Never come back

di remsaverem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Surreale ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Rimorsi ***
Capitolo 4: *** Propositi di vendetta ***
Capitolo 5: *** Quando è successo ***
Capitolo 6: *** Ricordi ***



Capitolo 1
*** Surreale ***


"Il passato non è altro che il prologo"

Mycroft Holmes non vestiva di nero dai tempi del funerale dello zio Charles, quando aveva sei anni.
Stretto nella giacca di tweed, con l’immancabile ombrello al suo fianco, giudicava quasi surreale la scena che aveva davanti.
Lui, in piedi con lo sguardo contrito, al fianco dei genitori completamente schiantati dal dolore. Intorno solo occhi rossi e singhiozzi, ma lui no, nemmeno una lacrima dall’uomo che Moriarty aveva definito The Ice Man.
Buffo e al contempo crudele che proprio in quel momento gli venisse in mente il criminale che, in tutta la sua considerevole minaccia, non era riuscito a mettere all’angolo suo fratello, quando invece era bastato un abietto e ambizioso individuo per… no…
Mycroft allontanò quei pensieri concentrandosi sul presente, come sempre. Non aveva senso perdersi nelle lande dell’immaginazione, non era da lui, eppure in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per impedirsi di pensare, in retrospettiva, a tutto quello che era accaduto e al suo ruolo nella vicenda.
Già, perché lì in quel feretro, questa volta riempito dalla figura che non aveva nemmeno osato guardare durante la cerimonia, giaceva l’unica persona per la quale avrebbe smosso mari e monti, l’unico per cui avrebbe sacrificato tutto: la sua posizione, il suo paese, la sua anima e che pure non era stato capace di proteggere, Sherlock.

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Capitolo 2
*** Due ***


Ripensandoci non era stato in grado di determinare il momento esatto in cui gli eventi avevano preso una brutta piega, l’infinitesimo scarto scelto dal destino per fargli pagare tutti i suoi crimini. Mycroft era un uomo razionale e sapeva che prima o poi qualcuno gli avrebbe presentato il conto di anni di macchinazioni e dubbi insabbiamenti, credeva però che si sarebbe presentato sotto forma di siluramento in qualche ambasciata di un losco paese dell’Est oppure nella canna del silenziatore di un m14. Ipotesi più che plausibili che lui avrebbe accettato con un accenno di sorriso. Solo, non avrebbe mai immaginato che ad esserne travolti sarebbero state le persone che The Ice Man si era concesso di amare.
 
Sherlock era sempre stato un bambino piuttosto “curioso”. Quando erano piccoli Mycroft era solito chiamarlo l’idiota ogni volta che, bè ogni volta che non era capace di battere il fratello in una gara di equazioni differenziali, una semplice partita a scacchi, oppure nel riconoscere che il lattaio era appena stato piantato dalla fidanzata. Quando accadeva Sherlock si indispettiva e correva a nascondersi in camera sua, magari per un intero pomeriggio, solo per tramare qualche nuova sfida che lo mettesse in miglior luce agli occhi del fratello. Era capace di trascorrere intere ore ad osservare abitudini di insetti, uccelli… e a sette anni avrebbe saputo indicarti il percorso più agevole, tenendo conto di incroci, semafori e divieti di accesso per arrivare da casa loro al centro della città.
Da bambini avevano giocato molto insieme, anche se gioco non era esattamente la parola giusta. Talvolta S., il loro papà, li osservava chiacchierare in salotto su questo e su quello, quando faceva troppo caldo per uscire.
Erano ragazzini dall’intelletto vivace, come la loro madre e S. li guardava ora affascinato ora preoccupato.
Davanti alle sue timide rimostranze però la moglie rispondeva sempre con un sorriso: cresceranno, lasciali fare. Appunto, cresceranno, pensava S., che pregava che continuassero così, che rimanessero uniti, perché non era convinto che il mondo, là fuori, sarebbe stato tanto tenero con delle menti come le loro.
Un giorno, era ancora molto piccolo, Sherlock era corso in casa tutto sudato, entrando in salotto come una furia, incurante, come suo solito, di scarpe infangate e buone maniere.
“Papà papà” aveva gridato come se ne andasse della sua vita.
S. aveva imparato da tempo che gli appelli di Sherlock spesso riguardavano tartarughe marine con strane voglie, furetti con un occhio solo o la vicina Miss Pure che mancava di ritirare la posta (“papà sono siiiicuro che è stata rapita!!”). S.aveva abbassato lievemente il giornale che stava leggendo. “Oh papà, gli altri bambini sono degli idioti!!! Devo correre a dirlo a Mycroft!!” e, veloce come il lampo, quasi avesse il diavolo alle calcagna, era corso su per le scale strillando.
Sherlock non si era mai integrato in nessuno gruppo o aveva stretto amicizie di lungo corso. Sebbene brillante dal punto di vista scolastico era perennemente annoiato.
L’unico con cui riuscisse a interagire alla pari era suo fratello maggiore: il compìto e devoto Mycroft Holmes.
I nomi li aveva scelti sua moglie in un vecchio libro di genealogie nordiche, a patto che lui avesse facoltà di veto e di integrazione e se il piccolo Mycroft era sempre rimasto impassibile davanti a prese in giro e scherzi, non era stato lo stesso per Sherlock, no decisamente no.
Crescendo, entrambi avevano sviluppato personalità molto differenti, non andavano più d’accordo come un tempo, ma lui sapeva che, in qualche modo, Mycroft non aveva mai smesso di tener d’occhio quello scapestrato di suo fratello.

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Capitolo 3
*** Rimorsi ***


Il cappellano proseguiva nel suo sermone, ma Mycroft non riusciva a seguirlo.
Sentiva su di sé lo sguardo di John che, a poca distanza, lo osservava torvo.
John lo incolpava di quanto era successo, né più né meno, e non aveva tutti i torti.
Era già stato abbastanza difficile la prima volta, quando entrambi, lui solo per un breve lasso di tempo, avevano creduto che Sherlock si fosse gettato da quel tetto, la seconda… Mycroft inspirò profondamente.

Si era presentato davanti alla casa di John con l’aria del penitente, lui, Mycroft Holmes, che non aveva mai chiesto scusa in vita sua avrebbe voluto farlo con John Watson, il migliore amico di suo fratello.
John gli aveva aperto e nell’istante stesso aveva capito.
Non c’era stato bisogno di parole, solo quello sguardo riprovevole…
“Io…” Mycroft non era riuscito ad andare avanti. Per la prima volta era rimasto senza parole.
John aveva scosso la testa. Al suo fianco si era materializzata Mary.
Già Mary Watson.
Una parte fondamentale del puzzle.
Mary pareva a disagio. E come avrebbe potuto non esserlo?
Mycroft se n’era andato senza aggiungere altro. Almeno lasciava John alle cure della moglie. Lei si sarebbe occupata di lui.

Con i suoi invece era andata molto diversamente.
Mycroft socchiuse un attimo gli occhi spiando la coppia al suo fianco. In tre giorni erano invecchiati di dieci anni.
Dirlo a loro era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto. L’aveva capito subito quando …
Aveva dovuto raggiungerli al cottage in campagna. Parlargliene al telefono era inconcepibile.
Ma per quanto si fosse preparato durante il volo, cercando le parole adatte, una volta che se li era trovati davanti la voce gli era morta in gola e di nuovo si era trovato davanti allo spettro di dover dire ai propri genitori che il loro figlio minore, il loro Sherlock, non c’era più e che lui non poteva farci niente.
Tra tutti e due credeva che sarebbe stata la madre: C. quella più difficile e invece…e invece erano stati gli occhi dolenti del padre a ferirlo, quel muto interrogativo ancora più micidiale perché inespresso a parole “contavo su di te…”.
Li aveva delusi, non c’era nient’altro da aggiungere.
Se avesse potuto avrebbe fatto tutto in modo completamente diverso, a partire da quella dannata missione: non avrebbe mai dovuto permettergli di andare…

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Capitolo 4
*** Propositi di vendetta ***


Quando aveva osservato l’aereo levarsi in volo, Mycroft Holmes si era detto che era la soluzione migliore, la miglior offerta che era riuscito a strappare. Ma nel profondo sapeva che non era così. Il pensiero che forse avrebbe potuto fare di più, che avrebbe potuto evitare tutto ciò lo avevano tormentato fin da subito.
Lui, l’enfant prodige del governo di Sua Maestà, sconfitto da un vile mercenario. Magnussen, nella sua mente non era niente di più. E che una simile nullità fosse riuscita a metterlo in scacco forse bruciava più a lui che a Sherlock.
Sherlock che gli aveva riservato poco più di uno sguardo prima di salire a bordo.
Che altro c’era da dire, dopotutto? Sherlock aveva fatto la sua scelta nel momento stesso in cui aveva premuto il grilletto, andando incontro al suo destino con piena consapevolezza.
Mycroft invece…
Mycroft vedeva realizzarsi quello che aveva più temuto da quando aveva intuito il genio del suo unico fratello. Non era bastato metterlo sotto sorveglianza, non era bastato lasciargli John, no, era stato tutto vano.
 
“Maledizione!” si lasciò sfuggire sottovoce, per un secondo. Strinse il manico dell’ombrello con più forza.
Quel pensiero… non riusciva a levarsi dalla mente che, in fin dei conti, era stato lui a spedire Sherlock su quell’aereo e non perché avesse suggerito il miglior modo di impiegare il colpevole di un reato gravissimo e la seconda mente più affilata del regno.
Ed era inutile anche prendersela con John, che consumava il suo dolore con lo sguardo fisso sul feretro, perfetto emblema della pena che accumunava tutti quelli che avevano amato Sherlock.
Almeno John riusciva a piangere l’amico scomparso. Forse soffrire, in qualche modo era l’inizio della guarigione.
Ma Mycroft non aveva tempo per il cordoglio. Avrebbe trovato i responsabili e allora…
Forse la forza del suo odio doveva essersi manifestata in qualche modo, perché per un istante lui e John Watson si trovarono a incrociare gli sguardi, involontariamente.
John forse non avrebbe approvato quello che si proponeva di fare, ma Mycroft non cercava la sua approvazione, né quella di nessuno.
“Mi dispiace” aveva sillabato piano, ma non era sicuro che John avesse colto.
Dopotutto il suo era un rammarico postumo. Non era riuscito a proteggere la sua famiglia, non era riuscito a proteggere Sherlock da una minaccia che lui stesso aveva contribuito a creare e, per ironia della sorte, John Watson era stato causa scatenante del cataclisma che li aveva investiti.
John, il migliore amico di Sherlock, il fratello che si era scelto per la vita e per il quale era stato pronto a sacrificare qualsiasi cosa senza pensarci.
Mycroft faticava ancora a capire il meccanismo che aveva portato il suo super razionale fratellino a condannarsi, in fondo l’aveva avvertito: caring is not an advantage.
E forse era proprio per questo che adesso si trovavano lì, storditi, muti, resi pazzi dal rimpianto.

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Capitolo 5
*** Quando è successo ***


“È stata colpa mia” aveva sussurrato John quando aveva saputo. Mary si era stretta a lui. Lui l’aveva abbracciata ed erano rimasti così per un po’, entrambi consapevoli che non c’erano parole.
 
Quando era successo Mycroft si trovava presso l’ambasciata di F.
Ogni tanto faceva un salto in quel paese, un po’ più spesso del solito, perché suo fratello si trovava lì, da qualche parte.
Morto sul colpo gli avevano detto, aspettandosi un breve cenno del capo come risposta.
Lui li aveva accontentati.
Ricordava il viaggio verso la località dove si trovava la salma solo a pezzi. Non riusciva a pensare con lucidità e questo per lui era intollerabile.
E quando finalmente si era trovato davanti a quel che rimaneva del suo chiassoso, impossibile fratello minore l’unica cosa che era stato capace di dire era stato “maledizione Sherlock, loro non…” no, A. e P. Holmes non l’avrebbero mai perdonato.
Poi era sopraggiunta la rabbia. Quello stupido, stupido di un Sherlock si era fatto ammazzare proprio lì, in uno sperduto paese dell’Est, lontano dalla sua adorata Londra.
Per un attimo però, solo per un attimo, aveva sperato che si trattasse di una messa in scena, l’ennesimo tiro mancino ai suoi danni.
E così non ci sarebbe stato più nessuno a stuzzicarlo e  a prenderlo in giro per la sua mania della dieta, nessuno con cui condividere gare deduttive, nessuno da rimproverare e nessuno da proteggere.
Non più, perché aveva fallito anche in quello.
Mycroft aveva pensato che aveva un’esistenza intera per dannarsi, ma non prima di aver fatto due chiacchiere con chi di dovere.

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Capitolo 6
*** Ricordi ***


Per più di tre mesi Sherlock non aveva dato sue notizie, ma Mycroft non se n’era preoccupato. Era già successo in un’altra occasione, quando aveva dovuto fingere … Sapeva che suo fratello trovava intollerabile anche il minimo controllo o supervisione e tutta la sua vita, dal momento in cui aveva ricevuto il dono della parola, era stata improntata a ribadire con veemenza questo concetto. Per contro, in qualità di fratello maggiore, anche a causa di un’inclinazione del suo temperamento a voler tenere tutto costantemente sotto controllo, Mycroft Holmes si era sempre sentito in dovere di dare un occhio al suo unico fratellino. Questo e altre notevoli differenze caratteriali sviluppate crescendo avevano contribuito a renderli distanti, esacerbando ancora di più il desiderio di Mycroft di conoscere cosa stesse combinando Sherlock e quello di quest’ultimo di tenersi alla larga dal guinzaglio fraterno. Certo la tendenza di S. a incorrere in droghe, cattive abitudini e a ficcarsi in qualunque tipo di pericolo, rafforzavano, nella mente di Mycroft, l’idea che il suo stupido fratellino dovesse essere tenuto a bada, perché, in un modo o nell’altro, i suoi genitori non l’avevano mai fatto.
 
Quando era arrivato Mycroft la loro madre, di punto in bianco, aveva deciso di mollare il lavoro per dedicarsi alla famiglia. Donna attenta e sensibile, ma anche molto rigorosa, aveva allevato con amore il figlio maggiore che, curiosamente, sembrava essere nato già perfettamente educato. Come un piccolo vecchio. Quando però lei e il marito pensavano già che Mycroft sarebbe stato il loro unico erede ecco che, quasi come una birbonata, Sherlock aveva bussato alla porta. Sherlock era stato la loro gioia, in quel bimbo così vivace e pieno di vita vedevano la persona che sarebbe stata il bastone della loro vecchiaia. Forse perché già avanti con gli anni e perché effettivamente il piccolo aveva un temperamento piuttosto caparbio, lo avevano viziato. Questo era innegabile e persino loro erano disposti ad ammetterlo. Fin da bambino a Sherlock avevano perdonato molte cose catalogandole come frutto della sua natura estroversa e curiosa. Da parte sua Mycroft aveva guardato inizialmente affascinato e via via sempre più preoccupato quel batuffolo minuscolo che non faceva che strillare e ficcarsi nei guai più inimmaginabili, tra lo stupore e l’ammirazione di tutti. Qualunque cosa facesse o dicesse Sherlock, per quanto strana e bizzarra, lasciava tutti a bocca aperta.
 
Da piccolo Sherlock era solito stargli sempre dietro, seguendolo come un cagnolino magari solo per sfidarlo o prenderlo in giro fino ad esasperarlo. Ma per quanto Sherlock lo provocasse e Mycroft lo rimproverasse di conseguenza, niente sembrava toccare il suo spensierato fratello minore, nemmeno i lievi rimbrotti paterni o gli sporadici, ma ben più consistenti, rimproveri materni. In realtà, ma questo Mycroft l’avrebbe riconosciuto solo una volta diventato adulto, il costante desiderio di attenzioni di Sherlock, le sue strane uscite, il suo atteggiamento di sfida, nascondevano ben più profonde fragilità di fondo.
A quell’epoca però il “danno” era stato fatto e il più piccolo di casa Holmes viveva a Londra, consumando sporadicamente droga e sostanzialmente buttando via i frutti di cure e istruzione.
 
Questo finché Sherlock, che senza saperlo spesso era stato sollevato dalle conseguenze delle sue impulsive azioni dal segreto operato di un ambizioso fratello, non aveva incontrato Lestrade. Tutti sapevano quanto l’attività di consulente investigativo del fratellino avesse dato sui nervi a Mycroft e con quanta determinazione vi si fosse opposto. Mentre i genitori, forse stanchi di attendere svegli la chiamata di una definitiva overdose da un ospedale londinese, avevano tratto un sospiro di sollievo davanti al coinvolgimento di Sherlock in qualcosa che per lui sembrava essere di vitale importanza, M. aveva visto subito tutti i pericoli che potevano derivare, per una persona come Sherlock, da quel tipo di stile di vita. Tra le varie cose M. aveva tentato di corrompere persino Lestrade, affinché respingesse l’aiuto fin troppo entusiasta del fratello. Quest’ultimo però gli aveva fatto saggiamente notare che se non fosse stato lui, Sherlock si sarebbe rivolto a qualcun altro. E così, sbuffando e a braccia conserte, My aveva dovuto assistere alla rovinosa corsa verso Moriarty prima e Magnussen dopo.
 
 
 
 

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