The BlackHorse Herald - Il cacciatore oscuro

di Ben_hellis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il passato diviene presente ***
Capitolo 2: *** La verità nei suoi occhi ***
Capitolo 3: *** Incubi, realtà, somiglianza ***
Capitolo 4: *** Fugaci sguardi e piante carnivore ***



Capitolo 1
*** Il passato diviene presente ***


1. La strega di ghiaccio
Il passato diviene presente

 

 

Fuori dalla finestra le gocce di pioggia cadevano incessanti. I fulmini illuminavano il soffitto della sala, sotto il tavolo una bambina ansimava.

Lui, comparso all'improvviso dal buio, aveva sussurrato nel suo orecchio che l'avrebbe uccisa; lei cercò di scappare ma l'uomo, ridendo, le aveva afferrato un piede facendola cadere a terra. La sua mano era fredda come il ghiaccio, eppure faceva molto caldo in quel periodo. Nella penombra dell'abat-jour la bambina guardò verso di lui, era alto e portava un cappello da cui gocciolava del liquido, i suoi occhi rossi la scrutavano nel profondo, mostrò i suoi denti gialli e lei gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Le prime lacrime le solcarono il viso, si mise in piedi di scatto e uscì dalla camera. Non poteva pensare che la stava lasciando andare apposta.
Nel corridoio buio aveva paura, una paura che mai aveva provato. Una luce intensa venne dalla finestra, poco dopo un boato assordante fece vibrare i vetri. Saette cadevano veloci, i loro bagliori le illuminavano la via che sperava essere della salvezza.

Buio, luce, buio, luce, scale.

Le percorse con tutta la velocità che poteva sostenere, non sapeva dove andare, ma voleva uscire da quella casa.

Buio, luce, buio, luce, Porta.

Afferrò la maniglia e tirò verso di lei.

Buio, luce, buio, luce, mano

L'uomo bloccò la porta.
Come aveva fatto? Non l'aveva rincorsa, come poteva essere di fianco a lei?

Lui mostrò i denti in una specie di sorriso, prese dal lungo cappotto nero un coltello argentato. Lei gridò così forte da sentire la gola bruciare, concentrò tutte le sue forze e lo spinse per terra.
I fulmini si fermarono il tempo necessario perché la bambina scappasse, quando una saetta illuminò l'ingresso era lontana, sotto il tavolo della sala da pranzo.

Il cuore le pulsava a mille, era nascosta sotto quel vecchio tavolo ormai da diversi minuti. Sentiva la sua presenza, quell'uomo voleva farle del male.
«Perché la mamma e il papà non vengono e salvarmi?» Pensò.
Piccole lacrime le rigarono la faccia, si strinse le ginocchia con le braccia e guardò il braccialetto che le aveva dato sua madre, sembrava emettesse una piccola luce dal suo interno.
Fece un grosso respiro e pensò a quando la mamma glielo aveva regalato, era una notte tempestosa come questa e non riusciva a dormire per colpa dei fulmini. La madre con la sua dolce voce le aveva detto che se aveva paura doveva stringere il braccialetto, pensare a loro e ripetere una semplice frase.
Aprì la bocca per ripetere quelle parole, ma prima che ne potesse uscire un qualsiasi suono il tavolo venne rivoltato dall'uomo. Stringeva il coltello e rideva, rideva. La lama scese veloce verso la testa della bambina.

Luce, buio, luce, sangue.


Sarah si svegliò mentre urlava con tutto il fiato che aveva. Era sudata e stringeva forte le lenzuola del suo letto, ansimava e il cuore sembrava che le dovesse scoppiare da un momento all'altro. Si guardò intorno, vide il letto di fronte al suo: vuoto. Alyson non era ancora tornata dalle vacanze, anche se la sua compagna di stanza ci fosse stata non le avrebbe certo chiesto perché urlava nel mezzo della notte, anzi avrebbe avuto da ridire sul perché l'avesse svegliata senza un buon motivo. non le mancava per niente quella ragazza piena di sé. Ma presto sarebbe arrivata e avrebbe dovuto dividere di nuovo la stanza.
Accese la lampada sul suo comodino. La luce illuminò la stanza ricordandole quanto fosse piccola per due ragazze di sedici anni.
Sì, sono al collegio, va tutto bene, era solo un incubo.” Pensò cercando di calmarsi.
Portandosi le ginocchia sul petto fece un paio di respiri profondi. Alla fine decise di alzarsi e si diresse lentamente verso la porta del bagno, accese la luce dello specchio e strizzò gli occhi. Sospirando girò la testa verso la finestra, fuori stava quasi per albeggiare e tra poche ore sarebbe cominciato il nuovo anno scolastico, un anno come tutti gli altri.
Si appoggiò al lavandino, aprì l'acqua e si diede una sciacquata alla faccia, si passò l'asciugamano sul viso e si guardò alla specchio, i suoi capelli bianchi a caschetto riflettevano la luce come se fossero di argento.
"Piccole ciocche argentate" disse a bassa voce ripetendo quello che suo zio le aveva detto quando i suoi capelli erano cambiati di colore per quella terribile notte. Erano ormai passati dieci anni, ma non aveva scordato la morte dei suoi genitori. I suoi ricordi finivano come nell'incubo ma i suoi zii, che l'avevano presa in adozione, le avevano raccontato che i genitori erano stati uccisi per salvarla da quell'uomo che sparì nel nulla in quella stessa notte.
Strinse forte il lavandino e guardò intensamente nello specchio i suoi occhi azzurri erano pieni di rabbia e costernazione.
«Perché quell'uomo ce l’aveva con me? Perché ha ucciso i miei genitori?» Disse tra i denti mentre piccole lacrime le solcavano il viso.
Nella sua mente si affollavano tante domande, anche se le risposte non avrebbero fatto tornare i suoi genitori non poteva fare a meno di chiedersi il perché di tutto questo.
Si sentiva persa senza i suoi genitori, i suoi zii erano gentili con lei ma erano sempre assenti per lavoro. La scuola media fu il suo incubo peggiore, tutti la prendevano in giro perché aveva i capelli bianchi e perché era attratta dalla parapsicologia e dal misticismo, passione che le avevano passato i suoi genitori. Nel primo anno delle superiori non era andata meglio, ma finito l'anno i suoi zii avevano avuto un'occasione imperdibile di lavoro all'estero, così l'avevo mandata in collegio in Inghilterra. Uno dei migliori avevano detto.
«Pieno di boriosi e di figli di papà, il meglio del peggio.» Disse ad alta voce.
Guardò il braccialetto di sua madre sospirò e spegnendo la luce decise di tornare a letto. Prese dal cassetto la foto dei suoi genitori e la strinse a se. Si addormentò.


La sveglia non ebbe pietà, alle sette precise squillò. Sarah si girò di scatto a spegnerla. Scese dal letto e dopo essere passata dal bagno indossò la divisa della scuola.
Usci dalla sua camera, nel corridoio le altre ragazze parlavano tra di loro delle vacanze, dei ragazzi conosciuti e di quanto fosse noioso tornare a scuola dopo due mesi di vacanza.
«Pensa quanto è noioso farsi anche tutte le vacanze qui.» Pensò sbuffando.
Nella foresteria il volume delle voci era terribilmente alto, Sarah beveva il suo tè cercando di dimenticare l'incubo della sera prima.
«Eccoti, finalmente ti ho trovata!» Disse una voce femminile.
La ragazza si sedette di fianco a lei, stava per toccarle la spalla ma si fermò.
Sarah sorrise.
«Ciao Elly, ti vedo in gran forma stamattina, pronta per il nuovo anno?»
«Io sono sempre pronta. Ho letto tre volte il regolamento scolastico e, come ogni giorno, ho fatto i miei cinquanta passi per arrivare sino alla foresteria. Per fortuna ti ho trovata, altrimenti mi sarei dovuta fermare prima.» Rispose guardandola negli occhi.
«Tre volte? Non avevi deciso di leggerlo solo più una volta?» Disse prendendola in giro.
«Molto spiritosa signorina Frost, per questo mi sentirà ripetere tutte e quaranta le regole della scuola finché non avrai finito la sua colazione.» Disse accarezzandosi la lunga coda bionda che si faceva ogni mattina.
«No Elly, ti prego, so che li sai a memoria, come qualsiasi altra cosa tu legga per più di due volte.»
Mentre Sarah finiva la sua colazione Elly le elencò tutte le regole di comportamento della scuola con diversi suoi commenti aggiuntivi. Come ogni mattina Sarah pensava ad altro finché la sua amica non avesse finito il suo comportamento ripetitivo.
Quando la campanella suonò si alzarono tutte e due dal tavolo, Elly si teneva a distanza di qualche passo da lei e parlavo del più e del meno. Davanti a loro passarono diversi nuovi ragazzi.
«Hai visto Sarah? Sono i nuovi alunni della scuola. Ce ne sono una cinquantina, vuoi sapere il loro nomi e cognomi?» Disse Elly.
«No, grazie. Saranno come i miei compagni di classe: odiosi e come se tutto fosse di loro proprietà.»
«Quanto hai ragione, meno male che abbiamo il nostro piccolo posto al BlackHorse Herald. Cosa farebbe il giornale senza di noi?»
«Senza i tuoi articoli sarebbe un giornale più serio, ogni volta che leggo i tuoi articoli mi viene la nausea.» Disse ad alta voce un ragazzo alle loro spalle.
Si girarono tutte e due, davanti a loro un ragazzo della loro età le guardava sorridendo con superiorità. Si passò una mano tra i capelli corvini. «Dovresti proprio fare a meno di scrivere, tanto nessuno li legge i tuoi stupidi articoli sul paranormale e sui misteri di questa scuola.»
«Jasper, piccolo verme, come mai non sei a leccare i piedi ai professori per farti promuovere di nuovo?» Sarah avrebbe voluto rispondere così, ma si trattenne e salutò educatamente.
«Buongiorno anche a te Jasper. Se i miei articoli non ti piacciono puoi anche non leggerli.» Dicendo questo si girò di scatto e andò verso la sua classe.
«Te ne vai già? Quanta freddezza nelle tue parole, mi aspettavo un saluto più caloroso dopo le vacanze. Non mi stupisce che ti chiamino tutti la strega di ghiaccio.»
A quel soprannome Sarah si girò di scatto, i suoi occhi azzurri erano pieni di odio e stringeva i pugni, si era formata una piccola folla.
«Lascia stare questo signorino, che senza suo padre non si sa allacciare neppure le scarpe.» Disse Elly improvvisamente sorridendo al suo solito. Lui divenne scuro in viso.
«Hey “honky” vedi di farti i fatti tuoi.» Disse avvicinandosi, la strinse forte le spalle con le mani e la guardò fissa negli occhi.
Elly divenne paonazza, si divincolò e si appoggiò al muro chinandosi piano a terra.
«Non toccarmi, non toccarmi, non toccarmi.» Aveva le mani che tremavano e stava per piangere.
Jasper si stava avvicinando, Sarah si mise in mezzo pronta a tirargli un pugno.
«Lasciala stare, brutto ido...» Non finì la frase che un professore intervenne e la folla sparì di corsa.
«Cosa succede qua? Non dovreste essere in classe?»
«Mi stavo recando in questo preciso momento, ma questa ragazza ha avuto una crisi e volevo aiutarla.»
«Ci penso io signor White, lei vada in classe e pure lei signorina Frost, non voglio altri problemi per oggi.»
Sarah si chinò verso l'amica.
«Ci vediamo dopo Elly.»
Non aspettò la risposta, in quel momento era a in un altro mondo. Si allontanò, tutti si scostavano al suo passaggio, sentiva voci che parlavano alle sue spalle e vedeva quei sorrisini altezzosi formarsi sulle persone su cui posava lo sguardo, era piena di rabbia.
Alzò gli occhi dal pavimento, un ragazzo le stava sorridendo sinceramente, portava una borsa a tracolla come quelle dei fotografi. Non l'aveva mai visto prima. Stava per accennare un sorriso, ma si fermò di colpo.
«Sarà come tutti gli altri.» Pensò mentre si dirigeva verso il secondo piano.
Prese le scale secondarie dove non avrebbe incrociato nessuno, mentre saliva il silenzio l'avvolse, poteva sentire solo i suoi passi. Improvvisamente un brivido le trafisse il corpo come una lama, d'istinto si strofinò le braccia. Si guardò intorno cercando di capire da dove arrivasse, si avvicinò al corrimano, un secondo brivido la percorse, deglutì.
Stava cominciando a sudare, prese con entrambe le mani il corrimano e si sporse per la tromba delle scale, sotto di lei il buio. Guardò meglio, sembrava allargarsi verso di lei; no, la stava attirando. Sarah strinse le mani intorno al corrimano, ma il suo corpo si stava piegando in avanti, i suoi piedi si sollevarono di qualche centimetro da terra, gocce di sudore cadevano dalla sua fronte. In fondo, una piccola cosa attirò la sua attenzione e con il passare dei secondi la piccola cosa prendeva forma, era una mano. Sarah provò ad urlare ma il buio attutiva ogni suono, si stava avvicinando, stava per afferrarla, Sarah con tutte le sue forze si staccò dal corrimano e andò a sbattere contro il muro dietro di lei. Ansimava forte e tremava. Il freddo e il buio erano spariti, si mise in piedi e guardò verso le scale più in basso, era tutto illuminato come al solito.
In quel preciso momento la campanella suonò.
Sarah presa dal panico di arrivare in ritardo dimenticò l'affannamento e corse in classe.

 

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Capitolo 2
*** La verità nei suoi occhi ***


2. Il fotografo
La verità nei suoi occhi

 

«Siamo arrivati Denny, ora puoi svegliarti!» Esclamò l'uomo alla guida scrollando con la mano il passeggero.
«Odio quando mi chiami così.» Disse mentre sbadigliava.
Den guardò fuori dal finestrino della macchina del fratello, era nella più piena campagna inglese, guardò avanti e vide la sua nuova casa: un castello rimodernato a collegio, una struttura gotica maestosa.
«Ci hanno girato Dracula qui? Potrei tornare a casa come vampiro.» Disse sorridendo.
«Se non luccichi come l'ultima generazione di vampiri ti posso ancora accettare nella mia famiglia.»
La macchina entrò sotto il grosso cancello di metallo, sopra si ergeva una scritta: “Warden College”. Dopo pochi metri si fermarono in un parcheggio libero, scesero dalla macchina e si diressero verso il bagagliaio. Il fratello di Den aprì velocemente il bagagliaio e gli prese la pesante borsa.
Lo fissò dritto negli occhi, erano lucidi.
«Mamma e papà sarebbero fieri di te. Io...vorrei tenerti con me, ma... »
Den lo fermò.
«Lo so John, non devi preoccuparti, qui mi troverò bene, tu hai il tuo lavoro e devi pensare anche ad Eileen.»
«Mancherai tanto anche a lei, questo lavoro ci porterà lontano ma qualsiasi cosa chiamami subito.»
«Cosa vuoi che accada in un vecchio e noioso collegio.»
Den abbracciò suo fratello e prese la valigia, senza girarsi indietro andò verso l'ingresso del collegio.
«Ci vediamo tra un anno.» pensò tra se e se.
Mentre camminava si allargò il nodo della cravatta.
«Questa divisa è davvero molesta.» pensò sbuffando.
La sala d'ingresso del collegio era molto alta e spaziosa, gli studenti erano molti e si muovevano in tutte le direzioni con borse di varie dimensioni. Da quello che sapeva doveva dirigersi verso la segreteria e prendere la chiave della stanza dove avrebbe alloggiato.
Su un lato della sala vide diversi cartelli che indicavano varie direzioni, uno di questi specificava che la segreteria era al primo piano.
Den prese le scale, portandosi dietro la valigia, maledisse chi aveva deciso che gli studenti non potessero spedire i bagagli.
Il primo piano era ancora più pieno di studenti che sembravano spersi quanto lui, si avvicinò al bancone.
«Posso esserle utile?» Un'anziana signora lo guardò torvo visibilmente infastidita da così tanta gioventù.
«Sono Danny Write, sono iscritto al secondo anno ma è la prima volta che vengo qui.»
Senza dire nulla la signora prese un registro e con il dito indice scorse un elenco, Den notò che il suo viso era una ragnatela di rughe, si chiese quanti anni avesse. La segretaria alzò improvvisamente gli occhi e lo guardò intensamente come se gli avesse letto nel pensiero, Den deglutì. Senza dire nulla si alzò e prese dalla bacheca dietro di lei una busta.
«La sua stanza è nell'ala maschile, la numero 122.» Disse mentre gli porgeva la busta.
Prima che Den potesse dire qualcosa continuò.
«Per arrivare all'ala maschile deve prendere il corridoio fino in fondo, salire le scale fino al quarto piano, la sua stanza è dalla parte sinistra della sala che si troverà davanti. Questa è una mappa delle varie zone della scuola.»
Tracciò dei cerchi con la penna.
«Qui è la foresteria, ci sono le classi del secondo anno, qui sono i vari club del collegio e qui la sala studio. Ah, e qui è dove è vietato entrare, l'ala femminile. Buona giornata signor Write.»
«Buona giornata anche a lei.» Subito un altro prese il suo posto al bancone.
Den si allontanò un po' intontito dalle tante informazioni ricevute in pochi secondi. Tirò su il suo bagaglio e si diresse verso la sua stanza, dopo essersi perso diverse volte e fatto dare diverse indicazioni arrivò all'ala maschile.
Arrivato al piano notò subito la sala che divideva i due corridoi delle stanze. Un enorme camino si stagliava al fondo della stanza, intorno le pareti erano coperte da libri, il pavimento non si vedeva quasi; sopra di esso poltrone e tavoli facevano pensare più ad una sala studio che da relax.
Prese il corridoio di sinistra e cercò il numero della sua stanza, era una delle ultime.
Guardò la porta pensieroso, non aveva nessuna chiave.
«Che mi sia dimenticato di chiederla, quella vecchia poteva anche ricordarmelo.» Pensò.
Stava per girarsi quando una voce alle sue spalle gli disse che la porta era aperta.
Si girò di scatto e vide un ragazzo della sua età con una valigia.
«Ciao, sono Colin e penso che divideremo la stanza per quest'anno.» Disse allungando la mano.
Den si presentò e allungò la mano; sembrava di stringere un budino.
Colin aprì la porta e gli indicò il suo letto, di conseguenza Den si sistemò su quello rimasto, la stanza era più grande di quanto avesse pensato; con due scrivanie ai lati opposti, ma tutte e due vicine al letto, un comodino e una cassettiera.
«Quella è la porta del bagno e in quei cassetti puoi mettere la tua roba. Nei sotterranei c'è una lavanderia, ma attento a non sporcare la divisa, se ti presenti senza passerai dei guai.»
«Grazie.»
Den tolse le sue cose dalla borsa e le sistemò nei cassetti, in fondo ad essa spuntò la sua borsa a tracolla dove teneva la sua macchina fotografica, la tolse e controllò che fosse tutto a posto. Il compagno di stanza la vide ma non disse nulla.
«Un tipo di poche parole, speriamo che non siano tutti così qua dentro.» Pensò controllando lo stato della batteria.
Battendo le dita sul suo orologio Colin disse a Den che tra poco sarebbe suonata la campanella di fine colazione. Gli spiegò le cose necessarie per raggiungere la foresteria e a che ora avrebbe dovuto regolare la sveglia sul suo comodino.
Den ascoltò in silenzio le indicazioni, prima che il suo compagno di stanza gli potesse dire cosa c'era all'interno della busta la aprì.
Dentro c'erano diversi fogli con le informazioni sulla sua classe e una lettera di benvenuto personale del rettore. Ripose tutto in un cassetto della scrivania e uscì con Colin.
Percorsero insieme il corridoio ma non dissero una parola, Den capì che il suo compagno di stanza stava solo eseguendo il codice di buona educazione con una matricola, sicuramente non avrebbe mai stretto un rapporto con lui.
Arrivati al primo piano gli fece vedere la foresteria e in quel preciso momento la campanella di fine colazione suonò e Colin gli fece strada verso le classi.
Camminando per il corridoio Den sentì una ragazza gridare di non toccarla, Colin si girò di scatto.
«Ecco, ci risiamo, Jasper ha di nuovo trovato la sua vittima.» Disse sorridendo.
Den cercò di avvicinarsi alla piccola folla tra i due ragazzi, ma prima che potesse farlo intervenì un professore e gli studenti si dispersero. Lui rimase fermo e vide una ragazza che si stava allontanando dalla scena, aveva i capelli bianchi. Per un attimo i loro sguardo si incrociarono, i suoi occhi di ghiaccio perforarono Den, erano pieni di rancore. Lui sorrise, ma non ci fu risposta e la vide andare via.
Prima che Den potesse dire qualcosa Colin si avvicinò a lui.
«Lei è la strega di ghiaccio, una ragazza strana, si dice che abbia ucciso i suoi genitori. Nessuno qui le parla, tranne quella ragazza che vedi laggiù.» Colin indicò una ragazza bionda che un professore cercava di calmare.
«L'unica amica che ha è quella storta di Elly Preston. Sono una bella coppia: una pazza attratta dal misticismo, l'altra una specie di autistica abitudinaria che non vuole farsi toccare da nessuno.» Colin si lasciò scappare una risata.
«Se vuoi avere un'idea di ciò che sto parlando ti basta leggere qualche articolo sul BlackHorse Herald. Lavorano tutte e due nella redazione ma se fossi in loro smetterei di farmi notare, così facendo creano solo problemi.»
Den cominciava a capire in che genere di posto fosse finito, ma gli era sempre stato insegnato a guardare oltre le persone e si frenò dal tirare un pugno a quell'idiota.
«Ora è meglio che vada in classe, non vorrei far tardi al primo giorno.» Disse sforzandosi di sorridere.
«Certo, certo matricola; passa una buona giornata.»
«Che stupide ragazze che abbiamo qui.» Disse piano senza togliere lo sguardo da Elly.
Senza prestare attenzione all'ultima frase Den si incamminò verso la sua classe.
Mentre percorreva il corridoio non poteva pensare agli occhi di quella ragazza, gli avevano ricordato i suoi quando pensava ai suoi genitori. Ma quel tempo era lontano, ed aveva imparato a dimenticare. Ma sapeva che dolore nascondevano quei occhi.
Den guardò la sua borsa a tracolla.
«BlackHorse Herald? Chissà se hanno bisogno di un fotografo.» Pensò mentre saliva le scale insieme agli altri studenti.

 

Qualcuno ansimava nell'oscurità, le sue mani toccavano le pareti umide cercando una qualsiasi via d'uscita, i piedi strisciavano lentamente per paura di inciampare. Le orecchie erano tese, il più piccolo rumore lo faceva sobbalzare, gli occhi cercavano di abituarsi al buio ma era tutto inutile. L'unica cosa che intervallava la sua cecità erano le piccole luci di emergenza che rendevano i sotterranei del collegio più simili ai corridoi di un manicomio.
«Che stupido che sono stato ad accettare questa sfida, solo per entrare in quel club, di questo passo perderò la prima lezione.» Disse con voce spezzata.
Gli era stato detto che se fosse arrivato dall'altra parte del sotterraneo avrebbe potuto fra parte di un club ristretto ai migliori elementi del collegio. Tutte le ragazze lo avrebbero amato, i professori lo avrebbero elevato a migliore della sua classe e nessuno gli avrebbe dato fastidio. Non avrebbe più subito le angherie che lo avevano perseguitato in tutti questi anni, aveva sperato, ma ormai quel sogno si era spezzato. Non avrebbe mai trovato l'uscita opposta, doveva tornare indietro.
Singhiozzando percorse la strada al contrario, pochi metri dopo le sue mani toccarono un muro, era un vicolo cieco. Il sudore cominciò a colargli lungo la schiena, brividi gli percorsero il corpo.
«Questo muro, prima non c'era. Non capisco, sono sempre andato dritto.» Pensò mentre sentiva il panico salire.
Batté i pugni sul muro, era solido.
«Se è uno dei vostri stupidi scherzi non fa ridere!» Urlò.
Non ebbe risposta.
Si lasciò cadere sul pavimento, aveva così sperato di essere migliore, di essere finalmente qualcuno. Le pareti sembravano stringersi intorno a lui, il respiro gli mancava, voleva uscire da lì.
Alzò gli occhi lucidi e guardò verso il corridoio, in fondo una piccola luce lo fece alzare all'improvviso.
«L'uscita! Allora sono vicino.» Pensò mentre si sfregava gli occhi.
Corse verso la luce, davanti a lui una piccola porta socchiusa lo invitata ad entrare.
«Ci sono, finalmente. » Afferrò la maniglia e la tirò indietro.
Il sorriso lasciò in fretta le sue labbra, davanti a lui un infinito corridoio coperto di tubi gli fece perdere ogni controllo.
«Non è possibile! Questo non ha senso!» Le sue parole si propagarono per tutto il corridoio formando un eco surreale.
Frustrato cominciò a percorrerlo tenendo le mani sui tubi tiepidi. Dopo alcuni passi le sue orecchie tese sentirono improvvisamente un rumore metallico, si girò di scatto ma non notò nulla nella penombra.

Ding.

Questa volta non se lo era immaginato.

«Chi è la? Non è divertente!» Urlò mentre aumentava il passo.

Ding.

Le sue gambe si muovevano più velocemente, non si era accorto di aver cominciato a correre.

Ding.

Il rumore era sempre più vicino, sentiva le vibrazioni sul tubo, qualcuno lo stava inseguendo.

Ding.

Un altro muro. Sfregò e mani sui mattoni fino a farsi male. Il rumore cessò.
Non voleva girarsi, non voleva vedere, qualcosa nel buio lo afferrò.

 

Anni nell'oscurità, anni a cercare l'uscita, l'aveva trovata.

Poco ci mancava ad afferrarla di nuovo, qualcuno si è messo in mezzo.

Si è accontentato, ma non dovrà farli incontrare mai più.

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Capitolo 3
*** Incubi, realtà, somiglianza ***


3. La strega di ghiaccio
Incubi, realtà, somiglianza

 

 

Sarah non riuscì a concentrarsi per tutta la durata della lezione mattutina.
L'incubo di quella notte l'aveva scossa a tal punto da avere delle visioni? Più cercava di allontanare quel pensiero più i ricordi affioravano taglienti. Stava sudando e le mani le tremavano, smise di prendere appunti.
«Signorina Frost va tutto bene?» Chiese l'insegnate un po' scocciata.
«Sì, mi scusi.» Disse riprendendo la penna in mano.
Facendo finta di scrivere si chiese se Elly stava meglio, lei non voleva essere toccata da nessuno né aveva mai toccato qualcuno, era un suo limite. Sarah le voleva bene come se fosse una sorella, era l'unica persona che non l'aveva mai presa in giro per i suoi capelli e le sue passioni. La sua unica amica lì dentro.
Sbuffando guardò fuori dalla finestra il sole di settembre entrava timido dalle finestre. In quel momento sarebbe voluta essere da tutt'altra parte.
Finalmente il dolce suono della salvezza. L'orologio segnava l'una in punto e Sarah sentì il suo stomaco brontolare, voleva mettere qualcosa sotto i denti ma prima doveva passare a vedere come stava Elly.
Senza dire una parola uscì dalla sua classe e si diresse verso quella della sua amica. Parlando con l'insegnate seppe che Elly era già scesa in foresteria. Sollevata si recò anche lei nella sala da pranzo, di malavoglia evitò le scale secondarie e scese con gli altri studenti.
La coda per il pranzo era già lunga, eppure le ultime classi avevano lezione sino alle due del pomeriggio; rassegnata aspettò il suo turno, prese un piatto di riso e la frutta. Con lo sguardo cercò la sua amica ma non la vide, evitò di passare vicino al tavolo di Jasper e i suoi amici; si sedette vicino alla finestra e guardò fuori, nel cortile le macchine dei genitori delle nuove matricole erano già sparite, gli alberi vicino al muro si muovevano tutti insieme mossi dal vento; la campagna inglese si prolungava sino a delle piccole colline.
«Altri tre anni e poi dove sarò?» Pensò mentre finiva il suo piatto.
In quel momento le mancava Elly, ma sapeva che l'avrebbe trovata alla redazione, oggi ci sarebbe stata la prima riunione ed era eccitata dal cominciare un nuovo anno al giornale. Scrivere era l'unico sfogo che le veniva permesso, per fortuna andava bene a scuola e con i professori non aveva problemi, ma mai nessuno le aveva fatto i complimenti per qualche suo articolo.
«Chissà se qualcuno li legge.»
Finito il pasto prese il vassoio con i piatti e li lasciò negli appositi spazi. Si guardava intorno cercando quel ragazzo con la tracolla, le aveva sorriso, nessuno lo faceva mai.
Si diede un colpetto sulla testa e scacciò quel pensiero.
«Adesso ti picchi anche strega di ghiaccio?» Chiese una voce, risate si levarono da un tavolo.
Sarah sovrappensiero era passata vicino al tavolo che aveva evitato per tutto il pranzo, ignorando la domanda e guardando basso li oltrepassò.
«Che maleducata, non risponde neppure alle domande.»
Stringendo i pugni uscì velocemente dalla foresteria, andò verso le scale secondarie, ma arrivata all'arco di ingresso sì fermò di colpo, non vedeva le scale al suo interno; sembrava che qualcuno avesse tirato una tenda nera all'ingresso. Sarah allungò la mano, non voleva toccarla, ma qualcosa muoveva il braccio verso quell'ammasso di oscurità.
Poi lo vide, quell'uomo con i denti gialli e il coltello che scendeva verso di lei, ma una mano la prendeva spostandola, il coltello di conficcava nel pavimento, alzò lo sguardo e vide...
«Sarah!»
Si girò di scatto il braccio era ancora teso, ma fuori dall'arco.
Elly era davanti a lei, sorrise come suo solito.
«Va tutto bene? Cosa fai qui? Passiamo dall'altra parte, quelle scale non mi sono mai piaciute.»
Sarah aveva il cuore che batteva all'impazzata e annuendo cercò di darsi un contegno.
«Sono felice che tu stia meglio Elly, ho temuto che...» Non finì la frase che l'amica la interruppe.
«E' passato, quello spocchioso mi ha fatto perdere la calma, prima o poi gli darò una sistemata.»
Sarah rise.
«Vorrei dargliela pure io.»
Arrivarono al piano delle loro classi e continuarono per il corridoio sino in fondo.
Sarah guardò in alto l'insegna con il titolo del giornale. Inspirò profondamente e varcò la la porta pochi metri più avanti.
«Come al solito siete le prime ad arrivare ragazze.» Disse un ometto con gli occhiali spessi e un piccolo naso che andava in contrasto con le grosse lenti.
«Buongiorno signor Hall.» Dissero in coro.
«Lo sapete che potete chiamarmi Wally. Accomodatevi pure al tavolo, spero che gli altri arrivino presto.» Disse toccandosi i pochi capelli rimasti.
Le due amiche percorsero la sala centrale ed entrarono in una sala poco più piccola con al centro un lungo tavolo rettangolare. Sarah quando era appena entrata nella redazione si era chiesta perché non fosse rotondo, dopo la prima riunione capì come funzionavano le cose in quella scuola. A volte si stupiva di come le permettessero ancora di scrivere, forse il signor Hall non era così sprovveduto come sembrava.
Dopo pochi minuti la sala si riempì e tutti si sistemarono al proprio posto.
Il signor Hall, come direttore del giornale, incominciò con il discorso motivazionale che teneva ogni inizio anno.
Dopo aver votato i capiredattori e parlato del successo dell'anno scorso ognuno si divise nelle proprie zone di lavoro, essendo un giornale della scuola i temi non erano molti, ma ci lavoravano una ventina di persone.
Sarah e Elly erano sistemate su una piccola scrivania su un lato dell'enorme sala, il computer si accendeva lentamente. La loro rubrica riguardava i fenomeni sovrannaturali e leggende metropolitane, con particolare attenzione al collegio stesso, dove sembrava ci fossero stati diversi strani avvenimenti. Avevano collezionato diversi articoli ed erano entrambe soddisfatte del lavoro di quei due anni.
Sarah prese una cartellina da sotto una pila di fogli e la porse ad Elly.
«Avrei voluto parlartene prima, ma avevo paura anche io di rivivere il passato.»
Elly l'aprì, al suo interno diversi articoli di cronaca nera e di omicidi.
«Ma questi sono...»
«Tutto quello che riguarda la morte dei miei genitori e del loro assassino.» La interruppe Sarah a bassa voce.
«Ma questi sono omicidi di altre persone.» Elly guardò velocemente gli articoli.
Prima che Sarah potesse dire qualcosa continuò.
«Hai trovato somiglianze tra i vari casi, ma non vedo l'articolo dei tuoi genitori.»
«Non l'ho mai trovato da nessuna parte. Tutte le informazioni su quella notte sembrano essere sparite. Ma sono sicura che questi casi abbiamo delle cose in comune con quell'uomo.»
prese fiato e continuò.
«In tutti questi casi l'assassino è scomparso e le ferite riportate sui corpi sono di un coltello.»
«Qui, le date sono antecedenti a quella notte.» Disse Elly.
«Vuoi dire che...» Continuò.
«Sì, lui ha finito di uccidere la notte che i miei sono morti.»
Elly la guardò, nessuna delle due sapeva cosa dire. Il mistero su quella notte era come un gomitolo di lana, dovevano solo ritirare il filo giusto, si sarebbe disfatto e tutto si sarebbe risolto.
«Non sapevo che avessi continuato a pensare a quella notte.»
«Io devo sapere Elly, Devo sapere chi ha ucciso i miei genitori e cosa è successo in quella notte.»
«Io ti aiuterò a risolvere questo mistero e grazie agli articoli del BlackHorse potremmo lavorarci senza che nessuno ci disturbi.» Elly le fece un occhiolino.
Sarah sorrise, stava per ringraziarla, ma delle urla le fecero girare improvvisamente verso la porta.
Un ragazzo della redazione entrò gridando che un nuovo ragazzo della scuola era stato ferito da un coltello nei sotterranei.
Sarah si alzò di scatto e suoi pensieri andarono subito al suo incubo, poi al ragazzo con la tracolla. Il cuore le batteva forte.
«Calma, ragazzi. Manderemo qualcuno per farci un articolo, sarà stato sicuramente un incidente.» Disse il signor Hall.
«Vorrei andare io.» Sarah era così sicura di sé che tutti si ammutolirono.
Il direttore sorrise.
«Il pezzo è tuo, Elly accompagnala.»
Una ragazza con i capelli ricci stava per dire qualcosa ma si fermò di colpo, era visibilmente contrariata. Sarah prese velocemente taccuino e penna. Elly ripeteva tra se e se tutte le regole su come fare una buona intervista.
Si dirisero verso la porta, oltre la soglia un ragazzo stava per entrare. Sarah alzò leggermente la testa, incrociò occhi già visti, poi notò la tracolla. Le sfuggì un sorriso di speranza, stava per dire qualcosa, ma Elly era già oltre e doveva fare in fretta. Avrebbe voluto fermarsi, ma le sue priorità erano altre in qual momento. Raggiunse l'amica e scesero le scale in tutta fretta.
Un piccola folla si era già radunata all'ingresso del collegio, ma era formato maggiormente da professori.
Qualunque cosa dicessero non potevano avvicinarsi al ragazzo che era visibilmente sconvolto. Il medico della scuola lo portò nell'infermeria, Il rettore lo seguì.
«Seguiamoli anche noi, troveremo il mondo per parlargli.» Disse Elly con una strana luce negli occhi. Aveva avuto un'idea.
Li seguirono sino all'infermeria. Dopo diversi minuti il rettore uscì con il medico e si misero a discutere nel corridoio, erano troppo lontane per capire di cosa stessero parlando, poco dopo il rettore se ne andò, il dottore rimase con una mano sul mento pensieroso.
«Sai cosa devi fare. Ci troviamo tra mezzora al solito posto.» Disse Elly.
Prima che Sarah potesse dire qualcosa lei partì verso il medico e sfoggiando un sorriso accecante gli chiese delle informazioni per il giornale della scuola e se potevano parlarne in un luogo più tranquillo. Il medico annuì e le fece strada verso il suo studio. Elly fece il pollice in su dietro la schiena rivolto a Sarah. A volte la sua amica era proprio incredibile.
Assicurandosi che non ci fosse nessuno nel corridoio Sarah si avvicinò alla porta e l'aprì piano.
All'interno c'erano diversi letti di degenza, su uno di essi c'era il ragazzo ferito. Le braccia erano completamente coperte di bende. Sembrava dormisse.
Lei si avvicinò lentamente al letto, avvicinò la mano alla sua spalla, lui le prese il braccio di colpo spaventandola.
«Ce ne sono altri, sono scappato. Lui cerca qualcuno.» I suoi occhi erano spalancati e parlava velocemente.
«Chi? Dove?» Chiese Sarah, le faceva male.
«Il buio mi ha preso, aveva un lungo coltello argentato.»
A quelle parole le si gelò il sangue nelle vene.
«C'è qualcuno nei sotterranei? Che aspetto aveva?»
«Rideva, rideva, mi ha lasciato andare. NESSUNO GLI SCAPPA!» Urlò.
Sarah si staccò dalla sua presa era sconvolta, non sapeva più cosa dire.
Lui la guardava con gli occhi spalancati.
«E' colpa tua.» Disse con un filo di voce prima di chiudere gli occhi.
Sarah non riusciva a muovere neppure un muscolo, era come pietrificata. Doveva andarsene, che spiegazione avrebbe potuto dare se qualcuno l'avesse trovata lì?
Per quanto si sforzasse di andarsene continuava a guardare quel ragazzo un po' paffuto e le sue ferite sul braccio, tirò su la manica della divisa. Solo occhi attenti avrebbero potuto notare il filo che percorreva il suo avambraccio. Quell'uomo aveva lasciato il segno, oltre che nella sua mente, sul suo corpo quella notte. Abbassò velocemente la manica e riguardò le ferite, erano simili? Non poteva dirlo con le garze e non aveva nessuna intenzione di toglierle.
Tutta questa storia la stava facendo impazzire, la testa cominciò a farle male.
«Devo uscire di qui o ci rimetto la mia sanità mentale.» Pensò.
Con un sforzo incredibile si diresse verso la porta, vide la maniglia girare. Presa dal panico si rifugiò dietro il separé bianco in fondo alla stanza e rimase immobile. La porta si aprì con un cigolio e venne subito richiusa. Sarah sentì dei piccoli passi, pochi secondi dopo il silenzio.
Da quella posizione non poteva vedere nulla, si chiedeva chi fosse entrato, conosceva bene Elly e non avrebbe lasciato il medico prima di venti minuti. Si era fermata così tanto?
Sentiva caldo e cominciava a sudare, la gola era secca. Deglutì con fatica
Sentì il ragazzo dire qualcosa a bassa voce, tese le orecchie per sentire, ma era troppo lontana, sentì qualcun altro parlargli, ma i volume della voce era troppo basso.
«Se gli dice che sono stata qui?» A quel pensiero Sarah cominciò a sudare ancora di più, si mise le mani in testa scompigliandosi i capelli. Sentì di nuovo dei passi, chiuse gli occhi e trattenne il respiro più che poteva. La porta si aprì e subito si chiuse.
Era passati diversi secondi ed ancora non si era mossa né aveva respirato. Prese coraggio e guardò oltre il separé, c'erano solo lei e il ragazzo. Senza perdere altro tempo uscì dall'infermeria e andò verso il cortile. Ogni volta che dovevano parlare di qualcosa lei ed Elly si ritrovavano sempre sotto il grande faggio nel cortile, così che nessuno avrebbe potuto sentire i loro discorsi. Scese in fretta le scale, la scuola era deserta, tutti erano nei club di appartenenza o nelle aule studio. Uscì e percorse il porticato, un soffio di vento le scompigliò i capelli bianchi, ma subito se li sistemò.
Si appoggiò al grande faggio al centro del piccolo cortile. Elly non si vedeva. Poco dopo l'amica arrivò e si raccontarono quello che avevano scoperto.
«Ha detto davvero quelle frasi?» Chiese Elly stupita.
«Mi si sono impresse nella mente, non posso sbagliarmi. Ha parlato di un coltello, di un uomo nel buio.» Sarah era visibilmente agitata.
«Il medico mi ha detto che era sotto shock e che probabilmente si è ferito con arnese da giardinaggio, il giardiniere l'ha trovato nel ripostiglio degli attrezzi vecchi steso a terra con le braccia ferite.» Fece una pausa.
«Lui esclude sia stato un coltello o qualche persona. Ma è un fatto grave e il rettore indagherà personalmente. Il sotterraneo è vietato agli studenti, ci sono cunicoli pericolanti e ci può perdere facilmente.»
«Ho visto i suoi occhi Elly, non mentiva. Qualcuno lo ha ferito. E ho paura di averlo già incontrato.»
«Non dire fesserie Sarah! Non può essere lui, sei in un altro stato e qui nessuno può entrare senza permesso, ci sono telecamere dappertutto.»
Sarah rimase in silenzio.
«Scusami, ho avuto una nottataccia e ancora non mi sono ripresa. Ma sono sicura che c'è più di quello che ci vogliono dire e voglio andare sino in fondo.» Sospirò.
«Ora è meglio tornare in redazione e scrivere quello che il medico ci ha riferito. Il resto lo terrei per noi.»
«Sono pienamente d'accordo, il medico non sembrava troppo sincero. Ricordo quell'anno del 1940 quando un medico...»
Elly cominciò ad elencare casi di incompetenza di medici dagli anni '40 sino ad adesso con molta precisione, Sarah l'ascoltava, ma la sua mente non poteva fare a meno di pensare all'ultime parole del ragazzo: “E' colpa tua.”

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Capitolo 4
*** Fugaci sguardi e piante carnivore ***


4. Il fotografo

Fugaci sguardi e piante carnivore

 


La classe di Den era come se l'era immaginata: tutti ragazzi uniti tra loro solo per motivi scolastici e non personali. Non si poteva dire che fossero amici, ma più colleghi di lavoro, questo lo disturbava.
Inizialmente si era sentito estraneo, ma alla fine era riuscito a parlare con un paio di ragazzi e ragazze, sperava di allacciare almeno qualche rapporto.Finite le lezioni andò con alcuni suoi compagni nella sala da pranzo, era piena di studenti ma trovarono facilmente dei posti a sedere. Gli spiegarono diverse cose sui club e sullo studio nel post-scuola. Ma lui sapeva già a quale club sarebbe appartenuto e chiese informazioni sul BlackHorse Herald.
Tutti storsero il naso a sentire quel nome, un pensiero balenò nella mente di Den ma sperava che si sbagliasse.
«E' un club di serie B?» Disse con sottigliezza ma con tono ironico.
Un ragazzo vicino a lui sbuffò.
«Ma no, solo che ci sono club molto più importanti, lì non si fa nulla di interessante. Potresti venire nel mio, il club di scrittura creativa è davvero ben fatto.»
Den sorrise.
«Non sono bravo a scrivere, sono solo un buon lettore.»
«Beh, se vuoi più informazioni vieni a trovarmi oggi al club, sarò felice di presentarti alla professoressa che se ne occupa.»
Per il resto del pranzo parlarono del più e del meno e infine si divisero.
Prima di recarsi alla redazione Den voleva sapere di più sugli articoli di quella ragazza e si diresse in biblioteca per leggere alcuni numeri del BlackHorse Herald dell'anno scorso.
Al banco dei prestiti una ragazza del quinto anno lo guardò da dietro gli occhiali rettangolari, gli regalò un sorriso sincero e gli diede istruzioni dove trovare le copie dell'anno scorso. Den ne prese un paio e si sedette ad un tavolo, non c'era ancora nessuno.
Non sapeva perché fosse lì in quel momento, qualcosa negli occhi di quella ragazza lo avevano spinto a sapere più di lei; sembrava di vedere se stesso due anni fa, ma non era quello il momento di perdersi in ricordi.
Scorse diversi articoli, fu preso da quei misteri e dalle leggende metropolitane narrate in quelle colonne. Era più convinto che mai, avrebbe fatto parte della redazione. Forse il suo talento come fotografo gli sarebbe servito a quella ragazza misteriosa.
Den non sapeva quanto tempo era passato, ma ad un certo punto la ragazza dei presiti gli si avvicinò dicendogli che se voleva far parte della redazione oggi era il termine massimo per dare la sua disponibilità.
«Oggi? Ho cavolo, mi sono trattenuto più del dovuto! Grazie della dritta.»
Den prese tutti i giornali velocemente, la ragazza gli sorrise.
«Li rimetto a posto io, non ti preoccupare.»
«Grazie ancora.» Den stava per andarsene quando si fermò di colpo e si girò verso la ragazza.
«Ehm... Sai mica dove si trova a redazione?»
Lei rise e gli diede le indicazioni, ringraziandola ancora una volta Den uscì dalla biblioteca.
Mille pensieri gli ronzavano nella testa e cercò di fare in fretta, non voleva essere escluso dal club solo per un semplice ritardo. Arrivato nel corridoio vide in fondo l'insegna del giornale e inspirando profondamente si avvicinò, un ragazzo gli diede un spallata che quasi lo fece cadere.
«Hey!»
Ma lui non si girò neppure e continuò a correre, lo sentì urlare dal fondo del corridoio frasi sconnesse. Non capendo bene cercò di avvicinarsi più velocemente.
Arrivato sulla soglia una ragazza dai capelli biondi lo superò velocemente.
«Ma lei è...» ma non fece in tempo a completare il suo pensiero che vide quell'azzurro che aveva mosso in lui ricordi lontani. Fu un attimo, voleva allungare la mano e fermarla ma la vide andare via di fretta, i suoi capelli riflettevano una luce quasi argentea.
«Cosa fai lì sulla porta? Entra pure!»
Una voce squillante lo destò dai suoi pensieri.
Davanti a lui un uomo poco più basso di lui lo guardava da dietro le lenti spesse, si grattò i pochi capelli bianchi in testa e aprì la bocca come per ripetere la domanda. Den lo anticipò.
«Sono qui per far parte della redazione, se è possibile, chiedendo anticipatamente scusa per il ritardo di presentazione della mia domanda. » Disse tutto ad un fiato.
L'uomo gli sorrise e gli disse di seguirlo. Mentre si dirigevano in una parte della sala vide tutti i ragazzi già al lavoro, una scrivania con migliaia di fogli era vuota.
Lo fece accomodare in un piccolo ufficio e si presentarono
«Che cosa ti porta al BlackHorse Herald?»
Den scelse bene le sue parole.
«Vorrei partecipare come fotografo ufficiale del giornale. Ho vinto qualche concorso e posso far vedere un portfolio con dei miei lavori.»
Il signor Hall aggrottò la fronte.
«Pensavo fossi interessato a scrivere articoli. Questa però è un'ottima notizia, il nostro fotografo ormai è un ex studente, sei fortunato il posto è tuo.»
«Non devo mostrare nessun lavoro?»
«Non è un club esclusivo, qui tutti possono dare il loro contributo anche se piccolo. Io capisco al volo le persone, so che potrai fare un ottimo lavoro. Anzi, ti metterò subito alla prova.»
Il direttore si alzò e chiamò una ragazza con i capelli ricci che arrivò subito.
«Elise, perché non scrivi un articolo sul laboratorio di giardinaggio? E' tanto tempo che ci chiedono un articolo, i membri sono sempre di meno.»
La ragazza fece un cenno di assenso con la testa e la sua attenzione si spostò verso Den.
«Lui sarà il nuovo fotografo, oggi ci darà prova della sua bravura.» Disse facendo l'occhiolino.
«Bene, allora andiamo subito, io sono Elise.»
Den si presentò a sua volta. Lei lo fissava dritto negli occhi, il naso all'insù e i capelli ricci neri la facevano sicuramente una ragazza popolare in quella scuola pensò.
Uscirono dalla redazione, Elise gli spiegò che avrebbe intervistato il presidente del club e alcuni ragazzi. Gli disse in che modo voleva le foto e quale era il suo lato migliore per essere ripresa.
Den ascoltava ma non poteva fare a meno di pensare a dove fosse la ragazza dai capelli bianchi in quel momento.
«Inoltre sai che il club di giardinaggio ha una bellissima serra dove coltivano ogni tipo di pianta che poi viene venduta?»
Den si destò di colpo.
«Interessante, penso che verrà un ottimo articolo, spero di fare un buon lavoro con le foto.»
Scesero nel cortile e proseguirono vicino ad un porticato con un grosso albero al centro, superato percorsero il giardino sino ad arrivare ad un enorme serra.
All'entrata li aspettava un ragazzo con dei guanti e un grembiule sporco di terra, Elise si avvicinò a Den per dirgli che era lui il presidente.
Come da tradizione in quella scuola si presentarono e il presidente li invitò ad entrare, l'aria era molto calda e per un attimo Den si sentì soffocare. Davanti a lui migliaia di piante e fiori di vario tipo riempivano grossi banconi di metallo, le pareti e il tetto erano trasparenti, ogni angolo della serra era ben illuminato. Al lavoro c'erano pochi studenti rispetto ai vegetali che si trovavano all'interno.
Elise cominciò la sua intervista e Den scattò alcune foto e lei e agli studenti. Si spostarono di zona e il presidente con sguardo fiero indicò un largo bancone con sopra delle piante carnivore.
«Sono fiero di queste zona, riusciamo ad allevarle anche con la temperatura invernale inglese, sono il nostro gioiello.»
Elise per un attimo scosse la testa, mentre gli faceva le ultime domande Den scattò una foto al presidente vicino alle piante.
Improvvisamente un altro studente lo chiamò e lui scusandosi si allontanò.
Elise si avvicinò alle piante e cominciò a giocarci toccando la parte sensibile e togliendo il dito mentre si stavano per chiudere.
«Sarei dovuta andare io dal ragazzo ferito. Invece ha mandato quell'altra, una che scrive di leggende metropolitane e di misteri.»
Lo stomaco di Den si contorse, Elise continuava a toccare le piante e a parlare.
«Hanno trovato un ragazzo accoltellato nei sotterranei sai? Potrebbe essere una brutta storia, una di quella per cui la scuola può avere dei seri problemi, qui la maggior parte degli studenti sono figli di persone importanti.»
Den non fece in tempo a dire niente che lei continuò a parlare.
«Tu avresti fatto molto più colpo a fotografare uno studente ferito che delle stupide piante. Io avrei avuto il mio articolo e mantenuto il mio primato di prima linea.»
Piccole mandibole si chiudevano sotto il suo dito. Den cominciava a sentirsi a disagio ma lei non smetteva di parlare.
«Ma io so aspettare, sono un tipo paziente sai? Lei fallirà, non avrà nulla da scrivere e tornerà ai suoi articoletti, tu devi solo scegliere da che parte stare in questa redazione.»
Den la guardò, Elise era proprio come quelle piante: un essere immobile, paziente che aspetta il momento giusto per chiudere nella sua morsa chi le si avvicina, per poi digerirlo con calma.
«Temi la strega di ghiaccio, forse è più brava di te?» Den non riuscì a fermare la sua irritazione.
Lei si girò e rise di gran gusto.
«Temerla? Come faccio a temere una che scrive quelle cazzate? Attento Den chi si avvicina alla strega di ghiaccio rimane scottato.»
«Come la ragazza bionda che sta con lei?»
«Lei era già segnata in questa scuola, qui si sopravvive e cinque anni sono lunghi Den, molto lunghi.» Un sorriso crudele gli si formò sulle labbra e continuò.
«Pensare che io e Jasper eravamo come te mi fa venire i brividi. Presto dovrai scegliere da che parte stare.»
«Io ho già scelto da che parte stare.»
Elise mutò espressione, stava per dire qualcosa ma arrivò il presidente del club.
«Elise, se vuoi intervistare i ragazzi questo può essere un momento buono.»
Den prese la palla al balzo.
«Io vado in giro a fare un po' di foto se non ti dispiace.» Disse rivolto al presidente.
«Assolutamente no, anzi mi fai un gran favore, se poi non è un problema le vorrei pure io.»
«Le avrai.»
Den si allontanò da quella pianta carnivora e trasse un respiro di sollievo, tutti questi discorsi l'avevano confuso. Fazioni, ripicche e esclusioni. Era finito in un atro mondo? Proprio non riusciva a dare una spiegazione a tutto ciò.
Sbuffando si inoltrò nella serra, era enorme. Fece qualche foto e presto si ritrovò solo, l'impianto di irrigazione si azionò, l'acqua veniva spruzzata dall'alto, ma non bagnava il corridoio. Den proseguì sino quasi alla fine, vicino ad un bancone di fiori lilla notò una botola aperta. Piccole luci illuminavano una scala di legno, si avvicinò, il suo piede finì in una pozzanghera nera. Scivolò.
Ruzzolò giù per le scale, cercò di appendersi al corrimano, ma fallì, dopo pochi metri toccò il terreno umido, era senza fiato e gli doleva una caviglia le luci si spensero e la botola si chiuse dietro di lui. Respirando forte cercò di rimettersi in piedi, forse aveva preso una storta.
«Fantastico, ci mancava solo questa.»
Den si rimise in piedi e si appoggiò al muro, cercò a tentoni un interruttore, ma non lo trovò. Prese la macchina fotografica e scattò delle foto con il flash.
Destra, muro.
Sinistra, muro.
Davanti, muro.
Un brivido freddo gli percorse la schiena, dove erano finite le scale?
Il flash illuminò ancora.
Davanti, muro.
Destra, muro.
Sinistra, corridoio.
Den si sfregò gli occhi, era confuso. Forse la caduta era stata più forte del previsto, era sicuro di essere scivolato lungo delle scale, illuminò il soffitto con il flash. Sopra di lui pietra.
Forse era rotolato per quel corridoio, superato l'arco avrebbe trovato le scale. Tenendo la mano sulla parete si spostò verso il corridoio, non vedeva nulla.
Usando il solito trucco con la macchina fotografica illuminò il corridoio, non riuscì a vedere la fine.
Zoppicando leggermente varcò l'arco e cominciò a camminare al suo interno, l'aria era soffocante e umida, la puzza di muffa gli dava alla testa; ad ogni passo il respiro gli mancava sempre di più.
Si fermò un secondo, ansimando passò una mano sul muro e la ritrasse subito per lo sbalzo di temperatura. Illuminò la parete e vide dei lunghi tubi di metallo.
Dove sono finito? Pensò mentre continuava a camminare con la mano sul tubo.
Ding.
Un rumore metallico lo fece girare di scatto. Usò subito la macchina fotografica. Nulla.
Ding.
Il rumore era più forte, qualcosa si avvicinava.
Ding.
Den aumentò il passo, ma il rumore non faceva altro che avvicinarsi. Trattenne il respiro e si girò di scatto. Schiacciò il pulsante.
Una figura nera era dietro di lui urlò mentre veniva illuminato, qualcosa nella sua mano riflesse la luce. Den non riuscì a capire cosa fosse.
Preso dal panico cominciò a correre, poteva sentire lo stridore dei passi del suo inseguitore.
Correva nel buio, il cuore sembrava gli stesse per scoppiare, il fiato gli stava per mancare.Illuminò davanti a sé, non vedeva una fine.
Continuò a correre, i polmoni gli bruciavano, poteva sentire ogni fibra del suo copro urlare, ma la paura, quella era indescrivibile. Non riusciva a pensare ed agire allo stesso momento. Il fiato gli mancò di colpo e si fermò. Chiuse gli occhi e strinse la macchina fotografica, il dito era rigido sul pulsante di scatto; sentiva i suoi passi, stava arrivando.
Ultima azione. Pensò mentre si girava verso il suo inseguitore.
Premette il pulsante, la luce uscì dalla macchina fotografica. Sentì improvvisamente odore di bruciato, una mano gli afferrò la spalla e strinse, gli sembrò di sentire degli artigli che lo perforavano.
Urlò e guardò verso l'alto, una luce gli colpì gli occhi, li strizzò un'ombra stava sopra di lui.
«Den tutto bene?» Sentì la voce di Elise.
Scosse la testa, aprì completamente gli occhi e si guardò intorno. Era in una piccola stanza piena di vasi e attrezzi per il giardinaggio, una porta di legno al fondo della stanza sembrava ben chiusa.
«Io...penso do sì... che cosa...» Non fece in tempo a finire la frase.
«Devi essere scivolato sulla pozza di olio qui vicino, vieni ti do una mano.»
Elise lo aiutò ad uscire e gli disse che per fortuna era lì vicino quando aveva urlato.
«Ho aperto subito la botola, cavolo, mi sono spaventata.»
Den la guardò perplesso, sembrava una persona completamente diversa da quando le aveva parlato poco prima.
«Sto bene, adesso devo controllare se la macchina non si sia rovinata nella caduta, ho la batteria scarica.» Disse mentendo, la voce gli tremata, Elise lo guardò sospetta.
«Certo, qui finisco io. Non ti preoccupare.»
Den uscì velocemente dalla serra, gli tremavano le mani, non riusciva a fermarle. Poco dopo si appoggiò dietro ad un albero del giardino.
Con agitazione accese lo schermo della macchina fotografica, guardò le ultime foto.
Trattenne il respiro e vide una stanza pieni di vaso ed attrezzi, nessun corridoio. Incredulo scorse le foto, l'ultima gli fece aprire la bocca dallo stupore, chiuse gli occhi. In primo piano mossa c'era una mano che si allungava verso di lui.
«Non ho sognato.» Disse ad alta voce.

 

Lui. Lui era il collegamento.

L'avrebbe ritrovato stanotte, in quella casa.

Un altro incubo, un'altra vittoria.

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