davvero rinunciare all'amore e quindi anche alla felicità solo per quello che era accaduto con i suoi genitori? Probabilmente avrebbe potuto tornare ad essere allegra e solare stando accanto ad un ragazzo come Leon. Ma se poi l'avrebbe fatta soffrire? Si sarebbe ritrovata con il cuore a pezzi e tutto sarebbe ricominciato da capo: il dolore, la solitudine, l'apatia e tutti i sentimenti negativi che già aveva provato a causa di Maria e German. Forse la cosa migliore era lasciare le cose così come stavano e non iniziare a farsi troppe aspettativa, almeno così avrebbe potuto evitare di ricevere nuove delusioni. Insomma, si sentiva terribilmente combattuta e se da un lato le parole di Angie la spingevano a dare una possibilità a quello che sentiva per Il giovane Vargas, dall'altra parte ancora si sentiva restia a seguire il cuore per la paura di poter soffrire. In quel momento, però, l'unico sentimento che avvertiva era un'agitazione pazzesca, a causa dell'inusuale assenza di Leon. E se gli fosse successo qualcosa di grave? Se stava male? Non voleva neanche pensarci. Si sentì invadere dal panico e sarebbe di sicuro svenuta per l'ansia se non avesse visto poco lontano da lei Maxi Ponte, intento a conversare con un altro studente dello Studio di cui in quel momento le sfuggiva il nome. Facendosi spazio tra gli altri alunni, si avvicinò di soppiatto al rapper, cercando di non dare troppo nell'occhio per non farsi beccare da Gregorio. Se non si sbagliava di grosso aveva visto spesso quel ragazzo riccioluto vicino a Leon ed era giunta alla conclusione che probabilmente i due erano amici. Chissà, forse Maxi sapeva dov'era il giovane Vargas in quel momento, d'altronde provare a chiedere non le sarebbe costato nulla. 
“Hei Ponte! Sai dov’è Leon?” domandò la ragazza, dopo essersi schiarita la voce per farsi notare dal rapper. Maxi si scusò con il suo interlocutore e riversò tutta la sua intenzione su Violetta. Aveva intuito che tra quella ragazza e Leon ci fosse una sorta di forte legame ed era estremamente contrario al fatto che il suo amico si avvicinasse ad una come la Castillo. Aveva subito capito che tipo fosse la castana e sapeva che non c'era affatto da fidarsi di quel suo faccino angelico, perchè dietro a quello c’era una persona perfida, che adorava sminuire e offendere gli altri gratuitamente. 
“Perchè lo vuoi sapere?” Il giovane Ponte rispose con un'altra domanda, mandando in bestia Violetta. Perchè quel ragazzo non poteva farsi gli affari suoi e semplicemente fornirle l'informazione che gli aveva chiesto? “Questo non ti riguarda, tu limitati a dirmi dove si trova Leon.” gli ordinò la Castillo, con il suo migliore tono intimidatorio. Maxi la guardò in cagnesco, chiedendosi perchè mai Violetta volesse sapere del giovane Vargas, poi, alzando la testa, incontrò le sue iridi color nocciola e capì. Nello sguardo della Castillo, di solito sempre ondifferente e distaccato, c'era una traccia di preoccupazione. Che quella ragazza ci tenesse davvero a Leon e fosse in ansia perchè quel giorno non si era presentato allo Studio, lui che era sempre stato un alunno modello? Sì doveva essere così. Forse avrebbe potuto dare a Violetta quell’informazione che tanto voleva, infondo non vedeva cosa ci potesse essere di male nel dirle ciò che sapeva. “Oggi è il giorno dell’anniversario della morte del padre di Leon, immagino che lui non sia voluto venire allo Studio per questo. Probabilmente adesso è a casa sua, oppure potrebbe essere al cimitero.” spiegò sbuffando Maxi. Il rapper ancora non era convinto del tutto di potersi fidare della Castillo, nonostante la ragazza sembrasse davvero presa dal suo amico. Insomma, Violetta era la bulla dello Studio, che seminava il terrore nei corridoi insieme ai suoi amichetti Lara e Thomas! 
Violetta rimase molto scossa dalle parole di Maxi. Ecco a cos'era dovuta quella tristezza che aveva intravisto negli occhi di Leon il giorno del loro primo incontro! Povero ragazzo, chissà come doveva soffrire! E lei lo aveva trattato così male... era stata proprio una stupida! 
Stava per chiedere al rapper maggiori informazioni quando Gregorio si interpose tra loro con un'espressione che non prometteva niente di buono. “Scusate, ne avrete ancora per molto? Perchè sa, sarebbe il suo turno di ballare, signorina Castillo.” sorrise ironico l'insegnante di danza.
Sbuffando Violetta si posizionò al centro della stanza e iniziò ad eseguire la coreografia. Il suo corpo si muoveva a tempo di musica, ma la sua mente era distante e ancora rifletteva su quanto aveva appena scoperto riguardo Leon.










Una coppia dall'aria distinta camminava velocemente per le strade di Madrid, guardandosi intorno con circospezione. I due sembravano parecchio di fretta e avevano l'aria nervosa di chi nasconde un qualche segreto importante. 
“Sei sicuro di quello che stiamo facendo, amore?” domandò indecisa la donna.
“Sì tesoro, è la cosa migliore per tutti.” rispose prontamente l'uomo, nonostante non sembrasse convinto neanche lui di quanto stava dicendo.
La sua interlocutrice scosse il capo e sospirò, cosciente che opponendosi non avrebbe comunque otteneruto nulla. Suo marito era un gran testardo e quando decideva qualcosa niente poteva riuscire a fargli cambiare idea! Dopotutto, però, era anche una persona altruista e generosa e se stava per infrangere la legge era per una buona causa. Inizialmente era stata lei stessa ad incoraggiarlo e lo aveva seguito in quella sua folle impresa, ma adesso non era più molto sicura di quello che stavano per fare. Ormai, però, erano arrivati fin lì e tanto valeva arrivare fino in fondo a quella faccenda. L'uomo imbucò una stradina stretta e la donna subito si affrettò a seguirlo, temendo di perdersi in quella città tanto grande e a lei sconosciuta. I due si ritrovarono di fronte ad una palazzina dall'aria modesta ma confortevole, con i muri candindi e le finestre dipinte di colori vivaci. Un giardino piuttosto piccolo ma ben curato faceva la sua bella mostra e una porta di legno permetteva l'accesso all'edificio. Nel complesso sembrava una casa carina. L'uomo si diresse senza perdere tempo verso il citofono e schiacciò uno dei tasti dorati. Neanche un minuto dopo rispose una voce stanca che li invitava ad entrare. I due coniugi si introdussero nell'edificio con l'aria nervosa di due ladri e con l'ascensore raggiunsero subito il terzo piano, la loro destinazione.
La donna bussò alla porta con l'ansia che cresceva di secondo in secondo. Si voltò verso il marito e leggendo nei suoi occhi la sua stessa indecisione gli afferrò la mano, stringendola come a volergli infondere coraggio. Si udì un rumore di passi che si avvicinava sempre di più e che fece aumentare i battiti dei due coniugi, poi la porta si spalancò di colpo. Davanti a loro apparve la figura slanciata di una signora sulla cinquantina, dai capelli striati di bianco e il volto stanco e segnato dalle occhiaie. La donna lì squadrò da capo a piedi, con un'aria quasi infastidita stampata sul volto. “Chi siete? Che cosa volete?” domandò una volta terminata la sua ispezione.
“Non deve importarle chi siamo. L'unica cosa che conta è il motivo per cui siamo qui. Stiamo cercando un ragazzo, Diego Ramirez mi pare che si chiami.” mormorò sottovoce l'uomo, temendo che qualcuno potesse sentirli. “Se lei ci dirà dove si trova sapremo ricompensarla adeguatamente.” aggiunse subito tirando fuori un blocchetto degli assegni.
“Siete arrivati troppo tardi. Lui non è più qui a Madrid.”










NOTE AUTRICE: Per quanti se lo stessero chiedendo sono ritornata al vecchio nickname, perchè in effetti mi piaceva di più. Questo settimo capitolo che non mi convince molto in realtà. Il fatto è che mi sono presa una brutta influenza (io sono l'unica sfortunata che riesce ad ammalarsi anche d'estate) e mentre scrivevo avevo un incredibile mal di testa. Ma non perdiamo tempo con queste sciocchezze e parliamo invece del capitolo che è piuttosto pieno di eventi. Innanzitutto troviamo Pablo, alle prese col suo nipotino Ángel. Finalmente si scopre il problema famigliare del direttore che è nientemeno che il fratello di Jade, che veste i panni di un'alcolista! Scioccante, vero? Intanto Leon soffre per la morte di suo padre e anche nel suo caso si scopre una verità sconcertante, ovvero che è il figlio di Esmeralda! Il ragazzo nel giorno dell'anniversario della morte di suo padre si reca al cimitero per andare a fargli visita e gli racconta della sua vita e dal suo monologo con la tomba si capisce che ancora pensa a Violetta! Awwwww! :3 Intanto anche Violetta si ritrova a pensare a Leon ed preoccupata per lui, dato che non si è presentato allo Studio, lui che non ha mai saltato una lezione. La Castilo chiede quindi informazioni a Maxi e dal rapper scopre della morte padre del giovane Vargas e si dispiace per Leon e per il modo in cui lo ha trattato. Piano piano le difese di Violetta stanno incominciando a cedere! XD Ma ecco che appare questa misteriosa coppia che cerca Diego, chi potranno mai essere? Questo si scoprirà solo più in là.
Bene, ringrazio tutti coloro che leggono/recensiscono/preferiscono questa storia e mando a tutti un grosso bacio,
Hugs and kisses,
Francy











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Capitolo 8
*** Mettere a tacere il cuore. ***


Violetta si infilò le mani tra i capelli, scuotendo la testa con aria nervosa. Le parole di Angie risalenti ad un paio di giorni prima e la vicenda del padre di Leon appresa dalla conversazione con Maxi avevano creato un'incredibile confusione nella sua mente. Certo, i suoi genitori l'avevano delusa, ma era davvero pronta a rinunciare per sempre all'amore? Non ne era del tutto sicura. Cosa doveva fare? Rischiare e lasciarsi andare al forte sentimento che provava per Leon oppure sigillare il suo cuore e continuare a fingere di non essere interessata a quel ragazzo? Si passò una mano sul volto disperata, erano almeno dieci minuti che continuava a confrontarsi con tutti questi dubbi e sentiva la testa scoppiarle. Sbuffando si sistemò meglio sulla panchina di fronte allo Studio sulla quale era pigramente adagiata, distraendosi un attimo dai mille pensieri che le affollavano la mente. Quel giorno la Castillo era arrivata allo Studio stranamente in anticipo e anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura lo aveva fatto solo per poter vedere Leon non appena sarebbe arrivato alla scuola di musica. La verità era che le erano mancati terribilmente quei suoi occhi verde smeraldo, quel suo sorriso fantastico e quel suo ciuffo tirato all'insù e non vedeva l'ora di poterli ammirare nuovamente. Proprio in quell'istante vide Leon avanzare verso la scuola di musica con gli occhi bassi e il volto stanco di chi non ha dormito nel migliore dei modi. Probabilmente il ragazzo si sentiva triste per quanto era successo a suo padre, dopotutto era passato solo un giorno dall'anniversario della morte dell'uomo. Osservando la testa bassa e l'espressione triste di Leon le si strinse il cuore e ricordando il modo in cui l'aveva trattato e tutti i guai che gli aveva causato si sentì dannatamente in colpa. Nel frattempo nella sua mente l'indecisione regnava sovrana e Violetta ancora non sapeva se rivelare al giovane Vargas i suoi sentimenti o reprimere ciò che provava. Le bastò incrociare quegli occhi smeraldini per prendere la sua decisione: avrebbe parlato con Leon, gli avrebbe raccontato della sua cotta per lui e poi avrebbe affidato tutto tra le mani del destino. Determinata nel riuscire nel suo intento e rassicurata dalla scelta fatta si alzò dalla panchina e si diresse con passo sicuro verso il ragazzo, che stava entrando nell'edificio, nonostante mancasse ancora un po' all'inizio delle lezioni. Stava quasi per raggiungere Leon quando le giunse alle orecchie il fastidioso rumore della suoneria del suo cellulare. Recuperò stizzita il telefono dal fondo della sua borsa. Chiunque avesse deciso di chiamarla non avrebbe potuto scegliere momento peggiore: aveva bisogno di parlare con il giovane Vargas e doveva farlo subito, prima di poter anche solo pensare di cambiare idea. Stava pensando di non rispondere affatto a quello scocciatore quando qualcosa attirò la sua attenzione. Sul display del suo cellulare lampeggiava la parola ‘papà’. Da quanto tempo era che suo padre non si faceva sentire? Non poteva dirlo con certezza, dato che l'ultima volta che aveva sentito quell'uomo era stato parecchio tempo prima. Inizialmente pensò di ignorare la chiamata, i suoi genitori l'avevano ignorata troppo a lungo e non meritavano neanche uno dei suoi preziosi secondi, poi però cambiò idea. Desiderava ardentemente sapere cosa volevano da lei e poi meritava delle spiegazioni per tutto quello che aveva passato a causa loro e le avrebbe avute, a qualunque costo! Accettò quindi la chiamata, portando il cellulare all'orecchio. 
-Pronto?- domandò la ragazza.
-Ciao tesoro. Come stai?- domandò la voce dall'altro capo del telefono.
-Come stai?! Non ti fai sentire per mesi e poi mi telefoni e mi chiedi come sto?- chiese stizzita Violetta.
-Tesoro, lo so che negli ultimi tempi io e tua madre ti abbiamo trascurata un po'...- iniziò German.
-UN PO'? Mi avete trascurata UN PO'?! La verità è che mi avete ignorata del tutto! Non una chiamata, non un messaggio, non vi siete neanche fatti sentire per sapere come mi sentivo, se stavo bene o se ero malata!- esclamò adirata la ragazza.
-Hai ragione Violetta, scusaci ma il fatto è che noi siamo stati molto occupati.- tentò di giustificarsi l'uomo.
-Evidentemente il vostro lavoro è più importante di me!- esclamò con rabbia la giovane Castillo.
-No, non è così!
-Papà risparmiati le tue solite scuse e spiegami piuttosto il motivo della tua telefonata, perchè se ti sei fatto sentire dopo tanto tempo deve esserci un motivo. O mi sbaglio?- domandò Violetta, che, conoscendo bene suo padre, già sapeva che quella chiamata non era affatto un caso.
-No, non ti sbagli. Il fatto è che ti volevo avvisare che abbiamo avuto un contrattempo, quindi siamo costretti a posticipare il nostro rientro a Buenos Aires. Invece di tornare tra due settimane, torneremo tra poco più di un mese.- spiegò German, sperando che la figlia non prendesse troppo male quella notizia.
Violetta sentì i suoi occhi farsi lucidi e dovette fare uno sforzo enorme per non piangere. Ancora una volta i suoi genitori avevano anteposto il loro lavoro a lei e la ragazza, nonostante si fosse imposta di non soffrire più per German e Maria, non poteva fare a meno di sentirsi uno straccio. Perchè tutte le volte che sentiva di avere una possibilità di essere felice succedeva qualcosa che ribaltava la situazione, facendo ritornare di colpo tutto il dolore e la disperazione? Non riusciva proprio a spiegarselo. “Forse è perchè tu non potrai mai essere felice. La felicità non fa per te.” Le suggerì una vocina dentro la sua testa. Violetta ripensò a tutto quello che era accaduto con i suoi genitori, a come loro avevano ignorato tutto l'affetto che lei provava per loro per abbandonarla e andare lontano. Forse German e Maria non sarebbero mai tornati, forse le conveniva arrendersi e dare retta a quello che aveva detto la vocina. La felicità sembrava non essere fatta per lei e allora a cosa serviva illudersi? Tanto valeva continuare a chiudersi a riccio, senza permettere alle persone di conoscere la persona fragile che si nascondeva in lei. In questo modo non avrebbe sofferto. Sì, quella era la scelta più giusta e se per un attimo aveva creduto di poter dare una possibilità a Leon era stato per pura follia. Mai e poi mai avrebbe ammesso di fronte a quel ragazzo quello che provava per lui. Legarsi affettivamente ad altre persone portava solamente dolore e infelicità e Violetta non voleva questo. No, lei non avrebbe più sofferto. 
-Vilu, tesoro, sei ancora in linea?- domandò suo padre dall'altro capo del telefono, preoccupato dal silenzio della figlia.
-Sì, sono ancora qui.
-Beh, allora che cosa pensi di quello che ti ho appena detto?- chiese l'uomo.
-Che cosa penso? Da quando ti interessa la mia opinione? E comunque non ti preoccupare: la dta del vostro rientro non mi interessa affatto. Un mese in più, un mese in meno, per me non conta.- mentì la ragazza, ostentando un'indifferenza che non aveva niente a che fare con il dolore profondo che in realtà provava.
-Grazie tesoro, ti ringrazio di avere capito le mie ragioni. Ti voglio bene e non vedo l'ora di ritornare a casa, ma non posso trascurare il lavoro... Ti saluto, un bacio.- concluse suo padre.
-Ciao.- rispose solamente Violetta, con voce incolore.
La Castillo chiuse la telefonata e pensò subito di dirigersi verso i bagni per rinfrescarsi un pochino e sistemarsi il trucco che probabilmente era un po' sbavato a causa dei suoi occhi lucidi. Ancora scossa dalla notizia che aveva ricevuto da suo padre non si accorse di dove stava andando e andò a sbattere contro qualcuno. Sollevò il volto e incontrò un paio di occhi smeraldini che la fissavano con curiosità. Senza neanche scusarsi cercò di allontanarsi in tutta fretta, ma una mano avvolse il suo polso, stringendolo delicatamente ma con decisione. Violetta si voltò, sperando che Leon non la trattenesse troppo a lungo: i suoi occhi erano ancora lucidi e l'ultima cosa che voleva era che il ragazzo si accorgesse della sua tristezza. Doveva prendere le distanze dal giovane Vargas, non avrebbe lasciato che la leggera infatuazione che provava per lui prendesse il sopravvento! 
“Cosa vuoi Leon?” domandò la giovane con il suo solito tono scontroso. “Niente è che mi sei sembrata un po' sovrapensiero, tutto bene?” domandò premurosamente il ragazzo. “Sì, tutto alla grande, ma ora lasciami andare." ordinò Violetta. Leon scosse la testa. “Tu non te ne andrai di qui se prima non mi spieghi cos'hai!” esclamò deciso. Violetta tentò di liberarsi dalla stretta del ragazzo, ma il giovane Vargas era troppo forte per lei e alla fine la Castillo si arrese. 
“Lasciami! Smettila Leon! Ti ricordi cosa ti avevo detto? Non voglio mi guardi, non voglio che mi parli e soprattutto non voglio che tu mi segua sempre! Mi hai stufata, non ti sopporto più!” lo assalì la ragazza. “Perchè non lasci che io conosca chi sei davvero? Io so che tu stai soffrendo per qualcosa e voglio aiutarti.” affermò il giovane. 
Violetta lo guardò negli occhi e il suo sguardo le parve assolutamente sincero, ma, nonostante le costasse uno sforzo immenso, doveva allontanare da sè quel ragazzo. Doveva farsi venire in mente qualcosa e subito. Proprio in quel momento Thomas passò lì vicino e un'idea contorta ma geniale si fece largo nella testa della Castillo. La ragazza afferrò un braccio di Heredia e lo attirò verso di sè, per poi rivolgere le sue attenzione verso Leon, che le rivolse un'occhiata interrogativa. 
“Te lo ripeto per l'ultima volta, Leon: lasciami. Non voglio avere niente a che fare con te, specialmente ora che io e Tommy usciamo insieme.” inventò sul momento Violetta, sperando in quel modo di riuscire ad allontanare definitivamente Leon.
I suoi due interlocutori spalancarono gli occhi, mentre delle espressioni sorprese si facevano largo  sui loro volti. Il moro la guardò confuso e pensieroso, aveva sempre provato un sentimento forte per la Castillo ma lei lo aveva sempre considerato solo come un amico. Forse finalmente la ragazza aveva iniziato a vederlo sotto una luce diversa, forse quello era il suo giorno fortunato. Animato da questo speranza, Thomas avvolse la vita di Violetta con il braccio destro, avvicinandola di più a sè, sotto lo sguardo ancora scioccato di Leon che evidentemente non si aspettava quella rivelazione. Il giovane Vargas si sentiva confuso, smarrito e incredibilmente triste. Era assurdo perchè lui e Violetta non erano mai stati insieme e non si era illuso che la ragazza potesse ricambiare i suoi sentimenti. Però aveva avvertito qualcosa di magico quando l'aveva incontrata per la prima volta e in qualche modo in lui si era accesa una debole speranza. Evidentemente però la Castillo non aveva sentito niente del genere, visto che si era messa con Heredia. Tuttavia non si sarebbe arreso prima di avere la conferma di quanto aveva appena sentito. “Quindi voi due state insieme?” domandò il giovane Vargas. “Sì, esatto. E ora ti dispiacerebbe lasciare andare la mia ragazza?” domandò infastidito Thomas. “Certo.” mormorò Leon, sciogliendo la presa sul polso della ragazza. Era arrivato troppo tardi, ormai Violetta stava con Heredia. Doveva accettarlo, sperava solo che Thomas potesse riuscire a comprenderla e ad aiutarla a superare quella sofferenza che si leggeva negli occhi color nocciola della Castillo. 
“Vuoi andartene?” domandò fingendosi infastidita Violetta. La ragazza si era accorta di come la notizia del falso fidanzamento tra lei e Thomas avesse colpito Leon e quella volta era sicura di essersi liberata di lui definitivamente. “Va bene, ora me ne vado. E stai tranquilla Violetta: non ti infastidirò più.” mormorò il giovane Vargas, rivolgendole un debole sorriso prima di allontanarsi per raggiungere l'aula di canto, dove aveva lezione alla prima ora. 
“E così io e te stiamo insieme?” domandò Thomas con aria compiaciuta non appena Leon si fu allontanato. Violetta si infilò le mani tra i capelli, esasperata. “Non stiamo veramente insieme, Thomas. Il fatto è che Vargas continuava a infastidirmi e quindi ho pensato di fargli credere che stiamo uscendo insieme. Chiaro?” domandò la Castillo. Il moro scosse la testa, mentre un sorriso vittorioso si faceva largo sul suo volto. “Quello che è chiaro è che tu sei cotta di me.” affermò con presunzione il ragazzo. La Castillo alzò gli occhi al cielo, Thomas aveva frainteso tutto e si rifiutava di ascoltarla. Non voleva che lui credesse che stessero veramente insieme, perchè lei non provava ne mai avrebbe provato alcunchè di diverso dall'amicizia per Heredia. Thomas non era affatto il suo tipo. Certo, non era un brutto ragazzo e come amico era piuttosto simpatico e affidabile, ma tutto si fermava lì. Mai e poi mai avrebbe potuto stare con uno come lui e doveva trovare un modo per farglielo capire. Prese un respiro profondo e gli si avvicinò, prendendolo per le spalle e guardandolo dritto negli occhi. “Senti Thomas, io non voglio che tra noi cambi nulla. Come amico sei fantastico, ma tra noi non ci potrà essere niente di più. Mi hai fraintesa, io volevo semplicemente che Vargas la smettesse di infastidirmi.” spiegò con calma Violetta, sperando che Heredia finalmente capisse come stavano realmente le cose. “E ora scusami, ma dovrei andare un attimo in bagno se non ti dispiace.” aggiunse subito dopo la ragazza, allontanandosi senza neanche aspettare una risposta da parte del moro. Thomas rimase solo in mezzo al corridoio, ripensando alle parole della Castillo. Violetta aveva cercato in tutti i modi di fargli capire che per lei era solo un amico, ma lui non si sarebbe arreso. Era convinto che la giovane fosse solo un po' confusa e che presto sarebbero stati insieme per davvero. Lui non aveva mai fallito con le ragazze ed era sicuro di potercela fare anche quella volta.










Maxi si sistemò meglio sulla sedia, sforzandosi di concentrasi sullo spartito che aveva davanti. La verità era che non vedeva nessuna delle note che aveva di fronte a sè, impegnato com'era a guardare di sottecchi Nata, seduta poco distante da lui. L'aula era deserta, se non si contavano loro due ed era la sua occasione per farsi finalmente notare dalla riccia. Fin dal suo primo giorno allo Studio, infatti, si era preso una cotta per quella ragazza e aveva sognato innumerevoli volte di poter stare con lei un giorno. Adorava quella massa di riccioli scuri, quegli occhi nerissimi e quel  sorriso incredibilmente dolce, ma più di tutto gli piaceva quel suo carattere così timido e gentile che gli faceva tenerezza. Proprio non riusciva a capire come mai gli altri non venerassero Nata come faceva lui e a maggior ragione proprio non comprendeva perchè il gruppetto di bulli capitanato Violetta se la prendesse con lei. Come si poteva non amare una simile persona? Non riusciva proprio a spiegarselo, insomma Nata era la personificazione della bontà! Certo, forse era un po' timida, ma questo non era affatto un difetto, non secondo il suo parere almeno. Nervoso come mai lo era stato in vita sua e rosso in volto si avvicinò alla giovane, sperando di non disturbarla.
“C... ciao.” balbettò imbarazzato. “Ciao.” gli rispose Nata, sorridendogli dolcemente e sentendo il suo cuore perdere qualche battito. Aveva sempre ammirato Maxi da lontano, ma mai aveva pensato che un ragazzo potesse rivolgere le sue attenzioni ad una come lei. Lei non era una gran bellezza e soprattutto era timida, terribilmente timida. Aveva sempre cercato di farsi valere e di superare la sua insicurezza, ma lei non era come le altre ragazze della sua età, lei era diversa. Nata vedeva le strade affollarsi di adolescenti che uscivano e si divertivano tutti i sabati sera, mentre lei rimaneva chiusa in casa, sola e triste. I suoi genitori più volte l'avevano incoraggiata ad andare a fare un giro o a vedere un film al cinema con degli amici, ma era proprio questo il problema: lei non aveva amici. La sua timidezza l'aveva spinta a stare sempre sulle sue, senza rivolgere la parole agli altri se non quando era indenspensabile. In quel momento, però, Maxi le si era avvicinato di sua spontanea volontà e lei non poteva fare a meno di essere infinitamente contenta. Il rapper si sistemò il cappellino con un'aria piuttosto nervosa e imbarazzata che Nata trovò adorabile, poi si accostò ancora di più a lei, prendendo a parlare del più e del meno. La riccia lo osservò per tutto il tempo con un sorriso impacciato, finchè la campanella che segnava l'inizio delle lezioni rimbombò per tutto l'edificio, interrompendo il monologo di Maxi. L'aula iniziò a riempirsi di alunni e il rapper, dopo averle rivolto un ultimo sorriso, tornò al suo posto.
Proprio in quell'istante Leon prese posto vicino a lui, con un'aria abbattuta dipinta sul volto. “Hei amico! Tutto bene? Hai una faccia...” mormorò Maxi, cercando di non farsi sentire da Angie, che aveva appena incominciato la lezione. “No va bene niente! La verità è che sto male.” affermò il giovane Vargas, passandosi una mano sul volto. “È per tuo padre?” domandò comprensivo Maxi.
“È per mio padre, per Violetta... per tutto!” esclamò Leon, esasperato per la situazione in cui si trovava. “Cosa centra Violetta adesso?” chiese confuso il rapper. “Ah, non lo sapevi? Si è messa con Heredia.” sbuffò il giovane Vargas. A quella sua affermazione Maxi spalancò gli occhi, incredulo. Tutti allo Studio sapevano che Thomas e Violetta erano solamente due amici! E poi il giorno precedente la Castillo gli era sembrata così in ansia per l'assenza di Leon! Non riusciva a credere che stesse mentendo, c'era qualcosa che non quadrava in quella faccenda! 
“Maxi, a cosa stai pensando?” domandò il giovane Vargas, notando lo sguardo perso nel vuoto del rapper. “Stavo pensando che è strano il comportamento di Violetta! Insomma, prima domanda di te e sembra davvero preoccupata e poi si mette con Heredia! Io non capisco proprio a che gioco stia giocando quella ragazza!” esclamò il rapper confuso. “Violetta ti ha chiesto di me?!” domandò euforico Leon. Forse non tutto era perduto, forse aveva ancora una possibilità con quella ragazza! 
“Sì, ieri sembrava davvero preoccupata dal fatto che non eri in classe e così le ho raccontato dell'anniversario della morte di tuo padre.” gli spiegò Maxi. “E le cosa ti ha detto?” Il giovane Vargas pendeva letteralmente dalle labbra dell'amico, desideroso di conoscere tutti i particolari di quella conversazione tra la Castillo e Maxi. “Niente, è arrivato Gregorio e si è intromesso con la sua solita delicatezza.” disse con tono ironico Ponte. A quelle parole un lieve sorriso si fece largo sul volto di Leon L'insegnante di danza era sempre il solito, non sarebbe mai cambiato. “E a te come va?” chiese improvvisamente il giovane Vargas. “Bene, piuttosto bene.” rispose Maxi, arrossendo al solo pensiero della breve conversazione che aveva avuto poco prima con Nata.
“Qualcosa mi dice che hai finalmente trovato il coraggio di avvicinarti al tuo grande amore.” ammiccò con aria furba Leon. Il rossore sulle guance del giovane Ponte si accentuò, mentre sul volto del suo amico apparve un sorriso furbo di chi ha già capito tutto. “Abbiamo solo scambiato due parole.” mormorò imbarazzato il rapper. “Beh è un buono inizio. Vai avanti così e non arrenderti!” lo incoraggiò Leon. “E tu farai lo stesso con Violetta?” domandò Maxi. L'amico annuì, non si sarebbe arreso alla prima difficoltà, in un modo o nell'altro sarebbe riuscito a conquistare la ragazza per la quale sentiva di provare un sentimento forte e intenso.






NOTE AUTRICE: Ok, oggi sono di fretta (tanto per cambiare), quindi sarò breve. Qui troviamo una Violetta molto indecisa che inizialmente pensa di raccontare a Leon dell'amore che prova per lui, pou però a causa di una telefonata di suo padre cambia idea, frenata ancora una volta dalla paura di soffrire. Così per allontanare Leon finge di stare con Thomas, ma Heredia (tanto odio per lui) fraintende la situazione e crede che Violetta provi qualcosa per lui... Leon intanto è triste e abbattuto, ma parla con Maxi, che nel frattempo si è avvicinato un po' a Nata, e viene a sapere della conversazione tra l'amico e la Castillo. Adesso Leon è più deciso che mai a conquistare Vilu!*esulta* Speriamo solo che Violetta la smetta di chiudersi a riccio. Bene, vi ringrazio per tutto l'affetto e il sostegno che mi date e vi saluto,
Hugs and kisses,
Francy




         

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Capitolo 9
*** Immerso nel passato. ***


Maxi girò due volte le chiavi nella toppa ed entrò in casa. Un'altra intensa giornata allo Studio era appena terminata e tutto ciò che desiderava erano un bel bagno caldo e una cena sostanziosa. Si tolse la felpa verde muschio che indossava e si buttò sul divano. Subito notò, seduta ad un tavolino circolare alla sua destra, sua madre, china su una pagina giornale che, ormai, il ragazzo poteva dire di conoscere a memoria in ogni suo punto tante erano le volte che l'aveva letta e riletta. Sbuffando si avvicinò alla donna, appoggiandosi con i gomiti alla spalliera della sedia accanto alla sua, e attirò la sua attenzione con un colpo di tosse. Sua madre alzò gli occhi dal giornale con aria spaesata e notandolo gli rivolse un debole sorriso. “Tesoro, non mi ero accorta che tu fossi già arrivato, sono così distratta...” mormorò la donna. “No, tu non sei distratta, tu sei completamente assente! La verità è che da due mesi a questa parte tu non ti occupi più di me, di papà o della casa. Hai provato ad andare in cucina? Regna il caos più totale lì! Mamma, io lo so che per te è stato un colpo duro, ma devi riagire, devi andare avanti, non puoi lasciarti andare così!” esclamò Maxi. Sapeva di essere stato un po' duro con sua madre, ma non riusciva più a vederla sempre così spenta, così passiva. Tutte le volte che la guardava sentiva un tremendo nodo in gola che non lo faceva respirare; già da tempo sapeva di dover fare qualcosa per lei e finalmente quel giorno aveva trovato il coraggio di farlo. Sapeva che quello che le aveva detto forse all'inizio per lei sarebbe stato difficile da accettare, ma era indispensabile che qualcuno le facesse capire come stessero le cose e quel qualcuno era lui. “Maxi, tu non puoi capire... Io ho perso un figlio! Oh, il mio povero Julian!” sospirò tristemente la donna. “Julian, Julian, Julian, non fai altro che pensare a lui! Ma cosa devo fare per attirare la tua attenzione? Devo morire come lui?” domandò stizzito il ragazzo. “Non dire così tesoro.” “E allora tu smettila di pensare sempre solo e soltanto a lui! Julian è morto e non ritornerà, accetta la realtà o soffrirai ancora di più!” Detto questo Maxi uscì dalla stanza, sbattendo violentemente la porta e dirigendosi in camera sua. Si buttò di peso morto sul letto, chiudendo gli occhi e ripensando alla conversazione con sua madre. 
Forse era stato un po' troppo duro con lei... La verità era che l'unico vero responsabile di quella situazione era lui. Era colpa sua se Julian era morto e per mettere a tacere il suo cuore che da tempo lo tormentava con i sensi di colpa aveva riversato tutta la sua frustrazione su sua madre. Era un'idiota! Il rumore del portone d'ingresso che si apriva, segno inconfondibile che suo padre era arrivato, lo distrasse dai suoi tormentati pensieri, riportandolo alla realtà. “Maxi vieni a tavola, ho portato le pizze!” gridò l'uomo con voce stanca dal piano inferiore. Il giovane si rigirò nel letto sbuffando. “Arrivo!” urlò poi, scendendo in cucina e prendendo posto accanto a sua madre. Suo padre gli mise davanti una pizza calda e fumante, condita con funghi e verdure come piaceva a lui, ma Maxi, invece di inforcare la forchetta e buttarsi sul piatto come era solito fare, si perse ad osservare sua madre, che sembrava sembrava ancora più pallida e spenta del solito. Un'ombra oscurava il volto relativamente giovane della donna e la tristezza, che si poteva chiaramente leggere nei suoi movimenti trascinati, nei suoi sospiri e nel suo sguardo basso, la invecchiava di parecchi anni. “Maxi... io devo chiederti scusa. Il fatto che io sia distrutta per la morte di Julian non è una giustificazione valida per come vi ho trascurati e parlare con te mi ha fatto capire quanto tu abbia sofferto per il mio comportamento. Ti prometto che d'ora in poi mi occuperò della mia famiglia come merita.” interruppe il silenzio sua madre, rivolgendo al giovane un sorriso rassicurante. “No mamma, sono io che devo chiederti perdono: sono stato uno sciocco egoista! Mi sentivo in colpa per la morte di mio fratello e mi sono arrabbiato con te... E adesso scusatemi ma non mi sento molto bene. ” mormorò allontanando la sedia dal tavolo e alzandosi. Non aveva proprio voglia di mangiare, sentiva un peso all'altezza della bocca dello stomaco e tutto l'appetito che aveva fino a qualche minuto prima era completamente sparito, lasciando il posto ad un senso di nausea. Era nauseato da se stesso e dal modo in cui aveva trattato sua madre. Già sapeva che i sensi di colpa lo avrebbero accompagnato a lungo nei giorni successivi. Senza dire una parola Maxi si diresse verso il piano superiore, sotto lo sguardo perplesso dei genitori, che erano abituati a vederlo mangiare abbondantemente. Il giovane salì lentamente le scale e, invece di entrare nella sua stanza, che era aperta come l'aveva lasciata qualche minuto prima di scendere a tavola, imboccò il corridoi a destra, che portava ad altre due camere. Si fermò davanti alla porta della prima, sulla quale faceva bella mostra di sè una targa di legno con la scritta ‘Julian’. Lentamente e quasi con timore Maxi posò la mano sulla maniglia e la tirò verso di sè. I cardini scricchiolarono paurosamente, segno che era passato parecchio tempo dall'ultima volta che qualcuno aveva messo piede in quel luogo. Il giovane si fermò sulla soglia ad osservare la stanza che aveva davanti agli occhi. Tutto era esattamente come Julian lo aveva lasciato, sembrava quasi che il tempo lì si fosse fermato e che suo fratello non fosse mai morto. La realtà, però, era ben diversa e, col passare del tempo, Maxi si era reso conto di quanto la casa fosse vuota e spenta senza Julian. Era assurdo perchè quando era vivo non faceva altro che litigarci, ma infondo aveva sempre adorato quello che considerava il suo confidente e, adesso che non era più lì accanto a lui, ne sentiva terribilmente la mancanza. Il rapper si avvicinò alla scrivania in legno d'acero posta sulla destra e da una mensola poco sopra recuperò un cornice argentata. Dentro di essa, una fotografia scattata parecchi anni prima raffigurava, sullo sfondo di un mare azzurrissimo che si estendeva a perdita d'occhio, due ragazzini abbracciati e sorridenti, entrambi con un enorme cono gelato in mano. Lo sguardo triste di Maxi si posò sul volto del più grande dei due, che tanto somigliava al suo con quei ricci capelli castani e quegli occhi marrone scuro. Con espressione nostalgica ripose la cornice dove l'aveva trovata e continuò il suo giro per la stanza, mentre la sua mente veniva invasa da una miriade di ricordi. I compleanni passati con tutta la sua famiglia, la prima volta che suo fratello aveva messo piede alla pista di motocross e poi ancora la loro prima vacanza insieme senza genitori e la prima ragazza che Julian gli aveva presentato come sua fidanzata... Gli occhi del giovane si spostarono sulla marea di poster appesi alle pareti e raffiguranti i più famosi piloti di motocross, che suo fratello tanto ammirava. La passione di Julian per quello sport era nata in modo casuale: un giornl aveva sentito Maxi parlare con Leon, il suo migliore amico, di quell'attività a lui quasi completamente sconosciuta e subito aveva voluto provare. Gli era bastato inforcare la moto e fare un giro di pista per amare quella che sarebbe stata la sua più grande passione e, allo stesso tempo, la sua più grande maledizione. Già, perchè era stato proprio per colpa del motocross se suo fratrllo era morto e Maxi si sentiva responsabile di quella gravissima perdita, visto che era stato proprio lui a far avvicinare suo fratello a quello sport. Il ricordo di quel dannato giorno si insinuò con prepotenza nella mente del giovane che, sopraffatto dalle troppe emozioni negative di quella giornata, si lasciò scivolare a terra senza più forze. L'impatto con il pavimento fu attutito dal soffice tappeto, che troneggiava al centro della stanza e che, ben presto, fu invaso dalle lacrime che fuoriuscivano dagli occhi scuri di Maxi, per poi rigargli le guance. Era un pianto silenzio quello del ragazzo, ma allo stesso tempo colmo di tutto quel dolore che da parecchio si era annidato nel suo cuore e che gli impediva di tornare ad essere felice. Passarono molti minuti prima che il giovane finalmente si calmasse. Per una manciata di secondi dopo che le lacrime erano cessate, Maxi rimase ancora disteso a terra, immobile, poi, facendo leva sulle braccia, si alzò e, recuperando dalla tasca dei jeans il cellulare controllò l'orologio, che segnava le 19 in punto. Perfetto, aveva ancora tempo prima che quella giornata volgesse al termine e ne avrebbe approfittato. Ritornò a rivvolgere tutte le sue attenzioni al cellulare evelocemente fece scorrere la rubrica fino ad arrivare alla lettera ‘L’. Subito selezionò il numero di Leon e aprì un nuovo messaggio, chiedendo al suo migliore amico di potergli parlare di persona. Maxi sorrise un po' più sereno: quando lo prendevano quegli attacchi di depressione non c'era nessuno in grado di tranquillizzarlo  come faceva il giovane Vargas. Non dovette attendere molto che l'immagine di una bustina apparve sul display del telefonino, segno inequivocabile che aveva ricevuto un messaggio. Era proprio Leon, che gli aveva risposto che potevano incontrarsi nel parco sotto casa sua. Sorridendo per la disponibilità dell'amico, Maxi ripose rapidamente il cellulare in tasca e uscì dalla stanza. Quando si ritrovò sulla soglia si voltò e osservò un'ultima volta quella che era stata la stanza di suo fratello. “Spero che, prima o poi, tu possa perdonarmi per quello che ti ho fatto, Julian.” disse in un flebile sussurro. Detto questo Maxi si richiuse la porta alle spalle e, afferrata una giacchetta leggera dall'attaccapanni della sua stanza, si precipitò giù per le scale. “Vado da Leon, ritorno tra una mezz'oretta.” rispose all'occhiata interrogativa dei suoi genitori. Senza neanche aspettare la loro reazione, il giovane spalancò il portone d'ingresso e si diresse a passo svelto verso il luogo in cui doveva incontrarsi con il suo migliore amico.








Leon picchiettava nervosamente con le unghie delle dita sullo schienale della panchina su cui era scompostamente seduto in attesa dell'arrivo di Maxi. Il giovane Ponte aveva chiesto di parlargli a quattr'occhi e subito a lui era venuto in mente quel parchetto sotto il condominio dove abitava con sua madre, dove lui il rapper erano soliti giocare da bambini e che, quindi, entrambi conoscevano bene. Inoltre quel luogo gli richiamava alla memoria ricordi di tempi felici, quando suo padre e Julian, il fratello del suo migliore amico, erano ancora vivi. Leon sorrise mestamente e spostò gli occhi su una stradina alla sua sinistra, dalla quale, da un momento all'altro, sarebbe apparso Maxi. Chissà come doveva stare male il giovane Ponte per avergli chiesto di parlare con così tanta fretta! Probabilmente era in balia di uno dei frequenti attacchi di depressione dovuti ai sensi di colpa per la morte del fratello maggiore. Infinite volte Leon aveva provato a convincerlo che quello di Julian non era stato altro che un tragico incidente voluto dal destino, ma il suo amico scuoteva sempre la testa con aria rammaricata e riprendeva ad autoincolparsi. Diceva che se non avesse portato Julian alla pista di motocross niente di tutto quello sarebbe successo e che lui, sua madre e suo padre adesso sarebbero stati ancora una famiglia felice. Inoltre il giovane Vargas sospettava che Maxi credesse che i suoi genitori gli attribuissero la colpa per la morte del fratello maggiore, fatto assolutamente privo di fondamento visto che Leon aveva sentito con le sue orecchie i coniugi Ponte parlare dell'accaduto come una tragica fatalità. Immerso com'era nei suoi pensieri il ragazzo non si accorse subito che il suo migliore amico era ormai arrivato e aveva superato il cancelletto in ferro battuto che garantiva l'accesso al parco. “Eccomi qui!” esclamò una voce squillante alle spalle del giovane Vargas. Leon sussultò, facendo un balzo che per poco non lo fece rotolare giù dalla panchina e, portandosi una mano all'altezza del vuore per lo spavento, si voltò verso il rapper  che si era sistemato accanto a lui sulla panchina. “Diamine, Maxi!” Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò il giovane Vargas, che stava ancora cercando di tranquillizzarsi. “Perdonami, pensavo mi avessi visto.” mormorò in tono di scuse l'amico. “Allora, perchè sei qui? Ti senti di nuovo in colpa per la morte di Julian?” domandò Leon, nonostante conoscesse già la risposta. Maxi annuì, sorridendo mestamente. Leon lo conosceva proprio bene ed era appunto per quello che aveva voluto parlare con lui. I suoi genitori, probabilmente, non lo avrebbero capito e forse gli avrebbero , a ragione, addossato la colpa di quanto era successo. “Come devo dirti che tu non c'entri niente, Maxi? Julian, molto probabilmente, si sarebbe comunque appassionato al motocross. E in ogni caso tu non hai fatto niente di male, semplicemente lo hai fatto avvicinare ad uno sport un po' rischioso, ecco tutto. Tuo fratello era pienamente consapevole dei pericoli che correva, ma non se ne è mai preoccupato, perchè stare in pista lo faceva sentire libero, completo... insomma, lo faceva stare bene!” Curante quel discorso il giovane Vargas si animò sempre di più, sperando che le sue parole potessero far cambiare idea al suo amico. “Non ne sono convinto. Sento come un peso opprimermi il petto e non può essere altro che il senso di colpa.” affermò pienamente convinto delle sue opinioni il rapper. “Parlare con te è come parlare con il muro, sei tremendamente cocciuto!” sbottò con stizza Leon, insoddisfatto per non essere riuscito a far ragionare Maxi. 
“Va beh, dai... Distraiamoci un po' che è meglio! Ti va un gelato?” domandò poco dopo il giovane Vargas. L'amico annuì, contento del cambio di argomento e si affrettò a seguire Leon, che si diresse verso un bar dal lato opposto della strada rispetto al parco. Dopo una manciata di minuti enrambi uscirono dal locale con un bel cono in mano. “Diamine, com'è tardi! I miei si staranno di sicuro preoccupando: avevo detto che sarei tornato a casa in una mezz'oretta, invece è passata quasi un'ora!” esclamò all'improvviso il rapper, il cui sguardo era fisso sul display del cellulare che segnava le 19.45. “Tranquillo, vai pure.” lo rassicurò Leon, dandogli una leggera pacca sulla spalla. “Okay. Grazie amico, mi ha fatto molto bene parlare con te. Ci si vede domani!” urlò Maxi, allontanandosi correndo. Il giovane Vargas lo seguì con lo sguardo fino a quando svoltò l'angolo, poi, una volta rimasto solo, si diresse verso il condominio dove abitava, che distava pochi metri da lì. Era ormai a pochi passi dal portone dell'edifico quando scorse due persone a lui ben note. Violetta e Angie camminavano in direzione opposta alla sua e sembravano immerse in una fitta conversazione. Svelto svelto Leon si nascose dietro ad un albero, posto al lato del marciapiedi, e, sperando che le due non si fossero accorte della sua presenza, iniziò ad origliare quello che si stagano dicendo. “Non è possibile! Non si fa sentire per mesi e poi mi chiama solo per dirmi che tornerà più tardi di quanto aveva previsto!” si lamentò la ragazza. Il giovane Vargas rimase sopreso da quell'esclamazione, a chi poteva riferirsi quella frase? Al suo fidanzato? No, la Castillo stava con Thomas e lo vedeva tutti i giorni allo Studio, ma allora quel'era l'identità di quella misteriosa persona? La risposta a questa sua domanda non tardò ad arrivare. “Dai, non ti abbattere! Lo sai che tuo padre non è una cattiva persona, semplicemente lui e tua madre in questo periodo sono molto presi dal lavoro...” tentò di giustificarli Angie. Ah, quindi era ai suoi genitori che si riferiva la Castillo! “Sono mesi che sono lontani e non si sforzano neanche di chiamarmi per chiedermi come mi sento, se sto bene o male, se mi impegno allo Studio... Niente!” sbottò la castana. Nella penombra della notte che stava iniziando a calare Leon riuscì a vedere gli occhi della giovane farsi lucidi e provò una pena infinita per lei. Così era quello il motivo per cui era sempre così acida e scontrosa con tutti, quella era la causa di quella maschera di indifferenza che indossava davanti agli altri! Povera! Chissà come dove sentirsi triste e sola, lui sapeva bene cosa voleva dire sentire la mancanza dell'affetto e della guida dei genitori, visto che suo padre era morto e sua madre era troppo debole per occuparsi di lui. Sapeva cosa significava vivere con quel vuoto dentro e, per quanto quello che le era accaduto non giustificasse per niente le sue azioni, iniziò a capire il perchè del comportamento della Castillo. Riportando la sua attenzione su zia e nipote si rese conto che Violetta era scoppiata in un pianto a dirotto tra le braccia della Saramengo. Leon osservò quella scena stupito, mai aveva visto la castana così fragile e indifesa e gli faceva di sicuro uno strano effetto vederla sotto quella luce. Quando la bionda insegnante prese ad accarezzare delicatamente i bei capelli della Castillo poi, il giovane Vargas non potè fare a meno di immaginare di essere lui al posto di Angie e di cullare tra le sue braccia la ragazza, di consolarla e di asciugarle le lacrime che le rigavano quel volto dai tratti angelici. “Avanti piccola, non piangere!” esclamò la Saramengo, cercando di farle forza. Le parole della zia parvero riuscire nel loro intento, infatti Violetta alzò la testa e, asciugandosi il volto umido con la manica della giacca, ritornò alla sua solita espressione glaciale. “Hai ragione: non devo piangere, solo i bambini lo fanno! L'amore e l'affetto sono inutili, portano solo dolore e sofferenza!” esclamò con decisione la ragazza, prima di allontanarsi a passo spedito. Leon uscì dal suo nascondiglio e stava per correre dietro alla ragazza per spiegarle che non era vero che quei sentimenti fossero inutili, che l'amore riempiva l'anima ed era la cosa migliore che ad una persona potesse capitare in tutta la vita, ma una mano si posò sulla sua spalla, trattenendolo con delicatezza e contemporaneamente fermezza. “Lasciala andare, se le parlassi adesso non servirebbe a nulla e, anzi, il fatto di sapere che hai ascoltato la nostra conversazione la farebbe infuriare.” Voltandosi il giovane incontrò gli occhi verde smeraldo di Angie, che lo osservavano con la caratteristica dolcezza della bionda insegnante. “Sapevi che io ero lì dietro.” affermò semplicemente Leon. “Sì.” confermò la bionda. “So cosa provi per lei, lo leggo nei tuoi occhi, ma sappi che il suo cuore è stato ferito e calpestato e ormai lei non crede più nell'amore. Ti ci vorrà parecchio per conquistare la sua fiducia e farti accettare da lei.” aggiunse subito dopo. Il giovane annuì prontamente, facendo intendere alla bionda insegnate di aver compreso le sue parole e, dopo aver recuperato le chiavi dalla tasca dei jeans, fece scattare la serratura. Stava ormai per entrare quando una voce lo chiamò. “Leon.” Accanto a lui il ragazzo notò con la coda la sua insegnante di canto, che lo aveva seguito silenziosamente e voltandosi verso di lei le dedicò tutta la sua attenzione. “Sono sicura che ce la farai.” mormorò la bionda prima di dileguarsi, lasciando il giovane in balia dei suoi mille pensieri.










NOTE AUTRICE: Eccomi tornata! Mi scuso per il tempo che ho fatto passare dall'ultimo aggiornamento, ma non è stata colpa mia, bensì della connessione ad Internet che ha deciso di abbandonarmi più di un mese fa ormai... I tecnici che si sono occupati di questo problema erano degli incompetenti e se alla fine sono riuscita a riavere l'aggangio ad Internet è stato solo per miracolo... Va beh, lasciando perdere i problemi con la connessione che ho avuto in questo periodo passiamo a parlare del capitolo, visto che, tanto per cambiare, sono in ritardo. Non è che succeda un granchè in questo 9 in realtà... più che altro è un capitolo introspettivo sul personaggio di Maxi. Spero di non avervi annoiato! XD Ma la parte che io preferisco è di sicuro la scena finale, quando Leon viene finalmente a conoscenza della situazione di Violetta. Bene, vi prometto di rispondere quanto prima alle bellissime recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo e che ho appena finito di leggere. 
Hugs and kisses,
Francy <3                         

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Capitolo 10
*** Solo scuse. ***


Angie uscì dall'aula di canto, dove aveva appena terminato di fare lezione, con aria distrutta. Si sentiva piuttosto stressata in quel periodo e più volte aveva provato a chiedere al suo migliore amico di uscire con lei per svagarsi un po', ma puntualmente Pablo rifiutava i suoi inviti, tirando fuori le scuse più varie. La bionda, in realtà, sospettava che ci fosse qualcosa sotto, insomma il moro era sempre stato così gentile e premuroso con lei e, proprio quando gli chiedeva il favore di aiutarla a distrarsi un po', lui si tirava indietro? No, non era una cosa plausibile... Forse tutto questo c'entrava con quel misterioso segreto che Pablo si ostinava a nasconderle. Mentre formulava ipotesi più assurde, le apparve davanti proprio Galindo, trafelato e di corsa come al solito. 
“Ciao.” disse l'insegnante di canto con un sorriso. Il moro si fermò di fronte a lei, rispondendo al suo saluto con un cenno del capo, mentre respirava a pieni polmoni per riprendere fiato. “Come va?” domandò gentilmente la Saramengo. “Non molto bene in realtà. Questo periodo è molto difficile per me: sono sempre pieno di impegni e non riesco a gestire tutto...” Pablo si portò una mano tra i capelli, lasciando chiaramente intuire quanto quella situazione lo preoccupasse. “Ed è per questo che rifiuti sempre i miei inviti ad uscire?” chiese ancora la bionda insegnante. Ormai non si sarebbe più lasciata ingannare dalle scuse campate in aria del suo amico, voleva arrivare fino in fondo a quella faccenda! Pablo la guardò imbarazzato, aveva capito che Angie non si era lasciata lasciata abbindolare dai suoi discorsi su quanto fosse preso in quel periodo, ma ancora non si sentiva pronto a confidarle il suo segreto. Cosa avrebbe pensato la sua migliore amica se avesse saputo di Jade? Forse avrebbe potuto credere che lui fosse uguale a sua sorella e allora cosa sarebbe successo? No, non avrebbe rivelato niente alla bionda, non poteva rischiare di rompere quel bellissimo legame che c'era tra loro solo per raccontarle di quel suo problema famigliare! D'altra parte non poteva neanche continuare a rifilare ad Angie scuse a cui non credeva neppure lui... Doveva farsi venire qualcosa in mente e in fretta! “Scusami Angie, in questi giorni proprio non posso, ma magari posso cercare di liberarmi per settimana prossima, va bene?” domandò, sperando che l'amica accettasse: aveva bisogno di guadagnare tempo per poter escogitare qualcosa di credibile. “Sì.” gli sorrise dolcemente Angie. Forse si era sbagliata: Pablo, molto probabilmente, non le nascondeva assolutamente nulla, era lei che vedeva segreti e misteri da tutte le parti... E comunque, se davvero c'era qualcosa che lei non sapeva, avrebbe aspettato che il moro glielo raccontasse quando si sarebbe sentito pronto a parlarne, senza forzarlo in alcun modo. “Come va con Violetta? Sei riuscita a farla ragionare un po'?” domandò Galindo, cambiando argomento. “Ci ho provato e forse ci sarei anche riuscita se German non l'avesse chiamata per dirle che lui e Maria ritorneranno ancora più tardi di quanto avevano previsto! La povera Vilu, ancora una volta, si è sentita trascurata e ha ripreso a chiudersi a riccio...” sentinziò preoccupata la bionda. “Ma io non capisco: quei due non si rendono conto che se continueranno così, prima o poi, perderanno completamente l'affetto e la fiducia della figlia?” chiese Pablo, stupendosi di come certe persone potessero faticare a comprendere qualcosa di così semplice. Angie scosse la testa, con espressione rammaricata. “Non riesco proprio a capire cosa stia passando per la testa a Maria... Mia sorella è sempre stata una donna affettuosa e per lei Violetta è sempre venuta prima del resto, poi tutto è cambiato di colpo.” mormorò perplessa la Saramengo. “Va beh, non ti preoccupare: tutto si sistemerà!” la rassicurò il moro, regalandole uno dei suoi sorrisi gentili. 
“Lo spero...” Angie prese un profondo respiro, augurandosi che il suo migliore amico avesse ragione e che Violetta non uscisse troppo danneggiata da quella situazione. “Ma sì, dai! German e Maria sono due brave persone e sono sicuro che avranno una spiegazione plausibile per tutto.” Tentò nuovamente di tranquillizzarla Pablo, sfiorandole una guancia con una leggera carezza. “Grazie.” sussurrò solamente l'insegnate di canto, fissandolo riconoscente con i suoi dolci occhi verdi. “E di cosa?” domandò il moro, preso nella contemplazione dei tratti angelici di quella che aveva sempre considerato la sua amica e confidente. “Di avermi ascoltata! So di essere un po' ripetitiva e noiosa con la questione di mia nipote, ma tu mi sopporti e mi rassereni sempre.” rispose Angie, per poi stampargli un bacio sulla guancia. “Figurati: per me è sempre un piacere ascoltarti e consigliarti!” esclamò Pablo, assumendo un'aria piuttosto imbarazzata. Tra i due scese il silenzio, finchè la bionda non si ricordò di avere una lezione di lì a qualche minuto. “Oddio, sono in ritardo!” L'insegnante di canto scappò via, salutando con un cenno della mano il direttore, che la osservò allontanarsi, ancora incantato da quel sorriso che aveva illuminato il volto di Angie per tutta la durata della loro conversazione. Possibile che, piano piano, il suo sentimento di amicizia per la Saramengo stesse mutando in qualcosa di più profondo? Scosse la testa, come per cacciare quel pensiero che vi si era intrufolato, in quel momento aveva cose più importanti a cui badare, come, ad esempio, la situazione del suo nipotino. Pensando al bimbo si ricordò che doveva ancora trovare un modo per poter uscire con Angie la settimana successiva, senza però lasciare il piccolo a casa da solo. A chi poteva affidarlo? I suoi genitori, nonchè nonni di Ángel, erano in Francia, dall'altra parte del mondo e non aveva altri parenti in vita, fatta eccezione per sua sorella che, però, non era nelle condizioni adatte per occuparsi del figlio. Dare buca ad Angie, d'altra parte, non era un'ipotesi contemplabile, perchè, altrimenti, la bionda si sarebbe insospettata o, peggio ancora, avrebbe potuto credere erroneamente che lui non tenesse più molto alla loro amicizia. Dunque come poteva fare? Doveva trovare una soluzione il più in fretta possibile, anche se questa non poteva essere altro che un qualcosa di provvisorio, perchè, Pablo lo sapeva bene, prima o poi avrebbe dovuto confidarsi con la Saramengo, se davvero la considerava la sua migliore amica come diceva sempre.










Un sorriso solare illuminava il volto di Leon. Il giovane sentiva un'insolita felicità pervederlo: ora sapeva cosa affliggeva Violetta, ora poteva interpretare i suoi comportamenti in modo diverso, alla luce di quanto aveva scoperto. Aveva sempre avuto la sensazione che quella ragazza non fosse cattiva come voleva far credere e adesso ne aveva avuto la conferma. In fondo all'animo della Castillo, dietro alla freddezza apparente della castana, c'erano una grande sofferenza e tanto amore da donare agli altri. Il problema era che il cuore fragile di Violetta, a causa del comportamento dei suoi genitori, si era come assopito e stava perdendo la capacità di amare. Leon sospirò. Tutto era nelle sue mani: doveva essere lui a far comprendere alla bulletta dello Studio che lasciarsi guidare dai sentimenti era l'unico modo per vivere una vita felice. Uno scintillio di determinazione brillò nei suoi occhi: sarebbe riusciuto nel suo intento, a qualunque costo! Grazie a lui Violetta avrebbe ricominciato a credere nel potere sconfinato dell'amore, ne era più che sicuro. Come se con la sola forza del pensiero fosse riuscito ad evocarla, la Castillo apparve all'improvviso davanti a lui, sbucando da dietro la porta di un'aula vuota. “Violetta hai un secondo? Volevo parlare con te...” sentenziò il giovane avvicinandosi a lei per cercare di intavolare una conversazione. “Non ho nè la voglia nè il tempo di fermarmi a chiaccherare con te, devo vedermi con il mio ragazzo.” sbottò con tono acido la giovane, marcando bene l'ultima parola e facendo per andarsene, considerando la conversazione ormai conclusa.“Queste sono tutte scuse: la storia di te e Thomas non mi convince affatto. Tu non staresti mai con uno come lui!” esclamò il giovane, trattenendola per un polso e voltandola verso di sè, obbligando la Castillo a guardarlo. “E questo chi te lo ha detto? Tu non mi conosci, non sai niente di me!” urlò furiosa la ragazza. Leon non sapeva nulla di quello che lei aveva passato e che ancora stava passando, non sapeva del dolore che lei provava per la lontananza dei suoi genitori e mai e poi mai avrebbe potuto giudicarla o intromettersi nelle sue decisioni! Non ne aveva nessun diritto! Il giovane Vargas rimase molto colpito dalle parole della ragazza e soprattutto dal suo sguardo dove, tra la rabbia e l'indignazione, aveva potuto leggere una sofferenza sconfinata. Ora che sapeva ciò che la Castillo aveva sempre cercato di nascondere a tutti, vedeva la castana da un'altra prospettiva e riusciva a cogliere quei piccoli particolari che prima non aveva mai notato, come, ad esempio, quel costante velo d'infelicità che adombrava quei suoi bellissimi occhi color nocciola. Finalmente tutti i tasselli di quel puzzle complicato che era Violetta stavano andando al loro posto e, piano piano, lui iniziava a comprendere che tipo di persona fosse realmente la Castillo. “Perchè allora non mi lasci entrare nella tua vita, conoscere il tuo mondo e comprendere chi sei davvero?” replicò in un sussurro con voce calma, quasi dolce, Leon, riprendendo il discorso che aveva lasciato in sospeso per poter mettere in ordine i suoi pensieri. Violetta lo guardò con aria decisamente sorpresa: era chiaro che non si aspettava una simile reazione alla sua esclamazione furiosa, così come era ovvio che non sapesse come rispondere alla domanda del giovane. “Perchè? Perchè ti interessa conoscermi?” chiese semplicemente. “Perchè sono sicuro che ne valga la pena e che, infondo, ci sia qualcosa di buono in te.” rispose lui, lasciandola spiazzata. Come poteva quel ragazzo sconvolgerla tanto e, soprattutto, come faceva ad essere sempre così gentile e affabile? Se solo fosse stato rude e scontroso sarebbe stato molto più facile per lei toglierselo dalla testa e farsi passare la cotta che si era presa per lui! “Ti conviene stare lontano da me, ci sono tante altre ragazze da poter conoscere e frequentare...” iniziò Violetta. “Ma a me non interessano! Io voglio te!” la interruppe lui, accorgendosi di quello che aveva detto solo dopo aver pronunciato quelle parole. Aveva ammesso, seppur in modo involontario, di aver perso la testa per la Castillo e ora non c'era modo di tornare indietro. E adesso lei come l'avrebbe presa? Lo avrebbe cacciato via in malo modo, tirando nuovamente fuori la storia che stava con Thomas? Probabilmente sì. Violetta, intanto, guardava Leon con gli occhi sgranati dallo stupore. Poteva il giovane Vargas provare i suoi stessi sentimenti? Anche lui, quando stavano vicini, avvertiva qualcosa di speciale? Anche lui quando la guardava negli occhi sentiva quello strano formicolio alla base dello stomaco? Cacciò quei pensieri indesiderati che erano riusciti ad intrufolarsi nella sua mente: aveva giurato a sè stessa di non legarsi più affettivamente alle persone che le stavano attorno, era stanca di soffrire! Con grande sforzo riuscì a reprimere il desiderio di smettere di fingere e buttare le braccia al collo a Leon e, sapendo che non avrebbe resistito a lungo allo sguardo dolce e tenero del ragazzo, scappò via di corsa. Il giovane Vargas, che si aspettava dalla Castillo qualsiasi reazione tranne quella, rimase immobile ad osservarla allontanarsi in fretta, più confuso che mai. Perchè la ragazza se ne era andata in quel modo senza aggredirlo con insulti e parolacce come si sarebbe aspettato dopo quelle frasi che gli erano sfuggite? Leon credeva che, dopo quello che le aveva detto, Violetta si sarebbe infuriata, invece l'unica emozione che era riuscito a cogliere nel suo sguardo prima che corresse via era stata la paura. Possibile che la Castillo fosse stata spaventata da lui? No... però, forse, poteva essere spaventata da quello che lui provava per lei. Era ormai chiaro che Violetta non volesse sentire parlare di sentimenti come amore o affetto, ma poteva esserne terrorizzata a tal punto? Doveva riuscire a far capire alla giovane che lui non l'avrebbe abbandonata come avevano fatto i suoi genitori e che lui le sarebbe stato accanto se solo lei gli avesse aperto le porte del suo cuore. Desiderava sempre più ardentemente donarle quell'amore che i coniugi Castillo le avevano negato e farla finalmente sentire completa e felice. Ma prima doveva aiutare Violetta a tornare a credere nell'amore e, per quanto difficile fosse, lo avrebbe fatto.










Diego camminava a passo spedito alla volta dello Studio On Beat. Erano passate una settimana dal suo incontro con Ludmilla e, da allora, la ragazza aveva tagliato completamente i ponti con lui, evitando di rispondere alle sue mille chiamate. Il bruno, che già di suo non aveva un'indole molto paziente, si era innervosito parecchio per questo fatto e subito aveva deciso di recarsi nella scuola di musica dove studiava la bionda. Il giovane calciò con stizza una lattina vuota di Coca-Cola che era stata abbandonata sul bordo del marciapiedi. Non poteva sopportare di essere ignorato in quel modo! Ma Ludmilla lo avrebbe sentito: nessuno si comportava così con Diego Ramirez! Il ragazzo, mentre rimuginava su questa questione, svoltò a destra e immediatamente la facciata colorata dello Studio gli apparve davanti agli occhi. Il moro entrò nell'edificio in cerca della Ferro con uno sguardo a dir poco furioso. Poco lontano dall'ingresso incrociò suo zio, ma, non avendo tempo da perdere, gli passò davanti senza concedergli nient'altro che un veloce saluto con un cenno del capo. In poco tempo riuscì ad individuare Ludmilla, seduta sullo sgabello di una batteria in un'aula vuota, e, stampandosi in volto un'espressione irata, si affrettò ad entrare nella stanza. Stava per aggredire la povera ragazza quando, osservando i suoi occhi, si rese conto che erano lucidi e rossi, come se avesse pianto a lungo. Mettendo immediatamente da parte la rabbia, il giovane Ramirez le si avvicinò e si sedette accanto a lei, cingendole la vita con un braccio. “Diego... Non ti ho sentito arrivare, che ci fai qui?” domandò spaesata la bionda. “Dovevo parlarti, ma non c'è fretta.” le spiegò il bruno con un tono pacato molto insolito per uno come lui. “È incredibile: ogni volta che ci incontriamo ti trovo in un bagno di lacrime! Cos'è successo questa volta?” chiese il ragazzo subito dopo. Ludmilla scosse la testa, rimanendo in silenzio, mentre i singhiozzi continuavano a farla sussultare. “Allora? Lo sai che mi puoi dire tutto.” la spronò a parlare Diego. Ancora una volta la Ferro non rispose, limitandosi a stringersi forte a lui e a inzuppargli sempre di più la camicia con le sue lacrime. Diego prese ad accarezzarle dolcemente la folta chioma bionda, rimanendo in silenzio anche lui, assorto nei suoi pensieri. Avrebbe voluto poter aiutare Ludmilla a risolvere il suo problema, ma se lei proprio non voleva parlargliene come poteva fare? Forse era meglio lasciare prima che si sfogasse un po', probabilmente quando quel pianto sarebbe finito, la Ferro gli avrebbe parlato di ciò che la rattristava di sua spontanea volontà. Rimase quindi accanto a lei, lasciando che sfogasse tutto il suo dolore. La ragazza si aggrappò forte alle sue spalle e, piano piano, i singhiozzi iniziarono a diminuire, fino a cessare del tutto. “Stai meglio?” le domandò premurosamente Diego. La Ferro annuì silenziosamente, chinandosi poi a terra per prendere una borsetta di un rosso acceso dalla quale estrasse un pacchetto di fazzoletti. “Di cosa volevi parlarmi?” domandò lei, asciugandosi il volto umido per le lacrime. “Di niente che non possa aspettare.” rispose il moro, consapevole che, forse, quello non era il momento migliore per discutere con Ludmilla. “Diego ora sto bene, avanti: dimmi perchè sei venuto a cercarmi.” lo invitò a parlare la bionda. Il giovane Ramirez rimase in silenzio per alcuni istanti, poi, sotto lo sguardo attento della Ferro, si decise a spiegarle la causa della sua visita improvvisa. “Volevo sapere il motivo per cui non rispondi più alle mie chiamate.” ammise. “Scusami, sono stata molto impegnata ultimamente.” mormorò flebilmente la ragazza, chinando la testa per non doverlo guardare negli occhi e torturandosi le mani con aria agitata. Diego sospirò pesantamente, era ovvio da quel comportamento nervoso che Ludmilla gli stesse mentendo, ma non riusciva proprio a spiegarsi il perchè. Dopo quella giornata in cui l'aveva accompagnata in moto fino alle piscine, salvandola da una sfuriata del padre, credeva che la bionda avesse imparato a fidarsi di lui, ma evidentemente non era così. O magari, più semplicemente, la ragazza non ne voleva sapere di lui. Forse lo considerava uno scocciatore e  voleva prendere le distanze ma era troppo ben educata per sbatterglielo in faccia. Il solo pensiero di quella possibilità gli causò un dolore sordo sul lato sinistro del petto, proprio al centro del cuore. Gli pareva quasi che quell'organo si fosse infranto in tanti piccoli pezzettini che, come spine appuntite, gli pungevano l'anima fino a farla sanguinare. Perchè faceva così male? Lui mai aveva provato simili sensazioni, eppure le ragazze non gli erano mai mancate. Ogni volta che una storia con una delle sue fidanzate terminava sentiva come di essersi liberato di un peso, ma quella volta no. Era assurdo, perchè con Ludmilla una vera e propria storia non l'aveva neanche avuta, eppure, ogni volta che si avvicinava a quella ragazza così provata dalla sofferenza, gli sembrava quasi che il cuore potesse scoppiargli nel petto da quanto i suoi battiti si intensificavano. Con un'espressione triste si voltò verso la Ferro, che aveva seguito il suo umore cambiare da pensieroso a infelice senza parlare. “Dì la verità: è perchè non mi vuoi più vedere che non rispondi alle mie chiamate?” domandò Diego. Ludmilla lo guardò con aria confusa: aveva davvero dato quell'impressione al giovane Ramirez? Eppure le sembrava che si notasse fin troppo che con il moro si trovasse finalmente a suo agio. Quando era stata con Diego, anche se per poco tempo, si era sentita libera da tutte le preoccazioni e si era divertita come non le capitava da molto. Adorava stare quel giovane che sembrava sempre comprenderla al volo! “Come ti viene in mente? Tu sei un ottimo ragazzo, Diego! Sei intelligente, gentile, premuroso... e a me piace stare in tua compagnia.” ammise con un filo di voce bionda, mentre le sue guance si coloravano leggermente di rosso per quanto aveva appena ammesso. Il moro si incantò a guardarla, aveva sempre pensato che Ludmilla fosse una stupenda ragazza, ma con quelle guance color porpora per l'imbarazzo era ancor più tenera e bella del solito. “Allora perchè non hai risposto a nessuna delle mie chiamate?” domandò Diego, distogliendo lo sguardo dal volto arrossato della Ferro. “Te l'ho detto: sono stata molto impegnata nell'ultimo periodo.” insistè la giovane. Il ragazzo sbuffò, sempre più che convita che quella non fosse altro che una scusa e, proprio mentre stava tornando a chiedersi cosa spingesse la bionda a mentire, un'ipotesi non poi così assurda si fece largo nella sua mente. “È stato tuo padre, vero? Lui si è accorto che non sei andata a quel maledetto corso di nuoto e si è infuriato, non è così?” chiese lui con sicurezza, convinto di aver compreso tutto. “Non è andata esattamente così... Mio padre non sa che ho saltato la lezione di una settimana fa, però quando è venuto a prendermi all'uscita dalle piscine ti ha visto mentre parlavi con me e ha dato di matto. Ha detto che non vuole che io mi distragga a pensare ai ragazzi perchè devo concentrarmi sulle mille attività che lui mi impone di fare... Alla fine mi ha ritirato il cellulare per impedirmi di mettermi in contatto con te.” gli spiegó con la testa bassa Ludmilla, consapevole che ormai non poteva più mentire a Diego. “Ah, questo spiega tutto... Ora posso sapere il motivo per cui prima stavi piangendo?” domandò con dolcezza il bruno, sperando di poter riuscire a comprendere meglio quella complicata situazione famigliare. “Mio padre vuole che io smetta di venire allo Studio... Nell'ultimo periodo secondo lui non sto prendendo delle valutazioni adeguate, perciò se non mi sforzo di più lui mi porterà via anche la musica.” mormorò tristemente la bionda mentre i suoi occhi occhi tornarono a farsi lucidi. Il giovane Ramirez non riusciva proprio a trovare delle parole in grado di consolare Ludmilla, perciò, senza dire una parola la attirò verso di sè, lasciando che poggiasse la sua chioma dorata sul suo petto. Il braccio sinistro di Diego si strinse intorno alla vita della ragazza, mentre la mano destra si andò a posare sulla schiena della giovane, che il bruno prese ad accarezzare con movimenti circolari. I due rimasero così per un tempo indefinito,  mentre una sensazione di serenità che invadeva i loro animi solitamente infelici e tormentati. 










NOTE AUTRICE: Allora, premetto che oggi sono di corsissima quindi sarò molto breve. Leon accidantalmente si è lasciato scappare i sentimenti che prova per Vilu e la Castillo è scappata via di corsa... Cosa succederà adesso tra loro due? Lo scopriremo... Intanto abbiamo anche una piccola scena Pangie, dove, finalmente, Pablo si decide ad accettare di uscire con la sua migliore amica per svagarsi un po'. I Diemilla nel frattempo fanno passi avanti anche loro, anche se il padre della Ferro li ostacola e mi fa innervosire sempre di più*lo guarda male* Va bene, scappo perchè sono in ritardo. Ah un'ultima cosa d'ora in poi se non capitano imprevisti riprenderò ad aggiornare regolarmente ogni martedì. Ringrazio di cuore tutti coloro che leggono/recensiscono/preferiscono questa storia: siete fantastici. Spero proprio che il capitolo vi piaccia e perdonate eventuali errori ma non ho avuto molto tempo per ricontrollare,
hugs and kisses,
Francy






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Capitolo 11
*** Risse e litigi. ***


Camilla, ferma nello spiazzo davanti allo Studio On Beat, batteva nervosamente un piede per terra, come  scandire un tempo che solo lei conosceva. Dallo sguardo agitato e dagli occhi stanchi della rossaera chiaro che non fosse nel  suo momento migliore. Sfortunatamente, dal giorno in cui lei e Francesca avevano incontrato i due gemelli Juarez, non era ancora riuscita a scambiare due parole con Federico. Inoltre lui e la sua migliore amica, nell'ultimo periodo, si erano avvicinati parecchio e la Torres non vedeva affatto di buon occhio la cosa, conoscendo benissimo il carattere del giovane e di suo fratello Dj. Già Dj... avrebbe dovuto indagare meglio anche su di lui. Poteva essere che vivesse all'ombra del gemello come aveva ipotizzato lei? Non lo sapeva, ma era intenzionata a vederci chiaro su quella faccenda! La cosa più importante in  quel momento, però, era mettere in guardia Federico dal far soffrire la Cauviglia. Mai e poi mai avrebbe permesso a quel viscido Don Giovanni di spezzare il cuore della sua amica! 
In quello stesso istante passarono accanto a lei proprio i fratelli Juarez, con la loro solita aria arrogante e strafottente. “Eccoti! Proprio te stavo cercando!" esclamò la rossa, puntando il dito indice verso Federico, che la guardò confuso. 
“Calmati un po', Torres! Cosa diamine vuoi da me?” domandò il castano, scompigliandosi nervosamente il ciuffo con la mano destra. 
“Devo parlare con te di Francesca! È da un po' che volevo farlo in realtà, ma non ne ho avuto il tempo...” Camilla sembrava una furia con quello sguardo battagliero stampato sul volto e proprio per questo Federico decise di non contraddirla e, con un cenno del capo, fece capire al fratello di lasciarli soli. 
“Non penso di doverti delle spiegazioni riguardo alla tua amica.” affermò il giovane non appena Dj si fu allontanato abbastanza. Quelle parole non fecero che aumentare la rabbia della Torres , che lo fulminò con lo sguardo.
“Io invece penso che tu me le debba eccome! Francesca è una ragazza un po' ingenua, ma io non ti permetterò di farle del male!” 
Federico non si scompose e ridusse gli occhi a due fessure, con aria infastidita: chi credeva di essere quella giovane per dirgli cosa poteva o non poteva fare? “Te l'ho detto e te lo ripeto: quello che c'è tra me e Francesca non ti riguarda.” 
“Allora ci avevo visto giusto: c'è qualcosa tra di voi! State insieme?” domandò la Torres, sentendo il nervosismo crescere dentro di lei. Quel Don Giovanni la indisponeva in una maniera terribile, non lo sopportava proprio!
“Non sono affari tuoi.” ripetè per l'ennesima volta il ragazzo, ruotando gli occhi cielo per l'insistenza della rossa. “E comunque se ci tieni tanto a saperlo parla con Francesca.”
“È esattamente quello che ho intenzione di fare, ma sappi che se le spezzerai il cuore o la farai on qualche modo soffrire te la vedrai con me!” Detto questo Camilla si allontanò a passo veloce, varcando la soglia della Studio. 
“Hey! Nervosa oggi?” domandò Dj, spuntando all'improvviso alla sua destra.
“Lasciami stare! Mi basta e avanza aver sopportato tuo fratello tutto questo tempo, non ti ci mettere pure tu!” lo amminì la rossa, lanciandogli uno sguardo intimidatorio. Il suo unico pensiero in quel momento era trovare la Cauviglia e aprirle gli occhi su Federico, perciò si diresse velocemente verso gli armadietti, sperando di trovare lì la sua migliore amica. 
“Cami!” esclamò Francesca, felice di vederla.
“Ciao Fran. Senti, devo parlare con te riguardo quel Don Giovanni: devi capire che tipo di persona sia realmente.” affermò la Torres.
“Ti riferisci a Federico? Guarda che non è la cattiva persona che pensavamo, passando un po' di trmpo con lui mi sono accorta di quanto possa essere divertente e gentile.” decretò con aria sicura la Cauviglia. 
“Non è vero: è solo un viscido Don Giovanni, devi smettere di frequentarlo!” esclamò stizzita la rossa, puntando i piedi sul pavimento come una bambina che fa i capricci.
“Non puoi parlare così di lui, tu non lo conosci! Sei solo piena di pregiudizi e sei invidiosa perchè io ho un fidanzato e sono felice mentre tu no!” le urlò contro l'italiana. Non poteva permettere che la sua amica criticasse Federico solo per le voci che circolavano su di lui! E poi Francesca si era accorta di amarlo e lo avrebbe difeso dalle accuse di chiunque lo avesse giudicato una cattiva persona. Certo, il giovane Juarez non era di sicuro un ragazzo modello, ma la Cauviglia gli voleva bene con tutti i suoi innumerevoli difetti e quando Camilla ne aveva parlato male, si era sentita in dovere di risponderle per le rime. Quando, però, l'italiana alzò gli occhi e incontrò quelli umidi e arrossati della sua migliore amica, si rese conto di aver esagerato. “Cami aspetta!” la implorò non appena la vide allontanarsi a passo svelto. La seguì fino al bagno delle ragazze e, senza esitare un attimo, spalancò la porta che si era chiusa davanti ai suoi occhi pochi secondi prima. Si sentiva tremendamente in colpa per le sue parole e voleva assolumente rimediare. Subito notò di fronte a lei la Torres, che si sfregava il volto con forza, scossa da ripetuti singhiozzi e piano piano le si avvicinò, fino ad arrivare a pochi passi da lei. Avrebbe voluto getterla le braccia al collo e rassicurarla, ma l'orgoglio la frenava: dopotutto la rossa aveva parlato male di Federico e questa non era una cosa da poco. Rimase immobile ad osservare il pianto della sua migliore amica per parecchi minuti e alla fine, convinta che non sarebbe mai riuscita a parlare con Camilla, decise di andarsene. La porta, aprendosi, produsse però un fastidioso scricchiolio, che portò la Torres a voltarsi. “Fran...” mormorò confusa. Cosa ci faceva lì la sua migliore amica?
“Cami... scusami.” balbettò l'italiana, riuscendo finalmente a mettere da parte l'orgoglio e avanzando qualche passo verso la rossa.
“No, sono io che devo scusarmi. Credevo che Federico fosse una cattiva persona, ma, come hai detto tu, io non lo conosco e quindi non lo posso giudicare. Se tu mi dici che sa essere gentile mi fido.” Con queste parole Camilla colmò la distanza che le separava con un paio di passi e la strinse a sè in un abbraccio che sapeva di perdono e di rinconciliazione.
“Ti voglio bene. Scusami se ho reagito così, ma sei la mia migliore amica e desidero solo il meglio per te. Sii felice con Federico.” sussurrò la Torres. 
Un sorriso riconoscente si fece largo sul volto della Cauviglia: era contenta che Camilla si preoccupasse tanto per lei e la sua approvazione era una delle cose che più desiderava.










Lara percorreva con aria nervosa i corridoi dello Studio On Beat. Non era ancora riuscita ad avvicinarsi a Leon e tutto per colpa di Violetta, che continuava a intralciarle il cammino. Che il giovane Vargas fosse cotto della Castillo era ormai ovvio, ma quello che più la infastidiva era vedere come la nipote della Saramengo non facesse niente per scoraggiarlo, ma, al contrario, lo assecondava sempre. Lei non era una stupida e aveva capito che anche Violetta, seppur non volesse ammetterlo, provava qualcosa per quel ragazzo, ma non le avrebbe lasciato campo libero così facilmente, anzi avrebbe fatto qualsiasi cosa per allontanarla da Leon! Immersa in questi pensieri entrò nell'aula di danza, dove la Castillo stava provando una nuova coreografia, e subito fermò la musica, costringendo la ragazza ad ascoltarla.
“Lara, c'è qualche problema?” domandò sorpresa Violetta che, non avendola sentita entrare, non si era accorta della sua presenza fino a qualche istante prima.
“Tu sei il problema! Ti ho chiesto se ti piaceva Leon e tu mi hai risposto di no, quindi fatti da parte e lasciami provare a conquistarlo!” sbottò adirata la sua interlocutrice.
“Ah guarda quel Vargas te lo puoi prendere senza problemi, tanto a me non fa ne caldo ne freddo.” affermò con tono incolore la giovane Castillo, sistemandosi alcune ciocche che, mentre provava, erano sfuggite dall'ordinata coda di cavallo in cui aveva raccolto i suoi capelli quella mattina.
“Non è vero! Non credere che io sia scema: ho visto come lo guardi e poi in questi giorni eravate sempre insieme!” esclamò furiosa Lara. Non sopportava le persone che mentivano, sopratutto quando queste si intestardivano a voler negare l'evidenza! Perchè era evidente che Violetta incoraggiava i sentimenti di Leon.
“Senti non ho nè il tempo nè la voglia di discutere con te e comunque sappi che non sono io a cercare Vargas, è lui a cercare me! Quel ragazzo sa essere incredibilmente pesante e fastidioso!” Violetta sperò con quella frase di allontanare tutti i dubbi di Lara. Aveva già abbastanza problemi a cui badare e poi lei non voleva neanche sentir parlare di amore. Doveva ammettere, però, che l'ultima volta che aveva parlato con Leon fosse rimasta piuttosto sconvolta. Ok, aveva intuito che quel giovane provasse qualcosa per lei, ma mai avrebbe immaginato che lui avrebbe potuto lasciarselo sfuggire in quel modo! Era rimasta letteralmente senza parole e, un po' per questo e un po' perchè preoccupata da quello strano calore che le aveva invaso l'anima nel sapere di essere ricambiata dal giovane Vargas, era fuggita via, lasciandolo da sola nel bel mezzo del corridoio. Da quel giorno aveva sempre cercato accuratamente di evitarlo e, con un po' di fortuna, era riuscita nel suo intento. Aveva bisogno di ancora un po' di tempo prima di trovarsi faccia a faccia con lui, dopo le sue ultime parole, che l'avevano destabilizzata non poco.
“Violetta! Mi stai ascoltando?!” le domandò con stizza Lara, notando lo sguardo perso nel vuoto della sua compagna di malefatte. 
“Sì scusami... dicevi?”  La Castillo si costrinse a tornare alla realtà, sforzandosi di ascoltare la sua interlocutrice e cacciando fuori dalla mente i pensieri riguardanti il giovane Vargas.
“Ti stavo chiedendo se ti puoi fare da parte una volta per tutte e lasciarmi campo libero con Leon.” affermò l'altra, con le mani suoi fianchi e un'aria corrucciata sul volto.
“Ti ho già detto di sì! Non mi interessa, così come non mi interessa nessun'altro ragazzo!” sbuffò esasperata Violetta. Quanto poteva essere difficile far cambiare idea alla sua amica? Quella ragazza era terribilmente testarda! Sperava solo che Lara potesse riuscire nel suo progetto di conquistare il giovane Vargas, così che lei avrebbe trovato più facile mettere a tacere il cuore e soffocare quei sentimenti sempre più intensi che provava per lui.










I due fratelli Juaréz camminavano fianco a fianco per i corridoi dello Studio On Beat, immersi in un profondo silenzio. 
“A cosa pensi?” domandò il moro, notando l'aria assorta del fratello.
“Stavo riflettendo sulle parole di Camilla. Forse lei ha ragione: non dovrei stare con Francesca. Lei non è come tutte quelle oche che sono abituato a frequentare... la Cauviglia è una ragazza seria.” Dj rimase piuttosto sorpreso dalle parole del fratello e lo guardò confuso, il suo gemello non si era mai preoccupato di far soffrire le tante giovani che avevano perso la testa per lui.
“Non mi guardare così, lo so che questo comportamento non è da me, ma con Francesca è diverso. Ho intenzione di parlarle e di chiederle di essere solo amici.” spiegò Federico, sotto lo sguardo non molto convinto del moro.
“E tu pensi davvero che lei accetterà? Credi che quando lei saprà che l'hai illusa per tutto questo tempo vorrà esserti amica?” gli domandò il gemello, cercando di farlo ragionare. 
“Forse apprezzerà la mia sincerità...” suppose il castano. D'altronde si rendeva conto che era meglio finire lì quella storia, piuttosto che continuare a lasciare che i sentimenti che Francesca provava verso di lui crescessero sempre di più. Non voleva far soffrire la Cauviglia, sentiva una grande simpatia nei suoi confronti. Mai aveva avuto una ragazza con cui confrontarsi, a cui raccontare le sue preoccupazioni e suoi successi come faceva invece con Francesca. Er quella l'amicizia? Non lo sapeva, ma ciò di cui era certo era di voler smettere con quella farsa prima che fosse troppo tardi.
“D'accordo, fa come credi...” mormorò poco convinto Dj, consapevole che niente di quello che avrebbe detto avrebbe potuto cambiare l'opinione del gemello. 
I due continuarono a camminare fino al parcheggio dello Studio, dove avevano lasciato le loro moto, senza più dire una parola. 
“Aiuto! Aiuto! Vi prego aiutatemi!” gridò qualcuno, rompendo il silenzio che era sceso intorno ai fratelli Juaréz. Federico si bloccò con il casco a mezz'aria esubito si voltò verso Dj, vedendo riflessa nei suoi occhi la stessa paura che immaginava esserci nei suoi. Altre grida si levarono nell'aria e i due giovani, voltandosi nella direzione da cui esse provenivano, individuarono la persona a cui appartenevano. Disteso a terra sullo spiazzo dello Studio, poco lontano da loro, Andres Calixto, uno dei loro compagni della scuola di musica, si dimenava inutilmente, aggredito da due ragazzi a loro completamente sconosciuti. Il più grosso, un giovane dalla pelle scura e un fisico possente, bloccava il loro amico per le spalle, mentre l'altro, un tipo alto e dalla folta chioma corvina, lo tempestava di pugni e calci. Il primo pensiero di etrambi i fratelli Juaréz fu quello di scappare, ma, superata quella fase iniziale di paura, Federico decise di intervenire. Infatti, nonostante di solito fosse un tipo pacifico, detestava profonadamente le ingiustizie e gli sembrava una vigliaccheria lasciare Andres in balia di quei loschi personaggi. “Chiama la polizia.” ordinò al suo gemello per poi iniziare ad avvicinarsi a Calixto e ai suoi aggressori.
“Aspetta! Cosa hai intenzione di fare? Guarda che questi tipi sono pericolosi!” lo ammonì Dj.
“Tranquillo, so quello che faccio. Tu non preoccuparti e chiama la polizia.” ripetè il castano.
Con passo veloce, Federico arrivò nello spiazzo davanti allo Studio e subito si buttò addosso al giovane dai capelli scuri, spostandolo di lato con uno spintone. 
“Che vuoi?” domandò furioso il moro, riducendo gli occhi a due fessure per poter scrutare meglio quello scocciatore che si era messo in mezzo. 
“Che diamine fate? Non vedete che gli state facendo male?!” domandò con rabbia il castano, indicando il povero Andres che, ancora steso a terra, respirava a fatica. Le condizioni del giovane non erano delle migliori: un labbro gli sanguinava copioso e l'occhio destro era contornato da un alone violaceo. I due aggressori spostarono lo sguardo sulla loro vittima e automaticamente un ghigno beffardo si impadronì dei loro volti. 
“È quello che questo buffone si merita! È un completo imbecille!” esclamò il ragazzo dalla pelle scura, assestando un forte calcio a Calixto, ancora steso a terra. 
“Smettila! Lascialo in pace o te la vedrai con me!” esclamò Federico, mettendosi in mezzo tra lui e Andres. Se quei due tipi volevano fare a botte non si sarebbe certo tirato indietro, lui non era un codardo e avrebbe aiutato il suo amico! 
“Hai sentito Broadway? Crede di farci paura.” lo derise il moro, per niente spaventato dal giovane Juaréz. Non aspettò neanche una risposta dal suo compagno di malefatte, si avvicinò al castano e, senza alcun preavviso, gli tirò un forte pugno nello stomaco. Federico rimase senza fiato e boccheggiò in cerca d'aria per parecchio prima di riuscire a riprendersi del tutto.
“Ma siete pazzi? Toglietegli subito le mani di dosso!” urlò furioso Dj, che, vedendo suo fratello in difficoltà, era subito corso ad aiutarlo. Non era esattamente un tipo coraggioso, ma, nonostante tutto, voleva bene al suo gemello e non l'avrebbe mai lasciato solo in una situazione come quella.
“Oh, ma guarda! Ce n'è un altro che le vuole prendere!” esclamò Broadway, mettendo subito in mostra i suoi muscoli particolarmente sviluppati per spaventarlo. Dj deglutì con aria nervosa. Avrebbe voluto scappare a gambe levate, ma si costrinse a rimanere immobile al fianco del fratello.
“Penso che dovremo passare alle maniere forti, allora.” ghignò il giovane dalla chioma corvina, estraendo dalla tasca dei jeans un coltellino e puntandolo verso i due fratelli Juaréz. Federico e Dj si guardarono con aria terrorizzata. Quel ragazzo poteva arrivare ad essere tanto violento? Stava solo scherzando o faceva sul serio? Prima che potessero trovare una risposta a quei quesiti, un rumore di sirene in avvicinamento li fece sobbalzare tutti e quattro.  
“Marco! Sta arrivando la polizia!” urlò in preda al panico Broadway, tirando per un braccio l'amico che rimise velocemente a posto il coltellino, con un'espressione infastidita e lievemente preoccupata sul volto. “Siete stati voi, vero?” domandò poi con furia, scompogliandosi nervosamente la chioma corvina. “Ce la pagherete, non sapete contro chi vi siete messi!” sbraitò poi, prima di fuggire a gambe levate con il suo compagno di malefatte. 
“Oh, finalmente ce ne siamo liberati.” sospirò sollevato Dj, mentre suo fratello aiutava Andres ad alzarsi da terra. 
“Come ti senti? Tutto bene?” domandò Federico, controllando le condozioni del giovane Calixto.
“Poteva andarmi peggio. Vi ringrazio per essere intervenuti.” rispose riconoscente il moro.
“Stai tranquillo: sta arrivando la polizia, ti porteranno in ospedale.” A quelle parole del castano, l'amico sobbalzò spaventato. “No, non voglio andare con loro.” affermò con aria nervosa il ragazzo.
I due fratelli Juaréz si guardarono con aria confusa, perchè Andres sembrava così terrorizzato al solo pensiero di vedere gli agenti? Come se li avesse letti nel pensiero, il bruno rispose ai loro interrogativi: “Se la polizia mi troverà ridotto in questo stato mi farà delle domande e io cosa potrò rispondere? Li avete visti quei due, no? Sono tipi pericolosi e io non voglio altri guai.”
“Ma perchè ti stavano picchiando?” si intromise nella discussione Dj.
“Non sono cose che vi riguardano. State il più lontano possibile da quei tizi e non date loro altri motivi per essere arrabbiati con voi, lo dico per il vostro bene!” esclamò Calixto, sperando che i due fratelli Juaréz avrebbero seguito il suo consiglio. 
“E tu che farai?” domandò Federico, cambiando il discorso. Di sicuro non si sarebbe arreso così e avrebbe cercato di incastrare quei loschi individui, ma non se la sentiva di contraddire Andres quando era ridotto in quello stato pietoso. 
“Chiamo subito il comando di polizia e dico che si è trattato solo di un errore. Marco e Broadway sono molto potenti, è meglio non mettersi contro di loro.” affermò Calixto, allontanandosi faticosamente a causa del dolore per le percosse ricevute ed estraendo il cellulare dalla tasca della felpa.
“Credi che quei tizi si vendicheranno?” domandò Dj, ancor sotto shock per quanto era successo.
“Nah! Quella gente minaccia ma non agisce. Come dice il detto? Can che abbia non morde! Stai tranquillo.” lo rassicurò Federico, montando in sella alla sua moto e dirigendosi verso casa, subito seguito dal fratello.










NOTE AUTRICE: Capitolo movimento questo 11! Innanzitutto abbiamo il confronto Camilla/Federico che era rimasto in sospeso, poi un litigio tra la Torres e Francesca e una discussione tra Violetta e Lara riguardo a Leon. Mamma mia com'è insopportabile Lara! Qualcuno le spieghi che deve stare lontana da Vargas! >.< Infine abbiamo una rissa tra Marco e Broadway e Andres nella quale intervengono anche Federico e Dj per motivi che restano oscuri ma che si scopriranno più avanti. Bene, vi saluto,
hugs and kisses,
Francy
P.S. Perdonate eventuali errori ma non ho avuto tempo per ricontrollare.


   











 

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Capitolo 12
*** Timidi raggi di speranza. ***


Nonostante fosse ormai Novembre inoltrato, il sole brillava alto nel cielo, rallegrando con la sua luce abbagliante quella che si preannunciava una splendida giornata. Ludmilla sorrideva felice: quel giorno tutto sembrava essere a suo favore, tempo compreso. A breve, infatti, Diego sarebbe passato a prenderla per fare una passeggiata insieme, come si erano accordati qualche giorno prima quando lei era venuto a cercarla allo Studio. La Ferro non poteva essere più contenta: uscire da quella casa e distrarsi un po' non poteva farle che bene dopo tutto il duro lavoro a cui era stata sottoposta durante la settimana a causa dell'eccessiva severità di suo padre. Ormai i ritmi a cui quell'uomo la sottoponeva erano sempre piú estenuanti e lei faceva molta fatica per sopportarli.
“Ludmilla!” Un grido interruppe il filo dei suoi pensieri, portandola a voltarsi verso destra, la irezione da cui proveniva quella voce. Diego, a pochi metri di distanza da lei, correva a tutta velocità, avvicinandosi sempre più. “Eccomi, scusa il ritardo. È molto che mi aspetti?” domandò il moro, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. “No, tranquillo. Allora andiamo?” chiese Ludmilla con un sorriso felice stampato sul volto. Diego fece un cenno di assenso con la testa e la prese sottobraccio, incamminandosi con lei verso il centro della città. “Come diamine sei riuscita a convincere tuo padre a lasciarti uscire con me?” Il giovane Ramirez non riuscì a trattenere la sua curiosità e le porse quella domanda a bruciapelo. “Non l'ho affatto convinto: lui non sa niente, è fuori casa tutta mattina con un amico.” spiegò la Ferro. “Ah, ora capisco! Mi sembrava strano che ti avesse dato il permesso di vedermi.” disse il moro, che non poteva evitare di sentire un astio sempre maggiore nei confronti di quell'uomo. Insomma, il signor Ferro aveva per figlia una ragazza splendida, tanto fragile e dolce e la trattava in una maniera assurda, controllandola costantemente e esigendo da lei la perfezione in tutto ciò che faceva. Prima o poi avrebbe scambiato due chiacchiere con quell'uomo e gli avrebbe fatto capire quanto fosse sbagliato il suo comportamento. “E tua madre approva il fatto che tu esca con me?” domandò il giovane Ramirez, curioso di sapere di più su quella donna di cui ancora non aveva sentito parlare. “A lei non interessa molto quello che faccio o non faccio... Dice che ormai ho l'età per badare a me stessa. Se mio padre è fin troppo presente, lei è tutto il contrario: non è quasi mai in casa e non mi calcola neppure...” mormorò rattristata la ragazza, mentre i suoi occhi scuri si facevano leggermente lucidi. “Hey! Non voglio vederti triste: goditi questa passeggiata e, almeno per questa mattina, dimentica tuo padre, tua madre e tutti i tuoi problemi.” le sussurrò dolcemente il bruno, accarezzandole con delicatezza una guancia. “Va bene.” acconsentì la bionda, tornando a sorridere radiosa. Era incredibile l'effetto che Diego aveva su di lei: anche quando si sentiva estremamente triste e giù di morale, il giovane Ramirez, con la sua sola presenza, riusciva a ridarle la felicità. “Ora sai tutto della mia famiglia... Parlami un po' di te, invece.” Un'ombra di tristezza velò il volto del ragazzo. Cosa poteva raccontare alla Ferro? Non vedeva i suoi genitori da anni e di loro non aveva che un vago ricordo... L'unica cosa che sapeva per certo era che gli odiava a morte per tutto il dolore che avevano causato a lui e a sua sorella. Dopotutto la sua famiglia e quella di Ludmilla erano molto simili: ad entrambe non importava affatto della loro felicità e al contrario, in un modo o nell'altro, li facevano soffrire. “La verità è che non c'è tanto da dire...” Diego restò sul vago, sperando che il discorso finisse lì, ma Ludmilla non aveva alcuna intenzione di lasciar cadere così la conversazione. “Avanti: avrai per forza una famiglia! Parlamene un po'.” mormorò la Ferro, posando timidamente una mano sulla spalla del giovane Ramirez. “Sempre se ti va, ovviamente...” aggiunse subito dopo. Il moro prese un profondo respiro, mentre un'aria nervosa si faceva largo sul suo volto. Non era esattamente entusiasta di parlare delle persone che più detestava, ma, forse, raccontare tutto a Ludmilla gli avrebbe fatto bene. Non aveva mai parlato della sua situazione famigliare con qualcuno, fatta eccezione per suo zio Gregorio, e aveva sempre accumulato dentro di sè tutta la rabbia, la frustrazione e il dolore. Ora però sentiva di stare per esplodere, avvertiva il bisogno di sfogarsi con qualcuno e la Ferro gli stava offrendo quella possibilità su un piatto d'argento. Perchè allora non cogliere al volo quell'occasione e parlare con lei dei suoi genitori? “Tra me e i miei non c'è mai stato un buon rapporto, loro sono solo degli scansafatiche che non hanno mai avuto voglia di occuparsi seriamente della loro famiglia. La situazione è precipitata quando io ho compiuto cinque anni: loro non avevano mai avuto un lavoro fisso e in quel periodo si trovavano in gravi difficoltà economiche, così hanno organizzato una rapina a una banca. Però gli è andata male...” Diego si interruppe, risucchiato dal vortice dei ricordi, che avevano causato in lui una miriade di pensieri contrastanti. “Li hanno presi?” domandò la Ferro, riportandolo alla realtà. “Sì, ma non è questo il problema più grave... Se tutto fosse finito lì sarebbero rimasti in carcere per un po' e poi sarebbero potuti tornare a casa, ma è andata diversamente: mio padre, sentendo arrivare la polizia, si è spaventato e ha sparato un colpo. Uno degli impiegati della banca è stato ferito gravemente e dopo pochi giorni è morto.” spiegò il ragazzo, mentre i suoi occhi castani, in cui risaltavano alcune sfumature verdastre, si riempirono di lacrime, che iniziarono a rotolargli giù per le guance. Ludmilla lo guardò stupita: Diego le era sempre sembrato un ragazzo forte, capace di resistere al dolore e alle avversità della vita e mai e poi mai si sarebbe aspettata di vederlo piangere. Tuttavia il giovane Ramirez l'aveva consolata più volte ed era stato al suo fianco quando ne aveva avuto bisogno senza neanche conoscerla e adesso Ludmilla sentiva di dover fare altrettanto. Perciò, dopo un primo istante di sorpresa per aver visto il ragazzo in lacrime, gli gettò le esili braccia al collo, stringendolo forte a sè. Diego si lasciò avvolgere dal calore di quell'abbraccio e si beò del delicato profumo della ragazza, che gli invadeva le narici. “Sh! Tranquillo, non piangere: ci sono io qui con te.” gli sussurrò in un orecchio la Ferro, sperando che il suo pianto si arrestasse. Evidentemente le sue preghiere furono esaudite, perchè dopo un paio di minuti i singhiozzi iniziarono a diminuire sempre di più, fino a cessare del tutto. “Scusami, non avrei mai dovuto chiederti di parlare di qualcosa di cosi personale. Non immaginavo che la tua infanzia potesse essere stata così dura per te. Se avessi saputo...” Diego la interruppe con un un cenno della mano. “Non è colpa tua se mi sono messo a piangere, tu non hai fatto niente di male. Gli unici colpevoli sono i miei genitori. Tu non puoi immaginare quanto io li odi: è un cosa terribile sapere che tuo padre è un assassino e che tua madre è stata sua complice, te lo posso assicurare.” mormorò disgustato il giovane, ravvivandosi i capelli corvini con un movimento nervoso della mano. Sfogarsi con Ludmilla gli aveva fatto decisamente bene, ma, allo stesso tempo, aveva riaperto vecchie ferite che non si erano mai rimarginate del tutto. “Già... Immagino che per te non sia stato facile andare avanti...” La Ferro sentì un nodo stringerle la gola al solo pensiero di tutto quello che Diego doveva aver passato a causa dei suoi genitori. “Infatti... Ma non importa. L'unica cosa che adesso per me conta davvero è ritrovare mia sorella.” affermò il moro, con un sguardo speranzoso sul volto. “Ah, mi ricordo! Mi aveva accennato di lei la prima volta che ci siamo incontrati!” esclamo la bionda, che aveva sempre avuto un'ottima memoria. “Esatto! È da moltissimo che non la vedo: quando i miei genitori sono stai arrestati, lei è stata adottata, mentre io no...” spiegò Il giovane Ramirez, rimanendo sorpreso da sè stesso. Quando aveva raccontato a Ludmilla dei suoi genitori mai avrebbe immaginato di poter arrivare fino a quel punto, raccontandole addirittura di sua sorella minore. “Sono convinta che la ritroverai.” affermò decisa la Ferro, sfiorandogli la guancia destra in una carezza quasi inesistente. A quelle parole un sorriso sorse spontaneo sul viso di Diego, illuminandolo di una gioia sincera. Ludmilla lo capiva al volo, come sapeva fare solo suo zio Gregorio e questa consapevolezza gli donava una sensazione di serenità. Si sentiva così bene al fianco della Ferro che avrebbe desiderato di non separarsi mai da lei. “Sei unica: riesci a capirmi come nessun'altro. E questo mi fa bene, terribilmente bene.” soffiò il moro, guardandola dritto negli occhi. “Per me è lo stesso.” sussurrò timidamente la Ferro, abbassando lo sguardo imbarazzata. Il giovane Ramirez le sollevò il mento, poi, con estrema lentezza, avvicinò il suo volto a quello della ragazza e, con fare titubante, sfiorò le labbra di Ludmilla in un bacio delicato, quasi impercettibile. La Ferro pensò che il suo cuore sarebbe potuto esplodere dalla felicità tanto furono forti le emozioni che provò durante quel lieve contatto. Avrebbe voluto che durasse per sempre, invece fu solo un istante e troppo presto Diego si staccò da lei, allontanando leggermente il volto dal suo per poterla osservare meglio. Subito il moro notò la contentezza che traspariva dagli occhi scuri della Ferro e sorrise rasserenato. Fino all'ultimo aveva esitato, temendo di star facendo una schiocchezza e di star correndo troppo, ma adesso, in quelle iridi castante che aveva davanti leggeva lo stesso profondo sentimento che provava lui e questo lo rassicurò. “Sono innamorato di te. Lo so che forse può sembrarti un'affermazione un po' affrettata, ma ti posso assicurare che mai, in tutta la mia vita, mi sono sentito così sicuro di qualcosa. Ti amo e farei qualsiasi cosa per dimostrartelo.” dichiarò con decisione il giovane, guardandola con occhi sognanti. Ludmilla appoggiò la fronte alla sua, continuando a sorridere radiosa e prendendo ad accarezzargli con dolcezza una guancia. Era come se, in un solo colpo, tutti i suoi desideri più grandi si fossero avverati: Diego era un ragazzo fantastico e, nonostante non fosse passato molto tempomda quando lo aveva conosciuto, sentiva già di provare qualcosa di molto forte nei suoi confronti. “Anche io sono innamorata di te: è solo stando al tuo fianco che sento di poter essere tranquilla.” sussurò la ragazza, accoccolandosi contro il suo petto. Ed era proprio così: il giovane Ramirez le aveva donato una serenità che mai aveva conosciuto, portando dei timidi raggi di gioia e di speranza nella sua vita per illuminare il baratro di tristezza oscuro e profondo in cui era scivolata.










Maxi era fermo da dieci minuti davanti al campanello di villa Heraldez, indeciso se premere il pulsante dorato o no. Era da un po' di tempo che aveva deciso di recarsi a casa di Nata per poterle parlare, ma solo quel giorno era riuscito a trovare il coraggio per farlo. Avvicinò la mano al citofono, ma si bloccò con ancora il braccio a mezz'aria. E se la ragazza lo avesse cacciato? No, Nata non era decisamente quel tipo di persona, doveva smetterla di farsi tanti problemi inutili! Prese un profondo respiro e, finalmente, suonò il campanello. Dopo neanche dieci minuti, una signora dall'aria elegante e dai lunghi e scuri capelli ricci uscì dalla grande porta dell'edificio e si diresse a passo svelto verso di lui. “Ciao, chi sei?” gli domandò con aria gentile la donna non appena fu abbastanza vicina per essere udita dal rapper. Il giovane Ponte si imbambolò a fissarla: lei e Nata erano due gocce d'acqua, uguali in tutto e per tutto per quanto riguardava l'aspetto fisico; di sicuro quella signora doveva essere sua madre. “Mi chiamo Maxi, sono un amico di Nata, la sto cercando perchè vorrei parlarle.” rispose il ragazzo. “Vieni, entra pure caro.” La donna aprì il cancello che li separava e gli fece subito strada attraverso un sentiero lastricato che, tagliando in due il magnifico  giardino della villa, conduceva fino all'enorme portone che garantiva l'accesso all'edificio e che la signora spalancò, permettendo così al rapper di entrare. Maxi seguì quella che aveva intuito essere la madre della sua compagna dello Studio attraverso lunghi corridoi che sembravano non finire più, guardandosi attorno con aria incantata. Mai aveva visto tanto lusso in vita sua: non si poteva dire che la sua famiglia fosse povera, questo no, ma i suoi genitori non erano neanche ricchi. “Complimenti per la casa: è così bella.” mormorò ammirato il giovane. “Già... Così bella eppure così vuota...” sussurrò rattristata la donna. “Cosa intende?” chiese istintivamente il rapper, senza pensare che, forse, la sua domanda poteva risultare un po' indiscreta. “Mi riferisco a mia figlia... Nata ha una casa splendida che, probabilmente, molto dei suoi coetanei non hanno, ma non invita mai nessuno a venire qui. Sono contentissima che tu abbia preso l'iniziativa e sia venuto a trovarla!” esclamò la signora Heraldez, mentre un sorriso si faceva strada sul suo volto. “Nata è una ragazza molto sola, ma posso assicurarti che, se avrai la pazienza di conoscerla, scoprirai che persona fantastica sia.” “Ne sono convinto.” affermò con aria convinta il rapper. “Te la vado a chiamare, dev'essere in camera sua. Aspettami pure qui.” Non appena la donna fu abbastanza lontana, Maxi si sistemò nervosamente la maglietta e, specchiandosi in una finestra che dava sull'ampio giardino della villa, cercò di pettinarsi alla bell'e meglio i ribelli ricci castani, che andavano in tutte le direzioni. 
Dopo una manciata di minuti, un rumore di passi gli annunciò il ritorno della signora Heraldez, seguita dalla figlia. Subito il rapper tornò immobile come quando la donna la aveva lasciato e inizió ripassare mentalmente il discorso che aveva intenzione di fare a Nata. “Maxi!” esclamò entusiata la riccia non appena lo notò. “Ciao, come va?” domando leggermente in imbarazzo il giovane Ponte. “Bene grazie... ma perchè sei qui?” domando curiosa la mora. “Perchè ho bisogno di parlarti. Hai un minuto?” domandò il giovane Ponte sperando in una risposta affermativa. “Sì, certo... vieni camera mia così staremo più comodi.” gli propose la ragazza, per poi guidarlo attraverso un'altra serie infinita di interminabili corridoi, fino a giungere davanti ad una porta in legno d'ebano, che era stata lasciata accostata. “Vieni pure.” lo incoraggiò la riccia, invitandolo ad entrare con un gesto della mano. Maxi la seguì e si ritrovò in un'ampia camera dalle candide pareti e dall'aria accogliente. Rispetto alle altre stanze della casa, quel locale aveva uno stile molto più semplice e sobrio, privo di decorazioni sforzose, ma era arredato con buon gusto. Una larga finestra, che permetteva di vedere il panorama della città di Buenos Aires, era posta sulla destra, poco sopra al letto, che, alla vista, sembrava soffice e comodo. Spartiti di canzoni dei generi più vari e libri di musica erano posato ordinatamente sulla scrivania in legno d'acero che faceva bella mostra di sè al centro della stanza. “Allora, che cosa mi volevi dire?” domandò la ragazza, sedendosi compostamente sul letto e attendendo con aria curiosa la risposta del rapper. 
“Ti osservata attentamente in quest'ultimo periodo e ho notato che sei sempre da sola in disparte...” iniziò il giovane Ponte. “No, per favore dimmi che non sei qui a farmi una predica sul fatto che non ho amici! A quello ci pensano già i miei genitori.” sbuffò la riccia, attorcigliandosi una ciocca scura di capelli attorno all'indice. “Nata guarda che non è normale che tua sia così isolata!” esclamò con aria preoccupata Maxi. “Credimi ho provato a cercare di uscire dalla mia solitudine, ma non ci sono mai riuscita. È tutto inutile: sono una frana nelle relazioni di amicizia.” mormorò sconsolata la mora. “È proprio per questo che sono qui: per aiutarti.” affermò con convinzione il castano. “Non c'è niente che tu possa fare per aiutarmi.” ribattè la giovane Heraldez. Dopo che aveva promesso ai suoi genitori di mettersi in gioco e mostrare tutto il potenziale che c'era in lei, si era impegnata al massimo per uscire dalla sua solitudine e cercare di farsi degli amici, ma non ci era riuscita e, dopo un po', si era arresa. “Ascoltami, io ho perso la possibilità di vivere in pace e la rimpiangerò a vita, ma tu sei ancora in tempo e io non ti permetterò di fare un errore simile al mio. Vivi la vita senza paura e sii felice tu che ancora puoi esserlo!” esclamò con enfasi il giovane Ponte, mentre il ricordo di come, con la morte di suo fratello maggiore, lui avesse smesso di poter essere felice si impardonì della sua mente. Non voleva che anche Nata sprecasse la sua opportunità di vivere una vita piena e soddisfacente! La giovane Heraldez lo guardò con aria interrogativa. “Come puoi dire di non essere felice quando hai molti amici come ad esempio Leon e ti diverti con loro? Tu non sei depresso o triste: ti vedo sorridere spesso allo Studio.” affermò la riccia, non molto convinta dalle parole del rapper. “A volte l'infelicità si cela dietro ad un sorriso. Non tutti reagiamo allo stesso modo: c'è chi piange disperatamente e chi nasconde la sua disperazione con una risata esagerata. E poi c'è una grande differenza tra il divertersi con gli amici e provare la gioia della felicità pura.” le spiegò il castano con tono di ovvietà. “D'accordo, ma allora qual'è il motivo della tua tristezza?” domandò la ragazza. “È una storia lunga e poi non è per questo che sono venuto. Io sono qui per permetterti di uscire dalla tua solitudine, ti lascerai aiutare da me?” chiese il giovane Ponte, prendendole entrambe le mani e guardandola fisso negli occhi. “Ma ci ho già provato e non ci sono riuscita...” cercò di obiettare la mora. “Le scorse volte eri sola, adesso invece ci sono io accanto a te.” le fece notare il rapper. “Ok, mi hai convinta.” affermò Nata, venendo subito abbracciata con foga dal castano, che la strinse a sè soddisfatto di quella risposta. Sì, lasciarsi aiutare da Maxi non poteva farle che bene, dopotutto, semplicemente con quella chiacchierata il giovane Ponte era riuscito a ridarle un po' di quella speranza che aveva perso a causa dei tanti tentativi falliti. Grazie al castano era sicura che sarebbe riuscita a provare la felicità, quella vera e avrebbe potuto colmare quel fastidioso senso di vuoto che sentiva dentro di sè.










NOTE AUTRICE: Eccomi qui come sempre in ritardo! Mi scuso: sono tremendamente dispiaciuta ma questa è una settimana di fuoco per me... Soprattutto chiedo venia per non essere riuscita a recensire le varie storie che sto seguendo in questo periodo, ma prometto che tra questo pomeriggio e questa sera lascerò un commento. Passiamo ora parlare del capitolo di oggi. Nella prima parte abbiamo un blocco Diemilla che io adoro *___* Inoltre scopriamo anche meglio la storia di Diego. Invece nella seconda parte c'è un confronto tra Nata e Maxi e dopo tanta insistenza da parte del rapper, la Heraldez si decide a cercare di uscire dalla sua solitudine. Bene, vi ringrazio per il sostegno che mi date e vi saluto,
Hugs and kisses,
Francy











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Capitolo 13
*** Sentimenti contrastanti. ***


Francesca posò lo sparito  che aveva appena iniziato ad osservare, sul comodino accanto al letto e si alzò svogliatamente per aprire la porta e zittire quel maledetto campanello che continuava a suonare ininterrottamente da ormai quasi cinque minuti. Davanti a lei comparve un Federico serio e teso come mai lei lo aveva visto. “Fede! Che ci fai qui?” domandò lei, scostandosi di lato per lasciarlo entrare in casa. “Hai un po' di tempo da dedicarmi? Ho bisogno di parlare con te.” affermò risoluto il giovane. Negli ultimi giorni aveva riflettuto molto e, alla fine, era giunto alla conclusione che parlare con Francesca ed essere sincero sui sentimenti che provava per lei sarebbe stata la cosa migliore per entrambi. Era proprio per quello che, nonostante la pioggia che quel pomeriggio si abbatteva con particolare violenza sulla città di Buenos Aires, si era recato a casa della Cauviglia. “Certo che ho del tempo da dedicarti, anche tutto il pomeriggio se necessario! Ma è successo qualcosa? Mi sembri un po' nervoso...” Fin da quando il giovane Juaréz era apparso davanti a lei da dietro la porta, Francesca aveva avuto un cattivo presentimento, che le parole di Federico e il suo volto teso nonotevano far altro che confermare. “Sono qui per spiegarti come sono andate realmente le cose.” iniziò lui, torturandosi nervosamente le mani. “A cosa ti riferisci?” domandò la ragazza, rivolgendogli un'occhiata interrogativa alquanto preoccupata. “Io... Io non volevo, davvero.” balbettò il castano, non sapendo come cominciare. “Smettila di girarci intorno! Che cosa è successo Federico?!” chiese quasi urlando la Cauviglia, esasperata dal comportamento di quello che da pochi giorni poteva definire ormai il suo fidanzato. Non ne poteva più: aveva già capito che quelle che portava il giovane Juaréz erano delle cattive notizie, ma non riusciva a sopportare tutta quell'ansia causata dall'attesa. Prima avrebbe saputo cosa Federico volesse intedere con quelle parole e prima si sarebbe messa l'animo in pace. Dopotutto non poteva essere qualcosa di così grave... “Devo parlarti di me e te, di noi due.” Finalmente, dopo parecchi istanti di silenzio, il ragazzo si decise a parlare, pur mantenendo l'aria tesa sul volto. Non riusciva proprio a trovare il modo adatto per spiegare a Francesca come stessero le cose. Eppure quando aveva maturato quella decisione di essere sincero con lei era così determinato che era sicuro che le parole gli sarebbero uscite da sole. Solo in quel momento si accorse che non avrebbe mai potuto essere così: si era affezionato troppo a Francesca e ora non riusciva meanche ad ipotizzare di poterla ferire in qualche modo. Lei era l'unica tra tutte le persone che lo circondavano che si fosse presa la briga di comoscerlo davvero, l'unica che lo aveva ascoltato quando gli altri non lo aveva lasciato ascoltare. Insomma lei era diventata, nell'arco di un tempo brevissimo, la sua migliore amica e confidente. Come poteva ora spiegarle che la loro storia era solo una finzione e che all'inizio si era avvicinato a lei senza essere guidato da un affetto sincero? Non lo sapeva, ma di una cosa era certo: non sarebbe stato per niente facile. “Allora? Io sto aspettando!” La voce stizzita di Francesca lo riportò con violenza alla realtà e, incatenando i suoi occhi castani a quelli neri della ragazza, capì che era arrivato il momento di dirle la verità. Le sue bugie terminavano lì. “Quando mi sono avvicinato a te non è stato per un effettivo interesse nei tuoi confronti, la realtà è che sono stato uno sciocco e quel giorno, vedendoti passare davanti al parco con la tua amica, ho pensato che non eri poi così male e mi sono messo in testa di conquistarti.” spiegò con lo sguardo basso Federico. “Come ti sei permesso?!” domandò con rabbia la Cauviglia. “Io mi fidavo di te! Credevo fossi cambiato... e invece niente! Inizio a pensare che Camilla abbia ragione: quello come te non cambiano mai! Avrei dovuto darle ascolto...” 
“Ti prego lasciami finire! È vero: non avevo le migliori intenzioni quando ho iniziato a frequentarti, ma poi... poi tutto è cambiato! Ho scoperto che ragazza fantastica sei e mi sono sentito un'idiota per come mi sono comportato! Mi dispiace, davvero.” Il giovane Juaréz alzò gli occhi, gonfi di rimorso e di pentimento e incontrò quelli scuri della bruna, che lo fissavano pieni di amarezza e di delusione. Lo sguardo della ragazza lo colpì con piu forza di cento lame, proprio al centro del cuore. Come aveva potuto trattarla in quella maniera? Come aveva potuto farla soffrire così? “Vorrei solo che restassimo amici...” mormorò timidamente il castano, sperando che la Cauviglia apprezzasse la sua sincerità e non si arrabbiasse troppo. “Amici?! Come puoi chiedermi di rimanere amici dopo tutto quello che mi hai fatto?” urlò ormai al limite della sua pazienza Francesca. Non solo Federico aveva ammesso di essersi preso gioco di lei, ma aveva pure la faccia tosta di chiederle di essere amici! Proprio non riusciva a comprendere con quale coraggio avesse potuto porle quella domanda dopo tutto il dolore che le aveva causato. Immersa in quelle riflessioni, la Cauvilgia avvertì gli occhi pizzicarle e farsi leggermente lucidi. Continuo a ripetersi che non valeva la pena di sprecare lacrime per quell'idiota, ma la realtà era che stava male, tremendamente male. Negli ultimi tempi aveva vissuto in una bugia, illudendosi che davvero il giovane Juaréz provasse qualcosa per lei. “Esci da casa mia!” esclamò con voce ormai rotta dal pianto la ragazza. Federico tentennò: aveva un'ultima domanda da porle, forse la più importante di tutte. “Mi credi?” Francesca alzò il volto, così da poterlo guardare dritto negli occhi; sembrava sincero infondo, ma non poteva certo accettare subito le sue scuse e perdonarlo così su due piedi! Avrebbe voluto credergli, Dio solo sapeva quanto lo avrebbe voluto, ma in quel momento non poteva proprio. Aveva bisogno di tempo, tempo per riflettere e per stare un po' da sola. “Non lo so... Non posso risponderti subito: devo pensarci bene. Per favore adesso va' via.” mormorò stancamente Francesca, con il volto rigato dalle lacrime e il cuore devastato dal dolore.










-Perfetto! Grazie davvero: senza di voi non so come avrei potuto fare.- Pablo chiuse la telefonata con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Aveva finalmente trovato a chi affidare suo nopote e quella sera sarebbe potuto uscire con Angie come promesso alla bionda. Il suo buon umore era visibile anche a chilometri di distanza quel giorno: una passeggiata con la sua migliore amica gli avrebbe permesso di distrarsi un po' e questa non poteva che essere una cosa positiva.
Ora non restava che definire un paio di piccoli dettagli e poi tutto sarebbe stato pronto per quella serata un po' diversa. “Ángel!” gridò l'uomo per farsi sentire dal nipotino, tutto intento a giocare nella sua cameretta. “Che c'è zio?” domandò il piccolo, comparendo da dietro una porta. “Vieni qui per favore, devo parlarti.” annunciò l'uomo, sedendosi sul divano e facendo spazio al bimbo accanto a sè. “Questa sera io devo uscire...” iniziò l'uomo, guardando attentamente il nipotino per cogliere al volo ogni sua reazione. “Esci con la tua fidanzata?” chiese con aria furba il bambino, prendendolo in contropiede. “Ma tu dov'è che hai sentito parlare di queste cose?” domandò incuriosito e leggermente imbarazzato Pablo. “A scuola. Il mio vicino di banco dice che ormai sono grande e che dovrei avere anch'io una fidanzata.” affermò Ángel, con il faccino tutto serio. Galindo trattenne a stento le risate alle parole del nipotino tanto che, a causa dello sforzo, divenne rosso in volto. “Hai solo otto anni: c'è ancora tempo per pensare all'amore! Non affrettare le cose, piccolo.” lo ammonì lo zio. “E comunque Angie è solo la mia migliore amica.” “Ah...” mormorò il bambino. “Ma quindi questa sera resto a casa da solo?” domandò contento subito dopo, già pregustandosi una divertente conclusione della giornata a base di giochi fino a tarda ora. “No, no ovviamente! Verrano qui ad occuparsi di te due miei amici: Marcela e Matias, te li ricordi?” chiese il moro, sperando che il nipotino accettasse quella risoluzione. “Quei tipi tanto simpatici che ogni volta che andiamo a trovarli ci regalano tanti cioccolatini?” Pablo annuì con foga. “Esatto proprio loro! Allora che te ne pare?” “Sì, può andar bene... Ma tu a che ora tornerai?” domandò Ángel, la cui curiosità era proprio insaziabile. “Starò via poco, un paio d'ore credo... però tu promettimi che ti comporterai bene.” “Certo!” esclamò il bimbo con un'espressione angelica dipinta sul volto. “Avanti ometto, vieni qui! Dammi un abbraccio forte forte!” Pablo si avvicinò al nipotino e lo prese tra le braccia, stringendolo a sè con delicatezza, come se avesse paura di fargli male; subito il bimbo rispose a quella stretta, aggrappandosi saldamente alle spalle dello zio. “Ti voglio bene.” sussurrò debolmente Ángel. “Anch'io piccolo, anch'io.” mormorò il moro, accarezzandogli dolcemente la schiena. Il rumore acuto e fastidioso del campanello interruppe quel tenero abbraccio e subito Pablo si diresse verso la porta, spalancandola per lasciare entrare Matias e Marcela, subito seguiti da un bimbo dagli occhi azzurro cielo e i capelli di un bel biondo scuro che doveva avere all'incirca l'età di Ángel. “Grazie mille per essere venuti, vi devo un favore!” esclamò prima ancora di salutarli il direttore dello Studio. “ Figurati, non è affatto un problema per noi! Anzi, se avrai bisogno di aiuto anche in futuro, conta pure su di noi.” affermò gentilmente Marcela, parlando a nome di entrambi. “Già! Ma si può sapere con chi esci?” domandò curioso Matias, beccandosi subito un'occhiataccia dalla Parodi a causa della sua indiscrezione. “Con Angie.” rispose prontamente il moro. “Ah! Non sapevo che ci fosse del tenero tra voi due!” esclamò con un sorriso sornione il biondo La Fontaine.  “No, ma cosa hai capito? Siamo solo amici!” ribatté imbarazzato Pablo. “Sì certo, solo amici! Anche io e la mia Marcy dicevamo così e guardaci ora: siamo sposati, felici e contenti come nelle favole e abbiamo anche un figlio al seguito.” affermò sorridente Matias, indicando il bambino che era venuto con loro. “Togli pure la parte riguardante le favole. Qui non saremo mai felici e contenti se qualcuno non diventerà un po' più responsabile!” lo fulminò con lo sguardo la moglie. “E dai Marcy! Non puoi avercela ancora con me per quella storia!” si lamentò La Fontaine. “Invece posso eccome! Ti rendi conto della gravità di quello che hai fatto? Sei un irresponsabile!” gli urlò contro Marcela, alzando il tono di voce in una maniera impressionante. “Questo lo sapevi anche quando hai accettato di sposarmi!” gridò in risposta il biondo, cominciando ad alterarsi anche lui. “Ehm... scusate se mi intrometto, ma se mi spiegate qual è il problema forse potrei aiutarvi...” si offrì Pablo, che fino a quel momento era rimasto in disparte, ma che, vedendo come la discussione stesse degenerando, aveva deciso di intervenire. “Grazie ma non c'è niente che tu possa fare. L'altro giorno mi hanno chiamata perchè Matias non si è presentato per prendere Thiago! Ti rendi conto di quanto sia irresponsabile mio marito?! Non si ricorda neanche di passare a ritirare nostro figlio da scuola!” La Parodi, rossa in volto per la rabbia e furiosa, incuteva più timore del solito e Galindo non se la sentì di contraddirla, perciò annuì preoccupato. Non avrebbe proprio voluto essere al posto del biondo La Fontaine: quando si arrabbiava, Marcela era peggio di un tornado, sarebbe stata capace di ribaltare chiunque le desse torto. Sfruttò perciò al volo quel momento e, con la scusa che ormai si era fatto tardi, scappò letteralmente dalla sua casa, che ormai gli sembrava fosse diventata una gabbia di matti. “Bene, ora che Pablo se ne è andato possiamo parlare con più calma.” esordì Matias, avvicinandosi alla moglie. “Scordatelo! Questa sera vorrei mantenere dei rapporti civili con te visto che dobbiamo badare ai bambini, ma non ho nessuna intenzione di perdonarti, nè ora nè mai! Quindi vedi di starmi alla larga e di non infastidirmi.” lo ammonì la bruna, sorpassandolo e avvicinandosi ai due bambini, che avevano assistito in silenzio a quella scena. “Avanti Marcy! Sono giorni che mi tieni il broncio!” I lamenti di Matias non fecero altro che infastidire ancora di più la moglie, che stizzita si allontanò a passo veloce dal salotto, dirigendosi insieme a Ángel e Thiago verso la camera del nipotino di Pablo. La donna, però, conoscendo bene il biondo La Fontaine, sapeva che non si sarebbe arreso così facilmente. Trasse un lungo respiro, come per recuperare la calma: sarebbe stata una lunga serata.










Pablo si sistemò per l'ennesima volta il colletto della camicia azzurra che indossava, prima di decidersi finalmente a suonare il campanello della casa di Angie. Sapeva che l'appuntamento di quella sera era solo un qualcosa tra amici, ma, nonostante questo, non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente nervoso e agitato. Aveva una paura folle di non aver scelto il posto adatto dove trascorrere la serata e, soprattutto, temeva di non riuscire a far divertire la sua migliore amica che, con tutto quello che stava passando in quel periodo a causa del carattere ribelle della nipote, aveva proprio bisogno di distrarsi un po'. “Pablo!” esclamò allegra Angie, comparendo da dietro la porta. “Ciao...” riuscì a balbettare il moro, troppo perso nella contemplazione della bellezza della bionda Saramengo per poter dire altro. “Sei... meravigliosa!” esclamò poco dopo Galindo, riprendendosi da quella sorta di trance in cui era caduto. A quel complimento la giovane donna arrossì violentemente, lisciandosi le pieghe della gonna bianca che indossava come per dissimulare l'imbarazzo. “Allora, andiamo?” La domanda di Pablo ruppe finalmente il silenzio che era calato tra loro e subito Angie afferrò il braccio che lui le porgeva. “Dove mi porti?” “È una sorpresa...” Tutto quel mistero non fece altro che incrementare la curiosità della bionda, che, da quando il moro era comparso sulla soglia di casa sua, fremeva dal desiderio di conoscere il posto in cui il suo amico aveva scelto di passare la serata. “D'accordo, però per favore dimmi che non è un ristorante elegante o qualcosa del genere perchè altrimenti avrei il terrore di comportarmi nel modo sbagliato: lo sai che non sono affatto un'esperta di Galateo...” lo supplicò la Saramengo. Galindo ridacchiò sommessamente prima di ricevere una gomitata in pieno stomaco da Angie, che lo fulminò con lo sguardo. “Ahia! Comunque sta' tranquilla: sarà una cosa molto informale! Ora però ci conviene salire in macchina perchè si sta facendo tardi...” osservò il moro, aprendole la portiera con fare da galantuomo. “Hai ragione, andiamo!” esclamò allegra Angie. “Ma ti ho fatto molto male?” domandò poi preoccupata, notando una smorfia di dolore sul volto dell'amico. “No, però devo ammettere che quella gomitata era piuttosto forte...” A quelle parole Angie si rabbuiò, iniziando, poi, subito dopo a sommergere Galindo di scuse, tanto che il pover'uomo dovette fermarla con un cenno della mano. “Non ti preoccupare: sto bene.” la tranquillizzò il direttore dello Studio. “Davvero?” Una certa ansia traspariva ancora dal volto di Angie, che si sentiva tremendamente dispiaciuta. “Davvero.” Dopo quell'ennesima rassicurazione, la bionda tirò un sospiro di sollievo e abbracciò forte l'amico. “Bene, adesso però andiamo!” esclamò vivacemente Pablo, mettendo in moto l'auto. Dopo neanche un quarto d'ora di viaggio i due si ritrovarono davanti ad un locale appena fuori città piuttosto piccolo ma carino, che ad Angie sembrava di conoscere bene. Non era molto decorato e quasi scompariva tra la moltitudine di enormi edifici che lo circondavano, ma aveva un qualcosa nell'aspetto che lo faceva apparire speciale agli occhi della bionda. “Vieni.” L'amico, scendendo giù dalla macchina, le prese la mano e la guidò fino alla porta dell'edificio, che aprì con un movimento indeciso del braccio. Nonostante si fosse mostrato sicuro di fronte alla giovane Saramengo, il timore di non aver scelto il posto giusto in cui passare quella serata lo aveva accompagnato per tutta la durata del tragitto. Ormai, però, si trovavano lì e il moro non poteva far altro che sperare in una reazione positiva da parte di Angie. “Pablo, ma questo è il luogo che penso io?” domandò con un sorriso a trentadue denti l'insegnante di canto, intuendo all'improvviso perchè quell'edificio avesse un'aria tanto famigliare. “Sì: questo è il locale dove venivano sempre a mangiare prima di una verifica o un'interrogazione quando eravamo semplici studenti, ricordi?” La bionda annuì, mentre un'espressione di pura gioia si faceva largo sul suo volto man mano che, guardandosi attorno, riconosceva piccoli particolari di quel posto. “La gestione è cambiata e ci sono state delle leggere modifiche, però, da quello che mi hanno raccontanto, il cibo è sempre buonissimo.” la informò il bruno, avvicinandosi ad un tavolino proprio sotto una finestra, che dava sulla strada, illuminata solamente dalla fioca luce dei lampioni, posti al margine del marciapiedi. I due si sedettero l'uno di fronte all'altra e, nell'attesa che il camerie venisse a prendere le loro ordinazioni, iniziarono a chiacchierare piacevolmente. “Sai non avresti potuto scegliere posto migliore per trascorrere la serata. Questo luogo è così magico, così pieni di ricordi fantastici!” Pablo si aprì in un sorriso, non avrebbe potuto essere più felice: tutti i suoi timori erano assolutamente infondati! E poi, più di tutto, lo rendeva euforico vedere la gioia che traspariva dal volto della sua migliore amica. Il legame tra lui ed Angie era sempre stato molto forte, ma, negli ultimi tempi, aveva avuto l'impressione che si fosse andato sempre più intensificando e sentiva che avrebbe fatto di tutto per lei, per vederla sempre così allegra. Ma era normale che provasse simili sentimenti per quella che riteneva solo un'amica? O forse tra di loro stava nascendo qualcosa di più profondo? Scacciò immediatamente quegli strani pensieri che si erano intrufolati nella sua testa: la Saramengo di sicuro non l'avrebbe mai visto sotto una luce diversa e poi lui aveva il suo nipotino Ángel a cui pensare! “Sono felice che ti piaccia qui: a me questo posto trasmette un'infinita serenità e poi il cibo è assolutamente delizioso, te l'assicuro.” disse Pablo, mettendo un freno ai suoi pensieri e ritornando alla realtà. “Ne sono certa, ma più del locale, del cibo e dei ricordi adoro l'ottima compagnia!” esclamò vivacemente la bionda, stringendogli teneramente una mano da sopra il tavolo. “Ne sono onorato.” mormorò Pablo, rivolgendole un dolce sorriso.










Marcela si risvegliò di soprassalto, confusa spaventata. Il ricordo del sogno appena terminato era ancora vivido e si guardò intorno spaesata, non riconoscendo il luogo in cui si trovava. Si alzò di scatto dal divano di un tenue color pesca su cui si trovava e improvvisamente tutti i ricordi di quella sera e in particolare di quando Pablo le aveva chiesto di badare al piccolo Ángel le ritornarono alla mente. Velocemente si diresse verso la cameretta del piccolo di casa, con aria piuttosto preoccupata. Perchè non si sentiva alcun rumore? Solitamente suo figlio Thiago e il nipotino di Galindo erano molto chiassosi, come tutti i bimbi della loro età! E poi dov'era finito quell'irresponsabile di  Matias? Quando aveva bisogno di lui non c'era mai! Una volta arrivata sulla soglia della stanzetta di Ángel, Marcela posò una mano sulla maniglia e, stando attenta a fare il meno rumore possibile, la tirò verso di sè. Nel bu della notte distinse subito con chiarezza le sagome dei due bambini, profondamente addormentati nell'unico lettino della camera, e, proprio accanto a loro, quella del biondo La Fontaine, seduto su una sedia lì vicino. Avvicinandosi notò che anche suo marito era scivolato tra le braccia di Morfeo e che una delle sue mani grandi e leggermente ruvide era stretta attorno alle dita piccine e vellutate della mano di Thiago. Un sorriso sorse spontaneo sul suo volto di mamma e chinandosi sfiorò con un bacio la fronte del bimbo, per poi tornare a rivolgere le sue attenzioni al marito, che dormiva ancora profondamente. “Mati.” mormorò posando una mano sulla sua spalla destra e scrollandolo con delicatezza. Subito il biondo La Fontaine si svegliò coi battiti del cuore a mille, sobbalzando per lo spavento. “Marcela, sei tu?” Riconoscendo il tocco lieve di sua moglie, l'uomo si tranquillizzò e, portandosi una mano al petto, tornò a respirare normalmente. “Sì sono io.” Quel sussurro riaccese in lui la speranza. Che la Parodi fosse venuta a cercarlo perchè voleva fare pace con lui? Si augurava proprio che fosse così, perchè quella distanza che lo divideva dalla donna in quell'ultimo periodo gli causava un grande dolore e non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto sopportarlo. “Ti sei finalmente decisa a perdonarmi?” chiese speranzoso. “Andiamo di là a parlare, ti va?” Marcela evitò appositamente la sua domanda, volendo prima discutere con il marito di alcune questioni che le stavano particolarmente a cuore e perciò gli fece strada fino al divano salotto, dove si sedette comodamente. Matias subito le si fece vicino, fissandola con uno sguardo supplicante in quegli occhioni azzurri in cui la donna amava tanto specchiarsi. “Sono assolutamente infuriata per il tuo comportamento irresponsabile.” esordì la Parodi. A quelle parole il biondo La Fontaine si incupì: perchè ancora sua moglie non si decideva a perdonarlo? “Però... ho notato che ce la stai mettendo tutta per migliorare e ho visto con i miei occhi quanto tu ami nostro figlio...” “Certo, amo molto Thiago e amo molto anche te.” la interruppe Matias, sussurrandole con dolcezza le ultime parole. “Sì, lo so ed è proprio per questo che ho deciso di perdonarti.” Il volto dell'uomo si illuminò di gioia mentre le sue labbra si piegavano in un sorriso. “Dici davvero? Oh, sono così contento, amore mio!” Lo sguardo di Marcela, alla vista della reazione del marito, si addolcì e la Parodi subito lo abbracciò con foga. Quanto le era mancato stringersi tra le braccia del suo amato irresponsabile? Tanto, troppo. Felicemente sorpreso il biondo La Fontaine rispose subito a quella stretta, afferrandola per la vita e attirandola maggiormente verso di sè. “Scusami per come ti ho trattato prima: ero molto arrabbiata e ho detto delle cose che non penso davvero. Mi perdoni?” domandò dispiaciuta, appoggiando la testa sulla spalla del marito. “Certo, ma ad una condizione.” Confusa la donna alzò la testa per poterlo guardare negli occhi e cercare di capire cosa intendesse Matias. “Quale condizione?” domandò notando lo sguardo furbo che era comparso sul volto del biondo La Fontaine. “Che tu mi dia un bacio.” spiegò con tono ovvio l'uomo. Senza esitare un secondo, la Parodi gli afferrò il volto con entrambe le mani e, voltandolo verso di sè, posò le labbra su quelle del marito, che subito chiese mutamente accesso alla sua bocca, dando il via ad una danza dolce e sensuale tra le loro lingue. I due sentirono come rinascere, dopo tutto quel tempo che avevano passato distanti, ed entrambi, nel profondo del loro animo, espressero il comune desiderio di non lasciarsi mai più, neppure per un attimo.








Pablo e Angie camminavano tranquillamente, mano nella mano, per le vie della periferia di Buenos Aires. Dopo aver consumato un pasto delizioso avevano deciso, di comune accordo, di andare a fare un giro a piedi e, in quel momento, vista l'ora tarda, stavano ritornando alla macchina. “È stata una serata fantastica!” esclamò entusiasta la bionda. “Già.” concordò Pablo. “Sarebbe osare troppo chiederti di uscire ancora nelle prossime settimane?” Angie gli rivolse quella domanda con un filo di imbarazzo. Era stata davvero molto bene con Galindo, ma aveva avuto come l'impressione che in qualche modo il loro legame di amicizia si stesse trasformando in qualcosa di leggermente diverso. “Temo che non si possa fare... Sono davvero molto occupato in questo periodo.” Pablo, consapevole che non avrebbe potuto continuare a disturbare Marcela e Matias chiedendo loro di occuparsi di Ángel, tirò fuori quella scusa, che già lo aveva salvato più volte in passato. “Mi sa che ti conviene chiederlo a qualcuno un po' meno impegnato.” Angie a quella proposta scosse con vigore la testa, per niente convinta. “Assolutamente no! Quest'uscita è stata così speciale proprio perchè c'eri tu: non potrei mai sostiturti con nessun altro.” affermò decisa la bionda, fermandosi e guardandolo dritto negli occhi neri, che sfavillavano come perle preziose sotto la luce fioca dei pochi lampioni posti a margine della strada. Pablo, come già gli era successo più volte quella sera, si incantò a fissarla. Quanto era bella la giovane Saramengo? Decisamente troppo per un essere umano: così illuminata dal bagliore delle stelle, che baluginavano nel cielo notturno, sembrava una creatura angelica, discesa dal cielo per stare accanto a lui. I due rimasero occhi negli occhi per un tempo indefinito, senza accorgersi minimamente del fatto che i loro volti si stessero avvicinando sempre di più. Le loro labbra erano ormai a pochi millimetri di distanza quando i rintocchi della campana di una chiesa lì vicino scoccarono la mezzanotte, riportandoli improvvisamente con i piedi per terra. Subito Pablo, rendosi conto di quello che stava per accadere, mise a tacere il suo cuore, che gli urlava di assaggiare quelle morbide labbra che aveva davanti e si allontanò dal viso di Angie. La bionda Saramengo, con il volto in fiamme per la vergogna, lo seguì fino alla macchina, che i due raggiunsero in totale silenzio, troppo imbarazzati anche solo per aprir bocca.










NOTE AUTRICE: Sì, lo so che nell'ultimo periodo ho un po' trascurato questa storia e chiedo venia per questo, però sono stata davvero molto, molto impegnata... Allora, in questo capitolo succedono un bel po' di cose: innanzitutto Federico confessa a Francesca i suoi veri sentimenti e lei, giustamente adirata, lo caccia di casa, poi abbiamo l'appuntamento Pangie (*^*), tanto atteso da Dulcevoz e infine abbiamo anche una tenera scena Maticela :3 Bene, ringrazio tutti quelli che continuano a leggere/seguire/recensire la storia: siete fantastici!
Un bacio,
fra_piano for ever









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Capitolo 14
*** Compromessa stabilità. ***


Leon entrò in tutta fretta nell'edificio dello Studio On Beat, consapevole che, nonostante alla prima ora avesse lezione con Pablo, sempre gentile e comprensivo con tutti, non sarebbe stato carino arrivare di nuovo in ritardo. Quella infatti era la terza volta nell'arco di una settimana che arrivava tardi. Quella mattina aveva fatto di tutto per cercare di essere puntuale, ma, vedendo quanto sua madre stesse male, non se l'era sentita di lasciarla sola fino a quando lei non gli aveva assicurato di stare un po' meglio. Leon si passò una mano nel ciuffo castano, sbuffando sonoramente con aria distrutta, a casa sua la situazione stava diventando sempre più insostenibile e lui non ne poteva davvero più. Era ormai ovvio che Esmeralda non avesse superato la morte del marito e lui non sapeva più come fare per aiutarla. Velocemente imboccò il corridoio che lo avrebbe portato in aula teatro, dove aveva lezione con Pablo, ma, proprio a metà strada, una dolce melodia gli arrivò alle orecchie. Era una canzone piuttosto malinconica, ma bellissima, di quelle che toccano l'anima e che uno riascolterebbe un'infinità di volte senza mai stancarsi. Completamente dimentico della lezione, che era già cominciata da parecchio, il giovane seguì quelle note, fino ad arrivare alla sala degli strumenti. Scostando lievemente la porta gli apparve davanti agli occhi la figura di Violetta, che, da dietro la tastiera, sorrideva teneramente, con una luce negli occhi nocciola che Vargas mai aveva visto. Subito Leon si accorse di come il brano rispecchiasse lo stato d'animo della ragazza, che, a giudicare dalle lacrime che scorrevano copiose sulle sue guancie, doveva essere piuttosto triste. Nonostante ciò, però, la gioia e la soddisfazione per aver composto quella canzone si leggevano chiaramente sul suo volto e il ragazzo non potè fare a meno di pensare che, in quel momento, la Castillo fosse più bella che mai. Incantato sia dalla musica che, soprattutto, da Violetta, avanzò di qualche passo, fino ad arrivare alle spalle della giovane, che non si accorse di nulla. Chiudendo gli occhi Leon si lasciò cullare dalle dolci note provenienti da quelle mani delicate e, dopo tanto tempo, potè finalmente assaporare un po' di pace e tranquillità. Tutti i suoi problemi e le sue sofferenze scomparvero come per magia e una sensazione di incredibile leggerezza gli invase l'animo. Un sorriso si fece largo sul volto del ragazzo: si sentiva incredibilmente bene, avrebbe voluto rimanere così per sempre. Proprio in quel momento la canzone terminò e il giovane Vargas venne ricatapultato con violenza alla realtà. Tutto il dolore e l'infelicità che quella canzone aveva messo a tacere per qualche istante riaffiorarono immediatamente e Leon avvertì una fitta dolorosa nel petto. Il giovane avvertì l'impellente bisogno di abbracciare Violetta, dopotutto loro soffrivano entrambi in modo molto simile e forse, se fossero riusciti a mettere da parte l'orgoglio, si sarebbero potuti aiutare a vicenda. Convinto di ciò si avvicinò ancora di più alla ragazza e le cinse dolcemente la vita. Attirandola verso di sè fece combaciare perfettamente la schiena di Violetta con il suo addome muscoloso, azzerando completamente la distanza tra loro. Subito Leon aumentò la stretta, al punto che niente avrebbe separato i loro corpi se non fosse stato per i vestiti che indossavano. La Castillo sobbalzò, spaventata da quel contatto improvviso e del tutto inaspettato. Immediatamente si liberò dalla presa del castano e, voltandosi verso di lui, gli puntò contro un dito con aria minacciosa. “Cosa credi di fare?! LASCIAMI SUBITO!” urlò furiosa la ragazza, allontanandolo prontamente con un forte spintone. Leon si scostò leggermente da lei, con in volto uno sguardo pentito e la testa bassa. “Scusami, io non volevo disturbarti, non credevo che un abbraccio potesse farti un simile effetto... Perdonami.” la supplicò il giovane. “Ti avevo detto di non toccarmi e di non parlarmi! VUOI LASCIARMI IN PACE?!” Le parole così dure della Castillo furono subito seguite da un nuovo scroscio di lacrime, che andarono a rigarle il volto già umido. Si sentiva proprio esasperata, tutto nella sua vita stava andando a rotoli e quel ragazzo non sapeva fare altro che continuare a infastidirla? Certo, aveva una cotta per lui, ormai non aveva più intenzione di negarlo, ma non avrebbe ceduto ad un sentimento temporaneo come quello e tanto meno si sarebbe lasciata coinvolgere in qualcosa di più profondo! L'amore era solo e soltanto sofferenza e questo lei lo aveva già sperimentato troppe volte. “Cos'è che ti fa stare tanto male? Parlamene, forse potrei aiutarti...” le sussurrò dolcemente il giovane, che in realtà aveva già capito che dietro a tutto quel dolore si celasse il comportamento dei genitori di Violetta. Dal giorno in cui aveva sentito per caso la conversazione tra lei ed Angie non aveva mai fatto intendere alla Castillo che lui sapesse tutto ed era proprio per questo che aspettava che fosse lei a farsi avanti e a parlargliene. “Tu non puoi aiutarmi, nessuno può farlo!” La rabbia e la sofferenza che animavano l'animo della ragazza in quel momento trasparirono perfettamente dalle sue parole e Leon non poté far altro che rimanere lì, immobile, con lo sguardo dispiaciuto e gli occhi fissi nel vuoto. “Io non so cosa sia successo e perchè tu sia cosi trsite, però sappi che se vuoi io sono qui, devi solo venirmi a cercare. E io ci sarò per te, sempre.” mormorò lui, afferrando poi un foglietto di carta dal tavolino lì vicino e prendendo a scribacchiarci sopra qualcosa. “Davvero credi che io verrei a cercarti? Sei patetico... Come devo fare perchè tu capisca che non mi interessa proprio niente di te?” domandò con stizza la Castillo. “Uff, quanto sei antipatica oggi! Comunque ho capito: ora me ne vado.” E detto questo Leon uscì dalla stanza, lasciando però prima il foglietto su cui stava scrivendo tra le mani di Violetta. La ragazza se lo rigirò tra le mani, notando poi in alto a sinistra una frase scritta tutta storta e con una calligrafia piccolissima che pareva quasi incomprensibile.

Nel caso ci ripensassi, ecco il mio numero

Subito dopo seguiva una serie di cifre, che dovevano appunto costituire il recapito telefonico del giovane. La Castillo osservò con aria assorta il biglietto, incerta sul da farsi. Cosa avrebbe dovuto fare di quel foglio? Che domande: era ovvio che doveva buttarlo! D'altronde lei non aveva la benchè minima intenzione di telefonare a Vargas, giusto? Scosse la testa confusa. Perchè quel ragazzo continuava a cercarla? Lei era sempre stata così bene senza nessuno che si preoccupasse per lei e, proprio ora che aveva trovato una certa stabilità, Leon era entrato nella sua vita vita e aveva rimesso in discussione tutto, compromettendola. La verità era che non sapeva proprio fino a quando avrebbe potuto continuare fare finta di niente e ad ignorarlo. Sentiva di provare qualcosa di molto forte per lui, ma, come sempre, la maledettissima paura di soffrire di nuovo la spingeva ad allontanarlo e a trattarlo male. Con passo incerto si avvicinò al cestino e allungò la mano con cui teneva stretto il biglietto, ma proprio quando ormai stava per lasciarlo cadere cambiò repentinamente idea e lo infilò nella tasca dei pantaloni. D'altronde conservare quel minuscolo foglio non le sarebbe costato nulla, no?









“No Maxi, ti ho detto di no!” si impuntò Nata, stizzita. “Ma perchè no? Sarà una festa fantastica: ci saranno tanti ragazzi e ragazze della nostra età, tanto cibo e soprattutto tanto, tanto divertimento!” cercò di convincerla il rapper. La riccia sbuffò sonoramente, ruotando gli occhi con fare scocciato: era ormai da una decina di minuti che il giovane Ponte cercava di persuaderla ad andare con lui a quella maledettissima festa, ma lei non aveva alcuna intenzione di cedere. Odiava le festa, le odiava con tutta se stessa! I ragazzi della sua età solitamente le adoravano, ma lei, nonostante avesse cercato in tutti modi di farsele piacere, proprio non le sopportava. “Ti ho già detto che detesto tutto il frastuono e tutta la confusione di questi stupidissimi party! A me piacciono la calma e la tranquillità di casa mia e non ho nessuna intenzione di rinunciarvi per uscire nel bel mezzo della sera!” Maxi scosse la testa, perchè Nata proprio non voleva capire? “Anche io detesto il frastuono e la confusione, ma non devi pensare sempre solo al lato negativo delle cose! Io vado a auesta festa perchè so che alla fine passerò una serata piacevole e conoscerò tante nuove persone. Credimi, a te farebbe proprio bene venire con me.” disse il rapper. “Ma è diverso: tu non sei timido quanto me! Io non saprei cosa dire, cosa fare, comportarmi e me ne starei tutta la sera sola in un angolo...” “Non importa che tu parli, che dica qualcosa di illuminante o che ti comporti in una certa maniera, l'importante è che tu stia in mezzo agli altri e poi vedrai che saranno proprio loro a venirti a cercare e ad attaccar bottone.” mormorò il rapper, accarezzandole teneramente una guancia. Nata lo guardò titubante, cosa doveva fare? Doveva accontentare Ponte e accettare di andare a quella festa? D'altra parte quella volta non sarebbe stata sola, Maxi sarebbe stato lì accanto a lei e questo non poteva che infonderle sicurezza. Sì, infondo avrebbe anche potuto falro contento e accompagnarlo a quel party, non ci sarebbe stato niente di male. “D'accordo, vengo con te.” accettò alla fine la giovane. “Ottimo, grande Nata!” Il rapper si illuminò tutto e, lasciandosi trasportare dalla gioia del momento per la riuscita della sua impresa, schioccò un veloce bacio sulla guancia della ragazza. Subito la mora arrossì violentemente, mentre un sorriso imbarazzato si faceva largo sul suo volto. Maxi era proprio un giovane gentile e affettuosocome non ne aveva mai visti e lei si sentiva incredibilmente fortunata ad averlo conosciuto. “Hei ragazzi! Tutto bene?” domandò una voce conosciuta alle loro spalle. “Leon! Ciao amico! Tutto bene grazie, io e Nata stavamo pensando di andare ad una festa questa sera, vieni anche tu?” Vargas scosse la testa a quella proprosta. “No grazie, preferisco restare a casa a fare compagnia a mia madre, in questo periodo sta sempre peggio...” spiegò tristemente il ragazzo. “Ancora non è riuscita ad accettare la morte di tuo padre, vero?” Maxi gli poggiò una mano sulla spalla, come a volerlo consolare, e gli rivolse un sorriso incoraggiante. “No e sinceramente credo che non ci riuscirà mai.” rispose sconsolato Leon. “Dai, vedrai che tutto si sistemerà! Arriveranno tempi migliori, devi solo superare questo brutto periodo e poi tutto riprenderà a girare per il verso giusto!” s'intromise Nata, che fino a quel momento si era limitata ad osservarli in silenzio mentre discutevano. “Ah, allora non sei muta!” esclamò scherzosamente Vargas, cercando di ritrovare il suo solito buon umore, ma non riuscendo comunque a risultare credibile. “Beh, ecco... Diciamo che non sono molto loquace, soprattutto con le persone che non conosco bene, però mi sembrava proprio che tu avessi bisogno di un po' di conforto.” “Grazie davvero. A tutti e due. Avevo proprio bisogno del vostro appoggio: questo è decisamente un periodaccio per me.” Detto questo Leon abbracciò velocemente entrambi, con l'intenzione di andarsene. Non fece neanche in tempo a muovere due passi che Lara, comparsa all'improvviso dal nulla, gli sbarrò la strada. “Devo parlare con te.” affermò decisa la ragazza. “Scusami Lara, oggi non sono proprio dell'umore adatto...” La ragazza, però, non aveva nessuna intenzione di cedere e lo bloccò afferrandolo per un braccio. “Con Nata e Maxi però stavi chiacchierando piacevolmente!” esclamò stizzita, incrociando le braccia sotto il petto.
“È diverso: loro sono miei amici...” cercò di spiegarle il giovane, sperando che la castana si decidesse presto a lasciarlo in pace. Lara però non era la tipa da lasciar perdere così facilmente: se Leon pensava di liberarsi di lei con quelle patetiche scuse si sbagliava di grosso! Lei era una persona combattiva, che lottava con le unghie e con i denti e che alla fine otteneva sempre ciò che voleva, a qualunque costo! “Senti, mi dispiace molto, ma questo per me non è affatto un periodo facile e non ho voglia di parlare con te adesso.” Lara scosse la testa con decisione. “Con Violetta però hai sempre voglia di parlare! Ti ho sentito prima quando hai cercato di convincerla a farsi aiutare da te... La Castillo non ha alcuna intenzione di assecondarti, devi smetterla di andarle dietro Leon: non c'è solo lei, lo Studio è pieno di ragazze molto meno scorbutiche e più adatte a te!” esclamò Lara, enfatizzando le sue parole con un grande gesticolare. “Io però voglio lei, solo lei!” ribattè in risposta Leon, per niente contento della piega che aveva assunto quella conversazione. “E poi lei è tua amica da quello che ne so io, non dovresti comportarti così alle sue spalle.” La castana scrolló le spalle con indifferenza. “Io e Violetta non siamo poi così legate...” affermò. “Beh in ogni caso io voglio stare con lei, non mi importa di nessun'altra.” Lo sguardo di Leon, mentre pronunciava quelle parole, le parve così fiero e deciso che per un attimo Lara pensò di non avere neanche una possibilità con lui. Subito dopo, però, il suo spirito combattivo riemerse. Se davvero per ora non aveva alcuna possibilità con Vargas, avrebbe fatto in modo di crearsene lei stessa una e alla fine, ne era certa, sarebbe riuscita a raggiungere il suo scopo. “Violetta non è una brava persona.” disse con decisione. “Tu non la conosci veramente: la sua è solo una maschera, in realtà lei è una ragazza tanto dolce e fragile ed è proprio questo che mi ha fatto innamorare di lei.” Mentre pronunciava quelle parole un sorriso spontaneo si fece largo sul volto di Leon. Ormai era assolutamente certo di amare quella giovane: quando scandiva il suo nome sentiva uno strano calore invadergli il petto, quando la vedeva sentiva sempre l'irrefrenabile impulso di stringerla forte e cullarla tra le sue braccia e quando vedeva il suo splendido sorriso... beh quando vedeva il sorriso si sentiva morire e avrebbe voluto far combaciare le loro labbra in un bacio senza fine. “Lei non è la persona che pensi, Leon. Te lo dimostreró e ti pentirai di non avermi ascoltato.” Le parole di Lara lo riportarono alla realtà, ma il ragazzo non si dimostrò minimamente preoccupato da quella previsione. “Non c'è niente che possa farmi cambiare idea su Violetta. Ora, se non hai nient'altro da dirmi, io me ne andrei.” Detto questo Vargas si allontanò velocemente, diretto verso casa sua, dove sicuramente sua madre lo stava aspettando. “Vai pure Leon, ma un giorno capirai che avevo ragione...” sussurrò piano Lara, guardandolo montare in sella alla sua moto.








Francesca singhiozzava sommessamente, cercando invano di ricacciare indietro le lacrime che premevano con insistenza per fuoriuscire dai suoi occhi castani. Camilla, insolitamente tranquilla, le passava un fazzoletto dopo l'altro e le stava accanto con una mano poggiata sulla sua schiena, senza proferir parola, nonostante stesse impazzendo dalla voglia di scoprire cosa potesse aver ridotto la sua amica in quello stato. “Ok... Ora sto meglio, possiamo andare.” mormorò flebilmente la mora, aprendo la porta dell'aula dove si era rifugiata per sfogare tutto il suo dolore e dove, dopo pochi minuti, la Torres l'aveva trovata in preda alla disperazione. “No, tu non vai da nessuna parte se prima non mi dici perchè stavi piangendo.” affermò la rossa, mettendosi davanti alla Cauviglia e sbarrandole la strada. “Cami io...” iniziò Francesca. “Niente scuse: sputa il rospo! Se prima non ti ho chiesto niente è solo perchè avevi bisogno di piangere e di sfogarti, ma adesso voglio sapere tutto.” La mora, che ben conosceva l'espressione determinata che in quel momento era comparsa sul volto della Torres, capì subito che non sarebbe potuta uscire di lì senza confessare ogni cosa all'amica. “E va bene.” si arrese, sedendosi svogliatamente su una delle tante sedie in plastica blu che erano sparse per la stanza. “Avevi ragione.” ammise alla fine, sotto lo sguardo confuso della rossa, che non riusciva a capire a cosa si riferisse la Cauviglia. “Federico non è realmente interessato a me, mi stava solo prendendo in giro!” esclamò con stizza la mora, mentre le lacrime riprendevano a scorrere sulle sue guance già umide. “Ma come fai a saperlo? Chi te l'ha detto?” domandò subito Camilla. “Me l'ha detto lui stesso, ieri è venuto a casa mia, mi ha detto la verità e poi ha avuto anche il coraggio di chiedermi di restare amici, ti rendi conto?!” La Torres osservò rattristata il volto segnato dal pianto della sua amica, mentre una rabbia incontrollata si impossessava di lei. Come si poteva far soffrire in quel modo una persona dolce e tenera come Francesca? Ah ma se Federico pensava di potersi comportare in quel modo e restare impunito si sbagliava di grosso! Avrebbe sistemato per le feste quel Don Giovanni da strapazzo! Subito si fiondò fuori dall'aula come una furia, ignorando le urla di Francesca, che, ben conoscendo il carattere di Camilla, temeva che l'amica potesse commettere un qualche sproposito. La rossa, nel giro di poco tempo, raggiunse gli armadietti, dove individuò subito Dj, che conversava amabilmente con una biondina a lei sconosciuta. “TU!” urlò come un'isterica, spingendolo contro il muro. “DOV'È QUELL'IDIOTA DI TUO FRATELLO?!” Il giovane Juaréz la fissò ammutolito, confuso e allo stesso tempo spaventato dall'espressione infuriata che traspariva dagli occhi della rossa. “ALLORA TI VUOI MUOVERE A RISPONDERMI?! NON HO TUTTO IL GIORNO!” Immediatamente il bruno capì che era meglio per lui sbrigarsi a darle quell'informazione e, schiarendosi prima la gola, si decise a parlare. “Non ne ho idea... dopo la fine delle lezioni è andato subito via.” mormorò Dj facendosi piccolo piccolo, temendo che quella risposta non fosse affatto soddisfacente per la sua interlocutrice. “Beh allora digli da parte mia che non deve mai più avvicinarsi a Francesca se non vuole fare una brutta fine! Intesi?” Senza esitare un attimo il giovane annuì con vigore e la rossa, sentendo ormai di aver portato a termine il suo compito, lo lasciò andare, allontanandosi poi sotto lo sguardo ammirato e grato di Francesca, che aveva assistito da lontano a quella conversazione. Com'era fortunata ad avere un'amica così combattiva e sempre pronta a difenderla come Camilla!










Diego e Ludmilla camminavano l'uno accanto all'altra, stretti nei loro cappotti pesanti a causa del freddo che, con l'arrivo dell'inverno, non aveva esitato a farsi sentire. Entrambi aveva un bel sorriso stampato sul volto e di tanto in tanto lanciavano sguardi felici alle loro mani intrecciate, che facevano ondeggiare avanti e indietro. “Sai, sono contenta di essere uscita con te: è stato proprio un bel pomeriggio!” esclamò allegra la bionda. “Era da parecchio tempo che non mi divertivo così tanto.” Un'ombra attraversò gli occhi castani della ragazza, che abbassò lo sguardo sull'asfalto della strada con aria improvvisamente triste. “Hei! Non voglio vederti così, ti ricordi cosa avevamo stabilito? Niente problemi oggi, per quelli ci sarà tempo dopo. Adesso godiamoci questa meravigliosa giornata, ok?” domandò il giovane Ramirez, sollevandole con delicatezza il volto. “Ok.” rispose semplicemente lei, tornando a sorridere timidamente. “Ecco, così va molto meglio!” Per un po' nessuno dei due aprì bocca e, continuando la loro passeggiata, i due arrivarono davanti a casa Ferro. “Beh, grazie per questo splendido pomeriggio insieme...” mormorò riconoscente la bionda, tirando fuori un mazzo di chiavi dalla sua borsa e facendo scattare la serratura della porta. “Aspetta!” la richiamò il giovane quando lei stava ormai per entrare. “Non mi saluti?” domandò con sorriso furbo. Ludmilla, intuendo al volo quale fosse il significato nascosto di quelle parole, gli gettò le braccia al collo, facendo combaciare le labbra del moro con le sue, in un bacio lento e calmo, che via via si fece sempre più passionale. Subito Diego si dedicò ad esplorare ogni singolo angolo della bocca di quella che ormai poteva a tutti gli effetti definire la sua ragazza mentre la Ferro fece scorrere le mani tra i suoi capelli scuri, spettinandoglieli un po'. In quel momento, stretti l'uno tra le braccia dell'altro, entrambi sembravano indifferenti al gelido vento che soffiava su di loro e su tutta la città di Buenos Aires: c'erano solo loro, nient'altro. Ormai rimasto senza fiato, il giovane Ramirez interrupe quel bacio, staccandosi leggermente da Ludmilla per poter osservare meglio il suo volto. La Ferro, solitamente impeccabile come desiderava suo padre, aveva il respiro leggermente affannoso e i capelli tutti arruffati, ma per la prima volta da quando Diego l'aveva conosciuta aveva negli occhi un luccichio gioioso e sulla labbra faceva bella mostra di sè un ampio sorriso. Soffermandosi poi ad osservare il naso della ragazza, arrossato per il freddo, il bruno non potè trattenere una risatina. “Cos'hai da ridacchiare?” domandò la bionda, fingendosi stizzita. “Sembri una renna: hai tutto il naso rosso.” rispose Diego, cominciando a ridere più forte. “Hei!” La Ferro iniziò a rincorrerlo per tutto il giardino della casa con il pugno alzato in segno di minaccia e, poco dopo, riuscì finalmente a raggiungerlo. “Preso!” esclamò sorridendo soddisfatta come una bambina. “Sia chiaro che ho fatto apposta a farmi catturare, altrimenti saresti svenuta per scarsa ossigenazione.” ci tenne a mettere in chiaro il ragazzo. “Sì certo...” ribattè con tono sarcastico Ludmilla. Diego osservò divertito il sopracciglio inarcato della giovane e, ammirato dalla sua bellezza disarmante, trovò la cosa più naturale del mondo far congiungere le loro labbra in un nuovo appassionato bacio, al quale la Ferro rispose con altrettanto entusiasmo. 
“Che diamine sta succedendo qui?” tuonò una voce alle loro spalle, ponendo fine all'incanto di quel momento. “Papà... io... noi...” balbettò intimorita la bionda, staccandosi dal suo ragazzo con aria imbarazzata. “TACI! NON HAI ALCUN DIRITTO DI PAROLA DOPO QUELLO CHE HAI FATTO! Ma con te farò i conti dopo, ora lasciami parlare con questo ragazzo: devo mettere in chiaro alcune cose con lui!” ordinò minacciosamente l'uomo. “Ma...” provò ancora Ludmilla. “TACI!” ripetè stizzito suo padre. La giovane, consapevole che in nessun modo sarebbe riusciuta a far sbollire l'arrabbiatura del signor Ferro, si rassegnò ad obbedirgli e, con la testa bassa, entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
“Allora, che cosa voleva dirmi?” domandò Diego, sfidando l'uomo con lo sguardo. “Lascia stare mia figlia, stalle lontano: lei ha molto da fare, non ha tempo di stare anche dietro a un ragazzino in preda agli ormoni come te!” Il padre di Ludmilla sembrava veramente infuriato, ma il giovane Ramirez non si lasciò certo intimidire dalla sue parole e continuò a tenere la testa alta, con uno sguardo fiero stampato in volto. “Ma lei che razza di padre è? Non si rende conto che sua figlia non è felice a causa di tutte quelle stupide attività che lei la costringe a fare?! Lei non sta facendo il bene di Ludmilla!” urlò con foga Diego, facendosi rosso in volto per lo sforzo. “Ti sbagli, io le sto preparando un futuro, le sto insegnando che nelle vita, per raggiungere uno scopo e per diventare qualcuno, bisogna faticare.” Diego scosse la testa, incredulo. Come poteva quell'uomo non rendersi conto di quanto quei suoi capricci infantili stessero costando a sua figlia? Non vedeva come era magra Ludmilla a causa delle sue eccessive restrizioni? Non vedeva come il volto di quella ragazza fosse sempre triste e infelice per il fatto che fosse costretta a rimanere sempre chiusa in casa? “Lei è proprio testardo. Ma non importa, continui pure così e vedrà che Ludmilla la odierà sempre di più e lei perderà definitamente sua figlia, sempre che questo non sia già accaduto. Se è questo quello che vuole...” Il signor Ferro ascoltò quelle parole in silenzio, mentre l'indignazione fremeva dentro di lui. Come si permetteva quel ragazzino a trattarlo così?! “Ma nessuno ti insegnato l'educazione? Fuori dal mio giardino razza di maleducato e non azzardarti mai più ad avvicinarti a mia figlia!” urlò con rabbia l'uomo, per poi chiudersi in casa sbattendo la porta in faccia al giovane Ramirez. Diego rimase fermo ad osservare con lo sguardo perso nel vuoto la facciata di quella casa, mentre i suoi pensieri scorrevano liberi e con la violenza di un fiume, travolgendolo. Cosa sarebbe successo a Ludmilla? Sarebbe stata punita per quello che era successo davanti agli occhi di suo padre? E, soprattutto, l'avrebbe più rivista? Tante domande e nessuna risposta certa, pensò infastidito il ragazzo, ritornando sui suoi passi e incamminandosi verso casa.










NOTE AUTRICE: Hola! Perdonate il ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma in questo periodo sono stata molto presa con la scuola e non ho avuto proprio tempo per scrivere... Ma passiamo a commentare questo capitolo ricco di avvenimenti. Leon scopre Violetta mentre piange in un'aula e le offre il suo aiuto, dandole il suo numero, che lei, dopo una fase di indecisione iniziale, decide di conservare. :3 Nel frattempo i Maxi riesce a convincere Nata ad accompagnarlo ad una festa, mentre Lara si dimostra parecchio fastidiosa! >.< Poi abbiamo anche il confronto/scontro tra Cami e Dj e tra il signor Ferro e Diego. E adesso cosa succederà alla povera Ludmilla? Lo scopriremo più avanti ;) Bene, ora vi lascio,
Hugs and kisses,
fra_piano for ever <3
P.S. Purtroppo martedì prossimo non potrò aggiornare perchè sarò in montagna a sciare e ovviamente lì in alta quota non c'è campo per la connesione a internet ma, dato che mi dispiacerebbe non postare, io pensavo di spostare il giorno di aggiornamento a Venerdì 2, il giorno in cui tornerò. Per voi andrebbe bene?







 

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Capitolo 15
*** Amare sorprese. ***


Il suono acuto e fastidioso della campanella risuonò nell'edificio dello Studio On Beat, decretando la fine delle lezioni. “Forza andiamo.” sussurrò nervosamente e con parecchia impazienza Federico a suo fratello. Aveva saputo, infatti, che la Torres era venuta a conoscenza del suo comportamento vergognoso nei confronti di Francesca e non ci teneva proprio ad incappare nelle ire della rossa. Non conosceva Camilla che di vista, ma dalle voci che circolavano su di lei e sul suo carattere manesco aveva subito capito che era meglio non mettersi mai contro di lei. Perciò il giovane, quatto quatto, uscì dall'aula, uniformandosi alla mischia degli studenti, sperando di non essere visto dalla ragazza. Purtroppo per lui, però, la Torres aveva una vista da falco e, immediatamente, lo individuò tra la folla. “Guarda un po' quell'idiota!” esclamò sommessamente. “Ma adesso mi sentirà! Eccome se mi sentirà!” 
Velocemente la rossa lo inseguì, per poi prenderlo con violenza per un polso e voltarlo verso di sé.
“Dove pensi di scappare?!” 
Vedendola Federico sbiancò di colpo, assumendo un'aria estremamente spaventata. Credeva ormai di averla seminata, da dove era sbucata fuori la Torres? Possibile che quella ragazza, qualunque cosa facesse per starle lontano, riuscisse comunque sempre ad individuarlo? Aveva forse dei radar al posto degli occhi? Preoccupato pensò subito ad una scusa da poter inventare per sfuggire dalle grinfie della rossa e cercò in qualche modo di aggirarla, per raggiungere la porta principale. “Ehm... Mi fermerei volentieri a parlare con te, ma mi hai beccato in una giornata un po' scomoda, vado proprio di fretta oggi...”
Camilla, però, non era una stupida e prontamente aumentò la stretta sul suo polso, trattenendolo.
“Perchè tanta fretta, Juarèz?” domandò con un sorriso maligno sul volto. “Te l'ho già detto: ho parecchio da fare...” tentò di svicolare il giovane. “Non mi inganni! Pensi davvero che io potrei bermi una simile scusa?” La rossa partì subito in quarta e, abbandonando l'aria fintamente gentile che aveva avuto sul volto fino a quel momento, diventò una vera e propria furia. “Adesso tu non vai  da nessuna parte: dobbiamo prima parlare del tuo comportamento vergognoso nei confronti di Francesca! TI AVEVO AVVERTITO DI NON PROVARE A FARLA SOFFRIRE!” esclamò rabbiosamente, stringendo sempre di più il polso di Federico, che non riuscì a mascherare una smorfia di dolore. “Ahi!” urló osservandosi la parte lesa, che si stava arrossando rapidamente. Ma quanto era forte quella ragazza? Era assolutamente certo che dopo quella presa ferrea della Torres gli sarebbe rimasto proprio un bel livido, di quelli violacei ed enormi. “Io non... non volevo... davvero!” balbettò Federico, titubante di fronte alla rabbia della Torres. “Quando mi sono accorto di quanto Francesca valesse realmente le ho chiesto scusa e le ho proposto di essere buoni amici, ma lei ha rifiutato...” 
“Ovvio, cosa ti aspettavi, che dopo tutto quello che le hai fatto accettasse questa tua idea folle?!” L'arrabbiatura di Camilla, se possibile, aumentò ancora di più, ma la ragazza non fece in tempo a dargli la sberla che, a suo parere, il giovane meritava. Due figure in uniforme, infatti, si fecero spazio tra la folla e si fermarono al centro dell'ingresso dello Studio, a pochi passi da loro. Camilla, immediatamente lasciò il polso del castano, avvicinandosi ancor di più per cercare di capire cosa stesse succedendo. “Chi tra voi sono i fratelli Federico e Dionisio Juarèz?” domandò l'agente più alto, che aveva degli orribili baffetti neri, tra i quali spuntava qualche pelo biancastro. A quelle parole Federico sobbalzò spaventato e confuso, mentre tutti si giravano nella sua direzione. Cosa diamine era successo? Perchè quei due uomini cercavano lui e suo fratello? “Che hai combinato?” gli domandò la Torres, scuotendolo per le spalle. Il ragazzo non rispose, lo shock per quanto stava accadendo gli aveva tolto la capacità di parola e lo aveva paralizzato sul posto. Dj, che nel frattempo gli si era avvicinato, gli diede una leggera pacca sulla spalla, come per tranquillizzarlo, nonostante fosse piuttosto spaventato anche lui. “Allora! Dove diamine sono Federico e Dionisio Juarèz?” domandò con un tono di voce piuttosto alterato l'agente con i baffetti. “Non abbiamo tutta la giornata, quindi fatevi avanti!” “Eccoci, siamo qui.” Dj avanzò verso i due, trascinandosi dietro anche il suo gemello, che non oppose resistenza. “Finalmente vi siete fatti avanti! Siete in arresto per traffico di sostanze stupefacenti, dovete seguirci in commissariato.”
Fu una vera e propria fortuna che suo fratello lo avesse afferrato per le spalle, perchè Federico per poco non svenne a quelle parole. Spacciatori loro? Non era possibile, ci doveva per forza essere un errore! Certo, lui e Dj non erano mai stati dei santi, ma di lì a trafficare droga... Persino Camilla, che non aveva mai avuto una buona opinione sui fratelli Juarèz, appariva sorpresa da quella situazione, così come gli altri studenti. Lentamente tutti gli alunni dello Studio elaborarono quanto avevano ascoltato e iniziarono ad allontanarsi sempre di più dai due gemelli, terrorizzati da quanto avevamo appreso sul loro conto. Federico si guardò intorno stupefatto: tutti coloro che li avevano sempre appoggiati nelle loro bravate e che avevano riso e scherzato con loro, ora li guardavano con disprezzo e paura. Non poteva essere! Quello era un incubo, doveva per forza esserlo! Tra tutta quella ressa si fece largo Pablo, uscito proprio in quel momento dall'aula professori. “Che cosa sta succedendo qui?” domandò l'uomo, non capendo il perchè di tutto quel trambusto. “Lei è un insegnate di questa scuola di musica, immagino.” ipotizzò il collega del tipo coi baffetti. “Sì, esatto...” confermò il direttore, “ma mi vuole spiegare per quale motivo siete qui?”
“Due dei suoi allievi, più precisamente i fratelli Juarèz, sono implicati in un caso di traffico di droga e noi siamo qui per portarli in carcere.” riassunse brevemente l'agente. “Cosa?! Federico e Dj?” domandò Galindo, certo che i due gemelli, per quanto fossero piuttosto vivaci, non avrebbero mai potuto fare una cosa del genere. “Ma come fate ad essere sicuri di quello che li accusate?” 
“Una telecamera ha filmato lo scambio di droga e pare che le targhe di due dei ciclomotori degli spacciatori corrispondando a quelle di questi ragazzi.” Pablo ammutolì, non sapendo proprio cosa dire. Era assolutamente certo dell'innocenza dei gemelli Juarèz, ma di fronte a quelle prove così schiaccianti non sapeva come ribattere. “Non siamo stati noi!” urlò Federico, ripresosi dallo shock iniziale e dimenandosi per cercare di sfuggire all'agente coi baffetti, che lo aveva afferrato per il colletto della camicia. “E stai un po' fermo!” esclamò stizzito l'uomo, cercandolo di infilargli le manette. “E così adesso sei anche un criminale? Complimenti!” esclamò ironica la Torres.
“NOOO! LASCIATEMI ANDARE!!! IO NON HO FATTO NIENTE! SONO INNOCENTE... Sono innocente.” continuò a ripetere il giovane, dapprima con più convinzione e poi sempre più flebilmente, quasi con le lacrime agli occhi. I due agenti, ignorando le sue parole, lo trascinarono via con la forza, convinti che le sue fossero solo scuse. L'ultima cosa che Federico riuscì a vedere prima di essere portato fuori dall'edificio furono le iridi castane di Francesca, accorsa non appena era riuscita a farsi largo nel tumulto, che si incatenarono con i suoi occhi per qualche secondo. Tutto ciò che il giovane potè fare fu esprimere il desiderio di riuscire a dimostrare la sua innocenza. Non sapeva perchè ma il pensiero di poter aver deluso quella ragazza era straziante per lui, non poteva accettare il fatto che lei potesse vederlo come un criminale, come aveva fatto Camilla. Per il momento, però, era consapevole di essere completamente impotente e perciò, piano piano, incominciò a calmarsi e si lasciò condurre in carcere insieme a suo fratello, che fin da subito aveva abbandonato ogni proposito di lamentarsi, certo che quello non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. 











Aumentando il passo, Angie si sistemò una ciocca sfuggita all'alta coda in cui aveva raccolto i lunghi capelli biondi dietro l'orecchio, con aria parecchio nervosa. Aveva sentito Violetta parlare dell'arresto dei due gemelli Juaréz e ancora non riusciva a crederci. Certo quei due non si erano mai comportati da angioletti caduti dal cielo, ma non riusciva neanche a pensare che potessero essere dei criminali. Tra l'altro il reato di cui erano accusati non era affatto un qualcosa di banale come una rissa tra adolescenti, che era un fatto abbastanza comune tra i ragazzi di quell'età. Niente del genere, Federico e Dj erano degli spacciatori! Dire che fosse sconvolta da quel fatto era dire poco, quando aveva appreso quella notizia inizialmente non aveva neanche voluto crederci ed era convinta che fosse solo uno scherzo di cattivo gusto architettato da quella ribelle di sua nipote. Successivamente, però, aveva sentito i fatti raccontati da persone decisamente più affidabili e aveva dovuto credere a tutto quello, nonostante non avesse assistito di persona all'arresto dei due gemelli. Quella mattina, infatti, lei non era presente allo Studio, poichè aveva chiesto e ottenuto un permesso, per poter aiutare sua sorella e suo cognato a preparare il loro ritorno a Buenos Aires.
Già, stranamente German e Maria avevano improvvisamente cambiato i loro piani ed in poco tempo avevano preso la decisione di tornare finalmente a casa. Angie, ovviamente, era l'unica a sapere tutto ciò e non poteva fare a meno di essere preoccupata della reazione che avrebbe avuto la nipote quando si sarebbe trovata faccia a faccia con i suoi genitori. Cosa avrebbe fatto Violetta? Li avrebbe ignorati, spinta dal risentimento per la loro prolungata assenza o, guidata dall'immenso amore che provava per loro, li avrebbe perdonati, dimenticando tutta la sofferenza che le avevano causato? Sinceramente Angie non ne aveva idea, sua nipote non era più quella di tempo, nell'ultimo periodo era cambiata parecchio e non sapeva proprio cosa aspettarsi da lei. Lo sconcerto per la scoperta fatta sui gemelli Juaréz e l'ansia per il ritorno imminente dei genitori di Violetta, l'avevano portata a fare l'unica cosa che in quel momento riteneva giusta: andare a cercare Pablo. Lui sapeva sempre esprimere le sue opinioni sui fatti in modo molto coinciso e chiaro, senza mai giudicare nessuno ed era proprio quello che le serviva adesso. Inoltre Galindo era l'unico in grado di rassicurarla e di farle sempre sentire il suo appoggio, anche quando non lo meritava affatto, come era già successo in passato. Non riusciva a spiegarsi perchè ma quell'uomo le trasmetteva una sensazione di tranquillità assoluta: le bastava specchiarsi in quei suoi occhi scuri e profondi per tranquillizzarsi. Era come se quelle iridi fossero magiche, esse infatti avevano un effetto incredibilmente calmante per una come lei che era sempre nervosa ed agitata. Considerava una vera fortuna avere Galindo come amico e non sapeva proprio come avrebbe potuto fare senza di lui. E, ovviamente, non era solo per quella pace che con un solo sguardo lui le trasmetteva a determinare l'immenso affetto che provava per l'uomo. Pablo possedeva moltissimi pregi: era gentile, dolce, estremamente tollerante, diligente e capace nel suo lavoro... e l'elenco delle sue qualità avrebbe potuto continuare all'infinito. Doveva ammettere che negli ultimi tempi si era sorpresa parecchie volte a pensare a lui come qualcosa in più che un amico, specialmente dopo quella serata in cui erano usciti insieme. Si era trovata magnificamente con lui e quando, sulla strada per arrivare alla macchina, Galindo si era fermato e aveva preso a fissarla intensamente con quei suoi occhioni scuri aveva avvertito un moto di felicità prendere possesso del suo cuore. Ricordava ancora perfettamente quella notte: i loro volti persi l'uno nella contemplazione dell'altro, i loro fiati che si fondevano diventando uno solo e le loro labbra così vicini eppure così dannatemente lontane, separate dai quei pochi millimetri d'aria che avevano impedito loro di unirsi in un dolce bacio. Se solo quelle campane non fossero suonate, interrompendo quel momento da sogno, chissà cosa sarebbe successo! Angie si passò distrattamente una mano tra i capelli biondo dorato, costringendosi a cacciare fuori dalla sua mente quei pensieri. In quel momento aveva da pensare a ben altro e di gran lunga più importante di quelle sue stupide fantasticherie amorose! La sera della loro uscita non era successo niente con Pablo, perciò doveva mettersi l'animo in pace e smetterla di perdere tempo con quelle cavolate! Convinta di questa sua opinione riprese a camminare velocemente, fino a quando non si ritrovò davanti ad una piccola villetta dai mattoni a vista, semplice ma piuttosto curata. Un sorriso spontaneo naque sul volto della Saramengo: quella casa già dall'estreno rispecchiava perfettamente il carattere del suo proprietario. Si avvicinò al campanello e suonò più volte prima che finalmente qualcuno si presentasse ad aprire. Da dietro la porta di casa Galindo apparve un bimbo che doveva avere all'incirca sette o otto anni, di corporatura esile e dagli occhi di un color cioccolato fondente che tanto assomigliavano a quelli del suo migliore amico. Il bimbo si stroppicciò nervosamente le manine e si scompigliò nervosamente i ribelli capelli neri, che, mossi dal vento di quella giornata invernale, ondeggivano a destra e sinistra. Era chiaro che la sua presenza lo intimidisse un po', ma allo stesso tempo quell'esserino sembra curioso di conoscerla, tant'é che di tanto in tanto alzava gli occhi dal terreno e li puntava per pochi secondi nella sua direzione, scrutandola velocemente. Angie si diede mentalmente della stupida: doveva sicuramente sbagliato abitazione, d'altronde quella era la prima volta che si recava a casa del suo migliore amico. Che imbranata che era! “Ehm... Scusami piccolo, io... credo di aver sbagliato indirizzo. Sto cercando Pablo Galindo, ma é evidente che questa non é casa sua: lui non ha bambi...” Le parole le morirono in gola alla vista del moro che proprio in quel momento si presentò sulla soglia della porta, avendo sentito il rumore del campanello, suonato da Angie solo pochi istanti prima. La bionda, confusa, fece passare lo sguardo dall'uomo al bimbo e viceversa, mentre una serie di dubbi e ipotesi iniziavano a formarsi nella sua testa. Si soffermò ad osservare il volto del ragazzino, i suoi capelli scuri, i suoi occhi così espressivi e rimase assolutamente scioccata nel rendersi conto che lui e Pablo si assomigliavano moltissimo. Stesso aspetto, stesso sguardo sveglio, persino stesso modo di cammuffare il disagio stroppicciandosi nervosamente il naso: insomma chiunque sarebbe potuto arrovare alla conclusione che quei due erano, senza alcun'ombra di dubbio, parenti. Ma perché Pablo le aveva tenuto nascosta l'esistenza di auel bambino? Non erano forse migliori amici? Lei era sempre stata molto sincera e, nel bene o nel male, si era sempre confidata con lui e glo aveva confessato ogni suo singolo segreto. Perché allora lui non aveva fatto altrettanto con lei? Forse non si fidava abbastanza... Con questo improvviso pensiero avvertì una forte fitta di dolore, proprio al centro del petto: aveva sempre pensato che l'amicizia che legava lei e Galindo fosse qualcosa di speciale, indissolubile e invece ora scopriva che lui le aveva nascosto una cosa tanto importante come la presenza di un figlio. Già, perchè era ovvio che quel bimbo fosse il figlio del direttore dello Studio: era identico a lui, gli assomigliava in ogni singolo particolare. Amareggiata ed estremamente delusa la donna si allontanò da casa Galindo senza neanche aprir bocca, dapprima camminando a passo svelto per poi prendere a correre sempre più veloce, mentre le grida di Pablo, che aveva tentato invano di fermarla, continuavano a riecheggiare nella sua mente.










Violetta si rigirò stancamente nel letto, cercando di scacciare il volto di Leon dalla sua testa e, soprattutto, dal suo cuore. Possibile che, persino quando fosse in casa propria, nella sua stanza quel ragazzo trovasse comunque il modo di perseguitarla? Erano ormai parecchi giorni che continuava pensare a lui, tant'é che non riusciva neppure più a concentrarsi alle lezioni di musica allo Studio On Beat. Nella sua mente continuava a ripetersi ininterrottamente le immagini di quello che poco tempo prima era avvenuto in quell'aula vuota, in cui lei si era rifugiata per poter sfogare in un pianto liberatori tutto il dolore e la sofferenza che aveva accumulato in quegli ultimi mesi. Le cose, però, non erano andate come lei aveva previsto, e, invece di rimanere da sola come avrebbe voluto, ad un certo punto era apparso dal nulla Leon. Doveva ammettere che quel suo abbraccio l'aveva un po' destabilizzata, ma allo stesso tempo le aveva fatto un gran bene. Quando quelle braccia forti l'avevano stretta per la prima volta dopo tanto tempo si era sentita protetta, si era sentita amata. E, sebbene avesse rinunciato a provare ogni tipo di affetto per paura di soffrire ancora, per un momento aveva avuto l'impulso di lasciar perdere tutto e di abbandonarsi al calore che, a quel gesto così dolce da parte di Leon, le aveva invaso l'anima. Non sapeva neanche lei dove avesse trovato le forza per sciogliere quell'abbraccio e allontanare da sé il giovane Vargas, urlandogli contro frasi non esattamente gentili. Violetta sbuffò sonoramente: non era una stupida e   si rendeva benissimo conto che quella che era nata come una banale cotta si stava rapidamente trasformando in qualcosa di molto più serio e profondo. Doveva fare qualcosa e subito, quella situazione stava diventando ogni giorno sempre più insostenibile per lei: Vargas occupava prepotentemente i suoi pensieri e non aveva idea di come cacciarlo dalla sua testa. Il rumore assordante del campanello le risuonò con prepotenza nelle orecchie, interrompendo tutte le sue riflessioni. Violetta nascose la testa nel comodo e soffice cuscino, cercando di ignorare tutto quel fracasso, ma ben presto rinunciò a continuare a stare a letto, sentendo un vociare confuso proveniente dal piano di sotto. Infastidita scostò le coperte e balzò giù dal letto con aria scocciata, ormai consapevole che, tra i suoi pensieri stupidi che, in un modo o nell'altro, la riconducevano sempre a Leon e tutto quel baccano, non sarebbe mai riuscita a prendere sonno come invece aveva sperato, essendo tornata distrutta dalla giornata allo Studio. Possibile che lei non potesse mai avere un attimo di pace? Dopo essersi sistemata i capelli alla bell'e meglio e aver tentato di rendersi quantomeno presentabile, la giovane decise di scendere al piano di sotto, per vedere chi fosse arrivato di tanto importante da scombussolare così la tranquillità che di solito regnava in quella casa. Seguendo il rumore delle voci, ben presto si ritrovò in cucina, dove, subito notò un'Olga ancora più vivace e allegra del solito e, incuriosita, le si avvicinò. “Ho sentito il campanello, chi era?” domandò afferrando un biscotto da un piattino posto al centro del tavolo. “Oh, tesoro! Non puoi neanche immaginare che grande sorpresa ti aspetti!” esclamò la cuoca emozionata. La Castillo la guardò confusa: a cosa si riferiva la donna? “Ecco, ecco! Voltati piccola mia.” le sussurrò    dolcemente Olga, che stava guardando oltre le sue spalle con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. Violetta obbedì prontamente alla domestica e quello che vide la lasciò scioccata, con la mano in cui teneva il dolcezzo ferma a mezz'aria e lo sguardo impietrito. German e Maria, i suoi genitori, coloro che in assoluto l'avevano fatta soffrire più di tutti, erano lì, a pochi passi da lei. Cosa diamine ci facevano a casa? L'ultima volta che aveva sentito suo padre per telefono aveva capito che erano intenzionati a passare ancora parecchio tempo all'estero, quindi perché avevano cambiato repentinamente idea ed erano tornati a Buenos Aires? Non riusciva proprio a spiegarselo... “Violetta, tesoro mio! Finalmente ci rivediamo!” esclamò felice Castillo, avvicinandosi e stringendola forte. Violetta rimase rigida, schiacciata contro il petto dell'uomo, senza dare alcun segno di voler ricambiare quell'abbraccio, che, dopo tutto quel tempo passato senza avere neanche notizie dai suoi genitori, le sembrava così falso. Accorgendosi che qualcosa non andava, German sciolse la stretta e si allontanò leggermente dalla figlia, poterla guardare meglio negli occhi. “Vilu, che hai? Non sei felice di vederci?” domandò Maria, che aveva assistito a tutta la scena ed era rimasta sorpresa dalla gelida accoglienza della ragazza. Si soffermò a osservarla: la sua bambina era cresciuta così tanto dall'ultima volta che l'aveva vista! L'espressione ingenua che aveva sempre caratterizzato il suo volto era sparita, lasciando il posto ad un'aria molto più matura, più da donna. Inoltre la ragazza doveva essersi anche alzata di qualche centimetro perché le pareva decisamente più alta di come l'aveva lasciata. Ció che peró di più colpí la donna fu il lampo di ribellione che notó nei vispi occhi color nocciola della figlia. Che cosa significava tutto quello? Cos'era successo in loro assenza? “Sì, certo che sono felice...” commentò ironicamente Violetta, aggirando i suoi genitori con l'intenzione di fiondarsi in camera sua e di barricarsi lì affinché la lasciassero in pace. Erano appena arrivati e già lei non li sopportava! E in più avevano anche il coraggio di chiederle se fosse che contenta che loro erano tornati! Come potevano farle una simile domanda con tanta tranquillità? Per tre lunghissimi mesi aveva sofferto per colpa loro e, proprio ora che era riuscita a trovare una relativa stabilità nei panni della bulletta della Studio, sua madre e suo padre piombavano lì, senza alcun tipo di preavviso, scumbossolando tutto. Questo non lo poteva accettare! “Vilu dove vai?” domandò suo padre, rincorrendola fuori dalla cucina. “In camera mia, dove non potrò essere disturbata!” sbottò furiosa la Castillo. “Ma perché ci tratti così, tesoro? Che cosa ti abbiamo fatto di male?” le chiese Maria, sfiorandole con dolcezza una spalla. “Non mi toccare!” sibilò minacciosa la ragazza, allontandosi come se avesse preso la scossa. “Che cosa mi avete fatto? Non riuscite proprio a capirlo da soli? Per mesi ho aspettato invano che voi vi preoccupaste di farmi avere vostre notizie, che pensaste un po' a me o che, quanto meno, vi sforzasse di farmi una breve telefonata per chiedermi come stessi e invece niente! MI AVETE ABBANDONATA, ECCO COSA MI AVETE FATTO!” urlò con rabbia la giovane. “Ma no tesoro, non abbiamo fatto niente del genere! Eri qui a casa, con zia Angie, Roberto ed Olga che si occupavano di te, non eri da sola!” cercò invano di farla ragionare sua madre. “E voi dov'eravate?! DOV'ERAVATE QUANDO STAVO MALE, QUANDO AVEVO BISOGNO DI VOI?! A più di 10.000 chilometri di distanza! Complimenti: siete davvero degli ottimi genitori!” esclamò sarcastica Violetta, battendo le mani in un ironico applauso. A quelle parole sia a Maria che a German sembrò mancare la terra sotto i piedi. Durante tutti quei mesi non avevano neanche avuto il dubbio che la ragazza avesse potuto avvertire la loro mancanza, convinti com'erano che a Buenos Aires sarebbe stata bene tra i suoi amici e nella città in cui era sempre vissuta. E invece quanto si erano sbagliati! Non erano riusciti a comprendere i veri sentimenti e bisogni di quella che, ai loro occhi, restava sempre la loro bambina, nonostante ormai fosse vicina al raggiungimento della maggiore etá. Violetta aveva ragione: che razza di genitori erano?! German sbatté con forza una mano contro il muro, furioso con se stesso, mentre Maria, da sempre più fragile di suo marito, sentì gli occhi farsi lucidi, finché grosse lacrime amare presero a rotorarle giù per le guance. Subito Castillo le si fece vicino, stringendola tra le sue forti braccia, quasi come se, cosí facendo, potesse in qualche modo lenire il forte dolore misto a senso di colpa che entrambi provavano al pensiero di tutta la sofferenza che loro figlia aveva dovuto sopportare per causa loro. “Abbiamo sbagliato tutto German, abbiamo sbagliato tutto...” soffiò debolmente la donna, con gli tristi e la testa bassa. L'uomo non rispose, limitandosi ad aumentare la stretta e prendendo ad accarezzarle con dolcezza i capelli, mentre rifletteva su cosa avrebbe potuto fare per sistemare quella situazione... Lui e sua moglie avevano commesso un grande errore e ora, ne era certo, avrebbero pagato care le conseguenze. Proprio in quell'istante la porta d'ingresso si spalancò cigolando leggermente ed Angie entrò in casa Castillo con aria distrutta. Era ancora parecchio sconvolta e delusa per quello che aveva visto a casa di Pablo, ma appena notò le lacrime di sua sorella tutto il resto passò in secondo piano. “Maria... Cos'é successo?” domandò avvicinandosi ai due coniugi. “Oh Angie... Ho fatto un errore enorme!” singhiozzò la maggiore delle Saramengo, staccandosi da suo marito e gettandole le braccia intorno al collo. “É per Violetta, vero?” domandò la bionda, intuendo subito tutto. “Sì... noi l'abbiamo lasciata sola, l'abbiamo abbandonata!” Angie scosse la testa, fissando dispiaciuta il volto umido e triste di sua sorella. “Non é così, Violetta adesso é molto arrabbiata con voi e vi avrà detto cose che non pensa neanche lei, ma vedrete che, una volta che avrà sbollito la rabbia, vi perdonerà, ne sono certa. Lei vi ama molto.” sorrise, convinta delle sue parole, la bionda. “Non é così Angie, noi credevamo di fare il bene di nostra figlia con questo viaggio e invece é stato tutto il contrario...” borbottò Castillo, passandosi una mano sul volto con aria disperata. 










NOTE AUTRICE: Hola a todos! Perdonate il mio solito ritardo, ma in questo periodo sono stata parecchio impegnata... Ma passiamo a parlare del capitolo, dove ci sono parecchi colpi di scena a partire dall'arresto dei due gemelli! E adesso cosa succederà? Saranno veramente colpevoli? Intanto Angie si reca a casa di Pablo e scopre di Ángel, fraintendendo la situazione e arrivando alla conclusione erronea che il bimbo sia il figlio del suo migliore amico. Nel frattempo ritornano a Buenos Aires German e Maria, che trovano un'accoglienza piuttosto fredda da parte di Violetta, che gli rinfaccia tutti gli errori che hanno commesso con lei. Ringrazio tutti quelli che continuano a seguire la storia e a lasciare commenti: siete davvero gentilissimi!
Besos,
fra_piano for ever







   

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Capitolo 16
*** Col cuore diviso a metà. ***


Violetta si lasciò cadere sul letto distrutta, osservando con aria combattuta il foglietto che stringeva tra le mani. Dalle occhiaie presenti sul volto e dai suoi movimenti pigri e lenti era chiaramente intuibile che fossero giorni che la giovane non dormiva bene. Ormai, da quando i suoi genitori avevano fatto ritorno a Buenos Aires, continui pensieri nient'affatto felici la tormentavano giorno e notte, rendendo inquieto e turbolento il suo sonno. Con le palpebre pesanti e affaticate cercò di mettere a fuoco la serie di numeri sul biglietto davanti a sè e con mani tremanti recuperò il cellulare. Leon non le aveva forse detto di chiamarlo nel caso avesse sentito il bisogno di parlare con qualcuno o di sfogarsi un po'? Ed era proprio quello che lei aveva intenzione di fare. Compose velocemente il numero ma, proprio quando era sul punto di far partire la chiamata, un bussare insistente alla sua porta la fece sobbalzare. Posando il cellulare sulla scrivania, la giovane si alzò infastidita. Chi era adesso? “Violetta, tesoro sono io! Ti prego aprimi: sono giorni che sei chiusa lì dentro e non esci neppure per andare allo Studio! Sono preoccupato per te...” La voce possente di suo padre risuonò per tutta la sua stanza e la Castillo non poté fare a meno di notare quanto le parole di German sembrassero sincere. “Tesoro per favore vogliamo solamente parlare.” rincarò la dose Maria, sperando di poter convincere la figlia ad uscire un po' dalla sua stanza. Sentendo le loro voci supplicanti e quasi disperate, per un istante Violetta pensò quasi di andare addirittura ad aprire, ma poi il ricordo dei troppi giorni spesi ad aspettare invano il ritorno dei genitori le invase la mente. Ricordava ancora distintamente quella sensazione di abbandono, quel vuoto enorme e la paura di non poter contare più su nessuno che aveva provato in quel periodo e sentiva che mai sarebbe riuscita a perdonarli per quello. Fin da quando lei era piccola erano sempre stati una famiglia molto felice, ma ora era come se quel forte legame che un tempo li univa si fosse spezzato. “Non ho nessuna voglia di parlare con voi due, perciò andatevene, é inutile che continuiate a bussare: io non vi aprirò!” Al sentire quelle parole, German perse definitivamente quel poco di pazienza che gli era rimasta e incominciò a picchiare sempre più forte sulla porta. “Violetta sono tuo padre e mi devi ubbidire! Aprimi immediatamente!” strillò l'uomo con un tono di voce irritato. La ragazza sbuffò, ruotando gli occhi con aria infastidita senza però muoversi da dove si trovava. “No, German: non serve a niente urlare e cercare di imporsi in questa maniera. Se Vilu non vuole parlarci dobbiamo rispettare la sua decisione. Dobbiamo darle tempo e lasciare che sbollisca un po' la rabbia che prova verso di noi.” “Ma non può rimanere ancora chiusa in camera! Sono giorni che non esce di lì e che per farla mangiare dobbiamo mandare Olga a portarle il cibo con un vassoio! Ti sembra una cosa normale?!” domandò con stizza il moro. “Stai tranquillo: vedrai che prima o poi ci perdonerà e sarà proprio lei a voler parlare con noi.” Violetta ringraziò mentalmente sua madre per essere riuscita a convincere German a lasciarla un po' un pace e finalmente si rilassò, ritornando alla questione di Leon. Cosa doveva fare? Moriva dalla voglia di chiamarlo, di sentire anche se per poco la sua voce e di sfogarsi con lui, raccontandogli tutto quello che stava succedendo in casa sua, ma poteva fidarsi? Chi le garantiva che lui non sarebbe andato in giro per tutto lo Studio a spifferare tutto? “Vilu ti ho portato il pranzo. Mi apri?” domandó qualcuno da dietro la porta. Riconoscendo la voce della zia, subito la ragazza corse ad aprire. “Vieni, vieni entra pure.” la invitò la giovane per poi richiudere la porta a chiave. Per quanto infatti fosse arrabbiata con i suoi genitori, Violetta era consapevole che la Saramengo non fosse colpevole di nulla e che anzi fosse stata l'unica a starle vicino e a prendersi cura di lei quando German e Maria erano all'estero. “Che diamine ti succede, piccola?” chiese la bionda, poggiando il vassoio con il cibo sulla scrivania e sedendosi sul letto accanto alla nipote. “Niente... é che sono arrabbiata con mamma e papà. Quando erano via non si sono neanche minimamente preoccupati di chiamarmi per sentire come stessi e adesso che sono tornati sono tutti zucchero e miele! Non li sopporto più!” sbottò la ragazza.  “Vilu, loro hanno sbagliato, é vero, ma credimi se ti dico che non volevano ferirti così. Loro pensavano che tu saresti stata felice qui a Buenos Aires con i tuoi amici, altrimenti non sarebbero mai partiti.” Violetta scosse la testa, non condividendo per niente quanto sua zia stava dicendo. “Non é così. La verità é che a loro non importa niente di me.” affermò la giovane, con un'ombra di tristezza sul volto. “Ma no tesoro, non devi neanche pensarlo! Tu non immagini quanto loro siano in pensiero per te per il fatto che ti sei barricata così in camera... Io non so perché siano stati tanto tempo lontani da Buenos Aires, né perché non ti abbiano mai telefonato, forse erano molto impegnati, ma di una cosa sono assolutamente certa: i tuoi genitori ti amano tanto, con tutto il loro cuore.” la rassicurò Angie, accarezzandole dolcemente i capelli. “Ma non é solo questo il motivo della tua aria tanto assorta, non é vero?”
Violetta sospirò profondamente, scuotendo la testa come per darle ragione. “In realtà stavo anche pensando a... a Leon.” ammise alla fine. Un sorriso furbo si dipinse sul volto della Saramengo. “Eh... ti é entrato proprio nel cuore quel ragazzo!” ammiccò la bionda. “Già e questo sentimento che provo verso di lui sta diventando ogni giorno più forte.” confessò con aria seria la giovane. “Non sembri molto contenta di questo...” “E infatti é così, Angie. Io non voglio lasciarmi andare con lui, non voglio soffrire ancora.” affermò la Castillo. “Se non rischierai un po' non potrai mai essere felice, Vilu. Però io non posso decidere per te, sei tu, solo tu, che potrai scegliere cosa fare.” La ragazza rimase piuttosto colpita da quella frase, anche se cercò di non darlo a vedere, e si ripromise di rifletterci un po' sopra. “Anche tu però non sembri esattamente di buon umore.” osservò poi, notando solo in quel momento l'aria leggermente corrucciata della Saramengo. “Ah, lascia perdere: tutta colpa di Pablo. Mi ha mentito su una cosa importante e sono terribilmente arrabbiata e delusa dal suo comportamento.” “Pablo?! Lo stesso Pablo che conosco io? Ma ne sei sicura? Quell'uomo é la persona più corretta e trasparente di questo mondo!” affermò Violetta, sicura che sua zia si stesse sbagliando. “Ti giuro, l'ho colto con le mani nel sacco! Neanche io ci potevo credere. Stanno succedendo parecchie cose strane in questo periodo: prima Federico e Dj sbattuti in carcere, poi le bugie di Pablo...” “Forse si é trattato soltanto di malintesi. Comunque sono certa che se parlerai con lui riuscirai a capire se davvero ti ha mentito, per quanto riguarda i gemelli la situazione é un po' più complicata.” ragionò ad alta voce la castana. “Perché?” domandò la donna, che non essendo presente allo Studio il giorno in cui i due giovani erano stati arrestati, era curiosa di sapere di più della vicenda. “Pare che la polizia abbia delle prove schiaccianti contro di loro, di più non so, non ci hanno detto molto in effetti...” osservò Violetta, osservando la zia recuperare la sua borsa, che aveva poggiato sulla scrivania in malo modo. “Te ne vai già via?” “Sì, devo andare allo Studio, anzi sono già in ritardo... Mi raccomando: mangia tutto.” disse la bionda, indicandole il vassoio che le aveva portato. “A dopo.”
Rimasta sola, la giovane Castillo si soffermò a riflettere sulle parole della Saramengo. Forse avrebbe potuto concedere a Leon una possibilità e magari, in un futuro non poi così lontano, avrebbe potuto anche provare a parlare con i suoi genitori. Forse, forse... Perché era sempre cosi insicura? Cosa c'era di sbagliato in lei che le impediva di pronunciare un sì deciso o un no secco? Si sentiva divisa a metà e non sapeva proprio cosa fare... L'improvviso vibrare del suo cellulare la riportò alla realtà, strappandola dal flusso dei suoi pensieri. Sul display era apparsa l'immagine di una bustina, chiaro segno che qualcuno le aveva appena inviato un messaggio. Aprendolo scoprì che era di Lara, che le chiedeva come stesse e la invitava ad uscire con lei e Thomas la sera successiva per andare in discoteca. La Castillo ignorò completamente la prima domanda e rispose che sarebbe certamente andata con loro la notte dopo. Quel genere di serata era proprio quello che più le sarebbe stato utile per poter dimenticare, almeno momentaneamente, tutti i suoi dubbi e i suoi problemi. L'alcool avrebbe di sicuro ofuscato e messo a tacere quei pensieri contorti e confusi che le riempivano la testa nell'ultimo periodo e quello era tutto ciò di cui in quell'istante sentiva di aver bisogno. Convinta perciò di quello che aveva fatto, ripose il cellulare sulla scrivania e si sdraiò nuovamente sul letto, dimenticando completamente il proposito di chiamare Leon.










Francesca indugió parecchio davanti alla porta del carcere prima di decidersi finalmente ad entrare. Fin da quando qualche giorno prima allo Studio quelle due guardie avevano arrestato i due gemelli Juarez aveva avuto l'intenzione di recarsi in quel luogo, ma non aveva mai trovato il coraggio per farlo. Ora però era lì e non se ne sarebbe andata prima di aver parlato con Federico. Un uomo sulla trentina dall'aspetto gioviale la guidò attraverso vari corridoi per poi chiederle di aspettarlo davanti ad una porta in ferro nero. Dopo una decina di minuti, la Cauviglia poté tirare un sospiro di sollievo, vedendo la guardia carceraria tornare. 
“Vieni, entra pure.” le disse, scortandola in una stanza cupa e debolmente illuminata dove, seduti dietro ad un lungo tavolo in legno, c'erano un paio di giovani detenuti. Subito Francesca individuò il ciuffo castano di Federico e, titubante, gli si avvicinò. Anche se erano passati pochi giorni, il ragazzo era cambiato parecchio dall'ultima volta che l'aveva visto. Gli occhi solitamente vivaci avevano perso quel luccichio furbo che li caratterizzava ed erano ora spenti e marcati da pesanti occhiaie, la barba era sfatta e sul suo volto smunto capeggiava un'espressione distrutta. Non era rimasto niente del giovane allegro e spiritoso che Juarez era solito essere e addirittura sembrava quasi che fosse improvvisamente invecchiato di qualche anno. “Ciao.” mormoró la Cauviglia, sedendosi di fronte a lui. “Se sei qui per accusarmi o per giudicarmi poi anche tornartene da dove sei venuta!” sbottò in risposta il ragazzo. “No, in realtà sono qui semplicemente per parlare un po' con te...” “Tu cosa pensi di me? Credi anche tu come gli altri che io e mio fratello siamo dei criminali?” Francesca rimase decisamente spiazzata da quella domanda così diretta del ragazzo. Cosa doveva rispondere? Non se la sentiva di puntare il dito contro il giovane Juarez, ma allo stesso tempo le prove della sua colpevolezza sembravano cosi schiaccianti... “Io non ho fatto niente, Fran.” sussurrò appena con voce più gentile il castano. Alzando la testa, la Cauviglia incontrò gli occhi castani e leggermente lucidi di Federico, che la fissavano da dietro quel tavolo che li separava. Era uno sguardo intenso quello del Juarez, uno sguardo che esprimeva disperazione e, soprattutto, completa e totale sincerità. Non può star mentendo, si disse mentalmente Francesca. Rimase tuttavia a fissarlo ancora per parecchi secondi prima di decidersi finalmente a rispondere alla tacita domanda che si leggeva chiaramente negli occhi del ragazzo. “Sì, ti credo.” sorrise dolcemente Francesca. A quelle sue parole, Federico tirò un sospiro di sollievo. “Per fortuna almeno tu hai fiducia in me! I miei genitori invece si sono infuriati con me e Dj... Loro credono che noi abbiamo davvero preso parte ad un giro di droga.” Il giovane abbassò il volto con uno sguardo triste e gli occhi umidi. “Ehi! Non ti devi rattristare: probabilmente ora sono un po' scioccati da tutta questa situazione e non sanno neanche loro quello che dicono! Sono sicura che, una volta passato lo shock iniziale, saranno i primi ad aiutarvi a sostenere la vostra innocenza.” “Lo pensi davvero?” Federico alzò gli occhi, speranzoso. “Ne sono certa.” rispose la Cauviglia, sorridendo incoraggiante. Il castano ricambiò il sorriso, dandosi mentalmente dello stupido per aver fatto soffrire una ragazza stupenda come Francesca. Come aveva potuto illuderla così quando lei alla fine era stata l'unica che aveva davvero creduto in lui? “Per quanto riguarda noi due...” cambiò discorso Juarez. “Cosa ne pensi di dimenticare tutti i litigi e le incomprensioni ed essere amici d'ora in poi?” 
“Accetto.” ripose senza esitazioni senza esitazioni la mora. “Come?” domandò incredulo Federico, credendo di aver sentito male. “Ho detto che accetto.” ripeté semplicemente la giovane. “Ammetto di essere stata indecisa per parecchi giorni, ma ora non ho più dubbi: voglio mettere da parte il passato ed essere tua amica.” 
Il suo interlocutore sorrise contento: ora aveva un'amica, la sua prima vera amica e sentiva che niente sarebbe potuto andare male. “Dobbiamo trovare un modo per dimostrare la tua innocenza. Quando é il processo?” domandò la Cauviglia. “Manca ancora un po, tranquilla.” rispose il ragazzo. “Bene, rifletterò su cosa fare ora devo proprio andare.” affermò Francesca, rendendosi conto che era rimasta fin troppo lì in carcere e rischiava di fare tardi allo Studio. “Grazie davvero Fran, per tutto.” “Non c'é di che.” mormorò in risposta la mora, alzandosi dalla sedia. “Dico davvero, mi ha fatto proprio bene parlare con te.” sorrise grato Federico. “Beh, allora magari torneró a trovarti ancora.” “Mi sembra un ottima idea.” Federico seguì la Cauviglia con lo sguardo fino a quando non varcò la porta della sala visite del carcere mentre per la prima volta da quando era entrato in quel maledetto posto un'espressione felice gli illuminava il volto stanco e stressato.










Pablo, lo sguardo perso nel vuoto e le mani infilate tra i capelli, continuava a fare avanti e indietro per l'aula professori con nervosismo. Ancora non riusciva a crederci che Angie avesse scoperto di suo nipote Ángel, aveva fatto di tutto per nascondere quel segreto e adesso la verità era venuta alla luce! Solo ora si rendeva conto che avrebbe dovuto essere sincero fin dall'inizio e parlare con la sua migliore amica. Di sicuro sfogarsi con la Saramengo avrebbe potuto fargli bene e forse lei avrebbe potuto anche aiutarlo e, invece, frenato dalle sue sciocche paure le aveva occultato tutto. Certamente, non appena mi vedrà, vorrà una spiegazione, pensò Galindo. Ebbene gliel'avrebbe data, avrebbe chiarito ogni cosa, anche perché l'appoggio e il sostegno di Angie gli mancavano. Aveva bisogno di tornare a scambiare confidenze con lei, aveva bisogno di rivedere quel suo sorriso speciale che rivolgeva solo a lui, aveva bisogno di lei. Si sorprese non poco del suo ultimo pensiero, certo nell'ultimo periodo doveva riconoscere di aver iniziato a pensare alla Saramengo come qualcosa di più che una semplice amica, ma mai lo aveva ammesso a se stesso in maniera così esplicita. Il rumore della porta che si aprì alle sue spalle lo riportò alla realtà e proprio in quell'istante entrò nella stanza proprio l'insegnante di canto, che, dopo aver posato la borsa, fece per uscire di nuovo, senza neanche degnarlo di uno sguardo. “Angie! Angie aspetta!” Subito Pablo le corse dietro, trattenendola per un braccio e facendola voltare verso di sè. “Lasciami, non ho niente di cui discutere con un bugiardo come te!” sbottò la donna, allontanandolo con stizza. “Senti, permettimi di spiegarti almeno!” insistette il moro. “Non c'é proprio niente da spiegare, é tutto chiarissimo: tu hai un figlio di cui, non so perché, mi hai tenuta nascosta l'esistenza!” esclamò sicura la bionda. “Che ti succede, Pablo? Credevo fossiamo migliori amici e ci raccontassimo tutto... Adesso cos'altro dovrei sapere? Che sei fidanzato o addirittura sposato e non me l'hai detto? Eh?”
Pablo rimase a fissarla attonito per alcuni secondi prima di scoppiare in una fragorosa risata. “Cos'hai da ridere? Ti sembra una cosa divertente?” Angie non avrebbe potuto essere più furiosa e Galindo intuì subito che avrebbe fatto meglio a spiegarle tutto immediatamente se non voleva che quella storia finisse male. “Rido perché tutto questo é incredibile, hai frainteso completamente la situazione!” si affrettò a dirle Pablo, cercando di ricomporsi “Innanzitutto non ho nessuna fidanzata ne tantomeno una moglie e poi Ángel non é mio figlio, é mio nipote, il figlio di mia sorella Jade! Ti ricordi di lei? Te l'ho presentata quando ancora andavamo a scuola.” “Sì, certo che me la ricordo! Ma perché suo figlio vive a casa tua?” domandò Angie, incredula per quanto aveva sentito. Quindi quel bimbo non era di Pablo! Ma perché il suo amico non gliene aveva parlato prima? E, soprattutto, perché quando aveva sentito la verità su quella storia si era sentita così felice, così leggera come liberata da un peso? Se anche Galindo fosse stato padre a lei cosa sarebbe cambiato? Forse davvero stava iniziando a provare più di una semplice amicizia per Pablo... “Se vuoi ti racconto tutto, ma, ti avviso, ci vorrà un po'” iniziò Galindo, interrompendo i pensieri contorti della Saramengo. “Non ti preoccupare: ho appena finito di fare lezione e adesso ho un'ora libera, quindi posso rimanere ad ascoltarti.” lo rassicurò la bionda. “Bene allora mettiti comoda perché é una storia lunga. Sai com'é Jade, no? Ha sempre avuto dei problemi con l'alcool... Solo che, esattamente otto anni fa la situazione é degenerata. Lei ha scoperto di essere incinta e il suo compagno di quel periodo, che, detto tra noi, era un mezzo delinquente, si é rifiutato di farsi carico del bambino. I nostri genitori hanno pensato che sarebbe stato meglio allontanarla per un po' da Buenos Aires e così si sono trasferiti con lei in Francia, dove c'erano già dei nostri parenti, mentre io sono rimasto qui.” Angie pendeva letteralmente dalle sue labbra, concentrata per cercare di vederci chiaro in quella faccenda, porbabilmente per Pablo era faticoso raccontarle tutte quelle cose e di sicuro doveva essere quello il motivo per cui non gliene aveva parlato prima. “E poi cos'é successo?” domandò la bionda, certa che la storia non fosse finita lì. Pablo sospirò sconsolato, portandosi una mano tra i capelli corvini. “Dopo che il bimbo era cresciuto un po' e che Jade aveva smesso di ubriacarsi, all'incirca un anno fa lei, e Ángel sono tornati qui a Buenos Aries, mentre i miei genitori hanno preferito rimanere in Francia. Nel primo periodo é andato tutto bene ma poi...” l'uomo si interruppe, conscio che fosse arrivata la parte più difficoltosa di quel racconto. “Poi mia sorella é ricaduta nel giro dell'alcool. Era da parecchio che non toccava una bottiglia e la tentazione per lei é stata troppo forte tanto che é quasi finita in coma etilico...” Al ricordo di quei momenti Pablo sentì una morsa al cuore, mentre i suoi occhi si facevano lucidi e arrossati. Sapeva che era tutta sua la responsabilità di quello era successo, i suoi genitori in Francia erano riusciti a impedire alla mora anche solo di avvicinarsi alle bevande alcoliche, mentre lui, troppo preso dal lavoro e dalle mille preoccupazione aveva capito che Jade fosse ricaduta nel vecchio vizio solo alla fine. Si sentiva così stupido. “Credevamo tutti che ormai l'incubo fosse finito e invece... É successo tutto per causa mia, non sono riuscito a controllarla, sono stato un pessimo fratello...” La voce di Galindo ora era ridotta ad un sussurro e da quelle parole trasparivano chiaramente tutta la tristezza e il senso di colpa che provava in quel momento. Angie scosse la testa, strofinandogli la mani su e giù per il braccio, come per fargli forza. Le dispiaceva che il suo amico stesse così, forse sarebbe stato meglio se si fosse fatta i fatti suoi e non lo avesse costretto a rivangare quei ricordi tanto brutti per lui. “Ti conosco, so che tipo di persona sei e sono certa che tu abbia fatto di tutto per tua sorella, per vederla felice. Devi smetterla di addossarti sempre colpe che non hai Pablo! Ma poi é cosi grave tua sorella?” “No, alla fine é riuscita ad evitare il coma etilico e ora sta meglio. Adesso, visto che lei é ancora in ospedale, mi sto occupando io di Ángel. É un tipino vivace e sveglio, parecchio sveglio per la sua età.” spiegò Galindo, orgoglioso del suo piccolo nipotino. “Ah, allora ha preso dallo zio!” esclamò ridacchiando la bionda. “Sei troppo buona.” Galindo si lasció sfuggire un sorriso. “E tu sei troppo severo con te stesso, Pablo.” Il moro prese un profondo respiro, niente affatto convinto dall'affermazione dell'amica, ma non replicò. “Dai, vieni con me: andiamo a fare un giro! Mancano ancora quaranta minuti prima della fine dell'ora e tu hai bisogno di distrarti un po'! Basta stare sempre rintanato qui dentro!” Detto questo Angie afferò per un braccio un sorpreso Galindo e lo trascinò fuori dall'aula professori, con l'intenzione di andare a fare una rilassante passeggiata insieme a lui.










Ludmilla scese con molta cautela le scale, appiattendosi contro il muro per non farsi scoprire. Era passata una settimana da quando suo padre l'aveva vista insieme a Diego e da quel giorno l'uomo l'aveva rinchiusa in casa, impedendole di uscire per qualsiasi motivo. Non riusciva più a resistere in quell'inferno: suo padre era sempre più severo con lei e sua madre era totalmente indifferente a tutto quello che accadeva. Era proprio per quello che aveva deciso di andarsene: non ne poteva più di quella situazione insostenibile! Percorse gli ultimi passi che la separavano dalla porta quasi di corsa e, poggiando la mano sulla maniglia, si guardò attorno per l'ultima volta. Le faceva male abbandonare quel luogo dove era cresciuta, ma sapeva che le avrebbe causato molto più dolore rimanere. Era stufa di essere comandata a bacchetta e di non poter prendere decisioni di testa propria. Ma adesso basta! Diego con la sua presenza nell'ultimo mese le aveva dato un po' di coraggio e, per merito suo, ora sentiva di avere finalmente la forza per ribellarsi a quella situazione. “Si può sapere che stai facendo?” tuonò una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare per lo spavento. Ecco, per una volta che aveva deciso di dare un taglio netto e di riprendersi la sua libertà era stata scoperta... “Me ne vado.” sussurrò Ludmilla con voce ferma, trovando chissà dove il coraggio per rispondere a suo padre. “Sono stufa marcia della vita che mi obblighi a fare! Non posso e non voglio fare tutto quello che vuoi tu!” 
“Quante cavolate, sei sempre riuscita a fare tutto fino a quando non é arrivato quel ragazzaccio!” sbottò stizzito l'uomo “é stato lui, vero? É stato lui a metterti in testa queste idee assurde!”
Al sentire quelle frasi rivolte verso Diego, il suo Diego, l'unico che l'avesse mai ascoltata e si fosse preso cura di lei, la bionda si sentì ribollire di rabbia. “SMETTILA! Non ti rendi conto di essere ridicolo?! Quel ragazzaccio, come lo chiami tu, é stato la mia ancora di salvezza: lui mi ha fatto comprendere che non devo lasciarmi manipolare come una marionetta! Io non ce la faccio più papà!” Ormai, superata la paura iniziale, le parole scorrevano fuori dalle labbra di Ludmilla con la stessa violenza di un fiume in piena, così come le lacrime che, calde e copiose, le rigavano le guance. Lacrime amare di rabbia e di frustrazione, ma, allo stesso tempo, di infinita tristezza. Perché in fondo le dispiaceva trattare suo padre in quel modo e rifilargli quelle frasi così dure e taglienti, ma non poteva più tenersi tutto dentro, aveva un enorme bisogno di sfogare tutti quei sentimenti che aveva sempre tenuto dentro. “Benissimo e allora vattene! Vattene via di qui!” gridò d'impulso suo padre. Nello stesso istante in cui quelle urla risuonarono nell'aria, l'uomo avrebbe voluto non essersele mai lasciate sfuggire di bocca, ma ormai era troppo tardi. Aveva appena cacciato di casa sua figlia, la sua Ludmilla. “É esattamente quello che avevo intenzione di fare. Fidati, é la cosa migliore per tutti.” Detto questo la giovane si allontanò velocemente, costringendosi ad ignorare le urla del padre, che le ordinava di restare. Scappò via di corsa, con il vento che le sferzava il volto e i capelli, mettendo sempre più distanza tra lei e il luogo in cui aveva sempre vissuto. Sentiva un peso enorme che le opprimeva il cuore e la gola le bruciava per il pianto, non aveva nessuna certezza, non sapeva dove sarebbe andata ma di una cosa era certa: non sarebbe più tornata in quella casa.










Hola! Ed ecco che dopo quasi un mese di assenza sono tornata su EFP con un altro capitolo di questa folle storia! Vi chiedo davvero scusa per il mio solito ritardo ma sono molto presa con la scuola... Ma passiamo un po' a parlare del capitolo. Nel primo blocco troviamo Vilu che é ancora molto arrabbiata con i genitori e che pensa quasi di chiamare Leon! Putroppo però a causa del messaggio di Lara si dimentica del suo proposito... Comunque ormai non manca molto per la Leonetta, anzi già dal prossimo capitolo ci saranno delle scene loro! :3 Nel frattempo Francesca si riconciali con Federico ed i due decidono di restare amici, mentre Angie parla con Pablo e chiarisce la questione di Ángel. Ludmilla trova finalmente il coraggio di ribellarsi al padre e se ne va di casa! O.O Bene, credo di aver detto tutto, cercherò di aggiornare il prima possibile.
Besos
fra_piano for ever



    

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