Ice Dream

di Darkry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 
 
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Ice Dream 
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Chiedete e le admin saranno liete di realizzare per voi qualsiasi cosa!! ;D




“Volo sul ghiaccio come vento, veloce, leggera, forte e invincibile. Il vestito mi scivola addosso come acqua mentre faccio un triplo e mi sembra volare, ed atterro sul ghiaccio con lo stesso impatto di sempre, la gamba tesa, i muscoli vibranti di forza e di energia, i volti sfocati sugli spalti mentre ruoto e giro, giro, giro, sempre più veloce, mentre la musica è tutto intorno a me, mi pervade, fa vibrare i pattini, il ghiaccio, le gambe, le braccia, il cuore, la testa.
C’è uno strano stridio prima debole, poi sempre più forte e io giro senza fermarmi mentre un fascio di luce mi investe e qualcosa di pesante mi travolge.
Buio, e un dolore lancinante alla gamba, schegge di ghiaccio gelido che mi penetrano nella pelle.
Urla.”
 
Mi sveglio di soprassalto, madida di sudore.
Il telefono sta squillando.
Stropiccio gli occhi e mi accorgo di non avere più fiato in gola e ho bisogno di aria. Ansimo, il telefono ha smesso di squillare. Scivolo giù dal letto, passandomi una mano sulla fronte sudata e scostando via dal viso i capelli appiccicati. Le piastrelle fredde mi rendono più lucida e riesco a distinguere la realtà dall’incubo appena fatto.
Scanso con un saltello la valigia ancora aperta ed afferro il telefono che ha ripreso a squillare senza sosta.
«Pronto».
«Cazzo, Karol, ma si può sapere che fine hai fatto?».
«Buongiorno anche a te, Tracey» mormoro assonnata all’apparecchio freddo tra le mie mani.
La voce metallica e aggressiva di Tracey riprende senza sosta. «Buongiorno un cazzo, Karol. Tra tre ore dobbiamo partire e tu sei morta! Eravamo d’accordo che stamattina ci saremmo viste per comprare le ultime cose e tu non ti sei fatta sentire!».
Alzo gli occhi al cielo, cercando di recuperare un po’ di calma e di tranquillità. Non è proprio il caso di litigare con Tracey adesso che dobbiamo partire.
«Hai ragione. Scusa».
Tracey sospira all’altro capo e capisco che non si aspettava delle scuse.
«Sii puntuale, mi raccomando» dice, con fare ammonitorio.
Annuisco e mormoro un sì a mezza voce.
«Vuoi una mano a finire di preparare i bagagli?» chiede poi.
Sussulto e mi guardo intorno.
La camera è un disastro. Ci sono quattro valigie aperte, vestiti e scarpe sparsi ovunque, carte di credito e soldi in contanti fanno capolino dalla trousse che dovevo mettere in borsa. «Ehm… chi ti ha detto che non ho ancora finito le valigie? Certo che le ho finite!»
«Ha. Ha.» ride Tracey ironicamente. Mi conosce troppo bene per non sapere che sono in alto mare.
«Gli ultimi preparativi e… ho finito!» la rassicuro iniziando a raccattare roba alla rinfusa.
«Certo. Non voglio nemmeno immaginare l’aspetto della tua camera in questo momento. Senti, sbrigati perché partiamo anche senza di te! E ringrazia ancora papino da parte nostra!!».
Apro la bocca per ribattere ma Tracey ha già chiuso la comunicazione.
Fisso il telefono per qualche istante e poi lo rimetto a posto.
Tipico, penso prima di darmi da fare e finire sul serio le valigie.
Due ore e mezza più tardi scendo a fare colazione, trasportando i bagagli giù nel salone.
«Sì. No, no, ho detto che quello spot andava assolutamente eliminato! Non possiamo mandare in onda una schifezza del genere! L’ambientazione è completamente sbagliata e lo slogan è decisamente orribile!».
«Ciao, papà» mormoro con un cenno del capo, scaricando i bagagli nell’ingresso.
Mio padre, alto ed imponente come sempre nel suo abito di sartoria grigio, si volta verso di me e accenna un sorriso. Col cellulare premuto contro l’orecchio mi sventola tre dita sotto il naso e annuisco.
Tre secondi e sono da te.
«Sì. Sì, bravo, bravo. Voglio quello spot finito e perfetto entro domani. E dì a Clark di sbrigarsi e di cambiare il colore della copertina delle locandine per il festival della musica, lo voglio di un rosso sangue, bordeaux, e non del rosso slavato che mi ha presentato l’altro ieri».
Scuoto il capo sorridendo alla voce autoritaria di mio padre e cammino verso la cucina, prendendo un bricco  di latte dal frigo.
«Buongiorno, orsacchiotta».
Alzo gli occhi seccata e rivolgo a mio padre uno sguardo eloquente. «Papà…».
«Che c’è?» mi chiede con un sorriso innocente. «Sei e rimarrai la mia bambina per sempre».
Scuoto la testa, esasperata. Le questioni di principio di mio padre e mie sono agli antipodi. «Ho ventuno anni, papà. Lo sai benissimo visto che hai deciso di regalarmi una crociera da centosei giorni con i miei amici».
«Dovere!» esclama impettito.
Sbuffo sonoramente e sa benissimo che non condivido l’idea.
«Spendere trentaseimilacentoquarantasette  euro spese escluse per un regalo di compleanno mi sembra esagerato».
Stavolta è mio padre a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo. «Grazie a te ho realizzato uno spot pubblicitario che mi ha fatto guadagnare milioni di dollari. Il minimo che potessi fare era organizzarti un regalo degno di questo nome! E siccome sapevo che non avresti mai fatto una crociera da sola, l’ho pagata anche ai tuoi amici».
È inutile.
A volte proprio non capisco chi tra me e mio padre sia il più testa dura.
«E adesso spicciati, orsacchiotta, Tracey ha chiamato la mamma un’ora fa per dirle di metterti fretta e lei ha chiamato me».
Ecco, forse Tracey ci supera entrambi. «Come sta la mamma?» chiedo, sviando il discorso e cercando di trangugiare più velocemente la colazione.
I cereali mi si fermano in gola e tossisco sputacchiando qua e là.
«Bene, bene» commenta mio padre sedendosi accanto a me e spalmando una fetta biscottata con la marmellata di ciliegie. «Sta dirigendo la sfilata di moda a Milano e, stress a parte, sta benissimo».
Mi strizza l’occhio, mentre penso a quanto mia madre esasperi il suo stress per stare al centro dell’attenzione o per parlare della sua impeccabile capacità di organizzazione, di quanto siano belle ed anche intelligenti certe modelle, dello squallore di alcuni stilisti molto in voga, della strabiliante acutezza di altri e  dell’incapacità dei suoi dipendenti che non sono in grado di eseguire un semplice ordine.
«Ha detto di chiamarla appena arrivi, e ti manda tanti saluti» aggiunge papà, sorridendomi dolcemente.
Grugnisco. Non voglio nemmeno immaginare quante ore mi terrà appiccicata al telefono, ma del resto non la vedrò e non avrò contatti con il resto del mondo per giorni e per mia madre i contatti sono molto importanti.
«Va bene. Vado, papà» dico, alzandomi da tavola e mettendomi la borsa a tracolla.
Anche mio padre si alza e mi accarezza una guancia.
Faccio una smorfia. «Soldi ne hai?» chiede, ignorando la mia espressione.
«Sì, papà, ne ho così tanti che se mi derubassero diventerebbero miliardari».
«Bene. Non farti derubare, allora! Salutami i tuoi amici e fai buone vacanze.» sorride, posandomi un bacio sulla guancia.
«Sì, grazie. Ah, papà!» esclamo, con la mano già sulla porta d’ingresso. «Ti ringraziano anche loro».
Mio padre mi sorride ed io esco fuori di casa, trascinandomi dietro i bagagli.
«Sì, Clark?» lo sento rispondere mentre chiude la porta e scuoto la testa, guardandomi attorno alla ricerca della macchina di Mark.
Non è ancora arrivato, bene.
Un po’ impacciata trasporto i bagagli sino all’ingresso della villa, preparandomi psicologicamente ad una lunga, lunghissima vacanza.
Non che non sia felice di trascorrere centosei giorni lontana da casa in giro per il mondo con i miei due più cari amici, ma… sono angosciata ecco.
Come sempre, del resto.
Dieci minuti dopo, il fuoristrada di Mark si ferma davanti all’ingresso di casa e dal finestrino del passeggero fa capolino il viso di Tracey, stravolto dall’emozione. «Su, muoviti a caricare quei bagagli o faremo tardi!» mi dice con un urletto spaccatimpani.
Con il viso arrossato per lo sforzo, sollevo per l’ennesima volta il trolley gigante e faccio qualche passo in direzione del bagagliaio. Una mano grande e calda si posa sulla mia e mi prende il trolley dalle mani, dandomi il tempo di riprendere fiato. Alzo lo sguardo ed incrocio gli occhi scuri e sorridenti di Mark.
«Ciao, Karol» mormora, abbassandosi per posarmi un lieve bacio sulla guancia.
«Mark!» esclamo, buttandogli le braccia al collo e facendogli perdere la presa sul trolley, che cade con un tonfo sull’asfalto.
Mark mi abbraccia forte e il suo profumo familiare mi avvolge, facendomi sentire felice.
Forse questa vacanza non sarà poi tanto male.
Certo, Tracey sarà la solita prepotente rompipalle, ma ci sarà Mark a calmare gli animi, il migliore amico che ogni ragazza possa desiderare.
«Volete rimandare le smancerie a più tardi??» chiede irritata Tracey sporgendosi dal finestrino. «Se perdiamo l’aereo vi picchio, vi faccio a pezzi, vi spiezzo in due e vi faccio sciogliere il culo con la fiamma ossidrica!» sbraita minacciosa.
Io e Mark ci guardiamo con un sorriso complice prima di lasciarci andare e di finire di caricare i bagagli in macchina. «Qualcuno ha visto Rocky, ieri» commento lanciando un’occhiata di sottecchi alla mia “dolce” amica, mentre salgo sul fuoristrada.
Tracey mi ignora bellamente ed inserisce un disco, alzando il volume al massimo mentre la macchina parte.
Youth, dei Daughter, parte con la sua melodia angosciosa, triste e travolgente.
Reclino la testa all’indietro e chiudo gli occhi, lasciandomi travolgere dalla musica ed immaginando scivolate, salti, il raschiare dei pattini sul ghiaccio, nuvolette di vapore freddo che escono dalle labbra e salgono verso l’alto, scomparendo alla vista. 
«Tra dieci minuti siamo all’aeroporto!» squittisce esaltata la voce di Tracey e apro gli occhi, di malavoglia.
«Cristo, se continui così farò sedere Mark vicino a me, in aereo!» minaccio.
Tracey rotea gli occhi e si gira verso di me con aria scocciata. «Ma si può sapere che hai? Andiamo in vacanza!» scandisce bene la parola, per farmi cogliere tutti i significati. «In centosei giorni vedremo praticamente tutto il mondo, ti rendi conto?? Italia, Francia, Spagna, andremo alle Fiji!! Senza contare tutti i ragazzi che incontreremo…» si interrompe e guarda Mark con un sorrisetto colpevole.
«Senza offesa, Mark. Ma sai che tra noi due non può funzionare».
Il ragazzo scuote la testa con un sorriso divertito, senza staccare gli occhi dalla strada. «Attenta a non sciupare troppo la tua chitarrina, Tracey, o dovrò spacciarmi per il tuo ragazzo per allontanare gli spasimanti insistenti, come l’ultima volta…»
«Ehi!» Tracey gli dà un pugno al braccio e Mark finge una brusca sterzata, facendo sbandare la macchina a sinistra, sulla strada deserta.
Lancio un urletto terrorizzato mentre lui scoppia a ridere.
«Deficiente!» gli urla contro Tracey. «Sai quanti incidenti cretini fatti da ragazzi cretini capitano qui a New York? Sei proprio un cretino!»
Mark continua a ridere e io mi passo una mano tra i capelli. «Ragazzi, per favore, calmate gli animi e cerchiamo di arrivare a questo cacchio di aeroporto prima di morire di vecchiaia!»
Mark ritorna serio ed accelera, mentre Tracey si rilassa sul sedile. «Stavo dicendo Karol,» continua con un sospiro, tornando all’attacco, «che stiamo andando in vacanza a spassarcela, quindi non capisco proprio questa tua aria depressa».
Sbuffo sonoramente, scocciata da tutta quell’inquisizione. «Non sono depressa, solo che ripetere con vocetta stridula ogni tre secondi virgola cinque che “oh, stiamo andando in vacanza!!” non cambia o accelera la situazione, semmai la rende tremila volte più stressante! Quindi se devo tenerti dodici ore accanto in aereo, in queste condizioni, preferisco mille volte rimanere a terra!» ribatto, inacidita.
Stavolta è Tracey che sbuffa. «Vai a numeri?? Magari dovremmo giocarceli prima di partire! Tre, cinque, tremila, dodici… Proprio non capisco che problema hai…» la sento mormorare, ma decido di concentrarmi sulla musica e di non risponderle.
A volte mi rende così acida che mi fa sentire antipatica da sola.
Arriviamo in aeroporto con qualche minuto di ritardo sulla tabella di marcia e Tracey non la smette di strepitare, ma dato che è stata lei ad organizzare tutta la partenza, siamo in largo anticipo.
Mark adocchia un posto libero, accelera a tutta birra e si fionda prima che riesca a farlo una macchina sull’altra corsia. Tracey lancia un gridolino di vittoria e fa un gestaccio a quelli della macchina sconfitta.
«Ti sposerei, Mark!» esclamo ridendo, mi sporgo e gli stampo un bel bacio sulla guancia. Se non avesse preso quel posto Tracey avrebbe strepitato per tutto il viaggio in aereo e proprio non mi va di sentirla.
Mark sorride e arrossisce imbarazzato. Tracey mi da uno spintone e mi scosta con violenza, buttandosi al collo di Mark.
«Sì, Mark, ti sposerei anch’io!» esclama abbracciandolo possessivamente. «Però adesso muoviamoci, o giuro che ti pianto sull’altare e ti mando contro un esercito di damigelle inferocite!».
La dolce Tracey.
Entrambi ci affrettiamo a scendere dalla macchina e a scaricare i bagagli.
Tracey corre verso l’entrata dell’aeroporto, gridandoci di muoverci o troveremo una fila enorme al check-in.
Mi metto la borsa a tracolla, il borsone su una spalla e prendo i due trolley, uno per mano, pronta a trascinarli correndo. Sto per incamminarmi quando Mark mi si para davanti e mi prende il trolley più grande dalle mani, con un sorriso splendente. «Questo lo prendo io… » mi dice incamminandosi e lasciandomi indietro a crogiolarmi nello stupore.
«SE NON MUOVI QUEL CULO, KAROL, GIURO CHE VENGO LÍ E TI PRENDO A CALCI!» urla Tracey, facendomi ridestare.
A volte mi chiedo proprio perché io e lei siamo tanto amiche.
 
In aereo, sono al centro tra Tracey e Mark anche se credo che gli chiederò di prendere il mio posto se Tracey continuerà ad essere così… elettrica.
Parla senza sosta e progetta, progetta, progetta i nostri giorni in vacanza, studiandosi orari ed itinerari nei minimi dettagli. Smetto di ascoltarla dopo poco e guardo Mark, che stringe convulsamente le mani sui braccioli e si guarda attorno terrorizzato.
«È la prima volta che voli?» sussurro, così che Tracey non mi senta.
Mark mi guarda e cerca di mantenere la calma, ma l’aereo ha una turbolenza e il viso gli diventa esangue per la paura. Annuisce convulsamente e non posso fare a meno che sorridergli.
Gli poso una mano sul braccio e il gesto sembra rilassarlo un pochino. «Non preoccuparti» gli dico, continuando a sorridere. «Arriveremo sani e salvi».
Mark accenna un sorriso malriuscito.
«E poi viaggiamo in prima classe!» tento di consolarlo.
Dallo sguardo che mi lancia capisco che non gliene frega un cazzo di dove viaggiamo, perché se l’aereo si schianta moriremmo anche noi.
Sospiro ed intreccio le mie dita alle sue. «Ti tengo la mano».
Questo, sembra rilassarlo.
 
«Non prenderò mai più un aereo in tutta la mia vita!» esclama Mark quando mette piede a terra.
«Beh, dopo la crociera potremmo lasciarti qui in Italia» propone Tracey con fare pratico, avviandosi verso il cartello con la scritta Ritiro Bagagli. Mark le lancia un’occhiata stralunata, ma Tracey non ci fa caso, attivando il suo radar avvista-bei-ragazzi.
Lancia una lunga occhiata significativa ad un ragazzo biondo, che la squadra a sua volta.
Alzo gli occhi al cielo e distolgo lo sguardo. So già come andrà questa vacanza.
Tracey non perderà tempo e si farà tutti i ragazzi della nave, fidanzati e non, mentre io e Mark passeremo molto tempo insieme, come sempre.
Gli lancio un’occhiata distratta e lo vedo parecchio scosso. Stanotte non ha chiuso occhio e la mano mi fa male per quanto l’ha stretta forte.
Mentre recuperiamo i bagagli noto un gruppetto di ragazze guardare nella nostra direzione e lanciare occhiatine lascive a Mark. Lui sembra non accorgersene.
«Credo che quelle lì cerchino di attirare la tua attenzione» dice Tracey guardandole velocemente con aria di compassata superiorità.
«Mhmm?» Mark si volta verso di loro e dal gruppetto di ragazze si levano degli strilli acuti ed eccitati.
Le guardo come se fossero impazzite e poi guardo Mark.
Forse non passeremo tanto tempo insieme, durante questa crociera.
È più probabile che lui se la spassi con qualche bella ragazza, lui è carino ed è più che logico. Non ci avevo mai fatto caso.
«Ti muovi o ti leghiamo ai bagagli e trasciniamo di peso?» come al solito, la voce di Tracey mi riporta alla brusca realtà senza molto tatto.
Le faccio una smorfia e mi affretto a seguirli. «Dovresti imparare ad essere più cortese» le dico, astiosa.
«E tu dovresti imparare a vivere con i piedi per terra e a non pensare ai fattacci tuoi! Quando saremo sulla nave ti darò il permesso di sparire, ma fino ad allora mi rimarrai appiccicata al culo e ti darai una mossa!».
«Ricorda che se non fosse per me non saresti qui!» esclamo con cattiveria.
«Sì, ma se fosse per te adesso staremmo ancora a New York e addio alla bella vacanza! Muoviamoci, dobbiamo prendere il pullman per Savona tra quindici minuti!».
«Veramente io volevo dare un’occhiata a Genova!».
Tracey si ferma e mi guarda negli occhi. «Se proprio ci tieni potremmo farlo al ritorno, ma adesso abbiamo una precisa scaletta da rispettare e se seguiamo te perderemo di sicuro la nave!»
Adesso basta! «Smettila di essere così dispotica! Hai ragione, sono una ritardataria cronica e non vado in visibilio per questa vacanza che dura più di tre mesi, ma non c’è bisogno di ripetermelo ogni volta che ne hai l’occasione!».
«Ragazze…» cerca di intervenire Mark, per farci calmare.
«Che c’è?» ci voltiamo contemporaneamente nella sua direzione e lo fulminiamo con lo sguardo.
«Non discutete. È il primo giorno di vacanza, cerchiamo di essere tranquilli… Tracey, non c’è bisogno di saltare in aria per ogni minima cosa e Karol…».
Lo guardo, le braccia conserte, sfidandolo a continuare.
Mark mi rivolge un sorriso dolce, che gli scalda gli occhi. «sai che Tracey non dà pace se non le dai ragione. Perciò accontentala così non rompe le palle per i prossimi tre minuti» mi fa un occhiolino e scoppio a ridere.
Tracey riduce gli occhi a due fessure e gli punta un dito contro il petto. «Ti risparmio solo perché potresti tornarmi utile in questa vacanza, Mark Wright, zoticone del cazzo! Ma stai pur certo che te la farò pagare!».
Poi si volta verso di me, mi guarda in cagnesco e sta per dire qualcosa, ma ci ripensa e con una scrollata di spalle si dirige verso la fermata dei pullman.
 
Arriviamo in stazione in perfetto orario ed in perfetto silenzio e quando il treno inizia a sferragliare allegramente, mi alzo e lascio Tracey ai suoi progetti e Mark al suo sonnellino ristoratore.
Premo il tasto di chiamata rapida e aspetto che mia madre risponda.
«Oui?».
«Ciao, mamma».
«Tesooroooo!» esclama con enfasi. «Tutto bene? Dove sei?».
«Siamo in treno, stiamo andando a Savona» spiego, soffocando uno sbadiglio e distendendo le dita della mano dolorante.
«Oh, la mia bambina!» vorrei sbattere la testa contro il finestrino. «Sicura di voler partire? Starai bene? Hai abbastanza soldi?».
«Mamma! Sì, voglio partire e poi papà ha già pagato, starò benissimo e ho una banca con me! Stai tranquilla e smettetela di chiamarmi bambina, tesoro o orsacchiotta! Ho. Ventuno. Anni!» sbraito contro il ricevitore.
Dall’altra parte sento un sospiro triste e per un momento mi sento in colpa per aver risposto così nervosamente. Dopotutto loro sono i miei genitori, mi vogliono bene e mi sono stati accanto nei momenti più difficili.
«Sei proprio cresciuta, tesoro…» dice e stavolta sono indecisa se fare i salti di gioia perché l’ha capito, o sbattere nuovamente la testa contro il finestrino perché mi ha chiamato ancora tesoro.
«Buone vacanze, allora! Adesso devo andare a vedere le prove per la sfilata, fatti sentire tramite internet, ho controllato e sulla nave ci sono i computer!».
Adesso vorrei stendermi sui binari e farmi prendere sotto dal treno.
«Sì, mamma».
«Un bacione! A presto, cucciolotta!» chiudo la chiamata con furia assassina.
 
«Karol Peerce?» chiede l’addetto al check-in, guardando la foto sul passaporto. Annuisco, mentre Mark carica i bagagli sul nastro e Tracey saltella, con un sorrisone stampato sul viso.
«Mark Wright…» constata, osservando il ragazzo. «E Tracey Foster…» dice, lanciando una lunga occhiata alla scollatura della mia amica.
Lo guardo di traverso, il vecchiaccio, e mi schiarisco la gola.
«Prego» dice, invitandoci ad andare uno alla volta davanti al bancone e scattandoci la foto di identificazione. Poi ci porge le carte che useremo sulla nave.
«Vi auguro un buon viaggio».
Lo guardo malissimo, mentre mi sistemo la borsa a tracolla e mi avvio verso l’uscita, al seguito di Tracey e Mark.
Una volta fuori non posso trattenermi. «Caspita, Tracey, capisco che sei grande e vaccinata, ma ti guardano anche i vecchiacci per come ti vesti!».
«A te invece non ti guardano nemmeno i carciofi per come ti vesti!» mi accusa, lanciandomi un’occhiataccia.
A questo non posso ribattere e lo sa benissimo anche lei.
Mi vesto come meglio posso per non attirare l’attenzione e passare per una normale, comunissima e anonima ragazza. Jeans abbastanza larghi e scoloriti e magliette non aderenti e senza scollature profonde.
«Karol ha ragione… quel vecchio ti guardava con la bava alla bocca, Tracey», interviene Mark, pronto a salvare la situazione.
Gli rivolgo uno sguardo grato mentre Tracey scrolla le spalle con la sua solita indifferenza. «Magari era anche bravo a letto…» dice con nonchalance.
Sgrano gli occhi. «Ma sei proprio una put…».
«GUARDATE! Eccola lì, eccola lì!» esclama Tracey saltellando ed indicando una nave gigantesca. «È lei, è la Destiny!!»
Io e Mark ci voltiamo verso il mare e non abbiamo nemmeno individuato la nave, che Tracey ha già afferrato la sua borsa e corre in quella direzione. 
 

 
  *WHAWAIEAH!
Ciao a tutti!! (: Spero che il prologo vi abbia intrigato un pochino e che vi inviti ad andare avanti nella lettura... :)
Nel prossimo capitolo conoscerete Jake, il LUI strafigo del video ;D
Un bacione a tutte fatemi sapere cosa ne pensate! ;p
Kry <3

ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


CAPITOLO 1

 
 
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“Numero 38, numero 39, numero 42” metto a posto i pattini nei rispettivi loculi e poi mi dedico ai caschi per le prove dei ragazzi.
«Ehi, Jake!».
«Nick?» chiedo sorpreso. «Oggi non era il tuo giorno di riposo? Che ci fai qui?».
«Oh, nulla di speciale, non illuderti!» esclama la ragazza con una risata cristallina. «Volevo solo avvisarti che la pista ha bisogno di una passata… e volevo ricordarti di chiudere bene, ricordi il casino che combinarono quei ragazzi l’altra volta, e volevo ricordarti di venire con gli altri al bar al ponte 12, dopo».
La osservo mentre sposta i capelli biondi su una spalla e mi sorride amichevole.
Annuisco. «Va bene, vengo. Sei sicura di non voler…?» aggiungo, con un sorriso seducente.
Nick sgrana gli occhi azzurri e fa un passo indietro, terrorizzata, quasi. «No, no, no! Sai che è contro le mie regole! Cascasse il mondo, nel mio giorno di riposo non tocco un solo attrezzo! Già è tanto che sono venuta sin qui ad avvisarti!» guarda la pista da pattinaggio come se fosse un brutto mostro, ma so che è tutta finzione.
Faccio un sospiro di rammarico e mi stringo nelle spalle. «Peccato… avremmo potuto divertirci, insieme…» ammicco suadente lanciandole un occhiata allusiva.
«Non ci casco, mongolo! Non mi faccio fregare!» esclama facendo qualche passo indietro e guardandomi con aria truce. Adoro prenderla in giro è la più piccola dello staff ma è la più vivace!
«A più tardi, allora» mi fingo dispiaciuto e ritorno al mio lavoro.
«Ci vediamo!» esclama Nick, prima di darsela a gambe verso la porta d’entrata.
Mi giro verso il cumulo di roba da mettere in ordine e mi rimbocco le maniche con un sorriso. Magari più tardi ho anche il tempo per un giro veloce sulla pista. Afferro tre o quattro caschi e li impilo ordinatamente nello scaffale, quando sento una porta sbattere.
«Hai cambiato idea e sei tornata per aiutarmi?» chiedo, senza voltarmi.
«Scusi?».
Sobbalzo e mi giro di scatto. All’ingresso c’è una ragazza dai capelli rossi tinti, la frangia spettinata che le ricade sulla fronte e il trucco dark che le enfatizza gli occhi verdi.
«Mi scusi» dico avvicinandomi e passandomi i palmi delle mani sui jeans. «Credevo fosse Nick, la mia… assistente».
La ragazza inclina il viso di lato e mi rivolge un sorriso civettuolo. «Veramente mi chiamo Tracey… ma Nick va bene, se ti piace di più» dice con fare ammiccante.
Non ci credo, i ruoli si sono capovolti.
Forse Nick l’ha assoldata per farmi uno scherzo! La guardo sospettoso, ma dev’essere una ragazza che si è imbarcata oggi, ha in mano la carta della crociera e tutti i documenti di identità.
Mi fermo, con le braccia alzate a metà del movimento che stavo facendo e cerco di esibirmi in una risata divertita. Un’altra arrapata, ma non è possibile!
Capitano tutte qui e proprio mentre io ho il turno!
Sorrido amabilmente. «Americana, vero?».
Tracey annuisce e la scollatura della maglietta nera che indossa si sposta, lasciando intravedere il bordo del reggiseno di pizzo. Distolgo lo sguardo, cercando di non fare intuire cosa stavo guardando.
«Non vorrei sembrarle scortese, ma la pista oggi è chiusa ai visitatori. Può provare domani mattina dalle nove alle undici, se vuole fare una lezione o vedere i ragazzi che pattinano».
«Veramente non ero qui per la pista…» dice.
Okay, adesso mi preoccupa.
Il personale deve essere sempre gentile e disponibile con i clienti, ma con queste ragazze c’è poco da scherzare, soprattutto se sono americane. Possono metterti in guai seri e la carriera è fottuta.
«La reception e il banco informazioni si trovano al ponte 5…» mormoro in tono affabile poggiandole una mano sulla schiena ed accompagnandola verso l’uscita con fare amichevole.
La ragazza si guarda attorno come se fosse alla ricerca disperata di qualcosa e oppone resistenza. «Ma no! Io sto cercando un’amica, dev’essere qui per forza, ne sono sicura!»
Alzo gli occhi al cielo senza farmi vedere e continuo a spingerla verso l’uscita. «È impossibile, Tracey. La pista è chiusa al pubblico oggi, e lei è tenuta ad uscire, o dovrò chiamare il personale addetto alla sicurezza» mormoro l’ultima frase con fare scherzoso, ma in realtà sono serissimo e lei sembra accorgersene.
La ragazza si ferma di botto e le sbatto contro.
Alzo lo sguardo e vedo che ha gli occhi ridotti a due fessure. «Lei non mi crede».
Sorrido, qui si mette male. «Tracey…» comincio con voce amichevole.
«Senti, biondino. Io qui sono venuta solo ed esclusivamente per la mia amica e sebbene tu sia un bocconcino attraente ed appetitoso non me la farei mai con uno del personale della nave, quindi penso di averti reso abbastanza chiaro il concetto che: non mi interessi a scopo sessuale. Ora, se mi fai il santo piacere di levarti dalle palle e di farmi cercare la mia amica in pace, tante grazie, altrimenti conosco un paio di mosse judo che ti metterebbero ko giusto il tempo di farmela cercare comunque. E adesso…» guardo la ragazza alzare i pugni, «preferisci le maniere forti o quelle definite civili?».
Sbigottito, mi faccio da parte per farla passare.
Tra tutte proprio una pazza violenta mi doveva capitare!
«Saggia decisione» dice lei prima di lanciarmi un ultimo sguardo di superiorità. Mi sorpassa e scende i gradini sino alla pista, guardandosi attorno verso gli spalti.
Dio, non mi ero mai trovato in una situazione del genere!
Di solito i clienti sono gentili e ragionevoli, ci sono quelli che fanno problemi ma di certo non se la prendono con un povero pattinatore che ha il turno della manutenzione della pista!
Vedo la ragazza portarsi le mani ai fianchi.
Ho deciso, se fa qualcosa di strano la prendo di peso, judo o no, e la scaravento fuori dalla pista e poi mi chiudo dentro a chiave.
«Karol!» urla. «Karol esci fuori, non è divertente! Ho dovuto minacciare il poverino figo per entrare a cercarti, quindi esci fuori se non vuoi finire male!»
È una pazza.
Di sicuro.
Qui non è entrato nessuno! «Senta… Tracey» dico, ostentando pazienza. «Qui non è entrato nessuno, me ne sarei accorto, altrimenti!».
La rossa visionaria arrapata si volta nella mia direzione e mi rivolge uno sguardo scettico. «Lei sa come passare inosservata» dice, riprendendo a guardarsi attorno.
«Da come la descrivi assomiglia più a Sauron il Signore Oscuro che ad un essere umano!» mormoro mentre mi siedo e rimango a guardarla. Non credo che arriverò in tempo al bar, di questo passo.
«Karool! Vuoi uscire, cristo santo, per favore!!».
Ma che voce stridula di merda che si ritrova! Mi guardo attorno nervosamente. Se mi beccano in pista nell’orario di chiusura con un passeggero arrapato come lei, sono fottuto!
«Dio, Tracey, quanto sei rompicoglioni!».
Balzo in piedi e scruto l’oscurità verso gli ultimi posti sugli spalti. Allora era vero! La rossa non è pazza e nemmeno visionaria, è solamente arrapata e ha qualche problema nel comprendere il significato di serena convivenza civile e rapporto di consueta gentilezza tra passeggero e membro della compagnia.
Intravedo una figura alzarsi e scendere a balzi i gradini, sino a raggiungere la rossa.
«Finalmente!» esclama la ragazza, voltandosi verso di me. «Lei è Karol. L’amica che stavo cercando» dice voltandosi verso di me ed indicandomi la ragazza dai lunghi capelli neri che si è appena materializzata al suo fianco. Il primo pensiero che mi colpisce è che non somiglia per niente a Sauron.
Beh, questo dovrebbe essere più che ovvio. Chi potrebbe mai assomigliare a Sauron?? Patetico.
Mi passo le mani tra i capelli, al limite di un esaurimento nervoso. «Piacere!» mormoro brusco.
«Oggi la pista è chiusa al pubblico. Quindi, per piacere…»
«Ce ne andiamo a fanculo, okay, okay…» mi interrompe Tracey mentre Karol alza i suoi splendidi occhi azzurri al cielo.
Nulla di paragonabile con l’occhio senza palpebre….
Sto decisamente delirando. Queste due devono andarsene e subito non mi era mai capitata una cosa del genere. E se fosse un complotto? Magari Sauron si era appostata qui e aveva architettato tutto con la rossa sociopatica. A volte vorrei evitare di essere attraente, anche se la maggior parte del tempo la passo a ringraziare mia madre per non avermi dato una faccia di culo da povero sfigato.
«Mi dispiace averti causato questi problemi…» mi dice Karol indicando con un cenno del capo l’amica.
Forse l’idea del complotto non è del tutto vera.
«Se tu fossi uscita subito da quel ridicolo nascondiglio, non avrei fatto disperare il poverino figo» si giustifica l’altra.
Cosa?
«Speravo che le impedissi di entrare a cercarmi» dice Karol guardandomi mortificata.
«Non fa niente.» dico con un sorriso, accompagnandole sino all’uscita. Finalmente questo incubo è finito.
«Vedi, il poverino figo ha detto che non fa niente! Adesso andiamo.» dice la rossa con aria autoritaria.
Serro la mascella. «Mi chiamo Jake, comunque».
Tracey sbuffa e trascina l’amica verso l’uscita. «Jake, il poverino figo, ha detto che non fa niente!».
Rimango impalato a qualche passo dalla porta, senza sapere bene come reagire. Tracey la spalanca e, prima di uscire, Karol mi rivolge un ultimo sguardo e mi sorride dolcemente. «Scusa» sussurra, muovendo appena le labbra.
Non so perché, forse è l’abitudine, ma sorrido anch’io.
Poco fuori la porta c’è un ragazzo dai capelli e dagli occhi scuri. Mi rivolge uno sguardo cupo ed arrabbiato, poi prende Karol e se la carica sulle spalle, iniziando a correre. Tracey li insegue zampettando scoordinatamente, mentre la risata felice e spensierata di Karol mi giunge alle orecchie, anche se ormai sono così lontani che non dovrei sentirli.  
Rimango impalato a fissare il vano vuoto della porta prima di chiuderla a chiave per evitare di essere disturbato oltre. Decisamente, uno degli incontri più strani che abbia mai avuto.

 


*WHAWAIEAH!
xD *scleri in corso*
Mi scuso tantissimo per non essere riuscita ad aggiornare prima ma non riesco nemmeno a scrivere in quest'ultimo periodo, sono impegnatissima!! D:
Spero solo di non aver combinato una schifezza.. a voi l'onore di leggere e giudicare ;)
Buona lettura,
Kry <3

ORDER OF THE PHOENIX*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO 2

 
Trailer: Ice Dream 
Entrambi realizzati dalle bravissime ragazze di Pinoolast's Graphic- Video
 
Quando Mark mi mette giù, sto ancora continuando a pensare alla pista, al ghiaccio alle lame dei pattini che Jake stava ripulendo e mettendo al posto, al mio primo casco e a quando ho gioito la prima volta che mi hanno detto che ero abbastanza brava da non dover metterlo più. 
«Uff… ancora quella faccetta mogia e depressa!» si lamenta Tracey guardandomi di traverso.
Arriccio il naso «Avevi detto che mi avresti lasciato andare dove volevo una volta sulla nave. E invece mi vieni a prendere e non mi fai respirare!».
«Ma è il primo giorno, dobbiamo passarlo insieme!» protesta, scuotendo la testa rossa.
«Hai detto tutt’altro, stamattina…» brontolo sentitamente ficcandomi le mani in tasca e ripensando al ghiaccio, a tutto quel ghiaccio e alla sensazione di volarci sopra come una farfalla, di sentirsi forte, bella, invincibile. 
«Oooh? C’è qualcuno?? Terra chiama Karol!» Tracey mi schiocca le dita sotto al naso. Probabilmente ha detto qualcosa e io non le ho risposto.
«E comunque potresti provare ad essere gentile con le persone che non conosci… hai trattato malissimo quel ragazzo prima, era sul punto di avere una crisi di nervi!» dico cambiando argomento.
Sento Mark irrigidirsi accanto a me e gli rivolgo una veloce occhiata 
distratta prima di ripuntare lo sguardo sulla mia dolce amica dispotica.
Tracey pare sbigottita per un attimo e si fa pensosa. «Sì, forse hai ragione… sembrava proprio sul punto di crollare… certo che era proprio carino!» aggiunge, con gli occhi che le brillano.
Vorrei scuoterla e farle capire che il sesso non è l’unica cosa importante
nella vita.
Il fatto che Tracey consideri tutti gli esseri viventi definiti uomini dalla 
vita in giù solo per certi scopi mi lascia sempre un po’ interdetta oltre che irritata. Insomma, nella vita c’è altro!
«Sì.» commento ironicamente. «E tu non hai fatto altro che chiamarlo il 
poverino figo” anche se a lui dava fastidio…».
Tracey si lascia andare ad una grassa risata. «Per prima cosa non avevo nessuna intenzione di conquistarlo per portarmelo a letto, per quanto fosse attraente. Su questa nave ci sono un sacco di ragazzi belli e prestanti e non voglio complicarmi la vita con uno dello staff. E poi io adoro dare fastidio! Non c’è gusto a conoscere delle persone se poi non le fai impazzire!» termina la frase con una ricca risata cristallina che mi mette i brividi.
«Devo elencarti i motivi per cui non dovresti farlo, invece?» ribatto 
scettica. Tracey ha proprio una mente perversa. 
Mark si mette tra noi e ci prende sottobraccio, trascinandoci in una corsa folle per tutto il corridoio. 
«Facciamo una gara di tuffi?» chiede, mentre io cerco di prendere fiato.
«Ci stooo!» esclama Tracey, iniziando a trascinarmi verso la nostra stanza. 
«Tra cinque minuti in costume davanti all’ascensore!».
Mark sorride raggiante e mi accarezza il viso, lasciandomi mezza allibita e poi sparisce nella porta accanto alla nostra. «Muoviti!» Tracey mi spinge nella camera, apre la valigia e mi lancia contro uno dei miei bikini semplici. 
«E se io non volessi venire?» chiedo mettendo il broncio, mentre Tracey si leva le mutande e mi mostra il di dietro.
«Ma sei scema? E che cosa ci sei venuta a fare in crociera se non vuoi venire in piscina?».
«Beh, potrei fare qualche altra cosa… tipo un giro in biblioteca, o per la 
nave, o…».
«Non farla tanto lunga e muoviti, Mark ci aspetta! Tu di sicuro faresti 
qualcosa di noiosissimo tipo imboscarti in quella pista da pattinaggio, senza pattinare, per spiare il belloccio che pulisce» mi interrompe, allacciandosi il reggiseno e sistemandosi i capelli in una coda funzionale. «Ti ho sgamata stavolta! Chissà come devono guizzare i suoi muscoli mentre li mette in funzione. Mhmm, Dio, forse dovrei rivedere la regola di non farsi uno dell’equipaggio, sarebbe eccitante, non trovi?».
«Che schifo, Tracey! Mi stupisci ogni secondo di più con la mania che hai per il sesso!! Ci manca poco che non proponi a me e a Mark di fare una cosa a tre! Allora saprò che sarai proprio irrecuperabile! E poi non stavo spiando Jake!» protesto indignata. «E sai benissimo anche tu che odio pattinare!» aggiungo, decisa a non dargliela vinta in nessun campo.
Tracey mi guarda in tralice e si avvicina di un passo. «No, io so che ami 
pattinare ma che non metti piede sulla pista perché hai paura. Quindi, siccome non voglio vederti depressa per tre mesi, farai meglio a sbrigarti e a fare quello che dico io!».
Guardo Tracey negli occhi per alcuni istanti, come se volessi sfidarla, mentre il cuore batte forte contro la gabbia toracica e pompa sangue a tutta forza nelle vene. “Ami pattinare ma non metti piede sulla pista perché hai paura”.
Mi volto e mi levo la maglietta. Tracey sta immobile per qualche istante ancora, poi la sento trafficare con le sue cose e quando mi giro, è perfettamente preparata per uscire.
Vorrei che non avesse sempre ragione.

In piscina, detesto ammetterlo, ma mi diverto come una pazza. 
Tracey nei tuffi è un asso, è davvero molto brava, ma la nostra gara non è basata sull’ abilità ma su quanto riusciamo a disarticolarci nel fare i tuffi più strani. 
Mark fa delle facce buffissime mentre salta dal trampolino e fa delle strane capriole con le gambe aperte. 
Quando minacciano di schizzarmi o di prendermi di peso e buttarmi in acqua se non mi bagno all’istante, decido di darmi da sola il colpo di grazia, prendo la rincorsa, salto sul bordo piscina e mi abbraccio le gambe. 
Per un attimo, mentre sono in aria, riprovo la magnifica sensazione dell’aria che ti sferza, mentre spicchi un salto sulla pista e i piedi si staccano dal ghiaccio. Poi, ricado, schizzando acqua ovunque e attorno a me è tutto blu, pieno di bolle bianche. Ho acqua nelle orecchie, nel naso e l’impatto col ghiaccio non è mai arrivato.
Avverto una forte fitta al petto e mi immergo, per non far vedere agli altri quanto sto male. 
Faccio qualche metro e poi riemergo, prendendo fiato. 
Mark mi è subito accanto in poche bracciate e mi sorride allegramente. «Figo, no?».
Non posso fare a meno di rispondere al suo sorriso allegro e spensierato, dimenticandomi tutti i dolori e le preoccupazioni e lo schizzo con l’acqua, lasciandolo di stucco. 
«Fighissimo!» esclamo ridendo ed immergendomi appena in tempo prima che lui mi schizzi di rimando.
Si apre una gara fatta di alleanze momentanee e non ben definite. Ora Mark e Tracey cercano di spingermi sott’acqua, ora io e Mark cerchiamo di levarle le mutande o sbottonarle il reggiseno, ora io e Tracey ci buttiamo ridenti tra le sue braccia, facendogli il solletico sotto le ascelle e facendo a gara ad arrampicarci sulle sue spalle ampie per fare i tuffi da lì. Passiamo il resto della giornata a schizzarci e a ridere come dei bambini e solo quando la fame si fa sentire, decidiamo di uscire dall’acqua. 
È troppo tardi per andare a ristorante perciò corriamo al buffet e ci 
riempiamo i piatti con tutte le delizie che troviamo. 
Salsicce giganti, carne, patatine, fette di torte mai viste, frutta e… pizza!
Mi getto sul cibo con foga, seguita a ruota da Tracey che dopo i primi due bocconi rischia di strozzarsi. 
Io e Mark ci mettiamo a ridere e iniziamo a prenderla in giro, perché la 
tonalità di rosso della sua faccia è quasi uguale a quella dei suoi capelli.
Quando riprende a respirare normalmente, Tracey trova il tempo per lanciarci un’occhiataccia di fuoco. Borbotta qualcosa di sconnesso sputazzando qua e là sul tavolo di legno, senza far cadere il suo cipiglio battagliero.
Mark e io ridiamo, incapaci di trattenerci. 
Infilo il wurstel nel panino e lo ricopro di ketchup, dando un morso all’hot-dog improvvisato. 
Mark mi passa un braccio attorno alle spalle e finisce di mangiare la sua pizza con l’altra mano, tenendomi stretta a lui. 
Aggrotto le sopracciglia e senza farmi notare, lancio uno sguardo interrogativo a Tracey, seduta di fronte a noi che, sebbene abbia visto il gesto, sta facendo finta di niente. Lei risponde al mio sguardo silenzioso con un’alzata di sopracciglia e prende un sorso d’acqua dal suo bicchiere.
Io guardo il mio, che è praticamente vuoto. «Uff…» mi lamento. «Ho finito l’acqua. Mark, potresti farmi passare, così vado a prendere un altro bicchiere?» chiedo sfornando per lui uno dei miei sorrisi più belli.
Mark mi guarda imbambolato per un istante, poi si alza e mi fa cenno di aspettare. «Aspetta, te lo vado a prendere io.» mi sorride e si allontana.
Sgrano gli occhi.
Il piano era quello di allontanarlo, certo, ma avevo pensato che io sarei 
andata a prendere il bicchiere e Tracey mi avrebbe seguita con una scusa!
Mi volto di scatto verso di lei. «Si può sapere che cavolo ha? È strano! Non aveva mai fatto così, prima!».
Tracey mi rivolge uno sguardo complice e l’angolo sinistro delle labbra le si solleva in un sorrisetto sornione. 
«Davvero non l’hai ancora capito?».
Rivolgo uno sguardo ansioso alle mie spalle e vedo che Mark ha recuperato un bicchiere.
«Sbrigati!» la imploro, tornando a guardarla disperatamente.
«Oh, beh, a volte mi stupisce la tua stupidità.» ribatte Tracey piccata.
Sbuffo, incitandola a muoversi. 
«È ovvio!» dice, mentre Mark si avvicina inesorabilmente. «È innamorato di te!».
«COSA?» urlo, balzando in piedi.
«Cosa?» chiede Mark che è appena arrivato, guardandoci con aria innocente.
Gli rivolgo uno sguardo stralunato e cerco di recuperare la mia solita 
espressione facciale, senza riuscirci molto probabilmente. 
«N- niente.» balbetto, tornando a sedermi freneticamente. 
Tracey sorride con aria da stronza. 
Ma perché cazzo non me l’ha detto prima?
Le rivolgo uno sguardo infuriato e lei si stringe nelle spalle e guarda 
velocemente Mark, che nel frattempo si è seduto accanto a me e ha poggiato il bicchiere d’acqua sul tavolo. 
«Grazie.» mormoro, cercando di sorridere. Tracey mi dovrà delle spiegazioni.
Mark mi guarda e il suo sorriso, invece, è perfetto. «Figurati.» sussurra, 
prima di ricominciare a mangiare.
Tracey mi dovrà moltissime esaurienti spiegazioni.
Guardo il mio hot-dog e trattengo a stento un conato di vomito.
Mi si è chiuso lo stomaco. 
Mi accascio sullo schienale della panca e sorseggio l’acqua, guardando il mare, mentre Tracey mi rivolge occhiate inquisitorie per capire che effetto mi ha fatto quella notizia.
La guardo e cerco di trasmetterle quello che provo. 
Niente.
Mark è come un fratello per me e mi piace solo ed esclusivamente come tale.
Lo spio attentamente attraverso le ciglia.
È molto carino con quei capelli neri spettinati e gli occhi scuri e 
misteriosi, le spalle ampie e forti, i muscoli guizzanti delle braccia, il 
sorriso seducente.
È molto carino e scommetto che se non lo conoscessi da una vita, lo guarderei in maniera diversa, come una ragazza guarda un ragazzo bello.
Ma il problema è proprio questo.
Siamo cresciuti insieme e non l’ho mai considerato tale.
L’ho sempre visto come Mark, e basta.
Torno a guardare il mare, associando quel colore ad un altro, che non mi ricordo dove ho già visto. Poi, all’improvviso, mi ricordo degli occhi di Jake, dello stesso colore. Scuoto la testa sentendomi improvvisamente triste.
Il mio migliore amico innamorato di me, la mia migliore amica dispotica che non mi dice cosa succede, un ragazzo sconosciuto che sbuca nella mia mente all’improvviso e il ghiaccio.
Un’enorme, liscia, perfetta e dolorosa lastra di ghiaccio.

 
*WHAWAIEAH!
Ragazzi imploro il vostro sacrosanto
AIUTO! Oggi sono andata ad aprire il documento word di Ice Dream e non me lo apree!! D:
Dice che ci sono dei problemi nel contenuto!
Questa è una
TRAGEDIAAAA!! D:
Avevo pronti i capitoli sino all'undicesimo e avevo tutta la scaletta della storia! Il problema è che non ho tempo di scrivere e quei capitoli sono fondamentali! Sapete per caso come risolvere il problema?? Vi prego ditemi di sì! Questo e il prossimo capitolo ce li ho salvati perchè li inviai ad un'amica per posta ma dopo il terzo rimango a mani vuote!!! Per favore, aiuto!! 
Un bacio, spero proprio che abbiate la soluzione che mi salverà la vita!! <3
Kry
ORDER OF THE PHOENIX*

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


CAPITOLO 3


Immagine e Trailer realizzati dalle ragazze di 
Pinoolast's Graphic- Video 
Se avete richieste per la realizzazione di banner e video chiedete a loro, sono bravissime! :)




Mi chiudo la porta alle spalle, sperando che almeno oggi, dopo una settimana da quell’incontro che sfiorava il sovrannaturale, nessuno arrivi a disturbare il mio precario equilibrio mentale con delle avances mascherate e dei giochi a nascondino che mi snervano terribilmente. 
Mi guardo attorno, constatando il lavoro da fare.
Il giorno in cui mi tocca lavorare per mettere in ordine lo odio e lo amo. 
Lo odio perché è terribilmente noioso e passo tutta la parte del tempo praticamente da solo, lo amo, invece, perché a lavoro finito posso farmi un giro sulla pista, completamente in santa pace. 
Oggi non c’è molto da mettere in ordine, per fortuna. 
Mi passo le mani tra i capelli e inizio a raccogliere gli oggetti lasciati in mezzo.
Ho iniziato da appena cinque minuti quando sento un rumore  e mi volto verso l’entrata.
«Ehm… ciao» dice una voce.
Strizzo gli occhi per distinguere la figura all’ingresso, quella chiude la porta e la riconosco.
È Sauron, o meglio è Karol, la ragazza che si nascose qui l’altra volta.
«Ciao. Veramente… non potresti stare qui» dico seccamente. 
Spero che l’amica non spunti da un momento all’altro, perché sennò mi licenzio.
Karol fa qualche passo avanti e scende i gradini verso di me. 
Quando siamo a pochi passi di distanza, si ferma e mi guarda, lievemente in imbarazzo. «Devo chiederti un piccolo favore» si ficca le mani in tasca e inclina il volto di lato, sgranando gli occhi azzurri.
Tossisco leggermente e le faccio segno di proseguire. 
«Fammi rimanere qui».
Mi guardo nervosamente intorno. «Non posso, io…».
«Lo so, lo so che non puoi» interviene lei velocemente. «Ma se tu non lo dici a nessuno, io non lo dico a nessuno e nessuno lo verrà a sapere!».
Ma perché? Perché proprio quando io pulisco? Non potevano venire quando c’era Robert? O Nick? O Fiona?
«E se arriva quella tua amica lì, sai quella un po’…» faccio un cenno rotatorio con il dito in direzione della tempia e Karol scoppia a ridere. 
«La mia amica svitata?». 
Beh, a dir la verità l’avrei meglio definita pazza da ricovero, arrapata e violenta, ma sono contento che la prenda così bene. «Esatto. Se lei arriva e insiste nel cercarti qui, capisci bene che non posso prenderla a calci e buttarla fuori…».
Karol tentenna ed arriccia il labbro, guardandosi attorno.
Quando torna a posare gli occhi su di me, mi si stringe lo stomaco.
Si sporge verso di me con fare cospiratorio e io mi avvicino a lei. «In realtà è proprio da lei che sto scappando… quindi, se mi nascondo da qualche parte qui, tu potresti coprirmi…».
L’idea non mi piace affatto. Oh, no, che non mi piace! «Ma fa judo! Come cavolo faccio a farla allontanare?».
Karol sgrana gli occhi e poi scoppia a ridere, rovesciando il capo all’indietro. 
Che ho detto?
«Ma hai visto come corre? Sembra un bradipo scoordinato, certo che non fa judo! Tutte le sue minacce sono campate in aria, l’unica cosa che può fare è rincoglionirti con la sua parlantina inarrestabile!».
«Non fa judo?» chiedo, per sicurezza.
Karol scuote la testa, con le lacrime agli occhi.
«Karate? Kick-boxing? Qualche strana tecnica di combattimento marziale?» m’informo, diffidente.
Karol scuote la testa e sorride.
«E non ha un taser? Una qualche arma letale con la quale può far finire all’aria le mie chiappe sexy e seducenti?» chiedo ancora, mentre un sorriso m’increspa le labbra.
Karol getta il capo all’indietro e scoppia a ridere, come se le mie chiappe siano argomento da prendere sottogamba. Mi fingo piccato mentre passo lo strofinaccio sul bancone con energia e la sbircio attraverso le ciglia.
È carina. E ha una bellissima risata.
Mi guarda, gli occhi che brillano ridenti. «Posso restare?» la sua voce è leggera, tranquilla.
Le direi di no, anzi, lei non può proprio stare qui, però non ci riesco.
Annuisco stancamente e le indico un posto in prima fila, dal quale posso tenerla d’occhio nel caso fosse una pazza psicopatica e decidesse di assassinarmi o combinare qualche atto vandalico.
«Come mai, scappi?» chiedo, non sopportando il silenzio ed una persona che mi osserva senza fare altro.
Karol si stringe nelle spalle mentre metto a posto i pattini e i caschi. «Sai com’è…» mormora, portandosi un dito alla tempia e ruotandolo come avevo fatto io poco prima.
Stavolta tocca a me ridere e lei mi segue ben presto.
Forse non è del tutto pazza.
Di sicuro non è pazza quanto l’amica ed ha un bel sorriso.
Dei begli occhi.
Un bel viso.
Distolgo lo sguardo, perché la sto fissando da troppo tempo.
«Scappavi anche l’altra volta?» chiedo, cercando di fingermi non troppo interessato ma impegnato a studiare una strana macchia di indefinita provenienza sul banco.
«Sì, scappavo sempre da Tracey e dal suo dispotismo maniacale. Sa essere esasperante a volte…» confessa, facendosi pensierosa.
«In realtà ho pensato che se stavolta non ti avessi avvertito e Tracey mi avesse trovato qui come l’altra volta mi avresti sicuramente odiata…».
Sollevo lo sguardo su di lei, mentre afferro il mio paio di pattini personale. 
«Beh, in effetti avrei pensato di circondarmi da bodyguard» dico, guardandola sottecchi.
Karol sorride e arriccia il naso.
In quel momento il colore dei suoi occhi mi ricorda tanto quello di alcuni fiori che mio padre comprava a mia madre quand’ero piccolo. 
Sorrido a quel ricordo, o forse sto sorridendo a lei, non lo so con precisione, ma lei ricambia e la pista da vuota e cupa, mi sembra improvvisamente il luogo più accogliente della faccia della terra. 
Mi infilo i pattini e cammino sul pavimento di gomma sino all’entrata della pista. «Vuoi fare un giro?».
Sgrana gli occhi e di nuovo rimango abbagliato dal loro colore.
«No, io…» sembra imbarazzata. O terrorizzata.
Le sorrido comprensivo, entro nella pista e mi avvicino alla ringhiera, proprio dove lei è appoggiata. 
La guardo, senza staccare gli occhi dai suoi. 
«La prima volta è difficile per tutti. Ma poi è fantastico. Dovresti davvero provare».
Mi guarda senza sapere cosa dire e alla fine sorride, ma il sorriso è triste e non felice come l’ho visto poco fa.
Guarda la pista e mi sembra di leggere nel suo sguardo un profondo e bruciante desiderio, qualcosa che ho visto solo in pochissime persone che amavano pattinare più della loro stessa vita. 
«Dovresti provare…» le sussurro, sporgendomi verso di lei. «Secondo me sei portata».
«E da cosa lo deduci?» la sua voce è un sussurro lieve e il suo profumo mi investe leggero e frizzante mentre si avvicina al mio viso.
Ha cambiato di nuovo espressione, adesso sembra ironica, ma nel suo sguardo vedo ancora il desiderio per il ghiaccio. Non insisto e mi allontano di poco dalla ringhiera, scivolando all’indietro, senza perdere il sorriso. 
«Dal tuo sguardo. Guardi la pista come se non ci fosse nulla di più bello al mondo».
Il sorriso si spegne e mi guarda tristemente. «È vero. Credo che sia la cosa più bella del mondo» dice sovrappensiero. 
«Ma non vuoi provare…» concludo.
Torna a guardarmi e scuote di poco la testa, arrampicandosi sulla ringhiera e sedendosi sopra, con le gambe penzoloni sulla pista. «Voglio vedere come te la cavi».
Adesso sorride apertamente, come prima, e mi stupisco nel pensare che vorrei tanto capire cosa trattiene e spinge questa ragazza verso il ghiaccio.
Voglio risolvere il suo mistero.
«Preparati a rimanere sorpresa» dico, iniziando a correre velocemente sulla  pista, isolandomi dal resto del mondo.



 
*WAWAIEAH!
Occhey, occhey, occhey...
Questo capitolo è un vero disastro ed è anche piuttosto breve D: 
Cercherò di impegnarmi con i prossimi ma credetemi se vi dico che è un'impresa titanica visto che sto riscrivendo tutta la storia e ho un sacco di impegni... D':
In poche parole, tempo dedicato alla scrittura uguale a zero.. :/
Spero che, nonostante tutto, continuiate a seguire questa storia.. (:
Un bacio a tutti,
Kry <3

ORDER OF THE PHOENIX*

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


CAPITOLO 4.


 
Trailer: Ice Dream
Entrambi realizzati dalle ragazze di Pinoolast's Graphic- Video :)


 
“Allungo una gamba ed entro in pista, reggendomi con forza alla ringhiera. Inspiro ed espiro, inspiro ed espiro più volte, come mi hanno sempre detto di fare. La musica inizia lieve e sento le grida del pubblico, i fischi, vedo le luci dei cellulari che illuminano gli spalti bui. Chiudo gli occhi per un attimo, isolandomi da tutto e da tutti, entrando nella mia bolla personale. Ora ci sono solo io. E il ghiaccio. Riapro gli occhi e piego le gambe e in un attimo sono al centro della pista e scivolo senza ombra di preoccupazione.
Il cuore mi batte forte nel petto per l’emozione e l’adrenalina mi fa tremare le dita, le gambe, la sento scorrere nel mio corpo insieme al sangue.
Deglutisco e mi faccio trasportare dalla musica, sentendomi sempre più leggera. Corro, spicco un salto, giro su me stessa e atterro con gli occhi chiusi, trattenendo il fiato con la folla intorno a me. Ho ancora gli occhi chiusi quando un paio di braccia calde mi afferrano e mi stringono. Apro gli occhi  e Jake è davanti a me, con i suoi capelli biondi pettinati all’indietro, gli occhi azzurri fissi nei miei ed un sorriso caldo e rassicurante che accarezza quelle labbra così piene. Sorrido e mi rilasso mentre mi prende per mano.
Non ho più paura con lui al mio fianco. Pattiniamo insieme lungo la pista, la sua mano calda che combacia alla perfezione con la mia, le nostre dita intrecciate l’una all’altra e volo tra le sue braccia, felice.
Con lui al mio fianco sono più forte.
Mi prende per la vita e gira velocemente, il mondo diventa sfocato attorno a noi e il vestito leggero che indosso mi fruscia contro le gambe.
Se lui è accanto a me, tutto andrà bene.
Mi posa a terra con eleganza e le lame raschiano il ghiaccio scivoloso, ci stacchiamo per un attimo per ritrovarci dopo qualche secondo e ci allontaniamo di nuovo.
Faccio un triplo e l’aria fredda m’investe mentre sono in aria e sorrido mentre la pelle si tende e i muscoli si flettono. Atterro sul ghiaccio con fluidità e mi volto sorridente verso Jake.
Il rumore della folla è un ronzio in sottofondo che disturba la perfezione di questo momento.
Continuo a girare in tondo ma Jake non c’è. Pian piano il sorriso mi si smorza sulle labbra. Continuo a girare su me stessa, e giro, giro, giro, mentre penso solo a Jake, mentre il cuore ricomincia a battermi nel petto troppo velocemente e non capisco e lui non c’è.
La musica mi pervade, ma non è come prima, è troppo forte, mi fa tremare e mi romba nelle orecchie come un fiume in piena e uno stridio acuto mi graffia i timpani.
Urlo il suo nome.
Urlo “Jake”, ma non mi risponde.
Lo stridio si fa più forte, continuo a girare, i volti si mescolano l’uno all’altro e nessuno è uguale al suo.
Un fascio di luce mi investe e qualcosa di pesante mi travolge.
Buio, e un dolore lancinante alla gamba, schegge di ghiaccio gelido che mi penetrano nella pelle.
Urla.”

Mi sveglio urlando, madida di sudore e mi porto la gamba sinistra al petto.
«Karol!» braccia mi scuotono forte ma non sento niente, solo dolore. Guardo un punto fisso davanti a me, il respiro pesante, affannoso.
«Karol!! Karol rispondi!» le braccia mi scuotono ancora più violentemente, ma non vedo niente, non sento niente, solo dolore. Le dita affondano nel polpaccio della gamba e lasciano il segno, mezzelune incise nella carne.
«Ti prego, Karol… ti prego, non andartene. Non c’è niente, non è successo niente, ci sono io qui…» le braccia mi avvolgono e mi tengono stretta, ma la gamba mi fa troppo male e brucia, brucia di dolore.
Apro la bocca e un rantolo soffocato mi esce dalla gola, graffiandomi.
«Dimmi! Parlami, sono qui!» la voce è vicina, è un filo di luce a cui mi aggrappo per non cadere nell’oscurità.
«G- gamba. Fuoco. B-brucia» le parole mi escono sconnesse, sento il sapore del sangue in bocca e ho troppo freddo per muovermi.
Mani ghiacciate staccano le mie dalla gamba e mi aiutano a stendermi. Fisso il soffitto senza guardare, immobile. Le braccia esili di qualcuno mi stringono ma mi sembrano mattoni su cui appoggiarmi in questo momento.
«Sono Tracey, Karol. Sono Tracey. Ci sono io, non te ne andrai, non lo permetterò» dice la voce e, incredibilmente, le credo. Chiudo gli occhi e sprofondo in un sonno senza sogni.
 
Quando li riapro la luce ha invaso la cabina e Tracey è addormentata sulla mia spalla. Ha le guance rigate da lacrime secche e sento il cuore sprofondarmi nello stomaco.
Mi prendo la testa tra le mani, stando ben attenta a non svegliarla.
Possibile che debba essere così problematica? Possibile che debba far soffrire e preoccupare coloro che mi stanno accanto?
Cosa c’è che non va in me.
Serro forte le palpebre perché sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, pronte a scivolare giù. Ma io non voglio piangere! Mi giro verso Tracey e la scuoto un pochino.
Emette lo strano verso di un maiale in procinto di essere sgozzato e poi sbatte lentamente le palpebre. Appena mi mette a fuoco e vede che sono cosciente mi getta le braccia al collo e mi fa cadere dal letto.
Atterro con un tonfo sul pavimento duro della nave, prendendo una forte botta al culo.
«Ahia!» protesto, cercando di liberarmi del corpo della mia amica.
«KAROL!» mi urla nelle orecchie.
«Sì, Tracey, so benissimo come mi chiamo!» protesto inacidita.
Mi sento un’ingrata ma non voglio mostrarmi debole. Non voglio ammettere i miei problemi e le mie paure, non voglio essere indifesa anche quando sono cosciente.
Tracey mi tira un forte pizzico sul culo, proprio nel punto dove ho battuto e mi fa urlare di dolore.
«SAI CHE SPAVENTO MI HAI FATTO PRENDERE STANOTTE?» urla, mettendosi in piedi, il viso rosso dalla rabbia.
Sbuffo e guardo altrove.
«Karol guardami!».
Abbasso lo sguardo prima di rivolgerlo su di lei. Glielo devo e lo so. E so anche che mi sto comportando da stronza.
Tracey mi guarda un attimo prima di parlare.
«Non chiuderti con me. Non su questo. Mi devi dire tutto, Karol».
«Non c’è niente da dire» mormoro, ed è vero.
Tracey mi guarda ancora, per capire se ho detto la verità e poi sospira e si butta sul letto, facendo spostare il materasso.
«Usciamo, dai. Magari distrarci ci servirà» dice stiracchiandosi.
Sono contenta che abbia usato il noi al posto di riferirsi direttamente a me. Come se fossimo noi ad avere dei problemi e non solo io. Come se questa cosa dovessimo affrontarla insieme.
E forse è proprio questo che dovrei fare.
Affrontarla con qualcuno.
Mi alzo e mi dirigo verso il bagno, massaggiandomi la chiappa dolorante.
Apro il rubinetto e mi guardo allo specchio mentre l’acqua scroscia rumorosa nel lavandino.
I miei occhi sono rossi e spenti.
I miei occhi sono vuoti.
Guardo la mano che Jake mi stringeva nel sogno  e sento una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi domando cosa ci veda lui nel mio sguardo. Mi ha detto che brucia di desiderio.
Ma io vi vedo soltanto un’infinita voragine di vuoto.
 
 
«Non dirlo a Mark, okay?» dico, un attimo prima che Tracey apra la porta.
«Dire cosa?» chiede con nonchalance e giuro, giuro che in questi momenti la stritolerei di abbracci.
Sorrido ed esco insieme a lei, lasciando che la porta mi scivoli alle spalle e si chiuda con un tonfo.
Mark è già davanti a noi e ci dice buongiorno con un sorriso che mi fa sciogliere il cuore.
«Gelato, sfide e cazzeggio?» propone e io e Tracey non abbiamo nemmeno bisogno di guardarci per accettare con un gridolino entusiasta. Camminiamo lungo il corridoio della nave, i nostri passi attutiti dal soffice tappeto imbottito, e arriviamo all’ascensore. L’aria è fredda come sempre ma per la prima volta in assoluto, sono contenta di trovarmi qui, su una nave da crociera con i miei due amici.
Certo, ho paura anche perché gli incubi sono ricominciati e stanotte ho avuto un momento davvero difficile da superare, ma accanto a me ho Tracey e ho Mark che mi vogliono un bene dell’anima e so che non mi lasceranno scivolare via un’altra volta.
«Siamo un po’ silenziose stamattina, eh?» la voce di Mark mi riscuote dai pensieri e sollevo lo sguardo su di lui. Tracey si è allontanata e sta parlando con un ragazzo che è appena entrato nell’ascensore.
Qualcosa mi sfiora la guancia e sussulto impercettibilmente rendendomi conto che Mark si è fatto molto più vicino a me e che i nostri corpi adesso si sfiorano. Il suo sorriso invade il mio campo visivo e le sue dita mi accarezzano una guancia.
«Ehm…» cerco di guardare da qualche altra parte ma mi è impossibile perciò mi concentro sul motivo a righini della sua camicia.
Deglutisco mentre il cuore inizia a dare di matto.
Non starà correndo un po’ troppo? Insomma, non gli ho detto che lo voglio, o che mi piace o che… lo amo.
E lui si fa avanti in questa maniera così affrettata?
Dio, se fosse stato un altro avrei allontanato la sua mano con uno schiaffo, ma si tratta di Mark e non voglio ferire i suoi sentimenti. L’ascensore si apre e intravedo una via di fuga.
«Oh, guarda è il nostro piano!» esclamo con fin troppa enfasi scostandolo di lato e aprendomi un varco tra tutte le persone.
Tracey mi affianca subito e rimaniamo in silenzio per qualche istante.
«Cos’ho visto in ascensore?» chiede poi con aria indagatrice e con gli occhi che le brillano.
«Nient’altro che uno squallido tentativo di rimorchio» sussurro velocemente allungando il passo in modo che Mark abbia più difficoltà nel raggiungerci essendo stato bloccato dalla calca.
Scuoto la testa confusa e infastidita.
Tracey sta per dire qualcosa quando Mark con uno scatto da centometrista ci raggiunge e sfoggia quel sorriso fin troppo familiare «Ehi, avete per caso intenzione di seminarmi?».
«Qualcosa del genere…» rispondo seccamente mentre Tracey ridacchia sommessamente.
Adesso vorrei strozzarla.
Camminiamo verso il bordo piscina, diretti verso i tavoli da ping-pong posti sull’ultimo piano.
Dobbiamo salire un paio di rampe a piedi per arrivarci così sollevo lo sguardo per cercare di orientarmi e… lo vedo.
Lo stomaco mi si annoda e il cuore mi fa male per quanto batte forte.
«Ehi, Karol, tutto bene?» la voce di Tracey mi arriva attutita mentre cerco con tutte le mie forze di staccargli gli occhi di dosso, invano.
È seduto al bar, proprio dopo la rampa di scale che dobbiamo salire e sta ridendo con un amico.
Improvvisamente ricordo la sensazione delle sue braccia attorno al mio corpo nel sogno e non riesco più a pensare lucidamente.
Tracey sbuffa.
«Bene. Certo. Io… che bei capelli che hai stamattina, Tracey!» urlo con enfasi, cercando di darmi un contegno.
Tracey non se la beve e mi guarda come se mi fossi fatta una canna.
Magari due.
I suoi capelli sono una massa informe di rosso messi su disordinatamente con un elastico di plastica.
«Certo Karol. E che mi dici di quelle cazze di vacche verdi che hanno preso il posto del tuo cervello e stanno muggendo in coro una canzone dei Nickelback, rincoglionendoti totalmente? Non che sia tanto difficile, poi…».
Mark ci guarda incuriosito. Gli sorrido.
«Mark, potresti precederci o postcederci per favore? Devo dire una cosa di… beh, sai una cosa di donne a Tracey…» usare sempre il ciclo come scusa quando ci si vuole liberare dei ragazzi. Funziona ogni volta.
Mark spalanca gli occhi, balbetta qualcosa e si allontana di qualche passo.
Perfetto.
«Postcederci? Ma da dove cazzo ti è uscita?» dice Tracey strabuzzando gli occhi.
«Shh!» intimo. «C’è Jake!».
«Chi?».
Cristo, ma perché deve urlare?
«Abbassa la voce porca puttana o ti frego tutte le mutande e dovrai vagare in giro per la nave senza!» non so se questa minaccia possa proprio funzionare con Tracey, perché ho i miei dubbi sul fatto che indossi le mutande sotto i vestiti.
«Chi?» ripete sussurrando.
Sospiro. «Il poverino figo…».
Tracey salta su e inizia a guardarsi intorno con aria spasmodica. «Dove? Dov’è??» urla, facendomi mettere le mani nei capelli.
«Tracey, le mutande…» la avverto.
«Chissenefrega! Dimmi immediatamente dov’è, piuttosto!» ma perché ha una voce così stridula?
Alzo gli occhi al cielo e le spiego a bassa voce dove si trova.
«Andiamo!» esclama afferrandomi per il polso e trascinandomi verso le scale mentre un Mark confuso ci segue.
«Tracey, no!» cerco di protestare ma m’ignora bellamente.
Arrivate in cima alle scale cerco di opporre un po’ di resistenza e inizio a tirarla per le braccia, cercando di bloccare la sua avanzata devastante.
Merda, Jake è a pochi metri da noi!
Tracey si volta verso di me e mi tira dall’altra parte, cercando di farmi proseguire.
No. No. No e ancora no. Mi rifiuto categoricamente! Ma non se ne parla proprio!
Le do uno strattone alle braccia e Tracey perde l’equilibrio.
Vedo tutta la scena al rallentatore.
Tracey cade verso di me, gridando. Agita un braccio in aria cercando un appiglio e colpisce il vassoio di un cameriere che vola rovesciando per terra bicchieri e bottiglie varie. Jake si volta e ci guarda. Ci vede. Cazzo.
Ma la cosa peggiore è che mentre Tracey mi cade addosso facendomi perdere l’equilibrio, lui si alza pronto ad aiutarci perché ci ha riconosciuto. Inevitabile.
Il braccio di Tracey è saldamente ancorato al mio così tendo una mano verso Jake che ci salva in extremis, afferrandomi e tirandomi a lui.
Senza fiato, mi ritrovo ansimante contro il suo petto, Tracey appiccicata alla mia schiena con gli occhi sbarrati che rovescia una quantità assurda di improperi.
Sollevo lo sguardo verso di lui e l’unica cosa che mi viene in mente è «Ciao».
«Ciao» sorride.
Spero di non essere passata per una buffona, che figura di merda, vorrei morire!
«Ragazze, tutto bene?» chiede Mark, che ci ha appena raggiunto e guarda Jake in cagnesco.
Mi affretto a staccarmi da lui e a cercare stabilità sui miei piedi.
Tracey mi tira un forte pizzico sul culo, proprio dove mi è uscito il livido per colpa sua.
«Ahia!» protesto.
«Sei una bruttissima stronza!» inveisce lei, fulminandomi con occhi di fuoco.
Con la coda dell’occhio vedo Jake impallidire e mi viene da ridere.
«Per colpa tua mezza nave ha potuto ammirare il mio culo all’aria!».
«L’altra metà invece lo conosce già bene, vero?» commento ironica, lasciando Tracey a boccheggiare per la rabbia.
Sento Jake trattenere a stento una risata e vedo Mark fare un passo avanti pronto a fare da mediatore come sempre.
«Tu» Tracey punta un dito contro Jake, che indietreggia impercettibilmente.
«Brutto… brutto scorfano che non sei altro! Sei finito! Come osi ridacchiare, bertuccia che non sei altro?».
Guardo Jake che non si scompone minimamente, sorprendendomi.
«Primo, io ero figo a detta tua, secondo ti ho appena salvato il culo, potresti almeno fingerti riconoscente».
Tracey socchiude gli occhi con furia assassina e balbetta qualcosa di scoordinato.
«Col cazzo!» conclude poi, afferrando Mark per un braccio e trascinandolo chissà dove.
E lasciandomi qui.
Da sola.
«Bel caratterino la tua amica, eh?».
No, non sola.
Con Jake.
Mi volto verso di lui e gli sorrido.
«Ci si fa l’abitudine».
Ci guardiamo imbarazzati per un secondo, poi lui fa qualche passo indietro, sorridente.
«Vuoi bere qualcosa?».
Strabuzzo gli occhi.
Cosa?
«Cosa?».
«Ti ho chiesto se hai voglia di qualcosa da bere…» dice piegando gli angoli della bocca in un ghigno divertito.
Riduco gli occhi a due fessure. «Sì, grazie».
Raggiungiamo il bancone e non posso fare a meno di guardare il cameriere che raccoglie i bicchieri con aria mortificata. Accidenti a Tracey!
Mi siedo sull’alto sgabello e poggio i gomiti sul banco di legno lucido del bar.
Jake si accomoda accanto a me e mi sorride mentre il cameriere chiede le ordinazioni.
Distoglie un attimo gli occhi dai miei per rispondere al cameriere, «Tequila per me, grazie». Poi ritorna a guardarmi «Tu che prendi?» chiede, scrutandomi attentamente.
«Lo stesso» dico piegando un angolo della bocca all’insù.
Jake si gira verso il cameriere e fa un cenno d’assenso, poi ritorna a guardarmi.
«Grazie… per prima» dico, prima che lui possa aprire bocca e dire qualsiasi cosa.
Ricordare la figuraccia di poco prima è come darsi una specie di mazza sui piedi ma devo necessariamente ringraziarlo.
«Non preoccuparti» dice portando alla bocca il bicchiere, «mi capita spesso di salvare donzelle in pericolo».
I suoi occhi brillano maliziosi e mi sento arrossire.
Mando giù tutto d’un fiato la tequila e cerco di mascherare il rossore con quello dato dall’ alcool.
«Io non sono una donzella in pericolo» ribatto, decisa a non dargliela vinta.
«Ah, no?» chiede arricciando le labbra in un sorriso malizioso. «Perché prima mi sembravi parecchio bisognosa d’aiuto…».
Scuoto la testa incapace di fare altro mentre le guance mi vanno in fiamme.
Jake si avvicina a me senza perdere il  sorriso e ci sono davvero pochissimi centimetri a separarci.
Deglutisco.
«E allora cosa sei?» mi soffia sulla pelle, facendomi rabbrividire.
La mia bocca si curva all’insù e, in preda ad una non so quale audacia avvicino il viso al suo orecchio.
«Questo sta a te scoprirlo» sussurro lentamente, prima di guardarlo negli occhi e allontanarmi con il cuore in gola. 

 
*WHAWAIEAH!
Ciao a tutti!! (:
So di essere arrivata come al solito in super ritardo e spero solo di non farvi aspettare tantissimo per il prossimo capitolo.. :/
So che questo capitolo non è il massimo ma spero ugualmente vi sia piaciuto.. :)
Un bacio a tutte... <3
Kry :3
ORDER OF THE PHOENIX* 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


CAPITOLO 5.

 
Imagine e trailer non disponibili... D:
Ringraziate il computer di Federica ma soprattutto Federica per questa pubblicazione improvvisa..

 
«Ragazzi, grazie infinite!» gli altri mi sorridono e Robert mi strizza l’occhio.
«Vai così, fratello!» dice prima di uscire.
Gli rispondo con un sorriso nervoso e appena la porta si chiude mi volto verso lo specchio e mi passo una mano tra i capelli.
Calma, mi dico.
È solo una ragazza.
Ma più me lo ripeto, più la cosa non sembra per niente tranquillizzante.
La porta cigola e mi volto verso l’entrata, agitato.
La figura esile di Karol scende velocemente i gradini, i jeans strappati, i capelli neri lunghi raccolti in una coda disordinata, una lunga felpa verde scuro le fascia il corpo e ai piedi porta vecchie e logore converse rosse.
Si ferma e arrossisce, mentre il viso si apre in un’espressione di stupore, le labbra rosa semi dischiuse, gli occhi azzurri spalancati e lucenti.
«Jake, cosa?».
Sorrido, mi avvicino e la guardo negli occhi.
«Per scoprire qualcosa in più di te» spiego. «Ti invito a cena».
Si porta le mani al viso e guarda estasiata il tavolino apparecchiato per due a lume di candela.
La luce delle candele si riflette sul ghiaccio, creando una luce calda e soffusa.
Cautamente, faccio scivolare la mia mano nella sua e la conduco vicino alla ringhiera della pista. Le porgo un paio di pattini.
«Ti accompagno io» sorrido.
È impossibile non farlo, vicino a lei.
«Jake, io…».
Una lacrima le scivola giù lungo la guancia e la raccolgo con il pollice.
«Ehi».
Karol tira su col naso, guarda la tavola e poi me.
«È… è tutto bellissimo, Jake ma…». 
«Ma? Cosa c’è che non va?» deglutisco silenziosamente e la guardo, voglio capire.
«Io non posso pattinare» la sua voce è rotta.
«Perché» non è una domanda. Voglio solo che mi spieghi, voglio esserle accanto anche se è pazzesco ed assurdo visto che la conosco da qualche giorno appena.
«Non posso e basta» la sua voce è spezzata, gli occhi sono lucidi.
«Va bene».
Non deve piangere, non è quello che voglio.
Voglio che sia felice, voglio conoscerla e non voglio costringerla a fare niente che non voglia.
Mi guarda sorpresa.
«Se vuoi posso portarti io sino alla sedia» propongo, curvando le labbra all’insù.
«Cosa?» guarda la pista e poi si fissa le punte dei piedi. «Non… non mi sembra il caso».
Sospiro e guardo il soffitto, passandomi le mani sulla nuca.
«Va bene» dico. «Almeno un invito a cena lo accetti?».
Alza lo sguardo su di me e finalmente sorride.
«Sì».
Sorrido anch’io e metto a posto i pattini.
«Va bene. Ti porto in un posto dove assaggerai la pancetta migliore del mondo» dico avviandomi verso l’uscita.
«La pancetta?» chiede, correndo per affiancarmi.
Le regalo un sorriso divertito e le apro la porta con un inchino per farla uscire.
«Fidati, non te ne pentirai».
 
Il ponte 12 stasera è illuminato a festa.
Ci sono cuochi giapponesi che fanno composizioni con frutta e verdura, luci intermittenti che illuminano le fiancate della nave, musica soffusa che pervade i vari ambienti e un profumino delizioso di cibo nei pressi del buffet.
Guardo la figura di Karol a pochi passi da me cercando di non farmi notare.
Sorride per ogni piccola cosa, le ciglia lunghe le contornano gli occhi azzurri rendendoli più luminosi e i lunghi capelli neri frusciano ad ogni suo movimento, lasciandomi estasiato.
Ha le mani piccole e morbide che sfioro ogni volta che posso cercando di farla sembrare una coincidenza e sorrido quando parla anche se non capisco niente, perché il suono della sua voce è limpido e armonioso, è un pizzicare di corde che ti fa battere il cuore, che lo fa accelerare o rallentare, a suo piacimento.
Ha un profumo fresco e sfuggente, come quello di una primula a primavera, eppure più freddo, come la neve.
«Jake».
Scuoto la testa, cercando di levarmi lo stupido sorriso che non vuole saperne di andare via.
«Sì?».
«Ti sei incantato» Karol ride ed è come se mille campanelli suonassero rallegrando il mondo.
«Cosa? Non mi ero incantato!» ho una dignità da difendere, io!
«Ah, no?» alza un sopracciglio e il suo sguardo adesso è furbo, intrigante.
«No».
«No, perché sei stato fermo per due minuti buoni a guardarmi le labbra senza muoverti…».
Strabuzzo gli occhi «Io…» non posso essere così scemo.
«e mentre parlavo ti sei avvicinato impercettibilmente, come un sonnambulo, e…».
«Non credo di…» poter essere così fottutamente stupido.
Deglutisco.
«hai avvicinato il tuo viso al mio…».
Mi passo le mani sulla nuca e sento il viso andare a fuoco.
«Ma…» ledetto testosterone!
«e allora ti ho chiesto se c’era qualcosa che non andasse e tu…» Karol riprende a camminare e la seguo scansando un paio di persone.
«Io…» merito la fustigazione!
«mi hai guardato come se venissi dalla luna. Hai anche sbavato un po’…».
Karol si ferma di botto e quasi la travolgo.
Sorride candidamente.
«Io non sbavo!» le punto un dito contro.
«E di tutto questo discorso tu capisci SOLO che hai sbavato??» chiede accigliandosi.
«Io, no, cioè sì, insomma, non lo so, ma porca put…» le parole mi si accavallano sulla lingua e devo dire che il mio cervello non è granché lucido con l’immagine di Karol davanti a me che mi accusa di aver provato a baciarla.
«È una cazzata» sussurro flebilmente, quasi per convincere me stesso.
«Sì, infatti. Però incantato lo eri veramente!» Karol ride e riprende a camminare, lasciandomi stordito per un attimo.
Due più due fa quattro.
Io mi ero incantato e lei mi ha raccontato una balla per dimostrarmelo.
Mi tocco il mento, colto all’improvviso dall’illuminazione.
Questa me la paga!
Mi getto al suo inseguimento e la afferro per un polso, costringendola a voltarsi verso di me. Le labbra sono stirate in un sorriso sornione e non posso fare a meno di sfoderare il mio sorriso, guardandola dritto negli occhi.
Avvicino il mio viso al suo e a pochi centimetri dalle sue labbra sussurro: «Andiamo a mangiare, furbacchiona».
Faccio scivolare la sua mano nella mia e mi giro per farle strada. Con la coda nell’occhio però, la vedo deglutire e sento le punte delle labbra arrivarmi alle orecchie.
Karol Peerce, non sai contro chi ti sei messa!
 
Arriviamo all’ultimo bancone e lascio a malincuore la mano di Karol per porgerle un piatto pulito e le posate avvolte in un tovagliolo di stoffa. Poi mi volto verso Paolo, che mi saluta allegramente col suo indistinguibile accento italiano.
«Ciao, Jake! Una delle tue nuove conquiste?» chiede sorridente rivolto a Karol.
Che il cielo mi fulmini!
Oggi il firmamento è contro di me!!
Guardo in cagnesco Paolo che deve aver capito di aver detto la frase sbagliata e cerca di recuperare punti.
«Cosa posso servirvi?».
«Ciao, Paolo…» mormoro, cercando di contenere la mia furia assassina, «vorremmo un po’ di quella tua speciale pancetta, un po’ di patatine fritte, salse, insalata mista, qualche hamburger speziato e pane morbido bianco».
Paolo si mette a lavoro con un sorriso e io mi volto verso Karol che è rimasta a bocca aperta.
Improvvisamente mi do dell’idiota.
«Scusa! Forse non dovevo ordinare anche per te… forse è troppo quello che ho ordinato, vero?».
Vorrei avere una clava da sbattermi ripetutamente in testa.
«No, no, non è per il cibo, figurati… è solo che… gli atleti non dovrebbero avere una dieta… equilibrata?».
Sento un nodo allentarsi all’altezza dello stomaco e lascio andare un respiro che non mi ero accorto di aver trattenuto.
«In realtà sì, ma oggi è il mio segreto giorno di trasgressione, perciò non dirlo a nessuno!» le strizzo un occhio e sorrido nel vederle le guance imporporarsi.
«Ritornando a prima…» dico, prendendo i piatti che Paolo mi porge e ringraziandolo velocemente, «l’idea di un bacio non sembrava preoccuparti granché…» ghigno, osservandola attentamente.
Karol abbassa lo sguardo mentre le guance le vanno a fuoco e io rido sommessamente.
«Macché! Figurati, baciarti! Come ti passa per la testa?» farfuglia e la mia risata da silenziosa si fa tonante.
Mi guarda male, ma non riesco a trattenermi e continuo a ridere, prendendo una patatina tra il pollice e l’indice.
«Smettila di ridere!» mi intima, guardandosi nervosamente attorno. «Ci guardano tutti!».
Me ne infischio di tutti e presto Karol si unisce a me nella risata e iniziamo a mangiare più rilassati.
Quasi non sento il sapore del cibo mentre mangio, perché lei è tutto ciò che c’è in questo momento. Ma che cazzo dico? È una bella ragazza, carina magari, ma bella, ma perdere la testa per lei mi sembra esagerato!
Mi acciglio e riprendo a mangiare il mio hamburger piccante.
Sollevo lo sguardo per un attimo e incontro i suoi occhi e subito voltiamo la testa dall’altra parte.
Cristo, quanto mi sento idiota!
Gli occhi mi cadono sulla superficie liscia e dura del tavolino, sull’ombra proiettata dalla morbida mano bianca di Karol poggiata sopra, sulla luce che la candela getta sui suoi polpastrelli, sulle unghie corte e senza smalto incastonate sulle dita.
Senza pensarci allungo un braccio verso di lei e le prendo la mano.
È troppo tardi per tornare indietro.
Sussulta, alza lo sguardo e mi fissa, ma non mi muovo, siamo seri, entrambi cerchiamo negli occhi dell’altro una risposta che non troviamo.
Karol intreccia le sue dita con le mie ed un nodo mi si scioglie all’altezza del petto.
Deglutisco e il cibo caldo dimenticato mi scende giù in gola.
Sorride.
Sorrido.
Allunga una mano verso di me e mi sfiora il mento con un fazzoletto, togliendo un pezzo si carne che mi ero sbavato addosso.
Vorrei morire.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


CAPITOLO 6.

 
Chiudo la porta della cabina e mi lascio scivolare sino al pavimento, la schiena aderente al legno bianco e un sorriso ebete stampato in faccia.
Devo aver fatto rumore perché le luci si accendono ed una Tracey stanca e scarmigliata mi guarda intontita.
Prende l’orologio dal comodino e poi lo rimette al suo posto, ritornando a guardarmi.
«Sono le cinque del mattino, Karol» mormora, con la voce impastata dal sonno.
«E allora?» potrebbero essere anche le otto, le tre, le dodici, non mi importa.
«Non è da te fare così tardi… hai fatto sesso?».
Strabuzzo gli occhi.
Tracey a volte è troppo diretta, così tanto da far paura.
La guardo in cagnesco e decido di ignorare la domanda. «Sembri piuttosto stanca… ti sei ritirata anche tu da poco?».
Annuisce poi apre la bocca e sbadiglia. «Ho avuto una serata particolarmente movimentata. Io e Mark siamo andati in discoteca, come da programma e gli ho detto che tu non saresti venuta e che avevi voglia di stare sola perché eri indisposta, come da programma» mi lancia un’occhiata penetrante. «Fino alla fine Mark si preoccuperà e verrà a trovarti personalmente… persino lui sa che avere il ciclo due volte al mese è anormale».
Sfoggio il mio miglior sorrisetto innocente all’occhiata significativa che Tracey mi rivolge e sto zitta sino a quando non continua a parlare. Non mi spillerà una parola, oggi. Me lo sento!
«Io ho conosciuto Ian, uno scandinavo o danese non ho capito bene, e Mark dopo un po’ è tornato in camera sua. Adesso rispondi alla domanda» aggiunge allusiva, perfettamente conscia del mio silenzio organizzato.
Deglutisco.
A Tracey non si sfugge.
«No, Tracey. Non ci sono andata a letto».
«Mhmm…» i suoi occhi si riducono a due fessure e anche se è mezza addormentata so di non poterle scappare.
«Te ne sei innamorata?».
La domanda mi colpisce con la forza di un pugno.
«Cosa? No! No, ovviamente no! Pensa si è sbavato un pezzo di carne addosso ed ha avuto milioni di ragazze e… ma dai, Tracey, che cosa ti viene in mente?» la mia stessa voce mi suona troppo stridula e avventata. Tracey mi guarda attentamente, soppesando le mie parole e alla fine sembra decidersi a lasciarmi un po’ in pace anche se uno strano sorriso le aleggia sulle labbra.
Cristo, a volte vorrei davvero avere qualcosa di pesante da sbatterle in testa.
«Ti sei divertita almeno?».
«È un interrogatorio per caso?» le chiedo, acida.
Tracey scuote la testa e si stropiccia gli occhi.
«Scusa. Vieni a dormire. Mi racconterai tutto domani» mormora crollando nuovamente sul materasso.
Rimango immobile ancora per qualche istante leggermente in colpa per il mio tono cattivo, prima di alzarmi con smisurata lentezza e di spogliarmi meccanicamente.
Te ne sei innamorata?
Me ne ero innamorata?
Infilo il pigiama e scivolo sotto le coperte pensando al viso di Jake. Socchiudo le palpebre e i suoi occhi azzurri mi guardano con dolcezza. Sorrido e ricordo il suo sorriso.
No, non mi sono innamorata.
 
 
Il sole mi batte sulle palpebre insistentemente e strizzo gli occhi nella speranza di recuperare un po’ del mio dolce sonno perduto. Qualcuno si muove sul letto e trattengo a stento l’impulso di allungare la mano e dare un colpo a Tracey che si muove come un cavallo. Dio, chissà com’è violenta quando fa sesso.
Rabbrividisco al pensiero.
Certo che svegliarsi così è una vera tortura.
Apro leggermente gli occhi e la prima cosa che noto è che le tendine dell’oblò sopra il letto sono state tirate via strategicamente, di modo che il sole possa baciarmi fastidiosamente il viso e farmi svegliare. Ma che cazz…? Inclino la testa verso il basso e i miei peggiori sospetti vengono confermati dalla faccia sorridente di Tracey, lavata e vestita di tutto punto, che mi da un buongiorno carico di significati.
Dio, perché è così ostinata?
Perché non si arrende mai??
«Allora, signorinella» esordisce con un ghigno degno del peggior serial killer sadico di questo mondo. «Mi devi raccontare la serata di ieri».
La guardo cercando di ritrarmi un pochino.
«E voglio. Tutti. E dico tutti. I particolari» i suoi occhi seri non ammettono dubbi, domande o perplessità.
«Ehm…» mormoro con voce rauca.
«Non ci sono obiezioni! Ti legherò a letto e non ti scioglierò sino a quando non avrai cantato! E se non dovesse bastare, ti legherò a letto e farò sesso col primo che capita costringendoti a guardare!! Sai che posso farlo! Sai che lo farò!!» il dito minaccioso che mi sventola sotto al naso sottolinea ogni suo concetto.
Dio, che schifo, non voglio nemmeno immaginarla fare sesso con qualcuno, figurarsi vederla!
«Allora, canti o no?».
Annuisco frettolosamente, senza vie di scampo. Tracey sorride e si rilassa, sedendosi comoda come una persona normale e aspettando che io cominci.
«Come up to meet you, tell you I'm sorry, 
You don't know how lovely you are. 
I had to find you, tell you I need you, 
Tell you I set you apart
».
«Per quanto tu possa essere intonata sappi che non me ne fotte niente del testo di ‘The Scientist’ dei Coldplay! E se non sbaglio la seconda strofa dice qualcosa come “Dimmi i tuoi segreti, fammi le tue domande” perciò Karol, non forzarmi la mano!!».
Deglutisco.
«Beh, prima di tutto abbiamo volato su un ippogrifo e abbiamo raggiunto la luna, ma non siamo riusciti a trovare il tuo senno, mi dispiace…» mormoro mortificata.
Il viso di Tracey si trasforma in una maschera di pura incazzatura. «Harry Potter posso leggermelo anche a casa da sola, grazie!» commenta, feroce.
Cos?
«Harry Potter? Stavo citando l’Orlando Furioso di Ariosto!! Se parlavo di Harry sicuramente avrei specificato che l’ippogrifo si chiamava Fierobecco e avrei detto che hai il cervello più piccolo di quello di un marciotto!» mi indigno.
«E che sei malefica come i nargilli!» aggiungo, rossa in viso.
Ma tu guarda… roba da pazzi!
«E che ti manca solo il biondo platino nella tua collezione di tinte per capelli e poi potrai far parte della famiglia dei Malfoy! E non è una bella famiglia, hanno losche parentele e sono proprio antipatici!».
Tracey mi rivolge uno sguardo assassino «Vado a prendere le corde…».
«Okay, no, no, aspetta!» allungo una mano verso di lei per trattenerla.
Tracey mi guarda, ma se prima il suo sguardo aveva solo una vaga scintilla di minaccia adesso, dopo tutto ciò che le ho detto, la vaga scintilla è solo di sana lucidità.
«Forse preferisci le manette?» sibila indispettita.
Okay, no.
Faccio un respiro profondo e cerco di sciogliere il nodo che mi stringe la gola e che non mi fa parlare.
«È stata una bella serata. Mi sono divertita…» comincio, tentando di sembrare naturale. Questo argomento mi agita profondamente. «Mi ha invitata a cena e… siamo andati su a mangiare e abbiamo parlato di moltissime cose e lui è stato così… così…».
«Scopabile?» cerca di aiutarmi Tracey che ha riacquistato la complicità di una dodicenne.
Scuoto la testa. «Beh, sì scopabile lo era…» specifico notando lo sguardo rabbuiato della mia amica, «ma il termine che cercavo era un altro…» spiego.
«Oh!» Tracey si illumina. «Forse volevi dire che avresti voluto cospargerlo di panna per poterlo leccare dappertutto, ma proprio dappertutto?».
Le rivolgo uno sguardo scettico.
«Mhmm… forse era tipo da… strappargli i vestiti di dosso?» ritenta, cercando di rispolverare tutte le metafore sessuali che conosce. Di solito va dritta al punto.
«Non era quello che cercavo di dire, Tracey mi stai distraendo! No, era così…».
«Ben disposto a fare sesso con te?».
«No, così…».
«Bello da essere spogliato con gli occhi?».
«No, così…».
«Ho capito! Era così figo, ma così figo, che non servivano nemmeno gli occhi per spogliarlo!! La forza del pensiero faceva tutto, vero? E cosa gli hai tolto prima?» chiede con curiosità, gli occhi che le brillano.
«Ma no, Tracey, lui era… così… così…»
«Che cazzo, ma porca puttana sono tre ore che era così...!! Ma così come? Trovami una minchia di aggettivo, di descrizione da appiccicare dietro a quel così!!» esclama spazientita.
«Dolce» esalo e, senza sapere perché, sorrido, ripensando al modo in cui mi sfiorava le mani credendo che non me ne accorgessi.
Guardo Tracey sorridente e mi accorgo che è completamente immobile, la bocca spalancata ed un’indistinguibile espressione di delusione pura stampata sul viso.
«Non posso crederci… tra tutti e dico tutti gli aggettivi che esistono al mondo… tu mi trovi dolce. Dolce!! Ma… insomma, Karol devo spiegarti come si fanno i bambini? La specie deve essere procreata! Non puoi ancora credere nell’amore platonico! Qui tutto si basa sul sesso, quello puro e violento, quello che ti fa godere e venire con l’estasi più cupa e profonda! Quello che…».
«Tracey, davvero, non continuare! Sei un caso umano!! Possibile che tu non sappia fare altro che pensare al sesso e quando non pensi di farlo lo fai e basta? E poi la popolazione è in eccesso e se proprio servissero altre braccia per lo Stato non mi preoccupo, perché tanto ci sarai tu a sfornare più bambini del dovuto!».
Tracey mi guarda boccheggiante, poi scende dal letto mormorando un “contenta tu” piuttosto lugubre ed esce dalla cabina.
Emetto un respiro di sollievo credendo di poter finalmente riprendere a dormire, quando la porta si spalanca di nuovo e Tracey, con espressione battagliera, mi guarda dritto negli occhi.
«Prima o poi lo farai anche tu su questa nave e so già che sarà col mitico Jake e non ne avrai mai abbastanza!! Allora vorrò tutti i dettagli sconci e allora avremo qualcosa di serio di cui parlare!».
Esce dalla cabina sbattendosi la porta alle spalle. Mi accascio sul materasso, sorridendo come in trance.
Credo di aver ferito i suoi sentimenti di donna fatta e finita.
 
 
 
Le mie gambe conoscono la strada meglio di me.
È inutile tentare di mascherare la felicità che provo, perché è qualcosa di immenso che non vuole smettere di lasciarmi andare.
Esito un momento solo davanti alla porta, ma poi spingo giù la maniglia e raggiungo la pista pimpante, girando la testa da una parte all’altra alla ricerca di Jake.
«Buongiorno!» sussulto, la voce di Jake è vicinissima, e mi giro sorridendo fino a farmi male il viso.
«Buongiorno!!» esclamo a voce un po’ troppo alta ma va bene perché lui sembra non essersene accorto.
Mi sorpassa senza smettere di sorridere e si siede sul bancone.
Sento le gambe sciogliersi sotto il peso del cuore che si è fatto improvvisamente troppo rumoroso e pesante. Anche lo stomaco mi sembra si sia ingigantito e per paura di cadere e fare la figura dell’imbecille corro a sedermi accanto a lui.
Rimaniamo qualche istante in silenzio senza sentire il bisogno di colmarlo.
Sento il suo corpo caldo accanto al mio e trattengo un fremito. Mi guardo la punta sporca delle converse e all’improvviso ‘Everything’ dei Lifehouse pervade la sala.
Guardo attonita Jake che ha acceso lo stereo e mi sta porgendo una mano atteggiandosi in un goffo inchino. Scoppio a ridere senza riuscire a trattenermi e lui mi inchioda al bancone con il suo sguardo intenso e le labbra piegate nel loro solito sorriso seducente e sbruffone.
Gli porgo la mano incantata e con un saltello atterro sul pavimento. Le braccia di Jake mi accolgono immediatamente calde e avvolgenti e mi trasportano nella dolce melodia.
Sorrido e abbandono il viso contro il suo petto, socchiudendo gli occhi. Stare con lui è così rilassante e divertente e dolce ed elettrizzante e… bello.
Ha un profumo così buono, penso sospirando.
Jake mi stringe ancora di più a sé e non c’è altro posto dove vorrei trovarmi in questo momento.
Vorrei che mi stringesse ancora un po’, che inclinasse il viso sul mio, che posasse le sue labbra sulle mie, che…
Te ne sei innamorata? La voce di Tracey invade i miei pensieri.
Socchiudo gli occhi e sbircio il suo viso attraverso le ciglia.
Gli occhi blu, l’espressione rilassata con le labbra piene e rosa leggermente curvate all’insù, il lieve accenno di barba non rasata sulla mascella, i capelli biondi spettinati che gli conferiscono un’aria da ragazzo disordinato….
Oh, mamma.
Deglutisco mentre mi becco un’occhiata incuriosita così sexy, ma così sexy… chiudo di nuovo gli occhi per non abbandonarmi a pensieri che mi farebbero assomigliare più a Tracey che ad un essere umano.
La canzone cambia ritmo, facendosi più movimentata e Jake mi trascina con sé in una danza un po’ più ciondolante. Il piede mi scivola su qualcosa.
Mi immobilizzo, terrorizzata.
Non può averlo fatto. Non può avermi fatto questo.
Le palpebre non vogliono saperne di aprirsi, il mio corpo è un fascio di nervi e il cuore mi batte velocissimo contro la gola e non per la presenza di Jake.
Mi mordo la lingua e gli occhi mi si schiudono.
Ghiaccio.
Un’enorme distesa di ghiaccio sotto di me.
Una morsa gelida mi attanaglia il petto, non respiro e ho la gola secca.
Cerco di andare indietro, cerco di tornare sul pavimento ma non riesco a muovermi e Jake mi tiene per mano e mi incita a proseguire con un sorriso sul volto.
Perché l’ha fatto?
Perché?
Non ha nessun diritto!
«Karol…» la sua voce è calda e conciliante ma è la voce di un bugiardo, di uno stronzo, di un cretino!
Strappo la mia mano dalla sua e faccio un passo indietro. I piedi adesso poggiano sicuri sul pavimento imbottito della nave e riesco a trovare la forza per deglutire mentre qualcosa mi bagna il viso.
Alzo lo sguardo su Jake.
«ESCI FUORI DALLA MIA VITA!» urlo piena di rabbia prima di girarmi e correre via singhiozzando.


 
*Angolo autrice... ^^
Lo so, lo so.. mi state maledicendo in tutti i modi e in tutte le lingue, ma non sono riuscita ad aggiornare prima purtroppo e ho anche avuto dei problemi con i link di sopra.. D: 
Da quanto tempo non pubblico?? Mesi?
:(
Spero solo che il capitolo non sia una notevole schifezza...
Baci a tutti <3
Kry*

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***




CAPITOLO 7.

 
 
Se volete vedere il trailer della storia cliccate qui: Trailer
Sia il banner che il trailer sono stati realizzati da Pinoolast's Graphic-Video se cliccate sopra si aprirà la pagina facebook. Sono ragazze bravissime e saranno felicissime di creare qualsiasi cosa per voi, non rimarrete delusi :D



Le scarpe da tennis fanno un rumore attutito sul parquet lucido della nave.
Con una mano afferro il vassoio freddo e pulito dalla pila sul tavolino, con l’altra mi stropiccio gli occhi stanchi e assonnati. Non ho dormito per niente.
Ma che cazzo mi è saltato in mente ieri? Volevo che Karol si trovasse a suo agio, che riacquistasse quel rapporto che aveva un tempo con il ghiaccio.
Credevo che al mio fianco ce l’avrebbe fatta, ce l’avremmo fatta, ma lei non era pronta.
Mi ha detto di sparire dalla sua vita e alla fine cos’altro potrei fare? Non sono suo padre, né suo fratello, né il suo ragazzo. Sono solo un tipo con cui perdere tempo, sono l’istruttore di pattinaggio artistico e tale devo rimanere.
Il mio posto è dietro un bancone e me l’ha ricordato abbastanza bene.
Sospiro tristemente riempiendo il vassoio di cibo che vorrei solo gettare via.
Sono stanco di non poter mangiare grassi e schifezze, stanco di dover rimanere confinato in una pista quando quello che vorrei è poter stare con lei come un ragazzo normale.
Strizzo le palpebre accecato dal sole che entra dalla finestra e giro la testa.
Resto impietrito.
Lei è lì, a pochi metri da me, e ride con Tracey scuotendo i capelli neri che si colorano d’oro con la luce del sole. Inizio a camminare senza nemmeno accorgermene e in pochi istanti sono accanto al suo tavolo.
«Ehm… credo che ci sia qualcuno per te, Karol» dice Tracey e mai sono stato più contento di sentire la sua voce.
Gli attimi che Karol impiega per voltare la testa nella mia direzione mi sembrano infiniti. Le mani sono sudate, il vassoio di plastica mi scivola tra le dita e i piatti tintinnano sulla superficie liscia.
Posa gli occhi su di me e mi sento trafiggere dal suo sguardo intenso.
Non ne avevo alcun diritto.
«Ciao» la sua voce è calma, tranquilla, priva di astio o di rancore.
Sento il mio cuore rallentare e la tensione sciogliersi all’altezza dello stomaco.
Mormoro un ciao non molto convinto e gli angoli della bocca di Karol si sollevano in un sorriso dispiaciuto.
Cosa? È dispiaciuta?
«Dai, siediti» mi sorride e non posso far altro che obbedire, confuso.
Credevo che fosse arrabbiata con me ma adesso non so più cosa pensare.
Mi guardo attorno stordito e Tracey mi viene in aiuto. «Questo è Ian» trilla allegra mentre il ragazzo biondo mi porge una mano. La stringo, sentendo la sua presa debole. «Jake» mormoro sforzando un sorriso.
«Sei in vacanza?» mi chiede il ragazzo con un accento che non riesco a riconoscere.
«No, in realtà sono l’istruttore di pattinaggio artistico».
«Forte! Dev’essere bello passare gran parte dell’anno su una nave da crociera, vero?» il suo entusiasmo è contagioso e porta un clima sereno su tutti noi.
Tracey lo trascina in una fitta conversazione e io mi giro in direzione di Karol, contento di non dover più prestare attenzione alle parole di Ian.
«Scusa per ieri. Non avrei dovuto intromettermi» le dico, mentre mi guarda attentamente.
Abbassa lo sguardo e fa un sospiro profondo. Quando torna a guardarmi c’è qualcosa che non riesco a leggere nei suoi occhi. «No, Jake. Sono io a dovermi scusare» sussurra. «Sono stata troppo impulsiva ieri e mi dispiace di averti trattato così».
È triste e questo mi fa male.
Porto due dita sotto il suo mento liscio e le sollevo il viso. «Karol, io…».
«Quello è il mio posto».
Lascio cadere la mano e mi giro in direzione del ragazzo che ha parlato.  
Ha i capelli scuri e gli occhi neri mi inchiodano sulla panca. Ho un vago ricordo di lui, dev’essere uno degli amici di Karol. «Scusa?» sibilo trattenendo un fremito di rabbia.
«Quello. È. Il. Mio. Posto.» scandisce lentamente. Cos’è adesso mi prende pure per il culo? Digrigno i denti e mi alzo, guardandolo dritto negli occhi. Non mi piace come mi guarda e non mi piace come guarda Karol.
«Hai qualche problema?» ringhio.
Le dita si serrano e le unghie incidono il palmo della mano. Sto per colpirlo, ma non voglio fermarmi. Anche lui sembra pronto, vedo i muscoli dei bicipiti guizzare nervosi e il respiro farsi più pesante.
«Jake» la voce di Karol arriva da un paese lontano ed è come una doccia fredda. Sgrano gli occhi e rilasso il braccio. «Lui è Mark, un mio amico».
Sorrido alla parola amico e Mark sembra voler essere inghiottito dalla terra.
«Piacere» allungo una mano, ma il tipo la scosta senza tanti complimenti.
«Mark, non fare il guastafeste, siediti difronte a me».
Il ragazzo mi lancia un ultimo sguardo di sfida prima di sorpassarmi e di sedersi dall’altra parte del tavolo.
Non mi piace proprio.
Anzi, non mi piace per niente, gli spaccherei la faccia.
Mark sbatte il vassoio sul tavolo e mi guarda furente.
«Cristo santo, Mark, vuoi smetterla di fare casino? Mi hai strarotto i coglioni con questo sbattere a destra e a sinistra! Sto cercando di parlare con Ian e non mi fai capire un cazzo!» a dispetto di tutti, Tracey salva la situazione con la sua solita finezza. Mark lo scimmione continua a tenere il muso lungo ma sembra darsi un contegno e comincia a mangiare.
Torno a posare lo sguardo su Karol, sentendo di aver dimenticato qualcosa di importante.
Il coraggio è finito sotto i piedi e non so più cosa dirle adesso.
I suoi occhi blu mi scrutano attentamente, cercando di rapire le parole che sono state inghiottite prima di essere pronunciate, ma che sono marchiate a fondo nel mio cuore.
Cazzo.
«Fidati di me» riesco solo a dire.
Lei mi fissa in silenzio per qualche istante e vorrei poterle rubare i pensieri, vorrei poter vedere cosa prova per me, cosa pensa di me, quali sono i suoi problemi, chi è Mark per lei.
«Vorrei riuscirci» dice, e sul suo viso si apre un sorriso triste. «Ma… Jake perdonami se non ci riesco. Se non riesco a dirti tutto o se ti sembro strana a volte. È che…».
Evita il mio sguardo, si morde le labbra, si passa una mano tra i capelli.
Serro una mascella e le afferro la mano. «Karol, non mi importa» sussurro.
Mi avvicino a lei e la costringo a guardarmi negli occhi. «Qualunque cosa sia, non mi importa. Aspetterò e rispetterò i tuoi tempi. Non è importante. Io…» deglutisco, «voglio solo che tu sia felice».
Si avvicina a me di un soffio.
«Davvero?».
Le sorrido.
«Davvero».
Le labbra rosate si stendono in un sorriso, il suo profumo mi assale. Socchiude gli occhi e mi avvicino di più, passandole una mano dietro la nuca.
Socchiudo le labbra e un rumore ci fa voltare entrambi. Mark ha scagliato il suo vassoio sul tavolo e si sta allontanando furioso.
Ma che problema ha quel tizio?
Sento la mano di Karol scivolare via dalla mia, lasciandola fredda e vuota.
La guardo stordito, senza capire un accidente.
«Mark!» urla scattando in piedi.
Lui la ignora, macinando metri e metri.
Karol cerca di uscire per seguirlo.
«Karol aspetta!» grido afferrandole un braccio. Si gira verso di me, irata, mentre cerco di trasmetterle con lo sguardo qualcosa che non riesce a capire.
Possibile che in un secondo mi sia così vicino e il secondo dopo sia così irraggiungibile?
«Lasciami!» sibila infuriata liberandosi dalla mia presa.
Mi guarda per un attimo, poi si gira e corre via, dietro Mark, portandosi via anche un pezzo del mio cuore.
Mi sento distrutto e rimango per qualche istante di troppo a guardare il punto in cui è scomparsa.
«Jake».
La voce lontana di Tracey mi riporta alla realtà. Le ciocche fucsia dei suoi capelli ricci mi colpiscono per prime, poi arriva la consapevolezza di essere stato piantato lì come un cretino. L’amaro mi riempie la bocca e guardo il cibo che non ho toccato nel vassoio.
«Tutto bene?» mi chiede.
Non rispondo, raccolgo le mie cose e saluto Ian con un cenno del capo.
Svuoto il cibo in un cestino e abbandono il vassoio sul bancone, allontanandomi strascicante da qualche parte. Mi sento uno schifo.
Penso a Karol e una fitta mi attraversa il petto.
Poi penso a come è scappata via, correndo dietro Mark e all’improvviso capisco quant’è radicata la mia stupidità.
Pigio un bottone a caso sull’ascensore e mi lascio circondare da un mare di estranei, freddo ad ogni cosa.
Karol è solo una ragazza viziata. È in crociera per divertirsi in tutti i sensi e non permetterò che si prenda gioco di me più di quanto abbia già fatto.
Lei e quello scimmione del suo amico si completano a vicenda.


Ciao a tutti :)
Voglio ringraziare tutti coloro che seguono questa storia nonostante io non sia regolare con le pubblicazioni, che sprecano il loro tempo a dirmi o a scrivermi cosa ne pensano e che mi stanno vicini incitandomi a continuare. 
Mi scuso se il capitolo, anzi i capitoli, sono così brevi, ma come vi ho già spiegato ho avuto diversi problemi con questa storia che mi hanno impedito un buon lavoro.
Spero comunque che le mie parole, sprecate nello scrivere due paginette ogni volta, vi arrivino al cuore e che i miei personaggi, amati e non, riescano a conquistarvi nonostante la  loro presenza altalenante. 
Un bacio a tutti,
spero di non avervi fatto perdere troppo tempo con la lettura di questa storia,
Krys <3

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


CAPITOLO 8.


 
 
Ice Dream trailer cliccare qui per vedere il trailer della storia. 


«Mark!» urlo, fendendo la folla e infilandomi tra la gente.
Per un attimo lo perdo di vista nel corridoio affollato e maledico Jake per avermi trattenuta, lo maledico per avermi quasi baciata davanti al mio migliore amico, lo maledico per il potere che esercita su di me ogni volta che lo vedo, ma soprattutto lo maledico perché mi rende stupida e impotente, mi rende incapace di pensare con la mia testa. Quando sono con lui non importa cosa penso, cosa mi dice il cervello. È il cuore a comandare e mi fa paura.
Lo odio e lo maledico perché odio me stessa e il mio autocontrollo inesistente.
Mi alzo sulle punte dei piedi e vedo la testa scura di Mark allontanarsi sempre di più.
Corro a perdifiato, ben consapevole che le possibilità che riesca a raggiungerlo in mezzo a tutta questa gente, con la mia velocità sono pochissime.
«MARK GIRATI!» è come se la mia voce rimbalzasse contro un muro di gomma. Torna indietro e si girano tutti a guardarmi tranne lui. Approfitto dei piccoli passaggi che si sono creati e mi infilo tra le persone, dribblando la gente.
È pochi metri avanti a me.
Allungo una mano e lo sfioro.
Mi slancio in avanti e la mia presa si fa salda attorno al suo polso.
Lo costringo a voltarsi e quando lo fa tiene gli occhi bassi.
Mi concedo qualche secondo per riprendermi dal fiatone. «Si può sapere che cazzo ti è preso?» domando.
In realtà lo so.
So cosa gli è preso e mi sento un mostro a doverglielo chiedere ma non posso farci nulla.
Mark non risponde e non so se essere contenta o meno.
«Guardami».
Gli tremano le spalle, ma non alza la testa.
«Mark» mormoro più dolcemente, «guardami».
Solleva lo sguardo e i suoi occhi sono rossi di pianto e di rabbia.
Una scheggia mi si infila tra le costole e scende in profondità, tagliando e ferendo.
Mi lancio su di lui e lo abbraccio forte, cercando di non farlo scivolare via.
Lui è il mio amico e lo rimarrà sempre, ma ho paura di perderlo con questo fatto dell’innamoramento. Non riesco più a stare con lui come stavamo prima.
E adesso è ferito e anche se le sue braccia mi avvolgono come una coperta e ricambiano l’abbraccio, sento una distanza incolmabile aprirsi tra noi.
Rimaniamo abbracciati per non so quanto tempo e io inspiro il suo profumo, strofinando il viso sulla sua maglietta aderente, come facevo sempre quando ci abbracciavamo per consolarci l’un l’altro.
Quando ci separiamo so di avere il viso bagnato di lacrime e gli sorrido.
«Siamo due stupidi, Mark» dico e dopo un attimo lui ride e si asciuga gli occhi, tenendomi la mano.
«Forse hai ragione, Kar» l’angolo sinistro della bocca gli si solleva in un sorriso triste e abbattuto.
Intreccio le mie dita alle sue, decisa a dedicare il mio intero pomeriggio all’amico migliore che possa esistere al mondo. Il mio sorriso si allarga fino a diventare una risata che lo lascia attonito per un momento.
«Lo siamo, Mark! È l’unica certezza che posso darti!».
Lui sembra pensarci su un momento e poi si stringe nelle spalle.
«Probabilmente è vero» mi strizza l’occhio e un attimo dopo mi trascina in una folle corsa in mezzo alla folla.
Corriamo a perdifiato, urlando cosicché la gente si scosti per farci passare, piegati in due in preda a risate isteriche insensate, con gli occhi lacrimanti per il vento che ci investe sul ponte della nave.
Ci fermiamo senza fiato su una parte del ponte isolata e guardiamo il mare tinto d’arancio sotto di noi, appoggiandoci alla ringhiera. L’odore salmastro dell’acqua mi assale le narici e riverso il capo all’indietro, godendomi tutta questa tranquillità, e la luce calda e arancione del tramonto che mi batte sulle palpebre.
Pace.
Dopo anni, pace.
Se sapevo che per trovarla avrei dovuto correre e urlare a perdifiato con Mark l’avrei fatto molto prima.
Mark mi solletica la pancia e io mi stacco dalla ringhiera urlando e scappando, in preda alle risate.
Adesso ride anche lui ed è così bello vederlo sorridente, felice, sereno e non teso come in tutti questi giorni.
Questa crociera doveva essere una vacanza per tutti noi, dovevamo avvicinarci e goderci la nostra amicizia ogni singolo minuto, ma finora non è stato così.
Io ho sempre cercato di scappare dall’assillante presenza di Tracey e da quella fin troppo dolce di Mark e, nonostante abbia avuto le mie buone ragioni per farlo, me ne sono pentita.
Mi piacciono i miei amici e mi piace passare tempo con loro.
«Cosa facciamo?» mi chiede Mark sorridente, avvicinandosi a me.
Per la prima volta però non ho paura di questa vicinanza perché leggo nei suoi occhi la vecchia complicità di quando giocavamo in strada o facevamo gli scherzi ai ragazzi nei corridoi della scuola.
«Mhmm…» rifletto.
«Gelato?» propongo, sfoderando dal mio repertorio il mio più affascinate sorrisetto da bimbetta da cinque anni.
Mark sorride e mi passa un braccio attorno alle spalle «Approvato!».
Arriviamo al bancone del gelato, che è un piano sopra la piscina. Se ci sporgiamo possiamo vedere la gente che si fa il bagno e che nuota allegramente o prende il sole.
In un angolo vedo una ragazza scrivere qualcosa su un taccuino e mi sporgo un po’ di più, incuriosita.
La penna scorre veloce sulla pagina e potrei quasi vedere le parole che prendono forma sul foglio, dando vita ad una storia, ad una favola.
Chissà se qualcuno scriverà mai la mia, di storia.
Mi assale un senso di inquietudine. Non ci sarebbe nulla da dire.
Niente di interessante, sono solo una ragazza come tante. Improvvisamente ho come l’impressione che la mia vita manchi di qualcosa.
Di un obiettivo, di una motivazione, di qualcosa che mi spinga ad alzarmi ogni mattina con la voglia necessaria a combattere per raggiungere il mio sogno.
Una volta ce l’avevo, quel sogno.
Adesso non più.
E improvvisamente capisco come in tutti questi anni mi sia trascinata lentamente, giorno dopo giorno, costretta ad una vita che ormai mi stava stretta, perché mi ero negata tutto, persino la libertà di sognare.
E adesso?
«Gusti?» Mark mette fine alle mie riflessioni e accenno un lieve sorriso per non rovinare tutta la giornata.
Mi avvicino al bancone e guardo attentamente attraverso il vetro.
«Tronky, Nutella e Bacio» proclamo sorridente.
Mark scuote la testa, con un sorriso esasperato stampato sul volto.
Poco dopo ci incamminiamo con i nostri gelati.
Da che ho memoria io ho sempre preso gusti cioccolatosi e lui sempre gelati alla frutta.
«Sembra buono» dico, osservando i colori sgargianti del suo gelato. Mark sgrana gli occhi e me lo porge.
«Assaggia» mi incita.
Io gli do il mio e prendo il suo e contemporaneamente assaggiamo i gelati.
«Non male» ammetto, mentre il sapore della mela mi invade la bocca e mi rimane appiccicoso sulle labbra.
Lui arriccia il naso e mi porge il mio cono.
«Il cioccolato è decisamente sopravvalutato» afferma con cipiglio serio e sprezzante.
Se in questo momento cadesse un meteorite proprio su di lui spiaccicandolo in pieno, o se un fulmine lo incenerisse seduta stante, non proverei dolore.
«Hai voglia di scherzare, vero?» lo guardo trucemente, cercando di sembrare pericolosa.
Molto pericolosa.
Mark non sembra accorgersene o forse decide di ignorare la mia aria bellicosa e si stringe nelle spalle con nonchalance.
«Giochiamocela» dice solo e non ho bisogno di chiedergli a cosa si riferisca perché sono anni che facciamo queste sfide e non ci stanchiamo mai.
Sorrido, sentendo la vittoria quasi in pugno.
Ci giochiamo la ragione su qualunque battibecco e chi perde non può contraddire l’altro per l’eternità. Ovviamente immortaliamo il momento della vittoria con foto e quant’altro mentre prima, quand’eravamo piccoli, facevamo anche una cerimonia solenne con candele, scettro e corona.
«Scegli tu l’arma» sorrido, inclinando il viso di lato e sfidandolo con lo sguardo.
Oggi mi sento combattiva.
Normalmente Mark mi lascia scegliere l’arma della sfida per cavalleria, ma oggi ho voglia di fare uno strappo alla regola.
Lui sorride, sembra pensarci un po’ su «ping-pong» proclama alla fine.
«Perfetto!» esclamo quasi urlando e ci affrettiamo a finire i nostri rispettivi gelati mentre vaghiamo alla ricerca del tavolo da ping-pong.
La porta a vetri scorrevole si apre sulla terrazza al piano più alto dove ci sono una serie di tavoli destinati ai vari giochi come biliardo, squash, biliardino e ping-pong. Mi avvio saltellando verso la mia postazione afferro due racchette e ne lancio una a Mark che la afferra al volo, sorridente.
Mi sento leggera e frizzante come una bollicina, l’adrenalina mi scorre nelle vene facendomi spostare il peso da un piede all’altro e non posso fare a meno di essere felice per questo pomeriggio fantastico e per il sorriso raggiante e contagioso di Mark.
Lancio la pallina in alto e la colpisco con forza, facendola rimbalzare velocemente dall’altra parte del campo. Mark non è abbastanza svelto e il primo punto è mio.
«Per il cioccolato!» annuncio con aria solenne, mentre Mark alza gli occhi al cielo, visibilmente scocciato.
«Per i gusti alla frutta totalmente sottovalutati!» risponde, e la vera battaglia ha inizio, senza esclusione di colpi.
Ringrazio mentalmente mio padre con cui ho giocato a ping-pong migliaia di volte a casa e per tutte le mosse tattiche che mi ha insegnato.
Dopo mezz’ora, il cioccolato ha il suo meritatissimo primo posto e Mark ha una faccia dura e sconfitta mentre io ballo in maniera scatenata la lambada.
Lo prendo per mano trascinandolo all’interno della nave.
«Dai, andiamo a curiosare in giro!».
Mark alza gli occhi al cielo e mi segue mentre ci avventuriamo per i corridoi.
 
Due ore dopo siamo intenti ad osservare le foto appese nella galleria. Tracey è stata immortalata mentre si aggiusta il reggiseno sorridendo all’obiettivo, con accanto un Ian decisamente imbarazzato e rosso in viso che non si è accorto dello scatto. Io e Mark ridiamo senza freni mentre scegliamo tutte le foto da portar via.
Mentre Mark porta le foto al bancone e si fa dire il prezzo io guardo le altre che ho in mano.
Una in particolare mi colpisce.
Ci sono io pensierosa, che guardo qualcosa con gli occhi persi nel vuoto. Accanto a me, Mark mi guarda come se non ci fosse altro al mondo.
Mi si stringe il cuore e lo osservo da lontano, stringendo la foto tra le dita.
Ride, si passa una mano tra i capelli ed è felice. Mi guarda per un attimo e mi fa cenno di raggiungerlo.
E se stessi sbagliando tutto? E se fosse lui la persona giusta, la persona da amare?
Stringo le labbra e guardo ancora una volta la foto. La piego e, lentamente la faccio scivolare in borsa.
Mark si avvicina e mi porge la scheda che uso ogni volta per pagare qualsiasi cosa, cosicché i miei genitori non si insospettiscano e non mi accusino di essere un’avara di prima categoria.
Hanno questa concezione della ricchezza. Più hai, più devi spendere, per te e per gli altri. Tenersi tutti i soldi non serve, non li fa crescere e non ti rende felice.
Io non vi dò tanto peso anche perché se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni è che i soldi non comprano la felicità né rimarginano le ferite.
Tengono lontani i problemi per un po’, al limite, ma loro ti aspettano e ti seguono ovunque, come un’ombra.
«Andiamo?» mi chiede Mark facendomi trasalire.
Annuisco e mi passa un braccio attorno alle spalle mentre usciamo sul ponte del quarto piano e guardiamo il mare ormai scuro.
Abbiamo passato insieme tutto il pomeriggio e mi sono sentita tremendamente bene con lui, proprio come ai vecchi tempi in cui non avevamo paura di dirci nulla.
L’aria si è fatta fredda e sul ponte ci siamo solo noi.
Mentre le onde si infrangono contro la nave volto lo sguardo verso Mark e lo scopro intento a fissarmi. Non stacca gli occhi dai miei e io non riesco a distogliere lo sguardo.
«Ti amo».
Voglio essere risucchiata.
L’ha detto.
L’ha detto!
Sono state due parole pronunciate velocemente ma troppo chiaramente per essere cancellate.
Mi guarda, aspettando qualcosa, qualunque cosa, ma l’unica cosa che riesco a fare è guardarlo e respirare per quel che mi riesce.
I suoi occhi scuri sembrano lucidi per il riflesso dell’acqua e forse non solo per quello, penso tra me.
Abbasso lo sguardo e mi ritraggo, facendo un passo indietro.
«Ehm… devo andare, Mark» dico a bassa voce, odiandomi mille volte per non avere il coraggio di dire quello che penso, di dirgli ciò che provo.
«Da chi? Da lui?» fa un passo avanti, le mani sono serrate e la voce è tagliente.
Assottiglio gli occhi mentre sento il sangue ribollirmi nelle vene per la rabbia.
«E anche se fosse?» sibilo.
Non mi va che tiri Jake in ballo, adesso.
Lui non è qui e non c’entra nulla con questa storia.
«Lui non ti è mai stato accanto!» urla, rosso in viso. Gli scivola una lacrima dall’angolo dell’occhio destro e in un attimo la rabbia è sparita e mi sento in colpa, mi dispiace tremendamente per lui.
«Lui non ti conosce, non sa chi sei, né cosa hai passato!» continua, facendomi indietreggiare. «Pensi che starà ancora accanto a te dopo una scopata? O dopo aver saputo ciò che hai vissuto? Io ti sono stato accanto tutti questi anni! IO sono sempre stato vicino a te, senza mai lasciarti! Chi è lui? Nessuno, Karol!» le sue parole trasudano rabbia e rancore e sono ingiuste. Digrigno i denti e serro i pugni, ficcandomi le unghie nella carne.
La rabbia mi assale, più forte di prima e lo odio per ciò che ha detto, vorrei distruggerlo.
«Tu non hai nessun diritto di trattarmi in questo modo!» urlo. «Sono una donna, Mark, faccio ciò che voglio e nessuno ti ha chiesto di starmi accanto tutti questi anni! È stata una tua scelta e adesso non pretendere un pagamento per ciò che doveva essere un gesto spontaneo ma che evidentemente non lo era! È la mia vita, decido io come gestirla e soprattutto decido io a chi darla e a chi no. E detto questo il discorso è CHIUSO!» mi giro e corro dentro la nave, fiondandomi in un ascensore e premendo un pulsante a caso.
Sono fumante di rabbia e l’unica cosa di cui ho bisogno in questo momento è scaricare i nervi affondando le lame nel ghiaccio
.
 

*** IL RITORNO ***
Ave a tutti! Lo so, sono imperdonabile.
In effetti non so più nemmeno quanti di voi EFFETTIVAMENTE leggano o si caghino questa storia dopo tutti i ritardi di pubblicazione e dopo le merde di capitoli che vi propino ogni volta che rispunto dal nulla.
Non so che dire.
Di promesse non ve ne faccio più, tanto si è capito che sono incapace di mantenerle, ma spero vivamente che i tempi d'oro ritornino per il mio povero encefalo che sta cerebralmente deperendo piano piano. Insomma, manco di inventiva, volontà e ispirazione.
Perciò LEVATE QUELLE DANNATE BAMBOLE VOODOO tanto lo so che siete voi! :p
Un bacio a tutti e che la forza sia con voi!

Krys la rediviva. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


CAPITOLO 9.

 


 
La musica dello stereo rimbomba tra le pareti della stanza e nonostante io sia impegnato a strofinare con foga tutto ciò che mi capita a tiro, sento ugualmente la porta sbattere violentemente.
Non voglio girarmi.
Continuo a sfregare con uno strofinaccio i posti a sedere della prima fila, fino a spaccarmi le mani.
Non voglio girarmi e scoprire che è lei.
Sento un rumore di passi e mi concentro sulla musica, il respiro pesante per lo sforzo e per la rabbia. Sono ore che sono rinchiuso qui.
Non voglio girarmi e scoprire che è lei, o peggio che non sia lei.
I passi si fermano. La musica anche.
Chiudo gli occhi e mi giro, raddrizzando la schiena.
Quando li riapro lei è lì, seduta su uno scalino, fumante di rabbia.
Si attorciglia una ciocca di capelli attorno alle dita e i suoi occhi azzurri sono scuri  e accigliati.
Faccio un respiro profondo, facendo scivolare via tutta la rabbia. Mi avvicino e mi siedo accanto a lei.
Avverto la sua collera, i muscoli sono tesi e nervosi, pronti a scattare e la linea della mascella è serrata, mettendo in evidenza tratti spigolosi del suo viso che non pensavo avesse.
È bellissima anche quando è arrabbiata.
Sembra una furia, sembra così viva.
Sorrido mestamente e le scosto con delicatezza una ciocca via dal volto.
«C’è qualcosa che non va?».
Rimane in silenzio per i primi istanti, respirando a fondo, cercando di calmarsi.
Poi scuote la testa e chiude gli occhi «Niente».
Niente. È la scusa che rifiliamo a noi stessi e agli altri quando vogliamo convincerci che davvero non ci sia niente che non vada.
E invece il più delle volte, quel niente sta ad indicare che sono successe tante cose, cose gravi, cose che cambiano la tua vita per sempre, cose che vorresti siano niente ma che non lo sono.
Niente non esiste.
«È stato quel tipo? Mark?» chiedo, più duramente di quanto avrei voluto.
Karol si stacca da me velocemente e balza in piedi, digrignando i denti.
Le guance le si sono tinte di rosso e gli occhi azzurri sono ancora più scuri quando si arrabbia, sembrano quasi blu.
«Cosa ti fa pensare che sia stato lui? Dici così solo perché ti sta antipatico! E se fosse stata Tracey? E se davvero non ci fosse niente di cui parlare?» mi accusa, puntandomi un dito contro.
«È vero, mi sta antipatico!» urlo balzando in piedi, «Ma le persone normali non se ne vanno in giro ad urlare addosso alla gente se non è successo niente! Non ne vuoi parlare? Okay! Mi chiedo solo cosa sei venuta a fare qui, allora! Se è per scaricare la tua rabbia addosso a me, quella è la porta, girati e vattene. Sono un pattinatore non una cavia del cazzo!».
Mi allontano a grandi passi mi siedo sul bancone, alzo il volume della radio e mi tolgo le scarpe.
È una stupida e ci ricasco sempre! Cosa cazzo so di lei? Nulla a parte il fatto che le piace arrabbiarsi con gli altri, essere scontrosa e fare la parte della vittima a tempo pieno.
Sbatto con foga le scarpe sul pavimento e indosso i pattini.
Stupida, viziata, riccona e… stupida!
Serro la mascella sentendo le ossa scricchiolare.
Mi fa perdere il controllo. Mi fa andare fuori di testa! Io non dovrei parlare con lei, non dovrei avere niente a che fare con lei. Siamo persone diverse, con valori diversi e che trattano la gente in maniera diversa! Vuole piangersi addosso per metà del tempo e urlare contro gli altri per l’altra metà? Accontentata.
Me ne fotto.
Sono sempre stato una persona corretta e cazzo, Dio solo sa quante volte mi sono incazzato con qualcuno come lo sono adesso! Di solito sono paziente, ingoio, ignoro, lascio correre. Ma con lei… mi sento costantemente tirato in causa, mi da fastidio che Mark la guardi, mi da fastidio che lei lo tenga in considerazione, mi da fastidio che non si fidi di me come vorrei.
Sono pazzo di lei ed è stupido!
Cammino sino alla pista, aprendo e chiudendo le mani più volte per far defluire la rabbia, ma oggi tutto sembra inutile.
Appena inizio a scivolare sul ghiaccio la calma mi scivola addosso come una coperta. Sono ancora arrabbiato, ma penso più lucidamente e più affondo le lame nel ghiaccio, più sfogo la rabbia e pian piano l’adrenalina defluisce. Mi rassereno e chiudo gli occhi, sorridendo mentre faccio un triplo e atterro con eleganza. Sento i muscoli della schiena distendersi e quelli delle gambe tirare. Avrei dovuto fare riscaldamento prima di scendere in pista, ma non ci ho pensato con tutto quello che è successo. Proseguo più cautamente, evitando i fiori e i peluche che non ho ancora tolto, disseminati sulla pista dopo lo spettacolo di ieri.
Giro su me stesso una, due, tre volte e poi ripeto l’operazione senza fermarmi, sempre più veloce sino a quando non mi ritrovo senza fiato a bordo pista. Mi appoggio alla ringhiera e mi passo una mano sugli occhi, stanco.
«Sei bravo».
Sussulto.
Mi giro verso di lei e la guardo stranito, passandomi un braccio sulla fronte per detergere il sudore. Non credevo fosse ancora qui.
Il fiato mi entra ed esce dai polmoni pugnalandomi e procedo verso di lei a fatica, con i muscoli delle gambe tremanti per lo sforzo.
È stupido fidarsi del cuore, è stupido non pensare alle conseguenze quando sono con lei, è stato stupido tutto questo sforzo senza riscaldamento ed è stupido quello che sto per fare adesso. Ogni cosa che faccio è stupida ma non posso fare a meno di farla! Mi sembra di essermi trasformato in un budino, di andarle incontro con la scritta trafiggimi ora e trafiggimi sempre, perché mi piace sentirmi così, mi basta che sei qui, mi basta la tua presenza anche se fa male.
È seduta in equilibrio sulla ringhiera, ha tirato indietro i capelli e mi guarda dispiaciuta.
Deglutisco e metto le mani ai lati delle sue gambe, guardandola dal basso verso l’alto.
Mi piace.
Tremendamente, terribilmente, paurosamente.
«Ciao» sussurro, facendo scivolare una mano sulla sua.
Lentamente tira un angolo della bocca all’insù e mi sento inspiegabilmente meglio.
«Ciao» sussurra e sorrido.
Le accarezzo le nocche della mano, seguo la linea delle dita e non stacco mai gli occhi dai suoi.
Quest’attimo è tutto nostro, solo nostro, senza nessuno scimmione tra le scatole e senza la sua rabbia a porci freni.
Sollevo la sua mano e lentamente la sfioro con le labbra, sorridendo.
La sento rabbrividire appena, socchiude gli occhi e sorride.
Abbandono la sua mano e pattino indietro ridendo, felice.
Il vecchio Jake è tornato, pronto a colpire!
Di solito sono le ragazze a corrermi dietro e non il contrario.
Con Karol mi dimentico completamente di tirar fuori dal mio armamentario le tecniche di seduzione più efficaci, ma a quanto pare a volte il cervello mi funziona ancora.
«JAKE! Attento a..» sposto un piede all’indietro mentre lei allunga una mano verso di me, come a volermi afferrare. La lama si impiglia in qualcosa, perdo l’equilibrio e scivolo.
Sento un gran rumore e la testa mi fa male contro il ghiaccio.
Chiudo gli occhi.
 
 
«Jake. Jake ti prego apri gli occhi. Jake!».
Sento delle dita che mi accarezzano il viso. Mani fredde contro le guance.
Sento un rumore e la guancia inizia a bruciarmi a causa dello schiaffo ricevuto. «JAKE, CAZZO, APRI QUEI DANNATISSIMI OCCHI O FACCIO UN CASINO!» urla una voce nella mia testa.
Le orecchie mi fanno male.
Gemo.
Sbatto le palpebre ma c’è solo una macchia di colore indistinta sopra di me.
Luci.
Luci troppo forti.
Stringo gli occhi e li riapro, mettendo a fuoco tanti puntini colorati che mi ballano davanti.
«Jake» qualcuno sussurra.
Mani mi accarezzano.
Cerco di tirarmi su a sedere ma le mani mi trattengono e la testa è attraversata da fitte.
«No, Jake, sta fermo».
Chiudo gli occhi.
Inspiro, trattengo l’aria nei polmoni e poi la butto fuori.
Apro gli occhi.
È tutto sfocato, c’è una macchia indistinta davanti a me che poco a poco sembra definirsi meglio.
«Karol» sussurro con un sorriso impastato sul volto.
La vedo annuire, sempre più nitida, lacrime di sollievo le rigano le guance.
Le passo un braccio attorno al collo e la attraggo a me, stringendola contro il mio petto e assaporando il suo profumo.
È scossa dai singhiozzi e piange sommessamente.
«Shh» mormoro. «Shh».
Pian piano prendo coscienza delle cose attorno a me, del ghiaccio freddo sul quale sono steso, del corpo caldo di Karol contro il mio, delle luci dei riflettori, della musica dello stereo, della testa dolorante a causa della caduta.
Merda.
Giro il capo verso Karol e la guardo.
«Pensavo ti fosse successo qualcosa!» trema.
Le accarezzo i capelli per tranquillizzarla.
«Sono qui. Non mi è successo niente» sorrido.
«N-non capisci! Tu, tu non aprivi gli occhi! Sei caduto e hai battuto la testa!! Non lo sai che se hai un incidente sul ghiaccio all’ottanta percento dei casi può essere una cosa grave? Hai battuto la testa, Cristo Santo, Jake! Non è mai una buona cosa!» balbetta preoccupata.
Aspetto qualche istante prima di rispondere.
Le sollevo il viso e la guardo dritto negli occhi pieni di lacrime.
«Non mi è successo nulla, Karol. Sto benissimo».
Avvicino il viso al suo, le sue labbra sono vicine, lei si avvicina ancora di più, mancano pochi centimetri, ha gli occhi socchiusi e… siamo circondati dal ghiaccio.
La guardo e sento una morsa afferrarmi il petto. Mi metto seduto e le stringo forte la mano, costringendola a guardarmi.
«KAROL!» urlo mentre noto le lame ai suoi piedi. Lei mi guarda accigliata.
«Hai i pattini! Sei arrivata fin qui pattinando?».
«Io…» sembra smarrita, si guarda i pattini, scosta velocemente le mani dal ghiaccio e si guarda attorno terrorizzata.
Scatta in piedi e in un lampo ha percorso quindici metri ed è già fuori dalla pista.
«Karol!» la chiamo, ma lei non si gira. Infila velocemente le scarpe e schizza fuori, senza voltarsi.
Rimango fermo a fissare il punto in cui è scomparsa senza sapere cosa pensare.
Sono caduto, mi ha soccorso e sembrava preoccupata, stavo per baciarla e non le dispiaceva. Ma la cosa che mi lascia più interdetto, sono l’agilità e l’eleganza con cui ha percorso i quindici metri che la separavano dall’uscita.
E ora più che mai sono convinto che il ghiaccio ha fatto parte della sua vita, è stato parte di lei e le è entrato nel cuore. Lei pattinava.
E non capisco come abbia fatto a smettere.
Ma soprattutto non capisco come mai abbia tanta paura di ricominciare.




 
Piccolo regalino per farmi perdonare... quest'immagine la creai quando non avevo ancora deciso che ad intermpretare Jake sarebbe stato Chris dei due fratelli e non Liam.
Ad ogni modo, si somigliano molto xD 
La prossima volta vi metterò delle altre foto <3



***IL RI- RI- RI- TORNO***
Buongiorno a tutti guys ^-^
Le cose iniziano a farsi più complicate e vi assicuro che ci saranno molte gatte da pelare sia per Karol, a causa della sua testardaggine, sia per Jake che, poverino, non sa mai dove sbattere la testa xD
Spero che la storia non vi annoi e soprattutto spero vivamente che ci sia ancora qualcuno in grado di seguirla xD
Un bacio a tutti, ci rivedremo,
prima o poi... ;)

 
Krys
 

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